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VENDERE CON LE COMMUNITY

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Giampaolo Colletti è esperto di media digitali e nuove professioni del-

la rete. Ha lavorato in Vodafone Italia e in Technogym, accendendo la

rispettive web tv aziendali. Ha co-fondato l’osservatorio sull’enterprise

generated content dell’Università Bocconi. Scrive per Nòva24 del Sole-

24Ore, Millionaire, Che Futuro, Metro, L’Impresa. Cura il blog “neti-

zen” sul Sole24Ore e il blog “wwworkers” sul Fatto Quotidiano. Scrive

e conduce Penelope, la prima trasmissione web-native online su Rai.tv

e sulla social tv della Rai.

Per Gruppo24Ore ha scritto “TV fai-da-web” (2010), “Wwworkers: i

nuovi lavoratori della rete” (2011), “Vendere con le community” (2012),

“Social TV” (con Andrea Materia, 2012).

Step by Step è una collana dal taglio fortemente pratico, semplice e in-

tuitivo, curata da specialisti ed esperti della materia e studiata appo-

sitamente per funzioni aziendali e liberi professionisti che si trovano

nella necessità di aggiornarsi nei metodi di lavoro, annettendo nella loro

quotidianità un consapevole uso dell’online, delle teconologie digitali

e di tutta una serie di novità e cambiamenti sociali ed economici che

occorre gestire e padroneggiare per fare business.

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Come intercettare le nuove tribù digitalitra social e mobile

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ISBN 978-88-6345-534-2

© 2011, 2013 Il Sole 24 ORE S.p.A.

Sede legale e amministrazione: via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano

Redazione: via C. Pisacane, 1 - 20016 Pero (MI)

Per informazioni: Servizio Clienti Tel. 02.3022.5680, 06.3022.5680

Fax 02.3022.5400 oppure 06.3022.5400

e-mail [email protected]

Fotocomposizione: S.E.I. Italia S.r.l. - Rovello Porro (CO)

Stampa: Rotolito Lombarda, via Sondrio, 3 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI)

Prima edizione: novembre 2011

Seconda edizione: ottobre 2013

Tutti i diritti sono riservati.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15 per

cento di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso

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Sommario

1 1. Fenomenologia delle community: identikit e trend

30 2. Il community manager: competenze e azioni

52 3. Le 13 regole d’oro per intercettare e animare con successo una community

77 4. Simply the best. Le migliori community italiane

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L’amore è il nostro vero destino, il significato della vita

non lo si trova da soli ma insieme agli altri

Thomas Merton

Il World Nutella Day non verrà cancellato perché il gruppo Ferrero ha ritirato le accuse. Ad inizio estate 2013 ha tenuto banco sui social network l’ingiunzione a difesa del marchio che Ferrero aveva intrapreso (per poi interromperla, però) nei confronti di Sara Rosso, blogger di una numerosa fanpage de-dicata alla Nutella con tanto di giornata celebrativa il 5 febbraio di ogni anno. Guai a sottovalutare la forza della community e attenti a ma-neggiare con cura. L’introduzione a questa nuova edizione di “Vendere con le community” non può che esordire con un mo-nito. Un consiglio che coinvolge gli addetti ai lavori che opera-no nell’ecosistema digitale, le aziende, i liberi professionisti, gli sviluppatori, le agenzie di comunicazione e che però si estende a tutti gli stakeholders coinvolti, compresi (ovviamente) i con-sumatori sempre più attivi e digitalizzati. Oggi tutto ciò che afferisce alle nuove piazze virtuali esplicitate dalle community di ogni tipo e natura deve essere trattato con estrema attenzio-

Introduzione: le nuove community e come gettare

il cuore oltre la rete

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INTRODUZIONE: LE NUOVE COMMUNITY

ne, con una “manualità” nel proporre conversazioni digitali che si deve integrare con la “meccanicità” di piattaforme sempre più malleabili, intuitive, immediate, efficaci. Questa nuova edizione di “Vendere con le community” vede nel capitolo 3 la fotografia aggiornata delle community italiane con i principali casi di ec-cellenza. In un anno e mezzo, d’altronde, l’ecosistema digitale è estremamente cambiato, accelerando di fatto su alcune tenden-ze legate al dialogo sui social network, alla geolocalizzazione delle esperienze di ingaggio e alla fruizione in mobilità (boom per la navigazione su smartphone e tablet, con il relativo svi-luppo esponenziale del mercato delle app). Ecco allora le nuove schede sulle migliori community italiane, quelle legate a brand d’eccellenza, al Terzo Settore, alle Pubbliche Amministrazioni più illuminate, ai gruppi auto-organizzati in rete. Comunque, in continuità con la precedente, anche questa edi-zione contiene in sé un pensiero sotteso: «Non si crea una co-munità. Le comunità esistono già e fanno ciò che vogliono». Ecco le parole di Mark Zuckerberg, papà di Facebook. Però è anche vero che se le comunità fanno ciò che vogliono, intercet-tare i loro interessi e aggregarli, appassionando i partecipanti e ingaggiando con loro una dialogo costante, è un’arte nobile e complessa. Ed è oggi un requisito essenziale del professionista che opera con le community. È a lui che aziende multinazio-nali – ma sempre più spesso anche piccole e medie imprese illuminate, certa Pubblica Amministrazione, le ONG e orga-nizzazioni no-profit, associazioni di categoria e di rappresen-tanza affidano le loro sorti in rete. In realtà questa figura è un po’ a metà strada tra giornalista, moderatore e agevolatore di conversazioni e diventa il collante di una comunità, colui (ma sempre più spesso colei) che consente ad un brand di posizio-narsi con successo in rete. E il che significa anche ottenere un vantaggio in termini di business. In fondo questa nuova figura professionale deve tutto all’abilità di essere un buon traduttore digitale. Proprio su Mashable è stato postato un pezzo a firma di Ryan Lytle, nel quale il noto giornalista di cultura digitale ha

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INTRODUZIONE: LE NUOVE COMMUNITY

stilato un decalogo con le 10 qualità per un efficace communi-ty manager. Quello che scrive Lytle è che occorre andare oltre le competenze specifiche, perché il community manager opera in una logica differente e in un ecosisterma digitale complesso nel quale lo spirito “aloha”, che troverete qualche pagina più avanti, deve essere un mantra. Ecco allora queste 10 qualità.

1. Comunicativo. Corrie Davidson, community manager di Google, ha detto che colui che presidia la community è in fon-do il volto di un brand e deve essere in grado di comunicare efficacemente il messaggio al pubblico: “Che si tratti di forma

breve o lunga, deve essere in grado di scrivere su qualsiasi suppor-

to”. Ma la posizione di colui che opera con le community va oltre il rapporto puramente online. “Deve essere cordiale anche in

ambito analogico, fuori dalla rete, agevolando l ’interazione”.

2. Ottimo valutatore. Il community manager è un curatore, aggiungo un “termometro” della febbre della rete. Deve essere in grado di analizzare i contenuti che escono da un’organiz-zazione e determinare cosa, come e quando condividere. Così ha dichiarato Anthony Quintano, community manager della NBC News: “Nei giorni in cui abbiamo davvero notizie sconvol-

genti, prestiamo molta attenzione al tipo di storie che condividia-

mo, ci vuole molta sensibilità”.

3. Empatico. “Per coinvolgere una comunità occorre conoscere il

tipo di persone che la compongono”, ha dichiarato Tim McDo-nald, community manager di HuffPost Live. “Ha a che fare con

un gruppo di personalità diverse. Deve essere empatico, ossia essere

in grado di mettersi nei panni di quelle persone”.

4. Dedito e appassionato. A differenza di altre posizioni pro-fessionali, il tempo di lavoro di chi opera con le community si dilata, perché occorre essere a disposizione del proprio pubbli-co. “Quando sei un community manager sei online 24/7. Se vuoi

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l ’ingresso in azienda alle 9 del mattino per poi essere fuori alle 5 del

pomeriggio, sei nel settore sbagliato, ha dichiarato Rachael King, community manager di Adobe.

5. Organizzato e ordinato. Per chi opera con le community il lavoro consiste nel gestire più piattaforme, nel monitoraggio dei feedback e quindi nella condivisione delle stesse informazioni anche con i datori di lavoro. “Credo che i community manager deb-

bano essere multitasking e questo significa essere sempre organizzati”, ha precisato Rachael King, community manager di Adobe.

6. Flessibile. La flessibilità sul posto di lavoro è la chiave per un community manager di successo. Si va oltre la creazione di conversazioni con il pubblico per uno specifico brand sui social network. Per King, “Adattabilità è un concetto cardine, il commu-

nity manager indossa un sacco di cappelli differenti, trasformando-

si in marketer, in addetto alle PR e poi in comunicatore”.

7. Moderato e diplomatico. In altre parole poco sanguigno e tendente al confronto. “Quando il brand viene attaccato, è fonda-

mentale che il community manager allevi la situazione, non ina-

sprisca lo scontro, perché è lui ad avere le chiavi del brand. Deve

mantenere il sangue freddo e ricordarsi che il pubblico sta attaccan-

do la marca, di solito, non lui”, racconta King.

8. Attento a processare i dati. In ogni settore, il modo in cui un community manager si occupa di analizzare i dati diventa fondamentale. “Odio quando si dice che non è possibile misurare le

metriche di un ingaggio. Se non si può misurare, non si sta facen-

do bene il proprio mestiere. Instaurare rapporti di monitoraggio,

guardare il traffico online, avere un obiettivo e raggiungerlo.” ha affermato Davidson.

9. Agevolatore del confronto nella community, un tradutto-re dei vari messaggi. Uno dei compiti più importanti del lavo-

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ro di chi monitora una community non è quello di continuare a spingere il messaggio del marchio, ma potenziare il pubblico e dare loro un microfono. “Se parliamo solo di noi stessi, alla fine

la gente si allontanerà. L’unica ragione per cui siamo di successo è

per il nostro pubblico. Vogliamo provare a premiare loro il più pos-

sibile”, ha osservato Quintano.

10. Innamorato. La passione per il brand che si racconta è fondamentale. Gli occhi e le orecchie di un community ma-nager sono in fondo quelle dell’azienda o dell’organizzazione. E, aggiungo io, lo stesso vale per il cuore. Perchè il suo battito va di pari passo col pulsare della realtà che si racconta. Ecco allora che colui o colei che dà il ritmo alla community deve in fondo gettare il cuore oltre l’ostacolo, oltre la rete. E mettersi completamente in gioco.

Se da un lato esistono le azioni, determinate appunto da un modus operandi del community manager o specialist, è anche utile segnalare quelli che sono i passi falsi. Per evitare di com-pierli. Così Vanessa Di Mauro dalle colonne di Social Media Today ha raccontato le ragioni che possono determinare il fal-limento nella gestione delle community. “La community in rete

può cadere con più facilità nelle trappole digitali, e un corto circui-

to comunicativo con la clientela può risultare molto più doloroso di

qualsiasi altro problema aziendale”, ha scritto Di Mauro, aggiun-gendo che spesso si cercano inutilmente varie giustificazioni: “I

membri della community non erano pronti per il confronto online,

il software non era stato testato, gli esperti in materia non aveva-

no prodotto abbastanza contenuti, i clienti non erano così pronti

al dialogo. Tutte queste ragioni non affrontano la causa principale

del fallimento della community, ovvero la mancanza di organizza-

zione, di strategia ed esecuzione”. Le community online stanno crescendo in importanza, soprattutto in questa epoca di ristret-tezze di bilancio e di una maggiore attenzione alla fidelizzazio-ne dei clienti. Più aumenta la soddisfazione del cliente, più au-

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mentano i profitti. Forrester ha calcolato che un miglioramento del 10% nella soddisfazione online possa tradursi in più di un miliardo di fatturato (Business Impact Customer Experience, 2012). Vanessa di Mauro individua otto passi falsi da evitare accuratamente nella gestione di una community.

Passo falso uno: obiettivi di business non corrispondenti agli intenti della community. Troppo spesso, i programmi per le community sono declinati verso le priorità di business, ab-bandonando la promessa di valore fatta a ciascun utente. Ogni comunità deve servire i suoi clienti-soci - senza membri non c’è community - e non il contrario.

Passo falso due: bassa coerenza nelle strategie di business dell’azienda: le organizzazioni grandi e piccole hanno una propensione a fare l’acquisto online senza una attenta analisi dei loro obiettivi di business, dei requisiti tecnici e delle prefe-renze del cliente. Il risultato di implementazione di una com-munity può risultare deludente.

Passo falso tre: costruzione di mausolei al posto di “tende degli Sherpa”. Il successo in rete significa costante innova-zione attraverso cicli guidati dal feedback, e quindi un’ottica di dialogo costante. Le imprese, spesso molto abili a pianifi-care a lungo termine, provano ad adottare la stessa valutazione anche per il posizionamento in rete e per la gestione della community. Però queste agorà digitali sono per loro natura in continua evoluzione e vanno di pari passo col mutare delle esigenze del mercato, del contesto, delle norme sociali online. La pianificazione per la community dovrebbe concentrarsi sul breve periodo, prevedendo la possibilità di virare politiche ed obiettivi.

Passo falso quattro: mancanza di aggiornamenti costanti nelle informazioni: Il ciclo di innovazione richiede anche un

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flusso costante di nuove informazioni nella community. Ciò è particolarmente importante per le nuove comunità online. Il contenuto coinvolgente e aggiornato è la premessa per la costruzione di una community di successo.

Passo falso cinque: scarsa capacità di gestione della comu-nità. A ciascuno il suo mestiere. La gestione della community è un ruolo complesso, e implica personale “skillato”, formato a dovere. Gestire le relazioni online richiede professionisti de-dicati ed esperti, con un’ampia gamma di competenze, trattati con lo stesso rispetto e le stesse aspettative degli eventuali altri professionisti presenti in azienda.

Passo falso sei: eccessiva “esuberanza”. Attenzione ai facili entusiasmi. Occorre misurare i risultati di una community, e le metriche non devono essere sottovalutate. Spesso si genera un entusiasmo fuori luogo per metriche disallineate rispetto a quelle legate al business dell’azienda. Misurare il successo della community significa assumere il difficile compito di mi-surarne l’impatto.

Passo falso sette: mancanza di integrazione con il business dell’azienda. Questo è il passo falso peggiore tra tutti e coin-volge sia la community alle prime armi sia quella affermata. Per essere veramente efficace una community deve avere un impatto sulle attività di “core business”. Le organizzazioni do-vrebbero creare un processo ottimale per estrarre i dati e per informare sullo sviluppo di nuovi prodotti.

Passo falso otto: mancanza di spinta interna. Qualsiasi pro-getto di innovazione ha bisogno di fiducia. Occorre che il top-management creda nel progetto della community e abbracci la rete e il posizionamento online. L’assenza di una leadership coraggiosa può minare alla base la creazione di una commu-nity di impatto.

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1. Fenomenologia delle community: identikit e trend

L’uomo, si sa, è un animale sociale. Ma fino a qualche anno fa pochi avrebbero scommesso sulla possibilità che questa innata socialità si riversasse nella rete, dipanandosi in mille, differenti rivoli e accrescendosi grazie all’afflusso senza sosta dei social network.Oggi la socialità dell’uomo in rete – con ripercussioni molto tangibili anche offline, in fase d’incontro e addirittura di ac-quisto – si esplicita soprattutto nella moltiplicazione delle community, an-fratti in cui persone con ambizioni, passioni e attività simili trovano in-terlocutori capaci di accrescere il loro entusiasmo con la forza della condi-visione. Ecco perché non bisogna sot-tovalutare la forza delle community.L’hanno capito anche i responsabili del colosso (un tempo elefantiaco) Universal Music: ormai conoscono molto bene Marie Argence e Pauline Dalamèa, amministratrici di una community online che aggrega i fan del gruppo pop Tokio Hotel. Nel 2006 le ragazze si proposero per gestire e moderare la community, ma alla Universal non vollero dar loro credito, ipotizzando di poter internalizzare la gestione di questa atti-vità. In realtà la forza delle due ragazze americane era dettata

Le tribù sono ovunque,nelle aziende, nelleorganizzazioni nonprofit, nelle scuole,in tutto il pianeta(Seth Godin)

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FENOMENOLOGIA DELLE COMMUNITY: IDENTIKIT E TREND

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proprio dal legame viscerale con il general manager dei Tokio Hotel, che passava loro informazioni in anteprima scavalcando l’ufficio stampa del gruppo.La Universal Music fu presa in contropiede nell’organizzazio-ne di una community così complessa. Oggi Marie e Pauline – che nel frattempo si sono messe in proprio e hanno aperto una loro azienda, la Stern Music – gestiscono in rete decine di brand musicali con blog e forum.Come dimostra la storia di Marie e Pauline, share è la parola chiave per capire questa rivoluzione copernicana incarnata dalle community. Share implica un nuovo dialogo sul web tra aziende e clienti, reali o prospect, ma s’inserisce prepo-tentemente anche nel business, perché oggi più che mai una comunità in rete influenza le preferenze e condiziona le po-litiche.Le community, a torto o a ragione, sono divenute in questi ultimi tempi l’aspetto del digitale più affascinante ma ancora sconosciuto ai più, potenziale alcova del business ma ancora forziere blindato per i canali di vendita. Le community – da quelle di prodotto o aziendali a quelle puramente valoriali – si sono moltiplicate affermandosi nel sottobosco dei social net-work. Anche per Don Tapscott, ceo di New Paradigm, «le im-prese devono smettere di pensare a siti internet o intranet e costruire comunità».Costruire comunità. Sembra semplice, in realtà è una cosa

molto complessa, perché la rete è magmatica, poliedrica, rifugge da schieramenti di qualsiasi genere.Per costruire una comunità occorre innanzitutto intercettarla, capire le differenti anime che si annidano in rete. E poi considerare la tecnolo-gia come un “abilitante”, non come

leva strategica. D’altronde, le community possono evolversi in mille tipologie distinte: possono essere blog e videoblog,

La rete ha tante anime,e può assumere moltivolti, mille espressioni.La tecnologia passa,le relazioni restano

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FENOMENOLOGIA DELLE COMMUNITY: IDENTIKIT E TREND

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forum, piattaforme di partecipazione “dal basso”, web tv o micro-web tv. Come hanno descritto bene Charlene Li e Josh Benoff in L’onda anomala (2008), tutto è riassunto nell’acronimo post: «P sono le persone. Non avviate una strategia social se non avete compreso le reali capacità, conoscenza e utilizzo delle tecno-logie social da parte della vostra audience. O sta per obiettivi. Quali obiettivi potete realisticamente aspettarvi di raggiunge-re con il vostro target di riferimento? S sta per strategia. Come pensate di raggiungere tali obiettivi? T sta per tecnologia: una community che si esprime in un wiki, un blog o cento blog». La tecnologia resta quindi sullo sfondo. Infatti, mentre gli strumenti si evolvono velocemente, le relazioni restano e si rafforzano.Ho conosciuto la prima community di riflesso, per lavoro, quand’ero molto giovane e inesperto: si trattava di una com-munity autogenerata da dipendenti di un’importante multina-zionale di telefonia mobile, per la quale curavo la web tv inter-na. Ho imparato a conoscerla e poi a dialogarci nella mia attività quotidiana. La community è venuta da sé. La community nasce come un fungo, qualora alcune con-dizioni vengano rispettate. Come per i funghi si fa riferimento alle condi-zioni del terreno e a quelle meteoro-logiche, così per le community si fa riferimento alle strutturazioni del gruppo, ai valori che vengo-no veicolati. Il canale di comunicazione interno della web tv rivolto ai collaboratori dell’azienda (all’epoca quasi diecimila dipendenti diretti) permetteva che questa community venisse intercettata. Ho scoperto così il suo enorme potenziale. Oggi, nella mia attività di giornalista e imprenditore della rete, dia-logo abitualmente con diverse community online. Arricchen-domi della condivisione. Perché la centralità di una comunità oggi è fare rete, oltre che essere in rete.

Una community nascese vengono rispettatealcune condizioni.Non è soltanto esserein rete, è fare rete.

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FENOMENOLOGIA DELLE COMMUNITY: IDENTIKIT E TREND

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Are you still with us? È l’urlo di battaglia – vero mantra per chi si occupa di com-munity – adottato da Heineken nel corso del 2009 per una campagna multicanale. I video hanno fatto il giro della rete, in forza anche di un uso massiccio di spazi nella televisione ge-neralista. La multicanalità ha permesso a questo messaggio di viralizzarsi, innanzitutto grazie al ruolo svolto da YouTube con una trasmissione in serie molto apprezzata e inaugurata con Football Match. Con questo piano di comunicazione online curato dall’agenzia jwt, la birra olandese si è mossa con disin-voltura dalla piattaforma creata ad hoc, Areyoustillwithus.com, coinvolgendo tutti i nodi principali della rete sociale.Are you still with us? L’interrogativo è quanto mai attuale. La prima regola per un buon community manager è interrogarsi, sempre, se ha mantenuto il proprio pubblico, oppure se l’ha perso o acquistato (meglio, conquistato) di nuovo. Il tutto ruo-ta attorno al concetto cardine di identità, di adesione valoriale a un brand che veicola un prodotto, ma sicuramente va oltre.In questo periodo il quesito si pone per tutte le campagne che cercano di intercettare una community online e che si sviluppano

su una pluralità di modelli di piatta-forme: come abbiamo già detto, oggi si può generare adesione a un brand con un blog, un videoblog, una web tv, un forum. Le tecnologie diventano

abilitanti per creare un’area di confronto, di dialogo e di adesione a una vision, a una filosofia di vita. A un brand, appunto.«Aziende, cominciate a creare la vostra brand community pri-ma che sia troppo tardi», è quanto ha dichiarato Philip Kotler, uno dei padri del marketing online, intervenendo poco tempo fa a un convegno organizzato dal Politecnico di Milano. «Oggi il punto di partenza è noto: i contesti (i mercati) sono sempre più complessi. Non è più possibile definire un paradigma o re-gole valide a priori. È auspicabile individuare qualche tenden-

Intercettare la propriacommunity per creareun’adesione al brand

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FENOMENOLOGIA DELLE COMMUNITY: IDENTIKIT E TREND

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za di comportamento da parte di consumatori e aziende». Per Kotler è necessario «ripensare tutto in termini di conversation

e non più di promotion: ciò significa soprattutto puntare sui social media rispetto ai media tradizionali. Questi strumenti permettono alle aziende di intercettare i potenziali consuma-tori (in particolare i più giovani, anche se c’è un trend crescente di un’utenza più matura che accede a internet) e coinvolgerli nella co-creazione del valore del brand. Il brand rimane un key

concept, anche se è necessario trovare nuovi spazi e modalità di relazione con i clienti».

Identikit delle community

«La community online? È come fare sesso all’aria aperta. Un’i-dea eccitante ma non sempre praticabile». Esattamente dieci anni fa (un’era geologica per il web) Dick Ernery, ammini-stratore delegato del network britannico uktv, stroncava così i facili entusiasmi dei technofun sul moltiplicarsi di queste nuo-ve esperienze di partecipazione orizzontale. L’audace paralle-lismo oggi è totalmente superato: la tecnologia è sempre più pervasiva e fruibile a basso costo, moltiplicando di fatto la sua penetrazione. In realtà conta ben poco: prima della tecnologia viene il progetto, con il suo piano editoriale. E poi il target, aspetto nient’affatto marginale e da chiarire sin da subito.Così piccole e medie imprese, pubblica amministrazione, asso-ciazioni e gruppi d’interesse lanciano progetti online cercando di creare la loro community. Con la complicità del digitale si realizza un nuovo paradigma orizzontale di partecipazione, e l’ultima frontiera della generazione di contenuti è quella “low cost”. Infatti, soprattutto sul fronte delle pmi, si vive una nuova consapevolezza e si cavalcano estetiche che valorizzano l’ap-porto amatoriale del cliente/utente.Con il moltiplicarsi delle community le aziende iniziano a com-prendere come sia strategico intercettarle e quasi impossibile

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