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Guido Scarabottolo. Storia di un illustratore | Oblique Studio

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Guido Scarabottolo. Storia di un illustratorea cura di Isabella BorgheseEditing e impaginazione: Oblique Studio© Oblique Studio 2008www.oblique.it

Le immagini utilizzate sono piatti di copertina e illustrazioni firmate da GuidoScarabottolo tratti dal sito della casa editrice Guanda (www.guanda.it)e dal periodico on line SocialDesignZine (http://sdz.aiap.it/gallerie/7031#top).

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Guido Scarabottolo, illustratore, gra-fico e stilista di Guanda. Che non mene voglia Guido Scarabottolo perquest’ultima qualificazione forse biz-zarra, ma ho in mente un articolosulla Domenica della Repubblica il cuititolo che riempie gran parte dellapagina recita “I vestiti dei libri”.

Così definire Scarabottolo comelo stilista di Guanda mi sembra ilmodo più pertinente e attuale perintraprendere questo viaggio intornoa chi da ormai diversi anni firma lecopertine della casa editrice. E chesono sue sia quando le illustra perso-nalmente sia quando commissional’immagine a qualche collega.

Il suo approdo a Guanda non è dicerto il classico esempio di lavoroottenuto e costruito grazie a unaconoscenza formatasi negli anni. No.A doverlo definire in base alle noti-zie di cui ho preso nota in questi

giorni scriverei che ha più il sapore di“un amore nato a prima vista”.

Quando infatti Luigi Brioschi,presidente della casa editrice Guanda,si trova presso lo studio di Pier LuigiCerri rimane incantato da un piccolocatalogo che si trova sul tavolo e sulquel catalogo c’è proprio la firma diGuido Scarabottolo.

Questo è il periodo del noto esor-dio narrativo di Ogni cosa è illuminatadi Jonathan Safran Foer e così Scara-bottolo su richiesta di Luigi Brioschiviene chiamato per illustrarne lacopertina, quella che rappresenta laterra madre, spiega l’illustratore, laterra delle origini.

E da allora e nel corso degli anni avenire si è creato un vero e propriosodalizio tra l’illustratore e Guanda. Diquei sodalizi che richiamano alla mentequelli dell’Einaudi con Bruno Munari,e di quei connubi che non solo risuona-

no rilevanti e trovano il consenso ditutti i creativi, ma come sostieneLecaldano nello stesso articolo diRepubblica citato all’inizio, “riesconoa dare riconoscibilità, visibilità e coe-renza all’immagine della casa editri-ce”. Come poi puntualizza e confer-ma pure Dario Olivero: “Oggi l’artedi Guido è inscindibile dai libriGuanda”.

Il primo obiettivo di questo lavo-ro è presentare Guido Scarabottoloprescindendo da quelle che sonoperò le sue generalità, e mi sembrainteressante farlo attraverso il primodocumento che qualche giorno fa misono ritrovata a leggere.

Ed è un articolo dell’Aou Journaldi aprile-maggio 2005 intitolato“Elogio della pigrizia”, un piccolosaggio firmato Scarabottolo in cui èl’illustratore stesso in qualchemodo a dire di sé.

Lo stile diScarabottolo:radici e tecnica

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Elogiodella pigrizia

Caro Christopher,qui in Italia succede che se qualcuno mi chiede che mestiere faccio e io distrattamente rispondo “illustratore”, devo poi correggermi imme-diatamente e dire, che so, “grafico” per cancellare dalla faccia del mio interlocutore un’espressione attonita e smarrita. Abituato come sonoalla assoluta ignoranza dei miei connazionali, non devi meravigliarti se, trovando il mio indirizzo tra quelli di alcuni WTI (World’s TopIllustrators), mi viene da chiederti: “Non è che la tua mail è uno scherzo?”. Infatti la cosa è misteriosa (come diavolo sarò finito tra i WTI?).Tuttavia risulta lusinghiera, così ho deciso di risponderti in ogni caso. Il mio segreto è che non so disegnare e sono pigro. Si tratta di unamiscela esplosiva di qualità che va trattata con una certa cautela ma che può garantire risultati accettabili. Prova a pensarci.

Un Pigro cercherà tutti i modi per realizzare qualcosa senza passare per la formazione canonica: un sistema semplice per avere la proba-bilità di scoprire qualche nuova tecnica. La stessa persona è troppo pigra per cercare a lungo qualcosa da copiare: si affrancherà prima dalla“tirannide” dei modelli. Non avendo talento naturale per il disegno, il Nostro si guarderà bene dall’applicarsi con costanza ad un apprendimentofaticoso evitando così i rischi di uno stucchevole virtuosismo. Al contrario cercherà di produrre illustrazioni con il minimo numero di segni,costringendosi in tal modo alla riposante disciplina della sintesi. Inoltre il dispendio energetico richiesto dissuaderà ben presto il Pigro dalfutile proposito di seguire le mode. Naturalmente, non potendo contare sul talento e su strabilianti mezzi tecnici, sarà costretto ad inventarsiqualcosa perché i suoi disegni possano piacere a qualcuno.

Per fortuna, essendo un illustratore pigro, non sarà ossessionato dalla necessità di disegnare continuamente, anzi cercherà di evitarlo intutti i modi, ad esempio leggendo moltissimo, costruendo mobili, andando al cinema, a teatro, ai concerti, riparando la bicicletta, visitandomusei e gallerie d’arte, frugando nel frigorifero, viaggiando, passeggiando in città o nei boschi, facendo la coda alla posta… e tutto ciòcontribuirà (anche se a sua insaputa) alla formazione di una cultura variegata, se non profonda, aiutandolo non poco a risolvere i problemiconnessi all’immaginazione di immagini. Non starò qui a parlare poi del risparmio energetico connesso all’uso del computer, ma lasciatemispendere una parola per ricordare quali interessanti risultati possono essere raggiunti e quante fatiche scongiurate affidandosi ad un buonagente. Finisco qui per non dover pensare troppo a lungo, ma sono certo che con un minimo impegno potrei trovare altri buoni argomenti asostegno della pigrizia. (Una delle ragioni per cui disegno è che per disegnare non occorre conoscere le lingue: mille grazie al traduttore).

Questo è tutto (più o meno).Spero che il mio non più segreto possa essere di utilità a qualcuno oltre che a te.Cordiali saluti,Guido

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Un Pigro, come scrive Scarabottolo,cercherà dunque tutti i modi per rea-lizzare qualcosa senza passare per laformazione canonica: un sistemasemplice per avere la probabilità discoprire qualche nuova tecnica.

Un Pigro, questo Pigro come sidefinisce Scarabottolo, è oggi uno diquei pigri che “per lavare i piatti sicostruisce la lavastoviglie” e soprat-tutto uno dei grafici più affermatidella grafica contemporanea. Ed èproprio sulla sua tecnica che questaricerca vuole vertere e a cui vuolededicarsi con generosità.

Quando mi riferisco alla tecnica,in queste pagine, mi rivolgo a uncampo decisamente più vasto cheintende fare prima una panoramica epoi una disamina del lavoro di que-st’illustratore e con tutto quello chegli ruota intorno e lo attraversa.

Ho letto che Scarabottolo lavorain un tavolo su cui c’è spazio perpochissime cianfrusaglie.

A dire il vero quest’immagine“povera” sembrerebbe voler ripro-durre quella delle sue illustrazionisu Alias. Lì dove le immagini diven-tano scarne, ma solo perché tendo-no a svuotarsi dell’inutile. E soprat-tutto lì dove l’illustratore sceglie dievitare l’immagine piatta e descritti-va teso piuttosto a soffermarsi suidettagli, i margini, i risvolti, dunqueogni cosa risulti meno percettibilenell’immediato.

Così Scarabottolo per l’essenzia-le quantità di oggetti che inseriscein ciascun lavoro fa uso di pochistrumenti: schermo, tastiera, unatavoletta e una penna elettroniche.

Una postazione di lavoro circon-data da un laboratorio dove l’équipe

comprende una ventina di personequalificate e specializzate che rico-prono ruoli differenti (architetti,grafici, disegnatori di fumetti…). Eproprio perché tra queste persone cene sono diverse che si porta dietrodagli anni della sua formazione,Scarabattolo vive un’esistenza in cuivita professionale e personale risul-tano strettamente legate. Una vita incui il passato rimane forse un ricor-do o un riferimento essenziale ma dicerto un punto di partenza. Bastiricordare che Scarabottolo quandocomincia a disegnare è un bambinoche osserva gli artigiani, loro checreavano progetti ad hoc lavorandoalla perfezione.

Oggi Scarabattolo lavora in digita-le. Lui stesso spiega di disegnare deipezzi che poi monta insieme. Hasuperato i tempi in cui faceva collage,

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disegni su carta, fotocopiava, colorava, quasi a sembrareuna sorta di computer naturale.

Ma certo è che Scarabottolo nella sua attività di illu-stratore fa un utilizzo poco canonico dell’elettronica, pri-vilegiando quello artigianale che invece usa “i resti, i fos-sili dell’attività con la matita”.

Infatti è attraverso il taglia e cuci elettronico che oggi ilpensiero può essere concretizzato tramite frammenti.

“Spesso”, rivela Scarabottolo, “non sapendo comerisolvere un tema comincio col disegnare luoghi o stru-menti del mio lavoro, il tavolo”. Una sorta di ritorno allefondamenta, all’origine, all’ordine, però mai arido e stra-vagante sempre. Lui che si definisce un illustratore pigrolavora molto con i sensi e l’arte lasciando che letture, visi-te a musei, gallerie d’arte, viaggi possano contribuire inci-

sivamente alla sua formazione culturale, dove poi ritro-va le energie e le ispirazioni per i suoi lavori.

E dopo l’ispirazione c’è dunque il disegno.A tal proposito possiamo approfondire come nasco-

no i suoi lavori attraverso le stesse parole dell’illustratore.“Il disegno”, ci spiega, “è fatto per una metà dall’au-

tore e per l’altra metà da chi lo guarda. Ho semprelavorato per giornali e riviste e quindi sento la necessi-tà che il disegno esprima una frase, una narrazione,un’opinione. Proprio per questo ho sviluppato una tec-nica che è simile alla scrittura. Disegno separatamentegli elementi di un’illustrazione e poi li ricompongo alcomputer. In questo modo aggiungo un elemento difastidio, di disagio, perché le diverse parti non sonostate costruite insieme per essere usate in una vista

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prospettica precisa”. Per quanto riguarda l’ombra puntua-lizza subito:“Non lo so, ci sono cose nelle mie illustrazio-ni che non capisco, le idee mi vengono spesso nel dormi-veglia della mattina. Comunque il mio è un disegno sim-bolico, da segnaletica stradale”.

Disegni che hanno la caratteristica della “risonanza”.La loro semplicità e insieme la loro densità li rende pic-coli imbuti dell’esistenza.

Raramente Scarabottolo è autoanalitico, il suo intimi-smo dipinge il percorso psicologico nei suoi bizzarriaccostamenti, fotografa lo hic et hunc di una sensazioneprofonda, senza volerlo sezionare: “Non è necessariospiegare tutto”, asserisce, “e neanche spiegarselo”.

“Preferisce creare immagini che ‘occupano uno spaziocon discrezione’”, mi rivela Giovanna Durì, “ma che sioffrono con grande generosità”. E così se si vuole inter-pretare i suoi disegni non si ha mai un giudizio univoco.Ciascun osservatore avrà piuttosto la possibilità e il donodi trovarsi di fronte a queste immagini che hanno dun-que la peculiarità di poter essere dotate di “apertura” per-mettendo a ciascuno la propria interpretazione.

Molti dei suoi disegni (alcuni senza titolo) si ritrova-no riuniti in un libro, Note (2006). Una specie di raccon-to parallelo per figure che si “dipana di copertina incopertina” e che ogni lettore “è invitato a seguire”. A fareda corredo, un catalogo edito da Guanda, curato con lacomplicità di Giovanna Zoboli e inusualmente costella-to di grandi spazi bianchi “a uso di chi li volesse utilizza-re”. Perché si augura Scarabottolo “mi piacerebbe moltose qualche copia di questo quaderno, un giorno, mi ritor-nasse tra le mani con le pagine tutte piene”.

Quello di Scarabottolo è un “segno elaborato, divertito,ricco di citazioni con cui sono entrato subito in sintonia”,spiega il patron della Guanda Luigi Brioschi, “un segnofatto di ironia e divertimento, dove il gioco delle sfuma-ture permette di lasciare, comunque, sempre spazio allafantasia del narratore, del personaggio, del lettore”. Eproprio questo dialogo “fantasioso ma allo stesso tempodistaccato” si ritrova nelle parole di Maurizio Cucchi:“Scarabottolo sembra darsi davvero molto da fare conpazienza, discrezione ed eleganza per mettere insiemecome si deve la sua bella partitura. Un uomo in ascolto,dunque, che si lascia attraversare da tutti i rumori delmondo e che poi quei rumori li disegna”.

Dunque Note è un block-notes in cui si alternanodisegni che i lettori hanno appena imparato a conoscere,perché già diventati copertine; e altri che invece apprez-zeranno in futuro, perché destinati a diventare il volto diun libro, o forse no. Una raccolta che evidenzia l’indiscu-tibile estro artistico di Scarabottolo, la sua sconfinatafantasia, che lascia spazio, però, alle “note” di chi vorràsfogliare questo catalogo.

Scarabottolo negli anni ha dato voce e colore anchealla sua idea di “censura” attraverso l’arte del disegno.

Lui ha disegnato su un grande foglio due donne: unacompletamente coperta, di cui rimane solo uno spiragliovisibile di corpo in corrispondenza degli occhi, l’altranuda ma con una striscia sugli occhi che le impedisce divedere e di guardare. Per esplicitare fisicamente la sensa-zione di buio prodotta dalla censura dello sguardo, lostesso Scarabottolo si copre la vista con una striscia neradi cartoncino rettangolare, fermato sul viso come fosseroocchiali. Le proposte di lavoro si sommano, Scarabottoloci racconta del nero che per anni gli è stato impedito diusare. Cos’è dunque e come opera la censura?

Perdersi nel labirinto del reale, afferma l’illustratore,è un modo di indirizzare la produzione delle immagini.E la censura parte da questo perdersi perché in fondonon opera apertamente, ma in maniera subdola, tramitecondizionamenti che possono addirittura essere auto-condizionamenti.

Parlare di censura a livello creativo è difficile, c’èquasi un blocco che interrompe la comunicazione. Undisegno che ha tema un atto censorio è possibile, è untema di illustrazione come un altro, più difficile peròcapire quando e in che modo la censura diventa preva-ricazione e limitazione dell’espressione. E soprattutto èdifficile capire quanto queste limitazioni avvengano amonte del processo creativo (censura preventiva o auto-censura) e non siano frutto di un successivo e finaleintervento censorio.

Ma Scarabottolo, che è un uomo che si lascia attraver-sare da tutti i rumori del mondo, non è solo quello dioggi. Piuttosto un illustratore e un grafico che a guarda-re il passato ha il suo corollario di riferimenti o “il suoalbero genealogico” come scrive Bruno Quaranta.

Ed è Saul Steinberg. E con le lacrime agli occhiScarabottolo ha infatti firmato la copertina del numerospeciale di Abitare.

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“Per Abitare”, spiega l’illustratore,“avevo pensato di dedicare ogni dise-gno a un autore a cui sento di doverequalcosa. Dopo Steinberg è stata lavolta di Copi”.

Così Bruno Quaranta, che non èriuscito a far parlare la memoria diScarabottolo ha ricordato unLèvine mille volte frullato e a segui-re un Giacometti. Come lui Scara-bottolo nell’arte primitiva riconosceinfatti una sicura ascendenza. Leparole di Giacometti diventano cosìun valore aggiuntivo alla loro affi-nità: “Si pensa che io riduca leteste”, spiegava Giacometti, o cheallunghi le mie figure di proposito.Le riduco o le allungo per rimanerefedele al modello, per cogliere lasomiglianza. La testa è solo unapiccola palla; il corpo non è che unlungo bastone: è sotto questa formache mi appare la figura umana nellospazio!”.

Tra gli altri riferimenti annove-riamo Buster Keaton, la maschera

nuda che inciampa nei detriti di unmondo capovolto, come non sfuggeEmilio Cecchi. E Luigi Ghiri, lunare,ironico, magicamente spaesato, arte-fice e segugio di itinerari.

Una sorta di ritorno alle fonda-menta, all’origine, all’ordine e maiarido, e stravagante sempre. Ma poiScarabottolo è anche come Perec,affine a Perec… Legiferatore, spiegaBruno Quaranta, bizzarro del caos,il caos domato dopo averlo captato,lui girovago che sa l’incanto deldisincanto.

Guido Scarabottolo, se è veroche, ancora montalianamente, ildetto nomen omen: Scarabottolo,scarabocchio, lo scarabocchio che èla macchia, la macchia del colore.Magrittianamente la sua patata èuna patata ma non è una patata, loscaffale è uno scaffale ma non è unoscaffale, l’inchiostro è l’inchiostro manon è l’inchiostro…

La sua forma è il colore, il dise-gno del colore, depositario di un

significato irriducibile all’alfabetoconvenzionale.

Scarabottolo è il nostro inviato,un osservatore del labirintometropolitano, trovarobe e trovaa-nime, nasi, grattacieli, scarpe, tigriblu, sedie, gatti, dinosauri, orsi,donne fumanti, adami, scolarescherovesciate… Affascinato dai nostri“minori”, gli interessa ogni cosacompreso ciò che risulta margina-le. Lui, estimatore dell’art brut,delle scritte spontanee, delle tag,seppur a volte li definisce “noiosis-simi” fa dei suoi disegni delle illu-strazioni che si presentano a noicon una forza gentile.

Come se Scarabottolo facessedei suoi disegni un regalo per chi liosserva.

Tra i numerosi progetti professio-nali realizzati da Scarabottolo cene sono diversi che lo legano tantoalla narrativa quanto a GiovannaZoboli.

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Guido Scarabottolo è uno scansafatiche. Nelle sue immagini non c’è traccia della dif-ficoltà del disegnare e le idee che le generano non sono mai muscolari, non sgomi-tano per sembrare geniali. Non stupiscono, affascinano. Dà spazio allo schizzo senzaraffinarlo troppo, ne conserva le incertezze, lavora di sottrazione, non si sporca lemani, mantiene il distacco. Se c’è fatica non si vede. Ha inventato un meticciato tramatita e computer che prima di lui sembravano come acqua e olio, destinati a rima-nere separati. Disegna con il tratto e colora ad aree, usa tinte piatte andando fuoridai contorni delle figure che sembrano ritagliate e incollate, cerca la bidimensionali-tà, la accentua con l’assonometria in luogo della prospettiva. Scarabottolo riesce adessere leggero anche quando disegna un cadavere. Ha distillato una raffinata neutra-lità, un passe-partout che gli consente di lavorare in editoria, pubblicità, televisione.Le sue sono immagini di storie in corso, con un misterioso prima e uno sviluppo aper-to, come quando si va in metrò e si guardano facce immaginando esistenze. Una vitale mette insieme tutte grazie a Giovanna Zoboli, che ha pescato dall’archivio elettro-nico e immateriale di Scarabattolo centoquaranta disegni, li ha sottratti al contestooriginario e li ha cuciti uno ad uno con le parole di un romanzo plausibile, uno deitanti possibili smontando e rimontando infinitamente la sequenza. Un’architetturaarbitraria di stanze private ma comunicanti, progettate con l’abbandono di chi nondeve spiegare tutto. Ogni pagina produce un leggero attrito con la successiva, unavertigine appena percettibile, vuoti di senso che innescano l’immaginazione. È comeattraversare un enorme mercato rionale senza audio.

Vertigini di ScarabottoloDomenico Rosa, Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2005

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lito comincio da un tavolo

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Dopo aver illustrato tante copertineper Guanda, con Una vita ti sei indi-rettamente cimentato nel romanzo: seitentato dalla narrativa o è la narrativache ti fa il filo?Ogni disegno che faccio ha un con-tenuto narrativo (non solo narrativo,ma questa è un’altra questione). Èuna cosa normale, credo, per delleillustrazioni, è quello che ci si aspet-ta. Quello che normalmente non cisi aspetta è che il contenuto non siaunivoco. Per anni mi sono sentitochiedere disegni immediati (aderen-ti al testo, semplici, precisi e com-prensibili al primo sguardo). Daanni cerco di costruirmi la possibili-tà di lavorare (pagato) nella direzio-ne di un contenuto ambiguo, com-plesso, plurivoco. Non puoi immagi-nare come mi diverta ascoltare inter-pretazioni dei miei disegni, per cosìdire non autorizzate, divergenti dalsenso che intendevo attribuire loro!Comunque, ciò che importa è che imiei disegni richiedono una lettura,così, più che esserne tentato, la nar-rativa a me sembra di averla, a modomio, sempre fatta. D’altra parte, per

me il disegno è un po’ come scrivere:uso simboli per costruire frasi, rac-conti. Immagino il disegno come lascrittura prima dell’invenzione dellascrittura.

Giovanna Zoboli ha aggiunto le paro-le ai tuoi disegni per farne un roman-zo, ma lo aveva già fatto nella serie deiLibri a naso. Mi racconti qualcosa divoi?Ho sempre lavorato con altre perso-ne fin dai tempi dell’università.Ciascuno deve avere competenza epassione, lavorare in profondità esaper riconoscere il contributo deglialtri, ma mettendo questo come pre-supposto, sono convinto che il lavo-ro collettivo esalti la qualità dei sin-goli, oltre a essere uno straordinarioacceleratore dei processi creativi.Con Giovanna ci vediamo poco, maregolarmente, da diversi anni: qual-che cena, qualche week-end, qualchevacanza insieme. Il primo Libro anaso è nato così, dalla curiosità reci-proca di far incontrare il suo lavoro eil mio. Con questa esperienza allespalle è stato naturale pensare a

Intervista di Davide Calì 22 settembre 2005

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Giovanna, quando Guanda mi hachiesto una graphic novel. Mi piacelavorare con Giovanna, è propriobrava, usa la lingua con precisione,da poeta qual è, ma soprattutto èmolto diversa da me e la sua lettura(che quasi sempre mi sorprende)arricchisce molto il mio lavoro.

Sempre parlando dei Libri a naso mihai accennato al copyleft: mi spieghimeglio come funziona?I Libri a naso sono una collana, nonuna casa editrice. Chi volesse fare unlibro a naso può farselo da sé, ecco ilsenso del copyleft: uno fa il librocome vuole, poi ci mette il marchioche deve contenere i due elementi,naso più penna disegnati comevuole, e il logo scritto con il carattereche gli piace di più. Lo stampa e loregala agli amici.

Con Giovanna hai fatto anche un libroper bambini. Come ti sei trovato a illu-strare un album per i piccoli? Ne faraialtri?Fare un libro a partire dal testo, cosanormalissima per qualsiasi illustra-tore, richiede un approccio al dise-gno molto diverso da quello cui sonoabituato. Tanto per farmi capire: ècome se da fotografo dovessi diven-tare regista cinematografico. Non sitratta di un passaggio così automati-co. Tuttavia, dopo che Giovannaaveva scritto tanti libri a partire daimiei disegni, non ho potuto più esi-mermi dall’illustrare un libro scrittoda lei. Non è stato così difficile,anche perché il testo mi piaceva (epiace) moltissimo. E non mi pongo ilproblema di disegnare in un modospeciale per i piccoli. Ma prima di

farne altri penso che farò un po’ diresistenza passiva.

Cosa fai quando non disegni? Per vivere faccio il grafico, disegnareè una passione poco redditizia. Neltempo libero leggo. Nessuna di que-ste tre cose mi sembra un lavoro.

Cos’altro ti piacerebbe fare? Da quandoti conosco ho la sensazione che tu abbiavoglia di fare qualcosa di diverso dacopertine e illustrazioni. È così?Non ho niente contro l’ozio. Quandoho molte cose da fare vorrei poteroziare un po’. Quando non faccionulla, mi vengono in mente cose dafare. Purtroppo, ultimamente, hosempre molte cose da fare, quindi lacosa che mi piacerebbe è oziare.

In una tua nota biografica ti definivipigro. Allora lo sei davvero?Sono quel tipo di pigro che sicostruisce la lavastoviglie per nonlavare i piatti.

Come vedi in generale la situazionedell’editoria italiana?Non so rispondere. Non leggo le sta-tistiche e non posso fare considera-zioni che contengano termini quan-titativi. Libri di qualità nel corso deisecoli ne sono stati fatti a bizzeffe eforse basterebbero quelli. Lo stessodiscorso vale per i libri illustrati. Cisi può lamentare dello stato dell’edi-toria e non essere in torto, ma ilpanorama produttivo mi pare moltoarticolato. Gli editori giganteschidevono fare i numeri, ma mi sembrache ci sia anche una produzione diqualità. C’è possibilità di fare tutto eviene fatto di tutto. Anche l’informa-

zione mi sembra molto articolata.Di chi è la colpa se un grandepoeta vende solo 800 copie? Nonci si può limitare a parlare di edi-toria o distribuzione.

Questo è un argomento che mi sta acuore: cosa vedi nel futuro dell’edito-ria e, più in generale della cultura, inItalia? Le cose miglioreranno? Per principio non mi aspettonulla. Abbiamo l’editoria, la cultu-ra, i politici e i padroni che ci meri-tiamo. Cambiare non mi sembrafacile, ma spero ancora che non siaimpossibile.

E tu, che progetti hai per il futuro? Non ho progetti a lunga scadenza.Per ora le occasioni di lavoro cheho sono abbastanza interessanti,ma non posso controllarne gli svi-luppi. Posso continuare a produr-re più o meno allo stesso livello diqualità e di quantità, ma nonposso imporre a nessuno di pub-blicarmi.

Hai un’idea nel cassetto, qualcosache ti piacerebbe fare e non hai anco-ra avuto modo di sviluppare?Vorrei costruirmi una casa dilegno con le mie mani. Non potròmai farlo, ma ogni tanto ci penso.

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Da alcuni anni, insieme a GuidoScarabottolo produco una collana dilibretti non commerciali che si chia-ma “Libri a naso”. Si tratta di piccolepubblicazioni che, in chiusura di unanno di rapporti e scambi professio-nali, regaliamo ai nostri amici e clien-ti. Dico “clienti” perché sia il mio stu-dio di comunicazione aziendale sia lostudio di Scarabottolo, che è sia gra-fico sia illustratore, prevede, fortuna-tamente, la presenza di una clientela.

I Libri a naso sono nati quandocon Scarabottolo ci siamo accortiche il risultato dell’interazione fra lesue tavole e le mie didascalie eraqualcosa che non ci aspettavamo.

Non so dire esattamente in cosaconsistesse, all’inizio, la nostra sor-presa. Penso che principalmente lasensazione fosse che le due coseunite dessero luogo a una terza cosache non aveva niente a che fare conle prime due.

La circostanza che ci permise diaccorgerci di questo, fu un lavorocommissionato dalla rivista Abitare.

Ogni anno la rivista pubblicavaalcuni inserti pubblicitari in cui allefotografie di alcuni elettrodomestici

da incasso Rex si accompagnavanole immagini di alcuni illustratori,liberamente ispirate ai temi del fred-do, dell’acqua, del fuoco eccetera.

Nel 1997 Italo Lupi, direttoredella rivista, affidò gli inserti aScarabottolo. Gli disse anche che glisarebbe piaciuto accompagnare letavole a dei brevi testi. Per questaragione Scarabottolo, che conoscevomolto bene per ragioni non profes-sionali, si rivolse a me.

Guido mi passava le tavole cheaveva realizzato e io scrivevo deimicro racconti, due o tre righe intutto, ispirandomi alle situazioni oalle figure – animali, persone, ogget-ti – rappresentate. Questo modo diprocedere – prima le tavole, poi itesti – ha stabilito un metodo dilavoro che in seguito non abbiamopiù abbandonato, fatta eccezione perun libro illustrato per ragazzi, Dinotte sulla strada di casa, per il qualeci siamo attenuti alla prassi canonica,cioè prima i testi, poi le illustrazioni.

Quello per Abitare fu un lavoromolto divertente, che lasciò tuttiabbastanza sorpresi, perché vera-mente quei minimali raccontini per

Giovanna ZoboliStoria di alcuni libri e di una collaborazione

immagini sembravano portaremolto oltre un forno o un frigo.

A dire la verità, già molti anniprima Scarabottolo mi aveva chie-sto di scrivere dei testi: stava alle-stendo una mostra a Milano doveesponeva delle tavole con caffettiere,a quei tempi oggetti molto presentinella sua immaginazione, e volevaun testo sul tema in questione daaccompagnare alle immagini. Ioscrissi delle cose, ma fu subito evi-dente che non funzionavano. D’al-tra parte avevo lavorato senza vede-re le tavole, ma solo pensando gene-ricamente a situazioni domestichecon caffettiere napoletane sullosfondo. Con il senno di poi, mirendo conto che, in questo tipo dicollaborazioni, scrivere senza vede-re è come battere su una tastiera aocchi bendati. Una riflessione cheall’epoca non feci, forse anche per-ché avevo poco più di vent’anni e laconsapevolezza di quello che facevo,scrivendo, era decisamente scarsa.

I Libri a naso escono dal 1998.Il primo si intitola Storie dell’annoscorso. Si tratta di una serie di illu-strazioni di Guido associate a brevio brevissimi racconti scritti da mesulla base delle illustrazioni.

Non ricordo esattamente comearrivammo all’idea di questo volu-metto, nel senso che non fu imme-diato passare dall’esperienza fattacon Rex all’idea di un libro.

Per ragioni di lavoro e di amiciziami trovo spessissimo a passare nellostudio di Scarabottolo. Questa fre-quentazione assidua ha creato unalunga consuetudine con le immaginiche Guido crea, con la loro genesi, illoro sviluppo. Avere spesso queidisegni sotto gli occhi, ha significato

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per me poter riflettere con facilità sualcuni problemi che le immagini pon-gono. Poter mettere a fuoco con esat-tezza il punto di intersezione fraparola e visione. E più semplicemen-te, familiarizzare, entrare in relazionecon l’immaginario di un illustratore.

Nel caso del primo Libro anaso, credo sia nato dall’essermiportata a casa un fascio di illustra-zioni di Guido – quelle che più misembravano sollecitare la parola –senza dare troppe spiegazioni esenza sentirmi fare troppe doman-de. Una delle caratteristiche delrapporto “creativo” fra me eScarabottolo è che, da sempre, par-liamo pochissimo di quello che fac-ciamo, praticamente non ne parlia-mo affatto. Non progettiamo insie-me, non ci consultiamo né prima népoi e non interveniamo su quelloche fa l’uno o l’altro, se non in misu-ra minima. In questo giocano sicu-ramente due caratteristiche comu-ni: una decisa attitudine a creareper sintesi – un’immaginazione,cioè, che lavora preferibilmente ineconomia di mezzi espressivi – euna abitudine a risolvere il lavororapidamente, con il minimo spargi-mento di tempo e parole. Posso dire,fra l’altro, che Scarabottolo è l’unicoillustratore con cui praticamentenon parlo, perché, al contrario, conla maggior parte degli illustratoricon cui lavoro e ho lavorato c’è unoscambio intenso di idee e pensieri.

I racconti del primo Libro a nasoprendevano spunto da alcune situa-zioni paradossali illustrate daScarabottolo, tipo un signore con unnaso finto seduto in una salad’aspetto vuota o un grattacieloseduto. Queste illustrazioni non

erano state create, come al contrarioera accaduto per Abitare, per l’occa-sione specifica. Si trattava di tavolerealizzate per diversi committenti escopi, in tempi differenti e senzaalcun legame l’una con l’altra.Quindi, da un certo punto di vista,

si può parlare di un’operazione direcupero, di riciclo, da parte nostra:un’immagine commerciale già uti-lizzata rientra in circolo attraversoun’elaborazione verbale non previstadalla sua funzione originale.

Con il tempo, grazie alla cono-scenza sempre più approfonditadell’archivio di immagini di Scara-bottolo – che lavora solo su compu-ter, senza praticamente mai produr-re originali – ho cominciato a indi-viduare nella sua produzione la pre-senza di un personaggio. Si trattavadi uomo privo di tratti riconoscibili

e costanti: si potrebbe definire unafigura anonima, caratterizzataproprio dalla sua genericità emutevolezza. Questo tipo sembra-va starsene sempre spaesato e adisagio nelle campiture di colorein cui Scarabottolo lo precipitava,o nelle città in cui si aggirava, onegli appartamenti in cui – scia-guratamente, si sarebbe detto – sitrovava a passare o ad abitare, cir-condato di oggetti su cui evidente-mente non sarebbe mai riuscito néad affermare diritti di proprietà néa identificarsi, instaurando gratifi-canti vincoli affettivi.

Questo tipo non era ancorato aniente, non possedeva un nome, emi pareva in balia della cronaca,personale e collettiva. Entrava eusciva da posti che non avevanocontorni definiti, faceva cose il cuisenso sembrava sfuggire prima ditutto a lui stesso e davanti ai pro-pri simili era decisamente paraliz-zato da un gelo artico.

Mi sono resa conto che moltedelle immagini disegnate da Guidoper diverse ragioni e destinazioni,raccontavano di questo personaggiosenza identità, la cui storia si dipa-nava incostantemente e accidental-mente, subordinata agli umori deicommittenti di Scarabottolo e diScarabottolo medesimo. Mi sem-brava molto coerente che un tipocosì soggetto alla casualità, allaframmentazione, allo sbando fosseanche tormentato da un biografocosì discontinuo, capriccioso, inco-sciente, vincolato alle vicissitudinimercenarie del mercato – la famosamano del mercato, così razionale edefficiente in alcuni ambiti, in que-sto, puramente biografico, mostrava

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una vena di involontaria comicità,confinante con la tragedia. Questacosa mi ha affascinato molto.

Mettendo insieme le immagini incui quest’uomo compariva, è nataVita e passione di B.T. quadro, unLibro a naso dove in una trentina diillustrazioni si racconta la storia diquesto tizio sfuggente. Le iniziali cheho dato al personaggio corrispondo-no a quelle di una persona reale,conosciuta e frequentata all’epoca,che per molti aspetti mi ricordava lacreatura di Scarabottolo. La diffe-renza con il precedente libro consistenel fatto che qui a ogni immaginenon corrisponde un singolo raccon-to, bensì a un insieme di immagini,create senza vincoli reciproci, si rife-risce un’unica storia.

A ogni immagine a destra corri-sponde una breve frase a sinistra,nella pagina bianca.

Nel successivo Libro a naso,Love. A romantic novel, il modello èrimasto questo, c’è però una imma-gine sia nella pagina di destra sia inquella di sinistra. La mia didascaliaè situata a piede di pagina.

In Love si racconta una vicendaamorosa di due personaggi che nonappaiono mai nelle immagini.L’uomo è sempre B.T., per quantoriguarda le mie intenzioni. Ma que-sta volta è B.T. da dentro. È lui,infatti, che racconta di sé, smateria-lizzandosi nella propria voce, interza persona. Una voce disincarna-ta che si avvale di un linguaggiomodulare, in cui si mescolano celebrimassime filosofiche e diffusi luoghicomuni. Le immagini non illustranola vicenda, bensì la rappresentazionementale che di essa si fanno i perso-naggi. Queste rappresentazioni sono

passate però attraverso il filtro di unocchio estraneo, un occhio superio-re, onnisciente, che dall’alto proiettacon precisione sulla carta la formaenigmatica, imprevedibile e sorpren-dente in cui le cose, i sentimenti, levicende si manifestano nella mentedi chi le vive o le osserva.

Questo è un passaggio molto impor-tante nella comprensione del libro. Lavera forza del racconto sta nello scol-lamento fra la neutralità del linguag-gio – che ha subito un processo dinormalizzazione così da far coincide-re la storia dell’io che racconta conuna sorta di cronaca senza nessi conla realtà, prodotta dal linguaggiomedesimo – e la profonda e comples-sa qualità simbolica delle immagini,legata alla realtà del visibile e del-l’esperienza, nei confronti della quale,tuttavia, il personaggio non disponedi consapevolezza, come si evince

dalla mancata elaborazione verbaledi quello che gli accade.

Il risultato di questa interazioneè una sorta di fumetto del tutto inu-suale, dove la sequenza degli avveni-menti non si dipana attraverso unasequenza di immagini coerenti e dipresenze ricorrenti. Ogni pagina, alcontrario, in questo libro, potrebbestare a sé; al punto da essere passi-bile di lettura autonoma, rispettoalla storia, sebbene spesso fra le dueimmagini di una doppia pagina visiano parallelismi, richiami, analo-gie, ma sempre relativamente a ter-mini formali. Si tratta, in sostanza,di una sequenza di rapide e folgo-ranti immagini mentali: i vincoli fral’una e l’altra sono di tipo analogico,associativo, più che logico, sequen-ziale, come di solito accade neiromanzi e nei fumetti.

In sostanza, il significato diogni pagina non si evince dal testoo dall’immagine, ma risulta unica-mente dal rapporto che le dueinstaurano. La lettura letterale deltesto è del tutto fuorviante rispettoal senso, come lo è la sola visionedell’immagine.

Questo modo di procedere dàluogo a un tipo di lettura inusuale,non sempre facile e immediata. Nondi rado la difficoltà incontrata sugge-risce a chi legge il libro, in mancanzadi altre spiegazioni, che il rapportofra testo e immagine sia gratuito,puramente ludico, arbitrario, che sitratti di un divertimento il cui fonda-mentale senso stia nell’attribuireparole in tutta libertà a disegni natiprivi di testo. Una sorta di diversivoenigmistico, di prova di abilità.Pensare questo significa equivocare:chi scrive, infatti, lavora esattamente

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sul senso di necessità che impone l’im-magine rispetto al suo possibile signi-ficato e alla sua lettura. E la ragioneper cui questi libri funzionano, credo,è che chi legge percepisce il vincolopotente fra parola e immagine, anchese questo vincolo è stabilito secondomodalità del tutto differenti rispetto aquelle utilizzate tradizionalmente perraccontare storie.

L’aspetto inedito dell’insieme,tuttavia, la sorpresa che genera – incerti casi, sconcerto – possonoindurre a scambiare quello che è unvero e proprio racconto per un eser-cizio di stile, una sperimentazione,

un gioco elegante. L’intenzione miae di Scarabottolo, al contrario, èquella di raccontare una storiaattraverso i mezzi che concedeun’idea di scrittura e di illustrazionecome comunicazione e relazionecon il lettore, più che come sponta-nea e liberatoria espressione di sé oraffinato esercizio di tecniche ver-bali e figurative.

Il lavoro fatto negli anni con iLibri a naso, si può dire sia culmina-to con Una vita (romanzo metafisico),pubblicato da Guanda.

Anche in questo caso, si è arriva-ti al libro in modo facile, naturale.

Guido è stato invitato dal CentroVisionario di Udine a pensareun’esposizione monografica disuoi lavori. Riflettendo su comeorganizzare il catalogo della mo-stra, gli è venuto in mente che letavole esposte potevano essere uti-lizzate per costruire un racconto,proprio come era accaduto neiLibri a naso. In questo modo, ilcatalogo avrebbe assunto la formadi una storia illustrata, soluzioneche gli pareva più interessante diuna serie di saggi critici sul pro-prio lavoro. E qui faccio un breveexcursus.

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Da alcuni anni Scarabottolo sioccupa della grafica delle edizioniGuanda. Cura copertine, cataloghi,riviste e tutto quello che la casa edi-trice pubblica. Nella duplice veste digrafico e illustratore, Scarabottoloha svolto per Guanda un lavoromolto importante, riuscendo acostruire intorno al marchio edito-riale un’immagine molto forte e rico-noscibile. Oggi, infatti, i disegni diScarabottolo costituiscono il segnocaratterizzante della produzione diquesta casa editrice. Quando Scara-bottolo ha raccontato al direttoreeditoriale di Guanda, Luigi Brioschi,della mostra di Udine e del modo incui intendeva realizzare il catalogo,intorno a questa ipotesi di libro ènato subito un grande interesse.L’interesse era dovuto anche al fattoche alla Guanda da tempo si stavapensando a una collana di storie illu-strate, o graphic novel, come vengo-no oggi definite. Fra l’altro sul tipo dilibro che sarebbe potuto venire fuorinon era difficile farsi un’idea, data lapresenza dei Libri a naso. È statocosì che, alla fine, un po’ romanzoillustrato, un po’ catalogo di mostra,un po’ Libro a naso evoluto, è natoUna vita.

Una vita (romanzo metafisico) èstato progettato e realizzato nel vol-gere di pochissimi mesi, in base aitempi degli organizzatori dellamostra e della pianificazione edito-riale di Guanda.

Per farlo, abbiamo procedutosecondo la prassi dei Libri a naso. Ladifferenza è consistita principal-mente nel fatto che ho dovuto lavo-rare su un archivio di oltre milleimmagini, dovendone selezionarecentoquarantatre.

Il momento della selezione delleimmagini è centrale, nel processo dicostruzione della storia. È in questafase, infatti, che si mettono a fuoconei disegni gli elementi e i perso-naggi che determinano la trama.Nei Libri a naso la storia iniziava eterminava nel volgere di un numeroristretto di pagine, pertanto dovevoselezionare poche immagini, maipiù di una quarantina. Questorende le cose più facili: il corso deglieventi narrati si controlla con moltafacilità.

Nel caso di Una vita, invece, latrama si dipana per più di centoses-santa pagine: mi si è imposta unatrama di romanzo complessa, artico-lata, con piani temporali e spazialidefiniti. Governare un simile proces-so, continuando a seguire un metododi costruzione della storia comequello che ho descritto prima,costruito attraverso immagini sim-boliche, mentali, si è rivelato moltodifficile, soprattutto in questa fase diselezione.

Alla fine, a forza di guardare eriguardare l’archivio di Scara-bottolo, sono arrivata a memorizza-re così bene le immagini, che hopotuto scrivere la storia senza averematerialmente tutte le tavole sottogli occhi. Ho scritto, cioè, sapendoche per ogni frase ci sarebbe statal’immagine giusta, ma senza far cor-rispondere frase a tavola, comeavevo fatto nelle precedenti espe-rienze. Con un numero di paginecosì cospicuo e in tempi tanto brevi,non avrei potuto fare altrimenti.Per questo “romanzo metafisico” hoscritto due storie. Poi con Guidoabbiamo deciso di usare la seconda,che consentiva di utilizzare solo

immagini già realizzate. Per laprima, invece, alcune frasi avrebbe-ro richiesto tavole disegnate ad hoc,e non c’era il tempo materiale perrealizzarle.

Il personaggio di Una vita,discende in linea diretta da B.T. edal personaggio senza nome diLove, che come ho già detto, puòcoincidere con B.T. Si tratta di unafigura sospesa fra l’al di là e l’al diqua, eternamente imbarazzata siacome fantasma sia come vivente,resa al regno dell’immateriale dallascarsa consistenza della biografia acui appartiene. Una biografia fattadi voci, principalmente, di frasi pro-nunciate da persone vicine e lonta-ne, nel tempo e nello spazio. Voci efrasi del tutto scollate dall’esperien-za del protagonista, che va piuttostoricercata nella forte ed enigmaticaevidenza delle immagini, capaci diregistrarne minuziosamente lostato esistenziale. Un’evidenzaomessa, muta, che non ha presa sullinguaggio, sempre ai margini dellapossibilità di essere verbalizzata, equindi resa cosciente. Al lettore,infatti, ho cercato di affidare unaparte importante: quella di assume-re la parte di coscienza mancantedel protagonista e delle figure che siaggirano spettrali per le pagine dellibro. L’ho fatto esasperando lacomica, schizofrenica distanza fra laviolenta evidenza delle cose, nellarappresentazione che se ne fanno ipersonaggi, e l’astrazione, altrettan-to violenta, del linguaggio che lecommenta, la cui unica funzionesembra essere quella di proteggere eisolare chi parla dalla realtà, falsifi-cando costantemente la verità del-l’esperienza.

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Si inizia da un gran bel romanzo:Ogni cosa è illuminata di JonathanSafran Foer. Chissà: sarà per il titolo,che ha questo immediato riferimentoalla luce, che l’illustratore scelto dal-l’editore Luigi Brioschi (Guanda) perla copertina, Guido Scarabottolo, hauna sola caratteristica che unisce,direi, tutti i suoi disegni: l’uso del-l’ombra. Gettano ombre gli alberi, gliumani, le nuvole, gli oggetti, nei dise-gni di Scarabottolo: piccole, strette,impalpabili, discrete: eppure presen-ti. A sottolineare, forse, l’assolutanecessità non soltanto di ogni ogget-to, ma, anche, del suo rapporto con ilresto del mondo che lo circonda.Ogni cosa è illuminata; ogni cosa haun’ombra. È che da quella fortunata,prima copertina, il legame fraScarabottolo e Guanda diventa in-scindibile, una sorta di marchio difabbrica che rende riconoscibili e ben

identificati l’uno con l’altra. Una pic-cola rivoluzione nella grafica edito-riale italiana di questi ultimi anni. Lecopertine dei libri, soprattutto la nar-rativa, tendono ad andare allegra-mente ciascuna per conto proprio,spesso a dispetto delle stesse specifi-che dell’editore, ogni volta tentandodi azzeccare il giusto rapporto tral’armonia grafica e il contenuto. (Conl’eccezione di Marcos y Marcos che,da tempo, ha affidato le illustrazionia Lorenzo Lanzi e, in parte,Fandango con i colori tra “scoloranti”di Gianluigi Toccafondo). Il lavoro diScarabottolo, che non firma tutte lecopertine (non sarebbe possibile, nésaggio per l’editore…) ma ha proget-tato sì il restyling della casa editrice, èvisibile per tutto novembre in ottocittà, in altrettante librerie Feltrinelli.La mostra non va sottovalutata: l’im-pianto grafico è una delle caratteristi-

che vincenti, ma ancora poco esplora-te, dell’editoria. E anche il trito pro-verbio che i libri non si giudicanodalla copertina, ammette le sue belleeccezioni. Sarebbe opportuno, peresempio, dare retta al saggio diLodovica Braida, “Copertine sovrac-coperte nell’editoria del ’900” (appe-na pubblicato in La Fabbrica del libro,Franco Angeli) per capire comel’aspetto materiale del libro siaimportante e vada valorizzato. AFrancoforte è stato presentato dalraffinatissimo editore tedescoHermann Schmidt un libro che usci-rà a gennaio: U1, vom Schutz-umschlag zum Marketinginstrument.È un capolavoro sulla grafica dellecopertine, del quale gli appassionatisi accorgeranno (come per la mono-grafia di Chip Kidd) ben presto del-l’indispensabilità. Se ne dovrà ancoraparlare.

Sbatti il segno in copertina

Stefano Salis, Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2006

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“In un certo senso Scarabottolo era già guandiano prima di costruire l'immagi-ne della casa editrice, e la Guanda era già scarabottoliana prima di imbattersinel disegnatore milanese”

Luigi Brioschi

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Irving Welsh, lo scrittore scozzesedi Trainspotting, Acid House, Colla ealtri romanzi provocatori e serissimiche ne hanno fatto un autore diculto, parlando giorni fa del suonuovo romanzo, Segreti erotici deigrandi chef ad Alba, dove l’aveva pre-sentato in anteprima per Albalibri,disse che preferiva di gran lunga lacopertina italiana a quella originaleinglese: perché la banana che vicampeggiava era rivolta all’insùanziché all’ingiù. Al di là della bat-tuta, era il giusto tributo a un’intui-zione grafica. La copertina diGuanda, in effetti, legge meglio ilromanzo, lo condensa e lo raccontain una sola, fulminante immaginepop. Non è la prima volta che acca-de, nella casa editrice di LuigiBrioschi: sta anzi diventando abba-stanza abituale che i disegni dellatraduzione italiana di una certaopera vengano, su richiesta deglieditori internazionali, “riesportati”all’estero. Merito della redazione,ma soprattutto di GuidoScarabottolo, il grafico milanese cheda quattro anni, da quando uscìOgni cosa è illuminata di JonathanSafran Foer, progetta tutte le coper-tine e molte le disegna personal-mente. È un caso abbastanza singo-lare di identificazione tra un artistae una casa editrice, di una firma glo-bale che fa rivivere, per certi aspetti,

la memoria di un sodalizio comequello fra Bruno Munari e l’Einaudinegli anni Sessanta. Qui non si trat-ta però solo di una linea grafica, madi una “lettura” del libro.Scarabottolo, nei suoi disegni, rac-conta le storie. È essenzialmente,come scrive lo stesso Brioschi inNote, il volume a lui dedicato appe-na uscito per Guanda, un narratore.Un narratore per immagini, come sivede nel suo libro dell’anno scorsoUna vita, romanzo perfino realisticoma soprattutto graphic novel, fir-mato con Giovanna Zoboli. Ed èanche un narratore che “ha un rap-porto ironico con i suoi personaggi”.È un aspetto assai evidente, che letavole di Note mostrano bene. Bastacominciare dalle prime pagine, dovecampeggia la “storica” copertinad’esordio, con quel paesaggio aforma di seno tagliato in verticale daun’automobile quasi irriconoscibile,allegramente deforme, appena sboz-zata, imperfetta e assurda, e andareavanti fra tensioni surrealistiche,slanci metafisici, divertimenti digesti ed essenzialità da arte povera,poverissima. La cifra diScarabottolo corre veloce, sempremutevole, “nella dimensione dellevare” come scrive MarcoSantagata, per tutto il libro che neripercorre quattro anni di lavoro,oltre a proporre inediti che forse

copertine non diventeranno mai. Leimmagini di Note (pubblicato coninterventi anche di MaurizioCucchi, Guido Conti e GianlucaMorozzi) hanno ora preso la via diotto librerie Feltrinelli in tutta Italia(Bari, Bologna, Genova, Firenze,Milano, Napoli, Parma e Roma),dove sono esposte contemporanea-mente per tutto novembre. Rac-contano una percorso d’artista chesi è incrociato con una linea edito-riale, un lungo dialogo di segni eparole. Scarabottolo intepreta ilibri, ciascuno nella sua individuali-tà, e li realizza graficamente (nontutti, ovviamente: alcune copertinesono opera di suoi collaboratori)aggiungendo loro qualcosa che ènello stesso tempo un titolo e ancheun’indicazione dell’editore. Ne sot-tolinea la singolarità irripetibile e,insieme, l’unità dentro un marchioeditoriale. È un modo nuovo diporsi, che lascia alle spalle le tre for-mule di base cui l’editoria ci ha abi-tuati: l’illustrazione generica, laricerca volta per volta di un’immagi-ne già esistente (fotografie o dipinti)da giustapporre al titolo o la puragabbia grafica come “firma” dell’edi-tore. È anche un modo per discute-re e giocare con il lettore, con il tito-lo e con l’autore stesso. Forse, sonoparole di Santagata, “addirittura percontrastare l’interpretazione”.

GUIDO SCARABOTTOLO, IL RE DELLE COPERTINE

COSÌ L’ARTISTA DISEGNA I LIBRIMario Baudino, La Stampa, 13 novembre 2006

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Scarabottolo di nome fa Guido e disoprannome Bau. Ai tempi dellemedie lo battezzarono così perchéparlava a bassa voce, cosa che fa tut-tora, sicché ogni tanto gli arrivanoancora oggi lettere intestate al“Dottor Bau”. Scarabottolo si è lau-reato in architettura al Politecnicodi Milano, ma di professione fa l’il-lustratore. Una mostra organizzatain contemporanea in otto librerieFeltrinelli sparse per l’Italia (aMilano nel negozio di PiazzaPiemonte), intitolata “Note” e visibi-le fino a domani, colleziona trenta-due opere di Scarabottolo. Ci sonole copertine dei libri Guanda, comela prima realizzata nel 2002 perl’esordio di Jonathan Safran Foer,

“Ogni cosa è illuminata”, e poi imma-gini per campagne pubblicitarie, dise-gni pubblicati su riviste e inediti.

A scorrere i lavori di Scarabottolosi ha la sensazione di leggere un rac-conto e ti domandi da dove nascano lefrasi, quali combinazioni di oggetti,figure e colori producano i dialoghi e isilenzi. Qui un giardiniere che colrastrello traccia un pentagramma alfondo di uno spartito: forse l’allusioneal canto e alla musica come arte per lacoltivazione di sé? Lì una scrivaniaabbandonata, solcata da un mini-aero-plano che traversa l’allineamento pla-netario di terra e luna in direzione diuna testa di dinosauro: un viaggio aritroso verso l’antico mistero? E poi treuomini e tre donne, le teste sprofonda-

te negli abiti: la goffaggine di esseriun tempo umani, schiavi di unaforma, di un’immagine? Mah, lochiediamo a lui. Fino a che puntointerpretare è lecito? “Non c’è limite”risponde Scarabottolo. “Il disegno èfatto a metà dall’autore e da chi loguarda. Ho sempre lavorato pergiornali e riviste, e quindi sento lanecessità che il disegno esprima unafrase, una narrazione, un’opinione.Per questo ho sviluppato una tecni-ca che è simile alla scrittura”.

E fin dal primo sguardo i disegnidi Scarabottolo appaiono ricchi dirimandi, incanti, poeticamentesospesi su innumerevoli possibilitànarrative. C’è sempre qualcosa chenon ti lascia tranquillo, ogni oggetto

Daniele Belloni, il Giornale, 29 novembre 2006

Le copertine di Scarabottolo,un’ombra che narra una storia

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spande un’ombra, poi ti accorgi cheil disegno prosegue oltre la cornice,la aggira, e c’è un segno che spuntadall’altra parte, magari un frammen-to d’ombra.“Disegno separatamentegli elementi di un’illustrazione e poili ricompongo al computer. In que-sto modo aggiungo un elemento difastidio, di disagio, perché le diverseparti non sono state costruite insie-me per essere usate in una vista pro-spettica precisa”. E l’ombra? “Non loso, ci sono cose nelle mie illustrazio-ni che non capisco, le idee mi vengo-no spesso nel dormiveglia della mat-tina. Comunque il mio è un disegnosimbolico, da segnaletica stradale”.

Lui che si definisce pigro e vor-rebbe costruirsi una casa di legno

con le sue mani, lui che è indeciso suquale sia il settore artistico in cui dà ilmeglio di sé (“Boh? Forse la lettura?”),adesso è capace di disegnare, ideare ocommissionare ad altri, una media didieci-quindici copertine ogni ventigiorni. All’inizio riusciva a leggere ilibri, poi non è più stato così: “Ma èmeglio non sapere tante cose del testosu cui si lavora. Un libro è una minie-ra di contenuti, informazioni, stimoli.Rischia di essere troppo. La copertinadeve incuriosire, non svelare troppo eal tempo stesso attirare il lettore” E ilrapporto con gli autori? “In genere agliautori piacciono moltissimo tutte lecopertine, tranne le loro. Qualcunoprova a intervenire, soprattutto se hapotere, ma io penso che il massimo

della qualità coincide con il massi-mo della libertà”. E se potesse lavo-rare con un grande scrittore del pas-sato? “Kafka, ma non so se avrei ilcoraggio di rivolgergli la parola”.

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A proposito di grafica editoriale,Guido, darei spazio all’articolo di laRepubblica del 17 giugno 2007, “Ivestiti dei libri”. Ti propongo un paiodi osservazioni e critiche estratte dal-l’articolo, lì dove tu non compariovviamente, e lascio di volta in volta ate la parola.Le copertine dei libri che spiccanonegli scaffali delle librerie seguonola regola aurea dettata da EnzoMari, maestro di design e inventoredi copertine storiche (BollatiBoringhieri gli dedica una mostra inquesti giorni a Milano): nella coper-tina le informazioni essenziali sono:autore, titolo, editore. Gli fa eco dal-l’altra parte del mondo YasuyoIguchi, art director alla Mit Press diBoston:“Una bella copertina è sem-plice e non trendy. Non deve avereorpelli estranei. I primi libri che hocomprato coi miei soldi erano tuttidei tascabili Bur, quelli con lacopertina grigia. Li compravo per ilcontenuto, come continuo a fare.Quindi non ho niente contro lecopertine austere, anzi, forse da unacopertina austera si prendono meno

fregature. Sono anche convinto cheun libro è una materia talmente com-plessa che è impossibile restituirla conun disegno (anche con un film, delresto). Il problema è che io faccio l’il-lustratore e mi piacciono i libri.

Michele Serra chiude l’articolo così:“Venendo a sapere che le nuova tenden-za della grafica libraria sarebbe unosciocchissimo ritorno all’austerità, almonocromo, allo sguarnito, mi auguroche non si esageri. Il libro, dai tempi dellarilegatura obbligatoria delle bibliotechedei nostri nonni, si è scamiciato parec-chio, si è levato la grisaglia, e se ognitanto va in giro con la camicia hawaia-na, o bistrato, non è una tragedia. Sonoper una grafica plurale, promiscua emagari spiazzante, magari un Nietzschecon coloratissimo disegno di Zarathustrain copertina (tipo Sandokan), o vicever-sa un Coelho o un Moccia senza nemme-no un orpello grafico, grigio topo come unsaggio universitario”.Veramente a me sembra che le diversetendenze abbiano sempre convissuto.Forse adesso le questioni di marketingentrano più pesantemente nel proces-

so decisionale. Quindi le scelte gra-fiche devono essere supportate daun apparato filosofico più agguerri-to per potersi difendere e perciò sene parla di più.

Ho sentito in un’intervista che nonchiederesti mai a Saul Steinberg seapprezza i tuoi disegni. E che ricordiPaolo Guidotti, Federico Maggioni,Tullio Pericoli. Se ti cito BrunoMunari, Bob Noorda, MaurizioCeccato, Riccardo Falcinelli, tra nomirisonanti e altri della nota grafica con-temporanea, come qualificheresti ognu-no di questi noti e importanti grafici?Nell’intervista citavo illustratoriche si sono trovati a fare grafica, aparte Pericoli che di grafica non nefa. Munari, per il quale provo gran-de affetto, credo abbia contribuitonon poco alle mie scelte professio-nali. Noorda lo sento più lontano,forse perché ho frequentato meno ilsuo lavoro. Ceccato e Falcinellisono molto più giovani di me e nelloro lavoro leggo una radicalità edelle possibilità evolutive che qual-che volta mi trovo a invidiare.

Bruno Munari in Artista e designerha scritto: “Il sogno dell’artista ècomunque di arrivare al Museo, men-tre il sogno del designer è quello diarrivare ai mercati rionali”. Per te,

Intervista di Isabella Borghese,20 luglio 2007

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Guido, qual è il sogno dell’artista equale quello del designer?I sogni degli artisti non li conosco,ma a volte ho la sensazione che pos-sano essere piuttosto degli incubi. Ilmio sogno di designer è che chivede un mio lavoro al mercato rio-nale si trovi a pensare ‘Cavoli, avreipotuto farlo anch’io, perchè non ciho pensato?’.

In merito a Guanda. Come nasce latua grafica Guanda? Cosa non ti pia-ceva della precedente veste? E per isuoi abiti attuali prevedi novità?Nuove idee? Pensi o hai in mente dicambiare qualcosa della linea attuale?Sono arrivato a Guanda come illu-stratore. Il lavoro grafico è derivatoin qualche modo da questo. Quelloche non mi piaceva tanto erano lapresenza di cornici e una gran quan-tità di gabbie che, in teoria, avrebbe-ro dovuto identificare le collane, einvece diluivano l’immagine dellacasa editrice. La nuova grafica è nataabbastanza empiricamente. Primaho ridisegnato i tascabili e da questiè uscito, poco a poco, il resto. Comecon le case: prima ci si abita per unpo’, poi si capisce cosa fare. Così conGuanda, aspetto di capire cosa fare.

Quanti disegni fai per una copertinageneralmente?

Ne presento uno, se non va bene nefaccio un altro.

Esiste una copertina che ami particolar-mente e che avresti voluto produrre te? Incaso affermativo di chi è la firma e cosa tiporta ad apprezzarla in tal modo?Everyman di Philip Roth per Einaudi.Una copertina tutta nera per un edi-tore che ha sempre fatto copertinetutte bianche. Semplice e geniale.

Esiste un carattere tipografico che prefe-risci agli altri?Uso molto spesso il Bell Centennial.Un carattere progettato per gli elenchidel telefono.

Colori, carte, marche che usi e che consi-glieresti a un giovane grafico.Consiglio di usare la testa. Tutti glialtri mezzi, dopo, sono leciti.

Hai detto che cerchi sempre di restarefuori da una teoria e che i tuoi percorsisono intuitivi. Falcinelli a un ragazzoche volesse intraprendere la professionedi grafico consiglierebbe l’Accademia diBelle Arti e tanti esercizi. Intuizione eistruzione sembrano un perfetto bino-mio. Falcinelli e Scarabottolo due stilidifferenti. Potrebbero lavorare insiemedue grafici così diversi?Ho sempre lavorato con altri e consi-dero la cosa fondamentale dal punto

di vista della formazione professio-nale e umana.

Con quale grafico condivideresti unprogetto di lavoro?Mi piacerebbe lavorare a un proget-to con Mario Piazza.

Come valuti l’influenza dei medianella grafica?I media formano il gusto e un grafi-co non può prescindere dal gustodel suo target. Quello che può fareè scegliersi un target compatibile.Poi, come dice Heinz Edelmann,può essere un passo avanti rispettoal suo pubblico, ma non più di unpasso.

Qual è la forma d’arte che influenzadi più la tua ispirazione?Tutto quello che c’è tra le grotte diLascaux e l’ultimo film diKaurismaki, compresa la segnaleti-ca stradale.

Progetti futuri?Il futuro è appena passato.

Nell’ambito del tuo lavoro c’è qual-cosa che non hai fatto e vorrestifare? Qualcuno che vorresti incon-trare? Un progetto che vorrestiriprendere?Preferisco non pensarci.

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Guido Scarabottolo

Laureato in architettura presso ilPolitecnico di Milano.Attivo dal 1975 come illustratore egrafico, ha collaborato con i maggiorieditori italiani, le principali agenziedi pubblicità e la Rai.Dal 2002 progetta tutte le copertineper Ugo Guanda Editore e ne illustramolte.Con Giovanna Zoboli ha pubblicatoStorie dell’anno scorso, Vita e passionedi B.T., quadro, Love, (Libri a naso) eUna vita (romanzo metafisico),Guanda, Note.I suoi lavori sono stati selezionati perla pubblicazione da Japan’s CreatorsAnnual, Bat, Graphis, AmericanIllustration, Society of IllustratorsAnnual.Vive e lavora a Milano.

Bibliografia minima

– Guido Scarabottolo, “Elogio dellapigrizia”, Aou Journal, maggio 2004;– Maria Sebregondi, Scarabottolo a b c,Alias, 10 luglio 2004;– Stefano Bucci, “Scarabattolo, quan-do le copertine lasciano il segno”,Corriere della Sera, 31 ottobre 2006;– Mario Baudino, “Guido Scara-bottolo, il re delle copertine. Così l’ar-tista disegna libri”, La Stampa, 13novembre 2006;– Dario Olivero, “I vestiti dei libri”,Domenica della Repubblica, 17 giugno2007.

Ringrazio Guido Scarabottolo per la disponibilità e il materiale inviatomi. E chiudo questo progetto in silenzio lasciandola parola a tutte le illustrazioni inserite nella ricerca. Come a sentire ora il timbro garbato di Guido Scarabottolo ribadirci“i miei lavori sono più da ascoltare che da guardare”.

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