Sant’Anna e la democrazia partecipativaIl Pastificio Colavita nasce nel 1912 a Sant’Elia a...

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Sant’Anna e la democrazia partecipativa Jelsi, una porzione di territorio materiale ed immaginario caratterizzato da una blanda densità abitativa, da dovizia di spazi e da una prevalenza di terra sul cemento, rappresenta, con la sua Festa del Grano in onore di Sant’Anna, un esempio pregevole di Democrazia Partecipativa in un tempo in cui, nel più vasto contesto generale, questa forma alta e civilizzante di esercizio del potere conosce un inaccettabile svuotamento di sostanza per effetto della diffusione della sua forma degradata, la Democrazia Rappresentativa, che costituisce inevitabilmente una soluzione di ripiego. In effetti, Democrazia e rappresentanza non sono affatto sinonimi come la storia delle idee dimostra. Per i grandi teorici della rappresentatività Hobbes e Locke, il popolo delega contrattualmente la sua sovranità ai governanti. Per Hobbes questa delega è totale e non conduce affatto ad una democrazia: il suo risultato, al contrario, è investire un monarca di un potere assoluto (il “Leviathan”). Per Locke, sebbene la delega sia subordinata alla condizione di adeguate garanzie concernenti i diritti fondamentali e le libertà individuali, la sovranità popolare ne risulta comunque sminuita dal momento che essa resta sospesa per tutto il tempo che i governanti rispettano i termini del contratto. I rappresentanti, legittimati all’esercizio del potere in base al principio positivistico-legalistico proprio di questa forma di democrazia, trovano in questo meccanismo la giustificazione che permette loro di agire non più secondo la volontà e l’interes- se del popolo, ma secondo la volontà e nell’interesse proprio. […] L’orientamento socio-politico che risponde a queste caratteristiche prende appunto il nome di “democrazia partecipativa”, ed è una democrazia di base che ha come scopo quello di determinare, con il consenso del maggior numero possibile di persone, nuove procedure di decisione conformi alle proprie esigenze, così come a quelle che derivano dalle aspirazioni dei membri della collettività. Si tratta cioè di consentire il fiorire di spazi pubblici di iniziativa e di respon- sabilità collettivi. Nella Festa del Grano in onore di Sant’Anna a Jelsi il “popolo sovrano” è tutta la comunità jelsese, che ogni anno organizza e lavora alla preparazione della sfilata processionale delle traglie e dei carri del 26 di luglio in devoto ringraziamento per la protezione concessa alla comunità dal terribile e devastante terremoto che colpì il Molise nel 1805 e che fece a Jelsi solo poche vittime. La comu- nità di Jelsi si avvale come “organo esecutivo della volontà popolare” di una “commissione” composta da più di 50 componenti, di dura- ta triennale, che raccoglie e traduce in atto la volontà e le aspirazione dei suoi membri che si concretizza nella realizzazione di “traglie”, di “carri” in paglia e grano per la sfilata processionale e di “trecce” che addobbano il paese nell’annuale ricorrenza della festa. In dove- roso spirito di servizio la commissione ha l’importantissimo compito di raccoglie la volontà dei diversi gruppi di persone, organizzati per contrade o per libera associazione, di impegnarsi nella realizzazione di traglie o carri appartenenti alle diverse categorie (come si sono venute costituendo nel tempo), per formare un complesso armonioso e non ridondante di offerta oblativa da parte della comunità oran- te. Il ruolo “rappresentativo” che svolge la commissione, come prevede il modello di Democrazia Partecipativa, è ridotto a quel minimo indispensabile ad assumere obbligazioni verso l’esterno per conto di tutta la collettività, di coordinamento di tutte le iniziative assunte dai vari gruppi e/o associazioni e in definitiva di trasformazione di tutto il lavoro e di tutte le opere realizzate in un unico “bene comunecomposto di elementi materiali ed immateriali, vero patrimonio collettivo di tutta la comunità Jelsese nel mondo. La forza civilizzante della Democrazia Partecipativa consiste nella capacità di dare nella sostanza espressione a valori quali la libertà, l’autonomia, l’identi- tà, la partecipazione e l’appartenenza, valori autentici della vita umana senza cui l’uomo non può essere felice. Sentirsi parte di una sto- ria che inizia nel passato e continua nel futuro non può non ispirare comportamenti di responsabilità che impongono il pareggio di bilan- cio non per volontà di legge, ma per sacro rispetto di una tradizione che deve continuare passando di mano in mano e di generazione in generazione. La Festa del Grano a Jelsi, lo sforzo eroico di questa comunità in un contesto culturale generale caratterizzato dalla logica esclusiva del profitto e del tornaconto personale, ci riporta al centro del nostro essere e all’essenza autentica di ciò che siamo, esseri relazionali” e del bisogno che abbiamo di contesti comunitari per dare dignità alla nostra vita, per costruire speranza di futuro sottraendoci così alla penosa solitudine che attanaglia e uccide l’uomo contemporaneo. […] La festa del grano che ogni anno si celebra a Jelsi in onore di Sant’Anna rappresenta così un patrimonio di culture, abili- tà, tradizioni e valori ambientali racchiuso in uno spazio museale all’aperto che diviene oggi più che mai un bene prezioso da preser- vare e valorizzare, anche con sforzi straordinari. Essa è divenuta nel tempo un universo di relazioni a maglie più larghe, ma anche più solide, più capaci di resistenze e adattamenti perché come scriveva Giovan Battista Vico: “Verum ipsum factum” le cose si conoscono facendole e per questa via si consegnano all’eternità. La Commissione di Sant’Anna di Jelsi Quel che per 205 anni la comunità jelsese ha sapientemente conservato, accresciuto, innovato, partecipato, costantemente divulgato con ogni forma e mezzo ed in ogni direzione (non inseguendo mode ma penetrando il tempo), nella fortissima consapevolezza del valo- re di questa tradizione ma, ancor più, della pienezza che il lavoro, il sacrificio, la perseveranza, il credere fermo nella spiritualità nei con- fronti della Madre Grande S. Anna (la Mamma Ross nella dolcezza) - in altri ambiti esemplifica la Madre Terra, generatrice di messi feconde che assicurano la vita dell’uomo - hanno tributato nel tempo alla comunità, rafforzandone i legami e rendendola in qualche modo immune da spinte disgreganti, oggi facili e pericolose, si è cercato qui di rappresentare. Non è stato infatti facile accogliere in poche pagine il fiume di scritti, di documentazione, di testimonianze, di fotografie, di patrimonio di cui la comunità, nelle sue mille voci – quel- le che continuano operose a Jelsi e quelle disseminate nel mondo – nei mille volti, nelle sue mille storie concrete, è oggi fiera custode. Sovviene a riguardo il Verga nella sua “morale dell’ostrica” (al pensiero ci ha indotto Mike Vena, leggendo il suo scritto): la comunità jel- sese continua ad esprimersi superbamente e magnificamente nella Festa del Grano, perché – come l’ostrica vive sicura finchè resta avvinghiata allo scoglio dove è nata – così anch’essa è rimasta caparbiamente ancorata ai valori originari che l’hanno espressa. E que- sto si chiama inequivocabilmente Amore. Quello che accogliamo a sintesi di questo Tutto, ineffabile a dirsi. La redazione

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Sant’Anna e la democrazia partecipativaJelsi, una porzione di territorio materiale ed immaginario caratterizzato da una blanda densità abitativa, da dovizia di spazi e

da una prevalenza di terra sul cemento, rappresenta, con la sua Festa del Grano in onore di Sant’Anna, un esempio pregevole diDemocrazia Partecipativa in un tempo in cui, nel più vasto contesto generale, questa forma alta e civilizzante di esercizio del potereconosce un inaccettabile svuotamento di sostanza per effetto della diffusione della sua forma degradata, la DemocraziaRappresentativa, che costituisce inevitabilmente una soluzione di ripiego.

In effetti, Democrazia e rappresentanza non sono affatto sinonimi come la storia delle idee dimostra. Per i grandi teorici dellarappresentatività Hobbes e Locke, il popolo delega contrattualmente la sua sovranità ai governanti. Per Hobbes questa delega è totalee non conduce affatto ad una democrazia: il suo risultato, al contrario, è investire un monarca di un potere assoluto (il “Leviathan”). PerLocke, sebbene la delega sia subordinata alla condizione di adeguate garanzie concernenti i diritti fondamentali e le libertà individuali,la sovranità popolare ne risulta comunque sminuita dal momento che essa resta sospesa per tutto il tempo che i governanti rispettanoi termini del contratto. I rappresentanti, legittimati all’esercizio del potere in base al principio positivistico-legalistico proprio di questaforma di democrazia, trovano in questo meccanismo la giustificazione che permette loro di agire non più secondo la volontà e l’interes-se del popolo, ma secondo la volontà e nell’interesse proprio. […] L’orientamento socio-politico che risponde a queste caratteristicheprende appunto il nome di “democrazia partecipativa”, ed è una democrazia di base che ha come scopo quello di determinare, con ilconsenso del maggior numero possibile di persone, nuove procedure di decisione conformi alle proprie esigenze, così come a quelleche derivano dalle aspirazioni dei membri della collettività. Si tratta cioè di consentire il fiorire di spazi pubblici di iniziativa e di respon-sabilità collettivi.

Nella Festa del Grano in onore di Sant’Anna a Jelsi il “popolo sovrano” è tutta la comunità jelsese, che ogni anno organizzae lavora alla preparazione della sfilata processionale delle traglie e dei carri del 26 di luglio in devoto ringraziamento per la protezioneconcessa alla comunità dal terribile e devastante terremoto che colpì il Molise nel 1805 e che fece a Jelsi solo poche vittime. La comu-nità di Jelsi si avvale come “organo esecutivo della volontà popolare” di una “commissione” composta da più di 50 componenti, di dura-ta triennale, che raccoglie e traduce in atto la volontà e le aspirazione dei suoi membri che si concretizza nella realizzazione di “traglie”,di “carri” in paglia e grano per la sfilata processionale e di “trecce” che addobbano il paese nell’annuale ricorrenza della festa. In dove-roso spirito di servizio la commissione ha l’importantissimo compito di raccoglie la volontà dei diversi gruppi di persone, organizzati percontrade o per libera associazione, di impegnarsi nella realizzazione di traglie o carri appartenenti alle diverse categorie (come si sonovenute costituendo nel tempo), per formare un complesso armonioso e non ridondante di offerta oblativa da parte della comunità oran-te. Il ruolo “rappresentativo” che svolge la commissione, come prevede il modello di Democrazia Partecipativa, è ridotto a quel minimoindispensabile ad assumere obbligazioni verso l’esterno per conto di tutta la collettività, di coordinamento di tutte le iniziative assuntedai vari gruppi e/o associazioni e in definitiva di trasformazione di tutto il lavoro e di tutte le opere realizzate in un unico “bene comune”composto di elementi materiali ed immateriali, vero patrimonio collettivo di tutta la comunità Jelsese nel mondo. La forza civilizzantedella Democrazia Partecipativa consiste nella capacità di dare nella sostanza espressione a valori quali la libertà, l’autonomia, l’identi-tà, la partecipazione e l’appartenenza, valori autentici della vita umana senza cui l’uomo non può essere felice. Sentirsi parte di una sto-ria che inizia nel passato e continua nel futuro non può non ispirare comportamenti di responsabilità che impongono il pareggio di bilan-cio non per volontà di legge, ma per sacro rispetto di una tradizione che deve continuare passando di mano in mano e di generazionein generazione. La Festa del Grano a Jelsi, lo sforzo eroico di questa comunità in un contesto culturale generale caratterizzato dallalogica esclusiva del profitto e del tornaconto personale, ci riporta al centro del nostro essere e all’essenza autentica di ciò che siamo,“esseri relazionali” e del bisogno che abbiamo di contesti comunitari per dare dignità alla nostra vita, per costruire speranza di futurosottraendoci così alla penosa solitudine che attanaglia e uccide l’uomo contemporaneo.

[…] La festa del grano che ogni anno si celebra a Jelsi in onore di Sant’Anna rappresenta così un patrimonio di culture, abili-tà, tradizioni e valori ambientali racchiuso in uno spazio museale all’aperto che diviene oggi più che mai un bene prezioso da preser-vare e valorizzare, anche con sforzi straordinari. Essa è divenuta nel tempo un universo di relazioni a maglie più larghe, ma anche piùsolide, più capaci di resistenze e adattamenti perché come scriveva Giovan Battista Vico: “Verum ipsum factum” le cose si conosconofacendole e per questa via si consegnano all’eternità.

La Commissione di Sant’Anna di Jelsi

Quel che per 205 anni la comunità jelsese ha sapientemente conservato, accresciuto, innovato, partecipato, costantemente divulgatocon ogni forma e mezzo ed in ogni direzione (non inseguendo mode ma penetrando il tempo), nella fortissima consapevolezza del valo-re di questa tradizione ma, ancor più, della pienezza che il lavoro, il sacrificio, la perseveranza, il credere fermo nella spiritualità nei con-fronti della Madre Grande S. Anna (la Mamma Ross nella dolcezza) - in altri ambiti esemplifica la Madre Terra, generatrice di messifeconde che assicurano la vita dell’uomo - hanno tributato nel tempo alla comunità, rafforzandone i legami e rendendola in qualche modoimmune da spinte disgreganti, oggi facili e pericolose, si è cercato qui di rappresentare. Non è stato infatti facile accogliere in pochepagine il fiume di scritti, di documentazione, di testimonianze, di fotografie, di patrimonio di cui la comunità, nelle sue mille voci – quel-le che continuano operose a Jelsi e quelle disseminate nel mondo – nei mille volti, nelle sue mille storie concrete, è oggi fiera custode.Sovviene a riguardo il Verga nella sua “morale dell’ostrica” (al pensiero ci ha indotto Mike Vena, leggendo il suo scritto): la comunità jel-sese continua ad esprimersi superbamente e magnificamente nella Festa del Grano, perché – come l’ostrica vive sicura finchè restaavvinghiata allo scoglio dove è nata – così anch’essa è rimasta caparbiamente ancorata ai valori originari che l’hanno espressa. E que-sto si chiama inequivocabilmente Amore. Quello che accogliamo a sintesi di questo Tutto, ineffabile a dirsi.

La redazione

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DAI CAMPI DEL MOLISESù COLAVITA

La tradizione pastaia molisana si esprimeoggi in Italia e all’estero anche grazie allaPasta Colavita.Questo marchio ha ormai un secolo di vitama, come tutte le cose su cui si investebene in termini di tecnologia e innovazionedi prodotto, con il tempo ha raggiunto unsuccesso assolutamente degno di nota.Il Pastificio Colavita nasce nel 1912 a

Sant’Elia a Pianisi, piccolo comune in pro-vincia di Campobasso.Da qui ha inizio la storia della IND.AL.COS.p.a. – Industria Alimentare Colavita.La lavorazione artigianale, il rispetto dellatradizione e l’uso di materie prime selezio-nate consentono la produzione di pasta dialta qualità, il cui apprezzamento cominciaa varcare i confini regionali.Nel 1979, a fronte di una sempre maggio-re richiesta, anche estera, l’azienda si tra-sferisce nel più moderno stabilimento nelcomune di Ripalimosani, nella zona indu-striale di Campobasso.Il nuovo impianto consente di aumentaresensibilmente la produzione e di soddisfa-re le esigenze del mercato, consentendoal prodotto di varcare i confini nazionali edi espandersi in tutto il mondo, special-mente negli USA, nel Sud America e inAustralia.

L’uso di semole selezionate (provenientiprincipalmente dal Molise e dalla Puglia), ilcostante controllo e l’analisi preventivadelle stesse, l’attenzione al processo pro-duttivo ed alla logistica distributiva, contri-buiscono al miglioramento del prodotto,alla crescente richiesta e all’espansionedei mercati italiani ed esteri.Il successo estero viene peraltro sancitodall’inaugurazione nel maggio 2001 a NewYork - Hyde Park - del “Colavita Center forItalian food and wine”, centro dedicato allacultura alimentare made in Italy compren-dente una prestigiosa scuola di cucina cheutilizza Pasta Colavita.La costante del Pastificio Colavita rimanecomunque il rispetto della tradizione e l’at-tenzione alla qualità delle materie prime.In tale ottica si inquadra l’investimentooperato nel 2007 quando viene rilevata lagestione del complesso industriale diTrivento: 11.000 metri quadri di capannoniche consentono l’istallazione di nuove epiù moderne linee produttive con potenzia-lità di oltre 30.000 tonnellate l’anno.Viene adottata una nuova e moderna tec-nologia nel reparto essiccazione, le “curvedi equilibrio”, con l’obiettivo di seguire det-tagliatamente le varie fasi del processoproduttivo dall’impasto della semola, allatrafilatura al bronzo ad essiccazione lenta,fino al confezionamento del prodotto.Il pastificio Colavita offre pertanto unavasta gamma di prodotti che vanno dallalinea “classica” trafilata al bronzo, allalinea artigianale “Fusco” alla linea “inte-grale” e “al farro” (vedi sito www.pastaco-

lavita.it).Sempre nell’ottica della crescita e delmiglioramento qualitativo, vengono poten-ziati i settori “marketing e comunicazione”,“controllo qualità” e “ricerca, sviluppo einnovazione”. Ed è proprio da quest’ultimoe dalla costante ed attenta ricerca dei tec-nici alimentari che nasce il progetto“Vitasana” dedicato allo studio ed alla pro-duzione di paste funzionali.Dopo la linea integrale, nel 2009 vienepresentata la nuova pasta funzionale“SùColavita” a base di una miscela disemola di grano duro e orzo, fonte natura-le di beta glucani, componenti della fibraalimentare solubile di diversi cereali, cheaiutano a ridurre il colesterolo e a conte-nere la glicemia.La linea di pasta funzionale “SùColavita”,disponibile allo stato in quattro formati(penne, fusilli, linguine e spaghetti), dalsapore tradizionale ed armonioso, vieneparticolarmente apprezzata dai consuma-tori ed attira l’attenzione dei media ripor-tando un evidente successo all’ultima fieraalimentare di Parma (CIBUS 2010).Ma il successo del Pastificio Colavita con-tinua. Alla fiera alimentare SIAL SHANGAI2010, l’Azienda riceve infatti un’ulterioreattestazione della qualità e delle caratteri-stiche innovative della propria produzione.Il SùColavita, selezionato da una giuria diesperti internazionali, tra 1399 marchi pro-venienti da 76 Paesi, riceve infatti il pre-mio “Trend & Innovations” come migliorprodotto per gusto, packaging e beneficisalutistici.

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aallttrrii ITINERARIRivista trimestrale di Arte, Letteratura,

Natura, Storia e Tradizionifondata da Tobia PAOLONE

Anno VI N. 17ANNO 2008

Registrazione Tribunale diIsernia n. 111 del 17.10.2003

Direttore EditorialeIda DI IANNI

[email protected]

Direttore ResponsabileTobia PAOLONE

[email protected]

Progetto grafico, impaginazione e fotoriproduzioniTobia PAOLONE

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Direzione, Redazione e Amministrazione

Piazza Santa Maria, 586072 Cerro al Volturno (IS)

Tel. & Fax 0865 953593

Internetwww.volturniaedizioni.com

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Augusto PASSARELLILA COSTRUZIONE DELLA FESTA

RedazionaleECOMUSEO DEL GRANODI SANT’ANNA

PAOLA DI GIANNANTONIOANTROPOLOGIA E MITOLOGIADELLA FESTA

Ida DI IANNICIAK SI “TRAGLIA”

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Estero: Euro 40,00Arretrati: Euro 15,00

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di Tobia PaoloneC/C POSTALE n. 20227674.

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In questo numero:

Antonio MAIORANODUE SECOLI DI TRAGLIE

3 Comitato S. Anna - RedazioneEDITORIALE

4 SOMMARIO

31 Mike VENANOVANTACINQUE ANNINEL NOME DO SANT’ANNA

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4 altri ITINERARI

24 Giuseppe CARDEGNARELIGIOSITÀ E RISPETTOPER LA “GRANDE MADRE”

Ida DIIANNILA SFILSTA DELLE TRAGLIEIl mondo raccontato da ubìna spiga

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Hanno collaborato a questo numero:Riccardo QUARANTA, Agnese GENOVA,

Tobia PAOLONE, Ida DI IANNI,Consorzio Turistico MOLISE NATURA, Gianluigi CIAMARRA, Adelaide PARISI, Giovanni PETTA, Maria Stella ROSSI,Lino DI STEFANO, Rossella FUSCO,

Antonio CRECCHIA

StampaGrafica Isernina - Isernia / Sant’Agapito

www.graficaisernina.it

In copertina:Particolare della “Morgia Quadra”sulla Montagna di Frosolone (IS)

(Foto T. Paolone)

altri ITINERARI ANNO VII N. 17ESTATE 2010

Le illustrazioni di questo numero sono di:

Tobia Paolone: pagg. 7, 9 (in basso), 10 (tutte), 11, 12, 13,14 (entrambe), 15 (tutte), 16, 17 (in basso), 19 (al centro), 20,21 (seconda e terza), 26 (tutte), 27 (tutte), 28 (tutte), 29, 31, 32(entrambe), 42, 43 (entrambe), 44 (tutte), 45 (entrambe), 46(tutte), 47, 48 (tutte), 49 (tutte), 50 (tutte), 53 (tutte), 54 (tutte),55 (tutte)Nicola Scacciavillani: pagg. 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40Emiliano Simonelli: pp. 8, 9 (in alto)Archivio d’Acunto / Parisi: pagg. 51, 52Consorzio Turistico Molise Natura: pagg.17 (in alto), 19(in basso), 21 (prima e quarta), 22, 23 (tutte), 24 (tutte), 25Luigi Di Maria: pag. 19 (a sinistra)Orizzonti Verticali: pagg. 4, 5, 6 Cenzino Biasella: pag. 30 (tutte)Archivio Antonio De Vito: pag. 56Luciano Cristicini: pag. 57

Per le illustrazioni, la redazione si è curata della relativaautorizzazione degli aventi diritto. Qualora siano stati ir-reperibili, si resta a disposizione per regolare eventualispettanze.

42 RedazionaleITINERARIO JELSESE

61 Pierluigi GiorgioIl BALLO DELL’UOMO ORSO

REDAZIONALEInfo & Numeri utili64

53

Pierluigi GiorgioLE CERAMICHE RACCONTANO

63 Ida DI IANNILO SCAFFALE DI altri ITINERARI

Michele FRATINOGLI AFFRESCHI E LA CRIPTA DELL’ANNUNZIATA

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altri ITINERARI 5

Numero Speciale

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musei contemporaneitendono ad occuparsipiù di "concetti" che dicose e per tale ragioneè sempre più difficile

stabilire quale sia il loro campo di interes-se. Gli ecomusei non fanno eccezione atale tendenza ed è stato così sin dalle ori-gini. Una delle definizioni più efficaci diecomuseo è quella originariamente propo-sta da Riviére e de Varine e fa riferimentoalle differenze fra musei tradizionali edecomusei:MUSEOCollezione, Immobile, PubblicoECOMUSEOPatrimonio, Territorio, PopolazioneLa definizione su cui lavora il LaboratorioEcomusei è quella di un patto con cui una

comunità si impegna a prendersi cura diun territorio. "Patto": non norme che obbli-gano o proibiscono qualcosa, ma unaccordo non scritto e generalmente condi-viso. "Comunità": i soggetti protagonistinon sono solo le istituzioni, poiché il lororuolo propulsivo, importantissimo, deveessere accompagnato da un coinvolgi-mento più largo dei cittadini. "prendersicura": conservare ma anche saper utiliz-zare, per l'oggi e per il futuro, il propriopatrimonio culturale in modo da aumen-tarne il valore anziché consumarlo. "terri-torio": inteso non solo in senso fisico, maanche come storia della popolazione chevi vive e dei segni materiali ed immateria-li lasciati da coloro che lo hanno abitato inpassato. …"Musei" […] e segni materiali come cel-

lule viventi (paesaggi, fauna, flora, masse-rie, attrezzi, macchine etnografiche, tra-glie etc.) e immateriali (tradizioni, culture,valori, storia e storie, letteratura popolare,tecnologie, saperi, sapori etc.). Insommal'ecomuseo come insieme unitario di tuttoche ha un rapporto inclusivo e di osmosicome un vero organismo con le sue cellu-le (se altre comunità volessero lanciare ilproprio Ecomuseo, potremmo parlare diEcoparco). A. Maiorano

ECOMUSEO DEL GRANO DI SANT’ANNA

6 altri ITINERARI

ii

Testo READZIONALEFoto Tobia PAOLONE

Foto in questa pagina:Carro allegorico raffigurantele stazioni della via crucis con in alto il Cristo risor-to, pregevole esempio di traglia moderna.Nella pagina accanto: un veduta del paese e dellacampagna intorno a Jelsi.

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ECOMUSEO del Grano Sant'Anna

L'idea è quella di concepire uno spaziopermanente, dentro e fuori le mura diJelsi, nella metafora di spazio e tempo,perché la Festa esprima l'ineffabile, quelche a parole non può dirsi nella "rappre-sentazione" veritiera degli scenari delMondo e nella meraviglia che essi sonoancora in grado di suscitare. Nel percorre-re i sentieri impliciti di tale sentire, da oltre200 anni i traglieri, i comitati Sant'Anna ela comunità jelsese hanno ideato edinscenato spettacoli "en plein air" semprediversi, perché diversa era l'occasione difesta o di celebrazione, di incontri, ricor-renze o progettualità. Per dare concretezza a tale "idea" si ritie-ne utile avvalersi di un modello aperto,flessibile ed integrabile, che in manieraprogressiva accolga e si configuri in unrapporto fattivo di osmosi reciproca, conparticolare rilievo alle opere in grano, intre tipologie museali:

Museo tradizionale: L'Amministrazionecomunale di Jelsi ha individuato nello sto-rico Edificio scolastico locale spazi neiluoghi vocati ad un ambito museale,potenziando e promuovendo esperienzecome il Museo della Traglia pressol'Annunziata, la Vetrina che Racconta, l'ar-redo sacro della Chiesa Madre;

Museo aperto: L'intero territorio di Jelsi esoprattutto il centro urbano ed il suonucleo antico offrono spazi ed architettureper Itinerari della Memoria e Percorsi del-l'anima, legati al rapporto fecondo dei suoiabitanti con il territorio;

Museo diffuso: Questa tipologia, oltre acospargere di opere e creazioni artistichelegate al grano contrade e borgo di Jelsi,si apre, con doni di carri artistici, ad altrecomunità del Molise, di Italia e di Europain un processo dialettico - già promossodalla Pro Loco - che armonizzi arte epace, capaci di fondere le radici culturali espirituali dei popoli europei nel comunericonoscersi in un'unica anima profonda. La sfilata delle traglie al sole del 26 lugliodi ogni anno non rappresenta dunque sol-tanto il culmine della Festa nella sua rap-presentazione del Mondo, ma una "galle-ria" processionale delle opere in grano,che tale Mondo - nella sua varietà e diver-sità - offrono alla visione del visitatore.

altri ITINERARI 7

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Due Secoli di TraglieDue Secoli di Traglie

Testo ANTONIO MAIORANOFoto Archivio (A. MAIORANO - M. PIRRO - A. CIANCIULLO - A. PASSARELLI - Ass. S. AMANZIO)

8 altri ITINERARI

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Correva l’anno 1805: laRivoluzione francese,prima, e quella napole-tana, poi, stavano dise-gnando nuovi orizzonti

per l’Europa; Napoleone dominava lo sce-nario continentale e quello italiano; Pio VIIgovernava la Chiesa ancora ignaro deitempi foschi che si addensavano sulpapato e Genova dava i natali a GiuseppeMazzini. Nel contempo nel Regno diNapoli veniva avviata l’eversione dallafeudalità. A Jelsi, piccolo borgo delContado di Molise interamente ricoperto diboschi, si conduceva vita grama, comedenunceranno in quegli anni le inchiestemurattiane e gli scritti dell’illuministaGiuseppe Maria Galanti. Andrea Valiante,rivoluzionario di questa terra profugo aMarsiglia e responsabile dei rifugiati politi-ci in quella città, conduceva commerci conla Francia, armando “legni” (navi) con ilconforto del padre Saverio, vero arteficedella fortuna di famiglia, curatore degliinteressi del duca di Jelsi. Tale Saverioproprio nel post scriptum ad una letteradel 26 luglio 1805 indirizzata al figlioAndrea, scriveva di suo pugno registrandol’evento sismico e la tragedia, rilevandoche il Monastero (ndr. S. Maria delleGrazie) “più non esiste e Toro è in ruina”.Il terremoto del 26 luglio 1805 che colpì ilMolise con epicentro nel Matese (interes-

sando un’area ellittica di circa 460 km conl’asse maggiore di 50), fu infatti il più rovi-noso dopo il terremoto garganico del 1456e a quello del 280 a.C. originati dalla stes-sa faglia. Si contarono oltre seimila vittime(Isernia e Frosolone furono le città più col-pite): “All’evento del 1805 furono associa-te, inoltre, notevoli modificazioni idrogeo-logiche su un territorio molto vasto. Siannoverano frane e fratture del suolo,nuove sorgenti, variazioni della portata dicorsi d’acqua e sorgenti. Forte è la memo-ria del terremoto del 1805. In molte locali-tà l’evento viene ricordato, ancora oggi,con offerte e ringraziamenti nel giorno diSant’Anna per lo scampato pericolo, e ilsuono delle campane, alle 10 di sera, nerinnova il ricordo. E’ evidente che la cultu-

ra popolare tende a non rimuovere lamemoria della catastrofe, e questo facilital’obiettivo di diffondere, in termini scientifi-ci, la conoscenza sui fenomeni naturali,per convivere con essi in sicurezza”. (AldoMarturano, Elena Cubellis - IstitutoNazionale di Geofisica e Vulcanologia -Osservatorio Vesuviano, Napoli) Jelsicontò 27 vittime e il popolo, da allora,ascrive alla protezione di Sant’Anna laquasi incolumità dei suoi abitanti:“Vennero celebrate messe all’aperto acagione degli edifici e chiese cadute.”Fino al 1820 molti vissero in abitazioni difortuna (pagliai) come scriveva, utilizzan-do fonti orali, Giovanni Testa nelCentenario del 1905. L’arcipreteAlessandro Eletto fu preciso cronista del

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CC

Foto nella pagina a lato : Processione delle Tragliein una foto degli anni ‘40 del ventesimo secolo.In questa pagina, in alto: ancora una suggestivaimmagine del dopoguerra a Jelsi. In basso: TruppeAlleate attraversano il Corso di Jelsi di fianco ilPalazzo Civico è ancora visibile la chiesa di S.Biase, distrutta nel dopoguerra.

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tragico evento registrando nel Libro deiDefunti quel che era accaduto e avviandola devozione a Sant’Anna.Alcuni anni dopo, nel 1814, ad opera delSacerdote Pasquale Granata di SanGiuliano di Puglia si impose per solennitàla Festa di Sant’Anna. Le offerte - quasisempre in grano e cereali - sono, da tempiantichissimi e senza soluzione di continui-tà, la modalità più diffusa della religiositàpopolare nel nostro territorio. Per gli anni1827/28 e 1829 si dispone di un resocon-

to contabile (“buggetto”) dettagliato dellaFesta costruito secondo il modello napo-leonico del bilancio a pareggio ove si rica-vano tre tipologie di entrate:

- la prima, e più consistente, in grano- la seconda con donazioni di benestanti- la terza con la vendita degli ori (ex voto)di San Francesco Saverio.

La Festa si estrinsecava attraverso giochipopolari, presenza di gruppi bandistici dipifferi e tamburi, celebrazione di Messesolenni con panegirico accompagnate dal-l’organo, con rendiconto in grani e ducatianche per “pulcinella” che azionava ilmantice organario. Non abbiamo notizierispetto agli anni successivi, ma è lecito

ipotizzare che le processioni con traglie egrano siano continuate con la stessamodalità fino all’Unità d’Italia, che rappre-sentò una fase di “globalizzazione” ina-spettata per il Meridione. Le politiche uni-tarie, soprattutto militari, verso il brigan-taggio non affrontarono infatti in manieraadeguata e sistematica la “questionemeridionale”. La seconda metàdell’Ottocento vide così l’impoverimentodel Mezzogiorno. Riforme risibili e margi-nali, unitamente alla insufficiente superfi-cie agraria, non consentivano autonomiae capitalizzazioni; l’uso diffuso del contrat-to di anticresi (“rane e crise”) e molteplicialtre ragioni analizzate dai meridionalistiprivarono dei fondi molti piccoli proprietaria favore dei grandi agrari locali. Lo sboc-co naturale fu un massiccio esodo migra-torio. La storia dell’emigrazione a Jelsi enel Molise evoca subito l’immagine della“grande emigrazione”, il drammatico spo-stamento di milioni di uomini oltre oceanonel trentennio compreso tra gli anniOttanta del secolo XIX e la vigilia dellaGrande Guerra.L’emigrazione può essere raccontatacome il dramma intimo esistenziale piùlacerante che potesse accadere a perso-ne con famiglie coese e fortemente inte-grate nella comunità di Jelsi. L’emigratodoveva “morire” nella lingua, nelle abitudi-ni e nei ritmi quotidiani, nella cucina, neimodi di vestire, nelle relazioni personali,nel lavoro per “risorgere” a nuova vita nelnuovo mondo. L’emigrazione quindi comeuna vicenda fortemente spirituale, dove losmarrimento e la perdita del “sè” vengono

Foto in questa pagina, In alto: Il volantino fattostampare dal Comitato per la Festa del Grano nel1947 anno in cui si riprese la tradizionale sfilatadelle Traglie. Di fianco: la copia anastatica delloStatuto dei Cittadini Jelsesi, pubblicato in New Yorknell’anno 1908.

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superati dall’identità profonda dell’emigra-to che costituiva e costruiva la sua perso-na: i legami familiari e parentali, il senso diappartenenza alla comunità e soprattuttoil legame di fede e religioso conSant’Anna. La “Grande Madre” e la Festain suo onore sono il “miracolo dell’identi-tà”, che ognuno può leggere nella storiapersonale e collettiva degli Jelsesi nelMondo, come indica acutamente lo storicodell’emigrazione Norberto Lombardi.Il Centenario della Festa (1905) agli albo-ri del XX secolo fu grandioso: orizzontiinesplorati e cieli nuovi si aprivano per lanostra comunità nonostante le carestie,l’emigrazione e le guerre. Il 1906, l’annosuccessivo al Centenario, registrò il piùgrande esodo migratorio da Jelsi verso leAmeriche. Nel 1908 si costituì in New Yorkla Società dei Cittadini Jelsesi, con compi-ti assistenziali e di mutuo soccorso.Gli anni della Grande Guerra videro larealizzazione della “Cassa Armonica” perl’Orchestra, opera in legno intarsiata edipinta in stile liberty realizzata dal mag-giore artigiano dell’epoca PaoluccioPalange, che accompagnerà la Festa finoagli anni ‘70 del XX secolo. Negli USA, aSouth Norwalk, nasceva il “ClubSant’Anna”, formidabile e benemeritaassociazione dei nostri emigrati organiz-zata e attivissima e con un grande ruoloancora oggi. Negli anni trenta e quarantasi affiancherà alla Festa del Grano diSant’Anna quella dell’Uva in una corniceambientale di rilancio della dimensionerurale della Comunità. Gli anni della seconda Guerra Mondialesono anni difficili per Jelsi: ciò nonostante,personalità di grande rilievo come ilMaestro Simiele, il medico, storico earcheologo Vincenzo D’Amico, il poeta edrammaturgo Domenico Petruccioli man-tengono salda e viva l’identità collettiva.Negli anni appena successivi alla guerranasce l’Associazione Santa Ana a BuenosAires, che avrà un ruolo propulsore per lapubblicazione del volume di V. D’Amico“Jelsi e il suo Territorio”(1953); a Jelsiassistiamo alla svolta della Festa cheprende il nome di Sagra del Grano e vienescelta dalla RAI come una delle quattro

Foto in questa pagina, dall’alto in basso: Momentidella sfilate delle Traglie in alcune foto che copronoun arco di tempo che va dai primi anni ‘50 agli anni‘70 del secolo appena trascorso.

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maggiori tradizioni popolari molisaneinsieme ai Misteri di Campobasso e alleCarresi. Uno straordinario documentariodi Giuseppe Folchi del 1948 testimonia ilvigore, la forza evocativa e il legame pro-fondo degli Jelsesi alla Festa. In queglianni vengono riproposti, attraverso il grup-po folklorico e la compagnia teatrale, temiclassici e popolari che troveranno pienaespressione, con Petruccioli e LuigiBifolchi, poeta Jelsese, nel centocinquan-tenario della Festa di Sant’Anna del 1955.In quegli stessi anni (1947) veniva scoper-to il ciclo pittorico del sec. XIV all’internodella Cripta dell’Annunziata, di importan-tissimo rilievo artistico nazionale. ITraglieri saranno i protagonisti dei 150anni di “Sant’Anna”; i maggiori artisti musi-cali e canori del periodo sono presenti aJelsi. Negli anni successivi si affermasempre più il ruolo delle Treccianti e dellalavorazione del Grano da parte deiTraglieri, che avranno come riferimento lelavorazioni naif di Michele Codipietro (ZiRondinella). Molta attenzione dedicò inquegli anni ai nostri canti Eugenio Cirese(1884-1955), che molti anni dopo eviden-

ziò l’aspetto antropologico delle Tragliecurando una Trasmissione RAI denomina-ta Le Indie di Quaggiù. Coevi sono i qua-derni pubblicati dalla Sovrintendenza aiBeni culturali, gli studi di Antonio Valiante“Le stagioni del seme santificato” a curadel Comune di Jelsi e gli scritti di VincenzoBo, che pongono pietre miliari sulla rile-vanza della Festa. Gli studi successivi diMauro Gioielli “I giorni della sacra spiga”iscrivono la Festa del Grano in onore diSant’Anna nel solco del grande patrimoniodelle Tradizioni Popolari del Molise.Gli anni della meccanizzazione dellaFesta, trovandone le ragioni negli impedi-menti per malattie epidemiche dei Bovini,dimostrano la grande flessibilità e capaci-tà di adeguamento della Festa in contro-tendenza rispetto ai crismi della moderni-tà. Negli anni ‘60 nascono le Associazionidi Sant’Anna in Venezuela e Canada. AMontreal, capitale del Quebec, che hacome patrona Sant’Anna, si svolge laFesta gemella del Grano che per i Carri, leTraglie e partecipazione popolare èstraordinariamente bella, commovente eamata da ogni Jelsese.

Foto in questa pagina, In alto: Giuseppe Pirro, ritrat-to sulla Traglia di famiglia nel 1975.Qui sopra: Cartolina a colori dei primi anni ‘70 raffi-gurante la Traglia della contrada Macchione di Jelsi.Di fianco: Una Traglia moderna con l’immancabilequadro di Sant’Anna.

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uando i nostri avi, perdevozione a Sant’An-na, avviarono con so-lennità la festa, non

potevano certo immaginare con qualicaratteristiche si sarebbe evoluta.Sarebbe stata fantascienza pensare ad unmondo in così rapido cambiamento, sottola spinta delle nuove tecnologie e dellacrescente globalizzazione: il popolo vole-va semplicemente pregare, ringraziare econ devozione donare a Sant’Anna partedel raccolto per la protezione che avevanoricevuto durante il terremoto del 1805.Non abbiamo notizie di tutti i periodi, mafino agli anni settanta del secolo scorso laprocessione si è effettivamente svolta nelsolco della semplicità: i contadini carica-vano le traglie e qualche animale con icovoni di grano, addobbandoli con deco-razioni. Questa semplicità e la forte reli-giosità con cui si partecipa alla processio-ne, sono stati gli ingredienti che hannopermesso alla tradizione di sopravvivere atutte le turbolenze di due secoli e a dueguerre mondiali.Col passare degli anni tuttavia la festa si ètrasformata: spettacoli musicali, luminarie,fuochi d’artificio …: essa è stata fino aqualche decennio fa un rito, organizzatodai vari comitati, che si è ripetuto con altie bassi. Anche le risorse sono mutate.Contabilmente le entrate, che inizialmenteerano di tre tipologie (grano, denaro erimesse degli emigrati), sono diventatemaggiormente diversificate. Esse attual-mente includono offerte devozionali, ricavida investimenti del comitato Sant’Anna,

sottoscrizioni e oblazioni, contributi eroga-ti da enti pubblici.La struttura organizzativa, invece - ilComitato Sant’Anna - si è conservatapressoché identica. Lavora in manierafebbrile per raccogliere risorse economi-che e organizzare logisticamente la festa,e si modifica solo nel modo di aggregarsi.Fino agli anni ottanta, almeno un deputa-

to per ogni contrada apparteneva alComitato Sant’Anna in modo da copriretutto il territorio nel momento della raccol-ta del grano; oggi, per la facilità di sposta-mento, non è più necessario avere un rap-presentante per ogni contrada a presidiodel territorio, ma si cerca comunque dimantenere fede alla tradizione per garan-tire un’ampia partecipazione.

LA COSTRUZIONE DELLA FESTA

Testo AUGUSTO PASSARELLI *Foto Archivio A. D’AMICO - Augusto PASSARELLI

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Foto in questa pagina: Il manifesto della Edizionedel 1947 della Festività di S. Anna. Il Comitato presieduto dali’ins. D’Amico chiede conaccorato appello a tutte le forze del paese e soprat-tutto ai concittadini americani un sforzo economicoper la buona riuscita della Festa.

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La partecipazione dei giovani

Nel primo dopoguerra il ComitatoSant’Anna presieduto da Antonio D’Amicointrodusse alcune innovazioni alla tradi-zione: i filari di trecce ai lati della piazza el’uso di un mezzo meccanico per portareSant’Anna in processione. Da allora, ognianno vengono intrecciate per l’addobbodel paese decine di chilometri di trecce dacirca duecento persone che gratuitamentelavorano “da sole a sole”, dalla mattinaalla sera.Durante gli anni del boom economico ci fuuna vera crisi, la società mutava e i conta-dini sentivano che la festa non aveva ilcoinvolgimento di tutti:“Noi ci sfacchiniamo, noi dobbiamo arriva-re all’aia, dobbiamo costruire la bica, dob-biamo aspettare che la si benedice; voi(rivolti al resto della popolazione) ve nestate sotto i pioppi, ve ne tornate a casa amangiare, vi fate le passeggiate; mentrenoi dobbiamo tornare in campagna, ripor-tare i buoi, governarli, torniamo la sera,ceniamo stanchi e neancbe ci possiamogodere la festa”.Una rivitalizzazione della festa si ebbenegli anni settanta, quando Padre PaoloManocchio introdusse per la prima volta ilcarro allegorico.Tale idea ha restituito alla processionenuovo vigore e ha permesso alla festa dirinnovarsi in maniera intelligente. Negliultimi quattro decenni ne abbiamo visto irisultati in opere di fattura tecnologica esignificato notevoli, che hanno reso prota-gonisti soprattutto i giovani (e da qualcheanno anche la Pro Loco e le associazioniculturali), grazie alla realizzazione di labo-ratori sociali e tecnologici fruttuosi. Lafesta, quindi, si è rigenerata e ha affronta-to le sfide storiche mutando nel metodo.Nella storia e soprattutto nei nostri tempila festa di Sant’Anna riveste un ruolomolto importante per il paese: è un ele-mento unico, di distinzione assoluta, unautentico gioiello di identità che va custo-dito gelosamente. Tutto il paese è chia-mato alla partecipazione, attraverso unosforzo enorme che è sempre gratuito e

Foto in questa pagina, Dall’alto in basso: I prepara-tivi per la costruzione della Festa. Dalla mietitura eraccolta del grano alla consegna alle famiglie delpaese per la realizzazione delle trecce e delle tra-glie.

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volontario. La vitalità del paese è in qual-che maniera legata alla celebrazione dellafesta, che è il momento di ritrovo e di iden-tificazione di tutti gli jelsesi in un tempo incui si vivono e attendono terremoti cultu-rali, economici e politici. Anche per i nostrinumerosi emigrati, che hanno lasciato laloro tradizione per un altro mondo, la festaè rimasta tra le più robuste radici che lilega alle proprie origini. La nostalgia, conil sogno del paradiso perduto, assume tal-volta i contorni della trascendenza religio-sa, soprattutto quando si vive in paesidominati dal culto del consumismo e del-l’efficienza del mercato, privi di miti e disacralità. Ma anche la più robusta delleradici muore se non è più alimentata,come purtroppo mostra il passare dellegenerazioni.In questi tempi di rapidi cambiamenti ilrapporto con la festa sta anch’esso cam-biando, naturalmente, ma l’indirizzo delcambiamento deve essere sempre nelmetodo, cosa che ha reso possibile lasopravvivenza e la crescita della festa,mai nel merito della sacralità della festa edel dono fatto in processione. Tali muta-zioni costituiscono al tempo stesso dellesfide e delle opportunità. Senza trascura-re i fattori di incertezza e problematicitàche interpellano la libera iniziativa dei sog-getti e delle istituzioni, tutti possono gioca-re un ruolo fondamentale e positivo, sel’abbraccio alla festa è di protezione e nondi possessione.

Foto in questa pagina: Tutta popolazione jelsese èimpegnata nella realizzazione delle trecce, delle tra-glie e dei carri allegorici, dai bambini alle personeanziane tutti si prodigano per realizzare questisplendidi manufatti dorati. Nella pagina che segue:La traglia è finalmente pronta per essere trasporta-ta dai buoi.

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I valori della festa

La semplicità della struttura organizzativaespressa nel Comitato Sant’Anna ha rettoper oltre due secoli. Il Comitato, per la suacomposizione popolare con partecipazio-ne libera e con rinnovamento periodico eper i meccanismi decisionali democratici,trova tutta la forza sia per essere custode- e non proprietario - della festa, sia persalvaguardare l’eredità storico-spiritualedella tradizione. Per questo non solo biso-gna rinnovare l’impegno per incoraggiareil lavoro del Comitato Sant’Anna e salva-guardarlo, ma bisogna spingere le miglio-ri forze del paese a far parte dello stessoComitato, a sentirsi orgogliosamente par-tecipi della realizzazione della festa. In talmodo esso diventa un vero laboratoriosocio-culturale-economico per trasmette-re e rafforzare le componenti fondantidella festa. Preservare il “microclima” chea Jelsi permette il miracolo della Festa diSant’Anna (fatto di fede, passione, identi-tà, autenticità, fatica e sacrificio, dono,determinazione, gioia, ispirazione, tradi-zione, continuità) continua ad essereresponsabilità di tutti.I principi seguiti dalla gente nella parteci-pazione alla festa infatti sono stati sem-pre:- devozione: “... rientrò in paese dal fron-te, durante la prima guerra mondiale, perla morte del figlio primogenito ed essendodeputato della Festa di Sant’Anna nelletre notti che rimase a Jelsi, col cuore rotto,fece la veglia armata al grano diSant’Anna, rinunciando a giacere con lasua sposa ...”;- religiosità: “Il melograno quando è pron-to, il frutto si apre come un fiore, non tienei frutti per sé. Dentro marcirebbero e nes-suno potrebbe gustarli. Ecco che lo stes-so frutto-fiore si fa dono”;- gratuità: “Il bosco è gratuito, ricco di milledoni. Ma a una condizione: il bosco chie-de rispetto. Chi vive così il rapporto con ilbosco, impara a rispettare il bene comune…”;- rispetto “... quel giorno sui pascoli delTrentino mi attiravano le genziane perfarne un dono alla Madonna. Prevalse ilrispetto del pascolo ...”. L’augurio è di continuare a vivere la Festadi Sant’Anna in tal segno e in tal guisa.

(*) Presidente del Comitato Festa 2008 /2011

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raglia dal latino trahe-re, tirare ". Treggia, slit-ta, … definito veicoload 'H' , è ancora diffu-sissima in tutto il conti-

nente ed in Asia, da dove raggiungel'America fra gli eskimesi. In Italia è anco-ra comune nelle due forme: a piattaformasopraelevata (built-up sledge) ed a pattinosemplice (simple-runner sledge). Laprima, diffusa in tutta la zona alpina ed ilnord Europa, dal Piemonte giunge fino atutta la provincia di Parma; la seconda, piùvicina ai tipi dell'Europa orientale e deiCarpazi, è presente in tutto il resto dellapenisola ed anche nella Sicilia centrale . Le tipologie della Traglia di Jelsi sono tre:1) "Ranocchië", con la forma a Y (in disu-so); 2) Traglia bassa per il trasportosoprattutto del letame (scomparsa); 3)Modello normale ad H , elemento centraledella processione di Sant'Anna il 26 luglio,trainato da una coppia di buoi. La traglia sicompone di due "soglie" (pattini di legno)unite da due assi "zaccaglini" (o "taccagli-ni"), su cui poggiano trasversalmente tretavole fermate da sei legni che formano ilpiano di carico. Sia dall'asse anteriore cheda quello posteriore partono due "catinel-le" verso l'alto che si uniscono ad un palocentrale, "femminella" anteriore e "forchel-

la" posteriore. Gli assi verticali in cima sor-reggono la tavola che blocca il carico. Ilsistema di bloccaggio delle parti è ad inca-stro e chiodi di quercia. Il legno classicousato per la realizzazione della traglia èquello di quercia curata (metodo di stagio-natura che prevede l'interramento inumido delle tavole al fine di incrementarele caratteristiche di resistenza meccanicae chimico-fisica. Il legno diventa "nussa-të"). La Traglia grande di Jelsi misura circain larghezza mt.1,50, in lunghezza mt.2, inaltezza mt.2. Carico massimo 8/10 quinta-li. La slitta italiana, con la sua vasta diffu-sione, prende vari nomi nelle diverseregioni: stráula in Sicilia, strágula inCalabria, traglia nelle Puglie in Molise eAbruzzo, tráya e tréya nel Lazio, Umbriameridionale e parte delle Marche, tragín etrégia dalle Marche fino alla provincia diModena e quindi lésa in tutta l'Italia set-tentrionale. A Fiesole anche il Vescovo untempo viaggiava in treggia per i viuzzi sco-scesi della cittadina. (HUBER, 1916;CASELLI, GUERRINI).In archeologia, è solo nell'arte rupestreche i traini sono presenti, mentre slittesono state scavate in Scandinavia in variesemplari (CLARK, 1952) e sono presentinell'arte o/e in segni pittografici dellaMesopotamia e dell'Egitto. Una slitta fu

anche scavata da Woolley nel cimitero diUr (WOOLLEY, 1934). Veicoli ad 'Y' sonopresenti in Armenia, nelle incisioni rupestridelle Alpi Marittime e nella penisola iberi-ca (PIGGOTT 1968; BICKNELL, 1913;BREUIL, 1933). La presenza della slitta inEgitto ed in Mesopotamia conferma sol-tanto il fatto che questo è un veicolo adat-to a terreni non sassosi e non esclude cheil veicolo abbia avuto la sua origine nellesteppe dell'Asia centrale anche se pergiungere in questi paesi avrebbe dovutoattraversare la fascia lungo la quale è dif-fuso anche oggi il veicolo ad 'Y' . Grandi studiosi e ricercatori della culturamateriale contadina segnalano che ogget-ti come la lesa (treggia arcaica a Y comela ranocchia in uso a Jelsi) sono "vere eproprie spie etniche… compresi fra gliaratri di legno ed i veicoli senza ruote; essiappartengono alla fase di consolidazionetecnico-culturale del tardo Neolitico e delCalcolitico in varie culture…". Le traccepiù antiche risalgono alla preistoria (raffi-gurazione di "lesa" reperita in un penda-glio di osso magdaleniano - 15.000 anni farinvenuto a Sant Marcel (Indre, Francia) -anche se esistono dubbi, come ci ricordaMassimo Centini. Vi sono stati rinveni-menti nelle incisioni rupestri della ValCamonica. ( ANTONIO MAIORANO)

TT

La Traglia

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opo il solstizio, in esta-te inoltrata, sono previ-ste feste di ringrazia-mento alla terra peraver prodotto il raccol-

to: esse si svolgevano nel mese di giugnoe si prolungavano fino a luglio inoltrato, aseconda della posizione geografica deipaesi che determinava i tempi di matura-zione del grano. Le feste più importantidell’estate erano quelle della mietitura ederano le più gioiose dell’anno, perché conla scorta di granola sopravvivenza sareb-be stata assicurata.Gli agricoltori celebrarono la mietitura, ilmomento che conclude il ciclo produttivodella terra.E al trionfo della terra e del grano è dedi-cata la festa più grandiosa dell’estate, cheha conservato l’atmosfera delle origini, lagrande festa dell’agricoltura celebrata nelgiorno di Sant’Anna a Jelsi, in Molise.Per le modalità di svolgimento e per isignificati simbolici che ha conservato, laFesta di Jelsi merita particolare attenzio-ne. Essa è più antica di quanto possaapparire e allo stesso modo delle altrefeste molisane nate con l’agricoltura, laFesta di Jelsi è coerente con l’immagina-rio religioso collegato alla coltivazionedelle piante, come aveva già intuito lo sto-rico molisano G. M. Galanti.AI centro del rituale di Jelsi c’è la spiga digrano che assume valore totemico pertutta la comunità che riesce ancora oggi aidentificarsi nei contenuti della Festa. Sipensi alle treccianti e ai traglieri, gli uomi-

ni e le donne del paese che partecipanoattivamente, ognuno col proprio ruolo, allarealizzazione della festa. Alla maestriadelle treccianti sono affidate le spighe digrano, che tra le loro mani esperte diven-tano trecce e corone che saranno utilizza-te per gli addobbi dei buoi e delle traglie eper gli ornamenti delle case, delle strade edelle piazze del paese nel giorno dellafesta.La tecnica delle treccianti di lavorare lespighe e l’abilità dei traglieri a costruire letraglie e a comporre il grano su di essenon sono il frutto di una improvvisa imma-ginazione, ma sono gesti, modalità esaperi che rimandano al tempo delle origi-ni dell’agricoltura, a quella fase delNeolitico in cui l’homo sapiens-sapiensaveva scoperto il modo di coltivare icereali e volle glorificare la terra con lamagnificenza del grano, il suo frutto piùbuono.Nella festa di Jelsi sono evidenti gli arche-tipi del pensiero occidentale elaboratodagli agricoltori che si diffusero dallaMezzaluna Fertile in tutta la zona delMediterraneo, fino a raggiungere le costeitaliane verso il V millennio a.C.Si può pensare che avessero portato lin-gua, costumi, usanze e credenze religioselegate alla coltivazione della terra sullaquale erano incentrati i loro culti e i lororiti. I rituali degli agricoltori riguardavanotutte le fasi dello sviluppo dei semi e dellacrescita delle piante, compresa la matura-zione e la raccolta dei frutti.Il rito di Jelsi glorifica la mietitura e festeg-

gia il raccolto utilizzando proprio la spigadi grano e tutte le sue parti.Infatti ogni anno tutta la popolazione èimpegnata a realizzare decorazioni e raffi-gurazioni e, anche se di anno in annocambiano i soggetti, le spighe rimangonola costante fondamentale del rito.Come in tutte le feste antiche, anche l’or-ganizzazione della Festa di S. Anna coin-volge persone di tutte le età, maschi, fem-mine, giovani e vecchi, assegnando com-piti consoni ad ogni categoria nel rispettodell’originario simbolismo riferito alla terrae ai semi.Grazie all’identificazione del femminilecon la terra, spetta alle donne condurre laparte del rito che riguarda i suoi frutti, ilgrano e la sua trasformazione, mentre ilmietere, caricare e trasportare i manocchitocca ai maschi.Le operazioni preliminari della lavorazionedel grano iniziano nei primi giorni di luglioe rappresentano, di per sé, un rito avvin-cente cui partecipano le donne del paesedi tutte le età che si riuniscono all’apertonei vicoli del paese e nei crocicchi di ognivicinato.Accanto ai mucchi di spighe, le donne,sedute a gruppi, si mettono all’opera inun’atmosfera gioiosa, mentre i passanti si

ANTROPOLOGIAE MITE MITOLOGIA DELLA FESTOLOGIA DELLA FESTAA

dd

Foto in questa pagina: Spighe di grano che sono alcentro della Festa di Jelsi con il loro valore mitologi-co. Nella pagina a fianco: Anziane treccianti jelse-si preparono con perizia le trecce che adornerannoil corso principale del paese.

Testo PAOLA DI GIANNANTONIOFoto TOBIA PAOLONE - AUGUSTO PASSARELLI

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fermano a commentare e i giovani ascambiarsi sguardi e parole.Da tempi remoti, le treccianti mettono ingioco la loro abilità manuale e trasmettonoalle più giovani i mille modi di lavorare lespighe e di utilizzare tutte le loro parti perricavarne veri e propri capolavori.Le donne impiegano giorni e giorni perscegliere le spighe più belle, tenerle abagno nell’acqua per mantenere umida lapaglia, tagliarle, intrecciarle e annodarle.Utilizzano steli, spighe e chicchi, a volteincollati separatamente, a volte insieme, avolte lasciati interi, a volte schiacciati eperfino abbrustoliti, lavorano la traglianella parte lucente o in quella opaca conl’intento di comporre fiori, quadri che rap-presentano soggetti sacri e profani, casee chiese in miniatura, o per riproduzioni dimonumenti celebri. Tutte queste tecnichesono usate anche per illustrare fatti diattualità e scene di vita familiare, quadriviventi che saranno trasportati in proces-sione da trattori e rimorchi. Dalle treccian-ti più anziane le giovani imparano a fareghirlande, festoni, trecce, ventagli e millealtre forme per abbellire con esse i balco-ni, le strade e le piazze del paese.Così adornato, il paese nel giorno della

festa assume un aspetto antico, singolare,in cui la tecnica umana sembra farsiincontro alla natura in modo tanto armo-nioso.Le spighe, tagliate e disposte a gradazio-ne, in modo perfettamente simmetrico,sono raccolte in mazzi ornamentali che,posti in bella vista sui pali, fanno da pun-telli a festoni di trecce dorate lungo la stra-da principale.La visione di questi fasci di grano, i mat-t’eglie, con le spighe rivolte al cielo, richia-ma alla mente un’immagine simile cheproviene dal mondo greco-antico.Si ha l’impressione che le donne di Jelsiabbiano in mente lo stesso archetipo e ilmedesimo modello estetico sottinteso allespighe di pietra del V secolo a. C., tanto lecomposizioni risultano rassomiglianti nellostile. Stile che è lo stesso di quello dellacomposizione dei manocchi diPescolanciano, i covoni scolpiti e infram-mezzati di fiori portati in processione nellaFesta di S. Anna, per cui si può pensareche le due feste del grano possano avereavuto la stessa matrice culturale e la stes-sa provenienza.Il mazzo di spighe, scolpito in bassorilie-vo, proviene dal tempio di Demetra Core-

Persefone di Eleusi, la città greca in cuisorgeva il tempio delle due Divinità dell’a-gricoltura, che sovrintendevano alla colti-vazione delle messi, un culto comune allepopolazioni agricole dell’Egeo.Il nome della città greca, sacra alle dueSignore dell’agricoltura, è Eleusi, e adEleusi erano sommamente celebrate lespighe.Questa analogia suggerisce l’ipotesi che ilnome “Jelsi” possa avere qualche relazio-ne con il nome Eleusi: curiosamente ledue parole sono foneticamente simili dalmomento che hanno in comune conso-nanti e vocali.Se davvero Jelsi derivasse da Eleusi, lasillaba iniziale El potrebbe essere diventa-ta le per assimilazione, mentre la secondaparte della parola, per la presenza deldigamma vocalico, come le forme dialetta-li Iévzi, Iéuzi, o Ghieuz lasciano intendere,le lettere u e v si sarebbero trasformatenella consonante l.Nel tempio di Demetra avevano luogorituali segreti di iniziazione, i Misteri eleu-sini, che si svolgevano di notte alla lucedelle torce, e si concludevano dopo diver-si giorni in una grotta sotterranea del tem-pio con la visione misteriosa di una gran-

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de spiga di grano mietuta in silenzio etenuta in mano da una giovane ragazzache rappresentava Kore-Persefone, inquesto caso considerata la personificazio-ne della spiga matura.Allo stesso modo la spiga di grano è laprotagonista assoluta dei riti di Jelsi, unafesta dalle connotazioni antichissime,anche se le prime documentazioni scrittela fanno risalire a due secoli fa e la acco-stano all’evento di un disastroso terremo-to. Ma le indicazioni antropologiche che lafesta suggerisce danno l’idea che a Jelsisi metta in scena un rituale arcaico rima-sto impresso nell’immaginario del popoloda tempi remotissimi, un rituale nello stes-so tempo di propiziazione e di ringrazia-mento, coerente con le credenze degliagricoltori del Neolitico che veneravano laterra, la madre del grano che lo facevanascere e maturare.Ricorrenze e cerimonie pre-cristiane in

onore di divinità femminili agrarie sonoelencate nella Tavola osca del III sec a. C.rinvenuta ad Agnone, città non lontana dalterritorio di Jelsi.Secondo quell’elenco, veniva celebratasommamente Kerrì nei suoi moltepliciaspetti e le date celebrative riguardavanosua madre, le sue acque, i suoi frutti. Conmolta probabilità, la divinità osca Kerrì è lacorrispondente della greca Kore che ricor-da nel nome. Successivamente la parolaKerri nel latino classico si evolverà inCereres e da Cereres avrà origine l’agget-tivo nominale cereale, che rappresentaancora oggi la parola magica della nostraalimentazione. Nonostante le contamina-zioni e le confusioni linguistiche avvenutenel corso dei millenni, la festa di Jelsi haconservato il concetto originario di cele-brazioni della madre-terra genitrice enutrice che fa nascere le spighe per con-servare la vita degli esseri umani.La Festa del Grano è celebrata il 26 luglioin occasione della festività cristiana di S.Anna, indicata affettuosamente in dialettocon l’espressione ci è Mamma ròss, lanostra grande mamma, la madre-terra delgrano. La Festa consiste in una solenneprocessione in cui vengono messe inrisalto le offerte di grano alla Santa, sottola forma di innumerevoli e fantastichecomposizioni, frutto del lavoro umano e ilsuo lento incedere sottolinea l’importanzadegli animali e dei mezzi di trasporto, chesfilano ricoperti di trecce di spighe dorate.Le processioni antiche si svolgevanosecondo un ordine preciso e prevedevanoche la statua della divinità più importantecomparisse per ultima.Questo accadeva anche per la processio-ne di Jelsi che, fino a qualche decennio fa,si chiudeva con la statua della santa cheposava il suo amorevole sguardo sullamagnificenza delle traglie piene di spighe,sugli animali e su tutto il popolo.Fra il tripudio e la gratitudine degli esseriumani che ringraziano per il pane assicu-rato, durante la processione vengonodistribuite pagnotte di pane benedettoinsieme a mazzetti di spighe e ad unaimmaginetta raffigurante la Santa.Un tempo aprivano la processione 2donne, una giovane e l’altra adulta cheportavano il manocchio, un fascio di spi-ghe fra le braccia. Seguivano le tragliette,piccole traglie in miniatura, portate dacagnolini, pecore e capre e quindi giovaniportatrici di spighe poste dentro cesti eantiche conche di rame, poi un asinello

Foto in questa pagina:, In alto: Bassorilievo diEleusi, Demetra prende concedo dal re Trittolemo,che le ha insegnato l'arte di coltivare la terra e ilgrano per insegnarla agli uomini, e da Kore-Persefone, munita di una torcia . In basso Un covo-ne utilizzato per la sfilata in onore di Sant’Anna aPescolanciano. Nella pagina a fianco : La TavolaOsca di Agnone

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caricato alla maniera antica dei contadinicon i manocchi sulla groppa; seguivano lebambine con il giglio in mano.Poi sfilavano le traglie grandi, ognuna trai-nata da buoi e accompagnata da personeche avevano collaborato al suo allesti-mento. Attualmente la processione si èarricchita di una seconda parte: la partemoderna. Essa è formata da raffigurazionitrasportate con mezzi meccanici, i carritradizionali e i carri moderni: questi ultimicon le loro scene della società contadina edei fatti di attualità rappresentano la capa-cità di adeguamento alla modernità, unaintelligente innovazione della festa. Laprocessione si conclude in uno spiazzofuori il paese, chiamato Aia di S. Anna, incui il grano, scaricato dai traglieri, vienebenedetto dal sacerdote.Su ogni traglia e su ogni carro è presentel’immagine di S. Anna, raffigurata insiemecon la figlia, la Madonna giovinetta, indi-cata dalla tradizione come MariaBambina. Le due divinità femminili sirichiamano ad una simbologia complessa

collegata alla Terra-Madre dei miti appar-tenenti alla tradizione sumera e cretese,passati in seguito in quella classica grecae latina. Nel mito greco di Demetra eKore-Persefone furono ravvisate anche laterra e la donna, associate in un doppiostatus rispetto alla rigenerazione. LaDonna-Giovane, Kore, rappresentava laragazza che deve ancora generare e fuallusiva della terra vergine che ancora nondà frutto, la Donna-Madre, Demetra, rap-presentò la donna maritata che ha giàgenerato, simbolica della terra che ha por-tato alla luce i suoi frutti. Il concetto esi-steva già nel terzo millennio a. C. nella tra-dizione sumera; le due divinità si chiama-vano Inanna e Ereskigal ed erano questavolta due sorelle, simboliche della terra disopra e della terra di sotto, il sottoterra, gliInferi’. Loro eredi furono le cretesiDemetra e Kore, la madre e la figlia indi-canti rispettivamente le messi mature e igermogli del grano giovane sottoterra, conmolta probabilità celebrate nella festa diJelsi nelle figure di Sant’Anna e la figlia.

Le due pacifiche divinità della terra e delgrano erano immaginate che condivides-sero il potere sulla base di un’importanzaparitaria, perciò priva di competizioni econflitti. E il doppio dovette essere unodegli archetipi sul quale gli agricoltoriposero le basi della loro evoluzione cultu-rale e probabilmente questo modello fu ilriferimento per la costruzione dei loro pri-mitivi attrezzi per lavorare la terra.Le traglie di Jelsi sembrano riflettere que-sta idea Infatti la traglia è una specie dislitta arcaica formata da elementi uguali adue a due; due sono i pattini che scivola-no sul terreno, due sono gli elementi trian-golari laterali, uno anteriore e uno poste-riore, chiamati le catinelle e 2 o il suo mul-tiplo 4 sono i buoi che la trainano, mentrei covoni di grano, chiamati in dialettomanocchi, sono appoggiati su 3 assiparalleli.La traglia è stata utilizzata nelle campa-gne dell’entroterra molisano fino agli anni`50 del secolo scorso per trasportare ilgrano al piano e all’aia.

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Fatta con il legno di quercia, in dialetto èdetta o’traje, mentre o’trajon, traglione, èl’elemento trainante su cui si aggiogano ibuoi. Il suono delle 2 parole fa pensarealla loro derivazione greca, dal momentoche druochos significa quercia, mentreo’druochon significa puntello fatto di quer-cia. A prima vista la parola traglia sembraderivare dal latino trahere, trasportare, manon si può escludere che la stessa parolatrahere abbia, a sua volta, avuto originedall’oggetto fatto di quercia usato per iltrasporto, considerando anche in questocaso l’ibridazione dei due ceppi linguisticilatino e greco. Sono chiamate soglie i pat-tini di legno, posti parallelamente allabase della traglia, che hanno una superfi-cie molto levigata per fare in modo chescivolino con maggiore facilità sul terre-no”. La traglia, forse, faceva già parte delpatrimonio tecnico che gli antichi agricol-tori portarono al loro arrivo in Italia inquanto possedevano le conoscenze diun’agricoltura che vantava almeno 5.000anni di esperienza.Questa può essere la storia affascinantedelle traglie che il giorno della Festa di S.Anna escono in processione, ricoperte da

innumerevoli ghirlande e trecce di spigheche le trasformano in irriconoscibili trofeimobili. La traglia di S. Anna è la più impo-nente per grandezza e la più rappresenta-tiva per la presenza di elementi simboliciche la tradizione ha conservato su diessa. Sulla sua sommità ci sono la conoc-chia e due elementi verticali, i bastoni,aventi all’estremità piccole pigne, proba-bilmente indicativi del fuso.I due strumenti della tessitura, fuso econocchia, sono simbolici della vitanascente e infatti nel mito arcaico delleMoire greche compaiono sempre insiemefra le mani di Cloto, la dea filatrice dellavita umana. Le traglie sono addobbatecon altre forme simboliche: accanto aimàtte’gli, i tradizionali mazzi di spighe, cisono la sfera rotonda, chiamata pallon, lacroce, la farfalla, l’ombrello, i simboliarcaici dell’asse terrestre, dell’universo,dell’anima e della morte. Inoltre, rami diedera, pendaglietti e nastri colorati com-pletano l’arredo delle traglie, una sintesivisiva della concezione della vita, un veroparadigma che va studiato e che può per-mettere la comprensione della protostoriadell’homo sapiens-sapiens-agricoltore.Posta bene in evidenza è la palomma, lafarfalla, alla quale l’immaginario del paeseattribuisce il ruolo di portatrice di novitàpositive. La farfalla rappresenta la trasfor-mazione della vita emergente. Essa com-pare sui vasi minoici sempre in contestisignificativi del divenire, associata a segniindicanti lo stesso concetto: corna di toro,conchiglie, spirali e boccioli.Un significato diverso ha la pelòmme,un’altra parola importante che fa parte dellinguaggio della festa e che indica unastruttura di sostegno fatta con rombi lavo-rati con l’intreccio di bastoncini, fissati dafili di paglia e legati insieme. Queste strut-ture intrecciate fanno da sostegno al qua-dro di S. Anna e ad altre forme e oggettidecorativi e simbolici: caciocavalli, pigne,fiori, mazzetti di spighe, fiocchi e spessoanche nastri, detti in dialetto ze’carelle,che col vento si muovono continuamente.Le traglie sono trasportate da buoianch’essi addobbati a festa con trecce dicorda e di filo colorato che pendono dalleloro teste secondo la tradizione dei popolisanniti, decorazioni arricchite con pennac-chi e ventagli di spighe al centro dellafronte, come per i buoi della festa di Larinoche portano appesi sulla fronte i triangolidi filo lavorati all’uncinetto.Nella parte anteriore delle traglie sono

ricavate due nicchie dentro le quali, daqualche decennio, siedono due bambine,ma su cui anticamente erano poste asedere due bambole. E di nuovo la ricom-parsa del doppio fa pensare alla memoriadella divinità doppia, alla raffigurazionedelle due arcaiche signore della terra edelle spighe Demetra e Kore-Persefone.Le decorazioni della traglia e dei buoi nonsono casuali, ma hanno un senso, ogniforma ha un preciso significato coerentecon la concezione della vita degli antichiagricoltori. Sono i simboli che si riferisco-no alla morte e alla rinascita, gli stessi chesono presenti nei grandi rituali dei Sannitidel Molise, dalle feste di giugno che cele-brano la mietitura come quelle diSant’Antonio di Padova e di S. Anna, aquelle che propiziano la fioritura in prima-vera come le sfilate e le corse dei carri, glialtari di S. Giuseppe; da quelle invernalidel fuoco, n’docce, faglie e stucciate aquelle autunnali della semina. E con un’ul-tima allusione alla rinascita la mitica Festadi Jelsi, allo stesso modo di come si eraaperta nella mattina presto, si chiude anotte inoltrata con tre colpi di fortissimispari. Ognuno, mentre si avvia versocasa, ripete in dialetto l’antica espressioneche sottintende l’augurio di essere in vitae di poter festeggiare il raccolto anche nel-l’anno venturo:

dè meglie `e meglie ,a l’anne che bè!Di meglio in meglio , nell'anno prossimo!

Foto in questa pagina, in alto. Negli angoli delpaese, con l’approssimarsi dell’evento si possonoosservare consistenti mazzetti gi grsno scelto.Di fianco: Covoni, trecce e tina: anche gli utensilidela civiltà contadina sono scenograficamente uti-lizzati . Nei riquadri della pagina successiva alcunistampi in legno e il biscotto della sposa a Jelsi chia-mato ‘o Core

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Jelsi, la parola core haun significato partico-lare perchè o'core è unoggetto che fa partedella cultura popolare

del paese; è uno stampo di legno, con cuiun tempo si dava forma ai dolci dellenozze. Il suo nome, il suo uso e le formedei suoi intagli contengono indicazionisimboliche e non del tutto decodificate,strani e interessanti segni che potrebberoaiutare a comprendere meglio l'universoreligioso elaborato dagli agricoltori.L'oggetto core ha la forma di bambolina,ma il suo nome è anche il nome della dea-giovane Core rapita da Hades per farne lasua sposa. Il racconto di questo rapimen-to costituisce forse il modello istitutivo delmatrimonio: infatti la giovane Core, dopo ilmatrimonio con Hades, cambia nome estatus e diventa Persefone, la moglie-regi-na del sottoterra. Sì può escludere che ilnome o'core possa significare il cuore per-ché lo stampo non ha la forma di cuore edinoltre la parola cuore in dialetto si diceu'core, in cui è l'articolo diverso a differen-ziare le due parole. Ma o'core, lo stampodi Jelsi, ha anche una bella storia moder-na: col passare degli anni era scomparsodalle usanze del paese e nessuno lo rìcor-dava più, ma il figlio di un emigrante che loaveva conservato fra gli oggetti-ricordodei suoi genitori, lo ha riportato a Jelsi.Quando `o core è tornato in paese, qual-cuno lo ha riconosciuto e il ricordo deicore, i dolci della sposa, è riaffiorato nellamente di molti. Core è la fanciulla, cosìchiamata fino al giorno del matrimonio e almatrimonio riconduce l'uso dello stampo o'core , usato proprio per preparare i dolcidella sposa. Lo stampo è fatto con legnodi quercia ed ha la forma di bambola dou-bleface con sagome intagliate di figure divario genere, differenti su ognuna dellefacce. Nelle riproduzioni dei disegni suicore possono essere state apportatemodifiche nel corso di millenni, eppurequei disegni sembrano rassomigliare alledecorazioni sugli oggetti, rinvenuti nei sitipreistorici dell'area egeo-cretese, come ilvaso di Thera, risalente al 4.000 circa a.C. Le incisioni dei core di Jelsi e le deco-razioni dei vasi egeo-cretesi si richiamanoai segni di un codice pittografico arcaico,inciso sulle antichissime statuette a formadi donna indicate come le dee-madrimediterranee e provenienti dai siti archeo-logici dell'Europa neolitica.

AA O’ CoreTesto PAOLA DI GIANNANTONIO

Foto GIUSEPPE PIRROI

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RREELLIIGGIIOOSSIITTÀÀ EE RRIISSPPEETTTTOOper la “Grande Madre”

TTestoesto GG IUSEPPEIUSEPPE CARDEGNACARDEGNAFotoFoto TTOBIAOBIA PPAOLONEAOLONE - D- D ALAL VV OLUMEOLUME “S“S ANTANT ’A’A NNANNA. . LALA FESTFESTAA ” - ” - AA UGUSTUGUST OO PPASSARELLIASSARELLI

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difficile raccogliere inpoche pagine il riccopatrimonio di fede, sto-ria ed arte sorto lungo ilsolco dei secoli scava-

to dalla devozione e dal rinnovato amoreverso la Madre di Maria SS.ma,Sant’Anna. Il presente contributo vuolesoltanto indicare un percorso ed offrirespunti che si prestino per ulteriori ricercheculturali ed approfondimenti biblico-spiri-tuali.La venerazione per Sant’Anna ha avutonel mondo una graduale e larga espansio-ne prima in Oriente e poi in Occidente. InItalia vivo è, l’affetto e la pietà popolareverso la Santa. Nel Molise diversi sono ipaesi legati a Lei da un’antica religiositàpopolare che fin dal 1805 (anno del gran-de terremoto) ‘corrono alla “Gran Madre”di Maria e Le offrono le primizie del granoin segno di protezione, di offerta spiritualee di ringraziamento.La nostra Jclsi in merito conta ormai benpiù di due secoli di storia, fede, spirituali-tà, tradizione, arte nel lavoro del grano edella paglia, a testimonianza dell’indisso-lubile legame con la figura della “GrandeMadre delle Messi”, Sant’Anna. La fede

emerge come elemento costitutivo dell’i-dentità jelsese anche nei si di approdo neidifficili anni dell’emigrazione.Un popolo, come quello se, che all’estero,pur venendo a contatto con altre culture,con nuovi mondi e stili di vita, ha saputomantenere salda nella devozione aSant’Anna suo legame affettivo una sim-biosi vitale con la propria terra di origine,fondendo in una mirabile sintesi vecchio enuovo mondo.Ecco come appare, in chiave locale, all’a-nalisi storica il fenomeno migratorio cheha coinvolto Jelsi verso la finedell’Ottocento e ancor più in modo mas-siccio, come risulta dall’archivio parroc-chiale e dalla fitta corrispondenza con iparroci, agli inizi del Novecento.Fusione tra storia e spiritualità, dunque,tra origini e futuro, tra fede e identità, tramemoria e profezia che ha spinto e anco-ra spinge a, creare, nuove possibilità diincontro, di dialogo, di impegno sociale edi celebrazione intorno alla Madre diMaria, sia in Italia, sia all’estero. Dadecenni la comunità jelsese, infatti, si èattivata nel vivere progetti culturali egemellaggi spirituali con diversi paesi,dove era ed è tuttora viva la stessa tradi-zione e venerazione della Santa, comeLarino, Pietracupa, Pescolanciano percitare alcuni paesi molisani; Foglianise(Bn) ed altri paesi campani; Ste. Anne dePrescott (Canada, Ontario) nonchéMinturno (Lazio), Osimo (Marche), Savi-gliano (Piemonte), Sarentino (TrentinoAlto Adige). I rapporti con queste località

hanno dato vita a diversi momenti cele-brativi, arricchiti con incontri religiosi,umanistico-culturali, storici e scientifici.Tuttavia è soprattutto nei figli jelsesi emi-grati che emerge la forza di questa sim-biosi di culto, identità e cultura affermatasida tempo, grazie al loro generoso lavoro,in diverse parti del mondo: Caracas(Venezuela), Buenos Ai res (Argentina),South Norwalk CT (USA), Perth (WestAustralia), Montreal (Canada, Québec).Ecco dunque la forza di un amore appas-sionato che avendo le sue storiche radiciin Sant’Anna ha superato tempi e luoghied è diventato punto saldo di riferimentoper tutti e soprattutto per le nuove genera-zioni, che con fierezza guardano al passa-to e si fanno garanti e diffusori di questapreziosa eredità spirituale.

Nella navata destra della Chiesa Madre“S. Andrea Apostolo” di Jelsi la statua diSant’Anna (della scuola scultorea diOrtisei -Bz), portata il 26 luglio di ognianno in processione, è rappresentatacome Madre esperta, forte e sicura, nelporsi come educatrice ed accompagnatri-ce nella crescita e nella fede della sua pic-cola figlia. La compostezza e la fierezzadella sua persona, la sua figura essenzia-le di donna saggia con il capo semplice ecoperto (come nella tradizione femminileebraica), di Madre equilibrata ed energica,è ripresa nell’atteggiamento di insegnaree indicare a Maria fanciulla la via di Dio.Infatti Sant’Anna con l’indice della manosinistra indica a Maria il cielo e la paterni-

èè

Foto nella pagina precedente: La nuova statua diSant’Anna portata in processione al giorno d’oggi.Nella foto in basso: La statua originale di Sant’Annaportata in preocessione in una edizione anteguerradella “Sagra del grano”

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tà di Dio, mentre con la mano destra pog-giata, con sicurezza, sulla sua spalla Le facapire che in questo cammino non è solapoiché i suoi genitori non solo indicano lastrada celeste, additando le alte vettedella santità, ma praticano e vivono nellaLegge antica, nella gioia del suo servizio enell’amorosa volontà divina.Sant’Anna con il suo volto radioso e sola-

re, invita ad alzare lo sguardo, chiama aduscire dal proprio piccolo orizzonte e a tuf-farsi nel mistero dell’Eterno Amore. Graziae fascino delle alte cime spirituali che inLei ben si coniugano con una vita diMadre concreta e sapiente che conosce lecose essenziali per raggiungere la perfe-zione tradotta in scelte consapevoli ecoraggiose sulla via del bene e della veri-tà. Con Lei comprendiamo che amare ilSignore significa amare in libertà, coinvol-gendo la propria esistenza nel dono totaledi sé. La garanzia di potercela fare nonrisiede nelle forze umane, ma soprattuttoed esclusivamente nella fede e nell’amoredi Dio, che abita nella vita del credente eguida la storia dell’umanità. Oggi comeieri dunque la “Grande Madre”, donnasapiente e modello per ogni personaimpegnata nell’arte di educare, è punto diriferimento per chi sa incrociare il suovolto radioso ed affidarLe nella preghierasincera i passi dei figli, i progetti familiari,il proprio lavoro e le scelte della vita diogni giorno.Quante spighe di grano indorate dal soleestivo venivano e vengono raccolte (nelgiorno della grande mietitura coordinatada sempre dal Comitato FestaParrocchiale Sant’Anna) e donate allasanta! Quanti covoni di grano vengonopreparati con entusiasmo! Quante spigheornano il paese al passaggio della santa!Quante traglie tirate da buoi e quanti carrisono rivestiti di chicchi maturi! Ciò è il sen-tito omaggio spirituale dei fedeli, segno diradicata devozione e del sincero affidarsi

a Colei che, conoscendo la strada divina,può illuminare, suggerire soluzioni aglismarriti, comprendere il vissuto di cia-scuno e incoraggiare a nuovi passi il cre-dente.In questa plurisecolare tradizione, la spigadi grano, frutto della terra e del lavoroumano, offerta alla Madre santa, diventasegno pregnante dell’umano camminoall’insegna del dono ed è simbolo dellafesta che nella fede tutti unisce, impegnae affratella. Infatti, secondo il primariosignificato liturgico-celebrativo, come tantichicchi - sparsi sui colli, raccolti insieme emacinati - formano un solo pane, così tuttii figli spiritualmente uniti alla “santa delgrano” vivono nel sacro vincolo fatto dipreghiera, impegno e dedizione, realiz-zando quella simbiosi di vita prima richia-mata. La bellezza e la luminosità di unaspiga matura fanno pensare, infatti, asignificati poliedrici, spesso da me usatinelle lettere pastorali in onore dellaCompatrona di Jelsi; significati che fannocomprendere come l’amore, culminantenell’offerta a Sant’Anna, coinvolga e riem-pia ogni esperienza di vita.In tal senso la spiga di grano divienesegno di protezione, di offerta spirituale, didono generoso e di ringraziamento. Infattila spiga riporta al grazie per il frutto dellaterra e della vita. La terra non è solo unacasa per l’uomo chiamato ad abitarla. È lasua origine e in qualche modo il suo desti-no: un destino di morte e di risurrezioneche ogni chicco della spiga racchiude eapre alla prospettiva eterna di “un nuovocielo e una nuova terra” (Ap 21,1). Così lafesta di Sant’Anna diventa ogni anno cen-tro di socialità e di accoglienza, cui tuttifanno riferimento: punto significativo diaggregazione territoriale; elemento diidentità e di convivenza sociale; scuola divita e di grazia; momento di riscopertadella lode divina, di difesa e di valorizza-zione del creato, di personalizzazione dirapporti, di memoria storica nel rafforzaree trasmettere il vissuto di fede delle pre-cedenti generazioni.

(*) Parroco di Jelsi

Foto in questa pagina, a lato : la statua in origineveniva portata a spalla dai fedeli devoti, solo neldopoguerra si sono costruite delle traglie per il tra-sporto della Santa.Nella pagina a fianco: L’operatore L. Barboni e ilregista G. Folchi riprendono da un balcone d la sfi-late delle trafglie nel 1948.

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n piccola processioneabbiamo percorso lavia non ancora lastrica-ta – l’augurio tra leparole è che per

Sant’Anna tutto possa essere ripristinato –su cui affaccia l’abitazione di AntonioD’Amico, insegnante in pensione e memo-ria storica di Jelsi e del ComitatoSant’Anna. Novantatrè anni magnifica-mente portati (svela infatti di esser nato il12 giugno 1917), nella sua dimora siamoospiti con Augusto Passarelli, presidentedell’attuale Comitato, e con due dei suoicomponenti, Antonio Maiorano ed AntonioCianciullo. Bel sorriso, ampia disponibilità,immediato intendersi nella comune volon-tà, l’uno di dire – di dire ancora – l’altra diaccogliere e trasmettere una storia, sco-priremo decisamente significativa, fra lemolte che negli anni hanno fatto la Storiadel Comitato Sant’Anna, che da sempreesprime il forte senso identitario dellacomunità di Jelsi e degli jelsesi sparsi nelMondo. Tutti uniti nel nome di Sant’Anna,dunque. Anche in questo caso. DonAntonio (così l’autorevole insegnante èchiamato dai presenti – uno dei quali èstato suo alunno - in segno di deferenza)ed Augusto (il vecchio ed il nuovo) seggo-no l’uno accanto all’altro, tutt’intorno glialtri, quasi in devoto ascolto. Con vocecalma e pacata egli inizia dunque a narra-

re e il silenzio si fa subito d’oro, comele opere monumentali realizzate con ipreziosi chicchi di grano che oggi il giàPresidente vede sfilare sotto i suoi bal-coni il giorno di Sant’Anna, come con-fessa. Un balzo di oltre sessantanni e lamemoria torna immediatamente adaccendersi sui primi anni del dopoguerra,precisamente al 1946, quando donAntonio fu chiamato a presiedere ilComitato dall’allora parroco don GiacintoBarile di Campodipietra, presidenza che,in deroga alla norma che vuole tale caricaavere una durata di tre anni, egli condus-se sino al 1950 per indubbi meriti del suoComitato. Suoi collaboratori, ricordati niti-damente sin nella paternità, furono PaoloPalange, Francesco Maiorano, SalvatoreD’Amico, Michele Fratino, Pietro Valiante,Domenico Testa e Francesco Padulo. Illoro compito non fu certo facile, in quantole condizioni economiche locali eranoalquanto precarie in ragione della guerraappena conclusa. I festeggiamenti inonore di Sant’Anna erano così stati limita-ti alle sole funzioni religiose, mentre quellicivili erano di molto limitati. Il Comitato tuttavia non si perde d’animo, anzi si arma di carta e penna e decide di interpellare l’al-tra Jelsi, che vive ormai oltreoceano, per-ché promuova una colletta per ridaredignità e consistenza ai festeggiamentilocali. Sempre forte è infatti rimasto il

legame fra chi è partito da Jelsi, nellediverse ondate migratorie, e chi vi è rima-sto e – cosa ancor più strabiliante - anchechi è lontano (in città del Canada, USA,Argentina, Venezuela, Australia) continuaad onorare, pur se in forme minori rispettoal luogo di origine, Sant’Anna. Dunquetante lettere stampate, di cui Antonio con-serva copie, vengono spedite in diverseparti del Mondo e, se i capicolletta d’ol-treoceano inizialmente non raccolgonomolto, in seguito gli introiti si fanno piùsostanziosi (come ampiamente documen-tato per nomi e obolo corrisposto neimanifesti realizzati annualmente dalComitato e gelosamente e perfettamenteconservati dal D’Amico), tanto che le ini-ziali cinque traglie ereditate dal preceden-te Comitato, presieduto da AndreaPassarelli (detto Ciampone) incrementanonegli anni successivi sino a venti, cui siaggiungono dieci carri e “diversi quadru-pedi” carichi di covoni. La popolazionelocale, intanto, concorre come può: chidisponeva di danaro, ne offriva; altri dona-vano covoni, che accumulavano presso

CCIIAAKK si “traglia”

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TTestoesto II DADA DI IANNIDI IANNIDocumenti Documenti Archivio Archivio Antonio D’AMICOAntonio D’AMICO

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crocicchi segnalati opportunamente conbandiere: il 26 luglio il Comitato passava aritirarli con le traglie, che sfilavano per ilpaese per essere condotte nell’Aia diSant’Anna, dove avveniva la trebbiatura ela vendita del grano, il cui ricavato era uti-lizzato per far fronte alle spese dellaFesta. Un cammino in ascesa, quello diquesto Comitato, perché nel 1948 ci siguarda intorno e si decide che è tempo di“abbellire il paese”, realizzando in piazzadue spalliere su cui collocare covoni efestoni di grano intrecciato (le bellissimecatene di grano che oggi adornano buonaparte del paese nel giorno della Festa).L’idea piacque anche a diversi cittadini,che don Antonio menziona: Luigi Bifolchi,Nicola Maiorano, “Gerardo, quel carabi-niere che aveva sposato l’ostetrica”. Altempo Jelsi contava oltre tremila abitanti ela Festa di Sant’Anna portava in paesetantissimi fedeli anche dai comuni viciniper godere di questa celebrazione, cheallora si svolgeva in due soli giorni conMessa solenne e panegirico, processionedella Santa e sfilata delle traglie versol’Aia di Sant’Anna. Le traglie erano abbel-lite da una “paloma”, quadro recante l’im-magine della Santa, e da grappoli di moz-zarelline; bambole finte, simbolo di fecon-dità, le adornavano e giovani donne neicostumi della tradizione recavano in capocesti di grano, intonando canzoni. La tra-glia più famosa era quella del“Magghione” condotto da tre paia di buoiscelti in zona e ricoperto di covoni agrestie trecce di grano duro. A questo puntodon Antonio precisa che il termine “Festa”,che oggi connota l’insieme delle manife-stazioni promosse dal Comitato, da luivenne ripristinato nell’originario “Sagra”per consonanza con altre “Sagre” deicomuni limitrofi (Sagra del pesce diTermoli e della soppressata “di un paesequa vicino”) e che in quello stesso anno siriuscì a realizzare un qualcosa che sareb-be realmente rimasto non solo dellamemoria degli jelsesi di allora, ma negliarchivi storici della manifestazione e delleteche RAI. Jelsi fu infatti raggiunta dallatroupe cinematografica del regista BeppeFolchi, conosciuto a Campobasso, chegirò in loco un magnifico cortometraggio,

pagato dal Comitato sessantamila lire(don Antonio ne custodisce la ricevuta) edoggi in possesso degli eredi Folchi. Latroupe venne ospitata a Jelsi, che in quel-l’edizione non lesinò su un altro importan-tissimo evento, quale l’esibizione inPiazza Umberto I del Concerto bandistico“Città di Bari” con cantanti lirici del TeatroPetruzzelli e la direzione del maestroCarlo Vitale. Costo dell’operazione quat-trocentottantamila lire. “Ero scettico rispet-to a questa scelta”, ricorda ancora donAntonio, che conserva anche questo con-tratto, come la foto dell’esimio Maestro,“ma fui invogliato da Francesco Maioranoe da Paolo Palange e così, facendo sacri-fici, ottenemmo un grande successo.”Echi di quanto realizzato dal Comitatoerano accolti anche dalla stampa locale(articoli religiosamente conservati da donAntonio), i bilanci erano sempre positivi, ilpaese veniva rivestito a festa da covoni efestoni di grano, i fuochi pirotecnici seraliilluminavano il cielo jelsese nella competi-zione fra più ditte anche non regionali. Sempre negli anni 1948-49 Antonio ram-menta che “realizzammo la nuova cassaarmonica che venne costruita da falegna-mi locali diretti da Paolo Palange su dise-gni di Vincenzo D’Amico (uno schizzo sufoglio di quaderno lo attesta). Vennepagata allora più di quattrocentomila lire.”Un quinquennio più che positivo, fuor didubbio, stando a fatti e testimonianzepuntualmente documentate e conservatenell’archivio di famiglia. Nel rimestareancora nella memoria e prima di conge-darci, un’ultima riflessione ci giunge daquesto prodigioso Presidente, un qualco-sa che andrebbe a “spostare” di qualcheanno l’origine della Festa. “La tradizione è

venuta non dal terremoto del 1805 ma laFesta ebbe inizio nel 1814, secondoquanto attesta anche lo storico VincenzoD’Amico (mio zio), nel giorno del 26 luglio,in coincidenza di un furioso uragano. Seinvece avesse avuto inizio nello stessogiorno del 1805, in pieno terremoto, si puòcredere che gli abitanti di Jelsi abbianopotuto pensare a sfilare?”. Discorso chenon fa una grinza. E’ da credergli, pensia-mo, mentre ci allontaniamo in direzione dicasa Pinabello, il più bell’edificio jelsesenella sua strana fisionomia, ed egli ci salu-ta dal balcone della sua casa. Fresca eanimata è già la sera, attesa in PiazzaUmberto I.

Foto nella pagina accanto: Alcuni fotogrammi deldocumentario selle Traglie di Jelsi . In questa pagi-na, in alto: il manifesto della edIzione del 1949. Alcentro: disegno originale della cassaormica e inbasso giovanile foto dell’Ins. Antonio D’amico, cheha presieduto il Comitato dal 1947 al 1951.

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emigrazione molisananel Connecticut come ilfenomeno dell’emigra-zione italiana negliUSA segue le tre fasi

maggiori che vanno (1) dagli anni a caval-lo tra Otto e Novecento fino alla primaguerra mondiale, (2) agli anni venti - tren-ta, e (3) dagli anni cinquanta fino ai primidel sessanta; ma, contrariamente a quan-to accade nel Canada e in certe partidell’America Latina, qui il numero più rile-vante di emigrati si registra soprattutto nelprimo e secondo periodo. Da noi gli emi-grati recenti sono pochi mentre abbonda-no generazioni diverse di MolisaniAmericani le cui tracce sono spesso diffi-cili da seguire per una serie di ovvie ragio-ni, come matrimoni con altri gruppi etnicioppure l’anglicizzazione del cognome perevitare discriminazione o per ottenere unposto migliore: così De Domenico diventaDominick e Barbiero diventa Barber. Diconseguenza,i molisani del Connecticutsono diversamente assimilati nella societàe nei modi di vita americana e spessohanno ricoperto cariche politiche e profes-sionali di una certa valenza.Attraverso gli anni, i nostri corregionali si

sono stabiliti soprattutto nelle città diNorwalk (Jelsi), New Britain(Campodipietra), Waterbury(Cercemaggiore) e Hartford (Baranello).Forse il più antico e folto di questi gruppi èquello di (South) Norwalk, attiva cittàcostiera. Al tempo dei nostri primi emi-granti Norwalk era fiorente centro finan-ziario e commerciale, sede di cappellificifamosi dove molti dei compaesani aveva-no lavoro permante. Allora la città vanta-va nove banche e grande smercio di ostri-che, oggi è nota per il suo Acquarium conmuseo marittimo, diverse multinazionali eindustrie tecnologiche per l’esplorazionedello spazio e per la chirurgia, e -ovviamente - la sagra delle ostriche.Chi furono i primi emigranti? A questadomanda cercherò di rispondere concen-trandomi sulla prima emigrazione, essen-do la parte più elusiva da documentare etramandare con quel poco che resta ditestimonianza orale. A prescindere dalleesperienze vissute e notizie raccolte nelcorso degli anni, ho avuto modo di con-sultare i registri di residenza delle stradedi South Norwalk e di Norwalk (allora duecittà diverse) presso gli archivi del localeMuseo Municipale a partire dall’anno 1874fino all’anno 1914, così come sono staticonsultati per l’intera città i registri micro-filmati del Censimento degli Stati Uniti pergli anni 1900, 1910 e 1920. Si tratta didocumentazione preziosa che contienedati anagrafici sull’intera famiglia, (prove-

nienza, data di emigrazione, lingua domi-nante, ecc.), documentazione attendibilema solo parziale per il fatto che molti emi-grati non risultano nei suddetti registri siaperché entrati illegalmente sia per lamobilità della società in cui si trovano.Nondimeno, abbiamo docu- mentazionedomiciliare di un Pasquale Maiorano cherisale al 1890, della famiglia di Michele DiPietro (1894), famiglia di Andrea Testa(1894), Michele Caruso (1899), Valerio

NOVANTACINQUE AANNInel nome di Sant’Anna

Testo Mike Vena Southern University U.S.AFoto Archivio Antonio Maiorano - Tobia PAOLONE

Foto nella pagina accanto: il manifesto dell’Edizionedel 1948 che porta con grande evidenza la presen-za di unha troupe cinematografica che riprenderàl’evento. In questa pagina, in alto: I soci del St. AnnClub di South Norwalk Conn . (28 luglio 1928). A lato: Socio del Club partecipa alla Festa delBicentenario a Jelsi nel 2005.

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Santella (1899), fam. GiuseppeMastroianni (1900), fam. GiuseppeMastrolillo (1900), Michael Mastrolillo(1900?), Michael Santella(1902), carpen-tiere e futuro primo vice presidente delCircolo Sant’ Anna, Michele Vena, miononno (1902), e un numero rilevante dialtri Vena, che arrivano tra il 1903 e il1904. Un Michele Vena avrebbe perfinoconseguito la cittadinanza americana nel1904. Michele Padulo, Nicola Tucci,Nicola Ciaccia e rispettive famiglie sonoregistrati come residenti dal 1903. NicolaCutrone (1906), Mike Santella, calzolaio(1905), Valiante Filomena (1906),Francesco Tatto (1907), Patsy Eletto(1908), Giuseppe Tedeschi e SalvatoreFratino (1911), Giuseppe Fratino, Luigi,Michele e Carmine D’Amico, Eugenio,Joseph e Michele Caruso i cui discenden-ti sono tuttora coinvolti nei lavori delletubature e dell’idraulica, e Patsy Cutrone(1912) e figli, noto impresario edile. Lepersone qui menzionate sono rappresen-

tative di un nucleo familiare se non di unaparentela piu/ rilevante. Qui mi sono limi-tato alla minima enumerazione di indivi-dui, date e fatti di storia locale, di gentecon una gran voglia di riuscire, per cui illavoro è vita, spazio, sogno, bisogno diesprimersi. È anche un mondo di lottacontinua, di emozioni e di passioni, ditrionfi e di tragedie, eppure un mondo darecuperare anche attraverso la memoriaper comunicare col presente e perdomandarci chi siamo.Dal 1904 al 1914 una vera fiumana di

gente aveva lasciato il paese alla ricercadi un sogno, il lavoro. Il 1914 è l’anno incui viene costituita la Saint Ann’s Society -forse la prima associazione molisana delnord America ancora attiva e fiorente -come società di mutuo soccorso permalattia o per infortunio sul lavoro. SaintAnn’s Society nasce per esigenze locali esegue l’esempio di altri gruppi etnici giàsaldamente organizzati, senza alcun lega-me ad organizzazioni italiane o allecon-greghe di carità dei comuni. La Societàcambia indirizzo due volte, ma avrà unforte sviluppo presso la nuova sede aWilbur Street nel 1928, grazie alla iniziati-va di nuovi soci arrivati di recentedall’Italia: Andrea Caruso, MichelePassarelli, i fratelli Di Pietro, DomenicoVena, Pasquale Cutrone. Il numero delleadesioni aumenta e in breve si ha unasede più ampia prima al 28 Bouton Street( una buona foto di gruppo dell’anno 1931esiste tuttora ) e poi nel 1938 viene com-prato il suolo a Ely Avenue per la costru-zione di un magnifico edificio a due pianiin mattoni, dotato di teatro, sala per matri-moni, bar e sale da gioco, palestra, piatta-forma per band-stand all’aperto, e cappel-la per rendere grazie alla patrona delle

messi e dunque dell’abbondanza:Sant’Anna. Il 26 luglio la santa vienefesteggiata calorosamente con illumina-zione, banda, messa e processione dellastatua inviata da Ielsi. Musica, danze,bancarelle, sagra della pizza fanno partedelle attività recenti, mentre anni fa sifacevano anche i fuochi pirotecnici dopola scalata al palo della cuccagna. Il com-plesso bandistico “Sant’Anna” si esibivaregolarmente in queste occasioni e neiweek-end.Negli anni settanta il vecchio fabbricatoera stato espropriato dal Comune diNorwalk per la costruzione di una strada; iproventi furono investiti nell’attuale sitoche ricopre circa due ettari di terreno sulLong Island Sound e include un molo perquarantadue motobarche e yacht.L’accogliente edificio consta di un pianoterra con bar, sale da gioco, cucina e pistada ballo / sala spettacoli per oltre novemila piedi quadri, e un piano superiore cheinclude biblioteca, sale di lettura e ufficiper altri tremila piedi quadri. La società,punto di riferimento per tutti gli italiani,conta circa quattrocento adesioni. Lasocietà è ben nota per il lavoro che svolgea favore della Croce Rossa, del PatronatoEPASA, per lezioni di italiano, tornei spor-tivi, di calcio e calcetto, tornei di bocceper uomini e donne, tre festival gastrono-mici all’anno nonché l’annuale festa diSant’Anna. Chiedo all’attuale presidente qual è ilsegreto del suo successo.” I soci” mirisponde, “ sono loro la forza di tutto l’or-ganico, che quest’anno ha conclusonovantacinque anni di vita sociale.”Domando poi se il segreto possa proveni-re dalla Santa, lui s’accende, mi sorride,ma non risponde.

Foto in questa pagina, in alto: La Delegazione deglijelsesi in America partecipa alla sfliata delBicentenario. A lato: la Delegazione Canadeseindossa il caratteristico abito delle tradizione jelsesedurante la festa del bicentenario. Nelle pagina alato: La “uarea umana” si riversa su corso VittorioEmanuele II durante la sfilata.

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