scelta022015 - SO.CREM Genova · cantato da Luigi Pulci. Sposo di Clarice Orsini, a ventun anni...
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Editoriale
Il 20 settembre di questo, per noi infausto 2015, ha
segnato la scomparsa del Geom. Giuseppe Noce, già Vice
Presidente della So.Crem e prezioso collaboratore tecnico
dell’Ente. Ogni miglioria e innovazione nel Tempio reca
infatti la sua fi rma.
Il 28 settembre, nella Sala del Commiato, il Cav.
Mauro Peirano, attuale Vice Presidente della So.Crem, ha
pronunciato parole di sentito cordoglio. Gli ha fatto seguito il
Comm. Avv. Edoardo Vitale, Presidente della So.Crem, che,
notevolmente commosso, ha detto addio all’amico fraterno
ed ha annunciato che il Tempio Crematorio sarà intitolato al
nome dell’illustre scomparso.
La grave perdita che ha subìto il Sodalizio è stata
preceduta in un breve arco di tempo dalla dipartita dei Signori
Attilio Magri e Alfonso Pelosi, già Membri del Consiglio di
Amministrazione, alla cui memoria vanno le nostre più vive
condoglianze.
La Direzione e la Redazione del “La Scelta” si uniscono
al necrologio.
Quando crollò limpero sovietico e, con
esso, il potere costituito in Albania, assistemmo
a un fatto per noi inconsueto; navi dirette ai
nostri porti adriatici con uomini in fuga, stipati a
grappoli dalle tolde alle ciminiere. Si riandò col
ricordo alle migrazioni di popoli asiatici verso
lEuropa al tempo delle invasioni barbariche,
ma mai avremmo potuto prevedere che nulla
era a confronto dell odierno epocale fenomeno
migratorio, una sorta di esodo biblico che rovescia
da mesi sulle nostre coste centinaia di migliaia
di sventurati; un esodo che prosegue, chissà per
quanto ancora.
A dover condurre unanalisi obiettiva
di tale fenomeno è opportuno distinguere le
cause prossime da quelle remote. Cominciando
da questultime, riconosciamo che la
deconolizzazione non è stata felice così come il
colonialismo non ha fatto onore ai Paesi europei.
Si fece presto a decolonizzare: ben salde rimaste
in mano coloniale le fonti energetiche a lucroso
sfruttamento e lasciato il potere amministrativo
agli indigeni, privi di cultura politica e animati
da sfrenate ambizioni. Ecco quindi laccendersi
di faide con distruzioni, carestia e morte per le
popolazioni civili che, poco alla volta, si sono
volte allemigrazione. I profughi che oggi si
ammassano alle nostre frontiere sono tutti degni
di accoglienza, o quasi tutti. Infatti, alle
turbe di disperati si stanno accodando via
via i meno tribolati che, dando su tv,
internet e cellulari, vagheggiano di trovare
fortuna in Europa, novella America.
Le cause attuali muovono tutte da una
sciagurata destabilizzazione partita dalla
scomparsa manu militari di dittatori,
dallIrak alla Libia. Schiacciare i dittatori
è buona cosa ma non lo fu forse in questo
caso. A parte oculati Paesi del Nord
Africa come Egitto e Tunisia, tra le coste
oltremare e il Medio Oriente, dissoltasi
qualsiasi autorità, scoppiarono micidiali e
devastanti con itti che da anni funestano
intere popolazioni, quelle che da ultimo
stanno alimentando in un preoccupante
crescendo le migrazioni in Sud Italia e
ora anche nei Balcani. Notevole, a questa
caotica contingenza linsorgere di nuovi fattori
geopolitici intesi a colmare il vuoto. Allo stato di
endemica con ittualità si è sovrapposto il torvo
Califfato, fanatico, barbaro e iconoclasta.
Lesodo dunque investe oggi lEuropa
intera il cui totale intervento è invocato dal nostro
Paese al collasso, per una risposta allobbligo
dallaccoglienza; ovvio richiamo che oggi si
leva da ogni plaga tranne che dallEst europeo,
tetragono e cataffratto a ogni invito alla solidarietà.
Evasivi no a ieri i Paesi Occidentali, oggi
disposti a più generose delibere in merito a quote
di cifre che ballano di continuo. Fa eccezione da
ultimo la Germania che, con centinaia di migliaia
di migranti alle porte di Budapest, ha espresso
lintenzione di praticare un illimitata accoglienza
che, nel caso di interi popoli, dovrà pur avere dei
limiti. Lodevole intento ma non privo di astuzia.
Accogliendo i ceti migliori pone già sperabili
premesse alla seconda fase dellaccoglienza,
ovvero allintegrazione che farà tremare le vene e
i polsi al Continente, specie al nostro Paese, con le
masse di diseredati che pur dovranno riscattarsi col
lavoro. Compito precipuo di liberare dalle strade
dei giovani infelici stravaccati sui marciapiedi a
mendicare. Compito di civiltà che attende tutta
questa Europa vecchia e decrepita.
Giorgio Spina
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Il declino dellordinamento feudale, la
perdita del controllo in Italia da parte del Sacro
Romano Impero, videro frantumarsi il potere
nelle mani di vecchi feudatari che, diventati
Signorie, diedero alla Penisola laspetto
di numerosi potentati, ciascuno al vertice
di altrettante città e di famiglie, nei centri
maggiori come Milano,
Firenze e Napoli; anzi,
più famiglie nella stessa
città e tutti, gli uni contro
gli altri armati, in una
endemica lotta per il
potere.
In questo quadro
sconfortante, tra Trecen-
to e Cinquecento, di con-
tinue turbolenze, di alli-
neamenti sempre diversi,
con un Papato sempre in
posizione predominante,
a fiancheggiare o a com-
battere, i mezzi finanzia-
ri erano indispensabili
per fare la guerra e mantenere gli eserciti mer-
cenari; da noi, si aggiunga, ma anche altrove
se si pensa ai re inglesi, plantageneti e poi Tu-
dor, a chiedere prestiti alle banche (anche al
genovese Banco di S.Giorgio), indebitarsi
fino al collo nelle implacabili contese, finire
insolventi e condurre talvolta anche gli istituti
di credito alla bancarotta.
Ma per fare un passo indietro occorre
ricordare che per lunghi anni tra le genti vigeva
il baratto. Solo in seguito intervennero il cambio
e la circolazione monetaria. Lorigine delle
banche è infatti il cambio che avveniva su di un
banco, poi banca; una panca, un tavolo, un
desco, un qualcosa su cui
scrivere e fare i conti, un
qualcosa che divide due
persone impegnate in una
transazione, con alcune
cose che passavano sopra
il banco e anche sotto"
Lorigine del sistema
bancario fu dunque
alimentata dai prestiti ai
potenti, in seguito anche
agli sviluppi dei traf ci
import-export di merci in
misura sempre maggiore
sui mercati. Si spiega
perché Genova, già allora
porto di notevoli traf ci
marittimi, ebbe il Banco di San Giorgio tra
i primi istituti in Italia e in Europa. Si spiega
anche il crescente numero di iniziative bancarie
in Olanda e a Londra, il più importante emporio
europeo di lino, lana, seterie, minerali, preziosi,
bestiame, prodotti ittici e agricoli.
Da noi, tra le città di più vivace attività
I MEDICI
CULTORI DEL RINASCIMENTO
· C U LT U R A ·
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bancaria, quella che raggiunse il primato fu
Firenze dove intere famiglie erano dedite
allesercizio bancario con alterne fortune. In
primis quella dei Medici con esponenti di
cinque generazioni: Giovanni di Bicci (1360-
1429); Cosimo (1389-1464) Piero il Gottoso
(1416-1469); Lorenzo (1449-1492); Piero il
Fatuo (1471- 1503).
Lavventura bancaria, per così dire, fu
avviata a Firenze da Giovanni di Bicci nel 1397
con liali nel tempo a Milano, Venezia, Pisa,
Roma (dove i Medici divennero i banchieri
del Papato) ma anche, in momenti diversi, con
una rete europea a Londra, Basilea, Ginevra,
Avignone, Bruges, Lione per il commercio di
arazzi amminghi, tele di lino, seta olandese,
lana inglese, pellicce del Nord, stagno,
piombo, allume, il tanto richiesto solfato bianco
indispensabile per il ssaggio dei tessuti e del
quale deteneva il monopolio il Papato, conteso da
Genovesi e Veneziani che praticavano i commerci
dellallume turco di Smirne.
Passi limpegno bancario, neppure tanto
di successo, i Medici dovevano diventare
storicamente ben più importanti cultori dellarte
e in generale di tutte le discipline umanistiche. Si
pensi solo a Lorenzo il Magni co. Come detto, i
Medici come banchieri non primeggiarono: fecero
affari, guadagnarono ma non divennero i potenti
della nanza. Non merito loro le innovazioni
nanziarie come la partita doppia, la cambiale, le
lettere di credito (molto ricordate da Defoe nel
tardo 600), il deposito in conto corrente, le azioni
anche se, assunti al potere politico, istituirono le
tassazioni e il catasto per meglio individuare e
colpire le proprietà immobiliari.
Col tempo la banca dei Medici pagò il
prezzo della sua attrazione fatale del potere
politico passando sotto le forche caudine delle
sue insolvenze. Dopo 97 anni di attività, non
sempre lucrose, crollò nel 1494 allorlo del
collasso che Piero, lultimo dei Medici, non
riuscì a evitare. Nel complesso, con le sue luci
e le sue ombre, la banca dei Medici fu come una
burocratica parentesi allinterno dal travagliato
processo di transizione dal mondo medioevale a
quello moderno; unepoca in cui orirono larte
e lusura. Larte del Rinascimento, anzitutto. I
Medici furono circondati dai maestri dellarte e
della cultura, dalle gure imperiture del tempo.
Cosimo, il protagonista della seconda
generazione, fu, oltreché mecenate, egli stesso
un cultore e collezionista di opere darte,
antiche statue, marmi scolpiti, medaglie,
monete, gioielli; umanista anche per lamore
delle letterature e limpegno culturale per il
greco.
Lorenzo, nipote di Cosimo, meno interes-
sato degli altri allattività bancaria, fu allevato
nellesercizio delle lettere: sedicenne compose
un sonetto mitologico, versi e componimenti
vibranti di languori come un diario sentimen-
tale: pagine che precorsero le numerose opere
come la Nencia da Barberino, poema di venti
strofe di otto versi, Laltercazione un poema
bucolico, il Simposio, componimento di otto-
cento versi, leterna canzone Quanto è bella
Giovinezza del suo Gaudeamus Igitur e nu-
merose novelle. Sempre insieme ad artisti e
poeti, un torneo da lui affrontato a ventanni fu
cantato da Luigi Pulci. Sposo di Clarice Orsini,
a ventun anni assunse il potere della dinastia
e divenne ben presto la figura più elevata del
mecenatismo rinascimentale.
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Di statura media e corpo robusto, Lorenzo
ebbe scarsa avvenenza fisica, voce sgradevole,
vista non buona, assenza completa dellolfatto
ma il viso, dai tratti regolari, si rivelava
volitivo, con gli occhi neri che brillavano
di intelligenza; nel suo complesso, il volto
colpiva per leccezionale energia intellettuale.
La sua fu illuminata protezione e promozione
delle lettere e delle arti. Dittatore illegittimo
(il Guicciardini lo definì tiranno piacevole),
si elevò a difensore dei più alti valori spirituali,
invocando per tutti il diritto alla cultura e allarte.
Uomo di gusto sopraf no, esperto
collezionista, amatore darte, poeta, diplomatico,
nanziere, uomo politico, Lorenzo divenne il
personaggio storico più rilevante per secoli.
Intere biblioteche ne scrissero, molti lo dipinsero
come il Botticelli, molti umanisti come Marsilio
Ficino e la sua Accademia fruirono del suo
scon nato sostegno. Scomparve nel 1492 a soli
43 anni.
A voler enumerare gli artisti che furono più
o meno a contatto con Lorenzo si passa dal gruppo
dei maestri orentini (Perugino, Verrocchio,
Ghirlandaio, Botticelli, Pinturicchio, Pollaiolo)
a Masaccio, Bronzino, Brunelleschi e Filippo
Lippi; ai letterati in schiera ancor maggiore,
con Marsilio Ficino, Poliziano, Vasari, Luigi
Pulci, Pico della Mirandola, Poggio Bracciolini,
Machiavelli, Guicciadini, Giovanni Rucellai,
grazie ai quali si ha la panoramica completa del
quadro storico rinascimentale con il Magni co
al suo centro.
Dopo gli inenarrabili scontri e le perniciose
rivalità che funestarono tutte le città grandi
e piccole della Penisola, Lorenzo apparve il
mediatore nato, il principe della pace, lago della
bilancia di unItalia dilaniata dagli odî e dalle
passioni.
Edoardo Vitale
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Per Cabbala sintende la dottrina mistica
ebraica di ispirazione panteista che gli Ebrei
affermano aver ricevuto per tradizione e alla cui
base cè uninterpretazione allegorico-simbolistica
del Vecchio Testamento. Essa ha avuto grande
importanza nella storia dellEbraismo e notevole
in uenza sulla mistica cristiana e sulla teoso a
moderna.
Un capitolo della storia della Cabbala
cristiana comprende la loso a occulta, ermetica
ed esoterica delletà elisabettiana, oggetto di
particolari studi da parte di Frances A.Yates (1899-
1981), la più autorevole specialista della materia,
che ha insegnato allUniversità di Londra e presso
lo Warburg Institute.
Nel libro Cabbala e occultismo nelletà
elisabettiana, edito anche da noi in una collana
economica, la Yates indaga sulle basi della loso a
al tempo dei Tudor, unepoca particolarmente
fervida di studi e di ricerche letterarie e storiche.
Puntando su due eventi epocali come la cacciata
degli Ebrei Sefarditi dalla Spagna (1492) e il loro
insediamento in Inghilterra (1660), la ricercatrice
inglese sovrappone limmagine dei dotti Ebrei
fuggiaschi a quella dei Greci che, dopo la caduta
di Bisanzio, si sparsero per lItalia e per lEuropa
in una emigrazione forzata che produsse in tutti e
due i casi straordinari fermenti culturali. E allora
lArs Compendiosa di Raimondo Lullo (1227),
concepita in una Spagna dove da secoli avevano
convissuto Cristianesimo Ebraismo e Islamismo,
che ripropose e preparò le forme rinascimentali
della Cabbala cristiana.
Per giungere allInghilterra elisabettiana
infatti si deve partire dalla Spagna delle tre fedi
e del catalano Lullo e si passa dallItalia con Pico
della Mirandola, con il frate veneziano Francesco
Giorgi e altri cabbalisti cristiani come Egidio da
Viterbo, dalla Germania con Reuchlin, Dürer e
Cornelio Agrippa e dalla Francia dove si accende
OCCULTISMO RINASCIMENTALE
La scrittrice Frances A. Yates
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il contrasto tra la fortuna del Giorgi (tradotto in
francese nel 1578) e la demonizzazione del tedesco
Agrippa.
A siffatto percorso continentale si af ancano
i tentativi di trapiantare dallInghilterra i messaggi
di riforma come la missione di John Dee alla
corte di Rodolfo II di Boemia e i fugaci teoremi
coltivati alla corte di Federico V (re di Boemia
per un anno) e la sua sposa inglese Elisabetta,
glia di Giacomo I Stuart. Furono quelli i poli
di un vasto movimento di riforma fondato sulle
ricchezze spirituali della loso a occulta. Una
tensione profetica e biblica dovuta in larga parte
al londinese Dee che a Praga diffuse tra il volgo
predizioni sullordine futuro dei mondo cristiano.
Mettendo a raffronto i risultati della Yates
con quelli di Leo Spitzer sullArmonia del
mondo emerge che, pur attingendo dalle stesse
fenomeniche, af ora un evidente contrasto: costui
tende a mettere a fuoco gli elementi
di continuità nello sviluppo
temporale mentre la Yates denuncia
le lacerazioni sincroniche. Spitzer
mette insieme i Cori del Palestrina,
larchitettura di San Pietro e le
speculazioni di Giordano Bruno.
Per la Yates il rogo che arse il Bruno
nel 1600 è un punto nodale del
secolo e la sua visita in Inghilterra
corrisponde a quella di John Dee a Praga. Rogo
e visita costituiscono entrambi la linea più
avanzata di una loso a occulta che era tensione
religiosa e pensiero scienti co, e traeva linfa dal
neoplatonismo rinascimentale e dalla Cabbala.
La Controriforma (della quale risentirono anche i
Paesi riformati) nì per degradare la prassi della
Cabbala da metodo di esegesi culturale a magia,
bianca o nera, come si sbizzarrirono le letterature
(Il Faustus di Marlowe o quello di Goethe, per
esempio) tracciando le linee di vitali stagioni
artistiche come quella elisabettiana.
A tutta prima questa cultura cinque-
seicentesca sembrerebbe lontana mille miglia dalla
prassi e dal pensiero odierni se non si ravvisasse
che la realtà letteraria, culturale, etica e politica
affonda ancora le sue radici su quelle metodologie
ideologiche.
Giorgio Antinoris
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Nato nel 1265 a Firenze,
nel 1290 inizia la sua attività
politica, che si concreta nel 1295
quando si iscrive allArte dei
medici e degli speziali, poiché,
secondo gli Ordinamenti di
Giano della Bella, per essere
eletti bisognava essere iscritti in
una delle corporazioni.
Assolve a diversi incarichi
pubblici come membro del
Consiglio dei Savi e poi del
Consiglio dei Cento. Nel 1300
ricopre la carica di Priore (ossia
di capo della città) e, per mettere
ne alle lotte fra Bianchi e Neri, che dilaniavano
la città, manda in esilio i capi delle due fazioni,
compreso il poeta e amico Guido Cavalcanti, che
morirà in esilio per febbri malariche.
Nel 1301 viene mandato come ambasciatore
a Roma presso il papa Bonifacio VIII. Forse un
complotto. Infatti durante la sua assenza Carlo di
Valois, cha favoriva i Neri, avversari di Dante, accusa
il Poeta di baratteria (oggi diremmo corruzione). Nel
1302 la condanna per baratteria viene formalizzata
con lesclusione perpetua dai pubblici uf ci e la
confisca dei beni. Ma nel marzo dello stesso
anno viene condannato addirittura al rogo
per empietà. Dante non potrà più rientrare
in Firenze, dove lascia la moglie e i figli,
intraprende la via dellesilio e non tornerà
mai più a Firenze. E andrà pellegrino di corte
in corte offrendo il suoi servigi
ai vari signori dItalia. Si rivelò
un abile ambasciatore e conquistò
la stima e lamicizia di uomini
potenti che furono ben lieti di
ospitarlo e che Dante ringrazia
immortalandoli nel suo poema. A
Verona sarà ospitato da Cangrande
della Scala, a Ravenna nel 1318
da Guido Novello da Polenta.
Qui morirà nel 1321, anche lui
a causa di febbri malariche, che
erano allora molto diffuse e alle
quali non si sapeva come porre
rimedio. Sarà sepolto nella chiesa
dei Francescani, che oggi è meta di migliaia
di visitatori.
Linizio della Commedia coincide con l
esilio, forse il 1307, in quanto Dante desidera
vendicarsi dei suoi nemici, che mette alla
berlina nei vari cerchi e gironi dellInferno.
Poi nel Purgatorio e soprattutto nel Paradiso
il suo pensiero volerà alto alla ricerca di Dio.
La Commedia sarà chiamata divina
da Giovanni Boccaccio, grande estimatore
di Dante. E proprio a messer Boccaccio sarà
concesso lalto onore di leggere i versi della
Commedia in chiesa.
Il trattato più chiaramente politico di
Dante è il De Monarchia, scritto in latino, quel
latino medievale, che piaceva a Dante e che
sempre il Petrarca rifiutò, preferendo usare
DANTE E LA POLITICA
Per i 750 anni dalla nascita del poeta
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una forma assai più elegante sul modello di
Cicerone. Il trattato, articolato in tre libri, fu
probabilmente ispirato dalla discesa in Italia
dellimperatore Arrigo VII (1310), che suscitò
in Dante grandi speranze.
Infatti il Poeta pensava che solo
unificando lItalia sotto un unico signore si
potessero evitare le infinite contese fra le varie
fazioni e i vari signori. Purtroppo Arrigo VII
morì troppo presto, nel 1313, a soli trentotto
anni, forse avvelenato. Lopera è di grande
interesse non solo per la comprensione della
Commedia, perché è uno dei trattati più acuti sul
pensiero politico medievale. Nel libro primo
pone il fondamento metafisico dellumano
consorzio proteso alla conquista intellettuale
di tutta la conoscenza umanamente possibile,
nella quale è la nostra felicità terrena. Per
Dante, dunque, il sapere è il fondamento della
felicità. Ma solo la Monarchia può garantire
lattuazione di questo fine, perché lascia
luomo libero da contese, protetto da un unico
signore.
Ma su questa concezione rasserenante si
erge un potenziale nemico: il Papa. Si dibatteva
allora il problema se fosse più importante
lImperatore o il Papa, se il potere
temporale dovesse essere sottomesso a
quello spirituale o viceversa. Iniziava
la famosa lotta per le investiture che
si trascinò per tutto il Medioevo. A chi
spettava il potere di nominare conti e
marchesi, assegnando terre e castelli?
Doveva essere limperatore o il Papa?
Non è vero, secondo Dante, che lim-
peratore è la Luna e il Papa è il Sole. Ma
neppure viceversa. Fu un errore gravissi-
mo la donazione che Costantino fece al Papa
della città di Sutri, perché da qui iniziò il po-
tere temporale dei Papi, che avrebbe dovuto
essere solo spirituale. Secondo Dante il po-
tere dellImperatore deriva da Dio come quel-
lo del Papa: sono quindi due Soli, che splen-
dono con pari luce in campi diversi.
Il De Monarchia fu uno dei testi
fondamentali del pensiero politico tardo
medievale, che stabilisce lautonomia della
ragione rispetto alla fede e di conseguenza
dellImpero rispetto alla Fede, fatta salva la
rerevenza che limperatore deve al Papa come
il figlio al genitore.
Il genere umano - sostiene ancora Dante
- è proteso allattuazione del fine morale, che
consiste nella conquista di tutta la conoscenza
possibile, nella quale è la nostra felicità
terrena. Il De Monarchia divenne molto
noto nel Medioevo,anzi divenne un testo
fondamentale del pensiero politico del tempo,
ove si sosteneva lautonomia della ragione
rispetto alla fede e quindi dellImpero rispetto
alla Chiesa.
Clara Rubbi
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Era nato a Torino il 4 gennaio 1915 da un
vecchio ceppo piemontese, come non mancava di
ricordare con compiacimento, e qui è morto il 2
marzo 1989.
Alla sua città lo legavano
radici profonde che non vennero
mai meno, come attestano, tra
laltro, le numerose pubblicazioni
di carattere scienti co e divulgativo
che a Torino (e al Piemonte) ha
continuato a dedicare nellarco della
sua più che cinquantennale attività di
studioso. Amava però molto anche
la Liguria, non a caso trascorreva
sistematicamente le sue estati al
mare nella sua casa di Ospedaletti,
dove in realtà era solito trascorrere
buona parte delle giornate sugli
amati libri. Questo almeno sino a
quando, a partire dalla seconda metà degli anni
70, abbiamo instaurato la consuetudine, per me
particolarmente eccitante e fruttuosa, di trascorrere
un periodo di vacanza in Sardegna insieme con
le nostre mogli: settimane di indimenticabili
esperienze di svago, ma soprattutto di pro cuo
lavoro.
Con Genova, e non solo con lambiente
universitario che ruotava attorno alla Facoltà di
Scienze politiche, aveva solidi rapporti e ogni anno
trovava modo di assicurare a più riprese la sua
presenza in città. Un legame che non venne mai
meno e che non si limitava a dotte conferenze e a
riunioni di ordine accademico, ma che si esaltava
con il suo amore per la buona cucina e per alcuni
piatti liguri da lui particolarmente
graditi. Anzi, era per lappunto in
queste occasioni che gli piaceva
rimarcare come altamente plausibili
lontane ascendenze liguri della
famiglia paterna, come del resto
sembrava attestare in maniera
inequivocabile il suo cognome.
Le origini modeste della sua
famiglia, da lui peraltro ribadite
più volte con orgoglio, non gli
impedirono di completare gli studi
classici nel prestigioso liceo torinese
Massimo dAzeglio e di iscriversi
poi alla Facoltà di Giurisprudenza,
dove si laureò nel 1937. Lo scarso interesse per
gli insegnamenti giuridici, il suo amore per la
letteratura e in particolare per la poesia lo portarono
a seguire alcuni corsi della Facoltà di Lettere
di Torino, almeno sino allincontro con Gioele
Solari che a Giurisprudenza insegnava Filoso a
del diritto: il maestro dei maestri col quale
si erano già laureati generazioni di intellettuali
formatisi nellateneo torinese, da Piero Gobetti
ad Alessandro Passerin dEntrèves, da Uberto
Scarpelli a Norberto Bobbio. Fu un incontro
IL PENSIERO POLITICO
DI LUIGI FIRPO
A CENTANNI DALLA NASCITA
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occasionale e scabro, originato come ricorda lo
stesso Firpo dal ritrovamento su di una bancarella
di unedizione lologicamente infame, ma per
me benedetta, delle Poesie di Campanella; fu così
che scoprì il pensatore di Stilo e che decise con
determinazione di scrivere una tesi di laurea su di
lui.
Superata liniziale dif denza di Solari, Firpo
si laureò con la tesi dal titolo già emblematico:
Tommaso Campanella nellunità del suo pensiero
politico, loso co e religioso, che unaggiunta
autografa nella copia da lui conservata nel suo
archivio personale attesta essere stata nita il 14
ottobre 1937.
Lincontro con quello che sarebbe diventato
lautore della sua vita di studioso fu quindi
determinato dal suo grande amore per la poesia.
Un amore che era dif cile da intuire e da capire
specie per chi lo conosceva in maniera super ciale
e restava maggiormente in uenzato dai suoi modi
talora decisi e severi, o dal suo aspetto imponente,
dominato da quel volto dai tratti forti ed espressivi
che, come lui stesso ricordava quasi con piacere, lo
aveva fatto scambiare negli Stati Uniti nientemeno
che per un famoso e omonimo pugile argentino.
A pieno diritto e senza ombra di dubbio
Firpo occupa un posto primario tra i grandi maestri
della Storia del pensiero politico, e non solo per
le sue ricerche, che gli diedero ben presto notorietà
nazionale e internazionale. Contribuì infatti in
maniera decisiva alla de nizione dellambito
scienti co e dellautonomia disciplinare della
Storia delle dottrine politiche nei confronti di
altri saperi caratterizzati da una più consolidata
tradizione scienti ca e accademica. Parimenti si
batté con impegno negli organismi istituzionali e
ministeriali per listituzione di riformate e autonome
Facoltà universitarie di Scienze politiche e proprio
nella Facoltà torinese di Scienze politiche, dove
si era trasferito nel 1969 (appena istituita anche
per il suo apporto decisivo), volle terminare la sua
carriera di docente di una disciplina che insegnò
ininterrottamente dal 1946.
Amava presentarsi come storico delle
idee politiche, ribadendo con forza che le idee
andavano studiate e ricostruite in quella composita
trama di situazioni, di polemiche e di percorsi
teorici in cui si erano affermate, articolate e diffuse.
Da qui la sua attività di ricercatore rigoroso, di
instancabile frequentatore di fondi manoscritti: un
lavoro meritorio che gli ha permesso magistrali
ricostruzioni storiche e lologiche di personaggi,
dibattiti e idee politiche, insieme con preziosissime
edizioni critiche di numerose opere di pensatori
del Rinascimento e della Controriforma, in
particolare, ma anche di secoli successivi (valgano
per tutti i suoi contributi su Cesare Beccaria, Karl
Marx, Benedetto Croce e Luigi Einaudi). La sua
era una storia delle idee politiche che pur nella
sua consapevole autonomia era costruita in
costante e indispensabile rapporto con la storia
delle idee in senso lato, ma in particolare con la
storia delle idee giuridiche, economiche e sociali,
senza dimenticare ovviamente lapporto della
loso a, della letteratura e della scienza.
A Campanella ha dedicato oltre 130
pubblicazioni, che forse più di altre ci permettono
di capire la sua prospettiva teorica e metodologica.
Non si stancava infatti di ribadire limportanza
imprescindibile di quel lavoro lologico oscuro
ma non arido, di quella fatica umile e ingrata
sui manoscritti, sulle edizioni critiche dei testi, resi
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nalmente af dabili, sulle indispensabili ricerche
biogra che e bibliogra che. Solo radicando
pienamente un autore nel suo tempo, nelle sue
vicissitudini umane, nei suoi studi e nelle sue
relazioni, diventava infatti possibile dar corpo
pienamente al suo pensiero e soprattutto evitare
di fraintendere le sue idee. Ecco allora il carattere
essenzialmente storico e lologico della sua storia
del pensiero politico; una ricostruzione che non si
limita ovviamente al momento documentario, ma
che riesce a trovare in esso il supporto per quelle
illuminanti pagine teoriche che hanno guidato una
parte consistente della ricerca storico-politica della
prima età moderna.
Dal 1939 al 1941 le pubblicazioni di
Firpo furono tutte su Campanella. Poi, sempre
sulla scia del calabrese, arrivano gli studi sugli
eretici Giordano Bruno, Francesco Pucci (da
tempo compagni di malasorte) e sul piemontese
Giovanni Botero, teorico della ragion di Stato
(plagiato da Campanella), sui quali scrisse
quasi senza interruzione a partire dal 1948.
Thomas More con la sua Utopia entrò nel 1952
nel novero dei pensatori particolarmente cari a
Firpo e mai da lui abbandonati: un lone utopico
affrontato sulla scia della Città del sole del
calabrese. Nellapprofondimento delle tematiche
campanelliane e nella ricerca delle loro fonti,
Firpo incontrò ovviamente numerosi altri
personaggi e altri loni di pensiero ai quali dedicò
contributi ancor oggi di fondamentale importanza.
Mi limito a citare quelli a lui più cari, continuando
ad elencarli nellordine del loro ingresso nella sua
enorme produzione a stampa: Niccolò Machiavelli
(1960), Galileo Galilei (1962), Leonardo da Vinci
(1962), Girolamo Savonarola (1963) ed Erasmo da
Rotterdam (1966), per citarne solo alcuni.
Si assiste così ad unincessante apertura
di nuovi fronti strettamente connessi tra di loro,
emblema di un rigore di ricerca e di un metodo
scienti co padroneggiati con perizia sempre più
consumata. Non a caso si affermò ben presto
malgrado le enormi dif coltà degli anni di guerra
e di immediato dopoguerra come lo studioso
del pensiero politico del Rinascimento e della
Controriforma. Del resto, fu tra i primi a ricevere
lautorizzazione a far ricerche presso lArchivio
dellInquisizione subito dopo la ne della seconda
guerra mondiale, quando lArchivio era ancora
inaccessibile agli studiosi e vi tornò nellultimo
decennio di vita (di nuovo con un permesso
straordinario visto che lArchivio era ancora chiuso
al pubblico) traendone documenti fondamentali.
Fu indefesso promotore e direttore di
numerose collane e iniziative editoriali: primi
fra tutti i Classici del pensiero politico e la
prestigiosa Storia delle idee politiche, economiche
e sociali in 8 voll. (Torino, Utet). Oratore forbito
e uente, ma anche brillante polemista e scrittore
di raf nata eleganza, collaborò a numerosi
quotidiani e periodici, in particolar modo a La
Stampa (Torino). La preziosa e ricca biblioteca
da lui creata con ostinate ricerche e passione
di biblio lo, è ora una struttura portante della
Fondazione Luigi Firpo - Centro di studi sul
pensiero politico, nata a Torino nel 1989, che è
diventata un punto di riferimento e di incontro
nazionale e internazionale per gli studiosi, con i
suoi numerosi convegni e seminari, oltre che con
le sue iniziative economiche volte a formare e
valorizzare giovani studiosi.
Enzo Baldini
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14
I promessi sposi di Alessandro Manzoni
sono sempre stati giudicati e presentati come un
romanzo storico, sia per lampia descrizione della
Lombardia nel Seicento sotto il dominio spagnolo,
sia per la nefasta calata dei Lanzichenecchi,
soldati di ventura, pericolosi devastatori; sia per
la descrizione della pestilenza, che si scatenò nel
1630, probabilmente
portata proprio da
questi soldati sporchi
e intemperanti. Da
sempre nelle storie
della letteratura
italiana si è giudicato
questo romanzo come
appartenente al genere
storico, dominato
dal concetto di
Provvidenza, frutto
della conversione alla
religione cattolica dellautore. Basterebbe citare la
frase conclusiva del capitolo VIII, per non avere
alcun dubbio sulla concezione provvidenziale
della storia concepita dal Manzoni: Dio è per
tutto e non turba mai la gioia dei suoi gli se non
per prepararne loro una più certa e più grande.
La storia, dunque, è dominata dalla
Provvidenza divina: a questo punto sinnesta il
problema della libertà delluomo. Si è parlato
persino del possibile giansenismo del Manzoni:
secondo Giansenio, infatti, luomo si salva dal
peccato, solo con laiuto di Dio. Lucia doveva subire
il rapimento, per essere la causa provvidenziale dei
pentimenti della Monaca di
Monza e dellInnominato,
perché con la propria forza
spirituale non si sarebbero
salvati.
Ma oggi si affaccia
unaltra ipotesi: sotto
il racconto storico è
probabilmente sotteso un
discorso politico. Non
dimentichiamo che il
Manzoni da giovanissimo
visse con sua madre nel
1805 a Parigi, dove ancora si respiravano le idee
illuministiche, che avevano costituito la base
culturale della Rivoluzione francese. A questo
punto vale la pena di fare alcune considerazioni.
Il Manzoni vuole raccontare, al di là della
storia damore di Renzo e Lucia, lincidenza
I PROMESSI SPOSI
un romanzo politico?
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15
del fattore politico in tutte le
dimensioni e in tutti i meccanismi
della vita pubblica. Anche la
presenza dei cosiddetti bravi,
sorta di guardia del corpo o di
milizia personale dei ricchi signori,
innesta un discorso politico che
evidenzia lincapacità del governo
a contrastare questi gruppi, che oggi
de niremmo paramilitari. Eppure
le leggi esistevano contro queste
guardie del corpo non autorizzate ed erano rese
note attraverso manifesti attaccati ai muri, dove si
speci cava anche il divieto di portare il ciuffo,
che copriva parte del viso e rendeva dif cile
lidenti cazione di chi lo portava, così come oggi
i delinquenti mascherano il volto sia nelle rapine
che nelle sommosse.
Ricordiamo come viene affrontato il tema
della giustizia, che sincrocia con
quello della fame: Renzo viene
arrestato come responsabile della
rivolta dei poveri contro la fame, che
spingerà il popolo al conseguente
assalto ai forni. Lassalto ai forni
è un gesto rivoluzionario, che al
Manzoni piace raccontare, perché
forse pensava alla presa della
Bastiglia a Parigi, determinata
dallira del popolo francese affamato
e dallincoscienza dei regnanti del tempo. Celebre
la risposta che la regina Maria Antonietta fece a
chi le diceva che il popolo non aveva il pane: Se
non hanno pane, che mangino delle brioches.
Non dimentichiamo neppure i processi som-
mari contro gli untori, considerati responsabili
della pestilenza, mentre la terribile malattia era
stata portata in Italia dai Lanzichenecchi, milizie
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16
mercenarie tedesche, tri-
stemente famose per le de-
vastazioni che lasciavano
nei territori da loro attra-
versati.
Ignoranza e supersti-
zione dominano la situa-
zione politica, nonostante
la lettera pastorale del car-
dinale Federigo Borromeo:
la diffusione della peste fu
il risultato dellignoranza
del popolo e della malafede di alcuni medici che
negavano la presenza della peste ma accettavano la
de nizione di febbri maligne: una vera e propria
trufferia di parole come la de nisce il Manzoni.
Quando poi la pestilenza fu accertata, i medici, per
giusti care la loro ignoranza, sparsero la voce che
erano arti vene che, operazioni diaboliche, gente
congiurata a sparger la peste per mezzo di veleni
contagiosi. Anche questa malafede da parte dei
medici è un attacco allinef cienza di chi coman-
dava.
Ma cè anche una considerazione importante
da non trascurare: la processione, che fu richiesta
come gesto di pietà religiosa, in onore di San
Carlo, fu un errore gravissimo, perché moltiplicò
il contagio. Lo stesso Manzoni, uomo di fede, non
esita a condannarla. II giorno dopo la processione,
infatti, la furia del contagio andò crescendo.
Anche in questo caso il discorso è politico,
perché insiste sulla incapacità di chi governava
a controllare il contagio, considerato non come
unemergenza sanitaria, ma come un misterioso
male cio, di cui le cosiddette unzioni erano la
prova.
Le unzioni erano costituite da una specie
di sostanza grassa e fangosa, che veniva spalmata
sulle porte delle case da probabili cattivi soggetti
che avevano interesse a diffondere la paura. Così,
invece che provvedere agli ammalati, si perdevano
tempo ed energie alla caccia degli untori. Da
notare che la parola untore, che è accolta nel
vocabolario italiano, ha solo questo signi cato a
perenne infamia di chi praticò in quellepoca l
unzione delle porte e di altri oggetti per burla ,
per malvagità o per interesse.
Clara Rubbi
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17
E il 15 giugno del 1215 quando in
Inghilterra viene promulgata presso Runnymede,
un bel prato lungo il ume Tamigi, nella contea di
Surrey, la Magna Charta Libertatum, - chiamata
magna per non confonderla con un provvedimento
minore, una carta emanata proprio in quegli anni
per regolamentare i diritti di caccia - scritta in
latino con cui il re dInghilterra Giovanni Senza
Terra riconobbe i diritti dei feudatari, della Chiesa,
delle città inglesi.
Un documento che può essere considerato il
primo passo sulla via della costituzione che nasce
in seguito ad una particolare situazione storica che
portò il re Giovanni Senza Terra, uomo crudele ed
egoista, ad abusare della legge feudale: Giovanni
Senza Terra per riconquistare i possedimenti dei
Plantageneti in Francia mosse una guerra contro il
regno di Francia, che nanziò tramite una pesante
tassazione dei suoi baroni. La guerra ebbe un esito
negativo e questo comportò una prima rivolta
dei baroni, che ri utarono, il 15 maggio 1215, la
fedeltà al re. I baroni in armi che la estorsero a
re Giovanni a Runnymede non erano uomini di
particolare valore, ma il loro alleato, larcivescovo
Stephen Langton, possedeva una grande nobiltà
danimo e dintelletto. E necessario ricordare che
il suo appoggio alla causa costituzionale era in
contrasto coi desideri del grande papa Innocenzo
III che aveva dichiarato la Magna Charta
priva di qualsiasi validità. A Runnymede, il 15
giugno, si tenne lincontro con i baroni ribelli e
il re Giovanni si vide costretto, in cambio della
rinnovata obbedienza, a fare alcune concessioni.
Il documento è composto da una introduzione
A otto secoli dalla Costituzione Inglese
LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM
· S T O R I A ·
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e da ben 63 articoli, in cui emergono lHabeas
Corpus, (Abbi il tuo corpo. Cioè la garanzia per
tutti gli uomini liberi di non essere imprigionati
senza subire un processo), il legame tra tassazione
e il concetto di rappresentanza nonchè il diritto
dei cittadini ad opporsi al potere nel caso
diventasse oppressivo. La Magna Charta
regolamentava anche la legge consuetudinaria,
detta dellaforesta, che aboliva i demani regi e le
multe elevate ai trasgressori. In più, il documento,
in materia economica, concedeva a tutti i mercanti,
tranne quelli provenienti da paesi in guerra con
il re, il diritto gratuito di ingresso e di uscita dal
Paese. Va sottolineata come la resistenza feudale
dei baroni alle pretese della Corona, si mutò a
poco a poco in resistenza di ordine costituzionale
che coinvolse tutti gli altri strati di cittadini liberi
termine che nel 1215 era di portata modesta, ma,
grazie allevoluzione economica e giuridica dei
tre secoli successivi, giunse a comprendere tutti i
discendenti di ogni servo della gleba e a rendere
tutti gli inglesi liberi di fronte alla legge, e
durante il regno di Giovanni ma soprattutto del
suo successore Enrico III, laddove si cominciò a
formulare in modo più preciso il concetto della
legge come qualcosa che appariva dotato di vita
propria, distinto dal regio. Qualche cosa al di sopra
del re, mediante il quale egli deve governare.
Durante i secoli la Magna Charta,
generalmente in primo piano, rimase invece
relegata sullo sfondo della scena nei secoli
XIV e XV quando nella mente degli uomini il
Parlamento tenne il posto occupato dalla Charta,
e soprattutto ai tempi dei Tudor poichè sottolineava
la discordanza di interessi fra il principe e il popolo.
Il Re Giovanni di Shakespeare dimostra che
lautore poco conosceva della Magna Charta,
pur trattando la tragedia della deposizione e della
morte di Riccardo II Ma con gli Stuart, quando
il principe e il popolo di nuovo si trovarono
impegnati in campi opposti, riprese tutta la sua
importanza. Venerata nel XVIII secolo, lepoca
della libertà privilegiata, fu considerata il simbolo
che raccoglieva in sintesi la spirito di tutta quanta
-
19
la costituzione. Anche lAmerica insorse in suo
nome, e nella celebrazione di questi princìpi ricerca
tuttora laf nità spirituale con il popolo inglese.
Toccò alla nostra epoca di studiarla sotto laspetto
di documento storico, senza mai dimenticare che
la sua importanza storica non consiste soltanto
in quello che gli uomini del 1215 intendevano
affermare con le sue clausole, ma nelleffetto che
essa ha determinato sui loro discendenti.
La Magna Charta fu riprodotta in
numerose copie, alcune delle quali risalenti al 1215
sono arrivate no ai giorni nostri, Quattro sono
i manoscritti originali sopravvissuti, questanno
esposti alla British Library a Londra. I documenti
erano scritti in latino a mano, utilizzando penna
doca su pergamena e avevano il sigillo reale, che
ne certi cava la validità. Sulloriginale del 1215
non cerano rme e nemmeno i sigilli dei singoli
baroni che avevano ottenuto le concessioni da
Giovanni. Concludendo, a coloro che ancor oggi
affermano che limportanza della Magna Charta
è stata forse esagerata, é suf ciente ricordare
le clausole 39 e 40, che stabiliscono il principio
fondamentale di quello che oggi chiamiamo lo
Stato di diritto, perché essa possa proclamarsi uno
dei pilastri della democrazia mondiale:nessuno,
nemmeno il re, è al di sopra delle leggi, alla
quale segue la concessione dei diritti individuali
fondamentali, tra cui quello al giusto processo.
A nessuno venderemo, negheremo,
differiremo a ri uteremo il diritto o la giustizia.
Silvana Canevelli
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Il lago di Costanza è situato nella zona
centrale dellEuropa, racchiuso tra Svizzera,
Germania e Austria.
Lo specchio dacqua si estende su una
super cie di 539 chilometri quadrati, la quale è
suddivisa tra le citate nazioni.
Ciascun settore, per effetto delle norme di
diritto internazionale, fa parte delle acque interne
del proprio stato.
Il frazionamento, così come evidenziato
nella seguente piantina, non è stato eseguito in
parti uguali, bensì in maniera proporzionata alla
lunghezza dei rispettivi litorali che si affacciano
sul lago.
Si tratta di un bacino di origine glaciale
formato dal Reno, la cui sorgente si trova nelle
Alpi svizzere.
Il ume, prima di entrare nel lago in
prossimità di Schaffhausen, forma una cascata alta
20 metri e larga 150 la quale prende il nome della
stessa città elvetica.
La navigazione sul lago è regolata da
apposita Convenzione stipulata il 22 settembre
1867 dai menzionati tre stati con nanti. Il trattato
è stato aggiornato in data 1 giugno 1973.
Intorno al lago si sono veri cati, nel tempo,
numerosi avvenimenti di particolare rilievo
storico. In questarticolo ne vogliamo ricordare
alcuni assieme ai relativi protagonisti.
La priorità compete, per il doveroso rispetto
nei confronti di Alessandro Manzoni, alla poesia Il
cinque maggio scritta per commemorare il decesso
di Napoleone avvenuto nel 1821.
In tale opera il celebre scrittore milanese
citò il ume Reno, allo scopo di ricordare le
campagne militari combattute da Bonaparte contro
la Germania dal 1805 al 1813.
La Svevia è una regione che si affaccia sul
lago di Costanza e il suo nome deriva dallomonima
città fondata dai Romani nel IV secolo d. C. Adesso,
il territorio fa parte del Land della Baviera, ossia
uno dei 16 stati federali della Germania.
Il territorio divenne un ducato e nel 1079
fu assegnato al casato degli Hohenstaufen, che
lo detennero per circa due secoli no alla loro
estinzione.
Era una famiglia tedesca che, con tutta
probabilità, prese il nome dal castello che il
capostipite Federico di Buren fece costruire nella
regione di Wurttemberg nel 1070.
La dinastia divenne potente sotto Federico I,
conosciuto anche con il soprannome di Barbarossa.
Fu un vero e proprio protagonista della storia
medioevale, in modo particolare di quella italiana.
La sua scalata al potere fu molto rapida. Nel 1147
divenne duca di Svevia a soli 25 anni. Da quel
momento il ramo fu detto anche casa di Svevia.
Incoronato re di Germania nel 1152 adottò, n
dallinizio, una politica di grande conciliazione nei
confronti dei maggiori feudatari tedeschi.
La sua intenzione era di rafforzare sempre di
più il proprio dominio.
Riuscì nel suo intento utilizzando scaltrezza
mista a una buona dose sia di audacia che di
spregiudicatezza.
Tre anni dopo, infatti, fu proclamato
Imperatore del Sacro Romano Impero.
Alletà di 33 anni ebbe quindi il comando
assoluto su un vasto territorio, dove viveva una
moltitudine di persone.
Scese in Italia con lesercito allo scopo di
affermare la sua egemonia sui liberi comuni e sul
papato.
Tuttavia, Federico rimase sempre saldamente
legato alla sua terra di origine, ossia la Svevia.
I diversi interventi militari imperiali contro
TRE CONFINI DENTRO UN LAGO
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21
le varie alleanze dei comuni italiani fallirono. Visto
il modesto esito dellazione bellica, con abilità
Barbarossa convocò gli avversari a Costanza nel
1183 per stipulare la pace.
Il trattato passò alla storia con il nome
della stessa città. Limperatore intuì la necessità
di cambiare metodo. Preparò quindi lespansione
verso lItalia con il matrimonio del glio Enrico IV con Costanza dAltavilla, glia di Ruggero II re di Sicilia.
Da precisare che non esiste alcun riferimento tra il lago di che trattasi e il nome della regina, perché la sua famiglia era di origine normanna.
Dante Alighieri trattò con riguardo questa sovrana, madre dellimperatore Federico II di Hohenstaufen.
Infatti, nella Divina Commedia il poeta raccontò daver incontrato la sua anima in Paradiso.
Un altro grande evento da ricordare è il concilio ecumenico convocato a Costanza dallimperatore Sigismondo di Lussemburgo nel 1414. Lo scopo principale del congresso dei vescovi era di porre ne allo scisma religioso dOccidente in atto.
La frattura si era creata a seguito del trasferimento della sede del ponte ce a Roma, la quale era rimasta per lungo tempo ad Avignone.
Come se tutto ciò non bastasse, la situazione era resa ancor più confusa a causa della contemporanea presenza di tre papi.
Il concilio fu intransigente nei confronti dei dissidenti. Decise che le opinioni contrarie al papato manifestate dallinglese John Wycliffe e dal boemo Jan Hus fossero delle eresie.
Conseguentemente li condannò entrambi al rogo per grave sacrilegio.
Da tener presente che Wycliffe era deceduto addirittura nel 1384, pertanto furono esumati i suoi resti e bruciati assieme ai libri che aveva scritto.
Per il boemo, invece, le cose andarono male perché era presente ai fatti.
Accusato di eresia Hus ri utò di abiurare. Fu pertanto incatenato, trascinato sulla
catasta di legna e gettato alle amme. I lavori del concilio durarono quattro anni e,
al termine, fu eletto papa Martino V.Proseguiamo il racconto e passiamo al XX
secolo per ricordare Ferdinand von Zeppelin (1838-1917).
Era nato a Costanza da una nobile e agiata famiglia tedesca.
Completati gli studi dingegneria assunse il comando della fabbrica della famiglia, la quale si trovava a Friedrichshafen, una località tedesca situata sul lago.
Ai nostri giorni la città è un importante centro turistico e fa parte del Land Baden-Wurttemberg.
In tale sito industriale Zeppelin, allinizio del secolo scorso, progettò e realizzò un areostato a cui diede il proprio nome. Era un apparecchio, meglio conosciuto con il nome di dirigibile, di forma affusolata, munito di apparato propulsore e dei relativi organi di manovra. Le strutture portanti erano costituite da unarmatura metallica in lega leggera.
Le prove funzionali del dirigibile furono eseguite sul cielo soprastante il lago di Costanza.
E un luogo comune credere che il pallone che consentiva al dirigibile di volare fosse riempito di idrogeno, perché il progettista ignorava lalto potere in ammabile di tale elemento. La realtà è differente.
Zeppelin, consapevole del rischio incendio, aveva previsto lutilizzo di elio, proprio perché è un gas con basso potere combustibile.
Tuttavia, a seguito di un embargo disposto dagli Stati Uniti nei confronti della Germania nazista, divenne dif cile trovare rilevanti quantità di elio.
Per questo motivo i costruttori che proseguirono la realizzazione del dirigibile, ventanni dopo il decesso dellinventore impiegarono lidrogeno anziché lelio.
Lo fecero in piena coscienza e il risultato è ben noto a tutti.
Il 6 maggio 1937 un pauroso incendio distrusse il dirigibile in pochi minuti.
Nessuna delle persone che si trovavano a bordo riuscì a salvarsi.
La storia del dirigibile nì quel giorno a Lakehurs, città del New Jersey (USA).
Terminiamo queste note storiche per ricordare Eugenio Montale (1896-1981) premio Nobel per la letteratura del 1975.
Il poeta genovese dedicò una poesia a Lindau, città della Baviera che si trova su unisola del lago di Costanza, la quale é collegata alla terraferma tramite un ponte.
Franco Stefano Gazzo
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Gli Autieri sono
i Soldati che prestano
servizio nellArma dei
Trasporti e Materiali
(TRA.MAT.) dellEsercito
Italiano, che ha ereditato
le tradizioni del Corpo
A u t o m o b i l i s t i c o
conservandone il nome e
le mostrine nero/blu.
Facciamo un passo
indietro nel tempo; già nei
primi anni del 900,veniva formato un Corpo di
Volontari Ciclisti e Automobilisti, che pur essendo
civili, potesse essere immediatamente impiegato
in tempo di guerra. E in Libia durante la Guerra
Italo/ Turca (1911-1912), che si capì limportanza
dell autotrasporto militare, costituendo il primo
Servizio Automobilistico che impiegava gli
autocarri FIAT 15 TER .
Ma fu durante la Prima
Guerra Mondiale che gli Autieri
si resero protagonisti in unepica
impresa.
Nell inverno del 1916 il
Gen. Conrad von Hotzendorf
piani cava la StrafeExpedition
(spedizione punitiva) che
avrebbe sferrato contro lItalia
a metà maggio di quellanno.
Il Comando Supremo Italiano
per impedire agli Austriaci
di riversarsi nella pianura
vicentina, decise di fare af uire
il più rapidamente possibile
truppe e munizionamenti
sugli Altipiani di Asiago.
Così in soli quattro
giorni, dal 19 al 22
maggio, gli Autieri con
circa 1000 autocarri
FIAT 18 BL, formarono
lunghe autocolonne e,
guidando giorno e notte,
trasportarono oltre 100.000
uomini e equipaggiamenti,
percorrendo distanze che variavano da 200 a 300
Km. Questo episodio viene tuttora ricordato come
la Battaglia degli Altipiani.
Il 22 maggio di ogni anno si celebra la Festa
degli Autieri, il loro motto è FERVENT ROTAE
FERVENT ANIMI.
Sono presenti in tutto il mondo nelle missioni
di pace e nelle operazioni di soccorso delle
popolazioni colpite da calamità
naturali.
A Genova la prima
costituzione di un Gruppo di
Autieri in Congedo risale al
1938, ed è la prima grande città
dItalia a intitolare loro unarea
cittadina LARGO AUTIERI D
ITALIA. Presso il Cimitero di
Staglieno ci sono due signi cativi
monumenti uno in Memoria dei
Ciclisti e Automobilisti, laltro
degli Autieri.
Marcello Del no
GLI AUTIERI: la loro storia
Autocarro FIAT 18 BT: impiegato nella guerra 1915-1918
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Siamo alla ne del Quattrocento e una
dinastia gallese, i Tudor, ha ormai saldo in mano
il potere di un regno conteso da due famiglie in
una lotta sanguinosa detta delle Due Rose. Al
trono era salito un ventenne bellissimo, forte,
artista, elegante, teologo, musico, Enrico VIII, che
la Chiesa di Roma, con Clemente VII sul soglio
ponti cio, non aveva esitato a de nirlo Defensor
Fidei per il suo vigoroso impegno a lanciarsi
contro Lutero e tutti gli altri scismi continentali
che mettevano a mal partito la Chiesa, già dolente
per i Turchi alle porte di Vienna e per lincombente
sacco di Roma delle soldataglie di Carlo V.
Il fratello, re Arturo, aveva sposato Caterina
dAragona, zia dellimperatore di Spagna, che
ben presto muore lasciando a Enrico per eredità
trono e vedova. Caterina, una donna austera,
vestita sempre di nero, con intorno sempre dame
spagnole, tediosa, rigida, bigotta, non certo una
moglie ideale per un giovane che aveva ben altre
aspirazioni amorose. Eppoi una moglie che, avuta
una glia (Mary, la futura Bloody Mary), non
poteva dargli un maschio per la successione.
E qui entra in scena una famiglia, i Bolena,
non nobile ma facoltosa e di provetti
arrampicatori sociali, con un padre
che riuscirà a farsi sentire a Corte
no a diventare diplomatico, grazie
anche al fascino di una glia, Anna,
ambiziosa e spregiudicata. Salendo
intraprendenti da non grandi fortune,
i Bolena abitavano in un minuscolo
maniero nel Kent, chiamato Hever,
circondato da prati erbosi ondulati e
folti gruppi di alberi con le anatre che
scivolavano sullacqua del fossato
e le pecore che brucavano sui vicini
pendii. Anna aveva una cameretta ubicata in unala
del maniero, suf ciente appena a contenere il letto.
Ma venne il giorno che da quellumile origine si
lanciò a conquistare il mondo.
Alta, slanciata, bruna, grandi occhi neri, bocca
sensuale, braccia e mani bellissime. Quindicenne,
era una giovinetta squisita che rimase due anni in
Francia alla Corte di Margherita di Navarra dove
IL DISSIDIO
DI SFRENATE AMBIZIONI CAMBIÒ
IL VOLTO DELLINGHILTERRA
Anna Bolena salì al trono e discese al patibolo
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24
apprese subito le arti della seduzione riscuotendo
dubbia fama e, collaudata dalle molte esperienze,
si accese di in nite ambizioni.
Tornata a Londra, venne mandata dagli
assidui genitori a Corte dove il re non tarda a
notarla nelle feste nel castello di Battersea e nei
balli mascherati. Enrico VIII non era più quel
giovane adarmantino degli anni venti ma un
dongiovanni senza scrupoli con tutte le alcove a
suo libito, pronto a ripudiare una moglie legittima
per linfatuazione per una giovinetta, a suo dire,
dalla bellezza strabiliante che sapeva ben simulare
le arti di unastuzia sopraf na.
Anna apparve a Corte in una veste di velluto
azzurro ricamata dargento, con una giacca nera
di damasco guarnita di vaio. Dalle maniche a
sbuffo si intravvedevano nude le braccia perfette;
sul capo, un berretto di velluto scuro contornato
di spille doro, disposte ad aureola. Una perfetta
damigella tutta sguardi e sorrisi, languori,
schermaglie e ammiccamenti. Una donna damore,
si sarebbe detto, un boccone prelibato per lingordo
monarca. Tuttaltro: non già una personcina di
facili costumi ma
una cortigiana tutta
apparenza dietro la
quale si nascondeva
u n a s t u t a
calcolatrice; un osso
immangiabile per gli
insaziabili appetiti
di Enrico; una
giovane arrivista,
determinata a
perseguire i suoi
scopi: il matrimonio
e la corona. Quanto
purtroppo il sovrano
non poteva concederle perché al divorzio si
opponeva limperatore di Spagna e, ovviamente,
il Papato che non poteva che adeguarsi ai voleri
della maggiore potenza del tempo. E Caterina era
la zia di Carlo V.
Spinto anche da consumati legulei e da
ministri cavillosi, il re, dispotico e passionale
per natura, ruppe gli indugi e, con essi, i vincoli
col mondo cattolico. E fu lo scisma anglicano,
una transazione fra Cattolicesimo e Riforma col
mestatore Cranmer ad arcivescovo di Canterburv
e il sovrano capo supremo della Chiesa e del clero
inglesi.
Piena vittoria per Anna che, esultante, sale
sul trono d Inghilterra e assume la residenza a
Hampton Court, un imponente palazzo non lontano
da Londra che aveva fatto costruire il cardinale
Wolsey. Le stanze, alte e sontuose, avevano
bellissimi sof tti dipinti, le nestre di vetri colorati,
grandi arazzi con ricchi disegni alle pareti, unala
destinata alle cucine in grado di servire centinaia
di invitati, giardini lussureggianti, gorgoni e
statue, bandiere e vessilli multicolori e cortili dove
con uivano scudieri,
paggi, domestici,
giocolieri, araldi,
dignitari stranieri.
Ma quali
prospettive per un
Paese che si era
trovato ex abrupto
a voltar pagina
nella sua storia? La
cupidigia intanto,
faceva la sua parte.
Avocate al regno
tutte le notevoli
ricchezze, proprietà,
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25
istituzioni del Papato, abbazie, ordini religiosi,
beni ecclesiastici, una nuova classe dominante
si getta senza ritegno a impossessarsi di quei
beni cospicui e, ovviamente, dai vistosi vantaggi
ottenuti si trova impegnata a sostenere la causa
scismatica del sovrano.
Langlicanesimo, però, si nutriva di altri
elementi antipapisti. Ne era stato vittima Thomas
Becket, trucidato per non essersi piegato a cieca
obbedienza alla politica e, proprio nel tempo di
Enrico, Thomas More, uomo di raro ingegno e
immensa dottrina, che il re aveva elevato ai vertici
dello Stato ma che, incrollabile ai suoi principi
morali e alla sua coscienza, una volta coinvolto
nella controversia istituzionale, non approva il
ripudio di Caterina e la regalità di Anna che, da
buona avventuriera, si associa subito a Enrico nel
girare pollice verso al Primate. Ri utandosi di
giurare, More si dimette. Arrestato, processato,
entra nella Torre dalla fatidica Traitor Gate e vi
rimane prigioniero a lungo, n quando subisce la
decapitazione a Tyburn, lattuale Oxford Street.
Cè da aggiungere che lAnglicanesimo era
anche alle radici dello spirito popolare teso a una,
per così dire, autonomia religiosa, avversa quindi
alla soggezione romana.
Per Anna, come per tutti i grandi, viene
la resa dei conti; si apre inevitabile la discesa.
Qualche ruga, un po s orita, non è più nei sogni
del monarca al quale ha dato una glia, Elisabetta
(quella che sarà la grande Elisabetta), ma neppure
un maschio. Enrico sinacerbisce con gli anni, è
stanco di lei e ha già negli occhi lesangue Jane
Seymour, sempre pronti i suoi giureconsulti e
faccendieri a manovrare tra Francia e Spagna
per gli accordi più opportuni e convenienti e a
preparare un dossier di false testimonianze per
liberare Enrico dallormai inutile moglie. Anna
viene accusata di adulterio, processata e decapitata
su di un ceppo nei giardini della Torre. Non ha
miglior sorte Jane Seymour che muore di parto.
Lintramontabile Enrico avrà altre concubine
come Anna di Clèves (ripudiata). Caterina Howard
(giustiziata perché fedifraga) e Caterina Parr (che
gli sopravviverà).
Il sovrano avrà altri successori della dinastia
Tudor: Edoardo VI, glio di Jane, Maria la
Cattolica, glia di Caterina, ed Elisabetta, glia
di Anna Bolena. Scomparso nel 1547. seguì un
travagliato periodo di terrore, lotte, odii, sangue
ma si illumineranno anche gli splendori delletà
elisabettiana, dovizia storica di poesia, arte e teatro
shakespeariano.
Giorgio Spina
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26
Laudato si. Già il titolo dellenciclica
segnala, nel nome di Francesco, la volontà di
collegare le istanze ecologiche allorizzonte
cristiano. Il Cantico delle creature può infatti
considerarsi una delle prime esperienze vissute
della teologia ecologica e cosmica, un canto
che ha toccato Teilhard de Chardin e Gandhi e
ha ispirato la coscienza dei
gruppi cristiani ambientalisti
e paci sti. Lecologia nasce
infatti spontanea in Francesco
dal rapporto di comunione col
creato e sembra riprendere
qualcosa del lessico che ci fu
allorigine tra Adamo e tutti
i viventi, evidenziando la
dimensione dellalleanza, del
patto per vivere e per convivere.
In tal modo, si veri ca un
fondamentale cambiamento nel
modo di concepire la natura:
non più una realtà sentita come
estranea e nemica ma una creatura di Dio ridivenuta
sorella. Per questa via diviene possibile per il
cristiano riconoscere una sacralità della natura
ben diversa dalla divinizzazione pagana del
cosmo e quindi fondare unetica del rispetto che
faccia appello ad una responsabilità da viversi in
senso teocentrico. E dovere delluomo, fatto a
immagine e somiglianza di Dio, guardare al creato
come dono da salvaguardare, anziché come risorsa
da sfruttare.
Quella che potrebbe chiamarsi la s da di
papa Francesco sta proprio, infatti, nel superamento
di quella concezione antropocentrica, di matrice
stoica, in cui il concetto
chiave delluomo dominatore
delluniverso ha posto le basi
per una lettura della Bibbia in cui
egli campeggia come assoluto
protagonista e giusti ca lidea
che la natura esista solo per la
sua utilità e il suo piacere. Ci
sono, come è noto, due possibili
interpretazioni dellAntico
Testamento riguardo al
concetto di dominio: la
prima vede nelluomo un
sovrano assoluto che governa
sul mondo a lui destinato da
Dio per trarne pro tto; la seconda ritiene che
luomo debba prendersi cura del creato come un
ministro incaricato di mantenere quel regno di
pace e di giustizia che è lordine stesso voluto da
Dio. Lenciclica accoglie pienamente la seconda
interpretazione e, in tal senso, può considerarsi
LENCICLICA VERDE
DI PAPA FRANCESCO
· A T T U A L I T À ·
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27
come una tappa essenziale, nel panorama
del pensiero cristiano, del lungo cammino
che conduce ad unetica della responsabilità
verso la natura e del processo di revisione
critica che attraversa lodierna ri essione
teologica. Vi si de niscono le categorie
fondative di un nuovo rapporto davvero
teocentrico con la natura in cui il creato
viene inteso come la comunione degli esseri
viventi dotati di un certo ordine e di una data
articolazione ma la cui signoria spetta solo a
Dio. Linterpretazione del primato delluomo
si svolge dunque nel senso della sua speciale
responsabilità per la salvaguardia del creato:
se luomo rivendica, come sua caratteristica
peculiare, la capacità di agire moralmente,
deve darne concreta testimonianza, non
comportandosi come predatore tra i predatori
ma rivestendo un ruolo ministeriale, quello appunto
di custode. Ne deriva, del tutto conseguentemente,
ladozione del paradigma etico della cura che fa
riferimento, da un lato, alla vulnerabilità di tutti gli
esseri viventi e, dallaltro, al suo potere di specie
vincente per sollecitare una risposta di solidarietà.
In tal modo, la signoria sulla creazione
può tradursi in custodia della creazione. La
responsabilità umana si con gura dunque come
responsabilità verso lintero ecosistema e lo stesso
bene comune non può non includere quello della
comunità di vita della terra.
Ma lelemento veramente nuovo
rappresentato dallenciclica è la forte saldatura tra
il piano teologico e quello politico. Lidea di fondo
che ne regge limpianto complessivo è quella di
unecologia integrale in grado di abbracciare tutte
le dimensioni della vita umana. Sorprendenti per
la loro radicalità sono alcune tesi dellenciclica
verde. Tra queste linvito a considerare altri modi
di intendere leconomia, la condanna della cultura
dello scarto, la proposta di nuovi stili di vita
ecocompatibili, laffermazione dei beni comuni
- a partire dallacqua e dal clima - come diritti
umani essenziali, il richiamo al debito ecologico
tra il nord e il sud del mondo, la denuncia della
sottomissione della politica alla tecnologia e alla
nanza, testimoniata dal fallimento dei vertici sul
clima. Affermazioni forti, destinate a suscitare,
come già sta avvenendo, aspre reazioni negli
ambienti più conservatori. In tal modo, la s da
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28
teologica di Bergoglio si è trasformata in una s da
politica destinata ad avere ampie ripercussioni sul
piano internazionale.
Non a caso, per il suo signi cato epocale,
lenciclica è stata paragonata alla Rerum
Novarum di Leone XIII dal momento che, in
effetti, la questione ecologica assume oggi la stessa
rilevanza che nell800 aveva assunto la questione
sociale. Se già in altre encicliche in particolare
Redemptor hominis si segnalavano i pericoli
di unalienazione delluomo dalla natura a causa
di uno sfruttamento della Terra non inquadrato in
un piano strettamente umanistico, in questa appare
pienamente compiuta la saldatura tra ecologia
naturale ed ecologia umana. Lecologia, nel suo
signi cato etimologico di scienza della casa, ci
ricorda che abitiamo una comune dimora.
Sembra dunque di poter affermare che il
tema della responsabilità umana stia emergendo
sia allinterno di unetica laica che religiosa. Tale
rilievo non deve stupirci troppo. Codici morali
di ispirazione divina o fondati su una delle tante
etiche laiche dallutilitarismo al giusnaturalismo
al kantismo possono contenere precetti simili
e comportare analoghi riconoscimenti di doveri.
Mutano, ovviamente, nel passaggio tra le due etiche,
i fondamenti delle obbligazioni lappello alla
volontà del Creatore viene sostituito dallappello
allutile, alla natura, alla ragione ma ciò che conta
è che, nella diversità dei presupposti teorici, si può
rintracciare un minimo comun denominatore etico.
Anche in questo si può riconoscere un merito non
piccolo dellenciclica di papa Francesco.
Luisella Battaglia
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29
Quando, nel 1939, vennero creati in Italia
nuovi uf ci territoriali per la tutela e conservazione
delle cose di interesse artistico e storico, il nome ad
essi attribuito fu Soprintendenze alle Gallerie:
questo perché proprio le gallerie darte (quelle
dello Stato, tra grandi e piccole, sono in Italia
più di quattrocento") sono i luoghi di maggiore
concentrazione di beni culturali a testimonianza di
una secolare tradizione di collezionismo a cui la
loro storia è strettamente collegata.
Le nalità da sempre riconosciute alle
istituzioni museali sono la conservazione, la
documentazione e leducazione: concetti, questi,
ribaditi nel codice dei beni culturali del 2004 -il
cosiddetto codice Urbani- nel quale (titolo II, sez.
I) i musei, insieme alle biblioteche, agli archivi, alle
aree archeologiche, ai complessi monumentali e ai
parchi, sono de niti luoghi di cultura ed intesi
come strutture permanenti che acquisiscono,
conservano, ordinano ed espongono beni culturali
per nalità di educazione e di studio. Lo Stato
assicura la fruizione dei beni conservati nei
musei (art. 102) intendendosi per fruizione -che è
uno dei ni dellattività di valorizzazione- il loro
godimento da parte della collettività.
Dal punto di vista amministrativo, la riforma
del 1939 aveva sancito la dipendenza dei musei
di pertinenza statale dalle soprintendenze per la
speci ca competenza attribuita a queste ultime di
vigilare con uguali criteri su tutto il patrimonio
(compreso, quindi, quello museale) dovunque
distribuito e comunque posseduto. Un principio
di dipendenza, nellunione, nuovamente affermato
quando, negli anni settanta del Novecento (cioè
dopo listituzione del ministero per i beni culturali)
verranno create, con compiti di consulenza
anche territoriale, le soprintendenze speciali
per legittologia, la preistoria, letnologia, le arti
popolari e larte moderna con rispettiva sede
presso il museo egizio di Torino, il museo Pigorini
di Roma e la galleria nazionale darte moderna.
Nel corso del secondo Novecento, con
il moltiplicarsi, sul territorio, dei compiti
istituzionali delle soprintendenze (un aggravio
principalmente dovuto ad una maturazione
del concetto di bene culturale e ad una
conseguente ampli cazione del lavoro di
tutela) la gestione dei musei è diventata uno
degli innumerevoli impegni del dirigente di
quegli uf ci, da cui la prassi di af dare ad
uno degli storici dellarte in organico (o degli
archeologhi, nel caso dei musei archeologici)
LA RIFORMA DEL SISTEMA
MUSEALE ITALIANO
UN TAGLIO NETTO CON IL PASSATO
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30
la cura ordinaria dei complessi museali di
competenza e lattuazione dei progetti culturali e
di valorizzazione elaborati congiuntamente (anche
io molto tempo fa, con questa delega, ho diretto qui
a Genova la galleria nazionale di palazzo Spinola
per af darne poi la direzione, una volta diventata
soprintendente, ad una mia collaboratrice"). E
del resto emblematico che le soprintendenze alle
gallerie cambino nome per diventare, dal 1974,
soprintendenze ai beni artistici e storici"
E più o meno questo il momento in cui,
nel mondo della cultura italiana, comincia ad
essere sentita la necessità di rendere più ef ciente
il sistema delle pubbliche collezioni attraverso
il riconoscimento de iure di una maggiore
indipendenza gestionale, operativa e nanziaria.
La prima proposta in questo senso era già
documento uf ciale: è pubblicata infatti nel 1967
nella relazione conclusiva della commissione
di indagine per la tutela e la valorizzazione del
patrimonio storico, archeologico, artistico e del
paesaggio (istituita nel 1964 con legge dello Stato e
nota come commissione Franceschini dal cognome
del suo presidente). Nella dichiarazione LXXIII,
dedicata ai musei, dopo il riconoscimento della
loro importanza primaria sia per la conservazione
e lo studio dei beni archeologici, artistici e storici,
sia per la vita culturale della Nazione, è ravvisata
la necessità di assicurare la loro autosuf cienza per
ciò che concerne i servizi essenziali e il personale
quali cato con ununica indicazione di carattere
organizzativo e cioè che i musei dello Stato
saranno da distinguere in due gruppi. I minori
direttamente amministrati dalle soprintendenze e
i maggiori amministrati da uf ci autonomi delle
soprintendenze.
Per i successivi cinquantanni questa
dichiarazione non ha avuto seguito, malgrado
limpegno per un restauro funzionale dei
musei dimostrato soprattutto dai ministri
Ronchey, Paolucci e Urbani e la creazione delle
soprintendenze speciali per il polo museale romano,
orentino, veneziano e di Napoli. Si deve quindi
al decisionismo dellattuale ministro dei beni e
delle attività culturali e del turismo Franceschini
(che per singolare combinazione è omonimo, nel
cognome, di chi sostenne per primo la necessità
di cambiamento") la promozione di una riforma
che, spezzando una unità di tutela storicamente
consolidata, rende de nitivamente autonomi dalle
soprintendenze i musei dotandoli di un proprio
bilancio e di un proprio statuto.
Brevemente i capisaldi del decreto sono:
1) La suddivisione dei musei in due gruppi
(ha fatto testo la dichiarazione LXXIII "), il primo
composto da venti musei (sette di prima fascia,
diretti da dirigenti generali, tredici di seconda
fascia, diretti da dirigenti non generali); il secondo
da tutti gli altri con laggiunta di alcuni istituti e
luoghi della cultura: insieme danno vita ai poli
museali regionali.
2) La dirigenza dei venti musei del primo
gruppo attribuita attraverso selezione pubblica
a titoli e colloquio (già attuata; i vincitori - tutti,
tranne uno, di provenienza esterna al ministero
- sono dieci uomini e dieci donne, di cui sette
stranieri e quattro italiani tornati dallestero.
3) La dirigenza dei poli regionali attribuita
attraverso una selezione tra i funzionari del
ministero, a parte i poli delle Marche, dellUmbria
e della Liguria già af dati ad un dirigente non
generale di cui al paragrafo 2.
La complessa struttura organizzativa messa
a punto dal ministero per il funzionamento del
nuovo sistema museale è oggi in fase di pre-
rodaggio, visto che lattuazione del progetto è
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31
appena iniziata. Non è quindi possibile prevedere
a quali dinamiche gestionali e a quante dif coltà
di realizzazione la riforma andrà incontro, quali
saranno gli esiti di valenza culturale e, cosa che sta
molto a cuore al ministro, turistica" Mi soffermo
quindi solo sulle certezze acquisite, prima fra
tutte le scelte - con criteri di giudizio ignoti (ma
comprensibili se collegati alla fortuna turistica") -
di suddivisione e di distinzione dei musei, ormai
de nitive, prendendo come campione la Liguria.
A Genova le gallerie nazionali di palazzo
reale e di palazzo Spinola sono state accorpate ed
inserite tra i musei di seconda fascia (diretti da
un dirigente non generale), in buona compagnia
con laccademia di Firenze, la galleria estense di
Modena, i palazzi ducali di Urbino e Mantova, la
galleria nazionale di arte antica di Roma, la galleria
nazionale dellUmbria, il museo nazionale del
Bargello, i musei archeologici di Napoli, Reggio
Calabria e Taranto, il parco archeologico di Pestum
e il palazzo reale di Torino. (Per completezza di
informazione, i sette musei posti nei gradini più
alti della classi ca sono la galleria Borghese, gli
Uf zi, la galleria nazionale darte moderna, le
accademie di Venezia, Capodimonte, Brera e la
reggia di Caserta).
Per quanto riguarda il polo museale della
Liguria, la lettura dellelenco dei musei e
dei luoghi della cultura selezionati desta
in me non poche perplessità per scelte
disomogenee e, allapparenza, casuali.
Infatti, accanto al museo archeologico
e area archeologica di Luni, al museo
archeologico di palazzo Rocca a Chiavari,
alla villa romana del Varignano e al museo
preistorico e area archelogica dei Balzi
Rossi (dipendenti, no ad oggi, dalla
soprintendenza per i beni archeologici),
compaiono complessi monumentali come il
castello di S. Terenzio a Lerici, le fortezze
Firmafede e di Castruccio Castracani a Sarzana,
il forte di S. Giovanni a Finale Ligure, il forte di
S.Tecla a Sanremo e il museo dellarte vetraria di
Altare (Sv), allestito in un immobile dello Stato,
villa Rosa, ma gestito da sempre dal comune di
Altare, proprietario dei manufatti esposti.
Queste scelte provocano in me alcune do-
mande. Limitandomi a prendere in considerazio-
ne solo il capoluogo ligure - in cui molti sono i
complessi monumentali di proprietà statale che,
per importanza, avrebbero potuto essere inseriti
nel polo museale - mi piacerebbe sapere perché,
per esempio, non è stata considerata labbazia di
S. Giuliano dAlbaro, da anni ed anni in restauro,
con nanziamenti dello Stato, per utilizzo futuro
ancora misterioso. Oppure per quale ragione non
sono state fatte scelte lungimiranti: penso a pa-
lazzo S. Giorgio non solo per quello che ledi cio
rappresenta dal punto di vista storico e artistico ma
anche perché, quando lautorità portuale sposterà
la sua sede altrove, come preannunciato, potrebbe
diventare punto di riferimento anche per i turisti
ospitando un museo che Genova ancora non pos-
siede, cioè il museo della città.
Giovanna Rotondi Terminiello
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32
Tra i numerosi casi di bullismo vorrei
ricordarne uno particolarmente odioso, come pure
totalmente emblematico, per comprendere un
modello di comportamento tanto esecrabile quanto
purtroppo diffuso. Riassumo brevemente il fatto:
una ragazza di 13 anni, disabile, perchè affetta
da ritardo mentale, mentre giocava da sola in un
parco giochi di Milano, viene insultata, derisa e
ferita alla schiena da un sasso scagliatole contro da
alcuni suoi compagni di scuola, gli stessi che anche
allinterno delledi cio scolastico la prendono
in giro e la perseguitano. Purtroppo non si tratta
di un evento isolato perchè in Italia il bullismo è
diventato un costume generalizzato fuori e dentro
la scuola, come palese manifestazione di inciviltà
e di barbarie. E quindi indilazionabile tentare di
individuarne le cause e di proporre rimedi ef caci
per combatterlo.
Una prima evidente causa è la crisi della
responsabilità genitoriale
per lincapacità colposa
e, talvolta dolosa, di
educare i gli ai valori
morali e sociali favorendo
così nei gli stessi una
subcultura improntata ad
un egoismo senza limiti,
al misconoscimento
della dignità e dei diritti
degli altri, specie dei più deboli e dei più infelici, e
del culto della violenza.
Lorigine di questo scadimento della
famiglia va ricercato a mio avviso nelle ideologie
del 68, movimento che, pur muovendo da alcune
esigenze legittime di rinnovamento della vecchia
società, si è rivelato in gran parte fallimentare
poichè non ha avuto fortuna nel tentativo di
eliminarne macroscopiche ingiustizie, tuttora vive
e operanti, cadendo nellerrore che la tutela della
libertà nei confronti dellautoritarismo si dovesse
identi care con la negazione dellautorità. In realtà
lautoritarismo, che lede la libertà di pensiero e
di azione, è una degenerazione dellautorità, che
è invece conditio sine qua non della tutela dei
valori e dei diritti di tutti. Si comprende, perciò,
come il permissivismo senza freni e il lasciar fare
ai gli quello che vogliono, anche i capricci, le
vessazioni e la persecuzione dei loro compagni sia
FENOMENO DEL BULLISMO
Scon namento nella violenza
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dovuto ad una grave crisi morale e culturale dei
genitori.
E quindi necessario il ripristino dellautorità
e del suo rispetto a partire dallambiente familiare,
contrastando nella misura maggiore possibile
i messaggi negativi che provengono dalla
comunicazione mediatica. Lideologia dominante
nel nostro tempo è
infatti quella della
ricerca incondizionata e
senza limiti del proprio
interesse egoistico,
della totale indifferenza
al bene comune
privilegiando il valore
dominante del successo
e del soddisfacimento
del piacere a
qualunque costo. Per
combatterla sono del
tutto controindicate
prediche e scomuniche,
serve invece un
invito fermo, ma
composto e persuasivo
ad individuarne e
a comprenderne linsensatezza e la dannosità,
in una parola: la famiglia deve educare i gli
e non abbandonarli alle loro tentazioni e ai loro
pregiudizi.
E fondamentale per affrontare il problema
e cercare di studiarlo senza illudersi di poterlo
risolvere rapidamente e del tutto, anche il ruolo della
scuola oltre che quello della famiglia. Purtroppo
si sono veri cati non raramente casi di bullismo
anche nei confronti di insegnanti con conseguente
perdita di autorità e comparsa di una sfrenata
anarchia nelle aule. La colpa di questo grave
fenomeno è anche di molti genitori che prendono
le parti del glio contro linsegnante a prescindere,
contribuendo così a distruggere un rapporto
connotato dal rispetto,
dal riconoscimento
dellautorità e dalla
c o n s a p e v o l e z z a
della diversità dei
due ruoli (diversità
che pur richiede una
conciliazione).
Ma vi è anche
una carenza formativa
in alcuni insegnanti,
carenza sia di carattere
psicologico (nel senso
di scarso adattamento
al ruolo), sia di carattere
pedagogico-didattico.
E pertanto auspicabile
una scelta del personale
docente non solo sulla
base della sua preparazione culturale, ma anche
della sua attitudine a rapportarsi con lo studente.
In conclusione: la situazione è grave ed è
dovere prioritario di ogni cittadino responsabile
invocare con urgenza interventi, sia dissuasivi
che formativi, almeno per frenare, se non per
estinguere, la diffusione di questo fenomeno.
Michele Schiavone
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Era il 20 giugno 1951 quando lAssemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Convention Relatin