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SAN PAOLO E LO SPORT: IL PERCHÉ DI UNA PROPOSTA Tempio di San Paolo – Alba (CU) - 9 Settembre 2013 PREMESSA Di fronte alla proposta di nominare San Paolo Patrono degli sportivi, potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa c’entra San Paolo con lo sport? Possono la metafora a tutti nota della Prima Lettera ai Corinzi o le tante altre citazioni metaforiche giustificare una simile proposta? Saulo, divenuto Paolo, probabilmente non era uno sportivo. Non c’è alcun documento che autorizzi questa ipotesi. A leggere la sua biografia non c’è traccia neanche di una generica passione verso lo sport. Probabilmente, da persona colta, era semplicemente consapevole del valore dell’impegno degli atleti. Sono convinto che l’uso della metafora dello sport si spieghi con la popolarità che lo sport aveva nella cultura greca e latina del tempo. La metafora di tipo sportivo era spesso usata nell’arte oratoria. Cicerone, un secolo prima di Paolo, “lodava il pugile per la virtù della fortezza” 1 ; Seneca, contemporaneo di Paolo, e dopo di lui Epitteto, lo stoico greco, paragonavano il filosofo all’atleta, mettendo in relazione la paidèia, l’allenamento per la formazione dei fanciulli, ovvero il modello educativo della Atene classica tanto caro a Platone, con l’askesi, l’ascetismo. Quando scrive ai Corinzi 2 , Paolo sa di rivolgersi a persone che conoscono lo sport. In quella città dal 581 a.C. si svolgevano ogni due anni – nel primo e nel terzo anno dell’Olimpiade - i Giochi Istmici in onore di Posidone. Erano i più rinomati Giochi dopo quelli di Olimpia ed erano particolarmente festosi e caotici, socialmente ed economicamente molto importanti. A questi giochi aveva partecipato a suo tempo anche Platone 3 nella lotta e nel pugilato. Il ricorso all’esempio dell’atleta è, quindi, un modo per farsi meglio comprendere: paragonare l’impegno nel cammino della fede e dell’apostolato a quello del campione è efficace alla luce dell’esperienza e della cultura del tempo. Non dimentichiamoci che Paolo doveva far passare un messaggio del tutto nuovo, rivoluzionario. Non doveva essere facile far comprendere la rivoluzione portata da Gesù, morto e risorto da poco più di un decennio. Pensiamo solo al mistero della Resurrezione. Fatichiamo noi dopo duemila anni di cristianesimo, figuriamoci fra i pagani e a Corinto che era una delle capitali del paganesimo. Perché allora San Paolo Patrono degli sportivi? 1 Edio Costantini, Kevin Lixey, San Paolo e lo sport: un percorso per campioni , edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2009. Vedi anche Le Lettere di San Paolo, Cittadella Editrice, Assisi, 1965. 2 La metafora contenuta nella Prima Lettera ai Corinzi è la più nota di Paolo. Per comprenderne appieno il significato occorre forse storicizzare il testo. Paolo la scrive mentre si trova ad Efeso – come lui stesso scrive: “Fino a Pentecoste rimarrò a Efeso” (1Cor. 16,8) – durante il suo terzo viaggio missionario (ca. 54 - 57). La scrive preoccupato delle notizie che gli giungono da Corinto di un clima di divisioni, scissioni e antagonismi all’interno della stessa comunità cristiana, di cui era stato fondatore nell’anno e sei mesi trascorsi presso Aquila e Priscilla. 3 Platone è il soprannome, che significa “spalle larghe”, con cui è noto Aristocle = l’irreprensibile. Egli primeggiava nella ginnastica e gareggiò nella lotta e nel pugilato a Delfi e a Corinto, ma partecipò anche con i suoi Dialoghi.

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SAN PAOLO E LO SPORT: IL PERCHÉ DI UNA PROPOSTATempio di San Paolo – Alba (CU) - 9 Settembre 2013

PREMESSA

Di fronte alla proposta di nominare San Paolo Patrono degli sportivi, potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa c’entra San Paolo con lo sport? Possono la metafora a tutti nota della Prima Lettera ai Corinzi o le tante altre citazioni metaforiche giustificare una simile proposta?

Saulo, divenuto Paolo, probabilmente non era uno sportivo. Non c’è alcun documento che autorizzi questa ipotesi.

A leggere la sua biografia non c’è traccia neanche di una generica passione verso lo sport. Probabilmente, da persona colta, era semplicemente consapevole del valore dell’impegno degli atleti.

Sono convinto che l’uso della metafora dello sport si spieghi con la popolarità che lo sport aveva nella cultura greca e latina del tempo. La metafora di tipo sportivo era spesso usata nell’arte oratoria. Cicerone, un secolo prima di Paolo, “lodava il pugile per la virtù della fortezza”1; Seneca, contemporaneo di Paolo, e dopo di lui Epitteto, lo stoico greco, paragonavano il filosofo all’atleta, mettendo in relazione la paidèia, l’allenamento per la formazione dei fanciulli, ovvero il modello educativo della Atene classica tanto caro a Platone, con l’askesi, l’ascetismo.

Quando scrive ai Corinzi2, Paolo sa di rivolgersi a persone che conoscono lo sport. In quella città dal 581 a.C. si svolgevano ogni due anni – nel primo e nel terzo anno dell’Olimpiade - i Giochi Istmici in onore di Posidone. Erano i più rinomati Giochi dopo quelli di Olimpia ed erano particolarmente festosi e caotici, socialmente ed economicamente molto importanti. A questi giochi aveva partecipato a suo tempo anche Platone3 nella lotta e nel pugilato.

Il ricorso all’esempio dell’atleta è, quindi, un modo per farsi meglio comprendere: paragonare l’impegno nel cammino della fede e dell’apostolato a quello del campione è efficace alla luce dell’esperienza e della cultura del tempo. Non dimentichiamoci che Paolo doveva far passare un messaggio del tutto nuovo, rivoluzionario. Non doveva essere facile far comprendere la rivoluzione portata da Gesù, morto e risorto da poco più di un decennio. Pensiamo solo al mistero della Resurrezione. Fatichiamo noi dopo duemila anni di cristianesimo, figuriamoci fra i pagani e a Corinto che era una delle capitali del paganesimo.

Perché allora San Paolo Patrono degli sportivi?

1 Edio Costantini, Kevin Lixey, San Paolo e lo sport: un percorso per campioni, edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2009. Vedi anche Le Lettere di San Paolo, Cittadella Editrice, Assisi, 1965.

2 La metafora contenuta nella Prima Lettera ai Corinzi è la più nota di Paolo. Per comprenderne appieno il significato occorre forse storicizzare il testo. Paolo la scrive mentre si trova ad Efeso – come lui stesso scrive: “Fino a Pentecoste rimarrò a Efeso” (1Cor. 16,8) – durante il suo terzo viaggio missionario (ca. 54 - 57). La scrive preoccupato delle notizie che gli giungono da Corinto di un clima di divisioni, scissioni e antagonismi all’interno della stessa comunità cristiana, di cui era stato fondatore nell’anno e sei mesi trascorsi presso Aquila e Priscilla.

3 Platone è il soprannome, che significa “spalle larghe”, con cui è noto Aristocle = l’irreprensibile. Egli primeggiava nella ginnastica e gareggiò nella lotta e nel pugilato a Delfi e a Corinto, ma partecipò anche con i suoi Dialoghi.

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Per comprendere il senso della proposta ritengo si debba partire da alcune considerazioni sulla natura intrinseca dello sport, sul suo significato simbolico e culturale e sul potenziale educativo e morale che questa attività ha in sé.

Dello sport la Chiesa non si era mai occupata fino al secolo scorso. Ha cominciato a farlo a partire da Leone XIII (Papa dal 1878 al 1903), il papa che ha visto nascere i Giochi Olimpici moderni. Da allora gli interventi dei Papi sull’argomento sport si sono succeduti con crescente frequenza di pari passo allo svilupparsi dello sport stesso.

Ciò che hanno in comune tutti gli interventi papali (oltre 200) è l’ispirazione agli insegnamenti di San Paolo.

Giovanni Paolo II, nel messaggio del 12 aprile 1984, parlò dello sport come di una realtà che nella sua essenza era già stata individuata da San Paolo come valida e pienamente umana. “San Paolo ha riconosciuto la fondamentale validità dello sport – disse Papa Wojtyla -, considerato non soltanto come termine di paragone per illustrare un superiore ideale etico e ascetico, ma anche nella sua intrinseca realtà di coefficiente per la formazione dell’uomo e di componente della sua cultura e della sua civiltà. Così, San Paolo, continuando l’insegnamento di Gesù, ha fissato l’atteggiamento cristiano dinnanzi a questa come alle altre espressioni delle facoltà naturali dell’uomo, quali la scienza,il lavoro, l’arte, l’amore, l’impegno sociale e politico: atteggiamento che non è di rifiuto o di fuga, ma di rispetto, di stima, semmai di riscatto e di elevazione: in una parola, di redenzione”.4

Basterebbero queste autorevoli parole del Papa che qualcuno ha definito, “atleta di Dio”, per convincerci della bontà della proposta che dalla Famiglia Paolina e dal Panathlon Club di Alba si leva.

Per comprendere pienamente il valore dell’insegnamento dell’Apostolo dei Gentili e delle parole di Giovanni Paolo II, può esser utile affrontare l’argomento alla luce di un approccio simbolico allo sport, seguendo l’impostazione che il Prof. Giuseppe Mari, ordinario di Pedagogia Generale all’Università Cattolica di Milano, diede al suo intervento al congresso internazionale del Panathlon, che ebbi il compito di coordinare. “Il primato dell’etica. Anche nello sport?” era il titolo di quel congresso (2010) e il Prof. Mari trattò il “Potenziale educativo e morale dello sport”.5

1. Significato e valore dell’accostamento simbolico allo sport

Il significato e il valore dell’approccio simbolico allo sport è cosa nota fin dai riti iniziatici, dai rituali, agonali o semplicemente ludici che hanno accompagnato lo sviluppo delle civiltà conosciute.

Il gioco è connaturato nell’uomo. Secondo Johan Huizinga l’homo ludens precederebbe l’homo faber. “Il gioco – scrive Huizinga – è indispensabile all’individuo, in quanto funzione biologica, ed

4 AA.VV., Chiesa e sport. Un percorso etico, a cura di Carlo Mazza, Atti del Convegno nazionale “Sport, etica e fede per lo svilupp9o della società italiana”, Roma 23-25 Novembre 1989, Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Nazionale Tempo Libero, Turismo e Sport, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI). 1991.

5 Il riferimento è al saggio di Giuseppe Mari, “Il potenziale educativo e morale dello sport”, in The primacy of Ethics. Also in Sports?, a cura di Aldo Aledda e Maurizio Monego, Franco Angeli Editore, Milano 2011.

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è indispensabile alla collettività per il senso che contiene, per il significato e il valore espressivo, per i legami spirituali e sociali che crea, insomma in quanto funzione culturale”.6

Per limitarci alla valenza culturale che ebbe lo sport nell’antica Grecia, sono da sottolineare le diversità simboliche dei Giochi7 di allora rispetto a quelli moderni. La matrice comune di quei Giochi è quella di agoni rituali per chiedere la benevolenza della divinità a cui erano dedicati.

Si tratta di una matrice religiosa nel significato etimologico della parola “religio”, “legame”, un termine cioè che rimanda al legame vitale che tiene in una condizione di dipendenza l'essere umano (più in generale, il mondo) rispetto alla divinità, domandando il culto, cioè, la “coltivazione”, per assicurare la sopravvivenza, esattamente come la coltivazione dei campi garantisce di che vivere.

Il rapporto con la divinità per i Greci, come poi per i Romani, finché non intervenne la “rivoluzione” cristiana, aveva significati che nel tempo sono andati perduti. Il sacro, sia nel termine greco hierós (“divino” e “sacro”) sia in quello latino sacer indicano “separazione” ovvero la condizione divina in quanto distinta e distante da quella umana. Tale separazione era correlata al sentimento di timore provocato da una concezione del divino che riconosceva al nume anzitutto la potenza “pericolosa”, non solo distruttiva, ma anche ingannatrice8. L’intervento di Atena che fa inciampare Aiace nella gara di corsa, per corrispondere alla preghiera del suo protetto Ulisse (Iliade XXIII canto – I giochi funebri che Achille organizza per onorare Patroclo) è un esempio di questa cultura. Di qui la necessità “di ammansire e rendere propizio chi poteva comminare pene e infliggere dolori”.

“Lo sport rientrava fra le pratiche di culto comportando – quindi – un significato che andava ben oltre la competizione atletica individuale, essendo svolto in una forma che riguardava anzitutto la comunità”.

I giochi panellenici comportavano la tregua nei conflitti tra le città greche sia perché erano legati al culto delle divinità sia perché esprimevano la koiné cioè la co-appartenenza culturale di tutti i Greci

6 John Huizinga, Homo Ludens, Einaudi Ed. TO, 1973, cap. I pg. 12

7 Ad Olimpia si celebravano i Giochi Olimpici in onore di Zeus. A Corinto quelli Istmici dedicati a Posidone comprendevano gare ginniche, di lotta e ippiche. Solo nel periodo ellenistico, furono aggiunti gli agoni musicali. Il vincitore riceveva in premio una corona di aghi di pino. Per numero di concorrenti e per afflusso di pubblico erano i giochi più solenni dopo quelli di Olimpia. A Delfi i Giochi Pitici, gare atletiche, poetiche e musicali si tenevano in occasione delle Pitiche, feste celebrate in onore di Apollo Pizio. Ai vincitori erano dedicati dodici epinici di Pindaro comunemente noti come Le odi pitiche o semplicemente Le pitiche. Ad Atene si tenevano le “grandi” e “piccole” Panatenaiche dedicate ad Atena Poliade. A Nemea, nel Peloponneso, si tenevano i Giochi Nemei, biennali come i Giochi Istmici, dedicati a Zeus e nei quali i vincitori venivano premiati con una corona di prezzemolo (successivamente sostituito dal sedano). A Olimpia si svolgevano anche i Giochi Erei gli unici Giochi in cui a gareggiare erano le donne. Nei Musei Vaticani è conservata una idria (vaso per contenere l’acqua) del VI sec. a.C. ove sono raffigurate donne che corrono (vedi Angela Teja e Santino Mariano (a cura di), Agonistica in Magna Grecia – La scuola atletica di Crotone, Edizioni del Convento, Calopezzati (CS), 2004, pgg.36-38). I Giochi Erei avevano significato propiziatorio a carattere pre-matrimoniale: attraverso la selezione della corsa le fanciulle cercavano di assomigliare ad Hera, compagna di Zeus e dunque prototipo della “buona sposa”. Si veda anche Pausania, Guida alla Grecia, Libro v – L’Elide e Olimpia – (V, 16), Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, II ediz., 1998.

8 Giuseppe Mari, op. cit.

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al di là delle loro differenze di costume, legislazione, politica. Per questa stessa ragione lo sport diventava veicolo di significati morali ed educativi.

Questa dimensione rende ancor più ragione del ricorso di Paolo alla metafora sportiva.

La massiccia partecipazione e il coinvolgimento di grandi masse di spettatori negli eventi sportivi mondiali mostrano una esigenza di identificazione comunitaria, la cui valenza – ancora una volta – è simbolica.

Secondo il filosofo tedesco Ernst Cassirer9 il simbolo esprime – nel concreto agire della persona – un significato che va oltre la descrizione fenomenica – cioè puramente materiale – del suo comportamento. L’uomo ha la capacità – che lo distingue dall’animale – di indicare con il gesto qualcosa e di decidere.

L’azione si esprime attraverso gesti che sono frutto di decisioni, che sono intenzionali.

Risulta evidente che lo sport, così legato alla fisicità umana, costituisce uno scrigno formidabile di significati simbolici, essenziali alla vita tanto dei singoli che delle comunità. Ecco dunque un altro aggancio alle metafore paoline.

Uno di questi significati simbolici, in particolare, è di grande importanza per la messa fuoco del profilo morale della persona: il gioco.

2. La valenza antropologica del gioco e la corporeità

Qualche mese addietro ho tradotto e pubblicato nel sito del Panathlon International10 un documento a firma di Mons. Josef Clemens, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, su “L’attività sportiva nel pensiero di Joseph Ratzingher / Benedetto XVI” che raccoglie una sua intervista11 del 1978 ora inserita in una pubblicazione di meditazioni stampata nel 2005.12

9 Ernst Cassirer è stato un filosofo tedesco naturalizzato svedese. Nella sua opera più importante, Filosofia delle forme simboliche (1923-29) sostiene che le molteplici forme della vita spirituale sono accomunate dall’essere tutte attività formative di tipo simbolico. Il Saggio sull’uomo (1944) individua l’origine comune delle molteplici forme simboliche nell’uomo come “animal symbolicum”, cioè nella sua progressiva capacità di allontanarsi dai dati immediati per l’elaborazione di forme espressive sempre più elevate. (Vedi L’Enciclopedia della Filosofia e delle Scienze Umane, De Agostini, Novara, 1996).

10 http://www.panathlon.net in Attività / Articoli e saggi / per autore / Clemens Josef

11 Questa intervista è stata pubblicata in tedesco nel Bollettino Ordinariats-Korrespondenz dell'Arcidiocesi di München-Freising (ok 03 -15/78) n.19 del 3 giugno 1978; cfr. P. Pfister, Joseph Ratzinger und das Erzbistum München und Freising, Dokumente und Bilder (Documento e Foglio) dagli Archivi ecclesiastici, Contributi e Memorie, nella collezione: Schriften des Archivs des Erzbistum München und Freising, vol. 10, Schnell & Steiner, Regensburg 2006, 313 s; Si noti anche la sua rapida pubblicazione nella Gazzetta cattolica Deutsche Tagespost, 7 giugno 1978. Una traduzione parziale in inglese si trova in J. Ratzinger, Collaboratori della Verità: Meditazioni per ogni giorno dell'anno, Ignatius Press, San Francisco 1992, 262-263. Una traduzione completa in lingua inglese è di Teresa Benedetta in: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=354533

12 Cf. Joseph Kardinal Ratzinger, Suchen, was ist droben. Meditationen das Jahr hindurch, Press Herder, Freiburg i.Br. 1985, 107-111; Benedikt XVI / Joseph Ratzinger, Gottes Glanz in unserer Zeit. Meditationen zum Kirchenjahr, Press

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Vi si trovano “I fondamenti filosofici del fenomeno sportivo” del Cardinale Ratzinger / Papa Benedetto XVI (/ in quanto da Papa ne ha autorizzato la pubblicazione).

Parla di calcio, il prelato in quell’intervista, come di "un 'evento globale' che, a prescindere dai confini, unisce l’umanità in tutto il mondo in un unico ed eguale stato di tensione: nelle sue speranze, nelle sue paure, nelle sue emozioni e gioie". Nessun altro evento sul pianeta è in grado di coinvolgere così tante persone in una simile maniera quanto un evento sportivo professionistico e in particolare quello del calcio. "Questo ci dice che un istinto primordiale umano è in gioco". Esaminando le radici di questo fenomeno universale che è lo sport, Ratzingher dà questa interpretazione dello sport spettacolo: il grido panem et circenses, che sembra mettere il pane e lo spettacolo sullo stesso piano, era in realtà l'espressione di "un desiderio per la vita paradisiaca" – “una vita di sazietà senza sforzo, il compimento della libertà". Il giocare, in un senso profondo, è una attività, che è completamente gratuita, senza limiti o costrizioni, coinvolgente e che richiede tutte le energie di un essere umano. Di conseguenza, il gioco potrebbe essere interpretato come una sorta di tentativo di tornare in paradiso: come una fuga dalla "schiavitù faticosa della vita quotidiana" (fuori dalla serietà di tutti i giorni che ci fa schiavi), al fine di soddisfare il nostro bisogno di 'serietà libera’ (freien Ernst ) di qualcosa che non è necessario e proprio per questo è bello. In questo modo, lo sport, in un certo senso, va oltre (überschreitet) la vita quotidiana.

Ma il gioco ha anche la caratteristica di essere una scuola di vita, simboleggia la vita stessa e la precede dando liberamente forma ad essa.

La valenza antropologica del gioco era anticamente presente agli educatori, anche se tenuta circoscritta ai fanciulli. In epoca greca ed anche romana, lo studio era associato al gioco.13

Lo sport è soprattutto competizione. Senza competizione non c’è sport. Divertimento, movimento, competizione sono i tre elementi che lo definiscono.

Competizione vuol dire tendere (petere), (cum) insieme ad un fine: correre insieme per un fine. La gara consiste nel tentare di correre più velocemente possibile per raggiungere prima quel fine

Herder, Freiburg i.Br. 2005, 188-190; Mitarbeiter der Wahrheit, Gedanken für jeden Tag, I. Grassl. (a cura di), Naumann Press, 31992 Würzburg, pag. 266 s,. Cfr. anche la bibliografia generale a cura di suoi ex allievi: Joseph Ratzinger / Papst Benedikt XVI, Das Werk: Bibliographisches Hilfsmittel zur Erschließung des literarisch-theologischen Werkes von Joseph Ratzinger bis zur Papstwahl a cura di V. Pfnür, Sankt Ulrich Press, Augsburg 2009, 191 .

13 Sul rapporto fra scuola e sport il filosofo Massimo Cacciari in una delle conferenze a cui lo coinvolsi qualche anno fa nei licei veneziani, quand’ero Presidente del Panathlon Club Venezia ebbe a dare la seguente spiegazione.Sport significa un’attività, appunto, che uno fa non costretto, che fa da dilettante nel senso letterale del termine: perché ne trae diletto. Scuola è un termine sinonimo. Scuola, viene da un termine greco, che è skolè, che i latini traducevano con otium. Skolé significa dedicarsi ad attività che non sono obbligate, otium, non nel senso di non fare niente, ma nel senso di dedicarsi ad attività a cui non siamo costretti, un’attività libera da cui non siamo “occupati”. Skolè, otium, sport. In questi termini è davvero la quintessenza della nostra attività da uomini liberi. Quando non siamo occupati, quando nessuno ci occupa, quando ci divertiamo in ciò che facciamo. A questi termini di dimensioni analoghe non si deve dare tuttavia un significato idealistico. Scuola e sport dovrebbero essere in rapporto armonioso, ma sono anche concorrenza, competizione. Senza competizione non c’è sport. La competizione e il divertimento sono il fondamento dello sport. Come della scuola.

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comune. Questa è la gara bella, questo è l’agon bello. In questo senso Paolo di Tarso usa la metafora dello sport nella Prima Lettera ai Corinzi:

“24Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. 26Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria; 27anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1Cor 9, 24-27).14.

Il significato del passo è chiaro ed espresso nei termini che un comunicatore come lui sapeva ben usare.

La condizione dell’uomo sulla Terra è quella di homus viatoris, di uomo che cammina verso una mèta. Una condizione che si esprime ad esempio nell’affrontare, oggi come secoli fa, percorsi come la Via Franchigena o i cammini verso Santiago di Campostela. Nel suo progredire ci sono trasformazioni da affrontare per crescere. A queste trasformazioni ci si deve preparare con l’allenamento, l’educazione e l’impegno necessario. Questo vale in generale e a maggior ragione per il cammino della fede.

8Esercitati nella pietà (fede) – scriverà Paolo a Timoteo – perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura. 9Certo questa parola è degna di fede. 10Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono. (1Tim. 4, 8-10)

L’invito che Paolo fa a Timoteo ad essere un buon ministro di Cristo si basa su due condizioni: alimentarsi alle parole della fede (Bibbia) e all’insegnamento appreso dall’apostolo e, seconda condizione, allenarsi ogni giorno alla pietà (fede) come fanno gli atleti per le loro specialità sportive, anzi più di loro, perché mentre la ginnastica corporale non può mantenere all’infinito la freschezza e l’agilità delle membra, la pietà o la fede, è utile a tutto. Gli apostoli combattono, competono, come gli atleti nello stadio, fiduciosi nell’aiuto di Dio. La speranza che è una delle caratteristiche dello sport qui è coltivata per un fine più alto, che è comune.

La mèta è comune per tutti gli uomini.

Nella Lettera ai Filippesi15 risuona la perseveranza, la speranza e il traguardo comune:

14 Questa e le citazioni dei passi di San Paolo che seguono, sono nelle forme di testo che compaiono in “La Bibbia di Gerusalemme”, Edizioni Dehoniane Bologna, 1974, Imprimatur di Mons. Marco Cè, vic. Generale, che è stato mio Patriarca a Venezia.

15 È la lettera più calda, commossa e affettuosa che sia uscita dalla penna di Paolo. La scrive da Roma. Parla della sua situazione personale, l’arresto e il processo che ne è seguito. Una situazione che fa sì che molti fratelli, sapendolo in catene, trovano forza e ardore “per annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno”. “Questi lo fanno per amore sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo”. Purché si parli di Dio ben vengano anche quelli che predicano Cristo con spirito di rivalità. Di ciò si rallegra perché “tutto questo servirà alla mia salvezza”. Sprona poi a lottare per la fede, a mantenere l’unità nell’umiltà, a lavorare per la salvezza. Indica poi la vera via della salvezza cristiana. Descrive la sua unione mistica con Cristo e i suoi sforzi per possederlo sempre più attraverso una

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Non (..) che io abbia già conquistato il premio o sia arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. (Fil 3,12-15).

Rivolto ai partecipanti alla maratona di Roma del 2000, Giovanni Paolo II disse: “La vita può essere paragonata a una singolare maratona, che tutti siamo chiamati a percorrere, ognuno con modalità e ritmi diversi. Ci attende però un traguardo comune ed è l’incontro con Cristo”.

2.1. Etica e libertà

Il gioco ha come carattere fondamentale la libertà. La libertà, come sappiamo è un concetto relativo. Nella scelta di giocare, di competere, la libertà deve valere per tutti i concorrenti. Tutti devono partire in condizioni di parità. Questo ci induce a un accenno al concetto di Etica.

L’ethos è una “fede”, nella quale una comunità si riconosce e che non è proprietà di qualcuno. E’ qualcosa di “comune”. L’opposto di “privato”. Etica significa una dimensione essenziale che non è di nessuno, che fa sì che ci riconosciamo tutti come la nostra comune coabitazione, come la nostra comune casa, come la nostra comune fede, di cui nessuno è proprietario, ma che tutti insieme dobbiamo acquisire, che tutti insieme dobbiamo curare, per la difesa della quale tutti insieme dobbiamo, se necessario, sacrificarci, rinunciando in qualche caso anche alla ferrea ed egoistica tutela della nostra proprietà.

Etica quindi è ricerca. Possiamo pensare alla costruzione dell’etica come a un triangolo equilatero avente per vertici la libertà, la verità, la coscienza. Nel centro si collocano il rispetto e l’accoglienza dell’altro in quanto altro. “L’Etica è un combattimento”, scrive in un saggio Jean-Louis Bujon16 in Sport, Etiche, Culture, il volume in 4 tomi edito dal Panathlon International per raccogliere la cultura sportiva della seconda metà del Novecento.

Scartiamo dunque un’etica idealistica che ci presenti solo il bello del mondo, nascondendoci l’asprezza delle realtà umane. Ricerca e “lotta” richiedono impegno; l’impegno che realizza “umanità”, basato quindi sui valori umani universali.

“L’etica instaurata dallo sport è originaria e fondamentale”, scrive Ariel Morabia nel Quaderno N.3 edito congiuntamente dal Panathlon International e da UNESCO17. Per riprendere un concetto

“conoscenza” (nel senso di esperienza) amorosa, di contemplazione più che di penetrazione discorsiva. Questo sforzo di assimilazione a Cristo non sarà perfetto se non al momento della morte, ma non si illude di aver già toccato la mèta. Occorre perciò perseveranza.

16 Jean-Louis Boujon, Presidente della Federazione Internazionale dello Sport Scolastico ( Federation Internationale du Sport Scolaire), “Etica, giovani, sport” sta in Sport. Etiche. Culture, Vol I – Diritti umani, Società, Olimpismo -, Panathlon International, Rapallo 2003, pgg. 23-42.

17 Ariel Morabia, Sport e/è etica, I Quaderni del Panathlon, N. 3, 1993. Il testo è riportato nel sito del Panathlon International all’Url : http://www.panathloncomo.it/lib/File/2011/Morabia0001.pdf

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chiave della sociologia strutturalistica, lo sport “è un fatto sociale totale” – secondo la definizione che ne dà Marcel Mauss18 -, poiché è il campo di libertà, di gioco, in cui il mondo si rivela all’uomo senza mediazione né riflessione, senza speculazione né calcolo, con lo spiegamento di quella potentia agendi (della mente) di cui parla Spinoza nella sua Ethica19. È il fenomeno mediante il quale, di fronte ad una realtà aleatoria, estranea ed inquietante, l’uomo ha percepito la ritualità di un luogo sottomesso alla misura come promessa di quell’altro luogo che non sarà più estraneo: il mondo”20.

Rispetto a questa interpretazione pare evidente che la metafora che Paolo usa nella Prima Lettera ai Corinzi (1Cor. 9,24-27) “alza l’asticella”, per così dire, per farci comprendere l’analogia a livello superiore: la promessa del premio della salvezza, il paradiso.

La libertà su cui si fonda lo sport – così come la libertà di cui parla Paolo nella Lettera ai Gàlati, con significato puramente teologico - comporta necessariamente la responsabilità.

3. Responsabilità dell’agire

Lo sport, come si è detto, “è un fatto sociale totale”. Da ciò deriva che chi lo gestisce e chi lo interpreta ha una grave responsabilità. Papa Francesco, in occasione dell’incontro con le nazionali di calcio di Italia e Argentina (13 Agosto 2013) ha ammonito: “Voi, cari giocatori siete molto popolari. La gente vi segue molto non solo quando siete in campo, ma anche fuori. Questa è una grande responsabilità sociale.” E più avanti: ”Uno sportivo pur essendo professionista quando coltiva questa dimensione di dilettante fa bene alla società, costituisce e costruisce il bene comune a partire dai valori della gratuità, del cameratismo, della bellezza. E questo vi porta a pensare che prima di essere campioni siete uomini, persone umane, con i vostri pregi e i vostri difetti, con il vostro cuore e le vostre idee, le vostre aspirazioni e i vostri problemi. E allora, anche se siete dei personaggi, rimanete sempre uomini, nello sport e nella vita. Uomini, portatori di umanità".

Concetti che avevano espresso altri suoi predecessori sulla cattedra di Pietro, come Paolo VI21

quando esaltava lo sport come “fattore di educazione morale e sociale (…) non v’è scuola di lealtà migliore della pratica sportiva! In quale onore, infatti, è tenuto il Fair-play!” e metteva in guardia “contro l’invasione del professionismo, del gladiatore pagato come lo chiamava il fondatore dei Giuochi Olimpici. Dite un no energico sia all’esagerazione commerciale che all’ingerenza politica”.

18 Marcel Mauss, sociologo e antropologo francese (1872-1950)

19 Baruch Spinoza (Amsterdam 1632 – L’Aja 1677), Ethica more geometrico demonstrata. Nella Parte III – Sentire e Sapere – nel trattare dei sentimenti e della maniera di vivere degli umani Spinoza ha messo in chiaro che la mente non ha bisogno di ingaggiare alcuna lotta con il corpo: la mente non deve cercare di dominare il corpo ma di riprendere il controllo di se stessa. Anche se gli affetti nascono dal fatto che la mente afferma una determinata “potenza di agire” del corpo, non è dal corpo che la mente subisce le passioni.

20 Ariel Morabia, op. cit.

21 Discorso pronunciato al CIO riunito nella 64^ sessione, il 22 Aprile 1976, alla vigilia dei Giochi Olimpici di Montreal.

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Pio XII, nel 1947, parafrasando San Paolo, nel 1947, additava Gino Bartali come campione della corsa in rosa, ma esempio anche di un campionato ideale per conquistare “una più nobile palma”.22

Anche Benedetto XVI ha parlato espressamente della responsabilità e del ruolo di educatori che gli atleti di vertice rivestono. “In un momento in cui vi è una mancanza di personalità esemplari che i giovani possano rispettare, gli atleti campioni diventano indirettamente ‘educatori’, in quanto i giovani guardano a loro per orientarsi. Per questo, gli ideali sportivi devono permeare non solo lo sport, ma la vita stessa, perché essa sia autentica e credibile”.

4. Il corpo come espressione di umanità

L’essere umano agisce attraverso il suo corpo. Anche l’animale lo fa, ma l’uomo “sa esprimere una lettura simbolica del proprio corpo, sia perché lo elegge a metafora d’altro, sia perché giunge a parlare di corporeità correlata al corpo vivente spirituale, cioè al corpo come espressione e strumento dello spirito”.23

Questa definizione di corporeità che Mari trae dal pensiero della filosofa martire tedesca Edith Stein24 si rifà direttamente alla metafora che Paolo usa nella Lettera ai Romani:

4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. (Rom. 13, 4-5)

Il concetto era stato espresso in maniera più dettagliata nella Prima Lettera ai Corinzi nel “Paragone del corpo” (1Cor 12, 12-27) riprendendo il celebre apologo che Menenio Agrippa aveva utilizzato 450 anni prima per far rientrare la secessione plebea sul Monte Sacro (494 a.C.). L’intento di Paolo, ovviamente, non è politico né si riferisce alla società, come faceva Agrippa.

12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1Cor. 12, 12-13) e concludeva:

27Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. (1Cor. 12,27).

Se siamo consapevoli di questo, non possiamo concepire la mercificazione del corpo che vediamo addirittura esasperata nella società odierna dell’apparire e dell’immagine. Tanto meno nello sport possiamo ammettere l’uso aberrante di sostanze e pratiche che alterino il corpo per fini commerciali e di successo. “Trattare il corpo come oggetto corrisponde a trattare la persona come oggetto,

22 Discorso di Pio XII agli iscritti dell'Azione Cattolica in Piazza San Pietro (17 settembre 1947).

23 Giuseppe Mari, op. cit. che riprende un pensiero di Edith Stein tratto da La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma, 2000.

24 Monaca, Carmelitana scalza col nome di Teresa Benedetta della Croce, beatificata da Giovanni Paolo II a Colonia nel 1987.

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sfigurandola rispetto al suo essere anzitutto soggetto, cioè – come espresso nel concetto di persona di Tommaso d’Aquino25 e Kant26 – essere fine in sé e non mezzo”.

L’impostazione antropologica dualistica greca, che non solo separa corpo e anima, ma associa alla psyché l’identità della persona, trattando il corpo come un involucro estrinseco, o come “tomba” o “gabbia” dell’anima secondo la definizione di Platone (che pure teneva in conto la cura del corpo), trova superamento nella rivoluzione del cristianesimo.

Dal riconoscimento, contenuto nell’annuncio biblico, dell’esistenza fisica della creazione di Dio come “buona” (Gen. 1) discende – tenuto conto anche dell’incarnazione di Cristo e della sua Resurrezione – la rivalutazione del corpo come “tempio dello spirito”, come riportato da Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi:

16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor. 3, 16) e più avanti:

19O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartiene a voi stessi? (…) Glorificate dunque Dio nel vostro Corpo! (1Cor. 6, 19-20)

L’atleta che abbia compreso il significato vero di sport, quello che anche se professionista mantiene lo spirito del dilettante, non ricorrerà mai ad imbrogli. Non si divertirebbe più. L’atleta cristiano ha, in più quest’altra ragione a cui Paolo lo richiama. L’esperienza dello sport pone il praticante in una situazione favorevole a comprendere e attuare l’esortazione di Paolo.

La fede nel Dio della giustizia e della verità non gli consente di tradire se stesso e i compagni di competizione. La regola aurea di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, non solo si fa concreta, ma esalta il rispetto per l’altro.

Giustizia e amore della verità sono i due valori a cui fa appello il Fair Play, che amo definire – mi sia consentito il termine – l’epifania, la rivelazione, dell’etica che sta alla base dello sport. Il fair play nasce dall’osservanza delle regole, ma volte va oltre, in nome di un superiore rispetto per l’avversario e per se stessi. Dal 1963 il Comitato Internazionale per il Fair Play (CIFP) riconosce con solennità i gesti di fair play. Ne accadono in ogni disciplina sportiva, fra culture differenti. Sempre la motivazione è che una vittoria scaturita da un ingiusto vantaggio, non sarebbe una vera vittoria, non avrebbe il sapore di essere riusciti a prevalere con giustizia e per le proprie abilità.

Molto questi episodi passano sotto silenzio, ma sono il segno della nostra speranza di panathleti per un recupero di umanità allo sport.

Ad essi possiamo aggrapparci per condurre opera di educazione e moralità. Questa diventa più spontanea e preziosa se il riferimento è quello dell’apostolo Paolo.

5. Sport, educazione, moralità.

25 Vedi Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I, q 29, a. 4, resp.

26 Vedi Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Id. Fondazione della metafisica dei costumi. Critica della ragion pratica, Milano, Rusconi, 1982, pg. 126

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All’inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha messo spesso in guardia dal relativismo. Quella che Mitscherlich preconizzava nel 1963 come “una società senza padre”27 è attualità. Una delle cause è anche quella di aver lasciato che l’educazione si stemperasse su prospettive di tipo meramente cognitivo. Da cui il narcisismo, l’incapacità di affrontare la frustrazione, la ricerca della soddisfazione immediata e dell’egocentrismo. Nello sport la ricerca del successo subito e con ogni mezzo, il non saper perdere.

Come si sia arrivati a questo sarebbe lungo da analizzare. Siamo più interessati al “che fare?”.

L’uomo obbedisce ad una dinamica della crescita, sempre correlata a quella della trasformazione, abbiamo detto. A volte questa trasformazione può essere dolorosa, come risulta evidente nei riti iniziatici.

La trasformazione della persona ha per “vettore fondamentale l’alterità”, scrive il prof. Mari. Comporta il sacrificio di abbandonare il noto per il nuovo. A questo passaggio occorre essere stimolati. L’educazione ha questo compito, in questo consiste. Risulta evidente che questo progresso, questa dinamica, ha il carattere di un “confronto agonistico con se stessi, che spinge a cambiare, crescere, migliorarsi”. Da questo punto di vista, allora, lo sport “costituisce una felice opportunità sia perché, essendo correlata al corpo permette di coglierne la valenza simbolica, sia perché, impegnando in una progettualità esigente, domanda di praticare la disciplina, quindi di affrontare e contenere il proprio narcisismo”.

La metafora sportiva della Prima Lettera ai Corinzi, ha sottostante la convinzione che “lo sport è chiamato ad educare facendo leva sull’agonismo, praticato anzitutto verso se stessi”.

Lo sport aiuta a sviluppare il senso morale, per le ragioni fin qui esposte e per l’impulso che dà alla coltivazione delle virtù.

Heather Reid, filosofa dello sport, sottolinea come “A partire dalla svolta postmoderna della filosofia del XX secolo, c’è stato un ritorno alla tradizione antica dell’etica della virtù, vale a dire una forma di pensiero normativo che si concentra sulle persone piuttosto che sui principi (come nel kantismo) o sulle conseguenze (come nell’utilitarismo).”28 L’accento quindi è posto sulla virtù in sé piuttosto che sulle leggi e i regolamenti. Di qui il concetto che ho espresso per il Fair Play. Virtù come forza morale.

I richiami allo sport, hanno dunque questo significato in tutte le citazioni dell’apostolo Paolo. E a questa dimensione morale che diventa trascendenza si riferiscono i tanti interventi dei papi sull’argomento sport.

Fra i 120 discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II, tutti ispirati alla dottrina paolina, vi è un esplicito richiamo alla Temperanza a cui deve tendere lo sportivo. “Lo sport può e deve essere formatore, cioè contribuire allo sviluppo integrale della persona” disse rivolto al Consiglio della Federazione Internazionale dello Sci (FIS) in udienza il 6 Dicembre 1982. E proseguiva affermando

27 Alexander Mitscherlich, medico e psicoanalista tedesco, direttore dal 1967 dell’Istituto Freud di Francoforte, scrisse nel 1963 Verso una società senza padre, pubblicato in italiano da Feltrinelli, Milano 1970.

28 Vedi Emanuele Isidori, Heather L. Reid, Filosofia dello sport, Bruno Mondadori, 2011

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che il rafforzamento delle doti fisiche e della destrezza, danno allo sciatore “una forza d’animo che trascende le capacità muscolari. Il regime alimentare a cui l’atleta si sottopone lo porta vicino alla Temperanza che, se ben compresa, appare come una ascesi che fa perseverare nel dare sempre la priorità ai valori spirituali”.29

Paolo parla della Temperanza nella Lettera a Tito (Tt 2,12), e afferma che”ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo ….”

In quello citato come in altri discorsi, Papa Wojtyla parlava dello sport con queste parole: “Questa impresa umanistica può, nei cristiani, facilitare la crescita delle virtù cardinali di Forza, Temperanza, Prudenza e Giustizia”. La preziosa virtù cardinale della Prudenza è richiamata nell’azione di sprone “a vivere in uno stato di discernimento di ciò che è meglio per Dio e per i fratelli uomini”. La giustizia nelle gare sportive, infine, richiede uguaglianza e imparzialità.

Benedetto XVI, in occasioni come le udienze concesse agli sciatori della Nazionale Austriaca (6 ottobre 2007) e ai nuotatori partecipanti dei Campionati Mondiali di Nuoto (1° agosto 2009) ricordava, con diversi accenti, che lo sport può contribuire a promuovere la virtù e i valori fondamentali come "la perseveranza, la determinazione, lo spirito di sacrificio, la disciplina interna ed esterna, l'attenzione per gli altri, il lavoro di gruppo, la solidarietà, la giustizia, la cortesia, e il riconoscimento dei propri limiti. Queste stesse virtù entrano in gioco in modo significativo anche nella vita di tutti i giorni e hanno bisogno di essere continuamente esercitate e praticate." Lo affermava già Aristotele nell’Etica Nicomachea: “le virtù non si generano né per natura, né contro natura, ma è nella nostra natura accoglierle, e sono portate a perfezione in noi per mezzo dell’abitudine”.

Uno dei valori riconosciuti nello sport è la perseveranza, la voglia continua di migliorarsi, di non arrendersi di fronte alle traversie, siano esse sottoforma di infortuni o di peccati se ribaltiamo la metafora, per tendere alla perfezione. Anche sotto questo aspetto possiamo leggere la Lettera ai Filippesi citata:

12Non (..) che io abbia già conquistato il premio o sia arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo (Fil 3,12).

Al tramonto della sua vita, Paolo, convinto di aver compiuto la sua missione, scrive a Timoteo:

Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. (Tim. 4,7-8)

La ferma convinzione di Paolo suona come un’esortazione a correre, come lui ha fatto. Secondo le regole del Vangelo. Nel far questo si rafforza la speranza. Come lo sport agonistico che ha la speranza come elemento fondamentale. Anche qui un parallelismo con lo sport calza.

“Non fatevi rubare la speranza”, ripete con insistenza fin dai suoi primi discorsi Papa Francesco. Si riferisce alla speranza di cui parla Paolo. Questa invocazione vale anche per l’atleta. Non cada nel disincanto. Troppo spesso lo sport di oggi, quello professionistico in particolare è avvilito da

29 Vedi G. Battista Gandolfo e Luisa Vassallo (a cura di), Lo sport nei documenti pontifici, Editrice La Scuola, Brescia 1994.

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scandali. Partite truccate, giudici e giocatori corrotti, scommesse, doping sono i mali che stanno minando lo sport, sempre più spettacolo e sempre più affare.

In occasione del Giubileo degli Sportivi, del 2000, Giovanni Paolo II svolse un intervento di grandissimo valore, in cui disse fra l’altro: “Desidero vivamente esortare, con rinnovata speranza, a promuovere uno sport che tuteli i deboli e non escluda nessuno, che liberi i giovani dalle insidie dell’apatia e dell’indifferenza, e susciti in loro un sano agonismo; uno sport che sia fattore di emancipazione dei Paesi più poveri e aiuti a cancellare l’intolleranza e a costruire un mondo più fraterno e solidale; uno sport che contribuisca a far amare la vita, educhi al sacrificio, al rispetto e alla responsabilità, portando alla piena valorizzazione di ogni persona umana”.30

6. San Paolo patrono degli sportivi: una scelta ideale

Da quanto detto finora, e da quanto potremmo sviluppare da queste considerazioni, la proposta accennata in premessa, credo si possa definire senz’altro appropriata e degna di essere sostenuta.

Indicare San Paolo come patrono degli sportivi ha una duplice valenza. Quella di affidarsi a lui per proteggere ogni sportivo, perché lo illumini e lo sostenga nel percorso di crescita che Egli ha indicato nel suo apostolato. In secondo luogo quella implorare la sua intercessione perché gli operatori di sport salvaguardino questa attività umana e coltivino i valori al di sopra di ogni altro interesse.

Non c’è nulla di scaramantico o totemico in questo, né alcun richiamo ad una concezione “numinosa” per propiziarsi benevolenza, come abbiamo accennato avvenisse nella concezione dello sport nell’antica Grecia.31

Proporre San Paolo come Patrono degli sportivi ha il significato di riconoscersi nei valori cristiani che devono ispirare tutte le attività umane, compreso lo sport. Nel caso specifico possiamo parafrasare i versi di Giovenale Orandum est ut sit mens sana in corpore sano 32 ripresi, nelle ultime 5 parole, in diversi significati che a seconda dell’occasione si sogliono dare. Significa anche indicare il Santo come modello di una autodisciplina tanto più necessaria ai giorni nostri perché lo

30 Giovanni Paolo II, Giubileo degli Sportivi, 29 ottobre 2000.

31 Non è neanche un fatto simbolico tipo quello rimasto nella storia dei Gioche del 1908 della corsa dei 110 m. a ostacoli che lo statunitense Forrest Smithson, puritano osservante, vinse realizzando anche il record del mondo, tenendo nella mano destra la Bibbia, per autoassolversi dalla deroga al precetto domenicale del riposo e della giornata dedicata esclusivamente al Signore.

32 Vedi Decimo Giunio Giovenale, Satire X, verso 356, nella parte conclusiva del Quarto Libro: “Allora, se qualcosa

vuoi chiedere ai numi, / offrendo nei sacrari viscere / e carni sacre di un candido porco, / devi pregarli che ti diano / 356 mente sana in un corpo sano . /Chiedi un animo forte, / che non tema la morte, / che ponga la lunghezza della vita / come l'ultimo dono di natura, / che sappia tollerare qualunque fatica, / che ignori collera, non abbia desideri, / e preferisca le dure fatiche di Ercole, / i suoi travagli, agli amori lascivi, / alle cene e alle piume di Sardanapalo. / Ti ho indicato quei beni / che tu stesso puoi procurarti; /un sentiero soltanto si apre / a una vita tranquilla: / quello della virtù. / Se vige la saggezza, / non avrai altro nume. / Noi, solo noi, Fortuna, / t'abbiamo resa dea, / e collocata in cielo.

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sport possa ritrovare la sua etica fondamentale. Il fair play, il rispetto del compagno, dell’avversario e di se stessi sono dimensioni a cui è necessario dedicarsi per educare le nuove generazioni.

Chiedere la grazia che ci sia concessa una mente sana in un corpo sano obbedisce ad una aspirazione di armonia, di benessere fisico e spirituale. Alla mente fanno capo lo studio, la volontà, la professione. Il corpo è quello che ci consente di agire, come si è detto. Esso va curato, con giudizio, applicando cioè la virtù della Prudenza. Nessuno spazio, dunque alla mercificazione del corpo. La sua cura, invece, aiuterà a coltivare lo spirito, che per il cattolico significa curare la fede in Gesù Cristo. Gli insegnamenti e le esortazioni che San Paolo ci ha lasciato a corredo di quelli dei Vangeli sono pilastri nella costruzione ed elevazione della fede perché frutto della ricerca e dell’impegno personale e della comunità ecclesiale. Sono un invito alla conversione e all’imitazione.

Per questi motivi credo nella validità della proposta e ritengo abbia gambe forti per correre.

Maurizio Monego