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Direttore Responsabile: Mario Rozza www.adosanpaolo.it Anno 2 - Numero 1 - Milano febbraio 2008 A COSA SERVE Un’adeguata e sicura provvista di pla- sma e derivati significa la differenza fra la vita e la morte per chi è sotto- posto a una operazione chirurgica. 2 I VANTAGGI DI DARE Chi dona il sangue si mantiene in sa- lute e ben controllato. Per esempio a ogni donazione vengono valutate le transaminasi. Per quale ragione? 4 IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO L’Unità di chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza del- l’azienda ospedaliera universitaria San Paolo. 6 TENERSI IN SALUTE Una brutta tosse che non passa può essere il sintomo di una malattia chia- mata BPCO. Se è così, meglio trattar- la in tempo. 8 ALTRE PASSIONI Quattro itinerari a piedi tra le colline e i boschi del Varesotto. Camminate tra laghi e paesaggi che allargano, lette- ralmente, il cuore. 14 BENESSERE A Milano numerosi Centri benessere e ‘spa’ aiutano chi vuole sentirsi in forma e dimenticare gli affanni e lo stress. 10 CULTURA La parola sangue è un vero crocevia di simboli, miti e significati, forse per- chè coinvolge paure e desideri radi- cati dentro la nostra psicologia. 12 Donare sangue, ricevere salute Tutte le persone fra i 18 e i 60 anni che pesano oltre 50 chili possono presentarsi dalle 8:00 alle 12:00 dal lunedì al sabato al Servizio Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo (via di Rudinì, 8 Blocco D, piano interrato). Il Servizio è aperto anche la prima e la terza domenica di ogni mese. La donazione è preceduta e seguita da un’attenta visita medica e da una lunga serie di esami del sangue. Chi dona sangue almeno due volte ogni anno imposta su solide basi la sua capacità di prevenire le malattie. Ha, insomma, una marcia in più rispetto agli altri. Per informazioni telefonare allo 02.8184.4209 o aprire la pagina www.adosanpaolo.it. Tutti possono donare una piccola parte del loro sangue. È un semplice gesto per chi dona (nessun dolore, nessuna controindicazione e il sangue si riforma rapidamente) e un regalo immenso per chi lo riceve e può proseguire la sua vita con una malattia cronica, riprendersi da un serio incidente o superare con successo un intervento chirurgico. news Trimestrale di salute e benessere La voce del sangue

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A COSA SERVE

Un’adeguata e sicura provvista di pla-sma e derivati significa la differenza fra la vita e la morte per chi è sotto-posto a una operazione chirurgica.

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I VANTAGGI DI DARE

Chi dona il sangue si mantiene in sa-lute e ben controllato. Per esempio a ogni donazione vengono valutate le transaminasi. Per quale ragione?

4

IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO

L’Unità di chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza del-l’azienda ospedaliera universitaria San Paolo.

6

TENERSI IN SALUTE

Una brutta tosse che non passa può essere il sintomo di una malattia chia-mata BPCO. Se è così, meglio trattar-la in tempo.

8

ALTRE PASSIONI

Quattro itinerari a piedi tra le colline e i boschi del Varesotto. Camminate tra laghi e paesaggi che allargano, lette-ralmente, il cuore.

14

BENESSERE

A Milano numerosi Centri benessere e ‘spa’ aiutano chi vuole sentirsi in forma e dimenticare gli affanni e lo stress.

10

CULTURA

La parola sangue è un vero crocevia di simboli, miti e significati, forse per-chè coinvolge paure e desideri radi-cati dentro la nostra psicologia.

12

Donaresangue,ricevere salute

Tutte le persone fra i 18 e i 60 anni che pesano oltre 50 chili possono presentarsi dalle 8:00 alle 12:00 dal lunedì al sabato al Servizio Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo (via di Rudinì, 8 Blocco D, piano interrato).

Il Servizio è aperto anche la prima e la terza domenica di ogni mese.La donazione è preceduta e seguita da un’attenta visita medica e da una lunga serie di esami del sangue.

Chi dona sangue almeno due volte ogni anno imposta su solide basi la sua capacità di prevenire le malattie. Ha, insomma, una marcia in più rispetto agli altri.

Per informazioni telefonare allo 02.8184.4209 o aprire la pagina www.adosanpaolo.it.

Tutti possono donare una piccola

parte del loro sangue.

È un semplice gesto per chi

dona (nessun dolore, nessuna

controindicazione e il sangue si

riforma rapidamente) e un regalo

immenso per chi lo riceve e può

proseguire la sua vita con una

malattia cronica, riprendersi da

un serio incidente o superare con

successo un intervento chirurgico.

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Meno male che ci siete voi!Oggi gli interventi chirurgici programmati sono realizzati in modo meno invasivo, consentono un recupero più veloce del paziente e prevedono meno spesso il ricorso al sangue trasfuso. Ma il loro numero continua ad aumentare e se non ci fossero i donatori sarebbe difficile eseguire tutti gli interventi necessari.

A COSA SERVE

L’Italia è fra i primi o fra gli ultimi in Europa sotto questi aspetto?L’Italia ha una grande tradizione nella donazione del sangue, da trent’anni il Paese ha scelto senza incertezze l’istituto della donazione volontaria non retribuita dal 1990 in sintonia con l’Europa. Pochi sanno che la raccolta e la lavorazione del sangue sono regolati da una diretti-va della Comunità europea, solita-mente restia a intervenire in campo sanitario. Nonostante questa tradi-zione, l’Italia è agli ultimi posti fra i 25 paesi dell’Unione europea in termini di donazioni/anno per mille abitanti: 29 contro una media euro-pea di 42.

Per quali ragioni?Una ragione ‘tecnica’ è data dall’in-vecchiamento della popolazione. Una quota sempre maggiore della popolazione entra in quelle fasce di età in cui donare sangue non è più consigliabile, e le ‘classi’ di giova-ni che a 18 anni possono iniziare a pensare a questo istituto sono meno popolose. Forse c’è anche una ra-gione psicologica o sociale, meno generosità meno solidarietà, meno tempo. Si tratta evidentemente di fattori modificabili, lo dimostra il fat-to che mentre il numero di donazio-ni effettuate in Italia e in Lombardia – ma anche a Milano – scende, o è stabile, il numero dei nostri donatori cresce.

È necessario comunque che sem-pre più persone donino sangue?Il fatto è che aumenta il numero di interventi chirurgici programmati e di urgenza, per non parlare delle malattie croniche o di quelle croni-co degenerative (come certi tumo-ri), che comportano una domanda fortissima di sangue e di derivati. Vogliamo curare tutti sempre me-glio, non vogliamo lasciare indietro nessuno e questo è giusto ed è de-gno di una società civile e di un Ser-vizio sanitario universale e gratuito.Per raggiungere questo obiettivo però ci vuole anche un atto di gene-rosità: la donazione appunto.

Perché abbiamo davvero bisogno del vostro sangueIl professor Gianalessandro Mo-roni dirige il Servizio Trasfusio-nale e Laboratorio di Ematologia dell’azienda ospedaliera e polo universitario San Paolo di Milano, che conta 55 operatori tra medi-ci, infermieri, biologi e tecnici di laboratorio, a cui si aggiungono numerosi volontari.

Che ruolo svolge il donatore?Il donatore è una componente es-senziale del sistema sanitario di un Paese. È una formica che con il suo gesto silenzioso rende pos-sibile quei miracoli della terapia e della chirurgia che sono il vanto di un Paese civile e rappresentano la vita per milioni di persone.

Oggi una larga parte degli inter-venti chirurgici viene realizzata

con tecniche mininvasive. Grazie a ciò le degenze post-operatorie sono divenute più brevi ed il recupero del paziente più veloce; inoltre il minor trauma consente un ricorso meno frequente alla emotrasfusione. Ma poiché il numero degli interventi con-tinua ad aumentare, aumenta in con-seguenza il fabbisogno di sangue.

Chirurgia 1 dell’azienda ospedalie-ra San Paolo. Aumentano soprattutto gli interventi ‘d’elezione’ quelli cioé programma-bili nel tempo. Al San Paolo ven-gono effettuati ogni anno circa 6 mila interventi in regime di ricovero ordinario e molte migliaia in regime di day surgery. «Oltre la metà sono interventi ‘programmati’», afferma

Corsi. La struttura da lui diretta, con 7 medici e 13 infermieri realizza ogni anno circa mille interventi chi-rurgici. La domanda di sangue sarebbe au-mentata in maniera esponenziale se la chirurgia in questi decenni non si fosse orientata verso tecniche che riducono la perdita di sangue e quindi il ricorso alle trasfusioni.

«Oggi negli interventi elettivi ci si sforza in ogni modo di ridurre il san-guinamento», spiega Corsi, «così come si punta a favorire un più ve-loce recupero funzionale per ridurre le conseguenze negative di un al-lettamento e i disagi del paziente e di contenere i costi della degenza. Quando possibile ricorriamo anche all’auto-trasfusione: il sangue del

Le Unità di chirUrgia sono fortUnate a poter contare

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A fronte di questo aumento, pur-troppo, le donazioni tendono a di-minuire (non al San Paolo ma in Italia). «La popolazione invecchia e sempre più persone entrano nelle fasce di età in cui è più probabile si debbano effettuare interventi», commenta il Prof. Carlo Corsi, Di-rettore del Dipartimento di Chirurgia e dell’Unità Operativa complessa di

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gentiluomo d’altri tempi, una certa somiglianza con il professor Umber-to Veronesi, «le tre chirugie del San Paolo sono fortunate a poter conta-re su un Centro Trasfusionale che funziona ottimamente e soprattutto su un gran numero di persone che donano il sangue consentendoci di lavorare senza preoccupazioni», afferma Corsi, «non voglio pensa-re cosa succederebbe se il nostro o altri ospedali lombardi si trovas-sero improvvisamente senza una adeguata riserva. Forse dovrem-mo rimandare interventi importanti con grave pregiudizio per la salute del paziente. Non oso immaginare cosa succederebbe se non ci fosse-ro tante persone di qualità che una o due volte l’anno vengono qui al San Paolo e con la loro generosità consentono a noi chirughi di lavora-re serenamente e ai pazienti di otte-nere le terapie migliori esistenti per le loro patologie», conclude Carlo Corsi.

Attenzione agli integratori alimentari Sempre più diffuso nei Paesi Occidentali è l’utilizzo di integratori ali-mentari contenenti metalli e vitamine ad azione antiossidante, pubbli-cizzati come dei concentrati di forza e in grado di prevenire o, almeno, rallentare i processi di invecchiamento. Da una recente meta-analisi è emerso che l’utilizzo continuato di integratori alimentari contenenti betacarotene, vitamina A e vitamina E, non solo non esercita alcun ruolo protettivo per la salute, ma addirittura aumenta la mortalità nella popolazione in studio. Poco o nulla può invece essere affermato per quanto riguarda un eventuale ruolo benefico o dannoso della vitamina C e del selenio. (Fonte: JAMA 2007; 297: 842-857).

La ‘pennichella’ fa bene al cuore Così almeno sostengono i dati di uno studio pubblicato sulla presti-giosa rivista Archivies of Internal Medicine e condotto dal dipartimento di Epidemiologia e Igiene dell’Università di Atene. Lo studio, che ha coinvolto 23.681 soggetti di nazionalità greca per un periodo medio di circa 6,3 anni, ha dimostrato che l’abitudine al sonnellino pomeridiano è inversamente associata alla mortalità cardiaca da cause coronari-che. L’effetto ‘cardioprotettore’ della siesta è risultato particolarmente evidente nei maschi. (Fonte Arch. Intern. Med. 2007; 167: 296-301).

Telefoni cellulari e tumori Un nuovo studio ha confermato per l’ennesima volta che non esiste un’associazione tra l’uso di telefoni cellulari, anche prolungato, e lo svi-luppo di tumori quali quelli del cervello, dell’occhio, del nervo acustico (neurinomi), delle ghiandole salivari o leucemie. I dati di questo studio sono stati ottenuti su una popolazione danese di ben 420.095 soggetti. (Fonte: J. Natl. Cancer Inst. 2006; 98: 1707-1713).

Riscaldamento globale e malattie infettiveIl riscaldamento globale del nostro pianeta contribuisce in maniera im-portante alla diffusione delle malattie infettive, con conseguenze che si sono fatte sentire a partire già da una decina di anni. Nel prossimo futuro c’è da aspettarsi una crescita dei casi di malaria anche in regioni montagnose, infezioni da virus influenzale di durata quasi annuale nel-le zone equatoriali e una diffusione su larga scala di nuovi virus quali il West Nile e il Chikungunya, già venuto alla ribalta nel nostro Paese alla fine di quest’estate (Fonte: Agenzia France-Presse).

News dallaricerca medica

A COSA SERVE

Perché abbiamo davvero bisogno del vostro sangueTutti possono donare sangue? Praticamente tutti dai 18 anni in su. Esiste un limite a 55 anni per le pri-me donazioni ma si può continua-re anche dopo. Ci sono condizioni croniche e acute che sconsigliano o impediscono la donazione mentre non prevediamo controindicazioni in termini di attitudini sessuali, per esempio, e tantomeno appartenen-ze etniche. Prima di ogni prelievo ef-fettuiamo un gran numero di analisi e controlli e, se si tratta della prima volta, anche una visita medica com-pleta. L’Italia in questo si distingue da altri Paesi. Non vogliamo solo garantire la qualità del sangue do-nato ma vogliamo anche svolgere un servizio a favore del donatore

È così semplice? Basta presentar-si al Centro Trasfusionale? Certo, basta passare da noi. Una telefonata preventiva è gradita, ma non mandiamo via nessuno. Il nuo-vo donatore si può iscrivere all’Ado o a un’altra associazione.Oltre agli altri vantaggi di cui parle-remo magari nei prossimi numeri di ADO News avrà un check-up com-pleto della sua salute. Vale la pena di aggiungere che il sangue donato si riforma immedia-tamente, senza nemmeno bisogno di un’alimentazione particolare, anzi, la donazione è una benefica scossa al sistema ematopoietico. Insomma donare fa bene anche a chi dona.

paziente prelevato con un certo anticipo rispetto alla data dell’inter-vento viene conservato per poter essere utilizzato, ove occorra, du-rante l’intervento o la degenza post operatoria». Le tre Unità Operative complesse di Chirurgia Generale dell’Ospeda-le San Paolo effettuano una vasta gamma di interventi con una tenden-za sempre più diffusa alla differen-ziazione per patologia. La struttura diretta dal professor Carlo Corsi ha sviluppato negli anni la propria vo-cazione verso la chirurgia gastroen-terologica e colon rettale pur non rinunciando all’impegno verso altre branche della chirurgia, quali per esempio quella endocrina. «Per quanto si cerchi di ridurre al mi-nimo la ‘perdita di sangue’, gli inter-venti che prevedono l’asportazione di gran parte o di tutto lo stomaco o di un tratto importante dell’intestino richiedono l’apporto di una banca del sangue», afferma Corsi, aria da

Carlo Corsi, primario della Unità operativa complessa Chirurgia 1 dell’Azienda Ospedaliera San Paolo

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Le transa… che?Chi dona il sangue effettua gratis in occasione di ogni donazione il test delle transaminasi, una coppia di enzimi la cui presenza oltre certe soglie permette di diagnosticare condizioni frequenti e importanti che spesso non danno altri sintomi. Cerchiamo di saperne di più.

Tra i test effettuati di routine su tutti i campioni di sangue donati

ci sono le cosiddette ‘transaminasi’. Il controllo delle transaminasi non è teso tanto a garantire il sangue e quindi la persona cui verrà trasfuso, ma fa parte soprattutto delle attività di screening realizzate a favore del-la persona che dona il sangue.

Ma cosa sono queste transaminasi e perché può essere utile controllarle? Le transaminasi (o aminotransfera-si) sono una sotto-sottoclasse che comprende diverse decine di enzi-mi. Quelle abitualmente utilizzate in campo clinico-laboratoristico sono la AST (sigla di aspartato amino-

transferasi, nota anche con la sigla GOT) e la ALT (acronimo di alani-na aminotransferasi, detta anche GPT).Le transaminasi vengono rilasciate nel sangue quando la cellula muo-re o è sottoposta a una infezione. Qualcuno ha definito le transamina-si, in modo efficace, ‘i necrologi delle cellule’. Le transaminasi si trovano ovunque nell’organismo ma le due che interessano a noi sono presenti in misura particolare in alcuni orga-ni: la AST è localizzata nel fegato, nel miocardio, nel rene, nell’encefa-lo e nella muscolatura scheletrica; la ALT è presente in concentrazione molto più elevata nel fegato che ne-gli altri tessuti.

È per questo che le transaminasi sono frequentemente usate in me-dicina al fine di evidenziare la pre-senza di un danno epatico. Una certa quota di transaminasi è normalmente presente nel sangue. Un livello superiore alla norma di transaminasi può (e sottolineiamo il ‘può’) evidenziare una epatite acuta, una epatite cronica, una epatopatia tossica, una colestasi intraepatica o una mononucleosi infettiva.

Cosa vuol dire ‘superiore alla norma’? I valori di riferimento sono: AST (Got) da 10 a 45 Unità inter-nazionali per litro; ALT (Gpt) da 10 a 43 Unità inter-nazionali per litro.

Tali valori possono essere comun-que differenti a seconda dei labo-ratori e delle metodiche utilizzate per la rilevazione. Chi ritrova, in un esame casuale, un valore di AST o ALT superiore alla norma non deve necessariamente preoccuparsi. Le transaminasi potrebbero essere ‘mosse’ a causa di un banale strap-po muscolare avvenuto nei giorni precedenti (o di un esercizio fisico intenso nel giorno precedente). An-che una ingestione di alcol nelle ore o nel giorno precedente potrebbe aver mosso le transaminasi.

Se qualcosa non funziona.Se il livello di transaminasi è molto alto (es. più del triplo rispetto al va-lore limite) è necessario procedere immediatamente a ulteriori accerta-menti, se è più basso, è necessario ripetere il test dopo qualche giorno. Se il secondo test rivela un dato perfettamente nella norma ci si può mettere il cuore in pace. Se invece i valori rimangono alti qualcosa non sta funzionando come dovrebbe.

➊ Cosa sono queste transaminasi?

Degli enzimi che sono rilasciati in maggiore quantità quando una cellula muore o è sottoposta ad attacco da un virus. Sono insom-ma i ‘necrologi delle cellule’.

➋ Perché a ogni donazione si controllano le transaminasi?

Lo si fa nell’interesse del donatore. Si tratta infatti di un esame utile per rilevare condizioni e malattie che spesso non danno sintomi.

➌ Le transaminasi ‘alte’ sono per forza segno di una malattia?

No, uno strappo muscolare, una ingestione di alcol abbondante pos-sono causare un temporaneo au-mento delle transaminasi.

SETTE DOMANDE E SETTE RISPOSTE

GRATIS PER ChI DONA

Diventare donatore di sangue è an-che un’ottima occasione per tenere sotto controllo la propria salute e per scoprire, ai primissimi sintomi, eventuali patologie.

Presso il Servizio Trasfusionale dell’Ospedale San Paolo, tutte le persone che decidono di donare il sangue ricevono a ogni donazione i seguenti accertamenti diagnostici gratuiti: visita medica determinazione del gruppo san-guigno e del fattore Rh (prima e seconda donazione) test di Coombs indiretto (IAT) test di Coombs diretto (DAT) esame emocromocitometrico com-pleto controllo delle transaminasi (AST e ALT) HBs Ag anti-HBc anti HCV anti HIV 1/2 anticorpo anti treponema (TPHA) HBV DNA-NAT HCV RNA-NAT HIV RNA-NAT colesterolo totale trigliceridi protidemia totale glicemia azotemia creatinina sideremia ferritina PSA - totale

In occasione di ogni donazione vie-ne effettuata un’accurata visita me-dica per accertare le buone condi-zioni di salute del donatore. La visita rappresenta un momento di tutela sia del donatore, sia per il paziente che deve poter ricevere il sangue da soggetti non infetti e non a rischio di infezione. Inoltre, alla prima do-nazione e periodicamente, vengono effettuati elettrocardiogramma e Rx torace. I risultati degli esami ven-gono spediti per posta all’indirizzo indicato dal donatore oppure posso-no essere ritirati personalmente dal donatore presso la segreteria del Servizio trasfusionale.

I VANTAGGI DI DARE

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Il foie gras (fegato grasso)

delle oche è una leccornia ma avere

il fegato grasso, condizione spesso segnalata dalle transaminasi, non è altrettantopiacevole.

Che cosa?Le cause più probabili di un aumen-to delle transaminasi sono, come detto: una epatite acuta (probabile qua-lora il dato sia molto alto, diciamo superiore a 150) una epatite cronica (più probabile se il dato è compreso tra il valore di norma e 100-150).

Come fare per andare a fondo del problema? La prima cosa da fare è... già sta-ta fatta. Il Centro trasfusionale del San Paolo provvede infatti automa-ticamente a effettuare su tutti i cam-pioni di sangue donati una analisi estremamente sofisticata (utilizza le tecniche della biologia moleco-lare) detta HCV-RNA per verificare l’eventuale presenza del virus della epatite C, oltre ai test meno sofisti-cati ma sempre importanti che per-mettono di rilevare la presenza del virus dell’epatite A e dell’epatite B. Il test soprattutto dell’HCV richiede qualche decina di ore ed è dispo-nibile quindi nell’arco di uno o due giorni dal prelievo. La seconda indagine utile è una ecografia addominale, un esame di diagnostica per immagini per nulla fastidioso o invasivo.Sulla base del referto dell’ecografia e degli esami del sangue è possibi-le diagnosticare la presenza di una epatopatia (malattia del fegato).L’epatite A, caratterizzata da una fase acuta e sintomatica, di rado è rilevata per caso (il paziente quasi sempre sta male e si fa visitare).Le epatiti B e C invece, così come l’epatopatia alcolica e le steatoepa-titi, sono malattie croniche spesso prive di sintomi e molto frequenti (si parla di milioni di persone sia per le epatiti B e C sia per la steatoe-patite).

Quel foie gras è mio.La steatosi epatica è caratterizza-ta da infiltrazioni di grasso nel fe-gato. Persone molto sovrappeso (e spesso con trigliceridi alti) si trova-no il fegato spiacevolmente simile a quello delle oche da ingrasso che ci forniscono appunto il foie gras. I depositi di grasso nel fegato sono facili da vedere, all’ecografia assu-mono infatti un aspetto brillante. La steatosi (presenza di grasso nel fegato) regredisce riducendo il peso e il tenore di grassi nell’alimentazio-

ne o può procedere senza ne-cessariamente avere esiti gra-vi. Può però dare luogo a una vera epatite. Il grasso insomma non si limita a togliere spazio al fegato (che si ingros-sa anche visibilmen-te) ma uccide le cellu-le del fegato. Si par-la in questo caso di NASH, sigla ingle-se per steatoe-patite non alco-lica.La NASH è una complicanza se-ria anche perché il fegato svolge un ruo-lo centrale nel metabolismo dei grassi e degli zuccheri, renden-do ancora più difficile per il pazien-te tenere sotto controllo la glicemia e il colesterolo.

Alzare il gomito, abbassare il fegato. L’epatopatia alcolica è la ‘logica conseguenza’ di un eccessivo con-sumo di alcol. Ogni ingestione di al-col è tossica per il fegato ma se la quantità è moderata e senza ‘punte’ di consumo il fegato tutto sommato ce la fa. Meglio bere 3 grammi di alcol (un bicchiere di vino al giorno), che 21 (un bicchierone di gin tonic) alla set-timana. Se l’introito alcolico aumen-ta, gli effetti possono farsi sentire e provocare una graduale deforma-zione del tessuto epatico (del fega-to) chiamata cirrosi. La cirrosi (chiamata così perché nel fegato si formano delle ‘nuvole’ di tessuto cicatriziale al posto del-le cellule del fegato) è un processo lento e praticamente inarrestabile che lede, una dopo l’altra, tutte le importantissime funzioni di questa centrale chimica dell’organismo che è il fegato. Insomma, meglio fare di tutto per non arrivarci.

L’ABC dell’epatite. E arriviamo ora all’epatite C. Per fortuna, abbastanza frequentemen-te il virus chiamato HCV è tenuto a bada dalle difese immunitarie del-l’organismo. La persona con epa-tite C non attiva ha, generalmente, transaminasi dentro o di pochis-simo superiori, ai valori di norma. Farà bene ad astenersi dall’alcol,

➍ Quali problemi possono indicare però?

Più frequentemente problemi al fe-gato. Le cause più probabili sono: una epatopatia steatosica (troppi grassi che dalla pancia passano nel fegato e lo intasano), da alcol o da virus dell’epatite B o C.

➎ Come si fa una diagnosi?

La determinazione della presenza del virus della epatite C o B effet-tuata di routine dal Centro trasfusio-nale del San Paolo, insieme a una ecografia epatica, aiutano a definire rapidamente la diagnosi che verrà poi precisata con altri test.

➏ Sono condizioni serie?

Chi ha una epatite deve astenersi completamente dall’alcol. L’epatite C in una discreta quota dei casi è tenuta in equilibrio dal sistema im-munitario dell’organismo. Se è ‘atti-va’ può essere curata con una tera-pia (interferone e ribavirina) che ha successo in circa il 60% dei casi.

➐ A chi posso consigliare di controllare le transaminasi?

Tutti potrebbero avere l’epatite B o C. Le persone sovrappeso, soprat-tuttp con grasso addominale sono a rischio di steatosi. Le persone che amano bere, sopattutto supe-ralcolici, potrebbero avere svilup-pato una epatopatia alcolica.

a controllare le transaminasi ogni anno, a sottoporsi di tanto in tanto a una ecografia epatica e a vaccinarsi contro la epatite B.Se la epatite C è cronica e attiva, allora i controlli delle transaminasi vanno fatti ogni tre mesi, l’ecografia epatica ogni sei e, almeno alla dia-gnosi, occorre una biopsia epatica.L’ecografia permette di rilevare l’an-damento del danno al fegato in tre modi: attraverso le dimensioni del fegato, attraverso il profilo esterno dell’organo e attraverso la valuta-zione della sua vascolarizzazione. È possibile quindi seguire con atten-zione l’andamento della malattia.Le nostre amiche transaminasi, così utili per diagnosticare la malattia all’inizio, rappresentano invece un indicatore abbastanza scadente del suo andamento. Picchi con valori superiori a tre volte il valore limite vanno seguiti con attenzione, ma è perfettamente possibile che una si-gnificativa degenerazione del fegato avvenga pur man-tenendo le transaminasi basse (a valori di poco superiori alla norma).

Sobria e controllata. La persona con epatite C non deve assolutamente mai più toccare l’alcol e farà bene ad avere una alimentazione sana. Le

I VANTAGGI DI DARE

persone con HCV (attivo o meno) devono inoltre osservare le dovute precauzioni nei rapporti sessuali. Il rischio principale per la persona con HCV cronica attiva è costituito-dalla cirrosi e dall’epatocarcinoma.

Le terapie. Premesso che il virus della HCV va genotipizzato (esistono diverse famiglie di virus con diversa capaci-tà di resistere alle cure) la persona con HCV attivo può essere trattata almeno sei mesi con ribavirina e interferone (meglio se pegilato). Si tratta di una terapia un po’ pesante ma che circa nel 60% dei casi ga-rantisce la guarigione completa.

Un caso su 100. Come tutti gli articoli di medicina anche questo vi avrà spaventato a morte. E forse inutilmente. Nella pratica del Centro trasfusionale del-l’ospedale San Paolo il virus HCV è rilevato circa in un campione di sangue ogni 100. Una steatosi tale da muovere le transaminasi invece, va indagata perché si tratta di una condizione facile da curare e che, non curata, contribuisce a moltiplicare il rischio cardiovascolare già alto in una per-sona sovrappeso o con una alta produzione di trigliceridi.

Chi deve controllarle. A chi consigliare di ‘fare le transami-nasi’? “A tutti” è la risposta, perché il virus HCV è presente in ogni fascia di età (non si tratta di una malattia a trasmissione solo o prevalente-mente sessuale), magari accompa-gnato da una determinazione degli anticorpi anti-HCV. Le persone sovrappeso dovrebbero controllare ogni anno o due le tran-saminasi, soprattutto se il loro so-vrappeso è situato sul ventre. La tipica pancetta dei maschi so-pra i 40 anni che si concentra sot-to l’ombelico come un K-way non

provoca drammi quando si sale sulla bilancia ma è sufficien-

te per intasare il fegato di grasso. Il fegato è infatti uno dei pochi organi che riceve

sangue ‘usato’ da altri or-gani. Le cellule grasse del-

l’addome scaricano trigliceridi e grassi nella vena porta che afferi-sce appunto al fegato.

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Regalare un sorriso La chirurgia maxillo-facciale è uno dei punti di eccellenza dell’azienda ospedaliera San Paolo. L’Unità operativa complessa diretta dal professor Roberto Brusati effettua 700 interventi chirurgici all’anno ed è Centro di riferimento regionale per la cura delle labio-palatoschisi.

La chirurgia maxillo-facciale inter-viene sia sulla struttura ossea

della faccia e del cranio che sulle parti molli di faccia, collo, cavo ora-le. «È facile che la gente ci confon-da con i chirurghi estetici, con i neu-rochirurghi, con i dentisti», spiega Roberto Brusati, 67 anni docente di Chirurgia maxillo-facciale all’Univer-sità di Milano e alla scuola di spe-cializzazione in chirurgia, «in realtà siamo un po’ di tutto questo ma so-prattutto qualcosa di diverso».Nata negli anni ’70, la chirurgia maxillo-facciale è stata sviluppata in parte proprio da Brusati nei suoi 25 anni alla guida della specialità presso il Policlinico universitario di Parma e dal 1995 a oggi al San Paolo. L’équipe diretta da Brusati che comprende 7 medici, 5 spe-cializzandi e 24 operatori sanitari, effettua ogni anno circa 200-250 in-terventi di asportazione di tumori (al viso, lingua e palato per esempio). Impegnativi gli interventi di ricostru-zione delle strutture necrotizzate a seguito dell’utilizzo di cocaina. La droga che viene appunto aspirata e si deposita all’interno del naso ‘brucia’ dapprima le mucose e poi via via la parete cartilaginea del setto nasale e il diaframma osseo sottostante fino a ‘bucare’ l’arcata del palato. «Parliamo di processi distruttivi molto gravi, guai a pensa-re che la cocaina sia un droga ‘pu-lita’», avverte Brusati che è cugino del regista Franco Brusati.Altri 200-250 interventi sono dovu-ti a traumi. «Per fortuna il ricorso a cinture e caschi ha ridotto i traumi da incidente ‘su strada’. In compen-so rischiamo di più negli sport e nel tempo libero». L’équipe di Brusa-ti ricostruisce ossa e cartilagini di persone cadute dalla mountain bike o che hanno avuto rovinose cadute sciando o giocando a rugby. «Non manca poi la classica ‘scazzotta-ta del sabato sera’ fra giovani che non sempre si conclude solo con il

classico occhio nero», commenta Brusati.Con tutto il rispetto per gli interventi finora descritti, la parte più interes-sante (e perfino commovente) del lavoro svolto all’ottavo piano del blocco B del San Paolo, è l’attività svolta in ambito pediatrico (circa un terzo dei casi e un po’ più delle de-genze) nella risoluzione delle mal-formazioni e delle deformità. In particolare la chirurgia maxillo-facciale del San Paolo è famosa in Europa per la risoluzione delle labio-palatoschisi. Si tratta di una malformazione che consiste nella

IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO

Inaugurata ufficialmen-te il 7 febbraio del 1979, l’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano serve un bacino di circa 500 mila persone nel sud della città di Milano e nei comuni confinanti. Dispone di 635 posti let-to di degenza di cui 87 in day hospi-tal o day surgery. Pur avendo quasi trent’anni il San Paolo è percepito dai milanesi cor-rettamente come il ‘nuovo ospedale’ di Milano. Merito della linea moder-na progettata nei primi anni ’70 dal-lo studio Casati, dell’attenzione po-sta agli spazi comuni e di degenza (in particolare nel dipartimento ma-terno infantile) ma anche dalla sua natura di Centro di insegnamento universitario.Dal 1987, infatti, il San Paolo è Polo Universitario, sede della Facoltà di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria ospitando gli insegnamenti del cor-so di laurea in Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria e di diverse Scuo-le di Specializzazione per esempio Oculistica, Pediatria e Cardiologia.Senza tenere conto di altre figure quali i Dottorandi, i titolari di Asse-gni di Ricerca e di Borse di Studio, si può dire che 1000 studenti ven-gono formati al San Paolo e si ag-giungono alle circa 1800 persone che lavorano al San Paolo (361 me-dici, 661 infermieri, 373 persone di supporto all’assistenza e 393 tecni-co/amministrativi). Riconosciuto dal Ministero della Sa-lute quale ‘Ospedale di rilievo Na-zionale’ il San Paolo ha condotto nel 2007 7.600 interventi chirurgi-ci e 4.372 di day surgery, 1.204.137 prestazioni ambulatoriali e 350.460 di Pronto soccorso.L’Ospedale San Paolo è sede di di-versi Centri di riferimento regionale: labiopalatoschisi (Chirurgia Maxillo Facciale), infezioni da HIV pediatri-che e in gravidanza, diagnosi pre-natale, fenilchetonuria, dislipidemie, glicogenosi e galattosemia, epiles-sia, retinite pigmentosa. Molte del-le quasi 1500 prestazioni effettuate a pazienti provenienti da altre regio-ni afferiscono proprio a questi e altri Centri di altissima specializzazione. Un aspetto curioso del San Paolo che con la sua mole è uno dei più grandi edifici nell’area sud della me-tropoli milanese, è la presenza del-l’unico Centro di Medicina peniten-ziaria esistente in Italia.

mancata separazione fra l’arcata superiore della bocca (labbra e pa-lato) e il naso. Non si tratta di chi-rurgia estetica: la labio-palatoschisi oltre chiaramente a deformarlo nel-l’aspetto, impedisce al bambino di succhiare e, successivamente, di parlare correttamente La malformazione appare in un caso ogni 700 nati in Italia. Solo in un quarto dei casi c’è familiarità, più spesso la malformazione è dovuta a malattie virali o all’uso di sostanze con effetti teratogeni durante i primi due mesi di gravidanza, ai farmaci, all’abuso di alcol, al fumo e perfino

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I Servizi trasfusionali di Israele cercano donatori di sangue attraverso SMS e telefonateDopo il fallimento delle numerose campagne su carta stampata, i Servizi trasfusionali israeliani stanno cercando di incrementare il numero di do-nazioni di sangue inviando messaggi SMS sui cel-lulari e contattando direttamente a casa i donatori o gli aspiranti tali (Fonte: Jerusalem Post).

Negli USA i civili potranno donareil proprio sangue ai soldati Gli Ufficiali di Stato Maggiore dell’Esercito statunitense stanno pianificando la possibi-lità che civili ed ex-soldati possano donare sangue per le truppe ferite in azioni di guerra recandosi presso apposite strutture federali o del Dipartimento della Difesa. Questa sa-rebbe la prima volta, dopo più di 50 anni, che l’Esercito ricorre ai civili allo scopo di donare sangue ai soldati (Fonte: The Columbus Di-spatch – Ohio).

Il sangue: un bene sicuro ma costoso… Secondo gli esperti il gran numero di test di laboratorio cui vengono sottoposte, negli USA, le sacche di sangue raccolte con la donazione, le ha rese estremamente sicure ma ha determinato anche un netto incremento del loro costo: una unità di globuli rossi concentrati è infatti passata da un prezzo medio di 96 dollari nel 2000, ai 201 del 2004. Alcuni ospedali sono peraltro costretti a effettuare esami di laboratorio addizionali sulla scorta delle caratteristiche demografiche della popola-zione locale, con un ulteriore incremento dei costi (Fonte: Los Angeles Time).

All’OMS si parla di sicurezza del sangue donato nei Paesi in via di sviluppo L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha organizzato una se-rie di incontri allo scopo di aiutare i Paesi in via di sviluppo a creare e implementare strategie e politiche socio-sanitarie finalizzate ad au-mentare la sicurezza del sangue donato. Il primo di questi incontri si terrà a Singapore, con la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi del Pacifico occidentale (Fonte: Channel News Asia).

I criteri di selezione dei donatori di sangue sono troppo restrittivi? È la domanda che si sono posti negli USA un gruppo di esperti, secon-do i quali i più recenti criteri di sicurezza per la donazione di sangue, più restrittivi rispetto ai precedenti, possono aver contribuito al calo nel numero di donazioni. I ricercatori hanno stimato che circa 66 milioni di americani vengono esclusi sulla base di tali criteri, criticati da alcuni per la loro eccessiva rigorosità che scoraggerebbe molti nuovi potenziali donatori. Il dibattito tra sicurezza trasfusionale e fabbisogno continuo di sangue continua (Fonte: Reuters).

Tatuaggi e donazione di sangue negli USA Allo scopo di incrementare il numero di poten-ziali donatori di sangue, i Servizi trasfusionali statunitensi di 11 Stati hanno deciso di permet-tere la donazione di emocomponenti anche a coloro che si siano recentemente sottoposti a un tatuaggio, in precedenza costretti ad at-tendere un periodo di 12 mesi (Fonte: Billings Gazette (Mont.).

Emonews:notizie goccia a goccia

IL ‘NOSTRO’ SAN PAOLO

alla vitamina A ad alte dosi durante la gestazione.La malformazione è visibile dal-l’ecografia. Brusati non nasconde di ricevere genitori angosciati dal-la prospettiva di dare alla luce un bambino ‘diverso’. «Io posso dire poco di rilevante a queste madri: spiego come avviene l’intervento e che risultati ha ma, soprattutto, le accompagno in corsia dove trovano una o più madri che hanno portato a termine la gravidanza e attendo-no l’intervento del figlio o lo hanno appena effettuato. Nel 99% dei casi dopo un anno la mamma torna qui. Con il neonato». L’intervento classico si svolge in due tempi e comprende una ricostruzio-ne completa non solo del del labbro e della narice ma di tutta l’arcata ossea superiore e del palato. «Si interviene a sei mesi su tutte le parti molli e a due-tre anni sulla struttu-ra ossea», spiega Brusati che ha sviluppato recentemente una me-todica che consente di effettuare in un’unica soluzione i due interventi. «Nella maggioranza dei casi lo svi-luppo del bambino avviene senza nessun problema, in qualche caso occorre un ausilio per la fonazione e, qualche volta, un ulteriore intere-vento di messa a punto del mascel-lare superiore iposviluppato finita la crescita». Il San Paolo è sede del Centro di riferimento regionale per la labio-palatoschisi. Questo significa che tutti i casi di labio-palatoschisi dia-gnosticati in Lombardia dovrebbe-ro essere portati in via di Rudinì. «Questo purtroppo non avviene», afferma con rammarico Brusati, «noi facciamo 60 casi nuovi all’an-no, 20 dei quali a pazienti di altre regioni. Copriamo quindi un sesto della domanda che è stimata in 250 casi annui solo in Lombardia». In al-tre Regioni come l’Emilia Romagna dove opera il Centro di riferimento creato da Brusati a Parma, in Tosca-na (Pisa) in Lazio (Bambin Gesù), a Napoli i Centri di riferimento riesco-no a svolgere meglio la loro funzio-ne. Ma perché è importante? Non si tratta di questioni di potere «a noi non mancano certo i pazienti. Il fat-to è che questi interventi richiedono una grande esperienza pratica. Il successo insomma è proporzionale alla casistica». Nel caso del labbro leporino l’inter-vento riguarda solo le parti molli ma va eseguito con pazienza, precisio-ne e anche con molto senso esteti-co. A queste malformazioni conge-nite si aggiungono le deformazioni che – a differenza delle malforma-zioni – si manifestano con lo svilup-po e non sono presenti alla nascita. Ne esistono di ogni tipo: asimmetrie nello sviluppo del cranio, cranio allungato, o ‘largo’ (dolicocefalia grave) ma soprattutto riguardano lo sviluppo della mascella assai ridot-to o eccessivo. In questi casi spes-so l’intervento prevede l’utilizzo dei

così detti distrattori che, mediante una vite che viene ruotata ogni gior-no, allunga, al ritmo di un millimetro al giorno, il segmento osseo sezio-nato a cui è applicata fino a ottene-re l’allungamento desiderato.Gli interventi per risolvere i problemi descritti sono molto diversi: alcuni durano un’ora, altri arrivano a dieci. Alcuni richiedono anche l’intervento del neurochirurgo (e in questo caso vengono eseguiti insieme alla neu-rochirurgia del San Raffaele visto che questa specialità non è pre-sente al San Paolo). In questi casi l’osso sezionato è asportato, rimo-dellato a tavolino e reinserito nel cranio del paziente. Per altre sedi (mandibola, mascella cavo orale) può essere necessario ricorrere alla microchirurgia. Viene asportato un lembo (cute e muscolo o cute, muscolo e osso o muscolo e osso), con tutti i suoi vasi, lo modelliamo e lo reinseriamo a ricostruire la parte asportata collegando i vasi con pic-colissime suture. Tutti questi interventi sono esegui-ti riutilizzando tessuti provenienti dallo stesso paziente. Perché non ricorrere al trapianto? «Dal punto di vista tecnico non vi sarebbe nessun problema, anche il pubblicizzato tra-pianto di faccia eseguio in Francia non è certo al di sopra delle nostre possibilità. C’è però una considera-zione etica», sottolinea Brusati, «chi riceve un trapianto deve seguire una terapia a vita a base di immu-nosoppresori che lo espongono a un forte rischio di infezioni e aumen-tano il rischio di tumori. Il gioco vale la candela? Se parliamo di organi vitali ovviamente sì. Se parliamo di interventi maxillo facciali questo non è frequentemente il caso».Se gli interventi sono eseguiti ge-neralmente nella prima infanzia, il paziente viene seguito fino quasi ai 18 anni. Ci sono le visite di controllo per il decorso postoperatorio, du-rante i quali viene controllata, oltre alla fonazione, anche la dentizione: questi bambini, come gli altri e for-se più di altri, devono correggere lo sviluppo della dentizione. Noi non facciamo ortodonzia in ospedale ma prepariamo delle relazioni, in-somma, dei ‘progetti’ che vengono poi eseguiti dal dentista di fiducia del paziente». Il follow up del paziente è il momen-to più bello nella vita del chirurgo, bambini dal viso deformato, come nessun regista di film horror po-trebbe immaginare sono restituiti a una vita piena di soddisfazioni e normale. «Il loro sorriso ci fa andare avanti», commenta Brusati che par-tecipa con la sua équipe alle attività di Operation smile Italia, sezione ita-liana di una fondazione americana che finanzia campagne di intervento per curare bambini e adulti con la-biopalatoschisi e altre malformazio-ni gravi che risiedono in Paesi del Terzo mondo. Operazione sorriso: un nome davvero ben scelto.

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Quella brutta tosse che non passa...Potrebbe essere un malanno passeggero, ma anche la prima fase di una BPCo, una malattia dei polmoni cronica e molto seria se non si interviene in tempo. Come? smettendo di fumare e consultando uno specialista. Altrimenti...

Della SARS (sindrome acuta di deficit respiratorio) detta anche

influenza aviaria, se ne parlò per mesi, anche se i casi di trasmissione del virus dall’animale all’uomo sono stati in Europa poche decine. La BPCO invece la conoscono in po-chi, eppure la ‘broncopneumopatia cronica ostruttiva’ colpisce milioni di persone.

Cosa è questa BPCO?La BPCO si manifesta dopo i 40 anni soprattutto nei fumatori, con-siste in una infiammazione cronica, vale a dire continua, del tessuto pol-monare. Gli alveoli attraverso i quali il sangue riceve ossigeno muoiono e si calcificano riducendo progressi-vamente la capacità respiratoria.

I primi segniIn una prima fase la BPCO si mani-festa attraverso tosse (soprattutto la mattina) con espettorato e a volte un respiro sibilante. Il paziente, che spesso è un fumatore, attribuirà il di-sagio al fumo correttamente e pren-derà qualche medicina spesso senza nemmeno avvertire il medico di base. Il secondo sintomo è la dispnea, vale a dire la ‘fame d’aria’. Il pa-ziente sente – in occasione di uno sforzo breve o prolungato il ‘fiatone’. Lo attribuirà forse alla mancanza di allenamento e al fumo. Il terzo elemento è una grande vul-nerabilità alle bronchiti, più frequen-ti e più lunghe del normale. Il terzo elemento è una grande vulnerabili-

tà alle bronchiti, più frequenti e più lunghe del normale. Questo ele-mento dovrebbe allarmare il medi-co di Medicina generale ma, un po’ perché non sempre queste episodi sono riferiti al medico, un po’ perché il medico di rado tiene in conside-razione la frequenza degli episodi preferendo concentrarsi sulla loro risoluzione, è ancora raro che il pa-ziente venga avviato a un percorso di diagnosi più approfondita. Nella maggior parte dei casi, quindi, la malattia procede, fino a quando il paziente non inizia a sentire un deficit di ossigeno cronico o fino a quando una seria polmonite non lo porta all’ospedale.

Terapie? Poche, ma la prevenzione è facileNon esiste una medicina che ‘fa passare’ la BPCO. Dal punto di vi-sta fisiologico gli alveoli persi non si recuperano. È possibile però, prima di tutto, rallentare molto il processo che porta alla loro distruzione. Il pri-mo passo ovviamente è smettere di fumare. Su questo non si transige. Il secondo passo è migliorare la fitness respiratoria, perdere peso e aiutare l’organismo a utilizzare meglio l’os-sigeno. L’esercizio fisico, ovviamen-te graduale, e sotto controllo, ottie-ne ottimi risultati in questo senso. L’esercizio fisico è importante anche perché la BPCO ha un forte impatto sul funzionamento cardiovascolare. Lo sport è la miglior medicina per il cuore e le arterie.

Un medico specialista potrà anche consigliare una serie di esercizi spe-cifici per tenere in attività i muscoli del respiro. Contemporaneamente si cercherà di ridurre gli episodi acu-ti. La persona con BPCO è molto predisposta alle infezioni respirato-rie di origine virale, batterica o fungi-na ogni bronchite si porta via un bel pezzo di polmone e per sempre, vale la pena quindi di prendere le solite misure per evitare infreddamenti.Ai pazienti si raccomanda anche di vaccinarsi regolarmente contro ma-lattie come l’influenza o la polmonite da pneumococchi, che potrebbero aggravare una funzionalità polmo-nare già fortemente compromessa.Esistono poi le terapie che hanno l’effetto di permettere al paziente di utilizzare meglio i suoi polmoni. Si tratta dei beta2sti-molanti, degli antiva-gali e del cortisone, il quale pare avere anche effetti positivi sull’attesa di vita del paziente.

La diagnosiCome sempre avviene nelle malattie croniche, le terapie sono tanto più efficaci quanto più precoce è la diagnosi. Il principale strumento diagnostico è la spiro-metria, un test molto semplice che permette

TENERSI IN SALUTE

di misurare la capacità polmonare residua.Se la BPCO è diagnosticata nella sua fase più severa (caratterizzata da una forte riduzione della capa-cità respiratoria oppure dai segni clinici di insufficienza respiratoria o cardiaca) i medici non possono fare molto. Il paziente si vedrà presto costretto ad aiutare la respirazione con una cannula collegata a una bombola contenente ossigeno.Si calcola che 4 milioni di persone in Italia soffrano di BPCO, di queste 40 mila sono costrette a respirare aiu-tate da una bombola di ossigeno. In realtà la malattia è gravemente sotto-diagnosticata sia all’origine, sia come causa di morte.

Ma quando i sintomi sono gravi l’effetto è minore…Sì, anche se non è mai troppo tardi. Ci sono persone che smettono solo quando hanno perso l’autonomia re-sporatoria, insomma sono attaccate alla bombola. Ebbene comunque vivono di più e meno peggio, posso-no camminare, per esempio, per più mesi/anni di quello che sarebbe ac-caduto se non avessero smesso. Chi non fuma è esente da BPCO?No, ci sono delle forme ‘genetica-mete determinate’ di malattia e c’è l’inquinamento. Ma il rischio è dieci volte inferiore per chi non fuma e non ha mai fumato.

Come mai in pochi anni la BPCO è diventata una delle ma-lattie più serie e gravi?Il termine BPCO comprende di-verse malattie che, una volta, erano classificate singolarmente: la bronchite cronica, l’enfisema e la broncopneumopatia ostrut-tiva. È un nome nuovo per delle patologie vecchie e in aumento. Secondo l’Oms la BPCO è al mo-mento la settima causa di morte nei Paesi occidentali e potrebbe diventare la terza.

Così tanta gente muore perché i polmoni smettono di funzionare?La BPCO evolve verso la progres-

siva distruzione degli alveoli, il luogo in cui il sangue si carica di ossigeno e rilascia l’anidiride carbonica, e la progressiva ostruzione delle ‘tuba-zioni’ che fanno passare questi gas. In Italia ci sono decine di migliaia di persone che non possono vive-re senza ricevere ossigeno da una bombola e il loro numero aumenterà. La BPCO comporta importanti effet-ti sistemici e rilevanti conseguenze per altri organi e apparati: in primis il cuore. Prima di tutto un polmone che funziona male porta all’ipertrofia del ventricolo destro: il cuore cambia for-ma e questo compromette l’efficacia e la garanzia del suo funzionamento. In secondo luogo stiamo parlando di

persone che non possono, o quasi, muoversi, e la sedentarietà coatta impedisce loro di contrastare con l’esercizio fisico gli effetti della coro-naropatia che molto probabilmente hanno in quanto ex fumatori.

Una diagnosi precoce aiuta?Sicuramente sì. Noi consigliamo a tutti i medici di base e agli speciali-sti di richiedere una spirometria non solo per i pazienti che lamentano una dispnea in occasione di sforzi (anche modesti) ma a tutti i fumatori con ol-tre 40 anni. Dopo la diagnosi però la persona deve smettere di fumare. Il paradosso è che smettere di fumare è facile quando i sintomi sono gravi.

Smetti di fumare ADO News ha intervistato Stefano Centanni, pneumologo, responsabile dell’Unità Operativa Malattie dell’apparato respiratorio dell’Ospedale San Paolo.

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TENERSI IN SALUTE

Che il cioccolato faccia bene al nostro umore è ormai assodato (come dimenticare la mitica scena di Nanni Moretti intento a divorare un gi-gantesco vaso di Nutella nel film Bianca), ma sempre di più sono i lavori della letteratura scientifica che tendono a evidenziarne ben altri effetti benefici. Negli ultimi anni sono stati studiati con particolare atten-zione gli effetti del cioccolato nero sul sistema cardiovascolare. Una recente meta-analisi, pubblicata quest’anno sulla prestigiosa rivi-sta statunitense Archivies of Internal Medicine e condotta dall’Univer-sità di Colonia (Arch. Intern. Med. 2007; 167: 626- 634), ha rianalizzato i dati ottenuti da 5 studi clinici randomizzati che hanno coinvolto un totale di 173 soggetti. Il risultato conferma che il consumo di alimenti ricchi di cioccolato nero determina un abbassamento medio dei valori di pressione arteriosa massima (o sistolica) e minima (o diastolica) di circa 4,7 e 2,8 millimetri di mercurio, rispettivamente. L’effetto benefico sulla pressione arteriosa è, con ogni probabilità, do-vuto a particolari sostanze dette polifenoli (o flavonoidi), di cui il cioc-colato nero, ma non quello bianco, è particolarmente ricco. I polifenoli sembrano infatti in grado di promuovere la sintesi da parte delle cellule endoteliali (che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni) di ossido nitrico; quest’ultimo va ad agire sulla muscolatura della parete delle arterie, rilasciandola e riducendo quindi la pressione. Questi dati sono stati ulteriormente confermati da un successivo studio randomizzato pubblicato nel luglio scorso dall’autorevole rivista Jour-nal of American Medical Association e condotto dagli stessi ricercatori dell’Università di Colonia (JAMA 2007; 298 (1): 49-60). Gli effetti po-

sitivi dei polifenoli contenuti nel cioc-colato nero non si fermano peraltro alla riduzione dei valori di pressione sanguigna. Come dimostrato da nu-merosi studi, tra cui quello pubblica-to sulla rivista Heart lo scorso anno (Heart 2006; 92: 119- 120), un altro potenziale beneficio di tali sostanze deriva dalla loro capacità di influenza-re positivamente la funzione delle cel-lule endoteliali e delle piastrine, che tanta parte hanno nello sviluppo dei processi di aterosclerosi e, quindi, di patologie quali ictus e infarti. Anche in questo caso l’effetto benefi-

co sembra legato alla stimolazione della sintesi di ossido nitrico che, oltre alla già citata azione vasodi-

latante, è anche dotato di proprie-tà antiaggreganti sulle piastrine

e protettive sull’endotelio. Non dobbiamo però mai dimentica-re il rovescio della medaglia, ovvero l’elevato contenuto in grassi e zuccheri del cioccolato in commercio che tende a con-

trastarne gli effetti benefici, favo-rendo l’aumento di peso corporeo (e quindi il rialzo dei valori pressori) e lo sviluppo dell’aterosclerosi. Nel-l’attesa quindi di ulteriori studi che confermino la bontà (nel vero sen-so della parola) dei risultati preli-minari cui abbiamo accennato, è

imperativo non abusare di questo delizioso e sfizioso alimento.

Cacao meravigliaoVi meraviglierà sapere che il cacao è ricco di sostanze che hanno un effetto positivo sulle arterie.

Si calcola che il 14% degli uomini e il 6% delle donne dopo i 45 anni abbiano una ostruzione bronchiale cronica moderata o grave. Il costo per il sistema sanitario è enorme una analisi fatta nel 2003 ha stimato in 1261 euro all’anno per paziente i costi diretti sul Sistema sanitario.I farmaci più indicati per la BPCO sono i broncodilatatori, sommini-strati per via inalatoria, che sono in grado di dilatare le vie aeree e garantire così il maggior flusso pos-sibile di aria. Anche il cortisone nei trial èpiù recventi sta mostrando in-teressanti effetti.. Attenzione a inquinamento e fumo passivoLa complicanza principale della BPCO, come detto, è a livello car-diaco. Il sangue è povero di ossige-no e deve essere pompato più fre-quentemente, per sostenere il ritmo accelerato e perché anche i suoi tessuti sono sotto sforzo, il cuore si ingrossa e perde la sua simmetria.

Ci sono quindi problemi di contra-zione e di ritmo. Numerosi studi indicano che, tra i fattori ambientali, il principale fat-tore di rischio per lo sviluppo della BPCO è il fumo di tabacco, in par-ticolare quello di sigaretta (meno quello di sigaro e pipa), che accele-ra e accentua il decadimento natu-rale della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può contri-buire parzialmente allo sviluppo della malattia. Gioca un ruolo de-terminante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’am-biente di lavoro (per esempio silice o cadmio).Un altro fattore di rischio, seppure meno influente, associato allo svi-luppo della BPCO è l’inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferi-co causato da smog e polveri sottili, ma anche quello presente negli am-bienti chiusi (provocato dalle emis-sioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata ecc.).

iL cacao fa bene, ma neL ‘cioccolato’

UtiLizzato nei doLci

in commercio c’è un’alta

percentUaLe di grassi.

Asma e BPCO sono ‘parenti’?Sono due manifestazioni molto di-verse dal punto di vista funzionale che, nella pratica, possono dare ef-fetti simili. La differenza è che l’asma è un episodio acuto. Con il farmaco giusto tutto torna come prima. La BPCO è lenta e cronica, subdola insomma.

Fumare leggero o ridurre il nume-ro delle sigarette, aiuta?La nicotina c’entra poco. La BPCO è causata dal calore dell’aria, dai prodotti della conbustione, dalle va-rie sostanze chimiche presenti nelle sigarette, anche leggere. Occorre smettere.

Serve smettere di fumare se si vive in una zona inquinata?A me questa sa tanto di scusa per non smettere di fumare! Noi pneu-

mologi abbiamo lanciato per pri-mi l’allarme sull’inquinamento dell’aria. Si parla tanto del Pm10 come indicatore dell’inquinamen-to. Ebbene la soglia di allarme del Pm10 è 50 microgrammi per me-trocubo, se lei accende una siga-retta, una sola, in questa stanza la concentrazione di PM10 salirà a 250 microgrammi e rimarrà tale per 45 minuti. Ciò detto, noi stia-mo partecipando a uno studio che mette in relazione le accettazioni al pronto soccorso con i dati del-l’inquinamento atmosferico rile-vati in quel giorno. Ma se parlia-mo delle scelte di vita teniamo il senso delle proporzioni: chi ha la BPCO deve smettere di fumare, non respirare il fumo degli altri e, fatto questo, potrà cercare di pas-sare qualche tempo lontano dalle aree più inquinate.

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Le terme sotto casaA Milano sono nati diversi Centri benessere e ‘Spa’: acqua, vapore, massaggi aiutano a tornare in forma

I ritmi della vita moderna, stressan-ti all’inverosimile, ci costringono

spesso a ‘staccare la spina’ a da-re una tregua agli impegni quotidia-ni, siano essi legati al lavoro, alla vi-ta familiare o affettiva. Si vive sem-pre di corsa e con l’orologio in ma-no, per questo è utile concedersi ogni tanto un momento di pausa in un Centro benessere o in una Spa. Se consideriamo poi una metropo-li come Milano, riuscire a conceder-si anche poche ore di relax non può che essere definito un lusso. Una volta conosciuti gli effetti be-nefici sul corpo e sulla mente del ‘prendersi cura di sé’, l’interes-se verso attività rivolte alla ricerca del benessere è aumentato in mo-do esponenziale, anche in base a quanto specificato nel rapporto del-la Commissione Salute dell’Osser-vatorio europeo sui sistemi e poli-tiche della salute, andando a crea-re strutture ad hoc. Tali strutture, i Centri benessere, anche chiamate ‘Spa’, si compongono di tutti quei trattamenti che tendono a migliora-re il proprio wellness.

Il termine Spa deriva da una cittadina bel-ga, nota per le sue acque minerali. Svi-luppatosi il turismo delle terme, soprat-tutto da parte degli inglesi, tale nome di-venne in breve tem-po termine generico per indicare il ‘terma-lismo’. Ovviamente le Spa, o Centri benes-sere, non offrono so-lo trattamenti termali, ma tutti quei servizi legati al riposo dallo stress, per la salute e l’armonia del corpo e della mente. Le Spa sono dei ri-fugi bellissimi, pro-gettati per sembra-re dei paradisi natu-rali. Si ispirano alla natura, creando de-gli ambienti rilassan-ti, comodi, ad alti li-velli di innovazione e di design. Solitamente si compongo-no di percorsi d’acqua e rituali di be-nessere per raggiungere, nel modo più gradevole possibile, l’obiettivo di tonicità e di relax. I Centri benesse-re tendono a stimolare tutto l’organi-smo, in modo da offrire ai propri ospi-ti la possibilità di una forma psicofi-sica ottimale grazie all’abbinamento dei trattamenti alla struttura. Per portare alla scoperta del relax spesso si tende a coinvolgere tutti

i centri sensoriali: udito, olfatto, gu-sto, tatto e ottenere un’esperienza unica e irripetibile. Musica rilassan-te e profumi coinvolgenti sono alla base della ricetta della ricerca di be-nessere, in modo da lasciare viag-giare la mente e concedere un mo-mento di tranquillità. Solitamente, fra i servizi offerti da questi Centri, c’è la sauna finlandese, trattamento ormai di grande diffusione che dona benessere all’organismo, attraverso

INDIRIZZI UTILI

Accadueò Club Day Spa Istituto di bellezza

viale Lucania, 27tel. 02 55230786www.accadueoclub.it

Anti Aging Beauty Center Day Spa

c.so Buenos Aires, 75Tel. 02 67490049

Glamin Day Spa viale Regina Margherita, 4tel. 02 54107921 www.glamin.it

Montenapoleone 10via Montenapoleone, 10tel. 02 76319075

hammam della Rosa viale Abruzzi,15tel. 02 29411653www.hammamdellarosa.com

La Fonte del BenessereVia Renzo e Lucia 1/3tel. 02 84800799www.lafonteonline.it

Acquae CalidaeVia Santa Sofia 14Tel. 0258430269www.aquaecalidae.it

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Bulgari hotel Spavia Fratelli Gabba, 7/btel. 02 805805200

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news

Secondo le stime più recenti, l’utiliz-zo di cannabis (o marijuana) riguar-da nel mondo circa 160 milioni di individui. I noti effetti della cannabis tendono a manifestarsi nell’arco di pochi minuti dall’assunzione, dura-no 2-4 ore e variano in relazione al tipo di sostanza usata, alla modalità di assunzione e alla personalità del soggetto. Dopo 5 minuti compaiono ansietà, irrequietezza e iperattività, seguiti dopo una decina di minuti da senso di euforia, benessere ed esaltazione interiore. Dopo 20 minuti compaiono alterazioni dell’attività ideativa, tono dell’umore esaltato e scoppi di ilarità; coesistono alterazioni dello schema corporeo, dello spazio, delle percezioni visive e senso di fame, seguiti da intensa son-nolenza. Ad alte dosi sono possibili veri e propri attacchi acuti di panico e psicosi paranoidi, generalmente di grado lieve. È stato più volte affermato che l’utilizzo della cannabis non è in gra-do di determinare dipendenza. Studi recenti hanno invece evidenzia-to come una proporzione variabile dal 10 al 20% degli utilizzatori più giovani sviluppi dipendenza, come dimostrato dalla comparsa di una sindrome astinenziale nel caso di brusca sospensione dell’assunzio-ne. Nei soggetti forti fumatori di cannabis tale sindrome astinenziale è caratterizzata da intensa agitazione motoria, insonnia, mancanza di appetito e forte irritabilità.Oltre al possibile sviluppo di dipendenza, un consumo reiterato di can-nabis è stato associato a problemi di apprendimento, memoria, affetti-vità e flessibilità mentale, riduzione delle difese immunitarie e della ca-pacità riproduttiva, danni alle vie respiratorie. Con particolare riguardo agli effetti negativi sulle funzioni cognitive, numerosi studi identificano la fase adolescenziale come quella a maggior rischio, probabilmente a causa di un effetto persistente sulla plasticità sinaptica neuronale. A conferma di quanto affermato vengono i risultati di un ampio studio pubblicato nel luglio scorso dalla rivista Lancet (Lancet 2007; 370: 319-328), in cui un gruppo di ricercatori dell’Università di Cardiff ha rianaliz-zato i dati ottenuti da ben 35 studi clinici precedenti. Il risultato di questa meta-analisi conferma che l’uso reiterato di cannabis aumenta dal 40 al 200% il rischio di sviluppare negli anni a venire una psicosi (in primis la schizofrenia); meno marcato ma altrettanto significativo sembra invece l’effetto predisponente su patologie della sfera affettiva, quali la depres-sione. Il rischio, in tutti gli studi analizzati, è strettamente dose-dipen-dente: all’incremento del consumo di droga corrisponde un aumento di tale rischio. Gli autori concludono sostenendo la necessità che gli

utilizzatori di marijuana siano resi edotti del ri-schio potenziale di svi-luppare malattie psicoti-che, in particolar modo i più giovani che, come già ricordato, sarebbero più sensibili a tali effetti nefasti. Se il consumo di cannabis cessasse, proseguono gli autori, si arriverebbe a prevenire ben 800 nuovi casi di schizofrenia all’anno nel solo Regno Unito.

il calore che fa eli-minare le tossine e i rifiuti della pelle con il sudore, per-mettendo al cor-po di migliorare la traspirazione. Si tratta di una pratica che fa per-dere i chili in ec-cesso: durante la sauna il metabo-lismo e il battito cardiaco aumen-tano, provocan-do una vasodila-tazione e miglio-rando la circola-zione sanguigna. Favorisce inoltre il recupero muscolare, producendo un rilassamento di tutto il corpo e ha un effetto calmante sulle terminazio-ni nervose. La sauna finlandese, ri-vestita di legno, può raggiungere i 100°, inducendo un’abbondante tra-spirazione della pelle, mentre l’umi-dità non supera il 10-20%. Simili al-la sauna finlandese sono anche gli Hammam, tipici della tradizione ara-ba e vicini anche alla pratica delle terme romane. Gli Hammam si compongono di tre sale: una sala molto calda (harara), una tiepida e l’ultima fresca. Ognu-no di questi trattamenti è spesso ac-compagnato da aromaterapia. In-fatti gli oli essenziali esercitano una serie di benefici effetti e, in seguito alla loro applicazione, sono calman-ti del sistema nervoso.Una delle forme più antiche e natu-rali di terapia è proprio il massag-gio che ha un’azione stimolante sul-la pelle, attraverso frizioni e pressio-ni. I massaggi sono per lo più rivolti al rilassamento; di seguito ne citia-mo alcuni tipi.Massaggio stretching. Coinvolge muscoli, tendini, ossa e articolazio-ni e consiste in movimenti di allun-gamento e distensione muscolare. Massaggio Shiatsu. Particolar-mente utile per chi soffre di lombal-gie, emicranie e dolori mestruali. Il paziente si sente disteso e rilassato. È in genere molto piacevole e rilas-sante e consiste di trazioni e pres-

sioni effettuati per alcuni secondi su aree precise. Massaggi dre-nanti. Sono rivol-ti al drenaggio dei liquidi del corpo. Si svolgono attra-verso una frizio-ne forte sulla su-perficie da tratta-re. Sono rivolti a chi vuole elimina-re alcuni inesteti-smi del corpo, co-me, per esempio, la cellulite. Massoterapia. Si tratta di massaggi che hanno lo sco-

po di sciogliere e rimuovere le con-trazioni muscolari. Utili, in particola-re, nei casi in cui subentra il mal di testa oppure quando si hanno diffi-coltà nella rotazione del capo, do-vute allo stress e alla stanchezza.Idromassaggio. Getti d’acqua mas-saggiano il corpo, accompagnando gli effetti benefici dell’acqua a quelli del massaggio. Inoltre, nei Centri benessere è dif-fuso l’insegnamento di alcune di-scipline e tecniche di rilassamento, quali: Yoga che migliora l’ossigena-zione, regolarizza il battito cardiaco e abbassa la pressione arteriosa. Con l’apprendimento delle diverse posizioni, si può arrivare a control-lare il respiro e quindi, a raggiunge-re il rilassamento fisico e mentale. Training autogeno. Attraverso que-sta tecnica si concentra l’attenzio-ne su alcune parti del corpo con im-magini e sensazioni distensive, fino a non sentire più la sensibilità fisica. Così la mente si libera e riesce a te-nere sotto controllo anche i dolori ar-ticolari e muscolari. Musicoterapia. Si basa sul principio che la musica ha una grande influenza sull’equi-librio psicofisico dell’uomo e che il suo ritmo ha effetto sulla pressione sanguigna, la respirazione e il battito cardiaco. I brani musicali più indica-ti per ognuno vengono individuati e selezionati da un musicoterapeuta.

Giovanni Abruzzo

Vado pazzo per il ‘fumo’Fumare hascisch o marijuana non è un vizio innocente. Più che l’assuefazione a questa e altre droghe gli utilizzatori abituali rischiano di sviluppare serie psicosi come la schizofrenia.

BENESSERE

Le terme sotto casa

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La potenza simbolica del sangueDal colore rosso, che segnala divieto e pericolo, alla metafora geneticae perfino razziale. Il sangue evoca mille simboli e indica tanto la morte(spargimento di sangue) quanto la vita (sangue del mio sangue).A cosa si deve questa ricchezza?Materia primaria, elemento es-

senziale, fonte di vita, potenza universale. E poi i colori: rosso, pur-pureo, scarlatto, o ancora blu, ar-terioso e nobiliare. E schizzi, mac-chie, pozze.Tutto questo è il sangue nell’imma-ginario collettivo, non solo materia biologica ma anche materia filosofi-ca, oltre la pura fisicità.Chi di noi non immagina visivamen-te le scene di un romanzo noir a par-tire da una propria personale figura-zione del sangue? Chi di noi non ne associa il mistero ai misconosciuti rituali di tradizioni altre dalla nostra (e quindi islamiche, ebraiche, orien-tali, comunque ‘diverse’?).È forse per questo che vale la pena, in una pubblicazione come questa, parlare anche dell’aspetto meno noto – probabilmente anche meno ‘importante’ davanti al tema crucia-le della donazione – che ha il san-gue, parlare quindi di ciò che ha a che fare con le tradizioni religiose e filosofiche o, ancora, della rappre-sentazione nell’arte di un principio vitale di così grande potenza.Si tratta, in buona sostanza, di af-frontare l’argomento prendendo – se ci viene passata l’espressione – il toro per le corna, ovvero ammet-tendo in primo luogo che la parola ‘sangue’ assume oggi un significato che va ben al di là di ciò che la pa-rola stessa descrive.È infatti l’innegabile significato sim-bolico quello che per primo vie-ne messo in gioco se pensiamo a quante volte ci può capitare in una sola giornata, scorrendo i quotidiani o ascoltando un qualsiasi program-ma radiofonico o televisivo, di in-cappare in quella piccola parola di sole sei lettere, tre vocali e tre con-sonanti.Quasi mai essa viene utilizzata con il proprio specifico valore letterale, anzi, le viene affidato un enorme potere evocativo a indicare tutto e il contrario di tutto, tanto la morte (spargimento di sangue) quanto la vita (sangue del mio sangue).Perché si tratta di una parola ormai assurta a simbolo, chiamata a evo-care altro da sé.La capacità di conoscere, interpre-tare e utilizzare i simboli è una delle più affascinanti nella specie umana, senza ombra di dubbio: un ‘simbolo’ è qualcosa che significa qualcosa d’altro, una forma di specchio men-tale attraverso cui un oggetto, una parola, un luogo rimandano imme-diatamente a un concetto che non è

più quello rappresentato meramen-te dall’oggetto, luogo o parola in sé, ma si fa enormemente più ampio e complesso; sono molte le culture che fanno dei simboli veri e propri centri di trasmissione culturale e, in questo viaggio, cercheremo di in-contrarne alcune, di comprenderne meglio il rapporto con il sangue qua-le elemento costitutivo della vita.Quanto al significato simbolico, tutti noi sappiamo che il colore rosso in-dica un divieto, la necessità di pre-stare attenzione maggiore (nei car-telli stradali, nei semafori, nei titoli) e ciò ha forse dei legami profondi, sepolti nella nostra animalità (nei nostri istinti) con il colore del san-gue. Proveremo a conoscere alcuni di questi meccanismi.Ma ancora, il mondo dell’arte merita probabilmente un viaggio a sé, al-l’interno della poesia e della pittura, del teatro, del cinema, della lette-ratura (e dell’uso della lingua, ver-rebbe da aggiungere), su quanto è stato attinto dalla metafora del san-gue per rappresentare – ed ecco ancora una volta l’uso del simbolo – le vicende umane a partire proprio da ciò che pare essere l’elemento costitutivo dell’esistenza in vita di ciascuno di noi.

Pensiamo, a questo proposito, anche soltanto a come ricorrono espressio-ni gergali, detti, proverbi, in cui fac-cia capolino anche il sangue.Sangue caliente, sangue latino, san-gue freddo, vino che fa buon sangue, farsi il sangue cattivo (o amaro), san-gue che non è acqua, sangue che chiama altro sangue.Appare evidente che non occorre cercare troppo per imbattersi nella prova provata di quanto sia comu-ne utilizzare l’elemento sangue nei

nostri giochi mentali, verbali, meta-forici.Vero è che ciò avviene a livello in-conscio probabilmente, diciamo la parola e neppure badiamo al rea-le significato fisico e biologico, ma questo non costituisce forse un’ul-teriore dimostrazione del discorso che stiamo facendo? Di quanto sia pervasivo l’argomento sangue nel nostro modo di vivere, raccontare, discutere? Affronteremo dunque un viaggio che speriamo essere piace-vole, magari interessante, auspica-bilmente non noioso o inutile.Un viaggio che ci porterà in luoghi non usuali o a contatto con culture con cui si fatica a trovare punti di incontro e condivisione.Potrà persino rivelarsi un viaggio divertente con un po’ di fortuna e benevolenza da parte del lettore.Scopriremo così che la comprensio-ne del fatto che il sangue circola è recentissima in termini storici: risale a circa quattro secoli orsono, gra-zie allo scienziato inglese William Harvey che per primo comprese e descrisse il sistema circolatorio. E prima di Harvey? Va considerato che la pratica della dissezione ana-tomica non incontrava grande fortu-na in epoche passate ma va rilevato

CULTURA

E scopriremo anche l’approccio del-le religioni con l’elemento sangue, approccio che – ne va tenuto con-to – ha a che fare sia con i periodi storici, in cui le grandi religioni sono nate e si sono consolidate (e con-seguentemente con le conoscenze ‘scientifiche’ di allora), sia con le prescrizioni igienico-sanitarie, da cui molti dei precetti religiosi più antichi derivano, anche in considerazione del fatto che le grandi fedi monotei-ste sono nate in Medio Oriente, luo-go in cui il grande calore rendeva in-dispensabile alcuni comportamenti, poi codificati negli schemi del culto, delle liturgie, dei sacrifici.L’antica concezione del corpo ri-veste un ruolo importante nel no-stro ragionamento: se è il cuore a essere sede dei sentimenti e delle emozioni umane, anche il sangue assume un significato (verrebbe da dire un’importanza, un interesse) morale, ben prima che fisiologico.È una concezione che precede an- che le religioni monoteiste e si per-de nei millenni che precedettero la nascita di Cristo: tutti noi abbiamo bene in mente le immagini con cui, nelle tombe egizie, il dio Anubi dalla testa di sciacallo, assiste Horus e Thot nel pesare sulla bilancia il cuo-re del faraone defunto, ulteriore di-mostrazione del fatto che la purez-za interiore ha un preciso riscontro nell’elemento fisico rappresentato dal muscolo cardiaco che deve es-sere – moralmente – leggero quan-to la piuma di Maat (e il luogo della pesa era infatti la ‘stanza delle due verità’ posta nel Duat, l’oltretomba della religione egizia).Proseguendo in questo filone po-tremo quindi incontrare numerose analogie linguistiche, lessicali, cul-turali, capaci di chiarirci alcune rela-zioni che potrebbero, a tutta prima, apparire oscure.Come non rimanere affascinati dal-la dottrina della transustanziazione, attraverso cui, per i cattolici, il vino consacrato diventa vero sangue di Cristo? Come non cogliere il lega-me con la cultura ebraica, in cui il rapporto tra vita e sangue è così stretto che nel Levitico (Cap. 17, Versetto 11) è scritto che “La vita della carne è nel sangue”. Que-sto non è così stupefacente per l’osservatore odierno, sennonché questo tipo di relazione è codificato anche nella lingua, tant’è vero che se la parola ebraica per ‘uomo’ è ‘Adàm’ ecco che la parola sangue è ‘Dàm’ mentre la terra è ‘Adamàh’

anche che per millenni l’uomo non è stato in grado di comprendere il ruolo né del sangue né di molti altri organi se pensiamo che secondo Aristotele – pure grandissima per-sonalità nello sviluppo del pensiero umano – il cervello aveva funzioni di radiatore e serviva a raffreddare il sangue, mentre a essere sede dei sentimenti era il cuore (e infatti per indicare un trauma emotivo si dice, ancora oggi, che “si spezza il cuo-re”, non certo il cervello).

il cinema è soLo Una moda

passeggera. è il dramma

in Lattina. iL pUbbLico vUoLe

vedere storie di carne

e di sangUe rappresentate

in paLcoscenico.charLie chapLin

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cosicché appare in tutta evidenza la strettissima relazione tra l’uomo fat-to attraverso la terra e in cui scorre il sangue (ovvero la vita, in ebraico ‘Chayym’). Da qui alla proibizione del sangue, comune a ebraismo e islam, il passo è breve.Sempre nel libro del Levitico il Signo-re proibisce di consumare il sangue poiché (il nesso è quindi causale) la vita della carne è nel sangue, come si diceva poco sopra.Lecito quindi spargere il sangue sul-l’altare quale sacrificio di espiazione (pratica interrotta con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, luogo sacro e unico in cui consumare i sa-crifici) ma del tutto illecito cibarse-ne, perché non ci si può alimentare della vita altrui.Nell’Islam il sangue è invece ele-mento impuro anche perché prove-niente dall’animale, che per il mu-sulmano è creatura appartenente alla sfera dell’imperfezione (e il cibo è nella cultura islamica veicolo che può far passare da una condizione di purezza a una condizione di im-purità) e può contaminare – se non opportunamente trattato – anche l’uomo: la Sura 5 del Corano contie-ne un richiamo preciso al divieto de-gli animali soffocati e quindi ancora contenenti il loro stesso sangue.Ma non faremo un viaggio unica-mente nelle dimensioni del pensie-ro religioso o filosofico.Anche l’arte, come dicevamo, rap-presenta un territorio di incredibile fascino in cui il sangue ha una pro-pria peculiare rilevanza.Non occorre pensare soltanto a poeti quali Dylan Thomas o a scrit-tori come Abraham Stoker, ai fiumi

di sangue bollente di dantesca me-moria o alle città infestate da vampi-ri come la ‘Salem’s Lot’ di Stephen King.Anche l’arte pittorica ha trovato nel rosso purpureo del sangue un vei-colo perfetto per la proposizione dei propri simboli, basti pensare alla ‘Morte di Marat’ in cui Jacques-Louis David riesce con poche pennellate di rosso sul lenzuolo e sulla lettera che Marat ancora stringe fra le dita, a descrivere con grande potenza la vitalità e la forza perdute con la mor-te, costruendo un esempio di come le categorie iconografiche del sacro vengono, attraverso il sangue, tra-smesse a un’opera totalmente laica, conferendo a Marat tratti cristologici proprio grazie alla ferita al costato trafitto e al fluido che ne sgorga.E come non accostarci alla ‘Decol-lazione del Battista’ in cui il Cara-vaggio, nel 1608, utilizzò proprio la pozza di sangue sgorgante dal collo di San Giovanni per imprimere la propria firma scarlatta sulla tela? Ci apprestiamo quindi a varcare il confine di un territorio immenso, non fatto di terre e nazioni ma fatto di simboli che evocano in ciascuno di noi ricordi lontani, legati tanto alla nostra istintualità quanto al retro-terra della nostra cultura, non solo occidentale ma anche ebraica, elle-nistica, cristiana. Un viaggio in cui incontreremo molti edifici, alcuni di facile accesso, altri più complessi e al contempo stimolanti.È il viaggio nella potenza dei sim-boli, che poi non sono altro che ri-chiami, contenitori di una strana e affascinante forma di radioattività culturale che rimanda necessaria-mente a realtà altre, che conoscere può essere bello o anche solo di-vertente o rilassante. Non sarà co-munque un viaggio da poco.

Ivano Gobbato

Dopo sette anni di esperienza come medico volontario in Ghana, Tan-zania, Madagascar, Nepal, Tibet e infine in India, si faceva strada in me l’idea di iniziare qualcosa in un area priva di aiuti umanitari trattando direttamente con la popolazione locale, senza intermediari.Percorsi così 6 mila km nella parte più povera dell’India del sud, incon-trai un indiano unico e speciale, e un piccolo campo di palme da cocco a Kozhinjampara, una zona di confine tra il Kerala e il Tamil Nadu, un posto ideale per aprire un ambulatorio.Rientrato in Italia, lanciai la proposta. Con le firme di tre amici di sempre, sotto l’occhio di un notaio di Finale Ligure, nasce così Find the cure, comitato no profit in aiuto alle aree a basso livello di sviluppo.Raccolgo fondi con l’amico panettiere e tipografo, cene, foto, discorsi, manifestazioni; il preventivo per l’ambulatorio è di 15.000 euro, ne arri-vano 18.000. Così il mese dopo si parte, in cinque tra medici e infermieri: nel campo di piante di cocco si traccia la perimetria dei muri e si pone la prima pietra, i lavori iniziano. Si creano i contatti, si cercano le strumen-tazioni, il personale, i farmaci, si trovano zone ancora più povere e non si può non far nascere un secondo, un terzo e un quarto progetto.Nell’attesa si lavora come medici nei villaggi, usando come ambulatorio la chiesa o la casa più grande. Si rientra e si continuano a raccoglierefondi. Arrivano il sito internet, le magliette solidali FTC, cene a ripetizione, non so come ma Find the cure cresce e cresce rapidamente. L’ambulato-rio è quasi ultimato, manca il tetto e, già che sono lì, si traccia la perimetria e il primo muro di Project II, la casa per malati terminali a Nanguneri.L’India è un Paese che corre veloce, bisogna stare al suo passo altrimen-ti non ha senso fare dei progetti. Insieme a quelli piccoli nasce Project V, un ospeda-le per la cura del can-cro: non è una scelta, è un obbligo, in tutto lo stato dell’Andra Pradesh ci sono solo due Centri di cura e, neanche a dirlo, sono a pagamento. Così si prova, d’altronde uno dei nostri motti è ‘Mordi più di quel che puoi masticare’. In più compriamo un picco-lo furgoncino Maruti e inizia il program-ma per portare cibo e vestiti a casa dei più poveri, che non riescono neanche ad arrivare ai punti di aiuto. Tutto proce-de inaspettatamente bene (non avrei mai pensato che così tante persone sarebbero state pronte ad aiutare in maniera forte e spontanea), il fine è buono, il percorso divertente e la gente in questo viaggio davvero interessante.A ottobre si riparte, questa volta siamo in dieci, ma il lavoro è tanto, si inizia l’attività medica dell’ambulatorio di Kozhinjampara e della casa per malati terminali di Nanguneri. C’è da visitare nei villaggi, far fare la ma-gliette FTC, progettare l’ospedale, portare il cibo alle case e tutto quello che si trova sulla strada insieme ai nostri ormai solidi amici missionari indiani, perché per noi è molto importante la meta ma in ugual misura il percorso, fatto di templi, sorrisi, medicazioni e calce, operazioni e frutti saporiti, fatto di una terra indiana povera e di una italiana che ancora sa dare molto. Grazie ancora a tutti quelli che con generosità e determina-zione sono saliti su questo treno.

Daniele Sciuto

Find the cureUn gruppo di medici fonda ambulatori e ospedalinella zona più povera dell’India.

CULTURA

anche l’arte pittorica ha trovato neL rosso pUrpUreo

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La proposizione deipropri simboLi.

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in tUtto Lo stato dell’andra pradeSh ci sono soLo dUe centri di

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Camminare fra cinque laghiLa tratta lombarda del sentiero europeo E/1 può essere suddivisa in passeggiate in mezzo al verde... e al blu.

La Federazione Europea Escur-sionismo nata nel 1969 a Stoc-

carda (D) ha progettato fin dagli anni ’70 una serie di sentieri escur-sionistici che attraversano in lungo e in largo tutta l’Europa favorendo il turismo pedestre. Due passano in Italia: l’E/1 dal confine svizzero a Genova e l’E/5 dal confine austria-co a Verona e Venezia.La Federazione italiana escursioni-smo che aderisce alla FEE, ha in-caricato il suo Comitato Regionale Lombardo di disegnare il tratto di E/1 che va da Porto Ceresio (sul Lago di Lugano) al ponte di barche di Bere-guardo (sul fiume Ticino). Con qual-che contributo della Regione, un se-rio appoggio da parte dell’Ente Parco del Ticino e migliaia di ore di lavoro volontario, il Comitato regionale lombardo della FIE, e in particolare i membri dell’Associazione G.E.B. di Brivio (LC) diretti da Romeo Sala e Giorgio Mandelli, hanno disegnato, tracciato segnalato e contribuito a mantenere i 161 chilometri lombardi del sentiero europeo. Abbiamo pro-posto una parte di sentiero suddivi-dendolo in 4 tratti. Il primo breve ma adatto a chi ha gambe e fiato perché prevede una discreta salita iniziale; il secondo brevissimo, una vera pas-seggiata; il terzo e il quarto pianeg-gianti ma lunghi.

Nord- Ovest. Dopo circa 500 metri, a un incrocio che a sinistra porta a Cuasso al Piano, si prosegue a de-stra e, dopo poche decine di metri (località Le Cantine), si abbandona la provinciale per seguire la mu-lattiera che sale a sinistra, inizial-mente scoscesa, raggiungendo in breve delle trincee facenti parte di una linea di difesa costruita duran-te l’ultima guerra (segnavia locale: ‘Sentiero Confinale’).Si prosegue ora sulla vecchia stra-da militare fiancheggiando queste trincee, con punti di ottima veduta panoramica sulla sponda Svizzera

del lago di Lugano, fino a giungere a un ampio spazio erboso (430 m c.a.).Abbandonando ora la linea fortificata e pie-gando a sinistra si at-traversa il prato, rag-giungendo una strada sterrata e seguendola a destra si raggiunge in breve la carrozzabi-le, con la quale si sale dapprima a Borgnana (470 m) dove, lascian-do momentaneamen-te la carrozzabile, si

sale a Cuasso al Monte (510 m).Abbandonando ora il segnavia loca-le ‘Sentiero Confinale’, si attraversa tutto l’abitato per imboccare una mulattiera che, salendo dolcemente nel bosco, porta al piccolo nucleo di S. Firino (790 m), dove si trova an-che una chiesa diroccata.Si prosegue in falsopiano sino a un bivio (830 m) dove, piegando a sini-stra, si raggiunge in breve la strada sterrata che, salendo da Cuasso al Monte, porta alla Bocchetta di Sti-vione. Proseguendo su quest’ulti-ma, dapprima si sale in moderata pendenza e poi in falsopiano, con buona veduta panoramica, passan-

ALTRE PASSIONI

veduta panoramica; da segnalare il turistico-residenziale centro di Brin-zio e l’Osservatorio Meteorologico di Campo dei Fiori con l’annesso Giardino Botanico.All’uscita dell’abitato di Ganna (460 m) si incrocia la provinciale prove-niente dalla Valcuvia, che si segue a destra per poche decine di metri, per imboccare poi a sinistra una carrareccia pianeggiante che por-ta fino a un ponticello sul torrente Prà Lugano, affluente del lago di Ganna. Attraversato il ponticello, si prende a destra e si inizia a sa-lire, in moderata pendenza, su una scoscesa mulattiera fino a raggiun-gere un costone a quota 660 m, che scende dal monte Marticca da dove, mantenendosi in un ombroso bosco si scende, raggiungendo da prima le baite di Valicci (635 m) e poi il torrente Valmolina che si se-gue (tenendo la destra idrografica) fino all’abitato di Brinzio (508 m).

do dalla Bocchetta dei Frati, sino al Monte Piambello (1129 m). In realtà il sentiero passa poco sotto la cima, a quota 1095 m, ma con una picco-la deviazione si può raggiungere la vetta.Dal bivio di Piambello, sempre man-tenendosi sulla strada sterrata, che nella parte iniziale fiancheggia i re-sti di fortificazioni realizzate duran-te l’ultima guerra mondiale, si scen-de fino al Villaggio Alpino del TCI, da dove, proseguendo in parte sul-la carrozzabile e in parte sui resti di vecchie mulattiere, passando dal caratteristico nucleo di Boarezzo e poi di Campubella, si giunge a Gan-na (460 m) dove si trovano i resti del Priorato di San Gemolo (XI sec.).

Una breve passeggiata: Ganna - BrinzioNemmeno quattro chilometri di pas-seggiata nei boschi in salita (in totale il dislivello è di 175 metri) con ottima

Partenza: Porto Ceresioarrivo: Ganna Segnaletica euroPea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con

bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.Segnaletica locale: Frecce direzionali in metallo con scritta ‘Sentiero

Confinale’ e bandierine in vernice bianco/rossa con sigla ‘SC’ solo per il tratto fino a Cuasso al Monte.

Difficoltà: Elementare ∆ dislivello totale in salita: 820 m ∆ dislivello totale in discesa: 635 m ∆ lunghezza percorso: 17,9 km ∆ tempo percorrenza: 5h 30’ traSPorti Pubblici: Si raggiunge Porto Ceresio con treni da Milano e Varese o autobus da Varese. La Valganna

è percorsa circa ogni mezz’ora da autobus che collegano Ganna a Varese. Chi lascia l’auto al punto di partenza può quindi ritornare da Ganna a Porto Ceresio con due autobus o con un autobus e un treno (il terminal bus di Varese è vicinissimo alla stazione di Trenitalia).

PortoCeresioPorto

CeresioGannaGanna

1° TRATTO

Partenza: Gannaarrivo: BrinzioSegnaletica euroPea: Frecce e bandierine in

metallo di colore bian-co con bande laterali rosse e sigla di iden-tificazione ‘E/1’.

Segnaletica locale: Bandierine in vernice gialla. Frecce direzio-nali in metallo con se-gnavia “3V” e bandie-rine in vernice bianco/ rossa.

Difficoltà: Agevole ∆ dislivello totale in salita: 175 m ∆ dislivello totale in discesa: 127 m ∆ lunghezza percorso: 3,9 km ∆ tempo percorrenza: 1h 30’

traSPorti Pubblici: Da Brinzio degli autobus permettono di tornare a Ganna. Ma vale la pena di ritornare a Ganna a piedi. Come detto Ganna è ben collegata da autobus a Varese.

2° TRATTO

BrinzioBrinzio

GannaGanna

Poco tempo, un po’ di fiato: dal Ceresio alla Val GannaQuasi 18 chilometri di passeggiata nei boschi con un dislivello in sali-ta di 650 metri di interesse pano-ramico e storico culturale: resti di fortificazioni militari nel tratto fino a Borgnana e sul monte Pianbello, il villaggio degli artisti di Boarezzo (con i murales sulle facciate delle case rappresentanti vecchi mestieri e usanze antiche) e a Ganna la Ba-dia di San Gemolo che risale all’ XI secolo.Dall’imbarcadero di Porto Cere-sio (275 m) si segue la provinciale che costeggia il lago in direzione

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ALTRE PASSIONI

In mezzo ai boschi da Brinzio a GavirateTranquilla passeggiata nei boschi ric-chi di funghi e di castagne, con ottima veduta panoramica nella parte inizia-le, da notare i resti del Forte di Orino e gli abitati di Orino e di Gavirate. Attraversato l’abitato di Brinzio si im-bocca la stradina antistante la chie-sa e, superate alcune case, dopo un breve tratto pianeggiante, al primo bivio si mantiene la destra mentre poco oltre, nei pressi di un cippo eretto a ricordo dei Padri Passioni-sti, si imbocca la mulattiera centrale (segnavia locale n° 4 – poco distan-te sulla sinistra è situata la Fonte del Cerro) con la quale si inizia a salire, in accentuata pendenza, seguendo il corso del torrente Intrino (che si at-traversa varie volte) fino a raggiun-gere il valico delle Pizzelle (926 m), dove si incrocia l’itinerario ‘Via Verde Varesina’ ovvero ‘3V’.Proseguendo ora in falsopiano, lun-go il segnavia dell’itinerario 3V, si raggiunge prima la scala di manuten-zione della ex funicolare e poi, dopo un tratto di ripida scalinata, il piaz-zale della stessa (1033 m). Trascu-rando ora le indicazioni dell’itinerario 3V, si segue a destra dapprima una strada sterrata e poi un ampio sen-tiero gradinato (realizzato per scopi militari dagli alpini durante l’ultima guerra) che porta fino alla piazzola antistante l’osservatorio militare del Monte Tre Croci da dove, seguen-do la strada asfaltata, si scende alla Pensione Irma (1080 m) di Campo dei Fiori, una variante molto inte-ressante è la visita all’Osservatorio Meteorologico (1225 m) da dove si gode un magnifico panorama che spazia dalle Alpi alla Pianura Pada-na (dalla pensione, l’Osservatorio si raggiunge seguendo le indicazioni dell’itinerario 3V).Dalla pensione (1080 m) si segue la strada carrozzabile che sale ver-so l’Osservatorio Meteorologico di Campo dei Fiori fino al cancello che ne delimita i confini. Piegando ora a

Partenza: Gaviratearrivo: Somma Lombardo Segnaletica

euroPea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con ban-de laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.

Segnaletica locale: nessunaDifficoltà: Facile

∆ dislivello totale in salita: 109 m

∆ dislivello totale in discesa: 171 m

∆ lunghezza percorso: 35,4 km

∆ tempo di percorrenza: 10h 00’

3° TRATTOPartenza: Brinzioarrivo: GavirateSegnaletica euroPea: Frecce e bandierine in metallo di colore bianco con

bande laterali rosse e sigla di identificazione ‘E/1’.Segnaletica locale: Frecce in metallo con segnavia 3V e bandierine in ver-

nice bianco/rossa per il tratto Campo dei Fiori/Orino. Bandierine in vernice gialla con segnavia 1 per il tratto Pensione Irma/Forte Orino e segnavia 2 per tratto Forte Orino/Orino.

Bandierine in lamiera e in vernice gialla con se-gnavia 10 per il tratto orino/Poggio della Corona. Bandierine in vernice gialla con segnavia 13 per il tratto Poggio della Corona/Cà dei Monti.

Difficoltà: Agevole ∆ dislivello totale in salita: 680 m ∆ dislivello totale in discesa: 850 m

traSPorti Pubblici: Chi non ha due macchine a disposizione farà meglio a percorrere l’itinerario nella dire-zione opposta. Si arriva facilmente a Gavirate in treno da Milano via Varese. Da Brinzio meglio percorrere a piedi altri quattro chilometri e raggiungere la Valganna dove in auto-bus è facile riguadagnare Varese e da lì (in bus o treno) Gavirate.

sinistra si imbocca una strada ster-rata (segnavia locale n° 1 e 3V) che, con un lungo falsopiano, porta verso Forte Orino. Poco sotto il Forte (1110 m) si abbandona la strada per prose-guire diritti su un sentiero (segnavia locale n° 3 e 3V) che, dopo un breve tratto pianeggiante, in località la Col-ma, scende rapidamente nel bosco lungo un costone fino a raggiungere il Pian delle Noci (714 m); qui, si in-crocia una mulattiera, la si segue a sinistra e nell’ombroso castagneto si scende fino ad Orino (430 m), noto centro di villeggiatura.Appena entrati nell’abitato, si piega a sinistra e, seguendo dapprima la via Gorizia e poi una carrareccia, si raggiunge il campo sportivo e l’adia-cente vivaio del Corpo Forestale (480 m). Da qui, seguendo anche le indicazioni del segnavia locale n° 10 si prosegue dapprima in falsopiano e poi in moderata salita verso Prà Ca-merèe, raggiunta la sella del Monte Morto (670 m), trascurando il sentie-ro di sinistra che porta verso Forte Orino e quello diritto che sale verso il Monte Morto, si segue il sentiero a destra e, dapprima in leggera disce-sa e poi in falsopiano, si attraversa tutto il Poggio della Corona sino a giungere al Piano di Caddè dove si incrocia il segnavia locale n° 13 (585 m). Seguendo quest’ultimo lungo la mulattiera a destra, per diversi tratti alquanto sconnessa, si scende dap-prima a Cà dei Monti (335 m) e poi a Gavirate (266 m).

Una lunga camminata verso il Ticino: Gavirate-Somma LombardoUn tratto lungo ma piano, per la massima parte, in margine ai piccoli laghi prealpini di Varese in una zona cosparsa di magnifiche ville e giardi-ni sviluppatisi principalmente nell’ul-timo cinquantennio.Dal centro di Gavirate, quota 267 slm, lungo la strada provinciale n° 18 si raggiunge Bardello dove, con deviazione a sinistra, si entra con un

sentiero entro la brughiera. Si prose-gue in direzione Bregano passando sul margine destro della palude e sul margine sinistro della stessa località. Si continua su straducole campestri passando in margine a Biandronno si prosegue verso Travedona, ma all’altezza di Salvario (Faraona) con deviazione a sinistra e si entra nel bosco per raggiungere Nocciolaro e proseguire sul colle passando in fianco alla cava di gesso, nel piccolo nucleo di Pacit, alla cava di pietra, altezza massima del percorso m 370 slm.Si ridiscende con andamento est- ovest fino alla periferia sud di Trave-

dona/ Monate ove si prende la stra-da comunale per Osmate passando sul margine sud del lago di Monate.Prima di raggiungere il paese, alla cascina S.Giorgio si lascia la stra-da asfaltata e si prende un sentiero agricolo in direzione sud entrando nel Parco del Ticino. Si passa in margine a Lentate Verbano, Santa Fé per entrare nel paese di Oriano Ticino. Si prosegue, sempre su sen-tiero, passando oltre la linea ferro-viaria Gallarate-Domodossola, si attraversa la S.S. n° 33 e, sempre proseguendo verso sud e in margine a Golasecca, si raggiunge il fiume Ticino a Porto Torre (Somma Lom-bardo) in corrispondenza del ponte sul fiume stesso a quota m 195 slm.

4° TRATTO

BrinzioBrinzio

GavirateGavirate

GavirateGavirate

Porto della TorrePorto della Torre

traSPorti Pubblici: Sia Gavirate sia Somma Lombardo sono ben collegate alla linea Gallarate-Varese. Visto che la passeggiata è lunga però si possono abbreviare i tempi scendendo in treno alla sta-zioene di Travedona (vicina alla località Fa-raona) sulla linea Gallarate-Laveno. Da Som-ma Lombardo frequenti autobus raggiungono Gallarate.

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Cittadini con sangue blu (o meglio, rosso)

Come un coltellino svizzero, anche il concetto di sangue si presta a mil-le usi: metafore, locuzioni e modi di dire onnipresenti. Alcuni solo as-solutamente contraddittori. Penso all’idea di ‘sangue’ come sinonimo di ‘razza’ o addirittura di ‘nobiltà’ (il famoso sangue blu).

Nulla di più lontano dalla realtà. Tut-ti gli essere umani condividono lo stesso tipo di sangue. I gruppi san-guigni non sono compatibili ma nulla impedisce a un eschimese di donare sangue a un indiano o un europeo a un africano.

Il sangue è trasversale, non ha par-tito, non ha razza, non ha religione, non ha geografia. Per tutti il sangue è vita. In molte cose il sangue assomi-glia all’acqua (un altro detto sbagliato è ‘il sangue non è acqua’). Il sangue come l’acqua è vita. È l’ambiente in-terno nel quale ci muoviamo tutti.

Per questo chi dona sangue dona ciò che più può essere donato, che è più intercambiabile. Dona futuro a chi lo riceve, dona qualcosa di es-senzialmente umano perché è pro-prio di tutti gli umani.

Donare sangue è un grande atto di civiltà, è un modo di stare in questo mondo. Il sangue e i suoi derivati possono viaggiare e viaggiano da una parte all’altra del mondo. È que-sta la globalizzazione che mi piace, quella del dono e non del profitto. Di ciò che è essenzialmente, grande-mente, umano e non delle merci.

Donare sangue è un gesto che con una parola antica potremmo definire nobile: generoso, disinteressato. In questo senso chi dona il sangue è nobile ha il sangue blu, proprio per-ché ha ceduto il suo rosso dono.

Mario Rozza

EDITORIALE

ADOnewsFebbraio 2008

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