Schiuma - What to do with poetry

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Lo spazio urbano è lo sfondo della nostra vita: rappresentando lo spazio dell’esistenza, la città si sedimenta nella mente con passo leggero: impone una lettura immediata e scontata delle strade e degli scenari che si conoscono, ma raramente permette di registrarne la valenza e il significato. Questo è ancora più evidente nella città che ha perso il proprio ruolo di tessuto sociale su cui elaborare le trame delle nostre vite, ed è diventata il luogo di promozione del consumo attraverso la ridondanza di estetiche prive di significati. La città è diventata ormai un dato per scontato, quasi residuale della realtà e che ci raggiunge come un rumore di fondo per palesarsi solo quando una frattura offre uno scorcio sulla sua consistenza. E la consistenza della città è quella di un laboratorio da cui nascono nuove pratiche e nuovi linguaggi. La poesia visiva nasce proprio come una di queste pratiche: trovare una poesia scritta su una saracinesca o attaccata a un muro colpisce la nostra attenzione perché inaspettata. Ci impone un nuovo percorso cognitivo rispetto al contesto in cui ci troviamo, propone nuove possibilità di utilizzo di quello spazio, ci sottrae dalla nostra routine quotidiana. Niente di romantico o intellettuale allora, le pratiche di assalto poetico o di poesia visiva sono interventi socio-cognitivi sugli strumenti comunicativi tipici della pubblicità e della società dei consumi, che ne invertono i fattori ri-appropriandosi delle estetiche per trasformarle in poetiche . Si tratta in buona misura di veri e propri interventi “terroristici”, sono attacchi violenti diretti alle strutture sociali e linguistiche. Gli assalti poetici lavorano sulla riconquista della parola e delle immagini, cercano di rubare ciò che ci è stato rubato dalla comunicazione massmediatica: i rapporti con le cose e con le parole. Si tratta di una vera e propria scuola di guerrilla sui significati. Schiuma vuole essere un laboratorio per conoscere pratiche e linguaggi che alimentino la curiosità. La percezione è partecipazione. Enjoy WHAT TO DO WITH POETRY

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Il numero zero della Fanzine Schiuma. Che cos’è Schiuma? Schiuma è un progetto che vuole lavorare, esplorare e stimolare la curiosità e l’attenzione. È un gruppo di lavoro aperto a tutti. Il punto centrale che vogliamo approfondire è la percezione, o meglio, far raccontare a chi le fa le pratiche che ti permettono di sviluppare un occhio diverso per la visione del mondo.

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Lo spazio urbano è lo sfondo della nostra vita: rappresentando lo spazio dell’esistenza, la città si sedimenta nella mente con passo

leggero: impone una lettura immediata e scontata delle strade e degli scenari che si conoscono, ma raramente permette di registrarne la valenza e il significato.

Questo è ancora più evidente nella città che ha perso il proprio ruolo di tessuto sociale su cui elaborare le trame delle nostre vite, ed è diventata il luogo di promozione

del consumo attraverso la ridondanza di estetiche prive di significati.

La città è diventata ormai un dato per scontato, quasi residuale della realtà e che ci raggiunge come un rumore di fondo per palesarsi solo quando

una frattura offre uno scorcio sulla sua consistenza. E la consistenza della città è quella di un laboratorio da cui nascono

nuove pratiche e nuovi linguaggi.

La poesia visiva nasce proprio come una di queste pratiche: trovare una poesia scritta su una saracinesca o attaccata a un muro colpisce

la nostra attenzione perché inaspettata.

Ci impone un nuovo percorso cognitivo rispetto al contesto in cui ci troviamo, propone nuove possibilità di utilizzo di quello spazio,

ci sottrae dalla nostra routine quotidiana.Niente di romantico o intellettuale allora, le pratiche di assalto poetico

o di poesia visiva sono interventi socio-cognitivi sugli strumenti comunicativi tipici della pubblicità

e della società dei consumi, che ne invertono i fattori ri-appropriandosi delle estetiche per trasformarle in poetiche.

Si tratta in buona misura di veri e propri interventi “terroristici”, sono attacchi violenti diretti alle strutture sociali e linguistiche.

Gli assalti poetici lavorano sulla riconquista della parola e delle immagini, cercano di rubare ciò che ci è stato rubato

dalla comunicazione massmediatica: i rapporti con le cose e con le parole.

Si tratta di una vera e propria scuola di guerrilla sui significati.Schiuma vuole essere un laboratorio per conoscere pratiche

e linguaggi che alimentino la curiosità.La percezione è partecipazione.

Enjoy

WHAT TO DOWITH POETRY

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Non sono mai stato un grande amante della poesia, sino a che non ho incontrato questa:“attraverso tremila poesie/guardo/ due cachi” un semplice haiku, che con sei parole sintetizza – ante litteram – molte delle ricerche degli ultimi vent’anni in ambito cognitivo.

Perché quello che esprime questa poesia e la ricchezza che la conoscenza – poetica – inserisce nel nostro sguardo. Ed è così che la poesia può modificare la nostra percezione quotidiana e proporsi come gesto radicale che si riappropria della propria realtà poietica in grado di utilizzare il gesto estetico solo come veicolo e non come fine.

La poesia, prima che essere una creazione di versi, è infatti produzione di significato, una produzione di eterno. L’inserimento nel mondo del divenire di un segno di permanenza, di immutabilità. Un richiamo in grado di provocare le coscienze, e modificarne lo sguardo che rivolgono al mondo. Per questo il fare poesia è sempre un gesto sociale e cognitvo assieme: un gesto che partendo dall’individuo inserisce nel mondo un segno in grado di tornare alle coscienze.

La poesia non è altro che un giocare con le parole, un gioco che attraverso il linguaggio insegna a lavorare con il mondo e indica le varie possibilità che questo ci offre.

La poesia è allora una pratica sociale che crea significati partendo dal contesto in cui si trova, e che nell’epoca attuale non può che trovare il proprio ambiente naturale nella città.

Lo spazio urbano, oggi, è lo sfondo della nostra vita: rappresentando lo spazio dell’esistenza, la città si sedimenta nella mente con passo leggero: impone una lettura immediata e scontata delle strade e degli scenari che si conoscono, ma raramente permette di registrarne la valenza e il significato… Questo è ancora più evidente nella città che ha perso il proprio ruolo di tessuto sociale su cui elaborare le trame delle nostre vite, ed è diventata il luogo di promozione del consumo attraverso la ridondanza di estetiche prive di significati.

La città è diventata ormai un dato per scontato, quasi residuale della realtà, e ci raggiunge come un rumore di fondo per palesarsi solo quando una frattura offre uno scorcio sulla sua consistenza.

E la consistenza della città è quella di un laboratorio da cui nascono nuove pratiche e nuovi linguaggi. La poesia visiva nasce proprio come una di queste pratiche: trovare una poesia scritta su una saracinesca o attaccata a un muro colpisce la nostra attenzione perché inaspettata. Ci impone un nuovo percorso cognitivo rispetto al contesto in cui ci troviamo, propone nuove possibilità di utilizzo di quello spazio, ci sottrae dalla nostra routine quotidiana.

Niente di romantico o intellettuale allora, le pratiche di assalto poetico o di poesia visiva sono interventi socio-cognitivi sugli strumenti comunicativi tipici della pubblicità e della società dei consumi, che ne invertono i fattori ri-appropriandosi delle estetiche per trasformarle in poetiche.

Sono pratiche che giocano con la semantica della città e dei cittadini, si appropriano dei significanti per renderli significati, e proporre ai personaggi di passaggio un momento di epifania sul conteso. Provocano i passanti a sospendere per un attimo il processo di decodifica standard della realtà circostante per introdurre un attività di interpretazione cosciente.

Per questo della poesia si può continuare a fare quello che si è sempre fatto: ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

WH

AT

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DO

WIT

H P

OE

TR

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1. Rileggila sempre il giorno dopo

2. Fanne delle copie

3. Compra uno zaino più grande

4. Porta le poesie sempre in giro… non si sa mai

5. Leggile a parenti, amici e affini

6. Leggile a persone che non conosci, ma a cui, a pelle, pensi potrebbero piacere e affini

7. Trova delle serate di lettura

8. Leggi, parla, recita, commenta

9. Ubriacati

10. Leggile a una donna sperando che ci stia

11. Perditi con la suddetta in insostenibili discorsi colti

12. Torna a casa (da solo)

13. Ubriacati

14. Riordina le tue poesie in una raccolta

15. Manda le suddette a riviste, siti, concorsi ed editori

16. Fatti un sito

17. Pubblica un libro

18. Organizza una serata di presentazione

19. Distribuisci agli amici le copie rimaste

20. Ubriacati e rinizia a scrivere.

20 COSE DA FARECON LA POESIA

SEI CONTENTO?

Se hai risposto sì: puoi anche smettere di scrivere

Se hai risposto no: puoi anche continuare a ubriacarti

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Piano piano, concentro l’attenzione su un passo, poi su un altro. È facile.

Immagino di camminare su un filo invisibile. Quel filo, che si dipana sulle strade di tutti i giorni, a cui scordo di prestare attenzione.

È questione di equilibrio. Distribuire equamente il peso del corpo. La questione è trovare il giusto ritmo, la respirazione naturale, notturna, onirica.

Mi fermo. Riscopro la lucentezza dello sguardo, la sua mobilità e all’occorrenza le sue incredibili capacità di stasi. Posso fissarlo su qualcosa, qualunque cosa. O fissarlo e basta, fermando così il mondo per qualche istante o addirittura per ore intere. Analizzando, scomponendo e ricomponendone i frammenti, i dettagli, gli indizi.

Indizi di che? Ma di storie, è ovvio.

Le storie sono un po’ dappertutto, dovunque le voglia trovare, bastano pochi elementi e il resto viene sempre da sé. Così vado a zonzo per le strade col naso per aria, sincronizzando il mio passo al ritmo necessario all’immaginazione: alle sue curiosità, divagazioni, ipotesi, ricordi, visioni apocalittiche, flash fantapolitici…

Quando è il momento respiro a fondo, lascio che lo sguardo si soffermi liberamente, attendo con pazienza gli indizi fondanti e il meccanismo organico - onirico scatta e lentamente avvia la sua molteplice opera di collegamento iniziando a delineare la trama del loro universo. Alcuni dicono che le storie siano arrivate nei mondi, milioni di anni fa, non già con l’avvento del linguaggio, ma con la trasformazione della vista in sguardo.

Alcune tornano sempre simili, come se le avessi scritte nei connettori retinali, o sull’interno delle palpebre, altre invece mi sorprendono come folate di vento, o risa improvvise.

Quello che è certo è che nessuna storia esiste fino a che non viene inventata. E questo fa di tutti noi, i loro guardiani e responsabili.

È oramai di dominio pubblico che esse siano in realtà interstizi tra mondi possibili, invisibili terre di mezzo tra una realtà e un'altra. È altrettanto noto che ad ognuna di esse corrisponda una porta, un supporto fisico che funga da tramite, che viene con semplicità identificato nell’oggetto libro.

Si ignora tuttavia che i libri, limitandosi ad essere riproduzioni di queste porte, abbiano un potere limitato, rispetto ai portali che si trovano nella realtà, durante la nostra esistenza. Questi sono l’origine prima di tutte le storie esistenti, comprese ovviamente, quelle trascritte nei libri.

Le porte esistono sotto forma di piccoli oggetti, brevi istanti e rumori impercettibili. Questi possono collocarsi in luoghi affollati o deserti, remoti o vicini. Poco importa. Non ha importanza dove si trovino, o se le porte esistano davvero, poiché queste non esistono nei luoghi, ma nei nostri modi di percorrerli.

Troveremo una porta tutte le volte che saliremo in equilibrio sul filo della nostra esistenza, percorreremo allora ogni segmento di esistenza fino in fondo, non per arrivare ma per percorrere… per esistere.

Solo così una di queste porte potrà aprirsi permettendoci, allora, di sbirciare su altri mondi, fino a che un giorno non si troverà l’ultima porta, capace di risucchiarci in una realtà senza ritorno come un gorgo irresistibile dalla voce di sirena.

Si finisce col credere troppo a una storia tanto realistica quale è quella del nostro mondo, dove non hai parvenza o traccia di opera di fantasia. È allora che una vera illusione ti conquista.

E così sono arrivato qui, senza possibilità di ritorno.

IL

FIL

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PO

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Act of redaction è un’azione molto semplice che facciamo quotidianamente: l’omissione.

Omettere qualcosa non è come cancellarla, che consiste nell’eliminazione sia del significato sia della forma, o dire una bugia, che consiste nel sostituire una forma e un significato con qualcos’altro.

La redaction è un’operazione più subdola: elimina il significato, ma attraverso il non detto lascia perfettamente visibile la forma e le dimensioni di ciò che non ci è dato sapere.

L’Act of redaction non ha solamente un’applicazione politica, l’attività di secretazione è presente anche nelle nostre conversazioni di tutti i giorni ed è la base per la creazione del fascino del mistero.

Pensate a un ragazzo/a bellissimo/a con cui avete una relazione. Gli/le chiedete un’appuntamento una sera… fatto? Che cosa succede se vi risponde con un generico: “Non posso, ho un impegno.”?

Nella vostra testa si figura la forma di ciò che non vi viene detto, ma non il significato. Una risposta di questo genere vi tiene legati e soprattutto vi lancia alla ricerca di un significato che sarà solamente vostro e mai reale.

Come dice Michael G. Powell nel numero numero di Giugno 2010 di The Believer:

While words are intended to deliver truth to us, what happens when words get redacted?

Not just deleted, but blacked out, crossed out, or scratched out? The word is gone, but the form remains.

There is big difference between deletion and redaction. With deletion, a reader never knows that they couldn’t know what they never read, saw, or heard. But with redaction, they are fully aware that they can’t know something that actually does exist.

The black marks are mocking us, telling us that we do not have the right or the security clearance to deal with this information.

[…]

Given the right context, there may be no better way to evoke the curiosity of an average reader than to black out some piece of information they are searching for or, at least, would like to know.

[…]

After all is a mystery. What’s going on back there? What does it say? What is the truth? The mind race. Alternate explanations come to the surface. Paranoia grips our interpretations.

Alcuni spunti di riflessione sull’act of redaction:

Broodthaers

Mesches - The FBI files

Jenny Holzer - Truth before power

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F R

ED

aC

TIO

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Pratiche di percezione quotidiana.

Guardare il mondo è una pratica e, come tale è soggetta alle mille interferenze dell’esperire quotidiano.

Molto spesso ripetiamo e riprendiamo comportamenti, discorsi o azioni in modo passivo, senza conoscerne l’origine o il significato, così che la percezione si adagia sul nostro vivere quotidiano e sulla ridondanza dei messaggi a cui è soggetta.

Ma ogni cosa che facciamo, conosciamo, amiamo modifica il nostro sguardo, e con esso il mondo in cui viviamo.

La percezione è allora lo strumento attraverso cui diamo consistenza al nostro mondo e che dona significato alla nostra quotidianità.

Per modificarla e entrare in una realtà diversa da quella accettata passivamente, dobbiamo destrutturare il modo in cui riconosciamo i segni e attribuiamo i significati, per riproporci attivi nel processo di percezione.

Entrare in una stanza nuova.

La percezione è una consuetudine stabilita dalla nostra pratica quotidiana che porta a cogliere significati stabiliti; reiterare un azione comporta il sedimentarsi a livello celebrale dello script comportamentale, fissando gli estremi di vigilanza cosciente sugli stimoli necessari, di modo da ottimizzare la resa, diminuendo lo sforzo cognitivo.

In sostanza la maggior parte degli stimoli a cui siamo soggetti quotidianamente sono sacrificati e solo pochi di questi vengono rielaborati per dare luogo ad una percezione, ad una sintesi dotata di significato.

In questo modo la nostra vita quotidiana è strutturata su azioni e percezioni “minime”, necessarie e sufficienti per il giusto adattamento al contesto, ma prive di una reale valenza. Intervenire sulle pratiche con cui agiamo nel mondo permette allora di destrutturare il modo in cui riconosciamo i segni, inserendo un salto cognitivo rispetto al nostro atteggiamento standardizzato, ponendo nuova attenzione sugli stimoli a cui siamo soggetti, così da proporre la possibilità per nuove percezioni e svelare le nostre abitudini quotidiane.

Intervenire sulle pratiche significa intervenire sulla struttura del nostro comportamento nei confronti della quotidianità; intervenire su quelle azioni sclerotizzate che celano il senso di gran parte della realtà in cui viviamo. L’obiettivo di Schiuma è radunare e raccontare le pratiche “diverse” capaci di proporre percezioni diverse rispetto a quelle che tipicamente si possiede.

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Lo spazio tra la lavatrice e il muro

Arrivati a questo punto, solitamente l’interlocutore chiede due cose: “e quindi, che cosa volete da me?” e poi “perché?”.

Noi non abbiamo una risposta per nessuna delle due domande, anche perché quello che si vuole proporre non è una risposta, ma una possibilità per costruire delle risposte diverse da quelle richieste. Si vuole proporre un gesto di variazione, indipendente dagli esiti possibili, perché solo un gesto di questo genere può aprire lo spazio per un nuovo significato, un nuovo contenuto, un nuovo sguardo.

Quello che abbiamo sono dei motivi duri, anzi tostissimi che abbiamo trovato nello spazio tra la lavatrice e il muro. E se anche voi ne avete trovato almeno uno, allora potete continuare nella lettura.

La solitudine – il principio – il bagatto

Chi sei? disse il Bruco.Non era un modo molto incoraggiante di cominciare una conversazione. Alice rispose molto timidamente: Io… io… non saprei, signore, sul momento… per lo meno, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma credo di essere cambiata parecchie volte, da allora…

Se dobbiamo trovare una parola per definire i vari motivi trovati tra la lavatrice e il muro questa è di sicuro Solitudine: quella solitudine che ci ha portato a trovare maggior interesse in una lavatrice in un angolo buio della casa piuttosto, che nell’enorme televisore posto al centro dell’abitazione; la solitudine che si prova in una città ricoperta da pubblicità, o nel non riuscire più a leggere giornali o a guardare telegiornali.

In sostanza è la solitudine di chi non possiede una storia per identificare il proprio posto nel mondo e nella società, una solitudine che ci pone nella condizione di immigrati di seconda generazione a metà strada tra una terra lontana

ormai abbandonata e una terra presente che ancora non ci riconosce.

Perfettamente integrati, con il lavoro giusto, gli studi alle spalle, la voglia di fare: esattamente come ci hanno voluto.

Completamente emarginati poiché consegnati ad una realtà che ancora non racconta la nostra storia, in cui non sono ammesse le narrazioni che veicolano le percezioni, i concetti, e i valori in cui riconosciamo un nostro mondo.

La narrazione, il racconto, le storie sono molto preziose poiché rappresentano il luogo in cui dare consistenza alla propria percezione, in cui l’individuo si riconosce come parte attiva nella costituzione del mondo: sono l’ordito su cui, attraverso libere esercitazioni e variazioni sul tema, è possibile costruire la trama della propria individualità. L’assenza di queste narrazioni ci pone nella stessa situazione di alice nel mondo delle meraviglie: incapaci di definirci con un “io sono X” ma anche immersi in un universo mescolato di senso e non senso dalla grande forza poetica, e che si pone come humus di crescita per una nuova prospettiva, un nuovo sguardo, delle nuove pratiche: siamo allora il bagatto, il punto in cui le possibilità infinite si condensano in un punto definito, a cui manca solo di scegliere il modo di agire per intraprendere il proprio percorso.

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Schiuma è un progetto che vuole lavorare, esplorare e stimolare la curiosità e l’attenzione.

È un gruppo di lavoro aperto a tutti.

Il punto centrale che vogliamo approfondire è la percezione, o meglio, far raccontare a chi le fa le pratiche che ti permettono di sviluppare un occhio diverso per la visione del mondo.

Il laboratorio/percorso è costituito da diversi strumenti:

RACCONTO ORALESono i racconti faccia a faccia delle pratiche di percezione. Ogni terzo giovedì del mese ci incontriamo al Cicco Simonetta alle 21:30. Gli incontri sono un momento di costruzione condivisa, avranno un’impostazione dialettica dove tutti sono invitati a contribuire e raccontare la loro percezione sul tema.

RACCONTO SCRITTOCondivisione dei racconti e degli spunti. Vi chiediamo, se volete, di partecipare con scritti, foto, video e quant’altro alla redazione del blog (schiuma.tumblr.com e Facebook) e della fanzine che ci autoprodurremo.

DIALOGOL’interpretazione personale. Se non avete voglia di prendere parte attivamente alle forme descritte sopra, ma avete idee, spunti e osservazioni che volete condividere in forma privata scriveteci a schiuma.redazione [at] gmail.com