SCIENZA DELLA NATURA - diploma online e recupero anni ... · ESAMI DI DONEITA’ SCIENZA DELLA...

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ESAMI DI DONEITA’ SCIENZA DELLA NATURA INDICE O.G.M. ATMOSFERA TERRESTRE OZONOSERA LA SISMOGRAFIA I MOVIMENTI DELLA TERRA FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE LA TERRA IL BIG BANG LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE LA CELLULA ANIMALE E VEGETALE LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA LA DIVISIONE CELLULARE MITOSI E MEIOSI IL METABOLISMO CELLULARE LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI EREDITARI TESSUTI LE TRE LEGGI DI KEPLERO

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ESAMI DI DONEITA’

SCIENZA DELLA NATURA

INDICE O.G.M. ATMOSFERA TERRESTRE OZONOSERA LA SISMOGRAFIA I MOVIMENTI DELLA TERRA FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE LA TERRA IL BIG BANG LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE LA CELLULA ANIMALE E VEGETALE LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA LA DIVISIONE CELLULARE MITOSI E MEIOSI IL METABOLISMO CELLULARE LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI EREDITARI TESSUTI LE TRE LEGGI DI KEPLERO

GLI OGM

Gli organismi geneticamente modificati (OGM), sono organismi

caratterizzati da un patrimonio genetico (genoma) alterato rispetto a

quello tipico della propria specie, per l’introduzione artificiale di uno o

più geni provenienti da altri organismi

Per ottenere organismi transgenici si utilizzano le tecniche

dell’ingegneria genetica. Il frammento di DNA in cui si trova il gene da

inserire viene iniettato in una cellula batterica, o in una cellula uovo (che

verrà successivamente fecondata) o in un embrione. Per potere essere

attivo, il frammento di DNA deve essere associato a un vettore

d’espressione, ossia a un’altra porzione di DNA specifica che controlla le

modalità di espressione del gene da trasferire; ad esempio, esso permette

che il gene si esprima (cioè svolga la propria attività) soltanto in

determinati tessuti.

Il DNA estraneo viene inoculato per microiniezione nella cellula

ricevente; dopo l’inoculazione, il nuovo gene si integra con il DNA di

questa, e può di conseguenza venire trasmesso a tutte le cellule che

derivano per successive mitosi dalla cellula ricevente.

Nel caso si utilizzino embrioni, i frammenti di DNA contenenti i geni

possono essere anche inseriti tramite un virus-vettore, ossia tramite un

virus infettivo nel quale, a sua volta, è stato inoculato il frammento di

DNA. Si calcola che la percentuale di successo di questa tecnica, che si

traduce con il numero di organismi transgenici vitali e nei quali i geni

estranei sono funzionanti, sia dell’1%.

Il controllo dell’avvenuta integrazione del gene nel patrimonio genetico

dell’organismo ricevente può essere fatto prelevando da alcune cellule

transgeniche campioni di DNA ed esaminandoli, in genere mediante la

tecnica nota come reazione a catena della polimerasi (PCR).

L’IMPIEGO DEGLI ORGANISMI TRANSGENICI

Nella ricerca biologica e genetica, l’impiego di organismi transgenici è

rilevante nell’ambito degli studi sulla funzione di geni specifici; infatti,

l’immissione di un gene estraneo in un organismo determina l’insorgenza

in questo di particolari caratteristiche (come la resistenza a un erbicida o

la capacità di sintetizzare una data proteina) che, confrontate con quelle

degli individui della stessa specie, permettono la comprensione del ruolo

di quel gene.

A scopo di ricerca, sono impiegati anche particolari tipi di organismi

transgenici, i cosiddetti knock-out, in cui un gene dell’organismo viene

eliminato o inattivato; alcuni topi così modificati, ad esempio, sono stati

utilizzati per studiare il ruolo funzionale di alcuni geni specifici nello

sviluppo embrionale. Disattivando in animali da laboratorio il gene

corrispondente a un gene non funzionale nei pazienti affetti da una

particolare malattia, si possono creare modelli utili a fini diagnostici e

terapeutici.

UNA QUESTIONE CONTROVERSA

L’impiego di organismi geneticamente modificati è uno dei più dibattuti

temi della bioetica. Infatti, già da tempo la creazione di nuove culture

vegetali o di microrganismi modificati può essere siglata da brevetto; la

possibilità di estendere questa pratica anche a organismi più complessi, e

ai procedimenti industriali che ne permettono l’ottenimento, suscita

attualmente atteggiamenti diversi: da un lato entusiasmo, per le nuove

prospettive economiche e scientifiche che potrebbero derivarne;

dall’altro, preoccupazione, per tutte le implicazioni, soprattutto etiche e

sociali.

Si ritiene che la questione dell’impiego delle specie transgeniche non

debba limitarsi a un’analisi dei costi e dei benefici economici, e che le

attuali leggi sui brevetti, relative a strumentazioni, non possano essere

semplicemente estese a organismi viventi. Sono inoltre oggetto di

discussione le possibili conseguenze sulla biodiversità e sugli equilibri

degli ecosistemi dell’immissione nell’ambiente di organismi modificati,

con caratteri che potrebbero venire trasmessi alla discendenza; inoltre,

suscitano perplessità i possibili effetti a lungo termine sulla salute umana

del consumo di prodotti derivanti da organismi geneticamente modificati

L'ATMOSFERA TERRESTE

Tra tutti i pianeti del Sistema Solare la Terra è l'unico a possedere

un'atmosfera ricca di ossigeno e di azoto, elementi fondamentali per

consentire la presenza della vita in tutte le sue forme, animali e vegetali

(almeno come la concepiamo noi). L'atmosfera svolge anche un ruolo

essenziale per garantire la protezione della vita: essa costituisce infatti

uno schermo estremamente efficiente per assorbire le radiazioni

ultraviolette e per il flusso di particelle provenienti dal Sole, che

altrimenti la distruggerebbero quasi immediatamente.

L'atmosfera protegge inoltre la superficie terrestre dall'impatto delle

meteoriti che, a eccezione di alcune di dimensioni particolarmente

rilevanti, si disintegrano per l'attrito con gli strati superiori.

L'atmosfera svolge anche un ruolo molto rilevante nella definizione

della morfologia della superficie terrestre: i moti, i fenomeni

meteorologici, le reazioni chimiche che hanno luogo nella bassa

atmosfera costituiscono una delle cause più importanti delle continue

trasformazioni della litosfera e della idrosfera. L'atmosfera interviene

infatti in modo quasi esclusivo nei processi di erosione e di

sedimentazione oltreché nel ciclo dell'acqua.

Composizione dell'atmosfera

Lo strato di atmosfera che circonda la Terra è estremamente sottile.

Se si considera solo la parte più densa che giunge sino a circa 60 km al di

sopra della superficie terrestre, si ha uno spessore che è pari a solo un

centesimo del raggio terrestre all'equatore, che è di 6.378 km.

In realtà, non si può definire un vero e proprio limite superiore

dell'atmosfera, ma solo una regione di transizione in cui essa si confonde

con lo spazio interplanetario.

La composizione chimica e le caratteristiche fisiche dell'atmosfera

variano secondo la quota. La composizione dell'atmosfera tra il suolo e

10-12 km può però considerarsi pressoché costante e formata da un

miscuglio di gas tra i quali dominano nettamente l'azoto e l' ossigeno.

Pressione atmosferica

Peso esercitato sull'unità di superficie dalla colonna d'aria al di sopra

del punto che si considera.

La pressione atmosferica viene generalmente misurata in millimetri di

mercurio o millibar. Un millibar (mb) è un millesimo di bar. Un bar è la

pressione esercitata da 750,06 mm di mercurio (mmHg) alla temperatura

di 0°C (760 mm di mercurio corrispondono a 1.013 millibar). La

pressione atmosferica è un importante fattore che influenza l'andamento

del tempo meteorologico e che svolge pure un ruolo nella sua previsione.

Umidità atmosferica

Ai costituenti dell'atmosfera va aggiunta l'acqua che, sotto forma di

vapore e di nubi, ne rappresenta circa lo 0,33% della massa totale e

determina la cosiddetta umidità atmosferica.

La presenza dell'acqua è l'elemento determinante ai fini della

considerazione dei fenomeni meteorologici.

Anche l'umidità atmosferica varia con la quota. Al livello del suolo e in

prossimità di esso la quantità di vapore acqueo dipende dalle condizioni

climatiche e dalla posizione geografica e può raggiungere una percentuale

in volume pari al 4%. Nei primi 8 km di atmosfera l'umidità varia, nelle

zone temperate, da 6,8 a 0,1 g/m³.

La diminuzione continua sino a circa 15 km, dove si ha uno strato molto

secco. Da 15 a 30 km si ha un certo aumento con la presenza di un tipo

particolare di nubi, le nubi madreperlacee, che si formano tra i 25 e i 30

km.

Una certa quantità di umidità è presente anche a un'altezza di circa 80

km, dove si osservano talvolta le cosiddette "nubi nottilucenti".

Elettricità atmosferica

L'atmosfera è sede di un campo elettrico, cioé è una zona di spazio

dove si risente l'azione di forze elettriche. Tale campo è prodotto dalle

cariche elettriche negative accumulate sulla Terra e dalle cariche,

costituite soprattutto da ioni positivi, presenti nell'aria.

La struttura del campo elettrico atmosferico è soggetta a notevoli e

brusche variazioni per effetto delle pereturbazioni atmosferiche.

La capacità dell'aria di poter condurre la corrente elettrica varia poi

notevolmente con l'altezza. Tale conducibilità è bassa in prossimità del

suolo, ma aumenta rapidamente con l'altezza per effetto della

ionizzazione dell'aria prodotta dalle radiazioni cosmiche.

Negli strati superiori è addirittura presente una zona in cui i gas sono

ionizzati e che quindi ha un'altissima conducibilità elettrica.

Temperatura atmosferica

Il calore dell'atmosfera è dovuto all'irraggiamento solare. Il 30% della

radiazione solare viene riflesso e diffuso nello spazio esterno dalle nubi;

il restante viene assorbito dall'aria e dalla superficie terrestre. L'atmosfera

ha anche un'azione selettiva sulle radiazioni solari.

L'assorbimento dei raggi ultravioletti avviene nell'alta atmosfera e vi

provoca un tipico riscaldamento. La radiazione infrarossa fortemente

calorifica, viene invece assorbita nella zona più bassa dell'atmosfera

dall'anidride carbonica e dal vapore acqueo presenti vicino alla superficie

terrestre.

Queste due sostanze si comportano come il tetto di vetro di una serra e

favorisce l'immagazzinamento di calore in prossimità del suolo.

Questo effetto, noto come "effetto serra", contribuisce notevolmente a

determinare la temperatura diurna sulla superficie terrestre, che risulta in

media di circa 20 °C, mentre senza di esso dovrebbe essere di circa -23

°C.

La temperatura dell'aria è variabile fortemente con l'altezza; fino a una

quota di 10-12 km diminuisce regolarmente di 0,5-0,7 °C ogni 100 m

sino a raggiungere -55 °C circa; da 12 km a 50 km aumenta sino a

raggiungere 0 °C circa. Da questo punto la temperatura riprende

nuovamente a diminuire sino a giungere a valori tra -70 e -100 °C a 80-90

km di quota.

Ha allora inizio un rapido aumento che raggiunge negli strati atmosferici

più alti i 1.000-2.000 °C circa. Data però l'estrema rarefazione delle

molecole a queste altezze, il termine temperatura non ha riferimento

alcuno con sensazioni fisiologiche, me è correlato unicamente all'energia

di agitazione termica delle singole molecole. Il modo in cui varia la

temperatura con l'altezza viene usato per definire i diversi strati

dell'atmosfera stessa.

OZONOSFERA

Ozonosfera Strato dell'atmosfera terrestre compreso tra i 20 e i 50 km di

quota, caratterizzato da una concentrazione di ozono relativamente alta,

che può raggiungere le 10 ppm (parti per milione). A queste quote,

l'ozono si forma naturalmente per effetto dell'interazione delle molecole

di ossigeno presenti nell'atmosfera con le radiazioni ultraviolette

provenienti dal Sole. La concentrazione naturale di ozono rimane

pressoché costante grazie all’equilibrio tra il processo di produzione e

quello di distruzione operato da alcuni composti dell'azoto, anch’essi

presenti in atmosfera. L’assorbimento della radiazione ultravioletta

nell’ozonosfera produce un’inversione nell’andamento della temperatura

in funzione della quota: mentre nella troposfera la temperatura diminuisce

al crescere della quota, nell’ambito dell’ozonosfera essa aumenta al

crescere della distanza dalla superficie terrestre.

Importanza dell’ozonosfera per gli esseri viventi

A livello della stratosfera, lo strato di ozono crea una sorta di schermo

protettivo che assorbe le dannose radiazioni ultraviolette provenienti dal

Sole, consentendo la vita sulla Terra. Questo tipo di radiazioni, infatti,

altamente energetiche e penetranti, possono alterare e danneggiare il

DNA degli esseri viventi. Nella troposfera, invece, la formazione

dell’ozono è correlata soprattutto alle emissioni inquinanti degli

autoveicoli e delle industrie, che rilasciano nell’aria anidride solforosa

(SO2), ossidi di azoto (NOx) e composti organici volatili. Questo ozono

ha un notevole potere ossidante e risulta nocivo per la salute degli

organismi, uomo compreso.

Il “buco nell’ozono”

Negli anni Settanta del Novecento alcuni ricercatori rilevarono che il

naturale assottigliamento stagionale dello strato di ozono, che

periodicamente si osserva al di sopra del continente antartico nei mesi di

settembre e ottobre (la cosiddetta “primavera australe”), stava assumendo

dimensioni allarmanti. Il fenomeno, chiamato deplezione ma

comunemente noto come “buco nell'ozono”, avviene naturalmente e ha

un’origine ancora non chiara, e può perdurare anche per parecchi mesi;

tuttavia, nel 1985, i rilevamenti compiuti dalla stazione scientifica inglese

Antarctica Survey evidenziarono una diminuzione del 65% della

concentrazione dell'ozono, localizzata per il 95% negli strati atmosferici

compresi tra 13 e 22 km di distanza dalla superficie del pianeta.

L'estensione e la durata di questa variazione stanno assumendo

dimensioni sempre più ampie, come hanno confermato i rilevamenti

eseguiti con palloni aerostatici e satelliti meteorologici; la concentrazione

complessiva dell'ozono nell'ozonosfera è in costante diminuzione e non

solo al di sopra del continente antartico, ma anche in corrispondenza delle

regioni artiche.

Quali responsabili dell’alterazione della molecola dell’ozono sono stati

ritenuti i clorofluorocarburi o CFC (ampiamente impiegati come

propellenti nelle bombolette spray, come fluidi refrigeranti nei frigoriferi

e come agenti schiumogeni) e un gruppo di altre sostanze chiamate

genericamente ODS (Ozone-Depleting Substances). Tra queste vi sono:

gli HCFC (idroclorofluorocarburi); i cosiddetti halons (composti

estinguenti come il bromoclorodifluorometano, bromotrifluorometano,

dibromotetrafluoroetano); il metilbromuro; il tetracloruro di carbonio; il

metilcloroformio. Queste molecole complesse sono in grado di

raggiungere l'ozonosfera e di decomporre le molecole di ozono. Sotto

l'azione dei raggi ultravioletti, infatti, le molecole dei CFC si

decompongono in atomi di cloro e in altri derivati clorurati, che, a loro

volta, reagiscono con l'ozono e lo convertono in ossigeno biatomico,

liberando monossido di cloro che va a degradare altre molecole di ozono.

Gli ODS sono molto stabili nella troposfera e si degradano solo per

effetto degli intensi UV della stratosfera.

La necessità di affrontare il fenomeno considerandone tutti gli aspetti e le

ripercussioni su scala globale ha spinto i rappresentanti delle comunità

scientifica, politica ed economica a confrontarsi in periodici incontri, che

hanno l’obiettivo di stabilire strategie comuni di intervento. Il primo

incontro riguardante il buco nell’ozono fu la Conferenza di Vienna,

tenutasi nel 1985. Nel 1987 il Protocollo di Montréal segnò la messa al

bando dei CFC; la persistenza di questi composti in atmosfera, d’altra

parte, fa sì che eventuali effetti positivi dei provvedimenti in favore

dell’atmosfera si manifestino dopo numerosi anni (Vedi Clima).

Per monitorare costantemente il fenomeno del buco nell’ozono, nel 1991

la NASA lanciò in orbita un satellite artificiale di 7 tonnellate di peso

(l'Upper Atmosphere Research Satellite, satellite per la ricerca sull'alta

atmosfera). Da una quota di 600 km, il satellite continua a inviare a terra

dati sulle variazioni della concentrazione di ozono ad altitudini differenti,

oltre ad altri dati che hanno consentito di tracciare una mappa completa

della composizione chimica degli strati più alti dell'atmosfera. La

riduzione dello strato di ozono viene osservata ogni anno nel periodo

compreso tra settembre e ottobre. Un preoccupante fenomeno è stato

registrato nel settembre 2002: il buco antartico si è suddiviso in due parti,

assumendo una forma “a otto”, ciascuna delle quali si è estesa

allontanandosi dalla zona occupata originariamente. L’anomalia è stata

osservata per la prima volta da quando è iniziato il monitoraggio della

deplezione dell’ozono, e sembra causata dalle intense perturbazioni

dell’atmosfera verificatesi nei mesi precedenti. Solo qualche mese prima,

le rilevazioni del CSIRO australiano (Commonwealth Scientific and

Industrial Research Organisation) avevano indicato che il buco si era

ristretto, probabilmente a seguito di un periodo prolungato di temperature

atmosferiche insolitamente elevate.

SISMOGRAFIA Il fenomeno dei terremoti è strettamente legato al processo globale che

è responsabile degli impercettibili mutamenti che ininterrottamente

modificano la struttura interna ed esterna della terra. Questa continua

trasformazione si realizza attraverso il movimento relativo di ampie

zone della superficie terrestre (placche) che scivolano l’una sull’altra

lungo le “faglie”, grandi e profonde spaccature della superficie

terrestre, sottoponendo in questo modo gli strati interni delle rocce a

sforzi enormi.

Quando tali sforzi raggiungono la limite della resistenza offerta dalle

rocce, si produce un’improvvisa frattura che libera energia elastica

accumulata nella fase di compressione. Parte dell’energia rilasciata

viene trasformata in onde di pressione, dette onde sismiche che, a

partire dal punto di frattura interno alla terra detto “ipocentro”, si

propagano lungo tutte le possibili direzioni.

I terremoti sono provocati dalle onde sismiche che, giungendo sulla

superficie terrestre, determinano scosse e bruschi movimenti del suolo.

L’area maggiormente coinvolta dall’evento sismico è detta “epicentro

del terremoto” e corrisponde al punto sulla superficie più vicino

all’ipocentro.

Esistono tre tipi di onde sismiche: le onde P o primarie, che giungono

per prime avendo velocità maggiore, le onde S o secondarie, che

giungono per seconde e le onde di superficie che sono generate dalle

onde P e S quando queste incontrano la superficie terrestre.

I sismologi impiegano opportuni strumenti, detti sismografi, per

misurare il momento di arrivo e l’intensità delle varie componenti (fasi)

delle onde sismiche. Queste misure vengono impiegate per determinare

le caratteristiche fondamentali di un terremoto quali ad esempio la

posizione dell’ipocentro, dell’epicentro e la sua intensità.

La registrazione dello onde sismiche per mezzo di sismografi è detta

sismogramma. In figura si mostra un esempio molto semplificato di

sismogramma nel quale è possibile individuare l’arrivo dei fronti

d’onda delle componenti P ed S.

E’ importante osservare che, poiché le onde P viaggiano più

velocemente delle onde S, l’intervallo temporale tra l’arrivo dei due

treni d’onda diventa sempre più grande man mano che aumenta la

distanza tra l’epicentro del terremoto e il punto di misurazione. In altri

termini conoscendo l’intervallo temporale e la velocità di propagazione

delle due onde è possibile determinare la distanza trala stazione di

osservazione e l’epicentro del terremoto (distanza epicentrale) .

Tuttavia questo metodo non permette di stabilire la direzione di

provenienza dell'onda per cui l’epicentro del terremoto può trovarsi in

un punto qualsiasi sulla circonferenza centrata attorno alla stazione di

osservazione e con raggio pari alla distanza epicentrale.

Per determinare le coordinate dell’epicentro di un terremoto è

necessario conosce almeno tre distanze epicentrali calcolate in

altrettante stazioni sismografiche. La posizione dell’epicentro viene

quindi ottenuta con il metodo della “triangolazione” e coincide con il

punto in cui, con buona approssimazione, si incrociano le circonferenze

centrate attorno alle tre diverse stazioni di osservazione.

I MOVIMENTI DELLA TERRA

IL MOVIMENTO DI ROTAZIONE

La Terra ruota su se stessa intorno ad un asse immaginario detto ASSE DI

ROTAZIONE che passa per i poli; il periodo di rotazione è detto GIORNO

SIDEREO; è un moto periodico che avviene da ovest verso est, osservato dal

polo nord celeste ed in senso antiorario.

La VELOCITA’ ANGOLARE di rotazione è uguale in ogni luogo della

Terra (360° in un giorno). Ciascun punto della superficie percorre in un

giorno un circonferenza più o meno lunga a seconda della latitudine e

dell’altitudine; quindi varia la VELOCITA’ LINEARE DI ROTAZIONE;

essa aumenta man mano che ci si allontana dall’asse di rotazione ed aumenta

con l’altitudine. Il periodo di rotazione attualmente ha una durata di 23h 56

min 4sec, ma sta rallentando progressivamente di millesimi di secondo ogni

secolo.

LE CONSEGUENZE DELLA ROTAZIONE TERRESTRE:

• L’ALTERNARSI DEL GIORNO E DELLA NOTTE: la terra ha

forma pressoché sferica, così in ogni istante solo metà della sua

superficie riceve luce e calore dal sole; la linea che separa le due zone

è detta CIRCOLO DI ILLUMINAZIONE. Ogni punto della terra

passa continuamente da una zona all’altra e vede alternarsi ogni

giorno il dì e la notte. Per la presenza dell’atmosfera che provoca

fenomeni di diffusione il passaggio è graduale. Per questo il circolo di

illuminazione è una fascia in cui il dì e la notte sono divisi da un

debole chiarore detto CREPUSCOLO. A causa della rifrazione il sole

è visibile un po’ prima dell’alba ed un po’ dopo il tramonto. La durata

del crepuscolo aumenta con la latitudine. Il piano del circolo di

illuminazione è in ogni istante perpendicolare ai raggi solari.

• L’APPARENTE MOVIMENTO GIORNALIERO DELLA TERRA:

ogni giorno la sfera celeste sembra ruotare da est verso ovest intorno

al prolungamento dell’asse terrestre. Questo movimento è apparente

ed è provocato dal fatto che la Terra ruota intorno al suo asse nel

verso opposto.

• LA FORZA CENTRIFUGA: è una forza fittizia ovvero apparente,

del cui movimento risentono solo i corpi solidali con il sistema di

rotazione. Agisce in direzione perpendicolare all’asse di rotazione ed è

diretta verso l’esterno. Il suo valore aumenta con l’altitudine e con

l’allontanarsi dall’asse. A livello del mare la forza centrifuga ha

intensità diverse a seconda della latitudine. E’ nulla ai poli e massima

all’equatore.

Essa provoca due importanti effetti:

1. ha contribuito a formare lo schiacciamento polare ed il

rigonfiamento equatoriale;

2. contrasta parzialmente la forza gravitazionale, riducendo il

valore dell’accelerazione di gravità.

Essa si oppone alla forza di gravità perfettamente solo all’equatore

essendo diretta dall’asse e non dal centro verso l’esterno.

• LA FORZA DI CORIOLIS: è una forza fittizia che

interessa i corpi che non sono vincolati alla superficie

terrestre; ogni corpo che si muove dall’equatore ai poli

viene deviato verso destra nell’emisfero settentrionale e

verso sinistra nell’emisfero meridionale. La forza si fa

sentire anche lungo i paralleli, ma è nulla all’equatore; il

suo valore dipende dalla latitudine e dalla velocità del

corpo. Ha una notevole influenza sulla direzione della

circolazione atmosferica e dei grandi circuiti delle

correnti oceaniche.

IL MOVIMENTO DI RIVOLUZIONE

La terra descrive un’orbita ellittica intorno al sole, che ne occupa uno dei

due fuochi; il piano dell’orbita della Terra intorno al sole è detto PINO

DELL’ECLITTICA.

ANNO SIDEREO: periodo di 365 d 6 h 9 min 9,5 s che la terra impiega per

la rivoluzione.

AFELIO: punto in cui la Terra si trova più distante dal Sole.

PERIELIO: punto il cui la terra è più vicina al Sole.

La linea che idealmente li congiunge è la LINEA DEGLI APSIDI. La

VELOCITA’ DI RIVOLUZIONE non è costante, è massima al perielio e

minima all’afelio.

L’asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto al piano dell’eclittica di 66°

33’ e durante il moto di rivoluzione si può considerare sempre parallelo a se

stesso. Conseguenza è che il piano dell’equatore è inclinato rispetto al piano

dell’eclittica di 23°27’. Durante l’anno cambia la direzione della Terra

rispetto alla direzione dei raggi solari, quindi si modifica la posizione del

circolo di illuminazione rispetto all’asse terrestre.

EQUINOZIO DI PRIMAVERA: 21 marzo

EQUINOZIO D’AUTUNNO: 23 settembre

In questi giorni la durata del dì e della notte sono uguali. Il sole è allo

ZENIT(raggi perpendicolari al piano dell’osservatore) a mezzogiorno

sull’equatore. In questi giorni il circolo di illuminazione è tangente ai poli.

SOLSTIZIO D’ESTATE: 21 giugno; il sole è allo zenit a mezzogiorno sul

TROPICO DEL CANCRO.

SOLSTIZIO D’INVERNO: 22 dicembre; il sole è allo Zenit a mezzogiorno

sul TROPICO DEL CAPRICORNO.

In queste due posizioni il circolo di illuminazione è alla massima distanza

dai poli; si ha la massima differenza tra la durata del dì e della notte; il

circolo di illuminazione è tangente al circolo polare artico e al circolo polare

antartico.

LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI RIVOLUZIONE:

• GIORNO SOLARE E GIORNO SIDEREO: Il GIORNO

SIDEREO è l’intervallo di tempo che intercorre tra due

passaggi successivi della medesima stella sul meridiano

del luogo; 23h 56m 4s.

Il GIORNO SOLARE è l’intervallo di tempo tra due culminazioni( punto

di massima altezza raggiunto da un corpo celeste sull’orizzonte)

consecutive del sole sullo stesso meridiano: 24h.

Quando la Terra ha compiuto un’intera rotazione, l’osservatore non si

trova più nella stessa posizione del giorno precedente rispetto al Sole, dal

momento che la terra si è mossa lungo la sua orbita di rivoluzione. Poiché

la terra impiega 4 min per ruotare di 1° il girono solare risulta più lungo

del giorno sidereo di 4 minuti.

Il giorno solare modifica la sua durata perché la velocità di rivoluzione

non è costante.

• IL MOVIMENTO APPARENTE DEL SOLE SULLO

SFONDO DELLO ZODIACO: Il Sole (movimento

apparente) ritarda ogni giorno di 4 minuti rispetto allo

sfondo delle stelle. Ogni notte troveremo in opposizione

al sole stelle diverse; se ogni giorno fissiamo la posizione

del sole a mezzogiorno sullo sfondo celeste, osserveremo

che in un anno descrive in cielo una linea chiusa che

giace su un piano (eclittica) inclinato di 23°27’ rispetto

all’0equatore.

Lo sfondo di stelle si chiama ZODIACO. Quando il sole si trova in una

costellazione, questa non è visibile.

Poiché l’eclittica è inclinata rispetto all’equatore, la declinazione del Sole,

cioè la sua distanza angolare dall’equatore celeste, cambia durante l’anno.

Il sole per sei mesi si trova nell’emisfero celeste boreale e per sei mesi in

quello astrale

FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE

In tutti i Paesi industrializzati vengono svolte ricerche per trovare fonti

energetiche alternative, che possano sostituire quelle dei combustibili

fossili usati fino ad oggi. Oggi, alcuni scienziati, però, hanno capito che si

possono utilizzare anche altre risorse, ad esempio:

-L’ ENERGIA EOLICA: i venti, che sono enormi spostamenti di masse

d’aria provocati dal riscaldamento solare, sono una fonte che l’ uomo ha

sfruttato anche in passato, nella navigazione a vela e nei mulini. Oggi si è

scoperto che l’energia eolica serve anche nelle centrali, infatti l’ energia

elettrica verrebbe prodotta da alternatori mossi dalla forza del vento. Ma

per essere conveniente, queste centrali richiedono un’ istallazione in

luoghi esposti al vento. In alcune zone in cui il vento è molto forte, si

stanno costruendo centrali di elevata potenza che ormai sono in fase di

sperimentazione o addirittura in esercizio. In Italia, invece, non essendoci

zone appropriate per la costruzione di queste centrali, l’ ENEL ha in

programma di costruire in Sardegna una centrale eolica costituita da dieci

aeromotori, come fonte alternativa per le utilizzazioni agricole, industriali

e civili.

-L’ ENERGIA DELLE MAREE: a causa dell’ attrazione del sole e della

luna, le acque degli oceani si sollevano formando onde di maree che si

ripetono due volte a giorno. Il sollevamento delle maree, racchiude una

grande quantità di energia che può essere anche sfruttata, ad esempio sulle

coste inglesi sono nati dei mulini che erano azionati dalla corrente delle

maree. In Francia, invece, è stata costruita una centrale mareomotrice. Il

funzionamento è molto semplice. Una diga chiude l’ estuario di un fiume,

quindi si forma un bacino che si riempie durante l’ alta marea. Durante la

bassa marea, invece, l’ acqua accumulata si riversa nel mare, quindi si

mettono in movimento le turbine ad elica alloggiate in apposite camere

alla base della diga. Molti paesi si stanno preoccupando di sfruttare l’

energia delle maree non solo come gli impianti francesi, ma anche

attraverso dispositivi galleggianti, atti a sfruttare il moto ondoso.

-L’ ENERGIA DELLE BIOMASSE: per biomasse si intendono tutti i rifiuti

organici, urbani, industriali e agricoli. Da queste sostanze si possono

ricavare nuovi combustibili, cioè attraverso alcuni procedimenti

termochimici e con alcuni procedimenti biochimici. Con i procedimenti

termochimici possiamo trasformare le biomasse attraverso la combustione

diretta dei rifiuti. Tra i processi biochimici, invece, il più importante è la

digestione anaerobica, che consiste nel far fermentare i rifiuti in assenza

d’ ossigeno, così le sostanze organiche si attaccano ai batteri anaerobici

trasformandole in biogas.

Questo particolare trattamento si rivela anche un metodo economico

anche in agricoltura, infatti sono stati sperimentati impianti in cui i rifiuti

organici delle stalle vengono convogliati in un apposito digestore, dove

subisce l’azione dei batteri anaerobici. I residui del processo di digestione

sono utilizzati come fertilizzante per i terreni e anche come alimento per

la piscicoltura.

-IMPIEGO DELL’ IDROGENO: l’ idrogeno è un gas che brucia

facilmente, sviluppando una notevole quantità di calore senza produrre

residui inquinanti. In natura, l’ idrogeno non si trova in nessun luogo e

quindi per essere utilizzato, deve essere ricavato decomponendo le

sostanze che lo contengono(ad esempio l’ acqua).

Però ci sono molti problemi per la produzione, il trasporto, l’

immagazzinamento e l’ utilizzazione. La produzione potrebbe avvenire

scomponendo l’ acqua del mare nei suoi componenti attraverso processi

elettrochimici. Così si otterrebbero grandi quantità di ossigeno e di

idrogeno.

L’ idrogeno deve poi essere trasportato tramite gasdotti interrati, nei

luoghi di consumo. Per quanto riguarda l’ impiego dell’ idrogeno, si

possono prendere due vie: o si utilizza come combustibile, oppure si

utilizza inserendolo in speciali pile che producono elettricità dalla

combustione fredda tra idrogeno e ossigeno. Ma l’ idrogeno oggi risulta

un gas molto interessante, quindi si è cercato di impiegarlo anche nel

funzionamento delle macchine, infatti sono già state realizzate macchine

con motore ad idrogeno.

Per l’impiego automobilistico è indispensabile risolvere il problema dell’

immagazzinamento che deve essere effettuato necessariamente a bordo

del veicolo. Scartate le bombole perché sono un metodo molto pericoloso,

si è sperimentato che l’ idrogeno viene messo all’ interno di serbatoi

contenenti leghe metalliche spugnose. Per effetto dell’ elevata pressione,

la massa spugnosa assorbe il gas fino a saturarsi; conseguenza di una

reazione chimica reversibile che si svolge durante la fase di assorbimento

del gas. Quindi, scaldando la lega spugnosa, l’ idrogeno torna allo stato

gassoso e può essere impiegato per alimentare il motore di un veicolo.

FUSIONE NUCLEARE: nel corso degli ultimi anni, gli scienziati stanno

cercando di utilizzare le reazioni atomiche di fusione al fine di produrre

energia. Fino ad oggi, essa è stata impiegata solo nelle bombe all’

idrogeno, mentre nelle applicazioni a scopo pacifico sono rimaste a livello

sperimentale, perché ancora non si è trovato il metodo per utilizzare il

calore sviluppato dalla reazione che è identica a quella che si verifica all’

interno del Sole.

Attualmente, gli studi sono orientati sulla progettazione di impianti

chiamati di tipo “TOKAMAK” nei quali si cerca di confinare il plasma,

stabilizzandolo per mezzo di elevatissime correnti prodotte dal plasma

stesso. Nella fusione vengono risposte molte speranze, perché essa

potrebbe risolvere il problema energetico, utilizzando l’ idrogeno, che è

presente in grandi quantità di acqua.

LA TERRA

Terra Terzo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole;

unico pianeta, allo stato attuale delle conoscenze, che ospiti la vita. Ha

una composizione prevalentemente rocciosa e una forma irregolare,

riconducibile in prima approssimazione a un ellissoide. Presenta una

struttura a strati, con un nucleo pesante, un mantello intermedio e una

crosta più leggera, ed è all’origine di una magnetosfera. Oltre che dal

Sole, attinge energia per le sue complesse dinamiche da una riserva di

calore immagazzinata al suo interno. Compie un complicato sistema di

moti periodici nello spazio, i più importanti dei quali sono la rotazione

intorno al proprio asse e la rivoluzione intorno al Sole.

Forma della Terra

Calcoli recenti basati sullo studio delle irregolarità orbitali di satelliti

artificiali hanno permesso di appurare che la Terra presenta

effettivamente una forma di ellissoide, ma lievemente deformata “a

pera”: la differenza tra il raggio minimo equatoriale e il raggio polare

(distanza tra il centro della Terra e il Polo Nord) è di circa 21 km, inoltre

il Polo Nord “sporge” rispetto all’ellissoide regolare di circa 10 m,

mentre il Polo Sud è “schiacciato” di 31 m. Lo studio della forma della

Terra è oggetto di una disciplina che prende il nome di geodesia.

Moti della Terra

La posizione della Terra nello spazio non è stazionaria ma è il risultato di

una complessa composizione di moti con caratteristiche e periodicità

differenti. Insieme al suo satellite naturale, la Luna, il pianeta Terra orbita

intorno al Sole, a una distanza media di 149.503.000 km e con una

velocità media di 29,8 km/s, compiendo una rivoluzione completa in 365

giorni, 6 ore 9 minuti e 10 secondi (il periodo di rivoluzione è detto “anno

sidereo”). La traiettoria di quest’orbita è un’ellisse lievemente eccentrica,

ovvero pressoché circolare, con una lunghezza pari a circa 938.900.000

km. La Terra è inoltre in rotazione intorno al proprio asse; tale rotazione

avviene in senso inverso rispetto all’apparente moto del Sole e della sfera

celeste, vale a dire da occidente a oriente, e ha un periodo di 23 ore, 56

minuti e 4,1 secondi (giorno sidereo).

La Terra segue il moto dell’intero sistema solare e si muove nello spazio

a una velocità di circa 20,1 km/s nella direzione della costellazione di

Ercole; inoltre partecipa al moto di recessione della galassia, e insieme

alla Via Lattea si sposta verso la costellazione del Leone.

Oltre che dai moti principali, la Terra è interessata dal moto di

precessione degli equinozi e dalle nutazioni. Queste ultime sono

variazioni periodiche dell’inclinazione dell’asse terrestre, dovute alla

combinazione delle due forze di attrazione gravitazionale esercitate su di

essa dal Sole e dalla Luna.

Composizione della Terra

Anteprima della sezione

La Terra può essere schematicamente suddivisa, procedendo dall’esterno

verso l’interno, in cinque porzioni: l’atmosfera (gassosa), l’idrosfera

(liquida), la litosfera (solida), il mantello e il nucleo, in parte solidi.

L’atmosfera, costituita prevalentemente da azoto (N2) e ossigeno (O2), è

l’involucro gassoso che circonda il corpo del pianeta: ha uno spessore di

oltre 1100 km, ma data la rarefazione progressiva all’aumentare della

quota, circa la metà della sua massa è concentrata nei primi 5600 metri.

Età e origine della Terra

I metodi di datazione basati sullo studio dei radioisotopi hanno consentito

agli scienziati di stimare l’età della Terra in 4,65 miliardi di anni. Benché

le più vecchie rocce terrestri datate in questo modo non raggiungano i 4

miliardi di anni, alcune meteoriti, che sono simili geologicamente al

nucleo del nostro pianeta, risalgono a circa 4,5 miliardi di anni fa e si

ritiene che la loro cristallizzazione sia avvenuta approssimativamente 150

milioni di anni dopo la formazione della Terra e del sistema solare.

Il nostro pianeta, subito dopo la sua formazione (avvenuta probabilmente

per aggregazione gravitativa di materia libera nello spazio), doveva

essere un corpo quasi omogeneo e relativamente freddo. La contrazione

gravitazionale provocata dal progressivo accrescimento della sua massa

produsse un aumento di temperatura, al quale contribuì senza dubbio il

decadimento radioattivo di alcuni isotopi. L’aumento di temperatura

giunse a un livello tale da innescare un processo di parziale fusione del

pianeta e la conseguente riorganizzazione dei suoi componenti in strati

concentrici – crosta, mantello e nucleo: i silicati, più leggeri, risalirono

verso la superficie della massa fluida, formando il mantello e la crosta,

mentre gli elementi pesanti, soprattutto ferro e nichel, affondarono

perlopiù verso il centro. Al tempo stesso, tramite le eruzioni vulcaniche,

gran parte dei gas leggeri furono espulsi dal mantello e dalla crosta.

Alcuni di questi gas, in particolar modo l’anidride carbonica e l’azoto,

andarono a costituire l’atmosfera primordiale, mentre il vapore acqueo

condensava, dando origine ai primi oceani.

Magnetismo terrestre

La Terra nel suo insieme si comporta come un enorme magnete. Il campo

magnetico terrestre, infatti, è molto simile a quello che si osserverebbe

collocando al centro del pianeta una barra magnetica con l’asse inclinato

di circa 11° rispetto all’asse di rotazione terrestre. Benché gli effetti del

geomagnetismo siano noti e sfruttati da molte centinaia di anni (ad

esempio con la bussola), i primi studi scientifici su questa proprietà del

nostro pianeta furono compiuti intorno al 1600 dal fisico e filosofo

britannico William Gilbert.

Poli magnetici

Il fatto che l’asse del campo magnetico terrestre non coincida con l’asse

di rotazione fa sì che anche i poli magnetici siano distinti da quelli

geografici. Il polo nord magnetico attualmente si trova al largo delle coste

occidentali delle isole Bathurst, nei Territori del Nord-Ovest canadesi,

quasi 1290 km a nord-ovest della baia di Hudson. Il polo sud magnetico

si trova invece sul bordo del continente antartico, nella zona di Terra

Adelia, circa 1930 km a nord-est di Little America.

La posizione dei poli magnetici non è fissa, ma muta in modo sensibile da

un anno all’altro. Il campo magnetico terrestre, infatti, varia in direzione

con una periodicità di circa 960 anni, e inoltre compie piccole variazioni

su scala giornaliera. Recenti studi effettuati sulla magnetizzazione fossile

dei sedimenti marini hanno rilevato un’ulteriore periodicità nelle

variazioni del campo geomagnetico, di 100.000 anni. Essa, secondo gli

scienziati, potrebbe essere legata alla variazione di eccentricità dell’orbita

terrestre, che avviene appunto secondo un ciclo di 100.000 anni.

I dati raccolti dai satelliti rivelano che per il campo magnetico terrestre è

in corso da circa 150 anni un lento processo di indebolimento destinato a

risolversi con un’inversione di polarità. In sostanza, al termine di tale

processo, che dovrebbe durare circa due millenni, il Nord magnetico non

coinciderà più con il Nord geografico, ma con il Sud. Un campo

magnetico meno intenso, nel frattempo, potrebbe significare una

maggiore esposizione alle tempeste magnetiche provenienti dal Sole,

difficoltà nella navigazione dei satelliti e, in campo biologico, difficoltà

di orientamento per tutti gli animali che nelle migrazioni si affidano al

magnetismo – uccelli, farfalle, balene e molti altri.

Studi recenti del magnetismo residuo nelle rocce e delle anomalie

magnetiche dei fondi oceanici dimostrano inoltre come, negli ultimi 100

milioni di anni, si siano verificate almeno 170 inversioni di polarità del

campo magnetico terrestre. La conoscenza di queste inversioni, che

possono essere datate per mezzo degli isotopi radioattivi contenuti nelle

rocce, ha una grossa influenza sulle teorie della tettonica globale.

Elettricità terrestre

Sulla Terra e nell’atmosfera si manifestano fenomeni elettrici prodotti da

processi naturali. L’elettricità atmosferica, eccetto quella associata alle

cariche nelle nubi che genera i fulmini, deriva dalla ionizzazione prodotta

dalla radiazione solare e dal movimento di nubi di ioni trasportate dalle

maree atmosferiche; queste ultime sono prodotte, come le maree marine,

dall’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna sull’atmosfera della

Terra. La ionizzazione (e quindi la conduttività elettrica) dell’atmosfera

in prossimità della superficie terrestre è bassa, ma aumenta rapidamente

con l’altitudine: tra i 40 e i 400 km la ionosfera forma un involucro

sferico quasi perfettamente conduttore che riflette le onde radio

permettendone la trasmissione a lunga distanza. La ionizzazione

dell’atmosfera varia molto anche a seconda dell’ora e della latitudine.

EVOLUZIONE

In biologia, l'evoluzione delle specie è il fenomeno del cambiamento, non

necessariamente migliorativo, del fenotipo, espressione visibile e diretta

del genotipo (cioè del patrimonio genetico) degli individui di una specie.

La teoria dell'evoluzione delle specie è uno dei pilastri della biologia

moderna. Nelle sue linee essenziali, essa è riconducibile all'opera di

Charles Darwin (che vide nella selezione naturale il motore fondamentale

dell'evoluzione della vita sulla Terra) e alla genetica.

Se i princìpi generali della teoria dell'evoluzione sono consolidati presso

la comunità scientifica, aspetti secondari della teoria sono tutt'oggi

ampiamente dibattuti, e costituiscono un campo di ricerca estremamente

vitale.

La definizione del concetto di evoluzione ha costituito una vera e propria

rivoluzione nel pensiero scientifico in biologia, e ha ispirato numerose

teorie e modelli in altri settori della conoscenza.

Uno dei primi disegni di Darwin

Sin da prima che Charles Darwin, il "padre" del moderno concetto di

evoluzione biologica, pubblicasse la prima edizione de L'origine delle

specie, le posizioni degli studiosi erano divise in due grandi correnti di

pensiero che vedevano, da un lato, una natura dinamica ed in continuo

cambiamento, dall'altro una natura sostanzialmente immutabile (la Scala

Naturae di Linneo). Della prima corrente facevano parte scienziati e

filosofi vicini all'Illuminismo francese, come Maupertuis, Buffon, La

Mettrie, che rielaboravano il meccanismo di eliminazione dei viventi

malformati proposto da Lucrezio nel De rerum natura ed ipotizzavano

una derivazione delle specie le une dalle altre. Tuttavia, l'interpretazione

di tali teorie come veri e proprî preannunci di evoluzionismo è

discussa.[1]

In ogni modo, ancora alla fine del 1700 la teoria predominante era quella

"fissista" dello scienziato Linneo, che definiva le varie specie come entità

create una volta per tutte e incapaci di modificarsi o capaci entro ben

determinati limiti.

Su questo tema oggi il mondo scientifico non è più diviso: le scoperte di

Mendel e Morgan nel campo della genetica, i progressi della

paleontologia e della biogeografia hanno conferito validità scientifica alla

teoria dell'evoluzione delle specie.

Il dibattito si è così spostato su un altro tema: ci si interroga sulle

modalità e le dinamiche dell'evoluzione e quindi sulle teorie che la

possono spiegare.

Oggi sappiamo che l'evoluzione delle specie è avvenuta in seguito a

trasformazioni, selezionate poi dall'ambiente; per arrivare a questa

affermazione ci sono voluti molti anni.

All'inizio del XIX secolo iniziarono a sorgere, negli studiosi di Scienze

Naturali i primi dubbi concreti: negli strati rocciosi più antichi infatti

mancano totalmente tracce (fossili) degli esseri attualmente viventi e se

ne rinvengono altre appartenenti ad organismi attualmente non esistenti.

Nel 1809, il naturalista Lamarck presentò per primo una teoria

evoluzionista (detta lamarckismo) secondo cui gli organismi viventi si

modificherebbero gradualmente nel tempo adattandosi all'ambiente: l'uso

o il non uso di determinati organi porterebbe con il tempo ad un loro

potenziamento o ad un'atrofia. Tale ipotesi implica quello che oggi viene

considerato l'errore di fondo: l'ereditabilità dei caratteri acquisiti

(esempio: un culturista non avrà necessariamente figli muscolosi; la

muscolosità del culturista è infatti una manifestazione fenotipica, cioè

morfologica, derivante dall'interazione dello sportivo con l'ambiente, il

continuo sollevare pesi; ma il particolare sviluppo muscolare non è

dettato dal suo patrimonio genetico, il genotipo).

Lamarck trovò opposizione in Georges L. Chretien Cuvier, il quale aveva

elaborato la 'teoria delle catastrofi naturali' secondo la quale la maggior

parte degli organismi viventi nel passato sarebbero stati spazzati via da

numerosi cataclismi e il mondo infatti sarebbe stato ripopolato dalle

specie sopravvissute.

Dopo cinquant'anni Darwin formulò una nuova teoria evoluzionista; il

noto naturalista, durante il suo viaggio giovanile sul brigantino Beagle, fu

colpito dalla variabilità delle forme viventi che aveva avuto modo di

osservare nei loro ambienti naturali intorno al mondo. Riflettendo sugli

appunti di viaggio e traendo spunto dagli scritti dell'economista Thomas

Malthus, Darwin si convinse che la “lotta per la vita” fosse uno dei

motori principali dell'evoluzione intuendo il ruolo selettivo dell'ambiente

sulle specie viventi. L'ambiente, infatti, non può essere la causa primaria

nel processo di evoluzione (come invece sostenuto nella teoria di

Lamarck) in quanto tale ruolo è giocato dalle mutazioni genetiche, in

gran parte casuali. L'ambiente entra in azione in un secondo momento,

nella determinazione del vantaggio o svantaggio riproduttivo che quelle

mutazioni danno alla specie mutata, in poche parole, al loro migliore o

peggiore adattamento (fitness in inglese).

I principali meccanismi che partecipano in queste situazioni sono:

• meccanismi genetici

• meccanismi ecologici

Neodarwinismo: la sintesi moderna

La moderna teoria dell'evoluzione (detta anche sintesi moderna o

neodarwinismo) è basata sulla teoria di Charles Darwin, che postulava

l'evoluzione delle specie attraverso la selezione naturale, combinata con

la teoria di Gregor Mendel sulla ereditarietà biologica. Altre personalità

che hanno contribuito in modo importante allo sviluppo della sintesi

moderna sono: Ronald Fisher, Theodosius Dobzhansky, J.B.S. Haldane,

Sewall Wright, Julian Sorell Huxley, Ernst Mayr,George Gaylord

Simpson e Motoo Kimura.

La maggior parte dei biologi sostiene la tesi della discendenza comune:

cioè che tutta la vita presente sulla Terra discenda da un comune

antenato. Questa conclusione si basa sul fatto che molte caratteristiche

degli organismi viventi, come il codice genetico, in apparenza arbitrari,

sono invece condivisi da tutti gli organismi anche se qualcuno ha

ipotizzato origini multiple della vita.

I rapporti di discendenza comune tra specie o gruppi di ordine superiore

si dicono rapporti filogenetici, e il processo di differenziazione della vita

si chiama filogenesi. La paleontologia dà prove consistenti di tali

processi.

Organi con strutture interne radicalmente diverse possono avere una

somiglianza superficiale e avere funzioni simili: si dicono allora analoghi.

Esempi di organi analoghi sono le ali degli insetti e degli uccelli. Gli

organi analoghi dimostrano che esistono molteplici modi per risolvere

problemi di funzionalità. Nello stesso tempo esistono organi con struttura

interna simile ma che servono a funzioni radicalmente diverse (organi

omologhi).

Confrontando organi omologhi di organismi dello stesso phylum, ad

esempio gli arti di diversi Tetrapodi, si nota che presentano una struttura

di base comune anche quando svolgono funzioni diverse, come la mano

umana, l'ala di un uccello e la zampa anteriore di una lucertola. Poiché la

somiglianza strutturale non risponde a necessità funzionali, la spiegazione

più ragionevole è che tali strutture derivino da quella del comune

progenitore. Inoltre, considerando gli organi vestigiali, risulta difficile

ammettere che siano comparsi fin dall'inizio come organi inutili, mentre

se si ammette che avessero una funzione in una specie progenitrice la loro

esistenza risulta comprensibile.

La mutazione (termine introdotto all'inizio del Novecento) consiste nella

comparsa improvvisa, casuale ed ereditabile nelle future generazioni, di

caratteristiche non possedute da antenati degli individui che le

presentano. La ricombinazione genetica, che permette di creare nuove

combinazioni di caratteristiche ereditarie, può aver luogo sia durante la

meiosi (riproduzione sessuata) sia per trasferimento di materiale genetico

da una cellula all'altra (coniugazione o trasformazione batterica).

Con cladismo si intende la ramificazione evolutiva già figurata da Darwin

nell'Origine della specie del 1859. Attualmente fonda la classificazione

sulla prospettiva filogenetica. La paleontologia aiuta a comprendere con

numerosi esempi come una specie madre possa dare origine a due o più

specie figlie, per ramificazione dicotomica, utilizzando la distinzione fra

caratteri primitivi e innovativi.

Sopravvivenza differenziata delle caratteristiche [modifica]

Con questo termine si intende quali caratteristiche sono presenti in una

popolazione e se la frequenza di presenza aumenta o diminuisce (anche

fino alla totale scomparsa). Due processi fondamentali determinano la

sopravvivenza di caratteristiche: la selezione naturale e la deriva genetica.

La selezione naturale è il fenomeno per cui organismi della stessa specie

con caratteristiche differenti ottengono, in un dato ambiente, un diverso

successo riproduttivo; di conseguenza, le caratteristiche che tendono ad

avvantaggiare la riproduzione diventano più frequenti di generazione in

generazione. Si ha selezione perché gli individui hanno diversa capacità

di utilizzare le risorse dell'ambiente e di sfuggire a pericoli presenti (come

predatori e avversità climatiche); infatti le risorse a disposizione sono

limitate, e ogni popolazione tende ad incrementare la sua consistenza in

progressione geometrica, per cui i cospecifici competono per le risorse

(non solo alimentari).

È importante notare che mutazione e selezione, prese singolarmente, non

possono produrre un'evoluzione significativa.

La prima, infatti, non farebbe che rendere le popolazioni sempre più

eterogenee. Inoltre, per il suo carattere casuale, nella maggior parte dei

casi essa è neutrale, oppure nociva, per la capacità dell'individuo che la

esibisce di sopravvivere e/o riprodursi.

La selezione, dal canto suo, non può introdurre nella popolazione nessuna

nuova caratteristica: tende anzi ad uniformare le proprietà della specie.

Solo grazie a sempre nuove mutazioni la selezione ha la possibilità di

eliminare quelle dannose e propagare quelle (poche) vantaggiose.

L'evoluzione è quindi il risultato dell'azione della selezione naturale sulla

variabilità genetica creata dalle mutazioni (casuali, ovvero indipendenti

dalle caratteristiche ambientali). L'azione della selezione naturale e delle

mutazioni viene analizzata quantitativamente dalla genetica delle

popolazioni.

È anche importante sottolineare che la selezione è controllata

dall'ambiente, che varia nello spazio e nel tempo e comprende anche gli

altri organismi.

Le mutazioni forniscono perciò il meccanismo che permette alla vita di

perpetuarsi. Infatti gli ambienti sono in continuo cambiamento e le specie

scomparirebbero se non fossero in grado di sviluppare adattamenti che

permettono di sopravvivere e riprodursi nell'ambiente mutato.

Deriva genetica

La deriva genetica è la variazione, dovuta al caso, delle frequenze

geniche in una piccola popolazione. Nelle piccole popolazioni derivanti

da una più vasta è anche importante l'"effetto del fondatore", per cui esse

possono avere casualmente frequenze geniche significativamente diverse

da quelle della popolazione originaria.

Grazie a questi due fenomeni piccole popolazioni possono "sperimentare"

combinazioni genetiche improbabili in quelle grandi.

Affinché specie oggi distinte possano discendere da un progenitore

comune è necessario che le specie in qualche modo "si riproducano". Ciò

richiede che una parte della specie subisca un'evoluzione divergente dal

resto, in modo che ad un certo punto si siano accumulate tante variazioni

da poterla considerare una specie distinta.

Ogni specie (a meno che non sia in via di estinzione o residuale) è

formata da più popolazioni mendeliane. Esse non coincidono con le

popolazioni ecologiche e sono definite come parti della specie al cui

interno si ha un'ampia possibilità di incrocio. La speciazione è possibile

quando tra popolazioni o gruppi di popolazioni si instaura un isolamento

riproduttivo, ossia vi è uno scambio genetico pressoché nullo.

Se si realizza l'isolamento per un tempo abbastanza lungo, è impossibile

che per puro caso si abbia la stessa evoluzione nelle due parti della

specie. La divergenza evolutiva è ancor più marcata se i due gruppi

vivono in ambienti diversi poiché la selezione agisce su di loro in modo

diverso

Speciazione allopatrica

La speciazione allopatrica avviene quando l'evoluzione di parti diverse

della specie madre avviene in territori diversi. È necessario che l'areale

della specie sia discontinuo, ossia che sia diviso in porzioni disgiunte,

separate da zone in cui la specie non può vivere. Si ha quindi un

isolamento geografico.

Più che l'isolamento geografico, il meccanismo di speciazione allopatrica

sembra principalmente legato all'isolamento periferico: in seno ad una

piccola subpopolazione, vivente ai margini dell'areale della specie in

condizioni non ottimali, avviene la rapida differenziazione evolutiva e

segregazione di una nuova specie in seguito al limitato scambio genetico

con la popolazione principale.

Speciazione simpatrica

Si ha speciazione simpatrica quando due popolazioni si evolvono

separatamente pur vivendo nello stesso territorio. L'isolamento

riproduttivo senza separazione geografica si può avere in due modi.

• L'isolamento ecologico è dovuto al fatto che le popolazioni

occupano nicchie ecologiche differenti. Un esempio classico sono i

fringuelli delle Galápagos, che han dato origine a specie diverse

per alimentazione. Questo esempio non è ritenuto corretto dalla

totalità degli ambienti scientifici, infatti, si potrebbe obiettare che

la distanza tra le isole è una sorta di separazione geografica (quindi

rientrerebbe nella categoria della speciazione allopatrica).

• L'isolamento genetico è causato da riarrangiamenti cromosomici

stabilizzatisi in un piccolo gruppo, che non si può più incrociare

con i cospecifici pur avendo inizialmente lo stesso fenotipo

(criptospecie).

Prove

Oggi l'evoluzione è considerata, dalla stragrande maggioranza dei

biologi, un "fatto" supportato da una mole impressionante di prove di

varia natura.

Si tratta, perlomeno sino ad oggi, della migliore spiegazione scientifica

(quindi falsificabile) della diversità dei viventi.

Prove paleontologiche

Esempio di successione evolutiva

La successione degli ammoniti Hildoceratidi del Lias superiore

(Giurassico) nell'Appennino umbro-marchigiano, mostra continue

variazioni verticali (ossia nel tempo) con graduali modificazioni nella

morfologia delle ammonite presenti, variazioni che sono state

interpretate come evolutivi passaggi tra genere e genere.

Qui, all'interno dell'unità litostratigrafica del Rosso Ammonitico, è

presente una serie di ammoniti, ben conservate, raccogliendone

sistematicamente varie centinaia di campioni, strato per strato, si e'

osservato, muovendosi verso i termini più recenti, un adattamento

funzionale verso una sempre maggiore idrodinamicità, interpretata con

l'idea darwiniana della evoluzione gradualista per selezione naturale.

Trattasi di una microevoluzione simpatrica in quanto queste specie sono

presenti esclusivamente nell'area mediterranea della Tetide.

I dati della paleontologia mostrano non solo che gli organismi fossili

erano diversi da quelli attuali, ma anche che man mano che andiamo

indietro nel tempo le differenze con gli organismi viventi sono maggiori.

Ad esempio, fossili abbastanza recenti possono essere attribuiti

generalmente a generi attuali, mentre quelli man mano più antichi sono

sempre più diversi e sono attribuibili ad altri generi; permangono talora

caratteristiche di base, per cui possono essere spesso attribuiti agli stessi

gruppi tassonomici di ordine elevato attuali.

Ciò si accorda bene con l'ipotesi generale, che, arretrando nel tempo, ci si

avvicina alla radice dell'albero filogenetico.

La paleontologia fornisce prove concrete dell'evoluzione, quando i fossili

sono trovati nelle successioni stratigrafiche sedimentarie in abbondanza,

laddove è rispettato il principio fondamentale geologico della

sovrapposizione. I fossili dentro le rocce sedimentarie marine sono diffusi

in tutte le parte del mondo e permettono indagini stratigrafiche molto

dettagliate.

Prove biogeografiche

La distribuzione geografica delle specie viventi, anche alla luce delle

conoscenze sulla deriva dei continenti, ben si accorda con l'evoluzione

organica. L'enorme varietà di adattamenti dei marsupiali australiani, ad

esempio, può essere spiegata col fatto che la separazione dell'Australia

dagli altri continenti precede la comparsa degli euteri, per cui i marsupiali

terrestri australiani hanno potuto adattarsi a nicchie ecologiche per cui

non dovevano competere con altri ordini di mammiferi.

Anche la presenza di grossi uccelli non volatori in grandi isole porta alle

medesime conclusioni. Infatti, visto che esse erano già separate dai

continenti alla comparsa degli omeotermi, solo gli uccelli hanno potuto

raggiungerle ed occupare nicchie terrestri solitamente occupate da

mammiferi.

Alle prove biogeografiche si possono aggiungere quelle

paleobiogeografiche. La paleobiogeografia si occupa della posizione

paleogeografica dei fossili, a partire da quella geografica attuale.

L'argomento ha enorme importanza quando i fossili sono molto antichi

(per es. quelli del Paleozoico e del Mesozoico), e talora danno indizi di

speciazione allopatrica per migrazione. Tali studi, ancora poco sviluppati,

devono essere eseguiti con il concorso della biostratigrafia; in tal caso

possono dare risultati eccezionali. Un caso diverso è quello della presenza

degli stessi fossili in aree oggi separate; Sudamerica e Africa infatti

presentano in successioni rocciose simili, di origine continentale, fossili

di rettili sinapsidi simili del Permiano, 250 milioni di anni fa, a

testimoniare che i due continenti erano uniti nel supercontinente

Gondwana in quel lontano periodo.

Prove matematico/informatiche

Gli algoritmi genetici sono delle metaeuristiche per la ricerca della

soluzione ottimale di un problema basate sulla logica del modello

evoluzionistico. Studiando questo metodo si è visto come, partendo dalle

ipotesi del modello evoluzionistico, si può arrivare all'evoluzione di più

specie.

Sono stati realizzati molti programmi per computer che simulano un

ecosistema per diversi scopi (divertimento, studio dei meccanismi

evolutivi naturali, studio degli algoritmi genetici). Anche questi hanno

dimostrato la plausibilità del modello evoluzionistico. Inoltre, gli

algoritmi genetici sono stati applicati in campi lontani dalla biologia,

come i problemi di ottimizzazione di funzioni matematiche, in cui le

soluzioni vengono fatte "competere" e "incrociare" tra di loro con

particolari metodi.

Evoluzione osservabile

Uno dei pochi fenomeni di evoluzione osservabili, per via della estrema

brevità dei cicli vitali in gioco e quindi della rapidità con cui è possibile

osservare la successione delle generazioni, è quello relativo alla

progressiva resistenza agli antibiotici da parte dei batteri. È necessario

utilizzare sempre nuovi antibiotici per assicurare trattamenti efficaci e ciò

è dovuto al fatto che i batteri, come tutte le specie, mutano, e in un

ambiente a loro ostile come un corpo umano in terapia antibiotica,

sopravvivono semplicemente quegli individui le cui mutazioni

determinano una maggiore resistenza a quello specifico antibiotico. L'uso

diffuso degli antibiotici (sia sugli uomini che sugli animali) non fa che

selezionare i ceppi batterici più resistenti, con drammatica diminuzione

dell'efficacia. L'introduzione di un nuovo e più potente antibiotico non

farà che riproporre lo schema già descritto: tra le infinite mutazioni ve ne

saranno sempre alcune che daranno un vantaggio riproduttivo (che

renderanno cioè più "adatti") agli individui che le hanno subite.

Anche i virus mutano rapidamente, producendo sempre nuovi ceppi, cosa

che rende ancor più difficile cercare di contrastarli. Per questo motivo è

difficile riuscire a produrre vaccini definitivamente efficaci contro

l'influenza, visto che i tempi di mutazione del virus sono paragonabili ai

tempi necessari per mettere in commercio un vaccino.

L'impatto culturale del moderno concetto di evoluzione

L'evoluzionismo filosofico

Il concetto di evoluzione definito in biologia da Darwin è andato

estendendosi, nel tempo, come paradigma di intelligibilità applicabile a

tutta la storia dell'universo (vedi per esempio, in astrofisica, il concetto di

evoluzione stellare).

Anche le discipline umanistiche come la filosofia hanno recepito il

modello interpretativo evoluzionistico, così accanto alla versione

filosofica dell'evoluzione di tipo materialistico (quella di Herbert

Spencer), il concetto di evoluzione in filosofia portò anche a

reinterpretare le manifestazioni spirituali in senso evoluzionistico (due

esempi emblematici: il pensiero del filosofo e premio Nobel Henri

Bergson e del teologo gesuita, nonché paleoantropologo, Teilhard de

Chardin, i quali hanno utilizzato la teoria dell'evoluzione come uno

strumento utile a descrivere il ruolo del divino negli accadimenti della

storia).

Il nuovo approccio evoluzionistico nelle scienze umane

Anche Karl Marx dedicò Il capitale a Darwin, ritenendo il proprio studio

dell'economia in qualche modo corrispondente al darwinismo in biologia.

Anche l'antropologia culturale nello studio dell'evoluzione dei gruppi

umani e delle organizzazioni sociali trovò molto produttivo adottare il

punto di vista evoluzionista come è il caso dell'antropologia americana

con Lewis Henry Morgan e la sua scuola.

Critiche e alternative

Antievoluzionismo

Il concetto di Evoluzionismo ha ricevuto critiche sia per motivi

strettamente religiosi (Creazionismo biblico, professato dall'Ebraismo

ortodosso e da alcune Chiese protestanti americane, ma non più dalla

Chiesa cattolica, la quale non ha tuttavia una posizione unitaria e definita

sul darwinismo [v. Evoluzione e chiesa cattolica]), ma anche per opinioni

riguardanti l'adeguatezza del meccanismo esplicativo neodarwiniano, o

riguardanti la presunta insufficienza di prove della teoria di Darwin.

Malgrado queste opinioni siano decisamente minoritarie nella comunità

scientifica, e spesso non tengano conto di quanto la teoria originale di

Darwin sia evoluta nel tempo, è giusto ricordare alcune di queste teorie

alternative. Tra esse vi sono il Disegno intelligente e il Devoluzionismo

del biologo italiano Giuseppe Sermonti. La teoria di Darwin è anche

avversata dal fisico italiano Antonino Zichichi, che ne nega la solidità

matematica e ne attacca le prove biologiche e paleontologiche. D'altra

parte Zichichi ha criticato la teoria di Darwin solo su pubblicazioni

divulgative e non su riviste scientifiche sottostanti al meccanismo del

peer review.

Evoluzione e casualità

Il biologo Jacques Monod nel suo libro "Il caso e la necessità", asserì che

la teoria scientifica evoluzionistica andava intesa come una teoria che

concepiva l'evoluzione come una somma di eventi casuali, selezionati

dalle necessità ambientali, che nulla avrebbe quindi a che fare con

qualunque concezione finalistica sia riguardo all'uomo sia riguardo al

mondo.

La casualità evolutiva, che deriva dalla casualità delle modifiche naturali

del patrimonio genetico, che sono responsabili della differenziazione dei

diversi individui entro la singola specie, viene rigettata, con

considerazioni diverse dai sostenitori di una prospettiva finalistica

dell'evoluzione.

Evoluzione dell'uomo

Per l'evoluzione che dagli insettivori ha condotto all'homo sapiens

sapiens, e dall'H.s.s. in poi ha proseguito con la storia, vedere le voci

Evoluzione umana e Storia dell'uomo.

Evoluzione umana

L'evoluzione della vita sulla Terra, a quanto attualmente noto, parte circa

4 miliardi di anni fa.

Prima dell'uomo

Circa 70 milioni di anni fa (mya), proseguendo per un albero filogenetico

che affonda le radici alle origini della vita sulla terra, da esponenti

insettivori appartenenti alla classe dei mammiferi ebbe origine il ramo dei

primati, ordine di cui fanno parte con l'uomo tutte le scimmie. Nel

Miocene, da appartenenti a questa classe, 18 mya, (con Proconsul, un

arboricolo e frugivoro candidato ad entrare nella biforcazione evolutiva)

si diramarono le attuali scimmie antropomorfe, (gibbone 18 mya, orango

14 mya, gorilla 7 mya, scimpanzé e bonobo 3-5 mya), attualmente riuniti

con l'uomo in un'unica famiglia. Ardipithecus ramidus e Ardipithecus

kadabba paiono essere anelli importanti nella transizione ad

australopiteco, mentre Kenyanthropus platyops sembra fondamentale per

spiegare la successiva transizione ad Homo.

Secondo un recente studio [1] l’andatura bipede è molto più antica di

quanto si pensasse. Alcuni fossili di Morotopithecus bishopi, un primate

arboricolo vissuto circa 21 milioni di anni fa nell’attuale Uganda,

presentano nella struttura dello scheletro e delle vertebre forti analogie

con le caratteristiche che nell’essere umano consentono di assumere la

posizione eretta. Queste analogie potrebbero essere dovute a convergenza

evolutiva, giacché lo stato attuale delle conoscenze (anche a causa della

frammentarietà dei resti fossili) non permette di chiarire questo dubbio.

Circa 20-15 milioni di anni fa, gli ominidi iniziarono a vagare per le

savane in cerca di cibo: qui la pressione selettiva favorì quegli individui

capaci di ergersi sugli arti posteriori potendo così, ad esempio, avvistare

in anticipo un predatore. Iniziò così l'evoluzione fisiologica e culturale di

questi primati: impararono infatti ad afferrare, trasportare, scegliere

piante e cibo ed osservare la natura.

Scala in migliaia di anni

Le età degli spazi * sono stimati. - I tratti verticali rappresentano le

possibili separazioni (ipotesi "splitter", dell'origine unica)

(1) o Homo sapiens arcaico antico - (2) o Homo sapiens arcaico recente

• Pierolapithecus catalaunicus (13 milioni di anni fa) [specie ancora

in fase di studio]

o "Pau"

• Oreopithecus bambolii (8,5 milioni di anni fa) [anche se la sua

appartenenza al ramo umano è controversa]

o "Proto" e "Sandrone"

• Sahelanthropus tchadensis (fra 7 e 6 milioni di anni fa)

o "Toumaï"

• Orrorin tugenensis (6 milioni di anni fa)

• Ardipithecus kadabba (fra 6 e 5,5 milioni di anni fa)

• Ardipithecus ramidus (4,5 milioni di anni fa)

La specie più antica che conosciamo è quella dell'australopiteco, cioè le

scimmie dell'emisfero australe, che quasi sicuramente vissero in Tanzania

ed in Etiopia per almeno 3 milioni di anni, finché non si estinsero circa 1

milione di anni fa. L'australopiteco non era capace di costruire utensili,

ma utilizzava ciottoli per scopi semplici come spezzare o percuotere;

inoltre faceva vita di gruppo, dava la caccia ad animali di piccola stazza e

raccoglieva uova e semi.

• Australopithecus anamensis (4 milioni di anni fa)

• Kenyanthropus platyops (3,5 milioni di anni fa)

• Australopithecus afarensis (fra 4 e 3 milioni di anni fa)

o "Lucy"

• Australopithecus bahrelghazali (fra 3,5 e 3 milioni di anni fa)

• Australopithecus africanus (fra 3 e 2 milioni di anni fa)

• Australopithecus garhi (2,5 milioni di anni fa)

• Australopithecus aethiopicus - Parantropo (2.5 milioni di anni fa)

• Australopithecus boisei - Parantropo (fra 1.7 ed 1.4 milioni di anni

fa)

• Australopithecus robustus - Parantropo (fra 2 ed 1.5 milioni di anni

fa)

Distribuzione temporale e geografica delle popolazioni di ominidi, basata

sui fossili rinvenuti

La prima specie del genere homo conosciuta è l' Homo habilis (ca 2

milioni di anni fa). Molto simile all'australopiteco, l' Homo habilis viene

già ritenuto uomo per le sue abilità manuali: utilizzava infatti strumenti

rudimentali per la caccia.

Un'evoluzione arriva con l' Homo erectus (ca 1 - 1,5 milioni di anni fa).

L' erectus ha posizione eretta e una maggior capacità intellettiva,

testimoniata anche dal maggior sviluppo della tecnologia rispetto

all'homo habilis.

• Homo habilis (fra 2,5 ed 1 milione di anni fa)

• Homo rudolfensis (2 milioni di anni fa)

• Homo ergaster (fra 2 milioni e 600.000 anni fa)

• Homo erectus (fra 2 milioni e 300.000 anni fa)

o "Argil", o Uomo di Ceprano

• Homo antecessor (800.000 anni fa)

• Homo heidelbergensis (fra 600.000 e 200.000 anni fa)

o "Ciampate del Diavolo"

• Homo neanderthalensis (fra 250.000 e 30.000 anni fa)

• Homo floresiensis (da 95.000 a 18.000 anni fa)

o "Ebu", o Uomo di Flores

• Homo sapiens (da 200.000 anni fa ad oggi)

Tabella comparativa delle specie Homo

I nomi delle specie in grassetto indicano l'esistenza di numerosi fossili.

LA CELLULA ANIMALE E VEGETALE

La cellula (dal latino, piccola camera) è l'unità fondamentale di tutti gli

organismi viventi[1], la più piccola struttura ad essere classificabile come

vivente.

Alcuni organismi, come ad esempio i batteri acidoplastici o i protozoi,

possono consistere di una singola cellula ed essere definiti unicellulari.

Altri organismi, come l'uomo (formato da circa 100 mila miliardi di

cellule), sono invece pluricellulari. I principali organismi pluricellulari

appartengono tipicamente ai regni animale, vegetale e dei funghi. Le

cellule degli organismi unicellulari presentano caratteri morfologici

solitamente uniformi. Con l'aumentare del numero di cellule di un

organismo, invece, le cellule che lo compongono si differenziano in

forma, grandezza, rapporti e funzioni specializzate, fino alla costituzione

di tessuti ed organi.

Il termine cellula è legato all'analogia che Robert Hooke immaginò tra le

microstrutture che osservò nel sughero, utilizzando un microscopio di sua

invenzione, e le piccole camere che caratterizzano molti monasteri.

Ogni cellula può esser definita come un'entità chiusa ed autosufficiente:

essa è infatti in grado di assumere nutrienti, di convertirli in energia, di

svolgere funzioni specializzate e di riprodursi se necessario. Per fare ciò,

ogni cellula contiene al suo interno tutte le informazioni necessarie.

Tutte le cellule mostrano alcune caratteristiche comuni:Fotosintesi

clorofilliana

FOTOSINTESI CLOROFILLIANA

La fotosintesi clorofilliana è l’insieme delle reazioni durante le quali le

piante verdi producono sostanze organiche a partire da CO2 e dall’acqua,

in presenza di luce.

Mediante la clorofilla, l'energia solare (luce) viene trasformata in uno

zucchero definito glucosio fondamentale per la vita della pianta la cui

formula chimica è:C6H12O6,ovvero 6 atomi di carbonio,12 di idrogeno e 6

di ossigeno.Inoltre alla pianta(detta autotrofa)rimangono 6 atomi di

ossigeno atmosferico di cui si libera grazie agli stomi delle sue foglie.

Oggi questo processo è quello nettamente dominante sulla Terra, per la

produzione di composti organici da sostanze inorganiche e,

probabilmente, rappresenta la prima forma di processo anabolico

sviluppato dagli organismi viventi. Inoltre, la fotosintesi è l'unico

processo biologicamente importante in grado di raccogliere l'energia solare,

da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra.

Reazione complessiva

Il prodotto organico della fotosintesi ossigenica è il glucosio (C6H12O6),

il carboidrato monosaccaride più diffuso sul nostro pianeta. In seguito da

questo sono assemblate varie altre macromolecole, quali l'amido (la

forma di accumulo del carbonio nelle piante) e il saccarosio (la forma di

trasporto principale del carbonio nelle piante). Il carbonio e l'idrogeno

solfurato e fluorescente da convertire in sostanza organica sono forniti

rispettivamente dall'anidride carbonica (CO2) atmosferica e

dall'acqua(H20). La quasi totalità della fotosintesi ossigenica è compiuta

da piante e alghe che ricavano l'idrogeno dall'acqua (H2O). In questo

caso l'equazione chimica che riassume il processo è:

6 CO2 + 6 H2O + 686 Kilocalorie/mole → C6H12O6 + 6 O2

Forme di fotosintesi

Esistono, soprattutto fra gli organismi procarioti autotrofi, varie forme di

fotosintesi, oltre alla fotosintesi clorofilliana ossigenica descritta qui. In

alcune specie di batteri autotrofi, l'idrogeno proviene non dall'acqua ma

dall'acido solfidrico, che nella fotosintesi viene ossidato a zolfo

elementare (S8)

6 CO2 + 12 H2S → C6H12O6 + 12 S + 6 H2O

Si noti che questi batteri sono anaerobi obbligati. Le forme di fotosintesi

clorofilliana che vengono effettuate con lo zolfo (o in alcuni casi anche

con l'azoto) vengono dette fotosintesi anossigeniche.

Anche fra le piante si riscontrano vari tipi di fotosintesi clorofilliana. Le

piante sono suddivise, in base alla forma di fotosintesi clorofilliana da

esse compiuta, in tre gruppi principali, che hanno diverse caratteristiche:

le piante C3, C4 e CAM. Vi è anche una forma di fotosintesi, la

chemiosintesi, in cui l'energia chimica è data dalla demolizione di

molecole organiche anziché dalla radiazione elettromagnetica.

Fasi della fotosintesi

La fotosintesi clorofilliana avviene per tappe riunibili in due fasi: la fase

luminosa (o fase luce-dipendente), dipendente dalla luce; la fase di

fissazione del carbonio (o fase oscura, indipendente dalla luce) di cui fa

parte il ciclo di Calvin.

La seconda fase viene anche definita fase al buio; il termine, tuttavia,

potrebbe essere fuorviante, in quanto non si riferisce all'assenza della luce

dato che alcuni enzimi coinvolti in questa fase sono direttamente attivati

proprio dalla luce, tanto che avviene contemporaneamente alla fase

luminosa e non di notte. Infatti in assenza di luce si ha scarsità di ATP e

NADPH, che si formano durante la fase luminosa e gli stomi si chiudono,

dunque non vi è accesso di CO2; inoltre si verifica anche l'inattività di

alcuni enzimi che sono luce-dipendenti (RuBisCO, 3-PGA deidrogenasi,

fosfatasi e ribulosio 1,5 bis-fosfato chinasi).

Fase luminosa

Le reazioni della fase luce dipendente della fotosintesi clorofilliana.

Il processo fotosintetico si svolge all'interno dei cloroplasti. All'interno di

questi si trova un sistema di membrane che formano pile di sacchetti

appiattiti (tilacoidi), dette grani, e delle lamelle di collegamento dei grani

(lamelle intergrana). All'interno di queste membrane troviamo delle

molecole di clorofilla, aggregate a formare i cosiddetti fotosistemi. Si

possono distinguere il fotosistema I e il fotosistema II. I fotosistemi sono

un insieme di molecole di pigmenti in cui l’energia viene convogliata

verso una molecola di clorofilla "a" trappola. Nel fotosistema I la

molecola trappola viene eccitata da una lunghezza d’onda di 700 nm, il

fotosistema II da 680 nm.

Il fotosistema I è formato da un LHC (complesso che cattura la luce)

costituito da circa 70 molecole di clorofilla a e b e da 13 diversi tipi di

catene polipeptidiche, e da un centro di reazione che comprende circa 130

molecole di clorofilla a e P700, un particolare tipo di clorofilla che ha il

massimo assorbimento della luce a 700nm.

Il fotosistema II è anch'esso composto da un LHC, formato da circa 200

molecole di clorofilla a e b, nonché da diverse catene polipeptidiche, e da

un centro di reazione formato da circa 50 molecole di clorofilla a e di

P680, che ha il massimo assorbimento della luce solare a 680nm.

Tutte queste molecole sono in grado di catturare l'energia luminosa, ma

solo quelle di clorofilla a sono in grado di passare ad uno stato eccitato

che attiva la reazione fotosintetica. Le molecole che hanno solo funzione

di captazione sono dette molecole antenna; quelle che attivano il processo

fotosintetico sono definite centri di reazione. La "fase luminosa" è

dominata dalla clorofilla a, le cui molecole assorbono selettivamente luce

nelle porzioni rossa e blu-violetta dello spettro visibile, attraverso una

serie di altri pigmenti coadiuvanti. L'energia catturata dalle molecole di

clorofilla consente la promozione di elettroni da orbitali atomici a energia

minore ad orbitali ad energia maggiore. Questi vengono subito sostituiti

mediante idrolisi di molecole d'acqua (che, da H2O, si scinde in due

protoni, due elettroni ed un ossigeno grazie alla fotolisi, operata dai due

fotosistemi). Gli elettroni liberati dalla clorofilla del fotosistema II

vengono immessi in una catena di trasporto costituita dal citocromo B6f,

durante la quale perdono energia, passando ad un livello energetico

inferiore. L'energia persa viene utilizzata per pompare protoni dallo

stroma all'interno dello spazio del tilacoide, creando un gradiente

protonico. Infine gli elettroni giungono al fotosistema I, che a sua volta,

per effetto della luce, ha perso altri elettroni. Gli elettroni persi dal

fotosistema I vengono trasferiti alle ferredossina, che riduce NADP+ in

NADPH. Tramite la proteina di membrana ATP-sintetasi situata sulla

membrana del tilacoide (strati membranosi interni al cloroplasto o, nel

caso dei batteri autotrofi, distribuiti nel citoplasma), gli ioni H+ liberatisi

dall'idrolisi dell'acqua passano dallo spazio del tilacoide allo stroma, cioè

verso gradiente, sintetizzando ATP a partire da gruppi liberi di fosfato e

ADP. Si può formare una molecola di ATP ogni due elettroni persi dai

fotosistemi.

Fase di fissazione del carbonio

La fase di fissazione del carbonio o ciclo di Calvin (chiamata anche fase

al buio o fase luce indipendente) comporta l'organicazione della CO2,

ossia la sua incorporazione in composti organici e la riduzione del

composto ottenuto grazie al ATP ricavato dalla fase luminosa.

In questo ciclo è presente un composto organico fisso, il ribulosio-

bifosfato, o RuBP, che viene trasformato durante la reazione fino a

tornare al suo stato iniziale. Le 12 molecole di ribulosio bifosfato presenti

nel ciclo di Calvin reagiscono con l'acqua e l'anidride carbonica subendo

una serie di trasformazioni ad opera dell'enzima ribulosio-bifosfato

carbossilasi o rubisco. Alla fine del processo, oltre alle 12 RuBP

nuovamente sintetizzate, si originano 2 molecole di gliceraldeide 3-

fosfato, che vengono espulse dal ciclo come prodotto netto della

fissazione. Per essere attivato, il ciclo di Calvin necessita di energia

chimica e supporto mediante l'idrolisi di 18 ATP in ADP e

dell'ossidazione di 12 NADPH in NADP+ e ioni liberi di idrogeno H+

(che sono protoni). L'ATP e la NADPH consumate durante il ciclo di

Calvin vengono prelevate da quelle prodotte durante la fase luminosa, e,

una volta ossidate, tornano a far parte del pool disponibile per la

riduzione. Complessivamente, nel ciclo di Calvin vengono consumate 6

molecole di CO2, 6 di acqua, 18 di ATP e 12 di NADPH per formare 2

gliceraldeide 3-fosfato (abbreviato in G3P), 18 gruppi liberi di fosfato, 18

ADP, 12 protoni, 12 NADP+.

Sintesi di glucosio

Le due molecole di gliceraldeide 3-fosfato formatesi durante il ciclo di

Calvin vengono utilizzate per sintetizzare glucosio, in un processo

perfettamente inverso alla glicolisi, o per formare lipidi quali acidi grassi

oppure amminoacidi (aggiungendo un gruppo amminico nella struttura). I

prodotti finali della fotosintesi, quindi, svolgono un ruolo di

fondamentale importanza nei processi dell'anabolismo degli organismi

autotrofi].

La divisione cellulare

La divisione cellulare è un processo importantissimo per la vita, in quanto

esso permette ad una cellula genitore (in inglese parent cell) si divida in

due o più cellule figlie (in inglese daughter cells).

Esistono fondamentalmente due tipi di divisione cellulare:

• Divisione asessuata o per via vegetativa

o fissione binaria ovvero la forma di riproduzione usata dagli

organismi procarioti. Questo processo esita nella formazione

di due parti, ognuna delle quali ha il potenziale di crescere

fino alle dimensioni della cellula originale. Ed ognuna delle

parti è un organismo completo.

o divisione multipla

o gemmazione

o frammentazione

o rigenerazione

o clonazione

o poliembrionia

o sporulazione

• Divisione sessuata

o mitosi: ovvero divisione del nucleo genitore (in inglese

parent nucleo) in due nuclei figli (inglese daughter nucleus),

ognuno dei quali contiene un genoma identico al genoma

genitoriale.

o meiosi: ovvero la divisione del nucleo in cellule sessuali, le

quali riducono il numero diploide di cromosomi ad un

numero aploide.

Nelle cellule eucariote multicellulari la mitosi permette la crescita e la

riparazione cellulare.

Il ciclo cellulare, o ciclo di divisione cellulare (CDC), è la serie di eventi

che avvengono in una cellula eucariote tra una divisione cellulare e quella

successiva. La durata del ciclo cellulare varia col variare della specie, del

tipo di cellula e delle condizioni di crescita.

Cenni generali

Il ciclo cellulare è un processo geneticamente controllato, costituito da

una serie di eventi coordinati e dipendenti tra loro, dai quali dipende la

corretta proliferazione delle cellule eucariotiche. Gli eventi molecolari

che controllano il ciclo cellulare sono ordinati e direzionali: ogni

processo è la diretta conseguenza dell'evento precedente ed è la causa di

quello successivo.

Molti geni coinvolti nella progressione del ciclo cellulare sono stati

individuati agli inizi degli anni settanta grazie ad uno studio condotto da

Lee Hartwell e collaboratori sul lievito Saccharomyces cerevisiae, un

microrganismo eucariotico unicellulare che si presta molto bene alle

analisi genetiche; grazie a questo lavoro furono isolati e caratterizzati

mutanti che presentavano alterazioni nelle diverse fasi del ciclo cellulare

(Hartwell, 1974).

Nelle cellule eucariotiche la progressione attraverso le varie fasi del ciclo

cellulare risulta essere finemente regolata dalle chinasi ciclina-dipendenti

o CDK (Cyclin-dependent Kinases) una famiglia di protein chinasi la cui

attività dipende dalla loro associazione con delle subunità proteiche

regolative dette cicline; queste ultime sono proteine instabili, sintetizzate

e degradate periodicamente, che si accumulano in fasi del ciclo specifiche

e che non solo attivano le CDK, ma ne determinano anche la specificità

di substrato.

Leland H. Hartwell, R. Timothy Hunt e Paul M. Nurse hanno vinto il

Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2001 per la loro

scoperta del ruolo centrale di queste molecole nel ciclo cellulare. Le

scoperte sono state ottenute studiando il ciclo cellulare rispettivamente

nel lievito gemmante Saccharomyces cerevisiae, nelle uova del riccio di

mare Sphaerechinus granularis ed nel lievito a fissione

Schizosaccharomyces pombe

Negli eucarioti multicellulari la necessità di rispondere a una maggiore

quantità di stimoli esterni ed interni ha permesso l’evoluzione di

molteplici e diverse CDK: i vari complessi CDK - ciclina che si formano

durante il ciclo cellulare di tali organismi cambiano sia per quanto

riguarda la subunità regolatoria (ciclina) sia per quanto riguarda la

subunità catalitica (CDK). In ogni periodo del ciclo cellulare è presente

quindi un solo tipo di complesso CDK - ciclina cataliticamente attivo e, a

seconda del complesso formatosi, vengono fosforilate molecole bersaglio

differenti .

Oltre all’azione regolatoria della ciclina, il complesso CDK - ciclina è

anche soggetto all’azione di inibitori in grado di legarsi a tale complesso

e di renderne inattiva la subunità catalitica: questa classe di proteine

prende il nome di CKI (CDK Inhibitors). Inoltre, determinati siti della

subunità catalitica delle CDK risultano essere bersaglio di molte chinasi e

fosfatasi che, determinando lo stato di fosforilazione del complesso, ne

modulano più finemente la sua attività.

Fasi del ciclo cellulare

Il ciclo cellulare è un evento molto importante, per questo motivo è

regolato in tutte le sue dimensioni. Affinché l’informazione genetica

venga correttamente trasmessa dalla cellula madre alle cellule figlie, il

genoma deve essere prima duplicato durante il periodo di tempo

denominato fase S e in seguito i cromosomi devono venire segregati nelle

due cellule figlie durante la fase M. La fase M è a sua volta composta da

due processi, strettamente collegati: la mitosi, durante la quale i

cromosomi della cellula sono divisi tra le due cellule figlie e la

citodieresi, che comporta la divisione fisica del citoplasma della cellula.

Esiste una fase chiamata G0 (g zero) in cui la cellula ferma il suo ciclo

cellulare. Le cellule nervose e quelle muscolari (striate scheletriche)

rimangono in questo stadio per tutta la vita dell'organismo.

I punti di controllo

Il ciclo cellulare è un processo estremamente importante; errori in questo

processo potrebbero compromettere la vitalità cellulare. Per tale motivo,

nel ciclo cellulare, sono presenti dei punti di controllo o checkpoints,

localizzati a livello delle transizioni G1/S e G2/M. Infatti, tra le fasi S ed

M ci sono normalmente due periodi di tempo detti "gap": G1 fra la fine

della mitosi e l’inizio della fase S e G2 fra il termine della fase S e

l’inizio della fase M. In questi periodi di tempo si ha la maggior parte

della sintesi proteica con conseguente aumento della massa cellulare e la

realizzazione dei controlli che impediscono l’inizio della fase successiva

se non è stata completata quella precedente. Le fasi G1 e G2 sono quelle

che possono subire la maggior variabilità di durata e in alcuni casi

particolari possono anche essere eliminate, contrariamente alle fasi S e M

che sono essenziali e che rappresentano due eventi chiave del ciclo

cellulare. L'insieme delle fasi G1, S e G2 è collettivamente identificato

come interfase. Si dice che le cellule che hanno smesso di dividersi, in

modo temporaneo o irreversibile, sono in uno stato di quiescenza (fase

G0); le cellule che non vanno più incontro a divisione in modo

permanente, in seguito ad invecchiamento o a danni al DNA sono

chiamate senescenti. È da osservare che la mitosi produce sempre due

cellule geneticamente identiche alle cellula madre e che la maggior parte

degli organuli citoplasmatici si distribuisce a caso nelle cellule figlie.

Meccanismi molecolari comuni

Uno fra i cicli cellulari più semplice è quello del lievito Saccharomyces

cerevisiae, nel quale è presente una sola chinasi ciclina dipendente (CdK)

chiamata Cdc28 e due sole classi di cicline: G1 (Cln) e B (Clb). Nella

fase G1 del ciclo cellulare è attiva la trascrizione del gene che codifica

per una particolare ciclina di fase G1 della Cln3, che sembra agire da

sensore della massa cellulare. Infatti quando la cellula raggiunge la sua

massa critica, la concentrazione di questa ciclina aumenta, ed

associandosi con Cdc28 attiva un complesso programma trascrizionale

che comprende fra gli altri i geni codificanti per le cicline Cln1, Cln2,

Clb5 e Clb6. Ciò porta alla formazione dei complessi Cln1/2-Cdc28

responsabili della formazione della gemma (la cellula figlia) e della

duplicazione del corpo polare del fuso. Anche le cicline Clb5/6 si

associano alla CdK formando il complesso Clb5/6-Cdc28 la cui attività

chinasica è però bloccata attraversi il legame dell'inibitore Sic1. Quando

la concentrazione del complesso Cln1/2-Cdc28 ha raggiunto una soglia

critica, questo è in grado di fosforilare Sic1, indirizzandolo verso la

degradazione e permettendo l'attivazione dei complessi Clb5/6-Cdc28

sino a quel momento accumulati che a loro volta fosforilano e degradano

Sic1, mantenendone bassi i livelli. Questa attivazione è direttamente

responsabile dell'inizio della replicazione del DNA a livello delle origini

di replicazione, sulle quali è assemblato il complesso pre-replicativo (pre-

RC). In seguito all'utilizzo dell'origine di replicazione, il complesso

Clb5/6-Cdc28 converte il pre-RC nel post-RC, impedendo che quella

stessa origine sia riutilizzata prima della successiva fase S. In tarda fase S

si ha la trascrizione dei geni codificanti per le cicline Clb3 e Clb4 ed alla

loro associazione con Cdc28, necessaria per l'entrata in mitosi e

l'allungamento del fuso mitotico, che in Saccharomyces cerevisiae

avviene immediatamente al termine della fase S. In altri organismi,

invece, a questo punto si ha la fosforilazione della CdK da parte della

chinasi Wee1 (presente anche in lievito), la quale inattiva i complessi

Clb-Cdc28 che si vanno via via accumulando. Quando giunge il segnale

di "via libera" la fosfatasi Cdc25 interviene eliminando il gruppo fosfato

sul complesso Clb-Cdc28, il quale attivandosi porta alla fosforilazione ed

inattivazione di Swe1, in un feedback positivo che produce un rapido

aumento della forma attiva di Clb-Cdc28, portando all'entrata in mitosi. Il

complesso Clb-Cdc28 quindi attiva il complesso promuovente l'anafase

(APC) il quale, grazie all'associazione con Cdc20, va ad indurre la

degradazione di una serie di proteine fra cui la securina (Pds1). La

degradazione di quest'ultima porta alla liberazione della separasi (Esp1)

che permette il taglio delle coesine che mantengono legati i cromatidi

fratelli, permettendone la migrazione ai poli opposti della cellula.

L'associazione dell'APC con la proteina Cdh1 induce inoltre la

degradazione di tutte le cicline di tipo B, provocando il crollo dell'attività

di Cdc28, con la conseguente uscita dalla mitosi. La perdita di attività di

Cdc28, privo di cicline, porta anche al riassemblamento dei complessi

pre-RC sulle origini di replicazione, alla possibilità di accumulare

nuovamente l'inibitore Sic1, nonché alla trascrizione delle cicline di fase

G1 (Cln)... ed un altro ciclo può ricominciare

Il ciclo cellulare negli eucarioti superiori [modifica]

Gateway G1/S

In questo punto, interviene il complesso cicline-CDK, il cui compito è

quello di determinare la iperfosforilazione ed attivazione della proteina

p105RB codificata dal gene RB1 (la cui mutazione può causare un

tumore dell'età pediatrica, il retinoblastoma (RB)). Le cicline implicate in

questo evento sono soprattutto le classi D1, D2, D3, della ciclina-D, la

quale viene prodotta durante la fase G1, ma nella fase S non è più

possibile ritrovarla. La ciclina-D, si lega alla CDK4, il complesso

risultante, determina la iperfosforilazione del RB ed il rilascio del fattore

di trascrizione E2F. Successivamente alla sua attivazione, il fattore di

trascrizione E2F viene rilasciato e favorisce l'entrata della cellula nel

ciclo cellulare. Inoltre, alcuni fattori di crescita come il TGF-β e la p53,

favoriscono l'aumento delle concentrazioni di p16, la quale blocca le

CDK ed il ciclo cellulare. Altri fattori di crescita come il PDGF e l'FGF,

favoriscono l'attivazione delle CDK.

Meccanismo d'azione del retinoblastoma

Il gene RB1 è un oncosoppressore localizzato sul cromosoma 13. La

proteina del retinoblastoma p105RB da esso codificata, può essere o nella

forma ipofosforilata (inattiva) o iperfosforilata (attiva). La forma inattiva

è caratterizzata dal fatto che p105RB mantiene complessato nella sua

struttura il fattore di trascrizione E2F, pertanto, il ciclo cellulare è inibito.

Mentre, la forma attiva è caratterizzata dal fatto che non mantiene

complessato nella sua struttura il fattore di trascrizione E2F, pertanto, il

ciclo cellulare è favorito. Nelle forme mutate del RB, il fattore di

trascrizione E2F è sempre libero, pertanto il ciclo cellulare non è

controllato.

Il fattore di trascrizione E2F, precedentemente rilasciato dal RB,

favorisce la formazione del complesso ciclina-A-CDK2 che agisce sia a

livello della mitosi che della profase, nella quale il complesso ciclina-B-

CDK1 favorisce la degradazione dell'involucro nucleare e consente

l'avvio della mitosi. Inoltre questi ultimi due complessi, comportano la

separazione dei centromeri e l'addossamento dei cromosomi.

Successivamente, la cellula va incontro a divisione.

Controllo della proliferazione cellulare

Negli organismi pluricellulari le cellule, normalmente in uno stato

quiescente, decidono di entrare in un nuovo ciclo cellulare in risposta ad

eventi biochimici fra i quali ci sono ad esempio, la ricezione attraverso il

meccanismo di trasduzione del segnale di fattori di crescita sintetizzati da

altre cellule.

Mitosi

La mitosi (mitòsi) (dal greco mìtos, che significa filo, per l'aspetto

filiforme dei cromosomi durante la metafase) è la riproduzione per

divisione equazionale della cellula eucariote. Il termine viene spesso

utilizzato anche per la riproduzione delle cellule procariote, un processo

molto più semplice e più correttamente chiamato scissione binaria o

amitosi.

La mitosi, nell'uomo, riguarda le cellule somatiche dell'organismo (cioè

tutte le cellule tranne quelle che hanno funzione riproduttiva, i gametociti

primari, che invece vanno incontro alla meiosi) e le cellule germinali

ancora indifferenziate.

Il processo inizia con la condensazione della cromatina che avviene

grazie alla presenza di proteine istoniche che fungono da centri primari di

organizzazione del riavvolgimento del DNA, primo ordine di

spiralizzazione, e della topoisomerasi II che, oltre alla sua funzione

catalitica, agisce come centro di organizzazione del secondo ordine di

spiralizzazione; poi seguono un terzo ordine di cui non si conoscono le

proteine implicate e forse è conseguenza della tensione accumulata dalle

precedenti spiralizzazioni; poi questo grosso superfilamento viene prima

impaccato formando delle anse che poi si riuniscono formando il

cromosoma visibile. La durata media di questo meccanismo di

riproduzione cellulare varia in media, negli organismi superiori, tra le 15

e le 30 ore.

La mitosi nel ciclo cellulare

Il ciclo cellulare si suddivide in 3 parti: l'interfase, in cui la cellula si

prepara alla divisione; la mitosi, periodo di gran lunga più breve in cui la

cellula si divide che viene descritto nei particolari in questa pagina; il

periodo detto G0, più o meno definitivo, in cui la cellula si specializza

nella sua funzione e non è in grado o non è stimolata a riprodursi.

Il processo inizia con la condensazione della cromatina che avviene

grazie alla presenza di proteine istoniche che fungono da centri primari di

organizzazione del riavvolgimento del DNA, primo ordine di

spiralizzazione, e della topoisomerasi II che, oltre alla sua funzione

catalitica, agisce come centro di organizzazione del secondo ordine di

spiralizzazione; poi seguono un terzo ordine di cui non si conoscono le

proteine implicate e forse è conseguenza della tensione accumulata dalle

precedenti spiralizzazioni; poi questo grosso superfilamento viene prima

impaccato formando delle anse che poi si riuniscono formando il

cromosoma visibile. La durata media di questo meccanismo di

riproduzione cellulare varia in media, negli organismi superiori, tra le 15

e le 30 ore.

Eventi che precedono la mitosi

Prima della mitosi avviene l'interfase, momento molto importante nella

vita della cellula, infatti proprio in questa fase, che si suddivide in G1, S e

G2, gli organelli della cellula aumentano e nella fase S il DNA si duplica.

La differenza sostanziale tra la sottofase G1 e la sottofase G2, è che la

sottofase G1 è interposta da dopo la mitosi precedente, e prima della

sottofase S, mentre la sottofase G2 avviene dopo la sottofase S e prima

dell'inizio della successiva mitosi

Profase

(pro- = prima)

I cromosomi ( nel caso della specie umana), si condensano e sono visibili

anche al microscopio ottico sotto forma di doppi bastoncelli basofili,

(infatti "mitosi" dal greco mitos significa "filo") i cromatidi gemelli, che

sono agganciati tra loro in un punto centrale detto centromero grazie ad

un complesso sistema di interazioni tra il DNA e numerose proteine

chiamatofuso acromatico.

Viene sintetizzato un secondo centrosoma ed entrambi appaiono

circondati da una coltre di microtubuli(Fuso,formato da dimeri di sub-

unita proteiche tubulina alfa e beta dissassemblando il citoscheletro). Il

ciclo si potrebbe interrompere in questo punto se alla coltura si

aggiungesse la tossina falloidina che impedisce la formazione dei

filamenti di microtubuli, questo si fa quando si vogliono visualizzare al

microscopio i cromosomi per studiarne le caratteristiche. L'apparato del

Golgi, il reticolo endoplasmatico in questa fase si scompongono in

piccole vescicolette che si distribuiscono uniformemente in tutto il

citoplasma; anche la membrana nucleare, grazie alla sua struttura a

doppia membrana si scompone similmente agli organelli citati prima.

Metafase

(meta- = durante)

Inizia anzitutto con una fase iniziale, detta prometafase, in cui avviene

l'improvvisa dissoluzione della membrana nucleare, che si frammenta in

tante vescicolette. Tale processo viene innescato dalla fosforilazione,

attraverso delle chinasi, delle proteine dei filamenti intermedi (lamìne)

che costituiscono la làmina nucleare; in conseguenza della fosforilazione

i filamenti si dissociano negli elementi costitutivi.

I due centrosomi si portano ai poli opposti della cellula ed agiscono come

centri di organizzazione microtubulare, catalizzando l'allungamento ed

assicurando il corretto orientamento dei microtubuli che andranno a breve

a legarsi al centromero di uno dei due cromatidi gemelli. In questa fase si

possono verificare degli errori e due microtubuli si possono agganciare

allo stesso cromatidio dando poi una cellula figlia mutilata e non vitale.

Questa fase viene chiamata anche prometafase, che significa prima parte

della metafase.

Le 23 coppie di cromatidi vengono portate nella parte mediana della

cellula, formando la "piastra equatoriale" in cui un piano immaginario,

passante per i centromeri, divide le coppie di DNA. È questo il momento

più favorevole per lo studio dei cromosomi, che sono ora al massimo

della loro spiralizzazione e affiancati ordinatamente lungo la piastra

equatoriale posta al centro della cellula.

Anafase

(ana- = ulteriore)

I cromatidi,migrano verso i due centrosomi ai poli opposti della cellula.

Si riconoscono due momenti detti anafase A e anafase B. Nella prima si

assiste alla separazione dei due cromatidi fratelli ad opera di un enzima

detto separasi con relativa migrazione degli stessi grazie a proteine

motore (tipo dineine citoplasmatiche) presenti a livello del cinetocore.

Nell'anafase B si assiste al reciproco scorrimento dei microtubuli polari

del fuso mitotico con conseguente allontanamento dei due centrosomi

verso direzioni opposte. Pertanto si ottiene il ripristino, per ogni polo, del

numero originario di cromosomi.

Telofase

(telo- = finale)

I cromosomi si despiralizzano. Intorno ai due nuovi complessi

cromosomici ricompaiono le membrane nucleari e gli organelli si

ricompongono. La telofase si conclude con una sottofase: la citodieresi,

in cui si separa il citoplasma in modo equivalente in entrambe le cellule.

La cellula si divide al centro formandone due cellule figlie, esattamente

identiche alla cellula madre ma più piccole. Questo avviene grazie ad un

anello di actina creatosi al centro della cellula madre che contraendosi

stringe la cellula al centro, a questo punto proteine specializzate operano

la fusione e la separazione della membrana in punti specifici e le due

cellule si separano.

In alcune cellule la telofase non avviene e si accumulano all'interno di

uno stesso nucleo di una stessa cellula da due ad alcune decine di corredi

cromosomici. Questo tipo di cellule si chiamano plasmodi e l'esempio

principale sono i protozoi del genere Plasmodium come il P. malariae;

anche cellule umane vanno incontro a questo processo o patologicamente,

come le cellule tumorali, o fisiologicamente come nel megacariocita e

forse (in attesa di una conferma dalla ricerca) in una minoranza di cellule

cardiache ed epatiche, anche i macrofagi iperattivati in un granuloma

vanno incontro a questa "mitosi mutilata".

L’importanza della mitosi consiste nel fatto che tutte le cellule

discendenti da una cellula originaria ereditano lo stesso numero di

cromosomi e risultano geneticamente identiche.

Mitosi come modalità di accrescimento

dell’organismo

Negli organismi pluricellulari, durante lo sviluppo embrionale, tutti i

blastomeri (cioè le cellule che derivano per la progressiva suddivisione di

uno zigote, ovvero per segmentazione), ereditano gli stessi cromosomi.

La mitosi costituisce in questi organismi la modalità di crescita

dell’individuo; le cellule che ne derivano subiscono poi un processo di

differenziamento che ne permette la specializzazione in differenti tessuti.

Quando l’individuo ha completato la sua crescita, però, non tutte le sue

cellule perdono la capacità di compiere mitosi e di suddividersi; ciò

permette la possibilità per alcuni tessuti di rinnovarsi rapidamente e di

riparare eventuali lesioni. Si possono distinguere, in tal senso, tre tipi di

cellule: quelle cellule soggette al rinnovamento, o cellule staminali, che

mantengono la capacità mitotica (ad esempio, le cellule dei meristemi

vegetali e le cellule dello strato germinativo dell’epidermide umana);

cellule in espansione, che hanno subito un processo di differenziamento

ma possono riprendere in alcuni casi la capacità mitotica (ad esempio, le

cellule che formano il callo dei tessuti vegetali lesionati, oppure gli

epatociti umani); infine, le cellule statiche, che non possono riprodursi e,

pertanto, se vengono danneggiate non possono essere sostituite (ad

esempio, le cellule del mesofillo fogliare o i neuroni).

MEIOSI

Meiosi Processo caratteristico delle cellule eucarioti, durante il quale da

una cellula si formano quattro cellule figlie, aventi la metà del patrimonio

genetico di quella originaria. In altri termini, la meiosi determina la

ripartizione di ciascuna coppia di cromosomi omologhi (cromosomi su

cui si trovano geni corrispondenti) presenti nelle cellule diploidi. La

meiosi si differenzia da un altro processo di divisione cellulare, la mitosi,

nella quale si formano cellule figlie aventi lo stesso patrimonio genetico

della cellula madre.

La meiosi avviene in una determinata fase del ciclo vitale degli

organismi. Negli organismi aplonti, caratterizzati da un patrimonio

genetico aploide (con un’unica copia di ciascun gene), la meiosi è detta

zigotica, perché interviene nello zigote diploide che si forma dopo la

fusione di due cellule aploidi; in tal modo, la meiosi interviene a formare

cellule aploidi da cui si svilupperanno per mitosi nuovi individui, e quindi

permette di ripristinare il patrimonio genetico della specie.

Negli organismi diplonti, caratterizzati da un patrimonio genetico

diploide (con due copie di ciascun gene), la meiosi è detta gametica,

perché si verifica in particolari cellule dell’organismo deputate alla

formazione di cellule riproduttive aploidi (gameti); i gameti permettono

l’attuazione della riproduzione sessuata e, fondendosi al momento della

fecondazione, formano zigoti diploidi da cui si sviluppano i nuovi

individui. La meiosi in questo caso è compresa nel processo di

gametogenesi, che porta dalla formazione dei gameti aploidi alla loro

completa maturazione. In particolare, i gameti maschili sono detti

spermatozoi e quelli femminili cellule uovo.

Negli organismi aplo-diplonti, la mitosi è detta intermedia: come nei

diplonti, la meiosi avviene in una cellula particolare (cellula gonotoconte

o zeugide) degli organismi della fase diploide (sporofiti) e porta alla

formazione di spore aploidi (meiospore); in questo caso, però, le spore

aploidi si moltiplicano per mitosi e danno origine a individui aplonti

(gametofiti).

Anteprima della sezione

La meiosi avviene secondo due fasi principali, dette rispettivamente

prima e seconda divisione meiotica, o meiosi I e meiosi II.

L’evento fondamentale della prima divisione meiotica è la ripartizione

dei due cromosomi di ciascuna coppia di omologhi nelle due cellule figlie

derivanti dalla cellula originaria: dunque, si ottengono due cellule dotate

ciascuna di un patrimonio genetico aploide, ovvero di un solo cromosoma

per tipo.

La cromatina visibile nel nucleo cellulare, che rappresenta la massa del

DNA quando la cellula svolge le sue normali attività metaboliche, si

condensa, in modo che si formano strutture bastoncellari, i cromosomi.

Ciascun cromosoma appare a forma di X (stadio di tetrade), poiché è

formato da due cromatidi fratelli, uniti in un punto detto centromero. I

cromatidi derivano da un processo di duplicazione del DNA; pertanto,

ciascuno è geneticamente identico all’altro. In questa fase, possono

avvenire scambi di frammenti di cromosoma tra i cromatidi dei due

cromosomi omologhi, fenomeno che prende il nome di crossing-over e di

fondamentale importanza per il mantenimento della variabilità genetica

tra individui della stessa specie. La membrana che avvolge il nucleo si

disgrega. Si forma un fascio di microtubuli proteici (fuso), che si estende

da un polo all’altro della cellula e le cui due estremità fanno capo a due

coppie di organuli, detti centrioli.

Le tetradi omologhe si dispongono simmetricamente lungo una

immaginaria linea equatoriale, trasversale rispetto al fuso. In tal modo,

ciascuna è rivolta verso uno dei due poli della cellula.

Le fibre del fuso prendono contatto con i centromeri; ciascuna tetrade

migra verso un polo della cellula.

Ai due poli della cellula madre si formano due agglomerati di cromosomi

aploidi, in cui è presente un solo cromosoma per ciascun tipo. I

cromosomi sono ancora allo stadio di tetrade. Il citoplasma delle due

cellule si ripartisce e avviene la citodieresi, ossia la vera e propria

divisione della cellula originaria in due cellule figlie distinte (in alcuni

casi, questa ripartizione può essere incompleta). Le fibre del fuso si

disgregano; i cromosomi si despiralizzano.

Nella seconda divisione meiotica, in modo analogo alla mitosi, i

cromatidi di ciascuna tetrade si separano e si ripartiscono in due cellule

figlie. Spesso la seconda divisione meiotica avviene immediatamente

dopo la prima divisione. Le due cellule che ne derivano risultano

anch’esse aploidi.

La cromatina si condensa nuovamente, in modo che si possono osservare

i cromosomi, formati da due cromatidi uniti dal centromero. Si forma

nuovamente il fuso di microtubuli.

I cromosomi si dispongono su una linea equatoriale, trasversale rispetto

alle fibre del fuso, in modo che ciascun cromatidio sia rivolto verso uno

dei due poli della cellula. I centromeri prendono contatto con le fibre.

I cromatidi migrano ciascuno verso un polo della cellula, spostandosi

verso le fibre del fuso. In tal modo, ciascun cromatidio diviene un nuovo

cromosoma.

Ai poli della cellula, si formano due aggregati di cromosomi. Le fibre del

fuso si disgregano, i cromosomi cominciano a decondensarsi, e si forma

infine una membrana nucleare. Il citoplasma della cellula si ripartisce in

due, così da portare alla formazione di due cellule figlie aploidi.

Da un punto di vista genetico, la meiosi assume una grande importanza

perché rappresenta il modo con cui possono formarsi nuove combinazioni

di geni e, quindi, rende possibile la variabilità genetica tra individui di

una stessa specie. Infatti, già con il crossing-over, ovvero con lo scambio

di porzioni di DNA tra cromatidi di due cromosomi omologhi, al

momento della profase I, avviene una prima modificazione

dell’assortimento di geni rispetto a quello della cellula madre. Inoltre,

occorre considerare che la divisione dei due cromosomi omologhi (allo

stadio di tetrade) durante la fase di anafase I avviene in modo casuale: ciò

significa che non è prestabilito il polo della cellula verso cui migrerà

ciascun cromosoma. Dunque, a partire da una cellula madre, si formano

con la prima divisione meiotica due cellule aploidi che sono

geneticamente differenti tra loro e diverse da qualsiasi altra coppia di

cellule che derivano dalla stessa cellula madre. La diversità genetica

riguarda, precisamente, gli alleli presenti nel patrimonio di un individuo;

in altri termini, ciò che è suscettibile di variazioni non è il numero di

cromosomi o il numero di geni presenti (caratteristiche che devono

restare costanti perché tipiche della specie), ma il tipo di allele che, per

ciascun carattere, ciascuna cellula figlia può ereditare. La variabilità

genetica, assicurata anche dai meccanismi di mutazione spontanea,

assume un ruolo essenziale nei processi evolutivi, secondo il concetto di

selezione naturale.

Il metabolismo cellulare

Con tale termine si indicano i continui processi, sia chimici che fisici, cui

è soggetto il protoplasma e che danno luogo al continuo scambio di

energia e di sostanze tra l'ambiente esterno e la cellula stessa.

Si distingue:

a) anabolismo cellulare, in cui si comprendono tutti i processi per

mezzo dei quali la cellula si arricchisce di sostanze vitali per essa

e immagazzina complesse molecole chimiche fondamentali per la

sua evoluzione e per il suo trofismo;

b) catabolismo cellulare, con cui si intendono tutti i processi

distruttivi cui vanno incontro le molecole chimiche

precedentemente immagazzinate; distruzione che porta alla

formazione di energia con conseguente eliminazione dei rifiuti.

Tutti questi processi si possono raccogliere sotto un comun

denominatore: ricambio cellulare. L'assunzione di particelle solide

avviene per mezzo della fagocitosi. Tale proprietà venne studiata per la

prima volta sui leucociti di un mollusco da Haeckel, nel 1862, e consiste

nella emissione di pseudopodi (prolungamenti, dovuti ad estroflessioni

della membrana cellulare) o di membranelle ondulanti, per cui il

materiale da inglobare viene circoscritto da tali prolungamenti ed infine

inglobato entro il citoplasma.

In base alle proprietà fagocitanti, le cellule sono state distinte in

macrofagi e in microfagi: i primi sono in grado di assimilare cellule

batteriche al completo, i microfagi, invece, solo parti corpuscolate o

residui di cellule. Entrambi i tipi di cellule fagocitanti sono

abbondantemente rappresentati nel corpo umano. Le funzioni a cui tali

elementi sono deputati sono: difesa contro i germi e i microorganismi

patogeni in genere, eliminazione di pulviscolo atmosferico che attraverso

la respirazione perviene negli alveoli polmonari, eliminazione di detriti

da organi in via di decomposizione (come avviene per esempio nella

metamorfosi di alcuni animali) e infine l'assorbimento dei processi

infiammatori. Il meccanismo principale per mezzo del quale la cellula si

nutre avviene attraverso l'assorbimento di particelle liquide. A tale

riguardo, la membrana cellulare svolge una funzione fondamentale. Essa

si comporta infatti, come una membrana semipermeabile, come un filtro,

permettendo il passaggio di determinate sostanze e non di altre, anche se

con notevole affinità chimica. Si è notato inoltre che la disponibilità ad

assorbire della membrana varia a seconda dello stato funzionale in cui

essa si trova: per esempio, se la cellula, in un determinato stato, non avrà

bisogno di lipidi, pur potendoli assorbire, non li introdurrà, in quanto il

suo fabbisogno è per il momento espletato.

Ereditarietà dei caratteri

Le caratteristiche morfologiche, fisiologiche o psichiche di ogni

organismo vivente sono determinate da due fattori: il patrimonio

genetico ricevuto in eredità dai genitori e l’influenza ambientale. Il

primo determina i cosiddetti “caratteri ereditari” ossia da un lato

l’insieme delle caratteristiche generali che definiscono una determinata

specie e dall’altro i numerosi caratteri che differenziano tra loro

individui della stessa specie come ad esempio il colore degli occhi, il

gruppo sanguigno ecc. nell’uomo

La trasmissione dei caratteri ereditari obbedisce alle leggi formulate da

G. Mendel verso la fine del XIX secolo. La conclusione principale a cui

giunse Mendel è che il patrimonio genetico di ogni essere vivente, ossia

il suo “genotipo”, è composto dalla successione di coppie di elementi,

detti “geni”, che l’individuo riceve dai genitori al momento della

fecondazione tramite le cellule seminali. Ogni coppia di geni stabilisce

funzioni e proprietà di un dato organo (ad esempio il colore degli occhi)

mentre ogni gene della coppia è responsabile della manifestazione di un

carattere specifico (ad esempio il colore azzurro degli occhi). L’insieme

dei caratteri mostrati dall’individuo, ossia il suo “fenotipo”, è il risultato

della “competizione” che si stabilisce in ogni coppia tra i due geni

preposti alla medesima funzione. Quando una coppia contiene due geni

identici l’individuo manifesta il carattere trasmesso da entrambi i geni.

Se invece sono presenti geni contrapposti, l’individuo manifesta solo il

carattere del cosiddetto “gene dominate”. L’azione del secondo gene,

detto recessivo, risulta dunque mascherata.

Un carattere recessivo si manifesta quindi solo negli individui in

possesso di un genotipo recessivo puro. Questo spiega perché un

carattere recessivo si manifesta in genere con minor frequenza rispetto

al corrispondente carattere dominate. D’altra parte, due genitori del

fenotipo dominante possono generare figli che mostrano viceversa il

carattere recessivo. Ad esempio incrociando due piante di pisello giallo

si possono ottenere piante di pisello verde, un colore recessivo rispetto

al primo. Questo accade quando entrambi i genitori possiedono un

genotipo misto, avente cioè sia il gene dominante che quello recessivo.

Al momento della fecondazione, ogni genitore trasmette al figlio un

solo gene, in questo caso dominante o recessivo. Ogni gene è trasmesso

con uguale probabilità per cui se il figlio riceve dai entrambi i genitori il

gene recessivo, cosa che accade con una probabilità di uno su quattro,

mostrerà il carattere che nella generazione dei genitori risulta invisibile.

Infine l’osservazione, sempre dovuta a Mendel, che i vari caratteri

ereditari non sono in genere correlati tra loro, ad esempio il carattere

della buccia liscia o rugosa si trasmette in modo indipendente dal colore

di essa, completa il quadro scientifico sull’ereditarietà dei caratteri.

E’ opportuno tuttavia osservare che il quadro precedente è influenzato

da vari fattori che ostacolano in genere la verifica diretta delle leggi di

Mendel. Tra tutti ricordiamo il fenomeno della dominanza incompleta o

lo presenza di caratteri determinati da un numero di geni maggiore di

due. Questo si verifica ad esempio nell gruppo sanguigno dell’uomo

che può presentare i fenotipi A, B, AB o 0 e che viene determinato da

tre geni distinti caratterizzati da definiti rapporti di dominanza o

condominanza (due geni che contribuiscono in modo paritario al

fenotipo).

TESSUTO

Esempio di tessuto animale: tessuto nervoso.

In biologia si definisce tessuto un insieme di cellule simili per struttura e

funzione. Costituisce un livello superiore di organizzazione cellulare,

deputato a svolgere un ruolo determinante all'interno di un organismo, e

presente solo negli Animali e nelle Piante (in forma solo abbozzata nei

Poriferi e nelle Briofite). Negli animali superiori, spesso più tessuti

diversi si associano tra di loro a formare strutture ulteriormente

organizzate, gli organi. Un tessuto, nell'accezione corrente è un solido,

ma può essere ugualmente un fluido. Il sangue e la linfa sono anch'essi,

dal punto di vista anatomico, tessuti.

La scienza che studia i tessuti è chiamata istologia, ed una importante

branca della medicina e della biologia. Lo studio dei tessuti a scopo

prettamente diagnostico, invece, prende il nome di Anatomia patologica.

Lo strumento classicamente più utilizzato per studiare i tessuti è il

microscopio ottico; in tempi recenti, tuttavia, si è andato affermando

sempre di più l'uso del microscopio elettronico, dell'immunochimica

(l'utilizzo di anticorpi appositamente trattati che si legano ai diversi

componenti cellulari, permettendone l'identificazione), e di tecniche di

biologia molecolare e di genetica.

Tessuti animali

Esistono quattro tipi fondamentali di tessuti presenti in tutti gli animali,

dall'uomo ai più semplici invertebrati. Questi tessuti sono a loro volta

suddivisi in sotto-tipi, più specializzati, e, negli animali superiori, vanno a

costituire i diversi organi. I quattro tessuti fondamentali sono:

• il tessuto epiteliale, o epitelio, costituito da cellule strettamente

ammassate e connesse tra loro, che costituisce il rivestimento di

tutte le superfici esterne ed interne del corpo, dei vasi sanguigni, e

che forma le ghiandole.

• il tessuto connettivo, costituito da cellule di forma varia,

caratterizzate dalla presenza di una abbondante sostanza

intercellulare (o matrice) tra di esse. Come suggerisce il nome, la

funzione primaria di questo tessuto è quella di connettere, sia

strutturalmente che funzionalmente, gli altri tessuti e gli organi.

Comunque, il tessuto connettivo si differenzia in numerosi sotto-

tipi, che esplicano a loro volta funzioni molto varie. Alcuni esempi

di questi sotto-tipi, oltre al tessuto connettivo propriamente detto,

sono: il tessuto cartilagineo, il tessuto osseo, il tessuto adiposo ed il

sangue.

• il tessuto muscolare, costituito da cellule conteneti numerosi

filamenti contrattili, capaci di scorrere fisicamente gli uni sugli altri

e di cambiare la forma delle cellule stesse. Il tessuto muscolare

permette il movimento dell'organismo, e la contrazione

involontaria di diversi organi o apparati. Si divide in tre sotto-tipi:

il muscolo striato (o scheletrico), il muscolo liscio ed il muscolo

cardiaco.

• il tessuto nervoso, costituito sia da cellule ricche di prolungamenti

e facilmente eccitabili (i neuroni), capaci di ricevere e ritrasmettere

gli impulsi nervosi, sia da cellule di più varia forma e funzione, le

cellule della glia (o nevroglia). Insieme, queste cellule

costituiscono il cervello ed il sistema nervoso.

Tessuti vegetali

I tessuti vegetali si distinguono in tre tipi fondamentali:

• il tessuto tegumentale, che ha funzioni di rivestimento e di

protezione.

• il tessuto parenchimatico, che è il più diffuso e svolge sia funzioni

di sostegno che di nutrimento per l'intera pianta.

• il tessuto vascolare, che permette il trasporto a breve e a lunga

distanza delle soluzioni e dei nutrienti all'interno della pianta, ed è

costituito da due sottotipi: lo xilema ed il floema.

Organo

L'organo è l'unità definibile morfologicamente, costituita

dall'associazione di tessuti che svolgono funzioni tra loro integrate.

L'organo fa parte, ed opera, in un apparato o sistema, che riunisce organi

differenti e che permette lo svolgersi in maniera coordinata del complesso

di funzioni di più organi.

Ad una relativa semplicità organizzativa presentata dagli organi presenti

nelle Piante, fa riscontro una maggiore complessità con differenziazione

di numerosi tipi di organi nel regno animale, l'organizzazione di tessuti in

organi si realizza negli organismi pluricellulari a partire dal phylum dei

Platelminti e raggiunge i maggiori livelli di complessità nei vertebrati

superiori.

L'organizzazione di tessuti in organi inizia nel periodo di sviluppo

embrionale al termine della gastrulazione, e continua attraverso il

processo di organogenesi che consiste nell'organizzazione spaziale, nella

moltiplicazione e nella differenziazione di cellule derivanti dai tre diversi

foglietti embrionali.

Il processo di organogenesi assume caratteri specifici per ciascun organo

ed è caratterizzato dall'integrazione fra differenziamento cellulare ed

interazioni fra popolazioni cellulari. Anomalie di tale processo si possono

tradurre in malformazioni con diversa rilevanza funzionale a seconda

dell'organo coinvolto, sia che tali anomalie interessino le popolazioni di

cellule indifferenziate che in via di differenziazione.

Dal punto di vista strutturale, gli organi si distinguono in organi cavi e

organi solidi. I primi sono costituiti da pareti che racchiudono un lume,

idoneo ad accogliere un contenuto, mentre i secondi mancano di una

cavità principale, con i tessuti organizzati in strutture compatte.

LE LEGGI DI KEPLERO

PRIMA LEGGE

L'orbita descritta da un pianeta è un ellisse, di cui il Sole occupa uno dei

due fuochi.

SECONDA LEGGE

Il raggio vettore che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta

descrive aree uguali in tempi uguali.

TERZA LEGGE

I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi

dei semiassi maggiori delle loro orbite.