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San Paolo e il suo territorio1

Premessa Qualcuno sostiene che ciascuno di noi avverta il bisogno, per vivere umanamente, di leggere il paesaggio in cui ci muoviamo, decodificandone almeno emotivamente e poi, se ci riesce, anche intellettualmente, i suoi caratteri fondamentali. Siamo a San Paolo d’Argon dunque, allo sbocco della Valle Cavallina, affacciato sulla pianura, adiacente a due grandi strade: la nuova e vecchia statale del Tonale, passante per Trescore, e la nuova e vecchia strada provinciale n. 91 per Sarnico; non molto lontano dall’autostrada Bergamo-Brescia, circa quattro chilometri e relativamente vicino all’aeroporto di Orio al Serio. La posizione geografica segna in maniera significativa i destini del comune. Pur se con diverse polarità territoriali, San Paolo condivide con Trescore e i comuni intorno i tratti peculiari di un territorio di attraversamento: crocevia tra Bergamo, Brescia e Val Camonica. Ci si riferisce qui alla mobilità quotidiana, quella che usa i territori per l’attraversamento; se infatti andiamo ad osservare i tassi di mobilità residenziale il nostro comune ricalca quasi fedelmente i dati medi provinciali. Ora che il tema dell’uso improprio della viabilità comunale, per flussi veicolari la cui origine e destinazione non riguarda San Paolo, risulta risolto dalla nuova bretella della Statale 42 possiamo affrontare con maggior tranquillità l’interpretazione del suo ruolo territoriale: se semplicemente una parte poco riconoscibile della città-regione lombarda o, invece, un “quartiere” accessibile, protetto, correlato con l’intorno e denso di qualità ambientale e territoriale. Se i problemi in gioco riguardano una attribuzione di senso al territorio comunale, risulta opportuno cercare di descriverlo nel modo più preciso possibile, lasciandoci introdurre da alcune domande: il lavoro trova spazio, offre opportunità, restituisce valore? chi vive, da quanto tempo e in che modo abita San Paolo? quali possono essere le determinanti del benessere dei cittadini che intrecciano il PGT? Cercheremo di rispondere con ordine.

1 Natale Carra, 15 aprile 2015

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Il lavoro a San Paolo

Evoluzione della struttura produttiva Dall’analisi di alcuni dati strutturali è possibile leggere lo sviluppo di medio-lungo periodo del tessuto produttivo di San Paolo sullo sfondo del territorio coincidente con la circoscrizione per l ’ impiego di Trescore - una delle dieci che ricade nella provincia di Bergamo - e che comprende, oltre al nostro, i comuni di: Berzo san Fermo, Bianzano, Borgo di Terzo, Carobbio degli Angeli, Casazza, Cenate sopra, Cenate sotto, Costa di Mezzate, Entratico, Gaverina terme, Gorlago, Grone, Luzzana, Monasterolo del castello, Montello, Ranzanico, Spinone al lago, Trescore balneario, Vigano san martino e Zandobbio. Un primo sguardo ci permette di cogliere il rapporto tra tessuto produttivo, popolazione residente e territorio.

Figura 1 –Le circoscrizioni per l ’impiego

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Tabella 1- La struttura produttiva nel medio-lungo periodo

San Paolo Circoscrizione di Trescore Provincia di Bergamo

Anno 1981 1991 2001 2011 1981 1991 2001 2011 1981 1991 2001 2011

Unità Locali 288 427 459 513 2.853 3.297 3.775 4.249 56.313 64.444 73.840 94.171

UL manifatt. 160 249 109 90 629 719 737 556 12.996 13.784 13.604 11.505

Popolazione 2.918 3.390 4.478 5.386 36.735 39.950 46.598 55.861 874.035 909.692 973.129 1.086.277

UL x 100 ab. 9,87 12,60 10,25 9,52 7,77 8,25 8,10 7,61 6,44 7,08 7,59 8,67

KMQ 5,07 5,07 5,07 5,07 112,93 112,93 112,93 112,93 2.764 2.765 2.765 2.765

UL x KMQ 56,80 84,22 90,53 101,18 25,26 29,20 33,43 37,63 20,37 23,31 26,71 34,06

UL M. x KMQ

31,56 49,11 21,50 17,75 5,57 6,37 6,53 4,92 4,70 4,99 4,92 4,16

UL M x 100 ab.

5,48 7,35 2,43 1,67 1,71 1,80 1,58 1,00 1,49 1,52 1,40 1,06

Addetti totali 1382 2.494 3.258 3.248 13.638 17.321 19.504 18.261 275.921 306.744 341.931 380.239

Addetti Manif. 999 1.790 1.975 1.866 7.696 9.004 9.473 7.259 160.262 159.902 160.237 134.301

Dalla tabella è possibile derivare i seguenti aspetti: • nel corso dei 30 anni si registra una continua crescita della struttura produttiva

per tutti i livelli territoriali considerati. L’aumento più significativo riguarda San Paolo.

• Il rapporto tra tessuto produttivo e abitante nel manifatturiero risulta più marcato per San Paolo rispetto a circoscrizione e provincia, anche se l’evoluzione nel tempo dà segno meno.

• l’evoluzione del consumo del territorio è particolarmente significativo per San Paolo rispetto alla circoscrizione e alla Provincia

Le tendenze di medio lungo periodo possono essere aggiornate attraverso la fonte camerale che registra le imprese attive per comune, anno per anno. Il non allineamento con il dato 2001 della tabella 1 è dovuto alla fonte diversa: Censimento e registro camerale.

Tabella 2 - Imprese attive

Anno San Paolo Circ. Trescore

Pr. Bergamo

2001 430 3.533 77.384 2002 427 3.622 78.729 2003 431 3.719 79.918 2004 435 3.808 81.439 2005 452 3.900 82.681 2006 464 3.986 83.789 2007 468 4.045 84.598 2008 487 4.130 85.869 2009 478 4.136 85.841 2010 488 4.167 86.408 2011 494 4.175 87.074 2012 483 4.162 86.547 2013 473 4.093 85.930 2014 472 4.094 85.552

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Negli ultimi 14 anni l’andamento complessiva di San Paolo è sostanzialmente allineato (oscillazioni a parte) all’intero comprensorio e al distretto provinciale. Tale andamento sottolinea gli effetti della crisi iniziata nel 2008 ma che non appare poi così marcata, come mostra la figura.

Figura 2 - Evoluzione imprese attive

Se consideriamo il dettaglio di macrosettore si notano differenze significative tra San Paolo e gli altri due distretti , particolarmente nelle industrie e nei trasporti.

Tabella 3 – Evoluzione imprese per macro-settore. Variazioni % 2001-2014

San Paolo Circ. Trescore

Pr. Bergamo

Industrie 5,56 -4,49 -14,10 Costruzioni 8,04 19,25 15,80 Commercio 6,80 11,81 2,58 Trasporti 0,00 -12,10 -38,33 Altri Servizi 24,36 52,23 52,32 Totale 2,26 10,54 10,69

Un elemento significativo è l’analisi delle attività manifatturiere per contenuto tecnologico. Certo, non è facile o semplice definire ciò che è innovativo e ciò che non lo è. Vi sono però alcune interessanti interpretazioni di alcuni andamenti ciclici attraverso una teoria economica; la quale postula come piccole invenzioni ed innovazioni scatenino rivoluzioni tecnologiche, con la conseguenza che l’impresa che disponga di queste invenzioni ed innovazioni diventi un’impresa trainante, mentre l’impresa che non le abbia acquisite, potrebbe solo adeguarsi ai cambiamenti del mercato. A San Paolo, secondo i dati della Camera di Commercio, l’andamento negli ultimi anni delle imprese attive osservate nel loro contenuto innovativo non presentano variazioni significative; tra le industrie manifatturiere la grande parte mostra medio o medio-basso contenuto tecnologico.

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2001   2002   2003   2004   2005   2006   2007   2008   2009   2010   2011   2012   2013   2014  

San  Paolo   Circ.  Trescore   Prov.  Bergamo  

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Questi risultati vanno interpretati con la dovuta cautela; l’attribuzione di contenuto innovativo alle imprese di San Paolo e distretto passa attraverso la classificazione della loro attività economica, ricondotta ai risultati di una indagine che Istat effettua. Secondo la quale in estrema sintesi vengono definite innovative le attività che si rendono necessarie per sviluppare e introdurre prodotti, servizi o processi produttivi tecnologicamente nuovi (o significativamente migliorati). Comprendono la ricerca e sviluppo (R&S), l’acquisto di macchinari, attrezzature, software e licenze, la progettazione industriale e le altre attività preliminari alla produzione e alla fornitura di servizi, la formazione del personale connessa all’introduzione di prodotti o servizi o processi tecnologicamente nuovi o significativamente migliorati e il marketing di prodotti e servizi innovativi. Secondo un pensiero ed una letteratura derivata più attenta alle dimensioni delle forme organizzative, le novità sarebbero costituite da: a) nuovi modelli organizzativi; b) forme organizzative che non conducono necessariamente a grandi corporazioni; c) un cambiamento della strategia di costruzione delle competenze interne; d) nuovi modi con cui i manager ricercano la competitività esterna; e) cambiamenti per le nuove tecnologie della comunicazione e informazione; f) diffusione di un nuovo stile di gestione strategica delle risorse umane; g) nuove relazioni industriali Il contesto economico e produttivo così interpretato si connota per un significativo cambiamento nella natura e nel contenuto del lavoro; sempre meno da intendersi come energia meccanica, ma sempre più interpretabile come opera. L’imprenditore cerca un lavoratore che possieda (o tenda a) conoscenze più estese e competenze plurime: gestionali, di relazione, diagnostiche. Occorrerebbe inoltre considerare almeno la dimensione d’impresa. Infatti secondo i risultati dell’indagine ISTAT la diffusione dell'innovazione varia significativamente in relazione alla dimensione aziendale: se tra le piccole imprese (10-49 addetti) il 24,9 per cento ha introdotto innovazioni, in quelle relativamente più grandi (50-249 addetti) la percentuale sale al 42,2 per cento fino a raddoppiare in quelle con 250 addetti e oltre (54,6 per cento); questo divario risulta inoltre ancora più marcato nell’industria in senso stretto. Ciononostante queste considerazioni risultano interessanti soprattutto se accostate al dato della natimortalità delle imprese a San Paolo e nel distretto (vedi paragrafo successivo sulla “popolazione” di imprese). Per comprendere tali fenomeni è importanti collocarli nel contesto più ampio.

Il mercato provinciale del lavoro Ci affidiamo al riguardo alla sintesi della congiuntura economica della CCIIAA relativa all’ultimo trimestre del 2014 e al rapporto sintetico che presenta le principali linee di condotta contenute nella prossima “Analisi territoriale OCSE su Bergamo”.

Sintesi congiuntura Ristagna il ciclo della produzione industriale a Bergamo nel terzo trimestre dell’anno:

la variazione nel trimestre è negativa (-0,5%) e il recupero sui livelli di un anno prima si ridimensiona al +1,2% dopo gli incrementi più sostenuti nelle ultime tre rilevazioni.

La tipica incertezza dei risultati del terzo trimestre, mai del tutto risolta dai modelli di destagionalizzazione, e l’oscillazione intorno allo zero di valori compresi nei margini di errore campionario suggerisce cautela nella lettura del dato. Il confronto con il più affidabile dato medio regionale (+0,3 nel trimestre, +1,6 su base annua) indica che la risalita dai punti di minima della “seconda recessione” è in corso in Lombardia da sei trimestri consecutivi ma sta procedendo con molta lentezza e appare inevitabilmente condizionata da un contesto nazionale ed europeo molto problematici. Se si considera

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l’intero periodo tra gennaio e settembre, l’indice della produzione industriale risulta comunque in aumento del +1,9% in Lombardia e del + 2,4% in provincia di Bergamo.

Tornando ai dati provinciali, alla perdita di slancio della ripresa per l’industria di Bergamo si aggiunge una sua minore diffusione: il saldo tra imprese che aumentano e imprese che diminuiscono la produzione rispetto a un anno fa è sempre positivo ma si riduce in confronto alla precedente rilevazione. Inoltre a livello settoriale, si attenua nell’ultimo trimestre la crescita della meccanica, comparto trainante dell’industria bergamasca.

Ristagnano anche le vendite come risultato di variazioni ancora negative del fatturato interno mentre si conferma, nonostante le turbolenze geopolitiche, la sostanziale tenuta delle vendite all’estero.

Segnali critici giungono dagli ordinativi. Calano sia gli ordinativi interni sia quelli dai mercati esteri, che invece risultano ancora in leggera crescita a livello lombardo.

Diminuisce il ricorso alla cassa integrazione, ma l’occupazione continua a contrarsi: - 0,4 nel trimestre.

Le previsioni sono in peggioramento, tranne che per la domanda internazionale. Nell’artigianato manifatturiero, l’indice della produzione non riemerge dal fondo:

invariato nel trimestre, il progresso su base annua si ferma al +0,8%. Il saldo tra variazioni positive e negative si riduce ulteriormente. Il fatturato ristagna e l’occupazione si riduce.

Nell’indagine campionaria sul commercio al dettaglio il volume d’affari risulta in ulteriore calo in confronto a un anno fa (-6,3%) con flessioni che si ampliano rispetto alle precedenti rilevazioni nel commercio alimentare tradizionale (-4,8%) e nel non specializzato (-4,6%) e restano marcate nel non alimentare (-2,3%).

Va tuttavia segnalato che i dati a consuntivo delle vendite in valore dei prodotti di largo consumo negli ipermercati e supermercati di Bergamo indicano una tenuta (+0,8%) su base annua, in controtendenza rispetto ai dati negativi di Italia e Lombardia.

Resta infine negativo il giro d’affari delle imprese dei servizi (-2,4%) e delle costruzioni (-3,6%).

Analisi OCSE Il 30 marzo la CCIIAA di Bergamo ha messo a disposizione un rapporto sintetico che presenta le principali linee di condotta contenute nella prossima “Analisi territoriale OCSE su Bergamo”, rapporto in corso di pubblicazione: OECD Territorial Reviews: Bergamo, Italy. Sembra importante allora riprendere alcuni aspetti di questo documento, sintetizzati nelle risposte alla domanda: dove sta andando Bergamo? Bergamo ha un’economia avanzata e un alto tenore di vita.

La provincia di Bergamo è una delle province a livello TL32 più ricche dell’OCSE. Il prodotto interno lordo (PIL) pro capite supera la media delle regioni TL3 dell’OCSE, e la disoccupazione è sempre stata storicamente molto bassa.

Il settore manifatturiero rimane fondamentale per l’economia di Bergamo.

Negli ultimi decenni, l’economia dei paesi e delle regioni OCSE ha subito profondi cambi strutturali. C’è stata una riduzione nel contributo del settore manifatturiero e un aumento nei servizi. In controtendenza, il settore

2 Le regioni dei Paesi membri dell’OCSE sono state classificate secondo due livelli territoriali (TL) per facilitarne la comparazione internazionale. Il livello più alto (Livello Territoriale 2 o TL2) consiste di macro-regioni, mentre il livello più basso (Livello Territoriale 3 o TL3) è composto da micro-regioni. Il Livello Territoriale 3 può essere comparabile a grandi linee al NUTS 3 nella nomenclatura della Commissione Europea, che designa le regioni con una popolazione di 150.000 – 800.000 abitanti; in buona sostanza le nostre province.

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manifatturiero di Bergamo basato sulle PMI rimane importante, perché ha attraversato importanti cambi strutturali negli ultimi dieci anni. L’occupazione si è sensibilmente spostata da settori storicamente solidi come tessile e abbigliamento e riparazione e installazione di macchinari, verso la produzione di macchinari e attrezzature, gomma e plastica e materiali chimici.

Quali sono i problemi (e le relative sfide) di Bergamo?

La produttività ha stagnato. Le forze tradizionali del modello di Bergamo non si sono dimostrate sufficienti per sostenere una crescita forte. In particolare la crescita della produttività si è appiattita sin dagli inizi degli anni 2000, e l’economia di Bergamo ha perso terreno rispetto ad altre regioni manifatturiere. L’indebolimento della performance è stato accentuato dall’avvento della crisi economica e finanziaria. A partire dal 2007, la produttività a Bergamo è scesa, cadendo a un tasso ancor più veloce della media italiana. Il deterioramento è stato particolarmente pronunciato nel mercato del lavoro. Nel 2012, il tasso di disoccupazione a Bergamo era tre volte il valore del 2004, un aumento maggiore di quello dell’Italia nel complesso. La forza lavoro adulta manca di competenze generali. Molti lavoratori adulti hanno poche competenze trasferibili. La tradizionale forza di Bergamo nel manifatturiero permetteva transizioni scuola-lavoro relativamente facili. Di conseguenza, spesso la gente si affacciava al mercato del lavoro non appena terminata la scuola dell’obbligo, senza terminare l’istruzione secondaria o ottenere un diploma. Trovava lavoro e acquisiva competenze specifiche a quella mansione sul posto di lavoro. Nel complesso, più della metà dei lavoratori della provincia non ha terminato la scuola superiore. Il risultato è un’ampia percentuale di lavoratori altamente qualificati nei compiti specifici del loro posto di lavoro o della loro azienda ma cui mancano le competenze generali richieste per adattarsi alle moderne tecniche produttive e per implementare pratiche innovative. Lo sguardo verso le generazioni più giovani è un po’ più promettente. L’innovazione è al di sotto del potenziale. Nonostante la regione abbia attraversato passaggi importanti verso una produzione più tecnologica e specializzata, la Lombardia si posiziona solo come regione moderatamente innovativa secondo gli standard dell’EU, con una performance d’innovazione complessiva tra il 50% e il 90% della medi EU. L’occupazione nei settori ad alta specializzazione è cresciuta debolmente a Bergamo tra il 2001 e il 2011. Il cambio più marcato si è riscontrato nella manifattura tecnologica alta e medio alta. A livello internazionale, Bergamo ha fatto sensibili progressi negli anni 1990, ma si è arrestata negli anni 2000. Tra 1708 regioni TL3 OCSE, Bergamo è passata dalla posizione 550 circa a inizio anni 1990 alla 350 alla fine del decennio. A partire dall’inizio degli anni 2000 però, la sua posizione si è stabilizzata intorno alla 275, L’economia nazionale non sta crescendo. Da oltre un decennio l’Italia sta vivendo una situazione costante di bassa produttività e crescita economica. La crisi economica e finanziaria globale ha peggiorato le cose, e l’Italia deve ancora invertire la tendenza negativa. Occorre una riforma del governo locale. Bergamo ha anche sofferto della debolezza istituzionale italiana e del quadro normativo. Recenti indicatori della qualità di governo rivelano punteggi particolarmente bassi per l’Italia, specialmente nella corruzione e nello stato di diritto, entrambi elementi essenziali

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di un florido ambiente d’affari. La riforma territoriale nazionale adottata nel 2014 intendeva snellire e semplificare la struttura di governance multilivello italiana eliminando uno strato intermedio di governo: la provincia. Il cambio nello status della provincia può rappresentare sia un’opportunità che una sfida per Bergamo. Ma la riforma della governance locale crea anche incertezza istituzionale circa i ruoli e le funzioni del nuovo ente provinciale. Ad oggi, non sono chiaramente definiti e sono stati lasciati alla discrezione dei governi regionali. L’incertezza è accompagnata da preoccupazioni sulla capacità degli amministratori locali, sia finanziaria che tecnica, di assumere nuovi compiti.

Verso una strategia integrata per Bergamo. Bergamo è rimasta piuttosto resiliente alle tendenze di deindustrializzazione, a differenza di ciò che si è osservato in molte regioni OCSE. I suoi imprenditori e manager sono perciò rimasti fortemente attaccati al territorio. I vantaggi dei cluster nel modello dei distretti industriali fanno sì che le aziende delocalizzandosi perderebbero importanti benefici dati dal network. Le priorità individuate per Bergamo includono: migliorare le competenze dei lavoratori; aumentare il potenziale d’innovazione; attirare Investimenti Diretti dall’Estero e promuovere la competitività delle PMI.

Bergamo deve migliorare le competenze dei lavoratori. Le competenze specializzate hanno valore nella produzione, ma in un ambiente in cui la globalizzazione e la competizione internazionale richiedono costanti modifiche di prodotti, processi e pratiche, le competenze specifiche da sole sono insufficienti ad assicurare alti livelli di produttività. Una mancanza di competenze generali può dunque impedire la mobilità dei lavoratori e limitare la possibilità di un singolo lavoratore di cogliere nuove opportunità di lavoro e ridurre l’efficienza generale del mercato del lavoro. Inoltre la natura delle competenze specializzate richieste sta evolvendo. Ad esempio, tecniche di manifattura avanzate richiedono meno competenze manuali ma sempre più familiarità con macchinari ICT e software. L’educazione degli adulti e il training stanno già aiutando a compensare il deficit di competenze di chi abbandona presto la scuola. È importante coinvolgere il numero maggiore di persone cha abbandona la scuola superiore e offrire un’istruzione superiore secondaria alternativa fuori dal sistema universitario. Per ridurre la percentuale di abbandoni scolastici, alternative come percorsi d’istruzione secondaria professionale sono stati introdotti e integrati da vari enti di formazione.

Liberare il potenziale d’innovazione. La provincia ha ancora del potenziale d’innovazione non sfruttato. Le medie e grandi imprese hanno un’alta propensione a produrre innovazione. Tra le aziende più piccole, sono soprattutto quelle attive a livello internazionale che tendono a innovare. Tuttavia le piccole imprese rappresentano la (grande) maggioranza delle aziende attive della provincia, e solo una minoranza tra loro vende prodotti a livello internazionale. Lo sviluppo di manifatture ad alta tecnologia e dei servizi associati potrebbe essere la strada più promettente per il mantenimento della prosperità della regione e assicurarne la crescita. Seppur sia importante non escludere grandi imprese di successo dal sostegno pubblico, Bergamo dovrebbe puntare la propria attenzione alle PMI locali e ai loro bisogni.

Attrarre investimenti esteri diretti

I cluster industriali e la presenza di PMI sono stati una delle forze tradizionali della provincia di Bergamo. Tuttavia, un modello basato su forti legami locali corre il rischio di chiudersi in rigidi schemi che possono essere associati a

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relazioni protratte con gli stessi partner locali. Per evitare questa situazione è necessario uno sforzo consapevole di inserirsi in schemi al di fuori della zona di confortante interazione locale. Lo sviluppo di “pipeline” internazionali può aiutare a esporre gli imprenditori a idee e processi che possono portare ulteriori innovazioni al cluster industriale. Risultano importanti allora azioni quali:

Coordinare gli sforzi con gli attori regionali per attirare investimenti diretti all’estero Migliorare l’accessibilità locale e internazionale Un tipo di turismo che può migliorare l’attrattiva di Bergamo

Aumentare la competitività delle PMI

La globalizzazione ha portato una maggiore competizione al settore dei beni commercializzabili e in particolare alla manifattura, che include servizi pre- manifattura, la manifattura stessa e i servizi post-manifattura. In questo contesto Bergamo non può costruire il suo futuro su una produzione low-cost, standardizzata; deve passare da un tipo di produzione standardizzato a uno più flessibile, orientato al cliente e sofisticato. Risultano determinanti allora alcune traiettorie:

Promuovere scambi internazionali Promuovere assistenza tecnica e supporto finanziario alle PMI Diffondere le informazioni alle PMI

Il Rapporto OCSE conclude con il passaggio obbligato dalla diagnosi all’azione. Occorre creare una piattaforma strutturata di discussione tra gli attori locali, compresi i rappresentanti del settore pubblico, del settore privato e della società civile, per elaborare una strategia di sviluppo comune

Ma come si presenta la situazione nel nostro territorio?

Riteniamo che, pur con le dovute attenzioni dei problemi a livello locale, tali raccomandazioni possano valere anche per un’azione di sostegno del PGT al sistema d’imprese presente nel Comune di San Paolo e nella sua area di riferimento. È doveroso però offrire un quadro analitico esauriente. Ci affideremo, per un’analisi dettagliata della situazione locale a quattro fonti, integrate tra loro: i) il Censimento dell’industria e servizi 2011 e confronto con il 2001; ii) l’elenco merceologico delle imprese presenti a San Paolo e registrate presso la CCIIAA; iii) la serie storica della natalità d’impresa dal 2001 al 2014; iv) l’analisi sintetica dei bilanci delle 88 aziende con sede operativa presso il Comune (sono invece 108 quelle con sede legale in loco).

Popolazione e sistema di imprese Iniziamo da uno dei dati più citati a proposito dell’economia bergamasca - la numerosità della sua «popolazione»di imprese e l’inevitabile costellazione degli indici statistici che discendono dall’onda lunga di questo fenomeno. A fine 2014 troviamo registrate nell’archivio camerale 472 imprese attive localizzate a San Paolo. Nel 1971 erano poco più di 1/5 e precisamente 100 mentre nel 2001 se ne contavano già 430. Alla densità del fenomeno imprenditoriale si possono associare alcuni spunti di analisi che posso risultare importanti per il nostro modo di guardare la popolazione delle imprese locali. 1 ) L’universo demografico delle imprese continua a crescere, ma i tassi di natalità netta si sono fatti meno intensi. Nello stesso tempo, le piccole e medie imprese nate dall’emergere di nuovi mercati si sono irrobustite e alcune di esse hanno conosciuto una forte espansione nella provincia e anche fuori di essa e degli stessi confini nazionali.

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Le indagini degli ultimi anni, scavando oltre le semplici identità giuridiche, hanno anche dimostrato l’esistenza nel comparto manifatturiero di gruppi di imprese e di relazioni incrociate di controllo e di partecipazione vaste e ramificate. Oggi non sembra dunque più opportuno riproporre una visione particolaristica dell’offerta di professioni imprenditoriali. L’osservazione demografica deve lasciar posto ad un approccio focalizzato più che sugli spontanei processi di creazione di nuove imprese - caratterizzati tipicamente anche da un elevato tasso di mortalità - sulle loro strategie di localizzazione, di alleanza e di adattamento ai nuovi mercati. Lo stesso orizzonte locale e provinciale non è il più adeguato a rappresentare compiutamente i percorsi di crescita delle organizzazioni aziendali. 2) Se consideriamo l’intero bacino del capoluogo, giungendo fino alle estensioni padane verso Milano e Brescia possiamo parlare di un’area urbana manifatturiera sufficientemente coesa in cui si produce, si commercia e si esporta (quasi) di tutto e dove le relazioni intra ed intersettoriali sono intensissime e tuttora in gran parte mediate dai contesti locali in termini di infrastrutture, capitale umano e istituzioni sociali. La versatilità dell’apparato industriale e la propensione all’esportazione generano una pluralità di filiere produttive che collegano le produzioni di beni finali (soprattutto prodotti per la casa e per la persona) alle produzioni, in buona parte destinate all’export, di beni intermedi e d’investimento (macchine utensili e per l’industria, elettromeccanica, materiali edili, ecc.) passando per la fitta rete della subfornitura e dell’indotto delle medie e grandi imprese. In presenza di vincoli sempre più stringenti sul versante dell’offerta di lavoro - e negli usi del suolo - e di una competizione più aspra sui mercati internazionali, il futuro richiede però un salto di qualità in termini di investimenti, innovazione e innalzamento del sapere messo in gioco nei processi produttivi. Comporta inoltre un esplicito ripensamento delle relazioni tra economia, territorio, istituzioni e comunità locali. L’eccessiva enfasi data al problema delle infrastrutture logistiche riflette, forse, anche l’esaurirsi di uno sviluppo spontaneo dei vantaggi delle economie esterne e la debolezza, culturale prima che politica, di un governo del territorio. 3) Negli ultimi anni il sistema integrato delle relazioni interindustriali si è allargato ben oltre l’ambito locale: la delocalizzazione di impianti produttivi verso paesi esteri e gli accresciuti flussi d’investimento fuori provincia hanno intaccato solo in parte la tenuta occupazionale del mercato del lavoro locale ma hanno piuttosto innalzato le soglie di efficienza di una parte del sistema imprenditoriale, la sua articolazione finanziaria e la sua competitività internazionale. L’internazionalizzazione dell’economia bergamasca è cresciuta ad un tasso considerevole negli ultimi 20-25 anni. 4) L’evoluzione della popolazione di imprese locali illustra chiaramente anche una virtù di sistema dell’economia locale. A un’industria manifatturiera che rimane forte, perde meno addetti che altrove e continua ad avere buone performance sui mercati esteri si è accompagnato uno sviluppo significativo del terziario avanzato e dei servizi alle imprese. La presunta sottoterziarizzazione dell’economia locale risulta solo da una interpretazione statistica scorretta che enfatizza gli effetti di composizione derivanti da una forte presenza manifatturiera. Tornando ai fenomeni in sede locale, ove le informazioni sono naturalmente circoscritte, abbiamo al proposito fatto ricorso come si diceva più sopra ai dati desunti dal registro delle imprese della camera di commercio, cercando di ricostruire una serie storica significativa della variazione del numero di imprese. Si può prendere ora in considerazione il dato della natimortalità, come rapporto tra iscrizioni e cancellazioni rispetto allo stock di imprese attive sul territorio.

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Tabella 4 - Evoluzione dei tassi di natimortalità di impresa

Iscritte Cancellate Iscritte

Cancellate Anno Attive VA % VA % Attive VA % VA %

2001 430 38 8,8 22 5,1 77.384 6.743 8,7 4.891 6,3 2002 427 30 7,0 34 8,0 78.729 6.749 8,6 5.721 7,3 2003 431 44 10,2 43 10,0 79.918 6.524 8,2 6.051 7,6 2004 435 42 9,7 35 8,0 81.439 7.021 8,6 5.313 6,5 2005 452 42 9,3 27 6,0 82.681 7.041 8,5 5.702 6,9 2006 464 43 9,3 41 8,8 83.789 7.127 8,5 5.836 7,0 2007 468 45 9,6 34 7,3 84.598 7.255 8,6 6.710 7,9 2008 487 41 8,4 30 6,2 85.869 6.884 8,0 5.876 6,8 2009 478 42 8,8 41 8,6 85.841 6.307 7,3 6.246 7,3 2010 488 45 9,2 28 5,7 86.408 6.452 7,5 5.415 6,3 2011 494 29 5,9 32 6,5 87.074 6.314 7,3 5.496 6,3 2012 483 30 6,2 32 6,6 86.547 5.883 6,8 5.907 6,8 2013 473 31 6,6 39 8,2 85.930 5.866 6,8 5.884 6,8 2014 472 34 7,2 36 7,6 85.552 5.686 6,6 5.540 6,5

Figura 3 - Evoluzione dei saldi di natimortalità di impresa

Dalla tabella e dal grafico si osserva come nel corso degli anni il saldo tra natalità e mortalità d’impresa abbia visto un restringersi del gap in forza di un maggiore tasso di mortalità. Dal dopo crisi i due tassi oscillano intorno allo zero.

Crisi economica e occupazione La situazione di crisi economica attuale ci suggerisce di integrare il percorso tradizionale di descrizione dei fatti che, a partire dall’analisi dell’offerta e della domanda di lavoro nel mercato locale, interpreti la struttura del sistema produttivo. Cercheremo pertanto di dire qualcosa sulla situazione congiunturale dell’occupazione.

-­‐2,0  

-­‐1,0  

0,0  

1,0  

2,0  

3,0  

4,0  

2001   2002   2003   2004   2005   2006   2007   2008   2009   2010   2011   2012   2013   2014  

San  Paolo   Provincia  

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Vi sono in circolazione interpretazioni piuttosto significative della situazione economica attuale. Non certo improntate all’ottimismo. Nel corso del 2013 il ciclo economico internazionale aveva messo in luce tendenze al miglioramento nelle economie avanzate mentre per i paesi emergenti i diffusi crolli del tasso di cambio, indotti da movimenti di capitali tornati a privilegiare le economie avanzate, hanno determinato un quadro di instabilità, di incertezza e, in definitiva, di riduzione della domanda. Per l’economia italiana l’ultimo ciclo economico (il tredicesimo del dopoguerra) ha raggiunto il punto di minimo a maggio 2013; la caduta del PIL si e ̀ arrestata nel terzo trimestre e per il quarto è stata registrata una modestissima variazione positiva, senza effetti di trascinamento. Il consuntivo del 2014 propone risultati economici complessivamente insoddisfacenti: l’anno era iniziato sotto buoni auspici tanto che sembrava di aver avvistato la famosa luce in fondo al tunnel, vale a dire la fine della recessione se non proprio l’inizio della ripresa. Ma nel corso dell’anno si sono moltiplicati segnali deludenti, soprattutto sul fronte della domanda interna: l’economia non ha girato al ritmo atteso tanto che ormai la variazione del PIL italiano viene consuntivata come negativa (attorno al -0,4. Sul finire dell’anno si sono riaffacciati alcuni segnali (di nuovo) positivi. Da segnalare in particolare il buon andamento delle esportazioni (+6,3% la dinamica tendenziale a dicembre) e della bilancia commerciale. Per il 2015 tutti gli organismi che si esercitano nelle previsioni stimano una variazione positiva del PIL: per l’Italia si va dal +0,2/0,4 degli organismi internazionali (Oecd, Fmi) al +2,1 del Centro Studi Confindustria. Abbiamo già riportato i dati congiunturali disponibili per la provincia di Bergamo con riferimento al quarto trimestre 2014. Qualche indicatore positivo non può far velo ai dati strutturali che attestano l’impatto di una crisi di durata inusitata e per questo sempre più incisiva. Con un PIL inchiodato ai medesimi livelli dell’anno precedente non ci si possono aspettare risultati particolarmente positivi con riferimento al mercato del lavoro locale. I dati disponibili, di fonte amministrativa, relativi pertanto al lavoro dipendente e parasubordinato, evidenziano, per gli ultimi mesi del 2014, il proseguire dell’inversione di tendenza registrata nel trimestre precedente rispetto alle prospettive di miglioramento che erano emerse ad inizio anno. Questi andamenti riflettono senz’altro la congiuntura e le valutazioni prospettiche delle imprese in termini di recupero di produzione e di redditività ma incorporano pure, in proporzioni ovviamente non facili da stabilire, diversi effetti dovuti agli interventi normativi. Significativi in particolare sono risultati da un lato il “decreto Poletti” del 20 marzo (convertito con la l. 78/2014 del 16 maggio), per gli effetti sulla facilitazione delle assunzioni con contratti a tempo determinato e delle relative proroghe, dall’altro l’iter per la legge di stabilita ̀ 2015 (approvata il 23 dicembre, l. 190/2014), per gli effetti annuncio legati agli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato che, in molti casi, soprattutto verso la fine dell’anno, hanno determinato il loro rinvio al 2015. Di rilievo sono stati pure gli effetti della l. 92/2012 a proposito dell’indennità di mobilita ̀, la cui durata a partire dal 1.1.2015 e ̀ scesa da 36 a 24 mesi per gli over 50enni e da 24 a 18 mesi per i quarantenni. Ciò ha determinato nel quarto trimestre una crescita delle cessazioni di contratti a tempo indeterminato a causa dell’anticipo di licenziamenti collettivi comunque già programmati. Gli interventi per il sostegno al reddito dei disoccupati, ridisegnati dalla l. 92/2012 e nel 2014 entrati a pieno regime, si sono confermati di grande rilievo. All’inizio di quest’anno (2015) si sono generate molte aspettative positive, legate anche a un contesto internazionale in cui i segnali che promettono il bel tempo (quantitative easing, svalutazione dell’euro, riduzione dei costi energetici) possono forse consolidarsi nonostante l’inasprirsi di fortissime tensioni geopolitiche (Ucraina, Libia e Siria, Grecia).

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E’ dunque particolarmente interessante seguire da vicino le dinamiche congiunturali del mercato del lavoro che, in definitiva, è il giudice finale della bontà (o meno) della fase congiunturale. Da quando Istat, conformandosi a prescrizioni europee, ha iniziato a diffondere dati mensili sui principali aggregati del mercato del lavoro, ogni mese ascoltiamo commenti sui numeri di occupati e disoccupati che cercano, ricorrendo a supposizioni più o meno plausibili o ardite, di spiegare le variazioni congiunturali di brevissimo periodo. In realtà, i dati mensili resi disponibili dall’Istat si limitano a pochissimi indicatori e nulla ci dicono sulle dinamiche settoriali, contrattuali o orarie che possano giustificarne o spiegarne le variazioni. Per questo, e per la natura campionaria della fonte, è elevatissimo il rischio di gioire (inutilmente) un mese per il miglioramento e di soffrire (altrettanto inutilmente) quello successivo per il peggioramento, scambiando per trend piccole oscillazioni statistiche del tutto compatibili con gli inevitabili problemi di misura. Per evitare spiegazioni congiunturali di dubbia tenuta, è sempre opportuno analizzare i dati mensili collocandoli in una più consistente prospettiva temporale. Gli annunci del Governo sulla crescita dei contratti a tempo indeterminato di gennaio e febbraio 2015 lasciavano intravedere la primavera dell’occupazione. Il Presidente del Consiglio e il Ministro del lavoro parlavano di crescita di nuovi contratti a tempo indeterminato a due cifre, con ben 79 mila nuovi contratti stabili. Il dato ufficiale pubblicato dall’Istat sull’occupazione italiana a febbraio 2015 ha gelato le aspettative. A febbraio in Italia sono stati distrutti 44 mila posti di lavoro, la disoccupazione è aumenta ed è tornata al 12,7 percento, il livello che aveva a dicembre 2014. La disoccupazione giovanile è risalita al 42,6 percento, lasciando l’Italia in quel gruppo di Paese del sud Europa dove il tasso di disoccupazione giovanile è di 3 o 4 volte superiore alla media nazionale. Come si conciliano le due cose? L’aumento dei nuovi assunti a tempo indeterminato, annunciato dal Governo a marzo, è una buona notizia. Significa che un crescente numero di persone sta uscendo dalla precarietà. Il governo, nelle settimane passate, non ci aveva però comunicato il numero di cessazioni di posti di lavoro e nemmeno se i nuovi posti di lavoro erano stabilizzazione di rapporti di lavoro esistenti. Se un lavoratore precario viene stabilizzato dobbiamo rallegrarci, ma ai fini delle statistiche sul numero assoluto di occupati il dato è irrilevante. Ciò sembra essere quello che è avvenuto in Italia. Rimanendo quindi al dato totale, per valutare l’entità della perdita occupazionale (circa un milione di occupati in meno tra il primo semestre 2008 e la fine del 2014) è utile il confronto – con i dati disponibili fino al terzo trimestre 2014 – con la dinamica delle unità di lavoro, vale a dire con il dato sull’input di lavoro utilizzato per la contabilità nazionale. Ciò che emerge è una caduta ben più consistente: oltre un milione di unità di lavoro in meno tra il 2008 e il 2010 e un’ulteriore perdita di 700mila unità tra il 2011 e il 2013, cosicché la quantità effettiva di lavoro utilizzato nel sistema risulta a fine 2014 nettamente inferiore a quella del 2003-2004. Il trend degli occupati è dunque molto meno negativo di quello osservato sulle unità di lavoro perché fornisce un’informazione “sulle teste” che, per definizione, non dà peso alle diverse pratiche di labour hoarding (cassa integrazione, passaggi a part time, riduzione dell’orario di lavoro) attivate dalle imprese e agevolate dal sistema politico per ridurre l’impatto della crisi sui livelli occupazionali. Il nuovo contratto a tutele crescenti è entrato in vigore il 7 marzo 2015. I dati diffusi dall’Istat si riferiscono al febbraio 2015. L’effetto del nuovo contratto non può quindi essere nelle statistiche del lavoro appena pubblicate. Dovremmo aspettare l’inchiesta di Marzo e di Aprile. Tuttavia, la decontribuzione per i nuovi assunti era già in vigore a gennaio e a febbraio 2015. I dati diffusi dal Governo sui nuovi posti di lavoro stabili lasciano pensare che le imprese ne abbiano beneficiato in modo massiccio. Tuttavia, dopo i dati dell’Istat, sembra che l’impatto sull’occupazione totale, sia per ora modesto o irrilevante. Dobbiamo quindi aspettare.

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La primavera dell’occupazione è in arrivo?

È quello che ci auguriamo.

Intanto possiamo constatare come il saldo occupazionale d’area per il nostro comune è positivo ; è vero che i dati si riferiscono a fine 2011 ma resta sempre un fatto positivo per il territorio comunale. Saldo Occupazionale d'area. Censimento 2011 Comune Forza

lavoro Addetti Saldo

occupaz. Saldo occupaz.

Su FL Berzo San Fermo 570 140 -430 -75,4 Bianzano 268 44 -224 -83,6 Borgo di Terzo 463 220 -243 -52,5 Carobbio degli Angeli 2.192 1.262 -930 -42,4 Casazza 1.762 1.465 -297 -16,9 Cenate Sopra 1.161 390 -771 -66,4 Cenate Sotto 1.725 1.875 150 8,7 Endine Gaiano 1.575 1.270 -305 -19,4 Entratico 889 526 -363 -40,8 Gaverina Terme 349 108 -241 -69,1 Gorlago 2.312 1.420 -892 -38,6 Grone 405 151 -254 -62,7 Luzzana 408 211 -197 -48,3 Monasterolo del Castello 540 255 -285 -52,8 Ranzanico 559 158 -401 -71,7 San Paolo d'Argon 2.692 3.248 556 20,7 Spinone al Lago 479 212 -267 -55,7 Trescore Balneario 4.240 3.345 -895 -21,1 Vigano San Martino 523 188 -335 -64,1 Zandobbio 1.249 573 -676 -54,1 Totale Distretto 24.361 17.061 -7.300 -30,0 Albano S. Alessandro 3.890 3.042 -848 -21,8 Bagnatica 2.008 2.140 132 6,6 Brusaporto 2.709 1.738 -971 -35,8 Carobbio degli Angeli 2.192 1.262 -930 -42,4 Chiuduno 2.654 2.315 -339 -12,8 Costa di Mezzate 1.597 1.863 266 16,7 Gorlago 2.312 1.420 -892 -38,6 Montello 1.556 607 -949 -61,0 San Paolo d'Argon 2.692 3.248 556 20,7 Scanzorosciate 4.586 2.138 -2.448 -53,4 Torre de' Roveri 1.122 780 -342 -30,5 Pianura/collina est Bergam0 27.318 20.553 -6.765 -24,8

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I Bilanci delle imprese Arriviamo ora a un’analisi più specificatamente economica delle imprese, attraverso l’analisi dei bilanci. La fonte utilizzata ci consente un quadro delle stesse, a partire dall’aggregato di quelle con sede legale nel Comune, oppure che vi svolgono l’attività preponderante: 88 nel primo caso, 108 nel secondo. L’elenco è largamente sovrapponibile. Risulta interessante considerare quanto viene movimentato complessivamente in termini economici. Le variabili più importanti da prendere in considerazione ai nostri fini sono quelli riportati nella tabella che segue.

Tabella 5. Variabili di bilancio delle imprese a San Paolo

Variabili Migl. di Euro Ricavi delle vendite 725.216

EBITDA 47.689

Utile Netto 11.011 Totale Attività 664.591

Patrimonio Netto 173.725 Posizione finanziaria netta 130.154

Dipendenti 2.472

I l settore agroalimentare C’è però un aspetto che caratterizza questo territorio; la presenza di assoluto rilievo di imprese del comparto agroalimentare che occupano i primi posti nella classifica in termini di ricavi. Il settore agroalimentare si può definire come sistema di attività produttive e di servizi che vanno dallo sfruttamento della terra per ricavarne i prodotti, al consumatore finale. L’insieme delle attività di produzione agricola, trasformazione industriale, distribuzione e consumo di prodotti alimentari a sua volta fa parte di un sistema più esteso, denominato agroindustriale, in cui a valle della produzione agricola si situano le attività di trasformazione dei prodotti agricoli, mentre a monte operano le industrie che forniscono mezzi tecnici (macchine agricole, prodotti chimici ecc.) e le istituzioni che erogano servizi. I prodotti agroalimentari arrivano al consumatore finale dopo una serie di complessi passaggi tecnologici ed economici. Normalmente si distinguono tre sottosistemi: l’agricoltura e l’allevamento; l’industria; il sistema distributivo. L’industria alimentare è la seconda dopo il settore metalmeccanico. E’ un settore trainante dell’economia italiana con un fatturato che nel 2012 si è attestato sui 130 miliardi di euro. Il sistema agro-alimentare lombardo è il più importante, pari al 15% del totale nazionale, e uno dei più rilevanti nell’ambito europeo. Regione Lombardia, in linea con gli obiettivi della Strategia “Europa 2020”, ha identificato il settore agroalimentare come una delle 7 aree di specializzazione (AdS) su cui concentrare le risorse disponibili per avviare un percorso di innovazione e crescita intelligente, duratura e inclusiva. Per questa area di specializzazione, ha individuato tematiche prioritarie e relative tecnologie abilitanti, quali: filiera agroalimentare sostenibile e competitiva e benessere della persona. Dal punto di vista dinamico il settore, anche negli anni di maggiore intensità della crisi (2008-2009), ha continuato a manifestare una generale stabilita ̀ del sentiero di crescita, evidenziando una notevole capacita ̀ di tenuta.

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Se ne trae conferma anche dal fatto che la produzione alimentare del Paese nel decennio 2000-2010 ha messo a segno un +12,1%, con oltre 27 punti di differenza rispetto al -15,4% segnato in parallelo dall’industria manifatturiera nel suo complesso. Il 2011, secondo le rilevazioni del Centro Studi Federalimentare, presenta da un lato il persistere della stagnazione dei consumi interni, con la produzione, che per la terza volta dal Dopoguerra, ha registrato valori negativi (-1,5%); dall’altro il buon andamento delle esportazioni, che hanno compensato in parte il calo della domanda interna e visto un incremento di oltre il 10% sul 2010, portando il valore complessivo dell’output ad oltre 23 miliardi di Euro.

Le  politiche  di  sviluppo  rurale  

La riforma della PAC del 2003, nella parte che riguarda la politica di sviluppo rurale, si caratterizza per l’introduzione di nuove aree di intervento attraverso l’aggiunta di ulteriori modalità di intervento riconducibili sotto il comune denominatore della qualità dei prodotti alimentari, della sicurezza alimentare e ambientale. Tali misure riguardano principalmente il rispetto e l’adeguamento alle norme e agli standard, nuove misure a sostegno della qualità dei prodotti alimentari, nuove misure agro-ambientali e per il benessere animale. L’applicazione e adeguamento a questi nuovi strumenti, certamente coerenti con le nuove preoccupazioni in tema di sicurezza (alimentare, ambientale e del lavoro) di cittadini e consumatori, nonché delle nuove opportunità commerciali offerte dai mercati alimentari internazionali, ha sicuramente rappresentato un cambiamento importante nella gestione ed organizzazione delle aziende del settore, cambiamento che ha imposto una rapida applicazione delle norme comunitarie e nazionali e di affrontare costi di adeguamento alle stesse. A livello nazionale, l’attenzione per il comparto agroalimentare con misure a beneficio dei giovani e riduzione del carico fiscale, tutela e promozione dei prodotti agroalimentari sono stati oggetto di una serie di provvedimenti normativi nonché della legge di Stabilità 2014. Nella manovra economica infatti il Governo ha previsto misure importanti a beneficio delle piccole e medie imprese del comparto e che favoriscono anche il ricambio generazionale. Di seguito si sintetizzano i punti salienti:

Norme a favore dei giovani in agricoltura: - Assegnazione in affitto o in concessione di terreni pubblici ad uso agricolo in via preferenziale a giovani con età compresa tra i 18 e i 40 anni (20%); - Interventi gestiti da Ismea (istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) prioritariamente destinati alle imprese agricole ed agroalimentari condotte da giovani. - Nell'ambito delle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola, viene espressamente previsto che oltre ai terreni dello Stato, anche quelli delle regioni, province e comuni, possano formare oggetto delle operazioni a favore dei giovani imprenditori agricoli.

Piccola proprietà contadina: - ripristinate le agevolazioni tributarie previste per la piccola proprietà contadina e per gli interventi fondiari operati da Ismea

Fondo rotativo (50 milioni di euro per il 2014) per concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese che esportano. Riservato il 40 per cento in favore delle imprese del settore agroalimentare. Sono state anche inserite le attività agricole tra quelle finanziabili con fondo per calamità.

In vista di Expo 2015, rifinanziamento della legge 499/99: sostegno allo sviluppo e la competitività del sistema agricolo e alimentare nazionale (60 milioni di euro di cui 30 mln di euro per il 2014, 15 mln di euro per il 2015, 15 mln di euro per il 2016).

L’erosione dei volumi sul mercato interno e ̀ stata in parte recuperata dall’andamento dell’export: ormai quasi un prodotto alimentare su 5 viene esportato. Nel confronto con

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altri settori manifatturieri maggiormente export oriented, si tratta di un dato basso – su cui pesa la frammentarieta ̀ del tessuto produttivo oltre al dimensionamento medio delle imprese – ma pur sempre in crescita ( il 2011 replica infatti l’aumento del 2010 , +10,5%). Una spinta che gia ̀ nel 2010 aveva permesso alle imprese del comparto di recuperare quasi completamente i livelli pre-crisi, con un incremento del 6% rispetto al 2008. Questo comparto rimanda direttamente a quello più specificamente agricolo, che così può esser sintetizzato alla data dell’ultimo Censimento:

- le aziende agricole attive a San Paolo d’Argon sono 30; la Superficie Agricola Utilizzata (SAU), è pari a 94,12 ettari;

- la superficie agricola utilizzata (SAU) si dimezza tra il 1982 e il 200, ma resta quasi stabile negli ultimi dieci anni: da 100 a 94 ettari;

- a fronte del calo consistente del numero di aziende tra il 1982 e il 2000 (da 81 a 26, si osserva una variazione positiva nell’ultimo decennio: da 26 a 30;

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Le caratteristiche demografiche del comune

Premessa La scelta di esplorare le caratteristiche di San Paolo dallo studio della popolazione che qui vive origina da un punto di vista semplice: se sono gli uomini (e le donne) a definire i tratti specifici di una comunità, adottare gli strumenti della demografia diventa indispensabile. Torna utile allora premettere alcuni brevi cenni sulla focale che utilizzeremo. Per popolazione si intende «un insieme di individui, stabilmente costituito, legato da vincoli di riproduzione e identificato da caratteristiche territoriali, politiche, giuridiche, etniche o religiose» (M. Livi Bacci). Dunque i confini comunali possono definire una popolazione; per certi versi le comunità, oggetto tipico degli studi demografici, possono coincidere con le municipalità, qui intese come ambiti geograficamente determinati. Annoteremo pertanto in apertura come il comune di San Paolo non abbia registrato che poche variazioni significative del proprio confine comunale; infatti già alla fine del XVI secolo, la sua circoscrizione ricalcava quella attuale; e dopo una breve pausa ad inizio del XIX secolo in cui fu aggregato ai comuni di Cenate Sopra e Sotto e negli anni Trenta del secolo scorso in cui fu aggregato ai comuni di Cenate Sopra, assume definitivamente i confini attuali3

Tornando ad oggi possiamo rilevare come San Paolo, attualmente conti circa cinquemilacinquecento abitanti, residenti in uno spazio di 5,07 kmq con un indice di densità intorno a 1.050 abitanti per chilometro quadrato.

3 Si veda P. Oscar, O. Belotti. Atlante storico del territorio bergamasco - Monumenta bergomensia LXX. Provincia di Bergamo, 2000

Figura 4 – San Paolo e i suoi confini

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San Paolo non può però essere sottratto alle dinamiche tipiche dello sviluppo dell’area circostante poiché le relazioni che ogni comunità intrattiene con il suo territorio sono particolarmente dirimenti nell’intorno più prossimo. Possiamo collocare alternativamente San Paolo al fondo del distretto della Val Cavallina, oppure al centro di un’area tra alta pianura e colline ad est di Bergamo.

In entrambi i casi il Comune assume un ruolo significativo. Lo dimostrano le tavole che seguono, dove si prospettano le variabili fondamentali dei due aggregati di municipalità.

Tabella 6 – San Paolo nel Distretto

Comune popolazione al 31/8/2014 famiglie al 1/1 2014 superficie densità Berzo San Fermo 1.355 491 5,79 234 Bianzano 627 295 6,63 95 Borgo di Terzo 1.151 433 1,86 619 Carobbio degli Angeli 4.691 1.770 6,67 703 Casazza 4.065 1.528 7,06 576 Cenate Sopra 2.536 950 6,93 366 Cenate Sotto 3.676 1.404 4,51 815 Endine Gaiano 3.550 1.517 20,88 170 Entratico 1.959 745 4,12 475 Gaverina Terme 923 387 5,18 178 Gorlago 5.185 2.021 5,56 933 Grone 915 369 7,83 117 Luzzana 905 364 3,38 268 Monasterolo del Castello 1.173 533 8,48 138 Ranzanico 1.218 602 7,04 173 San Paolo d'Argon 5.540 2.084 5,07 1.093 Spinone al Lago 1.014 441 1,98 512 Trescore Balneario 9.939 3.863 13,31 747 Vigano San Martino 1.313 517 3,65 360 Zandobbio 2.774 1.088 6,46 429 Distretto 54.509 21.402 132,4 412

Figura 5 – San Paolo nel distretto

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Comune popolazione al 31/8/2014 Famiglie al 1/1/2014 superficie densità Albano S. Alessandro 8.304 3.216 5,28 1.573 Bagnatica 4.290 1.708 6,25 686 Brusaporto 5.558 2.113 5,01 1.109 Carobbio degli Angeli 4.691 1.770 6,67 703 Chiuduno 5.969 2.268 6,63 900 Costa di Mezzate 3.370 1.287 5,10 661 Gorlago 5.185 2.021 5,56 933 Montello 3.198 1.223 1,74 1.838 San Paolo d'Argon 5.540 2.084 5,07 1.093 Scanzorosciate 10.129 3.988 10,78 940 Torre de' Roveri 2.414 945 2,70 894 pianura/collina est di Bergamo

58.648

22.623 60,8 965

San Paolo è uno tra i venti comuni del distretto sociosanitario di Trescore (vedi tabella 6 e figura 6) che è costituito dalle sedici municipalità della ex Comunità Montana della Valle Cavallina ed i comuni di Carobbio degli Angeli, Cenate Sotto, Gorlago e San Paolo d’Argon. L’area raccoglie una popolazione di circa 54mila residenti (al 31.8.2014) su di una superficie di 132 kmq, registrando una densità di oltre 400 ab/kmq. La figura 5 invece pone a raffronto a partire dall’inizio del novecento, la crescita del nostro comune rispetto alla Provincia di riferimento (Bergamo)

L’ampiezza della scala è omogenea (da 1 a 6) con un rapporto tra i due aggregati di 1 a 200.

Figura 6 – Evoluzione demografica di San Paolo

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Popolazione La curva demografica di San Paolo nel novecento è dunque caratterizzata da uno sviluppo lento per la prima metà del secolo scorso, inferiore alla media provinciale; successivamente, a partire dagli anni ’60 assistiamo a un “recupero” notevole della crescita; mentre la bergamasca passa da 458 a 1.080mila residenti tra il 1901 e il 2011 con un incremento medio annuo del 12,5 per mille contro l’incremento da 1.000 a 5.4oo di San Paolo, cresciuto ad un tasso medio annuo di 38,8 abitanti per mille. Lo sviluppo della popolazione ha una forma contabile semplice; si spiega con l’algebra delle entrate per nascita e immigrazione e delle uscite per morte ed emigrazione. Questa semplice equazione deriva dai complessi meccanismi che generano la capacità degli individui di sopravvivere, riprodursi e spostarsi. L’apparente semplicità contabile ci può far dimenticare che ciò che osserviamo riposa su fenomeni di grande rilevanza, poiché derivano da comportamenti che nascono nella struttura genetica delle persone e riguardano il bisogno di movimento degli uomini. Può sembrare di primo acchito banale, parlare della vita delle persone in termini di una equazione. E’ ovvio, pensiamo, che un comune diventa più grande perché vi immigrano un maggior numero di persone di quante lo abbandonino e perché vi nascono più bambini di quante persone muoiano in un anno. Eppure siamo partiti proprio da queste considerazioni per scoprire, attraverso le impronte demografiche, alcuni tratti caratteristici di quell’insieme di individui che fanno di San Paolo una comunità. L’andamento delle fondamentali variabili demografiche è riportato, nella figura 7, dalla prima metà degli anni settanta. Come si può vedere, a partire dalla metà degli anni novanta si assiste ad una crescita dei fenomeni migratori. Attraverso la figura vogliamo far notare come questa sia dovuta all’effetto congiunto delle immigrazioni, in concomitanza di un andamento vivace delle emigrazioni, che negli ultimi anni tende a segnalare un segno marcato. Oggi, a quindici anni dall’inizio del nuovo secolo (e millennio), nascono e muoiono mediamente circa 90-100 persone ed emigrano ed immigrano tra 400 e 480 cittadini, con un turn-over lordo di oltre 500 residenti all’anno. Ogni anno San Paolo rinnova circa il 9-10 per cento della propria popolazione, che quindi teoricamente ogni 5-6 anni vede dimezzarsi la parte stabile. Sottolineiamo teoricamente, poiché è noto che i flussi migratori possono reiterarsi nel tempo, vale a dire può accadere che qualcuno possa allontanarsi da San Paolo per poi farvi ritorno e viceversa. Il valore di questo turn over che probabilmente può sorprenderci è superiore a quello provinciale e conferma quindi l’assetto dinamico della comunità di San Paolo.

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Figura 7 - Movimenti demografici. San Paolo 1972-2013

Gli indicatori demografici sulla struttura per età dei residenti riportati in tabella 7 ci possono fornire suggestioni e ipotesi concernenti le dinamiche della comunità locale.

Tabella 7- Indici di struttura della popolazione. 1.1.2014

Indice di: San Paolo Provincia vecchiaia Iv P65 e oltre / P0-14 * 100 64,0 123,3 dipendenza Id (P65 e oltre + P 0-14 )/P15-64* 100 45,3 52,6 struttura Is P40 - 64 / P15 - 39 * 100 121,3 125,8 ricambio Ir P60 - 64 / P15 – 19 * 100 100,0 121,6 carico Ic P0 - 4 / Pf 15 – 44 * 100 27,8 27,9 La rappresentazione dell’evoluzione della struttura della popolazione attraverso la cosiddetta piramide d’età (vedi figura 8) consente di cogliere con molta immediatezza i cambiamenti nei rapporti tra frazioni della popolazione residente: bambini, ragazzi, giovani, adulti, anziani … maschi e femmine. In sintesi possiamo osservare come la piramide si sia “riaperta” per le coorti tra 0 e 14 anni, caso anomalo rispetto alla grande maggioranza dei comuni bergamaschi.

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Figura 8 - Struttura della popolazione a San Paolo al 1.1.2014

Eloquente il raffronto con la situazione a livello provinciale.

Figura 9. Struttura della popolazione a Bergamo al 1.1. 2014

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L’identità del Comune

Così come nella vita di un individuo possiamo scorgere degli elementi strutturanti la sua personalità, così all’interno una comunità possiamo individuare relazioni di interdipendenza complesse che nel loro agire ne determinano l’identità. Tali relazioni riguardano in particolare lo scambio quotidiano di prodotti, di servizi e di tempo di lavoro; le attività messe in campo stabiliscono una incessante trasformazione sull’organizzazione dello spazio di vita quotidiana, così che abitare San Paolo risulta il precipitato instabile ma caratteristico delle persone che vi risiedono. Sotto questa luce risulta interessante calcolare l’intensità con cui si presentano i fattori d’identità; ciò è possibile a partire dall’enumerazione delle persone che sono nate e ancora risiedono a San Paolo; tale persistenza definisce in una certa misura il grado di radicamento della comunità. Occorre qui però una digressione metodologica sulle fonti. A differenza di quanto accaduto in fase di redazione del PGT, in questa fase non ci è stato permesso di accedere ai dati “grezzi” di anagrafe, gli unici che avrebbero consentito di sviluppare questa parte analitica. Pertanto qui riprendiamo in maniera sintetica i dati del 2008. Ebbene, come mostra la figura n° 10 il 34 per cento dei residenti in comune vive in paese dalla nascita (e l’ 1% vi è tornato).

Figura 10 - Residenti per nascita

La misura più significativa di ciò che abbiamo denominato grado di radicamento, va sicuramente ricercata nei rapporti tra generazioni. Si mette su casa, si curano proprietà, nella prospettiva fondamentale di trasmettere questo patrimonio ai propri figli; tutto questo anche a dispetto di una manifesta inefficienza economica della scelta; quello che importa è la sicurezza della trasmissione ereditaria. Allora quanto più questa catena tra generazioni si allunga, tanto più sarà improbabile registrare discontinuità, con il risultato di ispessire i legami tra individui e ambiente di vita, habitat. Poter misurare ciò, richiede però un paziente lavoro longitudinale tra archivi storici con tutti i prevedibili problemi di

Dalla nascita; 1712; 34%

Reimmigrati; 66; 1%

Resto provincia; 2068; 40%

Resto regione; 230; 5%

Resto Italia; 344; 7%

Estero; 676; 13%

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tempo e di parziali insuccessi che finiscono per suggerire di soprassedere, almeno in questa sede, all’analisi. L’altra possibilità, pur se meno robusta, è quella derivata dal misurare il numero di anni che una persona ha trascorso nel paese - numero di anni che va messo in relazione alla propria età - con particolare attenzione per quel gruppo prima rilevato che risulta risiedere in paese fin dalla nascita. L’immagine (figura 11) che ci restituisce l’accostamento tra numeri di residenti per classe d’età e la quota di vita trascorsa nel comune di ciascuna coorte risulta molto interessante.

Figura 11 - Residenti per classe d'età e quota di vita trascorsa nel Comune

I 509 residenti in età compresa tra 40 e 44 anni mediamente annoverano il 50 per cento del proprio tempo di vita trascorso a San Paolo. Un intervallo significativamente inferiore al 60-74 % dei ventenni e all’ 90-95 % dei bambini sotto i 10 anni. Dunque i 350 bambini in età compresa tra 5 e 9 anni e i 313 ancora più piccoli detengono il record di residenza relativa in paese; ciò significa che il loro vissuto ed il paesaggio interiore conseguente è segnato in maniera più significativa dai riferimenti quotidiani: attraversare le strade, frequentare alcuni luoghi, la scuola, la passeggiata sulle colline, il monastero, la chiesa, il campo di calcio, la palestra …

I cittadini stranieri A fianco di queste considerazioni vogliamo sottolineare ciò che è sotto gli occhi di tutti e determina il fattore d’innovazione demografica delle nostre comunità attuali: la presenza degli stranieri. Intanto sappiamo che questa è articolata in residenti, cittadini con permessi di soggiorno ed irregolari; bene, solo il dato dei primi ci porta alla forbice rappresentata nella figura n. 12 che segue, dove viene riproposto l’andamento demografico

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Figura 12 – Residenti al 31.12 nel Comune

La presenza di cittadini stranieri è molto significativa, pari a poco meno del 15 per cento. Quello che però va sottolineato è l’estrema varietà delle comunità non italiane, rappresentata nel grafico che segue.

Figura 13. Stranieri per paese d'origine

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Andamento delle famiglie Fino a questo momento abbiamo considerato gli abitanti del Comune singolarmente, ma risulta poco significativo analizzare la componente demografica di un territorio senza considerarne le aggregazioni che trasformano gli individui in comunità, la più importante delle quali risulta la famiglia. Non ci riferiamo qui ai suoi aspetti culturali, antropologici, ma più semplicemente agli aspetti anagrafici. Anche in questo caso partiremo dai dati di movimento per cogliere i caratteri evolutivi del fenomeno. Preso in esame l’arco temporale dal 1993 ad oggi, le famiglie passano da 1.237 a 2.084, con un incremento pari al 68,4 %. È inutile sottolineare come il fabbisogno abitativo vada rapportato a questo fenomeno

Figura 14 - Popolazione e famiglie. Andamento 1993/2014.

Tipologia delle famiglie Procederemo ora nell’analisi, assumendo come categorie di osservazione il numero dei componenti, la loro età, il genere, le relazioni generazionali e quanto necessario e sufficiente per individuarne delle tipologie che consentano di leggere e cercare di interpretare la domanda di abitazioni, ma anche di servizi che da queste provengono: l’anziano può così diventare solo, la coppia potrebbe interrompere la sua situazione e generare più persone che vivono sole o con uno o più figli singolarmente a carico, e così via. Le possibilità analitiche rispetto alla tipologia di nuclei familiari sono molto vaste. Qui si privilegia una suddivisione in tre gruppi di età, giovani, adulti e anziani, attraverso le soglie anagrafiche di 35 e 64 anni; in altri termini considereremo giovani gli individui sotto i 35 anni e le famiglie il cui intestatario (maschio o femmina non fa differenza) risulta sotto tale soglia; in modo corrispettivo parleremo di anziani per le persone e gli intestatari di nuclei familiari che abbiano compiuto i 64 anni di età.

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Le famiglie potranno essere unipersonali, pluripersonali o in altra condizione; queste seconde a loro volte vengono suddivise in coppie con figli, senza figli, padre solo con figli e madre sola con figli; le altre situazioni registrano famiglie la cui composizione non è nucleare, cioè aggregata intorno al rapporto genitori-figli, ma vede la compresenza di altre figure parentali (cugini, zii, conviventi …). Queste classificazioni vengono poi incrociate in una matrice che considera il numero dei componenti (1,2,3,4,5,6, 7 o più), restituendo così l’informazione sull’estensione delle famiglie.

Tabella 8 - Residenti in famiglia per ampiezza e tipologia della famiglia. Valori %

Valori percentuali gen-2008

Numero componenti Totale

1 2 3 4 5 6 7 o + famiglie componenti

Unipersonale 26,35 26,35 10,31

uomo giovane (<35 anni) 4,27 4,27 1,67

adulto (35-64 anni) 8,85 8,85 3,46

anziano (65 anni e +) 2,42 2,42 0,95

donna giovane 1,44 1,44 0,56

adulta 4,53 4,53 1,77

anziana 4,84 4,84 1,89

Pluripersonale nucleare 23,62 23,26 17,40 4,99 0,98 0,15 70,41 85,67

coppia con figli 20,23 17,24 4,94 0,98 0,15 43,54 63,28

coppia giovane con figli (cf <35 anni) 3,24 1,44 0,57 0,05 5,30 7,29

coppia adulta con figli (cf 35-64 anni) 14,82 15,08 4,37 0,87 0,15 35,31 52,20

coppia anziana con figli (cf 65 anni e +) 2,16 0,72 0,05 2,93 3,78

coppia senza figli 16,78 16,78 13,13

coppia giovane senza figli 3,35 3,35 2,62

coppia adulta senza figli 7,82 7,82 6,12

coppia anziana senza figli 5,61 5,61 4,39

padre con figli 2,01 0,98 0,10 3,09 2,88

padre giovane con figli 0,15 0,15 0,12

padre adulto con figli 1,44 0,93 0,10 2,47 2,38

padre anziano con figli 0,41 0,05 0,46 0,38

madre con figli 4,84 2,06 0,05 0,05 7,00 6,38

madre giovane con figli 0,77 0,41 1,18 1,09

madre adulta con figli 2,52 1,44 0,05 0,05 4,07 3,85

madre anziana con figli 1,54 0,21 1,75 1,45

Altre situazioni 1,24 1,18 0,41 0,36 0,05 3,24 4,03

Famiglie in complesso 26,35 24,86 24,45 17,81 5,35 1,03 0,15 100 100

Fonte: elaborazioni SAT su Anagrafe Comune L’elaborazione dei dati estratti direttamente dal database anagrafico del Comune nel gennaio del 2008 (l’aggiornamento non è stato possibile) consente una lettura dettagliata della situazione familiare che viene riassunta nella tabella n° 8 che riporta i dati in valore percentuale. In tal modo possiamo farci una immagine d’insieme dei 5.500 cittadini amministrati; questi vivono in poco più di 2.000 famiglie.

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Ponendo attenzione al fatto che i valori percentuali si riferiscono alle famiglie mentre nell’ultima colonna ai componenti, possiamo così sottolineare come se le famiglie unipersonali rappresentano il 26,3 per cento del totale i suoi componenti ammontano solo al 10,3 per cento dei residenti; un secondo elemento di rilievo è dato dalle coppie con figli che pur rappresentando la situazione più diffusa tanto da riguardare il 63,2 per cento dei cittadini, risulta costituire un più contenuto 43,5 per cento degli aggregati familiari, a fronte di un 27,8 per cento di coppie senza figli e famiglie monoparentali. Inoltre è di gran rilievo il dato che le situazioni di donne sole con uno o più figli ammontano al 7 per cento.

Proiezione demografica

Se quelli che abbiamo fino ad ora trattato, sono i fatti così come emergono dalla nostra analisi sulla popolazione in complesso e nelle sue parti, possiamo ora addentrarci in una disamina della situazione così come potrebbe evolvere nei prossimi anni. Sembra sensato, per l’amministratore comunale che voglia lavorare con attenzione al presente e lo sguardo rivolto al futuro, conoscere l’evoluzione demografica della propria comunità; in complesso e nelle sue parti, così da prevedere il fabbisogno di spazi scolastici, abitativi, l’entità dei servizi per anziani, bambini e famiglie, le esigenze riguardo la mobilità, ecc. E’ buona cosa, per far luce sul metodo adottato, introdurre questo rapporto con la distinzione - familiare per il demografo - tra previsioni e proiezioni. Potremmo dire che le prime esprimono tendenze probabili, a partire da osservazioni sistematiche sul passato e aspettative ragionevoli per il futuro; le seconde invece esprimono tendenze vincolate ad ipotesi di base, relativamente indipendenti dal loro grado specifico di plausibilità. Questa distinzione, apparentemente solo tecnica, quasi formale, ci aiuta in realtà a ben impostare il sistema di attese che si instaura tra il committente (in questo caso l’Amministrazione comunale di San Paolo) e l’incaricato alla previsione (in questo caso gli estensori della revisione del PGT). Infatti, se si ritiene che il risultato della previsione (proiezione) debba essere il più possibile robusto, occorre che le aspettative ragionevoli per il futuro siano esplicitate e concordate. Accanto a questa premessa fondamentale, occorre poi ricordare come le proiezioni demografiche effettuate ad una scala territoriale contenuta come quella di un comune (e San Paolo non fa certo eccezione con i suoi cinquemilacinquecento residenti in un’area di 5 chilometri), contrariamente a ciò che intuitivamente si tende a supporre, hanno una maggiore probabilità di inesattezza, rispetto a quelle operate su aggregati territoriali vasti e intensivamente popolati. Le variabili coinvolte nei modelli di previsione demografica non pretendono infatti di colmare la dimensione erratica dei fenomeni colti nella loro manifestazione locale. Così che la sostanziale stabilità - quasi inerzia - nel tempo, dei fenomeni demografici, pur alimentando una discreta attendibilità delle ipotesi, risente del fatto che un piccolo errore di rotta, se mantenuto per un certo tempo, provochi una crescita esponenziale degli errori di previsione, tanto più grave quanto più gli scarti saranno applicati su numeri il cui ordine di grandezza è dieci o al più cento. Se, ad esempio, prevedessimo che la popolazione di San Paolo si dovesse accrescere ad un tasso medio annuo del 3 per cento (equivalente a 165 abitanti) e invece il suo incremento reale risultasse un poco inferiore (poniamo il 2,5 per cento, equivalente a 137 abitanti), l’ammontare previsto oltrepasserebbe quello reale del 5 per cento dopo dieci anni, del 10,2 per cento dopo vent’anni, del quasi 16 per cento dopo trent’anni, … e così via. Inoltre, ci si esprime volutamente in termini di proiezione e non di previsione poiché il compito del demografo non è quello di esercitare una sorta di funzione veggente, quanto piuttosto quello di esplicitare la base analitica di una scelta; inoltre, come abbiamo già chiarito, quanto più si scende di scala territoriale, tanto più risulta probabile l’errore di proiezione.

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Le proiezioni effettuate in questa prima fase, che attende l’esplicitazione delle scelte amministrative, sono derivate da due ipotesi: 1. Popolazione “chiusa”: vengono considerati solo i livelli di natimortalità, trascurando

i movimenti migratori; tale ipotesi non è realistica ma assume un valore comparativo. 2. Popolazione aperta: si considerano sia le variabili di natalità, fecondità, mortalità che

di flussi migratori così come si sono manifestate negli ultimi anni, postulando un comportamento analogo per i successivi.

Vi è una terza ipotesi (che qui logicamente non riportiamo) che viene definita popolazione obiettivo: la proiezione incorpora ipotesi-obiettivo che l’amministrazione intende perseguire perlomeno sino al termine del proprio mandato o che siano assunte negli strumenti pianificatori comunali.

Figura 15 – Prima proiezione demografica

Nessuno dei risultati delle due ipotesi ha un valore definitivo, ma vengono sottoposte al semplice scopo di rendere visibili le scelte sottostanti al modello e rendere plausibile la scelta obiettivo che verrà esplicitata dagli amministratori. La proiezione demografica da noi effettuate (vedi figura n. 15) all’orizzonte temporale dell’anno 2.023, danno valori della popolazione residente compresi tra 5.653 e 6.009; rispettivamente nell’ipotesi di popolazione chiusa e di popolazione aperta. Indipendentemente da alcuni scostamenti che potranno emergere nel tempo, quello che ci pare importante far notare, è come cambi la struttura della popolazione, evidenziata nelle figura n. 16 e che riguarda l’ipotesi di popolazione aperta; questa riporta i valori, aggregati per coorti diverse fino a 24 anni e poi per classi quinquennali, per sesso e a cadenza temporale quinquennale: dato osservato al 31.12.2013, proiezioni al 31.12 del 2018 e 2023. L’accorpamento dei singoli anni di età riguardo ai bambini e giovani si pone in relazione ai servizi connessi per le diverse coorti: tra tre e cinque anni i bambini in età di scuola materna; tra 6 e 10 scuola elementare, tra 11 e 13 scuola media e così via.

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Figura 16. Popolazione derivata

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Vita e benessere dei cittadini

Introduzione Il piano dei servizi, così come previsto dalla LR 12/2005, costituisce parte integrante del PGT ed ha il compito di evidenziare non solo le dimensioni e localizzazioni dei servizi previsti ma anche le motivazioni che presiedono a tale scelta, il loro effettivo grado di fruibilità, le modalità di gestione. Risulta allora interessante esplorare le possibili relazioni tra la programmazione più specificatamente urbanistica e quella di impronta sociale. In questa sede in particolare si propone tale raffronto alla luce di un approccio interpretativo che ritengo molto stimolante e che muove dal concetto di benessere e tenore di vita. Compito dell’amministrazione pubblica, in particolare della municipalità, è quello di favorire il benessere dei cittadini; ciò rimanda al tema essenziale dello stabilire un livello minimo di soddisfazione, che può anche essere identificato nel «tenore di vita» cui il cittadino aspira. Il tenore di vita non attiene solamente al possesso di beni, ma riguarda ciò che ognuno di noi in grado di realizzare attraverso abilità e capacità. Il miglioramento del tenore di vita così concepito provoca, a san Paolo come altrove, una crescita costante ed inesorabile nella domanda di servizi. Ogni cittadino, infatti, mano a mano che guadagna una situazione di progressivo benessere, aumenta il proprio livello di consapevolezza rispetto al grado di benessere sociale. La questione allora non è solo quella di disegnare un sistema di protezione sociale meno costoso e perciò più accettabile dai contribuenti: La vera sfida consiste infatti nell’escogitare modelli di fornitura dei servizi che mostrino un grado elevato di solidarietà nei confronti di cittadini in stato di bisogno e, congiuntamente, siano dotati di sistemi di incentivi idonei a stimolare la loro autonomia; incentivi che stimolino la presenza di una pluralità di fornitori, così da consentire l’instaurarsi di meccanismi competitivi e garantiscano ragionevoli margini di scelta dei cittadini, assicurando nel contempo, una elevata efficienza produttiva. L’attenzione dunque si sposta dal benessere dei cittadini al ruolo che l’amministrazione pubblica (nel nostro caso locale) può assumere in questo contesto.

Cittadini, servizi sociali e municipalità Questo capitolo è stato predisposto per favorire la discussione ed il confronto su alcuni problemi di programmazione e organizzazione dei servizi, ritenuti rilevanti da chi scrive. La distanza tra il vissuto dei problemi quotidiani ed il tentativo di interpretare i nessi causali tra i fatti che li determinano, appare incolmabile, almeno a un primo livello di attenzione. Che cosa accomuna il cittadino, il municipio e i servizi sociali che questi organizza e gestisce, con l’azione attenta e premurosa di una signora che sta aiutando una persona anziana ad aver cura di sé? La prima è assistente del servizio domiciliare municipale e la seconda è una cittadina che fruisce del servizio; quello che forse rende diversi ma inestricabili i due piani è la necessità che lega le due donne e le porta ad una relazione quotidiana, inevitabilmente tinta di affetto, e i contorni razionali che permettono ciò. Cercare di spiegare un servizio sociale, osservarlo, espone al «paradosso del presbite»: più l’immagine si avvicina, più si sfuoca. Allora risulta opportuno procedere ad una descrizione di ciò che vediamo, ricordando che questo non è solamente una questione di osservazione e riporto ma comporta l’esercizio (difficile) della selezione. Si propone pertanto una descrizione che, pur accurata, non pretende di essere per questo una buona descrizione; anzi accetta l’ambivalenza di qualcosa che è buono nel senso che riguarda una cosa buona da dare e insieme tende a una buona descrizione di quella cosa. La descrizione proposta insomma è una scelta di metodo per cercare di rispondere ad alcune domande:

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o il cittadino è un «esattore» di diritti o piuttosto ne costruisce i presupposti, attraverso una domanda appropriata ? o il servizio ha carattere universale o si «modella» sulle regole del mercato ? o la municipalità è vicina al cittadino quando risponde - comunque e in ogni caso - alle sue domande o quando ne interpreta i bisogni ? o equità ed efficienza possono comporsi nella pratica dei servizi ?

I problemi in gioco Ad un cittadino può accadere di pensare ai servizi nel momento in cui ne avverte il bisogno oppure se si dispone ad analizzarne la loro organizzazione da parte delle municipalità; le due occasioni possono sovrapporsi e le considerazioni diventano più articolate. Gli elementi di giudizio si affastellano e allora si cercano priorità, ordinamenti; le preferenze in gioco in questo caso sembrano rinviare ad una domanda di benessere sociale, alla questione dei diritti esigibili, delle scelte che un amministratore, ma insieme e forse ancor prima un operatore sociale, è tenuto a fare in considerazione delle risorse, per definizione «finite». È così che prende forma, o almeno così a me pare, il tema dell’equità. Garantire un servizio e quindi reperire risorse (organizzative, economiche), significa rispondere imparzialmente a ciascun cittadino? La salute, in questo caso nella sua variante «minore», il benessere, è un diritto di tutti; ma lo è nel senso che le condizioni che la determinano devono essere assicurate a tutti? Oppure che, individuato un livello minimo di riferimento, essenziale, occorre monitorarne l’accesso e garantirne la fruibilità a tutti? Le questioni in gioco sembrano suggerire che lasciare al mercato la soluzione di questi problemi non sia sufficiente e che, una volta postulata la necessità dell’intervento pubblico, restano aperti molti problemi; ad iniziare da quello di un diverso ma simultaneo apporto dei vari livelli della pubblica amministrazione: centrale e locale. Se la funzione più importante dell’intervento pubblico è quella della redistribuzione della ricchezza, dove questa sia prodotta e dove sia consumata non è questione di poco conto; anche perché il dove , infatti, non riguarda solo lo spazio fisico ma anche quello sociale, nel quale asimmetrie ed iniquità sono continuamente riprodotte: ad esempio, ciò che giusto ed esigibile per me, quanto lo è rispetto agli altri membri della famiglia? E ciò che sembra un diritto per una famiglia, come si pone rispetto a tutte quelle del comune? E tra il comune e la nazione? In particolare oggi si avverte l’importanza di considerare simultaneamente il presunto guadagno di efficienza derivante da una gestione dei servizi più vicina alle esigenze delle collettività locali – effetto del decentramento – con l’ipotesi che questo potrebbe essere compensato, a livello nazionale, da una spinta alla crescita della spesa pubblica. Il conferimento di funzioni agli enti decentrati territorialmente (Regioni, Province e Comuni) infatti porta con sé una maggiore difficoltà di controllo delle dinamiche della spesa pubblica. Potrebbe costituire una spia di tale difficoltà la tendenza alla crescita della spesa di welfare per le politiche di protezione sociale delle fasce più deboli, dovuto all’incremento sia del numero che del costo unitario delle pensioni di invalidità civile e delle pensioni sociali. È ormai chiaro insomma che il compito di semplice allocazione di risorse, tradizionalmente assunto fino a poco tempo fa dalle municipalità nel processo di redistribuzione pubblica, non è più in grado di spiegarne in modo esauriente il ruolo. Tanto più che la dinamica dei trasferimenti statali e regionali obbliga il comune a operare scelte in entrambi le classiche fasi del sistema redistributivo: prelievo e allocazione. L’amministratore locale vede accresciute le proprie responsabilità sul fronte delle entrate e d’altra parte non sono di facile interpretazione gli effetti delle interrelazioni tra

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politiche tributarie locali e nazionali. Va insomma sottolineato come il comune, nel momento in cui opera una scelta - sia in merito al prelievo che alla allocazione delle risorse - determina e nello stesso momento è determinato dai comportamenti e dalle strategie dei diversi livelli della amministrazione pubblica. Il rapporto che si instaura tra livello centrale e periferico non risulta quindi né gerarchico né parametrico; in altre parole le scelte operate ad un livello del sistema, producono effetti che modificano i presupposti che avevano giustificato quelli di un altro livello.

L’informazione delle schede economico-finanziarie Ogni anno, ciascun comune dell’Ambito (e di tutti gli ambiti naturalmente) è tenuto a produrre, su standard predisposti dalla Regione, documentazione adeguata dei propri interventi, contabilizzati attraverso schede economico-finanziarie, ove vengono rilevati i parametri di spesa relativi alle diverse tipologie d’utenza e le modalità di organizzazione dei servizi. Per ciascuna tipologia di intervento, relativa ad una specifica tipologia di utenza se ne rilevano i costi per tipologia di gestione, per numero di fruitori, per canali di finanziamento. Riguardo la tipologia di utenza si fa riferimento alla classificazione largamente in uso, vale a dire: anziani, disabili, minori e famiglia, immigrati, emarginati, malati psichici. Una scheda a parte viene dedicata ai servizi sociosanitari integrati. Il primo e più interessante aspetto che si vuole porre in evidenza è quello relativo all’unità di costo. Se fino a questo momento ci è dato di conoscere la spesa sostenuta dalle municipalità per ciascun residente, con questa rilevazione ci è possibile osservarne il costo medio per utente. Sarebbe interessante avviare un lavoro comune tra ufficio di piano e singole amministrazioni per costruire un monitoraggio sempre più espressivo degli investimenti in campo sociale. Qui vogliamo semplicemente riferire di un dato emerso da un lavoro simile sviluppato in un altro contesto territoriale. Le due unità di spesa (a residente e a utente) si differenziano per quasi un ordine di grandezza: 102 la prima e 103 la seconda; se consideriamo come è costruita la misura e cioè uguale numeratore (euro spesi in un anno per funzioni sociali) e diverso denominatore (numero di residenti e numero di utenti) è immediato desumere che l’ordine di grandezza intercetta la quota dei fruitori rispetto all’insieme dei cittadini; quindi possiamo ritenere che in quell’Ambito l’offerta di servizi sociali riguarderà un residente su dieci circa. Il costo a residente approssima il prezzo che ciascun cittadino si troverebbe a pagare in un sistema ove tutta la spesa fosse sostenuta dallo Stato; il costo ad utente indica l’ipotetico prezzo di mercato. Questo schema bipolare è volutamente semplificato, anche perché segue l’ipotesi che la municipalità o il cittadino assumano per intero l’onere dei servizi, mentre sappiamo che intervengono altri elementi ed agenti. Quando arrivassimo però a conoscere più esattamente il costo effettivo complessivo, lo scarto di un ordine di grandezza ci dice una cosa rilevante: il sistema di servizi sociali attuale (attenzione, non il sistema di protezione sociale) prevede la presenza di 9 cittadini per ogni fruitore; una sorta di indice di carico sociale. Questa osservazione ci obbliga ad un ulteriore passo interpretativo, poiché l’intensità temporale dei servizi ne determina sicuramente i costi: altro è servire un cittadino per un intervento una tantum, di qualche ora, altro è provvedere al suo sostegno per l’intero arco delle 24 ore. Questo però non deve indurci a considerazioni «del ragioniere», ove il costo al minuto di erogazione del servizio viene assunto a parametro di efficienza economica, ma solo a considerare l’estrema eterogeneità dei servizi. Come in altre sedi si è già ricordato, probabilmente il fenomeno della lievitazione dei costi ad utente conseguente alla numerosità degli operatori necessari, rimanda al tema delle relazioni tra uomini nei servizi. Qui si apre non solo il tema della qualità, del tenore di vita dei cittadini, ma anche di una probabile, anche se tutta da dimostrare (con rigore analitico) valutazione di inefficienza dei servizi, quando non si assume nel calcolo la quantità di relazioni perse.

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La letteratura economica di riferimento è abbastanza precisa al riguardo: una perdita di relazioni («interazioni» secondo questo filone di studi) produce una perdita di capitale umano ed un impoverimento della persona e in generale del tessuto sociale tale che, nel medio e lungo periodo, genererà costi economici aggiuntivi. Occorre infine prestare attenzione a non cadere nell’equivoco interpretativo tra qualità e quantità di relazioni; ovvero non sempre si osserva una relazione causale diretta fra numero di interazioni e qualità di queste, ma è pur sempre vero che un paniere più grande di opportunità di relazioni mette in condizioni di favore le persone. Un buon amico, una amicizia significativa, includono il tema della selettività della relazione e dunque della scelta; ma questa non sarebbe una buona scelta se non disponesse di un numero significativo di opzioni; al limite non sarebbe più una scelta se l’opzione si riducesse a una.

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(Dis)uguaglianze abitative, coesione sociale e stili di vita Tra Piano dei Servizi (LR 12/2005) e Piano di Zona (L 328/00).

Tra gli obiettivi trasversali che furono enunciati nel prologo ai Piani di Zona a carattere provinciale approvato dal Consiglio di rappresentanza dei Sindaci già dal 2009, si individua un confronto per gli aspetti procedurali e di interazione tra ambiti e singoli comuni per le politiche della casa4. Il piano di zona di Trescore ha sempre avuto l‘ambizione di programmare le modalità per ampliare il confronto e l‘azione congiunta tra le politiche sociali e le altre attinenti quali quelle sanitarie, abitative, educative, formative e lavorative dell‘Ambito, di cui San Paolo è parte. Si pongono le basi di una fertile collaborazione tra programmatori a partire dalla consapevolezza che il problema della mancanza di un alloggio non può essere risolto solo costruendo nuovi edifici ed unità abitative; viceversa, con le sole risorse socio-assistenziali non è possibile predisporre interventi efficaci e che incidano sull’intero sistema.  Sulla scorta di queste consapevolezze ci limitiamo in questa sede ad individuare dei bisogni che vengono declinati in 6 punti: a) individuare strumenti che permettano alle famiglie di far fronte alla difficoltà nel mantenere le rate del mutuo, anche se per brevi periodi; b) trovare soluzioni adatte alle nuove fasce di popolazione interessate dal problema abitativo; in particolare, coloro che hanno un ISEE a metà strada tra quello che permette l’accesso alle graduatorie ERP e quello che permette l‘accesso ai costi del mercato. Si tratta solitamente di persone che non passano dai servizi sociali e dunque vanno intercettate in altro modo; c) individuare percorsi di inclusione abitativa ed avvio all’autonomia sia per le fasce deboli tradizionali (es. disabili) che per quelle emerse negli ultimi anni; d) necessità di reperire alloggi destinati alle fasce economicamente più deboli; e) necessità di aumentare lo stock di appartamenti destinati all‘affitto, anche a canoni di libero mercato; f) necessità di individuare modalità di integrazione tra politiche relativamente al problema casa. Per rispondere a tali sollecitazioni, si potrebbe postulare un monitoraggio del PGT attraverso un sistema di indicatori, con lo scopo di verificare nel tempo le modalità ed il livello di attuazione di questo livello del piano e di fornire indicazioni in termini di riorientamento del piano stesso. Gli indicatori, che di seguito elenchiamo, sono stati selezionati tra la batteria suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per linee di azione prioritarie:

1. incoraggiare e promuovere uno sti le di vita salubre a. Analisi della popolazione: popolazione complessiva, tasso di mortalità,

tasso di natalità, saldo generale, tasso migratorio, indice di vecchiaia, indice di dipendenza, indice di struttura della popolazione attiva, numero e composizioni delle famiglie, popolazione straniera, popolazione straniera per provenienza, alunni frequentanti le scuole, migrazione scolastica.

b. Cause di morte: tasso di mortalità annuo per le cause di morte studiate, in riferimento alla classificazione internazionale delle malattie (ICD).

c. Mortalità evitabile: insieme di cause di morte eterogenee ma accomunate dal fatto che il numero di decessi può essere ridotto tramite interventi di

4 esce mentre scrivo il rapporto il prologo 2015, allegato, a cui si rimanda per interessanti considerazioni.

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prevenzione primaria (campagne di educazione alla salute nei confronti di certe abitudini o stili di vita), diagnosi precoce e interventi di terapia.

d. Superficie relativa di spazi verdi nel paese: indicazioni sulla vegetazione presente nel paese: si basa sulla superficie destinata a spazi verdi rispetto alla superficie totale del paese (classificazione secondo le seguenti categorie: 1. parco pubblico; 2. giardini domestici privati; 3. aree incolte con possibile flora e fauna selvaggia).

e. Accesso pubblico agli spazi verdi: superfici di spazio di verde pubblico accessibile per abitante.

f. Sport e tempo libero: impianti sportivi, pubblici e privati.

2. incoraggiare e promuovere la coesione sociale a. Strutture pubbliche più frequentate: strutture sportive, biblioteca,

oratorio. b. Nuove strutture pubbliche. c. Organizzazioni di volontariato. d. Disagio psichico. e. Numero di persone affette da problemi psichici seguiti dal CPS. f. Piazze e altri spazi verdi attrezzati per la sosta e lo svago. g. Aggregazione giovanile e degli anziani. h. Opportunità di aggregazione intergenerazionale e interetnica. i. Azioni comunitarie, di quartiere.

3. incoraggiare e promuovere l’equità sul piano sociale. a. Cause specifiche di mortalità per categorie sociali. b. Presenza di stranieri regolari per età, genere e per zone. c. Sistemazioni di disagio ed esclusione abitativa degli Immigrati. d. Sistemazioni precarie, strutture di accoglienza. e. Senza dimora: numero delle persone senza casa. f. Poveri: percentuale di popolazione sotto la soglia della povertà. g. Patrimonio di abitazioni edilizia residenziale pubblica. h. Richieste all’edilizia residenziale pubblica in attesa. i. Tempi di attesa per un alloggio residenziale pubblico. j. Aree pubbliche attrezzate per il gioco per i bambini. k. Asili nido, pubblici e privati.

Tale importante ed interessante monitoraggio si configura come una vera e propria sperimentazione e costituisce una ipotesi di lavoro interessante e sulla quale la decisione spetta però agli amministratori. Ci sia permessa però una integrazione. Non si tratta forse solamente di costruire indicatori per monitorare un ipotetico scarto dalla condizione assunta come standard, ma piuttosto di assumere elementi di un progetto di propensione all’equità, che legga stili di vita e (dis)uguaglianze abitative come elementi fondanti il patrimonio di benessere individuale (vedi capitolo precedente). Al riguardo suggeriamo alla riflessione alcune dimensioni che possono caratterizzare la (dis)uguaglianza abitativa. A) L’abitare, o meglio le condizioni abitative, vengono considerate come una dimensione importante delle condizioni di vita e del benessere individuale. All’interno di questa prospettiva, l’essere o meno proprietari della casa dove si vive rappresenta tradizionalmente un indicatore particolarmente importante di benessere abitativo. È assodato che nell’esperienza italiana la proprietà implica una maggiore sicurezza nella disponibilità dell’alloggio rispetto all’affitto. Tuttavia l’importanza attribuita al titolo di

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godimento come indicatore di benessere abitativo appare sovradimensionata e legata ad una visione eccessivamente lineare del bene casa in proprietà. B) La ricchezza abitativa incorporata nella casa in proprietà anche quando non investita nel sistema produttivo, influenza al pari del reddito le chance di vita degli individui. Il sistema abitativo è un ambito rilevante di allocazione di risorse relativamente indipendente dal mondo della produzione e dalle disuguaglianze che vi emergono. La questione principale è come la distribuzione della risorsa casa in proprietà interagisca con le disuguaglianze che hanno origine nel mondo della produzione e se questa distribuzione si limiti a riprodurre tali disuguaglianze o contribuisca in parte a compensarle, o - al contrario - ad ampliarle. C) L’altra questione centrale è la sostenibilità economica delle spese per la casa. La spesa per l’alloggio e la sua incidenza sul reddito familiare non si limitano infatti a stabilire una diversa capacità di soddisfazione dei bisogni abitativi. Essendo le spese per la casa tra le principali uscite familiari – ed essendo, rispetto ad altre spese, meno elastiche - esse interagiscono con le disuguaglianze di reddito e possono rappresentare un fattore specifico di impoverimento, nella misura in cui limitano quanto rimane a disposizione per soddisfare altri bisogni. In questa prospettiva, è utile osservare che le politiche per la casa possono avere un ruolo non trascurabile per il contenimento della povertà e del disagio sociale legato al basso reddito. Esse hanno, anche in termini più generali, effetti redistributivi non trascurabili. Vogliamo concludere questo rapporto facendo nostra una significativa affermazione di Amartya Sen, filosofo ed economista indiano, premio Nobel 1998 per l’economia.

Vi sono molti modi fondamentalmente diversi di considerare la qualità della vita e un certo numero di essi

possiede una certa plausibilità immediata. Si potrebbe essere agiati senza stare bene. Si potrebbe stare bene

senza essere in grado di condurre la vita che si era desiderata. Si potrebbe avere la vita che si era

desiderata senza essere felici. Si potrebbe essere felici senza avere molta l ibertà . Si potrebbe avere molta

l ibertà senza avere molto. E così via.

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Allegato

PROLOGO PROVINCIALE. PIANI DI ZONA 2015-2017.

Approvato da Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci e Presidenti delle Assemblee distrettuali dei Sindaci nella seduta del 02 aprile 2015.

INDIRIZZO POLITICO E PROGRAMMATICO

A quindici anni esatti dall’emanazione della Legge 328/00, dopo quattro triennalità dei Piani di Zona territoriali e due Prologhi provinciali a premessa degli stessi, il nuovo Consiglio dei Sindaci dell’ASL di Bergamo (Consiglio di Rappresentanza e Presidenti delle Assemblee distrettuali dei Sindaci) si propone di introdurre questa ulteriore stagione programmatoria confermando lo strumento del Prologo provinciale, rinnovandolo però nelle indicazioni, nelle priorità e nello stile d’intervento. Nella realtà provinciale, il quadro in cui si va a costruire la programmazione sociale risulta in continuità con quanto emerso nella scorsa triennalità (come evidenziato nel Documento di Valutazione del Prologo ai Piani di Zona 2012-2014, già condiviso in occasione dell’annuale Conferenza dei Sindaci del 7 novembre 2014): un contesto caratterizzato da mutamenti demografici, segnato da una crisi economica e sociale che determina insicurezza e fragilità e ingenera, nelle persone e nelle comunità locali, r ichieste sempre maggiori di tutela, a fronte di minori risorse pubbliche a disposizione. Si è accolta con favore la scelta di rifinanziare il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e il Fondo Nazionale per la non Autosufficienza. Si registra inoltre la tenuta, seppure difficoltosa, del Fondo Sociale Regionale: risorse significative destinate agli Ambiti Territoriali per la programmazione degli interventi in dimensione sovracomunale. A questo però si accompagna la costante riduzione dei trasferimenti nazionali ai Comuni e il blocco delle risorse degli Enti Locali non utilizzabili a causa dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità, che comportano una lotta quasi quotidiana per assicurare, tra i tagli, servizi essenziali per i cittadini. Oltre a ciò, per le politiche sociali, le norme applicative tanto attese dopo l’anno 2000 rimangono ancora delle lontane chimere: i livelli essenziali per l’assistenza sociale (LIVEAS) non sono ancora stati emanati e siamo uno dei pochissimi Paesi d’Europa a non essersi dotati di una legge nazionale sulla non autosufficienza e sulle povertà. In questa cornice, ipotizzare lo sviluppo di un welfare locale e territoriale rimane un’operazione assai ardua. I Sindaci bergamaschi, in questi anni, hanno razionalizzato la spesa relativa a tutti i settori tranne quella relativa al sociale che ha mostrato una sostanziale tenuta in termini di investimenti assoluti e spesa pro-capite. E’ mancata però una spinta decisiva al superamento della frammentazione delle politiche e degli interventi sociali che, ad oggi, risultano ancora prevalentemente comunali o, comunque, ampiamente diversificati per modelli di gestione, linee di intervento e risorse stanziate, anche tra Amministrazioni afferenti al medesimo Ambito Territoriale. A questo proposito, il Consiglio dei Sindaci ha colto l’opportunità offerta dalla riforma nazionale dell’ISEE, lo strumento di compartecipazione alla spesa sociale delle famiglie, che, al di là delle persistenti incertezze normative, offre al sistema comunale l’opportunità di riformulare costi e tariffe a livello di Ambito Territoriale, rilanciando nei fatti il tema dell’equità, del diritto di cittadinanza e della coesione sociale nelle comunità locali. 2 Bergamo, nel confronto con il panorama nazionale e regionale, risulta essere una provincia dinamica dal punto di vista demografico, con elevati livelli di occupazione e

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buona capacità di produrre reddito, ma in questo contesto programmatico è opportuno osservare l’evoluzione interna dei processi di lungo corso del nostro territorio. I dati descrivono una realtà composita e diversif icata a l ivello di Ambiti Territoriali in termini di evoluzione demografica, sociale ed economica, così come per distribuzione di servizi e possibilità. Con la nuova triennalità dei Piani Zona sarà dunque opportuno operare per ridimensionare e ridurre le differenze territoriali e garantire ai cittadini di pianura, di città e di montagna pari opportunità e interventi di protezione sociale similari. Il sistema sociale bergamasco dovrà interrogarsi a fondo sul possibile modello di sviluppo provinciale delle politiche e degli interventi alla persona. Dall’annunciata riforma del sistema sociosanitario regionale, a quella già applicativa delle Provincie, fino alla gestione dei servizi pubblici locali, il tema della dimensione di Area Vasta è indicato dal legislatore nazionale e regionale quale elemento di efficientamento del sistema e possibile elemento per economie di scala: se il prodotto primo di politiche sociali efficaci ed efficienti si misura sulla coesione e sul legame sociale, allora lo spazio di azione in cui metterlo in pratica è quello di prossimità, locale e territoriale. Quindi, secondo il Consiglio dei Sindaci, i 14 Ambiti Territoriali , attori deputati a fornire risposte professionali al bisogno sociale, sono lo spazio ideale per esercitare la funzione socio-assistenziale in modo associato. Ecco perché il Consiglio intende agire sempre più attraverso politiche ed azioni di sistema che mettano gli Ambiti Territoriali nelle condizioni ottimali per esercitare la funzione di programmazione e gestione locale degli interventi e dei servizi alla persona, ribadendo, anche attraverso l’elaborazione dei dati di conoscenza, quanto e come la gestione associata di più servizi, negli spazi e nei termini predetti, sia per tutti i territori un traguardo ambizioso ma anche raggiungibile nella triennalità corrente. Servirà lavorare ancora molto per la ricomposizione del lavoro sociale dei Comuni e degli Ambiti Territoriali, per la produzione di dati di conoscenza dei bisogni delle persone e delle comunità, per creare sinergie in grado di generare virtuosismi: in attesa di una norma nazionale o regionale che lo definisca, il Consiglio dei Sindaci intende riconfermare e ribadire un proprio ruolo di governance provinciale sulle polit iche sociali territoriali , in relazione anche ad altri strumenti individuati dal legislatore regionale, quali le Cabine di Regia, che per la nostra realtà rimangono, se ben definiti, utili strumenti di livello tecnico per favorire processi di conoscenza nell’area dell’integrazione sociosanitaria. In una cornice di responsabilità collettiva ed allargata alle dimensioni istituzionali sovracomunali, il ruolo di governance sussidiaria viene condiviso con l’ASL, la Provincia di Bergamo e gli altri attori sociali dell’articolato mondo del welfare locale: Terzo Settore, associazionismo, volontariato, Fondazioni e Organizzazioni Sindacali (con queste ultime si è sottoscritta, tra l’altro, una specifica intesa in merito allo sviluppo dei Piani di Zona) e, per quanto di competenza, con la Prefettura e l’Università degli Studi di Bergamo. In questa prospettiva il Consiglio dei Sindaci ha esteso stabilmente la partecipazione alle proprie sedute ad un rappresentante della Provincia di Bergamo (che con il Consiglio condivide la Conferenza dei Sindaci), al fine di raccordare attività e sinergie per politiche territoriali più incisive, in primis la definizione di accordi per l’assistenza alla comunicazione di alunni affetti da disabilità sensoriale e per l’assistenza educativa degli studenti diversamente abili frequentanti le scuole secondarie superiori. 3 Quanto sopra naturalmente riconfermando e possibilmente ri lanciando quella che rimane la prerogativa specifica del Consiglio dei Sindaci così come delineata dal legislatore nazionale e regionale, ovvero l’espressione di pareri sulla programmazione sanitaria (auspicando che gli stessi divengano, in un futuro

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prossimo, più vincolanti). A questo proposito, una particolare attenzione verrà riservata all’annunciata evoluzione del Sistema Sociosanitario lombardo e al suo possibile impatto sul territorio (come espresso dal Consiglio dei Sindaci in occasione dell’audizione presso la Commissione III - Sanità e Politiche Sociali del Consiglio Regionale lombardo – Documento del 18 febbraio 2015). A livello operativo, nel Prologo alla triennalità dei Piani di Zona 2015-2017 vengono indicati alcuni temi prioritari a livello provinciale, individuando tre obiettivi strategici, ovvero: equità e sostenibil ità, promozione e prevenzione, lavoro in comune e integrazione e, a supporto di questi obiettivi, l’implementazione degli strumenti di supporto informatico. Per ognuno degli obiettivi il Consiglio dei Sindaci ha cercato di indicare alcune azioni di sistema al fine di focalizzare al meglio le priorità d’intervento. La loro realizzazione prevede la collaborazione con gli altri attori del sistema, in primis l’ASL di Bergamo, in una logica di costruzione di un sistema integrato di risposta ai bisogni di cittadini e comunità locali. L’ambizione è quella di intraprendere un percorso di cambiamento possibile, prendendo le mosse da una logica di coinvolgimento delle persone e delle comunità, organizzando un segretariato sociale diffuso pronto a cogliere i bisogni emergenti, arricchendo il sistema di dati di conoscenza reali, operando sulla dimensione dell’integrazione dei sistemi e degli interventi, fornendo strumenti che accompagnino i processi e le azioni previste, attivando (nel confronto con la società civile e con la promozione, oltre i confini provinciali, del “Modello Bergamo”) possibili risorse aggiuntive per offrire sostenibilità al sistema. Il Prologo agisce da quadro di cornice provinciale per ognuno dei Piani di Zona 2015-2017 dei 14 Ambiti Territoriali dell’ASL della provincia di Bergamo: è in essi, infatti, che, con l’avallo di dati di conoscenza, si identificheranno le peculiarità locali e le modalità dell’agire sociale dei singoli territori.