Scienza Delle Costruzioni

139
UNIVERSITA’ Mediterranea di REGGIO CALABRIA Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio Lezioni di SCIENZA DELLE COSTRUZIONI 1^ versione non definitiva (bozza) ottobre 2009 Michele Buonsanti Dipartimento di Meccanica e Materiali Via Graziella loc. Feo di Vito, 89060, Reggio Calabria, Italy [email protected] ATTENZIONE L’uso di questo materiale è riservato agli studenti del corso di Scienza delle Costruzioni (corso di laurea Ingegneria Amb. & Terr.) per l’anno accademico 2009-10. Usi impropri saranno perseguiti per via legale. .

Transcript of Scienza Delle Costruzioni

Page 1: Scienza Delle Costruzioni

UNIVERSITA’ Mediterranea di REGGIO CALABRIA

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio

Lezioni di

SCIENZA DELLE COSTRUZIONI

1^ versione non definitiva (bozza) ottobre 2009

Michele Buonsanti

Dipartimento di Meccanica e Materiali Via Graziella loc. Feo di Vito, 89060, Reggio Calabria, Italy

[email protected]

L’uso driservatoScienza laurea Iper l’anUsi impper via le

ATTENZIONE i questo materiale è agli studenti del corso di delle Costruzioni (corso di ngegneria Amb. & Terr.) no accademico 2009-10. ropri saranno perseguiti gale.

.

Page 2: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Indice

Capitolo 1 PRELIMINARI MATEMATICI 1.1 Richiami di algebra lineare

1.2 Elementi di calcolo differenziale 1.3 Equazioni differenziali alle derivate parziali

1.4 Elementi di meccanica del continuo

Capitolo 2 ANALISI DELLA DEFORMAZIONE 2.1 Analisi della deformazione. Introduzione 2.2 Caratterizzazione globale e locale 2.3 Trasformazioni affini 2.4 Relazione funzione spostamento-funzione deformazione 2.5 Significato fisico delle componenti di 2.6 Direzioni e dilatazioni principali 2.7 Stato di deformazione nel riferimento principale 2.8 Decomposizione del tensore 2.9 Caratterizzazione piana del campo di deformazione 2.10 Equazioni di compatibilità interna

Capitolo 3 ANALISI DELLA TENSIONE

3.1 Equilibrio delle forze e vettore tensione 3.2 Teorema di Cauchy. Il tensore degli sforzi 3.3 Equazioni di equilibrio di Cauchy 3.4 Tensioni e direzioni principali 3.5 Stati di tensione particolari 3.6 Rappresentazione grafica degli stati di tensione

Capitolo 4 LEGGI COSTITUTIVE

4.1 Assiomi costitutivi in meccanica dei materiali 4.1.1 Materiali semplici 4.2 Legame costitutivo elastico lineare 4.2.1 Costanti elastiche per il solido isotropo 4.2.2 Relazione tra moduli elastici e costanti di Lamè 4.2.3 Ortotropia- Anisotropia 4.2.4 Teoremi di risposta 4.2.5 Materiali con rango elastico 4.2.6 Materiali con memoria evanescente 4.3. Stati limiti di plasticità 4.3.1 Relazione costitutive elasto-plastiche 4.3.2 Problema dell’ equilibrio elasto-plastico 4.3.3 Principi di estremo 4.3.4 Collasso plastico e teoremi della analisi limite 4.4 Viscoelasticità 4.5 Termoelasticità

Capitolo 5 PROBLEMA DELL’EQUILIBRIO ELASTICO 5.1 Formulazione generale del problema dell’equilibrio elastico 5.1.1 Posizione del problema 5.2 Equivalenza tra formulazione differenziale e formulazione integrale 5.3 Proprietà generali della soluzione 5.4 Soluzione dell’equilibrio elastico isotropo

Capitolo 6 MODELLI MONODIMENSIONALI 6.1 Soluzione del problema elastico. Modelli 1-D 6.2 Formulazione integrale 6.3 Equazioni costitutive per le travi 6.4 Formulazione differenziale

2

Page 3: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 7 ENERGIA ELASTICA

7.1 Aspetti energetici 7.2 Principi variazionali 7.3 Principi di estremo

Capitolo 8 STABILITA’ DELL’ EQUILIBRIO ELASTICO

8.1 Generalità 8.2 Sistemi ad elasticità concentrata 8.3 Approccio energetico 8.4 Sistemi ad elasticità diffusa 8.5 Verifiche di sicurezza per la trave di Eulero

Capitolo 9 CRITERI DI RESISTENZA 9.1 La superficie limite 9.2 Criterio della max tensione normale 9.3 Criterio della mx tensione tangenziale 9.4 Criterio di Coulomb 9.5 Criterio della max energia potenziale elastica 9.6 Criterio della max energia distorcente

Capitolo 10 MODELLO DI ST. VENANT 10.1 Il modello di Saint Venant

10.2 Caratteristiche della sollecitazione e valori delle costanti 10.3 Sollecitazione di sforzo assiale 10.4 Sollecitazione di flessione e presso/tensoflessione 10.5 Sollecitazione di torsione 10.6 Sollecitazione di taglio 10.7 Verifiche di resistenza Capitolo 11 TEORIA ELASTICA NON LINEARE 11.0 Preliminari 11.1 Cinematica delle deformazioni finite 11.2 Bilancio delle forze ed equazione del moto 11.3 Aspetti costitutivi ed equilibrio 11.4 Materiale iper-elastico 11.5 Materiale isotropo iper-elastico 11.6 Vincoli interni 11.7 Funzione di Rivlin-Saunders 11.8 Materiale di Mooney-Rivlin 11.9 Materiale neo-Hookean 11.10 Plausibilità statica ed unicità della soluzione 11.11 Elasticità variazionale 11.12 Energie policonvesse 11.13 Proprietà dell’ energia non convessa: un esempio Capitolo 12 MODELLI BIDIMENSIONALI 12.1 Problemi piani di sforzo e deformazione 12.2 Stati piani simmetrici e radiali 12.3 Elementi di teoria di lastre e piastre Capitolo 13 MECCANICA DELLA FRATTURA 13.1 Concentrazione di tensione 13.2 Problema di Griffith 13.3 Modello monodimensionale di Griffith 13.4 Modello di Barenblatt

Appendice Referenze bibliografiche

3

Page 4: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 1 PRELIMINARI MATEMATICI

1.1 Richiami di algebra lineare

Sia E uno spazio euclideo i cui elementi sono punti e sia V lo spazio vettoriale associato i cui elementi sono vettori:

Def.1 : dati u, v vettori appartenenti allo spazio V si definiscano le seguenti relazioni:

u ⋅ v prodotto scalare, u × v prodotto vettoriale 6 u 6 modulo del vettore u

Scelta una base di riferimento ortonormale, si ha: Def.2 : Una applicazione lineare : V → V di uno spazio vettoriale in se, tra punti e vettori: xi = (x – 0)ei , ui = u ⋅ ei costituisce un endomorfismo cioè, è tale che u = v con u, v ∈V.

L’insieme, di tutte le trasformazioni lineari è indicato con Lin e costituisce lo spazio dei tensori del secondo ordine. Lin è spazio vettoriale su con le operazioni di somma e moltiplicazione. Sullo spazio Lin affermiamo che il tensore nullo 0 è tale che per ogni v ∈V, 0v = 0, ed il tensore identità I è tale che per ogni v ∈V , Iv = v. Def.3: Si definisce prodotto tensoriale o diade u≈v il tensore che assegna ad ogni vettore a∈V il seguente vettore

(u≈v)a = (v⋅a)u. Def.4: Si definisce traccia della diade u≈v l’operatore lineare dello spazio Lin che soddisfa la seguente relazione:

tr(u≈v) = u⋅ v con u, v ∈V.

Dalle proprietà per le diadi si deriva la traccia, per un tensore , come lo scalare

tr = tr[( ei)≈ ei] = ei⋅ei = ii Il valore numerico della traccia di un tensore del secondo ordine è

invariante rispetto al riferimento prescelto e possiede le seguenti proprietà: i- tr (+) = tr + tr

4

Page 5: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

ii- tr(α) = αtr iii-tr() = tr() iv-tr T = tr ∀,∈Lin.

Def.5: Il prodotto interno ⋅ tra due tensori, o prodotto scalare, nello spazio Lin è definito nel seguente modo: ⋅ = tr ( T ). Def.6: Un tensore è detto simmetrico se = T , viceversa è detto emisimmetrico se T= -. L’insieme dei tensori simmetrici è indicato con Sym, mentre Skw indica l’insieme dei tensori emisimmetrici. Sym e Skw sono sottospazi di Lin e per loro vale il teorema della decomposizione additiva:

Lin = Sym ⊕ Skw, si afferma così che ogni tensore può essere decomposto, in modo unico, nella somma di due tensori

Sym = ½ ( + T) , Skw = ½ ( − T). Def.7: Un tensore è detto deviatorico, ∈Dev , se tr =0 ed un tensore è detto sferico, ∈Sph, se =αΙ.

Un qualsiasi tensore ∈Lin può essere decomposto nella somma di due tensori + che, nel caso tridimensionale, si specializzano come

= - ⅓tr ( )Ι ; = ⅓(tr)Ι.

Def.8: Un tensore ∈Lin è detto invertibile se esiste -1 tale che

-1=Ι Def.9: Un tensore è detto ortogonale, œ Orth, se conserva il prodotto interno cioè:

T= -1 o equivalente T = T = I. Orth definisce l’insieme dei tensori ortogonali.

Il tensore rappresenta una trasformazione che conserva inalterati gli angoli fra due vettori qualsiasi: uÿv = uÿTv = uÿv , cioè mantiene inalterate le lunghezze dei vettori intese come il valore della loro norma.

Una conseguenza delle proprietà del tensore risulta det = det I = 1, da cui è det = ±1. L’insieme dei tensori ortogonali con det = 1 è detto insieme delle rotazioni ed è indicato con Orth+.

Infine, richiamiamo l’altra proprietà dedotta dal teorema di decomposizione polare:

5

Page 6: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Sia œLin con det > 0, allora esistono due tensori ,œSym+ ed un tensore œOrth+ tali che:

= =

dette, rispettivamente, decomposizione polare destra e sinistra del tensore . Tali decomposizioni sono uniche e legate ad dalle relazioni

=( T )1/2 ; =( T )1/2

1.2 Elementi di calcolo differenziale

Si richiamano, di seguito, alcune definizioni fondamentalmente utili per caratterizzare i problemi di equilibrio entro un comune apparato matematico. Def.10: Dati due insiemi A, B si definisce funzione una relazione f tale che ∀x∈A associa y∈B ovvero, y = f(x).

L’insieme degli y∈B definisce l’immagine di A in B. Gli insiemi che interessano la descrizione dei nostri problemi di equilibrio possono essere divisi in due categorie ovvero, insiemi di numeri (punti) e gli insiemi di funzioni.

Esempi di insiemi numerici sono: : l’insieme dei numeri reali [a,b], (a,b) : l’insieme dei numeri reali degli x→ a ≤ x ≤ b e a < x < b n: l’insieme delle n-uple ordinate dei numeri reali

Esempi di insieme di funzioni sono: C(), C[a,b], C(a,b): l’insieme delle funzioni definite rispettivamente su , [a,b], (a,b). C(n), C[Ω], C(∂Ω) l’insieme delle funzioni continue definite su n, oppure sulla regione Ω∈n pensata aperto o chiusa Def.11: Si definiscono operatori le funzioni definite su insiemi di funzioni e con valori in insiemi di funzioni , esempio la derivazione, Cm[Ω]→Cm-1[Ω], oppure l’integrale indefinito. Viceversa i funzionali sono operatori definiti su insiemi di funzioni e valori n,come ad esempio l’integrale definito, il massimo o l’estremo superiore.

In particolar modo per la caratterizzazione dei problemi di equilibrio in elasticità, si ricorre spesso alla formulazione energetica basata sulla teoria variazionale che di seguito si richiama come preliminare. Def.12: Sia dato l’insieme Ω∈n ove viene definita la funzione f(x)∈Ω. La funzione, è noto, assume valore max (min) se ∀x∈Ω

f(x°) ≤ f(x) (f(x°)¥ f(x)

A tale proposito, si rammenta il teorema di Weierstrass ove, in un intervallo chiuso [a,b], qualsiasi funzione ammette un valore massimo ed un valore

6

Page 7: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

minimo (valori estremi). Si dimostra, altresì che, in un qualsiasi punto stremale ∂f(x°)/∂f(xj ) = 0.

Estendendo gli stessi concetti all’operatore “funzionale J ”, si consideri un dominio C i cui elementi sono gli mf (x) che ∀f (x)∈C associa un valore reale x∈, in formula ∃J = J [f(x)]. Ad esempio sia C ≡ Ω[0,1] = f(x) : [0,1] segue

[ ] ∫=

0dx)x(f)x(fJ

1

b

Giova osservare che su ogni funzionale J è possibile considerare

opportune variazioni, così come avviene per le semplici funzioni di variabile reale, e analogamente la condizione di stazionarietà per J assume la condizione obbligata dJ = 0. Ancora le proprietà di continuità per un funzionale sono legate al concetto di distanza (norma) tra le funzioni considerate. La forma generale dei funzionali che considereremo sarà del tipo:

[ ] ∫=a

dx)'u,u,x(Fu,xJ 1.3 Equazioni differenziali alle derivate parziali (PDE)

I processi fisici più disparati, nel cui novero rientrano fenomeni studiati in idrodinamica, elasticità, elettrodinamica, trasmissione del calore etc., sono essenzialmente questioni della fisica-matematica. Nella larga cerchia di questioni che la fisica matematica tratta, soffermeremo le nostre attenzioni sui problemi che conducono ad equazioni differenziali alle derivate parziali

Una PDE stabilisce una relazione tra una funzione, incognita, di più variabili e le sue derivate parziali ovvero come nella forma: u = u(x,y) F (x, y, u, ux uy, uxx, uyy) = 0 (1.1) Distinguiamo l’ordine di una PDE in funzione del grado di derivazione cui la funzione si presenta: ux – kuy = 0 ( 1° ordine) (1.2) uxx – uy = 0 (2° ordine) Ancora, affermiamo che una PDE è lineare se risulta di 1° grado rispetto all’esponente: ux = kuy (lineare) (1.3) ux = kuy2 (non lineare) Infine riguardo l’omogeneità: ux + uyy = 0 (omogenea) (1.4) uxx – uy = F(x) (non omogena)

In generale è possibile avere infinite soluzioni per un problema retto da un sistema di PDE. In ordine ad individuare una singola funzione che

7

Page 8: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

rappresenta la soluzione del problema fisico in esame è necessario imporre alcune condizioni specifiche dedotte dalla fisica del problema. Queste condizioni (che consentono di definire il problema come “ben posto”) sono le condizioni al contorno e le condizioni iniziali. Riguardo le condizioni al bordo sono distinte tre classiche condizioni: -condizione di Dirichlet u = g ∀ x∈∂Ω (1.5) -condizione di Neumann un = h ∀ x∈∂Ω -condizione mista u + un = k ∀ x∈∂Ω dove g, h, k, sono prescritte funzioni sulla frontiera del corpo. Nel caso delle condizioni iniziali, esse devono essere tali da soddisfare le equazione che descrivono il processo fisico, quando questi è iniziato. Ad esempio, introdotto l’operatore di Laplace ∇2 si consideri l’equazione della trasmissione del calore in un solido: ∇2 T = c Tt ∀x∈Ω (1.6) Le condizioni al bordo che governano il problema possono essere poste nella forma: T (x,y,t) = T1* (x,y) ∀ x∈∂1Ω (1.7) Tn(x,y,t) = T2* x,y) ∀ x∈∂2Ω Mentre le condizioni iniziali che governano il problema possono essere poste nella forma: T (x,y,0) = To ∀x∈Ω (1.8) L’insieme delle condizioni a bordo e delle condizioni iniziali con i coefficienti delle funzioni, oltre qualsiasi termine disomogeneo della PDE, costituiscono i dati del problema da descrivere. Questi, è detto essere “ben posto” nel senso di Hadamard, se la soluzione dipende con continuità dai dati ovvero, in generale, se a piccole variazioni dei dati corrispondono piccole variazioni della soluzione. Il problema è definito “ben posto” se: -la soluzione esiste -la soluzione è unica -la soluzione dipende con continuità dai dati Viceversa il problema è detto essere “mal posto”. Riprendiamo nel considerare i precedenti sulla classificazione delle PDE, soffermando l’attenzione su quelle del 2° ordine al fine di individuare una caratterizzazione generale ed identificare un metodo di soluzione attribuendo a priori particolari proprietà della soluzione. Consideriamo la forma generale di una PDE del 2° ordine in due variabili indipendenti: A(x,y)uxx + 2B(x,y)uxy + C(x,y)uyy + D(x,y)ux + E(x,y)uy + F(x,y)u = G(x,y) (1.9)

8

Page 9: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La più conveniente forma di classificazione è nel restringere l’attenzione sui coefficienti A, B, C, dei termini al secondo ordine caratterizzando l’equazione in funzione del relativo valore di questi coefficienti. Posto A, B, C costanti e tali che: Auxx + 2Buxy + Cuyy + (termini ordine inferiore) = 0 (1.10)

La classificazione può essere posta dalla identificazione del discriminante (B2-4AC) ed in particolare del segno del discriminante: B - 4AC < 0 PDE del tipo ellittico B - 4AC = 0 PDE del tipo parabolico (1.11) B - 4AC > 0 PDE del tipo iperbolico Questa classificazione consente di poter individuare, per diversi fenomeni fisici, quella che è la natura della PDE ed, in particolare, poter ricorrere a particolari strategie di soluzioni. -Equazioni di tipo ellittico: nello studio dei processi stazionari di natura fisica più disparati le equazioni più comuni sono del tipo ellittico e la più frequente è l’equazione di Laplace ∇2u = 0. La funzione u si dice armonica nel dominio Ω se è continua nello stesso insieme alle sue derivate fino al secondo ordine e verifica l’equazione di Laplace. -Equazioni di tipo parabolico: sono la tipologia di equazioni che governa i processi di conduzione di calore e di diffusione. L’equazione elementare di tipo parabolico uxx – uy = 0 si chiama usualmente equazione della conduzione termica. -Equazioni di tipo iperbolico: sono le equazioni che descrivono i problemi fisici legati a fenomeni vibratori. L’equazione elementare di questa tipologia è la classica: uxx – uyy = 0 che prende il nome di equazione delle vibrazioni di una corda. Tutti i fenomeni fisici che si descrivono con onde sono caratterizzati da equazioni di tipo iperbolico. 1.4 Elementi di meccanica del continuo Di seguito sono riportati alcuni concetti elementari della meccanica del continuo espressi solo per una logica premessa agli argomenti successivamente trattati. Si rimanda ai classici testi della disciplina, allorquando si vogliano rivedere concetti più approfonditi. Sia un corpo continuo, definiamo punto materiale, o particella materiale, una porzione infinitesimale di volume del continuo. Un continuo è una distribuzione continua della materia; l’aspetto matematico di questa definizione significa sostanzialmente assumere campi con funzioni continue oppure quasi continue ( anche a tratti in entrambi i casi). Al fine di dare una definizione più precisa, consideriamo un corpo ed una classe di funzioni g : →n con le proprietà: - g è invertibile - g ( ) è una regione regolare - ∀ g1, g2 ∈ g la funzione g1 ° g2 è di classe C1 ( )

9

Page 10: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Consideriamo ora una funzione [g µ ] ön avente le proprietà: - è positiva, (g, ) ≥ 0 ∀g, x∈ - dipende con continuità dal volume - è additiva Possiamo quindi, affermare che: Def.13: un corpo continuo è una terna del tipo ( , g, , ) ove i componenti possiedono le proprietà sopraelencate. Il limite: ρ ( g, x ) = lim g ( ) → g (x) (g, ) / vol g ( ) (1.12) è definito come la densità di massa del corpo continuo. Una proprietà del continuo è costituita dalla distribuzione della massa. E’ assunto che una qualsiasi parte Ω° della configurazione Ω del corpo possieda una massa m(Ω°) che dipenda solo dalla parte presa in esame, mentre è indifferente sia dalla configurazione occupata, sia da un cambiamento di osservatore. ∀Ω°∈Ω resta associato lo scalare m(Ω) con la proprietà che se il volume → 0 allora la massa ö 0, ovvero la massa è assolutamente continua rispetto al volume. Esiste quindi una funzione ρ ( g, x ) detta densità di massa tale che

= Ûρ ( g, x ) dΩ (1.13)

L’indipendenza della configurazione consente di formulare il principio di conservazione della massa, ovvero la massa è costante nel tempo. (d / dt ) = d/dt Ûρ ( g, x ) dΩ (1.14)

Enunciamo ora il principio della quantità di moto P (t) = Ûρ Vi dΩ (1.15) La velocità di variazione nel tempo della quantità di moto, di una porzione arbitraria della configurazione, è eguale alla risultante delle forze che agiscono sulla porzione considerata ÛTij,j + ρfi – ρvi dΩ = 0 (1.16)

Riferito al moto rispetto ad un punto, il principio del momento della quantità di moto afferma: Ûx ∧ ρv dΩ = ℘ (1.17)

La velocità di variazione nel tempo, del momento polare, relativo a qualsiasi posizione e rispetto a qualsiasi punto, è eguale al momento risultante delle forze agenti.

10

Page 11: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 2 ANALISI DELLA DEFORMAZIONE

2.1 Introduzione

La prima idea di deformazione, intesa come variazione relativa, fu di Beeckman (1630) e di J. Bernoulli (1705) che introdussero la nozione di misura lineare della deformazione (intesa come rapporto tra la variazione della lunghezza ∆L e la lunghezza iniziale L ove, questa ultima quantità rappresenta la lunghezza del corpo prima di essere soggetto alla deformazione).

Da tali idee si svilupparono, le teorie delle deformazioni infinitesime (Eulero, 1750) e delle deformazioni finite (Cauchy, 1823 ed i successivi contributi di Green, Cosserat..).

Interessando, in questa parte, una teoria lineare per le deformazioni ricaviamo questa ultima partendo con un approccio sulla base di deformazioni finite.

Sia un corpo continuo elastico, in uno spazio euclideo 3-D, e siano Ω°( ), Ω( ) rispettivamente, la configurazione di riferimento della posizione iniziale e finale del corpo soggetto ad una azione deformante. Ancora, siano p°, p∈ punti del corpo nelle distinte configurazioni.

Def.2.1: Si definisce deformazione del corpo la legge che associa ∀p°∈Ω°( ) il rispettivo p∈Ω( ). Analizzare una deformazione significa studiarne le proprietà sia attraverso un approccio globale che secondo un approccio locale. Andranno apposte opportune restrizioni alla funzione deformazione con il fine di restringere la varietà tipologica delle deformazioni possibili (a volte anche irregolari). In particolare si richiede alla funzione deformazione di possedere le seguenti proprietà:

i) biunivoca ii) continua e differenziabile con inversa continua

In particolare la i) richiede che sia preservata l’impenetrabilità della materia, mentre la motivazione della ii) è legata alla richiesta che la deformazione non presenti bruschi salti (almeno in opportuni intorni).

Qualora la funzione deformazione è descritta in forma vettoriale, ovvero (p ≡ xi , p° ≡ xi°) sarà xi = fi (xi°), quindi è possibile costruire la matrice = [∂fi /∂xi°] ovvero lo jacobiano della trasformazione che prende il nome di gradiente della deformazione.

Dovendo valere l’assioma di continuità, una restrizione su che comporta il requisito fisico del principio di permanenza della materia sarà: det > 0. Conseguentemente è impossibile il caso in cui ≤ 0, infatti quando Ω°( ) ≡ Ω( ) si ha det = 1. 2.2. Caratterizzazione globale e locale della deformazione

Posto f (Ω°) ≡ Ω, come la configurazione variata del corpo , sia i l’identità dello spazio n, allora la legge:

11

Page 12: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

u = f – i (2.1)

è lo spostamento associato alla deformazione f.

Quindi, u( p°) = f( p°) – p° definisce lo spostamento di p°(Ω°) alla posizione variata p (Ω). Rammentando, inoltre, la già definita formulazione del gradiente della deformazione =∇f, si ha che dato un campo di spostamento u, si definisce come gradiente dello spostamento la forma =∇u. Detto I = ∇i , tensore identità, la (2.1) assume la forma:

= + I (2.2)

La (2.2) rappresenta l’identità fondamentale nello studio dei problemi di deformazione. Il tensore ∈Lin, mentre la restrizione imposta sul gradiente della deformazione (det > 0) comporta che, necessariamente, il tensore ∈Lin+ ove Lin+: ∈Lin | det > 0. Anche alla funzione spostamento sono imposte le identiche restrizioni già poste alla funzione deformazione.In generale per = cost. la deformazione è omogenea, mentre per = I la deformazione corrisponde ad una traslazione.

Vediamo, ora di classificare e formulare analiticamente, alcune gradienti di deformazioni elementari.

-Deformazione identica. In questo caso è xi° = xi ed allora = I, e

conseguentemente il gradiente della deformazione identica ha la forma matriciale:

= (2.3)

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢ 01

-Estensione. Si consideri un corpo elastico a forma quadra all’interno di

una base ortonormale ei, soggetto ad estensione nel verso dell’asse e1. La corrispondenza vettoriale della trasformazione è del tipo:

x1 = x1°+ x1°c x2 = x2° (2.4) x3 = x3°

ed il conseguente gradiente della deformazione diventa:

= (2.5) ⎢

⎢ 010

1000

001

⎡ +

100

001 c

⎥⎥⎥

12

Page 13: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

-Scorrimento. Si consideri, ancora lo stesso sistema del caso precedente salvo che, in questo caso il vettore della trasformazione ha la forma:

x1 = x1°+c x2° x2 = x2°+c x1° (2.6) x3 = x3°

in questo caso, il conseguente gradiente della deformazione assume la forma:

= (2.7)

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢ 01

100

01c

c

-Deformazione rigida. Una deformazione omogenea è detta rigida se il suo

gradiente ∈Rot. L’insieme Rot è definito come Rot : = ∈Lin+| T = I =T (2.8)

I gradienti delle rotazioni compongono un sottogruppo massimale del gruppo ortogonale dello spazio Lin ovvero Orth : = ∈Lin | T = T=I (2.9) cioè è l’insieme dei tensori del 2° ordine che preserva il prodotto interno tra vettori

∈Orth⇔ ab = ab ∀a,b∈V (2.10) Quindi, la distanza |p°−q°| tra due qualsiasi punti di Ω° e Ω è preservata in una deformazione rigida. A riguardo questo ultimo tipo di deformazione dimostriamo la seguente: Proposizione 2.1. Il gradiente di un campo di spostamento rigido è un tensore emisimmetrico, cioè ∈Skw. Dimostrazione. Si consideri la già nota forma (2.2) I + = e si rammenti che una deformazione rigida è caratterizzata da T= I. Si effettui nella (2.2) una moltiplicazione, di entrambi i membri, per i rispettivi trasposti, si ha

(I + )T (I + ) = T (2.11) cioè

(I + )T (I + ) = I (2.12)

svolgendo il prodotto e semplificando

I +TI + I + T = I (2.13)

13

Page 14: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

T I + I + T = 0 (2.14)

trascurando i termini superiori si può porre la condizione

T + = 0 (2.15) 0vvero la parte simmetrica del gradiente dello spostamento è nulla cioè ∉Sym e, conseguentemente sarà ∈Skew. 2.3. Trasformazioni affini.

Da un punto di vista globale e nel rispetto dell’assioma di continuità, la deformazione trasforma regioni in regioni, superfici in superfici, punti in punti, ovvero si hanno delle trasformazione di tipo affine.

Di seguito, vediamo come è possibile caratterizzare singolarmente queste trasformazioni. (per ulteriori dettagli si veda P. Podio-Guidugli, A Primer in Elasticity, Journal of Elasticity, 58, 1-104, 2000). Nella configurazione iniziale Ω° definiamo la coppia (p°,e) e nella configurazione finale Ω, l’immagine della fibra iniziale sarà espressa da f (p°+αe) o anche dalla coppia [f (p°), (p)e]. Questo è facilmente spiegabile se, in una caratterizzazione locale, si considera lo sviluppo in serie

f (p°+αe) - f (p°) = (p°)[(p°+αe) - p°] + 0(α) (2.16) dalla definizione di derivata direzionale di f nella direzione e si ha

∂e f (p°) : lim α→0 [f (p°+αe) – f (p°)] / α (2.17) da cui

∂e f (p°) = (p°)e ] (2.18) La 2.18 rappresenta lo strumento operativo per una analisi locale dei processi deformativi. -Variazioni di lunghezze. Il cambio di lunghezza δℓ(e) di una fibra (p,e) è la lunghezza della sua immagine quindi | e|-|e|/|e|, ed in una caratterizzazione locale δℓ(e) = | e| - 1. Si definisce “stretch” della fibra nella direzione e, la quantità λ(e) = | e|. -Variazioni di angolo. Per il punto p° della configurazione iniziale Ω° si considerino due versori uscenti e1, e2 formanti l’angolo ϑ° il cui valore iniziale e finale è espresso dalle relazioni:

ϑ° = cos-1(e1 e2 ) (2.19) δϑ° = cos-1(e1 e2 ) −cos-1 (e1 e2 )/ | e1 || e2 | (2.20)

-Variazioni di superficie. Si consideri, per i due versori e1, e2 uscenti da p° , la superficie unitaria caratterizzata dalla normale n° e definita dalla relazione:

14

Page 15: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

n° = e1 × e2 / |e1 × e2| (2.21) la configurazione variata sarà definita da una nuova superficie la cui normale è data dalla: n = e1 × e2 /| e1 × e2| (2.22) la variazione di superficie risulta:

δA(n) = | e1 × e2 | − | e1 × e2| / |e1 × e2| (2.23) -Variazione di volume. Si consideri per p°∈Ω° la base ortonormale ei=1,3 e si identifichino tre fibre unitarie coincidenti con la direzione dei versori. La configurazione variata del parallelepipedo sarà così definita dagli operatori: f(p°), (p°)e1, (p°)e2 , (p°)e3. Ricordando la regola del prodotto misto tra vettori (che consente di definire il volume un parallelepipedo) se ne deriva che la variazione di volume del solido generato sarà:

δv = e1 e2 × e3 − e1 e2 × e3 / e1 e2 × e3 (2.24) 2.4. Relazione spostamento- deformazione Imponiamo una ulteriore restrizione al campo delle deformazioni / spostamenti, ovvero consideriamo gradienti il cui valore assoluto sia molto piccolo rispetto al tensore identità. Ne consegue che è motivata la terminologia “ spostamento rigido infinitesimo” per un campo vettoriale su Ω

u(p) = u° + W°(p-p°) con W°∈Skw (2.25) Se considero il punto q° ed il vettore, da esso uscente, il cui punto terminale è p°, allora è possibile caratterizzare localmente lo spostamento sviluppando in un intorno opportuno. Si può porre:

f (q°) ≅ f (p°)+ ∇f |(q°-p°)|p° (2.26)

ricordando la decomposizione additiva delle trasformazioni lineari Lin = Sym ⊕ Skw, è possibile esplicare la 2.26 come: f (q°)= spostamento di q° f (p°)= spostamento di p°; cost. al variare di q° ≡ traslazione rigida ∇f W = rotazione rigida attorno a q° ∇f S = parte pura della deformazione Abbiamo così decomposto il gradiente dello spostamento in una parte simmetrica ed in una parte emisimmetrica. Nel caso di deformazioni linearizzato ( ), la parte simmetrica del gradiente dello spostamento è definita dal tensore che così caratterizza una deformazione omogenea a gradiente positivo

= ½ (∇u + ∇uT)∈Sym (2.27)

15

Page 16: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

2.5. Significato fisico delle componenti di Per il tensore della deformazione pura, ottenuto in precedenza, si vuole restringere l’attenzione sul significato fisico espresso dalle componenti. In particolare, le componenti ii rappresentano delle estensioni nel verso i parallele alla normale i, uscente dal piano passante per il punto p. Le componenti ij rappresentano invece degli scorrimenti nel verso j, ortogonali alla normale i. Ad esempio sia dato il campo di spostamento così definito: u = (cx1, 0, 0). Allora, svolto il gradiente ∇u ed il relativo ∇uT si ottiene, per il tensore della deformazione la forma:

= (2.28) ⎢ 00

Viceversa se il campo u è del tipo u = (cx2, 0, 0) si trova:

= (2.29) ⎢ 002/

⎥⎥⎥

0000

00c

000

020c

/c

⎥⎥⎥

2.6. Direzioni e dilatazioni principali Nell’intorno del generico punto p° la deformazione viene ad essere completamente caratterizzata dal tensore ∈Sym. Sulla generica retta a della stella di centro p°, il vettore spostamento non avrà la direzione della retta cui appartiene almeno in generale. Si dimostra che esistono tre rette, tra loro ortogonali, della stella di centro p° tali che i punti sulla superficie sferica dell’intorno p° hanno il vettore spostamento avente la direzione delle rette. Questo significa che il tensore e la normale n differiscono per una costante di proporzionalità ovvero:

n =λn (2.30) Moltiplicando ambo i membri per il tensore identità e riordinando

( −λ)n = 0 (2.31) e scrivendo per componenti si ha

(11 −λ)n1+ 12n2 + 13n3 = 0 21n1 + (22 −λ)n2 + 23n3 = 0 (2.32) 31n1 + 32n2 + (33 −λ)n3 = 0

16

Page 17: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Trascurando la soluzione banale ni = 0, il sistema 2.32 ammetterà soluzione eguagliando a zero il determinante dei coefficienti della 2.32.. Sviluppando si ottiene la nota equazione secolare.

λ3−Iλ2 −IIλ−IIIλ= 0 (2.33) dove I, II, III sono, rispettivamente l’invariante primo, secondo e terzo del tensore . Le tre radici della equazione 2.33 sono reali poiché coincidenti con gli autovalori di una matrice simmetrica reale.

I tre autovettori, normalizzati, si ottengono sostituendo nella 2.32 una radice per volta insieme alla relazione fondamentale della somma dei quadrati sui coseni direttori (Σi ni2 = 1).

Può accadere che le tre radici principali coincidano, allora in questo caso tutte le direzioni sono principali. La dilatazione è invariante con la direzione. 2.6.1. Stato di deformazione nel riferimento principale Scegliendo come sistema di riferimento quello avente per assi le direzioni principali di deformazione, la terna diviene una terna o riferimento principale. In questo caso, un solido si deforma unicamente attraverso dilatazioni e le componenti del tensore della deformazione diventano:

= (2.34) ⎥⎥

⎢⎢ E 00⎢

ζ

ξ

η

E

E

00

00⎥

Il solido riferito alla terna principale trasla e ruota però si conserva retto poiché i suoi spigoli si allungano o si accorciano. In tal caso vediamo di dare un significato fisico al primo invariante della deformazione. Se consideriamo un cubo elementare i cui lati sono associati a fibre elementari Li coincidenti con il sistema di riferimento, allora il volume, a priori la deformazione, può essere espresso come:

dV = L1L2L3 (2.35) e successivamente la deformazione come: dV’ = L1’L2’L3’ ove Li’ = Li + ηLi (2.36) dV’ = L1L2L3 (1+η) (1+ξ) (1+ζ) dove le η,ξ,ζ sono le dilatazioni principali. Definiamo coefficiente di dilatazione cubica Θ, la quantità:

Θ = dV’ – dV / dV Θ = (1+η) (1+ξ) (1+ζ) − 1 (2.37)

17

Page 18: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Nella ipotesi di gradienti di spostamento minori dell’unità i prodotti ad indici diversi sono trascurabili per cui in definitiva si pone

Θ = η+ξ+ζ = I (2.38) Ovvero l’invariante lineare rappresenta la variazione specifica del volume nell’intorno del punto. 2.7. Decomposizione del tensore Per ogni punto p° appartenente alla configurazione indeformata lo stato di deformazione è descritto dalla componenti del tensore della deformazione. In virtù delle proprietà di decomposizione, il tensore della deformazione può essere scisso in una parte pura (variazione di volume) ed in una variazione di forma. Definiamo come dilatazione media la quantità Em =Σi ii ⁄ 3 ed il tensore S come tensore sferico

S = = Em (2.38) ⎥⎥

⎢⎢ E 00

Inoltre è IS = Σi Emi = Σi ii = I ovvero la deformazione definita dal tensore sferico comporta la medesima variazione di volume associata alla deformazione del tensore . Qualora si volessero determinare le dilatazioni principali si trova λ1= λ2= λ3 =Em e tutte le rette per p° sono direzioni principali, la dilatazione è costante in ogni direzione, quindi una sfera si trasforma in una sfera, un cubo in un cubo etc.. . Svolgendo la differenza tra la parte sferica ed il tensore della deformazione si ottiene il tensore deviatorico D o deviatore della deformazione, caratterizzato dal fatto di avere invariante primo eguale a zero. Conseguentemente la variazione provocata è solo di forma:

= (2.39) ⎥⎢ − EEEE

⎥⎦

⎢⎣

m

m

m

E

E

00

00

m

m

m

EEEE

EEEE

333231

232221

131211

2.8. Caratterizzazione piana del campo di deformazione Risulta di notevole importanza pratica il considerare alcune forme particolari del campo deformativo.

Affermiamo che si verifica uno stato piano di deformazione (nell’intorno del punto p°∈Ω°) se il vettore spostamento, relativo alla deformazione pura, è sempre parallelo ad un piano Π riproducendosi invariato per tutti i punti della generica retta ortogonale a Π.

18

Page 19: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Nel caso piano due componenti principali sono diverse tra loro e da zero mentre una è sempre eguale a zero.

Questo significa che preso un tensore relativo ad un generico riferimento, condizione necessaria e sufficiente affinché lo stato di deformazione sia piano è che il suo det sia nullo e, conseguentemente una radice principale sarà nulla. 2.9. Carattere di estremo per le deformazioni principali Tra tutte le componenti di deformazione, quelle principali hanno una proprietà di estremo che di seguito analizziamo. Nei fatti, la legge di trasformazione che genera le deformazioni principali ξη è funzione dei coseni direttori. Ci si chiede se per opportune direzioni di una terna ortogonale di coseni direttori questa funzione risulti stazionaria. Conseguentemente si può porre il problema attraverso la funzione

f ( nξη, λ) = ij niξ niη + λ(δξη − δij niξ niη) (2.40) dove λ è un opportuno moltiplicatore di Lagrange. Se la f ( nξη, λ) è continua, allora per il teorema di Wierstrass ammetterà l’esistenza di un estremo che verrà ottenuto eguagliando a zero le derivate prime della funzione. In formula:

∂f (nξ η, λ ) ⁄ ∂niη = (ij − λδij) niξ = 0 (2.41)

∂f (nξ η, λ ) ⁄ ∂λ = δξη − δij niξ niη = 0 (2.42) E’ possibile osservare la similitudine della 2.41 con la 2.31, per cui i tre valori λI, λII, λIII che rendono stazionaria la funzione coincidono con le tre deformazioni principali ξ , η , ζ.

Queste tre ultime assumeranno un valore massimo, un valore minimo ed un valore semplicemente stazionario.

ξ> η> ζ (2.43) 2.10. Equazioni di compatibilità interna Le componenti del tensore si possono esprimere in funzione delle componenti di spostamento

ij = ½ (ui, j + uj, i) (2.44) La 2.44 costituisce un sistema di sei equazioni nelle nove funzioni incognite ui = ui(x1, x2, x3), ij = ij (x1, x2, x3) (2.45) Questo significa che assegnato un qualsiasi campo di spostamento, descritto da funzioni continue ed iniettive, è possibile risalire alle sei componenti del tensore della deformazione.

19

Page 20: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Affinché la deformazione, con il cessare delle cause esterne, possa essere completamente recuperata è necessario ricostruire la continuità del corpo per come essa era prima del processo subito. In generale si dimostra che l’integrità del corpo può essere ristabilita solo le componenti del tensore della deformazione soddisfano, per ogni punto del corpo, delle relazioni differenziali dette condizioni di compatibilità interna o di congruenza interna.

ii, jj + jj, ii = ij, ij (2.46) 2 kk, ij = (ik, j + jk, i − ij, k),k (2.47)

20

Page 21: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 3 ANALISI DELLA TENSIONE

3.1. Equilibrio delle forze e vettore tensione Si consideri su un corpo elastico , preso nella sua configurazione Ω( ) con frontiera regolare ∂Ω, l’azione esterna di due tipi di forze ovvero: -forze di volume -forze sulla superficie Consideriamo un opportuno intorno Õ Ω dove ( ) è la risultante delle forze applicate. Allora "p∈ definiamo forze di volume il limite:

lim Øp ( ) /V ( ) = f (p) (3.1) Analogamente definito Õ∂Ω come un opportuno intorno della frontiera libera ed

( ) la risultante delle forze applicate, definiamo forze di superficie il limite:

lim Øp ( ) /A( ) = s (p) (3.2) L’esistenza di tali limiti viene condizionata dalla regolarità della funzioni ( ) ed

( ); si assume che i limiti esistano "p∈Ω e ∂Ω. Le condizioni di equilibrio generale si scrivono come:

( )= f (p)dV ; ( )= s(p)dA (3.3)

M( )= f (p)× x dV ; M( )= s(p)× x dA (3.4) Ovvero

(Ω) + (∂Ω) = 0 (3.5)

M(Ω) + M(∂Ω) = 0 Consideriamo ora una parte di Ω, ovvero un opportuno intorno che divida Ω in due distinte parti ove una è stesso, con la sua frontiera esterna ∂ e la sua frontiera interna ∂ i. La parte rimanente sarà quindi Ω- a sua volta distinta, sulla frontiera, come parte interna ∂(Ω- )i e parte esterna ∂(Ω- )e . Imponendo l’equilibrio si avrà:

( ) + (∂ e) + (∂ i ) = 0 in (3.6) (Ω- )+ ∂(Ω- )i + ∂(Ω- )e = 0 in Ω- (3.7) Sommando membro a membro si ottiene:

(Ω) + (∂Ω) + (∂ i ) + ∂(Ω- )i (3.8) dove sulla frontiera interna si possono distinguere:

(∂ i ): sono le forze trasmesse dalla parte Ω- .

21

Page 22: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

∂(Ω- )i: sono le forze trasmesse dalla parte . Per le rotazioni varrà, analogamente, su ogni punto della frontiera interna

M(∂ i ) + M∂(Ω- )i = 0 (3.9) La definizione di queste forze superficiali interne, indicate con t, rappresentano il principio delle sezioni di Eulero. Allora è possibile la seguente: Definizione 3.1. "p∈Ω$t, vettore tensione relativo al punto p ed alla superficie passante per p ovvero, t = t (p, ). Affinché le considerazioni cui sopra siano valide dovranno valere le seguenti assunzioni: Ass.1: i limiti che definiscono f ed s esistono e sono finiti. Ass.2: lim pØ M( )/A( ) = 0. viene scartata l’esistenza di coppie. Ass.3: t = t (p, n), cioè t dipende dalla normale alla superficie . Una ulteriore importante proprietà del vettore tensione è la eguaglianza t (p, n) = -t (p, - n). Questa ultima si verifica dalla 3.8 posta nella forma:

(∂ i ) + ∂(Ω- )i = 0 e cioè ∂ i t (p, n) + ∂ i t (p, - n) = 0 (3.10) che dovrà valere per ogni superficie interna e quindi basterà che l’integrando sia nullo. Per questo, converrà dimostrare per assurdo e trovare che, il rispetto della ipotesi 3.10, obbliga l’eguaglianza a zero dell’integrando. 3.2. Teorema di Cauchy. Il tensore degli sforzi Teorema 3.1. (Cauchy). La dipendenza del vettore tensione t dal vettore normale n è lineare ovvero, esiste un operatore lineare, detto tensore degli sforzi , tale che t =n. Dimostrazione: Si consideri un tetraedro il cui vertice coincida con l’ origine di una base ortonormale e1, e2, e3, abbia tre facce perpendicolari ai piani coordinati ed un quarto lato (base) la cui normale uscente è n, inclinato di un opportuno angolo. Sulla base agirà un vettore tensione t, mentre sulle altre facce saranno agenti i vettori tensione ti i=1,3 . Sono, altresì, agenti forze di volume f per cui l’equilibrio globale, dette le rispettive risultanti, sarà:

v + 1+ 2+ 3+ ° = 0 (3.11) dove ° è la risultante dei vettori tensione sulla base del tetraedro. Variando il diametro d dell’area di base A, facendolo tendere all’origine del riferimento coincidente con p si ha:

limdØ0 v /A = 0 e limdØ0 ° /A = t (n) (3.12) estendendo eguali ipotesi alla altre facce del tetraedro, nonché richiamando la relazione Ai = Ani si trova ad esempio per la faccia di normale e1:

22

Page 23: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

limdØ0 1 /A = t1 n1 (3.13)

in generale è possibile scrivere:

t1(n1) + t2(n2) + t3(n3) + t(n) = 0 (3.14) la 3.14 è una relazione lineare tra il vettore tensione e la normale alla superficie per il punto considerato. Per scriverla in notazione tensoriale, osservo che t e ti sono vettori tensione relativi al punto p ed alla giacitura di normale n, -ei, inoltre è t(p, - ei) = -t(p, ei). Sostituendo l’ultima relazione nella 3.14 e riordinando si ha:

t(n) = t1 e1(n1) + t2 e2(n2) + t3 e3(n3) (3.15) scrivendo la 3.15 per componenti si trova :

t1(n) = t1 e1(n1) + t1 e2(n2) + t1 e3(n3) t2(n) = t2 e1(n1) + t2 e2(n2) + t2 e3(n3) (3.16) t3(n) = t3 e1(n1) + t3 e2(n2) + t3 e3(n3)

che si può porre nella forma indiciale: ti =Σj tiejnj . Ponendo la forma matriciale:

tiej = ij = (3.17) 332313

322212

312111

etetetettt eeetetet

si trova l’operatore di trasformazione lineare , ovvero il definito tensore degli sforzi di Cauchy. In notazione assoluta si scrive:

t =n (3.18) resta così dimostrato il 1° teorema di Cauchy. Le componenti del tensore degli sforzi in un riferimento ei sono date come ij = tiej ed hanno il seguente significato fisico. ij è la componente del vettore tensione che agisce sulla faccia di normale i nella direzione j. Il tensore degli sforzi è noto una volta che è conosciuto il vettore tensione t secondo tre giaciture ej tra loro ortogonali. Viceversa quando è noto (p), il vettore tensione t risulta noto rispetto qualsiasi giacitura. Se t agisce su una faccia di normale n, allora può essere decomposto secondo una componente normale σ ed in una componente tangenziale τ. In forma analitica:

t = σ + τ σ = t ⋅ n = n ⋅ n (3.19) τ = t −σ =( − σI )n

23

Page 24: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

3.3. Equazioni di equilibrio di Cauchy 3.3.1 Equilibrio alla traslazione. Si consideri un corpo elastico Ω suddiviso in due parti, per come descritto precedentemente. Su Ω sono agenti le forze sul volume f, sulla superficie s, mentre sulla frontiera interna agiscono le tensioni t. Si consideri la parte ⊂

⎢⎢

321 xxx

Ω e si imponga l’equilibrio:

f dv +∂ e s dA +∂ i t ds = 0 (3.20) Si consideri la componente i-esima del terzo termine della 3.20 e si applichi il 1° teorema di Cauchy. Si ottiene:

∂ ti = ∂ Σj ij nj (3.21) Applicando una trasformazione di Gauss-Green depurata dalla parte esterna si ottiene:

∂ ti = ∂ Σj ij nj = Σj ij,j − ∂ e Σj ij nj (3.22) Raggruppando gli integrali di volume e superficie si ottiene:

fdv + Σjij,j +∂ esdA −∂ e Σjij nj (3.23) e ponendo in notazione assoluta

f +div +∂ e s −n =0 (3.24) Estendendo a tutto Ω, affermiamo che l’equilibrio alla traslazione è verificato dalle seguenti equazioni: ∀p∈Ω

f + div = 0 in Ω (3.25) s −n = 0 in ∂Ω (3.26)

La validità delle 3.25 e 3.26 è subordinata dal porre pari a zero entrambe. Si può dimostrare,per assurdo, la veridicità delle stesse. 3.3.2 Equilibrio alla rotazione. Si consideri un generico braccio x e si ponga l’equilibrio alla rotazione nella forma:

f × x dv +∂ e s × x dA +∂ i t × x ds = 0 (3.27) preso il terzo termine della 3.27 e proiettato sull’asse e3, si ha: ⎤⎡ 100

∂ i ( t × x )⋅ e3 = = x

⎥⎦⎢⎣ 321 ttrammentando che t

⎥⎥

1t2 −x2t1 (3.28)

i =ij nj le 3.28 assumono la forma:

Σj ∂ i x12j nj −x21j nj (3.29)

24

Page 25: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

applicando una trasformazione di Gauss-Green e sottratta la parte di frontiera esterna si ottiene:

Σj i (x12j),j − (x21j),j − ∂ e x12j nj −x21j nj (3.30) Proiettando, analogamente sull’asse e3, le forze di volume e di superficie e raggruppando gli integrali si ha:

x1f2−x2f1+Σj (x12j),j −(x21j),j + +∂ e x1s2 −x2s1 −∂ e x12j nj −x21j nj = 0 (3.31)

Richiamando la seconda equazione di equilibrio alla traslazione è possibile semplificare la 3.31 poiché gli integrali sulla superficie esterna si annullano ottenendo:

x1f2−x2f1+Σj (x12j),j −(x21j),j = 0 (3.32) sviluppando le derivate dei prodotti in parentesi si ha:

Σj (x12j),j = Σj x1,j2j + x12j,j (3.33) Σj (x21j),j = Σj x2,j1j + x11j,j

ed utilizzando le proprietà del kronecker delta si ottiene

21 +Σj x12j,j (3.34) 12 +Σj x21j,j

Raggruppando sotto lo stesso segno dell’integrale di volume si ottiene: x1f2−x2f1 +21 +Σj x12j,j −12 +Σj x21j,j = 0 (3.35)

Richiamando la prima equazione di equilibrio alla traslazione e semplificando si ottiene

21 − 12 = 0 (3.36) e, in definitiva l’importante proprietà per il tensore degli sforzi

21 = 12 ovvero = T (3.37) Ovvero non è un qualsiasi tensore ma bensì appartiene al gruppo dei tensori simmetrici Sym. In definitiva l’equilibrio alla rotazione, per un continuo di Cauchy, si traduce nell’imporre ∈Sym. 3.4 Tensioni e direzioni principali

Consideriamo un qualsiasi punto p∈Ω, chiedendoci se esiste il caso in cui t sia parallelo ad n. In questo caso la relazione n = σn sarà differente solo per una costante di proporzionalità σ.

25

Page 26: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Presa allora la n = σn moltiplicando per I, evidenziando n si ha la forma: (−σI)n = 0 (3.38)

scritta per componenti offre la rappresentazione

(11−σ)n1 +12n2 + 13n3 = 0 21n1 + (22−σ)n2 + 23n3 = 0 (3.39) 31n1 + 32n2 + (33−σ)n3 = 0

Il sistema 3.39 oltre alla soluzione banale n = 0 ne ammetterà altre se e solo se det (−σI) = 0. Sviluppando si ottiene la nota equazione secolare

−σ3 +ITσ2 −IITσ +IIIT = 0 (3.40) dove IT, IIT, IIIT sono rispettivamente, l’invariante primo, secondo e terzo del tensore degli sforzi. Se è simmetrico allora l’equazione secolare ammette 3 soluzioni reali σ1, σ2, σ3. Sostituendo nella 3.39 a σ uno dei valori trovati otterremo un sistema con determinante nullo, ovvero ogni equazione è combinazione lineare delle altre due, quindi ∞1 soluzioni che si riducono ad una mettendo in conto la proprietà che la sommatoria dei quadrati dei coseni direttori vale 1. Trovasi, quindi per ogni autovalore σi il corrispondente auto-vettore normalizzato e conseguentemente 3 giaciture relative alle tre soluzioni. Teorema 3.2. Assegnato il tensore , se accade che n = σn, segue: 1-le tre soluzioni σ1, σ2, σ3 associano le relazioni: σ1→n1, σ2→n2, σ3→n3. 2-la terna n1, n2, n3, è ortogonale. Dimostrazione. Se n1 e n2 verificano rispettivamente le equazioni

n1 = σ1n1 (3.41) n2 = σ2n2

moltiplicando scalarmente per n2 , n1

n1 n2 = σ1n1 n2 (3.42) n2 n1 = σ2n2 n1

sottraendo membro a membro

0 = (σ1−σ2)n2 n1 (3.43) posto che σ1≠ σ2 , dovrà necessariamente risultare n2 n1. Le direzioni così definite assumono il nome di direzioni principali e le corrispondenti tensioni “principali”. Nel riferimento principale il tensore degli sforzi avrà la forma:

ij =0 per i ≠j, ij ≠ 0 per i =j

26

Page 27: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Vogliamo ora verificare l’invarianza della traccia di .

IT =∑i ii (3.44) cambiando riferimento

∑h hh =∑ijh ij nih njh (3.45) essendo la matrice dei coseni ortogonale [ ][ ] =Tnn I si può porre

∑h hh =∑ij ij δij (3.46) Nel caso dell’invariante terzo si ha:

det [ *] = [ N ] [ ] [ N ]T (3.47) e con la proprietà delle matrici ortogonali si ottiene

det [ *] = det [ ] (3.48) 3.5 Stati di tensione particolari Si definisce stato di tensione piano, nell’intorno di un punto p, quando il vettore tensione, concernente qualsiasi giacitura della stella di centro p, appartiene sempre ad un piano π, detto piano delle tensioni. E’ facilmente intuibile, e dimostrabile, che lo stato di tensione è piano se e solo se uno delle tensioni principali in p è nulla. Analogamente si può affermare che si ha stato monoassiale di tensione quando una delle tensioni principali in punto p è nulla. Come visto per l’analisi della deformazione, anche nella analisi della tensione è possibile decomporre il tensore degli sforzi secondo la decomposizione Sph⊕Dev ottenendo:

S = = = σI (3.49)

ove S∈Sph prende il nome tensore sferico e caratterizza lo stato di tensione idrostatica tipico di un liquido perfetto in quiete, entro un recipiente in pressione (principio di Pascal). In particolare, si può affermare che su un qualsiasi elemento p, di un corpo elastico soggetto a pressione idrostatica, il vettore tensione è sempre, e in ogni modo, parallelo alla normale uscente dalla superficie passante per p . In altro modo, per ogni giacitura della stella di piani passante per p, il tensore relativo presenta tensioni tangenziali nulle, comportando così esclusivamente tensioni normali di modulo costante.

33

22

11

0000 T00

T

T

σσ 00

σ

00

00

27

Page 28: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

In altre parole, l’intensità della tensione non dipende dalla giacitura, ovvero ciascuna giacitura della stella risulta essere piano principale, oppure, qualsiasi direzione per p è una direzione principale. Considerando ora la seconda parte della decomposizione tensoriale nei fatti si ottiene:

D = (3.50)

σ−σ− TTT

σ−

332313

322212

312111

TTT

TTT

Il tensore D∈Dev prende il nome di deviatore di tensione e presenta la proprietà di possedere invariante primo nullo. Esso è legato alle tensioni tangenziali presenti nello stato di tensione originario.

La decomposizione del tensore degli sforzi in Sph⊕Dev , la seconda complementare della prima, si rivela utile soprattutto nei problemi di plasticità e nei problemi di verifica della sicurezza strutturale. 3.6 Rappresentazione grafica degli stati di tensione Si consideri uno stato di tensione piano rappresentato da un tensore degli sforzi del tipo:

= (3.51) 0000TT0

2221

1211 TT

Operiamo un cambiamento del sistema di riferimento originale che lasci inalterato l’asse e3. Allora la matrice dei coseni direttori avrà la forma:

N = (3.52) 0000αα− cossen0αα sencos

Rammentando le relazioni che legano il cambio del riferimento, lo stato di tensione, dopo la rotazione, è dato dalla:

* = N NT (3.53) Sviluppando il prodotto 3.53, e ponendo in funzione di 2α si ha la posizione:

σ − (11+22)/2 = [(1122)/2] cos2α+12sen2α (3.54) τ = [(11−22) /2] sen2α+12cos2α

quadrando e sommando le 3.54 si ottiene:

28

Page 29: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

[σ − (11+22)/2]2 + τ2 = 122 + [(11-22) /2]2 (3.55)

la relazione 3.55 che non dipende da α rappresenta l’equazione di un cerchio nel piano σ-τ avente, rispettivamente, centro c e raggio r espressi dalle:

c = [(11+22)/2, 0] ; r = [(11-22) /2]2 +122 (3.56) La 3.56 rappresenta lo strumento per una rappresentazione grafica del variare dello stato di tensione relativo ad un punto p. Nel piano σ-τ le tensioni principali corrispondono all’intersezione del cerchio con l’asse delle tensioni normali σ. Posta eguale a zero la seconda delle 3.53 e divisa per cos2α si ha:

0 = [(11−22) /2] sen2α+12cos2α (3.57)

tg2α = 212/(11−22) ⇒ α = arctg 212 /(11−22) si ottiene così, dalla seconda delle 3.57, il valore dell’angolo cui bisogna ruotare il riferimento iniziale finché esso diventi principale, cioè a componente tangenziale nulla.

29

Page 30: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 4 RELAZIONI COSTITUTIVE

4.1 Assiomi costitutivi in meccanica dei materiali Le equazioni costitutive tengono in conto che i corpi continui possono essere costituiti da materiali diversi. Come nella geometria, dove una volta formulate le leggi generali si può porre l’attenzione allo studio di particolari classi di figure, così in meccanica dei continui si può portare attenzione allo studio di materiali ideali, contraddistinguendo ogni classe da particolari assunti costitutivi. Da un certo punto di vista, la precisazione della classe delle configurazioni possibili, insita nella definizione di corpo continuo, può riguardarsi come ipotesi costitutiva. Essa suddivide i corpi continui nelle classi dei corpi rigidi, deformabili, incomprimibili, inestensibili, ecc.. Formalmente una suddivisione dei corpi continui in sottoclassi avviene introducendo un’ulteriore struttura sul corpo continuo , pervenendo alla nozione di corpo costituito da un certo materiale o corpo materiale.

Si consideri ora, una coppia ( y*, T*) dove y* è un moto di e T*œSym è un campo di tensioni di classe C1 definito sulla traiettoria di y*. Per ogni punto (y,t) della traiettoria di , T* associa il tensore degli sforzi:

T = T*(y,t) (4.1)

La coppia così definita prende il nome di processo dinamico per il corpo . Specificare la natura del materiale costituente il corpo significa specificare l’insieme dei processi dinamici ammissibili. A qualunque classe di processi dinamici ammissibili viene richiesto osservare i seguenti principi generali:

∏ principio di determinismo dello stress. Si afferma che il valore attuale della tensione è determinato dalla storia passata del moto. Analiticamente significa postulare l’esistenza di una funzione tale che:

T* (⋅, t) = (yt) (4.2)

∏ principio di azione locale. In ogni punto xo∈ la tensione è determinata dalla restrizione della storia passata del moto all’intorno di xo. In formule:

x(yt) = T*(y*(x,t), t) (4.3)

Ove è il funzionale di risposta del materiale, ∀x . La relazione 4.3. prende anche il nome di equazione costitutiva del materiale. ∏ assioma di indifferenza delle equazioni costitutive. In altre parole per ogni insieme di tensori ortogonali (t) deve essere:

(t) x(y* t) T (t) = x ( ( y*)t ) (4.4)

30

Page 31: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

4.1.1 Materiali semplici Si definisce materiale semplice un materiale per il quale la tensione nel punto x∈ è determinata dalla storia del gradiente di deformazione.

(t) = (t ) (4.5)

La classe dei materiali semplici è abbastanza vasta da contenere, in pratica, tutti i materiali studiati. L’espressione 4.5 obbedisce automaticamente ai principi di determinismo ed azione locale, mentre il principio di indifferenza materiale comporta le seguenti relazioni:

(t) (t) T (t) = ( t t ) (4.6)

Applicando il teorema della decomposizione polare t = tt, posto t = ( T)t si ottiene:

(t) = (t) (t) T(t) (4.7) L’equazione

(t) = (t) (t) T(t) (4.8)

è la forma ridotta della equazione costitutiva dei materiali semplici. Essa tiene conto automaticamente delle restrizioni imposte dal principio di indifferenza materiale. Inoltre, essa mostra che nella determinazione del campo tensionale, non interviene la storia passata dell’intero gradiente della deformazione , ma solo quella di , mentre la rotazione interviene solo con il suo valore attuale. In altre parole il materiale semplice non ha memoria delle rotazioni passate.

Una delle maggiori difficoltà incontrate nello sviluppo della teoria dei materiali semplici è quella della formulazione di una coerente teoria della plasticità. Le ricerche condotte in questa direzione hanno portato alla definizione di una classe di materiali semplici, i materiali con rango elastico, le cui proprietà sono atte a descrivere quello che comunemente si intende per comportamento elasto-plastico dei materiali. 4.2 Legame costitutivo elastico lineare Si consideri una molla monodimensionale costituita da materiale elastico le cui proprietà siano espresse dalla costante k. Nella ipotesi 1-D, sia P l’intensità della forza applicata all’estremo libero della molla che, invece, sull’estremo opposto risulta incastrata. Sia u lo spostamento generato dalla forza nella direzione assiale. Considerando un opportuno intervallo geometrico, attraverso semplici considerazioni di equilibrio, si deduce che l’equazione di equilibrio della molla assume la forma:

N = k∇u (4.9) La 4.9 assume la definizione di equazione costitutiva della molla elastica e lineare.

31

Page 32: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Estendendo la 4.9 al caso tridimensionale, restando ferme le ipotesi di linearizzazione viste in precedenza, si ottiene la funzione di risposta per un materiale elastico lineare:

= ∇ ∇u (4.10) la 4.10 rappresenta, altresì, la legge costitutiva per un materiale elastico lineare. Fatta la posizione che definisce il tensore elastico

∇ = (4.11)

si ottiene la seguente relazione sforzo-deformazione

= ∇u (4.12) Dalla, già nota, decomposizione del gradiente dello spostamento è dimostrabile una proprietà della 4.12 ovvero, detto K∈Skw si ha:

(K ) = 0 ∀K∈Skw (4.13) La 4.13 afferma che una qualsiasi deformazione rigida non altera lo stato di tensione. Conseguentemente, la 4.12 assume dipendenza solo dalla parte simmetrica del gradiente dello spostamento quindi, nel caso elastico lineare, diventa:

= (4.14) Dalla 4.12 segue che la funzione di risposta per materiale elastico è caratterizzata dalla seguente trasformazione:

: Lin+ × →Sym mentre nel caso lineare si ha la formulazione: ∀p∈

∃: → Sym ⇒ = La relazione 4.12 non è che la più generale relazione lineare tra ij ed ij. Il tensore del 4° ordine , è definito anche come la matrice delle costanti elastiche che caratterizza il materiale. Se il corpo è fatto dello stesso materiale, allora le ijrs sono indipendenti da x (corpo omogeneo), altrimenti esiste una dipendenza (corpo non omogeneo). In conseguenza del fatto, già dimostrato, che la coppia di tensori (, )∈Sym, il tensore sarà anch’esso un tensore simmetrico quindi, apparterrà anch’esso allo spazio Sym . Il tensore elastico presenta particolari proprietà di simmetria, distinte come: -simmetrie minori: ijrs = jirs, ijrs= ijsr -simmetrie maggiori = T , in componenti ijrs = srij

-simmetrie elastiche

32

Page 33: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Riguardiamo con attenzione queste ultime proprietà del tensore dimostrando inizialmente le proprietà della simmetria maggiore.

In questo caso, la simmetria maggiore impone = T ovvero in componenti ijrs = rsij. Il significato fisico, per tale proprietà, è descritto ipotizzando di operare nello spazio descritto dal tensore della deformazione , stabilendo una curva la cui equazione è funzione del parametro temporale t: = (t) con t0<t<t1.

Ciò rappresenta una successione continua di deformazioni impresse al corpo, ed il lavoro di deformazione vale:

W() =!t (t) ÿd /dt (4.15)

sostituendo con la 4.14

W() = !t (t) ÿd/dt (4.16) L’integrando vale:

d/dt (ÿ ) = d/dt ÿ + ÿd/dt (4.17) se è simmetrico allora (ÿ)= (ÿ ) = ( ÿ) quindi i termini al 2° membro della 4.17 coincidono e, conseguentemente:

d/dt (ÿ ) = 2 ÿ d/dt (4.18) la 4.16 diventa

W() = !t ½ ((t)ÿ = ½ [ ÿ]t1- to (4.20) e posto (t0) = 0 si ha

W() = ½ (ÿ) (4.21) Allora, se verifica le proprietà della simmetria maggiore, il lavoro di deformazione è funzione solo di (t ) e non del percorso effettivo, quindi W è funzione potenziale per .

La W = W ( ) prende il nome di densità di energia potenziale elastica (poiché è riferita ad un generico intorno) e dipende esclusivamente dalle proprietà costitutive del materiale.

Inoltre, è osservabile che la funzione W è rappresentativa della applicazione W: SymØ rappresentando, in tal modo, il funzionale della densità di energia di deformazione.

Una ulteriore proprietà del tensore elastico è quella della simmetria elastica. Per dimostrare tale proprietà, supponiamo di applicare, ad un continuo elastico, uno stato di deformazione tale che l’unica componente non nulla sia 11 = 1. Lo stato di tensione derivante sarà conseguentemente ij = ij11 .

33

Page 34: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Se lo stato di deformazione viene variato, in modo che lo stato di deformazione sia espresso dall’unica componente diversa da zero 22 = 1, lo stato di tensione derivante sarà ij = ij22. Se è verificata l’eguaglianza ij11 = ij22 , allora si può affermare che il materiale ha manifestato proprietà di simmetria elastica. Teorema 4.1: Sia un corpo elastico soggetto ad un campo di deformazione descritto attraverso il tensore œSym e sia œOrth un campo di tensori ortogonali. Applicato su un ulteriore campo di deformazione *, in relazione con il primo attraverso la relazione: * = T, allora si ha: -*œSym -, * hanno le stesse componenti principali -se n è direzione principale di , Tn è direzione principale per *. Dimostrazione: svolgiamo il trasposto di *

*T = (T)T = TT = T = * (4.22) per la seconda ipotesi deve essere n = λn e anche *n* = λ*n*. Sostituendo l’espressione di * e moltiplicando a sinistra per T e si ha:

TTn* =λ*Tn* (4.23) e ricordando le proprietà dei tensori ortogonali

Tn* =λ*Tn* (4.24)

La relazione 4.24 afferma che Tn* è una direzione principale di e λ* ne rappresenta una componente principale. Restano così dimostrate contemporaneamente la seconda e la terza ipotesi. In tal caso , * possono essere interpretate come la stessa deformazione ruotata di due quantità diverse.

Il conseguente stato di tensione, verrà rappresentato dai tensori , * per entrambe le rispettive deformazioni e, risulterà possibile che sia verificata o meno la relazione

* = T (4.25) Nel caso affermativo diremo che, al ruotare della deformazione è ruotata anche la tensione della stessa quantità, quindi il materiale ha rilevato certe proprietà di simmetria definite come simmetrie elastiche. Altresì, la 4.25 si può porre nella forma:

* = ()T (4.26) o anche per la 4.22

(T) = ()T (4.27)

34

Page 35: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La restrizione 4.27 può valere per certi tensori ortogonali , e per altri

non valere; da ciò ha origine il concetto di Gruppo di Isotropia del materiale caratterizzato dal tensore .

Definizione 4.1: Gruppo di isotropia, per un materiale è l’insieme dei tensori ortogonali per cui vale la restrizione (4.27). Definizione 4.2: Un materiale si dice isotropo se il suo gruppo di isotropia è costituito da tutti i tensori ortogonali che verificano le restrizioni 4.27 Vediamo, infine, una ulteriore restrizione sul tensore elastico. Teorema 4.2: Un materiale elastico lineare è isotropo se il tensore elastico ha la forma:

ijrs =λδijδrs + µδirδjs + δisδjr (4.28) e, viceversa per ogni materiale isotropo vale la 4.28 Dimostrazione: Si consideri la 4.14 in forma indiciale:

ij = ijrs rs (4.29) e si sostituisca il tensore elastico con la forma 4.28

ij = Σrs ijrs rs (4.30) ij = Σrs [λδijδrs rs + (µδirδjs + δisδjrrs)]

Il primo membro del secondo termine, nella seconda delle 4.30, può semplificarsi come:

Σrs λδijδrs rs ≡ I (4.31) mentre i termini al secondo membro possono essere posti come:

Σr δir rs = is (4.32) Σs δjs is = ij

Conseguentemente, dalle proprietà della notazione indiciale, si può scrivere la 4.29 nella forma finale

ij = λδij Σr rr + 2µ ij (4.33) che in forma assoluta diventa:

= 2µ + λI I (4.34)

35

Page 36: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La 4.34 prende il nome di equazione di Lamè dove λ, µ prendono il nome di coefficienti di Lamè. Diventa, ora, possibile la seguente: Definizione 4.3: Un materiale elastico lineare è isotropo se per ogni tensore ortogonale vale l’equazione di Lamè (4.34) 4.2.1 Costanti elastiche per il solido isotropo Nella pratica ingegneristica sono utilizzate delle costanti elastiche diverse da quelle presenti nella equazione di Lamè. E’ possibile definire queste costanti come:

• Modulo di elasticità longitudinale (Young): è il rapporto tra la trazione

(compressione) che viene applicata ad un elemento unitario e l’allungamento che lo stesso subisce. In formula:

E = 11 / 11 (4.35)

• Modulo di elasticità tangenziale: E’ il rapporto tra lo sforzo di taglio che si

applica ad un elemento unitario e lo scorrimento che esso subisce. In formula:

G = 12 /12 (4.36)

• Coefficiente di elasticità trasversale (Poisson). E’ il rapporto tra la contrazione trasversale e l’allungamento longitudinale nel caso della trazione semplice. ( o l’accorciamento nel caso della compressione). In formula:

ν= − 22 / 11 (4.37)

4.2.2 Relazione tra i moduli elastici ed i coefficienti di Lamè Nella definizione dei moduli E, G, ν è stata considerata la tensione come variabile indipendente. Viceversa nella equazione di Lamè è invece la deformazione ad assumere tale ruolo. Per determinare la relazione tra moduli e costanti determiniamo, prima, l’inversa della equazione di Lamè. Per fare ciò moltiplichiamo entrambi i membri della 4.34 per il tensore identico I ottenendo:

I = 2µ I + λI3 = I(2µ + 3λ) (4.38) ricavando in tal modo l’invariante primo di come:

I = I /(2µ + 3λ) sostituendo nella 4.34 si ha:

= 2µ + λ I I /(2µ + 3λ) (4.39) si ricava dalla forma inversa della 4.34:

36

Page 37: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

= ½µ [ − (λ / 2µ + 3λ) Ι Ι ] (4.40) Consideriamo ora uno stato monoassiale di tensione ove è 11 =1 ed applichiamo la 4.40 per componenti, trovando:

11 = ½µ [ 11− (λ / 2µ + 3λ)11 ] (4.41) sviluppando entro parentesi

11 = ½µ ( 2µ + 3λ − λ / 2µ + 3λ ) (4.42) semplificando si ottiene

11 = µ + λ / µ(2µ + 3λ ) (4.43)

Analogamente per le altre componenti normali del tensore della deformazione si ha:

22 = 33 = − ½µ [ λ / (2µ + 3λ )] (4.44) è evidente che per le componenti di scorrimento risulta: 12 = 13 = 23 = 0 (4.45) E’ possibile, ora, determinare la relazione tra i moduli e le costanti di Lamè. Nel caso del modulo elastico longitudinale si ha:

E =11 / 11 = 11 µ(2µ + 3λ )/(µ + λ) = µ(2µ + 3λ )/(µ + λ) (4.46) nel caso del coefficiente di Poisson

ν= − 22 / 11= ½µ [ λ / (2µ + 3λ )] [ µ(2µ + 3λ)/µ + λ] = = λ / 2(µ+λ) (4.47)

Riguardo il coefficiente di elasticità tangenziale G supponiamo ora agente uno sforzo di taglio puro 12=1 sull’elemento unitario piano. L’applicazione dell’equazione di Lamè invertita trova:

12 =12 / 2µ (4.48) Per le altre componenti si ha: 11 = 22 = 33 = 13 = 23 = 0. Segue la determinazione di G :

G = 12 /12 = 12(2µ/ 12 ) = µ (4.49) 4.2.3 Ortotropia- Anisotropia Riguardo le simmetrie materiali, si è precedentemente enunciato il concetto di gruppo di isotropia , come l’insieme dei ∈Orth tali che ∀∈Sym valga la 4.27.

37

Page 38: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Per verificare quest’ultima è sufficiente verificare che sia effettivamente un gruppo, ovvero:

∈ ⇒ −1∈ (4.50) , ∈ ⇒ ∈

Allora, ne consegue la seguente: Definizione 4.4: Un materiale è isotropo se il gruppo di simmetria ≡ Orth. Viceversa è anisotropo se il gruppo di simetria ⊂ Orth. Nelle applicazioni alla scienza dei materiali, sono infiniti i numeri di sottogruppi del gruppo ortogonale ma, dodici di essi sono tali da descrivere, in maniera esaustiva, il reale comportamento anisotropo dei materiali. In particolare i primi 11 sottogruppi di Orth, denotati come ij corrispondono alle già note 32 classi di cristalli. Coleman & Noll hanno formulato una lista dei generatori per ciascuno di questi sottogruppi partendo da una base ortonormale k,l,m e da un tensore ortogonale e

ϕ, corrispondente alla rotazione dell’angolo ϕ rispetto all’asse in direzione e. Il dodicesimo sottogruppo 12 consente la seguente: Definizione 4.5: Un materiale è definito trasversalmente isotropo, rispetto ad una generica direzione m, quando è costituito dal gruppo 1, generatore unitario, e dalla rotazione m

ϕ, con 0 < ϕ < 2π. Isotropia trasversale caratterizza i materiali compositi del tipo laminati. Definizione 4.6: Un materiale è definito ortotropo quando il suo gruppo di simmetria ij contiene la riflessione di tre piani mutuamente ortogonali. 4.2.4 Teoremi di risposta per i materiali isotropi. Teorema 4.3: si assuma un materiale elastico lineare e isotropo, allora: -la risposta per un’uniforme dilatazione è una uniforme pressione. Allora esiste una costante positiva k chiamata, modulo di compressione, tale che:

[≡ ] = 3k (4.51) -la risposta per un semplice scorrimento è un puro taglio. Allora, per ogni m,n versori ortogonali, esiste una costante µ, detta modulo di taglio, tale che:

[sym(m⊗n)] = 2µsym(m⊗n) (4.52) -se tr = 0 allora:

°= 2µ° (4.53) Teorema 4.4: Si assuma un materiale elastico lineare isotropo con la restrizione 2µ≠3k. Allora la trasformazione lineare ha solo due valori caratteristici, 3k e 2µ, tali che lo spazio che caratterizza 3k è l’insieme di tutti i tensori della forma α.

38

Page 39: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Viceversa lo spazio caratteristico corrispondente a 2µ è l’insieme di tutti i sym a traccia nulla (°). Definizione 4.7: Per un materiale isotropo se µ≠0 e 2µ+3λ≠0 allora:

=(1/2µ)−[λ/2µ(2µ+3λ)]tr ∀∈Sym (4.54) segue che il tensore elastico è invertibile ed il suo tensore inverso = -1 è ammesso dalla relazione:

[]=1/2µ[−(λ/2λ+3λ)tr ] ∀∈Sym (4.55) Come immediata conseguenza della 4.7, assunta una base ortonormale eii=1,2,3, dalla relazione = , assunto uno stato tensionale , nella forma di puro taglio, il corrispondente campo di deformazione assumerà la forma:

= = (4.56) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

0000000

ττ

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

0000000

εε

ed il valore delle componenti ε sarà pari a (1/2µ)τ. Analogamente nel caso di uniforme pressione si ha:

= −p = (4.57) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

100010001

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

εε

ε

000000

il valore che assumeranno le componenti ε sarà pari a −(1/3k)p, con k=⅔µ+λ. Infine nel caso della trazione pura si ha:

= = (4.58) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

00000000σ

⎥⎥

⎢⎢

32

1

000000

εε

ε

in tal caso si avrà: ε1=(1/E)σ , ε2=ε3= −(ν/E)σ = −νε1, ottenute rammentando le espressioni del modulo di elasticità longitudinale E = µ(2µ+3λ)/(µ+λ), e del modulo di elasticità trasversale, ν=λ/2(µ+λ), noto anche come coefficiente di Poisson. Infine, presa l’inversa della equazione di Lamè nella forma:

=1/Ε [(1+ν)−νtr] (4.59) segue la considerazione che quando un solido elastico è stirato, la sua lunghezza aumenta, mentre il suo volume decresce quando soggetto a pressione. Infine per uno sforzo di taglio positivo una analoga deformazione di puro scorrimento si manifesta. Inoltre, uno sforzo di pura trazione comporta una contrazione nella direzione perpendicolare alla direzione dello stesso. Tutto ciò comporterà le seguenti restrizioni sulle costanti elastiche:

E > 0; µ > 0; k > 0; ν>0 (4.60)

39

Page 40: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

4.2.5 Materiali con rango elastico Si definisce materiale con rango elastico un materiale semplice per il quale ad ogni storia della deformazione t è possibile associare in insieme (t ) con le seguenti proprietà: ∏ (t ) è una regione regolare dello spazio dei tensori del secondo ordine ∈ Lin+ (determinante positivo) ∏ ∀ t $ t> 0 tale che i valori di t compresi in ( 0, t )Õ * (t ) ∏ La regione associata alle continuazioni di t contenute in * (t ) è (t ) ∏ Per le continuazioni q di t ∈ * (t ), la tensione dipende solo dal valore attuale Fq (0) della storia continuata. (t ) è la regione elastica associata a t, le continuazioni contenute in * (t ) sono le continuazioni elastiche di t, mentre quelle in cui i valori relativi agli instanti successivi a t sono esterni a (t ) e rappresentano le continuazioni anelastiche. L’ultima proprietà afferma che ad ogni storia t si associa una funzione gFt, definita su * ( t ) a valori tensoriali tale che:

= gt () (4.60.1)

Definita la funzione di risposta del materiale in (t ). Considerando variazioni della storia della deformazione si può porre:

°(t) = “ gFt ( (t)) °(t) + δgFt (°(t)) (4.60.2)

Dove si mostra che, ° (t) è dato dalla somma di una parte lineare in °(t) e di una parte dipendente dalla variazione della funzione di risposta. Si può quindi porre δgt (°(t)) = 0 per continuazioni elastiche δgt (°(t)) ≠ 0 per continuazioni anelastiche Detti (t) e (t) i gradienti di gFt e di δgFt in (t) la tensione prende la forma (t) = (t) °(t) per continuazioni elastiche (4.60.3) (t) = (t) °(t) per continuazioni anelastiche Di questo tipo sono le equazioni fenomenologiche della plasticità, in pratica quelle dei materiali elasto-plastici incrementali. 4.2.6. Materiali con memoria evanescente Nella definizione di materiale semplice si è assunto che la tensione è determinata dalla storia passata del gradiente di deformazione. Tuttavia, risulta abbastanza difficile ammettere, anche in sola linea di principio, che sia possibile conoscere l’intera storia passata di . Per porre rimedio a questa difficoltà s’ introduce il principio della memoria evanescente il quale afferma, in sostanza, che agli effetti della determinazione di , le deformazioni subite nel passato sono di tanto minore importanza quanto più sono lontane nel tempo. Per definire meglio

40

Page 41: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

questo concetto, data una storia di deformazione si definisce storia costante e relativa perturbazione associata a , le storie ° e *t così definite:

°(s) = t(0); *t(s) = t(s) – t(0); s∈[0, ¶) (4.60.4) e diciamo, tensione residua associate a ° la tensione °

° (t) = ℑ (°) (4.60.5) Ovvero, la (4.60.5) è tensione che si manifesta nel materiale assoggettato alla storia costante °. In altri termini ° è la tensione che si manifesta nel materiale che non si deforma da un tempo infinito. Ovviamente cessa la dipendenza dal tempo e quindi °(t) = ° = cost. .Ritornando ad una generica storia F t poniamo la tensione nella forma:

(t) = (°) + (*t) (4.60.6) Ponendo che (0) = 0 per *t = 0 si ha:

(F°) = ℑ(°) = ° (4.60.7)

quindi, la tensione si può scrivere come:

(t) = ° + (*t) (4.60.8)

Una conseguenza del principio della memoria evanescente è che, se si esegue una singola perturbazione nell’intorno di un istante t, assegnato man mano che essa si allontana nel passato, la sua misura tende a zero e quindi la tensione tende alla tensione residua °. Questo effetto è detto rilassamento della tensione, o comunemente scarico di tensione (es. tipico nei problemi di precompressione nelle strutture in c.a.). 4.3 Stati limiti di plasticità Per la trattazione del fenomeno, per semplicità, omettiamo alcuni fenomeni quali lo scorrimento viscoso, effetti termici, fenomeni a scala microscopica, isteresi, effetto Bauschinger. Sotto tali ipotesi ammettiamo che il superamento del limite elastico (snervamento) per il materiale dipenda solo dallo stato di tensione e dallo stato di deformazione plastica. Si definisce così una funzione detta funzione di snervamento (ij , ijP) configurata come l’equivalente della prova monoassiale. Per ogni combinazione dello stato di tensione si ha nella transizione elastica-plastica la funzione:

(ij , ijP) = 0 (4.61)

detta anche condizione di plasticità o criterio di snervamento. Il legame (4.61) è difficile da caratterizzare in quanto dipendente dalla storia del materiale e dalla storia del carico. Per semplificare la relazione ammettiamo che la (4.61) abbia dipendenza dalla deformazione plastica attraverso un solo parametro:

41

Page 42: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

(ij ) = ( ijP) (4.62)

La (4.62) ha un preciso significato geometrico nello spazio delle tensioni principali ove le stesse possono essere riguardate come coordinate di un punto tensione ≡(σI , σII , σIII ), cui la condizione di plasticità impone di trovarsi sulla superficie (ij ) = che assume il nome di superficie di snervamento . Riguardo il parametro questi è assunto funzione del lavoro di deformazione plastica:

(ij ) = (W P) (4.63) con

W P = ∫ ij dijP (4.64)

con l’integrale esteso all’effettivo percorso. Qualora il comportamento del materiale (come nel caso metallico), si assuma perfettamente plastico, la condizione di plasticità si scrive:

(ij ) = 0 (4.65) Nel caso isotropo la funzione ha dipendenza dallo stato di tensione attraverso gli invarianti: ( I1, I2, I3) = 0 (4.66) e ricordando, che la parte idrostatica non comporta deformazioni plastiche apprezzabili, si può porre la 4.66 in termini di parte deviatorica: (I2, I3) = 0 (4.67) 4.3.1 Problema dell’equilibrio elastico-plastico Si consideri il corpo nella sua configurazione Ω, in fase elasto-plastica e siano assegnate le forze di volume f , le forze di superficie s, oltre al campo di spostamenti sulla frontiera vincolata ∂1Ω. Per ogni variazione temporale dt, gli incrementi differenziali delle componenti di deformazione dij e delle componenti di spostamenti du dovranno verificare le equazioni di congruenza e di vincolo. Parimenti anche gli incrementi differenziali delle forze esterne e delle componenti di tensione dovranno verificare le equazioni di equilibrio, in termini delle corrispondenti velocità. Riferendoci alle derivate rispetto al tempo, sono da verificare le seguenti espressioni espresse in termini di velocità di variazione:

dij = ½( dui,j +d uj,i ) (Ω) (4.68) dui = dui * (∂1Ω)

div d + df = 0 (Ω) ds = d n (∂2Ω)

42

Page 43: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La formulazione completa dell’equilibrio elastoplastico necessita della presa in considerazione delle (4.68) , della condizione di plasticità e dei legami costitutivi tipo elastico ed elasto-plastico (relazioni di Melan) dij = (ijhk + a ÿ (∂ /∂ij ) (∂ /∂hk )dhk (4.69)

ove a = 0 nella fase elastica e a = 1 nella fase plastica; ÿ è una funzione legata alla storia della deformazione. 4.3.2 Principi di estremo Analogamente al caso elastico è possibile formulare il problema di equilibrio per un solido in regime elasto-plastico secondo una metodologia variazionale. Formalmente il problema è analogo salvo a differenziare tensioni e deformazioni assegnando loro carattere di velocità di tensione e di deformazione. Quindi, sarà possibile la seguente: Definizione 4.8: una distribuzione d delle velocità di deformazione è definita cinematicamente ammissibile se dedotta da velocità di spostamento du tali che: dij = ½( dui,j +duj,i ) (Ω) (4.70) dui = dui* (∂1Ω) a tale distribuzione corrisponderanno delle velocità di tensione dij non necessariamente equilibrate. Conseguentemente l’espressione del teorema degli spostamenti virtuali (in termini di velocità), scritta per variazioni congruenti, può essere posta come l’equazione variazionale per la stazionarietà del funzionale: J (dEi , dui ) = ½ ∫ ij dij - ∫ dfi dvi dΩ - ∫ dsi dvi d∂Ω (4.71)

Analogamente una distribuzione delle velocità di tensione è detta staticamente ammissibile se soddisfa: div (∇u) + f = 0 (Ω) (4.72) s = (∇u) n (∂2Ω)

e, nel caso di plasticità perfetta: (ij ) ≤ 0 (4.73)

Applicando il teorema delle velocità delle forze virtuali, per le variazioni del campo di velocità delle tensioni, si trova la condizione di stazionarietà per il funzionale: K ( dTij , dsi ) = - ½ ∫ dTij dEij + ∫ dsi dvi d∂2Ω (4.74)

Come nel caso elastico, fatta la differenza tra i due funzionali si trova:

43

Page 44: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

minJ = max K (4.75) con J = K solo per la soluzione effettiva 4.3.3. Collasso plastico. Teoremi dell’analisi limite Nello stato perfettamente plastico non esistono stati di tensione rappresentabili all’esterno della superficie di snervamento. Nel caso in cui è (ij ) = 0 la deformazione plastica procede indefinita, senza necessità di incrementi di tensione e, conseguentemente, parleremo di collasso plastico affermando che la particolare distribuzione del carico costituisce un sistema limite di carico mentre, la corrispondente velocità di deformazione rappresenta un meccanismo di collasso. Siano fi e si un sistema di forze agenti sulla configurazione Ω e procediamo ad un aumento graduale delle stesse attraverso un parametro “ m “ detto coefficiente di sicurezza, quando mfi ed msi sono un sistema limite di carico, mentre la corrispondente distribuzione delle velocità di deformazione è un meccanismo di collasso d = dP.

Le corrispondenti tensioni saranno in equilibrio con m*fi , m*si attraverso il coefficiente m* “moltiplicatore cinematicamente ammissibile” associato alle dij.

Analogamente °ij è staticamente ammissibile per il collasso qualora il suo punto rappresentativo è interno o appartiene alla superficie (ij ) = 0 . Le d°ij non verificheranno le equazioni di congruenza mentre le d°ij saranno equilibrate con m°fi , m°si dove m° è il “moltiplicatore staticamente ammissibile” associato alle d°ij .

Lo stato finale non lascia prevedere una distribuzione unica delle tensioni, quindi prese due distribuzioni di tensione d1, d2 associate allo stesso meccanismo di collasso dP , la loro differenza deve risultare auto-equilibrata e l’equazione dei lavori virtuali diventa:

∫ (d1 - d2 ) dP dΩ = 0 (4.76)

Se S′ e S″ sono i punti rappresentativi di stati tensionali sulla superficie di snervamento, essendo quest’ ultima convessa, l’angolo S′ S″∧ n sarà minore di 90° per cui il prodotto scalare:

∫ ( d1 - d2 ) dP > 0 (4.77)

Ma questo contrasta l’equazione dei lavori virtuali poiché, assunto che P ≠ 0; seguirà necessariamente l’ eguaglianza d1 = d2 ovvero, l’unicità della soluzione nel meccanismo di collasso effettivo. Vediamo ora di determinare le limitazioni inferiori e superiori per il coefficiente di sicurezza m. Assunto, un sistema cinematicamente ammissibile dui , dij e un sistema equilibrato rappresentato dalle differenze:

(m°fi - m*fi ) , (m°si - m°si) , ( °ij – *ij ) (4.78) scrivendo l’equazione dei lavori virtuali:

(m° - m*) (∫ dfi d vi dΩ + ∫ dsi dvi d∂Ω = ∫( °ij – *ij )dij (4.79)

44

Page 45: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

con dij coincidente con dP. Essendo coincidenti le due velocità deformazione plastica, il punto * dovrà trovarsi sulla superficie (ij) = 0 , mentre il punto ° sarà interno o al più sulla frontiera.

Superficie di snervamento e collasso plastico.

Il piano tangente al punto * lascia ° da una parte, per questo l’angolo °*∧ n(E pij ) § 90° quindi:

(°ij – *ij ) dij ¥ 0 (4.80) conseguentemente:

( m° - m* ) ¥ 0 (4.81) Ovvero, la differenza tra i moltiplicatori è sempre positiva salvo per m° = m*, cioè quando si è in corrispondenza dell’unica soluzione contemporaneamente cinematicamente e staticamente ammissibile (soluzione effettiva), ritrovando così il noto risultato della teoria variazionale: min m° = max m* (4.82)

Dalle (4.81 e 4.82), nel caso di solido perfettamente plastico, segue la validità dei seguenti due teoremi: Teorema 4.5: la totalità dei moltiplicatori cinematicamente ammissibili m* ha come inf. il coefficiente di sicurezza m del sistema di forze applicate. Teorema 4.6: la totalità dei moltiplicatori staticamente ammissibili m° ha come sup. il coefficiente di sicurezza m del sistema di forze applicate. La disuguaglianza (4.81) sussiste purché la quantità, velocità del lavoro virtuale, che le forze effettive compierebbero in corrispondenza delle velocità virtuali dvi del meccanismo sia positiva:

d ° = ∫ si dvi d∂Ω + ∫ fi d vi dΩ > 0 (4.83)

45

Page 46: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

I due teoremi del collasso plastico costituiscono i fondamenti dell’ analisi limite, anche se, presentando la limitazione di non fornire alcun criterio riguardo la deformazione plastica locale, comportano un serio inconveniente poiché la deformazione del solido potrebbe raggiungere valori inaccettabili allo approssimarsi del limite di collasso. 4.4 Viscoelasticità Questi stati sono tipici di alcuni materiali che posseggono caratteristiche sia dei solidi elastici sia dei fluidi viscosi. Due classiche esperienze sono alla base della descrizione dei fenomeni viscoelastici, in particolare il fenomeno del creep, ove dietro l’applicazione di una forza, in un tempo unitario, la deformazione cresce nel tempo fermo restando costante il valore della forza. Duale esperienza è quella del rilassamento dove, applicata una deformazione istantanea si riscontra un andamento della forza decrescente gradualmente tendendo ad un limite finito quando il tempo tende ad infinito. Il legame costitutivo per un materiale visco-elastico può porsi nella forma:

= ℑ(t) (4.84)

Ove la ℑ è una funzione tensoriale di tutta la storia della deformazione. Il principio di indifferenza consente di scrivere:

(t) (t) T(t) = ℑ(t) (t) ∀(τ) (4.85) Introducendo la funzione tensoriale ¡ C (τ) data da:

¿ C(τ) = U-1 ℑU (τ ) U-1 (t) (4.86) essendo C ed U degli opportuni tensori di deformazione da cui, si ha la completa caratterizzazione costitutiva del materiale viscoelastico lineare:

(t) = (t ) ¿ C(τ) T(t ) (4.87)

Il comportamento fisico di un materiale visco-elastico è modellizzato facendo ricorso ai due stati ideali, solido e liquido, nel rapporto tensione-deformazione. Nel caso isotropo elastico si ha:

ij = 2µ ij+ λ δij Σ r rr (4.88) Nel caso viscoso lineare subentra la velocità di deformazione e si ottiene:

ij = 2η dij + υ λ δij Σ r drr (4.89)

Dove η è il coefficiente di viscosità e υ la viscosità di volume. Le espressioni (4.88 e 4.89) sono note anche come relazioni di Newton. Formuliamo ora una trattazione analitica dei casi classici:

46

Page 47: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

-caso dell’elasticità ritardata Se lo stato di deformazione, nella interazione elastico viscosa, è determinato dalla prima è possibile sovrapporre la risposta in termini di tensione

ij = eij + vij (4.90)

Sostituendo le (4.88,4.89) nella (4.90) si ha la relazione di risposta visco-elastica:

ij = 2µ ij + 2η d + δij ( λ Σ r rr + υ Σ r drr) (4.91)

ricorrendo alla decomposizione tensoriale:

= S + D con S∈Sph, e D∈Dev (4.92)

È possibile decomporre la risposta visco- elastica nella parte sferica (ove e sono rispettivamente modulo di bulk e la viscosità di volume) ed in quella deviatorico:

Sij = 3 Σ rrr + 3Σ rdrr (4.93)

Dij = 2µ ij + 2ηdij (4.94) - caso dello scorrimento viscoso Se nella interazione tra la fase elastica e la fase viscosa lo stato di tensione è determinato dalla fase elastica è possibile porre:

dij = deij + dvij (4.95)

e scrivere, nel caso di tensione costante:

ij (t) = (°ijt/2η)+°ij (4.96) Introduciamo, per una trattazione più compatta, degli operatori che mettono in relazione le componenti deviatoriche dello sforzo e della deformazione:

ij = 2µ ij (4.97)

dove , sono operatori differenziali lineari del tipo:

= ao +a1 d/dt + a2 d 2/dt2 +…..am d m/dtm (4.98) = bo +b1 d/dt + b2 d 2/dt2 +…..bm d m/dtm

con am , bm combinazioni delle costanti elastiche. Sommando alla (4.97) la parte isotropa, si ottiene la relazione generale per un materiale nello stato viscoelastico lineare comprimibile:

ij = 2µ ij + δ( − 2/3µ ) IE (4.99)

47

Page 48: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

posto il termine in parentesi uguale a Λ, si ha la forma definitiva per la relazione costitutiva :

Tij = 2µ Eij + δΛ IE (4.100)

integrando, attraverso l’utilizzo della trasformata di Laplace si trova:

ij = 2µ∫t (t−τ) ij(τ) dτ + δij ∫t (t −τ)IE(τ) dτ (4.101)

la (4.101) rappresenta l’equazione di Boltzmann per lo stato viscoelastico con , funzioni di memoria per la tensione. Lo stato tensionale, funzione del tempo t,

all’istante t è espresso dagli integrali, estesi a tutto l’intervallo di tempo [0, t), nei quali compaiono i valori istantanei applicati all’intervallo (τ, τ+dτ). Le funzioni ,

possono essere introdotte come postulati nella definizione di materiali con memoria. Il problema di equilibrio per il caso viscoelastico, si basa formalmente come l’ analogo elastico. Bisogna determinare un campo di tensione ed un campo di deformazione relativi ad un corpo con la sua configurazione W e frontiera ∑W , composta da una parte libera e da una parte vincolata. Le forze agenti sono di volume fi e superficie si. Nel caso quasi statico, trascurando le forze di inerzia, si hanno le identiche espressioni del problema elastico cui andrà aggiunta la relazione: ij = 2µ ij + δΛ IE (4.102) Nel caso elastico la soluzione dipende dalla configurazione istantanea e dai valori assegnati sul bordo, mentre nel caso viscoelastico è influenzata dalla intera storia del processo. Il procedimento più rapido per calcolare la soluzione è fondato sull’utilizzo delle trasformate di Laplace che trasformano il problema iniziale in un problema elastico delle variabili trasformate. 4.5 Termoelasticità La termoelasticità è un notevole esempio di stato anelastico rappresentato dalla presenza di una energia termica che interagisce con il mezzo continuo attraverso la deformazione del corpo. Supponiamo che la deformazione del solido dipenda dalla tensione e dalla temperatura; si osserva, nel caso isotropo, che una variazione di temperatura , a partire da un valore iniziale °, comporta una variazione delle sole componenti di deformazione:

ij = δij α (4.103)

dove α è il coefficiente di dilatazione termica, mente l’apice nelle ij rappresenta la dipendenza esclusiva dalla temperatura. Richiamiamo la forma inversa della equazione di Lamè

ij = 1/2µ[ ij − δij (λΣiii / 3λ+2µ)] (4.104) Lo stato di deformazione effettivo è dato dalla composizione additiva:

48

Page 49: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

ij = ij+ Eij = δij α +1/2µ[ ij − δij (λΣiii / 3λ+2µ)] (4.105)

Le componenti di tensione assumono la forma:

ij = 2µij + δij (λIE − α ) (4.106)

dove α = (2µ+3λ)α. Le (4.105 e 4.106) sono determinate dalla decomposizione della deformazione, in una parte elastica ed in una parte termica. Altre relazioni si hanno, considerando il rilassamento delle fluttuazioni di temperatura nel solido, dovute alla influenza della deformazione sulla temperatura stessa. Definiamo ( , ij) energia interna e ( , ij) l’entropia del solido, riferite entrambe all’unità di volume. Fatta la posizione * = ° + , dalla termodinamica segue:

d − *d = Tij dij (4.107)

derivando la (4.107) rispetto a *, ij , raggruppando e semplificando si ottiene la variazione di entropia per il solido:

d = (cv / °) d + α αIE (4.108)

La (4.108) è una relazione per la temperatura ma, a completezza del problema, è necessario introdurre un’ altra relazione per . Sia:

i = − (4.109) la legge di Fourier per la conduzione del calore, ove i sono le componenti del vettore flusso di calore e il coefficiente di conduttività termica . Considerata l’entropia :

i,i = − ° d /dt (4.110)

l’equazione di Fourier diventa:

° d = “ dt (4.111)

fatta la posizione χ = α °, confrontando con la (4.108) si trova:

“ = cv •+χ IE• (4.112)

le relazioni (4.108) e (4.112) consentono la formulazione completa per l’analisi dei problemi di termoelasticità nel caso di interazione temperatura deformazione elastica. La (4.112) prende il nome di relazione di Duhamel e le derivate sono intese nel senso temporale. Nel caso di calore fornito da sorgente esterna è lecito trascurare l’ultimo termine del secondo membro mentre, è messo in conto quando la variazione di temperatura è dovuta alla deformazione del solido. Una estensione tecnica di notevole importanza è l’applicazione al caso di solidi monodimensionali (travi), per le quali l’influenza termica incide sulla intensità

49

Page 50: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

delle caratteristiche della sollecitazione. In generale se al corpoè applicata una variazione termica di temperatura ∆t, nasce uno stato di deformazione che può essere espresso dalla semplice e nota relazione:

=α∆t (4.113) ove α dipende dal materiale e prende il nome di coefficiente di dilatazione termica (per l’acciaio ed il calcestruzzo coincide con il valore 10-5 C°-1). E’ da notare che, a causa dell’assenza di stati tensionali, non si riscontra una diretta relazione tra tensione e deformazione, per cui parleremo di stati termoplastici ed il tensore della deformazione può essere decomposto nella forma:

= e + t (4.114) e le relazioni costitutive diventano

= e t = α∆t (4.115) Applichiamo una tale decomposizione alla teoria delle travi, considerando una generica sezione Γ su cui agisce una temperatura ∆ts nella parte superiore, ed una temperatura, più bassa, ∆ti nella parte inferiore. L’andamento, lineare, della temperatura è espresso come:

∆t2 = ∆tG + (∆ti −∆ts / h) x2 (4.116) Dal confronto con il tensore della deformazione per le travi, nel caso piano, si osserva che i termini influenzati termicamente sono:

γ3 = α∆tG e ω′1 = α(∆ti−∆ts / h) (4.117) e, conseguentemente l’ELV viene ad essere modificata nella forma:

!0-l M(ω*+ ωt ) + N(γ* + γt) = L.E. (4.118) che nella forma esplicita diventa:

!0-l M[(M*/EJ)+ α(∆ti−∆ts /h) + N[(N*/EA) + α∆tG] (4.119) la 4.119 assume la definizione di equazione dei lavori virtuali per la trave termoplastica.

50

Page 51: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 5 PROBLEMA DELL’EQUILIBRIO ELASTICO

5.1 Formulazione generale del problema dell’equilibrio elastico I solidi sotto l’azione di forze e/o distorsioni si deformano ed insieme con le proprie reazioni di vincolo dovranno sempre costituire un sistema equilibrato. L’equilibrio si dovrà realizzare nella sua configurazione deformata (incognita) e le equazioni di equilibrio conterranno le dimensioni geometriche del corpo deformato, oppure i dati iniziali ed i parametri che ne caratterizzano la deformazione.

Determinare la configurazione finale significa risolvere il problema dell’equilibrio elastico, ovvero, determinare in ogni punto del corpo lo spostamento, la tensione e la deformazione una volta assegnata la geometria del corpo, i vincoli e le sollecitazioni agenti.

L’ipotesi di linearizzazione della deformazione consente la semplificazione del problema potendo imporre l’equilibrio sulla configurazione indeformata.

Analiticamente parlando, si ha un certo numero d’ equazioni di campo con le relative condizioni al contorno. Sono però pochi i casi in cui le soluzioni classiche possono applicarsi e quindi determinare soluzioni in forma chiusa.

Le condizioni al bordo, connesse con la forma del corpo, costituiscono un serio ostacolo all’applicazione delle classiche soluzioni integrali. Si ovvia a ciò discretizzando il corpo, ovvero dividendo il dominio in tanti sottodomini, ponendo come variabili indipendenti gli spostamenti oppure gli sforzi in corrispondenza dei nodi.

Le superfici della frontiera sono supposte sufficientemente regolari, tranne che al più qualche insieme di misura nulla. Le PDE che governano il problema sono approssimate mediante un sistema d’equazioni algebriche con un numero finito d’incognite e, per ogni elemento, la soluzione del problema consiste nel determinare la relazione, in ogni nodo, tra forza e spostamento.

5.1.1 Posizione del problema: Si consideri, nella sua configurazione di riferimento Ω, un corpo elastico, lineare, omogeneo e isotropo. Siano assegnati:

• la densità µ ∀x∈Ω • il materiale, ovvero il tensore = (x) su Ω • i vincoli ovvero la funzione u = u*(x) in ∂1Ω • il campo di forze esterne f∈Ω e s∈∂2Ω

Sono da determinare:

• il campo di spostamenti e le tensioni in ogni punto del corpo, ovvero i campi:

u = u (x) (5.1) = (x)

Tali che siano soddisfatte contemporaneamente le relazioni:

51

Page 52: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

div + f = 0 [Ω] (5.2) n = s [∂2Ω] = [Ω] = ½ (∇u + ∇uT) [Ω] u = u* [∂1Ω]

Il problema così formulato si definisce “misto dell’elastostatica”. Nel caso che sulla frontiera sono assegnate le forze si definisce il “problema nelle forze” viceversa, si definisce il “problema agli spostamenti” se questi ultimi sono assegnati al bordo.

Sotto opportune ipotesi di regolarità sui dati, le equazioni cui sopra possono essere scritte tutte in termini di forze, oppure tutte in termini di spostamenti. Si conferma così la classificazione mista del problema. 5.2 Equivalenza tra formulazione differenziale e formulazione integrale Sviluppiamo, di seguito, il problema prima formulato dimostrando la perfetta equivalenza tra le due formulazioni. -Formulazione differenziale In questa formulazione le equazioni che reggono il problema sono esprimibili nella forma seguente:

div + f = 0 (Ω) ; = ∇u (Ω) (5.3)

s = n (∂2Ω); u = u* (∂1Ω) Nelle 5.3 le incognite sono lo stato di tensione ed il campo di spostamenti u. E’ possibile eliminare sostituendolo con la legge costitutiva:

div (∇u) + f = 0 (Ω) (5.4) u = u* (∂1Ω) s =(∇u) n (∂2Ω)

Conseguentemente, si può caratterizzare il problema in termini di soli spostamenti. Questa assunzione comporta la necessità di costatare se il problema è ben posto, secondo Hadamard, ovvero se la soluzione esiste, è unica, dipende con continuità dai dati. Prima di dimostrare tale proprietà diamo alcune importanti definizioni: Definizione 5.1: Sia data una configurazione Ω, appartenente ad un corpo elastico lineare ed isotropo . Si definisce spostamento virtuale una funzione v definita su Ω tale che siano soddisfatte le ipotesi di linearità e regolarità. Definizione 5.2: Si consideri un corpo elastico con frontiera regolare distinta in una parte libera ed in una parte vincolata. Sulla parte vincolata della frontiera sia v = v°(x) l’equazione del vincolo; allora affermiamo che lo spostamento virtuale v risulta congruente con il vincolo v° se rispetta l’equazione di vincolo:

52

Page 53: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

v(x) = v°(x) ∀x∈∂1Ω (5.5)

Definizione 5.3: Sia dato un corpo elastico soggetto a forze sul volume e sulla superficie. Un campo di tensioni è equilibrato con le forze esterne se sono verificate le equazioni d’ equilibrio di Cauchy. Teorema 5.1: Sia un corpo elastico nella sua configurazione Ω e sia v uno spostamento virtuale congruente con il vincolo v°∈∂1Ω. Sia un campo di tensioni equilibrato con le forze esterne agente su . Sotto queste condizioni, allora, è possibile dedurre l’equazione dei lavori virtuali per un corpo elastico. Dimostrazione: prendo la prima equazione d’equilibrio di Cauchy e la moltiplico scalarmente per v, trovo

∫ div ( + f )ÿ v = 0 o anche ∫ div ÿ v + ∫ f ÿ v (5.6)

scrivendo per componenti il secondo integrale:

∫(∑j ij,j + fi )ÿ v (5.7) il prodotto a meno di fi vale:

∫ ∑j ∂/∂xj (ij vi) = ∫ ∑j (ij,j vi + v,i ij) (5.8) Allora, il termine della divergenza al secondo membro può essere espresso come: ∑j (ij,j vi ) = ∑j ∂/∂xj (ij vi) - v,i ij) (5.9)

nella 5.9 applicando una trasformazione di Gauss-Green al primo membro della parte a destra si trova:

∫ ∑j ij nj vi - ∫ ∑j vi,j ij (5.10)

trasformando in notazione assoluta si ha: ∫ div ÿ v = ∫ n ÿv - ∫ ∇ v (5.11) ÿ tornando alla formulazione iniziale e compattando si trova:

∫ ÿ∇ v = ∫ s ÿ v + ∫ f ÿ v (5.12)

la 5.12 rappresenta l’equazione dei lavori virtuali per un corpo elastico a meno degli spostamenti di vincolo.

Sarà valevole anche il viceversa ovvero, se esiste l’equazione dei lavori virtuali allora il campo di tensioni è equilibrato con le forze esterne.

Affermiamo che l’ELV è dedotta in conformità a due ipotesi: il sistema forze-tensioni è equilibrato (staticamente ammissibile) ed il sistema spostamenti-

53

Page 54: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

deformazioni è congruente (cinematicamente ammissibile). E’ necessario, però, ricordare che l’ELV è una relazione astratta, infatti il lavoro virtuale è diverso dal lavoro effettivo (lavoro effettivo = ½ lavoro virtuale). In particolare nella ELV i campi e v possono anche essere diversi dal reale basta che soddisfino le condizioni di ammissibilità inoltre, non viene messa in conto la natura del materiale.

Questa relazione resta in, ogni modo, un forte strumento di calcolo poiché, note due condizioni la terza viene automaticamente verificata. Vediamo ora alcune estensioni dell’ equazione dei lavori virtuali in termini di corollari al teorema 5.1.

Corollario 5.1: Principio delle forze virtuali. A partire da una configurazione deformata e congruente conferiamo una variazione al campo di tensioni tale che la variazione rappresenti, ancora, un sistema equilibrato:

(ij + δij),j + fi = 0 (Ω) (5.13) (ij + δij) ni = si (∂Ω)

la variazione del campo di tensioni comporta la generazioni di reazioni δsi tale da soddisfare le equazioni ai limiti:

δij ni = δsi (∂1Ω) (5.14)

è nulla la variazione delle forze di volume δfi = 0 ed in conseguenza sarà anche δij,j = 0.

Sulla parte di frontiera libera dovrà essere necessariamente si = 0. In definitiva si può scrivere:

δ fi = 0 (Ω) δsi = 0 (∂2Ω) (5.15) δsi ≠ 0 (∂1Ω)

applicando l’ELV generale al sistema 5.15 si ottiene:

∫ δsi vi = ∫ δij Eij (5.16) L’ espressione 5.16 rappresenta l’equazione delle forze virtuali o anche principio dei lavori virtuali complementare. Corollario 5.2: Principio degli spostamenti virtuali. Partendo da una configurazione deformata, equilibrata e congruente si conferisca una variazione δv al campo di spostamenti congruenti in modo che le variazioni costituiscano un campo cinematicamente ammissibile. In tal caso sarà δv = 0 sulla frontiera vincolata e le variazioni del campo deformativo corrispondenti risulteranno:

δij = ½ ( vi,j + vj,i ) (5.17)

il campo di spostamenti fornisce un sistema congruente

54

Page 55: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

δv = 0 (∂1Ω) δv ≠ 0 (∂2Ω) (5.18) δv ≠ 0 (Ω)

applicando l’ ELV al sistema 5.18 si trova:

∫ fi δvi + ∫ si δvi = ∫ ij δ ij (5.19) L’espressione 5.19 costituisce l’equazione degli spostamenti virtuali. È possibile, a seguito dei precedenti corollari e teoremi, enunciare, per il problema dell’equilibrio elastico, la relativa: -Formulazione integrale. Sia data l’ELV nella sua forma generale

∫ ÿ∇ v dΩ = ∫ s ÿ v d∂1Ω + ∫ n ÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ v dΩ (5.20) La 5.20 afferma che, per ogni campo di spostamento congruente v corrisponde un campo di tensioni equilibrato con le forze esterne. Sia, allora, il campo u soluzione del problema per i dati f, s, u e sia

= ∇u (5.21) ma dalla formulazione differenziale ∇u è equilibrato con i campi f ed s, quindi vale l’ELV con la sostituzione di ∇u al posto di

∫ ∇u∇v dΩ = ∫ s ÿ v d∂1Ω + ∫(∇u) n ÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ dΩ (5.22)

Viceversa, se vale la relazione 5.22, allora per l’ELV, per ogni spostamento congruente, ∇u deve essere equilibrato coni campi delle forze esterne f ed s, ovvero dovranno valere le equazioni di Cauchy

div (∇u) + f = 0 (Ω) u = u° (∂1Ω) (5.23) s =(∇u) n (∂2Ω)

Conseguentemente il campo u è soluzione del problema di equilibrio in termini di spostamento. Si dimostra, così, l’equivalenza tra la formulazione differenziale e la formulazione integrale del problema dell’equilibrio elastico che può, altresì, essere intesa come il seguente: Enunciato: determinare una funzione u definita su Ω tale che: - ∀v congruente con il vincolo valga l’ELV - Sia u = u° sulla parte vincolata ∂1Ω

55

Page 56: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Dalla soluzione del problema dell’equilibrio scaturiscono alcune proprietà generali veramente importanti nella trattazione delle teorie strutturali. Tra queste, al paragrafo seguente dimostreremo le più importanti ovvero, il principio d’ unicità di Kirchhoff, il teorema di Clapeyron, il teorema di Betti ed il principio di sovrapposizione degli effetti. 5.3 Proprietà generali della soluzione Teorema 5.2: (di unicità o anche Principio di Kirchhoff ). Siano assegnati, la configurazione Ω, , u, f, s; sia definito positivo, ovvero ÿ > 0, ∀∈Sym+. Allora la soluzione esiste ed è unica a meno di spostamenti rigidi. Dimostrazione.: supposto esistano due soluzioni, u’ e u” relative agli stessi dati. Scrivendo l’ELV con spostamenti di vincolo nulli si ha:

∫ ∇u’ÿ ∇v dΩ = ∫ s ÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ v dΩ (5.24) analogamente per la seconda soluzione

∫ ∇u”ÿ ∇v dΩ = ∫sÿ v d∂2Ω + ∫ f ÿ v dΩ (5.25)

sottraendo membro a membro si trova:

∫ ∇(u’- u” )ÿ ∇v dΩ = 0 (5.26) il campo di spostamenti differenza (u’- u” ) è un campo che si annulla sul vincolo, quindi u’ = u” = u°, la loro differenza è nulla.

∫ ∇(u’- u” )ÿ ∇ (u’- u” ) = 0 (5.27) ma per la seconda simmetria minore di è possibile scrivere

∫ (E’- E” )ÿ (E’- E” ) = 0 (5.28)

ma, dalla definizione di positività per , deve essere ( ÿ > 0) per cui è u’ = u” a meno di spostamenti rigidi. Teorema 5.3 (Clapeyron). Sia u soluzione per i dati , Ω, , u, f, s, e sia = T, u° = 0. Allora il lavoro virtuale, svolto delle forze esterne per gli spostamenti, vale il doppio dell’energia potenziale elastica. Dimostrazione: basta scrivere l’ELV con u al posto di v

∫ ∇u ÿ ∇v = ∫sÿ u d∂2Ω + ∫ f ÿ u dΩ (5.29)

ma, per definizione di energia potenziale elastica

56

Page 57: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

W(E) = ∫ ½ Eÿ E = ∫ ½ ∇u ÿ∇v (5.30) e quindi in definitiva

∫sÿ u d∂2Ω + ∫ fÿ u dΩ = 2W ( ) (5.31) giova, altresì, osservare che l’ipotesi di simmetria di serve solo a dare a W(E) il significato di energia di deformazione. Teorema 5.4:( di reciprocità , Betti) Siano dati, il corpo elastico Ω, il materiale cui è costituito, ovvero il tensore elastico , l’equazione di vincolo u = u*(x ) in ∂1Ω supposto perfetto u* =0. Sotto queste condizioni si considerino due distinti stati elastici dove u’, u’’ sono soluzioni per i carichi f ’, s’ ed f ’’, s’’. Allora, il lavoro che le forze relative alla prima soluzione svolgono per lo spostamento relativo alla seconda soluzione, eguaglia il lavoro che le forze relative alla seconda soluzione svolgono per gli spostamenti relativi alla prima soluzione cioè:

f ’ u’’ +s’ u’’ = f ’’ u’ +s’’ u’ (5.32)

Dimostrazione: Scriviamo le equazioni dei lavori virtuali con le relative soluzioni:

∫ ∇ u’ ÿ ∇v = ∫ f ’ u’’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω (5.29) ∫ ∇ u’’ ÿ ∇v = ∫ f ’’ u’ dΩ + ∫ s’’ u’ d∂2Ω

Sottraendo membro a membro le 5.29 e richiamando le proprietà di simmetria del tensore elastico (ΑΒ) = ΑΒ = ΒΑ si ottiene:

0 = ∫ f ’ u’’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω−∫ f ’’ u’ dΩ + ∫ s’ u’’ d∂2Ω (5.30) resta, in tal modo, dimostrato l’enunciato. Questo importante teorema di reciprocità, dopo la dimostrazione, può assumere l’enunciato più completo nella forma: Il lavoro che un sistema equilibrato di forza compie, se al solido elastico sono attribuiti gli spostamenti dovuti ad un secondo sistema di forze anch’esso equilibrato, è eguale al lavoro che le forze del secondo sistema compiono quando al solido vengono attribuiti gli spostamenti dovuti al primo sistema di forze. Teorema 5.5.(principio di sovrapposizione degli effetti) Siano assegnati la configurazione del corpo elastico Ω, il tensore elastico =(x ) e l’equazione di vincolo u = u*(x) su ∂1Ω. Supposto agenti due distinti stati elastici relativi a due sistemi di forze equilibrate [ f ’,s’ ] e [f ’’,s’’ ] cui corrisponderanno le distinti soluzioni u’, u’’. Allora la soluzione per la somma dei due sistemi sarà: u’+ u’’.

57

Page 58: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Dimostrazione: Scriviamo l’espressione dei lavori virtuali relativa alle due soluzioni:

∫ ∇ u’ ∇v =∫ f ’ v dΩ + ∫ s’ v* d∂2Ω +∫ (∇ u’ )nv d∂1Ω (5.31) ∫ ∇ u’’ ∇v =∫f ’’ v dΩ + ∫s’’v* d∂2Ω +∫ (∇u’’ )nv d∂1Ω

sommando membro a membro si ottiene

∫ ∇(u’ +u’’ )∇v =∫(f ’+ f ’’ )v dΩ + ∫(s’ + s’’ )v* d∂2Ω + +∫(∇(u’ + u’’ )n v d∂1Ω (5.32)

La 5.32 è di immediata applicazione in tutte le procedure di calcolo tipiche dell’elasticità lineare. 5.4 Soluzione dell’equilibrio elastico isotropo Cercheremo ora di formulare in modo completo il problema dello equilibrio per un solido elastico omogeneo ed isotropo, ovvero di determinare lo stato tensione deformazione quando siano assegnate forze sul volume e forze sulla superficie libera. Il problema è fondato sulle equazione di congruenza e di vincolo, sulle equazioni di equilibrio e sulle relazioni costitutive.

E’ già noto che la caratterizzazione generale lineare è di tipo misto ovvero, sia nelle forze che negli spostamenti come dati sul bordo. In casi particolari, può accadere che i dati assegnati siano omogenei, riducendosi solamente ad una tipologia, ovvero le forze oppure gli spostamenti. In tal modo ci si riduce a considerare due distinti problemi, potendo così, esprimere le equazioni tutte in termini omogenei. -Soluzione del problema in termini di spostamenti Si consideri l’equazione di Lamè e si sostituisca ij con la relazione del gradiente ottenendo in notazione indiciale:

ij =µ(ui,j +uj,i ) +λΣk uk,k δij (5.33) Sostituendo la 5.33 nella prima equazione di equilibrio di Cauchy

µ(ui,ji +uj,ii ) +λΣk uk,ki δij + fj = 0 (5.34) Tenendo in conto il delta Kronecker ed introducendo l’operatore di Laplace ∇uj = uj,ii si ottiene

µ∇uj + (λ+µ )ui,ij + fj = 0 (5.35)

L’equazione sul bordo assume, invece, la forma iniziale: [µ(ui,j +uj,i ) +λΣkuk,k δij]ni = sj

(5.36) µ(ui,j +uj,i )ni +λΣkuk,k ni = sj

58

Page 59: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Le 5.36 rappresentano la formulazione completa del problema elastico isotropo in termini . di spostamento. La prima stesura delle stesse fu dovuto Navier che le pubblicò nel 1827. Presa ora la forma 5.35 si derivino, rispetto alla variabile xj , le tre parti che compongono l’equazione:

µ∇uj,j + (λ+µ )ui,ijj + fj,j = 0 (5.37) Sommando rispetto all’indice j

(λ+2µ)∇ui,i + fj,j = 0 (5.38) Nella ipotesi di forze sul volume costanti, il secondo membro della 5.38 si annulla facendo discendere la importante proprietà che la derivata della funzione spostamento risulti una funzione armonica, cioè verifichi l’equazione di Laplace:

∇ui,i = 0 (5.39) Sul volume, mentre sul bordo risulta continua con le sue derivate prime e seconde.

Il rispetto di queste ultime assunzioni sono tali da consentire la soluzione del problema elastico isotropo così formulato.

Parimenti alla formulazione fin ora svolta, risulta possibile formulare una duale formulazione in termini di tensione, secondo i termini dei due autori che per primi svilupparono la trattazione, ricavandone la nota equazione di Beltrami & Mitchell. (1892-1900).

59

Page 60: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 6 MODELLI MONODIMENSIONALI

6.1 Soluzione del problema elastico: modelli 1-D La ricerca della soluzione per il problema elastico si presenta, in generale, difficile poiché è legata sia alla forma del corpo che alle condizioni del bordo. Nella maggior parte dei casi non riuscendo a determinare la soluzione esatta, si fa uso di soluzioni approssimate per via numerica attraverso opportune tecniche di discretizzazione del problema analitico che consentono di passare da un numero infinito d’incognite ad un numero finito. Parimenti il problema del solido elastico, nella sua forma chiusa, può essere ricondotto a differenti formulazioni, la formulazione integrale, la formulazione differenziale e la formulazione variazionale. Di seguito saranno trattate, nel dettaglio, le prime due, rinviando ai corsi specialistici l’importante formulazione variazionale. 6.2 Formulazione integrale Definiamo trave un solido in cui una dimensione prevale rispetto alle altre due. La stessa può considerarsi costituita dalla sua linea d’asse e dalle sezioni trasversali. Descrivere la deformazione della trave significa descrivere le deformazioni del corpo tridimensionale, imponendo le seguenti ipotesi esemplificative: - l’asse della trave è rettilineo - la sezione trasversale della trave subisce unicamente spostamenti del tipo rigido Consideriamo una trave nel piano e2-e3 sottoposta ad un campo di deformazione e scriviamo il vettore spostamento nella forma:

u = a + ω ∧ ( x – xo ) (6.1)

fatta la posizione: xo = x3 e3, è possibile porre il prodotto vettoriale nella forma:

ω ∧ ( x – xo ) = (6.2)

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

021

321

321

xx

eeeωωω

e quindi scrivere per componenti:

u1 = a1 - ω3 x 2u2 = a2 + ω3 x1 (6.3) u3 = a3 + (ω1x2 – ω2x1 )

60

Page 61: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

le funzioni ai , ωi sono definite caratteristiche di spostamento, in particolare le prime rappresentano traslazioni rigide in direzione dell’asse i, mentre le seconde rotazioni rigide attorno all’asse i. Avendo in tal modo determinato lo spostamento tipo per il solido trave possiamo scrivere l’ELV per la stessa.

∫Ω T ∇u = ∫Ω f⋅ u + ∫∂Ω s⋅ u (6.4) il gradiente dello spostamento ∇u assume la forma:

∇u = (6.5) ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

ω−ω+ωω−ω+ωω−ω−

2112312

3123

3213

00

'x'x'a'x'a'x'a

Ammesso uno stato tensionale piano del tipo:

= (6.6) ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

332313

23

13

0000

TTTTT

moltiplicando scalarmente si ottiene il lavoro interno come:

∫ΩT13(a1’–x2ω3’-ω2)+T23(a2’+x1ω3’+ω1)+T33(a3’+x2ω1’-ω2’x1) (6.7)

compattando ed integrando la 6.7 si ottiene:

∫0-l(a1’ – ω2 )∫ΓT13+(a2’+ ω1)∫ΓT23+a3’∫ΓT33+ω3’∫Γ-T13x2+T23 x1+ + ω1’∫ΓT33 x2-ω2’∫Γ T33x1 = Lav.est. (6.8)

per semplificare la 6.8 è opportuno effettuare alcune posizioni:

γ1 = (a1’ – ω2 ) γ2 = (a2’ – ω1 ) (6.9) γ3 = a3’

conseguentemente è possibile scrivere in forma compatta il lavoro delle forze interne come:

∫∑ +L

i iiii MT0

'ωγ (6.10)

Le γi e le ωi’ sono definite le caratteristiche della deformazione ed hanno il seguente significato:

• γ1 , γ2 rappresentano la proiezione sui piani (1,3) (2,3) dell’angolo formato dalla sezione trasversale con il piano perpendicolare all’asse della curva dopo la deformazione.

• γ3 misura l’allungamento relativo all’asse 3.

61

Page 62: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

• Le ωi’ sono le rotazioni relative di due sezioni, a distanza unitaria, rispetto all’asse i.

• Le Ti , Mi sono le note caratteristiche della sollecitazione.

Riguardo il lavoro svolto dai carichi esterni sono definite le diverse componenti nella forma:

q=∫f +∫s ; m = ∫ (x- xo) ∧ f + ∫ s ∧( x- xo) (6.11) rispettivamente come carichi e coppie ripartite, mentre le

Pα ; Cα (6.12) come carichi e coppie concentrate. Conseguentemente diventa possibile scrivere la forma completa dell’equazione dei lavori per il solido trave:

∫∑ +L

i iiii MT0

'ωγ = q⋅a +m ⋅ω’ +∫L

0∑α (Pα ⋅ a α + Cα ⋅ ωα ) (6.13)

6.3 Equazioni costitutive per il solido trave Vogliamo ora ricavare l’equazione costitutiva per la trave nel caso di materiale elastico omogeneo ed isotropo. Abbiamo già visto che il gradiente dello spostamento per la trave vale:

∇u = (6.14) ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

ω−ω+ωω−ω+ωω−ω−

2112312

3123

3213

00

'x'x'a'x'a'x'a

svolgendo il trasposto si ha:

∇uT = (6.15) ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

ω−ω+ω−ω−ω−ω−ω−ω

21123132231

13

23

00

'x'x'ax''ax''a''

è quindi possibile determinare il tensore della deformazione:

=

⎥⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢⎢

ω−ω+

ω+ω−

ω−ω−

21123

1312

2321

21002100

'x'x'aSS

'x'a(

'x'a(

(6.16)

62

Page 63: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

richiamando le posizioni precedentemente definite in 6.9:

γ 1 = a’1 - ω2 ; γ2 = a’2 + ω1 ; γ3 = a’3 (6.17)

diventa possibile scrivere, per componenti, l’equazione di Lamè con G (modulo di elasticità tangenziale) al posto di µ

T13 = G ( γ1 - ω3’x2 ) T23 = G ( γ2 - ω3’x1 ) (6.18) T33 = 2µ+λ( γ3 - ω2’x1 + ω1’x2 )

L’equazione è puntuale quindi per ottenere le caratteristiche sulla superficie integriamo sulla sezione trasversale Γ:

T1 = ∫ΓT13 = G∫ γ1-ω3’x2 = GAΓ γ1-Gω3’∫Γ x2 = GAΓ γ1

T2 = ∫ΓT23 = G∫ γ2-ω3’x1 = GAΓ γ2-Gω3’∫Γ x1 = GAΓ γ2 (6.19) T3 = ∫ΓT33 = 2µ+λ ∫Γ γ3-ω2’x1+ ω1’x2 = EAγ3

Le relazioni 6.19 rappresentano le equazioni costitutive per la trave legando le caratteristiche della deformazione con le caratteristiche della sollecitazione T1, T2,( taglio secondo l’asse 1 e l’asse 2), T3 = N sforzo assiale. Analogamente, riguardo alla determinazione dei momenti flettenti M1 e M2 e del momento torcente M3 si ha:

M1 = ∫ΓT33 x2 = 2µ+λ∫Γ γ3x2-ω2’x1x2 + ω1’x22 = EJ1 ω1’ M2 = ∫ΓT33 x1 = 2µ+λ∫Γ γ3x1-ω2’x12+ ω1’x1x2 = EJ2 ω2’ (6.20) M3 = ∫ΓT23x2 -T13x1 = G∫Γ γ1x2 -ω3’x22-γ2 x1-ω3’x12 = GJoω3’

Giova, altresì, osservare che le relazioni 6.19 e 6.20 sono state dedotte dall’ipotesi di spostamenti rigidi. Conseguentemente è opportuno aggiungere opportuni coefficienti correttivi che tengono conto di tale restrizione. In particolare si hanno, riguardo i coefficienti, le seguenti definizioni:

χ = fattore di taglio, q =fattore di torsione

Altresì, per i termini geometrici-costitutivi che appaiono nelle 6.19 e 6.20 si hanno le seguenti definizioni:

GA = rigidezza tagliante EJ = rigidezza flessionale EA = rigidezza estensionale GJo= rigidezza torsionale

Vediamo, infine, come può essere utilizzata l’equazione dei lavori virtuali scrivendola solo in termini di sollecitazioni. Richiamando la 6.13, l’ELV per la trave ha la forma:

63

Page 64: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

∫∑ +L

i iiii MT0

'ωγ = lav. est. (6.21)

Se poniamo che T*, M*, N* sono caratteristiche della sollecitazione corrispondenti alla soluzione per γ e ω, dalle equazioni costitutive si ricava la seguente espressione per l’ELV.:

∫L

0(TT*/GA)χ+MM*/EJ+NN*/EA+(MtMt*/GJo)q = l.e. (6.22)

Ove le Ti e le Mi sono caratteristiche delle sollecitazione equilibrate con le forze esterne, mentre Ti* e Mi* sono caratteristiche della sollecitazione dedotte da spostamenti congruenti. L’ equazione dei lavori virtuali, così formulata, può essere utilizzata per la determinazione di spostamenti, caratteristiche della sollecitazione in strutture isostatiche e/o iperstatiche, deformabili elasticamente. 6.4 Formulazione differenziale Sono dati del problema: la geometria della trave, i parametri costitutivi, i carichi esterni ed i vincoli. Restano da determinare le caratteristiche di spostamento, di deformazione e di sollecitazione. Vediamo, inizialmente, il caso di una trave a mensola soggetta ad un carico assiale uniformemente ripartito. Siamo in possesso delle seguenti equazioni: i-equilibrio N’ = - q ii-costitutiva N = EAγ3

iii-spost.-deformazione γ3 = a3’ o anche u’ sostituendo opportunamente e combinando si ottiene l’equazione differenziale per la trave soggetta a sforzo assiale

EAu ” = - q (6.23) l’integrale generale della equazione 6.23 risulta

u = -(qz 2/2EA) + α z + β (6.24)

ove α, β sono costanti da determinare secondo le condizioni al contorno nell’intervallo [0< z < L]

u (0) = 0 → β= 0 (6.25) u’(L=0 → EAu’(L) = 0 → α = q L / EA

trovando in definitiva la funzione spostamento nella forma

u (z) =- (qz 2/2EA) +(q L/EA) (6.26) per cui è possibile tracciare i relativi diagrammi.

64

Page 65: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Analogo approccio svolgiamo, considerando una mensola soggetta a momento torcente e rammentando le relazioni: equilibrio: Mt’ = - m3

costitutiva: M3 = (GJo ω3’) 1/q spostamento-deformazione ( ω3 )’ = ω3’ sostituendo si trova:

(GJo ω3’’ ) 1/q = - m3 (6.27)

che risulta essere l’equazione della linea elastica per la trave soggetta a momento torcente. Posto K=(GJo)1/q, pongo le condizioni al contorno del tipo

K1 ω1” = 0 in (0, a) (6.28) K2 ω2” = 0 in (0, 2a)

I due integrali generali hanno la forma:

ω1 = α1z + β1 (6.29) ω2 = α2z + β2

con le condizioni al contorno

ω1 (0) = 0 →β1 = 0 (6.30) ω1 (a) = ω2 (a) → α1 a +β1 = α2 a +β ω2’ (2a) =C /K2 → α = C/ K2

K1ω1’(a) =K2ω2’(a) →K1α1 =K2α2

si trova quindi

α1 + C /K1 β2 =C a (1/K1 – 1/K2 ) (6.31) ω1 =C z / K1 ω2 =( C z / K2 ) + C a (1/K1 – 1/K2 )

Vediamo infine l’equazione della linea elastica nel caso di taglio e flessione agenti. In questo caso si hanno le seguenti equazioni: equilibrio: T’ = -q ; M’= T costitutive: T = (GAγ) 1 / χ ; M =EJω’ spostamento-deformazione: γ = a2’ + ω’ ; ω’ =(ω)’ sostituendo si ottiene

(GA / χ ) u ” = - q (6.32) EJ u lV = - q

ricavando le seguenti relazioni tra gli ordini di derivazione della funzione spostamento: u = spostamento u’ = rotazione u ” = curvatura u ”’= taglio

65

Page 66: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

applichiamo,ad esempio, queste posizioni alla struttura di seguito riportata: L’equazione che governa la linea elastica, a meno del fattore EJ, è del tipo

u lV = 0 (6.33)

il cui integrale generale è

u = αz3 + βz2 +Cz + D (6.34) da cui è già D = 0. Derivando fino al terzo ordine si trova: u ’ = 3αz2 + 2βz + C (6.35) u ” = 6αz + 2β u ”’ = 6α

condizioni al bordo:

z = 0 : u =0 , u ” = 0 (6.36) z = L : u ’ = 0 → 3αL2 + C ; EJu”’ = P α = PL/6EJ

sostituendo nell’integrale generale u =- Pz3 / 6EJ + PL2z /6EJ (6.37) M =- EJu” =EJ6αz = pz

66

Page 67: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 7 ENERGIA ELASTICA

7.1 Aspetti energetici Lo stato di deformazione e lo stato di tensione si fondano sulle ipotesi di continuità del corpo e sulle conseguenze implicite. Nessuna ipotesi è fatta sulle qualità fisiche del corpo, ovvero sulle correlazioni esistenti tra le particelle materiali. La necessità di un legame tra le componenti di deformazione e di tensione, è marcatamente evidente constata la necessità di scrivere delle relazioni capaci di descrivere la fisica rispetto a cui l’elemento materiale si deforma per effetto delle tensioni applicate. Consideriamo la risposta di uno stato elastico ideale per il quale si prevede l’esistenza di uno stato naturale prefissato a partire dal quale il solido possa deformarsi sotto l’azione delle forze, ritornando allo stato originario quando cessa l’azione delle forze. L’energia spesa nella deformazione viene così integralmente restituita poiché il comportamento è tipico delle trasformazioni reversibili. Si ammette l’esistenza di una funzione di stato dipendente solo dagli estremi della trasformazione, e non dal percorso seguito, in modo che le proprietà meccaniche, dello stato elastico, possono essere caratterizzate da un singolo scalare W, detto densità di energia potenziale elastica, funzione soltanto delle grandezze determinanti la configurazione prescelta, allo stato naturale, nonché dalle grandezze determinate dalla deformazione. Si dimostra che il lavoro virtuale delle forze esterne, applicate per un generico spostamento corrisponde al lavoro virtuale interno, cioè nell’intorno di un punto generico soggetto ad una deformazione virtuale δ ij , le componenti di tensione compiono il lavoro elementare ij δij . Assumendo, quindi, come componenti virtuali della deformazione proprio le variazione infinitesime dij dello stato di deformazione effettivo, il conseguente incremento di lavoro per unità di volume sarà espresso dal prodotto ij δij . L’ammessa esistenza della funzione potenziale permette di affermare che l’incremento del lavoro compiuto deve rappresentare il differenziale totale

dW = ij dij (7.1) Dalla quale, per indipendenza dei differenziali parziali, si trovano le relazioni tra tensioni e deformazioni

ij = dW / dij (7.2) L’inversione della ultima espressione si ottiene dalla

d( ij ij) = ij dij + ij dij (7.3) anche il termine ij dij differenza di due differenziali deve risultare il differenziale di una funzione Wc(ij) che è definita come energia potenziale elastica complementare.

dWc = ij dij (7.4)

67

Page 68: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

e conseguentemente

ij = dWc / dij (7.5) Le energie restano sempre definite a meno di una costante arbitraria, ovvero è definita sempre una differenza (W – W*). La W* è l’energia o latente ovvero il valore della energia potenziale elastica allo stato naturale. Nel caso elastico isotropo la W è indipendente dalla rotazione del riferimento ( gode del principio di indifferenza materiale) e quindi varia adeguandosi alla variazione delle ij . Definizione 7.1. Un materiale si definisce iper-elastico se esiste una funzione energia di deformazione W (ij) che ammettendo un potenziale della deformazione caratterizza il legame nella forma più stretta. La ricerca di un minimo, per questa funzione è stata operata da Love, Hadamard, Colonnetti e, recentemente, una veste innovativa è stata formulata da Gurtin e da Stenberg. Sia data una terna di funzioni ( v, , ) tali che sono soddisfatte le seguenti espressioni:

ij = ½ (ui,j + uj,i ) ij = ijrs rs (7.6) u = u*

definito il funzionale

(v, , ) = W (ij ) - ∫ fi vi + ∫ si vi (7.7) come somma dell’energia di deformazione del campo e dei lavori esterni cambiati di segno. Se il tensore elastico gode della simmetria maggiore, ed è inoltre definito positivo, il principio di minimo afferma che se la terna di funzioni ( v°, °, ° ) è soluzione del problema allora è:

( v°, °, ° ) ≤ ( v, , ) (7.8)

La 7.8 è valida per ogni stato ( v, , ) definito nella classe degli spostamenti cinematicamente ammissibili. In altri termini il principio della minima energia potenziale stabilisce che la differenza tra l’energia di deformazione e il lavoro delle forze esterne assume, in corrispondenza della soluzione, il valore più piccolo. 7.2 Principi variazionali L’esistenza della funzione densità di “potenziale elastico” W (ij) permette di definire l’energia potenziale per l’intero solido.

U = ∫ W (ij) (7.9)

detto anche lavoro di deformazione compiuto dalle tensioni per le deformazioni.

68

Page 69: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Questo lavoro si produce a spese di un lavoro esterno fatto dalle forze di volume f e dalle forze di superficie s

L = ∫ fi vi + ∫ si vi (7.10) se le forze esterne sono considerate conservative, ovvero derivabili da funzioni potenziali tali che

fi = - δF / δui si = δS / δui (7.11)

allora, è possibile introdurre Π come potenziale dell’intero sistema di forze e definire potenziale totale, come differenza tra il lavoro immagazzinato nel solido, sotto forma di energia elastica U, ed il lavoro esterno, cambiato di segno, L= -Π speso nella deformazione stessa.

= Π + U (7.12a)

= ∫ W (ij) - ∫ fi vi - ∫ si vi (7.13b)

Assegnate le forze esterne, il potenziale totale dipende dal campo di deformazione e dal campo di spostamento, a loro volta funzioni delle coordinate xk, rappresentando un funzionale definito nella classe delle funzioni ij(xk ), ui(xk). Delimitiamo la classe delle funzioni ove si voglia esaminare il comportamento del funzionale , così da restringere la valutazione solo sulle funzioni *ij, u*i che verificano le equazioni di congruenza e le equazioni di vincolo.

*ij = ½( u*i,j + u*j,i ) (Ω) (7.14) u*i = u*i (∂Ω)

Le relazioni cui sopra, costituiscono il dominio di definizione del funzionale che risulta, in questo caso, definito nell’insieme delle funzioni cinematicamente ammissibili. Poniamo il problema di ricercare la stazionarietà del funzionale nel dominio così definito, ovvero nulla la sua variazione prima in dipendenza di certe particolari variazioni geometricamente ammissibili δE*ij, , δu*i

δ*ij = ½(δ u*i,j + δ u*j,i ) (Ω) (7.15) δu*i = 0 (∂1Ω)

Senza sostanziali alterazioni, possiamo introdurre un nuovo funzionale

ottenuto sottraendo la parte di lavoro esterno che le forze di superficie si compiono sulla parte vincolata.

J (*ij, u*i ) = ∫ W ( E*ij ) - ∫ fi vi dΩ - ∫ si vi d∂2Ω (7.16)

svolgendo la variazione prima

δJ = ∫ * δE*ij - ∫ fi δui dΩ - ∫ si δui d∂2Ω = 0 (7.17)

69

Page 70: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Questa equazione (per particolari validità del campo di spostamenti) può essere vista come una particolare forma del teorema degli spostamenti virtuali, purché le componenti del tensore ij verifichino le equazioni di Cauchy. Si può, quindi, enunciare che: “nella classe delle funzioni cinematicamente ammissibili il funzionale J (E*ij, u*i ) risulta stazionario in corrispondenza di una soluzione equilibrata”. Se ripetiamo le stesse considerazioni partendo dal concetto di energia potenziale complementare allora sarà possibile definire un nuovo funzionale K ( ij , si ) il cui dominio è la classe delle funzioni staticamente ammissibili. Imponendo la variazione prima si dimostra, analogamente come prima che: “ nella classe delle funzioni staticamente ammissibili il funzionale K (ij , si ) è stazionario in presenza di una soluzione cinematicamente ammissibile”. 7.3. Principi di estremo Nel caso in cui il legame tensione deformazione sia derivabile da una funzione potenziale elastica è possibile ottenere una condizione sufficiente per l’esistenza di un estremo effettivo del funzionale considerato (questo è un classico problema nel calcolo delle variazioni). Scriviamo il funzionale J nella forma:

J (*ij, u*i ) = ½ ∫ *ij *ij - ∫ fi vi dΩ - ∫ si vi d∂2Ω (7.18)

e parimenti il funzionale K nella forma:

K ( ij , si ) = - ½ ∫ ij ij + ∫ si vi d∂1Ω (7.19) svolgendo la differenza tra i due funzionali

J – K =½ ∫(*ij *ij +ij ij )-∫fi vi dΩ-∫si vi d∂2Ω-∫si v*i d∂1Ω (7.20)

Posto che le ij e le fi sono equilibrate nel senso di Cauchy, il lavoro esterno degli ultimi tre integrali risulta:

L = - ∫ ij,j vi dΩ - ∫ ij nj vi d∂2Ω - ∫ ij nj v*i d∂1Ω (7.21) Applicando una trasformazione di Gauss si ottiene:

L = - ∫ ij,j vi – ( ij vi ),j (7.22)

semplificando

L = ∫ - ij *ij (7.23)

tornando alla relazione generale e sostituendo si ha:

J – K = ½ ∫ ( *ij *ij + ij ij - 2 ij ij ) (7.24)

che in virtù delle relazioni di reciprocità si può porre nella forma

70

Page 71: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

J – K = ½ ∫ ( *ij - ij ) ( *ij - ij ) (7.25)

ma l’integrando è una forma quadratica definita positiva, quindi

J (*ij, u*i ) - K ( ij , si ) ≥ 0 (7.26)

salvo l’eguaglianza dei termini, per cui si può porre

min J = max K (7.27)

Il funzionale J assume un minimo effettivo in presenza di una soluzione equilibrata, viceversa il funzionale K assume minimo effettivo in corrispondenza di una soluzione congruente. Questi due principi di estremo sono abbastanza diversi dagli ordinari problemi di min-max ed implicano delicate questioni dipendenti dalla scelta della classe delle funzioni ammissibili. Accertata l’esistenza di un estremo effettivo, per un dato funzionale es. K ( f(xi)), il problema variazionale viene trasformato in un problema di estremo ordinario esprimendo la classe delle funzioni ammissibili f(xi) mediante una serie di successioni parziali

fn (xi) = ∑m cm ψ (xi) (7.28)

dove le funzioni argomento devono verificare la condizione di ammissibilità imposte alle funzioni della classe nella quale si cerca l’estremo del funzionale, mentre i coefficienti cm risultano non determinati. Con questa posizione, al funzionale del problema originario viene sostituito un ordinario problema di estremo nella forma: Km (cm) poiché le funzioni argomento risultano specificate. La condizione di derivabilità ∂Km /∂cm permetterà di individuare i coefficienti e

successivamente la successione parziale fn (xi). Il principio di minimo per l’energia potenziale ha importanza poiché dà luogo a notevoli applicazioni di base per le tecniche di ricerca delle soluzioni approssimate. Ad esempio consideriamo la successione

v = α1v1 + α2v2 +……. ∑ i αi vi (7.29)

con v campi di spostamento ammissibili su Ω e αi∈ tali da minimizzare il funzionale energia. Con questa posizione la nota espressione dell’energia diventa

W() = ∫½ · = ½ ∫[∑ k αi αk ( )k] = ½∑ ik ik αi αk (7.30)

Nella ipotesi di un problema nelle forze il resto dell’equazione dei lavori virtuali diventa

∫ f (∑ i αi vi) + ∫s( ∑ i αi vi ) = -∑i bi αi (7.31)

Quindi la scelta approssimata trasforma il funzionale di partenza nella funzione

71

Page 72: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

g (α1…..αn) = ½ ∑ ik ik αi αk - bi αi (7.32)

Se ik è la matrice di rigidezza ed il tensore elastico è simmetrico altrochè definito positivo, dall’ultima espressione consegue che g attinge valore minimo nel vettore di componenti αi se e solo se tale vettore è soluzione dell’equazione matriciale

[] [α] = [b] (7.33)

Il problema viene dunque ricondotto alla risoluzione di una equazione matriciale la cui soluzione consente di precisare il campo di spostamento che meglio approssima in senso energetico la soluzione. La matrice viene comunemente definita matrice di rigidezza. E’ abbastanza chiaro che, per i metodi di approssimazione è decisiva la scelta dei campi di spostamento vi. (esempio funzioni test nel metodo degli elementi finiti). In conclusione a questo approccio variazionale, è possibile affermare che la ricerca della soluzione nel problema elastico è in genere estremamente difficile in quanto legata sia alla forma del corpo sia dalle condizioni al bordo. Nella maggior parte dei casi, non riuscendo a determinare la soluzione in forma chiusa si ricorre a metodi approssimati per via numerica attraverso appropriate ed opportune tecniche di discretizzazione del problema originario che consentono di passare da un numero infinito di incognite ad un numero finito.

72

Page 73: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 8

STABILITA’ DELL’EQUILIBRIO ELASTICO 8.1 Generalità La stabilità dell’equilibrio trae origine dal fatto che sotto l’azione di un carico crescente la deformazione può presentare un radicale cambiamento dovuto al fatto che la configurazione iniziale, sopra un certo valore del carico, cessa di essere stabile per divenire instabile. La struttura lascia la sua posizione di equilibrio per cercarne un’altra. Il carico sotto il quale si manifesta siffatto comportamento è detto ” critico “ e se il materiale resta in campo elastico si parla di “ instabilità elastica.” Le configurazioni equilibrate che si determinano al crescere del carico vengono studiate in relazione all’indagine che si intende condurre circa la natura dell’equilibrio raggiunto ed a tal fini bisogna istituire condizioni di equilibrio sul sistema deformato. 8.2 Sistemi ad elasticità concentrata Consideriamo inizialmente la instabilità di strutture ad 1 grado di libertà ed a tal fine studiamo un sistema composto da un asta, vincolata ad una estremità con incastro cedevole e soggetta ad azione assiale. Supposto di inclinare l’asta dell’angolo ϕ imponiamo l’equilibrio ottenendo: P ℓ sen ϕ = k ϕ (8.1)

Per vedere eventuali altre soluzioni scriviamo la relazioni cui sopra nella forma P = kϕ / ℓ sen ϕ = ℑ(ϕ) (8.2)

e studiamo la funzione ℑ(ϕ) che esiste ∀ϕ - nπ . Per la condizione ϕ = 0 la funzione è indefinita, per cui passando al limite: k/ ℓ lim ϕ→0 ϕ / sen ϕ = k / ℓ (8.3) ovvero la funzione incontra l’asse P nel punto Pc, il cui valore è pari a k / ℓ. In corrispondenza di tale punto, il carico assumerà il nominativo di carico critico. La curva è simmetrica rispetto all’asse ϕ e presenta due asintoti verticali -π, π. Il luogo delle posizioni di equilibrio è individuabile nella retta ϕ = 0 e nella curva P = ℑ(ϕ). Per valori di P ≤ Pc esiste la configurazione fondamentale di equilibrio, mentre per P = Pc si perde la dipendenza continua. Per P > Pc si perde l’unicità della soluzione. Questa ultima condizione è nota come biforcazione dell’equilibrio e sembra contraddire apparentemente il teorema di Kirchoff, mentre non esiste la contraddizione in quanto è violata l’ipotesi delle piccole deformazioni. Infatti la deformazione non è linearizzata e l’equilibrio è riferito alla configurazione deformata: Da tutto questo ne consegue che la soluzione del problema di stabilità è da ricercarsi fuori dalla teoria lineare. Vediamo ora, nel caso P > Pc , quali saranno le posizioni di equilibrio ricercate tra le individuabili : -ϕA , 0, ϕA .

73

Page 74: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Presa la posizione ϕA imponiamo una ulteriore piccola rotazione α che comporterà l’assunzione della nuova configurazione ϕA + α, non più in equilibrio. Se il moto tende a ridurre l’angolo α, allora esisterà una posizione di equilibrio stabile, viceversa risulterà instabile. Posto l’equilibrio alla rotazione si ha:

Me = P ℓ sen (ϕA + α) (8.4) Mi = k (ϕA + α )

Sviluppando la prima e ponendo α ≅ 0

Me = P ℓ sen (ϕ + α) = P ℓ ( senϕ cosα + cosϕ senα ) ≅ P ℓ ( αcosϕ + senϕ ) (8.5)

e ricordando che ϕ è una posizione di equilibrio (PL sen ϕ = k ϕ) svolgiamo la differenza tra i due momenti trovando

Me – Mi = P ℓ α (cosϕ - senϕ / ϕ ) (8.6) Per ϕ compreso tra gli angolo 0 e π, cosϕ <senϕ/ϕ , quindi: Me < Mi e l’equilibrio risulta stabile ( e questo varrà anche per la posizione -ϕA. ). Nella posizione ϕ = 0 trovasi:

(P ℓ – k )α (8.7)

Se P ℓ – k < 0 allora la ϕ è stabile ovvero:

PA < k / ℓ = Pc (8.8)

sarà invece instabile per PA > Pc. La trave potrà assumere tutte e tre le posizioni ma, la ϕ = 0 è instabile per cui basta una minima perturbazione per avviare un moto tendente ad una nuova posizione di equilibrio. 8.3 Approccio energetico In questo caso, maggiori informazioni sulla stabilità si ottengono utilizzando un approccio energetico. L’energia potenziale del sistema può porsi nella forma W = ½ kϕ−P ℓ (1−cosϕ) (8.9) È un sistema ad 1 g.l., quindi l’energia è solo funzione dell’angolo ϕ. La condizione di equilibrio è quindi dedotta imponendo l’annullarsi della derivata di W rispetto a ϕ dW/dϕ = kϕ - Pℓsenϕ = 0 (8.10) la stabilità impone, inoltre, la condizione sulla derivata seconda:

74

Page 75: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

d2W/dϕ2 = k - P ℓ cosϕ (8.11) e per ϕ =0 (d2W/dϕ2)ϕ=0 = k – P ℓ < 0 oppure >0 (8.12) a seconda se P < k/ ℓ oppure P > k/ ℓ. Nel primo caso l’equilibrio è stabile, mentre nel secondo è instabile. 8.4 Sistemi ad elasticità diffusa Si voglia determinare il carico critico per un trave, ad elasticità diffusa e semplicemente appoggiata, soggetta alla sola condizione di carico concentrato P nel senso assiale. Questo modello prende il nome di trave di Eulero. Posta l’assenza di carichi uniformemente ripartiti, oltre alla rigidezza EJ costante e sforzo normale N costante, l’equazione che regge il sistema può essere scritta nella forma, ponendo a2 = N/EJ

uæv + a2u≥ = 0 (8.13) l’integrale generale vale

u = A1 + A2z + A3senaz + A4cosaz (8.14) fatta la derivata seconda u≥= −aA3senaz - aA4cosaz (8.15) si hanno le seguenti condizioni al contorno: z = 0: u = 0 ; u≥= 0 z = ℓ: u = 0 ; u≥= 0 sostituendo trovasi: A1+A4 = 0 (8.16) A4 = 0 A1+A2ℓ+A3senaℓ+ A4cosaℓ = 0 A3senaℓ + A4cosaℓ = 0 ovvero, si ottiene un sistema di equazioni lineari omogeneo che, oltre la soluzione banale (configurazione fondamentale), ammetterà altre soluzioni se:

det = 0 (8.17) ⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

αα

αα

lcoslsen

lcoslsen

001000

111001

75

Page 76: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Sviluppando il determinante si ottiene l’equazione trascendente ℓsenαℓ , che ammetterà soluzioni αℓ = nπ n = 0…2… (8.18) per cui i valori critici saranno α = nπ/ℓ; posto A1, A2, A4 = 0 si ha: u = A3 sen (nπ/ℓ)z (8.19) Accanto alla soluzione fondamentale u = 0 esiste una soluzione costituita da una sinusoide di passo ℓ/n ed ampiezza A3. Per n=1 si trova il carico critico della trave di Eulero Pc = EJπ2 /ℓ2 (8.20)

8.5 Verifiche di sicurezza per la trave di Eulero Riguardo il valore della tensione critica per la trave di Eulero, questa si può ottenere come

σc = Pc/A = EJπ2/ℓ2° (8.21) Posto il momento di inerzia minimo della sezione J = Aρ2 , si ha la seguente: Definizione 8.1 E’ definita snellezza della trave λ, il rapporto ℓ/ρ dove ℓ è la lunghezza libera di inflessione, (ovvero il passo della sinusoide che rappresenta la configurazione di equilibrio variata) e ρ rappresenta il raggio di inerzia minimo della sezione trasversale. La tensione critica assumerà la forma:

σc = (EA ρ2 /ℓ2A) π2 = Eπ2 /λ2 (8.22)

Se tracciamo la curva nel piano σ-λ, si ottiene la rappresentazione di una iperbole detta iperbole di Eulero. Si può osservare che la tensione critica σc è tanto minore quanto più è snella la trave. Per travi tozze la tensione critica può risultare al di sopra del limite elastico, manifestando così prima della instabilità la plasticizzazione. Le travi la cui instabilità si manifesta in campo elastico sono definite travi snelle, quelle in cui l’instabilità si manifesta in campo plastico sono definite travi tozze. La verifica di resistenza è data dalla disuguaglianza σ § σc mentre la verifica di sicurezza dalla σ § σa con σa = σc / k, k coefficiente di sicurezza. Nel caso dei problemi di stabilità si pone σa =(1/ωλ )σR ove ω, funzione della snellezza λ, è un numero reale, tabellato nei manuali di verifica di stabilità.

76

Page 77: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 9 CRITERI DI RESISTENZA

9.1 La superficie limite La sperimentazione sul comportamento dei materiali è riferita sempre a prove monoassiali di trazione o compressione.

Nel caso di stato tensionale monoassiale. definite σc , σc* i valori limiti in trazione e compressione, cioè i limiti di snervamento o di rottura, la condizione:

σi ≤ σc ; | σii | ≤ σc* (9.1)

garantisce che le tensioni di esercizio σi e σii non superano le soglie limiti. Nel caso di tensioni pluriassiali, la situazione limite non dipende da una sola della tensioni principali ma chiaramente è condizionata dalle altre due. Il confronto, in questo caso, non può farsi che ricorrendo a prove di tipo triassiale, secondo 3 direzioni ortogonali, facendo variare una tensione per volta, fino a pervenire alla costruzione di una superficie limite (σi), nello spazio delle tensioni principali. Tuttavia, questa laboriosa procedura si snellisce introducendo i criteri di resistenza che trasformano lo stato pluriassiale generico, in uno equivalente stato monoassiale dotato di maggiore (o eguale) pericolosità dell’effettivo. Questo consente di determinare per ogni punto del corpo i valori σid σid* tali che:

σid ≤ σr ; σid* ≤ σr* (9.2) Individuando un stato tensionale in un generico punto del corpo elastico, per via delle tre tensioni principali σ1, σ2 , σ3 un criterio di resistenza può essere definito assegnando una superficie convessa di equazione.

(σi)i=1,2,3 = 0 (9.3) luogo dei punti limite nel caso pluriassiale. Per un materiale duttile la superficie viene fatta coincidere con la superficie di snervamento mentre, per un materiale fragile coincide con l’analoga di rottura. La ipotesi di isotropia rende la 9.3 invariante rispetto al riferimento e ciò può interpretarsi pensando la 9.3 dipendente dalle tensioni principali attraverso gli invarianti

(I1, I2, I3) = 0 (9.4) La 9.4 deve essere invariante per rotazioni di 120° attorno alla trisettrice dell’ottante positivo del sistema di riferimento. Questo potrà rappresentarsi per mezzo delle curve di intersezione con piani ortogonali alla trisettrice, equidistanti tra loro, ove egli assi σi’ sono le proiezioni degli assi σi del riferimento principale sul piano rispetto a cui è praticata la sezione. Ogni curva risulterà simmetrica all’asse σi’.

77

Page 78: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

In particolare, la 9.4 può porsi, opportunamente, in funzione degli invarianti del deviatore di tensione:

( I2D, I3D) = 0 (9.5) In questo caso la superficie è rappresentata dal luogo dei punti a forma di una superficie cilindrica avente l’asse coincidente con la trisettrice, normale al piano per l’origine. L’isotropia impone che la curva sia simmetrica rispetto agli assi σi’. 9.2 Criterio della max tensione normale (Galileo) Uno stato tensionale triassiale raggiunge la rottura (plasticizzazione) quando la max tensione normale raggiunge il limite di rottura (elastico). La rappresentazione grafica di Mohr è individuata da due cerchi con i relativi limiti. Uno stato di tensione è verificato quando il cerchio inviluppo è minore o coincide con il cerchio inviluppo limite. La condizione è posta nella forma:

maxσi ≤ σr ; min σi* ≤ σr* (9.6) La superficie limite è rappresentata, nello spazio delle tensioni principali, da un cubo delimitato da 6 piani paralleli ai piani coordinati di equazioni:

σ1 = σ2 = σ3 = σr ; σ1 = σ2 = σ3 = −σr (9.7) Il lato del cubo risulta pari a (σr + σr*), ed il baricentro è posto nell’origine degli assi solo quando la tensione di rottura a compressione è eguale alla tensione di rottura a trazione. Questo criterio non trova molto riscontro applicativo poiché difficilmente verificabile ed oltretutto poco attendibile nel caso della pressione idrostatica. 9.3 Criterio della max tensione tangenziale (Tresca) La situazione limite si verifica quando la massima tensione tangenziale reale eguaglia la max tensione tangenziale dello stato limite del caso monoassiale:

τ = ½ maxσi − σj ) (9.8) Nel caso monoassiale e nel caso di materiale dotato di eguale resistenza si pone:

σ1 = σr ; σ3 = σ2 = 0 (9.9) e quindi

τ = ½ σr (9.10) da cui

σi = maxσi −σj = σr (9.11)

78

Page 79: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La 9.11 definisce la condizione di plasticità di Tresca e definisce il luogo limitato dalle tre coppie di piani paralleli

σi −σj = ± σr (9.12) individuanti un prisma a sezione esagonale regolare e le cui faccie sono parallele alla trisettrice dell’ottante positivo:

(σi −σj)2− σr = 0 (9.13) 9.4 Criterio di Coulomb Rappresenta l’ estensione del criterio di Tresca quando i materiali hanno diverso limite a rottura. Per i due cerchi di Mohr rappresentanti gli stati di rottura a trazione ed a compressione della prova monoassiale, andrà tracciata la tangente comune ai due cerchi. Uno stato triassiale si considera verificato quanto il punto rappresentativo, comunque dipendente dalle tensioni principali, è interno a tali tangenti. Nel piano delle tensioni si ha la relazione limite:

|τ| = (c − σ) tgϕ (9.14) Dove c e ϕ rappresentano due costanti fisiche del materiale note, rispettivamente come coesione ed angolo di attrito interno. 9.5 Criterio della max energia potenziale elastica (Beltrami) Secondo questo criterio si raggiunge la rottura quando, in un generico punto, la densità di energia potenziale elastica eguaglia quella corrispondente alla rottura della prova monoassiale. In formula:

W() = ½ = ½ (9.15) Considerando l’inversa della equazione di Lamè

= 1/E[(1+ν) − νI I ] (9.16) si ottiene:

W() = 1/2 [(1+ν) − νI2 ] (9.17)

che nel riferimento principale diventa:

W() = 1/2 [(1+ν)12 + 22 +32 − ν( 1 + 2 +3 )2] (9.18) e posto 1 = 2 = 0 e 3 =σr trovasi:

W() = 1/2 = σr (9.19) La verifica di resistenza assumerà la forma:

79

Page 80: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

[(1+ν)(12 + 22 +32 ) − ν( 1 + 2 +3 )2 ]½ ≤ σr (9.20) La rappresentazione grafica, nello spazio delle tensioni principali viene ad individuare una superficie descritta dal termine sottoradice presente nella 9.20 che rappresenta un ellissoide rotondo il cui asse coincide con la retta 1 =2 =3 cioè con la trisettrice dell’ottante positivo, mentre l’intersezione con il piano, che risulta ortogonale alla trisettrice, è un cerchio. Questo piano è detto piano deviatorico ed è il luogo dei punti per cui è I =0. Un punto che sta sugli assi coordinati è rappresentativo di stati monoassiali, mentre un punto che sta sulla trisettrice rappresenta uno stato di tensione idrostatica. 9.6 Criterio della max energia distorcente (Von Mises) Applicando la decomposizione del tensore degli sforzi in una parte idrostatica ed in una parte deviatorica risulta possibile scindere l’equazione di Lamè in due parti. Per ottenere la parte idrostatica si moltiplica scalarmente per I:

I=2µ+λII→ I = (2µ+3λ)I (9.21) mentre la parte deviatorica si ottiene togliendo la parte idrostatica:

d = 2µ (−⅓II )+λII − λII (9.22) semplificando:

d = 2µ d (9.23) Per ogni campo di deformazione , si definisce densità di energia distorcente, la densità di energia potenziale elastica associata alla parte deviatorica.

Wd = ½ ( d d) (9.24) cioè:

Wd = ½ d d/2µ (9.25) Sviluppando si trova:

Wd = 1/4µ ( −⅓I I) (−⅓I I) = 1/4µ( −⅓I2) (9.26)

Applicando al riferimento principale

Wd =1/4µ[12+22+32 − ⅓(1+2+3)2 ]=1/12µ (1− 2)2( 2−3 )2(1−3)2 (9.27) Nella prova monoassiale a trazione l’unica tensione presente è la 1 = σr, per cui l’energia alla rottura risulta:

Wr = (1/12µ)2σr2 (9.28)

80

Page 81: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La verifica viene posta nella forma:

[1/2 (1− 2)2( 2 −3 )2 (1− 3)2]½ < σr (9.29) e, nello spazio delle tensioni principali la zona verificata alla rottura è quella delimitata dalla superficie

(1− 2)2 + ( 2 −3)2 + (1− 3)2 = 2σ (9.30) Che rappresenta un cilindro il cui asse coincide con la trisettrice e la cui sezione è un cerchio di raggio r = (2/3σr2)½. Sezionando il cilindro con un piano contenente l’asse e, ricordando che gli stati di tensione idrostatica sono rappresentati dai punti della trisettrice, si osserva che diventano ammissibili stati idrostatici di qualsiasi entità. Questo ultima affermazione evidenzia un limite del criterio a cui è sommabile un ulteriore limite circa l’applicazione sui materiali aventi eguale tensione di rottura a compressione e trazione. Si osserva infatti che le intersezioni del cilindro con gli assi coordinati danno valori di rottura a trazione e compressione eguali tra di loro.

81

Page 82: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 10 SOLUZIONE DEL PROBLEMA ELASTICO PER SOLIDI 1-D

10.1 Il modello di Saint Venant Una particolare soluzione del problema dell’equilibrio elastico fu dovuta a Barrè di Saint Venant il quale, per primo, riuscì a formulare una soluzione rigorosa tale da offrire così un fondamentale sviluppo alla teoria dell’elasticità. Nei fatti egli formulò il seguente principio: Sistemi di forze staticamente equivalenti agenti sulle basi di un solido trave, producono gli stessi effetti su tutta la lunghezza della trave, ad eccezione di zone di estensione limitata in prossimità delle basi. Questo, che nei fatti è un principio di indifferenza, consente di valutare lo stato tensionale su un solido trave avendo come dati le sole caratteristiche statiche dei sistemi di forze agenti sulle basi. 10.1.1. Caratterizzazione fisico-matematica. Sia W un dominio, connesso e limitato, posto in un piano Γ di normale e3 , con ℓ uno scalare definito positivo. Nello spazio euclideo tridimensionale si consideri il corpo elastico omogeneo ed isotropo definito geometricamente come:

: (x1, x2)∈W* | 0< z < ℓ , con W* = W ∪ ∂W assumendo W come la sezione retta del cilindro testè definito si ha: W(x1, x2)∈W*, x3 ≡ z Si consideri ora una funzione u = u ( x1….xn ) continua in W , ed appartenente all’insieme C2(W). Definiamo che u è armonica se soddisfa l’equazione di Laplace — 2 u = 0 (10.1) o anche, l’equivalente non omogenea equazione di Poisson — 2 u = f (x,y) (10.2)

I problemi delle equazioni ellittiche, definite sul dominio W, sono problemi di frontiera in “grande”: si assegna il dato su W, ed in esso la soluzione deve esistere. Una tipologia di classici problemi della fisica matematica sono individuabili nel problema di Dirichlet e nel problema di Neumann, in particolare: u (x, y )|∂W = u° (x, y) (10.3) u (x, y )n |∂W = u° (x, y)

La ricerca della soluzione và effettuata in opportuni spazi funzionali e la coppia u, f costituisce un problema ben posto,nel senso di Hadamard. In particolare, l’aspetto generale del problema viene ristretto (modello di S.Venant) ad un solido elastico, omogeneo ed isotropo, di forma cilindrica le cui basi sono definite da Γ0, Γℓ. Il sistema di riferimento è costituito da una terna di

82

Page 83: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

coordinate materiali 01,2,3, ove gli assi x1 e x2 sono assunti come principali di inerzia e l’asse x3 ≡ z coincide con l’asse longitudinale del cilindro. A riguardo le condizioni di carico si assume che siano nulle le forze di volume insieme alle forze sulla superficie laterale. Si contempla la esistenza di forze non nulle esclusivamente sulle basi Γ0, Γℓ. Ulteriore, ed importante, ipotesi è relativa allo stato tensionale, che si suppone piano, ( T11 = T 22 = T12 = 0 ) e ciò diviene equivalente al fatto che tra le fibre del cilindro si esercitano azioni mutue unicamente nel senso delle fibre. Questo problema fu oggetto di numerose ricerche a partire dalle classiche memorie di Barrè di Saint Venant (1855) e della relativa trattazione di Clebsch (1862) ove la soluzione è cercata assumendo come incognite le componenti dello spostamento. Il problema nella sua trattazione generale è ricondotto alla determinazione di una funzione ϕ (x1, x2), armonica in un dominio piano Γ, la cui derivata rispetto alla normale al bordo assuma un valore prescritto sul bordo stesso (problema di Neumann). Nello specifico, restano da trovare le uniche tre componenti, non nulle, dello stato tensionale utilizzando le classiche equazioni di equilibrio e costitutive dell’elasticità lineare. Nel caso di stato di tensione piano le equazioni di equilibrio sul volume impongono: τ13,3 = 0, τ23,3 = 0, τ13,1+τ23,2+σ33,3 = 0 (10.4)

Riguardo la congruenza della deformazione e l’aspetto costitutivo, questi vengono introdotti attraverso le equazioni di Beltrami che, nel caso piano, assumono la forma: σ33,11 = 0, σ33,22 = 0, σ33,12 = 0, σ33,33 = 0 (1+ν)(τ31,11 + τ31,22) + σ33,13 = 0 (10.5) (1+ν)(τ32,11 + τ32,22) + σ33,23 = 0

Le equazioni di equilibrio al bordo sono prese in considerazione esclusivamente sulla superficie laterale. Scelta una qualsiasi normale esterna, le cui componenti assumono la forma (n1,n2, 0), l’equilibrio alla traslazione consente di scrivere: τ31 n1 + τ32n2 = 0 (10.6) Ovvero, individuando nella 10.6 il prodotto scalare di τ (vettore della tensione tangenziale risultante delle componenti τ31 , τ32) per la normale n, individuiamo la condizione di ortogonalità delle tensioni tangenziali, rispetto la normale alla superficie esterna. Un’altra proprietà circa la tensione tangenziale è dedotta proiettando l’equilibrio delle forze di volume sugli assi 1 e 2. Si ottiene: div Ω e1 = τ31,3 = 0 (10.7) div Ω e2 = τ32,3 = 0 Ricavando così la condizione che la tensione tangenziale, nelle sue componenti, si mantiene costante in ogni sezione del solido.

83

Page 84: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Infine a riguardo l’essenza del principio, circa gli effetti dei carichi sulle basi si deve a Toupin l’importante dimostrazione: Teorema 10.1: Sia (0, ℓ) un solido elastico omogeneo ed isotropo di forma cilindrica e lunghezza ℓ, e siano Γo Γℓ rispettivamente la sezione di origine e la sezione finale del cilindro. Sia inoltre, ∈Sym e ∈Pos e si consideri lo stato elastico [u, , ] associato a forze nulle sul volume e sulla superficie laterale. Valgano inoltre le posizioni: ∫Γo s dΓo = 0 ; ∫Γo s-x dΓo = 0 ; limℓ→∞ ∫Γℓ u⋅n = 0 Definita l’energia di deformazione elastica nel tratto di ascissa z dello intervallo [0−ℓ]: W( ℓ)=½ ∫ ℓ ⋅ (10.8) Segue che, se la base Γo è scarica, vale la seguente relazione: W( ℓ) =W( Γo) exp (−[(ℓ−z ) / γ(z)] ) (10.9) Dove γ(z) è una costante che dipende dalla geometria della trave oltrechè dalla natura costitutiva il materiale. In particolare: γ(z) =2µ+3λ / sqr 2µλ(z) Il teorema di Toupin dimostra che l’energia elastica decade in modo esponenziale quando ci si allontana dalla base caricata. 10.1.2 Integrazioni delle equazioni del problema Con riferimento alle equazioni (10.5) si può dedurre che la componente della tensione normale σ33 dovrà essere necessariamente una funzione lineare delle x1 x2 e x3 e non dipendere dal prodotto x2 x1. σ33 = a + a1x1 + a2x2 – x3(b+ b1x1+ b2x2) (10.10)

Dove ai e bi sono opportune costanti di integrazione. Al fine di determinare le tensioni tangenziali τ31 e τ32, funzione delle sole variabili x2 , x1, si procederà alla integrazione nel dominio piano Ω definito dalla generica sezione trasversale Γ appartenente al cilindro . Si otterrà il seguente sistema:

τ31,1 + τ32,2 = b+ b1x1+ b2x2 τ31,11+ τ31,22= (1−ν)−1 b1 (10.11) τ32,11+ τ32,22= (1−ν)−1 b2

a cui andrà associata la condizione al bordo (10.6). Svolgiamo una trasformazione del sistema, derivando la prima delle (10.11) una volta rispetto x1 , ed una volta rispetto ad x2

84

Page 85: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

τ31,11 + τ32,21 = b1 (10.12) τ31,12 + τ32,22 = b2 Sottraendo le (10.12) rispettivamente alla seconda ed alla terza delle (10.11) si ottiene: τ31,11+ τ31,22 − (τ31,11 + τ32,21) = (1−ν)−1 b1 − b1 (10.13) τ32,11+ τ32,22 − (τ31,12 + τ32,22) = (1−ν)−1 b2 − b2

Semplificando può porsi la forma compatta: (τ32,1 −τ31,2),2 = (1−ν)−1 b1ν (10.14) (τ32,1 − τ31,2),1 = − νb2 (1−ν)−1

I primi due membri della (10.14) rappresentano le derivate parziali della stessa funzione, il cui differenziale totale sarà: (posto ν* = ν(1+ν)−1 ) d(τ32,1 −τ31,2 ) = −ν*b2dx1 + ν*b1dx2 (10.15) Integrando la (10.15)

(τ32,1 −τ31,2 ) = ν*(−b2x1 + b1x2 )+ c (10.16)

Riconducendoci, in tal modo, alla soluzione del sistema costituito dalle due equazioni differenziali che seguono: (τ32,1 −τ31,2 ) = ν*(−b2x1 + b1x2 )+ c (10.17)

τ31,1 + τ32,2 = b+ b1x1+ b2x2 Osserviamo che il sistema (10.17) è lineare quindi, possiamo porre la soluzione sotto forma di una somma del tipo: τ31 = τ°31 + τ*31 τ32 = τ°32 + τ*32 (10.18) Dove le τ°ij concernono la soluzione omogenea delle (10.18) ovvero: τ°32,1 − τ°31,2 = 0 τ°31,1 + τ°32,2 = 0 (10.18.1) Allora, se la sezione è semplicemente connessa la prima delle (10.18.1) esprime la c.n.s. per l’esistenza di una funzione ϕ(x1, x2) tale che: τ°31 = ϕ,1 (10.19) τ°32 = ϕ,2

85

Page 86: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

mentre, la seconda delle (10.18) afferma che la definita funzione deve soddisfare l’equazione di Laplace: ∇2ϕ( x1, x2 ) ≡ ϕ,11+ϕ,22 = 0 (10.20) ovvero, risultare una funzione armonica. A seguito di quanto determinato, la condizione al bordo può essere esplicitata come segue: τ°31n1 + τ°32n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2) (10.21) considerando la posizione (10.19) si ha: ϕ,1 n1 + ϕ,2 n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2) (10.22) per cui, introducendo la derivata della funzione ϕ( x1, x2 ) rispetto la normale al bordo: ϕ,n = −(τ*31n1+ τ*32n2) (10.23) Da quanto fin quì dimostrato ne consegue che, nella sua trattazione più generale, il problema di Saint-Venant può essere ricondotto alla determinazione di una funzione ϕ( x1, x2 ), armonica in un dominio piano e la cui derivata, rispetto alla normale al bordo, assuma un prescritto valore. Posto in questi termini il problema assume la classica forma di Dini-Neumann. Assegnata la forma della sezione, la condizione sulla derivata normale, consente di trovare la soluzione ϕ( x1, x2 ), del particolare problema concernente la sezione e quindi la distribuzione delle tensioni tangenziali. Considerazioni conclusive, su questo paragrafo, consentono d’affermare che il problema di Saint Venant è trasformato nella soluzione di un problema noto. Dalla condizione di armonicità della funzione ϕ( x1, x2 ) si ha: Γ ϕ,11 + ϕ,22 dΓ = 0 (10.24) e, con una trasformazione di Gauss estesa al contorno di Γ ℓΓ ϕ,1n1+ ϕ,2n2)dℓΓ = ℓΓ (dϕ/dn )dℓΓ = 0 (10.25) Questo risultato resta conforme alla proprietà che l’esistenza della soluzione per il problema di Dini-Neumann rimane subordinata ad un’opportuna condizione sulla derivata normale come nella (10.25). Infine, per una completezza nella trattazione generale del problema, osserviamo che la seconda delle (10.18.1) rappresenta la c.n.s. affinché esista la funzione ψ(x, y) tale che: τ°31 = ψ,2 (10.26) τ°31 = −ψ,1

86

Page 87: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

mentre la prima delle (10.18.1) impone che detta funzione deve soddisfare alla equazione di Laplace ∇2ψ(x,y) ≡ ψ,11 + ψ,22 (10.27) la condizione al bordo assume la forma: ψ,2 n1+ ψ,1n2 = −(τ*31n1+ τ*32n2) (10.28) Omettendo alcuni sviluppi per semplicità di trattazione, si ricava la dipendenza della funzione ψ ad assumere un preciso valore sulla frontiera esterna. In definitiva la soluzione alternativa può essere posta come: ∇2ψ(x,y) ≡ ψ,11 + ψ,22 in Ω (10.29) ψ(ℓ )= ψ*(ℓ) in ℓΓ

Quindi il problema di Saint Venant, nella sua formulazione generale, viene ricondotto alla determinazione di una funzione armonica in un dominio piano Ω, la quale assume un preciso valore sul bordo del dominio stesso. Le (10.29) rappresentano la trasformazione del problema di Saint Venant in un classico problema di Dirichlet. 10.2 Caratteristiche della sollecitazione e valori delle costanti L’aver introdotto la funzione ϕ(x,y) ha permesso di istituire una relazione tra le diverse constati b, b1, b2, già individuando il valore della prima b = 0, attraverso una opportuna scelta del sistema di riferimento. Riguardo alle altre costanti, a, a1, a2, b1, b2, c, per la loro determinazione si richiede, ora, di specificare la distribuzione delle forze di superficie in corrispondenza delle basi. Seguono quindi le relazioni, già note dall’ELV per le travi, tra le componenti di tensione, in termini di integrale sulla sezione trasversale, e le corrispondenti forze di superficie: ∫τ31 = ±T1

∫τ32 = ±T2 (10.30) ∫σ33= ±Ν ≡ T3

∫σ33 x2 = M1

∫σ33 x1 = M2

∫τ32 x1 − τ31 x2 = M3

dove il segno positivo vale per la base Γℓ(n3 =1) mentre, il verso negativo è relativo alla base Γ°(n3 = −1). Lo stato della sollecitazione esterna può essere caratterizzato da una forza e da un momento ottenuti come risultante e momento risultante, del sistema di forze superficiali applicate, applicate al baricentro della sezione. R ≡(T1, T2, N), M ≡(M1, M2, M3) (10.31)

87

Page 88: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Il principio di equivalenza elastica assicura che la distribuzione delle forze sulle basi diversa da quella posta nelle (10.30), con valori locali diversi da quelli dati dal sistema (10.30) non comporta variazioni dello stato di tensione-deformazione nei punti situati a sufficiente distanza dalle basi purché il sistema ammetta come valori risultanti le (10.31).Infine, riguardo la determinazione delle costanti si dimostra opportuna la scelta di un riferimento, dove gli assi ortogonali x1, x2 sono coniugati rispetto all’ellisse centrale di inerzia, relativa all’area della sezione ovvero, coincidente con gli assi principali di inerzia xI, xII. Di seguito, sarà svolta l’applicazione delle ipotesi, cui il modello è fondato, considerando le singole caratteristiche della sollecitazione ed utilizzando, da un punto di vista analitico, il c.d. metodo seminverso. In questo ultimo è possibile considerare come incognite parte di spostamenti, deformazioni, tensioni e parte dei dati sulle forze e sui cedimenti vincolari. L’obbiettivo resta determinare le incognite ed i dati non fissati in modo da soddisfare le equazioni del problema elastico. 10.3 Sollecitazione di Sforzo Assiale Consideriamo il solido di Saint Venant soggetto ad un carico assiale concentrato agente sul baricentro delle basi. L’ equazione costitutiva consente di stabilire la relazione tra lo sforzo normale e l’ estensione semplice secondo l’asse z ≡ 3 nella forma: N = EAγ3 (10.32)

Formulando un approccio in termini di spostamenti, ipotizziamo che il solido sia soggetto ad allungamento costante secondo l’asse z ≡ 3 u = (10.33) ⎥⎢ 0 Determiniamo il tensore della deformazione che, in questo caso, coincide con il gradiente dello spostamento. = (10.34)

⎥⎥

⎢⎢ 000

γ z3

0

γ300

000⎥

Attraverso l’equazione di Lamè viene possibile determinare le componenti della tensione che, nel caso in esame, risultano non nulle esclusivamente le: T33 = (2µ+λ) γ3

T11 = λγ3 (10.35) T22 = λγ3

L’equilibrio con le forze esterne determina le forze che agiscono sul volume di : - f = div = 0 (10.36)

88

Page 89: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Per l’equilibrio delle forze sulla superficie laterale e sulle basi, dove la normale è caratterizzata da un vettore di componenti, rispettivamente, n = ( cosα, senα, 0 ) e n = ( 0, 0, ± 1 ), trovasi: s = [λγ3 cos α , λγ3 senα, 0 ] (10.37) s = [ 0, 0, ± (2µ+λ) γ3 ] Il risultato delle (10.37) afferma che, all’applicazione di un’estensione semplice corrispondono delle trazioni sulla superficie laterale, che violano l’ipotesi di base del modello di Saint Venant. Andrà quindi, modificata l’ipotesi sugli spostamenti introducendo una nuova ipotesi deformativa ovvero, una contrazione della sezione nel proprio piano. Conseguentemente, il vettore spostamento assume la forma: u = (10.38) ⎥⎢ νγ− y3

Sviluppando la (10.38) si ricavano i corrispondenti tensori della deformazione e degli sforzi : ∇u = ∇uT = ⎢

⎢⎥⎥

⎢⎢ νγ− 3 00

= ½(∇u +∇uT ) = (10.39)

⎥⎥

⎢⎢

γνγ− 300

00

Attraverso l’equazione di Lamè sono determinate le componenti del tensore degli sforzi: 11 = 2µ 11 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = − 2µνγ3 + λγ3 (1−2ν) (10.40) 22 = 2µ 22 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = − 2µνγ3 + λγ3 (1−2ν) 33 = 2µ 33 + λ( 11 + 22 + 33 )1 = 2µγ3 + λγ3 (1−2ν) 13 = 23 = 0 Sviluppiamo le (10.40) richiamando le posizioni: ν = λ/ 2(µ+λ) ; E = µ(2µ+3λ) / µ+λ 11 = 22 = γ3(−µ

γ

νγ−

z

x

3

3

⎡ νγ−

3

3 00

γνγ−

νγ−

3

3

3

000000

⎢⎣

γ

νγ−

3

3

00

00

λ+λ+λ2/µ+λ) = 0 (10.40.1)

⎥⎥⎥

⎢⎥

33 = γ3[2µ+λ−(λ2/µ+λ)] =(2µ2+2µλ+µλ+λ2−λ2)/µ+λ] = µ(2µ+3λ) /µ+λ= Eγ3 Conseguentemente lo stato di tensione assume la forma:

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

γ300000000

E

89

Page 90: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

= (10.41) Svolgendo l’equilibrio per le forze sul volume e sulla superficie laterale si ha: -f = div = [0,0,0] (10.42) s = n = [0,0,0] mentre sulle basi si ottiene: s =[0, 0, Eγ3 ] (10.43) Richiamando l’equazione costitutiva per le travi N = ∫ T33 , sostituendo si trova N = EAγ3 (10.44) Fatta la posizione per la tensione normale σz = T33 = Eγ3 ed eguagliando con la (10.44) si ha la cercata relazione tra la caratteristica della sollecitazione e la tensione normale relativa: σ = N/A (10.45)

La (10.45) rappresenta una distribuzione costante delle tensioni, sulla intera sezione, dovute alla applicazione di una azione assiale sulle basi. Giova altresì osservare, circa l’enunciato principio di equivalenza elastica, che il considerare sezioni trasversali prossime alle basi comporta la perdita del valore costante della distribuzione delle tensioni, sostituita da andamenti fortemente non lineari. 10.4 Sollecitazione di Flessione e Presso/Tensoflessione Consideriamo il solido cilindrico di Saint Venant soggetto ad azione flettente, affrontando il problema secondo un approccio agli spostamenti. Si pongono plausibili delle ipotesi deformative che impongono, nella direzione dell’asse 2≡y, uno spostamento verticale associato ad una rotazione tale da mantenere l’ortogonalità con l’asse longitudinale dopo la deformazione. Il piano ove avviene la deformazione è definito piano di flessione e, l’intersezione di tale piano con la sezione è detto asse di flessione. Sotto queste ipotesi un possibile campo di spostamento assume la forma:

u = (10.46) ⎥⎢ zu

− y)z('u)(

0

Si faccia la posizione k = - u’’ (z) e sostituendo nella (10.46) si ricava il tensore come parte simmetrica del gradiente dello spostamento:

90

Page 91: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

u = ∇u = ∇uT = (10.47) ⎥

⎥⎢⎢− /kz 22

⎥⎥

⎢⎢ − kz00

da cui: ⎣

= 1/2 ( ∇u+∇uT ) = (10.47.1) Applicando, per componenti, le equazioni di Lamè, si costruisce il tensore degli sforzi : 11 =λky 22 =λky (10.48) 33 =(2µ+λ)ky Lo stato di tensione finale è espresso dalle componenti ricavate nelle (10.48) = (10.49) ⎥

⎥⎢⎢ λky 00

Svolgendo l’equilibrio sul volume e sulle superfici si trova - −f = div = [ 0, λk, 0 ] su Ω - s = n = [ λkycosα, λkysenα, 0] su ∂Ω (10.50) - s = n = [0, 0, (2µ + λ) ky ] su Γ0,ℓ quindi, il modello di spostamento ipotizzato comporta la nascita di forze di volume e di forze sulla superficie laterale non compatibili con le ipotesi generali del modello di S. Venant. Occorre quindi eliminare tali forze modificando l’ipotesi degli spostamenti, introducendo una deformazione della sezione nel proprio piano. In particolare và considerata una contrazione trasversale delle fibre tese e una dilatazione trasversale delle fibre compresse. L’ipotesi modifica il vettore spostamento nella forma: u = (10.51) ove ν rappresenta il coefficiente di Poisson e, l’aggiunta dei nuovi termini, rispetto alla prima posizione, rappresenta una contrazione trasversale delle fibre tese ed una dilatazione trasversale delle fibre compresse. La determinazione del

⎥⎦

kzy

0

⎢⎣

kykz0

000

⎢⎣

λ+µ

λ

ky)(

ky

200

00

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢

−ν+ )xyz[k

⎢⎢⎣

ν−

yzk

(

yxk222

2

⎢⎣

ky000

000

− kykz00

000

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢ kz0

⎥⎥⎥

⎢⎢ 00

91

Page 92: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

tensore della deformazione segue seconda la classica composizione del gradiente dello spostamento: ∇u = ∇uT = (10.52) ⎥

⎥⎢⎢ ν−ν− kzykkx⎥

⎥⎢⎢ −ν−ν kzkykx

⎢⎣ 0 = ⎥

⎥⎢⎢ ν− yk 00

Richiamando le relazioni tra le costanti di Lamè e le costanti elastiche (ν, E ), si determinano, attraverso l’equazione di Lamè, le componenti del tensore : 11 = 22 = 2µ(−νky)+λky(1−2ν) = ky(−2µν+λ−2νλ) = ky [(−µλ+λ2+µλ−λ2)µ+λ] = 0 33 = 2µky+λky(1−2ν) = ky[2µ+λ−(2λ2/ 2(µ+λ)] = ky [( 2µ2+2µλ+µλ+λ2−λ2)/µ+λ] = = ky [µ(2µ+3λ)/µ+λ] = Eky Lo stato di tensione assume la forma: = (10.53) ⎥

⎥⎢⎢ 000

⎥⎦

⎢⎣

⎡ ν−

yk

yk

00

00

⎢⎣

ykE00

000

⎢⎣

νν−

ykkz

kxyk

0

0

⎤⎡ ν−ν−

kykz

kxky 0

⎥ ⎥

⎥ Sviluppando le equazioni di equilibrio si ottiene f = -div =[0,0,0] su Ω (10.54) s = n[ 0,0,0 ] su ∂Ω s = n[ 0,0, ± Eky ] su Γ0,ℓ

Verifichiamo ora, che lo stato tensionale così ricavato corrisponde, in effetti, ad una sollecitazione di flessione pura. Non sono presenti tensioni tangenziali quindi risulta possibile escludere valori dei tagli T1 e T2 diversi da zero e, conseguentemente, anche del momento torcente M3. Se rammentiamo le relazioni tra sollecitazioni esterne e tensioni troviamo che lo sforzo normale N è legato alla T33 attraverso l’integrazione sulla sezione. Se il riferimento è baricentrico segue che il momento statico derivante si annulla e quindi N = 0. Si ha quindi, richiamando la posizione k = u’’(z), in definitiva: N = E k ∫A y = E k Sx = 0 (10.55) M1 = E k ∫A y2 = E k Jx = E Jxu’’ M12 = E k ∫A −y x = −E k Jyx = 0

La posizione k = u’’(z) definisce la curvatura della linea elastica che descrive la deformazione dell’asse longitudinale del solido. La stessa è una relazione, come

92

Page 93: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

precedentemente definito nella caratterizzazione differenziale del problema elastico per solidi monodimensionali, legata alla funzione spostamento secondo le seguenti espressioni: u(z) = u(z) spostamento u’(z) = w(z) rotazione (10.56) u’’(z) = k(z) curvatura Se il riferimento è principale di inerzia, allora si avrà M12 = 0 ovvero, il piano di sollecitazione coincide con il piano di flessione (flessione retta). Determiniamo ora l’espressione della tensione ed il suo andamento; posto σz = T33 sostituendo si ha σz = Ek y ed essendo M1/ J1 = E k si trova, rispettivamente per i piani 2-3 (y-z) e 1-3 (x-z) σz = ( M1 / J1 ) y σz = ( M2 / J2 ) x (10.57) Le relazioni (10.57) consentono di affermare che la distribuzioni delle tensioni normali, dovute alla flessione, assume un andamento lineare, annullandosi in corrispondenza dell’asse neutro e presentando valori massimi (positivi e negativi) in corrispondenza del bordo estremo della sezione. Giova osservare che l’asse neutro (luogo dei punti rispetto a cui le fibre del solido non sono né tese né compresse) è coniugato rispetto all’asse di sollecitazione relativo all’ellisse centrale di inerzia. Ancora, l’asse neutro è ortogonale all’asse di flessione mentre l’asse di sollecitazione è ortogonale al vettore momento. Se il riferimento non è principale, quindi il momento centrifugo è diverso da zero, parimenti sarà M12 ≠0 ovvero saremo in presenza di flessione deviata. Consideriamo ora il caso in cui l’asse di flessione non coincida con uno degli assi principali di inerzia ovvero, in presenza di flessione deviata. In questo caso è possibile decomporre lo spostamento flessionale in due componenti, secondo gli assi baricentrici e ricavare la flessione totale come somma di due flessioni rette, componendo così di fatto la flessione deviata. Il diagramma delle tensioni può quindi raffigurarsi come somma dei due diagrammi parziali. Il luogo di annullamento delle tensioni (asse neutro) è definito dalla retta, di coefficiente angolare tgα = x / y, ( M1 / J1 ) y - ( M2 / J2 ) x = 0 (10.58) Se nella sezione del solido sono presenti contemporaneamente sforzo normale e flessione si parla di sollecitazione di presso-tenso flessione a seconda del segno dello sforzo normale. La corrispondente tensione normale varrà in questo caso: σz = (N / A) + ( M1 / J1 ) y - (M2 / J2 ) x (10.59) A causa del termine N/A l’asse neutro non passerà per il baricentro, anche se la sua inclinazione sarà sempre tgα = x / y , ovvero si sposterà parallelo all’asse neutro della flessione pura.

93

Page 94: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Il punto di applicazione dello sforzo normale è definito centro di pressione c e per questo ultimo, in rapporto con l’asse neutro, sarà possibile instaurare una corrispondenza di polare ed antipolare tra punti e rette. Allora c ≡ G (baricentro) può identificarsi come il polo della retta all’infinito (asse neutro) e la sezione, in questo caso risulta totalmente compressa. Quando c trasla, allontanandosi da G, la retta tende all’asse baricentrico e quando c è all’infinito, l’asse neutro coincide con l’asse baricentrico (la sezione è simmetricamente inflessa). Più precisamente per sforzo normale agente entro il nocciolo centrale di inerzia della sezione (luogo degli antipoli delle rette che inviluppano la figura senza tagliarla) la stessa è completamente reagente omogeneamente. Allorquando il centro di pressione è esterno al nocciolo l’asse neutro taglia la sezione che risulterà parzializzata. In particolare, questo aspetto diventa estremamente importante quando la sezione del solido è costituita da materiale non reagente a trazione (vedi lapidei, muratura, calcestruzzo etc..). In tal caso diventa estremamente importante conoscere l’effettiva consistenza della sezione reagente in quanto la verifica di resistenza obbliga ad una precisa definizione della geometria reagente. Infine, volendo ricavare il campo di deformazione che resta associato alla tensione normale, prodotta dallo sforzo assiale e dalla flessione, dietro semplici osservazioni si ottengo le seguenti: 33 =1/E [N/A + ( M1/J1)y −(M2/J2)x] (10.59.1) 11 = 22 = −(ν/ E )33

Specificando il regime deformativo è possibile definire la variazione di lunghezza del solido nella forma: ∆ℓ=∫ℓ33 |x=0,y=0 = Nℓ/EA (10.59.2) Parimenti la variazione di superficie, cui viene soggetta una porzione elementare della sezione trasversale è: ∆Ω(x1,x2) = ∆12 = 11 + 22 = −2ν33 (10.59.3) Complessivamente, l’intera sezione trasversale rappresenterà una variazione di superficie data da: ∆Γ = ∫Γ ∆12 = −2ν/E [N/A + (M1/J1)y + (M2/J2)x] = −2ν N/E (10.59.4) Riguardo, infine, la variazione cubica si ottiene: ∆V = 11 + 22 +33 = (1−2ν)/ΕΑ) Nℓ (10.59.5) Le combinate azioni di sforzo assiale e momento flettente consentono di poter scrivere l’energia di deformazione nella forma: W = ½ ∫ = ½ ∫ [N/A + (M1/J1)y + (M2/J2)x ](γ + κ1y + κ2x) (10.59.6)

94

Page 95: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Integrando sulla sezione trasversale e ricordando l’aver scelto un riferimento baricentrico e principale si ha: W = ½ [N γ + M1 κ1 + M2 κ2] (10.59.7) La (10.59.7) può essere formulata tutta in termini di deformazione: W = ½ [EAγ2 + EJ1κ1 2 +EJ2 κ22 ] (10.59.8) oppure in termini di caratteristiche della sollecitazione: W = ½ [N2/EA + (M12/EJ1) + (M22/EJ2) (10.59.9) L’energia per l’intero solido assumerà la forma: W = ½ ∫ℓ [N2/EA+(M12/EJ1)+(M22/EJ2) = = ½ ℓ[N2/EA + (M12/EJ1) + (M22/EJ2) (10.59.10) 10.5 Sollecitazione di torsione Si consideri un solido elastico omogeneo ed isotropo a forma cilindrica, soggetto a pura sollecitazione di torsione applicati sulle basi. Si vuole valutare l’effetto di coppie torcenti mediante un classico approccio agli spostamenti. Considerando rotazioni torsionali attorno all’asse 3, il vettore spostamento può essere espresso come u = ωe3 ∧ (x – xo ) (10.60)

Volendo scrivere, il campo di spostamenti per componenti, posto ω3 funzione della coordinata z e sviluppando in un intorno locale si ottiene: u = = (10.61) ⎢ 00 z ⎥⎢ xz

⎥⎥⎥

⎢ determinato il gradiente dello spostamento ed il suo trasposto: ∇u = ∇uT = (10.62) ⎥⎢

⎢ω0 ⎢

⎢00z '

⎡ω0

3

321

yx'

eee⎥

⎢⎢

ωω−

03

3 yz'

'

⎢⎢⎣

ωω−ω−

000

0

33

33xzyz

''

''

ωω−ω−

ω

0

00

33

3

3

xy

z

''

'

⎥⎥

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢

⎥⎥

I tensori della deformazione e della tensione , assumeranno la forma: = = (10.63)

⎥⎥⎥⎥⎢ ω

100 ' ⎥⎢ 00 G⎥⎥

⎢⎢⎢

⎢⎢

ωω−

ω−

021

21

2

2100

33

3

3

xy

x

y

''

'

⎢⎢

ωω−ωω−

0

00

33

3

3

xGyGxyG

''

'

'

⎥⎥

95

Page 96: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Svolto l’equilibrio sulle forze di volume si trova -f = div = [ 0, 0, 0] (10.64) mentre sulla superficie laterale dove n = ( nx , ny ) s = [ 0, 0, -Gω3’ynx + Gω3’xny ] (10.65) ovvero ω3’G( xny – ynx) ≡ ω3’G( x ∧ n ) = 0 (10.66)

la (10.66) vale zero solo per x parallelo ad n e ciò avviene solo in sezioni circolari per cui, l’ipotesi dello spostamento vale solo quando la sezione è circolare piena o comunque circolare cava. In questo caso la teoria delle travi offre la relazione costitutiva, nel caso di sollecitazione torsionale M3 = G Jo ω’3 (10.67)

Conseguentemente lo stato di tensione assumerà la forma: τ = = (10.68) ⎥

⎤⎥⎢

⎡ y'G⎢⎣

⎡TT

Con le tensioni tangenziali dirette normalmente alle x, quindi ad n secondo la τ ⋅ n = 0 (10.69) Il modulo della tensione vale |τ| = Gω’ (x2 + y2 )1/2 (10.70) dalla relazione costitutiva si trova l’andamento ed il valore della tensione agente τ = ( M3 / Jo ) r (10.71)

ovvero, la tensione tangenziale vale zero all’origine e varia con il raggio della sezione. Qualora la sezione non ha forma circolare bisogna supporre che il solido, oltre a subire una deformazione del tipo precedente, possa deformare la propria sezione trasversale, nel proprio piano, ingobbendosi secondo una funzione ψ(x,y) proporzionale ad ω’. Il vettore spostamento assumerà la forma:

⎦23

13

⎣ ωω−

x'G ⎦

96

Page 97: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

u = (10.72) ⎥⎥

⎢⎢

⎡ −

),('''

yxzyzx

ψωωω

fatto il gradiente dello spostamento ed il suo trasposto, è possibile determinare il tensore della deformazione ed, attraverso l’equazione di Lamè, il tensore degli sforzi:

⎥⎥

⎢⎢

⎡ −−

0,',/''0'''0

yx

xzyz

ψωψωωωωω

∇u =

⎥⎥

⎢⎢

⎡−

0'',/'0',/''0

xyz

zyx

ωωψωωψωω

∇uT = = ⎥ψ+ω 20 )x/' = (10.73) ⎥⎢ ψ+ω00 )x posto l’equilibrio sulle forze di volume si trova: -f = div T = [ 0, 0, ω’G (ψ,xx + ψ,yy)] (10.74)

Quindi, perché le forze di volume siano nulle, dovrà essere ∇2ψ = 0. Sulla superficie laterale varrà la condizione: s = [ 0, 0, Gω’[(-y + ψ,x) nx + (x + ψ,y) ny ] (10.75) detta ψ,n la derivata direzionale della funzione ingobbamento ψ (x, y) ψ,n = ψx nx + ψy ny (10.76) ho la condizione affinché le forze s sulla superficie laterale siano nulle: ∂ψ / ∂n = y nx – x ny (10.77)

⎤⎢⎡

ψ+ωψ+−ω

ψ+−ω

0220

200

),x(/'),y(/',(

),y(/'

yx

y

x

ψ+ωψ+−ω

ψ+−ω

0

00

),x(G'),y(G',(G'

),y(G'

yx

y

x

⎢⎢

97

Page 98: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Le due condizioni così ricavate, ∇2ψ = 0 e ∂ψ / ∂n = y nx – x ny , costituiscono un noto problema al contorno detto problema di Neumann che, per come precedentemente dimostrato, è una delle soluzioni del problema elastico. Infatti si dimostra che la soluzione esiste, è unica e dipende con continuità dai dati. La stessa fornisce la funzione ingobbamento quando siano assenti le forze di volume e le forze sulla superficie laterale. Nel caso di sezioni circolari il secondo termine della derivata direzionale è nullo, quindi ψ = 0 ovvero le sezioni circolari non si ingobbano. Vediamo ora lo stato di tensione corrispondente ad una sollecitazione di torsione. Sostituendo quanto prima dedotto si ha: M3 = ∫- T13 y + T23 x = G ω’ ∫-y (-y + ψ,x ) + x ( x + ψ,y ) = = G ω’ ( Jo + ∫ -y ψ,x + x ψ,y ) (10.78) Nel caso del cerchio è ψ = 0 quindi M3 = G Jo ω’. Per le sezioni di forma qualsiasi è comodo usare la stessa formula corretta mediante un fattore q, detto fattore di torsione, dipendente dalla forma della sezione attraverso la funzione ingobbamento. In ogni modo è sempre q ≥ 1. 10.5.1 Teoria approssimata Così per come dimostrato, la teoria esatta della torsione presenta notevoli complicazioni analitiche, specie per sezioni di forma qualsiasi. Parimenti è possibile proporre una forma semplificata del problema, ricorrendo ad una trattazione approssimata. Nel caso della torsione il tensore degli sforzi è del tipo: = (10.79) ⎢

⎥⎥⎥

⎢⎣

ττττ

00000

yx

y

x

Ove τx τy sono le componenti della tensione tangenziale τ. La soluzione cercata è solo equilibrata, senza però chiedere il rispetto della congruenza. Applicando l’equilibrio di Cauchy si trova: div = τx, x + τy, y = div τ = 0 (Ω) (10.80) s = τx nx + τy ny = τ ⋅ n (∂Ω)

applichiamo Gauss-Green alla prima delle relazioni (10.80) 0 = ∫ div τ = ∫ τx,x + τy,y = ∫ τx nx + τy ny = ∫ τ ⋅ n (10.81) la prima delle (10.81) è sostanzialmente confermante una analogia idrodinamica, ovvero il flusso è nullo lungo una linea chiusa. La seconda afferma, invece, che le tensioni tangenziali si mantengono ortogonali alla normale uscente dal bordo. In conclusione volendo determinare il fattore di torsione, nel caso approssimato, basterà eguagliare l’energia del caso mono-dimensionale con l’energia del solido. Mo ω’ = 1/G ∫ τ2 (10.82)

ovvero in ogni sezione si ha la coincidenza delle due energie, quindi

98

Page 99: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

q = Jo / M32 ∫ τ2 (10.83) 10.5.2 Determinazione del regime tensionale in sezioni cave di spessore sottile Si consideri un solido elastico la cui geometria risulta così definita: L = linea media della sezione; Ao = area racchiusa dal contorno medio; t = ascissa curvilinea; t = versore della tangente alla curva; s = s(t) spessore della sezione. Inoltre, imponiamo le seguenti approssimazioni: τ í t ; τ = τ(t) t = costante ; τ (t) = s (t) = costante Imponendo l’equilibrio, rispetto ad un momento torcente agente Mo, è possibile scrivere: Mo = ∫ τ s ∧ x (10.84)

posto R = τ s(t) = τ s(t) t nonchè ricordando che τs = costante, si può scrivere: Mo = ∫ x ∧ R = τ s ∫ t ∧ x = 2 Ao s τ (10.85) Dalla (10.85) è possibile ricavare la relazione cercata ove la tensione è inversamente proporzionale allo spessore τ = Mo / 2 Ao s (10.86) 10.5.3 Determinazione del regime tensionale in sezioni piene di forma allungata Consideriamo una sezione piena di forma allungata e definiamo la geometria nella maniera seguente: g = linea media della sezione s = spessore tra la linea media ed il contorno l = linea che dista 2/3 s dalla linea media Ao = area racchiusa dal contorno medio t = ascissa curvilinea su l t = versore della tangente ad l Ipotizzando una distribuzione lineare delle tensioni sarà possibile scrivere: τ = τmax t (r/s) (10.87) La risultante delle tensioni può porsi nella forma: R (τ) = ½ τmax s t (10.88) Ricordando la legge della costanza del flusso nonchè svolgendo l’equilibrio alla rotazione: Mo = " x ∧ R = ½ τmax s " x ∧ t = τmax s Ao (10.89)

99

Page 100: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

da cui si ricava l’espressione finale: τmax = Mo / s Ao (10.90) Dalla sezione di forma allungata è facile passare alla sezione rettangolare, come specializzazione della prima, in quanto basterà porre: s = h/2 ; y = r ; A ≅ b (2/3 h ) ottenendo: τmax = (6 M o / b h3 ) y (10.91) 10.6 Sollecitazione di taglio Consideriamo il solido cilindrico di S. Venant soggetto ad una azione di taglio, cui è associato un momento flettente Nel caso della sollecitazione di taglio è preferibile ricercare una soluzione in forma approssimata, giacché la soluzione esatta comporta notevoli complicazioni analitiche. Conseguentemente si ricerca una soluzione equilibrata, trascurando la congruenza. Nel caso del taglio il tensore degli sforzi è del tipo: = (10.92) ⎢ 00

⎥⎥⎥

σττττ

zyzx

yz

xz00

Imposto l’equilibrio si ha: -f = div = [ 0, 0, τx,x + τy,y + σ,z ] (10.93) preso un taglio diretto secondo y è possibile porre: σ = ( Mx / Jx ) y = ( Ty z / Jx ) y (10.94) e quindi σ,z = ( T / J ) y (10.95) e la condizione di equilibrio si traduce in: div τ = - (T/J) y (10.96)

sulla superficie laterale si ha: s = [ 0, 0, τx nx + τy ny ] = [ τ ⋅ n ] = 0 (10.97)

100

Page 101: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

che esprime l’ortogonalità tra le tensioni tangenziali e la normale uscente dal bordo della sezione. Integrando la condizione di equilibrio sulla frontiera ed applicando Gauss-Green si trova ∫ div τ = - ∫ (T/J)y e ∫ τ ⋅ n = - (T/J) Sx (10.98) A questo punto resta da fare una ulteriore approssimazione circa la distribuzione delle tensioni tangenziali. Affermiamo che le τ sono tangenti al bordo ed il flusso è relativo solo alla parte rettilinea, quindi posso assumere che la normale è costante su tutto il tratto. Riscrivendo l’ultima relazione alla luce della considerazione fatta, estendendo l’integrale a tutta la corda b e verso opposto alla normale ∫ τ = (T/J)Sx (10.99) Infine posto τ -nb-n = ∫b τ -n si trova valore ed andamento delle τ τ = (T/J) Sx b (10.100) Dalla (10.100) si osserva che la distribuzione delle tensioni è influenzata da un fattore che permane costante (il rapporto T/J) e dipende dalla geometria della sezione. La parte variabile è relativa al momento statico che si evolve parimenti allo sviluppo dello corda b. Vediamo ora, dalla teoria approssimata, di ricavare l’espressione del fattore di taglio, precedentemente introdotto nelle equazioni costitutive, quale elemento correttivo all’ipotesi di spostamento rigido. Per ottenere questo risultato confrontiamo l’energia elastica monodimensionale con la rispettiva tridimensionale. Tγ + Mω’ = 1/G∫τ2 +1/E∫σ2 (10.101) Sostituendo il valore della tensione tangenziale, come prima dedotto, e potendo omettere il contributo della flessione, si può porre: Tγ = 1/G (T2/J2)∫ (Sx/b)2 (10.102) Rammentando l’equazione costitutiva del taglio T = GAγ/χ, si può porre: γ =Tχ / GA (10.103) Sostituendo nella (10.101) e semplificando trovasi l’espressione approssimata del fattore di taglio: χ= A/J2 ∫ (Sx/b)2 (10.104) 10.7 Applicazione dei criteri di resistenza al solido trave

101

Page 102: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Nel caso delle travi vengono introdotte delle semplificazioni dovute alla natura del tensore degli forzi = (10.105)

⎥⎥⎥

ove la tensione normale è prodotta dall’azione dello sforzo normale e/o dal momento flettente, mentre la tensione tangenziale deriva da taglio e torsione. Determiniamo le tensioni principali per la (10.105) λ3− ΙTλ2 + ΙΙTλ − ΙΙΙT = 0 (10.106) sostituendo si trova ΙT = σ ; ΙΙT = −τ2x −τ2y = −τ2 ; ΙΙΙT=0 (10.107) per cui l’equazione caratteristica offre le radici λ1= λ2 = 0 λ3 = (10.108) quindi λ1 ≤ 0 , λ2 = 0 , λ3 ≥ 0 ovvero stato piano di tensione 10.7.1 Criterio della max tensione normale Andranno compiute sia verifiche a trazione che a compressione. ≤ σRT e ≥ σRC (10.109) 10.7.2 Criterio della massima tensione tangenziale In questo caso la verifica è unica, perciò il criterio si applica a materiali con eguale resistenza sia in trazione che in compressione τmax = λ3 − λ1 /2 = (10.110) nella prova mono-assiale èτmax = σR/2 quindi la conseguente verifica è data da:

22 4τ+σ ≤ σR (10.111)

10.7.3 Criterio della max energia potenziale elastica

W = 22 12 τν++σ )( ≤ σR (10.112)

10.7.4 Criterio della max energia distorcente

⎦⎣

⎢⎢⎢⎡

σττ

τ

zyzx

yz

xz0000

τ

24 22 τ+σ

24 22 τ+σ

−σ +σ

24+σ

+22 τ

σ2

4+σ−σ

22 τ

24 22 τ+σ

102

Page 103: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Nel caso tridimensionale è W = ¼ µ[⋅−I1/3] mentre in termini di sforzo piano si ha W = 1/3µ (σ2 + 3τ2 ). Dalla prova mono-assiale è W =1/3µ σ2R e conseguentemente per la verifica si ha:

22 3τ+σ ≤ σR (10.113)

Capitolo 11 TEORIA ELASTICA NON LINEARE

11.0 Preliminari Ai fini di una maggiore chiarezza espositiva si richiamano alcune definizioni, in parte già note, utili alla sintesi analitica dei concetti fondamentali della teoria. Si consideri un operatore matriciale ∈Mnxm, dove n >1; si definisce operatore complementare o matrice cofattore della matrice la matrice ottenuta dalla forma:

(cof )ij : = (−1)i+j det ij* dove ij* è la matrice associata della matrice , ottenuta eliminando la i-esima riga con la j-esima colonna. Richiamando i due teoremi di Laplace, sul calcolo matriciale si ha l’importante posizione:

(cof )T = det I

se la matrice è invertibile si dimostra che:

(cof ) = (det ) −T

Richiamando l’espressione che regola la trasformazione di un elemento d’area soggetto a una deformazione, detto p°∈Ω° il punto considerato, siano e1, e2 due vettori linearmente indipendenti applicati su p° tali da definire l’area A° = |e1×e2|. Detto il gradiente della deformazione, la trasformazione dell’elemento di area sarà: A = |e1×e2|, e quindi la variazione della superficie è fornita dal rapporto:

A /A° = |e1×e2| / |e1×e2|

Richiamando, ora, la nota relazione che regola la trasformazione di un elemento di volume nelle forme:

det = |e1×e2 ⋅e3| /|e1×e2 ⋅e3| ∀e1,e2 ,e3

(det )| e1×e2 ⋅e3| = | e1×e2 ⋅e3| = T( e1×e2)⋅e3

dall’arbitrarietà di e3 segue:

(det ) e1×e2 = T | e1×e2 | vista l’invertibile di si ottiene:

103

Page 104: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

|e1×e2 = (det )−T e1×e2

richiamando la definizione di cofattore l’ultima relazione può essere posta come:

|e1×e2 =(cof ) e1×e2

Riprendendo l’espressione della variazione di superficie, sostituendo si ottiene:

A / A° = (cof ) Si osservi allora, che il cofattore del gradiente della deformazione rappresenta proprio la variazione di superficie cui è soggetto l’ intorno del punto considerato. Parimenti per la variazione delle normali alla superficie si porrà:

n = (cof /| | )n° 11.1 Cinematica delle deformazioni finite Si consideri un corpo continuo nella sua configurazione iniziale di riferimento W , attraverso un’origine 0 ed una base di vettori ortonormale ei. Al tempo t la configurazione corrente è il dominio Wt e la relazione del moto è posta nella forma:

x = χ(X, t) (11.1)

ove la χ è una mappa one-to-one regolare, che ∀X∈W Ø Wt . Se la mappa rappresenta la funzione deformazione, allora è possibile definire il gradiente della stessa nella forma:

= ∂χi / ∂xj (11.2)

Una deformazione pura è una deformazione omogenea il cui gradiente è positivo. Conseguentemente, ∈Lin+ , e sarà quindi possibile l’applicazione del già noto: Teorema di decomposizione polare. Fatta la posizione ≡ ove ∈Orth segue che: ∀∈Lin+ ∃∈OrthØ = = con ,∈Lin+

Nella particolare ricerca di un’opportuna grandezza che compendi i caratteri della deformazione appare chiaro che, il gradiente della deformazione e le opportune funzioni collegate, ne posseggano i requisiti. Definiamo il tensore delle deformazioni finite la forma:

= ½ (T – ) (11.3)

dove rappresenta il tensore della deformazione identica. Ricordando la decomposizione di come somma di +, quest’ultimo gradiente dello spostamento, sostituendo nella (11.3) si ottiene:

104

Page 105: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

= ½ [ + T + T] (11.4)

rammentando la definizione del tensore come la parte pura del gradiente dello spostamento, S = ½ (+T) si trova:

= + ½ T (11.5) Una successiva specificazione, riguardo una buona misura della deformazione, si ha richiamando il teorema della decomposizione polare = = (11.6)

Sviluppando il prodotto T , sia a destra che a sinistra, si ottiene: T = T T = (11.7) T = T T = I tensori e prendono, rispettivamente, il nome di tensore destro e sinistro di Cauchy-Green e definiscono un’opportuna misura della deformazione. I tensori , rappresentano la parte pura della deformazione, ovvero lo “stretch”. Le componenti di assumono significato fisico in un riferimento di base , dove le componenti ii rappresentano i quadrati dei rapporti di allungamento nelle direzioni degli assi coordinati mentre, i termini ad indici diversi sono in relazione, sia con i gradienti di allungamento che con le variazioni di angolo. Nella realtà è abbastanza complicato determinare direttamente i tensori e , quindi si ricorre alla seguente posizione:

2 = ; 2 = (11.8)

e hanno gli stessi autovalori ma non identici autovettori ovvero, le direzioni principali di e differiscono solo per una rotazione rigida. Richiamiamo, ora, la relazione che lega la trasformazione di un volume V° e di un’area A° del corpo materiale rispetto alla configurazione iniziale:

V = JV° ; A = JFA° (11.9)

dove J ≡ det , rappresenta il rateo della configurazione deformata rispetto alla configurazione iniziale. Se J =1 allora, la deformazione è definita isocora e, per ragioni fisiche, il det appartiene all’intervallo dei valori ( 0, ∞ ). Il rateo di variazione, rispetto al tempo, della deformazione è descritto dal tensore gradiente di velocità:

= ’ -1 (11.10)

La parte simmetrica e antisimmetrica di sono note, rispettivamente, come tensore di stretching e tensore di spin. 11.2 Bilancio delle forze ed equazioni del moto.

105

Page 106: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Con il principio delle sezioni, dovuto ad Eulero, è definito il vettore tensione t, ed attraverso il 1° teorema di Cauchy, la dipendenza dalla normale n uscente dal bordo. Le equazioni di bilancio che governano il problema elastico seguono: div + f = ρ (= accelerazione) (11.11) = T

Lo sforzo di Cauchy caratterizza la distribuzione delle forze di contatto, per unità d’area, in Wt ma, questo è spesso un inconveniente in meccanica dei solidi poiché la configurazione deformata, generalmente non risulta nota a priori. A maggior ragione, mentre nel caso dell’elasticità lineare era possibile, per l’equilibrio, approssimare la configurazione deformata con quella indeformata (ipotesi <1), nel caso dell’elasticità non lineare, quindi di deformazioni finite, questo non è più plausibile. Parimenti, la stessa considerazione resta obbligata anche sul bilancio delle forze-tensioni, ovvero lo sforzo di Cauchy deve essere necessariamente sostituito da una grandezza fisicamente equivalente, ma non più riferita alla configurazione deformata. Giova osservare, così come espresso da Truesdell & Noll, (1965), che per il problema al bordo che vogliamo formulare, appare molto più conveniente riferirsi alla configurazione materiale, nella formulazione che segue. Si consideri una parte di , con la sua frontiera ∂ , nella sua configurazione di riferimento variata Ωt definita dalla funzione deformazione x=χ(X,t). Allora le forze di contatto sono definite dall’espressione:

s = ∫∂ n d∂ (11.11.1)

sia, quindi d∂ ° la superficie elementare, nella configurazione di riferimento, la cui normale è n°. Dalle relazioni di trasformazione degli integrali di superficie si ottiene:

s = ∫∂ n d∂ = ∫∂ knk d∂ ° (11.11.2)

dove k è definito dalla relazione:

k = J -T (11.12)

Rammentando la precedente definizione di cofattore, (cof ) = (det ) −T, si trova la relazione finale che lega il tensore k con il tensore di Cauchy :

k = cof (11.12.1)

Il tensore degli sforzi k assume il nome di primo tensore di Piola-Kirchhoff. L’ utilizzo, di detto tensore, consente di scrivere l’attuale risultante delle forze di superficie, attraverso la configurazione di riferimento anziché quell’attuale. E’ possibile notare che mentre il tensore di Cauchy ∈Sym, generalmente il tensore di Piola-Kirchhoff k∉Sym e questo perché non sempre risulta verificato l’equilibrio alla rotazione secondo Cauchy. In questo caso la forma assunta è la seguente.

106

Page 107: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

k T = kT (11.13)

Per fare acquisire le proprietà di simmetria al tensore di Piola-Kirchhoff, spesso utilizzato nei modelli costitutivi in elasticità finita, è introdotto il secondo tensore di Piola-Kichhoff ∈Sym, così definito:

≡ −1k (11.14)

I tensori di Piola-Kirchhoff, abitualmente nella letteratura, sono definiti come lo “engineering stress “. 11.3 Aspetti costitutivi ed equilibrio Un materiale semplice, secondo la definizione data da Truesdell & Noll, è definito “elastico” quando lo stress dipende solo dallo stato di deformazione attuale e non dall’intera storia. In questo caso si ha una legge costitutiva del tipo:

= () (11.15)

Ove la funzione (ÿ) generalmente è definita come:

(ÿ) : Sym V3 → Sym V3 (11.16)

La (11.16) soddisfa la relazione ∀, :

() = () (11.17) e risulta invariante rispetto al cambio della configurazione locale di riferimento. La relazione costitutiva, rispetto allo stress di Piola-Kirchhoff ha la forma.

k =() (11.18)

si noti che in entrambe (11.18), (11.17) la funzione di risposta è una funzione a valori tensoriali del gradiente della deformazione , nonché è dipendente dalla scelta della configurazione di riferimento. Conseguentemente, dal rispetto del principio d’indifferenza materiale, qualora si cambi, attraverso una rotazione rigida, la configurazione di riferimento Ω°, la configurazione variata, ΩR, sarà indistinguibile dalla configurazione iniziale consentendo la seguente: Definizione: Si definisce gruppo di simmetria della funzione di risposta (), )( l’insieme delle rotazioni rigide per le quali Ω° ≡ ΩR

La precedente definizione consente di dare una definizione di materiale isotropo come segue: Definizione: un materiale elastico è isotropo se esiste una configurazione Ω° tale che, il gruppo )( coincida con il gruppo ortogonale.

107

Page 108: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Senza perdere di generalità possiamo affermare che la funzione () possa essere definita come una funzione tensoriale isotropa. Tuttavia, per quanto definito, sulla misura della deformazione in elasticità finita, è possibile assumere la dipendenza dal tensore sx di Cauchy-Green .

= () (11.20) è noto che, sotto opportune condizioni, una funzione tensoriale può essere data come serie di potenze allora, è possibile enunciare l’importante: Teorema di Rivlin-Ericksen. () è una funzione tensoriale isotropa se e solo se, esistono delle funzioni scalari isotrope α0, α1, α2 tali che:

() = α0I + α1 + α22 (11.21)

dove, le tre funzioni scalari isotrope αi =αi [I1(), I2(), I3()] sono funzioni dei tre invarianti del tensore , quindi dipendono dallo stato di deformazioni attuale. Usando il teorema di R-V, l’equazione costitutiva, nel caso isotropo, diventa:

k = α0I + α1 + α22 (11.22)

Con la formulazione della (11.22) diviene possibile formulare il problema ai valori sul bordo in elasticità finita. Sia un corpo elastico, la cui legge costitutiva è del tipo k = (, X) e, nel caso di omogeneità globale della configurazione di riferimento diventi k = (). In tale caso le equazioni di equilibrio assumono la forma.

div (, X) + ρf = ρü (11.23) s°(X )=knk = ()nk

Infine, un esempio consentirà una maggiore comprensione riguardo la risposta di un solido elastico in regime di elasticità finita, nonché una comparazione rispetto alla risposta in elasticità linearizzata. Si consideri il campo di deformazione: (x1 = X1+X2, x2 = X2, x3 = X3) allora:

= ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎡ γ

10001001

T = =

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎡γ

10001001

T =

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

γγγ+

1000101 2

2 =( ) ( )( )

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

γ+γγ+γ+γγ+γ+γ+

100011011

2

222

J = det = 1; I1 = I2 = 3+2

Richiamando l’equazione costitutiva (11.22), si ha il seguente campo di tensione:

108

Page 109: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

= α0I + α1 + α

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

γγγ+

1000101 2

2

( ) ( )( )

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

γ+γγ+γ+γγ+γ+γ+

100011011

2

222

È possibile osservare che dietro una deformazione di puro scorrimento il solido manifesta un regime tensionale ove sono presenti, oltre la tensione tangenziale, le tre tensioni normali ( differente rispetto al caso linearizzato ove la presenza è relativa solo alla tensione tangenziale). E’ possibile altresì, nel caso prima dimostrato ricavare la relazione:

11 − 22 = γ12

Ove si nota che la tensione tangenziale viene equilibrata dalla differenza di due tensioni normali. Questo aspetto, dimostrato sperimentalmente, prende il nome di effetto Poynting. 11.4 Materiale iper-elastico Un solido definito “iperelastico” è un materiale la cui energia potenziale elastica è derivata dall’equazione differenziale del bilancio energetico:

W ’ (ÿ , t ) = tr (K ’ T ) ≡ k ’ (11.24)

Fornendo la seguente espressione per la funzione energia di deformazione:

W (ÿ , t) = W (( ÿ, t ) , ÿ ) (11.25)

Con opportuna combinazione delle due ultime espressioni si ottiene:

[k – (∂W /∂) ]ÿ ’ = 0 (11.26)

che vale ∀’. Segue che, l’equazione costitutiva generale per un solido iperelastico ( definita anche come materiale iperelastico di Green) assume la forma:

k = ∂W()/∂ (11.27)

Dalla relazione che lega i tensori di Piola-Kirchoff e Cauchy, si ha l’analoga legge rispetto allo stress di Cauchy:

= J-1 [ ∂ W() / ∂] T (11.28)

Vediamo ora alcune proprietà della relazione costitutiva; consideriamo un moto che porti dalla configurazione W alla configurazione Wt con una legge del tipo

x œ Wt → xt = c (t) + (t) x (11.22)

ove c(t) è una funzione a valori reali e œOrth.

109

Page 110: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Parimenti, in termini di gradiente della deformazione è possibile scrivere:

t = (11.23)

Analogamente i tensori deformazione di Cauchy-Green si trasformano in:

t = e t = T (11.24)

il principio di indifferenza materiale (Truesdell & Noll) richiede: W (t) = W ( ) = W () 11.25)

che vale per ogni tensore e . Applicando il teorema della decomposizione polare, con la posizione = T, è possibile porre W in funzione di 2 = e scrivere:

W () = W () = W () (11.26)

conseguentemente, per ogni cambio del sistema di riferimento, si può affermare che l’ energia di deformazione, per un materiale iperelastico, è indifferente solo quando assume la forma ridotta sopra espressa. Volendo specificare la forma ridotta in funzione degli stress si ha:

k = 2[∂W(C)/∂] (11.27) =2J-1 [(∂W(C)/∂) ]T

Una successiva considerazione da fare, sull’energia di deformazione è che essa resta definita a meno di una costante. Normalmente è presa come configurazione di riferimento quella in cui l’energia ammette minimo e quindi, avere un’energia positiva per qualsiasi altra deformazione. Conseguentemente, si può porre la condizione W () ≥ W() per qualsiasi stato naturale. Successive condizioni di plausibilità fisica sono le condizioni di crescita:

W ()→ + se det → + W ()→ + se det → 0

Le espressioni cui sopra rappresentano il significato fisico delle condizioni di crescita per la funzione energia ossia, l’espansione e la compressione illimitata richiedono, al limite, un’energia infinita. 11.5 Materiale isotropo iperelastico Il gruppo di simmetria ha una dipendenza dalla configurazione di riferimento e le sue variazioni dovranno sempre essere riferite ad una condizione iniziale. Ad esempio, lo stato indeformato, definito anche come configurazione indistorta, ove il campo di deformazione è assente, viene ad essere caratterizzato dalla condizione sul gradiente del tipo: = 1 può quindi essere scelto come riferimento iniziale. Se un materiale nel suo stato naturale, non ha simmetria allora gχ = 1 e il materiale è definito triclino. Se il materiale presenta assi di simmetria, nella

110

Page 111: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

configurazione naturale, allora il suo gruppo di simmetria è gχ = : H = ≤ H , ∀direzione H . In tal caso il materiale è definito trasversalmente isotropo. Infine se gχ ≡ allora, qualsiasi direzione dello stato naturale è un asse di simmetria materiale e questa proprietà consente di definire isotropo il materiale. Nel caso di materiale isotropo ed iperelastico ∀∈Orth , con la posizione ªT, si ottiene la necessaria condizione:

W() = W() (11.28)

La (11.28) stabilisce che, per ammesse deformazioni la funzione energia di deformazione assume lo stesso valore quando i tensori della deformazione o vengano usati come variabile indipendente. Generalmente , sono distinti tensori o meglio, hanno gli stessi autovalori ma diversi autovettori. Considerando gli invarianti di entrambi i tensori è possibile affermare che l’energia di deformazione deve essere una funzione isotropa, a valori scalari, dei soli invarianti.

W () = W() = W (I1 , I2 , I3 ) (11.29) ove nello specifico

I1 = tr , I2 = ½ [I12 – tr (2)] , I3 = det (11.30)

Allora, ponendo la posizione = T, ∀ è possibile affermare che, un materiale iperelastico è isotropo solo quando la sua funzione energia, relativa ad uno stato indistorto, ha la rappresentazione (11.29). L’equazione costitutiva per tale materiale sarà del tipo: K = 2 (∂ W/∂ ) = 2(∂W/∂) ; = 2J-1 (∂W /∂) (11.31)

L’ultima è espressa interamente in termini di , mentre la prima sviluppa rotazioni rigide locali. I coefficienti scalari di cui alla equazione costitutiva (11.22) sono definiti funzioni di risposta elastica e la loro dipendenza è legata agli invarianti del tensore della deformazione αi = αi (I1 , I2 , I3 ) , i = 0,1,2 (11.32) Conseguentemente, in una configurazione di riferimento del tipo indistorta, sarà = 1 e, inoltre, non sarà necessario che lo stress si annulli. Uno stato indistorto per un materiale isotropo è al più idrostatico:

0 = ( α0 + α1 + α2 ) I (11.33)

Una configurazione indistorta in cui 0 = 0 è definita stato naturale o stress-free

( α0 + α1 + α2 ) = 0 (11.34)

Molti problemi possono essere approfonditi senza altra specificazione sulla funzione di risposta desiderata. Quando ciò non è possibile, allora si ricorre a

111

Page 112: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

modelli aventi fondamento attraverso l’attività sperimentale e, la conseguente determinazione della funzione di risposta, per particolari materiali, è uno dei principali problemi in meccanica sperimentale. 11.6 Vincoli interni Un vincolo interno è una restrizione sulle deformazioni permesse. In particolar modo un vincolo interno semplice è una restrizione del tipo:

γ () = 0 (11.35)

esempi di vincoli interni semplici sono l’incomprimibilità

det = 1 (11.36)

l’inestensibilità nella direzione materiale e

7 e 7 = 6 e 6 (11.37)

e la rigidità

7 e 7 = 6 e 6 ∀e (11.38)

ove la precedente eguaglianza è estesa ad ogni vettore e. Il principio di indifferenza materiale richiede che ∀∈Lin+ , ∀∈Orth

γ () = γ () (11.39)

dal teorema della decomposizione polare, posto T = si ha la forma ridotta:

γ () = 0 (11.40)

e ponendo γ () = λ (2) = λ ( ) si ha la forma equivalente:

λ () = 0 (11.41)

Alla presenza di un vincolo sulla deformazione corrisponde una parziale indeterminazione del tensore di Cauchy. La parte indeterminata di è la reazione del vincolo interno; per esempio nel caso di rigidità è completamente indeterminato. La specificazione della parte indeterminata di fa parte della definizione di vincolo e l’ipotesi che comunemente si fa è quella di vincolo interno liscio. Un vincolo interno del tipo unilatero è una restrizione sulla deformazione della forma: γ (F ) ≤ 0. Un esempio è dato dal materiale locking (detto materiale di Prager) la cui equazione costitutiva monodimensionale è del tipo:

σ = κ ε per ε < ε0 (11.42) σ = ε (κε0 ,+ ∞ ) per ε > ε0

112

Page 113: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Estendo al caso tridimensionale si ottiene:

(t ) = - p (t )+ (t) (11.43)

con la condizione aggiuntiva

p (t ) = 0 det > κ (11.44) p (t ) ≥ 0 det = κ 11.7 Funzione di Rivlin & Saunders Gomme naturali, elastomeri e tessuti biologici sono importanti esempi di materiali reali che possono essere modellati come incompressibili isotropi ed iperelastici. Sono molte le ipotesi costitutive supportate da esperimenti proposti in letteratura riguardo i materiali precedentemente citati ma, in particolare, il primo esperimento dovuto a Rivlin & Saunders, nonchè i conseguenti sviluppi sono state le basi per numerose e successive modellazioni in elasticità finita. La generale equazione costitutiva è stata usata al fine di caratterizzare risposte materiali sotto azioni di tensione, compressione e taglio. Gli esperimenti condotti applicano risultati teorici a prove sperimentali, con il fine di determinare la funzione di risposta per le gomme naturali. Riprendendo la caratterizzazione costitutiva generale ed omettendo, per semplicità, alcuni passaggi si può scrivere l’equazione come:

W (I1 , I2) = α/2 ( I1 − 3) + g (I2 − 3) (11.45)

dove g(0) è una funzione incognita solo di I2 ed il cui valore iniziale è g(0) = 0. L’ espressione così definita rappresenta la funzione energia di deformazione ottenuta per le gomme naturali la cui peculiarità è rappresentata dal fatto che la risposta di un materiale isotropo ed iperelastico può dipender solo da I2La (11.45), con le opportune aggiunte, viene a rappresentare la base per ottenere le funzioni di risposta, in termini di energia, per una varia classe di materiali. 11.8 Materiale di Mooney Rivlin Estendo i risultati dell’esperienza di Rivlin & Saunders al materiale di Mooney-Rivlin, con l’aggiunta di alcune posizioni si ha:

W (I1 , I2) = α/2 ( I1 − 3) + β/2 (I2 − 3) (11.46)

Da cui la conseguente equazione costitutiva utilizzata in materiali tipo gomma quando soggetti a grandi deformazioni:

= - p I + µ0 f −µ0 (1−f ) -1 (11.47) Dove p è uno scalare, µ0 è il modulo di shear ed f una opportuna costante.

11.9 Materiale neo-Hookean Analogamente, per il caso del materiale neo-Hookean (f =1) si trova la seguente equazione costitutiva utilizzata per gomme a media deformazione:

113

Page 114: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

= - p I + µ0 (11.48)

Introducendo la costante γ, l’ultima espressione può essere configurata per la equazione costitutiva dei tessuti biologici:

= - p I + µ0 f eγ(I -3) (11.49) 11.10 Materiale di Blatz-Ko Svolgendo le seguenti posizioni sugli invarianti della deformazione:

J1 = I1 ; J2 = I2/I3 ; J3 = I31/2 (11.50) La funzione energia di deformazione assume la dipendenza:

W = W(J1, J2, J3) (11.51)

La specifica equazione costitutiva assume la forma:

= W3(J3) + (°f /J3) −[ (1−f )/J3] (11.52)

che rappresenta la risposta, per un materiale isotropo ed iperelastico, la cui funzione dipende solo dall’invariante J3. La (11.52) rappresenta l’equazione per il materiale di Blatz-Ko, legge costitutiva adattata per schiume elastomeriche poliuretaniche:

= °[ 1− J3 -1 -1] (11.53)

Oppure per solidi gomme a natura poliuretanica nella forma:

= W3(J3) + ( °/ J3 ) -1] (11.54)

11.10 Plausibilità statica ed unicità della soluzione Commentiamo alcuni esempi atti a dimostrare che, nel contesto della elasticità finita, la cosiddetta “unicità della soluzione“ non risulta assolutamente la regola, come parimenti la continuità dell’applicazione dato Ø soluzione. Andrà quindi tralasciata l’idea di trovare una soluzione tipo Hadamard con il fine di costruire una nozione più inclusiva. Vale sempre la riflessione su quanto affermato da:

Walter Noll (1971) ”What is a well posed problem in finite elasticity ? “.

Introduciamo il problema con una serie di considerazioni fisiche: immaginiamo un corpo, soggetto ad una condizione di carico morto al bordo e trascuriamo le forze di volume (quindi div = 0 ). Si osserva, e si dimostra, che in entrambi i possibili casi (trazione o compressione) è facile la individuazione di soluzioni non omogenee. Ancora, su un’esperienza di Armani & Noll, consideriamo l’eversione

114

Page 115: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

di una calotta emisferica. Si osserva che, in funzione di una perturbazione anche piccola, tutte le possibili forme possono essere stabili. Una congettura possibile, al fine di dare una spiegazione plausibile può essere:

- calotta non convessa; convesso Ø unicità - calotta sottile; (rapporto tra spessore/ raggio, grande)Ø unicità

Infine, una compressione su un cilindro cavo genera fenomeni di “barrelling”, viceversa se la sezione del cilindro è piena, sono presenti fenomeni di buckling. Sotto un punto di vista costitutivo, in accordo con quanto espresso da Podio-Guidugli si consideri il funzionale:

() = ∫ W ((u) + U (x, (x)) (11.55)

ove la W non è necessariamente quadratica nella misura di deformazione, come nel caso linearizzato mentre U (⋅,⋅) è il lavoro delle forze esterne. Il classico problema variazionale consiste nel descrivere l’insieme:

u ∈V| () = min + b.c. (11.56)

L’utilizzo dei metodi variazionali impone alcune ipotesi minime sulle applicazioni costitutive W e U oltre che su V. Nel caso mono-dimensionale si prenda una u∈C1(0,1) e si assuma W di Carathèodory in [0,1] × ]0, +∞[ , ovvero misurabile e continua. Considerata una perturbazione εØW(u + εv) ove v∈C10 (0,1) funzione test, allora condizioni necessarie e sufficienti per l’esistenza di soluzioni u∈ sono:

W(u + εv)ε |ε = 0 = 0 W(u + εv)ε ε |ε = 0 ≥ 0 (11.57)

Per dare una risposta corretta al problema vanno poste due questioni: - in quale spazio si cerca la soluzione - quali restrizioni su W derivanti dalla presunzione che esistano i minimi Per rispondere alla seconda questione esploriamo le implicazioni costitutive sulla eventuale regolarità dei minimi. Si consideri l’equazione di Eulero-Lagrange per il funzionale della energia totale:

∀v test , ∫ [∂2 WE(x, ) + ∂2 U(x, u)] v = 0 (11.58)

Con la dovuta attenzione si può osservare che nella (11.58) appaiono tre grandezze che sono presenti nella formulazione del problema di equilibrio in via variazionale cioè, la densità di energia elastica, lo stress ed il tensore elastico. Nella ipotesi che la regolarità richiesta esista è dimostrabile che le ipotesi di comportamento su ciascuna di esse si riflettono in corrispondenti ipotesi sulle altre due secondo lo schema:

convessità di W ≡ monotonia di ≡ positività di

I metodi diretti del calcolo delle variazioni, a tal punto, pongono due questioni: -esistono minimi del funzionale considerato? -se esistono, soddisfano l’equazione di E.L. ? e, in aggiunta per i nostri scopi:

115

Page 116: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

-quali sono gli aspetti costitutivi che hanno rilievo per dare una risposta alle precedenti ? Una prima risposta, dietro semplici considerazioni, consente di affermare il rapporto regolarità dei minimi ⇒ stretta monotonia dello sforzo, mentre una ulteriore semplice considerazione comporta regolarità dei minimi ⇒ non negatività di . Segue allora la seguente: Proposizione: Sia W∈C1, sia nullo il potenziale dei carichi esterni e sia, nello intervallo (0,1), u(1) = u0. Allora: 1- se le soluzioni dell’equazione di E.L. sono di classe C1 allora W è convessa nel senso stretto. 2- se W∈C2 e se esistono minimi di classe C1 ∀u0 , segue W convessa. La convessità, come ipotesi qualitativa su W, è dunque dettata da esigenze analitiche anche se si può considerare, per certi aspetti, una ipotesi costitutiva. Questo ultimo concetto necessità un confronto con ragioni di plausibilità fisica onde avere conferma delle ipotesi quantitative su W . 11.11 Elasticità variazionale In elasticità tridimensionale il formato variazionale, oltre ad essere suggerito da ragioni termodinamiche di principio, fornisce un notevole supporto di procedure e metodi. Il nostro scopo è quello di formulare una classe di problemi di equilibrio elastico come problemi di minimo per un funzionale energia, ponendo l’attenzione su enunciati a priori di natura costitutiva, caratterizzanti il modello, che hanno rilievo ai fini della buona posizione del problema. Per semplicità, inoltre, è supposto nullo il potenziale dei carichi esterni. In elasticità non lineare la ricerca di configurazioni di equilibrio stabili per un corpo continuo, omogeneo ed iperelastici soggetto a b.c. corrisponde alla ricerca dei minimi per il funzionale

(u) = ∫Ω W () (11.59)

dove Ω ⊂ 3 è la regione di occupata nella sua configurazione di riferimento. Sia u: ΩØ3 la generica deformazione, allora il problema di minimo si ambienta in un opportuno spazio vettoriale:

= u∈ (Ω, 3) + u rispetta le b.c. (11.60)

pertanto la funzione W () può assumere la forma di mappa +3x3Ø3 dove +3x3 è l’insieme dei tensori su 3 il cui determinante è positivo. L’ipotesi di convessità per W, assieme ad opportune condizioni di crescita, garantiscono la esistenza di soluzioni del problema di minimo. Purtroppo, in elasticità non lineare la ipotesi di convessità per la W è fisicamente inaccettabile e quanto segue ne rappresenta la dimostrazione per tale enunciato. Teorema (Ciarlet): Si assuma che la funzione densità di energia di deformazione sia differenziabile sul suo dominio, soddisfi la proprietà di indifferenza materiale e sia convessa, allora:

116

Page 117: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

-la proprietà di indifferenza materiale è incompatibile con la proprietà

limdetFØ0 W(F) = ∞ (11.61)

-per ogni deformazione di gradiente , gli autovalori τi del tensore di Cauchy () soddisfano le disuguaglianze:

τ1 + τ2 ≥ 0 , τ2 + τ3 ≥ 0 , τ1 + τ3 ≥ 0 (11.61)

il teorema stabilisce due conseguenze fisicamente non accettabili della proprietà di convessità: la prima è in contrasto con la natura fisica che, per annullare un volume occorre spendere un’energia infinita. La seconda esclude stati di tensione che non soddisfano le disuguaglianze come, ad esempio, la compressione idrostatica. Infatti, presa una compressione uniforme di gradiente =k, k∈(0,1), questa dovrebbe essere accompagnata da sforzi di trazione (k,) = π(k) , dove π(k) > 0. Conseguentemente l’ ipotesi di convessità và scartata o meglio qualificata, per usare l’affermazione di Podio-Guidugli. La soluzione al problema così formulato perviene attraverso un’ intuizione dovuta a J. Ball (1977), il quale introdusse la energia di deformazione tipo policonvessa. Più specificatamente egli propose che una funzione W : Ø 3, definita su un arbitrario sottoinsieme M ⊂ +3x3 è detta poli-convessa allorquando esiste una funzione convessa W*(x, ÿ) tale che:

W(F) = W*( , cof , det ) ∀∈M (11.62)

dove cof =(det )-T. Per i nostri scopi, la definizione cui sopra si specializza nella seguente forma: una funzione energia di deformazione W: Ω ä +3x3Ø è policonvessa se ∀x∈Ω esiste una funzione convessa

W*(x, ÿ) : 3 ä 3 ä ]0, + ∞[ Ø (11.63) tale che:

W(F) = W*( x, , cof , det ) ∀∈ 3 (11.64) 11.12 Energie poli-convesse Sia ∈ 3 e siano λi (i = 1, 2, 3) ≥ 0 gli autovalori del tensore T, simmetrico e definito positivo. Gli scalari:

υi = λi ½ (i = 1, 2, 3) (11.65)

sono definiti valori singolari o deformazioni principali. Un materiale iperelastico omogeneo è definito isotropo se la sua densità di energia di deformazione gode della proprietà ∀∈Orth , ∈ +3x3

W () = W() (11.66)

117

Page 118: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Un noto teorema di rappresentazione, dovuto a Ciarlet, afferma che W soddisfa la proprietà di obbiettività e di isotropia solo se esiste una funzione w: (+)3Ø+ tale che

W() = w (υ1 , υ2 , υ3) (11.67) Applicare la formulazione (11.67) ai materiali isotropi significa derivare forme, analiticamente agevoli, della densità di energia di deformazione per le varie classi di materiali precedentemente definiti: 11.12.1 Materiale neo-hookeano Derivata dalla teoria cinetica delle gomme, Treolar determinò per gli elastomeri incomprimibili, la seguente forma per W:

W () = a (7 72 – 3) (11.68)

dove a > 0 è un parametro che dipende dalla catena molecolare dell’elastomero. Nel caso comprimibile la forma diventa:

W () = a (7 72 – 3) + Γ(det ) (11.69)

11.12.2 Materiale di Mooney-Rivlin Nel 1940 Mooney propose per l’energia di deformazione di gomme incomprimibili la forma:

W () = a(7 72 – 3) + b( 7cof 72 – 3) (11.70)

con a, b > 0. Nel caso comprimibile si ha:

W () = a( 7 72 – 3) + b( 7cof 72 – 3) + Γ(det ) (11.71) Entrambe le forme di energia sono poli-convesse ma non convesse a causa dei termini che dipendono da cof e da det . 11.12.3 Materiale di Ogden Una parziale e raffinata modifica ai modelli precedenti fu, successivamente, dovuta a Ogden nella forma:

W() = Σi ai (Σi υiγi ) + Σj bj( Σi (υiυj)δj + Γ det () (11.72)

Con ai > 0, γi > 1, 1 ≤ i ≤ M, bj ≥ 0, 1≤ j ≤ N, δ ≥ 1, Γ:( 0, + ∞ )Ø convessa. Il modello a sei parametri è in buon accordo con i risultati sperimentali fino a deformazione del 600%. La forma di Ogden definisce una energia poli-convessa. 11.12.4 Materiale di St. Venant – Kirchhoff Per tali materiali la densità di energia ha la forma:

118

Page 119: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

W() = α(tr )2 + βtr 2 ; = ½ (T – I) (11.73)

dove α, β sono costanti. 11.12.5 Materiale di Blatz-Ko Riprendendo la forma espressa nella (11.71) per il materiale di Mooney-Rivlin, nel caso comprimibile, e ponendo il coefficiente b = 0 si ha:

W () = a( 7 72 – 3) + Γ(det ) (11.74)

11.13 Proprietà della energia di deformazione non convessa: un esempio Si consideri una barra la cui lunghezza iniziale sia l e si supponga di imprimere, attraverso una prova, un allungamento tale che la lunghezza finale sia l + β l. Si ponga u come lo spostamento che consente di passare dalla configurazione iniziale a quella deformata e sia u’ la derivata dello spostamento coincidente con la deformazione. L’energia elastica della trasformazione, quadratica, vale:

W (u ) = ½ κ 2l (11.75)

dove κ rappresenta il modulo elastico del materiale. La deformazione è omogenea, cioè costante in tutta la trave, e le condizioni al bordo possono essere messe nella forma:

u (l ) – u (0) = ∫l βl (11.76)

che corrisponde ad avere assegnata la lunghezza finale. L’ultima può essere iscritta nella forma

u (l ) – u (0) = ∫l (x) = βl (11.77)

ottenendo la relazione = β. Rispetto al caso classico, si vuole considerare una densità di energia di deformazione non convessa per come rappresentato nella

σm

σ

a b c d u'

(b) w

a b c d u'

(a)

119

Page 120: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

figura (a). Il problema che si pone è: dato β si determini una funzione u’(x)= che renda minima l’energia di deformazione

() = ∫l W (u’(x))dx (11.78)

Posta una densità di energia non convessa, andrà considerata una deformazione (x) variabile da punto a punto, e la condizione da rispettare sul bordo diventa

∫l (x)= βl (11.79)

Il problema diventa il seguente: minimizzare () nel rispetto delle condizioni al bordo. A tal fine non è necessario esprimere la densità di energia analiticamente, ma basterà definirla per mezzo di proprietà generali. Dalla figura precedente (a) si possono dedurre alcune importanti proprietà della curva rappresentativa della densità di energia. i- esiste una sola retta tangente alla curva in due punti (a , d) ii- la curva ha due punti di flesso individuati in b , c Essendo la derivata della densità di energia pari alla tensione σ = Wu , la curva stress-strain presenta un massimo ed un minimo in corrispondenza dei punti di flesso nella curva dell’energia W(). Ancora, sulla curva della tensione σ() è possibile individuare univocamente due punti a , d in corrispondenza dei quali il valore della tensione rende le aree eguali per come riportato in figura precedente (b). Detta σm la pendenza della retta tangente in a-d , il rispetto della regola di Maxwell impone la verifica della seguente eguaglianza

σm (d – a) = W (d) – W (a) = ∫WE ()d (11.80) .

cioè l’area sottesa dalla curva σ (), nell’intervallo [a , d ], deve essere eguale alla area del rettangolo delimitato da a , b e σm. Stabilite così le proprietà generali che caratterizzano la densità di energia non convessa si ricavano, adesso, le condizioni sulla deformazione affinché l’energia sia minima. Si considera un opportuno intorno di e si consideri una soluzione del tipo + η tale che

(+ η ) − ( ) ≥ 0 (11.81)

questa espressione può essere messa in forma integrale

!l [W((x) + η(x)) −W((x)]dx ≥ 0 (11.82)

sviluppando l’integrando in serie di Taylor, nonchè rammentando che la η(x) deve soddisfare le seguenti condizioni: i- !l η(x) = 0 ; ii- 6η(x) 6 < ε ∀x

120

Page 121: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

La prima relazione deriva dalla circostanza che la funzione perturbata ( + η) deve soddisfare la condizione al bordo, mentre la seconda consente di trascurare i termini di ordine superiore. La condizione si può scrivere:

!l WE ((x) η(x)) dx ≥ 0 (11.83) che deve essere sempre soddisfatta, anche quando cambia il segno di η, e pertanto vale solo con il segno di eguaglianza. Affinché la nuova condizione sia soddisfatta ∀η ad integrale nullo dovrà essere

WE ( (x)) = cost. (11.84)

Ovvero, la tensione deve essere costante in ogni punto della barra. Se allo sviluppo in serie precedente si aggiunge il termine del secondo ordine, si ottiene la relazione di stabilità

WEE ((x)) ≥ 0 (11.85)

Le ultime due relazioni, rispettivamente, individuano tutte le configurazioni di equilibrio e quelle di equilibrio stabile. Con il rispetto delle condizioni di stabilità appare evidente l’esclusione di tutte le presenti nel ramo discendente. Riassumendo, ad ogni β assegnato corrisponde una soluzione monofase infatti, corrisponde il rispetto della condizione di equilibrio ma non necessariamente di stabilità poiché possono esistere punti a derivata negativa. Occorre a questo punto considerare la possibilità di una soluzione bifase. Per esempio, se il livello della tensione è pari alla tensione di Maxwell σm , si può assumere che nella barra esista un intervallo (0, λl ) in cui la deformazione sarà = a, ed una parte nell’intervallo (λl , l ), in cui la deformazione sia = d. Il coefficiente λ (0, l) è determinato dalla condizione al bordo

!l ((x)dx = βl = λl a + (1−λ) l d (11.86) da cui

λ = ( d −β) / (d −a) (11.87)

noti a, d, che sono caratteristici del materiale, e dato β si può ricavare λ mirando quindi a una soluzione bifase tale da coprire tutti i punti dell’intervallo [a, d ]. Il problema diviene più complicato poiché si possono avere soluzioni bifasi anche dove si avevano soluzioni monofase. Occorre dunque studiare la stabilità della soluzione bifase e valutare se, fuori dell’intervallo [b, c], la soluzione bifase conviene o meno, in termini energetici, rispetto a quella monofase. Si prenda un valore di tensione diverso dalla tensione di Maxwell, rispetto al quale corrispondono due valori di deformazione 1 , 2 , in tal modo esisterà sempre una soluzione bifase cui corrisponderà un altro valore di λ. Si potranno avere n soluzioni bifase, una per ogni livello di tensione, e fra queste sarà considerata la più conveniente, per poi confrontarla con la soluzione monofase. Se preso il diagramma della tensione consideriamo un intervallo compreso tra il valore max ed il valore minimo, è possibile associare, entro l’intervallo, una soluzione bifase mentre al di fuori dell’intervallo esistono solo soluzioni monofase. Omettendo alcuni passaggi si può porre l’energia bifase in una forma

121

Page 122: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

che è funzione della tensione essendo le deformazioni 2 , 1 corrispondenti al livello di tensione considerato. Minimizzando si ottiene la soluzione bifase nella forma:

σ =[ W(2) − W(1)] / 2 − 1 (11.88)

che coincide con la espressione della tensione di Maxwell, quindi sono possibili soluzioni monofase solo nel tratto 0-a per come indicato nella figura sottostante, mentre la totalità della curva rappresenta il luogo dei minimi globali.

a d β

σm

σ Tutte le soluzioni bifasi con tensione diversa da quella di Maxwell, nonché le soluzioni monofase rimaste fuori corrispondono a minimi locali. Al crescere di β, (vedi figura successiva), si percorre il ramo iniziale OP. Arrivati in P la curva presenta una biforcazione, da una parte la retta di Maxwell della soluzione bifase, dall’altra il tratto PQ della soluzione monofase. Supposto che la soluzione monofase sia un minimo locale, appare naturale chiedersi la via che il materiale sceglie oltre il punto P, ovvero se quella del minimo locale o quella della soluzione bifase. Nei fatti questa è una domanda quasi senza risposta ed un esempio concreto, forse, ne chiarirà la difficoltà. Si consideri il legame tensione deformazione di un acciaio in corrispondenza dello snervamento, come nella figura seguente. Una spiegazione del picco di tensione che in genere precede lo snervamento potrebbe essere che il materiale inizialmente vada verso il percorso dei minimi locali ma, poi, ad un determinato punto, ricade in quella dei minimi globali.

Figura 7. Curva tensione deformazione per un acciaio

122

Page 123: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Il semplice modello monodimensionale fin qui descritto è noto in letteratura come il modello della barra di J.L. Ericksen (1975) che ha consentito l’apertura di nuovi canali di ricerca poiché ha permesso di modellare, nel contesto della elasticità finita, fenomeni tipicamente non elastici quali la plasticità, la frattura l’isteresi. Osservando la curva, di cui alla figura sottostante, i rami ascendenti possono essere considerati come fasi diverse coesistenti all’interno dello stesso materiale. Questa presenza implica che sottoponendo il materiale ad un ciclo di carico e scarico il diagramma presenta un ciclo di isteresi.

Il modello fin qui descritto risulta avere notevoli implicazioni pratiche infatti, è individuabile nei materiali a memoria di forma un comportamento eguale, noto come superelasticità. Inoltre anche nelle funzioni di riposta di molti materiali a natura elastomerica è individuabile andamento similare per come riportato nella figura sottostante.

123

Page 124: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 12 MODELLI BIDIMENSIONALI

12.1 Problemi piani di sforzo e deformazione Il carattere dei problemi piani è rappresentato dal fatto che gli stati di tensione o deformazione sono esprimibili mediante tre sole delle componenti di tensione o di deformazione. Le applicazioni reali sono frequenti, basti pensare ad un solido cilindrico molto allungato (galleria) soggetto a forze perpendicolari al proprio asse longitudinale, per dedurre che lo stato di deformazione è piano in quanto gli spostamenti dei suoi punti appartengono a piani perpendicolari all’asse 3. La formulazione del problema piano dipende dalla formulazione generale ovvero, premesse le considerazioni fondamentali sulla congruenza e sull’equilibrio, andranno formulate le equazioni significative sulla base di un legame costitutivo tipo elastico lineare isotropo. -Equilibrio in termini di tensione Si consideri dalla caratterizzazione integrale, in termini di tensione, e si restringa la classe delle tensioni ammissibili. Si assumano come campi ammissibili i campi di tensione del tipo:

σ(1,2,3)= (12.1)

( ) ( )( ) ( )

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎡σττσ

00000

221

121,y,xy,x

y,xy,x

dove σ,τ∈C1(Ω*) con Ω* piano medio del solido. Supposto sia noto un campo di tensioni σe, equilibrato con forze esterne, poniamo il seguente problema: per ogni campo σ°, equilibrato con forze nulle, determinare quel campo σ* tale da soddisfare l’equazione dei lavori virtuali. L’equilibrio con forze nulle si pone nella forma: σ11,1 + τ12,2 = 0 τ21,1 + σ22,2 = 0 in Ω (12.2) σ11n1 + τ12n2 = 0 τ211 + σ22 n2 = 0 in ∂Ω Introduciamo l’insieme delle funzioni: Φ = ϕ: Ω*→ , ϕ∈C3(Ω*) (12.3)

124

Page 125: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Ove la ϕ∈Φ è definita “ funzione degli sforzi o di Airy ” e dico, stato piano di tensione associato a ϕ lo stato così definito: σ11 = ϕ,22 ; σ22 = ϕ,11 ; τ12 = −ϕ,12 (12.4) Le equazioni al contorno si riducono alla forma: ϕ,22 n1− ϕ,12n2 = 0 (12.5) −ϕ,12 n1+ ϕ,11n2 =0 Nel caso di forze sul volume e sulla superficie, non nulle, le relazioni tra le componenti di ed assumono la forma: σ11 = 2µE11+λIE σ12 = 2µE12

σ22 = 2µE22+λIE 0 = 2µE13 (12.6) 0 = 2µE33+λIE 0 = 2µE23

dalla terza delle (12.6) si ottiene: E33 = −(λ / 2µ+λ) (E11+E22) (12.7) che può essere scritta attraverso l’inversa di Lamè nella forma: E33 = −ν/ε(σ11+σ22) (12.8) le altre componenti del tensore della deformazione assumono la forma: E11 = 1/ε(σ11−νσ22) E22 = 1/ε(σ22 −νσ11) (12.9) E12 = 1/G τ12

-Tensioni principali e linee isostatiche Determinata la funzione degli sforzi ϕ( x1, x2) e risolte le condizioni al bordo, sono note immediatamente le componenti di tensione in ogni punto del piano e, conseguentemente risulta possibile determinare i valori principali delle tensioni σI , σII. (ricordando che tag2α=2τ12/σ11−σ22) Le direzioni principali delle tensioni sono tangenti a due famiglie di curve definite “ linee isostatiche “, ove il materiale è semplicemente teso o compresso. -Soluzioni in coordinate cartesiane Caso della distribuzione uniforme di forze perpendicolari ai bordi: τ12 = 0 σ11= −ƒ1 per x1 = [0 – a1] , n1 = ±1 , n2 = 0 (12.10) σ22 = −ƒ2 per x2 = [0 – a2] , n2 = ±1 , n1 = 0 allora, scelta una funzione degli sforzi del tipo: ϕ( x1, x2 ) = 1/ 2 (ƒ1x1

2 + ƒ2x22 ) (12.11)

125

Page 126: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

si ottiene: σ11 ≡ ϕ22 = − ƒ2 σ22 ≡ ϕ11 = −ƒ1 τ12 ≡ ϕ12 = 0 (12.12) lo stato di tensione, così determinato, è uniforme; il valore assunto da tg2α = 0, le linee isostatiche si riducono a due famiglie di rette parallele agli assi 1 e 2. Lungo tali assi si hanno tensioni principali di compressione tali che σI = −ƒ1 e σII = −ƒ2. 12.2 Stati piani simmetrici e radiali E’ una classe di problemi la cui trattazione non è molto complessa poiché l’unica componente di tensione diversa da zero è quella radiale σr. Posto un semispazio elastico soggetto ad una distribuzione costante di forze, applicate lungo una retta parallela all’asse z ≡ 3, il problema risulta piano nella deformazione con le condizioni al bordo del tipo: σθ = 0 τrθ = 0 per θ = ± π/2 (12.13) posta una funzione di tensione del tipo: ψ(r,θ) = rϕ(θ) (12.14) ove la ϕ(θ), è una funzione incognita della sola θ. Le componenti di tensione assumono la forma: σr = ψ22 = 1/r ψr +1/r2 ψθθ = 1/r [ϕ(θ)+ϕ(θ)θθ] ; σr = τrθ = 0 (12.15) l’equazione di congruenza, opportunamente compattata diventa: 1/r2 (ϕθθθθ + 2ϕθθ + ϕ(θ)) = 0 (12.16) ∀r l’equazione differenziale (12.16), ha come integrale generale: ϕ(θ) = C1θsenθ + C2θcosθ + C3senθ + C4cosθ (12.17) la (12.17) consente di determinare l’unica componente di tensione nella forma: σr = 2/r (C1cosθ- C2senθ) (12.18) la simmetria rispetto alla asse x1, consente di imporre che σr = cost. per θ = −θ e quindi C2 = 0; la costante C1 resta determinata dalla condizione che la risultante delle forze agenti su una superficie cilindrica, generica di raggio r, deve equilibrare la forza esterna F. Quindi, integrando le componenti verticali su ogni elemento rdθ si ha:

126

Page 127: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

2 σ∫π 2

0

/rrcosθdθ = − F (12.19)

sostituendo nella (12.18): σr = −(2F/rπ)cosθ (12.20) Ovvero, ogni elemento a distanza r dal punto di applicazione della F è soggetto a semplice compressione secondo la direzione radiale. La tensione σr è costante in tutti i punti di un cerchio, avente il centro in x1 e tangente l‘asse x2 nel punto di applicazione del carico, ove la tensione stessa diventa infinita (r = 0 nella 12.20). 12.3 Elementi di teoria delle lastre e piastre Si consideri un corpo continuo Ω, ove la superficie è piana, lo spessore h ` dim Ω e il sistema di riferimento presenta l’asse z normale alla superficie media. La superficie laterale Sc è cilindrica con generatrici parallele a z; la curva direttrice è l’intersezione di Ω con Sc , n, t sono la normale e la tangente esterna di Sc. Si ricerca una soluzione del problema di equilibrio approssimando le seguenti ipotesi: -le tensioni normali parallele all’asse z sono nulle (σz = 0). -si assume (ipotesi di Kirchhoff) che elementi lineari, inizialmente ortogonali al piano medio, rimangano rettilinei e ortogonali al piano medio senza subire dilatazioni. La prima assunzione può essere giustificata dal fatto che il valore del carico sulla superficie è molto inferiore al valore delle tensioni che si generano in giaciture ortogonali al piano. E’ possibile dimostrare che, in funzione delle condizioni di carico e di risposta, il problema può essere disaccoppiato nella forma membranale e nella forma flessionale, e quindi essere trattato in forma disgiunta con agevolazioni analitiche non indifferenti. Problema membranale: Si consideri un solido piano, con le relative condizioni di vincolo. Su Ω agiscono azioni esterne (px, py) a natura membranale, ovvero sul piano medio del solido, mentre sul bordo ∂Ω sono assegnate delle trazioni pure tx, ty. Sul vincolo ∂Ω1 sono assegnati gli spostamenti membranali ux, uy. Considerando delle variazioni puramente membranali, espresse in termini di spostamenti, il lavoro virtuale interno si può porre nella forma Li = !Ω Nx δEx + Ny δEy + NxyδExy (12.21) Mentre il lavoro esterno è del tipo Le = !Ω px δux + py δuy +!∂Ω txδux + tyδuy (12.22) Le equazioni di equilibrio per lo stato membranale si possono porre nella seguente forma: Nx,x + Nxy,y + px = 0 in Ω Nxy,y + N y,y + py = 0 (12.23)

127

Page 128: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Nxαx + Nxyαy = tx in ∂Ω Nxyαx + Nyαy = ty

Nella tecnica questi modelli prendono anche il nome di lastre. Problema flessionale. Parimenti al caso precedente, è considerato ora un solido piano in regime flessionale. Nella tecnica questi modelli prendono il nome di piastre.Per brevità, ed anche per semplicità, non viene determinato il bilancio del lavoro interno ed esterno (la procedura è analoga al caso membranale) quindi per ogni variazione virtuale le equazioni di bilancio assumono la forma: -Mx,x – Mxy,y + Tx + mx = 0 in Ω (12.24) -Mxy,x –My,y + Ty + my = 0 Tx,x + Ty,y + p = 0 Tn = Tx αx + Tyαy in ∂Ω (12.25) Mn = Mxα2x + 2 Mxyαxαy + Myα2y

Msn = (Mx – Mx) αxαy + Mxy (α2x – α2y)

128

Page 129: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Capitolo 13 MECCANICA DELLA FRATTURA

13.1 Concentrazione di tensione L’elasticità piana consente di fornire soluzioni approssimate a reali problemi tridimensionali, consentendo la comprensione di importanti fenomeni fisici utili ai fini della progettazione esecutiva e realizzazione. Nel caso meccanico la regolarità geometrica del solido è profondamente influenzata dalla presenza di componenti che hanno, di solito forma complessa, mentre risultano soggetti a condizioni di carico semplice.

(a) Condizioni di simmetria. (b) Andamento dello stress.

129

Page 130: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Si consideri una lastra rettangolare simmetricamente caricata, con una pressione uniforme σo , avente una foratura centrale, come riportato nella figura cui sopra. Considerata la simmetria strutturale, di carico e geometrica, è possibile considerarne esattamente la metà, soprastante, ed imporre l’equilibrio (secondo l’asse x): σo(2l)(2h)= 2Ûh ÛR-l σx (y, z) dydz (13.1) Dove: 2l = larghezza della lastra; 2h = spessore; R = raggio del foro. Nella ipotesi di stato piano ( h á l ) si ha: σo(2l)(2h) = 2hä2 ÛR-l σx (y) dy (13.2) Quindi: σol = ÛR-l σx (y) dy (13.3) Introdotta la tensione media σ − = 1/ (l – R) ÛR-l σx (y) dy si ha: σ − = 1/ 1-(R/l ) σo (13.4) La (13.4) evidenzia come al crescere di R cresce la σo , infatti vi è sempre meno materiale che contribuisce a sopportare gli sforzi dovuti al carico; al limite per R→0 , σ − = σo , ovvero la tensione media coincide con il valore puntuale, cioè σx= σo= σ −. Si potrebbe pensare che il valore di σ − risulti sufficiente accurato per le verifiche di resistenza ma, viceversa, risolvendo il problema in forma chiusa (Kirsc) si trova che la σx ha, in prossimità del foro una brusca impennata, mentre è pressoché costante sul bordo, per come in figura precedente. Questo significa che il solido reagisce all’asportazione di materia chiamando a collaborare principalmente le parti in prossimità del foro lasciando scariche, o quasi, le parti lontane dal difetto. Questo fenomeno è indicato come concentrazione della tensione e la sua importanza è direttamente legata alla presenza, in zone ristrette, soggette a valori elevati di tensione e/o deformazione. 13.2 Problema di Griffith L’approfondimento delle problematiche legate al fenomeno della concentrazione dI tensioni ha consentito lo sviluppo di una particolare branca della resistenza dei materiali detta meccanica della frattura. Consideriamo il problema di figura sottostante:

130

Page 131: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Modello meccanico per il problema di Griffith

Si consideri il modello di lastra, con foro, per come riportato nella figura cui sopra. Riguardo la geometria, la lastra di forma rettangolare, ha spessore unitario (molto inferiore rispetto le altre dimensioni) e contiene un foro di forma ellittica, simmetrico, con i semiassi a,b paralleli ai lati del rettangolo. Si supponga a à b , ma molto inferiore alla dimensione del rettangolo parallela al semiasse. Si fissi un riferimento cartesiano x,y con riferimento dell’origine coincidente con il centro della ellisse, e si supponga che valga il concetto di lastra a dimensione infinita (trascuratezza delle condizioni al bordo). Riguardo le azioni esterne si ipotizzi, agente sui lati paralleli all’asse x una tensione uniforme di trazione σo diretta lungo y in grado di deformare la lastra di una quantità prefissata. Il materiale è supposto elastico lineare omogeneo ed isotropo in ogni suo punto. Osservando la figura, precedente riportata, possiamo affermare che nel punto A, si ha un valore della tensione σy molto superiore rispetto alla media della sezione B-B’. Consideriamo ora una lastra del tutto identica ma, nella quale il semiasse maggiore della ellisse risulta variato di δa e confrontiamo le due lastre alle quali è imposto lo stesso allungamento alle estremità. Possiamo affermare che: -la seconda lastra è più cedevole della prima quindi sarà sufficiente una tensione inferiore per ottenere lo stesso allungamento. -poiché l’allungamento delle due lastre è lo stesso, ma la pressione applicata è superiore. Se ne deduce che la prima lastra contiene più energia elastica. Griffith ipotizzò che la presenza di tensioni elevate all’apice dell’ellisse fosse in grado di rompere il materiale allungando, in tal modo, il semiasse da a → a+δa. Consideriamo allora una lastra rettangolare di spessore unitario soggetta a trazione monoassiale σo e dopo bloccata agli estremi. L’energia elastica, in assenza di foro, risulta Φ1 = ( σ02 / 2E ) A (13.5)

ove A è l’area del rettangolo della lastra. Griffith valutò il rilascio di energia associato alla creazione di un difetto ellittico schiacciato con semiasse maggiore pari ad a in ragione di: ( σ02 / E ) π a2 (13.6)

131

Page 132: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

e quindi, la lastra contenente il difetto ha immagazzinato l’energia: Φ = ( σ02 / 2E ) (A− 2πa2) (13.7)

Quindi, alla variazione di ampiezza, del semiasse a, si accompagna una variazione di energia elastica: δΦ = (dΦ / da)δa = − 2πa ( σ02 / E ) δa (13.8)

Griffith ipotizzo il segno meno presumendo che l’energia fosse liberata dalla lastra, ed ancora che alle nuove superfici dell’ellisse fosse connessa una energia superficiale come quella dei liquidi, valutata come: = 4γa (13.9)

essendo γ l’energia superficiale specifica, relativa alla superficie unitaria del difetto. Allo accrescimento del difetto si accompagna un assorbimento δ pari 4γδa. Se il sistema è chiuso, non vi sono scambi di energia con l’esterno, dovrà essere δ + δΦ = 0 e quindi con semplici passaggi si ha σ02 = IC E / π a (13.10)

dove il termine IC = 2γ è definito critical energy release rate . La (13.10) con le relative considerazioni sul termine IC consente di rispondere ai seguenti quesiti: -data la semiampiezza a del difetto, determinare la tensione critica σcr. -data la tensione σo agente, determinare il max del semiasse dell’ellisse. le risultanze offrono le seguenti relazioni: σcr = (2γ E /π a) 1/2 ; acr = 2γE / σo2 (13.11)

I punti più salienti di questa teoria sono sostanzialmente individuabili nella valutazione che: (i) la presenza nel corpo di una quantità di energia elastica disponibile per sopperire gli effetti dissipativi che si accompagnano alla lacerazione del materiale. (ii) la presenza di concentrazione delle tensioni che possono innescare la propagazione. In un corpo integro, ideale, anche un elevato contenuto energetico non si rivela pericoloso poiché non esistono difetti, nei pressi dei quali si ha concentrazione di tensione. Il criterio dominante in meccanica della frattura è quello di stabilire un modo semplice che consenta di stabilire le potenzialità di propagazione della fessura. L’idea di Irwin, legata alla tensione, si affianca alla valutazione del coefficiente KI, che caratterizza completamente il campo tensionale all’apice della fessura e

132

Page 133: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

per il quale la propagazione si innesca quando è posta la eguaglianza KI = KIC. Conseguentemente varranno le seguenti condizioni: KI < KIC equilibrio stabile KI = KIC equilibrio indifferente (13.12) KI > KIC equilibrio instabile

Dalle (13.12) è possibile rivedere alcune definizioni precedentemente discusse, quali la determinazione della tensione critica in funzione della semiampiezza del difetto a. In particolare si ha: σcr = ΚIC / √πa (13.13) ma è anche: σcr = √E IC /πa (13.14) quindi, in conclusione:

IC = ΚIC / E (13.15)

che lega lo stress intensity factor KIC al rilascio dell’energia critica IC. Il valore di KIC resta determinato in funzione della geometria del foro e delle condizioni di carico. La figura che segue ne contiene alcuni esempi:

Fattori di intensificazione degli sforzi Modello monodimensionale di Griffith Si consideri una barra sottoposta a trazione e si indichi con β l’allungamento della barra come indicato nella figura. Lo stesso allungamento della barra può, però, essere ottenuto separando fisicamente la barra per lo stesso valore β, per come in figura:

133

Page 134: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

(a) (b) Barra in trazione (a). Barra con frattura e separazione (b)

Da un punto di vista energetico, caso quadratico avremo, rispettivamente, nel caso (a) una energia pari W = ½ kβ2 , e nel caso (b) pari a W = 0. Ciò significa che la configurazione di equilibrio è quella con il corpo rotto.

(a) (b)

Energia (a) e tensione (b) per una barra soggetta a frattura Secondo la teoria di Griffith, l’energia di deformazione segue un andamento quadratico e la energia necessaria per fratturare la barra ha un valore costante pari a γ. Nella figura, questo valore è in corrispondenza dell’allungamento critico βc. Per β < βc il minimo della energia corrisponde alla barra deformata, mentre per β > βc il minimo coincide con la barra fratturata. Al manifestarsi della frattura la tensione vale

σc = kβc (13.16)

esprimendo in funzione di γ

γ = 1/2kβc2 (13.17)

si trova

βc = √2γ/k (13.18)

134

Page 135: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

ovvero σc =√2γk (13.19)

La (13.19), per come osservato dallo stesso Griffith, rappresenta una stima per difetto della tensione di frattura. Questo semplice modello consente di comprendere perché non è possibile confrontare le configurazioni di cui alla figura precedente, poiché per la frattura è necessaria una certa quantità di energia. 13.1 Modello di Barenblatt Un ulteriore affinamento al modello di Griffith avvenne per opera di Barenblatt (1959), il quale invece di considerare una energia di frattura costante ipotizzò una gradualità della frattura, quindi una diminuzione della tensione al crescere dell’apertura per come si vede nella figura successiva.

Modello della frattura coesiva (a). Andamento delle forze di richiamo (b)

Conseguentemente si possono derivare gli aspetti costitutivi di cui alla figura seguente:

135

Page 136: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

Duplicità della legge costitutiva

Naturalmente, ad una tensione di frattura decrescente corrisponde una energia di frattura concava come nella figura che segue:

Energia di frattura e tensione secondo il modello di Barenblatt Secondo la teoria di Barenblatt, l’energia viene spesa in maniera graduale e la tensione si annulla quando la curva diventa parallela all’asse a. Mettendo in conto la possibilità di formazione di una frattura, il modello della barra si modifica introducendo una discontinuità nello spostamento u, oltre che sulla deformazione u ’= . Assumendo una densità di energia quadratica:

W( ) = ½ k 2 (13.20)

La curva σ, β è lineare e l’energia totale risulta

(u) = Ûl ½ k ( 2 dx + ((a)) (13.21)

dove il termine (a) è rappresentativo dell’energia che si accumula nella frattura, funzione della apertura della fessura a, in altre parole la discontinuità del campo di spostamento u. La condizione sull’allungamento totale si può scrivere come:

Ûl dx + a = βl (13.22)

Poiché, in questo caso, la curva σ, β è lineare, quindi monotona, non esiste la possibilità di fasi diverse e ciò vuol dire = cost.. Le (13.21) e (13.22) si modificano di conseguenza nella forma:

(u) = l ½ k 2 dx + θ(a) (13.23)

136

Page 137: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

lE + a = βl (13.24)

Le configurazioni di equilibrio si hanno minimizzando la (13.23) con il vincolo (13.24). Sostituendo nella (13.23) la (13.24) in termini di , si ottiene l’espressione dell’energia da minimizzare:

(u) = ½ kl (β − a/l )2 + θ(a) (13.37)

funzione dell’unica variabile scalare a. Ponendo a zero la derivata prima:

−k(β − a/l ) + θ’(a) = 0 (13.38)

dove il termine −k(β − a/l ) è la tensione nella barra, mentre θ’(a) è la tensione nella frattura. La condizione di equilibrio impone, quindi, l’eguaglianza tra la tensione nella barra e quella della frattura. La condizione sulla derivata seconda impone

k / l + θ’’(a) ≥ 0 (13.39)

legando una quantità positiva, cioè il rapporto k / l , ad una quantità negativa θ’’(a), perché la curva θ è concava. Al crescere della lunghezza l , il rapporto k / l diminuisce, ovvero diminuisce la stabilità per cui l rappresenta un fattore di scala. Questi fattori sono estremamente importanti in meccanica della frattura poiché dimostrano che a parità di forma un corpo più grande è molto più fragile di un corpo più piccolo come si vede nella figura che segue:

Transizione duttile fragile ed effetto di scala Resta da precisare che equilibrio e stabilità dei modelli, fin ora trattati, sono riferiti al caso con una sola frattura n = 1. Per n = 0 si ha u’ = β e a = 0, quindi

137

Page 138: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

la soluzione senza frattura. Vogliamo ora trattare il confronto tra la soluzione con frattura e la soluzione senza frattura. Si consideri il grafico nella figura che segue, ove l’allungamento β è dato in funzione della deformazione . Nel caso di barra integra è n = 0 e la retta è inclinata di 45°.

Curva β- E per barra con / senza frattura

Dimostriamo, per prima cosa, che se > θ’(a) / k le soluzioni n = 0 e n = 1 sono instabili. Per questo fine consideriamo, oltre la prima configurazione, una seconda frattura di ampiezza ε e confrontiamo l’energia delle due configurazioni. Affinché la configurazione di frattura sia stabile, la sua energia deve essere minore della configurazione con due fratture, cioè: ½ l k E 2 + θ(a) ≤ ½ kl (E − ε/l )2 + θ(a) + θ(ε) (13.40) Semplificando: l k E (ε/l) ≤ ½ kl (ε2/l2 ) + θ(ε) (13.41)

se ε è molto piccolo, rispetto l, il primo termine del secondo membro si può trascurare e sviluppando θ(ε)= θ(0) +εθ’(0) = εθ’(0) si può porre (u’ = ), ku ’ ≤ θ(0) e trovare la condizione

u’≤ (θ(0) / k (13.42)

Superare questo limite significa che la soluzione per n = 1 non conviene più in termini energetici e, quindi, si aprono nuove fratture. Nello stesso caso n = 1 la condizione di equilibrio impone l’eguaglianza tra la tensione della barra e quella nella frattura. Sviluppando con semplici posizioni si ottiene la condizione

138

Page 139: Scienza Delle Costruzioni

Michele Buonsanti Corso di Scienza delle Costruzioni a.a. 2009/2010

β = +( θ’-1 (k ))/ l (13.43)

dove si può osservare che, per n = 1, la β è data dalla somma di due termini, ove il primo coincide con la retta di figura, mentre il secondo dipende da l e dall’inverso della derivata di θ. Riferimenti Bibliografici

1- Tichonov A. N., Samarskij A.A., Equazioni della fisica Matematica, MIR 1981 2- Dettman S. W., Mathematical Methods in Physics and Engineering, Dover 1988 3- Selvadurai A.P.S. Partial Differential Equation in Mechanics, 2 voll. Springer 2000. 4- Graff, K.F., Wawes Motion in Elastic Solids, Dover N.Y., 1975 5- Haupt P., Continuum Mechanics and Theory of Materials, Springer, 2002 6- Doghri I., Mechanics of Deformable Solids, Springer, 2000 7- -Davis, R.O., Selvadurai A.P.S., Elasticity and Geomechanics, Cambridge 1996 8- Gurtin M.E., Topics in Finite Elasticity, SIAM Philadelphia, 1983 9- Andreussi F., Podio-Guidugli P., Elementi di meccanica dei continui ed elasticità,

ETS Pisa, 1978 10- Landau L.D., Lifshitz E.M., Theory of Elasticity, Butterworth-Heinemann, 1986 11- Podio-Guidugli P., A Primer in Elasticity, J. of Elasticity, 58, 1, 2000 12- Taber L.A., Non Linear Theory of Elasticity, World Scientific, 2004 13- Ciarlet P.G., Mathematical Elasticity, vol. 1, North Holland, 1993 14- Vergani L., Meccanica dei Materiali, McGraw-Hill, 2001 15- Baldacci R., Scienza delle Costruzioni, vol. 1, Utet, 1970 16- Hill R., The Mathematical Theory of Plasticity, Oxford Texts, 1998 17- Chakrabarty J., Applied Plasticity, Springer, N.Y., 1999 18- Kachanov L.M., Foundamentals of the Theory of Plasticity, MIR Pb., Moscow, 1974 19- Nadai A., Theory of Flow and Fracture of Solids, McGraw-Hill, N.Y.,1950 20- Sadd, Elasticity, Elsevier, 2000 24- Del Piero G., Lezioni di Meccanica del Continuo, CISM, Udine 1981 25-Del Piero G., Lezioni di Scienza delle Costruzioni, appunti, 1977 IUSA Reggio Calabria

139