scimmie metropolitane

1
| 016 | SETTEMBRE 10 14 | 016 | SETTEMBRE 10 15 “Tre, due, uno... polo!”. All’ombra della statua del Manzoni sei biciclette cominciano a sfrecciare nella milanese piazza san Fedele, illuminata a vista dai lampioni. Tre contro tre, i bikers rincorrono una pallina di plastica con vecchie racchette da sci, tentando di spingerla nella porta avversaria. Un paio di signore in tacchi a spillo attraversano il “campo”, voltando curiose lo sguardo senza capire. Avranno altre occasioni: ogni martedì, dalle 22.30 in poi, il cuore di Milano è occupato dal bike polo, un appuntamento alla portata di tutti. Tanto esclusivo e costoso è il classico sport inglese a cavallo, quanto informale e a buon mercato è la sua variante di strada: una moda urbana che arriva ora in Italia. Per una partita bastano una bici a scatto fisso (si frena cercando di bloccare la pedalata; chi posa i piedi a terra esce per punizione, ndr), un caschetto e un pezzo di tubo da aggiungere alla punta della mazza per renderla più performante. Persino l’arbitro è di troppo: “Tra noi c’è molto fair play. Abbiamo iniziato per scherzo due anni fa, ce ne parlò una biker finlandese” racconta in una pausa il coordinatore, Roberto Peia, giornalista 50enne con la passione per le due ruote tanto da aver portato in Italia gli “Urban bike messangers”, i pony express a pedali. “Da qualche mese gareggiamo tra città -prosegue Roberto-: siamo reduci dal campionato nazionale di Roma, vinto dai marchigiani. L’inverno scorso eravamo in Germania, quest’anno a Ginevra per il torneo internazionale. Ma restiamo un gruppo spontaneo: la filosofia di fondo è libera”. Anche chi arriva in ritardo entra in campo. Ortu, un ragazzo basco che lavora a Milano, si presenta con un amico in tempo per metà partita: in genere si gioca per 40 minuti, suddivisi in quattro tempi da dieci. Solo i martedì di pioggia e di consiglio comunale (il retro di Palazzo Marino, che dà sulla piazza, è sede del Comune), con i vigili in azione, riescono a fermarli. “Ci vorrebbe un campetto ad hoc. I tedeschi già ce l’hanno” ironizza Lorenzo, professione fotografo, che fa mistero del suo cognome. Pensare che molti gruppi italiani, da Roma a Fano, da Catania a Vicenza, giocano nei parcheggi dei centri commerciali o in zone poco illuminate. Loro invece sono nel “salotto buono”, a due passi dal Duomo e dalla Scala, dietro la galleria Vittorio Emanuele: una location davvero scenografica, anche per gli spettatori. | TESTO | BARBARA CIOLLI | FOTO | ALESSIA GATTA CRESCONO ANCHE IN ITALIA GLI APPASSIONATI DI PARKOUR. SALTANO TRA I PALAZZI PER AFFRONTARE MEGLIO LA VITA. Patie molor augue con ex euis digna faci euguer alis delesequate dolore tis adionsectem aliquam quissequatio dit illaort isciliquat lortie ex enim veleniatet, consendip el exeratue doluptat iriustisl eu facinim dolortio delisi tio dio od mod dolore dignim dolestio er sumsan PER CAMPO UNA PIAZZA, PER DESTRIERO UNA BICI. DA CATANIA A MILANO DOMINA IL BIKE POLO. il polo su due ruote A maggio si sono dati appuntamento a Nova- ra e dintorni, dove l’associazione Parkour Italia (www.apki.it), grazie a un finanziamento della Provincia e al sostegno dell’associazione Sam- sara, ha organizzato degli stage gratuiti nei fine settimana. Decine gli iscritti, nessun fanatico. Tra loro anche Stefania Vaudo, 35 anni, guida del parco nazionale Valgrande di Verbania: una specie “rara”. “Certo, le donne sono poche, ma non sono l’unica -precisa-. Amo questo sport perché al posto di pareti rocciose e fiumi trovi barriere urbane. Ma come nel bosco sei solo e devi adattarti”. Vicino a lei, Giorgio Ferré, 28 anni, istruisce le matricole a saltare sui tavoli di legno, ammonendo i più precipitosi: “L’obiet- tivo è percorrere ogni distanza con la massima efficienza. Si comincia dai gradini -spiega-. Bi- sogna conoscere i propri limiti, per superarli”. Prima dei salti più spericolati ci si addestra un paio di anni con scale, tavoli e muretti. Per un cornicione ce ne vogliono almeno sei. A Novara ha fatto capolino anche Laurent Piemontesi, “vecchio” Yamakasi e attuale lea- der della formazione, che in Francia insegna S obborgo parigino di Lisses, fine anni Ot- tanta, settemila anime di periferia dove si conoscono tutti. Per gioco nove ragaz- zi iniziano la loro personale “corsa a ostacoli”, in francese parcour: con costanza imparano a superare mura e cancelli, scivolando via sul cemento come Tarzan nella giungla. Si fanno chiamare Yamakasi, in bantu “forti di corpo e di spirito”, e arrivano a balzare come felini sui cornicioni, sospesi nel vuoto tra un palazzo e l’altro. Persino il regista Luc Besson se ne inna- mora, corteggiandoli per i suoi film. Oggi i leggendari ragazzi di banlieue sono cre- sciuti, mietendo migliaia di adepti. I video di parkour (con la “k” a effetto, ndr) imperversano su Youtube e non c’è settimana che i traceurs, “tracciatori di percorsi”, non si ritrovino in giro per l’Europa, in vista del rituale pellegrinaggio a Lisses, la loro Mecca. Anche in Italia i raduni si susseguono: Genova, Roma, Milano. Ma più che a spettacolari esibizioni si assiste a duri alle- namenti in piazze e giardini pubblici, dove gio- vani dai 16 ai 40 anni scolpiscono i loro fisici già atletici con salti, flessioni e capriole. questa disciplina persino ai carcerati. Inglesi e francesi sono i più forti. Ma anche gli italiani non scherzano: secondo l’Apki sarebbero 400 i nostri connazionali che sfidano con un bal- zo muri e cancelli. Come i Milan monkeys, le famose “scimmie” di Milano. O il gruppo pio- niere, quello di Prato, allevato dagli stessi ragaz- zi di Lisses, che nel 2005 ha dato vita all’Apki, creando la prima associazione al mondo di par- kour: “È uno sport non competitivo. Quando gli ostacoli sono un’opportunità, la vita scorre fluida come l’acqua sulle pietre”, commenta il 31enne Matteo Milani. Il loro orgoglio nazionale è Federico Mazzo- leni, alias “Gato”: un “gatto” bergamasco di 26 anni, che si allunga verticale in impeccabili can- dele a strapiombo sui baratri. “Pericoloso? Non necessariamente. Il segreto è saper valutare fino a quanto spingersi”, chiosa Federico, biologo evoluzionista, fresco della qualifica internazio- nale di insegnante di parkour. Il titolo, conse- guito a Londra, è riconosciuto dagli Yamakasi e persino dalle associazioni “più pure” che, come l’Apki, si ispirano alla linea dell’ex vigile del fuoco David Belle. Perché come spesso accade tra vecchi amici dalla forte personalità, le strade dei nove ragazzacci di Lisses si sono divise. E se A Novara, nel maggio scorso, si sono svolti stage di parkour finanziati dalla Provincia. In basso, la mazza del bike polo, immortalata in piazza san Fedele a Milano. qualcuno milita ancora negli storici Yamakasi, c’è chi come lui ha affinato le sue performan- ce prendendo spunto dalla tecnica militare di George Hébert, appresa dal padre e dal nonno, entrambi pompieri. Tornato nell’ombra dopo il ruolo da protagonista in “Banlieue 13” prodot- to da Luc Besson nel 2004, Belle rimane fedele al metodo naturale dell’ufficiale di marina che, affascinato dall’agilità degli indigeni d’Africa, nel primo Novecento iniziò ad allenare le trup- pe imitando il “buon selvaggio”. Mentre Sébastien Foucan, anche lui vigile del fuoco ma con il brio dell’uomo di spetta- colo, ha aggiunto alla disciplina originaria le acrobazie della ginnastica artistica, fondando il freerunning: in slang londinese “correre li- beramente”. L’estetica prevale sull’efficienza ed esplode il fenomeno commerciale: Foucan recita in “007 Casino Royale” (2006), va in tour con Madonna e centinaia di seguaci speri- mentano salti mortali sull’asfalto. Con l’uscita del suo libro, “Freerunning, trova la tua stra- da” (edizioni Socrates), anche in Italia cresce la schiera di artisti metropolitani in bilico tra freerunning e parkour. Alla ricerca, come gli Stre- et arts romani (www.streetarts.org), di “movi- menti sempre più belli”. scimmie metropolitane

description

scimmie metropolitane | foto di Alessia Gatta | Terre di mezzo 16 2010

Transcript of scimmie metropolitane

Page 1: scimmie metropolitane

| 016 | settembre 1014 | 016 | settembre 10 15

“Tre, due, uno... polo!”. All’ombra della statua del Manzoni sei biciclette cominciano a sfrecciare nella milanese piazza san Fedele, illuminata a vista dai lampioni. Tre contro tre, i bikers rincorrono una pallina di plastica con vecchie racchette da sci, tentando di spingerla nella porta avversaria. Un paio di signore in tacchi a spillo attraversano il “campo”, voltando curiose lo sguardo senza capire.Avranno altre occasioni: ogni martedì, dalle 22.30 in poi, il cuore di Milano è occupato dal bike polo, un appuntamento alla portata di tutti. Tanto esclusivo e costoso è il classico sport inglese a cavallo, quanto informale e a buon mercato è la sua variante di strada: una moda urbana che arriva ora in Italia. Per una partita bastano una bici a scatto fisso (si frena cercando di bloccare la pedalata; chi posa i piedi a terra esce per punizione, ndr), un caschetto e un pezzo di tubo da aggiungere alla punta della mazza per renderla più performante. Persino l’arbitro è di troppo: “Tra noi c’è molto fair play. Abbiamo iniziato per scherzo due anni fa, ce ne parlò una biker finlandese” racconta in una pausa il coordinatore, Roberto Peia, giornalista 50enne con la passione per le due ruote tanto da aver portato in Italia gli “Urban bike messangers”, i pony express a pedali. “Da qualche mese gareggiamo tra città -prosegue Roberto-: siamo reduci dal campionato nazionale di Roma, vinto dai marchigiani. L’inverno scorso eravamo in Germania, quest’anno a Ginevra per il torneo internazionale. Ma restiamo un gruppo spontaneo: la filosofia di fondo è libera”. Anche chi arriva in ritardo entra in campo. Ortu, un ragazzo basco che lavora a Milano, si presenta con un amico in tempo per metà

partita: in genere si gioca per 40 minuti, suddivisi in quattro tempi da dieci. Solo i martedì di pioggia e di consiglio comunale (il retro di Palazzo Marino, che dà sulla piazza, è sede del Comune), con i vigili in azione, riescono a fermarli. “Ci vorrebbe un campetto ad hoc. I tedeschi già ce l’hanno” ironizza Lorenzo, professione fotografo, che fa mistero del suo cognome. Pensare che molti gruppi italiani, da Roma a Fano, da Catania a Vicenza, giocano nei parcheggi dei centri commerciali o in zone poco illuminate. Loro invece sono nel “salotto buono”, a due passi dal Duomo e dalla Scala, dietro la galleria Vittorio Emanuele: una location davvero scenografica, anche per gli spettatori.

| testo | barbara ciolli | foto | alessia gatta

CresCono anChe in italia gli appassionati di parkoUr. saltano tra i palazzi per affrontare meglio la vita.

Patie molor augue con ex euis digna faci euguer alis delesequate dolore tis adionsectem aliquam quissequatio dit illaort isciliquat lortie ex enim veleniatet, consendip el exeratue doluptat iriustisl eu facinim dolortio delisi tio dio od mod dolore dignim dolestio er sumsan

per Campo Una piazza, per destriero Una biCi.da Catania a milano domina il bike polo.

il polo su due ruoteA maggio si sono dati appuntamento a Nova-ra e dintorni, dove l’associazione Parkour Italia (www.apki.it), grazie a un finanziamento della Provincia e al sostegno dell’associazione Sam-sara, ha organizzato degli stage gratuiti nei fine settimana. Decine gli iscritti, nessun fanatico. Tra loro anche Stefania Vaudo, 35 anni, guida del parco nazionale Valgrande di Verbania: una specie “rara”. “Certo, le donne sono poche, ma non sono l’unica -precisa-. Amo questo sport perché al posto di pareti rocciose e fiumi trovi barriere urbane. Ma come nel bosco sei solo e devi adattarti”. Vicino a lei, Giorgio Ferré, 28 anni, istruisce le matricole a saltare sui tavoli di legno, ammonendo i più precipitosi: “L’obiet-tivo è percorrere ogni distanza con la massima efficienza. Si comincia dai gradini -spiega-. Bi-sogna conoscere i propri limiti, per superarli”. Prima dei salti più spericolati ci si addestra un paio di anni con scale, tavoli e muretti. Per un cornicione ce ne vogliono almeno sei.

A Novara ha fatto capolino anche Laurent Piemontesi, “vecchio” Yamakasi e attuale lea-der della formazione, che in Francia insegna

s obborgo parigino di Lisses, fine anni Ot-tanta, settemila anime di periferia dove si conoscono tutti. Per gioco nove ragaz-

zi iniziano la loro personale “corsa a ostacoli”, in francese parcour: con costanza imparano a superare mura e cancelli, scivolando via sul cemento come Tarzan nella giungla. Si fanno chiamare Yamakasi, in bantu “forti di corpo e di spirito”, e arrivano a balzare come felini sui cornicioni, sospesi nel vuoto tra un palazzo e l’altro. Persino il regista Luc Besson se ne inna-mora, corteggiandoli per i suoi film.

Oggi i leggendari ragazzi di banlieue sono cre-sciuti, mietendo migliaia di adepti. I video di parkour (con la “k” a effetto, ndr) imperversano su Youtube e non c’è settimana che i traceurs, “tracciatori di percorsi”, non si ritrovino in giro per l’Europa, in vista del rituale pellegrinaggio a Lisses, la loro Mecca. Anche in Italia i raduni si susseguono: Genova, Roma, Milano. Ma più che a spettacolari esibizioni si assiste a duri alle-namenti in piazze e giardini pubblici, dove gio-vani dai 16 ai 40 anni scolpiscono i loro fisici già atletici con salti, flessioni e capriole.

questa disciplina persino ai carcerati. Inglesi e francesi sono i più forti. Ma anche gli italiani non scherzano: secondo l’Apki sarebbero 400 i nostri connazionali che sfidano con un bal-zo muri e cancelli. Come i Milan monkeys, le famose “scimmie” di Milano. O il gruppo pio-niere, quello di Prato, allevato dagli stessi ragaz-zi di Lisses, che nel 2005 ha dato vita all’Apki, creando la prima associazione al mondo di par-kour: “È uno sport non competitivo. Quando gli ostacoli sono un’opportunità, la vita scorre fluida come l’acqua sulle pietre”, commenta il 31enne Matteo Milani.

Il loro orgoglio nazionale è Federico Mazzo-leni, alias “Gato”: un “gatto” bergamasco di 26 anni, che si allunga verticale in impeccabili can-dele a strapiombo sui baratri. “Pericoloso? Non necessariamente. Il segreto è saper valutare fino a quanto spingersi”, chiosa Federico, biologo evoluzionista, fresco della qualifica internazio-nale di insegnante di parkour. Il titolo, conse-guito a Londra, è riconosciuto dagli Yamakasi e persino dalle associazioni “più pure” che, come l’Apki, si ispirano alla linea dell’ex vigile del fuoco David Belle. Perché come spesso accade tra vecchi amici dalla forte personalità, le strade dei nove ragazzacci di Lisses si sono divise. E se

A Novara, nel maggio scorso, si sono svolti stage di parkour finanziati dalla Provincia. In basso, la mazza del bike polo, immortalata in piazza san Fedele a Milano.

qualcuno milita ancora negli storici Yamakasi, c’è chi come lui ha affinato le sue performan-ce prendendo spunto dalla tecnica militare di George Hébert, appresa dal padre e dal nonno, entrambi pompieri. Tornato nell’ombra dopo il ruolo da protagonista in “Banlieue 13” prodot-to da Luc Besson nel 2004, Belle rimane fedele al metodo naturale dell’ufficiale di marina che, affascinato dall’agilità degli indigeni d’Africa, nel primo Novecento iniziò ad allenare le trup-pe imitando il “buon selvaggio”.

Mentre Sébastien Foucan, anche lui vigile del fuoco ma con il brio dell’uomo di spetta-colo, ha aggiunto alla disciplina originaria le acrobazie della ginnastica artistica, fondando il freerunning: in slang londinese “correre li-beramente”. L’estetica prevale sull’efficienza ed esplode il fenomeno commerciale: Foucan recita in “007 Casino Royale” (2006), va in tour con Madonna e centinaia di seguaci speri-mentano salti mortali sull’asfalto. Con l’uscita del suo libro, “Freerunning, trova la tua stra-da” (edizioni Socrates), anche in Italia cresce la schiera di artisti metropolitani in bilico tra freerunning e parkour. Alla ricerca, come gli Stre-et arts romani (www.streetarts.org), di “movi-menti sempre più belli”.

scimmiemetropolitane