Scienze della Natura Geologia e Geologia...

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Scientifica Acta 3, Special issue, 158 – 178 (2009) Scienze della Natura Geologia e Geologia Ambientale Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia, via Ferrata 1, 27100 Pavia Presenta: Cesare R. Perotti, [email protected] In questa nota viene sinteticamente presentata l’attività svolta dai numerosi ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pavia nel settore paleontologico, geologico, idrogeologico, geomorfo- logico e della Geologia Ambientale. I principali temi di ricerca sono i seguenti: il clima nel passato come chiave per comprenderne l’evoluzione futura; le risorse naturali (acqua, idrocarburi, rocce e minerali, pae- saggio ecc...) e la loro corretta gestione e conservazione; le deformazioni della crosta terrestre e il rischio sismico e vulcanico; la cartografia geologica per una corretta gestione territoriale, i rischi ambientali (frane e inondazioni) e la loro prevenzione; l’analisi geologica delle interazioni fra uomo e ambiente naturale. Tut- te queste ricerche dimostrano come la geologia, studiando la storia passata della Terra, sia uno strumento indispensabile per comprendere e governare il presente ed il futuro del pianeta che è la nostra casa. The aim of this work is to present the research activity carried out by the several researchers of the De- partment of Earth Sciences of the University of Pavia, in the sector of the Palaeontology, Geology, Hydro- geology, Geomorphology and Environmental Geology. The principal topics of research are the following: the climate in the past as a key for understanding the future climatic changes; the natural resources (oil and gas, water, rocks and minerals, landscape, etc..) and their correct management and preservation; the deformations of the Earth crust and the geological risks (seismic and volcanic); the geological mapping for a correct land management; the geological hazards (landslides, floods, etc..) and their prevention; the geological analysis of the interactions between the human activity and the natural environment. All these researches show as the geology, studying the past of our planet, is able to let us know the present and the future of the Earth that is our country. 1 Introduzione Il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pavia raggruppa docenti che svolgono ricerche nell’ambito di tutti i settori delle geoscienze. Al Dipartimento afferiscono 20 professori di ruolo, 12 ri- cercatori, numerosi dottorandi e borsisti e 15 unità di personale tecnico e amministrativo. Il Dipartimento ospita inoltre, in base ad apposite convenzioni: la Sezione di Pavia dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR con ricercatori, tecnici e proprie attrezzature che vengono messe a disposizione anche del perso- nale universitario e la società ISO 4 che opera nel campo delle indagini ambientali con tecniche di analisi isotopica. L’attività didattica svolta comprende oltre 60 insegnamenti, integrati da esercitazioni di laboratorio e di campagna, destinati agli studenti delle Facoltà di Scienze (Corsi di Laurea in Scienze Geologiche, Scienze Naturali, Scienze Biologiche e Chimica) e Ingegneria. Il Dipartimento è anche sede di un Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra. Le ricerche svolte possono essere raggruppate in sette principali settori (geografia e geomorfologia, geo- logia, geologia applicata e idrogeologia, mineralogia e cristallografia, paleontologia, petrografia applicata e archeometria, petrologia e geochimica), ciascuno dei quali applica diverse tecniche e metodologie di indagine. Nell’ambito dell’attività di ricerca sono in corso collaborazioni con circa 40 Università italiane e straniere (europee, americane, australiane), con i maggiori Enti di Ricerca e con diversi musei italiani e stranieri. Sono inoltre attivi contratti con numerosi Enti Locali (Regioni, Provincie, Comuni), Industrie Petrolifere, Soprintendenze Archeologiche e Musei. © 2009 Università degli Studi di Pavia

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Scientifica Acta 3, Special issue, 158 – 178 (2009)

Scienze della Natura

Geologia e Geologia Ambientale

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia, via Ferrata 1, 27100 Pavia

Presenta: Cesare R. Perotti, [email protected]

In questa nota viene sinteticamente presentata l’attività svolta dai numerosi ricercatori del Dipartimento diScienze della Terra dell’Università di Pavia nel settore paleontologico, geologico, idrogeologico, geomorfo-logico e della Geologia Ambientale. I principali temi di ricerca sono i seguenti: il clima nel passato comechiave per comprenderne l’evoluzione futura; le risorse naturali (acqua, idrocarburi, rocce e minerali, pae-saggio ecc...) e la loro corretta gestione e conservazione; le deformazioni della crosta terrestre e il rischiosismico e vulcanico; la cartografia geologica per una corretta gestione territoriale, i rischi ambientali (franee inondazioni) e la loro prevenzione; l’analisi geologica delle interazioni fra uomo e ambiente naturale. Tut-te queste ricerche dimostrano come la geologia, studiando la storia passata della Terra, sia uno strumentoindispensabile per comprendere e governare il presente ed il futuro del pianeta che è la nostra casa.

The aim of this work is to present the research activity carried out by the several researchers of the De-partment of Earth Sciences of the University of Pavia, in the sector of the Palaeontology, Geology, Hydro-geology, Geomorphology and Environmental Geology. The principal topics of research are the following:the climate in the past as a key for understanding the future climatic changes; the natural resources (oiland gas, water, rocks and minerals, landscape, etc..) and their correct management and preservation; thedeformations of the Earth crust and the geological risks (seismic and volcanic); the geological mappingfor a correct land management; the geological hazards (landslides, floods, etc..) and their prevention; thegeological analysis of the interactions between the human activity and the natural environment. All theseresearches show as the geology, studying the past of our planet, is able to let us know the present and thefuture of the Earth that is our country.

1 Introduzione

Il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pavia raggruppa docenti che svolgono ricerchenell’ambito di tutti i settori delle geoscienze. Al Dipartimento afferiscono 20 professori di ruolo, 12 ri-cercatori, numerosi dottorandi e borsisti e 15 unità di personale tecnico e amministrativo. Il Dipartimentoospita inoltre, in base ad apposite convenzioni: la Sezione di Pavia dell’Istituto di Geoscienze e Georisorsedel CNR con ricercatori, tecnici e proprie attrezzature che vengono messe a disposizione anche del perso-nale universitario e la società ISO 4 che opera nel campo delle indagini ambientali con tecniche di analisiisotopica.

L’attività didattica svolta comprende oltre 60 insegnamenti, integrati da esercitazioni di laboratorio e dicampagna, destinati agli studenti delle Facoltà di Scienze (Corsi di Laurea in Scienze Geologiche, ScienzeNaturali, Scienze Biologiche e Chimica) e Ingegneria. Il Dipartimento è anche sede di un Dottorato diRicerca in Scienze della Terra.

Le ricerche svolte possono essere raggruppate in sette principali settori (geografia e geomorfologia, geo-logia, geologia applicata e idrogeologia, mineralogia e cristallografia, paleontologia, petrografia applicatae archeometria, petrologia e geochimica), ciascuno dei quali applica diverse tecniche e metodologie diindagine. Nell’ambito dell’attività di ricerca sono in corso collaborazioni con circa 40 Università italianee straniere (europee, americane, australiane), con i maggiori Enti di Ricerca e con diversi musei italianie stranieri. Sono inoltre attivi contratti con numerosi Enti Locali (Regioni, Provincie, Comuni), IndustriePetrolifere, Soprintendenze Archeologiche e Musei.

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Il supporto tecnico ed analitico alle ricerche è assicurato, oltre che dalle attrezzature di avanguardiadi proprietà del Centro CNR, da nove principali laboratori (Diffrattometria a Raggi X da polveri; Dif-frattometria a raggi X da cristallo singolo; Microanalisi; Geochimica Isotopica; Nannofossili Calcarei;Paleontologia dei Vertebrati; Idrologia e Idrochimica; Geologia Applicata e Geotecnica; Geologia Struttu-rale; Fotointerpretazione e Telerilevamento; Geographics Information Systems; Analisi Inclusioni Fluide;Modellistica 3D; Scienza dei Materiali Antichi; Sedimentologia; Analisi Materiali Lapidei per l’ Edilizia),utilizzati anche per attività didattiche specializzate e per attività di consulenza.

2 L’attività di ricerca

L’estrema varietà ed articolazione delle ricerche svolte nel Dipartimento rende molto difficile delineare inpoche pagine i principali temi affrontati. Tuttavia, volendo fare una sintesi dell’attività di ricerca nei settorigeologico, paleontologico, idrogeologico e applicativo, e geomorfologico è possibile indicare le chiavi dilettura seguenti.

2.1 Dalla scala planetaria alla scala microscopica

Le ricerche che si svolgono all’interno del Dipartimento sono finalizzate a comprendere sempre meglioil funzionamento ed i processi dell’intero nostro pianeta attraverso lo studio della Geodinamica, dellaTettonica delle placche, dei meccanismi di deformazione di ampi settori della crosta terrestre e della genesidella catene montuose e dei bacini sedimentari. Le indagini riguardano anche la struttura e le caratteristichegeologiche dei pianeti extraterrestri quale Marte.

Passando attraverso tutte le scale dimensionali viene nello stesso tempo anche studiata la più intimastruttura delle rocce con indagini eseguite al microscopio o con la microsonda.

2.2 Dal passato più remoto alle previsioni del futuro. I processi di cambiamento della Terra

I principali temi di ricerca, che attraverso lo studio dei processi geologici e della storia passata della Terraconsentono di comprendere il presente e di prevedere i possibili scenari futuri del nostro pianeta, possonocosì essere sintetizzati:

- le variazioni climatiche e ambientali del passato per comprendere i fattori che influenzano il clima eprevederne la possibile evoluzione futura;

- l’evoluzione della vita nel passato e la sua salvaguardia futura;- le risorse naturali (idrocarburi, minerali, materiali da costruzione): i meccanismi di formazione e

accumulo nel passato e la loro disponibilità e il loro utilizzo ottimale nel futuro;- le deformazioni della crosta terrestre e la previsione degli eventi di deformazione futuri (rischio sismico

e vulcanico, ecc...);- l’evoluzione e i processi di modellamento del paesaggio naturale e dell’ambiente fisico nel passato e

la salvaguardia del paesaggio naturale e dell’ambiente fisico nel futuro. Il paesaggio come bene culturalee come risorsa;

- lo studio del ciclo dell’acqua superficiale e sotterranea e l’analisi dei meccanismi di formazione edaccumulo. La salvaguardia e l’utilizzo ottimale della risorsa acqua nel futuro;

- l’indagine sulle caratteristiche fisiche e meccaniche delle rocce e dei suoli, la loro formazione e la com-prensione delle possibili interazioni e conseguenze dell’attività e delle opere dell’uomo sulla sull’ambientefisico naturale.

2.3 Dalla ricerca di base alle più attuali applicazioni

Le ricerche di base sono finalizzate a studiare e comprendere l’evoluzione fisica e biologica del nostropianeta nei suoi 4,6 miliardi di anni di storia.

Le ricerche applicate sono rivolte principalmente a:

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- utilizzare in maniera ottimale le risorse naturali quali acqua, minerali, materiali geologici, e idrocarbu-ri;

- comprendere i meccanismi che governano i cambiamenti climatici;- preservare la biodiversità;- prevenire i rischi naturali mitigandone gli effetti (terremoti, manifestazioni vulcaniche, frane, inonda-

zioni, crolli di opere dell’uomo, ecc);- salvaguardare l’ambiente ed il paesaggio e valorizzarlo come risorsa e bene culturale;- in generale, armonizzare le attività umane con l’ambiente fisico del nostro pianeta.Nei prossimi paragrafi verranno presentati soltanto alcuni esempi delle ricerche più recenti svolte nel-

l’ambito del Dipartimento che riguardano temi geologici di particolare attualità.

3 Studiare il passato della Terra per comprenderne il presente e il futuro:il clima e le sue variazioni

3.1 Ricerche bio- cronostratigrafiche, strutturali e geodinamiche sulle successioni continentalipermiane e triassiche del Sudalpino e della Sardegna: implicazioni climatiche tra la fine delPaleozoico e l’inizio del Mesozoico

Da numerosi anni un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra di Pavia (Cassinis G., PerottiC., Ronchi A., Santi G.) conduce un’analisi multidisciplinare sui bacini continentali tardopaleozoici delSudalpino e della Sardegna con lo scopo di indagarne l’evoluzione tettonica e sedimentaria alla luce deigrandi cambiamenti geodinamici che interessarono i due domini.

Nell’intervallo temporale compreso tra il Carbonifero superiore e il Triassico medio, il primo settoreoccupava una non ancora ben nota posizione nella zona peritetidea nordoccidentale, mentre la secondacostituiva parte integrante, del margine paleoeuropeo meridionale.

In particolare, dal punto di vista tettono-stratigrafico, a partire dal Carbonifero superiore (Westfaliano-Stefaniano) e fino al Permiano inferiore entrambi i settori furono coinvolti in una fascia molto estesa insenso longitudinale e dominata da una tettonica di tipo trascorrente-trastensiva. Tale attività strutturale,espressione di cambiamenti geodinamici di primo ordine, generò numerosi bacini continentali di strike-slip, in cui si andarono accumulando potenti successioni sedimentarie fluvio-lacustri, interessate da unprolungato magmatismo effusivo e intrusivo.

Nel Permiano medio, dopo una lacuna stratigrafica di lunga durata (fino a 15 milioni di anni) nel Sudal-pino centro-occidentale si depositano potenti successioni di red beds fluviali, espressioni di una tettonicadistensiva più pronunciata; tali rocce detritiche andarono a colmare definitivamente i bacini continentali,depositandosi anche sugli alti del basamento. Questo nuovo ciclo, che terminerà nell’Anisico, è proba-bilmente l’espressione di una riorganizzazione delle placche litosferiche molto importante a livello dellaPangea e che è probabilmente connessa con il passaggio da una configurazione paleogeografica da unaPangea “B” ad una Pangea “A”.

Le ricerche sulle successioni continentali del Sudalpino sono state oggetto di ampie revisioni cronostra-tigrafiche [1, 2, 3], estese anche ad altre parti d’Italia e d’Europa (Spagna, Francia, Germania, Bulgaria,Russia). In particolare, dal gruppo di ricerca sono stati effettuati studi lito-bio- cronostratigrafici nei Bacinipermiani di Collio, Orobico, di Tione e di Tregiovo, tra la Lombardia ed il Trentino, indagando inoltrela strutturazione tettonica, il contenuto paleontologico [4 e bibl., 3 e bibl., 5) e l’aspetto petrografico evulcanologico [6]. Recentemente, il gruppo di Pavia, con la collaborazione di specialisti dell’Università diCagliari ha rinvenuto un interessante associazione palinologica all’interno del Conglomerato della Val Dao-ne [5]: tali microflore indicano un’età guadalupiana e questo ha fornito un’indicazione precisa sull’iniziodel ciclo superiore del Permiano.

In Sardegna negli ultimi anni, i ricercatori di Pavia, insieme a numerosi specialisti italiani e stranieri,hanno effettuato una serie di studi multidisciplinari, stratigrafico-sedimentologici, strutturali e paleonto-logici sulle principali successioni continentali di età compresa tra il Carbonifero superiore e il Triassico

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Fig. 1: Età e caratteristiche paleo-ambientali delle successioni sarde post-varisiche

medio [1]. Grazie anche a parallele ricerche petrografiche e geochimiche sulle principali unità magmati-che presenti in queste successioni (in collaborazione con l’Università di Genova), è stato delineato in modopiù specifico il quadro geologico e geodinamico durante questo importante intervallo cronologico. Questericerche hanno dato modo così di caratterizzare in dettaglio ad esempio quello che viene chiamato con ilnome di “Autuniano Sardo” [7 e bibl.]. L’impalcatura stratigrafica delle successioni vulcano-sedimentariedal Permo-Carbonifero al Triassico medio nell’isola vede lo sviluppo di tre grandi sequenze deposiziona-li o “cicli” tettono-stratigrafici. Tali unità deposizionali, limitate da discordanze di importanza regionale,sono state confrontate con la successione permiana e triassica della Provenza [2], ma la loro correlazionepuò essere estesa anche a più vasti settori del Mediterraneo occidentale e anche a settori più interni dellapaleoeuropa [8].

Alla fine del Paleozoico, dal punto di vista paleoclimatico, si ebbe una variazione graduale da condi-zioni glaciali (che interessano soprattutto il supercontinente di Gondwana) nel Carbonifero superiore, algraduale effetto serra del Permiano medio-superiore. In Europa e nel Nord America la glaciazione terminòdefinitivamente nell’Asseliano, lasciando il passo ad un trend di aridizzazione, interrotto però da varie fasiumide. Queste fasi, identificate in bacini sedimentari di altre aree paleoeuropee, sono state riconosciuteanche nei settori studiati dal gruppo di ricerca (Figg. 1 e 2).

3.2 Il ruolo di tettonica e clima nell’erosione delle catene orogeniche e nell’evoluzione sedi-mentaria dei bacini di “foreland”: il caso dell’area veneto-friulana durante il Cenozoico

La questione relativa all’interazione tra tettonica e clima nel guidare l’erosione delle catene montuose enel produrre sedimenti che si accumulano nei circostanti bacini di “foreland” è ancora molto dibattuta.In particolare è ancora relativamente poco compreso se, in bacini tettonicamente attivi come i bacini di“foreland” che circondano le catene orogeniche, il clima possa avere un ruolo predominante, o comun-que, riconoscibile nel record stratigrafico. Questo tema assume particolare rilevanza in un contesto diaccelerati cambiamenti climatici quale l’attuale, perché da l’opportunità di tentare di prevedere gli effettidei cambiamenti in corso sulla dinamica erosiva della catena e, di riflesso, sul trasporto solido delle astefluviali.

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Fig. 2: Età e caratteristiche paleo-ambientali delle successioni sud-alpine post-varisiche

Questo tema è stato affrontato attraverso lo studio dell’evoluzione sedimentaria, durante il Cenozoico(ultimi 60 Ma), del Bacino Veneto-Friulano (BVF), che rappresenta il bacino di avampaese della catenasudalpina orientale.

La ricerca è stata condotta nell’ambito di un progetto PRIN interuniversitario coordinato dal gruppo diPavia (Cobianchi M., Di Giulio A., Mancin N., Toscani G.), nell’ambito del quale è stata indagata l’evolu-zione del BFV negli ultimi 60 milioni di anni [9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16]. In particolare per gli aspettirelativi all’interazione tra tettonica e clima sull’erosione della catena sudalpina e riempimento del BacinoVeneto-Friulano lo studio si è basato su due pilastri principali: 1) la ricostruzione di dettaglio dell’archi-tettura deposizionale del bacino effettuata attraverso l’interpretazione di dati sismici; 2) la costruzione dicurve dei tassi medi di sedimentazione a scala bacinale, calcolati dagli spessori decompattati delle unitàstratigrafiche durante il Cenozoico, usati come indice delle variazioni di flusso detritico dalla catena albacino nel tempo.

Questi dati hanno evidenziato che il clima, e in particolare gli eventi globali definiti come “aberranti”,cioè con un’alta intensità e breve durata temporale (dell’ordine di 104-103 anni), hanno influenzato l’evolu-zione deposizionale dell’area studiata, sebbene la tettonica sia stato il fattore dominante per la produzione

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e l’accumulo dei sedimenti almeno fino al Miocene superiore (circa 6 milioni di anni fa). Nel dettaglio èstato possibile dimostrare che: il tasso deposizionale medio nel bacino è rimasto in media inferiore agli 0.1mm/a dall’Eocene al Miocene (da circa 55 a 6 milioni di anni fa), con punte intorno a valori di 0.36 mm/adurante i momenti di massima attività tettonica nell’area orientale della catena sudalpina.

Viceversa, durante gli ultimi 5 Ma circa (Pliocene-Pleistocene), questa dinamica è profondamente cam-biata e, nonostante un’attività tettonica in catena assai limitata, il tasso medio di sedimentazione a scala ba-cinale è notevolmente aumentato, raggiungendo valori in media di 0.26 mm/a durante il Pliocene e di 0.73mm/a nel successivo Pleistocene, registrando quindi un sensibile aumento del flusso detritico provenientedalla catena.

Questi risultati riflettono chiaramente l’influenza sull’erosione della grande accelerazione del “trend”climatico di raffreddamento globale a lungo termine registrato durante questo intervallo di tempo, accom-pagnata da un aumento di ampiezza dei cicli climatici regolati da parametri orbitali. Nel dettaglio si è anchepotuto mettere in evidenza come il presunto inizio delle glaciazioni nell’area alpina a circa 0.9-0.7 Ma nonsia accompagnato da un contestuale aumento del flusso detritico nel bacino Veneto-Friulano; ciò smentiscel’opinione diffusa nella comunità scientifica che i cicli glaciali abbiano significativamente incrementato iltasso di erosione della catena alpina. Questi risultati dimostrano viceversa che il fattore climatico predomi-nante nel guidare l’erosione in catena e, di conseguenza, anche l’aumento del flusso di sedimenti nei bacinidi “foreland”, sia l’effetto combinato di alta frequenza ed elevata ampiezza dei cicli climatici che hannol’effetto di tenere in costante disequilibrio il sistema erosivo in catena.

3.3 L’impatto dei cambiamenti climatici sulla criosfera alpina

Il riscaldamento climatico sta determinando impatti rilevanti sulla criosfera alpina, rappresentata dai ghiac-ciai e dal terreno perennemente congelato (permafrost). Ghiacciai e permafrost registrano l’evoluzionerecente delle condizioni climatiche e si adeguano alle variazioni ambientali su scale temporali che vannoda pochi anni ad alcuni millenni. In generale, i sistemi glaciali variano con tempi di risposta più rapidi,mentre il permafrost tende ad essere più inerte, registrando prevalentemente le variazioni ambientali di piùlungo periodo. Accanto alla comprensione delle trasformazioni in atto (osservazioni, monitoraggi e rac-colta dati) è necessario studiarne le possibili conseguenze, che potrebbero assumere una sempre maggioreimportanza per i territori alpini, ma anche per le aree di pianura che più direttamente dipendono dalle areemontane per l’approvvigionamento idrico.

Dalla metà dell’800, tutti i ghiacciai delle Alpi hanno avuto una consistente riduzione di superficie edi spessore e questa tendenza si è accelerata a partire dalla metà degli anni ‘80 del secolo scorso, in coin-cidenza con una accentuata fase di riscaldamento climatico. Precipitazioni nevose scarse, ma soprattuttoperiodi estivi prolungati e caldi determinano bilanci di massa annuali fortemente negativi, che si traduconoin riduzioni di spessore di alcuni metri all’anno e ritiri della fronte fino a più di una decina di metri all’anno(Fig. 3).

Con l’ausilio di fotointerpretazione di dati multitemporali in ambiente GIS e rilevamenti a terra constazioni totali e GPS è stato possibile ottenere misure affidabili della riduzione di superficie e del ritirodella fronte di numerosi ghiacciai del Trentino negli ultimi 15 anni. I rilievi sono condotti da un gruppodi ricerca di Pavia (Seppi R., Zucca F.) in collaborazione con il Comitato Glaciologico Trentino dellaSAT, il Museo Tridentino di Scienze Naturali, il Dipartimento Protezione Civile e Tutela del Territoriodella Provincia Autonoma di Trento e il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università diTrento.

Alcuni esempi contribuiscono a delineare il quadro della situazione. Il Ghiacciaio Principale dellaMarmolada (Trentino Orientale) ha visto una riduzione di superficie del 16% dal 1994 al 2003 (riduzioneda 1,9 a 1,6 km2), mentre l’area del Ghiacciaio de la Mare (Trentino Occidentale) si è ridotta del 15% dal1990 al 2003, passando da 4,7 a 4,0 km2. Con una superficie di circa 17 km2 (dato del 1999), il Ghiacciaiodell’Adamello/Mandrone è il più esteso delle Alpi italiane e nel 1997 aveva un volume stimato di 870milioni di m3, pari a circa 800 miliardi di litri d’acqua. La fronte di questo ghiacciaio, dal 1989 al 2007,

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Fig. 3: Il Ghiacciaio de la Mare (Trentino Occidentale) nel 1932 (foto A. Desio) e, a destra, nel 2003 (foto CGT SAT)

Fig. 4: Variazioni frontali cumulative del Ghiacciaio dell’Adamello/Mandrone dal 1989 al 2007 (a) e del Ghiacciaiod’Agola dal 1990 al 2007 (b) Dati Comitato Glaciologico Trentino - SAT.

è arretrata di quasi 180 metri. Un comportamento analogo ha caratterizzato anche il piccolo Ghiacciaiod’Agola, nelle Dolomiti di Brenta, caratterizzato da un ritiro della fronte superiore a 75 metri negli ultimi16 anni (Fig. 4).

La misura del bilancio di massa ha lo scopo di quantificare, nel corso di un anno idrologico, i guadagnie le perdite di un ghiacciaio in termini di accumulo nevoso e di ablazione di neve e ghiaccio. Indaginidi questo tipo consentono di collegare in modo diretto l’evoluzione di un ghiacciaio con le variabili am-bientali e di comprendere quale sia la forzante climatica che determina la variazione di massa. I dati dibilancio assumono maggiore significato se si prolungano molto nel tempo e si confrontano a scala globale.Misurazioni di bilancio di massa sono regolarmente svolte sul Ghiacciaio del Careser (Trentino Occidenta-le), che vanta la più lunga serie storica italiana di questo tipo di osservazioni. A partire dal 1967 (anno diinizio delle misurazioni) questo ghiacciaio ha perso uno spessore totale di 39,9 m di equivalente in acqua,pari a circa 44 m di ghiaccio. I dati di bilancio di massa hanno messo in evidenza un’elevata sensibilitàclimatica del ghiacciaio, legata soprattutto all’aumento delle temperature della stagione di ablazione [17](Fig. 5). Le osservazioni di bilancio di massa a scala globale, effettuate su un riferimento di 30 ghiacciaisituati in diversi gruppi montuosi del mondo, mostrano una tendenza analoga, con valori progressivamente

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Fig. 5: Serie storica del bilancio di massa del Ghiacciaio del Careser. Dati Comitato Glaciologico Trentino - SAT.

Fig. 6: Bilancio di massa specifico medio di 30 ghiacciai di riferimento a scala globale. (modificato da WGMS, 2008)

più negativi a partire dal 1980 (Fig. 6) [18]. È stato stimato che, con il permanere degli attuali tassi diriduzione, meno del 50% del volume di ghiaccio presente negli anni ’80 nelle Alpi sarà rimasto nel 2025 esoltanto circa il 5-10% nel 2100. Proiezioni per il futuro indicano che, con l’attuale tendenza climatica, lamaggior parte dei ghiacciai alpini di superficie inferiore a 1 Km2 (oltre il 90% del totale) scomparirà entrola fine del secolo [19].

Gli impatti del riscaldamento climatico sul permafrost alpino si traducono essenzialmente in una modifi-cazione delle sue caratteristiche termiche e in un suo progressivo degrado, fino alla completa scomparsa. Ilpermafrost ha un ruolo preminente nella stabilizzazione dei versanti di alta quota e la sua degradazione stacausando in tutte le Alpi l’intensificazione di fenomeni di dissesto quali frane in roccia e debris flow. Leindagini sullo stato del permafrost alpino sono condotte in alcuni siti-chiave del Trentino mediante (a) mi-sure della temperatura della superficie del suolo (25 siti) e (b) osservazioni sulla dinamica dei rock glacier,forme geomorfologiche legate alla presenza di permafrost (2 siti).

Il bilancio termico del suolo di un’area interessata da permafrost è negativo e la temperatura mediaannua alla superficie fa registrare valori inferiori a 0˚C. La misura del regime termico della superficie delsuolo consente di verificare la presenza di permafrost nei siti indagati e di analizzare l’evoluzione temporaledella temperatura del suolo in relazione alle condizioni meteo-climatiche (temperatura dell’aria, presenzaed evoluzione del manto nevoso) (Fig. 7).

Il movimento della superficie dei rock glacier viene misurato con diversi metodi, tra i quali rilievitopografici con stazione totale laser. Le misure, condotte annualmente a partire dal 2001, hanno mostratouna rilevante variabilità interannuale del tasso di spostamento (Fig. 8), in analogia con quanto osservatoin numerosi altri siti delle Alpi [20]. Tale variabilità è stata attribuita alle forzanti climatiche esterne, in

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Fig. 7: Evoluzione della temperatura media annua della superficie del suolo su due rock glacier campione nel Gruppodell’Adamello

Fig. 8: Velocità di spostamento dei punti rilevati sul rock glacier del Maroccaro (Gruppo dell’Adamello)

particolare la temperatura dell’aria e lo spessore del manto nevoso invernale.Allo scopo di investigare in maniera più esaustiva gli stati termici negli ambiti caratterizzati da per-

mafrost, è in corso di sviluppo una rete di sensori di misura wireless WESNEP [21], che permetterannoun’analisi approfondita dei processi a scale di dettaglio temporale non raggiungibili con le strumentazioniattuali, dando l’opportunità tra l’altro di realizzare sistemi di monitoraggio close real-time con evidentiapplicazioni alla riduzione del rischio. Questo sviluppo prevede anche la possibilità di integrare nel siste-ma di analisi misure da sensori remoti satellitari attivi e passivi (temperatura, umidità, copertura nevosa) esviluppare diversi sistemi di assimilazione dati.

4 Studiare il passato della Terra per comprenderne il presente e il futuro:la pericolosità e il rischio geologico

4.1 Identificazione e monitoraggio di rischi geologici mediante la tecnica PSInSAR™

La tecnica di monitoraggio radar da satellite, nota anche come Interferometria Differenziale Radar adApertura Sintetica (DInSAR), rappresenta uno strumento particolarmente vantaggioso per il monitoraggiodi deformazioni superficiali sia in termini di costi e copertura, sia in termini di disponibilità ed accessibilitàdel dato. Sfruttando i passaggi dei satelliti su orbite ripetute, che per i sensori più comuni (ERS, ENVI-SAT, RADARSAT) avvengono tipicamente con cadenza mensile, il sensore radar è in grado di monitorare

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spostamenti di bersagli stabili, ovvero di bersagli che mantengono inalterate le caratteristiche di retrodiffu-sione nei diversi passaggi, con accuratezze dell’ordine dei millimetri. In particolare la tecnica PSInSAR™,brevettata dal Politecnico di Milano e perfezionata da Telerilevamento Europa (T.R.E.), è uno strumentoper l’elaborazione dei dati acquisiti da sensori radar di tipo SAR montati a bordo di satelliti. Tutte le misuredi spostamento, associate a ciascun PS, sono rilevate lungo la linea di vista del sensore (ossia, la congiun-gente sensore-bersaglio o Line Of Sight, LOS) e sono di tipo differenziale, ovvero riferite spazialmente adun punto a terra di coordinate note, detto reference point. I Permanent Scatterers (PS), che corrispondonoa manufatti (es. edifici, etc.) oppure ad elementi naturali (affioramenti rocciosi, accumuli di detrito, etc.),costituiscono una sorta di rete geodetica naturale, consentono misure accurate di deformazioni superficialie di conseguenza sono un valido strumento per lo studio di problematiche connesse ai rischi naturali eantropici, quali i fenomeni franosi [22, 23], le subsidenze [24, 25, 26, 27, 28] e l’attività tettonica.

La ricerca svolta dal gruppo di Pavia (Meisina C., Zucca F., Notti D.), che rientra nell’ambito di progettidi ricerca della Regione Lombardia, ARPA Piemonte (progetto InterregIIIb ClimChAlps) e la Protezio-ne Civile, ha riguardato la messa a punto di linee guida per la validazione e l’interpretazione geologicadelle risultanze del metodo PSInSAR™. Scopo della ricerca è stata la qualificazione geologica dei datiPS elaborati a scala regionale al fine di identificare, qualificare (separare) e quantificare (spazialmente etemporalmente) fenomeni deformativi in senso lato manifestatisi nell’arco temporale campionato dai PS(1992-2001 per i dati ERS e 2003-2007 per i dati RADARSAT). In particolare è stato sviluppato un sistemadi processamento per il trattamento automatico del seminato PS capace di individuare e perimetrare ambiticon comportamento anomalo, ovvero aggregati o cluster di PS che per caratteristiche fisiche e spaziali(velocità superiori od inferiori alla classe di spostamenti considerata stabile, distanza interpunti e nume-rosità) possono rappresentare indizi di processi geologici. L’interpretazione geologica delle suddette areeanomale è avvenuta attraverso l’integrazione in ambiente GIS dei risultati dell’analisi interferometrica conaltri tematismi (inventario dei fenomeni franosi, geologia, ecc..). La metodologia messa a punto è stataapplicata e validata sull’intero territorio della Regione Piemonte, della Provincia di Brescia e dell’OltrepoPavese (provincia di Pavia) (area complessiva di circa 30.000 km2). E’ stato possibile identificare nellazona esaminata circa 5000 settori di territorio sensibili dal punto di vista geologico, con il duplice scopodi individuare nuove aree di studio, di integrare le attuali conoscenze su quelle già censite e monitorate, dilocalizzare preventivamente movimenti anomali di edifici, abitati o di interi versanti in frana.

Nelle aree appenniniche e alpine è stata valutata l’efficacia della tecnica dei Permanent Scatterers perl’identificazione ed il monitoraggio in remoto dei versanti. Utilizzando una procedura di back-analysis siè posta l’attenzione su fenomeni già conosciuti corrispondenti a diverse tipologie di frane in differenti con-testi geologici e geomorfologici: grandi frane complesse e deformazioni gravitative profonde nelle Alpi,scivolamenti planari nelle Langhe, frane complesse e fenomeni di lateral spread nell’Appennino Pavesee Alessandrino. Sono state verificate le potenzialità della tecnica nel riconoscimento di nuovi fenomenifranosi, nel fornire un contributo alla caratterizzazione della geometria della frana (distinzione tra areestabili e non stabili, suddivisione in diversi settori a partire dalla distribuzione dei PS e delle loro velocità),nell’identificare fasi di pre-rottura. In Fig.9a viene riportato l’esempio relativo alla deformazione gravi-tativi profonda di versante (DGPV) dell’Alpe Baranca, che si sviluppa sul versante sinistro dell’alta ValMastallone coinvolgendo totalmente un tratto di questo versante dalla cresta spartiacque fino al fondovalle.Il fenomeno ha coinvolto rocce appartenenti alla Serie Sesia-Val di Lanzo, rappresentate da micascisti egneiss minuti, localmente molto fratturati, talora tettonizzati. La Deformazione Gravitativa Profonda diVersante è caratterizzata da due settori nettamente differenziati dal punto di vista geomorfologico e dal-la distribuzione delle VLOS dei bersagli permanenti: a) un settore sommitale dove una serie di trench esdoppiamenti di cresta dislocano la parte più francamente rocciosa della dorsale spartiacque, b) un settorecentrale di maggiori dimensioni, contornato da una fascia di pareti rocciose che costituiscono una sorta dicoronamento e caratterizzato da un marcato rigonfiamento dovuto a fenomeni di dilatanza dell’ammassoroccioso, al piede del quale si trovano consistenti falde di detrito. Nella primavera del 2001 è comparsa unafrattura che si estende per circa 650 m con un rigetto di 4-6 m verosimilmente riferibile all’evento piovosodell’ottobre 2000. Le variazioni della VLOS lungo il profilo topografico in asse frana sono rappresentate

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FULL_PS

Vlos mm/yr

< - 5

-5 / -4

-4 / -3

-3 / -2

-2 / 2

2 / 3

> 3 (a)

---- 2001 scarp ___ VLOS profile

b)

1500

1700

1900

2100

2300

2500

0 200 400 600 800

m a

.s.l

.

-20

-16

-12

-8

-4

0

4

mm/y

rtopographicalprofile

Vlos

Scarp

Spring 2001

A. Baranca

Fig. 9: (a) DGPV dell’Alpe Baranca. (b) Profilo di Vlos lungo il profile topografico in asse frana

in Fig.9b. Il settore sommitale della DGPV risulta stabile (VLOS=0), la parte intermedia presenta dellevelocità elevate (>-16 mm/yr) rispetto al settore sommitale e al piede della frana. La brusca variazione diVLOS nella porzione intermedia appare correlata alla frattura che si è formata nella primavera 2001. Inquesto caso quindi le deformazioni pre-rottura sono ben visibili nel profilo delle VLOS.

Nelle aree di pianura e nei principali fondovalle alpini le aree di indagine riguardano fenomeni loca-li/puntuali (cedimenti strutturali a edifici o manufatti) e fenomeni più estesi (subsidenze s.l.). Le subsidenzesono in gran parte localizzate in corrispondenza di aree industriali e urbanizzate di fondovalle; gli abbassa-menti del terreno misurati dai PS sono conseguenti alla realizzazione relativamente recente (tra il 1994 eil 2003) di edifici (in molti casi capannoni industriali) che hanno comportato il consolidamento di depositialluvionali fini. Le velocità (VLOS) misurate dai PS variano in funzione dell’età della costruzione e deltipo di terreno, esse risultano generalmente superiori a -3/-5 mm/anno. In alcuni casi sono riconoscibilicedimenti differenziali delle singole strutture.

4.2 La pericolosità sismica: integrazione tra assetto strutturale di superficie e faglie sismogene-tiche nello stretto di Messina sulla base di modelli analogici

Le deformazioni cosismiche associate al terremoto Calabro - messinese del 1908 (quantificate, in parti-colare, attraverso misure di livellazione), la distribuzione del danno, i dati strumentali e, più in generalel’assetto morfotettonico recente dell’area dello Stretto hanno permesso una ricostruzione dettagliata dellasorgente sismogenetica da parte di un gruppo di ricerca di Pavia (Seno S., Toscani G.). Si tratta di unafaglia lunga circa 40 km, con immersione di 30-35˚ verso SE e cinematica prevalentemente normale. Que-sta faglia si trova tra 3 e 12 km di profondità e non arriva a interessare direttamente la superficie [29].

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Fig. 10: Esempio di una sezione tratta dai modelli analogici realizzati. Faglie sintetiche e antitetiche ad alto angolo sisviluppano al tetto della faglia principale a basso angolo

D’altra parte, alcuni geologi e geofisici hanno ripetutamente messo in luce la presenza di numerose faglienormali ad alto angolo, con immersione sia verso NW che verso SE. Queste faglie interessano le porzionipiù superficiali dello spessore crostale dell’area dello Stretto, sia in terra che a mare, e deformano depositirecenti, in alcuni casi raggiungendo la superficie [30]. Questi dati hanno portato a ipotesi sostanzialmentediverse dalla precedente per la faglia sorgente del terremoto del 1908 [31]. Tuttavia, tali ipotesi non sonocompatibili con le deformazioni cosismiche e i dati strumentali disponibili per lo stesso terremoto.

Per analizzare la possibilità che queste due posizioni apparentemente inconciliabili siano in realtà espres-sioni diverse di un unico fenomeno, è stata realizzata una serie di modelli analogici che riproducono in 3Duna faglia normale, sepolta, con un’immersione di 30˚ (Fig. 10). I modelli sono alla scala 1:100.000.

La porzione di faglia che viene attivata è lunga 40 cm e dunque riproduce in scala il modello di sorgenteper il 1908 [29]. Inoltre, la larghezza della sandbox è di 80 cm e permette, quindi, di analizzare anche ledeformazioni che si producono alle estremità laterali della faglia

I modelli sono realizzati in sabbia (φ 34˚); sulla superficie della faglia è inoltre presente uno strato dicirca 2 cm di microbiglie in vetro (φ 24˚). Sono stati condotti quattro esperimenti per valori crescenti diestensione pari a 0,5, 2,0, 3,5 e 5,5 cm, rispettivamente.

Tutti i modelli hanno mostrato l’attivazione dell’intera superficie della faglia principale a basso angolo.Inoltre, al tetto della stessa si sono formate numerose faglie normali sintetiche e antitetiche ad alto angolo(Fig. 10). Queste faglie sono organizzate in uno o, in alcuni casi, due graben: Inoltre, in una visione inpianta risultano parallele alla faglia principale sepolta, nelle zone al tetto di questa. Invece, alle estremitàlaterali deflettono dalla direzione della faglia principale ruotando di un angolo di circa 30˚ verso il tettodella faglia stessa.

È da notare che lo sviluppo di questi piani ad alto angolo è molto precoce rispetto all’attivazione dellafaglia principale, come emerge già nell’esperimento con estensione finale pari 0,5 cm.

La modellazione analogica permette di formulare un’ipotesi più articolata e complessa, a riguardo delladeformazione a lungo termine associata alla faglia principale che ha generato il terremoto Calabro- Messi-nese del 1908. Infatti, i modelli mostrano che le faglie superficiali minori, ciascuna delle quali prende incarico ratei di scorrimento di ordine di grandezza minore rispetto a quelli associabili alla sorgente del ter-remoto del 1908, sono invece perfettamente compatibili con una faglia normale principale a basso angoloe, anzi, ne sono un’espressione dell’attività a lungo termine.

La possibilità per ciascuna delle faglie al tetto della principale di essere essa stessa sorgente di terremotiviene infine discussa, anche tenendo conto della magnitudo massima possibile in funzione della profondità

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a cui ciascuno dei piani ad alto angolo intercetta il piano a basso angolo.

5 Studiare il passato della Terra per comprenderne il presente e il futuro:formazione, accumulo, utilizzo e salvaguardia delle risorse naturali

5.1 Le geologia applicata alla ricerca degli idrocarburi

Numerose sono le ricerche condotte in collaborazione con società pubbliche e private per la ricerca diidrocarburi nel sottosuolo. Tali ricerche si svolgono sul territorio nazionale e soprattutto in numeroseregioni di tutto il mondo.

Recentemente è stata studiata con queste finalità un’ampia regione del Dezful Embayment in Iran perdefinire le caratteristiche geometriche e l‘evoluzione geologica delle strutture di deformazione (pieghe, fa-glie e sovrascorrimenti) che interessano l’area e che costituiscono le principali trappole di accumulo degliidrocarburi nel sottosuolo. La ricerca, condotta dal gruppo di Pavia (Perotti C., Rinaldi M.) è stata svoltain collaborazione con la società Edison di Milano e con la NIOC (National Iranian Oil Company) ed hacomportato rilievi geologici in loco, l’analisi di immagini satellitari ed aeree stereoscopiche e multispet-trali, l’interpretazione di indagini geofisiche (profili sismici a riflessione e magnetotellurici) e l’analisi dinumerosi log e stratigrafie di pozzi esplorativi [32].

L’area di studio ricade all’interno di un’ampia catena montuosa (Zagros) causata dalla collisione ceno-zoica della placca araba con quella euroasiatica.

Il raccorciamento ha interessato una successione sedimentaria potente oltre 10 km, costituita da depositidi età compresa tra il Proterozoico ed il Mio-Pliocene, di natura carbonatica e clastica, intercalati a livelliduttili di natura evaporitica. In particolare, alla base della successione è presente un importante livelloevaporitico pre-cambriano costituito dalla Formazione di Hormuz, la cui elevata duttilità ha condizionatolo stile delle deformazioni presenti (pieghe simmetriche e arrotondate generalmente prive di una vergenzaevidente, sovrascorrimenti a bassa inclinazione che costituiscono un prisma tettonico a basso angolo diconicità) e ha provocato numerosi e spettacolari fenomeni diapirici nelle aree adiacenti e soprattutto incorrispondenza dell’antistante Golfo Persico. Attraverso la realizzazione di alcune sezioni geologichebilanciate è stato possibile determinare un raccorciamento complessivo nell’area pari all’11.5% e definirela scansione temporale e i meccanismi di deformazione delle diverse strutture tettoniche presenti. Il quadrogeologico complessivo emerso e l’eventuale coinvolgimento del Basamento Cristallino nelle deformazioniè stato anche discusso alla luce dei meccanismi focali dei numerosi terremoti che interessano la regione(Fig. 11).

Nel complesso le indagini eseguite hanno messo in luce le grandi potenzialità di un approccio multidi-sciplinare per lo studio delle caratteristiche geologico-strutturali di un’area finalizzate all’esplorazione pergli idrocarburi e in particolare la possibilità di integrare i rilevamenti geologici e le indagini geofisiche conil telerilevamento stereoscopico satellitare ed aereo per eseguire misure strutturali su vaste aree di difficileaccesso.

5.2 La risorsa acqua: l’acqua nel sottosuolo

“L’idrogeologia è la Scienza dell’acqua sotterranea, a carattere pluridisciplinare. I suoi obiettivi sono l’ac-quisizione dei dati numerici per mezzo della prospezione o della sperimentazione sul terreno, la captazionee la pianificazione dello sfruttamento dell’acqua sotterranea” [33].

Tra i temi di più attuale interesse nel campo dell’Idrogeologia e più in generale delle Scienze Geologichee Ambientali rientra, senza dubbio, quello della tutela delle risorse idriche dall’inquinamento, soprattuttoquelle sotterranee, e di un loro più razionale utilizzo. Infatti, l’aumento del fabbisogno di nuove risorseidriche per soddisfare le esigenze di tutti i tipi di utenza e il concomitante peggioramento qualitativo dellefalde contenute negli acquiferi più superficiali hanno determinato, specialmente in Pianura Padana, unsempre maggiore interesse verso le risorse idriche contenute negli acquiferi ubicati a maggiori profondità.

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Fig. 11: (A) Profondità degli ipocentri sismici lungo la catena degli Zagros. L’area in grigio rappresenta il settore rela-tivo al transetto geologico studiato. (B) Carta geologica schematica indicante l’ubicazione e la profondità dei terremotinel Dezful Embayment (cerchi grigi) e nel Fars occidentale (cerchi bianchi) e la traccia della sezione geologica. (C)Sezione geologica bilanciata dell’area in studio con gli ipocentri sismici del Dezful Embayment indicati dalle stelle.

D’altra parte, le falde contenute in tali acquiferi possiedono degli standards qualitativi molto elevati e,nel contempo, presentano una bassa vulnerabilità nei confronti di quelle sostanze che costituiscono i piùcomuni inquinanti di origine antropica provenienti dalla superficie. Ovviamente la razionalizzazione dellerisorse idriche sotterranee non può prescindere da una loro idonea conoscenza.

Le principali ricerche condotte dall’Unità di Idrogeologia del Dipartimento di Scienze della Terra del-l’Università di Pavia (Ciancetti G., Pilla G., Torrese P., Guffanti S., Bersan M., Dolza G.) riguardanti questeproblematiche riguardano il settore di Pianura Padana che si sviluppa nelle province di Pavia e di Lodi. Leindagini sono state condotte con le tecniche proprie dell’idrogeologia classica per la ricostruzione delladistribuzione dei principali serbatoi idrici sotterranei (realizzazione di sezioni geologiche e idrogeologi-che sulla base di dati desunti dalle stratigrafie dei pozzi presenti sul territorio), nonché attraverso l’uso ditecniche proprie dell’idrochimica e della geochimica isotopica.

Per quanto riguarda il territorio che si sviluppa a nord del F. Po, attraverso i dati emersi dall’esame dellestratigrafie dei pozzi pubblici e privati censiti (oltre 500) e sulla base delle caratteristiche idrochimiche e

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geochimiche isotopiche dei campioni di acque sotterranee prelevate dai pozzi (oltre 200) è stato possibi-le realizzare un’attendibile interpretazione dell’assetto idrogeologico del sottosuolo della Pianura Padanacompreso tra le due province.

L’analisi idrogeologica ha evidenziato la presenza nel sottosuolo di almeno tre unità idrogeologicheprincipali: un acquifero superficiale a regime freatico, caratterizzato da uno spessore di 60-80 m; una seriedi acquiferi confinati profondi ad affinità artesiana, separati dal sistema acquifero soprastante da orizzontiargilloso-limosi dotati di una bassa o bassissima conducibilità idraulica, caratterizzati da una geometriasub-orizzontale e da una buona continuità laterale; un substrato di origine marina pressoché impermeabile.

I corpi idrici contenuti in tali acquiferi si diversificano anche dal punto di vista idrochimico, oltre cheidrogeologico. Il grado di mineralizzazione delle acque tende a diminuire con l’aumentare della profonditàdi campionamento. Dal punto di vista qualitativo la caratterizzazione chimica ha permesso di evidenziarenei serbatoi idrici più superficiali la presenza di sostanze, come Cloruri, Nitrati e Solfati, che indicano deiprobabili fenomeni di contaminazione di origine antropica. Le concentrazioni di queste sostanze si riducefortemente negli acquiferi confinati profondi, a conferma dell’isolamento di queste falde rispetto a quellesuperficiali.

L’isolamento dei diversi corpi idrici emerge anche dall’analisi isotopica delle acque campionate, soprat-tutto valutando i rapporti isotopici dell’Ossigeno-18 e del Deuterio della molecola dell’acqua (Fig. 12).Questo tipo di analisi ha anche permesso di identificare le differenti aree di ricarica dei corpi idrici presi inconsiderazione, nonché le differenti condizioni climatiche al momento della ricarica.

In particolare si è potuto individuare il contributo apportato dalle acque di precipitazione, dalle acquedi irrigazione e dalle acque provenienti dalla falda di monte per quanto riguarda la falda freatica, mentrerelativamente alle falde profonde, caratterizzate da valori del segnale isotopico molto più omogenei, siapprezza essenzialmente il contributo della falda di monte, a sottolineare l’isolamento idraulico esistentetra queste ultime e quelle soprastanti. I valori ottenuti evidenziano, inoltre, che le falde profonde hanno unanotevole estensione areale e che la loro naturale zona di ricarica è da ricercare nella fascia pedemontanaalpina.

Tali acquiferi ospitano acque contraddistinte da tempi di permanenza nel sottosuolo, calcolati attraversol’utilizzo del Carbonio-14, di alcune migliaia di anni. Tempi così elevati trovano giustificazione dallalontananza della loro area di ricarica (fascia pedemontana alpina) e dall’innalzamento verso meridione deisottostanti terreni mio-pliocenici marini a bassa permeabilità, che ostacolano il loro naturale flusso verso iquadranti sud-orientali. Alcuni pozzi attingenti a falde più profonde, come in Lomellina, mostrano tempidi soggiorno maggiori (superiori a 10 mila anni) e rapporti isotopici, degli isotopi stabili della molecoladell’acqua, più negativi, evidenziando condizioni climatiche, al momento della ricarica, molto differentida quelle attuali.

Gli elevati tempi di residenza delle acque negli acquiferi profondi insieme ai loro eccellenti parametriqualitativi inducono ad una riflessione sull’utilizzo di tali acque per fini che non siano esclusivamenteidropotabili, a causa del loro notevole valore strategico ed economico.

Una situazione idrogeologica completamente differente emerge passando a sud del F. Po nel territoriodi pianura dell’Oltrepò Pavese. In questo territorio è presente, infatti, un acquifero fragile, normalmentepoco potente e fortemente sfruttato sia per uso acquedottistico sia per esigenze agricole - industriali.

Se da un lato, la presenza di orizzonti superficiali a bassa-bassissima permeabilità determinano, nel-l’Oltrepò Pavese, un’elevata protezione delle acque sotterranee da parte di sostanze inquinanti provenientida attività antropiche di superficie, ad eccezione di alcuni settori dove la vulnerabilità potenziale di taleacquifero assume un’indiscussa importanza (conoide dello Staffora ed aree a ridosso del F. Po), dall’altrol’acquifero dell’Oltrepò Pavese presenta, anche, una capacità autodepurativa nei confronti delle sostanzeazotate derivanti dai fertilizzanti sintetici normalmente utilizzati nelle pratiche agricole. Particolarmentesignificative appaiono, invece, le problematiche relative alla risalita e diffusione di acque profonde ad ele-vata salinità (acque clorurato-sodiche) all’interno dell’acquifero superficiale che si configura come un veroe proprio inquinamento e ne preclude, in ampi settori della pianura, l’utilizzo, anche per scopi irrigui.

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Fig. 12: Andamento di δ18O con la profondità di campionamento

Questo fenomeno si verifica principalmente lungo una importante discontinuità tettonica sepolta al disotto dei depositi alluvionali, conosciuta in letteratura come “Faglia Vogherese”, che veicola le acque adelevata salinità verso l’acquifero dell’Oltrepò Pavese, con il conseguente incremento della concentrazionein Cloruri nella falda, con tenori che spesso superano abbondantemente i 250 mg/l (Fig 13).

La risalita di tali acque determina, inoltre, anche l’aumento in falda di sostanze altamente tossiche, qualiArsenico e Selenio o indesiderabili quali Ferro e Manganese. Tali acque ad elevata mineralizzazione, pro-venienti dai depositi mio-pliocenici di origine marina sottostanti i depositi alluvionali padani, traggono laloro origine dalla lisciviazione da parte di acque meteoriche delle salamoie profonde della Pianura Padana,che rappresentano il residuo di acque marine parzialmente evaporate nel corso della crisi Messiniana, esuccessivamente rimaste intrappolate alla base dell’acquifero padano.

Le indagini intraprese (ed ancora in corso) evidenziano, nel sottosuolo dell’area indagata, una distri-buzione, sia areale che verticale, delle acque salate alquanto disomogenea, che indurrebbe a pensare almanifestarsi di questo fenomeno come a dei “pennacchi” di risalita di acque profonde e mineralizzate, ingrado, una volta penetrate nell’acquifero superficiale, di diffondersi e mescolarsi con le acque ivi presen-ti, determinando così un grado di contaminazione in cloruri variabile a seconda delle profondità e dellaposizione dei punti di prelievo delle acque (Fig. 13).

Sono state evidenziate anche amplificazioni o attenuazioni di tale fenomeno, giustificate dai labili equi-libri idrostatici esistenti tra le acque “dolci” superficiali, che caratterizzano gran parte dell’acquifero del-l’Oltrepò Pavese, e quelle profonde maggiormente salate, che risalgono da discontinuità tettoniche presentinel sottostante substrato di origine marina. I disequilibri riscontrati sono purtroppo, in parte condizionatianche dai forti emungimenti di acque dalla falda.

5.3 La risorsa acqua: l’acqua in superficie

Nell’ottica di una gestione sostenibile dei fiumi, grande interesse riveste lo studio lo studio degli alveifluviali mobili, al fine di individuarne le tendenze evolutive attuali e le loro possibili evoluzioni future. Nel-l’ambito di vari progetti di ricerca finanziati dal Ministero, in collaborazione con altre sedi universitarie

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-

Fig. 13: Distribuzione areale delle concentrazioni in Cl− in relazione all’andamento della “Faglia Vogherese”

italiane e in stretto contatto con ricercatori stranieri, gli studi del gruppo di Pavia (Boni P., Pellegrini L.)sono iniziati con misurazioni della variazione temporale e spaziale di alcuni parametri morfologici dell’al-veo (ad esempio quota del fondo, larghezza, pendenza, grado di intrecciamento, sinuosità). Fondamentaleper la comprensione dei rapporti di causa-effetto, è stata la raccolta e l’elaborazione dei dati idrologici(in particolare delle portate) e di dati relativi ai vari interventi antropici (dighe, estrazione di sedimenti,ecc.) che hanno influito o che tuttora influiscono sui sistemi fluviali in esame. La ricerca ha come og-getto diversi fiumi italiani, con particolare attenzione ad alcuni fiumi alpini e appenninici. Dal punto divista metodologico il programma di ricerca ha previsto l’impiego di cartografia storica, di fotografie ae-ree, di sezioni topografiche e rilevamenti sul terreno, del telerilevamento (stazione totale, GPS, LiDAR,aerofotogrammetria).

Per il periodo indagato, che va dalla seconda metà dell’800 all’inizio degli anni 2000, i corsi d’acquastudiati si sono rivelati rappresentativi degli stadi di evoluzione dall’alveo a canali multipli (pluricursale)verso l’alveo a canale singolo (monocursale, quantomeno per alcuni tratti), con riduzione dello spaziofluviale, manifestatasi fino a tutti gli anni ottanta. La riduzione di ampiezza degli alvei, in un primotempo moderata, ha iniziato ad essere vistosa e rapida successivamente agli anni ‘50 del secolo scorso, inconcomitanza del diffondersi di massicce estrazioni di inerti dagli alvei. Il massimo restringimento (circail 60%) è stato registrato intorno al 1990. A partire dagli anni Novanta, peraltro, è stata riscontrata unatendenza inversa, messa in evidenza dall’espansione degli alvei con indici di allargamento variabili dal15% al 133%. L’inversione di tendenza è stata associata alla quasi totale cessazione della massiccia attivitàestrattiva in alveo e, per i corsi d’acqua alpini, anche alla rapida successione di eventi di piena dal 1993.Attualmente sono in fase di esame le variazioni degli ultimi 15-20 anni, affinché, attraverso il confrontodelle ricostruzioni delle tendenze evolutive attuali degli alvei fluviali esaminati (derivanti dalle analisi didettaglio plano-altimetriche) si possa mettere a punto un modello evolutivo applicabile anche ad altri corsi

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d’acqua. I modelli che deriveranno da questi studi terranno conto anche di quelli che potranno essere leapplicazioni e in particolare l’utilità ai fini di una gestione sostenibile dei corsi d’acqua.

5.4 Il paesaggio come risorsa e bene culturale: il patrimonio geologico

Il tema “Patrimonio geologico” e il problema della sua conservazione è trattato ormai da alcuni anni siaa livello nazionale che internazionale. In questo contesto si inseriscono le ricerche che sono state portateavanti da alcuni ricercatori del nostro dipartimento (Boni P., Pellegrini L.) in seno a progetti di ricerca dirilevante interesse nazionale (PRIN), cofinanziati dal Ministero e dagli Atenei: dal 2001 al 2005.

I progetti Geositi nel paesaggio italiano: ricerca, valutazione e valorizzazione e Il Patrimonio geomor-fologico come risorsa per un turismo sostenibile ha visto il coinvolgimento di 60 ricercatori e cinque sediuniversitarie (Cagliari, Genova, Modena e Reggio Emilia, Pavia e Urbino), nonché Enti pubblici extra uni-versitari: Servizio Geologico Nazionale (Apat = Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i serviziTecnici), Enea (Ente per le Nuove tecnologie Energia e Ambiente), Regioni, Province, Musei e ha portatonotevoli contributi non solo di conoscenza dei siti, ma anche riguardo alle metodologie di indagine, diclassificazione e, soprattutto di valorizzazione.

Le ricerche si inseriscono nel progetto più generale GEOSITES dell’lUGS - UNESCO, che ha lo scopodi produrre il censimento dei geositi più significativi a livello mondiale e di fornire la base scientifica perle iniziative di geo-conservazione, costituendo il supporto per la selezione dei siti nella lista del patrimonioMondiale dell’UNESCO.

Le ricerche sono state condotte attraverso i classici rilevamenti diretti sul terreno, indagini bibliografiche,interpretazioni di foto aeree e utilizzando le più moderne tecnologie dei sistemi informativi territoriali.

I prodotti delle ricerche sono stati presentati a convegni nazionali e internazionali e sono stati pubblicatisu riviste scientifiche.

Negli ambiti areali di pertinenza i beni geologici (geòtopi o geositi) sono stati individuati e descritti conrigore scientifico sulla base delle loro peculiarità (attributi e valenze scientifiche).

Nel quadro di una informatizzazione a livello nazionale, di concerto con i ricercatori delle altre sediuniversitarie ed extrauniversitarie, sono state messe a punto schede di rilevamento, affinché tutti i datiraccolti potessero confluire in un unico grande database per la gestione del patrimonio geologico.

Il contributo per la valutazione, la valorizzazione e, in ultima analisi, la salvaguardia di questi beni, èvisto anche sotto l’aspetto turistico che è in fase di fortissimo e costante sviluppo nei paesi europei ed extraeuropei, come hanno dimostrato i vari consessi nazionali e mondiali, come ad esempio quello di Firenze eRimini (FIST – 2004 e 2007) e di Zaragoza (IAG – 2005) con presenze di ricercatori italiani e stranieri dinotevolissimo rilievo.

In quest’ottica le ricerche sono state finalizzate ad individuare le problematiche relative ad un turismosostenibile e, in particolare, alla pericolosità e al rischio relativo alla fruizione dei geositi. Inoltre, sonostati approntati sistemi WEB-GIS open source interattivi che permettono ai “geoturisti” di essere soggettiattivi

A vari livelli sono state sperimentate tecniche di rappresentazione cartografica e di modelli evolutivi,non soltanto per una migliore comprensione degli oggetti in descrizione, ma anche per darne una visione inchiave evolutiva nel quadro delle azioni di pianificazione del territorio e negli studi sull’impatto ambientale.

5.5 La conoscenza delle caratteristiche fisiche del territorio: la cartografia geologica

E’ da alcuni anni in corso il progetto CARG per l’aggiornamento e il rifacimento della cartografia geolo-gica nazionale (la “Carta geologica d’Italia” alla scala 1:100.000, completata nel 1976) e che prevede larealizzazione di 652 fogli geologici alla scala 1:50.000 per la copertura dell’intero territorio italiano. IlProgetto Nazionale CARG è il risultato dell’evolversi delle ricerche nel campo delle Scienze della Terra edell’esigenza di disporre di documenti aggiornati ed a scala maggiore, con un contenuto informativo piùdettagliato.

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Al Progetto collaborano più di 60 strutture fra Enti territoriali, organi del CNR, Dipartimenti ed Isti-tuti Universitari, oltre a tutte le Regioni e le Province Autonome che assicurano, con il loro concorsofinanziario, ulteriori risorse necessarie alla produzione dei fogli geologici.

La cartografica geologica costituisce una tappa fondamentale per la conoscenza del territorio, qualeelemento strategico e propedeutico alle attività di programmazione in materia di pianificazione e gestionedel suolo e del sottosuolo.

La cartografia ha il compito di rappresentare, attraverso l’utilizzo di simboli e di colori convenzionali,il quadro conoscitivo di base del territorio, trasformando e interpretando tutti i dati campionati secondole conoscenze scientifiche e, fornendo tutte le informazioni sul suolo e sul sottosuolo, costituisce la ba-se per ulteriori elaborazioni cartografiche. In particolare, attraverso l’acquisizione dei dati di terreno èpossibile realizzare la “fotografia” dello stato del territorio mediante la loro successiva elaborazione erappresentazione in funzione delle diverse tematiche.

Il Progetto prevede inoltre la realizzazione di una banca dati dalla quale poter ricavare carte geologiche egeotematiche di maggiore dettaglio per l’utilizzo del dato cartografato in molteplici applicazioni. Sarannocosì disponibili gli strumenti conoscitivi, quali i dati geologici, indispensabili per una corretta pianificazio-ne e gestione del territorio e, in particolare, per la prevenzione, la riduzione e la mitigazione del rischioidrogeologico. Il Dipartimento di Scienze della Terra di Pavia ha attualmente la responsabilità scientificadella preparazione dei fogli geologici 228-Cairo Montenotte per la Regione Liguria (Dallagiovanna G.,Lualdi A., Mancin N., Pellegrini L., Seno S., De Carlis A., Bonini L., Maino M.), del foglio 99-Iseo per laRegione Lombardia (Cassinis G., Cobianchi M., Perotti C., Ronchi A.) e del foglio 178-Voghera (VercesiP.L., Perotti C.)

6 Conclusioni

La geologia è una disciplina scientifica relativamente giovane se paragonata ad altre scienze, ed è spessoconsiderata rivolta esclusivamente alla ricostruzione della storia passata della Terra attraverso lo studio diminerali, rocce e fossili. Tuttavia, in realtà, appare oggi sempre più chiaro come la geologia, attraverso lostudio del passato del nostro pianeta, fornisca la chiave per capirne il presente ed il futuro. La comprensionedei meccanismi e dei processi della Terra è infatti il presupposto indispensabile per mettere a punto letecniche e gli strumenti che consentono di intervenire sulla natura e di salvaguardarla, garantendo unacorretta gestione delle risorse naturali, mitigando i rischi naturali a cui l’uomo è continuamente soggettoe definendo, in sintesi, quali siano le modalità di interazione fra uomo e natura più adatte alla nostrasopravvivenza e a quella del pianeta che è la nostra casa.

I pochi esempi descritti nei capitoli precedenti delle ricerche condotte nell’ambito del Dipartimento diScienze della Terra dell’Università di Pavia dai docenti, ricercatori, dottorandi, assegnisti e borsisti che viafferiscono hanno potuto mettere in luce esclusivamente alcuni dei temi affrontati, fornendo soltanto unasintetica immagine della complessa attività di ricerca svolta.

Ringraziamenti Ringrazio tutti i colleghi del Dipartimento di Scienze della Terra che hanno contribuito alla prepa-razione di questo testo.

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