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LE SCIENZE n. 276, agosto 1991 39 SCIENZA PER IMMAGINI Le rocce di faglia nel Barocco romano Per alcune tra le massime realizzazioni architettoniche del Barocco romano si è fatto uso di materiali prodotti da una particolarissima sequenza di eventi geologici che vede protagonista la «faglia sabina» di Renato Funiciello e Massimo Mattei 38 LE SCIENZE n. 276, agosto 1991 della crosta terrestre che, al termine del- l'evoluzione, risulta ridotta almeno del 40 per cento rispetto ai bacini sedimen- tari d'origine. L'Appennino è caratterizzato in so- stanza da una serie di falde accavallate, delle quali è visibile solamente la porzio- ne più epidermica. A differenza delle Alpi, dove il sollevamento, l'erosione e lo smantellamento delle strutture super- ficiali permettono di riconoscere e stu- diare il basamento cristallino (composto da rocce più antiche, di origine profon- da, che hanno subìto intenso metamor- fismo), nell'Appennino la parte fonda- mentale della catena non è quasi mai vi- sibile in superficie ed è difficilmente ri- conoscibile anche con l'ausilio delle me- todologie geofisiche. Gli elementi tettonici visibili nell'Ap- pennino sono quindi sicuramente più epidermici di quelli alpini, e risultano per certe parti ancora in evoluzione. Gli elementi della tettonica di accavalla- mento sono già ben noti in Appennino da ormai più di 50 anni; il complesso delle esplorazioni profonde per la ricer- ca di idrocarburi ha sempre confermato ciò che appariva in superficie e ha con- tribuito alla sintesi di un modello. Tutta la struttura risulta in effetti costituita da scaglie tettoniche affastellate progressi- vamente in diversi tempi verso l'Adria- tico, destinato a seguire nella deforma- zione la catena appenninica. Recentemente alcuni ricercatori han- no prima ipotizzato e quindi direttamen- te riconosciuto nell'Italia peninsulare il ruolo di elementi tettonici interessati da faglie trascorrenti, dove il movimento relativo tra i blocchi avviene orizzontal- mente, lungo superfici di discontinuità anche di dimensioni notevoli. Questo ti- po di faglie è nel mondo ampiamente studiato e temuto per la sua pericolosità sismica (si pensi alla faglia di San An- dreas in California). J 'Appennino centrale presenta esempi ' non frequenti ma molto chiari di questo complicato quadro tettonico. Si- tuazioni di estrema complessità tettonica sono presenti in località anche non lon- tane dalle grandi città e diventano fa- Al centro dell'immagine da satellite della pagina a fronte (Landsat 5, 22 gennaio 1983, foto Telespazio) si riconosce la stretta e rettilinea morfologia prodotta dalla faglia sabina, circa 30 chilometri a nord di Roma. La panoramica della Valle del Fosso di Cot- tanello, in alto in questa pagina, corrispon- de alla struttura tettonica mostrata nell'im- magine da satellite. Le complesse condizio- ni geologiche hanno prodotto in questa zona una particolarissima litologia, ampiamente utilizzata dagli architetti del Barocco ro- mano. Le colonne della Basilica di San Pie- tro (qui a destra) mettono in eloquente ri- lievo l'altissimo pregio di questo materiale. G li splendori della Roma rina- scimentale e barocca emergo- no da un crogiuolo storico di grande complessità, travagliato da incer- tezze e forti tensioni politiche. La spinta morale verso il riscatto e la restituzione dell'Urbe alla propria grandezza vide in geniali creatori di forme, come Miche- langelo Buonarroti e Gian Lorenzo Ber- nini , i massimi interpreti e artefici di una rigenerazione. Le stesse colonne di alcuni fra i prin- cipali capolavori architettonici romani, primo fra tutti la Basilica di San Pietro, sembrano esprimere suggestivamente ed emblematicamente un gioco non dipa- nabile di tensioni, nel loro aspetto tor- mentato e screziato. E così è realmente, in quanto per mirabile coincidenza la scelta dei costruttori era caduta, incon- sapevolmente, su materiali che rappre- sentano proprio l'esito più complesso, anzi, probabilmente la sintesi più com- pleta degli eventi geologici che hanno plasmato la catena appenninica, dando forma all'edificio tettonico e quindi alla morfologia delle regioni centrali della nostra penisola. I a formazione dell'Appennino, inizia- ta in età recente (circa 20 milioni di anni fa), non è ancora giunta al termine. La tettonica ha portato a un ripetuto ac- cavallamento delle rocce sedimentarie dei bacini intercontinentali del Mesozoi- co e del Cenozoico. Il continuo raccor- ciamento è accompagnato da una evolu- zione strutturale complessa; le monta- gne risultano da strutture sovrapposte con successioni sedimentarie ripetute e caratterizzate in prevalenza da elementi tettonici notevoli: faglie inverse, acca- vallamenti, raddoppi; si tratta di un as- setto che nel suo insieme determina il raccorciamento della superficie esterna

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LE SCIENZE n. 276, agosto 1991 39

SCIENZA PER IMMAGINI

Le rocce di faglianel Barocco romano

Per alcune tra le massime realizzazioni architettoniche del Baroccoromano si è fatto uso di materiali prodotti da una particolarissimasequenza di eventi geologici che vede protagonista la «faglia sabina»

di Renato Funiciello e Massimo Mattei

38 LE SCIENZE n. 276, agosto 1991

della crosta terrestre che, al termine del-l'evoluzione, risulta ridotta almeno del40 per cento rispetto ai bacini sedimen-tari d'origine.

L'Appennino è caratterizzato in so-stanza da una serie di falde accavallate,delle quali è visibile solamente la porzio-ne più epidermica. A differenza delleAlpi, dove il sollevamento, l'erosione elo smantellamento delle strutture super-ficiali permettono di riconoscere e stu-diare il basamento cristallino (compostoda rocce più antiche, di origine profon-da, che hanno subìto intenso metamor-fismo), nell'Appennino la parte fonda-mentale della catena non è quasi mai vi-sibile in superficie ed è difficilmente ri-conoscibile anche con l'ausilio delle me-todologie geofisiche.

Gli elementi tettonici visibili nell'Ap-pennino sono quindi sicuramente piùepidermici di quelli alpini, e risultanoper certe parti ancora in evoluzione. Glielementi della tettonica di accavalla-mento sono già ben noti in Appenninoda ormai più di 50 anni; il complessodelle esplorazioni profonde per la ricer-ca di idrocarburi ha sempre confermatociò che appariva in superficie e ha con-tribuito alla sintesi di un modello. Tuttala struttura risulta in effetti costituita dascaglie tettoniche affastellate progressi-vamente in diversi tempi verso l'Adria-tico, destinato a seguire nella deforma-zione la catena appenninica.

Recentemente alcuni ricercatori han-no prima ipotizzato e quindi direttamen-te riconosciuto nell'Italia peninsulare ilruolo di elementi tettonici interessati dafaglie trascorrenti, dove il movimentorelativo tra i blocchi avviene orizzontal-mente, lungo superfici di discontinuitàanche di dimensioni notevoli. Questo ti-po di faglie è nel mondo ampiamentestudiato e temuto per la sua pericolositàsismica (si pensi alla faglia di San An-dreas in California).

J'Appennino centrale presenta esempi' non frequenti ma molto chiari di

questo complicato quadro tettonico. Si-tuazioni di estrema complessità tettonicasono presenti in località anche non lon-tane dalle grandi città e diventano fa-

Al centro dell'immagine da satellite dellapagina a fronte (Landsat 5, 22 gennaio1983, foto Telespazio) si riconosce la strettae rettilinea morfologia prodotta dalla fagliasabina, circa 30 chilometri a nord di Roma.La panoramica della Valle del Fosso di Cot-tanello, in alto in questa pagina, corrispon-de alla struttura tettonica mostrata nell'im-magine da satellite. Le complesse condizio-ni geologiche hanno prodotto in questa zonauna particolarissima litologia, ampiamenteutilizzata dagli architetti del Barocco ro-mano. Le colonne della Basilica di San Pie-tro (qui a destra) mettono in eloquente ri-lievo l'altissimo pregio di questo materiale.

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li splendori della Roma rina-scimentale e barocca emergo-no da un crogiuolo storico di

grande complessità, travagliato da incer-tezze e forti tensioni politiche. La spintamorale verso il riscatto e la restituzionedell'Urbe alla propria grandezza vide ingeniali creatori di forme, come Miche-langelo Buonarroti e Gian Lorenzo Ber-nini , i massimi interpreti e artefici di unarigenerazione.

Le stesse colonne di alcuni fra i prin-cipali capolavori architettonici romani,primo fra tutti la Basilica di San Pietro,sembrano esprimere suggestivamente edemblematicamente un gioco non dipa-nabile di tensioni, nel loro aspetto tor-mentato e screziato. E così è realmente,in quanto per mirabile coincidenza lascelta dei costruttori era caduta, incon-sapevolmente, su materiali che rappre-sentano proprio l'esito più complesso,anzi, probabilmente la sintesi più com-pleta degli eventi geologici che hannoplasmato la catena appenninica, dandoforma all'edificio tettonico e quindi allamorfologia delle regioni centrali dellanostra penisola.

I a formazione dell'Appennino, inizia-ta in età recente (circa 20 milioni di

anni fa), non è ancora giunta al termine.La tettonica ha portato a un ripetuto ac-cavallamento delle rocce sedimentariedei bacini intercontinentali del Mesozoi-co e del Cenozoico. Il continuo raccor-ciamento è accompagnato da una evolu-zione strutturale complessa; le monta-gne risultano da strutture sovrappostecon successioni sedimentarie ripetute ecaratterizzate in prevalenza da elementitettonici notevoli: faglie inverse, acca-vallamenti, raddoppi; si tratta di un as-setto che nel suo insieme determina ilraccorciamento della superficie esterna

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In questa cava al limite meridionale della Piana di Terni sono estremamente evidenti pia-ni di taglio molto inclinati, una risposta «rigida» all'attività tettonica della faglia sabina.

miliari via via che un po' di cultura geo-logica va diffondendosi. La città di Ro-ma non fa eccezione a questa situazione:nei suoi dintorni sono ben riconoscibilielementi strutturali che hanno condizio-nato lo sviluppo del territorio.

A nord di Roma si estende la regionesabina in cui la compenetrazione tra leg-genda, storia umana e storia naturale èavvenuta senza i traumi di altre aree e glielementi naturali ancora riconoscibili so-no molto simili a quelli d'origine.

Di recente, guidati dalle immagini dasatellite e ristudiando le strutture sul ter-reno, si è riconosciuta in un insieme tet-tonico complesso, per una estensionecontinua di almeno 30 chilometri, unafaglia trascorrente destra in direzionenord-sud, che sposta cioè i settori occi-dentali verso nord e quelli orientali ver-so sud (si veda l'illustrazione a pagina38). I segni dell'attività recente e anticadi questa faglia (che proponiamo di chia-

mare faglia sabina) sono molto netti siadal punto di vista geologico sia da quellomorfologico. La sua caratterizzazionesulle immagini da satellite trova giusti-ficazione, nella realtà di terreno, inuna serie di elementi morfologici deri-vanti in maniera diretta dalla strutturageologica dell'area. L'attività della fa-glia ha infatti portato in contatto anoma-lo elementi geologici di diversa natura edetà, facenti parte di domini paleogeogra-fici differenti. A est, verso la conca diRieti, sono presenti depositi prevalente-mente calcarei di età giurassica caratte-rizzati da una sedimentazione pressochécontinua nel tempo. A ovest invece, ver-so la valle del Tevere, i terreni affiorantisono quasi sempre più giovani (cretaceo--oligocenici) e costituiti da litotipi conmaggiore contenuto argilloso. La giu-stapposizione di questi domini avvieneattraverso una fascia di deformazione adandamento meridiano, dello spessore di

qualche decina di metri. Qui le rocce so-no estremamente fratturate e deformatee costituiscono, quindi, una via prefe-renziale per i processi erosivi. Le mo-dalità di erosione sono la dissoluzionechimica dei carbonati (carsismo) e l'ero-sione meccanica delle rocce più tenere,che porta alla formazione di valli il cuiandamento ricalca in maniera straordi-naria l'andamento topografico della fa-glia (si veda l'illustrazione a pagina 39in alto).

' faglie trascorrenti più note, da quel-la di San Andreas fino agli elementi

del Mar Morto, sono caratterizzate dauna geometria propria e da una serie dideformazioni associate assai complesse espettacolari (pieghe, strutture di espul-sione e di sprofondamento di grandi vo-lumi di roccia, fenomeni di dissoluzionee ricristallizzazione). In questo senso lafaglia sabina presenta esempi straordi-nari sia per intensità sia per tipologia. Ilmovimento tra i due blocchi di roccia checostituiscono i margini della faglia è av-venuto prevalentemente lungo grandipiani di taglio per lo più verticali, suiquali sono riconoscibili, in maniera ine-quivocabile, i segni dello spostamentorelativo. Le tracce sono rappresentateda solchi di abrasione suborizzontali e dastrie di calcite di neoformazione depo-stesi durante il movimento della faglia. Igrossi piani di taglio sono prevalente-mente sviluppati nelle litologie più com-petenti dei calcari del Giurassico inferio-re, dove cioè la mancanza di livelli argil-losi «lubrificanti» ha costretto la roccia arompersi lungo superfici ben individua-bili (si veda l'illustrazione in questa pa-gina). Dove invece le rocce presentanolivelli argillosi, le deformazioni sonoprevalentemente plastiche e si manife-stano attraverso strutture a pieghe e consviluppo estremo dei processi di soluzio-ne e rideposizione dei carbonati

La disposizione geometrica delle pie-ghe, dei piani di dissoluzione (clivaggio)e delle fratture estensive nelle rocce èstata di particolare importanza nella ri-costruzione della cinematica degli ele-menti di taglio principali cui queste strut-ture sono associate. Allo stesso tempoil sicuro riconoscimento della tettonicatrascorrente nell'area sabina ha permes-so di comprendere specifiche situazionistrutturali, anomale per l'Appennino,imputabili al movimento della faglia sa-bina, quali il ripiegamento verso il Tir-reno delle strutture, l'elisione tettonicadi fianchi di pieghe e la rotazione intornoad assi verticali di interi domini struttu-rali. L'intensità dei fenomeni plicativi eancor più lo sviluppo dei fenomeni didissoluzione e rideposizione dei carbo-nati sono tanto maggiori quanto più ci siavvicina ai piani di taglio principali.

Nei pressi di Cottanello lo sviluppoestremo di questi processi instauratisi susedimenti calcarei e marnosi del Creta-ceo e dell'Eocene ha portato alla forma-zione di un litotipo del tutto particolare,

il «marmo di Cottanello» dei romani edel Barocco romano.

La gran parte del materiale utilizzatonelle chiese romane proviene da una an-tica cava, ora abbandonata, che poggiasu una delle superfici di faglia principali;nella cava sono ancora evidenti i segnidella coltivazione storica (si veda l'illu-strazione qui a destra) oltre alla presenzadelle strutture e delle rocce che ne hannofavorito l'utilizzazione come pietra orna-mentale di grande pregio.

Questo «marmo» già impiegato inepoca antica ha trovato infatti la suamassima diffusione a opera di grandi ar-tisti, a partire dal Bernini, che lo hannolargamente utilizzato nel Barocco roma-no determinando una straordinaria fu-sione tra storia naturale e storia artistica.

Il momento magico dell'esplosione ar-tistica rinascimentale e barocca a Romaimponeva, date le angustie politiche dei

Nella cava storica di Cottanello (qui a de-stra) sono ancora visibili i resti di una co-lonna non completata. In questo sito il mo-vimento della faglia sabina ha generatostrutture, le tettoniti S-C, che modificanoprofondamente la tessitura della roccia ori-ginaria. In un campione di questa (qui sot-to) sono visibili le tipiche forme sigmoidalidelimitate dai piani di clivaggio stilolitico(S) e dai piani di taglio suborizzontali (C).

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Nel particolare (in alto) di una delle colonne di Sant'Agnese in Agone si possono notarefratture estensive (/) caratterizzate dalla circolazione di fluidi esterni al sistema e tagliatesia da piani di clivaggio stilolitico (2) sia da piani con presenza di calcite grigia ricristal-lizzata (3) che mantiene la stessa composizione isotopica della «scaglia rossa» di origine.La fotografia in basso mostra un particolare di colonna della Basilica di San Pietro, ove sinota la coesistenza di strutture legate a fasi dinamiche distinte. In particolare la fasciachiara è piegata e quindi tagliata da superfici di frattura bianche riempite di calcite spatica.

tempi, di reperire materiali in zone pocodistanti. Per singolare contingenza gli ar-tisti dell'epoca utilizzarono i materia-li più rappresentativi della evoluzionestrutturale più recente dell'area romana,esiti di una concatenata sequela di eventigeologici che, in successione, aveva pro-dotto in Sabina il marmo di Cottanello,nella piana romana i travertini di Tivoli,nei Colli Albani l'imponente edificio delVulcano Laziale.

Il XVI secolo si portò appresso un ba-gaglio di problemi e conflitti che limita-rono fortemente la libertà operativa delmovimento artistico. Roma stessa fuposseduta dalle bande dei Lanzichenec-chi che per un anno intero, nel 1527, si

Il diverso aspetto delle colonne di Sant'An-drea al Quirinale (qui a sinistra), della tom-ba di Alessandro VII in San Pietro (in bassoa sinistra) e della Basilica di San Pietro stes-sa (in basso a destra) è legato alla distanzadal piano di faglia principale e quindi all'e-poca dell'estrazione. Minore è la distanza,più frequenti e deformate sono le strutture.

dedicarono al suo ben noto «sacco».In questa situazione doveva riaffer-

marsi concretamente una volontà di ri-presa: quando come architetto della Ba-silica di San Pietro fu nominato Miche-langelo Buonarroti, assieme al ridisegnodella struttura secondo la linea di un rin-novato riconoscimento della concretez-za e solidità romana, fu sviluppata la ri-cerca dei materiali più adatti, disponibilie facilmente trasportabili nell'Urbe.

Gli insigni maestri che si occuparonodella Fabbrica di San Pietro segui-

rono, almeno per i materiali, le scelte deiprimi artisti, cercando di ovviare alladifficoltà di approvvigionamento deglistraordinari materiali lapidei africani easiatici (depredati dai monumenti roma-ni e quindi disponibili in minima quanti-tà) con quello che potevano offrire leunità geologiche dell'area intorno a Ro-ma. Travertini, lave leucititiche e argillemarnose furono impiegati in manieramassiccia per costruire il colonnato e irivestimenti, il selciato, le grandi operein muratura. Tutti i materiali, nel lorocomplesso, distavano nelle cave di origi-ne da un minimo di qualche chilometroa non più di 60 chilometri.

L'artista principale che diede l'im-pronta definitiva all'opera fu LorenzoBernini, precocissimo e straordinariogenio di ispirazione al tempo stesso par-tenopea e veneziana, cultore di un natu-ralismo dalle sensazioni forti, sapide diun gusto mediterraneo.

Bernini curò con particolare attenzio-ne i materiali con cui rappresentare lasua personalissima sintesi di contenuto eforma improntata al trionfo delle forzenaturali: fece risaltare con acuta e bilan-ciata sapienza la versatilità del travertinoromano, rivalutò con grande senso cro-matico (ed economico) alcuni materialidi provenienza italiana; nei vicini rilievidella Sabina, a pochi chilometri dal ramonavigabile del Tevere, riscoperse la pie-tra dai colori caldi della Roma classica:il marmo di Cottanello.

Vennero allora riattivate in quella lo-calità cave già utilizzate dai Romani so-prattutto per la produzione di crustae emattonelle. Tali cave furono produttiveper un periodo limitato, dal 1627 al 1700circa. In effetti come risulta anche conchiarezza nei monumenti del Baroccoromano, la qualità del prodotto ponevaseri problemi di estrazione del materia-le, mai sufficientemente omogeneo ecompatto, e soprattutto variabile nel co-lore e nella struttura anche nei limitatispazi dell'ambiente di cava.

T meccanismi che hanno portato alla1- tessitura di queste rocce sono assaicomplessi; notevole è la concomitanza diun piano di taglio principale con roccemarnose di colore rosato, tenere e sog-gette a fenomeni di dissoluzione e ride-posizione dei carbonati in vene bianchee cristalline (la ben nota «scaglia»).

Le modalità di formazione e la storia

deformativa di queste rocce sono statestudiate a varia scala di osservazione eanalizzate da Armando Maiorani del La-boratorio degli isotopi stabili del CNR diRoma, attraverso lo studio dei caratterigeocronologici e isotopici dei loro costi-tuenti caratteristici. Si è così messo inluce come la peculiare tessitura del mar-mo di Cottanello sia il risultato di piùeventi geologici che hanno interessato lerocce in diversi tempi e con diverse am-bientazioni geodinamiche e strutturali ecome le plaghe di calcite, di colore bian-co, siano il risultato di meccanismi de-

formativi differenti. L'evento più anticoè rappresentato da fratture estensive (siveda l'illustrazione in questa pagina inalto) riempite di calcite cristallina, risul-tato di processi tensionali che hannofratturato la roccia permettendo la cir-colazione di acque meteoriche che han-no modificato l'originaria composizioneisotopica dell'ossigeno. La formazionedi queste fratture è antecedente a tuttigli altri processi di ricristallizzazione chehanno interessato i sedimenti come di-mostra il fatto che esse sono sempre de-formate e dislocate dagli altri elementi

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In questa immagine ottenuta al microscopio elettronico sono visibi- origine per le azioni dinamiche provocate dal movimento dellali nel marmo di Cottanello cristalli di un fillosilicato che ha avuto faglia sabina, per trasformazione di minerali argillosi preesistenti.

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strutturali presenti. Con il procederedell'attività della faglia il tipo di mecca-nismo deformativo cambia decisamente.

I grandi movimenti di taglio lungo lesuperfici di faglia producono una intensadeformazione delle rocce marnose econducono allo sviluppo di strutture no-te in letteratura come tettoniti S-C (siveda l'illustrazione a pagina 41 in basso).Queste sono definite da una serie di pia-ni di scivolamento paralleli, a cui sonoassociati piani di dissoluzione (piani diclivaggio) orientati perpendicolarmentealla direzione della massima sollecitazio-ne tettonica. Queste due famiglie di di-scontinuità assorbono il complesso delladeformazione della roccia e racchiudo-no al loro interno volumi di materialepraticamente indeformato. La loro fre-quenza e intensità dipende in manierafondamentale, a parità di litologia, dalladistanza dal piano di faglia principale,mentre la loro geometria permette di ri-costruire la cinematica del complesso.

I processi che governano le modalitàdi riorganizzazione mineralogica e geo-chimica della roccia sono essenzialmentequelli di dissoluzione del carbonato pre-sente nella roccia madre e di successivarideposizione, all'interno questa voltadi un sistema isolato dal punto di vistageochimico, indenne cioè da apportiesterni di materiale e senza circolazionedi fluidi. I processi di dissoluzione av-vengono attraverso superfici discrete,

dette giunti stilolitici. Questi sono facil-mente riconoscibili per il loro aspetto zi-grinato e per il loro colore scuro, dovutoalla particolare concentrazione di mine-rali argillosi e di ossidi che costituisconoil residuo insolubile accumulatosi duran-te la ricristallizzazione dei carbonati co-stituenti la roccia madre. All'interno diquesti giunti è stato rinvenuto un fillosi-licato (si veda l'illustrazione in questa pa-gina) di neoformazione, derivante dallariorganizzazione mineralogica dei mine-rali argillosi, che testimonia come le con-dizioni di temperatura e pressione rag-giunte dalla roccia siano state notevoli.Il carbonato di calcio disciolto lungo lesuperfici stilolitiche si deposita a distan-za di pochi centimetri all'interno di pla-ghe di calcite, di colore bianco e formasigmoidale. La loro derivazione dai car-bonati della roccia madre è testimoniatasia dalle analisi isotopiche sia dalla mor-fologia. Il passaggio tra la calcite pura ela roccia incassante avviene senza solu-zione di continuità, impedendo quindi lacircolazione di fluidi esterni lungo super-fici di discontinuità. Tale meccanismotrova piena conferma nelle analisi isoto-piche del carbonio e dell'ossigeno chehanno valori analoghi sia nella rocciamadre sia nelle plaghe calcitiche di neo-formazione. Lo sviluppo di questi pro-cessi in prossimità della faglia ha portatonel complesso a una modificazione nonsolo della morfologia, ma anche della re-

sistenza meccanica della roccia che haperso la sua stratificazione primaria e haacquisito una notevole compattezza chene ha resa definitivamente possibile l'u-tilizzazione come pietra ornamentale.

Il rapporto esistente tra l'attività dellafaglia e i processi deformativi della roc-cia è testimoniato dall'aumento di questiultimi via via che ci si avvicina ai piani ditaglio principali. Questa caratteristica èassai evidente proprio nella cava storicadel marmo di Cottanello, dove è statoestratto il materiale per la costruzionedelle colonne di San Pietro prima e diSant'Andrea al Quirinale e Sant'Agnesein Agone poi. I processi di ricristallizza-zione risultano molto spinti presso il pia-no di taglio principale mentre, allonta-nandosi da questo, diventano meno dif-fusi e soprattutto mostrano una intensitàminore, pur rimanendo invariate le ca-ratteristiche geometriche e genetiche.Questa differenza è straordinariamenteevidente nel diverso aspetto delle colon-ne di Sant'Andrea, della tomba di Ales-sandro VII in San Pietro (equivalenti aquelle di Sant'Agnese) e della stessa Ba-silica di San Pietro (si vedano le illu-strazioni a pagina 42). Questa differenzaè da ascrivere alle diverse epoche di co-struzione (e quindi di estrazione del ma-teriale dalla cava), poiché procedendol'estrazione ci si allontanava dal piano difaglia principale. La roccia si presen-tava così sempre meno deformata fino

ad assumere la tipologia visibile nel co-lonnato interno di Sant'Agnese e, in SanPietro, nella tomba di Alessandro VIIche Bernini eresse tra il 1673 e il 1678poco prima della sua morte e della chiu-sura definitiva della cava di Cottanello.

I processi che hanno portato alla for-mazione del marmo di Cottanello, puressendo molto intensi e spettacolari, so-no però relativi a una fase di attività ab-bastanza remota della faglia sabina col-locabile intorno ai 5 milioni di anni fa.

Nell'area di Cottanello sono però an-che ben visibili i segni di attività tettonicapiù recente, del resto testimoniata dallagrande evidenza morfologica della fagliae dai suoi rapporti con il reticolo idro-grafico. I piccoli bacini di ambiente la-custre e salmastro, depositatisi nelle de-pressioni tettoniche createsi tra i diversirami della faglia, sono infatti stati inte-ressati da una fase tettonica che li habasculati e dislocati a diverse quote sullivello del mare. L'entità del rigetto ver-ticale dovuto a questi movimenti è di cir-ca 100 metri ed è ricavabile dalla quotadelle linee di costa (riconoscibili per lapresenza di fori di organismi litodomi)del Villafranchiano superiore (1,5 milio-ni di anni fa) che sono a ovest della fagliaa circa 380 metri di altitudine e a est acirca 480 metri di altitudine. Verso sudla faglia è occultata dai depositi alluvio-nali del Tevere. Segni della ripresa diuna attività tettonica con componentetrascorrente sono però ben evidenti nel-l'area di Tivoli. Qui la tettonica si è ma-nifestata in tempi molto recenti soprat-tutto attraverso lo sviluppo di frequen-tissimi piani di frattura e di più rari pianidi taglio che mostrano chiari segni di tet-tonica tangenziale. Le datazioni eseguitecon il metodo del disequilibrio U/Th daMario Voltaggio, del Centro di geochi-mica applicata alla stratigrafia delle for-mazioni recenti del CNR di Roma, sullestrie generatesi sui piani di taglio e suiriempimenti di calcite delle fratture a es-si associate dimostrano la contempora-neità di questi elementi con la formazio-ne dei travertini di Bagni di Tivoli, an-ch'essi dislocati da piani di taglio trascor-renti nella loro porzione inferiore. Que-sti dati fanno quindi ipotizzare un possi-bile rapporto genetico tra l'attivazionedelle faglie trascorrenti e delle fratture aesse associate e la formazione dei traver-tini così famosi nella storia architettoni-ca di Roma. L'evidente concatenazionedi eventi geologici si accompagna con lagenesi e la successiva utilizzazione di pie-tre ornamentali nei più importanti mo-numenti del Barocco romano.

BIBLIOGRAFIA

ANDERSON D. L. , La faglia di San An-dreas in «Le Scienze» n. 42, febbraio1972.

BORGHINI G., Marmi antichi, De LucaEdizioni d'arte, 1989.

LE SCIENZE n. 276, agosto 1991 4544 LE SCIENZE n. 276, agosto 1991