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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO Sir András Schiff pianoforte Ciclo Bach, Bartók, Janác ˇ ek, Schumann - I Bach - Invenzioni a due voci BWV 772 - 776 Bartók - Dieci pezzi dal ciclo “Per i bambini” BB 53 Sz 42 Bach - Invenzioni a due voci BWV 777 - 781 Bartók - Tre rondò su melodie popolari BB 92 Sz 84 Bach - Invenzioni a due voci BWV 782 - 786 Bartók - Tre burlesque BB 55 Sz 47 Janác ˇek - Su un sentiero di rovi Schumann - Davidsbündlertänze op. 6 8 Martedì 10 gennaio 2017, ore 20.30

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Sala Verdi del ConSerVatorio

Sir András Schiff pianoforte

Ciclo Bach, Bartók, Janácek, Schumann - IBach - Invenzioni a due voci BWV 772 - 776Bartók - Dieci pezzi dal ciclo “Per i bambini” BB 53 Sz 42Bach - Invenzioni a due voci BWV 777 - 781Bartók - Tre rondò su melodie popolari BB 92 Sz 84Bach - Invenzioni a due voci BWV 782 - 786Bartók - Tre burlesque BB 55 Sz 47

Janácek - Su un sentiero di roviSchumann - Davidsbündlertänze op. 6

8Martedì 10 gennaio 2017, ore 20.30

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Di turnoFrancesca Moncada traxler Marco Magnifico Fracaro

Consulente artisticoPaolo arcà

Con il contributo e il patrocinio di

5 minuti prima di ascoltare: Oreste Bossini

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Johann Sebastian Bach(eisenach 1685 - lipsia 1750)

invenzioni a due voci (1720-23) (ca. 9’)

1. do maggiore BWV 772 2. do minore BWV 773 3. re maggiore BWV 774 4. re minore BWV 775 5. mi bemolle maggiore 776

Béla Bartók(nagyszentmiklós 1881 - new York 1945)

10 pezzi da Gyermekeknek (Per i bambini) BB 53 Sz 42 (1908-09, rev. 1944) (ca. 10’)

Johann Sebastian Bach

invenzioni a due voci (ca. 10’)

6. mi maggiore BWV 777 7. mi minore BWV 778 8. fa maggiore BWV 779 9. fa minore BWV 780 10. sol maggiore BWV 781

Béla Bartók

tre rondò su melodie popolari slovacche BB 92 Sz 84 (1916-1927) (ca. 9’)

I. Andante – Allegro molto II. Vivacissimo – Allegro non troppo – Allegro assai III. Allegro molto – Molto tranquillo

Johann Sebastian Bach

invenzioni a due voci (ca. 10’)

11. sol minore BWV 782 12. la maggiore BWV 783 13. la minore BWV 784 14. si bemolle maggiore BWV 785 15. si minore BWV 786

Béla Bartók

tre burlesque BB 55 Sz 47 (1908-1911) (ca. 10’)

1. (civakodás...) Presto 2. (részegen...) Allegretto 3. Molto vivo, capriccioso

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L’idea di accostare le Invenzioni a due voci di Bach e una serie di lavori per pianoforte di Bartók nasce da un’affinità d’idee profonda tra i due autori sul rap-porto tra creatività e didattica. In primo luogo è necessario sottolineare come sia Bach, sia Bartók siano stati dei grandi esecutori e abbiano mantenuto vivo fino all’ultimo un rapporto pratico con la musica. Tra i compiti di un buon strumenti-sta figura quasi sempre anche la trasmissione dei segreti della propria arte, che per Bach e per Bartók ha significato soprattutto svolgere un’importante attività pedagogica. Le 15 Invenzioni a due voci appartengono infatti al novero delle musiche scritte a scopi didattici. Il lavoro risale al periodo di Cöthen, dove Bach aveva l’incarico di dirigere la musica di corte del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Malgrado la notevole quantità di musica strumentale scritta e copiata in questi anni, tra il 1717 e il 1723, Bach trovò il tempo e le energie per mantene-re viva anche la tradizione di comporre musiche per gli allievi, che formavano la loro sensibilità tecnica ed espressiva in primo luogo sulla conoscenza degli stru-menti a tastiera. Bach profuse la parte migliore della sua fantasia didattica per un allievo in particolare, il primogenito Wilhelm Friedrich. Il giovane, destinato a seguire la carriera musicale del padre, poteva contare su strumenti didattici fuori dal comune, come il Clavierbüchlein, alla lettera “libretto per la tastiera”, un lavoro nel quale sono raccolte alcune delle musiche divenute nei secoli suc-cessivi i pilastri di ogni educazione musicale, come il Libro I del Clavicembalo ben temperato e appunto le 15 Invenzioni a due voci e le 15 Sinfonie a tre voci. Il manoscritto più antico, oggi conservato nella biblioteca della Yale University a New Haven, reca la data del 1720. I fini didattici della raccolta vennero espres-si chiaramente da Bach nella prefazione di uno degli autografi successivi, che recita: “un metodo chiaro per arrivare a suonare propriamente a due voci, poi, dopo aver progredito, a eseguire correttamente tre parti obbligate...”. Le Invenzioni sono organizzate secondo il principio canonico del circolo delle tonalità, alternate tra maggiori e minori, evitando tuttavia quelle più difficili e meno usate nel temperamento equabile. La scrittura di Bach sfrutta con magi-strale abilità tutte le procedure tecniche del linguaggio contrappuntistico, come la fuga, il canone, l’imitazione. Allo stesso tempo le Invenzioni a due voci, ben-ché limitate nei mezzi, rivelano un ampio ventaglio di forme espressive, passan-do da un carattere all’altro con inesauribile fantasia. Il principio monotematico regna un po’ su tutta la raccolta, a partire ovviamente dalla Invenzione I in do maggiore, costruita su un motivo onnipresente, in forma regolare o invertita, suonato dalla mano destra. L’unica forma bipartita presente nella raccolta è l’In-venzione VI in mi maggiore, una superba oasi lirica che unisce in un’elegante combinazione delle due mani la scrittura diatonica e quella cromatica. Il mor-dente, elemento specifico di questa Invenzione, viene ripreso anche nell’Inven-zione VII in mi minore, ma innestato in una scrittura di carattere espressivo completamente differente. Un’altra coppia interessante è formata dalle Inven-zioni X e XI, rispettivamente in sol maggiore e sol minore, che presentano due tipi di fuga differenti. La prima è fortemente tematica, con il controsoggetto

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derivato dal tema della fuga, mentre la seconda, una doppia fuga in miniatura, contrappone in maniera emotiva i due soggetti.

Il primo grande ciclo didattico di Bartók invece reca un titolo inequivocabile, Gyermekeknek, Per i bambini. Si tratta di una raccolta di piccoli pezzi, quasi tutti di durata inferiore al minuto, scritti tra il 1908 e il 1909, un periodo nel qua-le Bartók sembra animato da un desiderio profondo di rinnovare la letteratura didattica per il pianoforte, come dimostrano anche la coeva raccolta dei 10 Pezzi facili e anche le 14 Bagatelle, lodate come “veramente nuove” niente meno che da Ferruccio Busoni. Questa marcata vena pedagogica era probabilmente la re-azione di Bartók alla cattedra di pianoforte, che l’Accademia di Budapest aveva deciso di assegnare al giovane e brillante pianista nel 1907.Erano però anche gli anni della scoperta della musica contadina, conosciuta gra-zie alle esplorazioni e alle ricerche sul campo compiute in Ungheria e in altre regioni dell’Impero assieme all’amico Zoltán Kodály. I due artisti, rimasti legati per tutta la vita, frequentavano il salotto di una eccezionale figura della vivace Budapest dei primi anni del Novecento, Emma Gruber, che nel 1910 sposerà in seconde nozze Kodály pur essendo più anziana di circa vent’anni. La musica rurale rivela a Bartók un mondo completamente nuovo, che si esprime con un linguaggio melodico, armonico e ritmico radicalmente diverso da quello della tradizione classica. Da questo sterminato patrimonio Bartók prende lo spunto per creare uno stile originale e moderno, che man mano si distingue in maniera sempre più netta dalle tendenze neoclassiche e post-espressioniste dominanti nei Paesi occidentali. I primi segni di questa ricerca si possono rintracciare già nelle forme frammentarie di Per i bambini, ma diventano del tutto evidenti in lavori come i Tre rondò su melodie popolari slovacche BB 92. Il primo fu scritto a ridosso delle ricerche svolte nelle regioni di lingua slovacca tra il 1914 e il 1916, mentre gli altri due risalgono al 1927. Sono uno degli ultimi lavori per pianoforte solo di Bartók, che nei dieci anni successivi si dedicherà solo a un nuovo, vasto ciclo didattico come Mikrokosmos. Il salto stilistico dal primo Rondò agli altri due è percepibile, anche se nell’insieme il lavoro mantiene un profilo unitario. Le Tre burlesque BB 55 invece mettono in luce la fase descrittiva del giovane Bartók, che in queste pagine più virtuosistiche cerca di schizzare sul pianoforte dei bozzetti di carattere scherzoso. In realtà la musica non ha intenzione di illu-strare in senso stretto la scenetta indicata dal titolo, che peraltro è solo una de-finizione messa tra parentesi sull’esempio dei Préludes di Debussy. La scrittura si limita a evocare l’impressione lasciata da immagini come quella della zuffa o dell’ubriaco, inserite all’interno di una forma semplice. L’ultimo, privo di titolo, è il Burleszk forse più interessante, per l’audace paesaggio armonico disegnato attraverso grumi di dissonanze e un uso quasi materico del suono, che conferi-scono al pianoforte nuovi mezzi espressivi.

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Leos Janácek(Hukvaldy 1854 - ostrava 1928)

Po zarostlém chodnicku (Su un sentiero di rovi) libro i (1900–1911) (ca. 30’)

1. Nase vecery (Le nostre sere) Moderato 2. Listek odvanuty (Una foglia sof-fiata) Andante 3. Pojdte s námi! (Vieni con noi!) Andante 4. Frydecká Panna Maria (La Vergine Maria di Frydek) Grave 5. Stebetaly jak lastovicky (Cin-guettano come rondini) Con moto 6. Nelze domluvit (Mi manca la parola) Andante 7. Dobrou noc (Buona notte) Andante 8. Tak neskonale uzko (Ansia indicibile) Andante 9. V pláci (In lacrime) Larghetto 10. Sycek neodletel (La civetta continua a gridare) Andante

Alla soglia dei 50 anni, nel 1904, Janácek era ancora un musicista relegato in una posizione marginale. La sua musica era a malapena conosciuta, come dimo-stra la smilza voce a lui dedicata nell’ampio volume sull’opera ceca pubblicata dai fratelli Horn a Praga nel 1903. La sua produzione era limitata a un numero ristretto di lavori e il suo nome era in pratica quasi sconosciuto al di fuori della realtà locale di Brno, capitale della Moravia, una delle numerose regioni del va-sto territorio dell’Impero austro-ungarico. In quest’ambito provinciale tuttavia Janácek occupava una posizione preminente, in quanto ispiratore e direttore della Scuola d’organo, divenuta in seguito, dopo la Guerra, il Conservatorio cit-tadino. Janácek era considerato piuttosto come uno studioso del folklore mora-vo. I suoi lavori più noti, in effetti, erano le raccolte di canti popolari, frutto di una ricerca pioneristica nelle campagne della Moravia portata avanti in colla-borazione con il collega Frantisek Bartos. Festeggiando il mezzo secolo di vita, dunque, Janácek poteva rallegrarsi di aver conquistato una solida reputazione, ma non certo di aver raggiunto lo status di compositore di successo.Tra i pochi lavori pubblicati fino a quel momento figuravano alcuni pezzi per harmonium, cinque in tutto, scritti per una collezione di “melodie slovacche” attorno al 1900, con il titolo Su un sentiero di rovi. Era il nucleo originario del primo ciclo per pianoforte di Janácek, che riprese l’idea nel 1908 grazie alle ri-chieste del critico musicale Jan Branberger per una nuova iniziativa editoriale. La raccolta venne pubblicata solo nel 1911, con l’aggiunta di altri cinque numeri e qualche piccolo aggiustamento tecnico per passare dalla tastiera dell’harmo-nium a quella del pianoforte. Il titolo risaliva alla vecchia collezione di melodie slovacche, malgrado in origine i singoli pezzi fossero privi di qualsiasi altro rife-rimento. Nel 1911 invece ciascun lavoro esprimeva con un titolo una sensazione poetica e descrittiva, formando così una sorta di variegato programma musicale. Oltre a queste dieci miniature, il manoscritto autografo conteneva però anche altri cinque pezzi, che Janácek aveva deciso di eliminare dalla raccolta. Solo al momento dell’edizione critica del 1978 questi cinque pezzi, privi di titolo, venne-ro pubblicati come “seconda serie”.

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Decifrare il programma poetico del lavoro è problematico, malgrado sia pos-sibile rintracciare alcuni riferimenti a fatti e persone della vita di Janácek. In realtà è più interessante mettere in luce la profonda originalità di questa mu-sica, in proporzione inversa alla modestia dei mezzi e delle ambizioni di una simile raccolta. Colpisce per esempio fin dal primo numero, Le nostre sere, il contrasto sproporzionato tra la quieta melodia popolare dell’inizio e l’improv-visa aggressività delle quartine di semicrome nella parte centrale. Questi due elementi trovano però una sintesi nel rappacificante finale. In maniera analoga, in tutte le pagine del fascicolo si coglie un carattere eccentrico e anticonformi-sta, dissimulato sotto le vesti del bozzetto lirico. Il linguaggio strumentale di Janácek, in armonia con le sue ricerche nel campo della musica vocale, tende a esprimere una sorta di naturalismo, imitando in forma realistica e asciutta il canto degli uccelli, come avviene nella Civetta continua a gridare, piuttosto che il passaggio di una processione, come nella Vergine di Frydek. Il naturalismo di Janácek tuttavia ha un significato diverso dal verismo di scuola italiana, che il compositore guardava con molto interesse. La mimesi del fenomeno sonoro ha un segno soprattutto poetico, come esperienza personale rivissuta attraverso la musica, molto lontana dal carattere etico ed estetizzante del realismo artistico di fine Ottocento.

Robert Schumann (Zwickau 1810 - endenich 1856)

davidsbündlertänze op. 6 (1837) (ca. 30’)

I. Lebhaft II. Innig III. Mit Humor IV. Ungeduldig V. Einfach VI. Sehr rasch VII. Nicht schnell VIII. Frisch IX. Lebhaft X. Balladenmäßig - Sehr rasch XI. Einfach XII. Mit Humor XIII. Wild und lustig XIV. Zart und singend XV. Frisch XVI. Mit gutem Humor XVII. Wie aus Ferne XVIII. Nicht schnell

«Certamente è possibile che nella mia musica sia racchiuso molto della lotta che mi è costata Clara e certamente lo comprenderete anche voi – scriveva Schu-mann il 5 settembre 1839, un anno prima del contrastato matrimonio con Cla-ra – Quasi soltanto lei ha suscitato il Concerto [sans orchestre], la Sonata, le Davidsbundlertänze, i Kreisleriana e le Novelletten». I legami tra la relazione con Clara e la maggior parte dei lavori della seconda metà degli anni Trenta mettono in luce quanto fosse stretto il rapporto tra arte e vita in un musicista come Schumann. La presenza di Clara del resto è implicita fin dalle prime bat-tute della partitura. La figura danzante della mano sinistra con cui si apre il lavoro infatti è indicata come “Motto von C.W.”, Clara Wieck. Inoltre, la prima versione reca un’iscrizione che recita: «Gioia e dolore sono indissolubilmente legati in ogni tempo; resta pio nella gioia e preparati al dolore con coraggio».

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Il riferimento implicito era alle altalenanti vicende del fidanzamento con Clara, ferocemente osteggiato dal suocero. Le danze dunque formavano un labirinto di sentimenti contrastanti, di riferimenti autobiografici e letterari, una vario-pinta galleria di stati d’animo. Schumann stesso si rendeva conto del carattere per così dire esoterico del lavoro, tanto che alcuni anni dopo, nel 1842, scrive all’editore Hofmeister per sollecitare una nuova edizione, che potesse incontra-re il favore anche della “cerchia di dilettanti”: «Invece del mistico titolo [Da-vidsbundlertänze], o sotto di esso, in un nuovo foglio, si dovrebbe mettere forse “Zwölf [sic] Charakterstücke”». L’idea prese corpo però solo molti anni dopo, quando tra il 1850 e il 1853 Schumann rimaneggiò la maggior parte dei suoi lavori pianistici degli anni Trenta, in misura più o meno consistente. Il nuovo titolo fu dunque Davidsbündler. Achtzehn Charakterstücke, come anticipato a Hofmeister. Sparirono anche i versi del frontespizio, così come i riferimenti a Florestano e Eusebio, le due figure immaginarie dietro cui Schumann masche-rava i lati contrastanti della sua personalità, quella eroica e quella melanconica. Inoltre vennero aggiunti alcuni ritornelli, per aiutare il pubblico e i “dilettanti” a maneggiare i bruschi cambiamenti d’umore della scrittura. Che la sequenza dei brani fosse immaginata come una sorta di montaggio di scene frammentarie, sulla falsariga dei romanzi di Jean Paul, risulta evidente da alcune didascalie di stampo letterario, anch’esse eliminate nella seconda edizione, come quella che accompagna il n. 9, “Dopodiché Florestano terminò e gli tremavano le labbra per il dolore”. Ancor più significativa è quella che accompagna l’ultimo numero, in chiusura del ciclo, “In modo del tutto superfluo, Eusebio aggiunge quanto se-gue ma i suoi occhi emanano una strana beatitudine”. In generale questo lavoro, composto di getto in uno stato di eccitazione artistica quasi febbrile, manifesta in maniera sublime l’ardente impeto espressivo del giovane Schumann, che tra-sfigura il pianoforte in un teatro visionario per rappresentare in forma poetica le gioie e i tormenti della sua vita interiore.

Oreste Bossini

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Oblii e riscoperte: corsi e ricorsi della storia della musica

I differenti destini e la storia della ricezione dei quattro compositori presenti in questo programma mostrano quanto altalenante e spesso tardivo sia stato il riconoscimento verso alcuni grandi protagonisti della storia della musica. Em-blematico è il caso di Johann Sebastian Bach, il cui talento fu apprezzato in vita, ma le cui opere furono a lungo dimenticate dopo la morte. Solo nell’Ottocen-to ebbe inizio la cosiddetta Bach-Renaissance, che riscoprì e rivalorizzò tutta la produzione del sommo Maestro. Punto di partenza fu la costituzione della Bach-Gesellschaft (Società Bach, Lipsia, 1850) sorta per volontà, tra gli altri, di Schumann e Liszt (Brahms si aggiunse in seguito nel 1881). L’obiettivo, portato a temine nel 1899, era quello di pubblicare tutte le opere del compositore di Eisenach e il lavoro editoriale spettò alla casa editrice Breitkopf&Härtel. Sem-pre a Lipsia fu fondata il 27 gennaio del 1900 la Neue Bach-Gesellschaft, il cui compito era quello di approfondire la storia e il contesto della musica bachiana, nonché di valorizzarla in sede esecutiva. Dopo l’interruzione rappresentata dal secondo conflitto mondiale, una tappa decisiva fu nel 1950 la pubblicazione da parte di Breitkopf&Härtel del catalogo tematico bachiano curato da Wolfgang Schmieder, ideatore della nota sigla BWV (Bach Werke Verzeichnis) tuttora in uso per identificare le composizioni bachiane. Infine tra il 1954 e il 2007 furono editi i 96 volumi della nuova Opera omnia (Neue Bach-Ausgabe) che ha sostitui-to quella realizzata dalla Bach-Gesellschaft nel secolo precedente.Per molto tempo si sono nutriti pregiudizi sulla scrittura orchestrale di Robert Schumann. Già all’epoca il celebre teorico Hanslick e Brahms avevano espresso perplessità sulla strumentazione delle sue sinfonie e non si contano i “migliora-menti” apportati da molti direttori d’orchestra, tra i quali Nikisch, Weingartner, Mahler. Quest’ultimo curò una revisione delle sinfonie di Schumann, con centi-naia di “correzioni”, ancora di recente preferita da alcuni interpreti (Celibida-che, Chailly) mentre altri rimangono fedeli all’originale (Bernstein, Abbado). Tardivo fu anche il riconoscimento verso parte della sua ultima produzione; la critica musicale tedesca del tempo fu infatti molto severa con molti di questi brani e Liszt riteneva che l’autore non fosse a suo agio con le grandi forme. Em-blematico è il caso del Concerto per violino, composto a Düsseldorf tra il 21 set-tembre e il 3 ottobre 1853 su sollecitazione del celebre violinista József Joachim. L’intenzione di Schumann era di inserirlo nella programmazione dei concerti del Festival della Bassa Renania dove era direttore, ma i contrasti con l’orchestra lo costrinsero a dimettersi e a rinunciare all’esecuzione di quest’opera. D’al-tronde lo stesso Joachim criticò alcune imperfezioni della parte violinistica e perplessità ebbero Clara e Brahms che non lo inserirono nell’Opera omnia del compositore. Il concerto rimase ineseguito fino al 27 novembre 1937, quando fu “riscoperto” per ragioni politiche nella Germania nazista, per “sostituire” il celeberrimo concerto per violino dell’ebreo Mendelssohn.

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Improvviso fu il successo raggiunto da Leóš Janácek a 61 anni grazie alla pre-mière praghese della sua terza opera, Jenufa, rappresentata il 26 maggio 1916 al Teatro Nazionale. Il 17 ottobre giunse a Praga per ascoltare l’opera Richard Strauss che ne rimase molto favorevolmente impressionato. Il capolavoro di Janácek era andato in scena la prima volta il 21 gennaio 1904 nella sala da ballo di un caffè di Brno con un’orchestra di soli 29 elementi. Nel corso delle repliche il numero dei musicisti scese a 18 a causa di licenziamenti e malattie. Perché l’o-pera fosse rappresentata a Praga il compositore dovette accettare le modifiche apportate alla partitura dal direttore d’orchestra Karel Kovarovic, la cui versio-ne è stata comunemente accettata fino alla fine del secolo scorso. In questa città per molti anni infatti il compositore moravo era stato visto come un musicista di periferia e la sua musica, così distante dai modelli del suo connazionale Sme-tana o di Wagner, era considerata strana ed eccentrica per via del suo profondo legame con il canto popolare e con il ritmo e la struttura della lingua ceca. Il consenso internazionale fu raggiunto finalmente grazie alla rappresentazione di Jenufa a Vienna del 16 febbraio 1918, in una versione tradotta in tedesco dallo scrittore Max Brod.La minaccia nazi-fascista che incombeva sull’Europa spinse l’ungherese Béla Bartók e sua moglie, la pianista Ditta Pásztory, a salpare il 20 ottobre 1940 alla volta degli Stati Uniti. Nonostante l’accoglienza americana fosse stata piutto-sto favorevole (la Columbia University lo assunse con l’incarico di ordinare e trascrivere una raccolta di canti popolari balcanici lì conservati), i cinque ultimi anni del compositore, morto a New York il 26 settembre 1945, furono tra i più tristi e difficili della sua vita. Egli non fu infatti capace di ambientarsi in un Paese così diverso dal suo, del quale non padroneggiava la lingua, e la situazio-ne fu peggiorata dal progressivo acuirsi della leucemia che ne avrebbe causato la morte. Le difficoltà economiche furono dovute principalmente al suo rifiu-to di impartire lezioni di composizione, motivato dalla sua convinzione che tale materia non potesse essere insegnata. D’altro lato anche l’attività concertistica intrapresa in duo con la moglie non ottenne il successo sperato. Infine il gusto neoclassico, diffusosi negli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta, era ben lon-tano dalla musica composta da Bartók sino a quel momento. Dopo un periodo di inattività, Bartók riprese a scrivere nell’agosto del 1943: allora egli si dedicò al Concerto per orchestra, commissionatogli da Sergei Koussevitzky, direttore della Boston Symphony Orchestra, ed eseguito per la prima volta il primo di-cembre di quell’anno con esito trionfale. Quest’opera, ben lontana dallo speri-mentalismo precedente, rappresenta uno dei vertici dell’ultima fase classicista del compositore ungherese e diffuse la sua fama negli Stati Uniti.

Lorenzo Paparazzo Diplomato di Musicologia del Conservatorio “G. Verdi” di Milano

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András Schiff pianoforte

Nato a Budapest nel 1953, András Schiff ha iniziato a studiare pianoforte a cinque anni con Elisabeth Vadász. Ha poi proseguito gli studi all’Accademia Liszt con Pál Kadosa, György Kurtág e Ferenc Rados e infine a Londra con George Malcolm. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali tra i quali la nomina a membro onorario del Beethoven-Haus di Bonn (2006), il Premio Abbiati (2007) e la medaglia della Wigmore Hall di Londra (2008). Nel 2011 ha meritato il Premio “Robert Schumann” e, nel 2012, la medaglia d’oro della Internationale Stiftung Mozarteum e la nomina a membro onorario del Wiener Konzerthaus e membro speciale del Balliol College di Oxford. È stato inoltre insignito della Croce al merito della Repubblica federale tedesca. Nel dicembre 2013 ha ricevuto la medaglia d’oro alla carriera della Royal Philharmonic Society; nel 2014 è stato insignito dalla Regina Elisabetta della onorificenza di KBE (Knight Commander of the Most Excellent Order of the British Empire, Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico) e ha ricevuto la laurea honoris causa dell’Università di Leeds.Ospite delle maggiori orchestre in tutto il mondo e dei maggiori festival, nel 1999 ha fondato una propria orchestra da camera, la “Cappella Andrea Barca” con la quale lavora, come con la Philharmonia Orchestra di Londra e la Chamber Orchestra of Europe, nel duplice ruolo di direttore e solista. Nel 1989 ha fondato il festival “Musiktage Mondsee” e, con Heinz Holliger nel 1995, i “Concerti di Pentecoste” di Ittingen in Svizzera. Dal 1998 anima a Vicenza una serie di concerti “Omaggio a Palladio”. “Artist in residence” per la stagione 2007/08 dei Berliner Philharmoniker, è stato “in residence” presso la nostra Società per l’esecuzione integrale delle Sonate di Beethoven nelle stagioni 2012/13 e 2013/14.Tra le sue incisioni ricordiamo l’integrale dei concerti di Beethoven con la Staatskapelle di Dresda e Bernhard Haitink e quella dei concerti di Bartók con la Budapest Festival Orchestra e Ivan Fisher. Nel 2012 ha meritato l’International Classic Music Award per l’incisione delle Geistervariationen di Schumann.Dal 2006 collabora con la casa editrice Henle al progetto di pubblicazione di tutti i Concerti per pianoforte di Mozart nella versione originale. Nel 2007 ha inoltre pubblicato un’edizione del Clavicembalo ben temperato di Bach.È professore onorario alle Musikhochschulen di Budapest, Detmold e Monaco di Baviera.È stato ospite della nostra Società nel 1988, 1993, 1998, 2000, 2006, 2007, 2008, 2009, due volte nel 2010, nel 2011, nelle stagioni 2012/2013 e 2013/2014 con i sei concerti dell’integrale beethoveniana, e nel 2016 in recital e in duo con la violinista Yuuko Shiokawa.

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Prossimo concerto:Martedì 17 gennaio 2017, ore 20.30Sala Verdi del ConservatorioSentieri selvaggiCarlo Boccadoro direttore

Sentieri selvaggi e Carlo Boccadoro, fondatore e direttore dell’ensemble, tornano al Quartetto con un nuovo progetto legato alla musica del nostro tempo. l’espressione va intesa sia in senso stretto, grazie a due nuovi lavori in prima esecuzione assoluta di Marco Quagliarini e Gabriele Cosmi, sia in senso più generale, con la presenza nel programma di maestri che hanno segnato in maniera diversa la musica dell’ultimo novecento come Pierre Boulez e Goffredo Petrassi. Per completare lo sguardo sulla generazione attuale, Boccadoro ha inserito nel programma anche musiche di Mauro Montalbetti e di lucio Gregoretti, oltre a uno dei suoi lavori più esplosivi e apprezzati, Bad Blood.

Società del Quartetto di Milano - via Durini 2420122 Milano - tel. 02.795.393www.quartettomilano.it - [email protected]