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Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” La scuola di economia di Torino, 1893 – 1940. Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri 1 GIANDOMENICA BECCHIO (Università di Torino) Salvatore Cognetti de Martiis e il Laboratorio di economia politica (1893 – 1901) Aprile 2004

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Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” La scuola di economia di Torino, 1893 – 1940.

Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri

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GIANDOMENICA BECCHIO (Università di Torino)

Salvatore Cognetti de Martiis e il Laboratorio di economia politica

(1893 – 1901)

Aprile 2004

Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” La scuola di economia di Torino, 1893 – 1940.

Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri

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Nel maggio del 1945, a pochi giorni dalla liberazione, Luigi Einaudi riceve a Roma una

lettera di Pasquale Jannaccone, suo amico e collega da oltre quarant’anni. Questi si

trova a San Remo in una situazione di estremo disagio. Egli è vittima delle note

epurazioni post belliche: accusato si illecito arricchimento durante gli anni del regime,

la divisione finanziaria interalleata gli blocca tutti i beni mobili ed immobili. Per uscire

da questa incresciosa situazione, Jannaccone si rivolge ad Einaudi inviandogli un

memoriale da consegnare alla commissione centrale di Roma, nel quale descrive la sua

vita pubblica evidenziando la sua estraneità ideologica con il regime fascista.

Particolarmente interessante è un passo nel quale egli fa riferimento alla “scuola di

Torino” definendola in questi termini:

“i conoscitori della recente letteratura economica italiana sanno che col nome di

scuola di Torino veniva designato l’atteggiamento critico verso la politica economica

fascista di alcuni economisti liberali dell’università di Torino, quali il prof. Einaudi,

attuale governatore della Banca d’Italia, e il prof. Jannaccone”1.

Sembra dunque che durante il nefasto ventennio l’espressione “scuola di Torino” stia

ad indicare l’esistenza e l’operatività di un insieme di economisti dell’università

piemontese che, oltre ad un particolare indirizzo teorico, assumono una precisa

posizione nei confronti della politica economica del governo. Tra questi “economisti

liberali”, maestri di questa scuola, si possono annoverare, oltre ai già citati Einaudi e

Jannaccone, anche Attilio Cabiati e Giuseppe Prato. Questi hanno un’influenza

considerevole, non solo come economisti nella storia del pensiero economico italiano,

ma anche come insegnanti (e forse più in generale come maestri di vita) sui loro

giovani studenti, fra i quali - ricordiamo - Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Piero Sraffa,

Raffaele Mattioli, Renzo Fubini.

A loro volta, quegli stessi maestri, insieme ad altri del calibro di Luigi Albertini,

Eugenio Masè-Dari e Gioele Solari, cominciano a studiare economia e scienza delle

finanze e si formano in una “scuola” che frequentano in qualità di compagni, sotto la

guida di Salvatore Cognetti de Martiis, docente di economia politica nell’ateneo

torinese dal 1878 e fondatore del Laboratorio di economia politica nel 1893.

Ricostruire il complesso ambiente della cultura economica torinese nel periodo

compreso fra la fondazione del Laboratorio e il 1901 (anno di morte del prof. Cognetti),

1 Lettera di Pasquale Jannaccone a Luigi Einaudi, San Remo, 26 maggio 1845, Fondazione Luigi Einaudi, Fondo Luigi Einaudi, Torino.

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consente di mettere in luce le caratteristiche e le peculiarità di quella che si può definire

l’origine della scuola torinese di economia (finora largamente ignorata nel suo

insieme), che si snoda fino alla seconda guerra mondiale e che dà origine ad alcuni dei

più alti contributi scientifici all’interno della disciplina in Italia2.

Salvatore Cognetti de Martiis: da studente “pisano” a professore “torinese”

Salvatore Cognetti de Martiis nasce a Bari il 19 gennaio 1844 da una famiglia di agiati

commercianti3. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza nella città natale dove, ragazzo,

abbraccia gli ideali risorgimentali, in contrasto con la volontà paterna, più incline al

borbonico quieto vivere. Nel 1861, compiuti gli studi superiori, Cognetti si iscrive alla

facoltà giuridica dell’università di Pisa, frequentando il corso di laurea in scienze

politiche-ammistrative. Tra i suoi insegnanti troviamo Pasquale Villari, docente di

storia e filosofia, e Francesco Protonotari, cattedratico di economia sociale e fondatore

nel 1866 della nota rivista «Nuova Antologia». A Pisa Cognetti conosce Alessandro

Fortis e Sidney Sonnino, futuri ministri del Regno, con i quali stringe un’amicizia

duratura.

Durante gli studi collabora alla rivista letteraria fiorentina «La Gioventù», dove

pubblica i suoi primi contributi: dapprima recensioni dedicate alle scienze sociali (fra

cui l’economia) e alla filosofia, discipline che devono entrare nella formazione di chi

sarà chiamato a governare il paese; poi un vero e proprio saggio, Delle attinenze tra

l’economia sociale e la storia4 nel quale, abbracciando una visione positivistica e

storicista, afferma che economia e storia sono scienze al servizio del progresso

dell’umanità e che come tali, studiano e interpretano i fatti umani: l’economia si serve

2 Questa scuola, pur mantenendo un carattere unitario, attraversò tre fasi ben individuabili: dal 1893 al 1901, anni della leadership di Cognetti de Martiis; dal 1901 al 1914, periodo in cui la scuola si consolida attraverso la nuova generazione di economisti costituita dagli assistenti e allievi di Cognetti (i già citati Cabiati, Jannaccone, Einaudi, Masè Dari, Albertini, Prato, ai quali si aggiungono Riccardo Bachi, Gino Borgatta, Gustavo del Vecchio, Giulio Fenoglio, Attilio Garino-Canina, Alberto Geisser, Vincenzo Porri, Francesco Antonio Repaci); infine gli anni venti e trenta, ovvero l’epoca della maturità teorica dei maestri, affiancati dai nuovi allievi. 3 Per la biografia di Cognetti si veda R. FAUCCI Salvatore Cognetti de Martiis, «Dizionario Biografico Italiano», 26, 1982, pp. 642-647; R. FAUCCI, Economia, storia, positivismo. Cognetti de Martiis e le origini del laboratorio di Economia politica di Torino, in «Società e storia», 69, 1995, pp. 599-618; C. POGLIANO, Cognetti de Martiis. Le origini del Laboratorio di economia politica, in «Studi Storici», XVII (1976), 3, pp. 139-168. Mi permetto di rimandare anche al mio recente scritto G. BECCHIO La nascita della scuola economica di Torino. Dall’epistolario si Salvatore Cognetti de Martiis (1884 –1901), in «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», VII, 2002, 6, pp. 125 – 194, in cui sono raccolte oltre settanta lettere inedite di Cognetti ai maggiori economisti del suo tempo a ad alcuni suoi studenti del laboratorio. 4 S. COGNETTI DE MARTIIS Delle attinenze tra l’economia sociale e la storia, Firenze, 1865, dedicato a Silvestro Centofanti, allora rettore dell’università di Pisa.

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della storia come fosse questa un laboratorio sperimentale dal quale cercare di trarre

leggi valide. Come vedremo, questo approccio sperimentalista accompagnerà sempre la

«visione» cognettiana delle scienze e in particolare dell’economia.

Nel 1866, in seguito alle sconfitte di Lissa e Custoza, Cognetti si arruola come

volontario del I reggimento, VII compagnia al fianco di Garibaldi. Nello stesso anno si

laurea e torna a Bari, dove, come consigliere comunale, si occupa della sistemazione

delle scuole elementari municipali, in un ambiente caratterizzato dall’80 per cento di

popolazione analfabeta e ancora ostile alla necessità dell’istruzione di massa. In quel

periodo studia i rapporti fra economia pubblica e istruzione popolare, nella convinzione

che l’una avesse il compito fondamentale di porsi al servizio dell’altra, soprattutto in un

contesto politicamente nuovo come quello dell’Italia unificata, dove emerge

urgentemente la necessità di formare una coscienza nazionale anche fra gli strati più

umili della popolazione. Nel 1868 diventa professore di economia politica all’Istituto

professionale e industriale di Bari e per l’occasione torna a scrivere sulla natura

dell’economia sociale, che naturalmente guida una società di uomini laboriosi verso la

prosperità della nazione, abbracciando così una visione smithiana dell’economia e del

capitalismo considerati strumenti del progresso non solo economico, ma anche morale

per l’intera società e agli obiettori risponde additando il modello inglese.

Nel 1868 Cognetti lascia Bari per Mantova, dove comincia un’intensa attività di

docente e di giornalista: ricopre la cattedra di economia politica presso l’istituto

industriale e professionale e diviene direttore della «Gazzetta di Mantova» (1870-74 e

poi 1876-78), nonché collaboratore della «Perseveranza» (1876-77). Nei dieci anni

trascorsi nella città lombarda, Cognetti assiste da un lato alla crescente crisi economica

internazionale che si ripercuote in un rallentamento della crescita interna e dall’altro

lato alla disputa fra economisti classici, fautori dell’assoluta autonomia dell’economia

(i cosiddetti «manchesteriani»), e gli «economisti della cattedra», propugnatori di un

intervento statale in ambito economico e teorici di una visione evoluzionistica

dell’economia. Quegli avvenimenti, così come la possibilità di un nuovo approccio alla

natura e allo scopo della scienza economica, cominciano a far scricchiolare in Cognetti

la convinzione della naturalezza del progresso umano e a fargli sentire l’esigenza di

una visione dei fenomeni sociali metodologicamente più cauta. Fin dall’ora si delinea la

peculiarità di Cognetti nel porsi a una certa distanza dalle dispute che coinvolgono

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cosiddette «scuole di pensiero», non aderendo a nessuna “fazione”, ma cercando una

posizione autonoma giustificata dalla fiducia nello studio e nell’interpretazione dei fatti.

Nel 1878 vince il concorso per la cattedra di economia politica presso le università di

Siena e Torino. Cognetti sceglie la vecchia capitale, occupando quella cattedra che fu

prima di Francesco Ferrara, il più strenue difensore del liberismo in Italia e poi di

Gerolamo Boccardo, direttore della terza serie della «Biblioteca dell’Economista»,

nelle cui pagine introduce in Italia il primo libro del Capitale di Marx5. A Torino

trascorre il resto della sua vita scrivendo le sue opere maggiori, tutte imbevute di spirito

positivistico. Egli comincia le proprie indagini da fatti, da trascorsi storici o da dati

statistici, ne ricerca caratteristiche e peculiarità e propone la propria chiave di lettura,

mantenendosi saldamente al suo approccio evoluzionista: dalle forme primitive

dell’economia allo sviluppo dei movimenti socialisti; dallo studio sulla politica

commerciale a quello sulla mano d’opera nel sistema economico6. Il suo metodo

concilia induzione e deduzione nell’intento di rendere scientifico il sapere economico,

ponendolo accanto, se pur distinto, a quello proprio delle scienze fisiche, ritenute

ancora ingenuamente assolute. Con questo spirito Cognetti decide di istituire il

Laboratorio di economia politica nel 1893, presso la facoltà giuridica dell’Università di

Torino. Esso si costituisce come sezione dell’Istituto di esercitazioni nelle scienze

giuridico-politiche, già esistente dal 1881.

Nello stesso periodo della fondazione e dell’impegno per lo sviluppo del Laboratorio,

Cognetti accetta la direzione della quarta serie della «Biblioteca dell’Economista»,

succedendo nel 1894 a Gerolamo Boccardo, che vi aveva introdotto economisti

eterodossi, dando ampio spazio all’evoluzionismo sociale. Cognetti continua sulla linea

del predecessore mostrandosi aperto nei confronti delle varie dottrine economiche

allora in circolazione in Europa e in America. Le lunghe introduzioni ai volumi della

biblioteca cognettiana, vere e proprie monografie, sono l’occasione per Cognetti di

riproporre il suo approccio positivista e il proprio metodo d’indagine empirica7. Proprio

5 Gerolamo Boccardo è direttore della terza serie della «Biblioteca dell’Economista» dal 1874, succedendo a Francesco Ferrara, direttore della prima (1850-60) e della seconda serie (1860-74). 6 La bibliografia degli scritti di Cognetti compare in G. MOSCA Monografie e scritti del Laboratorio di economia politica, 1901. 7 S. COGNETTI DE MARTIIS, Discorso Preliminare, in «Biblioteca dell’Economista», IV serie, volume I, 1896, pp. V-CCXLI; I due sistemi della politica commerciale, Torino, Unione Tipografico Editrice, 1896, pp. CXXXIX-CCXLI («Biblioteca dell’Economista», serie IV, vol. I; La mano d’opera nel sistema economico (incompiuto), Torino, Unione Tipografico Editrice, 1901 («Biblioteca dell’Economista», IV serie, vol. V, parte II).

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nei volumi della «Biblioteca dell’Economista» cognettiana appare, dopo lunghe

vicissitudini, nel 1905, la prima traduzione dei Principles of Political Economy di

Alfred Marshall, l’economista cantabrigense che cerca di conciliare la nuova dottrina

marginalista al classicismo smithiano8. Come vedremo, da un punto di vista

strettamente analitico, si può affermare che almeno la “prima generazione” della scuola

economica di Torino assuma come referente teorico il neoclassicismo marshalliano.

Nel giugno del 1901 Cognetti scompare prematuramente. La direzione della

«Biblioteca dell’Economista» viene continuata da Pasquale Jannaccone9, quella del

Laboratorio passa a Gaetano Mosca, suo successore alla cattedra di economia politica.

Cognetti docente

Nell’archivio degli eredi di Cognetti è conservata copia manoscritta del suo corso

riservato agli studenti di giurisprudenza. Esso rappresenta la trasposizione didattica di

quello spirito positivistico di cui abbiamo accennato che permeava gli intellettuali “fine

secolo”. L’economia è considerata come una disciplina politica, nel senso etimologico

del termine. Essa cioè non può prescindere dalla propria valenza pubblica: il suo studio

consente, da un lato, la migliore comprensione della società in trasformazione e,

dall’altro, la possibilità di formare una classe dirigente in grado di prendere decisioni di

politica economica tali da favorire lo sviluppo della nazione e l’accrescimento materiale

delle classi lavoratrici. Il tutto iscritto in un’ottica ottimistica di sviluppo sociale che un

capitalismo liberale corretto può offrire. Cognetti presenta l’economia ai suoi studenti

con una precisa connotazione scientifica, indicandone le linee metodologiche per il suo

studio. L’economia è marshallianamente intesa come scienza del divenire sociale nel

suo sviluppo materiale. O, se vogliamo, è smithianamente scienza dei principi che

regolano la ricchezza delle nazioni. L’economia è scienza umana, e tale deve rimanere:

ciò significa che non può essere “denaturalizzata” con linguaggi artificialmente

applicati e lontani dal suo originario status. L’economia è scienza dell’uomo, pertanto

occorre analizzare i fatti per capirne le linee di condotta e classificare gli eventi al fine

di elaborare un modello rigoroso di previsione.

8 A. MARSHALL, Principi di economia politica, prima versione italiana autorizzata dall’autore sulla quarta edizione inglese, a cura di Antonio Albertini, in «Biblioteca dell’Economista», IV serie, vol. IX, parte III, 1905. 9 Pasquale Jannaccone continua la Quarta serie curando i volumi VI, VII, VIII (che escono in unica rilegatura, dedicati al valore della moneta e il volume X, apparsi rispettivamente nel 1905 e nel 1904. Jannaccone dirige poi la Quinta serie della «Biblioteca dell’economista», il cui primo volume uscirà nel 1913.

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Da un punto di vista teorico, l’economia insegnata da Cognetti è riconducibile alla

tradizione inglese che da Smith, attraverso Stuart Mill, arriva a Marshall: essa è

analizzabile attraverso la “metafora biologica” che ha per oggetto l’uomo, inteso come

animale volto al “procacciamento diretto e indiretto mediante lo scambio”. La

complessità della natura e dell’agire umano si specificano nello sviluppo industriale e

commerciale, oggetti dell’analisi economica, che pone l’accento sull’importanza dei

fattori produttivi del capitale e del lavoro.

Da un punto di vista metodologico la statistica è, in quel momento, il solo strumento

per una precisa classificazione degli eventi economici e proprio gli allievi del

laboratorio dimostrano nei loro studi di applicare alla lettera le raccomandazioni del

maestro. Il linguaggio matematico è assente e ciò appare in contrasto con i modelli

dell’emergente (e già trionfante) marginalismo.

I sunti delle lezioni non offrono tanto elementi di originalità analitica, quanto

consentono al lettore di oggi di comprendere e capire la forma mentis dell’intellettuale

liberale italiano che, propenso a trasformarsi in scienziato sociale, studia economia

come ingegneria.

Allo storico del pensiero economico odierno questi sunti consentono anzitutto di

ricostruire gli strumenti didattici usati da quella che abbiamo definito la prima

generazione degli economisti della scuola di Torino, che, come vedremo, si mantiene

fedele all’insegnamento del maestro, se consideriamo l’idea di fondo dell’economia

come scienza non fine a se stessa, ma al servizio della cosa pubblica.

Per lo storico delle idee le lezioni cognettiane sono un altro tassello di quel complesso

mosaico di comuni interessi che legava il mondo anglosassone ad una rilevante parte

della intellighenzia italiana.

Questo rapporto di vicinanza fra Italia e Inghilterra è stato oggetto di numerosi studi e

si ripropone qui nell’ambito dell’insegnamento dell’economia a Torino10. La

preoccupazione di Cognetti nel momento in cui descrive lo sviluppo capitalistico è la

stessa che coinvolge personaggi quali Webb e Marshall: come conciliare quella

necessaria evoluzione verso forme sempre più mature di capitalismo con la giusta

richiesta di migliori condizioni sociali per la classe lavoratrice? A dimostrazione di ciò,

10 Citiamo i più recenti , AA. VV. Una rivista all’avanguardia la «Riforma Sociale» 1894-1935, a cura di C. MALANDRINO, Firenze, Olschki, 2000 e C. PALAZZOLO La «Riforma Sociale» e il modello inglese, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XXXVI, 2002, pp. 81-97, dove sono presenti i riferimenti bibliografici precedenti.

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si pensi al grande spazio dedicato, nelle Lezioni, alla legislazione protezionistica volta

al miglioramento delle condizioni igieniche di tutti i lavoratori, oltre che delle donne e

dei fanciulli. Come per gli inglesi, essa è l’unica ingerenza dello Stato ammessa in

ambito economico.

Anche la dottrina economica di Marx è oggetto di un lungo capitolo delle lezioni:

vedremo come Cognetti la critica accusando Marx del solito paralogismo più tardi

ripreso da Croce nei termini di paragone ellittico.

Il marginalismo à la Walras non interessa Cognetti. Abbiamo detto che non è presente

alcun linguaggio matematico, ma la distanza tra Torino e Losanna è ancora più

accentuata dalla questione di fondo, secondo cui la dottrina marginalista non è la strada

da percorrere se si vuole capire quelle che potremmo oggi definire le variabili macro.

La rivoluzione soggettivista è “fuorviante” (una scienza umana se vuole essere tale

deve configurarsi come scienza dell’umanità, poiché solo l’insieme degli uomini può

assoggettarsi a studi generali; Tizio e Caio nella loro specificità non sono in grado di

fornire risposte a chi ricerca leggi che si avvicinino per approssimazioni successive alla

generalità, che consapevolmente non potrà essere raggiunta in via definitiva).

La dottrina del valore come utilità è considerata acquisita da tempo e non così

rivoluzionaria; essa indica semplicemente le regole del valore di scambio nella

circolazione dei beni e non interferisce sulla produzione dei beni, in cui Cognetti

mantiene in piedi la definizione classica del concetto di costo. Non Menger, né tanto

meno Walras e Pareto sono mai citati nei sunti; non un accenno ad una possibile

formalizzazione dell’oggetto economico, neppure sotto forma di critica (in questo senso

il pensiero di Cognetti sembra addirittura arcaico). Ma, se è indubbia l’estraneità con il

marginalismo di Losanna, diverso, come vedremo è il rapporto con quello mengeriano

Nonostante queste peculiarità, alcune delle quali vere e propri limiti, il contenuto di

queste lezioni, se studiato nella loro interezza, permette di cogliere lo spirito di un

“maestro” che tenacemente si rivolge a studenti che si preparano a divenire uomini

pratici al servizio di una nazione che deve affrontare problemi economici ai quali sono

inevitabilmente connesse complicazioni sociali. Non a caso tra gli economisti della

scuola di Torino, allievi di Cognetti, troviamo il futuro direttore del «Corriere della

Sera» (Luigi Albertini), il futuro giornalista e poi governatore della Banca d’Italia

(Luigi Einaudi).

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Fedele allo spirito positivista del tempo, Cognetti introduce il suo corso di economia

con la metafora biologica e i suoi studenti devono ascoltare diverse lezioni

sull’evoluzione della vita animale prima di sentir parlare di una qualche categoria

economica. Egli tratta la funzione del procacciamento nel regno vegetale e nel regno

animale attraverso l’osservazione delle tecniche di approvvigionamento di specie quali

la “dionea muscipula” (una pianta dalle larghe foglie in grado di nutrirsi di insetti), il

“pesce arciere”, il ragno “epeira”, fino alle più classiche api e formiche. Queste

tecniche sono oggetto di una disciplina che Cognetti definisce “biologia economica”, da

cui deriva direttamente sine hiatu l’antropologia economica, ossia “l’economia nella

vita dell’uomo, il quale figura tra gli animali sociali” (secondo il noto schema

aristotelico), il cui “mezzo e scopo” è rappresentato dallo scambio. Le condizioni di

fatto che favoriscono lo sviluppo materiale dell’uomo sono “smithianamente” la

divisione geografica ed etnografica del lavoro, secondo la regola della domanda e

dell’offerta, che presuppone al contempo un’identità di condizione e un’opposizione di

bisogni fra i produttori. Queste sono condizioni necessarie, ma non sufficienti, affinché

lo scambio avvenga, in quanto le merci devono esprimersi in un rapporto di

uguaglianza nel quale i concetti di quantità e qualità sono da escludersi. È necessario

fare riferimento ad una terza categoria quale il lavoro materiale e intellettuale contenuto

che determina il costo di una qualunque merce prodotta. Questo costo comprende tanto

le spese di produzione quanto quelle di trasporto. Il valore della merce è però

determinato non solo dal suo costo di produzione, ma anche dalla sua utilità, secondo la

visione neoclassica marshalliana esposta nei Principles dell’economista cantabrigense.

Queste lezioni sembrano ripercorrere fedelmente il percorso di Cognetti come direttore

della Biblioteca dell’Economista. I temi dei volumi di quest’ultima (politica e tecnica

commerciale; economia dei trasporti; economia del lavoro e del capitale; teoria della

moneta) sono l’oggetto delle sue lezioni e rappresentano quello che

schumpeterianamente potremmo definire la “cassetta degli strumenti” cognettiana,

espressa tuttavia con un linguaggio ancora arcaico anche per allora, che testimonia

l’ancoraggio di Cognetti al typus erudito, sebbene aperto verso nuove prospettive (non

dimentichiamo che egli è anche un latinista di prim’ordine11). Si prenda per esempio

11 Cognetti era un traduttore e glossista delle opere plautine: ricordiamo fra i suoi vari libelli S. COGNETTI DE MARTIIS, Uno schema socialistico nell’«Aulularia» di Plauto, in «Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino», tomo XXX, 1895, pp. 420-433.

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l’analisi degli elementi della produzione, lavoro e capitale: essi sono descritti attraverso

l’evoluzione storica delle forme in cui si sono cristallizzate.

La parte veramente degna di rilievo delle lezioni in questo passaggio è l’attenzione che

Cognetti dedica all’organizzazione del lavoro nella grande industria capitalistica

moderna, alla legislazione protezionistica, alla questione dell’assicurazione degli operai

contro gli infortuni durante l’orario di lavoro, alle società operaie. Di nuovo egli indica

ai suoi studenti temi mediati dal mondo inglese, temi ai quali la «Riforma Sociale»

nittiana dedica volumi interi, temi sviluppati e analizzati nei primi lavori degli studenti

del laboratorio12. Anche nel discutere questo argomento Cognetti non si risparmia una

precisa ricostruzione storica della legislazione inglese a riguardo, comparandola con

quella francese, tedesca, italiana e americana; e in particolare utilizza fonti e dati

sull’orario di lavoro e sulle condizioni dei luoghi di produzione.

Il giudizio del maestro torinese è benevolo: le associazioni operaie servono al progresso

della società in quanto migliorano le condizioni di vita della classe lavoratrice e, anche

da un punto di vista esclusivamente economico, migliori condizioni garantiscono

maggiore efficienza produttiva, definita come efficacia del lavoro, ossia “la quantità di

lavoro che una popolazione produttrice è in grado di eseguire e l’effetto utile che da

questo lavoro deriva”. Questa duplice funzione delle associazioni giustifica l’ingerenza

dello Stato attraverso una legislazione ad hoc e conferisce ragione d’essere agli

scioperi.

Scrive Cognetti: “non sempre la differenza della efficacia del lavoro si spiega con

l’influenza del clima o dell’alimentazione … anche l’ambiente in cui si lavora o in cui

si vive agevola l’esercizio della fatica”; a ciò deve aggiungersi un’adeguata educazione

tecnica degli operai, che deve essere promossa da un’attenta politica del lavoro. Scrive

ancora a proposito del diritto di sciopero promosso nel 1867 dalla lega americana detta

“delle otto ore”: “secondo alcuni l’ideale della giornata di lavoro sarebbe di otto ore,

dividendosi essa in tre parti uguali, l’una da dedicarsi al lavoro, la seconda al sonno, la

terza agli altri bisogni della vita. Un gran numero di scioperi operai nei paesi civili si fa

12 La «Riforma Sociale» viene fondata da F. Nitti e L. Roux nel 1894. Essa diviene subito il naturale canale di sbocco per il lavori degli allievi del Laboratorio cognettiano. Sulla genesi e lo sviluppo della rivista, nonché sui suoi contenuti e indirizzi si vedano: D. GIVA, Liberismo e positivismo nel gruppo della Riforma Sociale, in Il positivismo e la cultura italiana, a cura di E. R. PAPA, Milano, Angeli, 1985, pp. 323-334; ID., Economisti e istituzioni. La Riforma Sociale. 1889-1914, in La cassetta degli strumenti, a cura di V. CASTRONOVO, Milano, Angeli, 1986, pp. 7-40; A. D’ORSI La cultura torinese e la «Riforma Sociale». Una storia di incroci, in «Contemporanea», IV, (2001), 4, pp. 63-92; AA. VV. Una rivista all’avanguardia la «Riforma Sociale» 1894-1935, cit.

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per questa tendenza dell’operaio a diminuire la propria fatica, e questa tendenza non

può dirsi che sia un male, perché mira all’applicazione della legge del minimo mezzo,

cioè ottenere con un minimo di lavoro un massimo di effetto utile”.

Nella trattazione del capitale appare un elemento di modernità del discorso cognettiano

che considera il capitale come “mezzo inteso in senso economico” distinto dal

risparmio e dal consumo e in particolare “costituito dall’insieme di quei beni che

funzionano come strumenti che sussidiano e ravvalorano l’energia del lavoro umano e

della natura” e ha la funzione di integrare a vantaggio dell’uomo le energie della natura.

Nell’evoluzione del sistema economico occidentale la sua importanza è andata

crescendo tanto da assumerne la direzione creando quello che viene comunemente detto

“capitalismo”. Dal momento che in quel particolare momento storico l’economia è il

teatro di lotta tra capitalismo e socialismo, obiettivo del professore “torinese” è

mostrare la natura e la funzione del capitale, considerato dai liberali come “una

provvidenza sociale” e dai socialisti come “un vampiro che succhia il sangue della

classe più numerosa”. La sua posizione è chiarita immediatamente: né il liberismo, né il

socialismo sono corrette interpretazioni della natura del capitale, spesso confuso con

l’accumulazione di denaro o peggio mal identificato con la classe dei capitalisti

È a questo punto che Cognetti introduce la sua lunga esposizione critica alla teoria

marxiana, “un sofisma meravigliosamente concepito e più meravigliosamente esposto,

che ha fuorviato anche intelligenze eclettissime”13. Secondo Marx, il capitale è una

categoria storica che si forma non nella produzione, ma nello scambio di una merce di

maggior valore contro un’altra di valore minore, che implica non un semplice

spostamento, ma un aumento effettivo di ricchezza. Quando questo aumento effettivo di

ricchezza si concretizza nell’acquisto di forza lavoro si origina la plusvalenza. Questo

processo storicamente ha inizio quando, a partire dal XVII secolo, le grandi compagnie

commerciali accumulano un ingente fondo pecuniario utilizzato dagli industriali per

comprare appunto la forza lavoro. Il salario non è altro che il denaro con cui si acquista

quella forza lavoro che origina plusvalenza poiché la forza produttiva del lavoro non

crea solo un valore corrispondente alla ricostituzione della forza stessa, ma ne crea uno

maggiore di cui beneficia non il lavoratore ma il capitalista. Per “valore” naturalmente

13 Si veda a proposito G. BECCHIO E R. MARCHIONATTI La ricezione del terzo libro del Capitale nelle pagine della Riforma Sociale, in AA. VV. Una rivista all’avanguardia la «Riforma Sociale» 1894-1935; ID Marx in Italia, 1883-1900, in P. BARUCCI (a cura di) Le frontiere dell’economia politica. Gli economisti stranieri in Italia: dai mercantilisti a Keynes, Firenze, Polistampa, 2003.

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Marx intende il lavoro “agglutinato”, contenuto, “cristallizzato” nella merce e qui si

annida il suo primo errore: egli ritiene il lavoro come l’unico elemento nella formazione

del valore e così facendo non considera scientificamente il lavoro. Esso altro non è se

non una merce che soggiace (più elasticamente di alte) alla legge della domanda e

dell’offerta e non un’ipostatizzazione della natura umana.

Anche l’idea marxiana dello sfruttamento attraverso il prolungamento dell’orario di

lavoro e l’automatizzazione del processo lavorativo è smentita dai fatti, in quanto,

contemporaneamente alla sostituzione del regime automatico al manuale, si verifica la

tendenza alla riduzione della giornata di lavoro e all’aumento dei salari. Cognetti

conclude su questo punto con la seguente asserzione: “l’equivoco massimo del Marx è

stato quello di aver confuso due concetti che devono essere ben distinti: quello della

moneta e del capitale. Egli prese il simbolo per la cosa simboleggiata, perché l’ufficio

che la moneta adempie le deriva appunto dal fatto che essa ha in grado eminente

l’attitudine di rappresentare tutte le altre merci”. Questa confusione marxiana si

ripropone in coloro che additano come unica fonte del capitale il risparmio, in quale è

pur vero che entra nella formazione del capitale, ma non ne è la causa: infatti non la

natura di una determinata quantità di beni destinati alla produzione, ma l’uso di questi

stessi beni conferisce loro la funzione di capitale.

Se le condizioni sociali dell’umanità, inteso nella fattispecie di organismo economico,

danno origine allo scambio, occorre uno strumento per valutare il cosiddetto rapporto di

scambio, ossia una merce in grado di esprimere e calcolare il valore di qualsiasi merce.

A questo punto, dopo un lungo excursus sulle modalità di valutazione del patrimonio

personale nelle diverse civiltà che hanno preceduto quella moderna e occidentale,

Cognetti introduce la moneta “la quale possiede in grado eminente le attitudini e i

caratteri economici di tutte le merci: essa è infatti di facile trasmissione, si trova in

opposizione coi bisogni di chi la possiede ed, infine, è in corrispondenza di valore con

tutti i beni”. Temi mengeriani, oltre che marshalliani, si ritrovano nelle lezioni del

Cognetti. Si tratta però del Carl Menger metodologo delle Untersuchungen e non del

teorico dei Grundsätze14. L’organismo economico inteso come “quella parte

14 Carl Menger Grundsätze der Volkwirtschaftlehre, in Gesammelte Werke, a cura di F. von Hayek, Tübingen, 1968 e in lingua originale, 1871; Untersuchungen über die Methode der Sozialwissenschaften, Tubingen, Leipzig, Duncker und Humbolt, 1883, apparso in italiano con il titolo Il metodo della scienza economica, in “Nuova Collana di Economisti”, vol. IV, UTET, Torino, 1937, nuova edizione, con Introduzione di K. Milford, a cura di R. Cubeddu, con il titolo Sul metodo delle scienze sociali, Liberlibri, Macerata, 1996.

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dell’organismo sociale dalla quale è eseguita la funzione di procacciamento o di

produzione nella sua duplice forma di funzione industriale e commerciale” è lo stesso

oggetto di indagine delle Untersuchungen di Carl Menger, pubblicate nel 1883. Inoltre

vi è un altro aspetto che accomuna Cognetti a Menger ed è l’assenza in entrambi del

vocabolo marginale; con la non poco rilevante differenza che fra i Principi mengeriani

e le lezioni di Cognetti trascorrono venticinque anni, durante i quali appaiono le opere

fondamentali di Walras e Pareto, Bohm-Bawerk e Wieser, oltre che al già ampiamente

ricordato Marshall. Opere di cui Cognetti non poteva non conoscere, ma che sembra

ignorare nella sua didattica.

Le lezioni si concludono con un’ampia trattazione sulla moneta e sul processo

distributivo attraverso l’analisi dei salari, dei profitti e degli interessi. Per quanto

riguarda la questione monetaria; lo schema espositivo è di nuovo sorprendentemente

simile a quello mengeriano. Cognetti si sofferma sul carattere economico della moneta

riprendendo la due note teorie che la considerano antiteticamente come segno (il suo

valore dipende dalla decisione della pubblica autorità15) o come merce (essa è un bene

avente un suo valore intrinseco16) che egli fa risalire entrambe alla dottrina aristotelica

presente rispettivamente nell’Etica Nicomachea e nella Politica. Di nuovo Cognetti

introduce numerosi esempi storici di legislazione monetaria nei diversi paesi europei

confrontandoli tra di loro soprattutto trattando delle monometallismo e del bimetallismo

occupandosi di un arco cronologico compreso tra il Cinquecento e gli anni Settanta

dell’Ottocento.

Interessante in queste pagine non è tanto l’argomentazione in sé, quanto la metodologia

utilizzata nell’analizzare una questione economica. Secondo Cognetti infatti per

comprendere un fenomeno economico bisogna considerare un doppio ordine di cose: da

un lato l’elemento storico, ineliminabile, serve all’economista per indagare le

cosiddette “cause transitorie o accidentali” del suo verificarsi. Queste fungono da

analisi propedeutica al secondo momento, quello teorico, quando lo scienziato

economico è chiamato a scoprirne le “cause generali e costanti”, al fine di formulare

una generalizzazione valida.

15 Questa teoria, detta cancelleresca, prevalse nel Medioevo e nel Rinascimento. Essa porta inevitabilmente a distinguere nella moneta un valore legale (o nominale) e uno reale, poiché la moneta non possiede alcun valore intrinseco. 16 In questo caso il valore intrinseco della moneta è pari a quello attribuito dall’autorità e quindi valore reale del bene e valore legale della moneta coincidono.

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Così, per esempio quando egli tratta del rinvilimento dell’argento rispetto all’oro nei

sistemi bimetallici individua quattro cause transitorie e due cause generali.

Le prime sono: la sostituzione del tallero d’argento con il marco d’oro dopo

l’unificazione del Reich tedesco nel 1871; la scoperta di nuove miniere d’argento negli

Stati Uniti tra il 1881 e il 1889; la sospensione, nel 1874, decisa dai paesi dell’unione

latina di coniazione di monete d’argento; la trasformazione del mercato indiano da

mercato monetario di domanda a mercato monetario di offerta di moneta d’argento, in

seguito alla conclusione dei lavori ferroviari17. Tutti questi avvenimenti storici

provocano un aumento di offerta di moneta argentea sul mercato e una conseguente

discesa del valore di quel metallo.

Le cause generali e costanti del rinvilimento sono: la natura dell’oro rappresenta in un

volume minore un valore maggiore dell’argento, pertanto applicando la “legge dei

minimi mezzi, che vige tanto nella meccanica, quanto nell’economia” si preferisce

usare l’oro piuttosto che l’argento negli scambi; inoltre l’oro viene preferito in quanto

riduce notevolmente il “panico nel mercato” durante i periodi di crisi. Questa seconda

causa è di origine “psicologica”.

A questo punto sono due le considerazioni da farsi sul pensiero cognettiano presentato

sotto vestigia didattiche e che sembrano importanti non tanto nella ricostruzione del suo

pensiero quanto nel capire le direttive che egli dà agli studenti.

La prima considerazione è che questa suddivisione metodologica fra cause transitorie

(storiche) e cause generali (costanti) richiama di nuovo Carl Menger e nello specifico lo

schema delle sue Untersuchungen, dove l’economista austriaco cerca, in polemica con

l’indirizzo storicistico di Gustav Schmoller, di formulare leggi generali nella scienza

economica18. Menger ammette l’utilità dell’elemento storico al fine di capire genesi e

sviluppo di fatti economici, ma ritiene che il carattere di questo tipo di conoscenze

17 Spiega Cognetti: “L’Inghilterra, conquistata l’India, si diede a costruire con suoi capitali in questo paese una rete ferroviaria, la quale fu condotta a termine verso il 1876. E siccome nell’India la valuta corrente era d’argento, così gli inglesi per pagare gli operai fecero incetta d’argento sul mercato, e lo spedirono in Oriente. Ma terminata la linea ferroviaria, la cosa venne a cambiare: l’Inghilterra sospende l’invio dell’argento, e l’India deve, del capitale impiegato, pagare gli interessi in oro all’Inghilterra, paese monometallico a tipo oro. Onde l’India sul mercato monetario non rappresentò più una domanda d’argento come lo era quando l’Inghilterra lo inviava per pagare gli operai addetti alla costruzione della rete ferroviaria, ma rappresentò invece un offerta in quanto da essa doveva cambiare l’argento in oro per poter pagare gli interessi agli inglesi”. 18 Cfr. G. SCHMOLLER Gli scritti di K. Menger e W. Dilthey sulla metodologia delle scienze politiche e sociali in “Quaderni di Storia dell'Economia Politica”, VI, n.3, 1988 a cui segue C. MENGER Die Irrthümer des Historismus in der Deutschen Nationaloekonomie, trad.it. Gli errori dello storicismo, Rusconi, Milano, 1991

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rimanga “particolare”. Se si vuole conferire universalità alle proposizioni economiche,

bisogna addentrarci nel campo della teoria pura che, pur non rinunciando alla

sussunzione della natura empirica del proprio oggetto, è in grado di formulare leggi

generali espresse con un linguaggio rigoroso.

La seconda considerazione riguarda la modernità di Cognetti quando riconosce il

carattere fondamentale del “coefficiente psicologico” nella genesi di molti “fatti

economici”, introdotto proprio nella trattazione sulla moneta. Sono quelli gli anni in cui

gli economisti di Cambridge pongono le basi per il superamento della dottrina

monetaria neoclassica19, preparando l’affermarsi della successiva teoria della

preferenza per la liquidità di Keynes20.

Cognetti ritorna sull’importanza nel sistema economico dei cosiddetti fattori psicologici

anche quando, trattando del profitto, si occupa della réclame, definita come un mezzo

necessario per favorire e promuovere la concorrenza. Essa, diffusa, insinuante e

petulante, tanto da aver invaso “le terze e quarte pagine dei giornali … escogita tutti i

mezzi possibili per fare impressione sul pubblico e colpirne i sensi, l’intelligenza e il

cuore”. Anche in questo punto Cognetti trova un legame fra elemento economico e

biologia, definendo la pubblicità come “una delle specificazioni della gran legge della

lotta per l’esistenza”; e continua “[essa] non è prodotto della fantasia umana

cervellotica e pazza, ma è un bisogno del tempo, è un rapporto intimo con quanto

avviene nel campo della produzione e del commercio. E anzi, si potrebbe dire che

questa réclame è come un istinto: anche nelle classi inferiori degli animali noi vediamo

che vince colui, specie nella lotta d’amore, che meglio sa dimostrare le sue attitudini”.

Cognetti è, se vogliamo, è un precursore di coloro che hanno colto il ruolo centrale di

quello che oggi è definito “marketing” all’interno del sistema economico. E ciò

conferisce indubbiamente originalità al suo pensiero, talvolta quasi arcaico, tal altra

precorritore dei tempi.

Cognetti e la costituzione del Laboratorio

Istituito, come già detto nel 1893, il Laboratorio di Economia Politica è diretto da

Cognetti fino al 1901. La carica di direttore per Statuto spetta al titolare della cattedra

19 Gli economisti di Cambridge, in particolare Marshall e più tardi Pigou e Robertson ripropongono la teoria con una variante che tenga conto della quota di moneta che i soggetti desiderano trattenere sotto forma liquida. 20 Espressione coniata da Keynes per indicare la funzione della moneta come riserva di valore che può essere convertita all’istante in qualunque altro bene.

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di economia politica21. Tre mesi prima della morte del fondatore, un Regio Decreto

datato 17 marzo riconosce il Laboratorio come istituto scientifico annesso

simultaneamente all’Università e al Regio Museo Industriale (quest’ultimo nel 1906 si

fonde con la scuola di applicazione per gli ingegneri dando origine al Regio

Politecnico), garantendogli finalmente sovvenzioni economiche ministeriali. Il

ventiquattro agosto dello stesso anno il Laboratorio viene intitolato a Cognetti e ancora

oggi, com’è noto, il dipartimento di economia e la biblioteca ne conservano il nome22.

Il Laboratorio è istituito con lo scopo di “promuovere e agevolare lo studio dei

fenomeni della vita economica e delle questioni che vi si riferiscono, simile nella sua

organizzazione e nei suoi fini i giustamente famosi seminari di scienze di stato della

Germani, al Museo sociale di Parigi, alla Scuola economica di Londra e ai collegi

economici degli Stati Uniti d’America”23. In un primo tempo esso ha sede nei locali

dell’antico laboratorio di patologia del prof. Giulio Bizzozzero, in seguito si amplia

occupando tutte le sale del laboratorio di medicina legale di Cesare Lombroso.

Il Laboratorio si configura come un’officina di pensiero economico e sociale, nella

quale i giovani studenti di giurisprudenza e gli allievi ingegneri del Regio Museo si

confrontano, producendo inchieste, raccogliendo dati, scrivendo saggi intorno agli

argomenti di carattere economico e sociale di più vivo interesse. Non solo indagini

statistiche, ma anche teoriche: l’intero sapere economico può essere oggetto delle

discussioni interne del Laboratorio, a patto che si rispettasse il rigoroso, anche se

ancora ingenuo approccio positivista, parola d’ordine della intellighenzia italiana tardo-

ottocentesca e di quella torinese in particolare, immersa in una realtà industriale in

formazione, capace di sanare, anche se non del tutto, le ferite della vecchia capitale

tradita.

21 Sul laboratorio di economia politica si vedano oltre ai già citati C. POGLIANO, (1976) e R. FAUCCI, (1995), anche P. BRESSO, Materiali per una storia del laboratorio di economia politica, Università degli studi di Torino, 1993; EAD., Dal riformismo al liberismo. I primi quindici anni del laboratorio di economia politica, in «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», I (1996), 1, pp. 157-185; EAD., Loria e il laboratorio di economia politica, in «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», IV, (1999) 3, pp.143-190. 22 Dal 1901 al 1903 direttore è Gaetano Mosca; dal 1903 al 1932, il Laboratorio è diretto da Achille Loria. Nel 1926 viene separato dal Politecnico, rimanendo come “seminario permanente” e in seguito come “istituto” della facoltà di giurisprudenza A Loria segue, fino al 1945, la direzione di Pasquale Jannaccone sotto il quale, si può dire, si conclude l’esperienza del Laboratorio intesa come scuola. Nel 1931 terminano le raccolte delle pubblicazioni del Laboratorio, sebbene continui la collaborazione tra Einaudi e Cabiati sulla «Riforma Sociale» (fino al 1935) e poi, fino al 1940, sulla «Rivista di storia economica», che rappresenta la forma più matura, da un punto di vista teorico, della scuola di Torino. Il Laboratorio è stato trasformato nell’attuale dipartimento di economia nel 1988. 23 Si veda lo Statuto del Laboratorio nella anno della sua fondazione (1893).

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Uno studio sulla genesi e sulle caratteristiche del Laboratorio costituiscono un primo

passo per fornire una risposta affermativa all’ ipotesi storiografica da cui siamo partiti:

esiste una vera e propria scuola economica torinese di cui il Laboratorio cognettiano

rappresenta il cominciamento? Se per scuola si intende un gruppo di allievi riuniti

intorno ad un maestro con il quale essi condividano il medesimo metodo d’indagine e

grazie a quello riescono a raggiungere risultati teorici rilevanti e originali rispetto

all’esterno, allora si può dimostrare che anche a Torino in quel periodo, come a Parigi e

a Londra (senza arrivare alle vette di Cambridge, Losanna e Vienna), si forma una

scuola economica. È vero che Cognetti non è paragonabile a Marshall, o a Walras , né a

Menger, ma la sua caratura, il suoi contributi e il suo infaticabile spirito organizzativo

ne fanno un vero maestro, come tutti gli interpreti del suo pensiero riconoscono e come

gli tributano i suoi allievi, da Einaudi a Jannaccone, da Albertini a Solari, da Masè-Dari

a Ottolenghi24.

Anche dalla corrispondenza fra Cognetti e i maggiori economisti del tempo si evince

l’importanza che il progetto del Laboratorio assume per il suo fondatore e si

comprendono la genesi e le peculiarità teoriche e metodologiche di quel laboratorio,

nucleo originario della futura scuola di economica di Torino. In questo contesto ci

interessa precipuamente la sua corrispondenza con Nitti, in quanto essa riguarda lo

stretto rapporto fra la «Riforma Sociale», e il Laboratorio: la rivista fondata

dall’economista lucano, infatti, diviene il principale canale di sbocco per la

pubblicazione dei lavori degli allievi di Cognetti25.

24 Per un giudizio su Cognetti e il Laboratorio da parte di testimoni e allievi si vedano: L. EINAUDI Salvatore Cognetti de Martiis, «Giornale degli economisti», XXIII, 7, 1901, pp. 15-22, poi in ID Gli ideali di un economista, Firenze, La Voce, 1921, pp. 11-20; ID La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana 1896-1946, a cura di C. ANTONI e R. MATTIOLI, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1950; P. JANNACCONE Salvatore Cognetti de Martiis, «Biblioteca dell’economista», IV serie, vol. V, Torino, 1901; E. MASÈ-DARI e E. MAGRINI Salvatore Cognetti de Martiis e le sue opere, «Riforma Sociale», vol. XI, 7, 1901; G. MOSCA Salvatore Cognetti de Martiis, «Annuario della Regia Università di Torino», 1901-1902, pp. 146-147; C. OTTOLENGHI Salvatore Cognetti de Martiis, «Nuova Antologia», 94, 1901. 25 In una lettera del 1895 Cognetti scrive a Nitti: “Carissimo, grazie dell’affettuosa cartolina. Sono stato durante le vacanze a fare il pendolare tra la campagna e il Laboratorio, ove c’era molto da fare. Quando verrai a vederlo ? Ho faticato durante le vacanze. Ora lavoro alla 2a parte della prefazione al volume della Politica Commerciale, di cui ti mandai la 1a parte. Consegnai all’amico avv. Roux il manoscritto del Dr Bonaudi sul regime finanziario dei Tabacchi. Ci sarà tra poco un bel lavoro del E. Arduino sul salario minimo – lavoro fatto su fonti recentissime”. Lettera pubblicata in G. BECCHIO La nascita della scuola economica di Torino. Dall’epistolario si Salvatore Cognetti de Martiis (1884 –1901), in «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», VII, 2002, 6, pag. 169. I riferimenti citati da Cognetti nella lettera sono i seguenti: S. COGNETTI DE MARTIIS, I due sistemi della politica commerciale, Torino, Unione Tipografico Editrice, 1896, pp. CXXXIX-CCXLI

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Ammessi al Laboratorio, in qualità di allievi, sono gli studenti di giurisprudenza e gli

allievi ingegneri del Regio Museo Industriale, dove lo stesso Cognetti ricopre l’incarico

di docente di economia e legislazione industriale26. Ogni studente ha l’obbligo di

presentare i propri lavori durante le adunanze settimanali. Agli allievi, si affiancano i

soci, ossia persone interessate alle ricerche promosse dal Laboratorio, ma non iscritte

all’Università o al Regio Museo (questi soci sono ulteriormente divisi in residenti, se

dimorano a Torino, e corrispondenti, se abitano fuori città) e i patroni, ovvero coloro

che si rendono benemeriti con doni di materiale scientifico o sovvenzioni non inferiori

alla cifra di cento lire. Sotto la direzione di Cognetti nel Laboratorio si assiste ad un

vero e proprio brulicare di studi sociali ed economici originali, condotti su dati e

rilevazioni statistiche e discussi insieme sotto la supervisione dell’imparziale direttore.

Il rapporto col Regio Museo Industriale e l’esposizione nazionale del 1898

Il 1898 è l’annus mirabilis per Cognetti e per il Laboratorio per due ragioni. Anzitutto

il Laboratorio partecipa all’Esposizione nazionale con i lavori già ricordati sopra, che

ottengono un grande successo: alla loro realizzazione partecipa gran parte degli allievi,

fra cui Jannaccone, Masè-Dari, Prato, Solari. Si tratta di due lavori sull’emigrazione (il

primo costituito da uno stereogramma raffigurante l’emigrazione italiana dal 1876 al

1896 e il secondo da un diagramma dell’emigrazione europea in Argentina, Brasile e

Stati Uniti); una carta mineraria mondiale; una carta commerciale italiana e uno studio

sul commercio nella colonia eritrea durante il decennio 1885-95. Inoltre nella sezione

dedicata alla città di Torino, sono realizzate due piante geometriche con le indicazioni

dell’ubicazione della piccola industria e del commercio e un’altra con quella dei grandi

stabilimenti industriali27. Cognetti ha un occhio di riguardo nei confronti della città, che

considera intellettualmente vivace e socialmente in fermento grazie ai rapidi progressi

industriali e tecnologici che si stavano verificando in quegli anni. L’interesse per le

questioni cittadine e l’apertura verso la città si intrecciano con l’attenzione verso i

(«Biblioteca dell’Economista», serie IV, vol. I); Cfr. E. BONAUDI, Il regime finanziario dei tabacchi, monografia letta nelle adunanze del Laboratorio nei giorni 23 febbraio e 8 marzo 1895 e pubblicata in «Riforma Sociale», VI, III, (1896), 9, pp. 608-630; E. ARDUINO, Sul salario minimo degli appalti governativi, monografia letta nelle adunanze del Laboratorio nei giorni 9 e 13 febbraio 1896, poi non pubblicata nella «Riforma Sociale», né in alcun’altra rivista 26 Si segnala C. ACCORNERO, E. DELLAPIANA Il Regio Museo Industriale di Torino tra cultura tecnica e diffusione del buon gusto, Torino, Quaderni Crisis, 2001. 27 Il successo del Laboratorio all’Esposizione è grande. Lo ricorda anche Einaudi nella dedica ad Alberto Geisser e Pasquale Jannaccone con cui si apre Un Principe mercante. Studio sull’espansione coloniale italiana, Torino, Bocca, 1900, anche raccolto in Monografie di soci e allievi del Laboratorio di Economia politica, vol. VI.

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problemi del mondo del lavoro e si manifestano concretamente nel Laboratorio, il cui

Statuto prevede l’iscrizione in qualità di soci speciali a redattori di giornali locali e alle

rappresentanze di società operaie.

L’altro evento di rilevante importanza che accade nel 1898 è il riconoscimento del

Laboratorio di Economia Politica come Istituto annesso simultaneamente alla Regia

Università e al Regio Museo Industriale.

Il Museo industriale italiano sorge nel 1862 con il duplice scopo di concorrere alla

formazione industriale e professionale di tecnici qualificati e di mostrare all’estero la

situazione industriale italiana in forte sviluppo. Il primo nucleo degli oggetti del Museo

è acquistato nello stesso 1862 all’Esposizione di Londra. Il Museo, staccato dall’istituto

tecnico di Torino, già nel 1866, si configura come un’organizzazione simile all’ “Ecole

centrale des artes et manufactures” di Parigi. Intanto nel 1859 è istituita a Torino la

Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri, chiamata a formare i docenti degli istituti

tecnici e gli ingegneri civili, meccanici e chimici, nonché i direttori di industrie e di

aziende agricole. I due istituti convogliano in un unico, il Regio Museo Industriale, i cui

compiti si risolvono nella raccolta di oggetti scientifici esposti permanentemente e nella

formazione di un’istruzione superiore industriale. La vetta scientifica del Regio Museo

è raggiunta quando nel 1886-87 Galileo Ferrarsi, già titolare della cattedra di Fisica

tecnica dal 1877, istituisce il corso superiore di elettrotecnica nella nuova Scuola di

Elettrotecnica destinata a quanti hanno ottenuto il diploma di Ingegnere.

Sono gli anni in cui Torino cerca una nuova identità: da vecchia capitale a moderno

centro industriale in grado di promuovere lo sviluppo della società attraverso

l’innovazione tecnologica. La tecnica fa grandi passi e il Regio Museo si propone come

avanguardia in tal senso: vengono acquistate ed installate nel laboratorio numerose

macchine, per la prova di resistenza dei materiali e per le prove dinamometriche del

Valentino: macchine per la resistenza dei materiali di Mohr e Federhaff della forza di

50 tonnellate, con apparecchio per ricavare il diagramma di deformazione dei solidi

sottoposti a trazione ed a compressione, e con pezzi di ricambio per sottoporre i corpi a

sforzi di flessione; macchine per la resistenza alla torsione di Thomasset, con

apparecchio per la misura dell’angolo della torsione; macchine per provare la resistenza

dei tessuti, carta, cuoi, cinghie, e altro; macchine per provare la resistenza alla pressione

interna di piccoli recipienti, come tubi e bottiglie di vetro; pompa per la prova delle

caldaie, dei grandi tubi e delle condotte; diversi manometri con graduazione fino a 50

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atmosfere; apparecchio sistema Thomasset per la taratura dei manometri metallici fino

a 500 atmosfere; apparecchio a colonna di mercurio per la taratura dei manometri fino a

10 atmosfere. Il laboratorio è inoltre provvisto di dinamometri semplici, dinamometro

integratore, dinamometro a cinghie, freni dinamometrici della potenza di 2-10-25-100

cavalli, indicatori di pressione, una macchina per la determinazione della resistenza alla

corrosione per attrito dei materiali, macchine per la prova alla trazione, alla torsione ed

alla piegatura dei fili metallici.

Nel 1886, Peano pubblica Sull’integrabilità delle equazioni differenziali di primo

ordine, un saggio che riprende il teorema di Cauchy e pone le basi per una sua ulteriore

dimostrazione, alla quale Peano giungerà nel 1890. Nel 1896 Volterra pubblica il

saggio Sulla inversione degli integrali definiti, che contiene una dimostrazione

fondamentale per le equazioni integrali di prima specie e Marconi brevetta il sistema di

utilizzazione delle onde elettromagnetiche per le trasmissioni telegrafiche. Sono gli

anni del trionfo del positivismo empirico, dello sperimentalismo applicato e il Regio

Museo ne diventa l’espressione, concreta realizzazione di un’istruzione in grado di

conferire capacità tecniche unite a rigore scientifico.

Cognetti ritiene non solo possibile, ma anche doveroso, applicare il rigore teorico, il

metodo empirico e gli strumenti analitici delle scienze fisiche anche a quelle sociali e in

particolare all’economia. Lo abbiamo già visto nelle lezioni: egli considera essenziale

che il Laboratorio abbia un partner come il Regio Museo Industriale. Anzi il

Laboratorio deve rappresentare per l’economia politica, quello che il Regio Museo è

per la fisica, la chimica, l’elettrotecnica e la meccanica.

Tanto radicata è in Cognetti questa idea, che egli entra nel 1883 a far parte del corpo

docente del Regio Museo, come professore incaricato di Economia e legislazione

industriale (posto che verrà ricoperto, dopo il 1901 da Luigi Einaudi, fino al 1935). Il

corso fa parte di quegli insegnamenti obbligatori che gli aspiranti ingegneri industriali

devono sostenere nel secondo anno.

Confrontando i programmi dei corsi tenuti da Cognetti rispettivamente alla facoltà

giuridica e al Regio Museo, si riscontrano alcune differenze. In particolare il corso

destinato agli allievi ingegneri è dedicato specificatamente alla natura e

all’organizzazione dell’industria secondo uno schema espositivo che ricorda

impressionatamene il libro quarto dei Principles di Marshall – in misura maggiore

rispetto alle lezioni per gli allievi di giurisprudenza –, tanto nella descrizione dei vari

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tipi di industrie (grande spazio viene dato alle cooperative e al confronto fra queste e le

industrie tradizionali), quanto nella trattazione dei fattori produttivi (capitale umano,

materie prime e macchinari); inoltre ampio spazio viene dedicato all’aspetto del lavoro

nell’azienda industriale e in particolare al reclutamento e tirocinio delle maestranze.

Non è presente invece, come in Marshall, l’analisi del typus imprenditoriale. Grande

spazio– di nuovo maggiore rispetto alle lezioni per gli studenti dell’Università – egli

dedica alle condizioni dei lavoratori e al cosiddetto sweating system.

In comune i due corsi hanno la trattazione delle categorie economiche fondamentali

quali lavoro, salario, capitale, nonché l’organizzazione della classe operaia. Non si

dimentichi infatti che tra le fila degli studenti del Regio Museo industriale vi sono i

futuri ingegneri sociali, figure di intellettuali e tecnici al servizio del bene pubblico;

figura che in realtà non otterrà il successo sperato da Cognetti.

Lo studio dell’economia all’interno del Laboratorio

Cognetti e i suoi studenti si riuniscono settimanalmente per discutere i problemi

economici più urgenti del periodo. Questi studi sono presentati sotto forma di relazione

scritta, una copia della quale deve rimanere nell’archivio del Laboratorio, costituendo

parte del materiale scientifico da esso originante. Bollettini, atti di congressi, collezioni,

statistiche, atti legislativi e periodici formano il resto del materiale scientifico a

disposizione nel Laboratorio. Come ricorda Gaetano Mosca, Cognetti preferisce

raccogliere all’interno del Laboratorio “una copia immensa di statistiche, di inchieste,

di resoconti, utile per gli studiosi di ogni ramo delle scienze sociali, piuttosto che i

lavori teoretici delle discipline economiche, che del resto lo studioso può dappertutto

trovare”28 Tra le collezioni monografiche troviamo naturalmente la «Biblioteca

dell’economista», ma anche le monografie dell’Associazione tedesca per la politica

sociale; fra gli annuari statistici sono presenti quello economico italiano, inglese,

americane, tedesco e l’annuario dei sindacati operai francesi; fra i periodici il «Giornale

degli economisti», «L’economista», la «Riforma Sociale», la «Rivista di sociologia»,

l’«Economist», «The Quarterly Journal of Economics» e numerose altre effemeridi

francesi e tedesche.

Moltissimi degli studi condotti dagli studenti sono pubblicati, soprattutto sulla

«Riforma Sociale» e sul «Giornale degli Economisti»: a questo riguardo, numerose

sono le lettere di presentazione di Cognetti a Pantaleoni e Nitti o ad altri economisti ai

28 G. MOSCA Salvatore Cognetti de Martiis, Annuario della Regia Università di Torino, 1901 –1902.

Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” La scuola di economia di Torino, 1893 – 1940.

Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri

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quali chiede, per esempio, una recensione. Tutte le relazioni presentate al Laboratorio –

edite e inedite – sono raccolte in volumi denominati Monografie di soci e allievi del

Laboratorio di economia politica, che comprendono manoscritti, quali tesi di laurea di

cui Cognetti è relatore (per esempio il terzo e il quinto volume sono per intero raccolte

di queste dissertazioni manoscritte), e estratti da riviste. Le une sono raccolte sotto la

denominazione di Monografie eseguite e lette, le altre sotto quella di Monografie

pubblicate. Di solito, tanto gli inediti quanto gli estratti, contengono in calce la dedica a

Cognetti. Così intese, esse sono ordinate cronologicamente seguendo l’anno

accademico. La rilegatura delle Monografie termina nel 1931. Di queste, i volumi

decimo, undicesimo e dodicesimo, sono dedicati esclusivamente a singoli autori:

rispettivamente Einaudi (1900 – 1902), Sella (1899 – 1906) e Prato (1900- 1908). Il

volume tredicesimo invece si intitola Raccolta delle più pregiate opere moderne

italiane e straniere di economia politica e contiene i manuali di G. Schonberg, L.

Brentano, R. Klostermann, W. Lexis, A. Wagner, G. Rumelin e F. E. Gerfcken. A

questi volumi se ne aggiungono diciannove a carattere monografico dedicati a saggi di

un unico autore, raccolti sotto la denominazione di Studi del Laboratorio di Economia

Politica. Il primo esce nel 1906 ed è dedicato agli studi di Cesare Jarach sulle società

nelle per azioni29; l’ultimo è del 1920, l’autore è Attilio Garino-Canina30.

Non è questa la sede per un’analisi approfondita dei contenuti dei volumi del

Laboratorio, in quanto essa occuperebbe da sola un’intera e poderosa monografia;

tuttavia si possono fare alcune considerazioni generali sul metodo e sull’oggetto di

studio di quelli che possiamo considerare i pionieri della scuola economica di Torino.

Leggendo anche solo i titoli dei lavori del Laboratorio, limitatamente al periodo

cognettiano (si tratta dei primi nove volumi), non si può non riscontrare

l’impressionante aderenza di tematiche e di metodo adottato fra allievi e maestro. Gli

scritti del Laboratorio rispecchiano i temi delle lezioni. Ci limitiamo a citarne i

seguenti: studi sulla legislazione del lavoro e la questione contrattuale (Albertini,

Jannaccone, Einaudi, Alessandro Bouvery, Delfino Actis, Riccardo Fubini, Gioele

Solari)31; analisi su natura e funzione dello sciopero (Jannaccone, Raffaele Cognetti de

29 C. JARACH Lo sviluppo ed i profitti delle Società per azioni italiane dal 1882 al 1903, Torino, 1906. 30 A. GARINO-CANINA Il problema delle industrie naturali, Asti – Torino, 1920. Si segnalano gli altri autori di questi studi: L. Einaudi; G. Prato, A. Geisser, R. Michels, G. Fargion, A. Necco, R. Bachi, A. Schiavi, G. De Mauro, G. Borgatta. 31 L. ALBERTINI La questione delle otto ore del lavoro, vol. I, 1894; P. JANNACCONE Il contratto del lavoro, vol. I, 1894, Le questioni operaie in Inghilterra e Il contratto di lavoro, vol II, 1897, L’industria

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Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri

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Martiis, Einaudi, Attilio Strada)32; considerazioni sullo stato della disciplina economica

in rapporto alla biologia e alle scienze sociali (Leonardo Cognetti de Martiis, Einaudi,

Antonio Graziadei, Jannaccone)33.

L’aderenza ai principi del maestro da parte dei suoi allievi appare evidente: si legga la

lunga dedica di Luigi Albertini a Cognetti posta come incipit della monografia che apre

la serie dei volumi del Laboratorio. Essa, che vale la pena riproporre per intero,

testimonia il rapporto personale e intellettuale che il maestro è riuscito a creare con i

suoi giovani studenti (in particolare con Albertini, Jannaccone e Einaudi) e la serietà

con cui essi collaborano insieme per creare quella “comunione di intenti” che

caratterizza una scuola di pensiero:

Illustre professore, raccogliendo in un volume questo mio studio sulla questione delle otto ore di lavoro, già pubblicato nel Giornale degli Economisti, mi piace dedicarlo a Lei. Esso viene iniziato sotto la sua direzione, e condotto a termine nel Laboratorio di Economia Politica dell’Università di Torino; ed è questa la prima monografia che il Laboratorio ha affidato alle stampe. È giusto e doveroso perciò che essa esca nel suo nome. Non so se a lei sembri che il discepolo abbia corrisposto con successo alle sapienti cure del maestro, e che il nuovo istituto con questo saggio cominci bene la serie delle sue pubblicazioni. Le conclusioni cui sono giunto differiscono da quelle cui pervennero altri giovani economisti italiani34, di elevata intelligenza e nutriti di buoni studi. Tuttavia a me parve che tra le due opinioni estreme, degli uni favorevoli alla riduzione delle ore di lavoro ad otto, e degli altri contrari, dovesse trovare posto un’opinione meno recisa, e forse più equa, suggerita non da un prudente ed astuto eclettismo, ma dall’esame spassionato dei fatti e delle differenti condizioni delle industrie nei vari paesi. E fu anzi questa diversità d’opinione che vinse la mia esistenza a pubblicare il risultato delle mie ricerche; perché sarebbe

del cotone e l’abolizione del lavoro notturno, vol I, 1896; L. EINAUDI A favore dei contratti differenziali, vol. II, 1896; A. BOUVERY Gli infortuni sul lavoro nella legislazione europea, vol III, 1897; D. ACTIS Della protezione del lavoro degli adulti, delle donne e dei fanciulli in rapporto alla durata di lavoro, al riposo ebdomadario, all’igiene e sicurezza, alle assicurazioni contro gli infortuni, malattie, invalidità e vecchiaia, vol. V, 1899; R. FUBINI Contributo agli studi sulla partecipazione industriale dell’operaio ai benefici dell’impresa, vol VI, 1899; G. SOLARI La legge sugli infortuni sul lavoro, vol. VII, 1899-1900. 32 P. JANNACCONE Il significato delle parole «sciopero» e «serrata», vol. I, 1894, Lo sciopero dei meccanici inglesi e i cicli industriali, vol. IV, 1898, Scioperi e servizi pubblici, vol. VII, 1899-1900; R. COGNETTI DE MARTIIS La rappresentanza nello sciopero, vol. II, 1896-1897; L. EINAUDI La psicologia di uno sciopero e A favore dei contratti differenziali, vol. II, 1896-1897; A. STRADA Gli scioperi agrari in Italia, vol. II, 1896-1897. 33 L. COGNETTI DE MARTIIS Il lavoro e le malattie nervose, vol. I, 1894; L. EINAUDI Il pensiero economico e sociale in Piemonte, vol. IV, 1898; A. GRAZIADEI La produzione capitalistica, ibidem P. JANNACCONE Il momento presente degli studi economici, ibidem 34 Albertini si riferisce a: G. RICCA SALERNO La questione del lavoro delle otto ore in Inghilterra, in «Nuova Antologia», maggio 1891 e R. DALLA VOLTA La riduzione delle ore di lavoro e i suoi effetti economici, Firenze, 1891

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stato inutile ripetere ciò che pro o contro sulla questione di cui mi occupo si legge comunemente in opere speciali di socialisti ed economisti. Mi parve utile, nello stesso tempo, mettere in luce alcuni fatti presso noi noti solo a pochi studiosi; fatti che, conosciuti e presi in serio esame dagli industriali, dai legislatori e da coloro che dirigono le classi operaie dissiperebbero molti equivoci, e potrebbero condurre ad un miglioramento delle condizioni dei lavoratori. È davvero da sperarsi che nell’interesse di questi, e per il progresso industriale della nazione, vengano abbandonate le vecchie idee intorno al vantaggio economico della lunga giornata di lavoro, e delle conseguenze del suo abbreviamento. Ma è soprattutto da augurarsi oggi, alla vigilia del 1° maggio, che gli operai, salutando il sole del nuovo mese col gridar forte a tutti il loro diritto a godere più ampiamente le gioie della vita, si decidano a smettere l’illusione di ottenere la giornata di otto ore con una studiata diminuzione di produzione. Non ho affatto la pretesa di aver detta l’ultima parola su tale difficile argomento; mi auguro anzi censure, come deve augurarsele ogni giovane, ché, come diceva lo Shakespeare, infelice colui cui mai non scuote il vento della censura. Le sia grata, illustre Professore, la manifestazione dell’affetto e della riconoscenza35.

Già dalle lezioni, ma ancor più dalle relazioni e dagli studi dei giovani ricercatori, si

evince lo stretto rapporto fra Laboratorio e quello che un po’ genericamente potremmo

definire “mondo socialista”. Intendiamo con questa espressione l’insieme di

associazioni, anche di tipo sindacale, che in quel periodo comincia in Italia a battersi

per rivendicare quei diritti che oggi definiamo “sociali”. Da un punto di visto

strettamente analitico, la dottrina socialista non viene accettata, ma ciò non escludere il

fatto che maestro e allievi mostrano una sensibilità particole per i problemi della classe

lavoratrice, con cui si schierano, fornendo dati che avvallano la legittimità di gran parte

delle richieste provenienti dagli ambienti operai. L’esigenza di raggiungere buone

condizioni negli ambienti di lavoro (già chiara nelle Lezioni) torna prepotentemente in

questi saggi: a questa necessità è dedicato lo scritto di Leonardo Cognetti de Martiis,

figlio di Salvatore, futuro medico e biologo di grande fama. Egli parte dal presupposto

– che il padre aveva ben espresso rivolgendosi ai propri studenti – che non solo le

scienze sociali hanno attinenza con quelle biologiche, ma anche che le une sono di

diretta derivazione delle altre, poiché l’insieme degli organismi individuali forma

l’organismo sociale. E come esistono una fisiologia e una patologia umana, così

esistono una fisiologia e una patologia sociale: le une sono studiate dalla medicina, le

altre dalla sociologia. Leonardo Cognetti cerca di dimostrare che il lavoro, se compiuto

35 Lettera di Luigi Albertini a Cognetti de Martiis, datata aprile 1984, in Monografie di soci e allievi del Laboratorio di Economia Politica, Torino, 1894, vol. I, pp. 5 – 6.

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in ambienti malsani, da “prodotto benefico dell’organismo operoso”, può trasformarsi

in “fattore morboso”36.

In generale questi saggi seguono lo stesso schema espositivo che ricorda quello usato

da Cognetti non solo nelle lezioni, ma soprattutto nelle sue opere. Data la definizione

del problema (spesso l’incipit è dedicato all’origine etimologica del termine con cui si

designa l’oggetto delle questioni trattate), si procede con un lungo excursus storico; si

giunge all’argomentazione analitica esponendo la propria tesi; si conclude con

un’appendice ricca di dati tratti da statistiche, o con tabelle, diagrammi e cartine. Dando

anche solo un’occhiata ai primi volumi delle Monografie, si evince che i lavori con

maggiore presenza di statistiche e tabelle sono quelli di Einaudi e Jannaccone. I

riferimenti più frequentemente citati sono le opere di Marshall e Webb (ciò è

comprensibile se pensiamo agli argomenti oggetto di studio degli studenti).

Tuttavia, come già notato nella lettura delle lezioni cognettiane, è presente l’impronta

metodologica di Menger: proprio al Methodenstreit è dedicato un breve saggio di

Jannaccone. In esso egli ripercorre le opposte concezioni di Menger e Schmoller e, in

pieno spirito cognettiano, cerca una mediazione. Questo scritto è composto in aperta

polemica con l’atteggiamento assunto da Pantaleoni nei confronti della questione

metodologica, ritenuta inutile, in quanto l’unica concezione economica valida è

l’economia pura rappresentata matematicamente.

Jannaccone critica tanto chi – come Pantaleoni – ritiene sterili le dispute metodologiche

(ricorda anche Francesco Ferrara) quanto chi le considera necessariamente

propedeutiche alla teoria (come appunto l’economista austriaco). Il giovane economista

“torinese” rivendica la relatività storica di qualunque metodo scelto nello studio di una

scienza e, al contempo, afferma la molteplicità di forme in cui si struttura una

qualunque scienza. Così egli sostiene: “un’economia pura ha diritto di essere, purché

riconosca … di non essere la sola economia e tutta l’economia, ma soltanto la scienza

dell’equilibrio economico, d’uno stato limite dell’economia”37. Questa posizione è

riconducibile a quella cui giunge Pareto nel Cours, come afferma lo stesso Jannaccone:

“il Pareto, altro degli economisti matematici, ammette che l’economia pura non serve

che a indicare la forma generale del fenomeno, ma che accanto ad essa deve stare

36 L. COGNETTI DE MARTIIS Il lavoro e le malattie nervose, vol. I, 1894. 37 P. JANNACCONE Il momento presente negli stud ieconomici. Prolusione al corso libero di Economia Politica, Università di Torino, 2 dicembre 1898, in Monografie di Soci e allievi del Laboratorio di Economia Politica, vol. IV, 1898, pubblicato in «Riforma Sociale», 2, VI, vol. IX, 1899.

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Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri

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un’economia applicata, scienza e non arte, fondata sui fatti, saggiata alla realtà, la quale

tenga conto di tutte le perturbazioni, di tutte le perdite d’energia, per le quali il fatto

concreto appare disforme dal fatto tipico”38. Si noti che questa è una delle rare volte in

cui appare il nome di Pareto negli studi del Laboratorio.

Jannaccone a questo punto propone la sua pars construens: l’economia deve procede

attraverso approssimazioni induttive che abbiano origine dell’osservazione di fenomeni

per giungere ad una “scienza morfologica, che da questo materiale di fati ricavi le

forme e ne studi il differenziamento e lo sviluppo” e questo avvicinamento

dall’approssimazione alla realtà (anche al fine di misurare la deviazione della teoria

dalla realtà stessa) è lo stesso percorso che si trova in Pareto. Jannaccone riconosce di

avere mediato questa sua posizione da Cognetti, ma anche da Croce, secondo cui

occorre stabilire i canoni di un’economia come scienza dei fenomeni economici39.

L’opera più recente che meglio risponde a questo canone è, secondo Jannaccone, lo

studio sulle Trade Union di Sidney e Beatrice Webb.

Nei volumi finali del periodo cognettiano si assiste all’affermarsi di nuove tematiche:

comincia la lunga serie di pubblicazioni di Riccardo Bachi sul municipalismo, appaiono

diversi scritti sulla cooperazione e comincia a farsi sentire l’impronta sempre più

incisiva della direzione einaudiana.

Un primo bilancio della scuola economica di Torino

L’introduzione dello studio dell’economia nell’Università torinese dopo l’Unità segue

due finalità: essa deve formare un’élite cittadina in grado di governare razionalmente la

città e il paese; inoltre Torino deve trasformarsi per divenire un’officina al servizio

della scienza applicata. Ecco perché sembra opportuno mantenere l’aggettivo “politica”

accanto al sostantivo “economia”. L’iniziativa di Cognetti di fondare un laboratorio di

economia politica attualizza queste legittime aspirazioni. Esso infatti è pensato sul

modello della London School of Economics, sorta nello stesso periodo da Webb e dai

Fabiani. Si tratta di un vero e proprio esperimento volto a formare economisti intesi

come scienziati sociali, ecletticamente aperti alle altre branche del sapere con le quali

l’economia deve “fare i conti”. È questo il senso dell’annessione del Laboratorio al

Regio Museo industriale, nell’intento riuscito, almeno in questa prima fase, di proporre 38 Il riferimento è a V. PARETO Cours d’Economie politique, Lausanne, Rouge, 1896. 39 Cfr. S. COGNETTI DE MARTIIS L’economia come scienza autonoma, Torino, Bocca, 1886; B. CROCE Per l’interpretazione e la critica di alcuni concetti del Marxismo, in Materialismo storico ed economia marxista, Bari, Laterza, 1918 (III edizione). Due anni più tardi, nel 1900, appare nelle pagine del «Giornale degli Economisti» la disputa metodologica che vede contrapporsi Pareto e Croce.

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quella circolarità del sapere che fa della Torino dell’epoca “la città che nel campo della

cultura può presentare i titoli maggiori”40.

Il Laboratorio ha un carattere sperimentale; “né scuola, né biblioteca”, come ricorda

Einaudi, tuttavia esso si configura come nucleo di quella che abbiamo definito “la

scuola economica di Torino”. Fino al 1901, l’impronta di Cognetti è marcatissima: egli

indirizza l’economia torinese verso quella marshalliana, senza dimenticare, almeno

implicitamente, l’opera di Menger. Come dimostrano le sue dispense e la sua

corrispondenza e come si evince dai lavori eseguiti all’interno del Laboratorio, egli si

propone come maestro di liberi pensatori ai quali fornire gli strumenti necessari per fare

gli economisti. In questo ambiente, un occhio di riguardo è volto al socialismo

emergente in quel periodo in Italia: lontani dalla teoria marxiana e dal socialismo

politico italiano, i giovani economisti torinesi sono simpateticamente vicini alle

esigenze della classe lavoratrice.

Sotto la direzione di Einaudi, la scuola economica di Torino assumerà caratteristiche

diverse ma, come testimonia questa lettera di Eugenio Masé-Dari all’Einaudi ex

Presidente della Repubblica, lo spirito originario del Laboratorio si manterrà sempre

vivo anche a distanza di oltre sessant’anni:

Mantova, 2 aprile 1959 Caro Einaudi Contrariamente alle caratteristiche della corrispondenza tra amici, debbo continuare nella dattilografia; la mia genuina grafia è pessima tanto che non riesco a rileggermi io, figuriamoci gli altri. Più di una volta ho pensato di far cessare, nei nostri eventuali rapporti la cerimoniosità del lei. Mi ha però sempre trattenuto dal proportelo un intimo senso della gerarchia intellettuale; la sola che, per me, abbia un valore; ed in tale gerarchia io non potevo farmi presuntuoso sì da proportelo. Ti sono quindi grato della iniziativa. Del gruppo dell’originario Laboratorio Cognettiano di economia politica, credo che rimaniamo in tre: tu coi tuoi 85; Jannaccone coi suoi, credo, 87 (o più?); io coi miei prossimi 95! Insieme facciamo una bella sommetta: 257 anni ! Speriamo d’ammucchiarne ancora: tanto non facciamo torto a nessuno, almeno dobbiamo sperarlo; e, del resto, farebbe lo stesso, no?! Una cordiale e affettuosa stretta di mano. E. Masé-Dari41.

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