Salotto di poesia - mobisoft.it fileLa fortissima sfaccettata personalità di Pasolini trova nella...

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Salotto di poesia a cura di Liviana Simoncini

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Salotto di poesia

a cura di Liviana Simoncini

Maggio 2012

Penso che Maggio sia uno dei mesi più belli dell’anno ed in questi giorni sembra esserlo a tutti gli effetti perché il sole sta trionfando e finalmente ci si libera di tutto il grigiore del lungo Inverno.

Via piumoni, piumini, maglioni e quant’altro di opprimente ed ingombrante ed iniziamo a sgranchirci le gambe intorpidite con lunghe passeggiate e a respirare l’aria profumata della natura in fiore.

Tra tutti il profumo più inebriante è quello delle rose, le regine incontrastate di Maggio da regalare alle mamme, perché c’è la loro festa.

Ed allora unita a una o più rose perché non donare alla mamma anche una bella poesia?

Prima tra tutte ho scelto una poesia per Lei, la Madre di tutti

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

Umile ed alta più che creatura,

Termine fisso d'eterno consiglio,

Tu se' colei che l'umana natura

Nobilitasti sì, che 'l suo Fattore

Non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore

Per lo cui caldo nell'eterna pace

Cosìè germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face

Di caritade, e giuso intra mortali

Se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande, e tanto vali,

Che qual vuol grazia, e a te non ricorre,

Sua disianza vuol volar senz'ali.

La tua benignità non pur soccorre

A chi domanda, ma molte fiate

Liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietade,

In te magnificenza, in te s'aduna

Quantunque in creatura è di bontade.

Dante Alighieri

La fortissima sfaccettata personalità di Pasolini trova nella poesia uno strumento potente. Il suo lavoro poetico s’intreccia con quello romanzesco e cinematografico che diverrà poi dominante.

Lo conosceremo meglio l’anno prossimo. Per il momento ricordiamo la poesia dedicata alla madre.

Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: ho passato l’infanzia schiavo di questo senso alto, irrimediabile, di un impegno immenso. Era l’unico modo per sentire la vita, l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. Sopravviviamo: ed è la confusione di una vita rinata fuori dalla ragione. Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile… Pier Paolo Pasolini

Non occorra che puntualizzi quali note poetiche sia capace di raggiungere il poeta indiano Tagore, ma penso che in queste due poesie arrivi alle più alte vette del lirismo.

MaternitàDa dove sono venuto? Dove mi hai trovato?Domandò il bambino a sua madre.Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose:

tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio,tu eri il Suo desiderio.Tu eri nelle bambole della mia infanzia,in tutte le mie speranze,in tutti i miei amori, nella mia vita,nella vita di mia madre,tu hai vissuto.Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa

ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo, e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommergeperché tu che appartieni a tutti,tu mi sei stato donato.E per paura che tu fugga viati tengo stretto nel mio cuore.Quale magia ha dunque affidato il tesorodel mondo nelle mie esili braccia.

Nessuno sa di dove viene il sonno che aleggia sugli occhi dei bambini? Si. Si dice che abiti laggiù, in un villaggio incantato, dove, tra le ombre d'una fitta foresta

fiocamente illuminata dalle lucciole, splendidi pendono due timidi fiori. Ecco di dove viene il sonno a baciare il sonno dei bambini. Nessuno sa dove nacque il sorriso che ondeggia sulle labbra dei bambini che dormono? Si, si dice che un giovane pallido raggio di luna crescente abbia sfiorato il lembo d'una leggera nuvola autunnale; e così, nel sogno di un mattino bagnato di rugiada, per la prima volta nacque il sorriso che ondeggia sulle labbra dei bambini che dormono. Nessuno sa dove a lungo nascose la dolce e tenera freschezza che fiorisce sulle membra dei bambini? Si. Quando la madre era ancor giovinetta, la portava nel cuore colmo del mistero delicato e silenzioso dell'amore: là sbocciò la dolce e tenera freschezza che fiorisce sulle membra dei bambini.

Giuseppe Ungaretti scrisse prevalentemente poesie di guerra in cui esprime il dolore per la convivenza con la violenza, la distruzione, la morte e l’odio. Nella poesia “La madre”, il poeta ricorda la figura di sua madre, donna umile e forte che diventa il simbolo della pietà materna e conduce il figlio morto davanti a Dio perché venga perdonato e possa essere redento.

La madre

E il cuore quando d'un ultimo battitoavrà fatto cadere il muro d'ombra

per condurmi, Madre, sino al Signore,come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,Sarai una statua davanti all'eterno,

come già ti vedevaquando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.E solo quando m'avrà perdonato,ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto, e avrai negli occhi un rapido sospiro

Salvatore Quasimodo soffrì sempre di nostalgia per la sua Sicilia che abbandonò fanciullo e per sua madre che viveva sola e lontana. Ed allora le dedica una poesia in cui la ringrazia per avergli donato l’ironia che lo salvò da pianti e dolori

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,il Naviglio urta confusamente sulle dighe,

gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;non sono triste nel Nord: non sono

in pace con me, ma non aspettoperdono da nessuno, molti mi devono lacrime

da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivicome tutte le madri dei poeti, povera

e giusta nella misura d'amoreper i figli lontani. Oggi sono io

che ti scrivo.» - Finalmente, dirai, due paroledi quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto

e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuorelo uccideranno un giorno in qualche luogo. -

«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalodi treni lenti che portavano mandorle e arance,

alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,questo voglio, dell'ironia che hai messo

sul mio labbro, mite come la tua.Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.E non importa se ora ho qualche lacrima per te,

per tutti quelli che come te aspettano,e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,

non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il murotutta la mia infanzia è passata sullo smalto

del suo quadrante, su quei fiori dipinti:non toccare le mani, il cuore dei vecchi.

Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.»

Penso che sia giusto non dimenticare i padri, anche se la loro festa è già passata e ricordare anche qualche splendida poesia dedicata a loro.

Sempre di Salvatore Quasimodo ricordiamo la poesia che scrisse per rendere omaggio a suo padre (Baciamu le mani), omaggio che non seppe o non volle fare in passato. Per ricordare la grandezza di suo padre, lo ricorda durante la catastrofe che distrusse Messina: la sua figura possente e delicata risalta tra le macerie e i morti e toglie la paura.

Baciamu le mani

Dove sull’acque violaera Messina, tra fili spezzatie macerie tu vai lungo i binarie scambi col tuo berretto di galloisolano. Il terremoto ribolleda tre giorni, è dicembre d’uraganie mare avvelenato. Le nostre notti cadononei carri merci e noi bestiame infantilecontiamo sogni polverosi con i mortisfondati dai ferri, mordendo mandorlee mele disseccate a ghirlanda. La scienzadel dolore mise verità e lamenei ginocchi dei bassopiani di malariagialla e terzana gonfia di fango.La tua pazienzatriste, delicata, ci rubò la paura,fu lezione di giorni uniti alla mortetradita, al vilipendio dei ladronipresi fra i rottami e giustiziati al buiodalla fucileria degli sbarchi, un contodi numeri bassi che tornava esattoconcentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giùnel poco spazio che sempre ti hanno dato.Anche a me misurarono ogni cosa,e ho portato il tuo nomeun po’ più in là dell’odio e dell’invidia.Quel rosso sul tuo capo era una mitria,una corona con le ali d’aquila.E ora nell’aquila dei tuoi novant’anniho voluto parlare con te, coi tuoi segnalidi partenza colorati dalla lanternanotturna, e qui da una ruotaimperfetta del mondo,su una piena di muri serrati,lontano dai gelsomini d’Arabiadove ancora tu sei, per dirticiò che non potevo un tempo – difficile affinitàdi pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solocicale del biviere, agavi lentischi,come il campiere dice al suo padrone:«Baciamu le mani». Questo, non altro.Oscuramente forte è la vita.

Edgar Lee Masters è il cantore della morte, colui che crea un immaginario villaggio di morti su una collina vicino allo Spoon River. Essi vivono oltre la morte perché vengono ricordati attraverso degli epitaffi che raccontano la loro vita. Tra le lapidi c’è anche quella di un ragazzo imprudente che è morto travolto da una locomotiva il giorno in cui marinò la scuola. Nel suo epitaffio c’è un ringraziamento al padre che ha fatto scrivere sulla sua lapide “strappato al male a venire”, cioè alla probabile cattiva vita che egli avrebbe vissuto se la morte non avesse troncato le sue azioni sconsiderate.

Johnnie Sayre

Babbo, non potrai mai sapere quanta angoscia mi strinse il cuore,

per la mia disubbidienza, quando sentii la ruota spietata della locomotiva

mordermi nella carne viva della gamba. Mentre mi portavano dalla vedova Morris

vidi ancora nella valle la scuola che marinavo per salire di nascosto sui treni.

Pregai di vivere finché potessi chiederti perdono �e poi le tue lacrime, le tue rotte parole di conforto! Dal sollievo di quell’ora mi venne felicità infinita.

Tu fosti saggio a far scolpire per me:� Strappato al male a venire� .

In questo cantare i sentimenti per le persone care ne ho scelte altre dedicate ai figli , alla moglie, al marito, agli amici….

SUI FIGLI

E una donna che reggeva un bambino al seno disse:Parlaci dei Figli.E lui disse:I vostri figli non sono figli vostri.Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,E benché vivano con voi non vi appartengono.

Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:Essi hanno i loro pensieri.Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.Potete tentare di essere simili a loro, ma non farvi simili a voi:La vita procede e non s'attarda sul passato.Voi site gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.Affidatevi con gioia alla mano dell'Arciere;Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell'arco. Kahil Gibran

Prima di tutto l'uomo (ultima lettera al figlio)Non vivere su questa terra

come un estraneoe come un vagabondo sognatore.

Vivi in questo mondocome nella casa di tuo padre:

credi al grano, alla terra, al mare,ma prima di tutto credi all'uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri,ma prima di tutto ama l'uomo.

Senti la tristezza del ramo che secca,dell'astro che si spegne,

dell'animale ferito che rantola,ma prima di tutto senti la tristezza

e il dolore dell'uomo.

Ti diano gioiatutti i beni della terra:

l'ombra e la luce ti diano gioia,le quattro stagioni ti diano gioia,

ma soprattutto, a piene mani, ti dia gioia l'uomo! Kihmet

ALLA VITALa vita non è uno scherzo.

Prendila sul serio come fa lo scoiattolo,ad esempio, senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là.

Non avrai altro da fare che vivere.La vita non è uno scherzo.

Prendila sul serio ma sul serio a tal puntoche messo contro il muro,

ad esempio, le mani legate o dentro un laboratorio

col camice bianco e grandi occhiali,tu muoia affinché vivano gli altri uomini

gli uomini di cui non conoscerai la faccia,e morrai sapendo che nulla è più bello,

più povero della vita.Prendila sul serio ma sul serio a tal punto

che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivinon perché restino ai tuoi figli ma perché non crederai

alla morte, pur temendola,e la vita peserà di più sulla bilancia.

HIKMET

Eugenio Montale, poeta ermetico per eccellenza non trova nella poesia risposte o certezze perché travolto da quel male di vivere che lo spinge ad analizzare la vita in modo negativo. Nella poesia che dedica alla moglie usa un linguaggio semplice quasi colloquiale ma carico di simbolismi. Prudente ed accorta la

moglie condivideva con lui le difficoltà del viaggio della vita ma era lei, con le sue pupille offuscate a fargli vedere con gli occhi dell’anima il senso

profondo del reale.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vedeHo sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

Sarah Brown è un altro dei magnifici personaggi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Sulla sua lapide rivela il suo amore per il marito e per l’amante che amò con pari intensità. Misteri dell’amore! Chiede perdono ma è contenta perché ha raggiunto la pace in cielo dove esiste solo l’Amore.

MAURIZIO NON PIANGERE, NON SONO QUI SOTTO IL PINO

L’ARIA PROFUMATA DELLA PRIMAVERA BISBIGLIA NELL’ERBA DOLCE,LE STELLE SCINTILLANO,LA CIVETTA CHIAMA,MA TU TI AFFLIGGI, E LA MIA ANIMA SI ESTASIA

NEL NIRVANA BEATO DELLA LUCE ETERNA!VA’DAL CUORE BUONO DI MIO MARITO,

CHE MEDITA SU CIO’ CHE LUI CHIAMA LA NOSTRA COLPA D’AMORE:-DIGLI CHE IL MIO AMORE PER TE, E COSI’ IL MIO AMORE PER LUI,HANNO FOGGIATO

IL MIO DESTINO- CHE ATTRAVERSO LA CARNE RAGGIUNSI LO SPIRITO EATTRAVERSO LO SPIRITO LA PACE.

NON CI SONO MATRIMONI IN CIELO,MA C’E’ L’AMORE.

Sull'amicizia

E un ragazzo disse: Parlaci dell’Amicizia

...E lui rispose dicendo:Il vostro amico è il vostro bisogno saziato. È il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.

È la vostra mensa e il vostro focolare.Poiché, affamati, vi rifugiate in lui

e lo ricercate per la vostra pace.Quando l’amico vi confida il suo pensiero,

non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.E quando tace, il vostro cuore

non smetta di ascoltare il suo cuore.Nell’amicizia ogni pensiero, ogni desiderio,

ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.

Quando vi separate dall’amico, non rattristatevi.La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate,

come allo scalatore la montagna è più chiara dalla pianura.E non vi sia nell’amicizia altro scopo che l’approfondimento dello spirito.

Poiché l’amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore,

ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.

E il meglio di voi sia per l’amico vostro.Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea,

fate che ne conosca anche la piena.Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?

Cercatelo sempre nelle ore di vita.Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.

E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell’amicizia.Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.

Gibran

Ritengo giusto ricordare anche gli anziani, coloro che si stanno allontanando da quel gran dono che è la giovinezza e verso i quali dobbiamo tutto il nostro rispetto ( in effetti mi sto avvicinando a questa realtà anche anagraficamente).Ho scelto i testi di due stupende canzoni di Renato Zero e di Claudio Baglioni , che reputo siano, oltre che cantanti, dei veri e propri poeti.

Nei giardini che nessuno sa vostro amico è i vostri bisogni esauditi.

È il vostro campo, che seminate con amore e che mSenti quella pelle ruvida,un gran freddo dentro l'anima,fa fatica anche una lacrima a scendere giù.Troppe attese dietro l'angolo,gioie che non ti appartengono.Questo tempo inconciliabile, gioca contro di te.Ecco come si finisce poi,inchiodati a una finestra noi,spettatori malinconici,di felicità impossibili...Tanti viaggi rimandati e già,valigie vuote da un'eternità...Quel dolore che non sai cos'è,solo lui non ti abbandonerà mai, oh mai!E' un rifugio quel malessere,troppa fretta in quel tuo crescere.Non si fanno più miracoli,adesso non più.Non dar retta a quelle bambole.Non toccare quelle pillole.Quella suora ha un bel carattere,ci sa fare con le anime.

Ti darei gli occhi miei.per vedere ciò che non vedi.L'energia, l'allegria,per strapparti ancora sorrisi.Dirti sì, sempre sì,e riuscire a farti volare,dove vuoi, dove sai,senza più quel peso sul cuore.Nasconderti le nuvolee quell'inverno che ti fa male.Curarti le ferite e poi,qualche dente in più per mangiare.E poi vederti ridere,e poi vederti correre ancora.Dimentica, c'è chi dimenticadistrattamente un fiore una domenicae poi... silenzi. E poi... silenzi.Silenzi...Nei giardini che nessuno sasi respira l'inutilità,c'è rispetto e grande pulizia,è quasi follia.Non sai come è bello stringerti, ritrovarsi qui a difenderti,e vestirti e pettinarti sì,

e sussurrarti non arrenderti.Nei giardini che nessuno sa,quanta vita si trascina qua,solo acciacchi, piccole anemie.Siamo niente senza fantasie.Sorreggili, aiutali,ti prego non lasciarli cadere.Esili, fragili,non negargli un po' del tuo amore.Stelle che ora tacciono,ma daranno un senso a quel cielo.Gli uomini non brillano,se non sono stelle anche loro.Mani che ora tremano,perché il vento soffia più forte...non lasciarli adesso no,che non li sorprenda la morte.Siamo noi gli inabili,che pure a volte non diamo. Dimentica, c'è chi dimentica,distrattamente un fiore una domenicae poi... silenzi. E poi... silenzi. Silenzi Renato Zero

I vecchi

I vecchi sulle panchine dei giardinisucchiano fili d'aria e un vento di ricordiil segno del cappello sulle teste da pulcini i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi i vecchi che si addannano alle bocce mattine lucide di festa che si può dormire gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce per una malattia difficile da dire i vecchi tosse secca che non dormono di notte seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza

si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte i vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza i vecchi un po' contadini che nel cielo sperano e temono il cielo voci bruciate dal fumo dai grappini di un'osteria i vecchi vecchie canaglie sempre pieni di sputi e consigli i vecchi senza più figlie questi figli che non chiamano mai i vecchi che portano il mangiare per i gatti

e come i gatti frugano tra i rifiuti le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da matti i vecchi che non sono mai cresciuti i vecchi anima bianca di calce in controluce occhi annacquati dalla pioggia della vita i vecchi soli come i pali della luce e dover vivere fino alla morte che fatica i vecchi cuori di pezza un vecchio cane e una pena al guinzaglio confusi inciampano di tenerezza e brontolando se ne vanno via i vecchi invecchiano piano con una piccola busta della spesa quelli che tornano in chiesa lasciano fuori bestemmie e fanno pace con Dio

i vecchi povere stelle i vecchi povere patte sbottonate guance da spose arrossate di mal di cuore e dinostalgia i vecchi sempre tra i piedi chiusi in cucina se viene qualcuno i vecchi che non li vuole nessuno i vecchi da buttare via ma i vecchi, i vecchi, se avessi un'auto da caricarne tanti mi piacerebbe un giorno portarli al mare arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio tutti quanti sedia sediola... oggi si vola... e attenti a non sudare Claudio Baglioni