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TURI GRASSO SATIRA CARNASCIALESCA EDITO DA TURI GRASSO

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TURI GRASSO

SATIRACARNASCIALESCA

EDITO DA TURI GRASSO

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TURI GRASSO

SATIRA

CARNASCIALESCA

EDITO DA TURI GRASSO

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PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati per tutti i Paesi

Giugno 2013

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TAVOLA I

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TAVOLA II

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PIETOSO PROLOGO

Nel costituire il seguente florilegio di amenità ho titubato parecchio, perché si sa,quanto il terreno sollazzevole, molto più di quello grave, sia difficile da preparare.

L’input ad avermi fatto decidere è partito da parecchio lontano, e precisamente dauna mia forse trentennale collaborazione al “Numero Unico”, annuale rivista satirica inoccasione del carnevale acese edita dal Circolo Universitario della città. Difatti i tantibozzetti accumulatisi, da soli avrebbero potuto formare una abbondante raccolta disketch, quindi era tempo di guardare con più impegno ad una rispettabile antologia,cogliendo ed elaborando, frequenti nel quotidiano, gli spunti nuovi che andassero adarricchire la rassegna.

Un ulteriore incoraggiamento mi venne da una mia brusca decisione di noncollaborare più con il “Numero Unico” dopo la scelta della sua redazione del 2013 dinon pubblicare l’articolo da me al solito fattole arrivare a seguito della richiesta da partedi amici, risultato indegno a causa di una nebulosa mancanza di bon-ton verso lacategoria professionale carnascialescamente satireggiata in esso. La cosa curiosaconsisteva, già da subito dopo averlo letto, nel ritrovarsi i curatori vigilatoriunanimemente concordi sull’impiego del garbo nel pezzo in esame, in linea con ilprincipio di fondo da fare assolutamente salvo, cioè il decoro, solo demeritava per nonaver voluto l’autore acconsentire alla sostituzione di una delle definizioni qualificative,ovviamente quella che caratterizzava meglio, riguardante una parte della casta sottoricreativa osservazione, e questo tentativo di maquillage coerentemente con il passatol’autore non l’ha permesso, così come mai lo permetterà in futuro, perché culturalmenterefrattario al partecipare all’abituale salameleccare di quanti nel praticarlo, amabilmentegioiscono di coprirsi di ridicolo, pur di interpretare un ruolo, quale che sia.

Si pretendeva che, dovendosi trattare anche lepidamente di un aspetto dell’eticaprofessionale, lo si dovesse fare modellando il non visto, il non udito, il nonemozionalmente sentito, il non constatato, il non vissuto, il completamente estraneo, ilparto di fantasia, dedicando solo ammiccanti incensamenti, e dando così prova diprediligere la diversione piuttosto della giusta direzione, per giunta su uno dei settoridelicati, quale potrebbe essere quello riguardante la scuola, la giustizia, la difesa, lasalute… Insomma collaborare al formarsi della collaudata condizione del fruitore finale

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di gabbato e cornuto, e lo si chiedeva con animo leggero, tanto che per antifrasil’ubriaco potesse diventare un esilarante clown, il biscazziere un provetto finanziere,l’imbroglione un illustre avvocato, il debosciato un viveur o latin lover del ca…, ilmafioso un autorevole paciere, l’usuraio un filantropo, il terrorista un patriota, ilricattatore un esperto broker, il ciarlatano guaritore un ottimo clinico, il politicante ungenio… finendo tra l’altro, che a questa pletora di mestatori allo sbaraglio si facesseviolenza al meritato giudizio di propria spettanza da se stessa cucitosi addosso, e diconseguenza la si sbeffeggiasse maggiormente di quanto le si volesse risparmiare.

Per una mia migliore comprensione, mi è stato confidato che nella categoria dame compostamente caricaturata vi appartenesse un figlio di un qualche importantepersonaggio del Circolo Universitario, coincidenza questa che automaticamente facevascattare la sanzione del tabù. Io non so se fosse stata effettiva l’individuazione dellamotivazione dell’alt, ma nel caso positivo di verosimile predisposizione alla vergognada parte del presunto traffichino, dopo aver rispettato ogni garanzia di decenza verso idestinatari dei miei leggeri frizzi, non potevo non constatare, che sui curatoridell’opuscolo, presto mummificatisi, pendessero arroganti imposizioni da ufficio divino,rispettosamente ubbiditi. E proprio in virtù di ciò, alla luce della risposta ostativa da mericevuta, tranne le rare volte che non mi si fosse potuto scansare, nelle quali si osservavaun silenzio tombale sull’argomento, si produsse di dovere, il volatilizzarsi deisuaccennati presunti amici ritrovatisi con le spalle al muro di fronte al mio peccato diapostasia, essendo da loro erroneamente ritenuto anch’io, un accolito alla dimestichezzaal compromesso di comune osservanza del gruppo!

Evidentemente da allergico a subire simili autoritari comportamenti, soprattuttoligio alla mia fede ateoprogressista, non mi è restato altro che fare non uno, ma più e infretta passi indietro.

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Agli universali carnilavarini protagonisti della auspicata gioviale berlina, ed effettivieredi cromosomici di Carnevale, del quale oltre a nutrirsi stabilmente nel cuore e nellamente, il suo sangue avvertono fluire nelle vene!

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TAVOLA III

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TAVOLA IV

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AD ACIREALE E’ SEMPRE CARNEVALE

“Signore, signori, grandi, bambini,

invalidi, sani, soli, sposat,

amant, mercant, servi, sciac�uini,

politci, ladri, nudi, impiegat,

dotori, ignorant, professionist,

tutori di legge, birbe, fetent,

aruspici, pret, suore, sacrist,

munifci, trchi, furbi, potent,

strozzini, tafani, ermafrodit,

carogne, pezzent, lubrichi, sant,

nemici di Dio, vili, pentt,

drogat, briachi, bari, furfant,

lor tut fedeli, suddit amat,

ringrazio di cuor, Io, Re Carnevale,

v’accoglie frement, gai, pigiat,

la splendida piazza d’Acireale.

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Mi fanno un onore troppo toccante,

ed Io commosso prèsone ato,

m’asciugo �uest’occhio già gocciolante,

intono un inno ben soddisfatoo

beviamo, cantamo,tut balliamo,

coriandoli, ac�ua, talco lanciate,

lasagne, ragù, salsicce mangiamo,

petardi, flant, manganellate

spartam tra le teste cavoliòli,

di noi acesi not nel mondo,

gazzarra teniam, di stlle si scoli,

allegri, felici, in girotondo!”

“Scusate, mio Sire, Vostr’Eccellenza,

se tanta baldoria turbo, noioso,

Vi chiedo d’avere Vostra licenza,

d’esporVi con lagne temi ch’io sposo.”

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“Parlate, piagnone, Io vi ascolto,

stringate nel dire, più che potete.

Fermar tuta l’orda mi sembra stolto

ordun�ue, tratate, cosa volete?”

“Sovrano potente, vengo agli event,

la nostra cità incerta cammina,

le aule mancan per gli student,

gl’impiant sportvi vanno in rovina.

Imbratano i muri, rompon vetrine,

riman l’ospedale sovrafollato,

le fulgide spiagge sono latrine,

il pubblico impiego viene donato

Strombazzan marmite, clacson snervant,

parcheggi intasat sono le strade,

le case s’afollan come gigant,

mangiandosi il verde senza pietade

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Le opere d’arte vanno in sfacelo,

le stanze d’ufci abbandonate,

i fat di sangue getan nel gelo,

esplodono bombe, pistoletate!

Di tanto marasma io mi lamento,

e chièggiot stufo d’intervenire,

rimango di stucco, teso mi sento,

sì, voglio che presto vada a fnire!

Non credo s’addica far sempre festa,

un anno contnuo senza pensieri;

pazzesco sarebbe, cosa molesta,

ci sta ogni tanto essere seri

“Perché manigoldo sbrait tanto?

La folla linciart ora t vuole,

ma, Io per pietà, coprir col mio manto

infn t dovr,, perché a me duole!

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Per, mi rincresce, pene tu avrai!

L’esilio t do per l’impertnenza,

dal Regno più fasto emigreraio

far, eseguire �uesta sentenza!

Pel culo, gendarmi, l’agitatore

prendete, batete come vi piace,

butatelo fuori il turbatore,

speriam perdio vivere in pace!

Beviamo, cantamo, tut balliamo,

coriandoli, ac�ua, talco lanciate,

lasagne, ragù, salsicce mangiamo,

petardi, flant, manganellate

spartam tra le teste cavoliòli,

di noi acesi not nel mondo,

gazzarra teniam, di stlle si scoli,

allegri, felici, in girotondo!”

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TAVOLA V

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TAVOLA VI

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Facce di culo ridens

Gentili lettori, mi preme precisare che la categoria antropologica “facce

di culo ridens” da me modestamente sottoposta alla vs. cortese attenzione, non

è una trovata carnascialesca, ma è l'individuazione di paziente ricerca scientifica che

colloca nell'ultimo decennio il raggiungimento del suo apogeo. Si fonda sulla

presunzione di superiorità sia intellettiva ed intellettuale che pratica, sullo spirito di

servizio al di sopra di ogni sospetto, è di fede populista e non disdegna di

ammiccare ai valori dell'aurea mediocritas, di andreottiana memoria.

Capostipite indiscutibile (per sua ferma determinazione accompagnatasempre da modestia) è uno scrupolosissimo imprenditore, presidente di uncelebrato clan sport ivo, di parecchie te levis ioni, di socie tà immobil iar i ,ass icurat ive, edi toria l i , di governo, e aspirante (se non ci fosse già)

padreterno, con modestia parlando.Come tutti i personaggi illustri segnano ilsuo tempo ed oltre, rivitalizzandosi con il contributo dei suoi più fedeliincorruttibili collaboratori ed epigoni quali ad es. e non è poco, unTremonti, un Bondi, un Calderoli, uno Storace, un Giovanardi, un Rotondi, unCuffaro un Garozzo etc. etc. Basterebbe il solo menzionarli per suscitare ilarità,prerogativa principale di questo volumetto scacciapensieri. Intrattenersi con lorosarebbe il top del teatrino, ma richiederebbe troppo tempo, cosa che miconsiglia con qualche rimpianto di soffermarmi sul rappresentante di casanostra, per prestigio minore solo nella carica non sulla somatizzazione dellacaratterizzazione più in voga del momento.

Sindaco di Acireale, a parte la sua predilezione per le castagnole nei civili

rituali delle feste religiose, e per l'illuminazione festaiola nelle di per sé f r izzant i

sere es t ive , bisbig l iant i consigl iere di tepore, a par te la sua

soddisfazione sul decoro del centro storico cittadino (basta una fugace

panoramica del c.so Umberto per convenirne), sullo stato del traffico

veicolare, sullo stato del verde pubblico, sullo stato igienico

generale.. . , la perla intuitiva di questo im pareggiabile politico risalta

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proprio sull'ultimo punto: l'immondezza!

Se tolta alla mafia può produrre oro, con ricadute miracolose sull ’occupazio-ne e può creare ricchezza per le comunità. Questo lo sa bene il Presidente dellaRegione che accettando (forse per fare qualche favore però d'indubbia trasparen za)lo stoccaggio dei r if iut i dei campani a preferenza dei nostr i lasciat iimputridire sulle strade (è nel carattere sicil iano togliersi i l pane dibocca per gli altri) ha potenzialmente immagazzinato occasioni di preziososviluppo. Ma il ns. sindaco ha visto più lontano e prima del più blasonatocommilitone politico regionale. L’illuminato amministratore rimuginando tra sé esé la situazione delle fognature realizzate per non essere attivate (certamente perscopi esoterici), da un precedente campione di pubblica amministrazione

della stessa appartenenza politica e sicuramente precursore dellaspecie "faccia di culo ridens", sorprendentemente ebbe ad avvertire lo scoccodella scintilla nella sua mente tesa a realizzare sotto ogni profilo un’opportunitàdi notevoli gratificazioni. Certo le grandi scoperte non capitano a caso: lui era giàsulla buona strada lasciando a riposo forzato il cesso cloaca di Villa Belvedere,dove solo a passargli accanto si rischia di doversi ritrovare in un repartoinfettivo, e costringendo così i clienti dei bisogni (e non son pochi specie quandoi pullman dei visitatori avventizi, cosa non infrequente, occupano p.zza Indirizzo ),a giocar di braghe dentro le aiuole con il sorprendente risultato. di farlussureggiare a costi zero la parte più discreta del parco, la levantina, mentreagl'ipertrofici acesi della prostata indica i locali pubblici (nella zona l'unico è il barBelvedere, dove occorrerebbe l’eliminacode per assegnare il turno ad ognuno,sempre che, per sopraggiunti guasti non s’incappi nel fuori servizio del bagno).E allora? Altra insospettata utilità per i bisognevoli malcapitati che dall’impellentenecessità di svuotare la vescica (specie quando il problema si fa più serio conl'arrivo

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del freddo e dell'umidità) possono, dalla negata minzione, con l'orina non potuta

più trattenere, trarne un provvidenziale riscaldamento dalla

cintola in giù. Ed è proprio dall'esito positivo della mancata attività del cesso

che l'illustre innovatore abolisce, creando armonia tra i cittadini e immondezzai di

fortuna; vedi, quello accosto all'angolo nordorientale della Zelantea (edificio .

che dovrebbe essere un tempio di cultura quali per la religione lo sono la

Cattedrale, S.Pietro o S.Sebastiano, e non credo che sui loro muri e s t e r n i

u g ualmente sacri si permetterebbe di ammassare rifiuti di sorta, certo in quel caso la

rivolta acese si farebbe sentire, e come!), dunque dicevo, l'illustre riformatore abolisce

i cassonetti dei rifiuti del centro storico, poiché con la loro grossolana foggia

(l’ambiente meriterebbe qualcosa di carino tipo macrobeauty-case) deturpano la grazia

d'un patrimonio tanto invidiato. Tuttavia la decisione a prima vista insensata mostra

tutta la sua genialità con l’arrivo delle piogge, evento che con il contributo delle

fognature stagne fa diventare tutta la zona pressoché navigabile ideata per i sacchetti a

galleggiarvi belli come candide ninfee creando un'atmosfera di rara suggestione,

(meritatissima emozione per gli utenti della nettezza urbana ripagati così in parte

di quanto sborsano di tassa), tanto da sorprendere lo stesso ideatore, intenzionato

però in avvenire a creare più policromia nello spettacolo mediante la raccolta

differenziata dei rifiuti in appositi sacchetti variamente colorati forniti

dall'amministrazione comunale, e poi organizzare dei veri e propri circuiti turistici

sull'incantevole laguna ricavata. L'autoconvincimento del progetto

nell'insospettato brillante scenografo sindaco raggiunse una tale euforia da

fargli consacrare, con ordinanza (della quale una copia affissa in vetta

all'immondezzaio sorto a ridosso del muro esterno della Zelantea legittimandolo

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di fatto) successiva di tre mesi circa dall'esperimento, la regolamentazione degli

orari di conferimento e per i trasgressori delle relative multe.

Chissà che una tale realizzazione non ispiri più di uno dei tanti talenti locali

a dar vita a una crestomazia magari sotto un titolo evocativo quale potrebbe essere:

"I fiori del male...intenzionato".

Comunque sia una quota d'indecisi è rimasta a chiedersi se la situazione

igienica generale acese non ne venga a soffrire per contraccolpi negativi sulla

salute. Ebbene posso io rassicurar costoro invitandoli a recarsi all'affacciata

Belvedere, dove sotto la ringhiera nell'aiuola a sinistra riservata al calendario verde

potranno trovare la risposta e, constatando che ad Acireale il tempo si è fermato,

restare felicemente sorpresi del fatto che di conseguenza la vita si allunga a

dismisura! Buon Carnevale!

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TAVOLA VII

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TAVOLA VIII

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Esegesi sulla soppressione dei cessi pubblici acitani

In occasione del rinnovo della carta d’identità in un ufficio sito in p.zza

Cappuccini, a ridosso dei vecchi bagni pubblici, dovetti notare con una stretta al cuore

che la grande buca dov’essi erano calati era stata addirittura coperta come a riparazione

di un’onta da dimenticare. L’emozione da me provata scaturiva principalmente dai

ricordi della fanciullezza nel tanto tempo trascorso assieme a una piccola brigata, amica

del sorvegliante ragazzo come noi, sostituto del padre appaltatore del servizio, da questi

costretto a guadagnarsi la pagnotta, e quel tempo si spendeva in allegria durante le

marinate a scuola, stipati in una specie di guardiola unta, anzi bisunta, giocando a carte

siciliane e fumando in santa pace al riparo della vista di familiari e parenti. Cosa non

facevamo i precoci del vizio del fumo di allora, scriteriati imbecilli! Però al di là

dell’emozione per il personale amarcord da me sentito quasi sfregiato, chiedendomi

senza sapermi rispondere perché si fosse arrivati a quella soluzione, tacciavo di crassa

insipienza chi preposto a decidere lo avesse fatto in tal guisa, negando all’occorrenza

alla comunità l’agevole soddisfazione di un primario bisogno in forte espansione, specie

per i prostatici grazie all’allungamento della vita. E così per un certo periodo, cercando

spiegazioni, mi riproposi il tema di quello che per me continuava a rimanere un

indigesto boccone da digerire, non potendo minimamente supporre che il disegno fosse

più corposo, infatti, un giorno recandomi alla pescheria attraverso via Lancaster dovetti

constatare, che lo stesso servizio era stato reso ai bagni di p.zza Lionardo Vigo. Certo

non si trattava di una decisione volta al risparmio del personale che li avrebbe dovuto

curare perché avevo saputo, durante il mio informarmi sulle cause, ch’era stata rigettata

la proposta di un volenteroso, fino a qualche giorno prima dello sciagurato K.O.,

disposto a caricarsi un tal onere senza ambire a ricompensa o stipendio, (che in questo

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caso sarebbe stato ben guadagnato specie se al posto di uno dei tantissimi intascati ad es.

da dipendenti comunali fantasma), ma alla sola riscossione delle mance. E allora perché

insistere a negare una comodità tanto utile? Fino a quando ho affrontato la questione in

termini di economicità ho sempre bucato la soluzione, e fu solo grazie all’ispirazione

turisticosocioantropologicomedicale che finalmente potei centrare il bersaglio.

Si fa un gran dire dell’invecchiamento della popolazione italiana, e tale realtà

influisce negatvamente specie in campo turistco dove Acireale si picca di voler

spiccare. La bella citadina arrampicata sulla tmpa e per l’aspeto sia natural

lussureggiante, sia artstco, sia climatco molto clemente nel corso dell’intero anno,

atra visitatori a bizzefe. E con suddete peculiarità tanto incoraggiant, �uale

categoria avrebbe potuto interessare se non principalmente �uella degli anziani? Infat

il flusso turistco giovane sceglie altre contrade a torto più rinomate. In un simil

frangente in una cità ridota a gerotrofo allargato a causa dell’emigrazione dei suoi

fgli per sfuggire all’asfssiante disoccupazione dopo che con impegno incredibile,

proprietari terrieri, operatori del commercio, politci, tut in perfeta sintonia, negli

ultmi tre decenni sistematcamente hanno fato a gara a sfasciare le lucrosissime

atvità del posto prosperate a favore degli acesi riuscit ad andare contro corrente

rispeto alle ristretezze del tempo, per essersi assicurat un opulento dopoguerra,

�uasi da piccola Svizzera, atvità per insufcienza di braccia supportate da

manodopera dei paesi limitrof, in una così decadente popolazione cosa poteva

aggiungere il turismo della terza età se non più accentuata tristezza? Bisognava porvi

riparo, e come se non con una folgorazione geniale, che al diretore della solita solfa da

sala consiliare parve balenargli fortunosamente? S’imponeva la chiusura dei cessi

pubblici e scoraggiare almeno gli anziani locali come si sa ad una certa età in

maggioranza prostatci, ad uscire di casa. L’uovo di Colombo per risolvere il problema

dello svecchiamento visivo. L’anziano, dopo avere otemperato al rituale bisognino,

esce di casa tran�uillo, ma si accorge presto che il riflesso condizionato della diferenza

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di umidità per esempio tra il chiuso e l’aperto, o del flusso di una fontana, o dello

spirare di una semplice brezza, basta a dare l’incipit a una soferenza bisognosa di una

insospetata urgenza di orinare, e non trovando il locale di riferimento appropriato,

perché i cessi pubblici sono inesistent, le toilete dei bar fuori servizio, la strada

concessa solo ai cani, non gli rimane altro o dal farsela addosso o di restarsene agli

arrest domiciliari. Ed ecco che il gioco è fato. Per,, malgrado la straordinaria

congetura non facesse una grinza, a far giustzia bast, l’altra metà della medaglia.

Come accennato i nostri visitatori turistci sono, vedi caso, anziani, ed hanno anche loro

uguali esigenze. E allora, metendoli nella situazione di non poterli facilmente

assolvere, non li si scoraggia a venire, di fato rischiando una grossa feta di ricchezza

indispensabile al locale commercio agonizzante? Il suicidio no, �uindi necessità fece

virtù e tornando sui suoi passi l’acuto capo amministratore baté un colpo, dando a

capire che fnalmente stava per provvedere tanto per cominciare a ristruturare

l’agognatssimo cesso di Villa Belvedere, e lo fece recintare pure, con i carateristci

pannelli ondulat che indicano lavori in corso (riposant ad libitum). Inoltre per farsi

perdonare della trascorsa incuria ha pensato di promozionarlo dotandolo, �uesta volta

da subito, di una misteriosa sorgente di delicat, grat efuvi in un misto di gelsomini,

rose e gardenie, combinazione seconda solo a �uella… di inconsolabile memoria,

determinante un vero godimento nel desiderare, se si arrivasse fnalmente ad

avverare, di andarvi presto deliziosamente a pisciare, parola di…

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TAVOLA IX

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TAVOLA X

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Sogno di civiltà

Memore dei messaggi del subconscio lanciati nel periodo dell’ultimo

carnevale, in un sogno, si sa nella forma strampalata che questo psicoproiettore

normalmente produce, e visto che le cose nei 360 gradi compiuti dalla terra attorno al

sole, sono rimaste immutate, mi solletica l’occasione di riproporre la

confusa sequenza originaria dei flash, tentando alla fine di scioglierne il senso.

Si attenuano un po’ le scariche elettriche, e ad intermittenza scoprono, quasi

carcasse, le vittime del troppo bere, troppo mangiare, troppo fumare, troppo giocare,

troppo fare sesso, troppo tifare, ammonendo che la virtù sta nel mezzo e il troppo stroppia

anzi stroppìa.

Da lontano un improvviso squarcio mostra una sagoma indefinita, timida e velata,

una bella, misteriosa donna che indugia a rivelarsi completamente: la democrazia,

non certo quella della pubblicità in TV, imposta e aborrita da tutti, e nemmeno quella

scaturita dall'argomentare di Berlusconi venuto ormai a noia perché non fa più

ridere anzi è penoso quasi come i lutti sui muri di Acireale, o le cacate dei cani sui

marciapiedi ancora di Acireale, o l’illuminazione festaiola durante la canicola di

luglio-agosto sempre in Acireale e come di seguito a non finire nelle a l t r e svar ia te

enormi tà che a l l i e t ano l a so l i ta Aci rea le . Di ques te enormi tà ,

par t i colare attenzione meritano i botti durante lo scorrere del giorni dell’anno e

a tutte le ore in Acireale, con la convinzione per i devoti che quello sia il miglior

sistema per onorare il santo. Vorrei vedere loro, i devoti, festeggiati a quel modo, sotto

un diluvio di esplosioni per l'intero giorno se approverebbero o protesterebbero irati.

E qui il sogno ha preso a trasmettere le tragiche immagini di Afghanistan ed

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Iraq determinate da un altro amorevole intervento degli americani e degni

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compari. Ma per fortuna il tragico nel caso nostro va solo sfiorato anche se non

mancano inquietanti risvolti. Intanto procediamo per gradi, ed in barba all'inquinamento

acustico, alle precarie condizioni di salute dei monumenti a causa dei forti

spostamenti d’aria, della privacy e della quiete pubblica, ai veri e propri

a t tenta t i a i p iù p icc in i , a i più anziani , a l le donne inc in te , a i

cardiopatici , ai neuropatici , e al la rottura dei coglioni , al resto della

popolazione, nonché ai più elementari principi di civiltà, ad Acireale

imperterriti si continua a non badare a spese riguardo le deflagrazioni

nelle ricorrenti orge religiose.

I l problema pur t roppo è d i d i f f ic i le so luzione in , quanto c i sono

t roppe chiese, e ognuna ha il suo bel protet tore da osannare,

inoltre l’inveterata prat ica bombardist ica ha prodotto assuefazione, e

a voler smettere ci sarebbero tante di quel le cr is i di ast inenza che

creerebbero più conseguenze di quante se ne vorrebbero e potrebbero

risolvere.

Ecco che a questo punto il viluppo onirico chiarisce i suoi

significati: uno, la tanto vituperata pena di morte eseguita in pochi secondi è

meno agghiacciante di una conduzione a morte dopo lunga e costante sevizie (un

anno intero di spesso imprevedibili cannoneggiamenti), aggiungendo così

crudeltà ad infamia; due, ogni cos a d o v r e b b e a v e r e u n l i m i t e o l t r e

i l q u a l e c o n d u r r à a d u n a p e r i c o l o s a c r o n i c i z z a zione per .sé e

per gli altri ; tre, di quale democrazia si parla, quando contro tutte le

regole di c ivile convivenza si va a colpire a suon di granate l ' inerme

cit tadino sin dentro il più recondito rifugio?

L'argomento è ghiotto, però, perché questo rimestamento di

coscienza tra le pieghe del sonno nel corso dell'allegoria carnascialesca?

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E' chiaro l’ammonimento a chi vive nel convincimento di svolgere una

missione non scorgendo l'ambiente grottesco entro cui si muove.

Cortese, caro mio let tore, la vi ta è una carnevalata, e più i piedi

non si poggiano per t e r ra p iù s i r i sch ia lo scoppio come una

cas tagnola che a l t ro o l t r e i l b otto non lascerà! La tiratina di orecchi,

qualcuno dirà che mi riguarda in toto, ma i l f in qu i de t to , esp l i c i t a

quanto io abb ia ben sa ld i i p ied i a t e r ra , e p iu t tos to vuol raggiungere

quanti nelle varie direzioni, t r a l’ovvio e il lapalissiano, operano con la

presunzione di non si sa quale superiori tà morale, intellet tualculturale,

civicopolitica. Che bel campionario di provetti carnevali!

Per chiudere mi è d'obbligo, sempre dietro invito del sogno,

comunicare ai devot i e a chi autor izza quest i fes t ival d i pervicace

ot tus i tà , che i l santo d i turno non potrà esaudire mai le loro preghiere,

perché non le sente, in quanto è stato reso sordo dallo sgomentevole

fuoco di fila, dedicatogli.

Meditate gente e buon carnevale!

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Tavola XI

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TAVOLA XII

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Ideopsicogoduria

Il sole era declinato da poco, l'aere quasi immoto confortava con le ultime

carezze di tepore prima che il cielo così terso da sembrare inventato, cominciasse

a diffondere l’algore.

In città agghindata per la festa, si curavano gli ultimi ritocchi.

Mentre curiosavo tra gli addobbi dell'illuminazione di c.so Umberto, dopo i l

lungo interval lo di tempo che si par t iva propr io dal lo scorso

carnevale, mi ritrovai davanti l 'amico più caro. Ci abbandonammo ad una

affettuosa rimpatriata, foriera di sicura giocondità in quanto lui era

ricco di facezie ed io ben felice di assorbirle. Infatti non perse tempo ad

offrirmi qualche chicca e subito mi volle raccontare una ghiotta scenetta recitata da

un bel pezzo di arciprete locale ( “già papa” ) e mezzo esecutivo del Palazzo. Il posto

dove costoro si ritrovarono per il momento me lo taceva, promettendomi di

rivelarlo alla fine. Il reverendo intendeva approfondirsi sulle ultime vicissitudini

cittadine, attingendole direttamente dalla fonte. Iniziò con il chiedere se fossero

fondate le illazioni che il cominciare i lavori della rete di scolo dallo sbocco, avrebbe

evitato molti fastidi alla cittadinanza, cosa che non avrebbe consentito invece

l'attivazione progressiva dell’opera man mano che fossero state allacciate le

confluenze durante la risalita. Il destinatario della domanda spiegò agevolmente, e

con molta padronanza della si tuazione -Mi consenta! Abbiamo di fronte l'astratto

concepimento di deduzione logica , nel concreto indiscutibilmente

illogica! Bastano pochi esempi. Potrebbe il sole tramontare se non sorgesse? Il

sarto inizierebbe a cucire il vestito dall'asola? Il calzolaio impianterebbe la scarpa

sulla forma dalla suola o dal tomaio? Inizierebbe il pittore a

comporre il suo quadro con l 'apposizione della firma? Vossia ,

reciterebbe le orazioni dall’amen? E perché dovrebbe essere

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l’ingegnere ad avanzare come il gambero con il rischio di mal

distribuire la pendenza, perderla, e trovarsi costretto a dover solleva re

il fondo stradale? Non voglio pensare a simili baggianate! Piuttosto,

cittadini con un po’ di romanticismo apprezzerebbero l'immensa fortuna in

contraccambio dei disagi: la grazia di piazza Duomo con le sue chiese e

palazzi specchiati e cullati nel tremolio dell 'acqua come a Venezia!

Divina suggestione, dovrebbero gioirne!- Compiaciuto esclamò mellifluamente

il poetico digressore.

-E invece, no- Ribatté perentorio il reverendo con il contrarre l'espressione

abitualmente gioviale del viso paffuto, negandogli una via d’u s c i t a

inopportunamente spiritosa e dopo aver ribadito la sua disapprovazione con un

ultimo sguardo, mentre quello farfugliava -Che volgari!,- si volse ad interrogare il

secondo sulla chiusura tanto prolungata della villa Belvedere a c a u s a

d e l l a p o t a t u r a d e g l i a l b e r i .

- M a , i l n o n a v e r l o f a t t o , s a r e b b e e q u i v a l so a lasciar violare

il boudoir di una prima donna- Esordisce sconcertato il responsabile -e lasciar

cogliere lo sconforto dell'incipiente decadimento. Consent i r d i scopr i re tu t t i i

d i fe t tucci che l ' a r te d i l igen te de l maqui l lage promette di mantenere

segreti. Questo per l'impazienza ad attendere e l 'ottusità di comprendere.

Quando sappiamo che è la presentazione in forma smagliante nella

leggiadra ribalta ad incantare, a rapire, a stuzzicare il

des ider io e…

-Andiamoci piano con la f antas ia

-Par lo sempre del parco

-Appunto, è per esso che bestemmia la gente!-

-La gente! Bisogna pensare ai turisti, altro che alla gente. Noi

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abbiamo il dovere di tenere al ta l'immagine della città. E poi la gente,

sempre la gente e ancora la gente, non le risulta che codesta gente rompe?

-A me risulta solo che bestemmia

-Maleducata

-Già, maleducata- Fece flebile eco il reverendo controllandosi a stento e

sospirando di biasimo chiese al terzo spiegazioni sul recente sciopero e corteo.

-Una sfilata di ricattatori- Questi sentenziò decisamente -Ci danno

appuntamento a maggio. Non sanno di farci il solletico

-Potrebbero mantenere la promessa- Osservò pazientemente il reverendo.

-Stia tranquillo non c i manca l ' in tel l igenza pol i t ica per volgere a nost ro

vantaggio la s i tuazio ne. Ascolti e vedrà se ho ragione. Li faremo cuocere nel

loro brodo, tenendoli a stecchetto con gli stipendi arretrati sino alla fatidica data,

quando con la prospettiva d'incassare, docilmente si faranno prendere al

laccio. A parte che i loro voti ci servono relativamente, perché con il passaggio del

servizio ad ente pubblico si dovranno fare nuove assunzioni. Riesce Vossia

ad immaginare quante persone potremo illudere con la valanga di voti?

Voti nuovi, pieni di entusiasmo, voti contagiosi. E non già come quelli, sparuti,

anemici, sforzati

-Bé, forse i voti pioveranno quando sarà, ma ciò che preoccupa,

è che già piovono e continueranno a piovere di sicuro le

bestemmie

-Mascalzoni- ardì inveire il machiavellico demagogo.

Le pupille del reverendo saettarono terribilmente. Per poco, poiché giunto a quel

punto, a tutti i costi doveva trovare la forza di resistere all'esigenza di sfuriare

per sentire l 'ultima campana, quindi addolcitele artatamente, le rivolse al

quarto che in soprappensiero non s'accorse nemmeno dell'ammorbidito

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abbordaggio. Infatti nonostan te la simulata degnazione dell'inquisitore quello

trasalì quando gli venne chiesto -E tu che hai combinato mai per

provocare una sommossa?

-Potrei soprassedere?

-Un ca…volo- Tartagliò inopinatamente i l reverendo spinto

dal l'agitazione quasi satura e togliendo la maschera alla cordialità

spalmata magistralmente nella domanda, mentre il viso gli s'illuminava

come un tarocco.

-Ebbene,- Riprese incerto ed impacciato l'assediato -sebbene abbia calcolato

giusto, subito dopo mi sono pentito e vergognato. E’ stata una debolezza del la

natura umana. Io non soppor tavo i l recente r innovo del l ' a r re damento

del salone. Un colore minaccioso, il rosso, comunista ed arrogante, una vera

provocazione! Però la spesa era fresca e non si vedevano possibilità di rimedio.

L'occasione buona s i most rò durante l a mani fes taz ione d i protes ta d i

quel la fo t tu ta ca tegoria. Fu il classico lampo di genio. Occorreva portarla

all'esasperazione per realizzare il vero disegno. Essa infatti recepì il messaggio

telepaticamente, e quel le pol t roncine scagl iò sul la piazzet ta . A cose

fat te for temente grato, le concessi immantinente quel che chie deva

-Che figlio di buona donna- Esclamò il reverendo, rimediando in

extremis ad un lapsus già avviato e stimolando un esorbitante afflusso di

sangue nella rete facciale da congestionarla a tal punto

da farle cambiare le sembianze da tarocco per quel le del

sanguinel lo ed ai present i lo s tu pore i n apprens ione . Po i r i p r e se -

Porco d i . . . ( o fo r se Di . . . ) adden tando l a s i l l aba e scuo tendo i l capo a

maggior s t r az io , sof foca to da l l a co l l e ra . Frattanto i capelli degli

ascoltatori si rizzarono come missili in posizione di massima all'erta, finché non

completò con sforzo disperato -...avolo- espirando lungamente assieme al resto

della comitiva, salva dalla calvizie per miracolo.

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Giunto qui l'amico allargò le braccia, in segno di fine della storiella. Mentre io tra

lo sdegno e la commiserazione ero in difficoltà a trovare un idoneo improper io t i l

b i rbone canterel lando " t i f i c i na peddi ccu set t i ciareddi...” si decise a

palesare la sua capricciosa intenzione. Poi seriamente mi confessò il suo stupore

di non trovarmi stupito di fronte ad un racconto così paradossalmente surreale.

In effetti ero stato troppo semplicione per credere alla descrizione di un

prof i lo eccess ivamente p icaresco sugl i aci tani amminis t ra tor i ,

anche se a causa di non essere iniziato alla loro filosofia esoterica, che

contro ogni apparenza è rivolta sempre a fini esclusivamente nobili. Inoltre

non mi ero risparmiato di bere che cittadini tanto equilibrati potessero sfogare

eventuali malumori nella bestemmia -Sono stato uno s tupido- Ribadi i a me

stesso, f issando in fase d i p rova, l’accendersi de l l e innumerevoli e

minute lampadine del tunnel del corso che parve scuotersi come

attraversato da un brivido. Poi mi girai verso l'amico per fare ammenda de l l a

mia i ngenu i t à , s enza e s i t o po i ché e r a spa r i t o , s i era vola t i l izzato.

T i r a i d r i t t o . Sen t ivo g l i sgua rd i d i co lo ro che i nc roc i avo

pene t r a rmi a causa del mio ridere da solo, ma, non vi facevo caso perché

sapevo perfettamente che loro non potevano capire in quanto non gl i

era s ta to dato di sen t i r e .

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TAVOLA XIIITAVOLA XIIITAVOLA XIII

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TAVOLA XIV

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Ad onore del buon pastore...

Ad onta di chi dice che la Chiesa (con suoi adepti) è conservatrice nel senso

che ostacola la modernizzazione, spiegando a sostegno della tesi che il certo

per l'incerto è sempre meglio accetto nel gioco del potere di una delle più grandi

comunità del mondo, consigliata di guardare, sebbene costantemente strattonata, le

innovazioni con sospetto, fino a rimpiangere ancora il Medioevo, quando la

massa era cieca, muta, sorda, schiava, affamata, lacera, ignorante, sciocca e

ubbidiente, in una parola, perfetta alla disciplina sovrannaturale, disciplina che

cozza con la naturale, quella a cui guardano fiduciosi gl'indocili dell'altra sponda

convinti che se nel terzo millennio imperversa la campagna contro

l'inquinamento acustico, essa bacchetta anche la Chiesa, specie nel suo cachet

folkloristico, ad onta di tali faziosi denigratori il caso a seguire serva da lezione.

Sappiamo che nei giorni festivi nelle chiese di Acireale il tripudio si

trasforma in diluvio di colpi dei battagli dell'armamentario campanario in tut te le

sonorità dell'acuto e quando pare che sia per spiovere, riprende più vigoroso di

prima e così i sigg. parroci, compiacendosi del concerto si dilungano ad libitum e si

appagano (dopo interminabili saliscendi lunghi quarti d'ora di no te argentine,

intramezzate da qualche castagnola), quando sembra si convincano che sia

stato lanciato il giusto messaggio al loro superiore (vescovo) riguardo il loro zelo,

o in alternativa in tempo di vacche magre, credono di essere riusciti a riempire la

chiesa sempre meno affollata, o in ultima istanza per spontaneo afflato mistico

goduto. Completano il capolavoro durante la festa del santo, durante la quale la

soprano campanaria duetta con il portento dei fuochi d'artificio (sublime tandem).

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Tuttavia ad Acireale, (le chiese non si contano) assediata da tanto bailamme,

sbalordisce l'iniziativa del parroco di p.zza S.Domenico, che da buon pastore,

ligio al rispetto della quiete di tutti, ma nello stesso tempo rispettoso anche delle

attese dei devoti, organizza l’ariosa ricreazione, senza dimenticare di invitare il

ns. sindaco, gran patron delle castagnole, a proposito delle quali, ho sentito

qualcuno lanciare l'auspicio che si trasformino in bombe vere per ricadere

sulle case di chi le vuole, senza con questo per nulla intimidire con l'invocata

disgrazia l'illustre primo cittadino, tetragono a non badare a spese nell’impiegarle

nell'augurio alla cittadinanza delle feste di fine anno, in sostituzione di

manifesti, giornali, televisioni, Internet, strumenti, a questo punto per forza

ritenuti da lui meno efficaci, perché ci si rifiuta di credere che non li conosca, ma poi

chi lo sa.

Il sensibilissimo parroco della chiesa di S.Domenico al presentarsi delle

ricorrenze che fa? Sceglie di organizzare i festeggiamenti in chiesa a porte

chiuse, e solo all'interno del tempio si decide ad attivare un nastro registrato di

tocchi e rintocchi, invitando inoltre i fedeli a non risparmiarsi in lanci di scattiole,

tricchi-tracchi, assicutacriati, maschittuni. Lui sa bene che le campane avevano

un senso in un passato molto remoto per comunicare al vicini borghi allarmi seri

e le bordate venivano sparate dai corsari, e conosce la reazione dei più di fronte

a molto meno, quando infuriati del passaggio di una macchina con lo stereo ad

alto volume, gridano dietro al conducente . -cafone!- magari esagerando perché si

sa che non è colpa sua, ma del vacuo che ha in testa.

Il mite parroco cosi comportandosi concede ad agnostici e miscredenti la

tranquillità, e nello stesso tempo, felicità agli sbandieratori della tradizione,

dimostrando un alto grado di rispetto per tutti.

Per tanti ancora oggi, l’insolubile problema dell'inquinamento acustico,

ha il greve sapore di trovata pubblicitaria per prodotti farmaceutici

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antipatologicischemicineuropsicocardiologicicircolatorioncologicoigienicomentali,

non certo per il parroco di P.zza S.Domenico molto interessato all'argomento e

che lasciando di stucco specie le malelingue, con un'eccezionale brillante .trovata

ha risolto non a chiacchiere come spesso si fa, il disagio civile e soddisfatto le

attese del suo clero e oltre, e a chi stenta a crederlo e vorrà verificarlo non gli

resta che raggiungere nei giorni festivi la suddetta piazza con la massima

comodità, tanto sia dal primo mattino, sia all'ora dei pasti e volendo anche di

sera, troverà un'isola ecologica di tutto rispetto, così come nel giorno consacrato

al patrono, eponimo del luoghi, da rimanere talmente impressionato che non gli

parrà nemmeno vero.

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TAVOLA XV

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TAVOLA XVI

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Demopatia

La democrazia, si sa è la miglior forma di governo conosciuta: solo che passare

dalla semplice enunciazione all’articolata fruizione ne corre, e nel ns. Paese, tanto! E

chi sono coloro che ne determinano l’atrofia? I più convinti, i dichiarati democratici,

gli accaniti sostenitori, i veri e propri sbandieratori, gli stessi, i politici, che la

affamano, stornando nelle proprie tasche in modo non solo arrogante, ma soprattutto

beffardo le risorse ricavate da tanta fecondità. Loro prosperano prendendo per i

fondelli il prossimo e lo fanno con sadica dedizione, anche perché il loro conducator,

l’unico in buona fede, approva simile condotta, ne è soddisfatto e allegramente la

interpreta e, ripeto in buona fede, la dichiara sana, servizievole ed economicamente

soffice, perché insiste nel dire che è molto oculata da non dover mettere le mani in

tasca ad alcuno, (più onesto di così!). E intanto la manna piove nel Belpaese.

Però a proposito del Primus inter (im)pares sorge qualche perplessità sulla sua

perspicacia: i suoi collaboratori li sceglie lui nell’ambito delle persone di sua fiducia

e frequentazione e non sempre affidabili. Ora è mai possibile che tra la cerchia dei

suoi amici spiccano principalmente persone moralmente evanescenti, facilmente

liquefabili? Vuol dire che viene scelto un metro di valutazione che s’ispira al

principio di tanto più inconsistente, tanto più valido: solo così si riescono a capire le

debolezzucce di alcuni suoi collaboratori più stretti, quali suoi certi ministri, sindaci,

organizzatori e funzionari vari. Ce ne sono quanti granelli di sabbia potrebbe

contenere un bicchierino da liquore. Cosa volete che sia!

E forse anche in virtù di ciò un tal statista dai sondaggi più impietosi risulta in

assoluto il più amato dagli italiani (pare da sempre). Se tanto fosse, sbaglia chi pensa

che sia per caso, o un paradosso, è solo invece perché lui è assolutamente mondo da

qualsiasi macchia, e pur se di olfatto fievole nel fiutare certi farfallini, le investiture

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tranne eccezionali casi deve assegnarle su degli eletti dal popolo anche se

precedentemente indicati da lui, ma questo è di secondaria importanza. Dunque in

effetti chi claudica è il popolo. Infatti non è una sorpresa per alcuno, anzi è la cosa

più naturale di questo mondo che vi siano risultati di tal fatta, per un certo verso

segnati da difettucci di poco conto, rispetto a quanto invece avrebbero potuto

produrre designazioni di sana pianta effettuate e votate dalla maggioranza degli

italiani, una turba di corrotti in pectore, cioè a dire agevolmente corruttibili e quindi

preparati al momento della giusta occasione a sgomitare per entrare in ballo. E allora

cosa hanno a pretendere le persone oneste da una tal platea di aspiranti imbirboniti

fanatici? Questi hanno ben donde di scegliere Mammona e se la passerebbero pure

bene se anche loro venissero risucchiati meglio se minorenni, dal vortice di veline,

conigliette, massaggiatrici, escort, etc. etc., magari ai ritmi del bunga bunga, solo che

loro il piacere sono abituati a provarlo per induzione, così come dovranno al massimo

saperle afferrare solo virtualmente le sorprese più incredibili quale quella di ritrovarsi

al momento di comprare casa con un omaggio di metà costo piovuto dal cielo! Non è

‘na peddi ccu centu ciareddi di Carnilavari, è il pane quotidiano nel Paese dove Re

burlone governerà a vita con un consenso mai prima conseguito da alcuno, perché ha

saputo dimostrare quali doti di buffone possiede, caratteristica molto ambita nello

“Stivale”, nonché in Europa, così pure in tutto il mondo, un ecumenico buffone, e di

tutto questo ci vogliono privare una manica di giudici impiccioni e non solo perché a

‘mmidia ci mangia l’occhi, ma perché anche stalinisti! Non sia mai, il popolo deve

insorgere a scanso di equivoci (vedi paesi arabi) in supporto di un premier che sa dare

prova della sua alta qualità clownesca, tessendo speciali rapporti con i più affermati

pagliacci della politica mondiale, non a caso è diventato preferito interlocutore di un

tal rais libico: pares cum paribus facillime congregantur!

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TAVOLA XVII

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TAVOLA XVIII

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Capovolgiamoci

Il mondo vive interamente capovolto e noi non facciamo che plaudire,

accettarlo entusiasticamente e copiarlo nelle sue più disparate incongruenze.

Cominciamo dal nostro inizio di vita, con tante lotte per sopravvivere e

irrobustirci, finalizzate al prefissato scopo di indebolirci presto, languire e

scomparire!

E’ codesta una programmazione idonea, intelligente o divina, oppure il venire

al mondo già centenari vivendo il nostro tempo a ritroso non sarebbe l’opzione più

auspicabile, più corretta dal punto di vista, per così dire, burocratico, ed anche più

promettente e vantaggiosa a favore dei vecchi?

La natura è lo spettacolo di un articolato infinito di produzioni e come per

qualsiasi spettacolo per assistervi bisogna pagare, ed il prezzo che c’impone la vita è

l’invischiarci nelle sofferenze e la conseguente morte, prezzo che non possiamo

esimerci dal pagare dopo aver fruito dello spettacolo. Ed è il dopo lo spettacolo, cosa

che è alquanto irregolare, l’anomalia burocratica, perché il biglietto di ogni

spettacolo di norma va pagato all’inizio, prima che il divertimento cominci.

Stando così le cose bisogna trovare un compromesso: pagare subito, scontando

le sofferenze agli albori della vita, per arrivare, nascendo vecchi, visto che non si può

evitare, alla morte nell’ultimo stadio dei nostri giorni, in tenera età, con graduale

demotivazione inavvertita e indolore.

Pertanto invertendo l’alfa e l’omega, cosa cambierebbe? Tutto! Uno, si

risolverebbe con la piena guarigione la piaga più schifosa dell’umanità: la tratta dei

bambini. Chi cercherebbe più un bambino, sapendo che con la nuova

regolamentazione, questi sarebbe prossimo alla morte? Non solo, ci sarebbe invece la

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gara per l’accaparramento dei vecchi in tutti i sensi soprattutto in quello sentimentale,

interesse che al ricordo del trattamento a loro riservato oggi farebbe accapponare la

pelle di commozione! Due, si pagherebbe all’inizio per non pensarci più. Tre, si

vivrebbe vedendosi rifiorire e non avvizzire. Quattro, tante malattie batterebbero la

fiacca, ma soprattutto ci libereremmo dalla paranoia della morte, perché quando si è

in forma non ci si pensa proprio mai. Cinque, a tavola, la pastina, qualche uovo sodo,

la lattuga, il pancotto, scomparirebbero dall’ordinaria dieta alimentare degli anziani, e

per ultimo, ma è la cosa più importante, potremo goderci veramente la pensione e

avere voglia di spendere lieti di assecondare desideri ed entusiasmi.

Inoltre, a parte il raddrizzamento delle tante storture, il più confacente

ordinamento di vita ci abituerebbe ad una più aperta mentalità e ad una più efficace

cura contro ingiustizie e tragedie, cosicché non si andrebbe più ad incriminare chi

ferisce o ammazza qualcuno se a determinare il fatto come si apprende da giornali e

telegiornali è la concomitanza che improvvisamente spunta un coltello, una pistola,

un cacciavite, un crick… e allora che colpa ha quel povero cristiano del ritrovarsi uno

di questi arnesi inspiegabilmente spuntare in mano? O se i soldi prendono la strada

delle tasche di Tizio, Caio o Sempronio, come, sempre giornali e telegiornali ci

riferiscono, che ci azzecca punire i destinatari per essere stati scelti dalla fortuna? E

ancora inveire contro ubriachi e drogati per avere arrotato qualcuno sulle strisce

pedonali, non è fuor di luogo sapendo che i sobri non si privano certo di tale

passatempo? O se a seguito di pistolettate e coltellate i colpiti muoiono, non c’è da

dubitare sulla loro resistenza sicuramente molto debilitata? O se si muore per fughe di

gas, perché dare addosso all’utilissima composizione di idrocarburi, quando il più

delle volte non si è osservata l’importantissima avvertenza del preparare a “nemico

che fugge, ponti d’oro!”

Così s’interviene dove bisognerebbe saper comprendere, come è stato a seguito

per esempio della rassicurazione di un ministro nel caso del disastro di Viareggio

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dove fa chiarezza del tutto, rincuorandoci e tranquillizzandoci con l’informarci che il

cedimento di un asse del vagone è stato per colpa della ruggine, escludendo altre

responsabilità, e questo ci sarebbe bastato, ma si vanno a cercare altri cavilli per

mettere in croce chissà quanti poveretti estranei all’incidente, diversamente da

quando una valanga, una piena, un sisma, un cavallone, un fulmine etc. etc.

colpiscono a tradimento, portandosi via tanti innocenti disgraziati. E contro tali ladri,

omicidi? Niente! Li si lascia tranquilli, indisturbati e facoltati a colpire quando

meglio credono, diversamente di quanti li si fanno pagare, come già accennato per

colpe improprie.

Si potrebbe andare avanti di questo passo all’infinito perché purtroppo nella

vita si opera più da stolti che da virtuosi, e tutto per colpa del cattivo esempio fornito

dalla natura, fondamentalmente capovolta. E noi abituati ad assorbire da lei operiamo

spesso con folle discernimento. Un esempio plateale: il nostro carnevale.

Incomparabile manifestazione di allegria che ci fa vivere alla grande e nonostante ciò

le dedichiamo una piccola finestra in un anno e incomprensibilmente ce lo neghiamo

per il resto dei dodici mesi!

Io penso che ci sia molto da riflettere, ma detto tra noi è tempo perso, o no?

Chiudo augurando un buon onomastico a tutti gli acesi e non.

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TAVOLA XIX

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TAVOLA XX

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E’ solo colpa nostra

Cos’è che ci fa arrancare dietro Paesi in tutti i settori meno dotati del nostro?

Indubbiamente la guida politica ancora pervasa da retaggi prebellici, quali l’impegno

ad uniformare il pensiero, la valorizzazione della mediocrità, il nepotismo, il

clientelismo, la gara ad ingraziarsi la Chiesa tanto da rendersi del tutto arrendevoli

anche in politica, l’ostentazione di una grandeur che non c’è, cullandoci quasi da

razzisti su una inesistente ma presuntuosa superiorità del nostro popolo (molto

disunito) rispetto agli altri, l’innalzamento d’importanza alla rappresentanza politica

miseramente sconfitta dalla storia e conseguentemente la tentazione a rifascistizzare

in modo strisciante etc. etc., il tutto condito da una vuota retorica finalizzata e

manovrata da incalliti demagoghi verso scelte prive di sostanza. E questa latente

nostalgia di un passato falsamente glorioso e grandioso si appoggia al sapere

apparire e con l’arte dell’illusione a far sognare realizzazioni nelle quali

paradossalmente i primi a non credervi sono gli stessi proponenti. Così ha agito,

infrollendo la complessione della Nazione, il fanatico coltivatore del garofano, così

continua ad agire ai giorni nostri un suo pupillo in pectore.

Infatti questi con un curriculum personale assai sfuggente ma costellato di

massimo successo nell’affermazione da ceto medio, incanta un popolo

essenzialmente incolto, sognatore ed aspirante borghese, smanioso di votarsi anima

e corpo al solito illusionista di turno, confermandolo oggi con la ferma stima in un

demiurgo in grado di dar soluzione a qualsiasi tipo di istanza in corso e prevenire

quelle per l’avvenire, come già accaduto con il duce, costruttore del più grande

impero di macerie, così pure con la personificazione del socialismo miliardario. Il

nostro eroe comunque, profondo conoscitore delle pulsioni umane e del giusto

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equilibrio del dare per avere, non si scandalizza o storce il naso facilmente, cosicché

da incomparabile affarista, nello scendere in politica precisi calcoli di convenienza

non gl’impediscono di rappresentare un porto sicuro per tutti gli arrivisti di dubbia

reputazione, non per forza scellerati dediti al crimine, ma saltuari grandi corrotti o

fidati collusi malavitosi di ampio respiro o mediocri falsi amici dei potenti,

particolarmente graditi ex piduisti, transfughi politici, spregiudicati difensori,

insomma un’accozzaglia di invertebrati dell’etica pubblica: patetici imbonitori

riverniciati di fresco sopra una stantia ipocrisia. E questi figuri non si risparmiano a

contraccambiare al momento giusto e intanto si corroborano di conforto e di onori

alla corte del cavaliere, garantista di principio, vedi caso quasi sempre non per

imputati in attesa di giudizio, ma per condannati in più gradi. Una simile

disponibilità sembrerebbe sgorgare da delicatissima sensibilità se non si presentasse

ad intorbidarla l’inquietante sospetto di un agire a buon rendere. D’altronde

un’insignificante premier politico, e a scanso di equivoci ribadisco, insignificante in

politica in quanto il resto in questa sede poco interessa, su quali consensi può

cementare l’esercizio del potere? Certamente non su quello di intellettuali liberi e

probi, né su gente laboriosa e fattiva, ma con molta sicurezza sul consenso di ribaldi

ormai palesi agli occhi dell’opinione pubblica eccetto però a quelli del

provvidenziale ricuperatore di verginità al punto che tanto per esempio un sindaco

affossatore di un’importante città per punizione lo si gratifica con un posto a palazzo

Madama. Con tali feconde precauzioni terminano inventati conflitti d’interesse,

noiose discussioni parlamentari, sciocche proposte dell’opposizione, il consenso è

unanime e anche quando c’è da rimangiarsi dichiarazioni fatte in barba a qualsiasi

registrazione a detta loro, ad una sola voce, inattendibile, si è d’accordo nello

smentire categoricamente: un’armonia perfetta se non rievocasse tristi scenari, e

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questo ci preoccupa anche se è fisiologico ai cicli storici con relativo risorgere

dell’araba fenice dalle proprie ceneri!

Per l’uomo non ci sono insegnamenti che tengano, e per quante malattie

riuscirà a sconfiggere, riguardo all’ingenuità non ne verrà mai a capo. C’è però da

dire che non è affatto facile resistere all’instancabile, subliminale bombardamento

mediatico di anni ed anni e al delirio di onnipotenza di un moderno re Mida

abilissimo a farsi perdonare l’alta considerazione di sé e la sua natura tanto

narcisistica da imporre un nuovo culto di personalità dovuto al fervente capitalista

fortemente impegnato ad esaltare un non proprio limpido, anzi assai discusso

arricchimento borghese, tuttavia tanto invidiato da pervicaci toghe rosse da ritrovarsi

a causa della loro persecuzione perennemente con il fiato grosso.

Da come vanno le cose, il teorema arricchimento-invidia-persecuzione-

consenso si cristallizza e promoziona a meraviglia, pur se la sua cieca accettazione

ne comporta un costo magari al momento impalpabile, ma che non tanto alla lontana

immancabilmente presenterà il conto come recenti esperienze ben dovrebbero

insegnarci.

Io appartengo alla nutrita schiera dei predicatori nel deserto e malgrado

l’irrisione subita da catechizzati furbi guitti, auspico con tutto il cuore di sbagliarmi

sulla pericolosissima diagnosi di oggi foriera di un prossimo futuro assetato di

lacrime e sangue, ma in tal caso la colpa è solo nostra che votiamo da schifo!

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TAVOLA XXI

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TAVOLA XXII

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Ce la possiamo fare!

La politica ha subìto un preoccupante travisamento di finalità. Una volta,

parecchi decenni fa l’affermazione politica si ambiva per conseguire il

riconoscimento pubblico di onori, ed era talmente forte il desiderio di offrire il

proprio impegno al servizio degli altri che i candidati in competizione arrivavano a

volte a metterle a disposizione anche il patrimonio personale. Di solito erano le

famiglie aristocratiche del tempo (le più abbienti) che attraverso gli appartenenti più

ragguardevoli ingaggiavano tra di loro agguerrite sfide.

Ma con la legittima volontà popolare all’ampliamento a partecipare nella

scelta della rappresentanza e al crescente imborghesimento anche oggi i contendenti

non guardano alla propria borsa nel senso di alleggerirla, ma a quella pubblica,

pratica purtroppo talmente in uso con il trascorrere degli anni da farla accettare quale

normale. E sta qui il busillis: il rovesciamento delle finalità della politica, non più al

servizio del pubblico, ma al servizio del manovratore. E’ sotto gli occhi di tutti la

strumentalizzazione del conseguimento del benessere nell’interesse privato. Ad

Acireale poi non se ne deve prescindere, è un dovere categorico tanto da poter

imputare ad occhi chiusi da più di un cinquantennio a questa parte gli amministratori

locali ed oltre di interesse privato in atto pubblico, tutti tranne pochissime eccezioni

additati da un elettorato ormai vergognosamente corrotto, come incapaci e ladri,

invece che onesti e leali. Allora perché a misfatto compiuto per averli votati, dopo ci

si cosparge il capo di cenere? E’ un esercizio ad esorcizzare il proprio divertimento

da autolesionisti! Così sembrerebbe a prima vista se si ignorano le origini del voto di

scambio per cittadini di un dopoguerra privi di mezzi ai quali dinanzi alla possibile

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fruibilità di qualche piatto di spaghetti gli si annebbiava il lume della ragione, se si

ignorano le riunioni in parrocchia e i comizi nelle prediche nel bel mezzo delle

messe o le benedizioni e le raccomandazioni invariabilmente per ogni candidato

della “sacra” appartenenza promozionato dalla Curia, spesso finito per avere guai

con la giustizia, o se si dimenticano tutte le prese per i fondelli destinate ai postulanti

per via di promesse già in partenza le più inattuabili. E allora di cosa ci si lamenta,

qual’altra situazione ne poteva scaturire? Abbiamo quel che meritiamo!

Veramente, Acireale manca di persone serie, oneste, disinteressate, ligie e

preparate? Assolutamente no! Il problema è di andarli a stanare e coinvolgerli. E la

strada più sicura è l’energico prendere le distanze dal bailamme elettoralistico,

smettendo di accettare a scatola chiusa i proposti da coloro che ad urne aperte

spartiranno la torta in gioco. I candidati vanno scelti dopo attenta radiografia della

loro vita professionale e sociale: è l’unica garanzia di affidabilità. Rinsaviamo quel

tanto per comprendere le storture di chi nella stanza dei bottoni si ritaglia leggi ad

personam o “lodi” (di genere maschile) ad assicurarsi l’impunità o si prepara ad

autoconsacrarsi prossimo presidente della Repubblica e frattanto da premier

spargendo fumo negli occhi affronta la grave crisi economica con rattoppi clientelari

che il più delle volte per spudorato conflitto d’interessi andranno ad ingrassare il suo

personale patrimonio. Invitiamo i nostri parroci ad interessarsi maggiormente alle

liturgie spirituali lasciando ad altri le politiche. Non lasciamoci abbindolare dai tanti

fanfaroni in giro che come la storia c’insegna facilmente tendono ad una deriva

reazionaria com’è stato a casa nostra con il fascismo, come in Germania con il

nazismo, come in Spagna con il franchismo. Insomma se ci si vuol preservare da

sconsiderate scelte, grazie ad una preziosa democrazia conquistata ad un prezzo

altissimo di sangue, lo possiamo con l’arma del voto, mostrandoci avveduti nel

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puntare questa nelle giuste direzioni e non nelle nostre tempie come finora abbiamo

fatto. Noi della Sinistra, malgrado certe invidiose accuse, continuiamo con orgoglio

a rivendicare il primato della moralità. Non è un mistero per nessuno l’alto tasso di

rappresentanza politica discutibile nelle file di un premier padrone che per esoterici

fini ha avuto sempre bisogno di attorniarsi di poco qualificate persone. Noi

preferiamo vaccinarci attraverso le primarie così da poter giustamente proporci quali

elementi di garanzia, quindi partecipiamo fiduciosi e compatti al voto, vedrete che

con l’ottimismo della volontà come già successo su più vasta scala potremo

ritrovarci riconfermato l’auspicio di grande attualità: ce la possiamo fare!

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TAVOLA XXIII

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TAVOLA XXIV

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Sconcerto di un onesto lavoratore del rumore

-Ciao, novello Charlot, da dove sbuchi fuori? E’ parecchio che non ti si vede.

Sapevo ch’eri andato all’estero

-Le mie solite peripezie altruistiche: non fare bene, se non vuoi vedertelo reso

a male. E’ meglio non parlarne, mi ci rodo il fegato

-Dài, dài, racconta, io voglio sapere, vado ghiotto delle tue avventure. Lo sai

che sono un tuo ammiratore

-E va bene, le preghiere di un amico vanno esaudite. Allora, seguimi. E’ noto

che nel mio mestiere oggi non ci si azzecca più. In Italia c’è troppa inflazione di

comici: alla radio, in tivù, nei teatri, sulle piazze! Tutti con la pretesa di far ridere, e

invece che barba! Gli unici a riuscirci restano i politici, e quando no, fanno piangere.

In ogni caso un’emozione diversa dalla delusione te la regalano sempre. Ma

torniamo a me. Sulla scia di tale consapevolezza ho capito che bisognava trovare

l’idea geniale, e appena ne sono stato toccato non ci penso due volte a seguirla. Mi

metto sul treno con destinazione nord, prefiggendomi di andare a rappresentare lo

stesso sketch che ha lasciato completamente indifferenti gli ascoltatori conterranei.

Lancio la tournée da Roma in su, e salendo salendo, insoddisfatto del consenso mi

convinco a sconfinare. Appena dal finestrino del treno comincio a leggere nomi di

località tedesche, francesi, italiane, penso di aver trovato la ribalta universale, quella

a cui ho sempre modestamente aspirato. Finalmente il successo! Ed alla città che più

delle altre mi ha attratto per il nome, scendo

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-Malgrado i problemi della lingua?

-Niente problemi di lingua, invece, perché il mio numero li esclude, in quanto

centrato sul sonoro, il linguaggio internazionale, il cemento dei popoli: le delizie

della musica, montata secondo i canoni della sinfonia, eseguite ovviamente in

playback, e commentate dai mimi di un clown finalmente destinato a sbarazzarsi

dell’inesorabile tristezza che lo affligge. Il posto scelto non poteva essere più adatto

per farmi da sfondo: la passeggiata sulla riva del grande lago perdutamente

immobile, dolorosamente piatto, diafano, quasi spettrale, e di fronte, circondato da

verdi giardinetti senz’anima, le piccole case imbellettate, gelide e spaurite, dentro le

quali mute persone esangui si lasciano avvinghiare dalle spire di un desolante

silenzio. Ero arrivato in tempo a salvarli dalla tragica epidemia di alienazione

esistenziale. Corsi a prendere una camera a pigione presso una locanda più cara

dell’Hilton, ma non mi scomposi più di tanto ad attingere dalle mie magre risorse

che nella stessa serata avrei rinsanguate copiosamente con le offerte ricavate dallo

spettacolo. Ed invece che ti realizzo, porca puttana? Il foglio di rimpatrio

-Ma come?

-Faceva maledettamente freddo, e nonostante ciò, la mia tenuta da clown

aveva, pur se compostamente intirizziti, catalizzato attorno a me parecchi curiosi

forse in segno di solidarietà con il personaggio. Io battevo i denti con coraggio,

perché presto ci saremmo scaldati tutti, lasciandoci irrorare dalle feconde linfe di

vita. Con gesto distratto attivai la base sonora dal registratore nascosto sotto le

cianfrusaglie di scena. Dietro una flebile musichetta, ottenendo l’immedesimazione

degli astanti, cominciai a muovermi davvero triste più che per la parte, per la

constatazione del gradimento dei fruitori, meccanicamente trovatala congeniale, e ne

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ebbi quasi rimorso di aver posato un dito sulla piaga, consolandomene però subito

grazie al riscatto che mi sarei preso tra meno di un minuto. All’acme della

languidezza in cui tutti ci trovavamo consegnati ad una specie di assopimento

comatoso, un impercettibile tremolo di clacson mi fece gemere la platea

dubbiosamente grata o indispettita. In ogni caso avevo fatto bene a preparare

l’introduzione del tema liberatorio con un accenno alla lontana. Dovevo sapere

influenzare le coscienze al risveglio, alla riscossa, al trionfo della vita sana e

dell’amore, sul deperimento cronico. E così a piccoli frammenti s’introdussero

nell’idilliaco dialogo concertistico, l’allegro chiasso della gente nostrana, le

carezzevoli marmitte dei fracassoni, gli allarmi delicati degli antifurti, i dolci abbai

di alani, mastini, dobermann, limieri, siberiani, l’innocente scoppiettio di colpi di

pistola (giocattolo e vera), di petardi, mortaretti e castagnole, in un crescendo

rossiniano di raro fascino. Il risveglio fu immediato: gli spettatori impazziti mi si

scagliarono contro come se fossero stati morsi dalla tarantola, e se non fosse stato

per una pattuglia di agenti in servizio di ronda lesti ad intervenire, non ne sarei

uscito vivo. Le mie cose furono ferocemente prese a calci e a manganellate finché

non le ridussero al silenzio. Condotto in caserma, mi fu compilato il foglio di

rimpatrio che molto cortesemente mi ordinava di sloggiare dal Paese entro 24 ore.

Che gentaglia, incivili, roba da quarto mondo! Come si fa ancora oggi alla soglia del

2000, a respingere la cultura della musica, a disconoscere i messaggi lanciati da un

Mozart, un Bellini, uno Chopin, e ci chiamano pure terroni, facce di mozzarella! A

parte che per la diffusione del messaggio e l’immediatezza di captazione non esiste

niente di uguale. Infatti quale servizio postale o mediale potrebbe equiparare la

funzionalità di una successione di provvidenziali castagnole, nel caso in cui per

esempio la giunta comunale volesse porgere gli auguri di una festa capitale alla

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squisita cittadinanza? Con il beneficio per giunta di prendere due piccioni con una

fava, quali il realizzo di un grosso risparmio economico e la certezza di non aver

dimenticato alcuno, specie qualche sofferente, di quelli che ormai non escono più di

casa e che facilmente se ne potrebbe perdere il conto. O nella ricorrenza di un

patrono amato e venerato anche da cani e gatti, una S. Venera per esempio o un S.

Sebastiano, qual’altro servizio potrebbe sostituirsi ai melodiosi omaggi collettivi

offerti già da parecchi giorni prima della festa oltre che nei giorni dell’onomastico e

a seguire fino all’ottavario per l’invio delle congratulazioni da parte dei devoti,

evitando di condannare il poveretto al seppellimento per l’eternità sotto la valanga

dei messaggi augurali singoli? L’impagabile metodo diventa poi insostituibile

quando tramite i preti, loro rappresentanti, la comunicazione ai fedeli la vogliono

dare gli esseri celesti, perché qui è importantissima la simultaneità tra l’evento e la

disposizione ad onorare da parte del devoto, dato che le forze benigne e maligne si

ritrovano sempre in campo a combattersi. Cosicché se si vuole adorare la pipì

dell’angioletto, il colpo di tosse del Padreterno, o lo sternuto dello Spirito Santo,

bisogna essere sincronizzati a perfezione per non correre il rischio di raccogliersi in

un momento di poco successivo, incappando sotto la sovranità di Lucifero e beccarsi

la beffa di una qualche scorreggia in faccia di un Belfagor o Farfarello qualsiasi,

visto che lì si magna, scorreggia e rotta, come i gran figli de ‘na mignotta! Per cui

tante più castagnole, tanta più tutela divina ed alla faccia di quegli stronzi

incompetenti che non hanno gradito il mio impegno d’incivilimento. Tuttavia io mi

domando e dico come può non fallire l’integrazione dei popoli in un’Europa grande

e unita quando diventa intollerabile l’accoglimento dell’apporto culturale di varia

provenienza?

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-Hai ragione per gli Stati che vi aderiscono. Però da quello che ho capito tu eri

andato a sbarcare in un Paese neutrale

-Allooora, se così è stato, mi perdonino e mi scusassero tanto coloro, se ce ne

sono stati in questo resoconto, che si son sentiti mancare di rispetto. E’ stata solo

colpa di carnevale!

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TAVOLA XXV

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TAVOLA XXVI

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Tristezza o tenerezza per i nostri mezzi Giufà di oggi?

Giufà è la maschera nostrana più popolare che in qualche modo ci rappresenta

un po’ tutti, ma fa soffrire ed offendere molti se ad essa vengono comparati; costoro

ne colgono solo il tratto burlevole, tralasciando il sagace essenzialmente genuino nel

personaggio. Infatti il nostro simpatico pacioccone, il gonzo lo faceva per libera

scelta, però ad essere sfidato, trovava sempre la giusta risposta, come quella volta

dell’accettazione dell’invito ricevuto a partecipare ad un simposio con la

raccomandazione a presentarsi in abito decente, puntuale a stupire i convitati per lo

zelo speso a dar da mangiare al suo vestito.

Insomma Giufà potrebbe rappresentare il progenitore ideale, nient’affatto dei

moderni omonimi, per ragioni che spiegherò, ma per esempio del fu Bastianu

Pastidda (quanti acesi lo ricordano?) anch’egli portatore rispetto all’apparenza, di

più complessa personalità, e per tal motivo insospettato dai suoi balordi irrisori

anche le volte che vi s’imbattevano durante le imprevedibili ed impeccabili

esecuzioni del suo semplice fischiettare flautato pezzi d’opera seria di struggente

dolcezza. Ma siccome qui da noi vale il detto: “fatti fama e va’ cùrcati” e i nostri

due campioni sono stati presi in considerazione solo per l’aspetto più superficiale e

immediato, è a questo che io cercherò di dar risalto nel parlare di tanti palloni

gonfiati in giro esclusivamente costituiti di melenso, pur se indossando in effetti una

maschera carnascialesca tutto l’anno, ben sintonizzata con il loro goffo atteggiarsi,

meritatissima credenziale perché possano interpretare al top il ruolo di protagonisti

della presente miscellanea satirico-allegorico-grottesca, nonostante ciò, vengono

comunque riveriti al punto d’acquisire di diritto dignità di padreterni.

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Purtroppo tali personaggi in Acireale abbondano e dei loro sfolgoranti sorrisi

la città s’illumina nel suo faticoso cammino verso la (in)civiltà. Questi fascinosi vip,

regolarmente benedetti, gravitano attorno al “Grande Vecchio” che a differenza di

quello degli anni “70” è facilmente riconoscibile per le sue ubbie di autodifesa

contro, si pensa, un immaginario Dracula, visto che porta sempre, anche nel sonno,

appeso al collo un crocefisso forse ad interdire l’avvicinamento ed attacco a sorpresa

dell’ossessionante vampiro, della cui ingordigia di sangue avrà grande

preoccupazione oltre che per sé per i suoi sudditi già consensualmente e

gioiosamente abbastanza sfruttati, per via degli enormi benefici goduti dalla casta a

cui appartiene il tanto amato vigilatore, sebbene qualche suo superiore indignato

invita a smetterla con le false accuse, a bella posta ignorando, le franchigie e le

rigogliose spese di restauro da una reggia all’altra con annessi i possedimenti,

accordate agl’incontrastati prìncipi, ovviamente a carico della comunità e in

sostituzione di qualsiasi altro opportuno e urgente intervento per il quale non si

trovano mai i fondi.

Da cinquant’anni almeno, va così, ma a c(o)asa nostra, al timoniere bisogna

baciare la mano.

Questo excursus andava fatto per capire l’affermazione dei tanti Giufà in

circolazione, per giunta totalmente fatui, sostenuti e gratificati dal guazzare in un tal

mare di misericordiosa Provvidenza.

In una situazione del genere non è stato difficile risultare buon profeta nel

bozzetto “Facce di culo ridens” dello scorso “Numero Unico” sulla inevitabile sorte

assegnata ad alcune strade della nostra città di diventare durante le piogge autunnali

delle lagune per un certo verso molto suggestive con l’apporto dei sacchetti di

spazzatura (nel centro storico destinata alla raccolta porta a porta) galleggianti

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come ninfee. Infatti in un primo tempo, le piogge, tale spettacolo hanno offerto,

sennonché il diluvio dei giorni dell’ultimo Ottobre ha sconvolto lo scenario

trasformando la laguna in violente cateratte e i fiori del “male…intenzionato” in

marcescente pattume incastrato tra le grate dei tombini disattivati.

Ma da ora in poi il grande piano indiscriminato della lastricatura in basole delle

strade del centro storico, (via Alliotta per es. e via Carcagnolo erano molto più

eleganti con le mattonelle di prima e resistenti lo stesso nel tempo essendo quasi

solo pedonabili), con la loro miracolosa pendenza assegnata, ci metterà al riparo se

non fosse che le lagune le ha trasferite dentro le case. Infatti, studiati

meticolosamente pendenza e poco o niente il livello delle soglie, considerato in

passato poco importante e quindi ereditato zoppicante tra edificio ed edificio, ed

avendo assegnato, alla pavimentazione dei marciapiedi l’altezza dalla carreggiata, si

pensa ad occhio e senza alcun criterio, risultata in alcuni punti al di sopra della

canaletta di scolo del cortile interno, va a finire che una normale pioggia, occluso lo

sfogo trattenga l’acqua a risiedere nei vestiboli, e a volersene liberare, in mancanza

di idrovore, non resterebbe altro da fare che assoggettarsi agli stivali o con stracci

asciugare e strizzare per un paio di giorni.

A riparazione di ciò si è dovuto ricorrere a divellere la basola ostruente dando

risalto ad una specie di gattaiola scavata verso il sottostante piano pedonabile (in via

Caronda ad es.) e costringendo la canaletta a mostrarsi come un timido pene dal

glande mozzato, nel suo ristabilito ruolo di svuotare il male accetto laghetto

costituitosi dentro.

Quale impressione se ne può trarre da una tale soluzione avallata anche da chi

i lavori dovrebbe sorvegliare e pretenderli puliti? Non c’è altro, questi

amministratori bisogna che siano per forza dei mezzi Giufà, cioè veri e propri

minchioni ridarelli in veste di palloni gonfiati, perfetti testimonial dell’antico ed

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universale adagio:”risus abundat in ore stultorum”, anche se ad Acireale fanno le

loro apparizioni trasfigurati e con l’aureola di superiorità intellettiva ed intellettuale,

verso i quali però non si può non provare un indefinito sentimento oscillante fra

tristezza e tenerezza!

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TAVOLA XXVII

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TAVOLA XXVIII

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Reciprocità clonatoria

Per i risvolti etici troppo angoscianti, nel vasto oceano delle manipolazioni

delle cellule, prelevate da sotto le ascelle, dal midollo spinale, dal profondo

dell'ano, dalla sommità del prepuzio, la più collaudata e meno inquietante, dal

cordone ombelicale, etc. , la reciprocità di clonazione, un metodo in via di

sperimentazione proprio qui ad Acireale che io proverò ad illustrare

comprensibilmente, con la sola condizione per gl'interessati a conoscere, di dover

ingurgitare la sbobbia a seguire, che è più pericolosa perché meno controllabile,

pur se largamente sospettabile dal coinvolgimento degli ormai presunti

protagonisti di grande notorietà.

La mia scoperta sulla grande scoperta scientifica è solo casuale e si origina

dalla notizia di cronaca del pistolettato a morte, causa schiamazzi prodotti dal suo

cane, fatale epilogo dopo essere risultate inefficaci le reiterate rimostranze alle

forze dell'ordine e dimostratasi infruttuosa l'uccisione dell'incolpevole animale,

producente soltanto la sostituzione con un altro, ancor più provocatoria a

determinare il ritorno al punto di partenza, cioè alla sorda chiusura della

controparte, e conseguente accanita intolleranza da parte del querelante verso

l'insostituibile amico dell'uomo, per cui all'autore dello scellerato delitto,

l'eliminazione dell'irriducibile cinofilo, era apparsa la più idonea a risolvere il

problema, anzi la via obbligata! Orrore!

E qui venne alla mente la conoscenza del nostro eroe, il sig. Pelosi,

presentatomi or non ricordo da chi: un uomo di grande caninità, tra l'altro

risaltante in un volto da schnauzer, semipelato sul cranio, e dedito a non

risparmiarsi punto in beneficio della felicità dell'amato quadrupede. Ci raccontava

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quasi con le lacrime agli occhi, del recupero d'una bestiola abbandonata in

autostrada, raccolta in macchina ed inserita in seno alla famiglia, e di conseguenza,

del trattamento a casa, delle cure, dell'igiene, dell'alimentazione, a ricambiare la

gioia procurata a lui e consorte, ai figli, al vicinato. Sì, anche al vicinato, perché

poco a poco il grazioso animale con la sua insinuante voce era arrivato ad

introdursi nelle abitazioni dell'isolato ed oltre, facendosi da tutti amare, per essere

riuscito di diletto al loro udito. Ad Acireale tant'è: per i cani si nutre un fervore

simile alla religiosità. Lo noti dappertutto, tra i servizi degli uffici,

occasioni in cui gli utenti non ci pensano due volte ad abbaiare perché cambino,

sui marciapiedi con secchiello e paletta pronti a rimuovere nucàtuli, srunza

d'angili e piparelli, nei giardini pubblici a gradire le leccate e gli abbracci dei

festosi fraternizzatori in libertà di guinzaglio e museruola, sulle spiagge e in acqua

a contraccambiarsi l'allegria, nei bar a premurarsi ad offrire al tenero compagno

dell'uomo un gelatino, la pizzetta o un arancino, e via di seguito.

Come può tanta solidarietà da una parte, trasformarsi in propositi di

ferocia in un'altra? Esplosione di follia di gente tutt'al più avvezza a dedicarsi

sfacciatamente al prossimo più sfortunato, finendo con l'umiliarlo, in quanto il

frivolo altruista si volge ad aiutare esseri intelligenti, forniti delle capacità di

autoprovvedersi, i quali se non ci riescono è per via del risultare dei minchioni

buoni a nulla, quindi di esempio a spronare durezza verso di loro e pietà verso i

fedeli animali.

Essendo impegnato nell'ambiente della didattica, il signor Pelosi queste

cose le conosceva a menadito, e perciò dell'intrapresa opera di rieducazione

domestica del trovatello, si pavoneggiava compiaciuto. Il suo cane veniva allevato

alla grande: il posto d'onore occupava a tavola ed anche la piazza del letto gli

veniva ceduta d'estate dal verace salvatore pronto ad andare a dormire sul

ballatoio, invece che d'inverno con il freddo, nonostante il cognome portato e la

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fitta barbetta, poca cosa, poiché per il resto la sua cotenna non poteva competere

con la pelliccia del pregiato ospite, l'ineffabile rinunciatario, riscambiandosi il

giaciglio, e regalando all'altro l'addiaccio, tornava accanto alla moglie.

E pur se il pedagogo, per l'esigenza di programmare al nobile educando

un'impeccabile crescita cinomaniacale, dinanzi agli evidenti capricci del

principino a quattro zampe nel lamentarsi intere ore, in pratica tutta la notte,

gratificando felicemente i vicini, dagl'invidiosi privi di una tale fortuna, definiti

curnuti pacinziusi per la sola grande colpa di gradire i furbi mugolii del relegato

sul ballatoio mirati ad intenerire per via del suo ritrovarsi poco entusiasta durante

il buio della fredda stagione, pur se il pedagogo, dicevo, aveva autoritariamente

dovuto, malgrado le frecciate di ludibrio già subite, usare il polso fermo,

nondimeno lo zelo da lui profuso nella sua opera altamente caninitaria era

commovente, e anche senza conoscerlo, nell'incontrarlo per istrada, quell'impegno

totale di primo acchito gli si riscontrava sul viso radioso.

Però all'operatore in didattica sfuggiva l'insegnamento di Darwin

sull'adattamento ed evoluzione delle specie. E a furia di abituare il suo pupillo a

guardare i fumetti e d'impratichirlo a camminare su due zampe e a pisciare eretto

attraverso le aste della ringhiera in modo che il getto scansasse i balconi di sotto,

così da essere eliminato il problema igienico dal quarto piano in giù, non si

accorgeva, che lui, di contro all'umanizzarsi del diligente discepolo, stesse

imbestialendo.

II fenomenale neofisiantropo continuava a conseguire incredibili progressi:

era arrivato ad usare le zampette anteriori come mani, a superare una miopia agli

occhi con lenti correttive, ad ascoltare la radiolina con gli auricolari, e ogni tanto si

concedeva uno spinello. Smise di abbaiare, privando i vicini degli assoli della sua

armoniosissima ugola, per cui li fece insorgere a rivendicarne il perduto

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godimento.

Da dietro la porta d'ingresso, la padrona di casa, si venne a trovare

indaffarata nel convincere i rivoltosi a pazientare, e con i motivi più disparati,

si scusava di non poterli ricevere.

In verità non poteva, avendo da nasconder loro il marito ridotto

ad abbaiare in un cantuccio dell'appartamento, mentre il cane divenuto il vero

padrone, se la godeva sul ballatoio a figurare i movimenti dell’ultimo ballo in voga,

in attesa di uscire con il suo ex padrone al guinzaglio, per l'ormai preparato

debutto lungo la passeggiata di c.so Umberto.

II processo di cinometempsicosi s'era concluso ineluttabilmente, al punto

che se si fosse voluto clonare il cane, bisognava agire sul padrone e viceversa,

poiché intervenendo sull'uno si finiva per clonare l'altro! Adesso mi spiegavo le

sfuriate di un dirimpettaio contro gli schiamazzi prodotti da discoli ragazzini su un

ballatoio, invece che al lamentoso abbaiare di un cane carcerato e maltrattato vi si

rassegnava. I monelli bisognava riprenderli da piccoli, impartendogli gli elementari

principi di educazione civica, se a loro si vuol da grandi evitare di diventare altri

sigg.Pelosi, irrimediabilmente paranoici.

L'episodio è realmente in corso di svolgimento in contrada c.so Sicilia, e di

approfondito studio da parte di autorevoli scienziati (sarebbe meglio se psichiatri)

sulla reciprocità di clonazione.

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TAVOLA XXIX

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TAVOLA XXX

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Vivere per fingere?

Io mi sono ritrovato spesso ad interpretare il ruolo del difensore delle cause

perse, e non per essere un bastian contrario come si potrebbe pensare, o perché ami i

torti arrecati, i reati commessi o i crimini consumati, ma esattamente per il suo

contrario, nel senso che quasi sempre la traduzione della giustizia nei fatti pare che

sia interessata a difendere più gli insubordinati che gli onesti.

Non a caso ripone le ricchezze nelle tasche della delinquenza e le ripara da

sequestri o espropri. Tutta la rassegna omicidiaria indica come i rei protagonisti

vengono trattati con i guanti gialli e quasi sempre i danneggiati diventano i

perseguitati, tanto che spesso i ruoli di vittime e carnefici sembrano invertiti. Si dà

gran risalto al pentimento, si è molto teneri con l’età avanzata e con il cattivo stato di

salute, spesso finto o poco significativo, incompatibile con la detenzione,

rassicurando chi ha intenzione di delinquere che a cose sapute fare non si rischia

nulla, e si finisce con il protegger lo storto ed onorare il torto. Tutto si basa sulla

pesca nel torbido della finzione. Partiamo dal vertice della piramide in Italia: la

Chiesa. Papa, piccoli, alti prelati e preti fingono l’onniscienza, della quale si

accreditano unici assegnatari per principio e di conseguenza irrefutabili

s’intromettono nella scienza e per prassi ne rallentano gli sviluppi, poiché sanno che

dai benefici ottenuti dalle scoperte scientifiche dipende l’assottigliamento della loro

influenza sulla clientela. Dal loro presunto celibato stupiscono di quanto sono dotti

sulle relazioni sentimentali riguardo le quali dovrebbero essere digiuni, poiché a

sostituire l’esperienza non c’è studio che tenga, e stupiscono anche quando vi si

scoprono implicati, nelle relazioni pedofile, cioè a dire sul loro terreno congeniale

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grazie alla loro crescita in seminari di rigida apartheid dalle donne e a causa del loro

negato matrimonio. Maledicono la vendetta e glorificano il perdono e senza saper

tracciare le certificazioni di cosa sostanzialmente siano, creano una gran confusione

popolare da lasciare intontiti e a bocca aperta.

Segue la macchina dello Stato, una sfiatata locomotiva di carrozze e carrozzoni

carichi di pentoloni di svariate ricchezze raschiate alla gran massa di sostenitori dei

quali i bisognosi sono i più gravati da amministratori per lo più ladri, corrotti e

magnaccia che a seguito dei loro misfatti compiuti approdano alle due camere di

decompressione penale del parlamento, rimaneggiando le leggi a loro uso e consumo

e aggrappandosi a mostruose impunità, in modo che le pene previste per i loro

trascorsi disonorevoli, comportamenti quasi propedeutici al ruolo di onorevoli,

risultano evanescenti come farfalle. A giustificazione di tale squallido armeggio si

costruiscono una massiccia propaganda di sostegno con il compito d’infangare,

facendoli passare, coloro che disapprovano e invocano giustizia, per forcaioli,

ghigliottinari e comunisti. Tale compito è affidato in parte ai mass-media per lo più

omertosi e all’occasione collusi specie quelli del Sud, e in parte a quote di zelante

avvocatura e magistratura compiacente nel dimenticare la scadenza dei termini. Ed è

da questo intreccio di intrighi che lo Stato soprintende al benessere del popolo bue, e

lo fa da grande narcotrafficante con il monopolio dei tabacchi e da ipocrita operatore

di taglia e cuci con la cura dei danni procurati da questa micidiale droga. Inoltre

gestisce il monopolio del gioco d’azzardo come il lotto, il gratta e vinci e slot-

machine per altri aspetti non meno inquietante, e fino a poco tempo fa quello dei

bordelli. Questi sono i capisaldi da cui i cittadini dovrebbero prendere esempio e

infatti non deludono nel sapersi distinguere nel mondo come evasori fiscali e migliori

progettisti mondiali di truffe e raggiri a tutti i livelli e per tutte le tasche con la

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complicità di una buona fetta di coloro che dovrebbero vigilare perché non

avvengano. In aggiunta si scrivono leggi ridicole per il civile e il penale, e

viene vigilata da sindacati sempre divisi e perciò impotenti che poco alla volta van

convincendosi che la disoccupazione si combatte con i licenziamenti.

Per perseguire il bene generale e muoverci in piena libertà del far finta,

sprofondiamo immersi in una palude nella fitta nebbia dove trovare il passo adatto e

la giusta direzione pare non sia più possibile almeno fin quando non si capisce che al

calo di produzione di macchine corrisponde una migliorata condizione nazionale di

salute, non si capisce che le cassette delle lettere sono state concepite per il recapito

della posta e non della pubblicità, che il telefono in casa l’abbiamo installato perché

fossimo noi a scegliere con chi comunicare e non gli sponsor, che le strade non sono

pattumiere, né le banchine posteggi, che la cementificazione va fermata, sostituendola

con il recupero dei centri storici, che il verde pubblico va incrementato e che a fare

uscire i cani ci vuole appresso secchiello e paletta, che i clacson si adoperano solo a

scampare pericoli e non a far giocare i bambini o a servire da sostituti vocali, che ad

accedere a facilitazioni non spettanti si derubano gli aventi diritto, che denunciare

non è una cattiva azione, che il rispetto per gli altri è obbligatorio, che se è più

comodo esser furbi di certo non gratifica come l’essere onesti e così via all’infinito.

Se non ci convinciamo di questo, continueremo a camminare sulle mani e ad

operare con i piedi

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TAVOLA XXXI

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TAVOLA XXXII

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Il pentitismo degl’incensurati

E’ ricorrente nel corso della lunga storia dell’uomo la rivelazione di profeti in

grado di galvanizzare grandiose masse, al punto che sia il pensiero sia le azioni dei

predestinati predicatori perdano d’importanza nel determinarne l’approvazione,

finendo il più delle volte che i fan, a causa di questa irresponsabile credulità, si

ritrovino, e purtroppo coinvolgendo gli altri, invischiati in catastrofici eventi,

settant’anni addietro c’insegna! Così come allora la nostra sacra Italia ha anche oggi

il suo versatile veggente, monarca assoluto con olezzo e corona da narciso: bello,

intelligente, spiritoso, ricco senza pari, colto, dinamico, elegante, solare, affascinante,

specie con le giovanissime donne, e mi scuso, da superficiale qual sono, per quel che

dimentico, che c’è, ma che non colgo.

Lui evidentemente sa di essere tutto questo, ne è invaghito ed ovviamente ha

contagiato il suo larghissimo seguito di adoratori che lo approvano totalmente financo

nelle riserve mentali più nascoste.

Purtroppo però come accade quasi a tutti i miti viventi che accanto all’oceanico

consenso vi si affianchino petulanti contestatori, così il nostro protagonista malgrado

il suo successo continuamente in ascesa (pare abbia sfondato il cento per cento come

dimostrano le giornaliere citazioni di rigorosissimi sondaggi), si ritrova da una

sparutissima quota d’ingrati denigratori ad essere infaticabilmente perseguitato,

complici, cellule impazzite della magistratura. Prova regina, nonostante il suo

entourage politico non fa che ricordarlo all’unisono con instancabile martellamento, è

il tempo che codeste toghe rosse perdono appresso a un tal pentito del calibro di

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Spatuzza (anagramma di Sputazza), un feroce pluriomicida quale effettivamente è

stato.

A primo acchito non si capisce un tale allarme per l’ovvietà della situazione:

quali altri possono essere i requisiti di un pentito? Ma se un bagliore di acume

attraversasse il nostro cervello, si scoprirebbe una sottilissima finalità difficile da

cogliere: a ben ragione un tentativo di colpo di spugna definitivo da parte del governo

per il suo leader e in beneficio di una pacificazione degli animi della maggioranza

della popolazione nazionale, cioè di coloro che si riconoscono nel bistrattato martire,

ribaltando con un ingegnoso stratagemma nient’altro che il fumus persecutorio su chi

lo alimenta, in modo da far capire a questi sciagurati la gravità della scriteriata azione

da loro condotta.

I pentiti con tutti quei crimini commessi non possono essere credibili, e allora i

veri pentiti andrebbero ricercati tra gl’incensurati, gli onesti, la gente per bene alla

quale appartiene il nostro divinatore, corretta, laboriosa, e sant’Iddio finalmente

credibile. Però, malgrado ciò, questi potrebbero non risultare del tutto condiscendenti

con la difesa del più perseguitato d’Italia, e allora s’impone certo il non fidarsi lo

stesso su coloro dai quali dipende l’ardua impresa, il più delle volte persone

atteggiate sempre a quel tono grave, serio, quasi cupo, da soggetti depressi con lo

sguardo costantemente a terra nel loro percorso giornaliero, come se cercassero

qualcosa persa, custodi di chissà quali scheletri negli armadi, invece che

immancabilmente ridanciani quali l’ingiustamente imputato merita. E comunque, in

ogni caso bisogna rischiare perché solo gl’incensurati possono determinare la svolta e

vedrete se hanno qualcosa da ridire sull’incorruttibilità del forsennatamente, ma

ingiustamente vilipeso, non essendoci niente da insinuare sul suo adamantino

spessore morale. Che diamine, questa è giustizia! Smettiamola con odio e invidia se

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si vuole riconquistare la tranquillità, lasciando in pace le persone colte, allegre,

dinamiche, solari, specie se con prestigiosi incarichi sulle spalle che non consentono

di far perdere tempo appresso a magistrati comunisti e a ridicoli diffamatori.

Ascoltiamo i pentiti che dànno garanzie e liberiamoci degli inaffidabili Spatuzza, che

non fa altro che sprecare sputazza. Ci accorgeremmo subito dell’inconsistenza delle

accuse, non essendoci niente da ridire su un sant’uomo. Vogliamo esser lieti?

Siamolo sino in fondo, solo così possiamo continuare a garantirci il carnevale tutto

l’anno. Cavaliere docet!

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TAVOLA XXXIII

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Per uno scherzo del mio cognome

Cosa può succedere quando si porta un cognome molto diffuso e inoltre per

certi versi pregiudizievole. Avevo bisogno di un elettricista a casa e prego un caro

amico di indirizzarmi al suo di fiducia. Telefonicamente contatto l’artigiano

indicatomi -Pronto, io sono Grasso- -Lei cerca un centro dietetico, non lo trova qui,

anzi- -No, no, io cercavo in verità del signor Grasso- -Cioè a dire del grasso per

eccellenza- -Capisco che siamo in una città piena di Grasso, però mi riferivo al

Grasso persona- -Grasso persona! Che ci posso fare se al mondo mi ci ha portato un

grasso, mica si può scegliere! Piuttosto lei come è diventato grasso?- -Non mi è

capitato nulla di eccezionale, anch’io sono stato portato al mondo da un Grasso- -Ma

che destino, per giunta con il divieto di provare a prendersi lo sfizio di abbuffarsi, lei

è stato disgraziato quanto o chissà anche forse più di me- -Non le permetto. Roba da

matti! Io sono contentissimo sia della vita, sia della mia ascendenza. Ma tu guarda

che impertinente!- -Contento lei! Credo che sottovaluti il pericolo del diabete con

quel che comporta. Gradisce qualche informazione?- -Ma mi faccia il piacere…

Dovetti chiudergli la cornetta in faccia, se no lo sfacciato chissà per quanto

ancora avrebbe spinto quell’andazzo, però ne risi quasi subito, ma un proposito scelsi

a regola: informarmi prima e bene sui miei omonimi sconosciuti con i quali avrei

avuto a che fare, anche se dovetti ammettere che tutto sommato l’imprevisto Grasso

senza dubbio mi era superiore in humour. Comunque richiamai l’amico che mi aveva

consigliato, e quello a sentire le mie ragioni fu lesto a sconfessarmi, assicurandomi

senza alcun dubbio che avevo chiamato altrove perché il Grasso a cui lui mi aveva

mandato era corto di cerimonie. Infatti da com’era andata, avevo composto male il

numero e per combinazione mi ero imbattuto in un altro Grasso di cognome, nelle

membra e con ovvi problemi di salute, e quindi vale per me, ma vale anche per tutti

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voi, gentili lettori, di non avere da dubitare, eccezioni a parte, sui cognominati

Grasso di Acireale, parola di…

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TAVOLA XXXV

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TAVOLA XXXVI

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Ridicola psicosi da stalking

A breve sarebbe entrata la primavera e una sizzettina marzolina metteva

addosso qualche brivido. Uscivo di casa con un po’ di ritardo, mancava un quarto a

mezzogiorno e l’aperitivica passeggiata di un’oretta, esclusiva dell’intera giornata,

quasi mi rimproverava la mancata puntualità, irritandomi per la mortificazione

ricevuta dalla inveterata, piacevole abitudine. Così camminavo di fretta e già avevo

percorso un paio di centinaia di metri, quando avvertii un allentamento alla vita: era

saltato il bottone che teneva i pantaloni in ordine.

Io, purtroppo a causa del mio essere essenzialista, tanto da non portare oggetti

di alcun tipo o foggia oltre alle chiavi di casa, al portafogli e ad un pacco di

fazzolettini, resomi conto che la circonferenza della mia pancia combaciava con

quella della cintura, avevo eliminata questa, con il pericolo concreto che mi ritrovassi

cchi càusi persi sulle scarpe senza preavviso, ed ora che la preoccupazione ci mancò

poco che si sciogliesse in esito infausto, tale probabile evenienza mi deprimeva più di

quanto già fossi per la troppo comoda uscita di casa.

Tornare indietro significava rinunciare alla passeggiata. Ero indispettito e

bofonchiavo esclamazioni di stizza (rimpiangendo i soppiantati bottoni). Provai a

tirare su la cerniera al massimo e pareva che reggesse. Inoltre con il supporto

dell’attillatura del giubbotto mi convinsi a rischiare. Non l’avessi mai fatto! Complice

un fottutissimo sternuto, e in un baleno le mie gambe restarono nude: il peso degli

accessori portati nella tasca dei pantaloni era stato determinante. Nel minuto più

lungo della mia vita riuscii a ricompormi e tutto sommato me l’ero cavata con il

classico arrossire per avere incrociato qualche sguardo divertito, ma

d’incoraggiamento a non farmene una ragione, se un’attempata signora non avesse

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voluto aggiungerci delle sottolineature -E’ questa l’ultima trovata della moda:

mostrarsi in libertà?- -Ma che mostrare e mostrare, signora, alla mia età!- Risposi con

un sorrisetto accattivante. Ma quella parve non gradire e sentenziò -Se il cervello

sbanda, non c’è età che tenga- -E allora, messa su questo piano- Mi scaldai -Le dico

che per mostrare, bisogna avere. Io cosa dovrei mostrare secondo lei, quello che non

c’è?- La mia amara ammissione non scoraggiò l’altra che per seguire la sua riserva

mentale non si risparmiò a scadere di pudore -Non mi pare rispondente al vero quello

che dice, io non ho le traveggole agli occhi!- -Ma che caz… dice, signora, magari

fosse! So solo che quando me la voglio vedere, debbo usare lo specchio- -E’ anche

screanzato, e la cosa è tanto più grave perché lei non vuol capire di star parlando con

una timorata di Dio- Ne risi con sarcasmo -Lei, timorata? Lei è un’assatanata- -Io la

denuncio. La denuncio di tentativo di stalking- -E mi denunci, mi denunci, così sarà

invitata dal magistrato a mettersi l’anima in pace riguardo il mio mostrare- -Allora

ammette di aver mostrato…- -Signora, anzi signorina, lei le polemiche se le cerca con

impegno, specie quelle sulle quali pensa molto presuntuosamente di poter dare

lezioni, se lo tolga dalla testa, e a questo punto è bene scoprire le carte per intero. Ad

Acireale quelli della nostra età si conoscono tra di loro, e lei, lo sappiamo entrambi, è

una zitellona acida. La colpa è della legge, che farebbe bene a vietare alle donne il

nubilato, tranne che vi facciate monache, in tal caso l’abito preannuncia con chi si ha

a che fare. Ed ora per tornare un’ultima volta sulla questione e poi chiuderla lì, se la

sua difesa della verginità le ha lasciato qualche rimpianto o semplice curiosità per

non dire morbosa, sposti l’attenzione sui giovani che hanno, beati loro, ben altro da

mostrare della mia ernia, che la invito a non umiliare ulteriormente. Buongiorno!

Finalmente mi ero congedato da quell’arpia, pronta a sfruttare tutte le occasioni

per sfogare la sua rabbia d’inconsolabile pinzochera. Mi girai un paio di volte prima

di svoltare e constatare di ripercorrere la strada in direzione di casa, sacramentando

per aver avuto avvelenata la mattinata da una troppo pia donna che continuava ad

implorare il Signore, perché perdonasse la mia sfrontata trovata esibizionistica80

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TAVOLA XXXVII

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TAVOLA XXXVIII

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Porca scorreggia stonata

Verba volant, scripta manent. Saggio ammaestramento riguardo il quale

Trunzurbe nel condividerlo mena vanto.

Mi trovavo in compagnia di Piero Venuti, ovverossia, del "vichingo"

(affettuoso appellativo quasi d'obbligo per via del suo essersi negli anni del bel

tempo trasferito in Svezia). Per le più verdi generazioni, trattasi del

dinamicissimo, simpaticissimo, intraprendente e popolarissimo giovane

concittadino degli anni …nta. Da poco in quiescenza, il "vichingo",

abbastanza di frequente e a sorpresa viene a sferrare sul suolo natio dialettiche

incursioni, dibattuto com'e, senza che lo voglia ammettere, tra due odii-

amori: verso i luoghi d'origine e quelli di adozione dove gli abitanti la testa

portano apposta all'estremità opposta in cui è attaccata ai trunzurbani . Tale

meraviglia lui asserisce, gli procura necessità di ribadite e attente rilevazioni

sul campo, atte a consentire l'approfondimento dei suoi avanzati studi per stabilire

dove effettivamente si vive capovolti, e gl'impone quella che ad un

superficiale sembrerebbe, causata da un sentimentale conflitto di nostalgia o

peggio ancora da una saturazione di sopportazione, sregolata: l’imprevedibile spola

tra le due latitudini.

Nonostante si fosse a metà autunno scorso, la sera era calata tiepida e,

passeggiando al c.so Umberto, si disquisiva (naturalmente snobbando il

mutismo alla moda) su alcuni dei più amabili comportamenti civici dei

trunzurbani, quali: il dialogare per clacson e marmitte, castagnole, petardi,

scampanii, cadenze quartiorarie di orologi da campanile (particolarmente

predilette, specie la notte, quelle della chiesa di S.Rocco), antifurto, abbai di cani

sui balconi, e via discorrendo (sempre più animatamente). Senza

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dimenticare che, ove codesta abituale pratica di comunicare fosse risultata

inesaustiva, ci si sarebbe sacrificati ad inchiostro e penna, molto eccezionalmente

ai cellulari, purché non si scadesse nella diretta conversazione.

Lui protestava contro la rottura di c... della rivoluzionaria trovata intronante.

Io ribattevo che se i traboccanti decibel si consentono, anzi si invocano,

risponderanno ad una qualche utilità, inoltre vanno a servire una vasta rete

destinataria. Così i clacson surrogano la gamma dei saluti (fret tolosi per gli

amici, graziosi e concordati per le fidanzate) e degli inviti correttamente reiterati

(affinché la persona attesa non facesse attendere troppo, i posteggiati in doppia fila

concedessero ai più sciocchi ligi di dissequestrarsi, e il capofamiglia in procinto

di rincasare per il pranzo, già dietro il portone, potesse avvisare ca cci si po’

calari a pasta!).

Le marmitte delle due ruote, con quel ruggire articolato, quale abilità,

affermazione, potenza, intelligenza e giocondità non esaltano di chi le cavalca? Le

castagnole, in primis, non toccano il sentimento religioso, cosicché una città molto

pia che dai Rettori del paradiso, ai santi, ai beati, agli angeli, nessuno vuole

dimenticare (lo testimoniano i sontuosi monumenti intitolati ai gloriosi di ogni

ordine e grado), come può quietamente progredire senza ingraziarsi press'a poco

quotidianamente il protettore di turno? Sono anche messaggere delle notizie più

vitali, quali i risultati positivi colti dalla squadra di calcio granata (cosa non da

niente), e servono il primo cittadino, diligentissimo ad augurare rigorosamente di

buon mattino alla comunità le varie festività capitali dell'anno, sia politiche,

sia laico-religiose. E se i dignitari hanno il privilegio dei botti top, i comuni

mortali si consolano con petardi di varia sonorità che, con sudati studi e geniali

artifizi, come l'uso di androni da casse di risonanza, possono raggiungere livelli di

maestosità da non invidiare i primi. Il ricorrente sbatacchiar di campane è correlato

alla nota devozione già menzionata, mentre gli orologi delle chiese

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nell'operosissima Trunzurbe zelano a ricordare a non distrarsi, poiché il tempo

corre. Gli antifurto con le loro beffarde sirene si prendono gioco dei pochissimi

ladri ormai operanti, frustrati dalle sfavorevoli opportunità, grazie alle quali, per

assicurare beni diventati quasi inviolabili, la spesa occorrente è diventata

pressoché irrisoria. I cani signoreggiano sui balconi, e non di rado si sgolano

per far conoscere il non comune senso di solidarietà ai loro padroni, arricchendo

di dissonanti accordi (vere chicche!) l'armonia di ordinario esercizio.

Tutto questo ricco patrimonio culturale evidentemente viene sorvegliato e

stimolato a funzionare da solerti agenti delle forze dell'ordine, tant'è che davanti le

rispettive caserme le esplosioni si susseguono a ritmo serrato, evidentemente per

aver avviato una efficace campagna promozionale. Finalmente a Trunzurbe la

modernità lussureggia, sicché nelle ordinarie reazioni di ogni giorno, poiché non

giungerebbe all'udito, si è riusciti a far a meno della parola, e grazie a ciò si è

trovato il modo di risparmiare fiato. Infatti, restando poco da dire, e quel poco

inutilmente, nessuno più parla e, se in qualsiasi momento una magica bacchetta

desse l'alt all'eccitante sinfonia, si sentirebbe volare una mosca. Purtroppo poi,

all'avvicinarsi delle ore piccole, quando la sublime musica va sfumando,

ricorrono frequenti crisi di astinenza, dozzinalmente scambiati per schiamazzi

dal solito Bastian contrario.

L'interlocutore dissentiva; apertamente mostrava di detestare l'ineffabile

concerto, cercando con foga di dissacrarlo. A Stoccolma, diceva, vigeva

esattamente il contrario e tutti, altro che solo le forze dell'ordine si adoperavano

perché non s'infrangessero i divieti derivanti (cioè i nostri incoraggiamenti). A

parte che non capiva a cosa servisse seccare la parola. Insomma vantava un

modello di comportamenti rovesciato rispetto al nostro. Roba da matti rigettare

l'organizzazione della società a misura d'uomo, e favorire l'affermazione

degl'insetti, per salvare un parlare inservibile ad alcunché se non come nel caso

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suo (scaldandosi nel perorare) a minare la salute, cosa alla quale i trunzurbani ci

tengono troppo per cedere nella tentazione di aprir bocca.

La nostra passeggiata per il fervore di cui si coloriva dava scandalo. Poveretto,

un anziano, allo stremo dal contenere il premere di un vento rettale ormai

irrefrenabile, mentre gli passavamo accanto, si liberò d'una ragguardevole

scorreggia. Il Piero con naturalezza gli augurò -Salute!- Un terzo con cui ci si era

appena incrociati si girò di scatto e, angosciato per dover usare la parola,

apostrofò -Porca!- Il "vichingo" afferrata male la flessione gram maticale al

femminile, imbaldanzì di brutto mentre io stentavo a placcarlo -Porcu a mia?-

Protestava, e l'altro, che pur cedendo ai nervi riusciva a controllarsi non creando

difficoltà ad un paio di passanti, i quali, avverti to il rischio d'azzuffamento,

s'erano fermati prontamente a godersi il probabile spettacolo, continuava a

mandarlo a quel paese. Per fortuna, con sofferto allontanarsi dell'emendatore

civico, in pochi minuti la tensione allentò ed io cercai di chiarire che la rampogna

suonava -Porca!- ed era diretta all'indubitabilmente atassica scorreggia, che

lasciando molto a desiderare, fortemente umiliandolo in un baleno, aveva fatto

sparire alla nostra vista il disgraziato esecutore. Mi prodigai a far capire quanto

disturbi una tuba che stubi all'impianto contrappuntistico, e quindi, l'irritazione

del biasimatore diventava legittima poiché il contributo sonoro dello sconcertante

concertista, risultato calante rispetto alla tonica della sinfonia in corso, era

scaduto a semplice esigenza fisiologica, libertà questa concessa solo agli animali

goderla: ce lo insegnano i nostri marciapiedi per nulla avari dei quotidiani

bisognini, non di rado bisognoni -L'intestina folata chissà quale grappolo di

emorroidi dovette filtrare per gorgogliare così discordante- Aggiunsi -Parli da

intenditore?- Chiese, ora canzonando, il "vichingo" -Comunque sia- Proseguì -Penso

ugualmente a essermi rotto abbastanza qui, e cambiare clima aiuterebbe a ritemprare

l'humour. In Svezia l'avranno vinta gl'insetti, mancheremo di senso di solidarietà,

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saremo pigri a scrivere, vivremo anche all'incontrario, ma, di sicuro, parlare,

tossire, starnutire, ruttare, spetezzare in tono e non.. se impelle, non crea problemi

con il risultato di tonificare la salute, non di guastarla. Ne fa fede, senza uguali

per modulazione, la pernacchia che vi dedico di cuore!

Come di prassi ci salutammo con un -Ci si vede- Ovviamente alla sua prossima

incursione in Trunzurbe .

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TAVOLA XL

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Revolution, revolution, revolution!

Goliard’Acjr, piccolissimo enclave in territorio trunxicano incastrato tra

Ciudad de Tosorela a settentrione e occidente dolcemente profumata come la ginestra

fiorita sulle pendici del vulcano, e Ciudad de Lacugina a sud e a levante deliziosa più

di quanto lo sa essere il citrigno della polpa che offre l’ostrica del suo afrodisiaco

mare, visse momenti difficili. Lo staterello traballò paurosamente scosso dai sussulti

di mancato golpe per alcuni, incompresa rivoluzione per altri, rompimento di c… per

i più. Ma è bene andare con ordine.

Da parecchio erano finiti i tempi quando mancavan sempre cinque centavos

per realizzare un peso! La ricca miniera, l’unica fonte di benessere della comunità

rendeva abbastanza, specie da quando il valore dell’oro si era moltiplicato per tre. Il

tesoro era cresciuto considerevolmente grazie all’oculata amministrazione del

governo Ehssalve e nonostante la condotta scialacquatrice dei goliard’acjni, per altro

verso, rari esempi di personificazioni di qualità caratteriali le più pregiate, quali,

lealtà, garbatezza, generosità, discrezione e soprattutto modestia, che considerato

l’inimmaginabile livello medio culturale, era davvero sbalorditivo vederle abbondare

nei comportamenti di ognuno! Insomma un piccolo angolo di mondo da suscitare

invidia! La popolazione, priva della componente dei giovani, poiché questi attratti

dagli aromi delle due ciudad limitrofe vi bivaccavano stabilmente, in maggioranza

volgeva a canizie, sicché da amicizie quasi semisecolari non poteva non svilupparsi

un’atmosfera di affettuosa, cordiale, fraterna convivenza, per niente inquinata dagli

ultimi avvenimenti che da fortuite eccezioni non fecero che confermare la regola!

Fu all’improvviso che il germe influenzale della stagione in corso, la discordia,

si introdusse nella repubblichetta, sconvolgendo la delicatezza d’animo generale,

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eccitando la fisima della polemica e provocando un polverone più minaccioso di

quello prodotto dall’uragano quando incazzato urla tra i canjons della Sierra Madre. I

tranquilli e affiatati amigos sottratti al torpore della siesta, intabarrati nel poncho, il

sombrero a ripararla appiccicato sulla faccia, calienti brancolavano nella nebbia della

smania alla ricerca della perduta quiete. La pacatezza s’impazientì in tutti i toni sino

all’isteria con un susseguirsi di strapazzi, furori e c…ozzi.

Il cagionevole Governator Ehssalve, in passato pluriacclamato sin tanto da

generare il culto della personalità, fu tacciato di autoritarismo, lui amante di confronti

e consigli, ricercator di proposte, proponitor d’assemblee e referendum, lui dittator!

Un cristiano il più democratico, un crociato con tanto di scudo cattolico, un militante

del partito popular, lui dittator?!!! Perciò si ribellava strenuamente e nella foga di

difendersi, per prender fiato e decongestionare il viso ebbro di collera, frombolava il

respiro sulle adenoidi, sue antiche molestatrici, con più forza rispetto alla normale

abitudine consolidata, e come se stesse sul punto di soffocare. Ci mancava pure

l’epidemia! Gli parve il segno premonitore d’una sua prematura fine. Ammise subito

che fosse una sciocchezza che il pernicioso contagio avesse voluto toccarlo per

condurlo all’Ade fraudolentemente, ma bene che dovesse finire, decise, passato lo

spauracchio, di dimettersi da qualsiasi carica.

Col voto alle porte, il virus punse forte, tant’ebber triste sorte: lor pensar e dir

preser vie storte.

Si contestò il funzionamento delle attività morali, delle quali non si aveva

esperienza alcuna, poiché nello staterello non se n’era mai fatta pratica. Pur

nondimeno si cercò d’individuarne alcune ipoteticamente esplicabili: beneficenza,

prenotazioni di loculi, funzioni religiose, vigilante interdizione di fantastici giochetti

pederastici, dovendo però ammettere la non esercitabilità di qualcuna di esse in una

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comunità di ricchi arzilli laici ex ficaioli scelti. E tuttavia si continuava a cicalare;

circolarono volantini, si ammannirono ideologie del nulla e si issarono bandiere del

niente, si gridò alla revolution, al no pasarant!

I goliard’acjni perduta l’ancestrale calma dei trunxicani fremettero dalla cima

dei capelli all’unghia del dito piccolo del piede!

Torun de la Vergine offuscò il candidato dell’opposizione. Vinse la Sinistra.

Eppur s’era alzato dal fronte battuto il grido di revolution. Era dunque quello un

golpe mascherato o un rompimento di coglion? Qualsiasi cosa fosse la reboante

revolution fu dura a morire. Si voleva disarmare la miniera, avvelenare le posadas

natalizie. Sui muri cominciarono ad apparire le liste degli “insonni”, i tramatori nella

notte, gl’irriducibili celebranti della gozzoviglia. Nel salon delle fiestas le mense

traboccavano d’ogni specie di tortillas, tacos, enchilades, peneques piccanti di chile,

di barbacoa e gusanos, di boccali di pulque e tequila, mentre alla radio l’In dei

mariachi arpeggiando sulle corde di jaranas, vihuelas, banjos, conchas e chitarroni,

produceva il sottofondo ai suggestivi versi di Enrique Gonzales Rojo. Volavano

minuti, quarti d’ora, mezz’ore, ore intere. Il fumo dei grossi cigarros ingordamente

succhiati avvolgeva il salon. Si centellinavano i refrescos: la chicha, il tepache, la

tamarinda. Le amenità capriolavano nella spumosità d’una gazzarra maschia, le note

musicali si vestivano dello jarabe, della malaguena, dell’huasteco, e malgrado che

già le palpebre cadessero pesanti, gli sbadigli si moltiplicassero, le membra

reclamassero un morbido giaciglio, solo all’ora del chicchirichì i satolli convitati

biascicando brandelli di Adelita Valentina o della Cucaracha trascinavansi infino al

letto, dove il sonno spazzate via bruscamente le morenti sillabe dalle lonze labbra li

sballottava sulle spiagge dell’inconscio con la sua possente risacca.

Costoro, i più colpiti dall’epidemia cerebrobnubilante dettero non poche

preoccupazioni, la più grave quella d’aver superato il limite della reversibilità. Per

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fortuna la malattia fu completamente benigna e stava per risolversi. Lo si comprese

dai lenti ma progressivi ravvedimento e guarigione dalla fissazione. Infatti los amigos

si riabbracciarono e si risorrisero. L’aere si ricompose più immoto di prima sotto un

cielo insondabile. Lo staterello riconquistò l’invidia dei trunxicani.

Però che scantos ragazzi, roba da carnevale!

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TAVOLA XLI

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TAVOLA XLII

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Pesce d’aprile I

La solita comitiva di sfacinnati pensionati, per cazzeggiare si ricostituiva ogni

mattina in pescheria e la sera alla villetta Garibaldi. Era ben assortita e intonata e

l’asse armonizzante per lo più era manovrato da don Nunziu salachiai specializzato a

chiuder le ferite degli altri con il sale specie quelle riscontrabili in don Ramunnu culu

senza funnu, gran cicalone sempre pronto a protestare che non lo facevano parlare e

mai pago di accumulare ricchezze, sebbene già sovraccarico, da destinare chissà a

chi, essendo figlio unico, senza eredi. Intorno ai due ruotavano gli altri quattro o

cinque stabili in qualità di coreuti, come nell’antico teatro, e pronti a colmare le pause

dei protagonisti con sghignazzamenti ed esclamazioni di finto stupore. Don Nunziu

all’irrequieto Creso, di sole, gliene aveva rifilate parecchie, a distanza di mesi, per

dargli il tempo di digerirle, e così l’aveva abbindolato con l’esca dei grandi risparmi,

mandandolo ai mercati generali della frutta, in piena notte al mercato del pesce ad

Acitrezza, al macello, ovviamente ai rispettivi reparti “Liquidazioni”, da dove

consigliato da impareggiabile taccagneria era tornato a casa con merce da pattumiera

che regolarmente la moglie alla presentazione lanciandogliela, gliela faceva arrivare

in faccia. Sarebbe curioso constatare che le passate esperienze di tre casi analoghi

non gli avessero risparmiato di cadere nel tranello, ma si sa, con diffusissime prove,

che la forza dei vizi ottenebra la ragione.

L’ultima disavventura invece la visse cercando l’immobiliare “Unica e sola”

nel quartiere di S. Berillo dove gli era stato indicato e dove poteva trovare occasioni

irripetibili. Al fruttivendolo di zona a cui si rivolse per chiedere informazioni

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sull’ubicazione della società, gli si arricciarono le labbra e il capo gli ondeggiava in

segno di complimentarsi con l’arzillo vecchietto, e dopo qualche minuto l’incredulo

informatore si decise a riferire che di unica e sola nel quartiere viveva la geisha

moltomobile e lavoratrice du pilu impegnata ad arrifriscari gli arrapati. Al poveretto

culu senza funnu non restò che ringraziare, salutare in fretta e allontanarsi a testa

bassa.

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TAVOLA XLIII

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TAVOLA XLIV

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Pesce d’aprile II

Capitò che al compiersi della notte del 31 marzo del 2012 l’Etna si arrabbiasse

di brutto, tanto da sferzare con una pioggia di cenere i paesi pedemontani.

Don Nunziu, nostra vecchia conoscenza, ribattezzato Salachiai, per la sua

alacrità a spargere sale sulle altrui ferite, come d’abitudine mattiniero, appena aprì

l’imposta della cucina di casa sua non poté trattenersi dal sacramentare dinanzi alla

vista del ballatoio coperto di nera silice. Era già successo parecchie volte in pochi

mesi di doversi sobbarcare alla pulizia di terrazzo e ballatoi e sapeva cosa ciò

comportasse in fatica e dolori alla schiena. Però quella volta l’inconveniente era

accaduto in una notte particolare preparatoria all’avvento del primo di aprile.

A questo punto a don Nunziu di carattere allegro e burlone in

quell’avvenimento gli parve di ricevere un regalo, perché si prestava benissimo ad

insaporire un’ottima pietanza di pesce d’aprile.

L’eletto destinatario tanto per cambiare, fu don Ramunnu culu senza

funnu,avido taccagno e cicalone della comitiva lesto a protestare quando qualcun

altro gli toglieva la parola perché a suo dire non lo facevano parlare mai, non pago di

avere frastornato le teste degli uditori compiacenti a farsi intronare, per una specie di

attrattiva psicologicamente esercitata dalle sue ricchezze. Lui, insignificante nella

persona, poco istruito ed invece tanto ricco, tanto, tanto, tanto, tanto quanto

pidocchioso, pur con la tristezza, non avendo figli, di non sapere immaginare che

fine avrebbe fatto dopo tante privazioni quel ben di Dio, quando lui vi si fosse

involato incontro. Tuttavia la ferma indisponibilità di tanta disponibilità bloccata

parve all’irrequieto don Nunziu Salachiai l’ingrediente perfetto per la burla da

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realizzare.

Il Salachiai si recò all’abituale punto d’incontro con gli amici un po’ in ritardo,

e lamentandosi dello strapazzo dovuto subire in tre ore di pulizia della cenere

vulcanica. Attese che gli ascoltatori commentassero le sue fatiche ritenute

spropositate, e a quel punto gli parve il momento giusto di lanciare l’esca, e dopo

avere ammiccato in segno d’intesa in un momento in cui il predestinato s’era

distratto, esordì -Però questa volta mi sono rifatto con gl’interessi. Cosa da non

crederci. La cenere a tratti si faceva più scintillante, e questo era dovuto alla

mescolanza con pagliuzze d’oro eruttate dal vulcano- Seguì un coro di fischi e risa

misto a salaci apostrofi, utile a condire meglio la minestra -Non dovete, per forza,

crederci! Chi se ne frega! A me basta che ci ho ricavato un mucchietto di circa venti

grammi d’oro. E voi che vi stupite, cosa vi sembra che espella l’Etna, se non

minerali, e l’oro cos’è?

Don Ramunnu, subito scosso da un tal tipo di ghiotta rivelazione parve

abboccare, tanto fu convincente l’amico. Lo si notava dalla serietà con cui ascoltava,

lui infaticabile oratore, al momento faceva parlare i suoi occhietti accesi di cupidigia,

per cui il celiatore proseguì con qualche approfondimento -Uscendo di casa ho

incontrato un antico conoscente, anche lui molto meravigliato dell’evento quasi

prodigioso. Di ritorno dalla sua campagna in una frazione qui vicina, mi diceva, che

gli abitanti del posto, più mattinieri e operosi rispetto a noi, avevano già pulito a

specchio l’intera contrada, anche lì rimunerati di qualche pietruzza, chiariva proprio

pietruzza, perché più si sale verso la montagna incontro alla bocca eruttiva e più i

frammenti sono grossi, che a causa a suo dire della pesantezza cadono appena

sfornati- L’appendice di più favorevole ritrovamento in prossimità del vulcano, il

Salachiai l’aveva elaborata ad arte, sapendo che culu senza funnu fra le tante

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proprietà possedesse un gran vigneto con relativa casa di villeggiatura e ampissimo

cortile dove avrebbe potuto sbizzarrirsi da fervoroso cercatore d’oro, proprio ai piedi

del vulcano. La comitiva rumoreggiava senza impressionare più di tanto don Nunziu

entrato ineccepibilmente nella parte, riuscendo a tenere sulla corda il predestinato,

che a sentirlo perorare, non ci pensava nemmeno a diffidare, e così si tratteneva dal

fare domande, ma deglutiva spesso di bramosia, mentre qualcuno iniziava a

sbadigliare perché già si avvicinava l’ora di pranzo. Al solito si salutarono, e

fingendo stupore per la prodigiosa rivelazione, ognuno prese alla svelta la strada di

casa.

L’esca era stata lanciata, ora bisognava attendere, e infatti non ci volle molto a

capire ch’era stata anche abboccata, poiché all’incontro abituale della sera all’appello

mancava proprio l’incontentabile Creso, per cui bisognava capirne la ragione, così

tutti d’accordo decisero d’informarsi telefonicamente a casa dell’assente

ingiustificato. La moglie ancora spaesata, anche per le poco incoraggianti condizioni

meteorologiche del periodo specie di sera, riferiva che per motivi non proprio da lei

compresi, il marito aveva dovuto recarsi alla vigna sopra Milo. A tal notizia gli amici

decisero di recarsi tutti quanti sul luogo conosciuto da qualcuno essendovi stato già

condotto dal proprietario.

La serata era fresca ed umida, intonata alle calorie da spendere della vittima

impegnata da una fatica assai dura. Da lontano si accorsero che il cortile era tutto

illuminato, così cominciarono man mano che si avvicinavano le grasse risate sempre

più corpose nel distinguere la sagoma dell’amico non risparmiarsi nel menare il can

per l’aia. All’arresto della macchina e allo sfornare affatto sgraditi visitatori

scompisciati dalle risa, scoperto troppo tardi ahimè l’inganno, per non dar

soddisfazione, l’ingordo zimbello, si accinse a scimmiottare il comportamento degli

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amici, presentando insieme le giustificazioni in soccorso alla sua citrullaggine e

cercando freneticamente di porvi una toppa, risultata peggiore del buco -Domani

debbo prestare la casa ai miei nipoti che ci vengono a svolgere una festa. Non gliela

potevo far trovare così conciata, non vi pare? -Eccome no- Gli convenne Nunziu

Salachiai -Solo che domattina alla luce del giorno certi lavori sarebbero stati

facilitati, e anche tua moglie ne sarebbe stata più contenta, però si sa che se non la si

vuol perdere, la fortuna va assecondata subito. Ma si dà il caso che i lingotti viaggino

per altre strade, e se li volevi veramente trovare a bizzeffe non occorreva far tanta

strada inutile, bastava bussare alle gioiellerie di via Davì. E’ vero che più le cose ce

l’hai sotto il naso, più non le vedi. Comunque l’infortunio di stasera dipende in parte

anche dalla tua parlantina troppo sfrenata, perché se tu abusassi meno della parola e

riflettessi di più, forse non saresti incorso tanto facilmente in un pesce d’aprile del

genere!

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TAVOLA XLV

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TAVOLA XLVI

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Gavettone DOC

A tutti, credo, è venuto in mente almeno una volta nella vita, di esser nati sotto

una specie di segnata predestinazione, proprio per recitare il ruolo che occupiamo in

società. Per alcuni l’idea guizza e scompare in un baleno nella mente, per i più si

radica come una verità rivelata, anziché convenire che trattasi di colossale minchiata,

poiché noi altro non siamo che frutti delle più svariate combinazioni relazionali

associate alla tenacia dell’impegno individuale. E’ così che si diventa operai,

artigiani, professionisti, scienziati, minchioni! Calogero, di soprannome Triciccia,

apparteneva proprio a quest’ultima categoria, poiché la sua vita aveva costellato di

flop in quanto sia nella sfera sentimentale, che nella lavorativa, si era comportato

sempre da strafottente. Svogliato e incurante, prima nella scuola abbandonata al

ginnasio e poi nelle varie esperienze d’impiego, buttò alle ortiche le varie opportunità

di lavoro trovate, non ultima quella di commesso in una banca; con la famiglia non fu

meno irresponsabile, fino quasi con i figli da lui avuti a costringere la moglie, delle

più degne per onestà e dedizione, esasperata al massimo, ad allontanarsi

definitivamente e senza appello. Il Triciccia amava gli amici e l’allegria e di tutto il

resto non se ne dava pensiero: era un gaudente, buona forchetta e ottima spugna,

precipue virtù queste per rivestirlo, origine del soprannome, d’una rispettabile

pinguedine, che sfoggiava quasi con civetteria! A sgravio di possibili preoccupazioni,

contribuiva il fatto di discendere da famiglia benestante e di avere ereditato

abbastanza da continuare fiducioso nella sua condotta di vita solo da consumatore,

ma nient’affatto da sperperatore, così da essere approdato alla terza età senza

dipendere dagli altri. Le persone con le quali trastullarsi non gli mancavano grazie al

suo carattere gioviale, alle fattezze boteriane e al suo comico ritenersi forzuto che lo

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ispiravano a ripetere -Sono un uomo abbondante, ma purputu, citrignu e atleticu, e

cui nun mi cridi mi s’arrìsica a sfidarimi a braccio di ferro, scommettendo però

qualcosina, picchì Calogiru non si esibisce gratis!

Da questa propalata fantasia, i frequentatori più assidui ordirono un rispettabile

piano di messa in prova con il beneplacito di Paulinu ‘nsinzuliddu, pericoloso per chi

così lo appellasse, un omino bassino e magro dalla insospettata forza fisica di un toro,

dirimpettaio a pian terreno del dichiarato Sansone di carta. Riempirono un borsone in

robusta tela di grossi pezzi di ferro avuti in prestito da un amico fabbro e

predisposero le cose alla bisogna. Il gruppetto di congiurati vicino al chiosco di

piazza Duomo attorniava il Triciccia. Gli andava incontro portando disinvoltamente il

carico Paulinu ‘nsinzuliddu che arrivato a pochi metri dai complici, da un emissario

della carognata venne apostrofato con l’epiteto tabù, sicché il destinatario recitando la

parte con molta naturalezza, lanciandogli il pesantissimo bagaglio, si rivolse a

Triciccia, pregandolo di custodirglielo fino al suo ritorno dall’aver dato una lezione

all’improvvido sfidante. Chiaramente l’effetto dell’urto del cospicuo peso del

borsone, raddoppiato da quello del lancio, travolse il malcapitato ricevente,

mandandolo a gambe in aria accompagnato dalle grasse risate dei macchinatori del

crudele ludibrio. Triciccia come meglio poté si rimise in piedi, guardò in cagnesco la

briccona comitiva e rimasticando le colorite espressioni del caso si allontanò

zoppicando.

Sbollita la sua ira, con la solita predilezione degli anziani verso le antologiche

fantasie sulla virilità maschile e sulle donne, riprese attorniato dai numerosi

ammiratori il suo diletto repertorio, riconfermandosi, con posa professorale, perfetto

catalizzatore. Ovviamente con queste premesse non poteva non subire il rituale

bombardamento di sfottò. I discepoli non mancavano di chiedergli se funzionasse

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ancora l’organo, e lui rassicurava tutti con il ripeter loro -Sono un vulcano, un

vulcano doc- Specificava con nutrito orgoglio, anche se non mancasse chi insinuava

di aver dimenticato di aggiungere -Spento- E qui cominciava la solita filastrocca di

frustrati desideri ben condite da sciocche considerazioni sulle sue capacità amatorie

-A un uomo abbondante in tutto, ma soffice, purputu, citrignu e leggero, inoltre dolce

quale sono io, paru fattu di pasta riali, cosa da fare impazzire le donne, specie le

intenditrici e golose, cosa manca per non farsi desiderare?- -A cosa cchiù ‘mpurtanti-

Gli si rispondeva -L’argumenti!- -Si cci hai ‘na soru giuvini prima ma porti a mia e

poi ti fai fari u resucuntu- -E mo soru cchi mi putissi cuntari di unu ca ppi vidirisilla

a usari u specchiu e ppi affirràrila comu ‘ncentesimu persu ‘nta ‘na sacchetta leggia,

prima ca a trova cci scura na sirata- -Ca menu mali ppi tia ca i masculi nun mi

piaciunu e s’annunca ‘nspaventu ti l’avissi fattu pigghiari!

L’estate con la sua cappa d’umidità imposta dagli anticicloni africani intitolati

a personaggi di trista fama faceva boccheggiare giorno e notte. A Triciccia al colmo

dell’esasperazione gli accadde che durante il riposo pomeridiano un ortottero

canterino prendesse alloggio in una commessura delle tegole sopra la camera da

letto. Il disgraziato polisarcico allo stremo della pazienza spalancò la porta del

balcone e affacciatosi in mutande e canottiera cominciò ad imprecare, sguardo al

cielo, contro il protervo insetto -Cicala maliditta nun nti sumportu cchiù- -Ti l’haiu

sempri dittu- Gli rispose a tono u ‘nsinzuliddu, suo dirimpettaio di piano terra,

consigliando -Tagghitilla e cci a ietti a ‘ncani, d’accussì tu arrifrischi e iddu ppi ‘na

vota fa ‘nspuntinu sapuruseddu- Triciccia, attizzataglisi la collera, corse verso il

bagno riempì un pentolone d’acqua e ripresentatosi sul balcone più sconvolto che

mai, ne scagliò il contenuto contro il lesto derisore, riuscito a scansarlo quasi del tutto

con automatica presenza di spirito, promettendogli però di fargliela pagare.

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Partì la preparazione del secondo agguato e appena pronto fu proposto al Budda

irridente, in una pausa del suo solito sfornare minchiate che passano per la testa degli

anziani ossessionati dal desiderio di perdersi, pur se scarsi di energie, tra i fitti boschi

di fatale attrazione. Lui ansimando di pancia come un grosso animale da tiro in sosta

per qualche minuto di riposo mentre ai lati del collo scendevano due simmetrici

rigagnoli di sudore, ascoltava lo svolgimento della proposta, con pupille accese

dall’immaginato piacere da provare a breve. Ci si doveva recare nella casetta di

villeggiatura in collina du ‘nsinzuliddu, dove avrebbero trovato già accompagnata

dallo stesso, una donna ancor piacente e compiacente ad entrare in intimità con quanti

lo richiedessero -Mi vuliti purtari a buttani?- Chiese Calogiru con stizza -Ma cchi

buttani!- Lo rassicurarono i coalizzati traditori -E’ ‘na fìmmina vulcanica- -Allura è

cosa mia, sugnu iù u pumperi ca cci voli

La spedizione si mise in moto. Arrivati in loco l’uscio era socchiuso, perché

ovviamente già il padrone di casa si era insediato con la “vulcanica”

accompagnatrice. Gli amici entrarono quasi in punta di piedi. A Triciccia il cuore gli

pompava il sangue a fiotti e lui in risposta si umettava le labbra di continuo con

schiocchi di lussuria. I pori espellevano una calda rugiada di sudore. Nella stanza

dietro la sala la voce di Paulinu s’ingegnava ad ammansire l’insaziabile seduttrice

con l’effetto di portarla a spazientirsi e reclamare la vendemmia promessa -Ma che

mi ci avete portato a fare qui? Unni sunu sti masculi di preju?- La mole di Triciccia

sobbalzò a seguito di un saltello di disappunto e si mosse incontro al suo non

supposto destino, avvisando la provocatoria sfidante -Bedda ccu cui stai parrannu, u

sai cu sunu i chistiani? Parola mia, ti farò pentire di quello che hai detto, perché tu

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non immagini in quali strapazzi ti stai cacciando!- Appena finì la frase e aprì

l’insidiosa porta, una doccia lo inzuppò dalla testa ai piedi, fra le risate di

tutti e il suo sfogarsi a ripetere -‘nsinzuliddu si ‘nfitusu!- Mentre questo forse

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per la prima volta a sentirsi appellato a quel modo se ne usciva ridendo dalla stanza

con il secchio del gavettone in una mano e nell’altra il registratore con nastro su cui

risaltava la sua voce e l’imitazione di quella di una fantomatica ammaliatrice.

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TAVOLA XLVII

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TAVOLA XLVIII

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Don Ascenziu Arancino

Don Ascenzio Arancino diventato vedovo, e rimasto solo dopo il convolare a

nozze dell’ unica figlia, guardava la vita con avversione. Lui ex guardia carceraria fin

quando visse con Venerina figlia e Carmelina Maccarrone moglie, due donne sobrie

in bellezza e disponibilità di mezzi, aveva saputo sempre in tutte le contrarietà trarsi

d’ impaccio. Con saggia rassegnazione aveva accettato la morte della moglie travolta

da un’auto pirata sulle strisce pedonali e con altrettanta rassegnazione s’era abituato

alla solitudine, a seguito che la sua unica figlia quasi in tempi supplementari aveva

ghermito a poca distanza dalla dipartita della madre l’invito d’ un polentone di

passaggio a seguirlo al nord e formare una famiglia. Don Ascenzio ormai da anni

abbandonato a se stesso, pur se chiuso di carattere e sfortunato di natura, riusciva a

cavarsela in autonomia, non amava cricchi e crocchi e al massimo indulgeva a

scambiare poche parole con don Vincinzinu, suo sottostante coinquilino. Riguardo la

salute per don Ascenzio l’unica tribolazione gli proveniva da un’ostinata stitichezza

che non concedeva alternative al clistere. Ma da quando le sue buone donne avevano

preso strade diverse dal convivergli, il problema era diventato irresolubile. Al colmo

dell’esasperazione provò da solo, ritrovandosi bagnato da una semidoccia tiepida. I

purganti leggeri erano acqua fresca, i più corposi non li tollerava. E intanto

continuava a costipare fino a sentirsi male ed evacuava al limite della sopportabilità

con grandi sofferenze. Doveva trovare il da farsi, e se no, era preferibile togliersi di

mezzo. Sì, era disposto a spingersi fino a tanto: a togliersi la vita!

Il nostro cervello è un terreno fertile, per cui una volta che ci si semini, finirà

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con il mostrare i germogli. E così in uno di quei giorni in cui toccava il fondo dello

sconforto oltre che per le amarezze delle piccole frustrazioni derivategli più dalla

spigolosità del carattere che da effettivi soprusi di vita, dispiaceri aggravati dal

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malessere fisico della sua bestia nera, la stitichezza, decise di farla finita. Senza

indugio afferrò il coraggio con tutte due le mani, trasse dal cassetto la vecchia

rivoltella, mormorò verso il coinquilino il regalo che stava per fargli, sedette, sudò

freddo, caricò la pallottola in canna, puntò alla tempia, premette…

Un colpo secco distrasse dal suo sfaccendare abituale don Vincinzinu, il quale

subito chiamò -Don Ascenzio cchi successi?- -No, nenti, falsu allarmi fu, mi

sbagghiai, mi trimau troppu la manu- -Staiu acchianannu. Ossia mi sta fermu. Na

‘nsàutu suggnu ddoca supra- -Don Vicenzu vva dittu ca non successi nenti. Quannu

nnun si ni po cchiù, occa cosa sa fari, e iù sbagghiannu a ccu visti e ‘nzittannu a ccu

non visti, ‘nrisultatu ‘nspiratu ll’haiu ottenutu e comu!- -U capì, u capì, santu

cristianu, ma iù vogghiu vidiri cchi me’ occhi. Ah, cchi fetu!- -Vi l’ava dittu iù di nun

‘nchianari. Non c’è nenti cchi vidiri, c’è sulu di ciarari- -Putennisi ciarari. Menu

mali ca ossia è bonu, però accussì fa moriri all’autri- -Ca finitila don Vicenzu, viditi

ca ppi fetu nuddu mai ha murutu- -Prima ca mi ni scappu, unn’è ddu billissimu

giocattulu?- -Di comu sugnu cumminatu mi scurdai macari cchi successi- -A varda

unni ìu a arrivari, a dda gnuni. Chista intantu ma portu iù- -Ca si vv’aggiuva! E a

mia mi pareva ca a stu munnu, eru iù sulu u stiticu ‘ncurabili!

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TAVOLA L

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Medici arruffoni

Chi nella propria vita è stato dispensato dal non avere bisogno del medico?

Nessuno. Chi ne ha avuto gran giovamento? Pochissimi, solo eccezioni riuscite a

salvarsi malgrado quelli. L’avvisaglia di ciò che sarà ce l’hai appena dopo essere

entrato in ambulatorio ed aver salutato, sentendoti chiedere -Allora, cosa ha?- -Sono

qui da lei per saperlo anch’io- Ed è qui che cominciano i guai dovuti ai malesseri che

non scompaiono da soli, ed hanno bisogno di una giusta terapia. Si attivano gli

esperimenti, intanto la situazione si complica e se sei fortunato ne vieni fuori con una

malattia che nel frattempo si cronicizza. Ma loro, gl’improbabili guaritori, non se ne

curano più di tanto: è pan giornaliero. Continuano con l’abituale sicumera a dispensar

speranze, illudendo quanti vi si affidano a stare tranquilli fino a che le malattie

stanche di divorarli non li consegnino alle affollate crociere di Caronte. E come nulla

fosse continuano ad indagare, reputar di scoprire, pontificare. Guai, non dico a

contraddirli, ma ad avanzare qualche dubbio, sbuffano come locomotive e non ci

pensano troppo a mortificare con malacreanza. Spesso usano la strategia di mettere

le mani avanti, non risparmiando ai malcapitati pazienti, con il sospettare gravi

malattie, gratuite preoccupazioni accompagnate da allarmi strumentalizzati, da

servire dopo lo svelarsi della loro infondatezza, ad accrescere la bravura dei fasulli

diagnosticatori nell’essere stati solleciti ad evitare il peggio. Ci sono poi gli eruditi

che fanno sfoggio di gran dottrina medica, e senza rendersi conto che a te non te ne

importi più di tanto, anche perché non è la prima volta che ti rifocillano della stessa

pappardella, si sentono gratificati di averti illuminato sull’importanza dei cicli

circadiani. C’è anche il buontempone che, specie se la ricorrente trabocca di belle

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forme, a sentirsi chiedere un rimedio per un ascesso alle gengive, la

invita a

spogliarsi, perché la possa visitare. C’è chi una semplice costipazione la scambia per

blocco intestinale, chi per un raffreddore chiede l’ausilio di uno pneumologo e chi

invece ti vuol curare la polmonite con le vitamine e l’influenza con gli antibiotici, le

ulcere con sciroppi, chi ti prescrive colliri a posto di ansiolitici, e chi supposte per

pillole, chi pensa che con gli esantemi si onorino i defunti, e così di seguito fino

all’incredibile. Se a sentirli ci fossero i loro colleghi di una volta addestrati a

diagnosticare senza ombra di smentite la patologia dell’ammalato con il solo

guardarlo in faccia, quali risate si risparmierebbero? Ma nel frattempo l’arte medica

si è trasformata in mestiere è diventata insopportabilmente e immeritatamente

lucrosa, e tuttavia malgrado i privilegi conseguiti, codesti beneficiari si ritrovano rosi

dal male oscuro della frustrazione a vedersi sviliti a scribacchini di abbuffate di

medicine ed esami clinici. Per cui pensano di esorcizzare il pungente svilimento

tenendo affollate le sale di attesa in modo da sentirsi valorizzati dalla ressa di poveri

illusi, certi, con la estenuante fila da lazzaretto per essere ricevuti, di ripagare il

sacrificio grazie alla risoluzione dei propri malanni per mano di tanto richiestissimo

medico, dimenticando invece le opportunissime probabilità di entrare sano e uscire

contagiato specie nel picco delle influenze quando in questi posti la calca è al

massimo e si finisce con il respirare facilmente quanto bisognerebbe assolutamente

evitare, così che ci si affida a una toppa peggiore del buco. E se per caso, con gran

meraviglia dei presenti votati all’estrema pazienza, azzardi a suggerire all’assediato

curatore d’istituire un foglio di prenotazione in modo da non richiedersi l’ininterrotta

attesa per essere ricevuto e nello stesso tempo dar più agio alla circolazione d’aria

nella saletta, al top del garbo cosa ti senti rispondere dallo scribacchino, con buona

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pace di chi dovrebbe vigilare sul rispetto delle indispensabili norme igieniche?

Che, scambiando il cazzo con il paternostro, perché d’igiene si tratta e non di

democrazia, in un regime democratico, quando non ci si sente sufficientemente

soddisfatti di un servizio, ci si rivolge altrove. E allora per fargli capire bene una

semplice regola di opportuna semplificazione oltre che di rispetto del prossimo,

bisognerebbe fare

attendere lui diverse ore ad ogni tappa nel giro giornaliero delle commissioni, dal

panificio alla macelleria, dal pescivendolo al fruttivendolo, dalla lavanderia alla

farmacia e così via, e poi chiedergli dove troverebbe il tempo di svolgere il suo

mestiere di scritturale. Ah sprecato nobel della medicina, il problema, senza offesa

alcuna, si risolve solo con una lista di prenotazione, o semplice macchinetta

eliminacode!

Al sentir parlare dei medici moderni, pensando alle nostre traversie consumate

con loro, non viene in mente l’insuperabile Molière o il mondo del cabaret? Il tratto

che maggiormente distingue la categoria è la presunzione che spesso va a braccetto

con l’arroganza. Intanto o malcurato, o affossato o spogliato nel portafoglio, il

paziente è sempre dalla loro parte, per la semplice ragione che con la salute a

lumicino in posizione di ansiosa debolezza in qualcuno deve rifugiarsi per sentirsi

rassicurato e continuare a sperare nel recupero. Questo i catecumeni di Ippocrate lo

sanno bene sin dall’università ed è il loro vento in poppa, per cui non si risparmiano

nell’adoperarsi da superficiali, male aggiornati, strafottenti, ma non per questo non

premiati da vituperato diritto a poter richieder parcelle da strozzinaggio.

Quando li incontri per strada sembra che levitino, tanto sono insufflati d’aria

dentro. Incedono in pompa magna, e, con collo agile e sguardo vigile, rassicurano che

tutto è sotto controllo, e, malgrado tra loro prevalgano coloro che al posto di

allungartela te la accorciano la vita, se dopo averli incrociati ti giri per semplice

curiosità, non ti stupirai di vedergli sfoggiare sul fondo schiena una rosta dai colori

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sgargianti, che il popolo belante, orgoglioso dal pendere dalle loro labbra, ammira

intenerito da vivo compiacimento.

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TAVOLA LI

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TAVOLA LII

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A cicci bella

Il signor Pappalardo, alla sua avanzata età poteva considerarsi un sopravvissuto

ai terremoti subiti a compendio delle sue discordie coniugali. Da affettuoso

capofamiglia, gran lavoratore e ben sistemato, l’ultimo evento catastrofico lo fece

ritrovare con il culo a terra grazie ai capricci di una avventuriera di moglie e delle due

alleate figlie appena signorinelle. Poveretto da benestante quale era saputo diventare

con tenacia d’impegno nel lavoro, era sprofondato nella condizione di sottoproletario

senza casa, previdenza scaturita dal suo sangue, e con lo stipendio dimezzato dalle

rette di sostentamento da pagare alle tre sanguisughe.

Con questo chiar di luna non aveva potuto ripartire a ricostituirsi degli affetti e

quindi senza accorgersene s’era ritrovato pensionato costantemente terremotato.

Malgrado ciò, benché le tre donne gli avessero corroso il fegato, non aveva perso la

capacità di turbarsi nel quotidiano incrociarsi con qualche bella fica, anche se gli

toccasse ammirarla con occhi di cane bastonato. Certo ormai era disincantato, e la

considerazione verso l’altro sesso aveva subito una rimodulazione dal sentimentale

verso l’aspetto più pratico e più naturale, ma per certi versi deformato dalla

mancata pratica di uso in seno alle esperienze personali.

Viaggiava per teorie psicoantropologicoevoluzionisticodegenerative, il signor

Pappalardo, e da uomo assolutamente scrupoloso, ragionava su per giù come da

seguito, non tralasciando, pur se il contraddittorio partisse dal suo intimo, di

sottolineare che la disamina non avesse dovuto sottrarsi a far salve le normali

eccezioni. Da cultore della documentaristica naturalista televisiva aveva potuto

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scoprire che quasi tutti gli accoppiamenti dei sessi tra le varie specie si svolgono con

preliminari violenti, a causa dell’irresistibile attrazione in stabile continuità grazie

alla focosità del maschio, contrapposta all’apatia se non frigidità della femmina che si

sente scomodata quando ancora non è investita dai calori di ricettività, finalizzati

dalla Natura al solo scopo della promessa di generare.

Ed è in effetti da questa diversità fisiologica che scaturisce ogni tipo di

sin(to-fo)nia o intemperanza che va dal litigherellare al femminicidiare tra i due

partner, altro che mito della retorica sentimentale da commedia rosa!

La donna conosce e pratica, specie dopo aver capito il tesoro che si ritrova

sotto l’ombelico, un solo comportamento: la predazione, sino a spingersi in un gioco

molto pericoloso. Incoraggiata dalla sua vanità non bada a spese di bistri, creme, fard,

o beauty parlour, per offrire al top la fertile zolla sulla quale seminare, in virtù della

quale, sapendo bene dove può condurre ‘npilu di fìmmina non si risparmia in sacrifici

pur di correre la cavallina toccando spesso l’indecenza al fine di raggiungere il

traguardo del business! Si propone come merce in vendita al migliore offerente e per

questo non ci stupiscono ormai atti come quelli delle (ol-or)gettine e fidanzamenti

con spasimanti che anagraficamente possono essere loro bisnonni. L’importante è

colpire il soggetto debole e come ci azzecca con gl’ingenui maschietti infervorati di

gratuito femminismo fino a quando non dovranno disilludersi, nei casi di separazione

coniugale, a seguito delle sentenze dei giudici, per essersi ritrovati con la scusa dei

figli da sostenere, spogliati di tutto punto a beneficio di vere e proprie vampire.

Tuttavia, nonostante la pratica predatoria svolta attraverso i naturali attributi

ricevuti per attrarre al solo scopo d’esser fecondate e invece sfruttati per finalità di

commercio, ella fa propria la parte della vittima, proclamandosi assolutamente seria,

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onesta e pudica. Proprio questo ipocrita amor proprio il signor Pappalardo contestava

strenuamente nelle occasioni di confrontarsi con gli amici durante il solito

bighellonare di routine, o da solo con se stesso, così che spesso si ritrovava talmente

assorbito dalle sue elucubrazioni sulle crudeltà femminili da assumere inconsce ed

infuocate espressioni di rivolta a testimonianza del suo interiore ribollire, e non di

rado si muoveva da automa dando a capire agli altri ben altro di quel che c’era da

capire. Perciò gli toccò di sobbalzare investito da un rimprovero campato in aria. Una

di quelle fatalone ancora impegnate al combattimento erotico, scambiando il sangue

agli occhi del tramestio interiore della povera cappa per allusione all’amplesso,

poiché dava l’impressione che stesse fissando qualcuno a cui era interessato, in

questo caso lei, redarguì di brutto il signor Pappalardo, solo frastornato dal suo

rovello di solitario per costrizione, e verso la facilmente suscettibile maliarda

assolutamente innocente, accusandolo di sfacciataggine -Magari da vecchi vi

ritrovate con quegli occhi accesi di brama! Sono curiosa di capire cosa andate

cercando!- Preso alla sprovvista l’investito poveretto per qualche istante non ci si

raccapezzò, cadendo dalle nuvole, ma ripresosi in fretta con inusitato senso

dell’humour, ribatté spavaldo -Noi vecchi ci ritroviamo come bambini- -E allora,

questo vi autorizza a mancar di rispetto?- Incalzò l’altra con accresciuta insolenza

-Siamo sconvenienti perché cerchiamo a cicci bella?- S’informò malizioso e

ringalluzzendo con un ammicco allusivo all’ostrica sommersa, lo sventurato

ingiustamente rimproverato -Siete dei porconi- Sentenziò al pari di una mignotta

l’incauta assalitrice- -Sì è vero, -Ammise il signor Pappalardo ormai sicuro di sé,

aggiungendo con vero senso di liberazione -quando ci capita di rispecchiarci in

troione!

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TAVOLA LIII

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TAVOLA LIV

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I tri da vaniddazza

Chiummu, Ferru e Cacazza, locuzione popolaresca, non necessariamente

spregiativa indica terzetti di persone che per la continua frequentazione e fin quando

l’armonia regna tra di loro sembrano inseparabili. Il sodalizio dei tre, in risalto

davvero esemplare per durata e per rispondenza delle loro personalità agli epiteti

conquistatisi sul campo, partiva dagli anni dell’adolescenza e si conservava ancora

intrigante nonostante il presente stato dei capelli del gruppetto mostrasse più

spruzzate di sale che di pepe. Diplomati tutti e tre, Chiummu era il più elastico di

cervello, duttile come piombo, non a caso primeggiava tra i compagni di classe e dai

restanti due era considerato l’intellettuale, Ferru aveva un carattere quasi autoritario,

saldo come il ferro, Cacazza, una povera animella in balia dell’altrui approfittare, era

di qualunque celia si andasse preparando a petra spunitura, non per cattiveria degli

altri, ma per una quasi sua inclinazione naturale ad attirare facilmente di tutto e di

più. Così che da ragazzo non fu casuale la sberla ricevuta da uno sconosciuto tra la

folla della fiera settimanale allocata in piazza Cappuccini in contropartita del

doloroso impatto alla nuca da quest’ultimo avvertito a causa d’un nocciolo di

bacolaro, soffiato con forza dentro una rudimentale cerbottana ricavata da un pezzo

di canna tra due nodi, da un bene appostato birichino impegnato a procurare guai a

chicchessia malcapitato di passaggio. Ovviamente Cacazza non c’entrava, perché

infatti dopo essere stato accostato da uno zio e aver scambiato i convenevoli,

all’oscuro dell’incidente, stava tornando dagli amici gingillandosi con il cannolo

usato per lanci non finalizzati a bersagli di sorta, ma comunque in mano e bene in

vista. Investito dal diluvio di parolacce che l’imbufalito centrato continuava a

sfornare mentre si allontanava, restò per qualche minuto intronato dal non previsto

manrovescio e si scosse nel trovarsi di fronte gli autori della bravata, travagliati dallo

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scompisciarsi dalle risa.

A determinare quella specie di predestinazione a pagare per le malefatte degli

amici contribuiva in Cacazza il suo essere un po’ imbranato, infatti quella volta con

Decu Protocollo, l’ingenuo ragazzotto fu salvato in extremis da un amico abitante

nella zona, che trovatosi a passare davanti il cancello secondario del “Belvedere”, e

incuriosito da un concitato vociare proveniente da dentro la villa, dopo aver

scavalcato agilmente come un felino l’ingresso già chiuso per l’ora tarda, avendo

riconosciuto i due litiganti si era interposto da paciere, assicurando alla parte offesa

l’estraneità del Cacazza quale autore dell’azione compiuta da balordi. Era successo ai

tempi dell’ampliamento della strada statale che il Decu, valente bombarolo per la

pesca di frodo a S. M. La Scala, più di una volta rincorso inutilmente dalla Guardia

di Finanza perché da saittuni qual’era le tracce faceva perdere grazie al veloce

arrampicarsi sulla timpa, quella sera il Protocollo si era imboscato dentro il cantiere

di lavoro e con effusioni amorose si coccolava una prosperosa mignotta. I tri da

vaniddazza che per ammazzare il tempo, avevano oltrepassato il muretto di cinta

della villa e s’ingegnavano come lasciare il segno della loro abusiva visita, dalla

ringhiera del balcone avevano scorto la tresca e per divertimento, procuratisi dei

sassolini, cominciarono a lanciarli in direzione della coppia pomiciona, in verità con

le proteste del Cacazza dissenziente, tacciate di pusillanimità dal Ferru e le sfottenti

risatine del Chiummu. Dalla strutturanda strada arrivavano avvertimenti di

rappresaglia stupidamente inascoltati, fino a che il Decu non si spazientì e staccatosi

dalla occasionale compagna, superò il muretto e come folgore su per i vialetti

raggiunse i tre in prossimità della vasca con i pesci sotto il ficus gigante intenti a

scavalcare la ringhierina per nascondersi dentro la piccola grotta riservata al riparo

dei cigni negli sporadici insediamenti, al momento vuota. Decu, da un bordo di aiuola

divelse una grossa pietra e la scagliò nell’acqua producendo un inaspettato rinfresco

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ai due entrati per ultimi. Poi con un solito, triviale inveire ingiunse agl’impauriti

rifugiati di fortuna di venir fuori e non ottenuti risultati, andò lui a stanarli,

minacciando di scannarli come agnellini, impegno che il promettitore pur se

conosciuto come abitudinario inosservante delle leggi, non avrebbe sicuramente

messo in atto, perché non si sarebbe macchiato di un simile, assurdo delitto, non

avendo affatto l’animo così nero. Nell’operazione dell’essere catturati, Chiummu e

Ferru, gli ultimi ad essere entrati nel nascondiglio, riuscirono a svincolarsi e a far

perdere le tracce grazie all’oscurità. Decu dovette desistere dall’inseguirli, ma a

consolazione della delusione, mentre se ne tornava sconfitto, vide emergere dalla

vasca il terzo insospettato ospite convintosi di poter sfruttare quel momento di

relativa quiete per squagliarsela, facendo male i conti dopo essere riuscito, a causa del

suo sofferto impaccio, inopinatamente ad entrare per primo e risparmiarsi la doccia.

Infatti venne immediatamente abbrancato e ridotto alla mercé dell’incazzatissimo

catturatore. Cacazza era diventato piagnucoloso e cercava di convincere il suo

aguzzino di non conoscere gli altri due, mentre quello lo lavava con tonante scurrilità

di linguaggio. Fu a questo punto che l’angelo salvatore della situazione raggiunse i

due, e constatando di conoscerli, cercò di ammorbidire l’infuriato, importunato

amante randagio, offrendosi come garante della buona educazione del tremante

accusato -Sarà veru- Esitò Decu -Però, vulinniccilla fari di patri, ‘ntimpuluni cci

l’haia a dari- Ed eseguì sentenziando -Ca cci arristari ppi ‘nsignamentu

Cacazza continuava a incassare sberle per marachelle il più delle volte a lui

estranee. Di sua pertinenza si guadagnò quelle della fidanzata, più rigorosa d’una

carabiniera, le volte che intraprendeva delle avances, fino a quando stanco di subire,

non decise di sposarla.

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11Chiaramente nel tempo, l’amicizia dei tre si estese anche alle rispettive mogli. Fu

così che scontate le turbe della menopausa ed entrate in quelle dei profumi mistici, le

tre donne con entusiasmo vollero partecipare ad un pellegrinaggio a Lourdes. I mariti

non ne vollero sentire e con gran sollievo si ritrovarono a godere della liberazione

dalla cavezza coniugale. Ai tre occasionali scapoli, ricordando della perduta

giovinezza le illusorie incursioni di conquista a Taormina, nei loro cuori si accese la

nostalgia. Per il giorno prescelto della spedizione i figli allocarono presso zii ed

amici e loro corsero l’avventura attraversati da palpitazioni di imponderabile

tachicardia.

Faceva caldo, la turistica spiaggia risuonava d’idiomi incomprensibili che solo

Chiummu, dei tre, approssimativo, ma efficace poliglotta, era in grado di riuscire in

parte a decriptare. I mattacchioni alla ribalta, intontiti da bikini, topless e tanga, i

loro occhi ficcavano fin dentro i pori delle leggiadre valchirie con pupille come

intinte di atropina. Pranzarono tra convitati di fragrante giovinezza e di ancor

piacente mezza età, alcune non disinteressate alle lusinghe da corteggiamento.

S’intrattennero sino al crepuscolo serale quando a frotte i visitatori dopo cena si

riversavano sul corso principale della piccola perla ionica per dedicarsi al passeggio.

Fu allora che il diavolo non disdegnò di svagarsi anche lui a spese del solito pagatore.

Soffiò sui cervelli di tre attempate ed elegantissime signore l’input d’una contagiosa

civetteria e attese fiducioso. Il nostro eroe parve folgorato da quell’atmosfera propizia

alla seduzione. Si mise presto in cacaticchio e premette su Chiummu, perché

sondasse le intenzioni delle tre farfallone, mentre Ferru ricordava ai due la dispotica

ora del rientro, e l’interprete della comitiva, ammiccando rassicurava che ci avrebbe

impiegato poco tempo. Infatti abbordò quasi confidenzialmente le tre allegre

teutoniche e cominciò a conversare con loro in inglese. Il designato capro espiatorio

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sembrava rigenerarsi alla constatazione del buon andamento fino ad assumere

l’espressione d’una pasqua, per poco però, perché una delle tre turiste su indicazione

dell’intermediario, avvicinandoglisi impettita, con uno schiaffo il colorito gli accese

quale polpa di anguria. Era successo che il Chiummu alla manesca frau aveva chiesto

se non aiutasse con protesi le sue prosperità, indicando in Cacazza il depositario del

sospetto. L’oltremodo stoica, designata vittima con l’amico tenne il broncio sino al

rientro a casa, ma all’atto di congedarsi, in sintonia alla sua indole bonaria commentò

-A corda ruppa, ruppa, cci va ‘no menzu cui nun cci curpa. Se fossi nato con la

faccia di gomma e i ceffoni avessero potuto rimbalzare, sicuramente avrei steso

parecchi miei schiaffeggiatori. Chissà quanti maestri dell’elementari ne avrebbero

portato i segni per sempre, specie per le mani pesanti che avevano!

La pacchia finì presto, le mogli rientrarono: Cacazza, all’atto di accogliere la

propria con un bacio, si beccò un bello sganascione in premio alla sua abbronzatura

realizzata a Giardini-Naxos. E non finì qui, perché la dittatora aggiunse -Hai cercato

di farmi le corna a mare! Tu che protesti quando si tratta di portarci me. Non mi tieni

in considerazione- -Ma che dici?- Ribatté il marito piagnucolando -Tu sei il più

prezioso gioiello entrato in questa casa- -Insisti a volermi fare doppia fessa- Sparò lei,

affibbiandogli altre due poderose sberle: la prima a ricordargli il vile anello di

bigiotteria ricevuto in dono e frantumatosi, cadendo a terra, come un fondo di

bottiglia, l’altra per essere stata superficialmente paragonata a quella paccotiglia. Sul

viso di Cacazza, ridisegnatosi d’innocente infanzia apparvero le lacrime e chiese

querulo -Che vi ho fatto a tutti?- -A tutti chi?- -A mugghieri, amici, conoscenti e non,

per essere strapazzato così malamente?- Insospettatamente la commozione contagiò

persino la moglie, forse per la prima volta nella lunga convivenza, e accantonate le

brusche maniere se lo strinse al petto accarezzandogli i capelli nel ripetergli

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scherzosamente -Quando approfitto di te, è perché ti voglio bene. D’ora in poi ci

starò più attenta a non perdere le staffe!- Ma siccome stringeva forte, Cacazza ormai

in apnea spingeva la ravveduta, cercando di riprender fiato e a discolpa del gesto

liberatore farfugliò -Io soffoco- Non l’avesse mai detto, inconsapevolmente aveva

dato il la alla reazione della provvisoria compassionata che staccandoselo dal seno e

affibbiandogli un altro sonoro schiaffo gli urlò –Mi respingi, vero? Da vecchia

mugghieri non sono più desiderabile! Lo capisci, almeno adesso, perché fai da

parafulmine alle sberle? Picchì i scippi di manu!- Del fatidico sentenziare, all’avvilito

marito non restò che darle ragione e aggiungere -E tu, cara, non te ne fare scrupoli,

tanto ormai le sberle non le sento nemmeno, perché la mia faccia, per fortuna, ci ha

fatto i calli!

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TAVOLA LV

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TAVOLA LVI

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Saggezza di Tuppètturu

La prova che la vera ricchezza in assoluto è la salute e non i soldi in quantità

maggiore di quella per poter vivere dignitosamente, ce la danno coloro che dopo il

trapasso i denari li trasmettono agli eredi, dimostrando di esserseli ritrovati

inservibili, quindi da inezie, a differenza della salute che non si finisce mai di

desiderare e di impiegare, altro che trascurarla, anzi non ci si stanca di essere gelosi

del nostro goderla. Ancora più efficacemente lo attestano i dilapidatori nel dissolvere

imponenti fortune, certamente per una evidente insufficienza di valore. Però il

riscontro più manifesto lo si trova nei tempi di ricostruzione da guerre o calamità

d’ogni genere, quando i cittadini spogliati di qualunque cosa, non solo sopravvivono

senza soldi e beni materiali, ma con tenacia riescono a ricostituire le perdute

ricchezze. Chiarito ciò, quel che serve è salute e lavoro e chi ce l’ha e chi lo fa, cioè

chi è ancora in forma, perché se mancano le braccia, non c’è trippa per gatti!

Quindi soldi e ricchezza sono subalterni alla salute e scaturiscono dalla

laboriosità delle generazioni più verdi, non certo da quella degli anziani, i più

fortunati dei quali, si ritrovano acciaccati di tutto punto. Perciò, a maggior

chiarimento, è la salute, più facilmente godibile nella giovinezza, la fonte di soldi e

ricchezza, e senza alcun dubbio, il bene più prezioso. Tal limpidità di verità la

conosceva bene un appartenente alla terza età, che non mancava di farlo rilevare in

qualsiasi occasione si presentasse durante le faccende giornaliere.

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Puddu Tuppètturu, così inteso per il suo dinamismo di sempre, e agiato grazie al suo

stillato sudor di fronte, dal quale ne era stato fiaccato ma non spento, lo sapeva

perfettamente, tanto da predicarlo quasi, sino ad essere disposto a remunerare con

tutto il suo avere, vestiti addosso compresi, chi era in grado di togliergli dal groppone

almeno quarant’anni di età, restituendogli giovinezza e vigore. A volte le discussioni

cominciano per gioco e senza accorgercene prendono sentieri più impegnativi.

Le donne sono poi le più pratiche negli affari, che specie se convengono loro,

conducono sin dove pare non possano cogliersi. E siccome amano i soldi e

s’inteneriscono al loro olezzo più delle serpi a quello dell’uccellino, una mattina al

supermarket una ben piacente avventora, alle parole del Tuppètturu protese la testa in

segno di avere annusato un succulento boccone. Infatti non perse tempo ad entrare in

contraddittorio con quanto sentito e ribattere con forza, sostenuta dall’approvazione

di altri clienti, che i soldi rappresentano la prima cosa che conta nella vita,

ribadendolo nel contestare l’insistenza del competitore di avviso diverso, dopo

avergli ancora chiesto se nell’immaginaria evenienza d’essere alleggerito di

quarant’anni avesse veramente in animo di onorare, nei confronti del suo molto

improbabile miracolista, la promessa prima espressa -Categoricamente- Garantì

l’aspirante Faust. La donna accolse quell’assicurazione come quasi un premio da

potere incassare e salutò l’eventuale, prodigale rimuneratore con un sorriso di sapore

civettuolo.

Quella sciocca disputa fu presto dimenticata, tant’è che in qualche sporadico,

successivo incontro nello stesso locale, tra i due irriducibili antagonisti vi si

scambiava un distaccato saluto di cortesia. Però tra i pensieri della cacciatrice,

quell’impegno così promettente del non rassegnato sognatore, portava scompiglio,

anche perché la furba interessata aveva trovato da informarsi a dovere sulla

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consistenza della fortuna in palio e convintasi di valerne la pena, non aveva smesso di

pensare al modo di poterci mettere le mani sopra. Però il problema non era di facile

soluzione fino a quando capì di possedere la chiave di quella cassaforte e di poter dire

completamente soddisfatta che il miracolo fosse alla sua portata. Non pose tempo

in mezzo e mise in azione il piano d’attacco. Innanzitutto, quand’era diretta al

supermarket, almeno fino a che non avesse sperimentato le prime mosse, doveva

prepararsi con più approfondita cura per non mancare di fare colpo: abbigliamento

più ardito e compresso, accurato uso di cerone, profumo accattivante, prodigalità di

lusinghevoli sorrisi. Essendo tutt’altro che anoressica, sembrava comunque una

mannequin in procinto di sfilare!

E venne il giorno dell’incontro risolutore. Tuppètturu intento a ritirare una

confezione di latte da uno scaffale, si sentì bussare alle spalle. Manco si girò, che gli

occhi gli cominciarono a sfavillare e la bocca dallo stupore per tanta grazia di Dio al

suo cospetto, da spalancata si modellò a semiaperta, senz’essere affatto in grado di

salutare. L’affatturatrice capì di colpo di aver conseguito l’effetto sperato e si

premurò a soccorrere lo sconcertato ostaggio, prendendo la parola -Sa, così di botto,

all’improvviso mi si è presentata la possibile soluzione della sua aspirazione a

sfoltirsi gli anni- -Lei si prende gioco di me- -Nemmeno per sogno- -Se questo la

diverte, non sarò io a negarle il piacere, d’altronde gingillarmi immerso nel suo

humour non dispiace neanche a me- -In questo frattempo non se ne sarà pentito, per

caso?- -In nessun’altra congiuntura sono stato più determinato- -Allora, mi consenta

di prendere due cose soltanto e dopo se vuole, mi potrà accompagnare per un tratto

di strada. Preferisco che non se ne parli qui dentro di questioni così delicate- -Sono

d’accordo con lei, anzi la precedo ad uscire e l’aspetto davanti S. Sebastiano- -Non

avrà da attendermi molto

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Raggiunta che l’ebbe, prima di entrare decisamente in tema, la fatal tentatrice regalò

all’ancora stordita scorta un canagliesco sorriso da mandarla in brodo di giuggiole.

Quindi si decise a sciorinare la sua ricetta -Noto che non le sono indifferente- -

Perché, lo si potrebbe essere con una donna così affascinante?- -E’ anche molto

galante- -Ci vuole poco ad esserlo. Ho capito. Lei si burla di me- -Niente affatto,

debbo essere sicura che ci sia un qualche innamoramento, perché è fondamentale per

l’accettazione della mia proposta- Gli sorrise, stavolta ispirata al sensuale- Non c’è

trucco, né inganno, tutto si fonda sulla mia capacità di invaghirla. Perché se questo

accade, mi dica se non posseggo io la maestria di ricondurlo giovane come lei spera?-

Minchia! A tal proposta, più della persona pensante che fisica di Tuppètturu, rimase

ben poco; il terremoto che produsse la sua immaginazione fu indescrivibile, per cui

noi riportiamo solo quello che poté rispondere, anzi chiedere, non appena si ristabilì

un poco -La sua è una dichiarazione all’incontrario, o sbaglio?- -Non è una

dichiarazione, è un contratto che soddisfa in pieno le due parti- -A me pare una sola

parte, cioè a dire, lo spogliarmi a suo esclusivo beneficio- -Solo beneficio mio, o

anche suo?- -Solo beneficio suo, per niente mio, anzi per mia rovina se mi spogliassi

nel modo alluso, perché la medicina da lei offertami non può che condurmi più

frettolosamente a morte, altro che a ringiovanire- -Non faccia l’esagerato! Dovevo

capire che mettendolo di fronte all’atto pratico, lei avrebbe cercato la scusa per un

ripensamento- -Deliziosa signora, la natura non ci pasce con sollazzi e piaceri, anzi

quando noi, e solo noi maschi, ad una certa età per illuderci spingiamo con il

praticarli oltre il consentito, essa non fa altro dal tagliarci le gambe. Ficu e muluni su

a tempu e stagiuni!- -A fugare tale pericolo, potrei lasciargli i vestiti addosso- -Ma,

appetitosa signora da favola, me lo conceda, come potrei abituarmi a mangiare

sciapo, specie ad una tavola così squisitamente imbandita? Quindi la ringrazio

dell’onore ricevuto e la invito ad associarsi a me nel considerare la vicenda allo

stesso modo che se si fosse scherzato. Specie in questo periodo che siamo sotto le

feste di carnevale! 120

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TAVOLA LVII

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TAVOLA LVIII

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Cantonata da assurdo qui pro quo

Al nostro eroe Puddu Tuppètturu, reduce da una sofferta, defilata avventura

rosa da me posta all’attenzione vostra e da lui per ragioni di opportunità esistenziale

respinta con vero tormento di cuore, non gli mancano certo di presentarglisi

congiunture a dir poco surreali. Molto dipende dal suo carattere ingenuo, un pizzico

di vanità e dal suo coltivato dinamismo. Infatti, conscio che alla sua età la

sedentarietà gli potesse anticipare arrugginimenti alle articolazioni costringendolo ad

allentare l’autonomia, da navigatore solitario della vita qual’era stato sino al presente,

cercava in ogni modo di scongiurarne il molto probabile pericolo. Così non mancava

nel corso della giornata di impegnarsi in lunghe passeggiate, tra le intricate viuzze del

centro storico della città, in modo da evitare il traffico veicolare e renderle totalmente

salutari. Queste camminate lo rivitalizzavano nel corpo e nella mente, perché oltre a

farlo sentire sciolto nelle membra, dal punto di vista culturale gli sembrava di

muoversi tra mura antiche di una città di rango, tanto più perché da estraneo nelle

zone preferibilmente visitate non conosceva qualcuna delle poche persone incontrate,

e questo lo conduceva ad estraniarsi sufficientemente, lieto nel rimembrar le gioie del

passato. Ne aveva scenette da ricordare da vecchio farfallone rimasto scapolo per

incomprensione dei limiti che irrimediabilmente nel tempo s’interpongono tra la vita

da gaudente e quella ordinaria. Si era illuso che le feste da ballo non dovessero mai

finire, così pure gli altri rendez-vous sentimentali, tra cinema, pizzerie, discoteche, e

in macchina in luoghi appartati vari. Del suo fascino, dote di cui all’epoca vantava di

essere buon portatore, e rimasto il solo a crederlo anche dopo, si illudeva di esserne

ancora dispensatore, e che dovesse accompagnarlo per tutta la vita e non esaurirsi

entro lo spazio della sua generazione, in seno alla quale non gli erano mancate mai

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ottime occasioni di potersi accompagnare con belle fanciulle ammirate

soprattutto del buon carattere, della posizione sociale, a suo merito conseguita con

l’impegno profuso nel lavoro, e della liberalità di animo. Cose a cui lui nemmeno

pensava, ma che per le donne costituiscono la vera attrattiva della persona. Tuttavia

fra le tante tentazioni era riuscito a non impigliarsi nelle reti che ora da anziano ogni

tanto rimpiangeva, specie le volte che affioravano i turbamenti da solitudine, perché

essa, si sa, non è mai una comoda compagnia. Erano questi i pensieri che ripassava

nelle divagazioni da passeggio, sospirando spesso per il perduto Eldorado, malgrado

ancora sentisse di possedere l’arte della fascinazione. In parte non l’aveva perduta

poiché d’indole amabile, sprizzava simpatia da tutti i pori, però le conoscenze si

erano assottigliate e quindi anche i beneficiari di questa effervescenza

dell’intrattenere.

Tuttavia si era accorto, specie nelle ore dedicate dalle donne alle commissioni

della spesa che di tanto in tanto qualcuna, non certo tra le giovani, da lontano lo

gratificava di un cenno molto significativo, portandosi la mano alle labbra in

allusione di volergli regalare un bacio.

Tuppètturu fremeva d’orgoglio, ma siccome ne arrossiva pure, nell’incrociare

l’autrice del gesto, soprassedeva dal fermarsi e familiarizzare, anzi pudibondo

abbassava il capo e procedeva oltre senza controllare nemmeno se fosse stato

vezzeggiato anche da qualche sorriso. La soddisfazione più grande la riceveva nelle

rare occasioni di transito di qualche macchina guidata da una donna, zelante a

lanciargli lo stesso complimento. Dalla scoperta dell’abitudine femminile di allettarlo

con quello zuccherino, si ripromise d’imbastire la strategia idonea a chiarire e così i

suoi pensieri almanaccavano stabilmente quali potessero essere le prime mosse, fino

a quando non notò che anche una sua probabile coetanea gli si ingraziava con lo

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stesso omaggio. Allora esplose in una sonora risata e in quella convulsiva

consumazione si accorse di stare quasi sotto uno dei frequentissimi altarini, per la

trascorsa gioia dei nostri antenati colti, disseminati dappertutto lungo le strade del

centro storico.

L’anziana signora se ne risentì come se fosse stata canzonata a causa del suo

atto di devozione e rimproverò anche l’incauto esternatore che cercò di spiegare

scusandosi, ma vanamente perché l’altra procedette impettita, bofonchiando.

L’episodio fu archiviato presto, ma un bel giorno mentre percorreva una strada

di un quartiere nuovo senza altarini di mezzo né portoni di chiese, da lontano una

manina di ragazza lo salutava con insistenza, il Tuppètturu ormai scottato

dell’ubriacatura già presa, ma dura a morire negli anziani, si girò per controllare chi

ci fosse dietro di lui, e siccome non c’era alcuno questa volta si spazientì, solo per

qualche attimo però, in quanto subito riesplose in una risata più sbellicante della già

nota, e di fretta, dopo averla focalizzata bene nell’avvicinarsi, si diresse ad

abbracciare l’ancora giuliva ragazza, non essendo altri che una sua nipote!

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TAVOLA LIX

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TAVOLA LX

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Il mago, gigante buono, si arrende al pidocchio

Se ai nostri tempi fosse vissuto Fedro, quasi certamente avrebbe scritto,

ovviamente con più verve della presente, la stessa verosimigliante favola, oscillante

tra il comico ed il patetico.

Non molto tempo fa nel Belpaese un uomo corpulento arrivò al vertice del

potere politico. Oltre ad esibire stazza, sensibilità e generosi slanci di altruismo era

dotato di particolari virtù magiche, per cui se come noi diciamo cci pinneva u nasu

era capace di trasformare in cristiani, serpenti, iene, pescecani, avvoltoi, coccodrilli,

scorpioni, etc. etc., dei quali si circondava con orgoglio e dai quali dalle fortune che

procurava loro veniva contraccambiato con dazioni di tutto rispetto, destinate

all’organizzazione da lui diretta in continua espansione, e a volte, specie i bocconi più

prelibati, a fini molto misteriosi dei quali se ne perdeva traccia senz’alcuna possibilità

di riuscire a raccapezzarcisi. Comunque sia, fu un periodo d’oro, e più che latte e

miele scorrevano soldi a fiumi, tanto che il futuro congedo del mago buono sarà

salutato con un diluvio di monete.

Ma nel corso della sua operosissima attività, un pidocchio cominciò a

guardarlo con interesse e a nutrire per sé un’ambizione a lui stesso sembrata, a causa

delle sue ridottissime misure, del tutto improponibile. E però più il tempo passava e

più avvertiva crescere l’istanza del suo desiderio: anch’egli voleva diventare

cristianu. Spinto dalla smania non si perse di coraggio e dopo averci riflettuto bene,

capì d’essere in grado di mettere in croce il buon mago: gli si doveva insediare tra le

pieghe della sua carne penzolante di grasso, anzi meglio, maggiormente al riparo, in

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qualche fessura e tormentarlo, così scelse un’ottima nicchia tra le chiappe e avviò

l’opera.

La vittima designata cominciò a dimenarsi fuor di controllo e a volte addirittura ad

esibire allusioni da debosciato con improvvisi e lascivi pubici scatti in avanti,

comportamenti assolutamente inconciliabili con le sue alte relazioni di

rappresentanza istituzionale. Così cominciò a spazientirsi e a sacramentare specie

dopo gl’inutili tentativi di liberarsi del parassita.

A questo punto, lo sgradito ospite, uscì dal rifugio pasciuto e maleodorante, ma

baldanzoso, gli si piazzò davanti a debita distanza ed esordì -Si ti voi libirari di mia,

fammi cristianu-

Al buon mago, da grande diplomatico qual’era, gli sovvenne che quando

vincere non si può, bisogna cercare la pace. Quindi tra i suoi favoriti, uno in più o in

meno non creava problemi e senza indugio applicò l’incantesimo anche

all’impertinente anopluro. Questi incredibilmente si distinse dagli altri beneficiati in

dinamismo e imprenditorialità tanto da arrivare in fretta all’apice dell’aristocrazia

borghese, specie con il continuo appoggio del suo benefattore, che resosi conto della

riuscitissima trasformazione sin dalla partenza lo elesse suo pupillo e capì che con

quel capolavoro di cristianu avrebbe finalmente potuto realizzare una sua grande

innovazione, quella di spostare da Torino a Milano il centro di attrazione

internazionale del capitalismo nel Belpaese. Infatti il nuovo cristianu se la meritava

tutta quest’alta considerazione poiché da impareggiabile stratega era riuscito a creare

un impero anche se quel che acquisiva, uno, lo involgariva tanto per restare in linea

con il suo alto sentimento femminista di ossessivo spettacolo di tette, natiche e cosce

di abbagliate ed abbindolate belle ragazze, due, lo fagocitava con manovre a volte

spericolate delle quali quando i magistrati cominciarono ad incuriosirsi sul suo conto,

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lui cadeva dalle nuvole e non sapeva regolarmente niente di niente. Tuttavia capì che

nel frattempo, il suo benefattore ormai in disgrazia, ritiratosi in esilio da perseguitato

politico, per lui le acque cominciavano ad intorbidarsi e se non giocava d’anticipo

poteva rimetterci anche la libertà. Allora decise di scendere in politica, formò un

nuovo partito e si autoconsacrò leader per tutte le stagioni. I soldi da investire nel

progetto non gli mancavano, né mnancavano le persone da comprare, sì da costituire

uno staff di fedelissimi del tipo di quello aureo prebellico. Grazie al suo alto senso

democratico invidiatissimo nel mondo intero riesce ad espugnare anche l’Esecutivo

del Belpaese, ed è qui che colto, elegante ed allegro sempre, fa rifulgere

maggiormente il suo genio, intuito, le sue direttive. A parte l’immediata scoperta del

fanatismo comunista di quasi tutti i magistrati, qualche legge ad personam, un lodo

qua e là, il continuo ribadire di essere stato frainteso dopo avere aperto bocca,

qualche sberleffo internazionale o incompresa battuta spiritosa, prodigo del

garbatissimo rilascio di attestati e riconoscimenti delle alte qualità altrui, molto

galante con le donne, generoso nel dispensar pacche sulle spalle, unico a capire che il

penultimo presidente americano passerà alla storia (non specificando se

positivamente o negativamente, tanto da poter in futuro asserire in ogni caso di essere

stato il primo a riconoscerlo), e tuttavia dall’alto dei suoi tacchi, dalla perfetta

lisciatura dei fitti capelli, dal rifinitissimo inceronamento del viso, dal suo smagliante

e inossidabile sorriso, dagli attillati capi d’abbigliamento da farne un figurino,

malgrado tutto questo, e non è poco, spesso risulta incompreso come capita a tutti i

grandi, e di tanto in tanto impercettibilmente si coglie in lui qualche segno di disagio

però subito ben dissimulato. Fuori dai confini del Belpaese, non di rado subisce

immeritate critiche il più delle volte perché ritenuto, dai soliti privi di spirito, troppo

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divertente, e l’inquietudine, allora sì, lo attanaglia forse tramestato dal sospetto che si

fosse potuto sapere delle sue origini. Ma tali insinuazioni di leggera considerazione a

suo carico, scaturiscono dal fatto che i denigratori non capiscono che, in tempi come

quelli correnti di acuta crisi, è necessità dover tagliare su tutto, basta che i soldi li si

regalino a banche e compagnie aeree. Ed è per l’emergenza crisi che anche sul ruolo

di giullare di corte con grande spirito di sacrificio non si è tirato indietro, caricandosi

di impersonarlo direttamente pur di risparmiare, ed entrando in tal modo a pieno

titolo ad essere assoluto protagonista dell’allegorico-grottesco bailamme carnevalesco

perdurante nel Belpaese, bontà sua, l’intero anno.

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TAVOLA LXI

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TAVOLA LXII

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Sic transit gloria mundi!

I sogni si sa, sono le proiezioni dei fatti più significativi che hanno

maggiormente impressionato lo scorrere della giornata. E quali notizie, a parte la

buona salute, hanno il dono di entusiasmare di più rispetto al fluire di un benessere

diffuso? Nessuna! Da un tal dilagare di agiatezze a volte persino sfrenate da cittadini

benestanti, qualificati tali con preordinato cinismo, o superficiale convincimento, o

peggio ancora con alto tasso di ottusità politica di qualche nostro troppo ottimista

governante, passai una notte parecchio surreale. L’indomani avevo da festeggiare il

35° anniversario di convivenza con la mia compagna e volevo questa volta affrontare

la ricorrenza in modo sbarazzino da rinverdito giovane, senza alcun preparativo,

perciò io e lei alla stregua dei lontanissimi primi giorni di frequentazione ci

avventurammo in macchina a cercare un punto di ristoro che maggiormente ci

avrebbe attratto. Non ci si può cre-de-re; dovemmo rassegnarci a rinunciare per

l’indisponibilità di due coperti magari in un qualsiasi sottoscala: ogni spazio utile

traboccava di avventori, tutti regolarmente prenotati. Un po’ contrariati, ma non più

di tanto, ci siamo mossi lungo il litorale a riparare su altri ristoranti: niente da fare,

stessa solfa in un raggio di 50 Km. Intanto già si faceva l’ora della chiusura dei

negozi e quindi per non restare del tutto a stomaco vuoto, mi fermai al primo Spar del

luogo a comprare qualcosa di salumeria e dei panini. Conoscevo i gusti della mia

compagna verso i prodotti più raffinati e al banco chiesi proprio quelle prelibatezze

delle quali dovetti constatare la loro sparizione; era rimasto un culo di mortadella e

pochi salumi più ordinari. Guardai tra i formaggi: roba per palati grossolani. Optai

per un etto di mortadella. Uscito che fui a raccontare l’esito, entrambi ci facemmo

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sopra una gran risata, poi d’accordo decidemmo di cercare una tavola calda o

un

girarrosto. I locali indicati, su nostra richiesta d’informazione

chiusi in anticipo per esaurimento dei cibi preparati. Per farla breve ci toccò

consumare, grazie alla mia previdenza, un panino alla mortadella ciascuno, con il

gustarlo come ai tempi andati della scuola media durante la ricreazione. Rientrammo

lentamente da dove eravamo partiti, non da cani bastonati come si potrebbe

immaginare, ma con buona dose di allegria.

Dopo lo smacco subito, non ci siamo persi d’animo e decidemmo di festeggiare

la ricorrenza ad entrambi molto cara, ma a me in particolare per l’avvertito bisogno di

disobbligarmi della sopportazione della mia amata nei miei confronti per un così

lungo tempo, e quindi sapendola fervente fan dello shopping, le proposi,

entusiasmandola, di visitare qualche negozio e acquistare un simbolico cadeau da

scambiarci. La sorpresa fu incredibile, ma solo per sprovveduti come noi che dalla

rarefatta presenza di gente in istrada non eravamo arrivati a supporre quel che ci

attendeva, e infatti non potemmo risparmiarci dal constatare che gli assortimenti in

carico ad ogni esercizio erano stati assottigliati di grosso, restando ancora a

disposizione di qualche sparuto e malaccorto compratore, merce di poco conto.

Poteva esser previsto, ritrovandoci sotto le feste natalizie, ma il repulisti generale si

era consumato in brevissimo tempo e con largo anticipo -E va bene- Concludemmo

-Volgiamoci verso le gioiellerie- Stesso spettacolo con vetrine che sembravano essere

state alleggerite da razziatori sfrenati.

A questo punto un po’ stanchi e un po’ scornati, ma lieti di aver potuto

constatare, altro che crisi!, solo inconvenienti da benessere, decidemmo di rifarci con

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qualche leccornia al bar: una sfilza di vassoi vuoti, con l’eccezione di residui biscotti

da colazione. Ordinai due caffè che sorbimmo amari, tanto da adeguarci alla totale

frustrazione del momento. A completamento della baldoria soltanto immaginata,

decidemmo di archiviare la sognata giornata, andandocene a letto digiuni. Fu una

santa soluzione perché a stomaco vuoto si dorme da prìncipi, tant’è che entrato nel

dormiveglia anticipatore del risveglio, almeno io mi ero rifatto con gli interessi di

quanto sofferto durante l’antecedente, inglorioso peregrinare, mentre la mia

compagna forse meno eccitata dalla vigilia, di conseguenza con un sonno più

regolare, da me aveva dovuto subire l’eccessiva euforia e per questo ancora

assonnacchiata mi ripeteva –Hai cantato tutta la notte- -Per forza- Ribattevo io

-Contro tutte le cucche e i comunisti che negli ultimi tre anni non hanno fatto altro

dal crocifiggere con l’inventata crisi, forse il più grande statista che l’Italia abbia mai

avuto, fino al suo disamoramento e la tanto sofferta decisione di abbandonarci dopo

quanto fatto per… (se stesso)! E’ stato sempre così, bisogna non valere per star saldi

al potere. E lui stesso ne è ben conscio, infatti in analoghe situazioni, da persona

molto colta non si è risparmiato a commentare “Sic transit gloria mundi!”- Lei mi

guardava in tralice, non avendo capito sin qui quanto avevo detto, per cui le spiegai,

rassicurandola che io stessi bene, al che aggiunsi -E ora, amata mia, entriamo

nell’atmosfera della reale ricorrenza e prepariamoci in fretta ad uscire per rimediare,

specie io, un’abbondante colazione che, di certo stimolata a compensazione del

digiuno osservato nell’onirico film, il mio stomaco reclama. Poi vedremo se saremo

più fortunati della prova generale di stanotte- Chiusi l’uscio a più mandate, sapendo

di assentarci tutto il giorno da dedicare al sospirato, sentimentale festeggiamento.

Il sole era già alto, le strade spopolate e tristi, le persone incontrate dimesse e

nervose, vuoti e stracolmi di merce gli esercizi commerciali che ancora resistevano

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nel condurre l’attività; sembrava sbadigliassero come ad interpretare la condizione

depressiva dei titolari dediti a sorreggere gli stipiti degli ingressi e a cacciare mosche.

Al bar in cui siamo entrati, il bancone offriva ogni ben di Dio, al supermarket di

fronte mancava l’ordinario andirivieni di clienti. Si respirava un’aria pesante da

recessione, tuttavia per scaramanzia informai la mia metà che prima di muoverci

avremmo avvisato il ristorante da visitare. Così facemmo, ricevendo uno dei più

accoglienti -A tra poco!-

In tutto eravamo tre coppie di clienti e un servizio di camerieri che ci

soverchiava. Un trattamento da nababbi: non ci facemmo mancare nulla, tanto meno

un conto abbastanza salato, tuttavia senza rimpianto perché le ore erano scorse felici!

All’imbrunire la mia compagna timidamente sciorinò l’idea dello shopping -Con

quali soldi?- Chiesi io divertito -Il sogno di ieri notte mi ha troppo punito di

prosperità perché non mi rifacessi oggi di quel che le tasche mi hanno consentito,

lasciandomi solo qualche spicciolo a disposizione, quindi il resto al più presto grazie

all’opulenza dei tempi- -Cioè a dire- Ribatté lei con intonato spirito sarcastico -Alle

calende greche!- -Forse- Ammisi io -Con l’aria che tira, grazie al nostro visionario

statista, per fortuna, consentendo finalmente l’inizio d’un risveglio morale, sociale e

politico delle coscienze degli italiani, cacciatosi fuori dalle palle, e al quale per la

malattia che ha, a detta della sua ex moglie, gli consiglierei a godimento di una sua

migliore e tranquilla privacy, e uno squallido spettacolo da risparmiare a tutti noi, di

relazionarsi alle sue attese con una inserzione del genere: “Sempreverde satiriasico di

irresistibile fascino e illimitate fortune, frequenterebbe giovane (abbastanza) ed

avvenente ninfomane, anche lei alla ricerca di un partner alla sua altezza e ben

versata all’impegno dello scatenamento di infuocate passioni indispensabili al

lenimento della perenne, quale olimpica fiamma, divoratrice concupiscenza. Si

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garantisce assoluta riservatezza al riparo di castigati “bunga bunga”. Ridemmo di

vero cuore ricordandoci l’un l’altra uno dei pochissimi motti saggi -Sic transit gloria

mundi!- pronunciati dal nostro eroe tutto da dimenticare, tranne nelle ricorrenti

occasioni del carnevale, quale interprete ineguagliabile di buffone

TAVOLA LXIII

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TAVOLA LXIV

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La profezia dei Maya

Si conosceva da tempo la fatidica data del 12/XII/2012, ma con l’approssimarsi

del sopraggiungere, le divertite preoccupazioni cominciavano a intimorire con piccoli

morsi. Nelle persone, ovviamente tutte dichiaratamente scettiche totali, si notava un

impercettibile, simulato senso di sgradevolezza mista a disagio. Io, supportato dalla

mia feconda terza età, francamente ero completamente tranquillo, poiché trovandomi

nel periodo incriminato in buona salute, mia unica aspirazione di condizione fino al

momento di dover tirare le cuoia, nell’annunciata abbreviazione di vita per cataclisma

ci trovavo la mia convenienza a scomparire assieme agli altri in quanto, diversamente

da bambini e giovani, ormai ben stagionato sicuramente avrei avuto da risparmiarmi

del dover bere l’amaro calice riservatomi a voler resistere ad oltranza. A parte che la

scadenza naturale, in rapporto all’estensione del tempo, avrebbe rappresentato

qualche attimo in più, attimi in più che avrebbero sempre combaciato con la fine del

mondo riservata a chicchessia nel compimento del proprio trapasso! Per di più, oltre

codeste considerazioni filosofiche il bicchiere per altri aspetti poteva presentarsi

mezzo pieno. In un sol colpo, Acireale dalle macerie sarebbe potuta risorgere

urbanisticamente irriconoscibile in positivo, nonostante dovevo convenire che se i

successori avessero riportato lo stesso D.N.A. dei padri, altrettante teste di trunzu,

avrebbero fugato qualsiasi speranza.

Però che l’aspetto sociologico era più promettente lo si poteva intuire dal

rapido dissolvimento che si sarebbe prodotto delle stucchevoli ricette delle donne per

meglio appetire, dal festival degli sberleffi dei poveracci verso i ricchi e verso la loro

disperazione a dover rinunciare a quanto arraffato, dalla tanto agognata e definitiva

rivincita di culturale livellamento degli scimuniti verso i più dotati, dei deformi verso

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gli atletici, dei policromi verso i bianchi, dei carcerati verso i liberi, degli omo verso

gli etero, insomma della totalità dei più o meno frustrati verso i vincenti. Poi ci

sarebbe stata da godere la sarcastica risata degl’instancabili burloni verso i politici

durante il count-down e l’immediato vederli impazzire di fronte allo svaporare delle

opulente mense e degli onori ricevuti dai lor seguiti di mandrie di cervi. O la risata

più penosa di qualche materialista da strapazzo verso i prenotati al paradiso, i più

inconsolabili a dover lasciare l’inferno terreno, e così via…

Alla luce di tutto ciò, la mattina seguente il preannunciato annichilamento, al

risveglio ancora a letto, ugualmente e automaticamente, per il naturale principio di

conservazione mi tastai addosso, scoprendo di essere ancora vivo. Ne sorrisi,

vergognandomi di quella debolezza e invogliai l’imbecille che mi ritrovai in me ad

alzarsi, e, ancora una volta più scemo, poiché avendo convenuto sulla obbiettiva

assurdità che si fosse potuto verificare improvvisamente e privo di alcun prodromo di

rilievo un tale evento, mi affrettai ad aprire le imposte del finestrone per guardarmi

intorno. Com’era più che scontato potei incontestabilmente appurare di non esser

stato io solo a sopravvivere, ma l’insieme di quel che mi circondava, e che quasi a

beffarmi per la speciale occasione si deliziava a stagliarsi nitido e fresco, dentro una

radiosa giornata di dicembre!

Mi rassegnai al solito trantran, constatando che malgrado i cucchi la vita

continuava, quindi bisognava non trastullarsi oltre e procedere a soddisfare le

incombenze mattutine, così mentre mi recavo in bagno accesi il televisore, e con

grande sorpresa chi mi appare? Lui, l’innominabile, non quello divino, il terracqueo,

l’italiano per eccellenza, il Cavaliere. Altro che contestatore e oppositore alla

ministro Fornero come i tanti sciocchi lamentatori del sovraccarico che imponeva

loro, Lui della riforma sulle pensioni ne era diventato il più strenuo promoter per

esempio di gratificazione ed abnegazione d’impegno. Lo si notava, più che mai ora

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da fresco fidanzato con una potenziale pronipote, dal felice sorriso a 32 denti! A Lui

non gliela si poteva fare, Maya compresi che tutt’al più gli avevano procurato un

leggero solletico, lasciandolo ancora padrone della scena e accresciuto personaggio

sponsor d’un carnevale, assolutamente grazie a Lui, molto variegato di frisca e

pirita!

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TAVOLA LXV

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TAVOLA LXVI

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Riabilitazione del “13”

Coloro che càbalano il numero 13 portatore di sfiga dovranno ricredersi

sull’anno in corso per aver questo smentito il suo predecessore quale pronosticatore

della definitiva (per fortuna rivelatasi minchiata) catastrofe minacciata dai Maya per

il 12/XII/2012 e non solo, ma anche per l’abbrivo preso dal ricco carnet di

appuntamenti di cui si dovrà occupare specie in campo politico e religioso.

Siamo in piena fibrillazione atriovascolare per cui ci si muove al cardiopalmo

nel raccapezzarci di quanto sta succedendo sia celestialmente che mondanamente.

Malgrado ciò una ventata di ottimismo soffia la speranza di un nuovo più godibile. La

Chiesa senza morti di mezzo si rinnova a seguito di inusuali dimissioni del suo capo

deciso a bonificare la palude, ma ostacolato dai prìncipi di corte avvezzi a seguire più

Satana che lo Spirito Santo e quindi indisponibili a ripulire le torbide acque della

pedofilia, dello IOR e del Vatilix. Evidentemente l’atto rivoluzionario d’un papa

impotente ha scosso e irretito le coscienze dei fedeli e per quanto la pillola fosse stata

amara da ingoiare, almeno preannunciava una ventata di difficile riordino. E questa

sensazione avvertita dagli attoniti spettatori li accompagnò anche dove avrebbero

avuto più diretta partecipazione, cioè nella politica dove finora tutto è scorso per

restare fermo o per arrampicarsi all’incontrario tra le forre del passato. Le scadenze

non erano di poco conto: si doveva trovare un nuovo presidente della repubblica,

impresa molto disagevole in quanto colui che lasciava s’era distinto non di poco per

intelligenza, saggezza e rappresentatività istituzionale, si doveva rinnovare il

parlamento e qualche importante Regione. Insomma, per come si svolgono queste

cose in Italia c’era tanto da divertirsi, E però questa volta i sudditi ci misero anima e

corpo nel determinare il cambiamento che nei numeri si rivelò solare, ma nella

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sostanza ingarbugliò la situazione ancor più di prima. Il teatrino, quale colorazione

dell’operetta scelse al solito il burlesque, così da meritarsi molto appropriatamente lo

spontaneo commento del segretario socialdemocratico tedesco di aver visto vincere

due clown. E che cosa poteva dire di diverso uno spettatore osservando il procedere

degli avvenimenti tra dibattiti televisivi da salotto o nascondimenti, macchiette ed

interviste, exitpoll taroccati e dichiarazioni di guerra finte, nuotate sullo stretto e

fantasiosi tsunami, smacchiate di giaguari, cenacoli di prostituzione e via di seguito

di questo passo?

Il tutto comincia dalla strategia di un condottiero di latta più idoneo ad ottenere

noci che consensi, e allevare animali da cortile piuttosto che guidar un’alternativa

volta al cambiamento di musica ed infatti davanti al suo avversario steso a terra

agonizzante invece di affondare il colpo decisivo, gli porge la mano per rialzarlo, non

sapendo che la vipera liberata dal sasso non bacia la mano salvifica, ma la morde. E

così più signorilmente paciere e perciò stesso inadatto ad “esecuzioni” associa il suo

placet ad un governo dei tecnici corroboratore del graziato rivale indefesso a

riorganizzarsi e a seminare discordie con arroganza ed indecenza tanto da condurre

l’inetto smacchiatore di giaguari a pietire dinanzi al salvatore della patria per quel

tratto di tempo ritenuto àncora di salvezza al Senato, ma da affossatore del benessere

risultato zavorra per cui la gente arrivò ad odiarlo al punto di lasciarlo con le pile

scariche e quindi inservibile nel gioco dell’illuminazione della fiducia, in favore dello

straripatore comiziante di piazze e, come se le elezioni avessero dovuto svolgersi

all’estero, disertore delle televisioni e delle interviste nazionali, e tuttavia ottenitore

dei volts per dar luce al governo da formare, ma che non impiegherà mai a favore di

chicchessia, ritenendo forse che la gara delle urne avesse lo scopo di consentire di far

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spettacolo e basta!

Lo stridulo canto del Grillo, vero perno della governabilità, risulta ostico totale

e malgrado ciò è corteggiato dai partiti in campo senza che arrivino aperture di sorta.

Unica condizione è il governo nelle sue mani o la disponibilità a votare proposte

presenti nel suo programma. Tuttavia, per niente scoraggiato, il suddetto buon

samaritano, ridicolizzandosi, accettando di proporli in seduta streaming, sottopone

ben otto punti a suo avviso contemplate dalla promozione nel programma

dell’agitatore di masse, senza purtroppo che l’inghippo della fiducia si ammorbidisca

in intenzioni di buona volontà. E allora perché per un semplice dettaglio tecnico di

facile aggiramento, deve saltare la fattibile operazione? Si rovescino i ruoli e il gioco

si riattiva. Certo sarà un corto respiro e poi si tornerà alle urne a far votare non porci

ma cittadini per bene. Un passo indietro, dopo aver messo in fuga tanti giovani di

matrice progressista e fallito la promessa della presa della presidenza della

Lombardia è il meno che si possa chiedere a un segretario privo di determinazione

nel non aver voluto affrontare le elezioni anticipate al tempo giusto e sordo da aver

generato i guai per la tenacia di respingere le attese di schierare in campo un

rottamatore che avrebbe di sicuro spazzato via personaggi ingombranti e squalificati

oltre all’aizzatore di piazze impegnato a preparare la risata cosmica, dopo aver

ricacciato il suo più strenuo corteggiatore in un cul de sac senza via d’uscita.

Questo è quanto fino ad ora, ma credetemi, l’eufemisticamente divertimento è

ancora tutto da venire. Altro che carnevalata alla jacitana!

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TAVOLA LXVII

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TAVOLA LXVIII

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SCHERZO DI CARNEVALE

Cadeva la sera del berlingaccio,

cercavo le chiavi del mio portone,

turbato restai con grande impaccio:

davanti a me balzò un leone!

Sarà una burla ebbi a pensare,

malgrado il trucco fosse squisito,

ma, quello intuì il mio ragionare,

mi fece cadere con un ruggito.

Severo scandì in lingua moderna:

“ah stronzo, scambiamo tosto la pelle!”

Pipì mi colò al suon di caverna.

Rimasi di sasso, vuoto, imbelle!

“Mi voglio svagar con Re Carnevale.

Però martedì, illustre coglione,

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dovrai presentarti qui puntuale

all’ora final d’estremo veglione.

La vita salvai ad un fattucchiere,

per questo capriccio tanto bramato;

di più ei non può l’incanto tenere:

il termine dunque va rispettato!

Su alzati, vieni, senza paura,

accostati, dài, strusciamo i visi,

l’amplesso ci vuol per nuova fattura,

deciditi Cristo, scaccia la crisi!”

Col cuore in gola presi coraggio.

Il caldo licor mi fece di gelo.

Cedei al comando come un ostaggio;

sentii nelle membra tiepido pelo.

L’abbraccio sembrò aver funzionato.

Finì la codardia nel cambiamento,

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non solo, ma, fui ancor rinnovato

di tutti i timori in ardimento.

Potevo sbrigliar gl’istinti peggiori,

tensioni represse, tutte le voglie;

scacciar per un po’ le ansie, i dolori,

saldare il conto alla ria moglie!

Però come far così contraffatto?

Restare in città non era prudente!

Con tanta pietà lasciai lì quel matto,

che aveva “bramato” star tra la gente.

Poi presi la strada della colline:

predando, straziando ogni creatura.

Produssi scompiglio, morti, rovine;

da dove passai tremò la natura!

Con zelo si mosse anche l’amico,

per strade anguste d’alti palazzi.

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Sentì nostalgia del tempo antico,

di vita salubre con i gran cazzi!!!

Ma, non disperò. Chissà più avanti

trovava qualcosa che gli quadrasse:

ebbene le cose erano urtanti,

malgrado la festa, spente le masse.

Gran sfarzo di luci, ressa di suoni!

Mancava il caos di folla festante;

per cui canti, grida, risa, spintoni,

la gioia facevan di qualche gitante.

“Ah grullo che fai? Monarca balordo,

t’accorgi o no di tal cimitero?

Dì, parlo ai turchi, sei anche sordo,

o forse qualcun ti tien prigioniero?

Mannaggia puttana, quanta tristezza

da uomo vestito bere mi tocca!

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Uscir voglio via da questa immondezza,

mai fatto avevo cosa più sciocca!”

sdegnato sgusciò dal vasto intrico,

andando di fretta alla campagna.

Le orme sbirciò ai piedi d’un fico:

portavano chiaro su in montagna.

Seguì con stupore tutto l’armeggio,

che aveva prodotto quell’animale!

Aveva inferto min…chia che sfregio!

Con aspra, decisa furia infernale!

Ovili, pollai, stalle e cucce,

avea smantellato, faccia di culo!

Cosparso di sangue le scaramucce,

straziato per gioco anche un mulo!

Distrutto aiuole, pergole, orti,

sfondato le botti gonfie di vini,

sprangato in casa coi contrafforti,

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increduli, terrei i contadini!

Un cielo stellato baluginava!

Nutrivansi ghiotte l’ombre del giorno,

un mare d’inchiostro stese la lava

nel freddo tagliente ch’era dintorno.

…………………………………..

…………………………………..

…………………………………..

…………………………………..

Crescevano l’ore! “Figlio d’un cane

m’hai fatto scordar che il tempo s’oppone

ch’io sia ancor qui…Avrò delle grane!

Già sento scaldarmi…Torno leone!”

………………………………….

………………………………….

………………………………….

………………………………….

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“E sia! Da leone voglio morire!”

S’eresse regale sotto i fari

che già l’abbagliavan, prese a ruggire.

Crudeli nell’aer tuonaron gli spari!!!

Intanto in piazza davano sfogo

a tutte le noie del viver vano:

inflitto avean condanna al rogo

al sempre bonario, gaio sovrano!

Frugai per il ciel dai fuochi acceso:

spettacolo bello quasi irreale!

Mirando, sentivo perdere peso,

ancora per scherzo di Carnevale!

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TAVOLA LXIX

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INDICE

AD ACIREALE E’ SEMPRE CARNEVALE..................................... Pag. 13 FACCE DI CULO RIDENS …………………………………………….. “ 19 ESEGESI SULLA SOPPRESSIONE DEI CESSI PUBBLICI ACITANI “ 23 SOGNO DI CIVILTA’…………………………………………… ” 27 IDEOPSICOGODURIA … “ 31 AD ONORE DEL BUON PASTORE ……………. ” 37 DEMOPATIA ……………………….. “ 41 CAPOVOLGIAMOCI . “ 43 E’ SOLO COLPA NOSTRA …………………….. ” 47 CE LA POSSIAMO FARE …………………… ” 51 SCONCERTO DI UN ONESTO LAVORATORE DEL RUMORE ” 55 TRISTEZZA O TENEREZZA PER I MEZZI GIUFA’ DI OGGI? “ 61 RECIPROCITA’ CLONATORIA……………………………………… ” 65 VIVERE PER FINGERE ………………………. ” 69 IL PENTITISMO DEGL’INCENSURATI …………….. ” 73 PER UNO SCHERZO DEL MIO COGNOME…… ” 77 RIDICOLA PSICOSI DA STALKING …………………… ” 79 PORCA SCORREGGIA STONATA ……………………… “ 81 REVOLUTION, REVOLUTION, REVOLUTION! …………… ” 87 PESCE D’APRILE I …………………………….. “ 91 PESCE D’APRILE II ……………………………….. ” 93 GAVETTONE DOC ………………………………. ” 97 DON ASCENZIO ARANCINO ……………………………… ” 101 MEDICI ARRUFFONI ………………………………… ” 103 A CICCI BELLA ……………………………………… ” 107 I TRI DA VANIDDAZZA …………………………… ” 111 SAGGEZZA DI TUPPETTURU …………………………… ” 117 CANTONATA DI UN ASSURDO QUI PRO QUO ………… ” 121 IL MAGO, GIGANTE BUONO, SI ARRENDE AL PIDOCCHIO..... “ 125 SIC TRANSIT GLORIA MUNDI! ………………………………… ” 129 LA PROFEZIA DEI MAYA ………………………………… ” 133

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RIABILITAZIONE DEL “13”………………………………. ” 137SCHERZO DI CARNEVALE …… “ 141

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La stampa del libro è stata eseguita presso la tipografia Aquilia Via S. Martino, 68 Acireale

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