scelta022015 - SO.CREM Genova · cantato da Luigi Pulci. Sposo di Clarice Orsini, a ventun anni...

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    Editoriale

    Il 20 settembre di questo, per noi infausto 2015, ha

    segnato la scomparsa del Geom. Giuseppe Noce, già Vice

    Presidente della So.Crem e prezioso collaboratore tecnico

    dell’Ente. Ogni miglioria e innovazione nel Tempio reca

    infatti la sua fi rma.

    Il 28 settembre, nella Sala del Commiato, il Cav.

    Mauro Peirano, attuale Vice Presidente della So.Crem, ha

    pronunciato parole di sentito cordoglio. Gli ha fatto seguito il

    Comm. Avv. Edoardo Vitale, Presidente della So.Crem, che,

    notevolmente commosso, ha detto addio all’amico fraterno

    ed ha annunciato che il Tempio Crematorio sarà intitolato al

    nome dell’illustre scomparso.

    La grave perdita che ha subìto il Sodalizio è stata

    preceduta in un breve arco di tempo dalla dipartita dei Signori

    Attilio Magri e Alfonso Pelosi, già Membri del Consiglio di

    Amministrazione, alla cui memoria vanno le nostre più vive

    condoglianze.

    La Direzione e la Redazione del “La Scelta” si uniscono

    al necrologio.

    Quando crollò limpero sovietico e, con

    esso, il potere costituito in Albania, assistemmo

    a un fatto per noi inconsueto; navi dirette ai

    nostri porti adriatici con uomini in fuga, stipati a

    grappoli dalle tolde alle ciminiere. Si riandò col

    ricordo alle migrazioni di popoli asiatici verso

    lEuropa al tempo delle invasioni barbariche,

    ma mai avremmo potuto prevedere che nulla

    era a confronto dell odierno epocale fenomeno

    migratorio, una sorta di esodo biblico che rovescia

    da mesi sulle nostre coste centinaia di migliaia

    di sventurati; un esodo che prosegue, chissà per

    quanto ancora.

    A dover condurre unanalisi obiettiva

    di tale fenomeno è opportuno distinguere le

    cause prossime da quelle remote. Cominciando

    da questultime, riconosciamo che la

    deconolizzazione non è stata felice così come il

    colonialismo non ha fatto onore ai Paesi europei.

    Si fece presto a decolonizzare: ben salde rimaste

    in mano coloniale le fonti energetiche a lucroso

    sfruttamento e lasciato il potere amministrativo

    agli indigeni, privi di cultura politica e animati

    da sfrenate ambizioni. Ecco quindi laccendersi

    di faide con distruzioni, carestia e morte per le

    popolazioni civili che, poco alla volta, si sono

    volte allemigrazione. I profughi che oggi si

    ammassano alle nostre frontiere sono tutti degni

    di accoglienza, o quasi tutti. Infatti, alle

    turbe di disperati si stanno accodando via

    via i meno tribolati che, dando su tv,

    internet e cellulari, vagheggiano di trovare

    fortuna in Europa, novella America.

    Le cause attuali muovono tutte da una

    sciagurata destabilizzazione partita dalla

    scomparsa manu militari di dittatori,

    dallIrak alla Libia. Schiacciare i dittatori

    è buona cosa ma non lo fu forse in questo

    caso. A parte oculati Paesi del Nord

    Africa come Egitto e Tunisia, tra le coste

    oltremare e il Medio Oriente, dissoltasi

    qualsiasi autorità, scoppiarono micidiali e

    devastanti con itti che da anni funestano

    intere popolazioni, quelle che da ultimo

    stanno alimentando in un preoccupante

    crescendo le migrazioni in Sud Italia e

    ora anche nei Balcani. Notevole, a questa

    caotica contingenza linsorgere di nuovi fattori

    geopolitici intesi a colmare il vuoto. Allo stato di

    endemica con ittualità si è sovrapposto il torvo

    Califfato, fanatico, barbaro e iconoclasta.

    Lesodo dunque investe oggi lEuropa

    intera il cui totale intervento è invocato dal nostro

    Paese al collasso, per una risposta allobbligo

    dallaccoglienza; ovvio richiamo che oggi si

    leva da ogni plaga tranne che dallEst europeo,

    tetragono e cataffratto a ogni invito alla solidarietà.

    Evasivi no a ieri i Paesi Occidentali, oggi

    disposti a più generose delibere in merito a quote

    di cifre che ballano di continuo. Fa eccezione da

    ultimo la Germania che, con centinaia di migliaia

    di migranti alle porte di Budapest, ha espresso

    lintenzione di praticare un illimitata accoglienza

    che, nel caso di interi popoli, dovrà pur avere dei

    limiti. Lodevole intento ma non privo di astuzia.

    Accogliendo i ceti migliori pone già sperabili

    premesse alla seconda fase dellaccoglienza,

    ovvero allintegrazione che farà tremare le vene e

    i polsi al Continente, specie al nostro Paese, con le

    masse di diseredati che pur dovranno riscattarsi col

    lavoro. Compito precipuo di liberare dalle strade

    dei giovani infelici stravaccati sui marciapiedi a

    mendicare. Compito di civiltà che attende tutta

    questa Europa vecchia e decrepita.

    Giorgio Spina

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    Il declino dellordinamento feudale, la

    perdita del controllo in Italia da parte del Sacro

    Romano Impero, videro frantumarsi il potere

    nelle mani di vecchi feudatari che, diventati

    Signorie, diedero alla Penisola laspetto

    di numerosi potentati, ciascuno al vertice

    di altrettante città e di famiglie, nei centri

    maggiori come Milano,

    Firenze e Napoli; anzi,

    più famiglie nella stessa

    città e tutti, gli uni contro

    gli altri armati, in una

    endemica lotta per il

    potere.

    In questo quadro

    sconfortante, tra Trecen-

    to e Cinquecento, di con-

    tinue turbolenze, di alli-

    neamenti sempre diversi,

    con un Papato sempre in

    posizione predominante,

    a fiancheggiare o a com-

    battere, i mezzi finanzia-

    ri erano indispensabili

    per fare la guerra e mantenere gli eserciti mer-

    cenari; da noi, si aggiunga, ma anche altrove

    se si pensa ai re inglesi, plantageneti e poi Tu-

    dor, a chiedere prestiti alle banche (anche al

    genovese Banco di S.Giorgio), indebitarsi

    fino al collo nelle implacabili contese, finire

    insolventi e condurre talvolta anche gli istituti

    di credito alla bancarotta.

    Ma per fare un passo indietro occorre

    ricordare che per lunghi anni tra le genti vigeva

    il baratto. Solo in seguito intervennero il cambio

    e la circolazione monetaria. Lorigine delle

    banche è infatti il cambio che avveniva su di un

    banco, poi banca; una panca, un tavolo, un

    desco, un qualcosa su cui

    scrivere e fare i conti, un

    qualcosa che divide due

    persone impegnate in una

    transazione, con alcune

    cose che passavano sopra

    il banco e anche sotto"

    Lorigine del sistema

    bancario fu dunque

    alimentata dai prestiti ai

    potenti, in seguito anche

    agli sviluppi dei traf ci

    import-export di merci in

    misura sempre maggiore

    sui mercati. Si spiega

    perché Genova, già allora

    porto di notevoli traf ci

    marittimi, ebbe il Banco di San Giorgio tra

    i primi istituti in Italia e in Europa. Si spiega

    anche il crescente numero di iniziative bancarie

    in Olanda e a Londra, il più importante emporio

    europeo di lino, lana, seterie, minerali, preziosi,

    bestiame, prodotti ittici e agricoli.

    Da noi, tra le città di più vivace attività

    I MEDICI

    CULTORI DEL RINASCIMENTO

    · C U LT U R A ·

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    bancaria, quella che raggiunse il primato fu

    Firenze dove intere famiglie erano dedite

    allesercizio bancario con alterne fortune. In

    primis quella dei Medici con esponenti di

    cinque generazioni: Giovanni di Bicci (1360-

    1429); Cosimo (1389-1464) Piero il Gottoso

    (1416-1469); Lorenzo (1449-1492); Piero il

    Fatuo (1471- 1503).

    Lavventura bancaria, per così dire, fu

    avviata a Firenze da Giovanni di Bicci nel 1397

    con liali nel tempo a Milano, Venezia, Pisa,

    Roma (dove i Medici divennero i banchieri

    del Papato) ma anche, in momenti diversi, con

    una rete europea a Londra, Basilea, Ginevra,

    Avignone, Bruges, Lione per il commercio di

    arazzi amminghi, tele di lino, seta olandese,

    lana inglese, pellicce del Nord, stagno,

    piombo, allume, il tanto richiesto solfato bianco

    indispensabile per il ssaggio dei tessuti e del

    quale deteneva il monopolio il Papato, conteso da

    Genovesi e Veneziani che praticavano i commerci

    dellallume turco di Smirne.

    Passi limpegno bancario, neppure tanto

    di successo, i Medici dovevano diventare

    storicamente ben più importanti cultori dellarte

    e in generale di tutte le discipline umanistiche. Si

    pensi solo a Lorenzo il Magni co. Come detto, i

    Medici come banchieri non primeggiarono: fecero

    affari, guadagnarono ma non divennero i potenti

    della nanza. Non merito loro le innovazioni

    nanziarie come la partita doppia, la cambiale, le

    lettere di credito (molto ricordate da Defoe nel

    tardo 600), il deposito in conto corrente, le azioni

    anche se, assunti al potere politico, istituirono le

    tassazioni e il catasto per meglio individuare e

    colpire le proprietà immobiliari.

    Col tempo la banca dei Medici pagò il

    prezzo della sua attrazione fatale del potere

    politico passando sotto le forche caudine delle

    sue insolvenze. Dopo 97 anni di attività, non

    sempre lucrose, crollò nel 1494 allorlo del

    collasso che Piero, lultimo dei Medici, non

    riuscì a evitare. Nel complesso, con le sue luci

    e le sue ombre, la banca dei Medici fu come una

    burocratica parentesi allinterno dal travagliato

    processo di transizione dal mondo medioevale a

    quello moderno; unepoca in cui orirono larte

    e lusura. Larte del Rinascimento, anzitutto. I

    Medici furono circondati dai maestri dellarte e

    della cultura, dalle gure imperiture del tempo.

    Cosimo, il protagonista della seconda

    generazione, fu, oltreché mecenate, egli stesso

    un cultore e collezionista di opere darte,

    antiche statue, marmi scolpiti, medaglie,

    monete, gioielli; umanista anche per lamore

    delle letterature e limpegno culturale per il

    greco.

    Lorenzo, nipote di Cosimo, meno interes-

    sato degli altri allattività bancaria, fu allevato

    nellesercizio delle lettere: sedicenne compose

    un sonetto mitologico, versi e componimenti

    vibranti di languori come un diario sentimen-

    tale: pagine che precorsero le numerose opere

    come la Nencia da Barberino, poema di venti

    strofe di otto versi, Laltercazione un poema

    bucolico, il Simposio, componimento di otto-

    cento versi, leterna canzone Quanto è bella

    Giovinezza del suo Gaudeamus Igitur e nu-

    merose novelle. Sempre insieme ad artisti e

    poeti, un torneo da lui affrontato a ventanni fu

    cantato da Luigi Pulci. Sposo di Clarice Orsini,

    a ventun anni assunse il potere della dinastia

    e divenne ben presto la figura più elevata del

    mecenatismo rinascimentale.

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    Di statura media e corpo robusto, Lorenzo

    ebbe scarsa avvenenza fisica, voce sgradevole,

    vista non buona, assenza completa dellolfatto

    ma il viso, dai tratti regolari, si rivelava

    volitivo, con gli occhi neri che brillavano

    di intelligenza; nel suo complesso, il volto

    colpiva per leccezionale energia intellettuale.

    La sua fu illuminata protezione e promozione

    delle lettere e delle arti. Dittatore illegittimo

    (il Guicciardini lo definì tiranno piacevole),

    si elevò a difensore dei più alti valori spirituali,

    invocando per tutti il diritto alla cultura e allarte.

    Uomo di gusto sopraf no, esperto

    collezionista, amatore darte, poeta, diplomatico,

    nanziere, uomo politico, Lorenzo divenne il

    personaggio storico più rilevante per secoli.

    Intere biblioteche ne scrissero, molti lo dipinsero

    come il Botticelli, molti umanisti come Marsilio

    Ficino e la sua Accademia fruirono del suo

    scon nato sostegno. Scomparve nel 1492 a soli

    43 anni.

    A voler enumerare gli artisti che furono più

    o meno a contatto con Lorenzo si passa dal gruppo

    dei maestri orentini (Perugino, Verrocchio,

    Ghirlandaio, Botticelli, Pinturicchio, Pollaiolo)

    a Masaccio, Bronzino, Brunelleschi e Filippo

    Lippi; ai letterati in schiera ancor maggiore,

    con Marsilio Ficino, Poliziano, Vasari, Luigi

    Pulci, Pico della Mirandola, Poggio Bracciolini,

    Machiavelli, Guicciadini, Giovanni Rucellai,

    grazie ai quali si ha la panoramica completa del

    quadro storico rinascimentale con il Magni co

    al suo centro.

    Dopo gli inenarrabili scontri e le perniciose

    rivalità che funestarono tutte le città grandi

    e piccole della Penisola, Lorenzo apparve il

    mediatore nato, il principe della pace, lago della

    bilancia di unItalia dilaniata dagli odî e dalle

    passioni.

    Edoardo Vitale

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    Per Cabbala sintende la dottrina mistica

    ebraica di ispirazione panteista che gli Ebrei

    affermano aver ricevuto per tradizione e alla cui

    base cè uninterpretazione allegorico-simbolistica

    del Vecchio Testamento. Essa ha avuto grande

    importanza nella storia dellEbraismo e notevole

    in uenza sulla mistica cristiana e sulla teoso a

    moderna.

    Un capitolo della storia della Cabbala

    cristiana comprende la loso a occulta, ermetica

    ed esoterica delletà elisabettiana, oggetto di

    particolari studi da parte di Frances A.Yates (1899-

    1981), la più autorevole specialista della materia,

    che ha insegnato allUniversità di Londra e presso

    lo Warburg Institute.

    Nel libro Cabbala e occultismo nelletà

    elisabettiana, edito anche da noi in una collana

    economica, la Yates indaga sulle basi della loso a

    al tempo dei Tudor, unepoca particolarmente

    fervida di studi e di ricerche letterarie e storiche.

    Puntando su due eventi epocali come la cacciata

    degli Ebrei Sefarditi dalla Spagna (1492) e il loro

    insediamento in Inghilterra (1660), la ricercatrice

    inglese sovrappone limmagine dei dotti Ebrei

    fuggiaschi a quella dei Greci che, dopo la caduta

    di Bisanzio, si sparsero per lItalia e per lEuropa

    in una emigrazione forzata che produsse in tutti e

    due i casi straordinari fermenti culturali. E allora

    lArs Compendiosa di Raimondo Lullo (1227),

    concepita in una Spagna dove da secoli avevano

    convissuto Cristianesimo Ebraismo e Islamismo,

    che ripropose e preparò le forme rinascimentali

    della Cabbala cristiana.

    Per giungere allInghilterra elisabettiana

    infatti si deve partire dalla Spagna delle tre fedi

    e del catalano Lullo e si passa dallItalia con Pico

    della Mirandola, con il frate veneziano Francesco

    Giorgi e altri cabbalisti cristiani come Egidio da

    Viterbo, dalla Germania con Reuchlin, Dürer e

    Cornelio Agrippa e dalla Francia dove si accende

    OCCULTISMO RINASCIMENTALE

    La scrittrice Frances A. Yates

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    il contrasto tra la fortuna del Giorgi (tradotto in

    francese nel 1578) e la demonizzazione del tedesco

    Agrippa.

    A siffatto percorso continentale si af ancano

    i tentativi di trapiantare dallInghilterra i messaggi

    di riforma come la missione di John Dee alla

    corte di Rodolfo II di Boemia e i fugaci teoremi

    coltivati alla corte di Federico V (re di Boemia

    per un anno) e la sua sposa inglese Elisabetta,

    glia di Giacomo I Stuart. Furono quelli i poli

    di un vasto movimento di riforma fondato sulle

    ricchezze spirituali della loso a occulta. Una

    tensione profetica e biblica dovuta in larga parte

    al londinese Dee che a Praga diffuse tra il volgo

    predizioni sullordine futuro dei mondo cristiano.

    Mettendo a raffronto i risultati della Yates

    con quelli di Leo Spitzer sullArmonia del

    mondo emerge che, pur attingendo dalle stesse

    fenomeniche, af ora un evidente contrasto: costui

    tende a mettere a fuoco gli elementi

    di continuità nello sviluppo

    temporale mentre la Yates denuncia

    le lacerazioni sincroniche. Spitzer

    mette insieme i Cori del Palestrina,

    larchitettura di San Pietro e le

    speculazioni di Giordano Bruno.

    Per la Yates il rogo che arse il Bruno

    nel 1600 è un punto nodale del

    secolo e la sua visita in Inghilterra

    corrisponde a quella di John Dee a Praga. Rogo

    e visita costituiscono entrambi la linea più

    avanzata di una loso a occulta che era tensione

    religiosa e pensiero scienti co, e traeva linfa dal

    neoplatonismo rinascimentale e dalla Cabbala.

    La Controriforma (della quale risentirono anche i

    Paesi riformati) nì per degradare la prassi della

    Cabbala da metodo di esegesi culturale a magia,

    bianca o nera, come si sbizzarrirono le letterature

    (Il Faustus di Marlowe o quello di Goethe, per

    esempio) tracciando le linee di vitali stagioni

    artistiche come quella elisabettiana.

    A tutta prima questa cultura cinque-

    seicentesca sembrerebbe lontana mille miglia dalla

    prassi e dal pensiero odierni se non si ravvisasse

    che la realtà letteraria, culturale, etica e politica

    affonda ancora le sue radici su quelle metodologie

    ideologiche.

    Giorgio Antinoris

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    Nato nel 1265 a Firenze,

    nel 1290 inizia la sua attività

    politica, che si concreta nel 1295

    quando si iscrive allArte dei

    medici e degli speziali, poiché,

    secondo gli Ordinamenti di

    Giano della Bella, per essere

    eletti bisognava essere iscritti in

    una delle corporazioni.

    Assolve a diversi incarichi

    pubblici come membro del

    Consiglio dei Savi e poi del

    Consiglio dei Cento. Nel 1300

    ricopre la carica di Priore (ossia

    di capo della città) e, per mettere

    ne alle lotte fra Bianchi e Neri, che dilaniavano

    la città, manda in esilio i capi delle due fazioni,

    compreso il poeta e amico Guido Cavalcanti, che

    morirà in esilio per febbri malariche.

    Nel 1301 viene mandato come ambasciatore

    a Roma presso il papa Bonifacio VIII. Forse un

    complotto. Infatti durante la sua assenza Carlo di

    Valois, cha favoriva i Neri, avversari di Dante, accusa

    il Poeta di baratteria (oggi diremmo corruzione). Nel

    1302 la condanna per baratteria viene formalizzata

    con lesclusione perpetua dai pubblici uf ci e la

    confisca dei beni. Ma nel marzo dello stesso

    anno viene condannato addirittura al rogo

    per empietà. Dante non potrà più rientrare

    in Firenze, dove lascia la moglie e i figli,

    intraprende la via dellesilio e non tornerà

    mai più a Firenze. E andrà pellegrino di corte

    in corte offrendo il suoi servigi

    ai vari signori dItalia. Si rivelò

    un abile ambasciatore e conquistò

    la stima e lamicizia di uomini

    potenti che furono ben lieti di

    ospitarlo e che Dante ringrazia

    immortalandoli nel suo poema. A

    Verona sarà ospitato da Cangrande

    della Scala, a Ravenna nel 1318

    da Guido Novello da Polenta.

    Qui morirà nel 1321, anche lui

    a causa di febbri malariche, che

    erano allora molto diffuse e alle

    quali non si sapeva come porre

    rimedio. Sarà sepolto nella chiesa

    dei Francescani, che oggi è meta di migliaia

    di visitatori.

    Linizio della Commedia coincide con l

    esilio, forse il 1307, in quanto Dante desidera

    vendicarsi dei suoi nemici, che mette alla

    berlina nei vari cerchi e gironi dellInferno.

    Poi nel Purgatorio e soprattutto nel Paradiso

    il suo pensiero volerà alto alla ricerca di Dio.

    La Commedia sarà chiamata divina

    da Giovanni Boccaccio, grande estimatore

    di Dante. E proprio a messer Boccaccio sarà

    concesso lalto onore di leggere i versi della

    Commedia in chiesa.

    Il trattato più chiaramente politico di

    Dante è il De Monarchia, scritto in latino, quel

    latino medievale, che piaceva a Dante e che

    sempre il Petrarca rifiutò, preferendo usare

    DANTE E LA POLITICA

    Per i 750 anni dalla nascita del poeta

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    una forma assai più elegante sul modello di

    Cicerone. Il trattato, articolato in tre libri, fu

    probabilmente ispirato dalla discesa in Italia

    dellimperatore Arrigo VII (1310), che suscitò

    in Dante grandi speranze.

    Infatti il Poeta pensava che solo

    unificando lItalia sotto un unico signore si

    potessero evitare le infinite contese fra le varie

    fazioni e i vari signori. Purtroppo Arrigo VII

    morì troppo presto, nel 1313, a soli trentotto

    anni, forse avvelenato. Lopera è di grande

    interesse non solo per la comprensione della

    Commedia, perché è uno dei trattati più acuti sul

    pensiero politico medievale. Nel libro primo

    pone il fondamento metafisico dellumano

    consorzio proteso alla conquista intellettuale

    di tutta la conoscenza umanamente possibile,

    nella quale è la nostra felicità terrena. Per

    Dante, dunque, il sapere è il fondamento della

    felicità. Ma solo la Monarchia può garantire

    lattuazione di questo fine, perché lascia

    luomo libero da contese, protetto da un unico

    signore.

    Ma su questa concezione rasserenante si

    erge un potenziale nemico: il Papa. Si dibatteva

    allora il problema se fosse più importante

    lImperatore o il Papa, se il potere

    temporale dovesse essere sottomesso a

    quello spirituale o viceversa. Iniziava

    la famosa lotta per le investiture che

    si trascinò per tutto il Medioevo. A chi

    spettava il potere di nominare conti e

    marchesi, assegnando terre e castelli?

    Doveva essere limperatore o il Papa?

    Non è vero, secondo Dante, che lim-

    peratore è la Luna e il Papa è il Sole. Ma

    neppure viceversa. Fu un errore gravissi-

    mo la donazione che Costantino fece al Papa

    della città di Sutri, perché da qui iniziò il po-

    tere temporale dei Papi, che avrebbe dovuto

    essere solo spirituale. Secondo Dante il po-

    tere dellImperatore deriva da Dio come quel-

    lo del Papa: sono quindi due Soli, che splen-

    dono con pari luce in campi diversi.

    Il De Monarchia fu uno dei testi

    fondamentali del pensiero politico tardo

    medievale, che stabilisce lautonomia della

    ragione rispetto alla fede e di conseguenza

    dellImpero rispetto alla Fede, fatta salva la

    rerevenza che limperatore deve al Papa come

    il figlio al genitore.

    Il genere umano - sostiene ancora Dante

    - è proteso allattuazione del fine morale, che

    consiste nella conquista di tutta la conoscenza

    possibile, nella quale è la nostra felicità

    terrena. Il De Monarchia divenne molto

    noto nel Medioevo,anzi divenne un testo

    fondamentale del pensiero politico del tempo,

    ove si sosteneva lautonomia della ragione

    rispetto alla fede e quindi dellImpero rispetto

    alla Chiesa.

    Clara Rubbi

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    Era nato a Torino il 4 gennaio 1915 da un

    vecchio ceppo piemontese, come non mancava di

    ricordare con compiacimento, e qui è morto il 2

    marzo 1989.

    Alla sua città lo legavano

    radici profonde che non vennero

    mai meno, come attestano, tra

    laltro, le numerose pubblicazioni

    di carattere scienti co e divulgativo

    che a Torino (e al Piemonte) ha

    continuato a dedicare nellarco della

    sua più che cinquantennale attività di

    studioso. Amava però molto anche

    la Liguria, non a caso trascorreva

    sistematicamente le sue estati al

    mare nella sua casa di Ospedaletti,

    dove in realtà era solito trascorrere

    buona parte delle giornate sugli

    amati libri. Questo almeno sino a

    quando, a partire dalla seconda metà degli anni

    70, abbiamo instaurato la consuetudine, per me

    particolarmente eccitante e fruttuosa, di trascorrere

    un periodo di vacanza in Sardegna insieme con

    le nostre mogli: settimane di indimenticabili

    esperienze di svago, ma soprattutto di pro cuo

    lavoro.

    Con Genova, e non solo con lambiente

    universitario che ruotava attorno alla Facoltà di

    Scienze politiche, aveva solidi rapporti e ogni anno

    trovava modo di assicurare a più riprese la sua

    presenza in città. Un legame che non venne mai

    meno e che non si limitava a dotte conferenze e a

    riunioni di ordine accademico, ma che si esaltava

    con il suo amore per la buona cucina e per alcuni

    piatti liguri da lui particolarmente

    graditi. Anzi, era per lappunto in

    queste occasioni che gli piaceva

    rimarcare come altamente plausibili

    lontane ascendenze liguri della

    famiglia paterna, come del resto

    sembrava attestare in maniera

    inequivocabile il suo cognome.

    Le origini modeste della sua

    famiglia, da lui peraltro ribadite

    più volte con orgoglio, non gli

    impedirono di completare gli studi

    classici nel prestigioso liceo torinese

    Massimo dAzeglio e di iscriversi

    poi alla Facoltà di Giurisprudenza,

    dove si laureò nel 1937. Lo scarso interesse per

    gli insegnamenti giuridici, il suo amore per la

    letteratura e in particolare per la poesia lo portarono

    a seguire alcuni corsi della Facoltà di Lettere

    di Torino, almeno sino allincontro con Gioele

    Solari che a Giurisprudenza insegnava Filoso a

    del diritto: il maestro dei maestri col quale

    si erano già laureati generazioni di intellettuali

    formatisi nellateneo torinese, da Piero Gobetti

    ad Alessandro Passerin dEntrèves, da Uberto

    Scarpelli a Norberto Bobbio. Fu un incontro

    IL PENSIERO POLITICO

    DI LUIGI FIRPO

    A CENTANNI DALLA NASCITA

  • 12

    occasionale e scabro, originato come ricorda lo

    stesso Firpo dal ritrovamento su di una bancarella

    di unedizione lologicamente infame, ma per

    me benedetta, delle Poesie di Campanella; fu così

    che scoprì il pensatore di Stilo e che decise con

    determinazione di scrivere una tesi di laurea su di

    lui.

    Superata liniziale dif denza di Solari, Firpo

    si laureò con la tesi dal titolo già emblematico:

    Tommaso Campanella nellunità del suo pensiero

    politico, loso co e religioso, che unaggiunta

    autografa nella copia da lui conservata nel suo

    archivio personale attesta essere stata nita il 14

    ottobre 1937.

    Lincontro con quello che sarebbe diventato

    lautore della sua vita di studioso fu quindi

    determinato dal suo grande amore per la poesia.

    Un amore che era dif cile da intuire e da capire

    specie per chi lo conosceva in maniera super ciale

    e restava maggiormente in uenzato dai suoi modi

    talora decisi e severi, o dal suo aspetto imponente,

    dominato da quel volto dai tratti forti ed espressivi

    che, come lui stesso ricordava quasi con piacere, lo

    aveva fatto scambiare negli Stati Uniti nientemeno

    che per un famoso e omonimo pugile argentino.

    A pieno diritto e senza ombra di dubbio

    Firpo occupa un posto primario tra i grandi maestri

    della Storia del pensiero politico, e non solo per

    le sue ricerche, che gli diedero ben presto notorietà

    nazionale e internazionale. Contribuì infatti in

    maniera decisiva alla de nizione dellambito

    scienti co e dellautonomia disciplinare della

    Storia delle dottrine politiche nei confronti di

    altri saperi caratterizzati da una più consolidata

    tradizione scienti ca e accademica. Parimenti si

    batté con impegno negli organismi istituzionali e

    ministeriali per listituzione di riformate e autonome

    Facoltà universitarie di Scienze politiche e proprio

    nella Facoltà torinese di Scienze politiche, dove

    si era trasferito nel 1969 (appena istituita anche

    per il suo apporto decisivo), volle terminare la sua

    carriera di docente di una disciplina che insegnò

    ininterrottamente dal 1946.

    Amava presentarsi come storico delle

    idee politiche, ribadendo con forza che le idee

    andavano studiate e ricostruite in quella composita

    trama di situazioni, di polemiche e di percorsi

    teorici in cui si erano affermate, articolate e diffuse.

    Da qui la sua attività di ricercatore rigoroso, di

    instancabile frequentatore di fondi manoscritti: un

    lavoro meritorio che gli ha permesso magistrali

    ricostruzioni storiche e lologiche di personaggi,

    dibattiti e idee politiche, insieme con preziosissime

    edizioni critiche di numerose opere di pensatori

    del Rinascimento e della Controriforma, in

    particolare, ma anche di secoli successivi (valgano

    per tutti i suoi contributi su Cesare Beccaria, Karl

    Marx, Benedetto Croce e Luigi Einaudi). La sua

    era una storia delle idee politiche che pur nella

    sua consapevole autonomia era costruita in

    costante e indispensabile rapporto con la storia

    delle idee in senso lato, ma in particolare con la

    storia delle idee giuridiche, economiche e sociali,

    senza dimenticare ovviamente lapporto della

    loso a, della letteratura e della scienza.

    A Campanella ha dedicato oltre 130

    pubblicazioni, che forse più di altre ci permettono

    di capire la sua prospettiva teorica e metodologica.

    Non si stancava infatti di ribadire limportanza

    imprescindibile di quel lavoro lologico oscuro

    ma non arido, di quella fatica umile e ingrata

    sui manoscritti, sulle edizioni critiche dei testi, resi

  • 13

    nalmente af dabili, sulle indispensabili ricerche

    biogra che e bibliogra che. Solo radicando

    pienamente un autore nel suo tempo, nelle sue

    vicissitudini umane, nei suoi studi e nelle sue

    relazioni, diventava infatti possibile dar corpo

    pienamente al suo pensiero e soprattutto evitare

    di fraintendere le sue idee. Ecco allora il carattere

    essenzialmente storico e lologico della sua storia

    del pensiero politico; una ricostruzione che non si

    limita ovviamente al momento documentario, ma

    che riesce a trovare in esso il supporto per quelle

    illuminanti pagine teoriche che hanno guidato una

    parte consistente della ricerca storico-politica della

    prima età moderna.

    Dal 1939 al 1941 le pubblicazioni di

    Firpo furono tutte su Campanella. Poi, sempre

    sulla scia del calabrese, arrivano gli studi sugli

    eretici Giordano Bruno, Francesco Pucci (da

    tempo compagni di malasorte) e sul piemontese

    Giovanni Botero, teorico della ragion di Stato

    (plagiato da Campanella), sui quali scrisse

    quasi senza interruzione a partire dal 1948.

    Thomas More con la sua Utopia entrò nel 1952

    nel novero dei pensatori particolarmente cari a

    Firpo e mai da lui abbandonati: un lone utopico

    affrontato sulla scia della Città del sole del

    calabrese. Nellapprofondimento delle tematiche

    campanelliane e nella ricerca delle loro fonti,

    Firpo incontrò ovviamente numerosi altri

    personaggi e altri loni di pensiero ai quali dedicò

    contributi ancor oggi di fondamentale importanza.

    Mi limito a citare quelli a lui più cari, continuando

    ad elencarli nellordine del loro ingresso nella sua

    enorme produzione a stampa: Niccolò Machiavelli

    (1960), Galileo Galilei (1962), Leonardo da Vinci

    (1962), Girolamo Savonarola (1963) ed Erasmo da

    Rotterdam (1966), per citarne solo alcuni.

    Si assiste così ad unincessante apertura

    di nuovi fronti strettamente connessi tra di loro,

    emblema di un rigore di ricerca e di un metodo

    scienti co padroneggiati con perizia sempre più

    consumata. Non a caso si affermò ben presto

    malgrado le enormi dif coltà degli anni di guerra

    e di immediato dopoguerra come lo studioso

    del pensiero politico del Rinascimento e della

    Controriforma. Del resto, fu tra i primi a ricevere

    lautorizzazione a far ricerche presso lArchivio

    dellInquisizione subito dopo la ne della seconda

    guerra mondiale, quando lArchivio era ancora

    inaccessibile agli studiosi e vi tornò nellultimo

    decennio di vita (di nuovo con un permesso

    straordinario visto che lArchivio era ancora chiuso

    al pubblico) traendone documenti fondamentali.

    Fu indefesso promotore e direttore di

    numerose collane e iniziative editoriali: primi

    fra tutti i Classici del pensiero politico e la

    prestigiosa Storia delle idee politiche, economiche

    e sociali in 8 voll. (Torino, Utet). Oratore forbito

    e uente, ma anche brillante polemista e scrittore

    di raf nata eleganza, collaborò a numerosi

    quotidiani e periodici, in particolar modo a La

    Stampa (Torino). La preziosa e ricca biblioteca

    da lui creata con ostinate ricerche e passione

    di biblio lo, è ora una struttura portante della

    Fondazione Luigi Firpo - Centro di studi sul

    pensiero politico, nata a Torino nel 1989, che è

    diventata un punto di riferimento e di incontro

    nazionale e internazionale per gli studiosi, con i

    suoi numerosi convegni e seminari, oltre che con

    le sue iniziative economiche volte a formare e

    valorizzare giovani studiosi.

    Enzo Baldini

  • 14

    I promessi sposi di Alessandro Manzoni

    sono sempre stati giudicati e presentati come un

    romanzo storico, sia per lampia descrizione della

    Lombardia nel Seicento sotto il dominio spagnolo,

    sia per la nefasta calata dei Lanzichenecchi,

    soldati di ventura, pericolosi devastatori; sia per

    la descrizione della pestilenza, che si scatenò nel

    1630, probabilmente

    portata proprio da

    questi soldati sporchi

    e intemperanti. Da

    sempre nelle storie

    della letteratura

    italiana si è giudicato

    questo romanzo come

    appartenente al genere

    storico, dominato

    dal concetto di

    Provvidenza, frutto

    della conversione alla

    religione cattolica dellautore. Basterebbe citare la

    frase conclusiva del capitolo VIII, per non avere

    alcun dubbio sulla concezione provvidenziale

    della storia concepita dal Manzoni: Dio è per

    tutto e non turba mai la gioia dei suoi gli se non

    per prepararne loro una più certa e più grande.

    La storia, dunque, è dominata dalla

    Provvidenza divina: a questo punto sinnesta il

    problema della libertà delluomo. Si è parlato

    persino del possibile giansenismo del Manzoni:

    secondo Giansenio, infatti, luomo si salva dal

    peccato, solo con laiuto di Dio. Lucia doveva subire

    il rapimento, per essere la causa provvidenziale dei

    pentimenti della Monaca di

    Monza e dellInnominato,

    perché con la propria forza

    spirituale non si sarebbero

    salvati.

    Ma oggi si affaccia

    unaltra ipotesi: sotto

    il racconto storico è

    probabilmente sotteso un

    discorso politico. Non

    dimentichiamo che il

    Manzoni da giovanissimo

    visse con sua madre nel

    1805 a Parigi, dove ancora si respiravano le idee

    illuministiche, che avevano costituito la base

    culturale della Rivoluzione francese. A questo

    punto vale la pena di fare alcune considerazioni.

    Il Manzoni vuole raccontare, al di là della

    storia damore di Renzo e Lucia, lincidenza

    I PROMESSI SPOSI

    un romanzo politico?

  • 15

    del fattore politico in tutte le

    dimensioni e in tutti i meccanismi

    della vita pubblica. Anche la

    presenza dei cosiddetti bravi,

    sorta di guardia del corpo o di

    milizia personale dei ricchi signori,

    innesta un discorso politico che

    evidenzia lincapacità del governo

    a contrastare questi gruppi, che oggi

    de niremmo paramilitari. Eppure

    le leggi esistevano contro queste

    guardie del corpo non autorizzate ed erano rese

    note attraverso manifesti attaccati ai muri, dove si

    speci cava anche il divieto di portare il ciuffo,

    che copriva parte del viso e rendeva dif cile

    lidenti cazione di chi lo portava, così come oggi

    i delinquenti mascherano il volto sia nelle rapine

    che nelle sommosse.

    Ricordiamo come viene affrontato il tema

    della giustizia, che sincrocia con

    quello della fame: Renzo viene

    arrestato come responsabile della

    rivolta dei poveri contro la fame, che

    spingerà il popolo al conseguente

    assalto ai forni. Lassalto ai forni

    è un gesto rivoluzionario, che al

    Manzoni piace raccontare, perché

    forse pensava alla presa della

    Bastiglia a Parigi, determinata

    dallira del popolo francese affamato

    e dallincoscienza dei regnanti del tempo. Celebre

    la risposta che la regina Maria Antonietta fece a

    chi le diceva che il popolo non aveva il pane: Se

    non hanno pane, che mangino delle brioches.

    Non dimentichiamo neppure i processi som-

    mari contro gli untori, considerati responsabili

    della pestilenza, mentre la terribile malattia era

    stata portata in Italia dai Lanzichenecchi, milizie

  • 16

    mercenarie tedesche, tri-

    stemente famose per le de-

    vastazioni che lasciavano

    nei territori da loro attra-

    versati.

    Ignoranza e supersti-

    zione dominano la situa-

    zione politica, nonostante

    la lettera pastorale del car-

    dinale Federigo Borromeo:

    la diffusione della peste fu

    il risultato dellignoranza

    del popolo e della malafede di alcuni medici che

    negavano la presenza della peste ma accettavano la

    de nizione di febbri maligne: una vera e propria

    trufferia di parole come la de nisce il Manzoni.

    Quando poi la pestilenza fu accertata, i medici, per

    giusti care la loro ignoranza, sparsero la voce che

    erano arti vene che, operazioni diaboliche, gente

    congiurata a sparger la peste per mezzo di veleni

    contagiosi. Anche questa malafede da parte dei

    medici è un attacco allinef cienza di chi coman-

    dava.

    Ma cè anche una considerazione importante

    da non trascurare: la processione, che fu richiesta

    come gesto di pietà religiosa, in onore di San

    Carlo, fu un errore gravissimo, perché moltiplicò

    il contagio. Lo stesso Manzoni, uomo di fede, non

    esita a condannarla. II giorno dopo la processione,

    infatti, la furia del contagio andò crescendo.

    Anche in questo caso il discorso è politico,

    perché insiste sulla incapacità di chi governava

    a controllare il contagio, considerato non come

    unemergenza sanitaria, ma come un misterioso

    male cio, di cui le cosiddette unzioni erano la

    prova.

    Le unzioni erano costituite da una specie

    di sostanza grassa e fangosa, che veniva spalmata

    sulle porte delle case da probabili cattivi soggetti

    che avevano interesse a diffondere la paura. Così,

    invece che provvedere agli ammalati, si perdevano

    tempo ed energie alla caccia degli untori. Da

    notare che la parola untore, che è accolta nel

    vocabolario italiano, ha solo questo signi cato a

    perenne infamia di chi praticò in quellepoca l

    unzione delle porte e di altri oggetti per burla ,

    per malvagità o per interesse.

    Clara Rubbi

  • 17

    E il 15 giugno del 1215 quando in

    Inghilterra viene promulgata presso Runnymede,

    un bel prato lungo il ume Tamigi, nella contea di

    Surrey, la Magna Charta Libertatum, - chiamata

    magna per non confonderla con un provvedimento

    minore, una carta emanata proprio in quegli anni

    per regolamentare i diritti di caccia - scritta in

    latino con cui il re dInghilterra Giovanni Senza

    Terra riconobbe i diritti dei feudatari, della Chiesa,

    delle città inglesi.

    Un documento che può essere considerato il

    primo passo sulla via della costituzione che nasce

    in seguito ad una particolare situazione storica che

    portò il re Giovanni Senza Terra, uomo crudele ed

    egoista, ad abusare della legge feudale: Giovanni

    Senza Terra per riconquistare i possedimenti dei

    Plantageneti in Francia mosse una guerra contro il

    regno di Francia, che nanziò tramite una pesante

    tassazione dei suoi baroni. La guerra ebbe un esito

    negativo e questo comportò una prima rivolta

    dei baroni, che ri utarono, il 15 maggio 1215, la

    fedeltà al re. I baroni in armi che la estorsero a

    re Giovanni a Runnymede non erano uomini di

    particolare valore, ma il loro alleato, larcivescovo

    Stephen Langton, possedeva una grande nobiltà

    danimo e dintelletto. E necessario ricordare che

    il suo appoggio alla causa costituzionale era in

    contrasto coi desideri del grande papa Innocenzo

    III che aveva dichiarato la Magna Charta

    priva di qualsiasi validità. A Runnymede, il 15

    giugno, si tenne lincontro con i baroni ribelli e

    il re Giovanni si vide costretto, in cambio della

    rinnovata obbedienza, a fare alcune concessioni.

    Il documento è composto da una introduzione

    A otto secoli dalla Costituzione Inglese

    LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM

    · S T O R I A ·

  • 18

    e da ben 63 articoli, in cui emergono lHabeas

    Corpus, (Abbi il tuo corpo. Cioè la garanzia per

    tutti gli uomini liberi di non essere imprigionati

    senza subire un processo), il legame tra tassazione

    e il concetto di rappresentanza nonchè il diritto

    dei cittadini ad opporsi al potere nel caso

    diventasse oppressivo. La Magna Charta

    regolamentava anche la legge consuetudinaria,

    detta dellaforesta, che aboliva i demani regi e le

    multe elevate ai trasgressori. In più, il documento,

    in materia economica, concedeva a tutti i mercanti,

    tranne quelli provenienti da paesi in guerra con

    il re, il diritto gratuito di ingresso e di uscita dal

    Paese. Va sottolineata come la resistenza feudale

    dei baroni alle pretese della Corona, si mutò a

    poco a poco in resistenza di ordine costituzionale

    che coinvolse tutti gli altri strati di cittadini liberi

    termine che nel 1215 era di portata modesta, ma,

    grazie allevoluzione economica e giuridica dei

    tre secoli successivi, giunse a comprendere tutti i

    discendenti di ogni servo della gleba e a rendere

    tutti gli inglesi liberi di fronte alla legge, e

    durante il regno di Giovanni ma soprattutto del

    suo successore Enrico III, laddove si cominciò a

    formulare in modo più preciso il concetto della

    legge come qualcosa che appariva dotato di vita

    propria, distinto dal regio. Qualche cosa al di sopra

    del re, mediante il quale egli deve governare.

    Durante i secoli la Magna Charta,

    generalmente in primo piano, rimase invece

    relegata sullo sfondo della scena nei secoli

    XIV e XV quando nella mente degli uomini il

    Parlamento tenne il posto occupato dalla Charta,

    e soprattutto ai tempi dei Tudor poichè sottolineava

    la discordanza di interessi fra il principe e il popolo.

    Il Re Giovanni di Shakespeare dimostra che

    lautore poco conosceva della Magna Charta,

    pur trattando la tragedia della deposizione e della

    morte di Riccardo II Ma con gli Stuart, quando

    il principe e il popolo di nuovo si trovarono

    impegnati in campi opposti, riprese tutta la sua

    importanza. Venerata nel XVIII secolo, lepoca

    della libertà privilegiata, fu considerata il simbolo

    che raccoglieva in sintesi la spirito di tutta quanta

  • 19

    la costituzione. Anche lAmerica insorse in suo

    nome, e nella celebrazione di questi princìpi ricerca

    tuttora laf nità spirituale con il popolo inglese.

    Toccò alla nostra epoca di studiarla sotto laspetto

    di documento storico, senza mai dimenticare che

    la sua importanza storica non consiste soltanto

    in quello che gli uomini del 1215 intendevano

    affermare con le sue clausole, ma nelleffetto che

    essa ha determinato sui loro discendenti.

    La Magna Charta fu riprodotta in

    numerose copie, alcune delle quali risalenti al 1215

    sono arrivate no ai giorni nostri, Quattro sono

    i manoscritti originali sopravvissuti, questanno

    esposti alla British Library a Londra. I documenti

    erano scritti in latino a mano, utilizzando penna

    doca su pergamena e avevano il sigillo reale, che

    ne certi cava la validità. Sulloriginale del 1215

    non cerano rme e nemmeno i sigilli dei singoli

    baroni che avevano ottenuto le concessioni da

    Giovanni. Concludendo, a coloro che ancor oggi

    affermano che limportanza della Magna Charta

    è stata forse esagerata, é suf ciente ricordare

    le clausole 39 e 40, che stabiliscono il principio

    fondamentale di quello che oggi chiamiamo lo

    Stato di diritto, perché essa possa proclamarsi uno

    dei pilastri della democrazia mondiale:nessuno,

    nemmeno il re, è al di sopra delle leggi, alla

    quale segue la concessione dei diritti individuali

    fondamentali, tra cui quello al giusto processo.

    A nessuno venderemo, negheremo,

    differiremo a ri uteremo il diritto o la giustizia.

    Silvana Canevelli

  • 20

    Il lago di Costanza è situato nella zona

    centrale dellEuropa, racchiuso tra Svizzera,

    Germania e Austria.

    Lo specchio dacqua si estende su una

    super cie di 539 chilometri quadrati, la quale è

    suddivisa tra le citate nazioni.

    Ciascun settore, per effetto delle norme di

    diritto internazionale, fa parte delle acque interne

    del proprio stato.

    Il frazionamento, così come evidenziato

    nella seguente piantina, non è stato eseguito in

    parti uguali, bensì in maniera proporzionata alla

    lunghezza dei rispettivi litorali che si affacciano

    sul lago.

    Si tratta di un bacino di origine glaciale

    formato dal Reno, la cui sorgente si trova nelle

    Alpi svizzere.

    Il ume, prima di entrare nel lago in

    prossimità di Schaffhausen, forma una cascata alta

    20 metri e larga 150 la quale prende il nome della

    stessa città elvetica.

    La navigazione sul lago è regolata da

    apposita Convenzione stipulata il 22 settembre

    1867 dai menzionati tre stati con nanti. Il trattato

    è stato aggiornato in data 1 giugno 1973.

    Intorno al lago si sono veri cati, nel tempo,

    numerosi avvenimenti di particolare rilievo

    storico. In questarticolo ne vogliamo ricordare

    alcuni assieme ai relativi protagonisti.

    La priorità compete, per il doveroso rispetto

    nei confronti di Alessandro Manzoni, alla poesia Il

    cinque maggio scritta per commemorare il decesso

    di Napoleone avvenuto nel 1821.

    In tale opera il celebre scrittore milanese

    citò il ume Reno, allo scopo di ricordare le

    campagne militari combattute da Bonaparte contro

    la Germania dal 1805 al 1813.

    La Svevia è una regione che si affaccia sul

    lago di Costanza e il suo nome deriva dallomonima

    città fondata dai Romani nel IV secolo d. C. Adesso,

    il territorio fa parte del Land della Baviera, ossia

    uno dei 16 stati federali della Germania.

    Il territorio divenne un ducato e nel 1079

    fu assegnato al casato degli Hohenstaufen, che

    lo detennero per circa due secoli no alla loro

    estinzione.

    Era una famiglia tedesca che, con tutta

    probabilità, prese il nome dal castello che il

    capostipite Federico di Buren fece costruire nella

    regione di Wurttemberg nel 1070.

    La dinastia divenne potente sotto Federico I,

    conosciuto anche con il soprannome di Barbarossa.

    Fu un vero e proprio protagonista della storia

    medioevale, in modo particolare di quella italiana.

    La sua scalata al potere fu molto rapida. Nel 1147

    divenne duca di Svevia a soli 25 anni. Da quel

    momento il ramo fu detto anche casa di Svevia.

    Incoronato re di Germania nel 1152 adottò, n

    dallinizio, una politica di grande conciliazione nei

    confronti dei maggiori feudatari tedeschi.

    La sua intenzione era di rafforzare sempre di

    più il proprio dominio.

    Riuscì nel suo intento utilizzando scaltrezza

    mista a una buona dose sia di audacia che di

    spregiudicatezza.

    Tre anni dopo, infatti, fu proclamato

    Imperatore del Sacro Romano Impero.

    Alletà di 33 anni ebbe quindi il comando

    assoluto su un vasto territorio, dove viveva una

    moltitudine di persone.

    Scese in Italia con lesercito allo scopo di

    affermare la sua egemonia sui liberi comuni e sul

    papato.

    Tuttavia, Federico rimase sempre saldamente

    legato alla sua terra di origine, ossia la Svevia.

    I diversi interventi militari imperiali contro

    TRE CONFINI DENTRO UN LAGO

  • 21

    le varie alleanze dei comuni italiani fallirono. Visto

    il modesto esito dellazione bellica, con abilità

    Barbarossa convocò gli avversari a Costanza nel

    1183 per stipulare la pace.

    Il trattato passò alla storia con il nome

    della stessa città. Limperatore intuì la necessità

    di cambiare metodo. Preparò quindi lespansione

    verso lItalia con il matrimonio del glio Enrico IV con Costanza dAltavilla, glia di Ruggero II re di Sicilia.

    Da precisare che non esiste alcun riferimento tra il lago di che trattasi e il nome della regina, perché la sua famiglia era di origine normanna.

    Dante Alighieri trattò con riguardo questa sovrana, madre dellimperatore Federico II di Hohenstaufen.

    Infatti, nella Divina Commedia il poeta raccontò daver incontrato la sua anima in Paradiso.

    Un altro grande evento da ricordare è il concilio ecumenico convocato a Costanza dallimperatore Sigismondo di Lussemburgo nel 1414. Lo scopo principale del congresso dei vescovi era di porre ne allo scisma religioso dOccidente in atto.

    La frattura si era creata a seguito del trasferimento della sede del ponte ce a Roma, la quale era rimasta per lungo tempo ad Avignone.

    Come se tutto ciò non bastasse, la situazione era resa ancor più confusa a causa della contemporanea presenza di tre papi.

    Il concilio fu intransigente nei confronti dei dissidenti. Decise che le opinioni contrarie al papato manifestate dallinglese John Wycliffe e dal boemo Jan Hus fossero delle eresie.

    Conseguentemente li condannò entrambi al rogo per grave sacrilegio.

    Da tener presente che Wycliffe era deceduto addirittura nel 1384, pertanto furono esumati i suoi resti e bruciati assieme ai libri che aveva scritto.

    Per il boemo, invece, le cose andarono male perché era presente ai fatti.

    Accusato di eresia Hus ri utò di abiurare. Fu pertanto incatenato, trascinato sulla

    catasta di legna e gettato alle amme. I lavori del concilio durarono quattro anni e,

    al termine, fu eletto papa Martino V.Proseguiamo il racconto e passiamo al XX

    secolo per ricordare Ferdinand von Zeppelin (1838-1917).

    Era nato a Costanza da una nobile e agiata famiglia tedesca.

    Completati gli studi dingegneria assunse il comando della fabbrica della famiglia, la quale si trovava a Friedrichshafen, una località tedesca situata sul lago.

    Ai nostri giorni la città è un importante centro turistico e fa parte del Land Baden-Wurttemberg.

    In tale sito industriale Zeppelin, allinizio del secolo scorso, progettò e realizzò un areostato a cui diede il proprio nome. Era un apparecchio, meglio conosciuto con il nome di dirigibile, di forma affusolata, munito di apparato propulsore e dei relativi organi di manovra. Le strutture portanti erano costituite da unarmatura metallica in lega leggera.

    Le prove funzionali del dirigibile furono eseguite sul cielo soprastante il lago di Costanza.

    E un luogo comune credere che il pallone che consentiva al dirigibile di volare fosse riempito di idrogeno, perché il progettista ignorava lalto potere in ammabile di tale elemento. La realtà è differente.

    Zeppelin, consapevole del rischio incendio, aveva previsto lutilizzo di elio, proprio perché è un gas con basso potere combustibile.

    Tuttavia, a seguito di un embargo disposto dagli Stati Uniti nei confronti della Germania nazista, divenne dif cile trovare rilevanti quantità di elio.

    Per questo motivo i costruttori che proseguirono la realizzazione del dirigibile, ventanni dopo il decesso dellinventore impiegarono lidrogeno anziché lelio.

    Lo fecero in piena coscienza e il risultato è ben noto a tutti.

    Il 6 maggio 1937 un pauroso incendio distrusse il dirigibile in pochi minuti.

    Nessuna delle persone che si trovavano a bordo riuscì a salvarsi.

    La storia del dirigibile nì quel giorno a Lakehurs, città del New Jersey (USA).

    Terminiamo queste note storiche per ricordare Eugenio Montale (1896-1981) premio Nobel per la letteratura del 1975.

    Il poeta genovese dedicò una poesia a Lindau, città della Baviera che si trova su unisola del lago di Costanza, la quale é collegata alla terraferma tramite un ponte.

    Franco Stefano Gazzo

  • 22

    Gli Autieri sono

    i Soldati che prestano

    servizio nellArma dei

    Trasporti e Materiali

    (TRA.MAT.) dellEsercito

    Italiano, che ha ereditato

    le tradizioni del Corpo

    A u t o m o b i l i s t i c o

    conservandone il nome e

    le mostrine nero/blu.

    Facciamo un passo

    indietro nel tempo; già nei

    primi anni del 900,veniva formato un Corpo di

    Volontari Ciclisti e Automobilisti, che pur essendo

    civili, potesse essere immediatamente impiegato

    in tempo di guerra. E in Libia durante la Guerra

    Italo/ Turca (1911-1912), che si capì limportanza

    dell autotrasporto militare, costituendo il primo

    Servizio Automobilistico che impiegava gli

    autocarri FIAT 15 TER .

    Ma fu durante la Prima

    Guerra Mondiale che gli Autieri

    si resero protagonisti in unepica

    impresa.

    Nell inverno del 1916 il

    Gen. Conrad von Hotzendorf

    piani cava la StrafeExpedition

    (spedizione punitiva) che

    avrebbe sferrato contro lItalia

    a metà maggio di quellanno.

    Il Comando Supremo Italiano

    per impedire agli Austriaci

    di riversarsi nella pianura

    vicentina, decise di fare af uire

    il più rapidamente possibile

    truppe e munizionamenti

    sugli Altipiani di Asiago.

    Così in soli quattro

    giorni, dal 19 al 22

    maggio, gli Autieri con

    circa 1000 autocarri

    FIAT 18 BL, formarono

    lunghe autocolonne e,

    guidando giorno e notte,

    trasportarono oltre 100.000

    uomini e equipaggiamenti,

    percorrendo distanze che variavano da 200 a 300

    Km. Questo episodio viene tuttora ricordato come

    la Battaglia degli Altipiani.

    Il 22 maggio di ogni anno si celebra la Festa

    degli Autieri, il loro motto è FERVENT ROTAE

    FERVENT ANIMI.

    Sono presenti in tutto il mondo nelle missioni

    di pace e nelle operazioni di soccorso delle

    popolazioni colpite da calamità

    naturali.

    A Genova la prima

    costituzione di un Gruppo di

    Autieri in Congedo risale al

    1938, ed è la prima grande città

    dItalia a intitolare loro unarea

    cittadina LARGO AUTIERI D

    ITALIA. Presso il Cimitero di

    Staglieno ci sono due signi cativi

    monumenti uno in Memoria dei

    Ciclisti e Automobilisti, laltro

    degli Autieri.

    Marcello Del no

    GLI AUTIERI: la loro storia

    Autocarro FIAT 18 BT: impiegato nella guerra 1915-1918

  • 23

    Siamo alla ne del Quattrocento e una

    dinastia gallese, i Tudor, ha ormai saldo in mano

    il potere di un regno conteso da due famiglie in

    una lotta sanguinosa detta delle Due Rose. Al

    trono era salito un ventenne bellissimo, forte,

    artista, elegante, teologo, musico, Enrico VIII, che

    la Chiesa di Roma, con Clemente VII sul soglio

    ponti cio, non aveva esitato a de nirlo Defensor

    Fidei per il suo vigoroso impegno a lanciarsi

    contro Lutero e tutti gli altri scismi continentali

    che mettevano a mal partito la Chiesa, già dolente

    per i Turchi alle porte di Vienna e per lincombente

    sacco di Roma delle soldataglie di Carlo V.

    Il fratello, re Arturo, aveva sposato Caterina

    dAragona, zia dellimperatore di Spagna, che

    ben presto muore lasciando a Enrico per eredità

    trono e vedova. Caterina, una donna austera,

    vestita sempre di nero, con intorno sempre dame

    spagnole, tediosa, rigida, bigotta, non certo una

    moglie ideale per un giovane che aveva ben altre

    aspirazioni amorose. Eppoi una moglie che, avuta

    una glia (Mary, la futura Bloody Mary), non

    poteva dargli un maschio per la successione.

    E qui entra in scena una famiglia, i Bolena,

    non nobile ma facoltosa e di provetti

    arrampicatori sociali, con un padre

    che riuscirà a farsi sentire a Corte

    no a diventare diplomatico, grazie

    anche al fascino di una glia, Anna,

    ambiziosa e spregiudicata. Salendo

    intraprendenti da non grandi fortune,

    i Bolena abitavano in un minuscolo

    maniero nel Kent, chiamato Hever,

    circondato da prati erbosi ondulati e

    folti gruppi di alberi con le anatre che

    scivolavano sullacqua del fossato

    e le pecore che brucavano sui vicini

    pendii. Anna aveva una cameretta ubicata in unala

    del maniero, suf ciente appena a contenere il letto.

    Ma venne il giorno che da quellumile origine si

    lanciò a conquistare il mondo.

    Alta, slanciata, bruna, grandi occhi neri, bocca

    sensuale, braccia e mani bellissime. Quindicenne,

    era una giovinetta squisita che rimase due anni in

    Francia alla Corte di Margherita di Navarra dove

    IL DISSIDIO

    DI SFRENATE AMBIZIONI CAMBIÒ

    IL VOLTO DELLINGHILTERRA

    Anna Bolena salì al trono e discese al patibolo

  • 24

    apprese subito le arti della seduzione riscuotendo

    dubbia fama e, collaudata dalle molte esperienze,

    si accese di in nite ambizioni.

    Tornata a Londra, venne mandata dagli

    assidui genitori a Corte dove il re non tarda a

    notarla nelle feste nel castello di Battersea e nei

    balli mascherati. Enrico VIII non era più quel

    giovane adarmantino degli anni venti ma un

    dongiovanni senza scrupoli con tutte le alcove a

    suo libito, pronto a ripudiare una moglie legittima

    per linfatuazione per una giovinetta, a suo dire,

    dalla bellezza strabiliante che sapeva ben simulare

    le arti di unastuzia sopraf na.

    Anna apparve a Corte in una veste di velluto

    azzurro ricamata dargento, con una giacca nera

    di damasco guarnita di vaio. Dalle maniche a

    sbuffo si intravvedevano nude le braccia perfette;

    sul capo, un berretto di velluto scuro contornato

    di spille doro, disposte ad aureola. Una perfetta

    damigella tutta sguardi e sorrisi, languori,

    schermaglie e ammiccamenti. Una donna damore,

    si sarebbe detto, un boccone prelibato per lingordo

    monarca. Tuttaltro: non già una personcina di

    facili costumi ma

    una cortigiana tutta

    apparenza dietro la

    quale si nascondeva

    u n a s t u t a

    calcolatrice; un osso

    immangiabile per gli

    insaziabili appetiti

    di Enrico; una

    giovane arrivista,

    determinata a

    perseguire i suoi

    scopi: il matrimonio

    e la corona. Quanto

    purtroppo il sovrano

    non poteva concederle perché al divorzio si

    opponeva limperatore di Spagna e, ovviamente,

    il Papato che non poteva che adeguarsi ai voleri

    della maggiore potenza del tempo. E Caterina era

    la zia di Carlo V.

    Spinto anche da consumati legulei e da

    ministri cavillosi, il re, dispotico e passionale

    per natura, ruppe gli indugi e, con essi, i vincoli

    col mondo cattolico. E fu lo scisma anglicano,

    una transazione fra Cattolicesimo e Riforma col

    mestatore Cranmer ad arcivescovo di Canterburv

    e il sovrano capo supremo della Chiesa e del clero

    inglesi.

    Piena vittoria per Anna che, esultante, sale

    sul trono d Inghilterra e assume la residenza a

    Hampton Court, un imponente palazzo non lontano

    da Londra che aveva fatto costruire il cardinale

    Wolsey. Le stanze, alte e sontuose, avevano

    bellissimi sof tti dipinti, le nestre di vetri colorati,

    grandi arazzi con ricchi disegni alle pareti, unala

    destinata alle cucine in grado di servire centinaia

    di invitati, giardini lussureggianti, gorgoni e

    statue, bandiere e vessilli multicolori e cortili dove

    con uivano scudieri,

    paggi, domestici,

    giocolieri, araldi,

    dignitari stranieri.

    Ma quali

    prospettive per un

    Paese che si era

    trovato ex abrupto

    a voltar pagina

    nella sua storia? La

    cupidigia intanto,

    faceva la sua parte.

    Avocate al regno

    tutte le notevoli

    ricchezze, proprietà,

  • 25

    istituzioni del Papato, abbazie, ordini religiosi,

    beni ecclesiastici, una nuova classe dominante

    si getta senza ritegno a impossessarsi di quei

    beni cospicui e, ovviamente, dai vistosi vantaggi

    ottenuti si trova impegnata a sostenere la causa

    scismatica del sovrano.

    Langlicanesimo, però, si nutriva di altri

    elementi antipapisti. Ne era stato vittima Thomas

    Becket, trucidato per non essersi piegato a cieca

    obbedienza alla politica e, proprio nel tempo di

    Enrico, Thomas More, uomo di raro ingegno e

    immensa dottrina, che il re aveva elevato ai vertici

    dello Stato ma che, incrollabile ai suoi principi

    morali e alla sua coscienza, una volta coinvolto

    nella controversia istituzionale, non approva il

    ripudio di Caterina e la regalità di Anna che, da

    buona avventuriera, si associa subito a Enrico nel

    girare pollice verso al Primate. Ri utandosi di

    giurare, More si dimette. Arrestato, processato,

    entra nella Torre dalla fatidica Traitor Gate e vi

    rimane prigioniero a lungo, n quando subisce la

    decapitazione a Tyburn, lattuale Oxford Street.

    Cè da aggiungere che lAnglicanesimo era

    anche alle radici dello spirito popolare teso a una,

    per così dire, autonomia religiosa, avversa quindi

    alla soggezione romana.

    Per Anna, come per tutti i grandi, viene

    la resa dei conti; si apre inevitabile la discesa.

    Qualche ruga, un po s orita, non è più nei sogni

    del monarca al quale ha dato una glia, Elisabetta

    (quella che sarà la grande Elisabetta), ma neppure

    un maschio. Enrico sinacerbisce con gli anni, è

    stanco di lei e ha già negli occhi lesangue Jane

    Seymour, sempre pronti i suoi giureconsulti e

    faccendieri a manovrare tra Francia e Spagna

    per gli accordi più opportuni e convenienti e a

    preparare un dossier di false testimonianze per

    liberare Enrico dallormai inutile moglie. Anna

    viene accusata di adulterio, processata e decapitata

    su di un ceppo nei giardini della Torre. Non ha

    miglior sorte Jane Seymour che muore di parto.

    Lintramontabile Enrico avrà altre concubine

    come Anna di Clèves (ripudiata). Caterina Howard

    (giustiziata perché fedifraga) e Caterina Parr (che

    gli sopravviverà).

    Il sovrano avrà altri successori della dinastia

    Tudor: Edoardo VI, glio di Jane, Maria la

    Cattolica, glia di Caterina, ed Elisabetta, glia

    di Anna Bolena. Scomparso nel 1547. seguì un

    travagliato periodo di terrore, lotte, odii, sangue

    ma si illumineranno anche gli splendori delletà

    elisabettiana, dovizia storica di poesia, arte e teatro

    shakespeariano.

    Giorgio Spina

  • 26

    Laudato si. Già il titolo dellenciclica

    segnala, nel nome di Francesco, la volontà di

    collegare le istanze ecologiche allorizzonte

    cristiano. Il Cantico delle creature può infatti

    considerarsi una delle prime esperienze vissute

    della teologia ecologica e cosmica, un canto

    che ha toccato Teilhard de Chardin e Gandhi e

    ha ispirato la coscienza dei

    gruppi cristiani ambientalisti

    e paci sti. Lecologia nasce

    infatti spontanea in Francesco

    dal rapporto di comunione col

    creato e sembra riprendere

    qualcosa del lessico che ci fu

    allorigine tra Adamo e tutti

    i viventi, evidenziando la

    dimensione dellalleanza, del

    patto per vivere e per convivere.

    In tal modo, si veri ca un

    fondamentale cambiamento nel

    modo di concepire la natura:

    non più una realtà sentita come

    estranea e nemica ma una creatura di Dio ridivenuta

    sorella. Per questa via diviene possibile per il

    cristiano riconoscere una sacralità della natura

    ben diversa dalla divinizzazione pagana del

    cosmo e quindi fondare unetica del rispetto che

    faccia appello ad una responsabilità da viversi in

    senso teocentrico. E dovere delluomo, fatto a

    immagine e somiglianza di Dio, guardare al creato

    come dono da salvaguardare, anziché come risorsa

    da sfruttare.

    Quella che potrebbe chiamarsi la s da di

    papa Francesco sta proprio, infatti, nel superamento

    di quella concezione antropocentrica, di matrice

    stoica, in cui il concetto

    chiave delluomo dominatore

    delluniverso ha posto le basi

    per una lettura della Bibbia in cui

    egli campeggia come assoluto

    protagonista e giusti ca lidea

    che la natura esista solo per la

    sua utilità e il suo piacere. Ci

    sono, come è noto, due possibili

    interpretazioni dellAntico

    Testamento riguardo al

    concetto di dominio: la

    prima vede nelluomo un

    sovrano assoluto che governa

    sul mondo a lui destinato da

    Dio per trarne pro tto; la seconda ritiene che

    luomo debba prendersi cura del creato come un

    ministro incaricato di mantenere quel regno di

    pace e di giustizia che è lordine stesso voluto da

    Dio. Lenciclica accoglie pienamente la seconda

    interpretazione e, in tal senso, può considerarsi

    LENCICLICA VERDE

    DI PAPA FRANCESCO

    · A T T U A L I T À ·

  • 27

    come una tappa essenziale, nel panorama

    del pensiero cristiano, del lungo cammino

    che conduce ad unetica della responsabilità

    verso la natura e del processo di revisione

    critica che attraversa lodierna ri essione

    teologica. Vi si de niscono le categorie

    fondative di un nuovo rapporto davvero

    teocentrico con la natura in cui il creato

    viene inteso come la comunione degli esseri

    viventi dotati di un certo ordine e di una data

    articolazione ma la cui signoria spetta solo a

    Dio. Linterpretazione del primato delluomo

    si svolge dunque nel senso della sua speciale

    responsabilità per la salvaguardia del creato:

    se luomo rivendica, come sua caratteristica

    peculiare, la capacità di agire moralmente,

    deve darne concreta testimonianza, non

    comportandosi come predatore tra i predatori

    ma rivestendo un ruolo ministeriale, quello appunto

    di custode. Ne deriva, del tutto conseguentemente,

    ladozione del paradigma etico della cura che fa

    riferimento, da un lato, alla vulnerabilità di tutti gli

    esseri viventi e, dallaltro, al suo potere di specie

    vincente per sollecitare una risposta di solidarietà.

    In tal modo, la signoria sulla creazione

    può tradursi in custodia della creazione. La

    responsabilità umana si con gura dunque come

    responsabilità verso lintero ecosistema e lo stesso

    bene comune non può non includere quello della

    comunità di vita della terra.

    Ma lelemento veramente nuovo

    rappresentato dallenciclica è la forte saldatura tra

    il piano teologico e quello politico. Lidea di fondo

    che ne regge limpianto complessivo è quella di

    unecologia integrale in grado di abbracciare tutte

    le dimensioni della vita umana. Sorprendenti per

    la loro radicalità sono alcune tesi dellenciclica

    verde. Tra queste linvito a considerare altri modi

    di intendere leconomia, la condanna della cultura

    dello scarto, la proposta di nuovi stili di vita

    ecocompatibili, laffermazione dei beni comuni

    - a partire dallacqua e dal clima - come diritti

    umani essenziali, il richiamo al debito ecologico

    tra il nord e il sud del mondo, la denuncia della

    sottomissione della politica alla tecnologia e alla

    nanza, testimoniata dal fallimento dei vertici sul

    clima. Affermazioni forti, destinate a suscitare,

    come già sta avvenendo, aspre reazioni negli

    ambienti più conservatori. In tal modo, la s da

  • 28

    teologica di Bergoglio si è trasformata in una s da

    politica destinata ad avere ampie ripercussioni sul

    piano internazionale.

    Non a caso, per il suo signi cato epocale,

    lenciclica è stata paragonata alla Rerum

    Novarum di Leone XIII dal momento che, in

    effetti, la questione ecologica assume oggi la stessa

    rilevanza che nell800 aveva assunto la questione

    sociale. Se già in altre encicliche in particolare

    Redemptor hominis si segnalavano i pericoli

    di unalienazione delluomo dalla natura a causa

    di uno sfruttamento della Terra non inquadrato in

    un piano strettamente umanistico, in questa appare

    pienamente compiuta la saldatura tra ecologia

    naturale ed ecologia umana. Lecologia, nel suo

    signi cato etimologico di scienza della casa, ci

    ricorda che abitiamo una comune dimora.

    Sembra dunque di poter affermare che il

    tema della responsabilità umana stia emergendo

    sia allinterno di unetica laica che religiosa. Tale

    rilievo non deve stupirci troppo. Codici morali

    di ispirazione divina o fondati su una delle tante

    etiche laiche dallutilitarismo al giusnaturalismo

    al kantismo possono contenere precetti simili

    e comportare analoghi riconoscimenti di doveri.

    Mutano, ovviamente, nel passaggio tra le due etiche,

    i fondamenti delle obbligazioni lappello alla

    volontà del Creatore viene sostituito dallappello

    allutile, alla natura, alla ragione ma ciò che conta

    è che, nella diversità dei presupposti teorici, si può

    rintracciare un minimo comun denominatore etico.

    Anche in questo si può riconoscere un merito non

    piccolo dellenciclica di papa Francesco.

    Luisella Battaglia

  • 29

    Quando, nel 1939, vennero creati in Italia

    nuovi uf ci territoriali per la tutela e conservazione

    delle cose di interesse artistico e storico, il nome ad

    essi attribuito fu Soprintendenze alle Gallerie:

    questo perché proprio le gallerie darte (quelle

    dello Stato, tra grandi e piccole, sono in Italia

    più di quattrocento") sono i luoghi di maggiore

    concentrazione di beni culturali a testimonianza di

    una secolare tradizione di collezionismo a cui la

    loro storia è strettamente collegata.

    Le nalità da sempre riconosciute alle

    istituzioni museali sono la conservazione, la

    documentazione e leducazione: concetti, questi,

    ribaditi nel codice dei beni culturali del 2004 -il

    cosiddetto codice Urbani- nel quale (titolo II, sez.

    I) i musei, insieme alle biblioteche, agli archivi, alle

    aree archeologiche, ai complessi monumentali e ai

    parchi, sono de niti luoghi di cultura ed intesi

    come strutture permanenti che acquisiscono,

    conservano, ordinano ed espongono beni culturali

    per nalità di educazione e di studio. Lo Stato

    assicura la fruizione dei beni conservati nei

    musei (art. 102) intendendosi per fruizione -che è

    uno dei ni dellattività di valorizzazione- il loro

    godimento da parte della collettività.

    Dal punto di vista amministrativo, la riforma

    del 1939 aveva sancito la dipendenza dei musei

    di pertinenza statale dalle soprintendenze per la

    speci ca competenza attribuita a queste ultime di

    vigilare con uguali criteri su tutto il patrimonio

    (compreso, quindi, quello museale) dovunque

    distribuito e comunque posseduto. Un principio

    di dipendenza, nellunione, nuovamente affermato

    quando, negli anni settanta del Novecento (cioè

    dopo listituzione del ministero per i beni culturali)

    verranno create, con compiti di consulenza

    anche territoriale, le soprintendenze speciali

    per legittologia, la preistoria, letnologia, le arti

    popolari e larte moderna con rispettiva sede

    presso il museo egizio di Torino, il museo Pigorini

    di Roma e la galleria nazionale darte moderna.

    Nel corso del secondo Novecento, con

    il moltiplicarsi, sul territorio, dei compiti

    istituzionali delle soprintendenze (un aggravio

    principalmente dovuto ad una maturazione

    del concetto di bene culturale e ad una

    conseguente ampli cazione del lavoro di

    tutela) la gestione dei musei è diventata uno

    degli innumerevoli impegni del dirigente di

    quegli uf ci, da cui la prassi di af dare ad

    uno degli storici dellarte in organico (o degli

    archeologhi, nel caso dei musei archeologici)

    LA RIFORMA DEL SISTEMA

    MUSEALE ITALIANO

    UN TAGLIO NETTO CON IL PASSATO

  • 30

    la cura ordinaria dei complessi museali di

    competenza e lattuazione dei progetti culturali e

    di valorizzazione elaborati congiuntamente (anche

    io molto tempo fa, con questa delega, ho diretto qui

    a Genova la galleria nazionale di palazzo Spinola

    per af darne poi la direzione, una volta diventata

    soprintendente, ad una mia collaboratrice"). E

    del resto emblematico che le soprintendenze alle

    gallerie cambino nome per diventare, dal 1974,

    soprintendenze ai beni artistici e storici"

    E più o meno questo il momento in cui,

    nel mondo della cultura italiana, comincia ad

    essere sentita la necessità di rendere più ef ciente

    il sistema delle pubbliche collezioni attraverso

    il riconoscimento de iure di una maggiore

    indipendenza gestionale, operativa e nanziaria.

    La prima proposta in questo senso era già

    documento uf ciale: è pubblicata infatti nel 1967

    nella relazione conclusiva della commissione

    di indagine per la tutela e la valorizzazione del

    patrimonio storico, archeologico, artistico e del

    paesaggio (istituita nel 1964 con legge dello Stato e

    nota come commissione Franceschini dal cognome

    del suo presidente). Nella dichiarazione LXXIII,

    dedicata ai musei, dopo il riconoscimento della

    loro importanza primaria sia per la conservazione

    e lo studio dei beni archeologici, artistici e storici,

    sia per la vita culturale della Nazione, è ravvisata

    la necessità di assicurare la loro autosuf cienza per

    ciò che concerne i servizi essenziali e il personale

    quali cato con ununica indicazione di carattere

    organizzativo e cioè che i musei dello Stato

    saranno da distinguere in due gruppi. I minori

    direttamente amministrati dalle soprintendenze e

    i maggiori amministrati da uf ci autonomi delle

    soprintendenze.

    Per i successivi cinquantanni questa

    dichiarazione non ha avuto seguito, malgrado

    limpegno per un restauro funzionale dei

    musei dimostrato soprattutto dai ministri

    Ronchey, Paolucci e Urbani e la creazione delle

    soprintendenze speciali per il polo museale romano,

    orentino, veneziano e di Napoli. Si deve quindi

    al decisionismo dellattuale ministro dei beni e

    delle attività culturali e del turismo Franceschini

    (che per singolare combinazione è omonimo, nel

    cognome, di chi sostenne per primo la necessità

    di cambiamento") la promozione di una riforma

    che, spezzando una unità di tutela storicamente

    consolidata, rende de nitivamente autonomi dalle

    soprintendenze i musei dotandoli di un proprio

    bilancio e di un proprio statuto.

    Brevemente i capisaldi del decreto sono:

    1) La suddivisione dei musei in due gruppi

    (ha fatto testo la dichiarazione LXXIII "), il primo

    composto da venti musei (sette di prima fascia,

    diretti da dirigenti generali, tredici di seconda

    fascia, diretti da dirigenti non generali); il secondo

    da tutti gli altri con laggiunta di alcuni istituti e

    luoghi della cultura: insieme danno vita ai poli

    museali regionali.

    2) La dirigenza dei venti musei del primo

    gruppo attribuita attraverso selezione pubblica

    a titoli e colloquio (già attuata; i vincitori - tutti,

    tranne uno, di provenienza esterna al ministero

    - sono dieci uomini e dieci donne, di cui sette

    stranieri e quattro italiani tornati dallestero.

    3) La dirigenza dei poli regionali attribuita

    attraverso una selezione tra i funzionari del

    ministero, a parte i poli delle Marche, dellUmbria

    e della Liguria già af dati ad un dirigente non

    generale di cui al paragrafo 2.

    La complessa struttura organizzativa messa

    a punto dal ministero per il funzionamento del

    nuovo sistema museale è oggi in fase di pre-

    rodaggio, visto che lattuazione del progetto è

  • 31

    appena iniziata. Non è quindi possibile prevedere

    a quali dinamiche gestionali e a quante dif coltà

    di realizzazione la riforma andrà incontro, quali

    saranno gli esiti di valenza culturale e, cosa che sta

    molto a cuore al ministro, turistica" Mi soffermo

    quindi solo sulle certezze acquisite, prima fra

    tutte le scelte - con criteri di giudizio ignoti (ma

    comprensibili se collegati alla fortuna turistica") -

    di suddivisione e di distinzione dei musei, ormai

    de nitive, prendendo come campione la Liguria.

    A Genova le gallerie nazionali di palazzo

    reale e di palazzo Spinola sono state accorpate ed

    inserite tra i musei di seconda fascia (diretti da

    un dirigente non generale), in buona compagnia

    con laccademia di Firenze, la galleria estense di

    Modena, i palazzi ducali di Urbino e Mantova, la

    galleria nazionale di arte antica di Roma, la galleria

    nazionale dellUmbria, il museo nazionale del

    Bargello, i musei archeologici di Napoli, Reggio

    Calabria e Taranto, il parco archeologico di Pestum

    e il palazzo reale di Torino. (Per completezza di

    informazione, i sette musei posti nei gradini più

    alti della classi ca sono la galleria Borghese, gli

    Uf zi, la galleria nazionale darte moderna, le

    accademie di Venezia, Capodimonte, Brera e la

    reggia di Caserta).

    Per quanto riguarda il polo museale della

    Liguria, la lettura dellelenco dei musei e

    dei luoghi della cultura selezionati desta

    in me non poche perplessità per scelte

    disomogenee e, allapparenza, casuali.

    Infatti, accanto al museo archeologico

    e area archeologica di Luni, al museo

    archeologico di palazzo Rocca a Chiavari,

    alla villa romana del Varignano e al museo

    preistorico e area archelogica dei Balzi

    Rossi (dipendenti, no ad oggi, dalla

    soprintendenza per i beni archeologici),

    compaiono complessi monumentali come il

    castello di S. Terenzio a Lerici, le fortezze

    Firmafede e di Castruccio Castracani a Sarzana,

    il forte di S. Giovanni a Finale Ligure, il forte di

    S.Tecla a Sanremo e il museo dellarte vetraria di

    Altare (Sv), allestito in un immobile dello Stato,

    villa Rosa, ma gestito da sempre dal comune di

    Altare, proprietario dei manufatti esposti.

    Queste scelte provocano in me alcune do-

    mande. Limitandomi a prendere in considerazio-

    ne solo il capoluogo ligure - in cui molti sono i

    complessi monumentali di proprietà statale che,

    per importanza, avrebbero potuto essere inseriti

    nel polo museale - mi piacerebbe sapere perché,

    per esempio, non è stata considerata labbazia di

    S. Giuliano dAlbaro, da anni ed anni in restauro,

    con nanziamenti dello Stato, per utilizzo futuro

    ancora misterioso. Oppure per quale ragione non

    sono state fatte scelte lungimiranti: penso a pa-

    lazzo S. Giorgio non solo per quello che ledi cio

    rappresenta dal punto di vista storico e artistico ma

    anche perché, quando lautorità portuale sposterà

    la sua sede altrove, come preannunciato, potrebbe

    diventare punto di riferimento anche per i turisti

    ospitando un museo che Genova ancora non pos-

    siede, cioè il museo della città.

    Giovanna Rotondi Terminiello

  • 32

    Tra i numerosi casi di bullismo vorrei

    ricordarne uno particolarmente odioso, come pure

    totalmente emblematico, per comprendere un

    modello di comportamento tanto esecrabile quanto

    purtroppo diffuso. Riassumo brevemente il fatto:

    una ragazza di 13 anni, disabile, perchè affetta

    da ritardo mentale, mentre giocava da sola in un

    parco giochi di Milano, viene insultata, derisa e

    ferita alla schiena da un sasso scagliatole contro da

    alcuni suoi compagni di scuola, gli stessi che anche

    allinterno delledi cio scolastico la prendono

    in giro e la perseguitano. Purtroppo non si tratta

    di un evento isolato perchè in Italia il bullismo è

    diventato un costume generalizzato fuori e dentro

    la scuola, come palese manifestazione di inciviltà

    e di barbarie. E quindi indilazionabile tentare di

    individuarne le cause e di proporre rimedi ef caci

    per combatterlo.

    Una prima evidente causa è la crisi della

    responsabilità genitoriale

    per lincapacità colposa

    e, talvolta dolosa, di

    educare i gli ai valori

    morali e sociali favorendo

    così nei gli stessi una

    subcultura improntata ad

    un egoismo senza limiti,

    al misconoscimento

    della dignità e dei diritti

    degli altri, specie dei più deboli e dei più infelici, e

    del culto della violenza.

    Lorigine di questo scadimento della

    famiglia va ricercato a mio avviso nelle ideologie

    del 68, movimento che, pur muovendo da alcune

    esigenze legittime di rinnovamento della vecchia

    società, si è rivelato in gran parte fallimentare

    poichè non ha avuto fortuna nel tentativo di

    eliminarne macroscopiche ingiustizie, tuttora vive

    e operanti, cadendo nellerrore che la tutela della

    libertà nei confronti dellautoritarismo si dovesse

    identi care con la negazione dellautorità. In realtà

    lautoritarismo, che lede la libertà di pensiero e

    di azione, è una degenerazione dellautorità, che

    è invece conditio sine qua non della tutela dei

    valori e dei diritti di tutti. Si comprende, perciò,

    come il permissivismo senza freni e il lasciar fare

    ai gli quello che vogliono, anche i capricci, le

    vessazioni e la persecuzione dei loro compagni sia

    FENOMENO DEL BULLISMO

    Scon namento nella violenza

  • 33

    dovuto ad una grave crisi morale e culturale dei

    genitori.

    E quindi necessario il ripristino dellautorità

    e del suo rispetto a partire dallambiente familiare,

    contrastando nella misura maggiore possibile

    i messaggi negativi che provengono dalla

    comunicazione mediatica. Lideologia dominante

    nel nostro tempo è

    infatti quella della

    ricerca incondizionata e

    senza limiti del proprio

    interesse egoistico,

    della totale indifferenza

    al bene comune

    privilegiando il valore

    dominante del successo

    e del soddisfacimento

    del piacere a

    qualunque costo. Per

    combatterla sono del

    tutto controindicate

    prediche e scomuniche,

    serve invece un

    invito fermo, ma

    composto e persuasivo

    ad individuarne e

    a comprenderne linsensatezza e la dannosità,

    in una parola: la famiglia deve educare i gli

    e non abbandonarli alle loro tentazioni e ai loro

    pregiudizi.

    E fondamentale per affrontare il problema

    e cercare di studiarlo senza illudersi di poterlo

    risolvere rapidamente e del tutto, anche il ruolo della

    scuola oltre che quello della famiglia. Purtroppo

    si sono veri cati non raramente casi di bullismo

    anche nei confronti di insegnanti con conseguente

    perdita di autorità e comparsa di una sfrenata

    anarchia nelle aule. La colpa di questo grave

    fenomeno è anche di molti genitori che prendono

    le parti del glio contro linsegnante a prescindere,

    contribuendo così a distruggere un rapporto

    connotato dal rispetto,

    dal riconoscimento

    dellautorità e dalla

    c o n s a p e v o l e z z a

    della diversità dei

    due ruoli (diversità

    che pur richiede una

    conciliazione).

    Ma vi è anche

    una carenza formativa

    in alcuni insegnanti,

    carenza sia di carattere

    psicologico (nel senso

    di scarso adattamento

    al ruolo), sia di carattere

    pedagogico-didattico.

    E pertanto auspicabile

    una scelta del personale

    docente non solo sulla

    base della sua preparazione culturale, ma anche

    della sua attitudine a rapportarsi con lo studente.

    In conclusione: la situazione è grave ed è

    dovere prioritario di ogni cittadino responsabile

    invocare con urgenza interventi, sia dissuasivi

    che formativi, almeno per frenare, se non per

    estinguere, la diffusione di questo fenomeno.

    Michele Schiavone

  • 34

    Era il 20 giugno 1951 quando lAssemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Convention Relatin