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Universit del Salento FACOLT ` A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica Tesi di laurea triennale Scattering di un fotone in un background gravitazionale Candidato Matteo Maria Maglio Relatore Prof. Claudio Corian Anno Accademico 2012-2013

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Universit del Salento

FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea in Fisica

Tesi di laurea triennale

Scattering di un fotone

in un background gravitazionale

Candidato

Matteo Maria Maglio

Relatore

Prof. Claudio Corian

Anno Accademico 2012-2013

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Alla mia famiglia,

la rosa del mio pianeta.

A Valentina, Francesco, Fabio e Chiara,

per avermi addomesticato.

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Indice

Introduzione iv

1 Elementi di relatività generale 1

1.1 Equazioni di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Scelta della gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.3 Linearizzazione delle equazioni di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.4 Gradi di libertà del campo gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.5 Gravitoelettromagnetismo (GEM) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

2 Deflessione classica della luce 14

2.1 Caso non relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142.2 Caso relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.2.1 La soluzione di Schwarzschild . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.2.2 Geodetiche di Schwarzschild . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

3 Calcolo della sezione d’urto quantistica 26

3.1 Campo elettromagnetico in presenza di un campo gravitazionale debole . . 263.2 Sorgente esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.3 Richiami sulla matrice di diffusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283.4 Calcolo della sezione d’urto al primo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

4 Lenti gravitazionali e materia oscura 34

4.1 Teoria delle lenti gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344.2 Materia oscura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

A Vertice gravitone/fotone/fotone 45

B Calcolo della sezione d’urto quantistica 49

iii

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Introduzione

Nel 1916 Albert Einstein pubblicò lo scritto Die Grundlagen der allgemeinen Rela-

tivitätstheorie (fondamenti della relatività generale) con il quale formulò la teoria dellarelatività generale, che coinvolge non solo lo spazio e il tempo ma anche la gravitazione.Questa teoria è spesso considerata ostica e cervellotica, in parte perchè il nuovo punto divista introdotto sulla natura dello spazio-tempo viene accettato a fatica a dispetto dellenozioni classiche profondamente radicate e intuitive, e in parte perchè la matematica ri-chiesta per una formulazione precisa delle idee e delle equazioni della relatività generalenon è molto familiare alla maggior parte dei fisici. Anche se è indubbia la bellezza di questateoria, la sua rilevanza non è universalmente riconosciuta.

Questa teoria risvegliò l’interesse comune sul finire degli anni ’50 grazie a due famosigruppi di ricerca, guidati da John Wheeler e Herman Bondi. Essi sostennero l’interesseper la relatività generale concentrando la loro attenzione verso due problematiche del lorotempo. La prima era relativa alla scoperta astronomica di oggetti compatti e ad altaenergia, in particolare quasar e sorgenti compatte a raggi X. In questi oggetti il collassogravitazionale e i forti campi gravitazionali giocavano un ruolo importante tanto che larelatività generale era il mezzo necessario per studiarne la struttura. La teoria modernadel collasso gravitazionale, delle singolarità e dei buchi neri si sviluppò nella metà deglianni ’60 in risposta a questa esigenza.

La seconda problematica era relativa alla necessità di sviluppare una teoria quantisticache coinvolgesse la gravità. Infatti la teoria di Einstein non dava informazioni riguardo alleparticelle mediatrici della forza gravitazionale, i cosiddetti gravitoni.

Attualmente uno dei problemi più interessanti in fisica teorica è di conciliare la teoriadi relatività generale con la teoria quantistica dei campi. L’incompatibilità delle due teoriederiva dalla diversità della geometria dello spazio-tempo; in relatività generale lo spazio-tempo è dinamico e viene curvato dalla presenza di una massa, mentre la formulazione dellateoria dei campi prevede una struttura di fondo non dinamica che utilizza lo spazio-tempodi Minkowski.

A partire dagli anni ’80, molti fisici teorici iniziarono a studiare il modo di unificarele quattro forze fondamentali in una teoria del tutto, dando diverse proposte di teoriedella gravità quantistica. Tra queste ricordiamo la teoria delle stringhe (in particolare

AdS/CFT), teoria della supergravità, gravità quantistica a loop, gravità quantistica euclidea,

teoria del Twistor, gravità indotta di Sakharov. Attualmente quelle più studiate sono lateoria di stringa e la teoria dei loop. Tuttavia la validità fisica di queste teorie non è stata

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ancora verificata sperimentalmente.Lo scopo di questo lavoro di tesi è presentare gli effetti della relatività generale sul

moto dei corpi e le sue possibili implicazioni a livello cosmologico. In particolare, nelprimo capitolo si daranno i concetti fondamentali della teoria della relatività generale, siricaveranno le equazioni di Einstein, si discuterà l’invarianza associata a tali equazioni esi denoteranno le possibili scelte della gauge per eliminare questa invarianza. Si procederàpoi con la linearizzazione delle equazioni di Einstein, con lo studio dei gradi di libertà delcampo gravitazionale e dell’analogia dell’equazioni linearizzate di Einstein con le equazionidi Maxwell [4, 5]. Nel secondo capitolo si svilupperà il calcolo classico della deflessionedella luce. In particolare si vedrà la differenza tra il risultato previsto dalla gravitazioneNewtoniana, proposto da Soldner nel 1804, con quello esatto della relatività generale [8].Nel terzo capitolo poi si estenderà il calcolo della deflessione della luce al caso quantisti-co, quantizzando il campo elettromagnetico e calcolando la sezione d’urto quantistica alprimo ordine del processo di scattering del fotone con il campo gravitazionale. Il calcoloverrà effettuato nel limite di campo gravitazionale debole, condizione che verrà giustificatasfruttando il concetto di raggio di Schwarzschild [4, 6, 2, 1]. Infine, nel quarto capitolosi studierà la teoria delle lenti gravitazionali e verrà analizzata una sua applicazione nelladeterminazione della materia oscura [7]. Nell’appendice A e nell’appendice B verrannoesplicitati tutti i calcoli ottenuti nel corso del seguente lavoro per la determinazione delvertice d’interazione gravitone-fotone-fotone e della sezione d’urto quantistica al leadingorder.

Notazione

I calcoli elaborati in questo lavoro saranno effettuati in unità “naturali”, ossia conside-rando ~ = c = 1. Per capire il significato di queste unità, osserviamo prima di tutto che ~e c sono delle costanti universali, cioè hanno lo stesso valore numerico per qualsiasi sistemadi riferimento. Si può definire una nuova unità di lunghezza (o tempo) dalla condizione chec = 1. Quindi la velocità v di una particella verrà misurata come multiplo della velocitàdella luce in un modo molto naturale, in quanto in fisica delle particelle abbiamo general-mente a che fare con quantità relativistiche. In queste unità accade che per una particellamassiva 0 v < 1, mentre per una particella senza massa v = 1. Da ciò segue quindiche [T ] = [L]. La costante di Plank ~ è un’altra costante universale e ha le dimensionidi un’azione, ossia [energia]⇥ [tempo] o anche [lunghezza]⇥ [impulso]. Quindi possiamoscegliere l’unità di energia tali per cui ~ = 1. Da queste considerazioni segue che da unpunto di vista dimensionale

[velocita] = adimensionale,

[energia] = [impulso] = [massa],

[lunghezza] = [massa]�1. (1)

Così tutte le quantità fisiche possono essere espresse come potenze della massa o, equiva-lentemente, come potenze di lunghezza. Per esempio la costante gravitazionale G avrà ledimensioni di una [massa]�2.

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Capitolo 1

Elementi di relatività generale

1.1 Equazioni di Einstein

Uno dei modi per derivare le equazioni del campo gravitazionale prevede l’utilizzo delprincipio variazionale di Hamilton, detto principio di minima azione.

Consideriamo un sistema materiale in presenza di un campo gravitazionale esterno gµ⌫del tutto generico. L’azione totale sarà data dalla somma di un termine SG puramentegravitazionale e un termine SM della materia

S = SM + SG , (1.1)

con

SG = � 1

16⇡G

Z

p

g(x)R(x) d4x , (1.2)

SM =

Z

LM (x)d4x , (1.3)

dove LM è la funzione lagrangiana del sistema materiale. Inoltre g(x) e R(x) sonorispettivamente lo scalare metrico e lo scalare di curvatura, definiti come

R(x) = gµ⌫(x)Rµ⌫(x), g(x) = det[gµ⌫(x)]. (1.4)

Il principio variazionale di Hamilton ci assicura che l’azione (1.1) sarà invariante per va-riazioni infinitesime delle variabili dinamiche, pertanto l’azione S sarà stazionaria rispettoad una variazione arbitraria di gµ⌫ se

�S = �SM + �SG = 0. (1.5)

Valutiamo i termini nella (1.5). La variazione dell’azione della materia si può scrivere

�SM =

1

2

Z

d4xp

g(x)Tµ⌫(x)�gµ⌫(x), (1.6)

1

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

dove Tµ⌫(x) rappresenta il tensore energia-impulso del sistema. Per valutare la variazione

dell’azione gravitazionale notiamo che

� (pgR) = R�

pg +

pgRµ⌫�g

µ⌫+

pggµ⌫�Rµ⌫ . (1.7)

La variazione del tensore di Ricci è

�Rµ⌫ =

���µ�

;⌫�⇣

���µ⌫

;�, (1.8)

pggµ⌫�Rµ⌫ =

pg

gµ⌫���µ�

;⌫�⇣

gµ⌫���µ⌫

;�

=

@

@x⌫

⇣pggµ⌫���µ�

� @

@x�

gµ⌫���µ⌫

. (1.9)

Quest’ultimo termine dà contributo nullo poichè, una volta integrato su tutto lo spaziomediante il teorema di Gauss, diviene un integrale sulla ipersuperficie che racchiude ilquadri-volume e la variazione del campo agli estremi d’integrazione è nulla (���µ⌫ ! 0

quando |xµ| ! 1) . Inoltre

�pg =

1

2

pggµ⌫�gµ⌫ , �gµ⌫ = �gµ⇢g⌫��g⇢�, (1.10)

per cui

�SG =

1

16⇡G

Z

d4xpg

Rµ⌫ � 1

2

gµ⌫R

�gµ⌫ . (1.11)

Inserendo la (1.6) e la (1.11) nella (1.5) e tenendo conto del fatto che le �gµ⌫ sono arbitrarie,si ottiene

1

2

Z

d4xpg

Rµ⌫ � 1

2

gµ⌫R+ 8⇡GTµ⌫

�gµ⌫ = 0 (1.12)

) Rµ⌫ � 1

2

gµ⌫R = �8⇡GTµ⌫ . (1.13)

Queste sono le equazioni del campo gravitazionale, meglio note come equazioni di Einstein.Contraendo quest’ultima equazione con il tensore metrico si ottiene una forma alternativamolto utile

gµ⌫Rµ⌫ � 1

2

gµ⌫gµ⌫R = �8⇡Ggµ⌫T

µ⌫

R� 2R = �8⇡GTµµ ) R = 8⇡GTµ

µ (1.14)

Rµ⌫ = �8⇡G

Tµ⌫ � 1

2

gµ⌫T��

. (1.15)

Dalla non linearità delle equazioni di Einsten segue la non applicabilità del principio disovrapposizione ai campi gravitazionali. Questo principio sarà valido nei limiti di ap-prossimazione di campi deboli nei quali l’equazioni di Einstein prenderanno una formalineare.

2

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1.1 Equazioni di Einstein

Se consideriamo la divergenza dell’equazioni di Einstein vediamo che seguono diretta-mente le leggi di conservazione dell’energia-impulso

Rµ� �

1

2

�µ�R

= �8⇡GTµ�;µ. (1.16)

Dall’identità di Bianchi segue✓

Rµ� �

1

2

�µ�R

;µ = 0, (1.17)

per cui

Tµ�;µ = 0. (1.18)

Si vede quindi come le equazioni di Einstein contengano al loro interno la conservazionedell’energia-impulso che è legata, a sua volta, all’equazioni del moto del sistema fisico.Quindi le equazioni del campo gravitazionale contengono in sé anche le equazioni dellamateria stessa che genera questo campo.

Vediamo infine come le equazioni di Einstein riconducano alla legge di Newton nel casonon relativistico. Consideriamo quindi un corpo massivo non relativistico statico. Si trovache l’unica componente non banale del suo tensore energia-impulso è T00 = ⇢, con ⇢ densitàdi massa. L’equazioni di Einstein in questo caso diverranno

R00 = (R0i0i �R0000) =1

2

r2g00 = �8⇡G

⇢� 1

2

r2g00 = �8⇡G⇢, (1.19)

e, sapendo che in un campo statico debole prodotto da una densità di massa non rela-tivistica ⇢, la componente tempo-tempo del tensore metrico è data approssimativamenteda

g00 ' � (1 + 2�) ,

con � potenziale Newtoniano, allora si ottiene l’equazione di Poisson per il campo gravi-tazionale non relativistico

�� = 4⇡G⇢.

La soluzione generale di questa equazione sarà della forma

� = �G

Z

rdV.

In particolare, se si considera il campo generato da una massa M si ha

� = �GM

r,

e quindi la forza agente su un’altra particella di massa m darà la legge di gravitazioneuniversale di Newton

F = GMm

r2.

3

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

1.2 Scelta della gauge

L’equazioni di Einstein comprendono 10 equazioni algebricamente indipendenti checorrispondono alle componenti indipendenti del tensore simmetrico a primo membro della(1.13). Il tensore metrico incognito ha anch’esso 10 componenti algebricamente indipen-denti, quindi si potrebbe pensare che le equazioni di Einstein siano sufficienti a determinarein modo unico il tensore gµ⌫ . Ciò non è esatto in quanto le 10 componenti del tensore sonostrettamente legate da 4 equazioni differenziali che esprimono l’identità di Bianchi

Rµ� �

1

2

�µ�R

= 0, (1.20)

quindi si hanno 6 equazioni algebricamente indipendenti per la determinazione delle 10incognite di gµ⌫ . Ci sono così infinite soluzioni dell’equazione di Einstein. Questo aspettocorrisponde al fatto che, se gµ⌫ è soluzione dell’equazioni di Einstein, lo sarà anche g0µ⌫ottenuta dalla soluzione originaria mediante una generica trasformazione di coordinatexµ ! x0µ(x). In particolare richiediamo che x0µ(x) sia invertibile, differenziabile e coninversa differenziabile, cioè x0µ(x) deve essere un arbitrario diffeomorfismo. Sotto questatrasformazione il tensore metrico si trasforma come

gµ⌫(x) ! g0µ⌫(x0) =

@x⇢

@x0µ@x�

@x0⌫g⇢�(x). (1.21)

Questa trasformazione di coordinate coinvolge quattro funzioni arbitrarie x0µ(x) dandoalla soluzione della (1.13) quattro gradi di libertà.

Il discorso è analogo al caso elettromagnetico. Nel caso delle equazioni di Maxwelll’ambiguità nella soluzione viene rimossa scegliendo una particolare gauge. Allo stessomodo, nel caso delle equazioni di Einstein si sceglie un particolare sistema di coordinate(che è equivalente alla scelta della gauge).

Una scelta particolarmente conveniente è il sistema di coordinate armoniche noto anchecome gauge di Lorentz o gauge di De Donder. Le condizioni per ottenere un sistema dicoordinate armoniche è che

� ⌘ gµ⌫��µ⌫ = 0. (1.22)

Esprimiamo la connessione affine in termini di tensore metrico

�=

1

2

gµ⌫g�k [@⌫gkµ + @µgk⌫ � @kgµ⌫ ] , (1.23)

sapendo che

g�k@⌫gkµ = �gkµ@⌫g�k,

1

2

gµ⌫@kgµ⌫ = g�1/2@kg1/2, (1.24)

otteniamo

�=

1

2

h

��⌫k@⌫g�k � �µk@µg�k � 2g�1/2@kg

1/2i

= g�1/2g�k@kg1/2

= �g�1/2@k⇣

g1/2g�k⌘

. (1.25)

4

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1.3 Linearizzazione delle equazioni di Einstein

Quindi la condizione (1.22) diviene

@k⇣

g1/2g�k⌘

= 0. (1.26)

Se calcoliamo

⇤xµ =

g�kxµ;�

;k=

h

g�k⇣

@�xµ � �

µ�kx

k⌘i

;k

=

h

g�µ � �

µxki

;k= g�µ;k = @kg

�µ+ �

�k�g

�µ+ �

µk�g

��

= @kg�µ � @kg

�µ= 0, (1.27)

ossia le coordinate sono esse stesse delle funzioni armoniche. Da questa proprietà derival’appellativo per le coordinate.

1.3 Linearizzazione delle equazioni di Einstein

Il significato fisico delle equzioni di Einstein risulta più chiaro quando queste vengonostudiate nel limite di spazio-tempo piatto che rivela la loro relazione con l’equazioni delleonde. Consideriamo perciò la metrica nell’approssimazione di campo debole

gµ⌫ = ⌘µ⌫ + hµ⌫ , (1.28)

con | hµ⌫ |⌧ 1.In questo limite il tensore di Ricci assume la forma

Rµ⌫ ⌘ R�µ�⌫ = @⌫�

�µ� � @��

�µ⌫ + �

⌘µ��

�⌫⌘ � �

⌘µ⌫�

��⌘

' @⌫��µ� � @��

�µ⌫ +O(h2), (1.29)

e la connessione affine

�µ⌫ =

1

2

⌘�⇢ [@µh⇢⌫ + @⌫h⇢µ � @⇢hµ⌫ ] +O(h2). (1.30)

Inserendo la (1.30) nella (1.29), si otterrà il tensore di Ricci al primo ordine in h che risulta

Rµ⌫ ' R(1)µ⌫ ⌘ 1

2

⇤hµ⌫ � @�@µh�⌫ � @�@⌫h

�µ + @⌫@µh

��

. (1.31)

Utilizzando la (1.31), (1.15) le equazioni di Einstein diventeranno

⇤hµ⌫ � @�@µh�⌫ � @�@⌫h

�µ + @⌫@µh

�� = �16⇡G

Tµ⌫ � 1

2

⌘µ⌫T��

= 16⇡GSµ⌫ . (1.32)

Dalla forma di queste equazioni si vede che, scegliendo un sistema di riferimento in cuivalga la condizione (1.28), si rompe l’invarianza della relatività generale per trasformazioni

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

generali di coordinate. Tuttavia resta un’invarianza di gauge residua. Se consideriamoinfatti una generica trasformazione di coordinate

xµ ! x0µ = xµ + ✏µ(x), (1.33)

dove @⌫✏µ è al massimo dello stesso ordine di grandezza di hµ⌫ , la metrica nel nuovo sistemadi coordinate diventerà

g0µ⌫ = @�x0µ@⇢x

0⌫g�⇢

= ⌘µ⌫ �⇣

hµ⌫ � @⇢✏⌫⌘µ⇢ � @�✏

µ⌘�⌫⌘

+O(@✏@✏) +O(h@✏), (1.34)

e dal momento che gµ⌫ ' ⌘µ⌫ � hµ⌫ ,

h0µ⌫ = hµ⌫ � @⇢✏⌫⌘µ⇢ � @�✏

µ⌘�⌫ . (1.35)

Se |@⌫✏µ| è al massimo dello stesso ordine di grandezza di |hµ⌫ | allora la condizione che|hµ⌫ | ⌧ 1 è verificata, e quindi questi diffeomorfismi dimostrano una simmetria della teorialinearizzata.

Possiamo effettuare una transformazione di Lorentz globale e finita

xµ ! x0µ = ⇤

µ⌫x

⌫ ,

per la quale il tensore metrico si trasforma in

gµ⌫(x) ! g0µ⌫(x0) = ⇤

⇢µ ⇤

�⌫ g⇢�(x)

= ⇤

⇢µ ⇤

�⌫ [⌘⇢� + h⇢�(x)]

= ⌘µ⌫ + ⇤

⇢µ ⇤

�⌫ h⇢�(x)

= ⌘µ⌫ + h0µ⌫(x0), (1.36)

conh0µ⌫(x

0) = ⇤

⇢µ ⇤

�⌫ h⇢�(x). (1.37)

Quest’ultima relazione dimostra che hµ⌫ si comporta come un tensore quando si effettuanodelle trasformazioni di Lorentz. La condizione che |hµ⌫ | ⌧ 1 continua a valere anche sesi effettuano rotazioni, mentre per i boost non è così banale. Si dimostra inoltre che lateoria linearizzata è invariante per trasformazioni finite di Poincarè a differenza della teoriagenerale di relatività che è invariante per trasformazioni di coordinate e non ha simmetriadi Poincarè.

Avendo libertà di scelta sulla gauge residua, scegliamo la gauge armonica per la quale

gµ⌫��µ⌫ = 0, (1.38)

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1.3 Linearizzazione delle equazioni di Einstein

ossia al primo ordine in h

gµ⌫��µ⌫ = (⌘µ⌫ � hµ⌫)1

2

⌘�⇢ [@µh⇢⌫ + @⌫h⇢µ � @⇢hµ⌫ ]

=

1

2

@µh�µ

+ @⌫h�⌫ � ⌘�⇢@⇢h

⌫⌫ � hµ⌫@µh

�⌫ � hµ⌫@⌫h

�µ + hµ⌫⌘�⇢@⇢hµ⌫

=

1

2

@µh�µ

+ @⌫h�⌫ � ⌘�⇢@⇢h

⌫⌫ +O(h2)

= 0

) @µh�µ � 1

2

⌘�⇢@⇢h⌫⌫ = 0.

Contraendo quest’ultima relazione con il tensore ⌘�� otteniamo

@µhµ� �

1

2

@�h⌫⌫ = 0. (1.39)

Si può dimostrare che questa scelta di sistema di coordinate è sempre possibile, infatti,supponendo che hµ⌫ non soddisfi la (1.39), allora è possibile trovare un h0µ⌫ che soddisfiquesta condizione applicando una trasformazione di coordinate

xµ ! x0µ = xµ + ✏µ(x),

con ✏⌫ ottenuto dall’equzione differenziale

⇤✏⌫ = @µhµ⌫ �

1

2

@⌫hµµ.

Quindi considerando una hµ⌫ che soddisfi la scelta della gauge, le equazioni linearizzatedel campo gravitazionale (1.32) saranno della forma

⇤hµ⌫ � @�@µh�⌫ � @�@⌫h

�µ + @⌫@µh

�� =

= ⇤hµ⌫ � @�@µh�⌫ � @⌫

@�h�µ � 1

2

@µh��

+

1

2

@⌫@µh��

= ⇤hµ⌫ � @µ

@�h�⌫ �

1

2

@⌫h��

= ⇤hµ⌫ ,

) ⇤hµ⌫ = 16⇡GSµ⌫ . (1.40)

Una soluzione della (1.40) è dal prodotto di convoluzione tra la sorgente statica Sµ⌫ e ilpropagatore ritardato

GR(x, x0) =

1

4⇡

� (x0 � x00 � |x� x0|)|x� x0| , (1.41)

normalizzato come⇤GR(x, x

0) = �(4)(x� x0). (1.42)

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

Per cui la soluzione della (1.40) può essere sapressa come

hµ⌫(x) = 16⇡G

Z

d4x0GR(x, x0)Sµ⌫(x

0). (1.43)

E’ facile verificare che questa è proprio la soluzione dell’equazione, infatti

⇤hµ⌫ = 16⇡G

Z

d4x0⇤⇥

GR(x, x0)Sµ⌫(x

0)

= 16⇡G

Z

d4x0Sµ⌫(x0) ⇤GR(x, x

0)

= 16⇡G

Z

d4x0Sµ⌫(x0) �(4)(x� x0)

= 16⇡GSµ⌫(x).

1.4 Gradi di libertà del campo gravitazionale

Consideriamo l’equazioni linearizzate di Einstein in assenza di sorgenti. Queste sonodella forma

⇤2hµ⌫ � @�@µh�⌫ � @�@

⌫h�µ + @⌫@µh�� = 0. (1.44)

Esprimendole nello spazio dei momenti risulta

p2hµ⌫ � p↵ (pµh⌫↵ + p⌫hµ↵) + pµp⌫h = 0, (1.45)

avendo utilizzato la proprietàZ

d4x@µ (x)e�ipx= �ipµ (p). (1.46)

La (1.45) è invariante per trasformazioni di coordinate generiche x0µ = xµ+ ✏µ(x) ossiaè invariante per trasformazioni di gauge. La variazione del tensore hµ⌫ dovuta a questatrasformazione sarà

�hµ⌫ = ipµ✏⌫ + ip⌫✏µ, (1.47)

per la (1.35).L’esistenza di una simmetria locale (invarianza di gauge) dà luogo ad una descrizioneridondante del campo gravitazionale che può essere rimossa scegliendo una particolaregauge.

Precedentemente abbiamo utilizzato la gauge di De Donder per ottenere l’equazionilinearizzate del campo. La gauge di De Donder da luogo ad equazioni di campo con unachiara simmetria di Lorentz, ossia sono covarianti, ma d’altro canto non fa luce sui gradidi libertà fisici del campo. Una gauge che permette di rimuove i gradi di libertà non fisiciè la cosiddetta gauge del cono-luce. Per esprimere questa gauge è necessario introdurre lecoordinate di cono-luce.

8

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1.4 Gradi di libertà del campo gravitazionale

Definiamo le coordinate di cono luce (x+, x�, xI) come

x+ ⌘ 1p2

x0 + x1�

, x� ⌘ 1p2

x0 � x1�

, (1.48)

con xI si indicano le componenti trasverse x2, x3.Il tensore metrico hµ⌫ avrà come componenti

hIJ , h+,I , h�,I , h+,�, h+,+, h�,�� .

Le condizioni di gauge di cono-luce sono espresse come

h+,+= h+,�

= h+,I= 0. (1.49)

Si vede che è sempre possibile soddisfare queste condizioni in quanto, per una genericatrasformazione di coordinate, si ottiene che

�h++= 2ip+✏+, (1.50)

�h+�= ip+✏� + ip�✏+, (1.51)

�h+I= ip+✏I + ipI✏+, (1.52)

per cui è possibile scegliere ✏+, ✏�, ✏I in modo che valga la (1.49), assumendo che p+ 6= 0.Abbiamo così utilizzato la libertà sulla gauge per porre a zero tutte le componenti di hµ⌫con l’indice +.

I gradi di libertà restanti sono dati dalle componenti

(hIJ , h�I , h��).

Vediamo come cambiano l’equazioni linearizzate di Einstein avendo scelto la gauge dicono-luce. Tenendo a mente le condizioni (1.49), consideriamo la (1.45) quando µ = ⌫ = +,

p2h++ � p↵�

p+h+↵ + p+h+↵�

+ p+p+h =

p+�2

h = 0, (1.53)) h = 0, (1.54)

ossiah = ⌘µ⌫h

µ⌫= �2h+�

+ hII = 0 ) hII = 0, (1.55)

sapendo che

⌘µ⌫ =

0

B

B

@

0 �1 0 0

�1 0 0 0

0 0 1 0

0 0 0 1

1

C

C

A

. (1.56)

hIJ = 0 significa che la matrice hIJ è una matrice a traccia nulla. Con h = 0 l’equazione(1.45) si riduce a

p2hµ⌫ � p↵ (pµh⌫↵ + p⌫hµ↵) = 0.

9

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

Poniamo ora µ = +, ottenendo

p2h+⌫ � p↵�

p+h⌫↵ + p⌫h+↵�

= 0, (1.57)

) p↵h⌫↵

= 0, (1.58)

dalla (1.58) per ⌫ = I e ⌫ = � si ottiene

p�hI�

+ pJhIJ

= 0 ) hI� =

1

p+pJh

IJ , (1.59)

p�h��

+ PIh�I

= 0 ) h��=

1

p+pIh

�I , (1.60)

con la proprietàp� = �p+, p+ = �p�. (1.61)

L’equazioni (1.59) e (1.60) ci danno h con gli indici - in funzione delle componenti trasversehIJ . Utilizzando tutte queste informazioni, otteniamo per la (1.45)

p2hµ⌫ = 0. (1.62)

L’unica equazione non banale è quella per gli indici trasversi per cui

p2hIJ(p) = 0. (1.63)

Questa equazione implica che per p2 6= 0 tutte le componenti di hµ⌫ sono nulle mentreper p2 = 0 le componenti di hIJ(p) non sono fissate a eccezione della condizione di traccianulla. Tutte le altre sono determinate in termini di componenti trasverse.

Concludiamo quindi che i gradi di libertà del campo gravitazionale sono dati da uncampo tensoriale hIJ simmetrico, a traccia nulla e trasverso, le cui componenti soddisfanol’equazioni del moto di uno scalare senza massa, quindi sono 2.

1.5 Gravitoelettromagnetismo (GEM)

L’approssimazione di campo debole dell’equazioni di Einstein è valida con grande accu-ratezza nel sistema solare. Si vede che la teoria linearizzata (1.40) ha una forma molto simileall’equazione delle onde elettromagnetiche. Abbiamo visto come una soluzione della (1.40)possa essere scritta in termini di potenziale ritardato (1.43). Si vede quindi come il tensoreenergia-impulso Tµ⌫ simuli il comportamento della quadri-corrente elettromagnetica Jµ eil tensore hµ⌫ quello del potenziale Aµ.

Nell’approssimazione di campo debole assumiamo che il tensore energia-impulso verifi-chi le condizioni: |T00| � |Tij | e |T0i| � |Tij |, quindi dalla (1.43) segue che |h00| � |hij | e|h0i| � |hij |. Sapendo che la massa m è legata alla densità di massa ⇢ = T00 dalla relazione

Z

⇢ d3x = m,

10

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1.5 Gravitoelettromagnetismo (GEM)

e il momento angolare S legato alla densità di massa-corrente ji = T 0i dalla relazione

Si= 2

Z

✏ijkxjjkd3x.

Dalla (1.43) possiamo scrivere

h00 = �2�, (1.64)h0i = 2Ai, (1.65)

dove � è il potenziale Newtoniano o anche detto potenziale gravitoelettrico

� = �Gm

r,

e Ai è il potenziale vettore gravitomagnetico dato in termini del momento angolare totaleS del sistema

Ai =GSjxk

r3✏ijk. (1.66)

La condizione della gauge di Lorentz

@µhµ� �

1

2

@�h⌫⌫ = 0,

può essere scritta in termini dei potenziali � e A

@�

@t+ 2r ·A = 0. (1.67)

Questa, a parte il fattore 2, è la condizione della gauge di Lorentz in elettromagnetismo.Definiamo i campi gravitomagnetico e gravitoelettrico EG e BG come

EG = �r�� 1

2

@A

@t, (1.68)

BG = r⇥A. (1.69)

Utilizzando queste relazioni, l’equazioni linearizzate (1.40) diventano

r ·EG = �4⇡G⇢, (1.70)r ·BG = 0, (1.71)

r⇥EG = �1

2

@BG

@t, (1.72)

r⇥ 1

2

BG = �4⇡Gj+@EG

@t, (1.73)

(1.74)

queste sono le equzioni di Maxwell per i campi gravitoelettromagnetici (GEM).

11

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Capitolo 1 Elementi di relatività generale

Questi campi descrivono lo spazio-tempo al di fuori di un oggetto rotante in terminidi campi gravitomagnetico e gravitoeletttrico. Il tensore metrico può essere espresso intermini di potenziale gravitomagnetico e gravitoelettrico come

d⌧2 = �gµ⌫dxµdx⌫ = (1 + 2�) dt2 + 4Aidx

idt� (1� 2�) �ijdxidxj . (1.75)

Nel limite di campo debole la gravità può essere considerata analogamente al campo elet-tromagnetico. Inoltre, per un corpo rotante, il campo gravitomagnetico può essere scrittocome un campo generato da un dipolo

BG = �4G3r (r · S)� Sr2

2r5. (1.76)

Il campo gravitomagnetico è un effetto puramente relativistico, infatti nella teoria New-toniana non troviamo alcun potenziale gravitomagnetico anche se il corpo sta ruotando.Quindi il campo gravitoelettrico è la parte Newtoniana del campo gravitazionale, mentreil campo gravitomagnetico è la parte relativistica.

Questo aspetto del gravitoelettromagnetismo è evidente quando andiamo a considerarel’equazione delle geodetiche per una particella test, sfruttando l’analogia tra la teoria diEinstein linearizzata e la teoria dell’elettromagnetismo

d2xµ

d⌧2+ �

µ��

dx�

d⌧

dx�

d⌧= 0 (1.77)

dove ⌧ è il tempo proprio della particella. Per una particella non-relativistica

dx0

d⌧⇡ 1,

dxi

d⌧⇡ vi (1.78)

Considerando solo i termini lineari in vi, e limitandoci ai campi statici dove gµ⌫;0 = 0,otteniamo l’espressione

dv

dt= EG + v ⇥BG. (1.79)

Questa è la legge della forza di Lorentz per campi GEM.Le particelle orbitanti intorno a corpi rotanti, risentiranno di un campo gravitomagne-

tico che contribuirà ad un effetto di precessione dell’orbita. La precessione è chiamataeffetto di Lense-Thirring.

Un corpo rotante ha un momento angolare L. Il campo gravitomagnetico interagendocon questo momento angolare origina una momento torcente dato da

⌧ =

1

2

L⇥BG. (1.80)

Il momento torcente è uguale alla derivata temporale del momento angolare, e quindi

dL

dt= �G

L⇥ ⇥

3r (r · S)� Sr2⇤

r5, (1.81)

12

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1.5 Gravitoelettromagnetismo (GEM)

e dal momento chedL

dt= ! ⇥ L,

possiamo leggere la velocità angolare di precessione come

! = G3r (r · S)� Sr2

r5. (1.82)

Se prendiamo la media di ! lungo l’orbita, la velocità angolare effettiva di precessione sarà

< ! >= G3 < r (r · S) > �Sr2

r5. (1.83)

13

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Capitolo 2

Deflessione classica della luce

Nel 1784 il fisico inglese Henry Cavendish pubblicò un manoscritto nel quale esponeva lamisura della densità della Terra mediante un esperimento che successivamente prese il suonome. In questo manoscritto egli accennava anche al problema riguardante la deflessionedella luce per mezzo di un corpo massivo nel contesto della gravità newtoniana.

Successivamente, nel 1804, il fisico tedesco Johann Georg von Soldner pubblicò unoscritto nel quale calcolava quantitativamente la deflessione di un raggio luminoso dovuta adun corpo massivo quale una stella. Facendo riferimento alle teorie della natura corpuscolaredella luce, egli portò avanti il suo calcolo attribuendo una massa alle particelle luminose.Tuttavia questo calcolo non portava al risultato corretto, ma differiva da quello esatto di unfattore 2. Questo errore fu messo in risalto da Albert Einstein che nel 1915, a conclusionedel suo lavoro sulla teoria della relatività generale, calcolò il valore esatto dell’angolo dideflessione della luce e della sezione d’urto nei pressi del campo gravitazionale solare.

In questo capitolo esporremo il calcolo proposto da Soldner e quello esatto sviluppatoda Einstein.

2.1 Caso non relativistico

Consideriamo il moto di una particella di massa m in un campo gravitazionale statico edisotropo generato da una massa M . Il campo ha simmetria sferica, pertanto ogni soluzionedelle equzioni del moto deve essere invariante per rotazioni attorno a un asse arbitrariopassante per l’origine del campo. Il momento angolare della particella rispetto al centroO gravitazionale si conserva, quindi il moto si svolge in un piano ortogonale alla direzionedel momento angolare. Esprimiamo la lagrangiana del sistema in coordinate polari

L =

1

2

m⇣

r2 + r2 ˙�2⌘

+

MmG

r, (2.1)

dall’equazioni di Eulero Lagrange

d

dt

@L@qi

� @L@qi

= 0 8i = 1, 2 , (2.2)

14

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2.1 Caso non relativistico

segue che8

<

:

m⇣

r � ˙�2r⌘

+

MmGr2

= 0

ddt

mr2 ˙�⌘

= 0

(2.3)

dalla seconda equazione si vede che la variabile � è una coordinata ciclica. Quindi

mr2 ˙� = cost,

ma sappiamo chemr2 ˙� = l0, (2.4)

da cui si da riprova del fatto che il momento angolare è una costante del moto.Osserviamo che la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo e che l’energia

cinetica è una funzione omogenea di secondo grado nelle derivate delle variabili dinamiche,per cui la funzione energia è anch’essa una costante del moto ed è proprio l’energia totaleE della particella

E =

@L@r

r +@L@ ˙�

˙�� L

=

1

2

m⇣

r2 + r2 ˙�2⌘

� mMG

r=

1

2

mr2 +1

2

l20mr2

� mMG

r. (2.5)

Vediamo se effettivamente l’energia è una costante del moto

dE

dt= mrr � l20

mr3r +

mMG

r2r

= r

mr � l20mr3

+

mMG

r2

= r

mr �mr2 ˙�+

mMG

r2

= 0, (2.6)

per la (2.3).Quindi possiamo scrivere dalla (2.5)

dr

dt=

s

2

m

E +

mMG

r� 1

2

l20mr2

(2.7)

) dt =dr

r

2m

E +

mMGr � 1

2l20

mr2

, (2.8)

per la (2.4) e la (2.8)

d� =

l0mr2

dt =1r2dr

ml0

r

2m

E +

mMGr � 1

2l20

mr2

, (2.9)

15

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Capitolo 2 Deflessione classica della luce

integrando con la sostituzione u =

1r , otteniamo

�� �0 = �Z

du⇣

2mEl20

+

2m2MGl20

u� u2⌘

12

= �Z

du

2mEl20

+

m4M2G2

l40�⇣

u� m2MGl20

⌘2�

12

= arccos

0

@

1r � m2MG

l20q

2Eml20

+

m4M2G2

l40

1

A, (2.10)

poichè

�Z

dxpA� x2

= arccos

x

A+ costante. (2.11)

Senza perdere di generalità possiamo ruotare il sistema di riferimento in modo che �0 = 0,per cui esprimendo r = r(�)

r(�) =l20

m2MG

1 +

2l20Em3M2G2 + 1

12cos�

. (2.12)

Facendo riferimento alla Figura 2.1 si vede che valore dell’angolo � che determina gliasintoti della traiettoria e quindi la deflessione del raggio luminoso è data dalla condi-zione limite per cui il raggio tende all’infinito. Questa condizione è verificata quando ildenominatore della (2.12) è uguale a zero

1 +

2l20E

m3M2G2+ 1

12

cos� = 0, (2.13)

) � = arccos

0

B

@

� 1

2l20Em3M2G2 + 1

12

1

C

A

. (2.14)

A questo punto valutiamo i valori dell’energia della particella e il suo momento angolare.Queste quantità sono

E =

1

2

mv2 � mMG

r, l0 = mvr. (2.15)

Precedentemente abbiamo visto che sia l’energia che il momento angolare della par-ticella si conservano (sono indipendenti dal tempo) ma nelle relazioni (2.15) si vede cheentrambe dipendono implicitamente dal tempo. Poichè la posizione della particella varianel tempo, necessariamente dalla (2.15) si vede che la velocità della stessa deve variare

16

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2.1 Caso non relativistico

�1

�M�r

�(r)

r0b

R�

Figura 2.1 Deflessione della luce dal sole.

affinchè l’energia e il momento siano costanti. Supponendo che la particella abbia inizial-mente (all’infinito) una velocità v < 1 e che nel punto più vicino al sole, quando r = r0, laparticella abbia una velocità v = 1 , allora possiamo dire che

E =

1

2

m� mMG

r0, l0 = mr0. (2.16)

Inserendo la (2.16) nella (2.14),otteniamo

� = arccos

0

B

@

� 1

m3r20�2m3MGr0m3M2G2 + 1

12

1

C

A

= arccos

0

B

@

� 1

r20M2G2 � 2r0

MG + 1

12

1

C

A

= arccos

�MGr0

1� MGr0

!

. (2.17)

Sviluppando quest’ultima quantità in serie di potenze di MGr0

otteniamo

� =

2

+

MG

r0+

3

2

MG

r0

◆2

+ . . . , (2.18)

quindi la deflessione dell’orbita dalla traiettoria iniziale sarà

�Newtonian = |2�� ⇡| ' 2MG

r0. (2.19)

Sapendo che la massa del sole è circa M = M� = 1.97 ⇥ 10

33 g, quindi MG =

M�G = 1.475 km,e il minimo valore di r0 è R� = 6.95 ⇥ 10

5km, possiamo ricavare ilvalore dell’angolo di deflessione che è all’incirca pari a

�Newtonian ' 2M�G

R�= 2⇥ 1.475

6.95⇥ 10

�5rad = 0.42446⇥ 10

�5rad ' 0.875500.

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Capitolo 2 Deflessione classica della luce

b

ds

d✓

Figura 2.2 Diffusione da potenziale centrale di un fascio incidente.

Il caso della deflessione del singolo fotone è un caso ideale. Generalmente si ha a chefare con un fascio luminoso pertanto consideriamo un fascio di particelle della stessa massaed energia, caratterizzato da una intensità I (nota anche come densità di flusso) che sipropaga in un campo gravitazionale di un corpo massivo. Per descrivere il processo didiffusione introduciamo il concetto di sezione d’urto effettiva di scattering definita come

d� =

dN

I, (2.20)

con dN il numero di particelle diffuse nell’angolo solido d⌦ per unità di tempo, mentreil termine al denominatore rappresenta l’intensità del fascio incidente.

Per ogni particella le costanti del moto sono l’energia e il momento angolare che deter-minano l’ampiezza e l’angolo di scattering (angolo formato dalla direzione di diffusione conla direzione del fascio incidente). E’ conveniente esprimere le costanti del moto in terminidi velocità v1 incidente ed una quantità nota come parametro d’impatto b, definito comela distanza tra la retta direttrice della velocità incidente e il centro della forza. In questomodo otteniamo l’angolo di scattering in funzione del parametro d’impatto.

Assumiamo che per differenti valori del parametro b non si abbia lo stesso valore del-l’angolo di scattering e che la funzione ✓(b) sia biunivoca, per cui solo quelle particelle conparametro d’impatto compreso tra b e b+ db saranno diffuse di un angolo compreso tra ✓e ✓+ d✓ come si può notare osservando la Figura 2.2. Poichè il numero di particelle con unparametro d’impatto compreso tra b e b+ db è uguale al prodotto dell’intensità del fascioincidente per l’area tra le due circonferenze di raggi b e b+ db, ossia

dN = ⇡bI db,

allora la sezione d’urto effettiva sarà:

d� =

2⇡Ib db

I= 2⇡b(✓)

db(✓)

d✓

d✓. (2.21)

18

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2.2 Caso relativistico

Generalmente d� è legato all’angolo solido al posto dell’angolo piano d✓. Sapendo chel’elemento di angolo solido compreso tra due coni di angoli verticali ✓ e ✓ + d✓ è pari ad⌦ = 2⇡ sin ✓d✓, allora

d� =

b(✓)

sin ✓

db(✓)

d✓

d⌦. (2.22)

2.2 Caso relativistico

2.2.1 La soluzione di Schwarzschild

Consideriamo un campo gravitazionale statico e isotropo tale che sia possibile trovare unsistema di coordinate quasi-Minkowskiano in modo che il tempo proprio d⌧2 ⌘ �gµ⌫dxµdx⌫

non dipenda da t ma da x e dx solo attraverso gli invarianti rotazionali dx2,x · dx, e x2.L’intervallo di tempo proprio in forma standard prende la forma

d⌧2 = B(r)dt2 �A(r)dr2 � r2d✓2 � r2 sin2 ✓d�2, (2.23)

da cui segue che la metrica è diagonale. Ricordiamo che le connessioni affini sono costruitecon la metrica e le derivate della metrica e il tensore di Ricci con le derivate delle connessionie prodotti di connessioni. Andando a calcolare il tensore di Ricci, si vede che esso èdiagonale e ha componenti

Rtt = � 1

2A

B00 � 1

2

B0✓

A0

A+

B0

B

◆�

+

1

r

B0

A, (2.24)

Rrr =1

2B

B00 � 1

2

B0✓

A0

A+

B0

B

◆�

+

1

r

A0

A, (2.25)

R✓✓ = 1� R

2A

�A0

A+

B0

B

� 1

A, (2.26)

R�� = sin2✓R✓✓. (2.27)

Dalla condizione che l’equazioni di Einstein nel vuoto hanno Rµ⌫ = 0, si otterrà per leprime due componenti del tensore di Ricci

Rrr

A+

Rtt

B=

1

BA

A0

A+

B0

B

= 0 ) A0B +AB0= 0, (2.28)

quindiA(r)B(r) = costante.

Per valutare questa costante osserviamo che a distanze molto grandi (r ! 1) dal centrogravitazionale il tensore metrico tende alla metrica Minkowskiana; per cui

lim

r!1A(r) = lim

r!1B(r) = 1 ) A(r) =

1

B(r). (2.29)

19

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Capitolo 2 Deflessione classica della luce

Utilizzando le altre due componenti del tensore di Ricci, si vede che

R✓✓ = �1 +B0(r)r +B(r) =

d

dr(rB(r))� 1 = 0, (2.30)

Rrr =B00

(r)

2B(r)+

B0(r)

rB(r)=

R0✓✓(r)

2rB(r), (2.31)

dalla (2.30) segue cherB(r) = r + costante. (2.32)

Per fissare la costante d’integrazione notiamo che, a grandi distanze dal centro gravitazio-nale, la componente gtt ⌘ �B deve tendere a �1� 2�, dove � è il potenziale Newtoniano�MG/r. Quindi la costante d’integrazione è �2MG, e la soluzione finale è

B(r) =

1� 2MG

r

, (2.33)

A(r) =

1� 2MG

r

��1

. (2.34)

La metrica completa è data da

d⌧2 =

1� 2MG

r

dt2 �

1� 2MG

r

��1

dr2 � r2d✓2 � r2 sin2 ✓d�2. (2.35)

La (2.35), scoperta da Schwarzschild nel 1916, è la soluzione esatta dell’equazione di Ein-stein per il caso di un campo gravitazionale statico ed isotropo generato da una massaM.

Dalla (2.35) si osserva che la metrica di Schwarzschild possiede una singolarità polarenei punti r = 2MG. Il raggio associato a questa singolarità prende il nome di raggio

di Scwarzschild della massa M . Questo concetto è strettamente connesso all’esistenza diuna regione dello spazio-tempo con un campo gravitazionale così elevato da non lasciarsfugggire nulla al suo interno verso l’esterno. Questa regione è detta buco nero. Si puòdefinire il buco nero come un corpo massivo le cui dimensioni siano inferiori rispetto al suoraggio di Schwarzschild. La superficie limite associata al raggio di Schwarzschild definisceil cosiddetto orizzonte degli eventi. Questa denominazione deriva dal fatto che tutto ciò cheavviene ad una distanza inferiore al raggio di Schwarzschild non è visibile ad un osservatoreesterno in quanto nè la materia nè le onde elettromagnetiche (come la luce) riescono asfuggire al campo gravitazionale generato dal buco nero.

Nello studio della deflessione della luce da parte del Sole, risulta chiara quindi l’im-portanza del raggio RS di Schwarzschild associato: infatti se il parametro d’impatto èmolto grande rispetto a tale raggio allora la deflessione sarà minima e quindi sarà lecitoconsiderare il limite di campo gravitazionale debole; viceversa, se il parametro d’impattoè prossimo al raggio di Schwarzschild allora la curvatura dello spazio-tempo sarà deter-minante e l’equazioni del moto assumeranno una forma molto più complessa. Nel nostrocaso osserviamo che il raggio del Sole (R� ' 6, 96 ⇥ 10

5 km) è 10

5 volte più grande delsuo raggio di Schwarzschild (RS(M�) ' 2, 95 km) e dal momento che il minimo valore delparametro d’impatto potrà essere prossimo al raggio solare, allora sarà lecito considerarel’approssimazione di campo debole.

20

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2.2 Caso relativistico

2.2.2 Geodetiche di Schwarzschild

Consideriamo un fotone che si muove liberamente in un campo gravitazionale. L’azioneche descrive la propagazione libera di una particella che si muove da A a B è data da

S =

Z B

Ad⌧ =

Z B

A

q

�gµ⌫(x)dxµdx⌫ . (2.36)

Per il principio di Hamilton devo ottenere un’azione stazionaria per una generica variazionedei campi coinvolti, con la condizione che la variazione sia nulla agli estremi: �xµ|ba = 0.La variazione dell’azione sarà data da

�S =

Z B

A

1

2d⌧

h

�@�gµ⌫�x�dxµdx⌫ � 2gµ⌫d�xµdx⌫

i

= �1

2

Z B

A

@�gµ⌫�x�dx

µ

d⌧

dx⌫

d⌧d⌧ + 2gµ⌫

d�xµ

d⌧

dx⌫

d⌧d⌧

= �1

2

Z B

A

@�gµ⌫dxµ

d⌧

dx⌫

d⌧d⌧ � 2@�g�⌫

dx�

d⌧

dx⌫

d⌧d⌧ � 2g�⌫

d2x⌫

d⌧2

�x�d⌧. (2.37)

Dalla definizione di connessione affine si ha

@�gµ⌫ + @µg�⌫ � @⌫gµ� = 2gk⌫�k�µ ) @�gµ⌫ � 2@µg�⌫ = �2g�⌫�

⌫µ�, (2.38)

e sostituendo nella (2.37) si ottiene

�S = �Z B

A

d2x⌫

d⌧2+ �

⌫µ�

dxµ

d⌧

dx⌫

d⌧

g�⌫�x�d⌧ = 0. (2.39)

Pertanto l’equazione del moto sarà

d2x⌫

d⌧2+ �

⌫µ�

dxµ

d⌧

dx�

d⌧= 0. (2.40)

Geometricamente la (2.40) rappresenta il moto della particella nello spazio-tempo lungo lacurva più corta possibile. Tale curva è chiamata geodetica.

Consideriamo ora il moto di un fotone in un campo gravitazionale statico e isotro-po. Sappiamo che per questo problema la metrica del campo è data dalla soluzione diSchwarzschild (2.35). La lagrangiana del fotone sarà

L =

1

2

gµ⌫uµu⌫

=

1

2

"

�✓

1� 2MG

r

˙t2 +

1� 2MG

r

◆�1

r2 + r2 ˙✓2 + r2 sin2 ✓ ˙�2#

. (2.41)

Si vede che sia t che � sono coordinate cicliche , così i loro momenti coniugati sarannocostanti del sistema

pt =@L@ ˙t

= �✓

1� 2MG

r

˙t, (2.42)

p� =

@L@ ˙�

= r2 sin2 ✓ ˙�. (2.43)

21

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Capitolo 2 Deflessione classica della luce

Queste costanti del moto possono essere interpretate fisicamente: p� è il momento angolaredell’orbita della particella e �pt è l’energia della particella come la misura di un osservatoreall’infinito.

L’equazione del moto per la variabile ✓ è

0 =

d

d⌧

@L@ ˙✓

� @L@✓

=

d

d⌧

r2 ˙✓⌘

� r2 sin ✓ cos ✓ ˙�2

=

d

d⌧

r2 ˙✓⌘

+

p2� cos ✓

r2 sin3 ✓. (2.44)

Moltiplicando per r2 ˙✓, otteniamo

0 =

d

d⌧

r2 ˙✓⌘2

+

d

d⌧

⇣ p�sin ✓

⌘2, (2.45)

e integrando⇣

r2 ˙✓⌘2

= �p2� cot2 ✓, (2.46)

si vede che il primo membro è sempre positivo mentre il secondo membro è sempre negativo,quindi devono essere entrambi nulli. Ciò implica che ✓ = cost ossia che l’orbita è planare.Assumiamo per comodità di trovarci nel piano equatoriale (✓ = ⇡/2).

Osserviamo a questo punto che il fotone, viaggiando alla velocità della luce, ha tempoproprio nullo

d⌧2 = �gµ⌫dxµdx⌫ = 0 ) gµ⌫u

µu⌫ = 0,

quest’ultima è l’identità per le quadrivelocità. Otteniamo quindi

0 = �gµ⌫uµu⌫

=

1� 2MG

r

˙t2 �✓

1� 2MG

r

◆�1

r2 � r2 ˙✓2 � r2 sin2 ✓ ˙�2

=

1� 2MG

r

◆�1

p2t �✓

1� 2MG

r

◆�1

r2 � r2 ˙✓2 � p2�r2 sin ✓

,

sostituendo a ✓ = ⇡/2

0 =

1� 2MG

r

◆�1

p2t �✓

1� 2MG

r

◆�1

r2 � p2�r2

. (2.47)

Riordinando i termini

p2t � r2 � p2�r2

1� 2MG

r

= 0 (2.48)

) r2

2

+ V (r) =E2

2

, (2.49)

22

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2.2 Caso relativistico

con

V (r) =p2�2r2

1� 2MG

r

, E = pt, p� = r2 ˙�. (2.50)

Combinando la (2.50) con la (2.49) si ottiene il vaore dell’angolo di deflessione

�Rel = 2

Z 1

r0

p�

r2p

E2 � 2V (r)dr � ⇡. (2.51)

Possiamo ricavare il valore dell’energia E nel punto dell’orbita più vicino alla sorgente,quando r = r0. Dalla (2.49) infatti si ottiene

E2= 2V (r0) =

p2�2r20

1� 2MG

r0

, (2.52)

quindi sostituendo questo risultato nell’integrale, otteniamo

�Rel = 2

Z 1

r0

p�dr

r2r

p2�r20

1� 2MGr0

� p2�r2

1� 2MGr

� ⇡

= 2

Z 1

r0

r0r2dr

r0

r

1r20

1� 2MGr0

� 1r2

1� 2MGr

� ⇡

= 2

Z 1

r0

r0r2dr

r

1� r20r2

� 2MGr0

1� r30r3

� ⇡, (2.53)

effettuando la sostituzione x = r0/r e ponendo ↵ = 2GM/r0

�Rel = 2

Z 1

0

dxp

(1� x2)� ↵ (1� x3)� ⇡. (2.54)

Sviluppando l’espressione (2.54) per ↵ = 2GM/r0 ⌧ 1

�Rel = 2

Z 1

0

dxp

(1� x2)� ↵ (1� x3)� ⇡

= 2

Z 1

0dx

1p1� x2

� ↵

2

x3 � 1

(1� x2)32

+

3

8

↵2

x3 � 1

�2

(1� x2)52

+

� 5

16

↵3

x3 � 1

�3

(1� x2)72

+ . . .

!

� ⇡

= 2

2

� ↵

2

(�2) +

3

8

↵3

5

3

⇡ � 4

3

◆�

� ⇡ ' 2↵ =

4GM

r0, (2.55)

23

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Capitolo 2 Deflessione classica della luce

quindi, sapendo che MG = M�G = 1.478 km e che il minimo valore di r0 è R� = 6.95⇥10

5,allora

�Rel =4GM�R�

= 8.489⇥ 10

6 rad = 1.7500. (2.56)

Qualsiasi risultato proveniente dalla relatività generale porta con sè un problema fon-damentale che riguarda la scelta dei sistemi di riferimento, cioè se il risultato ottenuto siriferisca realmente ad una misura fisica oggettiva oppure dipenda dalla nostra scelta delsistema di coordinate. Ci chiediamo quindi se l’angolo di deflessione � abbia realmentea che fare con le posizioni dell’immagini stellari su una lastra fotografica. La risposta èsemplice in quanto abbiamo a che fare con un’esperimento di diffusione: il raggio luminoso,proveniente da una distanza molto grande, viene deflesso in prossimità del sole; successi-vamente viene rilevato sulla terra ad una distanza dal sole di 200 volte il raggio solare.Nei punti di origine del fascio e rilevazione, la metrica è sostanzialmente Minkowskiana,e a queste distanze non ci si pone la domanda sul significato di �; infatti esso è l’angoloazimutale in un sistema di coordinate nel quale i raggi luminosi definiscono linee che sonoessenzialmente rette. Possiamo legare lo shift delle immagini stellari su lastre fotografichecon le solite regole dell’ottica geometrica.

Un’altra difficoltà concettuale riguarda il comportamento del fotone come quanto di luceche si muove come una particella con velocità c. In realtà non è necessario l’utilizzo dellameccanica quantistica in quanto la lunghezza d’onda della luce è così piccola, confrontatacon la scala del campo gravitazionale solare (10�5 cm confrontata con 10

10 cm), che inogni punto di questo campo possiamo considerare un sistema di coordinate localmenteinerziale che copre un enorme numero di lunghezze d’onda (circa 10

15). Il Principio diEquivalenza ci dice che, in tale sistema di coordinate, la luce si comporta come se fossein uno spazio gravitazionale vuoto e, dal momento che la lunghezza d’onda è cosi piccola,allora la diffrazione è trascurabile ed ogni elemento del fronte d’onda si muove in linearetta ad una velocità unitaria.

L’angolo di deflessione � è misurato confrontando le posizioni apparenti delle stelle chesono prossime al disco solare, valutate durante un’eclisse, con le loro posizioni di notte seimesi prima, quando queste stelle si trovano dalla parte opposta della terra e la loro lucenon passa vicino al sole. Sottraendo a ✓ (eclissi), ✓ (sei mesi prima) si dovrebbe ottenere ladeflessione �. Tuttavia c’è un’inevitabile variazione nella scale fotografiche su un intervallodi sei mesi dovuta parzialmente alla piccola variazione nella temperatura e alla configura-zione meccanica del telescopio e della camera su una scala temporale molto grande. Unavariazione nella scala della fotografia darebbe luogo ad un’apparente deflessione proporzio-nale alla distanza r0 dal sole. Ciò che si fa praticamente è confrontare le osservazioni conuna curva teorica contenente una costante di scala derivante da questo fenomeno.

La difficoltà di questo metodo deriva dalla scarsa accuratezza nella misura dell’angolonel breve tempo disponibile durante l’eclissi.

Una prima misura sperimentale fu effettuata nel 1919: un gruppo di astronomi si recòin due isole, Sobral (Brasile) e Principe (Golfo di Guinea), per studiare l’eclissi totaleche si verificò in quell’anno. Furono esaminate dozzine di stelle e il risultati sperimentaliportarono a valori dell’angolo di deflessione pari a (1.98±0.12)00 e (1.61±0.31)00, in accordo

24

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2.2 Caso relativistico

con la predizione teorica di Einstein. Questo risultato pose la relatività generale al centrodel dibattito scientifico dell’epoca.

Dal 1919 ad oggi sono state effettuate diverse misurazioni e la più recente di queste daluogo a un angolo di deflessione pari a (1.70± 0.10)00, in ottimo accordo con la predizionedi Einstein.

Il problema riguardante l’accuratezza della misura può essere risolto utilizzando le tec-niche fotoelettriche per monitorare le posizioni delle stelle senza dover attendere un’eclissi.Lo sviluppo nella radio astronomia ha reso possibile misurare la deflessione dei radiosegnalidal sole con un’accuratezza potenzialmente più grande rispetto a quella in ottica astrono-mica. Una complicazione derivante da questo metodo è la rifrazione dei raggi nella coronasolare.

25

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Capitolo 3

Calcolo della sezione d’urto

quantistica

In questo capitolo calcoleremo la sezione d’urto differenziale per un campo a massanulla e spin unitario che viene diffuso da un campo gravitazionale debole associato ad unasorgente puntiforme.

3.1 Campo elettromagnetico in presenza di un campo gravi-

tazionale debole

In generale la dinamica di un sistema fisico è descritta dall’azione S ottenuta dalladensità Lagrangiana L. L’azione del campo elettromagnetico in uno spazio-tempo piattoè espressa come

Spiatto = �1

4

Z

d4xFµ⌫(x)Fµ⌫(x). (3.1)

Minimizzando questa azione otterremo l’equazioni di Maxwell nello spazio-tempo piatto.Estendendo il problema ad uno spazio-tempo curvo, caratterizzato da un tensore metricogµ⌫(x), l’azione del sistema diventerà

Scurvo = �1

4

Z

d4xp

g(x)Fµ⌫(x)Fµ⌫(x), (3.2)

con g(x) = det[gµ⌫(x)]. Assumendo che il campo gravitazionale sia debole, possiamosviluppare la metrica nel limite di spazio-tempo piatto

gµ⌫(x) = ⌘µ⌫ + hµ⌫(x), (3.3)

dove la costante è necessaria per avere un tensore metrico adimensionale, infatti il campohµ⌫ , come ogni campo quantistico, ha le dimensioni di una massa. Da ciò segue che lacostante avrà le dimensioni dell’inverso di una massa. Sviluppiamo l’azione del campo

26

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3.2 Sorgente esterna

elettromagnetico nel limite di campo debole

Scurvo = S |gµ⌫=⌘µ⌫ +

@S

@gµ⌫

gµ⌫=⌘µ⌫

hµ⌫ + . . .

= �1

4

Z

d4xFµ⌫(x)Fµ⌫(x) +

2

hµ⌫(x)Tµ⌫(x) + . . . , (3.4)

in quanto

@S

@gµ⌫=

1

2

Z

d4xp

g(x)

Fµ� (x)F

�⌫(x)� 1

4

gµ⌫(x)F�(x)F�(x)

=

1

2

Tµ⌫curvo(x), (3.5)

@S

@gµ⌫

gµ⌫=⌘µ⌫

=

1

2

Z

d4x

Fµ� (x)F

�⌫(x)� 1

4

⌘µ⌫(x)F�(x)F�(x)

=

1

2

Tµ⌫piatto(x), (3.6)

quindi possiamo dire che all’ordine più basso

Scurvo = Spiatto + Sint, (3.7)

con Lint =2hµ⌫T

µ⌫ che rappresenta l’interazione del campo elettromagnetico, corrispon-dente a fotoni con spin 1 e a massa nulla, con il campo gravitazionale. L’effetto di questainterazione è lo scattering del campo. Quindi il moto di campi in uno spazio-tempo, che èuna perturbazione dello spazio-tempo piatto, può essere interpretato come un’interazionegravitazionale che coinvolge il tensore energia-impulso dei campi.

3.2 Sorgente esterna

Ricaviamo ora la metrica del campo gravitazionale generato da una sorgente puntiformedi massa M nel limite di campo debole.

Partiamo dall’equazioni di Einstein linearizzate

⇤hµ⌫(x) =p16⇡GSµ⌫(x) = Sµ⌫(x), (3.8)

dove Sµ⌫(x) = �Tµ⌫(x) +12⌘µ⌫T

�� (x) dipende dal tensore energia-impulso Tµ⌫(x) della

sorgente. La soluzione di questa equazione è la (1.43)

hµ⌫(x) =

4⇡

Z

d4x0Sµ⌫(x0) �(x0 � x00 � |x� x0|)

|x� x0| . (3.9)

Per una sorgente puntiforme di massa M posta nell’origine, il tensore energia-impulso saràdato da

Tµ⌫(x) = M�3(x)

pµp⌫

p0, (3.10)

27

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Capitolo 3 Calcolo della sezione d’urto quantistica

supponendo che la sorgente sia statica si ottiene

Tµ⌫(x) = M�0µ�0⌫�

3(x), (3.11)

quindi inserendo queste informazioni nella (3.9) si trova

Sµ⌫(x) = �Tµ⌫(x) +1

2

⌘µ⌫T�� = M�3(x)

1

2

⌘µ⌫ � �0µ�0⌫

, (3.12)

hµ⌫(x) =

4⇡

Z

d4x0M�3(x0

)

12⌘µ⌫ � �0µ�

0⌫

�(x0 � x00 � |x� x0|)|x� x0|

=

4⇡

Z

d3x0M�3(x0

)

12⌘µ⌫ � �0µ�

0⌫

|x� x0|Z

dx00�(x0 � x00 ��

�x� x0��

)

=

8⇡

M�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

|x| =

2MG

|x|�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

, (3.13)

quindi la metrica del campo sarà

gµ⌫(x) = ⌘µ⌫ + hµ⌫(x) = ⌘µ⌫

1 +

2MG

|x|◆

� 4MG

|x| �0µ�0⌫ . (3.14)

La trasformata di Fourier della (3.13) nello spazio dei momenti è definita da

hµ⌫(q0,q) =

Z

d4xeiq·xhµ⌫(x)

=

Z

d4xeiq·x

8⇡

M�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

|x|=

8⇡M

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

Z

dx0eiq0x0

Z

d3xe�iq·x

|x|=

8⇡M

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

2⇡�(q0)4⇡

|q|2

= 2⇡�(q0)M

2q2�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

. (3.15)

3.3 Richiami sulla matrice di diffusione

Nella rappresentazione di Scrödinger l’evoluzione temporale di un vettore di stato�

(S)(t) , secondo l’assioma di Von Neuman, è data dall’equazione di Scrödinger

i@�(S)

@t= H(S)

(S)(t), (3.16)

dove l’indice (S) sta per Scrödinger. Possiamo dividere l’hamiltoniana in due parti

H(S)= H(S)

0 +H(S)I , (3.17)

28

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3.3 Richiami sulla matrice di diffusione

dove H(S)0 è l’Hamiltoniana in assenza di perturbazione, e H(S)

I rappresenta l’Hamiltonianadi interazione. Consideriamo la trasformazione

�(t) = eiH(S)0 t

(S), (3.18)

O(t) = eiH(S)0 tO(S)e�iH

(S)0 t, (3.19)

dove O(S) è un operatore nella rappresentazione di Schrödinger. Questa trasformazione puòessere intesa come un cambiamento di rappresentazione da quella di Schrödinger a quellanota come rappresentazione d’interazione. I simboli � e O senza indici rappresentano ilvettore di stato e l’operatore nella rappresentazione d’interazione. L’evoluzione temporaledi �(t) è data da

i@�

@t= i

"

iH(S)0 eiH

(S)0 t

(S)+ eiH

(S)0 t@�

(S)

@t

#

= �H(S)0 eiH

(S)0 t

(S)+ eiH

(S)0 t

H(S)0 +H(S)

I

e�iH(S)0 teiH

(S)0 t

(S)

= HI�, (3.20)

dove HI è l’Hamiltoniana d’interazione nella rappresentazione d’interazione. Per ottenereuna soluzione formale dell’equazione differenziale (3.20) definiamo un operatore U(t, t0)

�(t) = U(t, t0)�(t0), (3.21)

dove �(t0) è il vettore di stato che caratterizza il sistema ad un tempo t0. Quindil’equazione (3.20) è equivalente a

i@U(t, t0)

@t= HI(t)U(t, t0), (3.22)

con la condizione cheU(t0, t0) = 1. (3.23)

L’equazione differenziale (3.22) con la condizione al contorno (3.23) avrà come soluzione

U(t, t0) = 1� i

Z t

t0

dt0HI(t0)U(t0, t0), (3.24)

risolviamo l’integrale con un metodo ricorsivo per il quale

U(t, t0) = 1� i

Z t

t0

dt1HI(t1)

1� i

Z t1

t0

dt2HI(t2)U(t2, t0)

= 1� i

Z t

t0

dt1HI(t1) + (�i)2Z t

t0

dt1

Z t1

t0

dt2HI(t1)HI(t2) + . . .

+ (�i)nZ t

t0

dt1

Z t1

t0

dt2 · · ·Z tn�1

t0

dtnHI(t1)HI(t2) · · ·HI(tn) + . . . (3.25)

29

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Capitolo 3 Calcolo della sezione d’urto quantistica

L’operatore U ha un importante significato fisico: supponendo di conoscere lo stato |�iidel sistema al tempo iniziale t0, allora la probabilità di trovare il sistema nello stato |�f iad un tempo t è dato da

|h�f |U(t, t0) |�ii|2 = |Ufi(t, t0)|2 . (3.26)

La probabilità di transizione i ! f media per unità di tempo è

w =

1

t� t0|Ufi(t, t0)� �fi|2 . (3.27)

Nella relazione compare una delta dovuta al fatto che nella (3.25) compare 1 anche inassenza di d’interazione. Questo rapporto dipende dal tempo in un modo molto particolarequando l’intervallo di tempo t � t0 è piccolo, mentre tende ad un limite finito quandot0 ! �1 e t ! 1. In questo limite definiamo la matrice S come

S = lim

t!1t0!�1

U(t, t0). (3.28)

Alla luce di ciò, l’equazione (3.25) può essere espressa in termini di matrice S come

S = S(0)+ S(1)

+ S(2)+ . . .

= 1� i

Z 1

�1dt1HI(t1) + (�i)2

Z 1

�1dt1

Z t1

�1dt2HI(t1)HI(t2) + . . .

+ (�i)nZ 1

�1dt1

Z t1

�1dt2 · · ·

Z tn�1

�1dtnHI(t1)HI(t2) · · ·HI(tn) + . . . (3.29)

Il significato fisico della matrice S è analogo a quello della matrice U ; infatti, se assumiamoche il sistema si trovi nello stato i a t = �1, allora la probabilità di trovare il sistema inun particolare stato finale f a t = 1 è data da

|h�f |S |�ii|2 = |Sfi|2 . (3.30)

3.4 Calcolo della sezione d’urto al primo ordine

Per valutare l’ampiezza di transizione dallo stato i ad un particolare stato f , dobbiamoconsiderare Sfi � �fi, dal momento che il primo termine S(0)

= 1 rappresenta l’ampiezzaper una situazione fisica in cui non vi è interazione. Dal momento che, all’ordine più bassonon nullo, Sfi � �fi = S(1), consideriamo

S(1)fi = �i

�f

Z 1

�1dtHI(t)

�i

, (3.31)

e dal momento che

Lint =

2

hµ⌫(x)Tµ⌫(x) ) Hint = �

Z

d3xLint, (3.32)

30

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3.4 Calcolo della sezione d’urto al primo ordine

bisogna calcolare

S(1)fi =

i

2

Z

Vd4x

�f

�hµ⌫(x)Tµ⌫(x)

�i

=

i

2

Z

Vd4xhµ⌫(x)

�f

�Tµ⌫(x)

�i

, (3.33)

in quanto stiamo assumendo che il campo gravitazionale sia un campo esterno.Assumiamo che il fotone incidente abbia un quadrimomento p e dopo aver interagito

con il campo abbia un quadrimomento p0. Per cui bisogna valutare la quantità⌦

p0�

�Tµ⌫(x)

�p↵

. (3.34)

Nello spazio dei momenti la (3.34) prende la forma

p0�

�Tµ⌫(x)

�p↵

=

1

p

2EpV

1

p

2Ep0V✏⇤�(p

0,�0)e�ip0xV µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�)e

ipx

=

1

2Vp

EpEp0✏⇤�(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�)e

iqx, (3.35)

dove V µ⌫↵�(p, p0) indica il vertice d’interazione gravitone/fotone/fotone nello spazio dei

momenti calcolato in appendice A , ✏↵(p) e ✏�(p0) sono rispettivamente i vettori di pola-rizzazione iniziale e finale del fotone e q = p � p0 è il quadrimomento trasferito. Allora la(3.33) sarà

iS(1)fi = �

2

Z

Vd4xhµ⌫(x)

p0,�0�

�Tµ⌫(x)

�p,�↵

= �

4Vp

EpEp0

Z

Vd4xhµ⌫(x)✏

⇤�(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�)e

iqx

= �

4Vp

EpEp0hµ⌫(q)✏

⇤↵(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏�(p,�), (3.36)

e per la (3.15) possiamo scrivere

iS(1)fi = �

4Vp

EpEp0

M

2q2�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

2⇡�(q0)✏⇤�(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�). (3.37)

Quindi l’ampiezza di transizione mediata sugli stati di polarizzazione del fotone sarà datada

iS(1)fi

2↵

=

2

16V 2EpEp0

X

��0

hµ⌫(q)✏⇤�(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�)⇥

⇥ h⇤⇢�(q)✏(p

0,�0)V ⇢�✏ ⇤(p, p0)✏⇤✏ (p,�). (3.38)

Notiamo che in questa espressione compare il quadrato della funzione �(q0) che esprime perl’appunto la conservazione dell’energia. Questo aspetto è fondamentale ai fini del calcolo in

31

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Capitolo 3 Calcolo della sezione d’urto quantistica

quanto possiamo così affermare che p00 = p0 = E. Utilizzando la relazione di completezzasui vettori di polarizzazione

1

2

X

✏↵(p,�)✏⇤✏ (p,�) = �⌘↵✏, (3.39)

ed applicando le regole dell’algebra tensoriale (per il calcolo esplicito si veda l’appendiceB), otteniamo

iS(1)fi

2↵

=

2

16V 2EpEp0

M

2q2

◆2

2⇡�(q0)T ⇥ 16E4cos

4

2

(3.40)

dove T è il tempo di transizione. Questo termine deriva dal fatto che

(2⇡�(q0))2= 2⇡�(q0)

Z Tf

Ti

dt eiq0t = 2⇡�(q0)(Tf � Ti). (3.41)

La probabilità media di transizione è data da ! = h|iS(1)fi |2i/T , per cui sarà indipenden-

te dal tempo di transizione. Per valutare la sezione d’urto differenziale bisogna moltiplicare! per il fattore dato dallo spazio delle fasi e dividere poi per la densità di flusso incidente,che è proprio |p|/EV . Quindi

d� =

h�

iS(1)fi

2iT

V d3p0

8⇡3

◆✓

EpV

|p|◆

=

h�

iS(1)fi

2iT

V 2EpEp0

8⇡3

d⌦, (3.42)

dal momento che

d3p0�(q0) =p02

(@E/@|p0|)d⌦ = |p0|Ep0d⌦ = |p|Ep0d⌦, (3.43)

q2= 4p2

sin

2

2

, (3.44)

per cui si ottiene

d�

d⌦=

4M2

16

1

q4⇡2E4

cos

4

2

= (GM)

2cot

4

2

, (3.45)

Per valutare l’angolo di deflessione del fotone faremo un’analisi semiclassica in cui met-teremo in relazione il parametro d’impatto con la sezione d’urto differenziale. Assumendo

32

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3.4 Calcolo della sezione d’urto al primo ordine

che la particella viaggi lungo la direzione z verso una sorgente localizzata nell’origine eindicando l’angolo azimutale con ✓, avremo la relazione (2.22) riscritta come

d�

d⌦=

b

sin ✓

db

d✓

. (3.46)

Questo approccio semiclassico ci permette di legare l’interazione quantistica tra la particellae la sorgente con quantità definite classicamente come il parametro d’impatto. Utilizzandola (3.45) e (3.46) otteniamo

db2

d✓

= 2(GM)

2cot

4

2

sin ✓, (3.47)

che, integrata, dà come risultato

b2(✓) = 2(MG)

2

cos ✓ + 2 csc

2

2

+ 8 log sin

2

◆◆

, (3.48)

che nel limite di piccoli valori dell’angolo di deflessione ✓

b ⇡ GM

4

✓+ ✓

5

12

+ 2 log

2

◆◆

, (3.49)

per cui✓ ⇡ 4MG

b, (3.50)

in accordo con il risultato della relatività generale.In questo capitolo abbiamo visto come il risultato “classico” della teoria di Einstein

venga ritrovato a livello quantistico. Questo fatto sembrerebbe sorprendente ma, in real-tà abbiamo lavorato all’ordine più basso nella perturbazione gravitazionale, al cosidettotree-level che tipicamente riproduce il risultato classico. L’interferenza con contributi diordine più alti darebbe luogo a stati intermedi virtuali necessari all’osservazione di effettipuramente quantistici.

33

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Capitolo 4

Lenti gravitazionali e materia oscura

Nei capitoli precedenti si è studiato la deflessione della luce per effetto di sorgentigravitazionali massive. Questo fenomeno è anche noto come lente gravitazionale, in quantola modifica della curvatura dello spazio-tempo genera un effetto simile a quello di una lenteottica che può deformare, sdoppiare o moltiplicare l’immagine della sorgente.

In questo capitolo verranno analizzate le applicazioni delle lenti gravitazionali.

4.1 Teoria delle lenti gravitazionali

Un metodo alternativo per valutare la deflessione della luce in presenza di gravità uti-lizza il principio di Fermat, il quale nella sua forma più semplice afferma che il cammino diun’onda luminosa con una data frequenza è tale da rendere minimo il tempo di percorrenza.

Si consideri la velocità della luce in un mezzo data dal rapporto c/n, con indice dirifrazione n. Per il principio di Fermat, il tempo di percorrenza dovrà essere minimo

Z B

An(x(l))dl = 0. (4.1)

Supponiamo che la lente sia molto piccola rispetto alle dimensioni totali del sistemaottico composto da sorgente, lente e osservatore. Si assume inoltre che la lente sia debole,ossia che abbia un potenziale gravitazionale Newtoniano � tale per cui |�| ⌧ 1. Questaapprossimazione è potenzialmente valida in tutti i casi di interesse astrofisico. Abbiamovisto che nel caso di campo debole la metrica diviene

gµ⌫ =

0

B

B

@

� (1 + 2�) 0 0 0

0 (1� 2�) 0 0

0 0 (1� 2�) 0

0 0 0 (1� 2�)

1

C

C

A

, (4.2)

per cui l’elemento di linea dello spazio-tempo sarà

ds2 = �gµ⌫dxµdx⌫ = (1 + 2�)dt2 � (1� 2�)(dx)2. (4.3)

34

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4.1 Teoria delle lenti gravitazionali

É noto che il cammino di un raggio luminoso è tale da verificare la condizione ds2 = 0, percui la velocità della luce in presenza di campo gravitazionale sarà

c0 =|dx|dt

=

s

1 + 2�

1� 2�⇡ (1 + 2�), (4.4)

e quindi l’indice di rifrazione è

n =

c

c0=

1

1 + 2�⇡ 1� 2�. (4.5)

Così dalla (4.1) si ottiene

Z �B

�A

d�n[x(�)]

dx

d�

= 0, (4.6)

dal momento chedl =

dx

d�

d�.

La (4.6) da luogo alle equazioni di Eulero-Lagrange

d

d�

@L

@ ˙x

� @L

@x= 0, (4.7)

per la lagrangiana

L = n[x(�)]

dx

d�

.

Pertanto si ottiene@L

@x= | ˙x|@n

@x= (rn)| ˙x|, @L

@ ˙x= n

˙x

| ˙x| , (4.8)

con ˙x vettore tangente al cammino luminoso. Supponendo di normalizzare il vettoretangente | ˙x| = 1 e scrivendo e ⌘ ˙x, si ottiene

d

d�(ne)�rn = 0

) n ˙e+ e(rn · e) = rn

) ˙e =

1

n(rn� e(rn · e)) = 1

nr?n, (4.9)

dove r? è il gradiente perpendicolare al percorso della luce. Dal momento che n = 1�2�,la (4.9) diviene

˙e = r? ln(1� 2�) ⇡ �2r?�. (4.10)

L’equazione (4.10) è molto utile per calcolare l’angolo di deflessione. Infatti se indichiamocon eA e eB i versori tangenti al raggio ottico nel punto iniziale A e nel punto finale B,allora l’angolo di deflessione è rappresentato dal vettore ↵ = eA�eB. Pertanto integrando� ˙e lungo il cammino luminoso si ottiene

↵ = 2

Z �B

�A

d�r?�. (4.11)

35

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Capitolo 4 Lenti gravitazionali e materia oscura

Questa formula è poco utile dal momento che bisogna integrare sul cammino effettivodella luce. Tuttavia |�| ⌧ 1, allora ci aspettiamo che l’angolo di deflessione sia piccolo epossiamo approssimare la (4.11) all’integrale sul percorso della luce inperturbato.

Se consideriamo un fascio di luce che si propaga nella direzione ez e passa una lente az = 0 con parametro d’impatto b, allora l’angolo di deflessione sarà

↵(b) = 2

Z 1

�1dzr?�. (4.12)

Se la lente è una massa puntiforme si ottiene il risultato

|↵| = 4MG

|x| .

Da quest’ultima relazione si vede che ↵ dipende linearmente dalla massa, per cui si puòpensare, nel caso di un sistema di lenti, di applicare il principio di sovrapposizione per gliangoli di deflessione.

Si consideri una distribuzione superficiale di N masse puntiformi, le cui posizionirispetto ad un sistema di coordinate fissate e le masse siano rispettivamente ⇠i e Mi,8i = 1, . . . , N . L’angolo di deflessione di un raggio che incontra il piano nel punto ⇠ sarà

↵(⇠) =X

i

↵(⇠ � ⇠i) = 4GX

i

Mi(⇠ � ⇠i)

|⇠ � ⇠i|2 . (4.13)

Consideriamo ora delle lenti più realistiche ossia delle distribuzioni tridimensionali dimateria. Nei casi più comuni di effetti di lente gravitazionale in astrofisica e anche di quellipiù complessi, come i grappoli di galassie, le dimensioni fisiche della lente sono generalmentepiù piccole rispetto alle distanze tra osservatore, lente e sorgente. Quindi la deflessione delcammino luminoso avviene in una sua sezione molto piccola. A tale fenomeno si dà il nomedi approssimazione da lente sottile: sia la lente che la sorgente vengono approssimate dadistribuzioni planari di materia e si parla di lente piana e sorgente piana.

In questa approssimazione la lente piana è descritta dalla sua densità superficiale

⌃ (⇠) =

Z

⇢ (⇠, z) dz, (4.14)

dove ⇠ è un vettore bidimensionale nel piano della lente, mentre ⇢ è la densità tridimensio-nale. L’angolo di deflessione totale è ottenuto sommando tutti i contributi degli elementidi massa ⌃ (⇠) d2⇠

↵(⇠) = 4G

Z

⌃(⇠0)(⇠ � ⇠i)

|⇠ � ⇠i|2 d2⇠0. (4.15)

Consideriamo ora un sistema composto da un osservatore O, una lente gravitazionaleL e una sorgente S posta dietro la lente come mostrato nella Figura 4.1. Definiamo un’asseottico indicato dalla linea tratteggiata, perpendicolare ai piani della lente e della sorgentee passante per l’osservatore. Consideriamo una sorgente nella posizione angolare �, che sitroverà quindi sul piano della sorgente alla distanza ⌘ = �DS dall’asse ottico. L’angolo

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4.1 Teoria delle lenti gravitazionali

O

SI↵

✓�

L

DLS DL

DS

Figura 4.1 Schema di un tipico sistema di lente gravitazionale

di deflessione ↵ del raggio luminoso proveniente dalla sorgente, con parametro d’impatto⇠ = ✓DL sul piano della lente, è dato dall’equazione (4.12). A causa della deflessione,l’osservatore riceve la luce proveniente da una sorgente posta ad una posizione angolare ✓.

Si noti che, a causa della curvatura indotta dalla distribuzione di massa, lo spazio-tempo non è uno spazio euclideo come nel caso Minkowskiano. Quindi si avrà una metricanon-euclidea e in generale DS 6= DLS+DL. Tuttavia è possibile considerare queste distanzecome distanze di diametro angolare definite come DS = ⌘/� e DL = ⇠/✓.

Assumendo che gli angoli ✓,� e ↵ siano piccoli, possiamo legare la posizione apparentedella sorgente con quella reale mediante una relazione molto semplice. Questa relazione èchiamata equazione della lente e viene espressa come

✓DS = �DS +↵DLS . (4.16)

Definendo l’angolo di deflessione ridotto

↵0(✓) ⌘ DLS

DS↵(✓) = 4G

DLS

DS

Z

⌃(⇠0)(⇠ � ⇠0)

|⇠ � ⇠0|2 d2⇠0,

otteniamo� = ✓ �↵0

(✓). (4.17)

Dal momento che ⇠ = DL✓, allora l’angolo di deflessione ridotto sarà

↵0(✓) = 4G

DLDLS

DS

Z

⌃(✓0DL)✓ � ✓0

|✓ � ✓0|2d2✓0

=

1

Z

(✓0)

✓ � ✓0

|✓ � ✓0|2d2✓0, (4.18)

dove(✓0

) =

⌃(DL✓0)

⌃crit, ⌃crit =

1

4⇡

DS

DLDLS, (4.19)

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Capitolo 4 Lenti gravitazionali e materia oscura

sono rispettivamente la densità superficiale adimensionale della lente (nota anche comeconvergenza) e la densità di massa critica. (✓) caratterizza la forza dell’effetto di lentegravitazionale; infatti a seconda del valore di si possono avere moltiplicazioni, ingran-dimenti e distorsioni dell’immagine I. Si parla di effetto forte per > 1, mentre l’effettodebole si verifica per ⌧ 1.

Poichè la densità di massa critica dipende dalla distanza angolare, la forza di una lentedipenderà anche dalla distanza relativa della sorgente e dell’osservatore dalla lente.

Nel limite di campo debole, è legato alla proiezione del potenziale gravitazionaleNewtoniano, �(✓), mediante l’equazione di Poisson,

r2� = 2 (4.20)

per cui

�(✓) =1

Z

(✓0) ln |✓ � ✓0|d2✓0, ↵0

(✓) =1

Z

(✓0)

✓ � ✓0

|✓ � ✓0|2d2✓0. (4.21)

Dalla (4.21) si nota la relazione tra il potenziale � e l’angolo di deflessione ridotto ↵0.Differenziando la (4.17) rispetto a ✓ otteniamo

@�i@✓j

= �ij � @↵0i

@✓j= �ij � @

@✓j

@�(✓)

@✓i

= �ij � @i@j�. (4.22)

L’equazione (4.22) descrive la funzione della lente gravitazionale, ossia come un punto delpiano della sorgente è legato alla sua immagine mediante il campo gravitazionale Newto-niano �. Questa relazione viene descritta dalla matrice di ingrandimento M(✓) definitadall’equazione (4.22) come

M�1(✓) =

1� � �1 ��2��2 1� + �1

= (1� )

1 0

0 1

+

✓��1 ��2��2 �1

, (4.23)

dove dalla (4.20)

=

1

2

(@1@1 + @2@2)�, (4.24)

mentre�1 =

1

2

(@1@1 � @2@2)�, �2 = @1@2�. (4.25)

Dalla decomposizione (4.23) della matrice d’ingrandimento si nota che l’effetto di lentegravitazionale agisce in due modi. Il primo, dato da (1� ), è quello di ingrandire isotro-picamente la sorgente, mentre il secondo, dato da �1 e �2, è quello di distorcere l’immagine.� = (�1; �2) è la shear gravitazionale. Questo termine è responsabile della trasformazionedell’immagine delle galassie in anelli o enormi archi.

Gli autovalori della matrice di shear sono

⇣1,2 = ±q

�21 + �22 = ±�, (4.26)

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4.1 Teoria delle lenti gravitazionali

per cui gli autovalori della matrice di ingrandimento sono

�1 = 1� � �,

�2 = 1� + �.

Scegliamo un sistema di riferimento in cui la matrice (4.23) sia diagonale e consideriamouna sorgente circolare per la quale l’equazione delle linee isofote è y21+y22 = r2. L’equazionedelle lenti ci assicura che i punti sul piano della sorgente che soddisfano questa equazionevengono mappate nei punti (x1, x2)

y1y2

=

1� � � 0

0 1� + �

◆✓

x1x2

. (4.27)

Quindir2 = y21 + y22 = (1� � �)2x21 + (1� + �)2x22, (4.28)

che rappresenta l’equazione di un’ellisse sul piano della lente. Così una sorgente circolare,sufficientemente piccola confrontata con la scala della lente, viene deformata in un’ellissequando e � sono entrambi non nulli. Gli assi dell’ellisse sono

a =

1

1� � �, b =

1

1� + �. (4.29)

Ovviamente l’ellisse si riduce ad un cerchio se � = 0. L’angolo di orientazione dell’ellissesarà

= arctan

�1(✓)� |�(✓)|�2(✓)

(4.30)

e si definisce l’ellitticità dell’immagine complessa come

✏ ⌘ a� b

a+ be2i , (4.31)

mentre la sua polarizzazione complessa

� ⌘ a2 � b2

a2 + b2e2i , (4.32)

e queste due quantità sono legate dalla relazione

� =

2✏

1 + |✏|2 .

Esprimendo l’ellitticità e la polarizzazione dell’immagine rispetto allo shear � e alla con-vergenza , si ottiene

✏ =�

1� e2i , � =

2(1� )�

(1� )2 + �e2i . (4.33)

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Capitolo 4 Lenti gravitazionali e materia oscura

Definendo lo shear ridotto complesso

g ⌘ �

1� , (4.34)

allora✏ = |g|e2i , � =

2|g|1 + |g|2 e

2i . (4.35)

Per legare l’ellitticità della sorgente a quella dell’immagine, rilevando visione quantitativadella deformazione dell’immagine, bisogna fare un’analisi più generale del fenomeno. Sap-piamo che la sorgente è caratterizzata dal quadrimomento della sua brillanza superficiale,definito come

QSij =

R

d2� (�i � �0i)(�j � �0j)W (I(�))R

d2�W (I(�)), (4.36)

con �0 il centro ottico della sorgente

�0 =

R

d2� �W (I(�))R

d2�W (I(�)), (4.37)

e la quantità W (I) è una funzione peso dipendente dall’intensità. Analogamente l’imma-gine è descritta da un quadrimomento

QIij =

R

d2✓ (✓i � ✓0i)(✓j � ✓0j)W (I(✓))R

d2✓W (I(✓)), (4.38)

dove per analogia si è posto

✓0 =

R

d2✓ ✓W (I(✓))R

d2✓W (I(✓)). (4.39)

Utilizzando il quadrimomento Qij si può definire l’ellitticità complessa

✏ =Q11 �Q22 + 2iQ12

Q11 +Q22 + 2(Q11Q22 �Q212)2

, (4.40)

per ottenere la relazione che lega l’ellitticità dell’immagine ✏I in funzione dell’ellitticitàdella sorgente ✏S

✏S =

8

>

>

<

>

>

:

✏I � g

1� g⇤✏I|g| 1

1� g✏⇤I

✏⇤I � g⇤|g| > 1

(4.41)

Un’importante conseguenza della distorsione della lente è l’amplificazione. Mediantel’equazione della lente, l’elemento di angolo solido d⌦S viene mappato nell’angolo solidod⌦L. Dal teorema di Liouville e dall’assenza di emissione o assorbimento di fotoni nelladeflessione gravitazionale della luce, segue la conservazione della luminosità della superficiedella sorgente. La variazione dell’angolo solido sotto cui la sorgente è vista implica che il

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4.2 Materia oscura

flusso ricevuto da una sorgente è amplificato o ridotto. Questa amplificazione è quantificatadalla matrice M(✓). Definiamo

µ ⌘ detM(✓) =1

detM�1(✓)

=

1

(1� )2 � �2, (4.42)

come l’amplificazione globale. Si nota subito che se (1 � )2 � �2 = 0, l’amplificazionediverge. Questa condizione comporta la formazione di immagini multiple, grandi archi eanelli di Einstein con un’amplificazione molto grande. I punti del piano dell’immagine incui l’amplificazione è infinita formano le linee critiche, mentre i corrispondenti punti sulpiano della sorgente formano le caustiche. La forma delle caustiche e delle linee critichedipendono dalla configurazione della lente, funzione dalla distanza tra osservatore, lentee sorgente, e dalla geometria e distribuzione della massa all’interno della lente. Per unadata configurazione, le proprietà delle immagini dipendono dalla posizione della sorgenterispetto alle linee caustiche e dalla morfologia intrinseca della sorgente. Sostanzialmente leimmagini fortemente deflesse sono delle buone tracce delle linee critiche e quindi rivelanomolte proprietà della configurazione della lente. Per esempio, un perfetto anello circolarecorrisponde ad una sorgente allineata con la lente, osservatore e distribuzione circolare dimateria. La linea critica è un cerchio perfetto descritto dall’anello, mentre la linea causticaè un punto singolo del piano della sorgente.

4.2 Materia oscura

Nel 1933 l’astronomo Fritz Zwicky, valutando la stima della massa di ammassi di ga-lassie, notò una discordanza nei risultati derivanti da due differenti metodi di stima. Inparticolare vide che per l’ammasso della Chioma la stima della massa dinamica era 400volte più grande di quella basata sulla luminosità. Fu così che ipotizzò l’esistenza di unaltro tipo di materia presente nell’universo alla quale si diede il nome di materia oscura.

Il suo risultato però non suscitò grande interesse nella comunità scientifica tanto checontinuò a dedicarsi alle scoperte di supernove extragalattiche e a catalogare le galassievisibili nell’universo. Solo negli anni ’70 il problema sulla materia oscura divenne oggettodi ricerca. Nel 2008, grazie allo studio di innumerevoli immagini riprese dal teloscopioCFHT, si è evidenziata la possibile presenza di materia oscura negli spazi intergalattici.

L’idea di fondo per ipotizzare l’esistenza della materia oscura negli ammassi di galassiesfrutta la deformazione, indotta dal campo gravitazionale di un ammasso di una o piùgalassie, delle immagini dello sfondo tramite l’utilizzo del concetto di lente gravitazionale.Il vantaggio del lensing gravitazionale risiede nel fatto che la determinazione della densitàsuperficiale dell’ammasso è indipendente dalla natura fisica della materia che lo componee dal suo stato dinamico.

Vi sono due modi per determinare la distribuzione superficiale di materia ⌃(⇠) dell’am-masso. Il primo consiste nello studio degli archi giganti che si formano quando la galassia(che funge da sorgente) si trova vicino ad una caustica dell’ammasso. Dalle proprietà diquesti archi è possibile stimare ⌃(⇠). Questo metodo studia quindi l’effetto di lensing forte.

41

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Capitolo 4 Lenti gravitazionali e materia oscura

Il secondo metodo invece sfrutta l’effetto di lensing debole, ossia lo studio delle distorsio-ni delle immagini dello sfondo in archetti. Uno studio statistico di tali immagini permettedi ottenere ⌃(⇠).

Analizziamo nel dettaglio il primo metodo. La formazione di archi giganti riguarda gliammassi regolari, caratterizzati da un’approssimata simmetria sferica. Le immagini di unasorgente estesa prossima ad una castica sono proprio segmenti d’arco. La formazione diarchi tangenziali (segmenti dell’anello di Einstein relativo ad un ammasso regolare) fornisceun’informazione non banale riguardo l’ammasso in esame. Infatti la densità superficialecentrale ⌃0 per questo tipo di fenomeno deve essere

⌃0 > ⌃cr, (4.43)

ottenendo così un limite inferiore per la densità centrale. Dal momento che tale arco tracciaproprio l’anello di Einstein, è immediato dedurre il valore dell’angolo di Einstein ✓E . Infatti

m = ⇡ (✓EDL)2⌃cr, (4.44)

con DL distanza dell’ammasso. Questa quantità è facilmente misurabile coombinando ilredshift osservato e la legge di Hubble. ⌃cr richiede la conoscenza della distanza dellasorgente, difficile da misurare in modo diretto. L’amplificazione dell’immagine permettedi superare questa difficoltà: infatti le righe spettrali della sorgente posseggono lo stessoredshift di quelle presenti nell’immagine e quindi si ottiene il valore della massa dell’am-masso. I modelli di lenti basati sulla simmetria assiale prevedono l’esistenza di una coppiadi archi tangenziali situati nell’anello di Einstein in posizioni simmetriche rispetto al cen-tro della lente. Generalmente si osserva un solo arco. Ciò è dovuto probabilmente aduna perturbazione, seppur piccola, della simmetria assiale della lente che produce un forteindebolimento di uno dei due archi tangenziali.

Il secondo metodo prevede l’utilizzo di alcune relazioni valide nel regime di lensingdebole. Come abbiamo visto precedentemente, l’immagine di una sorgente estesa subisceun’alterazione causata dall’effetto di convergenza e di shear �. Supponendo che le galassiesullo sfondo si trovino alla stessa distanza DS e che sia DS , che DL siano misurabiliosservativamente, allora è nota ⌃cr.

⌃(⇠) = (✓)⌃cr (4.45)

avrà come incognita solo (✓). Questa quantità non è misurabile in maniera diretta.Tuttavia è possibile valutare osservativamente lo shear ridotto g per poi risalire al valore di. Non conoscendo i valori di ✏S relativi alle galassie dello sfondo, possiamo supporre chetali galassie non siano statisticamente correlate e quindi consideriamo le loro orientazionicompletamente casuali. Pertanto i corrispondenti valori medi h✏Si soddisfano la condizione

h✏Si = 0.

Questa condizione comporta che la (4.41) prenda la forma

g =

⇢ h✏Ii |g| 1

1/h✏⇤Ii |g| > 1

. (4.46)

42

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4.2 Materia oscura

Nel limite di lensing debole si ha che (✓) < 1, quindi |g| < 1. Dalla definizione dishear ridotto e dall’equazione (4.46) segue che

�(✓) = g(✓) = h✏Ii, (4.47)

quindi lo shear complesso diviene una quantità osservabile e misurabile direttamente.Utilizzando le relazioni (4.24) e (4.25), si mette in relazione la shear con la convergenza

�(✓) =1

Z

D(✓ � ✓0)(✓0

) d2✓0, (4.48)

doveD =

✓22 � ✓21 � 2i✓1✓2|✓|4 . (4.49)

Formalmente questa relazione è un prodotto di convoluzione, quindi può essere invertita.Pertanto

(✓) =1

Z

D⇤(✓ � ✓0

)�(✓0) d2✓0

=

1

Z

D⇤(✓ � ✓0

)h✏Iid2✓, (4.50)

ottenendo così la relazione tra la convergenza e l’ellitticità dell’immagine. Si determinacosì il valore della densità superficiale di massa dell’ammasso mediante la relazione (4.45).

Da questo studio si ricava così una stima della massa di un ammasso di galassie chefunge da lente gravitazionale. Questa stima, come abbiamo già detto, non dipende dallostato termodinamico della galassia.

L’uso di telescopi a raggi X ha mostrato che l’emissione di raggi X degli ammassi digalassie è spazialmente estesa, con caratteristiche di distribuzione che si differenziano infunzione della struttura del potenziale gravitazionale dell’ammasso: il gas, infatti, tende aconcentrarsi nelle zone in cui questo ha un valore minore. La distribuzione dell’emissione Xfornisce così una vera e propria mappa del campo gravitazionale dell’ammasso e permettedi risalire alla distribuzione della massa che lo produce.

Dal confronto delle stime derivanti dai due metodi di indagine, si è arrivati all’ipotesidell’esistenza della materia oscura, dove per materia oscura si intende quel tipo di materiache non dà luogo ad un’emissione ottica e che non è stata ancora rivelata direttamente.

43

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Conclusioni

A conclusione di questo lavoro di tesi, si può affermare di aver riottenuto i risultatiproposti da Einstein nel 1915, in merito alla deflessione della luce indotta dal campo gravi-tazionale solare. In particolare si è dimostrato, utilizzando i concetti di relatività generale,che il valore dell’angolo di deflessione della luce per mezzo del sole è circa 1.75” d’arco,al contrario del risultato proposto da Soldner nel 1804. Si è ritrovato poi il risultato cor-retto, calcolando la sezione d’urto quantistica, al leading order, del processo d’interazionedel fotone con il campo gravitazionale nel limite di campo debole. Sono stati studiati eapprofonditi gli aspetti della relatività generale e delle sue implicazioni sulla dinamica deicorpi. É stata acquisita, inoltre, la capacità di calcolare il vertice d’interazione e la sezioned’urto in processi di scattering quantistici. Dallo studio di lenti gravitazionale per ammas-si di galassie, si è introdotto uno dei temi fondamentali della fisica moderna: il problemadell’esistenza della materia oscura.

La formulazione della relatività generale, introdotta per rimuovere la contraddizione trarelatività ristretta e gravitazione Newtoniana, ha dato sviluppo a nuovi ambiti della fisicacontemporanea. In seguito alla formulazione della teoria di Hubble nel 1929 sull’espansionedell’Universo, la teoria di Einstein è stata il punto fondamentale per i successivi sviluppiin ambito cosmologico che hanno portato alla formulazione del modello cosmologico di

Friedmann-Lemaitre e della teoria del Big Bang ; a seguire la formulazione dell’inflazione,e dell’energia oscura. Gli sviluppi in questi ambiti portano con sé ancora problemi irrisolti:restano infatti aperte le questioni riguardanti gli istanti iniziali dell’universo e l’esistenzadelle onda gravitazionali.

44

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Appendice A

Vertice gravitone/fotone/fotone

Consideriamo l’azione del campo elettromagnetico in presenza di un campo gravitazio-nale

S(x) = �1

4

Z

dxp

g(x)Fµ⌫(x)Fµ⌫(x), (A.1)

Per trovare il vertice d’interazione tra il campo gravitazionale esterno e il campo elettro-magnetico bisogna calcolare la derivata funzionale dell’azione rispetto ai campi coinvolti.

@S(x)

@g�k(y)=

1

2

Z

d4xp

g(x){F �µ (x)F

µk(x)� 1

4

g�k(x)Fµ⌫(x)Fµ⌫(x)}�(x� y)

=

p

g(x)

2

{F �µ (y)F

µk(y)� 1

4

g�k(y)Fµ⌫(y)Fµ⌫(y)}

�!gµ⌫=⌘µ⌫

1

2

{F �µ (y)F

µk(y)� 1

4

⌘�k(y)Fµ⌫(y)Fµ⌫(y)} (A.2)

@2S(x)

@g�k(y)@A✏(z)=

1

2

(

@F �µ (y)

@A✏(z)Fµk

(y) +@Fµk

(y)

@A✏(z)F �µ (y)

� ⌘�kFµ⌫(y)@yµ�

✏⌫�(x� y)

=

1

2

n

⌘�↵⇥

@yµ�✏↵�(y � z)� @y↵�

✏µ�(y � z)

Fµk(y)

+ F �µ ⌘

µ↵⌘k�h

@y↵�✏��(y � z)� @y��

✏↵�(y � z)

i

� ⌘�kFµ⌫(y)@yµ�

✏⌫�(y � z)

o

(A.3)

45

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Capitolo A Vertice gravitone/fotone/fotone

@3S(x)

@g�k(y)@A✏(z)@A�(w)=

=

1

2

n

⌘�↵h

@(y)µ �✏↵�(y � z)� @y↵�✏µ�(y � z)

i h

@yµ�k��(y � w)� @yk�µ��(y � w)i

+

@yµ����(y � w)� @y���µ�(y � w)

⌘µ↵⌘k�⇣

@y↵�✏��(y � z)� @y��

✏↵�(y � z)

� ⌘�k (@yµ�⌫��(y � w)� @y⌫�µ��(y � w)) @yµ�y⌫�(y � w)

o

=

1

2

⌘�↵h

@(y)µ �✏↵�(y � z)� @y↵�✏µ�(y � z)

i h

@y���⇣ �(y � w)� @y⇣ ����(y � w)

i

⇥ ⌘µ�⌘k⇣ +�

@yµ����(y � w)� @y��

�µ�(y � w)

@y↵�✏��(y � z)� @y��

✏↵�(y � z)

⇥⇥ ⌘��⌘µ↵⌘k� � ⌘�k⌘µ�⌘⌫↵ (@y��

�↵�(y � w)� @y↵�

���(y � w)) @yµ�

y⌫�(y � w)} (A.4)

Valutiamo quest’ultima quantità nello spazio degli impulsiZ

dy dz dw@3S(x)

@g�k(y)@A✏(z)@A�(w)e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw1

2

n

⌘�↵h

@(y)µ �✏↵�(y � z)� @y↵�✏µ�(y � z)

i

⌘µ�⌘k⇣⇥

⇥h

@y���⇣ �(y � w)� @y⇣ ����(y � w)

i

+ ⌘���

@yµ����(y � w)� @y��

�µ�(y � w)

�⇥⇥ ⌘µ↵⌘k�

@y↵�✏��(y � z)� @y��

✏↵�(y � z)

� (@y���↵�(y � w)� @y↵�

���(y � w))⇥

⇥ ⌘�k⌘µ�⌘⌫↵@yµ�y⌫�(y � z)

o

e�i(qy+pz+p0w) (A.5)

Calcoliamo separatamente ogni parte dell’integrale. Per la primaZ

dy dz dw ⌘�↵h

@(y)µ �✏↵�(y � z)� @y↵�✏µ�(y � z)

i

⌘µ�⌘k⇣⇥

⇥h

@y���⇣ �(y � w)� @y⇣ ����(y � w)

i

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘�↵h

�@(z)µ �✏↵�(y � z) + @z↵�✏µ�(y � z)

i

⌘µ�⌘k⇣⇥

⇥h

�@w� ��⇣ �(y � w) + @w⇣ ����(y � w)i

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘�↵⇥

(�ipµ)�✏↵ � (�ip↵)�

✏µ

⌘µ�⌘k⇣h

(�ip0�)��⇣ � (�ip0⇣)���

i

⇥ e�i(qy+pz+p0w)�(y � z)�(y � w)

=

Z

dy⌘�↵⇥

pµ�✏↵ � ip↵�

✏µ

⌘µ�⌘k⇣h

p0⇣��� � p0��

�⇣

i

e�i(qy+pz+p0w)

= ⌘�↵⇥

pµ�✏↵ � ip↵�

✏µ

⌘µ�⌘k⇣h

p0⇣��� � p0��

�⇣

i

�(4)(q + p+ p0)

=

p�⌘✏�⌘k⇣ � p�⌘✏�⌘k⇣⌘⇣

���p0⇣ � ��⇣ p

0�

�(4((q + p+ p0)

=

p�⌘✏�p0k � p0�p�⌘✏�⌘k� � p�p0k⌘✏� + p�p0✏⌘k�

�(4)(q + p+ p0) (A.6)

46

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Per la secondaZ

dy dz dw ⌘���

@yµ����(y � w)� @y��

�µ�(y � w)

⌘µ↵⌘k�⇥

⇥⇣

@y↵�✏��(y � z)� @y��

✏↵�(y � z)

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘����@wµ ����(y � w) + @w� �

�µ�(y � w)

⌘µ↵⌘k�⇥

⇥ ��@z↵�✏��(y � z) + @z��✏↵�(y � z)

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘���

(�ip0µ)��� � (�ip0�)�

�µ

⌘µ↵⌘k��

(�ip↵)�✏� � (�ip�)�

✏↵

�⇥

⇥ e�i(qy+pz+p0w)�(y � w)�(y � z)

=

Z

dy ⌘���

p0µ��� � p0��

�µ

⌘µ↵⌘k��

p��✏↵ � p↵)�

✏�

e�i(qy+pz+p0w)�(y � w)�(y � z)

= ⌘��⌘µ↵⌘k��

p0µ���p��

✏↵ � p0µ�

��p↵�

✏� � p0��

�µp��

✏↵ + p0��

�µp↵�

✏�

�(4)(q + p+ p0)

=

⌘��p0✏pk � p0µpµ⌘k✏⌘�� � p0�pk⌘�✏ + p0�p�⌘k✏

�(4)(q + p+ p0) (A.7)

Per la terzaZ

dy dz dw⇣

⌘�k⌘µ�⌘⌫↵ (@y���↵�(y � w)

� @y↵����(y � w)) @yµ�

y⌫�(y � w)

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘�k⌘µ�⌘⌫↵ (�@w� ��↵�(y � w) + @w↵ ����(y � w))⇥

⇥ ��@zµ�y⌫�(y � z)�

e�i(qy+pz+p0w)

=

Z

dy dz dw ⌘�k⌘µ�⌘⌫↵�

(�ip0�)��↵ � (�ip0↵)�

��

(+ipµ�y⌫)⇥

⇥ e�i(qy+pz+p0w)�(y � w)�(y � z)

= ⌘�k⌘µ�⌘⌫↵�

p0↵��� � p0��

�↵

pµ�✏⌫�

(4)(q + p+ p0)

=

p0✏p�⌘�k � p0�p�⌘�k⌘✏�

�(4)(q + p+ p0) (A.8)

Quindi otteniamoZ

dy dz dw@3S(x)

@g�k(y)@A✏(z)@A�(w)e�i(qy+pz+p0w)

=

=

�(4)(q + p+ p0)

2

⇣⇣

p0kp�⌘✏� � p0�p�⌘✏�⌘k� � p0kp�⌘✏� + p0✏p�⌘k�

+

p0✏pk⌘�� � p0µpµ⌘k✏⌘�� � p0�pk⌘�✏ + p0�p�⌘k✏

�⇣

p0✏p�⌘�k � p0�p�⌘�k⌘✏�

⌘⌘

47

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Capitolo A Vertice gravitone/fotone/fotone

=

�(4)(q + p+ p0)

2

p0kp�⌘✏� � p0�p�⌘✏�⌘k� � p0kp�⌘✏� + p0✏p�⌘k� + p0✏pk⌘��

�p0µpµ⌘k✏⌘�� � p0�pk⌘�✏ + p0�p�⌘k✏ � p0✏p�⌘�k + p0�p

�⌘�k⌘✏�⌘

= ��(4)

(q + p+ p0)

2

p0�p�⇣

⌘✏�⌘k� + ⌘k✏⌘�� � ⌘�k⌘✏�⌘

+

⌘�kp0✏p� � ⌘��p0✏pk � ⌘✏�p0kp� + ⌘✏�p0kp� � ⌘k�p0✏p� + ⌘�✏p0�pk � ⌘k✏p0�p�⌘⌘

= ��(4)

(q + p+ p0)

2

h

p0 · pC�k✏�+D�k✏�

(p, p0)i

(A.9)

Avendo posto

C�k✏�= ⌘✏�⌘k� + ⌘k✏⌘�� � ⌘�k⌘✏� (A.10)

D�k✏�(p, p0) = ⌘�kp0✏p� � ⌘��p0✏pk � ⌘✏�p0kp�

+ ⌘✏�p0kp� � ⌘k�p0✏p� + ⌘�✏p0�pk � ⌘k✏p0�p� (A.11)

A✏(z)

hµ⌫(y)

A�(w)p0

q p=

p0 · pC�k✏�+D�k✏�

(p, p0)⇤

Figura A.1 Diagramma di Feynmann per l’interazione gravitone-fotone-fotone

Quindi il vertice d’interazione sarà

V �✏�(p, p0) = p0 · pC�✏�

+D�✏�(p, p0) (A.12)

In questo calcolo abbiamo supposto che tutti i momenti fossero entranti come si ve-de nella FiguraA.1. In realtà bisognerebbe prendere il momento p0 uscente e questocomporterebbe la comparsa di un meno a fattor comune nella (A.9).

48

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Appendice B

Calcolo della sezione d’urto

quantistica

L’ampiezza di probabilità media di transizione per lo scattering del fotone è data da

iS(1)fi

2↵

=

2

16V 2EpEp0

X

��0

hµ⌫(q)✏⇤�(p

0,�0)V µ⌫↵�(p, p0)✏↵(p,�)⇥

⇥ h⇤⇢�(q)✏(p0,�0)V ⇢�✏ ⇤

(p, p0)✏⇤✏ (p,�) (B.1)

In questa sezione effettueremo i calcoli espliciti della (B.1). Osserviamo inizialmente cheper la (A.9) e (3.15) si ottiene

hµ⌫(q)Vµ⌫↵�

(p, p0) = �2⇡�(q0)M

2q2�(4)(q + p� p0)

2

⇥ �

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

h

p0 · pCµ⌫↵�+Dµ⌫↵�

(p, p0)i

(B.2)

Ponendo per comodità il fattore a fronte uguale a J otteniamo

hµ⌫(q)Vµ⌫↵�

(p, p0) =

= J�

⌘µ⌫ � 2�0µ�0⌫

h

p0 · p⇣

⌘µ⌫⌘↵� � ⌘↵µ⌘⌫� � ⌘⌫↵⌘µ�⌘

� ⌘µ⌫p0↵p� + ⌘µ�p0↵p⌫

+⌘↵µp0⌫p� � ⌘↵�p0⌫pµ + ⌘⌫�p0↵pµ � ⌘↵�p0µp⌫ + ⌘⌫↵p0µp�i

= Jn

p0 · p⇣

4⌘↵� � ⌘↵� � ⌘↵�⌘

� 4p0↵p� + p0↵p� + p0↵p� � ⌘↵�p0 · p+ p0↵p�

� ⌘↵�p0 · p+ p0↵p� � 2

h⇣

⌘↵� � �↵0 ��0 � �↵0 �

�0

p0 · p� p0↵p� + ��0 p0↵p0 + �↵0 p

00p�

�⌘↵�p00p0 + ��0 p0↵p0 � ⌘↵�p00p0 + �↵0 p

00p�io

= �2Jn⇣

⌘↵� � 2�↵0 ��0

p0 · p� p0↵p� + 2��0 p0↵p0 + 2�↵0 p

00p� � 2⌘↵�p00p0o

= �2Jn⇣

⌘↵� � 2�↵0 ��0

p0 · p� p0↵p� + 2E��0 p0↵+ 2E�↵0 p

� � 2E2⌘↵�o

(B.3)

49

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Capitolo B Calcolo della sezione d’urto quantistica

poichè per un campo statico esterno l’energia del fotone è conservata, ossia Ep = Ep0 = E.Dalla (B.1) e utilizzando la relazione di completezza sui vettori di polarizzazione del fooneotteniamo

iS(1)fi

2↵

=

4J22

16V 2EpEp0

n⇣

⌘↵� � 2�↵0 ��0

p0 · p� p0↵p� + 2E��0 p0↵+ 2E�↵0 p

�2E2⌘↵�o

(⌘✏ � 2�✏0�0 ) p

0 · p� p0✏p + 2E�0p0✏+ 2E�✏0p

� 2E2⌘✏

⇥X

��0

✏⇤�(p0,�0)✏(p

0,�0)✏↵(p,�)✏⇤✏ (p,�)

=

4J22

16V 2EpEp0

n⇣

⌘↵� � 2�↵0 ��0

p0 · p� p0↵p� + 2E��0 p0↵+ 2E�↵0 p

� � 2E2⌘↵�o

⇥ �

(⌘✏ � 2�✏0�0 ) p

0 · p� p0✏p + 2E�0p0✏+ 2E�✏0p

� 2E2⌘✏

2⌘�⌘↵✏

=

8J22

16V 2EpEp0

(⌘✏ � 2�✏0�0) p0 · p� p0✏p + 2E�0p

0✏ + 2E�✏0p � 2E2⌘✏

⇥ �

(⌘✏ � 2�✏0�0 ) p

0 · p� p0✏p + 2E�0p0✏+ 2E�✏0p

� 2E2⌘✏

=

8J22

16V 2EpEp0

n

(4� 2� 2 + 4)

p0 · p�2 � p0✏p (⌘✏ � 2�✏0�0) p0 · p

+ 2E�0p0✏(⌘✏ � 2�✏0�0) p

0 · p+ 2E�✏0p(⌘✏ � 2�✏0�0) p

0 · p� 2E2⌘✏ (⌘✏ � 2�✏0�0) p

0 · p� p0✏p (⌘✏ � 2�✏0�

0 ) p

0 · p� 2E�0p0✏p0✏p

� 2E�✏0pp0✏p + 2E2⌘✏p0✏p + 2E�0p

0✏ (⌘

✏ � 2�✏0�0 ) p

0 · p� 2E�0p0✏p

0✏p

+ 4E2�0p0✏�0p

0✏+ 4E2�0p

0✏�✏0p � 4E3�0p

0✏⌘✏

+ 2E�✏0p (⌘✏ � 2�✏0�

0 ) p

0 · p� 2E�✏0pp

0✏p + 4E2�✏0p�0p

0✏+ 4E2�✏0p�

✏0p

k � 4E3�✏0p⌘✏

+ 2E2⌘✏p0✏p

� 2E2⌘✏ (⌘✏ � 2�✏0�

0 ) p

0 · p� 4E3⌘✏�0p

0✏ � 4E3⌘✏�✏0p+ 4E4⌘✏⌘

✏o

=

8J22

16V 2EpEp0

n

2

p0 · p�2 � �

p0 · p�2 + 2E2p0 · p+ 2E2p0 · p� 4E2p0 · p

+ 2E2p0 · p� 4E2p0 · p� 8E2p0 · p+ 4E2p0 · p� �

p0 · p�2 + 2E2p0 · p+ p02p2

� 2E2p02 � 2E2p2 + 2E2p0 · p+ 2E2p0 · p� 4E2p0 · p� 2E2p02 + 4E2p02

+ 4E4 � 4E4+ 2E2p0 · p� 4E2p0 · p� 2E2p2 + 4E4

+ 4E2p2 � 4E4

� 8E2p0 · p+ 4E2p0 · p+ 2E2p0 · p� 4E4 � 4E4+ 16E4

o

=

8J22

16V 2EpEp0

n

2(p0 · p)2 � 8E2(p0 · p)2 + p02p2 + 8E4

o

(B.4)

e dal momento che

p2 = ⌘µ⌫pµp⌫ = E2 � |p|2 = 0, p0 · p = E2

(1� cos ✓) (B.5)

50

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allora possiamo concludere dicendo che

iS(1)fi

2↵

=

8J22

16V 2EpEp0

n

2E4(1� cos ✓)2 � 8E4

(1� cos ✓) + 8E4o

=

8J22

16V 2EpEp02E4

(1 + cos ✓)2

=

42

16V 2EpEp0

M

2q2

◆2

(2⇡�(q0))216E4

cos

4

2

(B.6)

51

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Bibliografia

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Gravitational Background: Electroweak Corrections and Flavour Transitions” (2013)arXiv:1312.7657v1.

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