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SANT’ANNA NEWS Newsletter dell’Associazione Ex-Allievi Scuola Superiore S. Anna – Pisa www.sssup.it/exallievi Numero 33 settembre 2009 - semestrale Alessandro Pizzorusso (nella foto): un nome che ricorre nei titoli di un’in- tera galassia di pubblicazioni scientifi- che, un riferimento imprescindibile per gli studiosi, un giurista fra i più stima- ti e autorevoli. Sapevo già tutto questo quando mi ha ricevuto nello studio di casa sua, dove ho potuto ammirare una fantastica biblioteca, vera succur- sale privata del dipartimento di diritto pubblico. Dopo la piacevole intervista, ho avuto conferma anche del fatto che fosse una persona distinta, affabile e disponibile e mi rallegro che abbia ac- consentito a condividere con noi una parte del suo incredibile bagaglio di esperienze. Davide Ragone Professor Pizzorusso, come è nata la sua passione per il diritto e, in particolare, per il diritto co- stituzionale? Nonostante che io abbia dedica- to la maggior parte della mia vita allo studio e all’insegnamento (e solo una piccola parte di essa alla pratica) del diritto, non credo di avere nutrito per esso una partico- lare passione. Nel corso degli studi liceali la sola insegnante con la quale mi sia sempre sentito sulla stessa lunghezza d’onda è stata un’insegnante di matematica e fisi- ca, mentre la mia gioventù (non particolarmente felice, nonostante l’affetto sempre manifestatomi dai miei genitori) non è stata certa- mente orientata verso il diritto, la politica o i corrispondenti settori della filosofia. Che cosa, allora, ha influito sulla sua scelta di convogliare ver- so il diritto le energie di una vita? Ebbero peso gli eventi storici della sua infanzia e giovinezza? Quando Mussolini fece conse- gnare la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Francia e di Inghil- terra non avevo ancora dieci anni, ma già ero in grado di seguire le vi- cende belliche sulle cartine che i giornali riproducevano e, più tardi, di assistere al passaggio del fronte in Lucchesia e alle relative vicen- de. Nessun avvenimento partico- larmente drammatico colpì diretta- mente me o la mia famiglia, ma gli avvenimenti cui ebbi modo di assi- stere in quel periodo costituiscono tuttora per me un ricordo più forte di ogni altro. E, se immaginare che io stabilissi un rapporto fra la forte razionalità della matematica e quell’ordine della vita politica e so- ciale che il diritto dovrebbe realiz- zare sarebbe certamente un’opera- zione di pura fantasia, è certo che il bisogno di organizzare le cose e i rapporti con gli altri mi ha sempre sollecitato, nei giochi infantili co- me nella vita. Dire tuttavia che questo abbia influenzato la mia scelta della Facoltà di Giurispru- denza sarebbe altrettanto fantasio- so; molto più banalmente, tale scelta fu determinata dal fatto che mio padre era avvocato e pensavo che avrei potuto lavorare nel suo Numero 33 Per scansare la canicola estiva il n° 33 esce i primi di ottobre quan- do la lettura è favorita dai primi freschi autunnali. Perdonatemi l’incipit autocritico, ma l’aumento dei contributi, la loro diversa origi- ne e il sopraggiungere di eventi e notizie dell’ultima ora, rendono dif- ficile gestire con mano ferma i tem- pi di preparazione del giornale. Ciononostante, grazie al puntuale e fresco entusiasmo, ad esempio, di Davide Ragone (che ha prodotto un’altra bellissima intervista di pri- ma pagina, riuscendo anche a lau- rearsi in giurisprudenza a pieni vo- ti) il n° 33 non ha nulla da invidia- re ai precedenti. Anzi, il numero ri- spetta la “ricetta Satriano” secondo la quale gli articoli vanno distribui- ti armonicamente in diverse cate- gorie che riguardano la vita della Scuola, quella della Associazione e le realizzazioni professionali delle varie Classi. Poi un pizzico di “amarcord” con ricordi, testimo- nianze di Ex più o meno anziani, per non dimenticare le nostre radi- ci e per fornire un legame di conti- nuità tra le istituzioni originarie e la Scuola di oggi. Continuando, “pezzulli” vari – così li chiamava Satriano – come lo scritto di Paolo Breccia e le memorie di una vita di Anna Piccardi, insieme a pezzi di attualità come l’intervista a Zizola. Altri più mesti, per ricordare persone scomparse, come quello sul convegno ad un anno dalla scom- parsa di Mauro Gallevi, e quello in ricordo di Paolo Santoni. Infine, le rubriche di rito come ad esempio le recensioni di libri. Insomma, anche questa volta il Sant’Anna News offre un menù abbastanza completo. Spero sia di vostro gradimento e vi faccia per- donare il suo ritardo. bg “La Costituzione è un’ultima trincea, va difesa ad ogni costo” Intervista ad Alessandro Pizzorusso. A cura di Davide Ragone* (Continua a pag. 6) Il giornale è scaricabile in formato Pdf a partire dalla pagina: www.sssup.it/santannanews

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SANT’ANNA NEWSNewsletter dell’Associazione Ex-Allievi Scuola Superiore S. Anna – Pisa

www.sssup.it/exallieviNumero 33 • settembre 2009 - semestrale

Alessandro Pizzorusso (nella foto):un nome che ricorre nei titoli di un’in-tera galassia di pubblicazioni scientifi-che, un riferimento imprescindibile pergli studiosi, un giurista fra i più stima-ti e autorevoli. Sapevo già tutto questoquando mi ha ricevuto nello studio dicasa sua, dove ho potuto ammirareuna fantastica biblioteca, vera succur-sale privata del dipartimento di dirittopubblico. Dopo la piacevole intervista,ho avuto conferma anche del fatto chefosse una persona distinta, affabile edisponibile e mi rallegro che abbia ac-consentito a condividere con noi unaparte del suo incredibile bagaglio diesperienze. Davide Ragone

Professor Pizzorusso, come ènata la sua passione per il dirittoe, in particolare, per il diritto co-stituzionale?

Nonostante che io abbia dedica-to la maggior parte della mia vitaallo studio e all’insegnamento (esolo una piccola parte di essa allapratica) del diritto, non credo di

avere nutrito per esso una partico-lare passione. Nel corso degli studiliceali la sola insegnante con laquale mi sia sempre sentito sullastessa lunghezza d’onda è stataun’insegnante di matematica e fisi-ca, mentre la mia gioventù (nonparticolarmente felice, nonostantel’affetto sempre manifestatomi daimiei genitori) non è stata certa-mente orientata verso il diritto, lapolitica o i corrispondenti settoridella filosofia.

Che cosa, allora, ha influitosulla sua scelta di convogliare ver-so il diritto le energie di una vita?Ebbero peso gli eventi storici dellasua infanzia e giovinezza?

Quando Mussolini fece conse-gnare la dichiarazione di guerra agliambasciatori di Francia e di Inghil-terra non avevo ancora dieci anni,ma già ero in grado di seguire le vi-cende belliche sulle cartine che igiornali riproducevano e, più tardi,di assistere al passaggio del fronte

in Lucchesia e alle relative vicen-de. Nessun avvenimento partico-larmente drammatico colpì diretta-mente me o la mia famiglia, ma gliavvenimenti cui ebbi modo di assi-stere in quel periodo costituisconotuttora per me un ricordo più fortedi ogni altro. E, se immaginare cheio stabilissi un rapporto fra la forterazionalità della matematica equell’ordine della vita politica e so-ciale che il diritto dovrebbe realiz-zare sarebbe certamente un’opera-zione di pura fantasia, è certo che ilbisogno di organizzare le cose e irapporti con gli altri mi ha sempresollecitato, nei giochi infantili co-me nella vita. Dire tuttavia chequesto abbia influenzato la miascelta della Facoltà di Giurispru-denza sarebbe altrettanto fantasio-so; molto più banalmente, talescelta fu determinata dal fatto chemio padre era avvocato e pensavoche avrei potuto lavorare nel suo

Numero 33Per scansare la canicola estiva il

n° 33 esce i primi di ottobre quan-do la lettura è favorita dai primifreschi autunnali. Perdonatemil’incipit autocritico, ma l’aumentodei contributi, la loro diversa origi-ne e il sopraggiungere di eventi enotizie dell’ultima ora, rendono dif-ficile gestire con mano ferma i tem-pi di preparazione del giornale.Ciononostante, grazie al puntuale efresco entusiasmo, ad esempio, diDavide Ragone (che ha prodottoun’altra bellissima intervista di pri-ma pagina, riuscendo anche a lau-rearsi in giurisprudenza a pieni vo-ti) il n° 33 non ha nulla da invidia-re ai precedenti. Anzi, il numero ri-spetta la “ricetta Satriano” secondola quale gli articoli vanno distribui-ti armonicamente in diverse cate-gorie che riguardano la vita dellaScuola, quella della Associazione ele realizzazioni professionali dellevarie Classi. Poi un pizzico di“amarcord” con ricordi, testimo-nianze di Ex più o meno anziani,per non dimenticare le nostre radi-ci e per fornire un legame di conti-nuità tra le istituzioni originarie ela Scuola di oggi. Continuando,“pezzulli” vari – così li chiamavaSatriano – come lo scritto di PaoloBreccia e le memorie di una vita diAnna Piccardi, insieme a pezzi diattualità come l’intervista a Zizola.

Altri più mesti, per ricordarepersone scomparse, come quello sulconvegno ad un anno dalla scom-parsa di Mauro Gallevi, e quello inricordo di Paolo Santoni.

Infine, le rubriche di rito comead esempio le recensioni di libri.Insomma, anche questa volta ilSant’Anna News offre un menùabbastanza completo. Spero sia divostro gradimento e vi faccia per-donare il suo ritardo. bg

“La Costituzione è un’ultima trincea,va difesa ad ogni costo”

Intervista ad Alessandro Pizzorusso. A cura di Davide Ragone*

(Continua a pag. 6)

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Il 17 maggio scorso in occasionedell’apertura della mostra “Laguerra in corpo”, alla Scuola Su-

periore Sant’Anna è stato organizza-to un incontro con Francesco Zizo-la, noto fotocronista. L’incontro erariservato ai fotografi, amatoriali oprofessionali, pisani e per questo miaspettavo di sentire parlare di tecni-ca fotografica, di come usare i con-trasti e quali obiettivi fossero meglioadatti nelle varie circostanze, nonvolevo pensare troppo… Ero inte-ressato e sono andato.

Con mia grande e piacevole sor-presa non avevo capito nulla del te-ma dell’incontro: era con un fotore-porter d’eccezione, e non solo conun fotografo di eccezione. I fotografi

pisani presenti non erano interessatialle tecniche fotografiche. Alla finesono stato ancora più contento diavere partecipato e ho dovuto pen-sare.

Infatti, subito il dibattito con inumerosi fotografi nell’Aula Magnaè scivolato sulla deontologia del fo-toreporter e più in generale del foto-grafo che intenda ritrarre e descrive-re il reale ad un pubblico piccolo ogrande che sia, internet e i socialnetwork aprono vaste platee, sulleregole scritte e non scritte che go-vernano questa attività, sul sensodel rapporto tra la fotografia com-merciale e il giornalismo fotograficoin una società in cui la tecnologiapermette l’impossibile e solo la scel-

ta dell’uomo è rimasta quale baluar-do alla manipolazione, alla banaliz-zazione, alla commercializzazionedell’informazione, sulla potenzialemicro-diffusione del foto giornali-smo e sui pericoli che la nobile artescada nel voyeurismo del gossip.

In una parola l’incontro si incen-trava naturalmente sul rapporto trail fotografo\fotoreporter e le leggiche governano la sua attività.

I temi di cui si è parlato per quasitre ore sono stati davvero tanti. Quine vorrei indicare alcuni come unfilo rosso auspicabilmente in gradodi avviare un dibattito più ampio:

- lo scatto auto-negato;- il ritocco non è la produzione e la

produzione non è manipolazione; - paese che vai, regole che (non)trovi.

Partirei proprio da quest’ultimopunto: la diversità delle regole chegovernano lo scatto fotografico. Gliultimi anni, e gli ultimi tempi inparticolare, hanno abituato anche ilcomune cittadino a parlare e a vole-re per sé e per gli altri una maggioreriservatezza, quella spesso espressacon la formula “privacy” e per laquale esistono non solo norme ar-monizzate a livello europeo (diretti-va 96/45/CE), ma anche un’autoritàpreposta alla sua tutela (autoritàGarante per i dati personali). Que-sta opera si va a sommare alle tutelein sede civile (risarcimento e inibi-toria) e penale, amministrate dallamagistratura ordinaria.

Notoriamente le moderne tecno-logie e i loro bassi costi consentonodi ritrarre immagini di grande qua-lità a grandissima distanza e questoaumenta ontologicamente il rischiodi invasione indebita nella sfera pri-vata e la possibile moltiplicazionedel fotogiornalismo inteso comeracconto fotografico della cronaca(l’Iran post-elettorale docet), manon di voyeurismo fotografico oscandalistico si parla qui, bensì delleregole che governano l’acquisizionedi immagini con le quali si raccontauna data realtà.

Le normative cui in questa sede(e per l’Italia ovviamente) si puòfare riferimento sono il TU196/2003 (il c.d. codice dei datipersonali) e la disciplina del dirittod’autore (l. n. 633 del 22 aprile1941). In particolare per il fotore-porter è rilevante l’art. 97 di que-st’ultima legge che esclude la ne-cessità del consenso alla pubblica-zione “quando la riproduzionedell’immagine è giustificata dallanotorietà o dall’ufficio pubblico ri-coperto, da necessità di giustizia odi polizia, da scopi scientifici, di-dattici e culturali, o quando la ri-produzione è collegata a fatti, av-venimenti, cerimonie di interessepubblico o svoltisi in pubblico.”Inoltre, la norma aggiunge “Il ri-tratto non può tuttavia essereesposto o messo in commercio,quando l’esposizione o messa incommercio rechi pregiudizioall’onore, alla reputazione o anche

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Incontro con Francesco Zizola alla Scuola:la ‘verità’ per il fotogiornalista

tra regole, deontologia e nuove tecnologiedi Giovanni Comandé

Il fotografo Francesco Zizola. A fianco e nelle pagine successive alcuni suoi scatti famosi

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al decoro della persona ritratta.”Su questa base per così dire tra-

dizionale si sono innestate le tuteledi derivazione comunitaria a prote-zione delle persone nel trattamentodei dati personali. Ma non è questoil tema centrale sulle regole di cuisi è discusso. La diversità di regoletra i differenti paesi coinvolge an-che la reale effettività delle stesse.Assai di frequente, segnalava il di-battito, si dà per scontato che in al-tre nazioni le tutele che diamo perscontate nei nostri paesi non sonocerto in cima ai pensieri del legisla-tore e del cittadino comune. Sicorre il rischio di percepire comenormale l’assenza di tutele e di na-scondersi dietro il fatto che la per-sona ripresa nel lontano paese nonavrà mai accesso alla pubblicazionedella sua immagine fatta dal foto-giornalista e non potrà, eventual-mente, lamentare se la pubblicazio-ne sia stata fatta contro la sua vo-lontà o con pregiudizio al suo ono-re, alla sua reputazione o al suo de-coro.

La regola prima indicata prevedela liberatoria (l’autorizzazione) perla pubblicazione quando l’immaginenon sia presa nel corso di manifesta-zioni pubbliche, ma altri limiti sonostati aggiunti nel tempo dal legisla-tore e dalla giurisprudenza. I vincolia volte eccessivi posti nelle nostregiurisdizioni sono in stridente con-trasto con l’assenza di regole, (appa-rente in termini di effettività, per-ché poi la pubblicazione, in qualchemodo, nei nostri ordinamenti avvie-ne), che emerge assai spesso in queiteatri in cui il giornalista fotograficoopera. I diritti degli altri appaionoassai più affievoliti di quanto si vuo-le siano i nostri – a casa nostra – an-

che quando la cronaca narrata dalloscatto sia ripresa in luoghi pubblici esenza manipolazioni lesive della di-gnità o semplicemente capaci di al-terare i contenuti dei messaggi.

Già, la lavorazione della fotogra-fia scattata dal fotocronista, oggimolto più di ieri, si trova – e siamoal secondo tema – al centro dell’at-tenzione e richiede scelte deonto-logiche rigorose. Il messaggio prin-cipale sul punto che è emerso du-rante il dibattito sulla dialettica traproduzione della fotografia e tecno-logia è che “il ritocco non è la pro-duzione e la produzione non è ma-nipolazione”.

Fuori dal gioco di parole tra itanti scatti del fotogiornalista, sen-za preordinazione e posa giacché alcontrario si racconterebbe unarealtà falsata tramite la fotografia,questi sceglierà quelli migliori o piùrappresentativi della narrazioneche intende fare. È in questa fase,successiva allo scatto su scenari stu-diati sì ma non preordinati, che latecnologia rischia di fare saltare lalinea di confine tra fotografia com-merciale (ad usi commerciali opubblicitari ad esempio) e giornali-smo fotografico. Linea divenutapurtroppo assai labile anche perl’uso in sede commerciale di imma-gini forti (si pensi alle campagne diOliviero Toscani), talvolta costrui-te e talvolta riprese proprio dallafotocronaca.

Mentre la fotografia commercia-le per definizione deve costruireuna realtà da fotografare per rap-presentare un messaggio, e quindipuò legittimamente rimuoverecontenuti presenti sulla scena (unpalo della luce, ad esempio, o unpersonaggio non in linea con il

messaggio), il fotogiornalista nonpuò togliere alcun elemento a penadi falsare la cronaca e la verità sto-rica di cui il suo scatto è testimone;né più né meno di quanto facevanonell’era sovietica coloro che rimuo-vevano dalle immagini un perso-naggio politico caduto in disgrazia.

Diversa è la situazione quando,con l’uso della tecnologia, si miglio-ri la qualità della immagine già cat-turata in originale nel formato, adesempio, .nef. In tal caso, infatti,non si tratta neppure di aggiungereo di togliere luce da un’immaginema di farla emergere così comequando si stampava con la carta e isolventi da un negativo. La produ-zione in questo caso non è manipo-lazione perché non aggiunge né to-glie neppure un pixel; la produzionenon ritocca l’immagine né l’estra-nea dal suo contesto giacché altri-menti falserebbe la realtà del suostesso racconto.

Allo stesso modo, se la scelta diun’angolazione per l’inquadraturagenera l’estrazione della immaginedal contesto già in fase di scatto ol-trepassa i confini della cronaca e fal-sa la realtà molto più pericolosa-mente di un articolo giornalisticoperché l’immagine trasmette unmessaggio non mediato, che si pre-sume fotografi la realtà senza ag-giunte mentre segua un discorsochiaro espresso nella sua propriagrammatica estetica. Viceversa, ri-prendere un bimbo che lancia sassiper giocare o alla propria mandria einserirlo nel quadro, ad esempio, diun discorso sull’intifada assume unsignificato diverso e manipolativogià in fase di scatto.

Da qui emerge il bisogno di unarigorosa deontologia professionale,

esigenza resa ancora più pressantedalle tendenze in atto nell’editoria.

Francesco Zizola, nel dibattitoseguito alla sua presentazione, se-gnalava come sempre più vi sia unuso di immagini “forti” per usicommerciali e, nella cronaca, unuso di immagini in qualche modoaddolcite perché sfocate o perchéla presenza umana è mediata dal se-gno piuttosto che dalla sua presen-za fisica. Il risultato paradossale, perun verso, è la perdita di “valore” edi impatto della cronaca, ontologi-camente triste specialmente se diguerra, che viene “adeguato” allalogica della commercializzazionespensierata, e, per altro verso, l’ac-centuazione con valore pubblicita-rio delle immagini “forti” costruiteo raccolte dalla cronaca. Un’inver-sione logica per cui incoerente-mente la finzione fotografica ri-schia di superare – nella normalità– la realtà contribuendo ad addor-mentare e falsare la coscienza deifenomeni.

La sapiente combinazione tragrammatica della narrazione foto-grafica e deontologia professionale,però, deve portare non solo a nonmanipolare il dato fotografico maanche a negarsi lo scatto fotograficoab origine quando il prezzo impostoalla dignità della persona è sbilan-ciato rispetto al guadagno socialedall’informazione fotografica, nono-stante il consenso.

Il limite alla tecnologia rimanein definitiva solo la scelta dell’uo-mo e della sua coscienza. La combi-nazione delle nuove tecnologie fo-tografiche (fotocamere digitalisempre più accessibili) con le nuo-ve tecniche di comunicazione (piùche internet in quanto tale, i c.d.social networks e i blogs ed i loro as-semblatori semantici) possono es-sere un potente strumento di gior-nalismo fotografico di base capacedi aggirare le censure antidemocra-tiche e di mantenere l’attenzionemondiale su vicende che altrimentiverrebbero presto dimenticate onascoste. Le vicende postelettoraliiraniane sono emblematiche in talsenso.

Tuttavia, senza adeguata forma-zione deontologica e tecnica e senzaun quadro normativo capace di bi-lanciare l’interresse pubblicoall’informazione con la tutela delladignità della persona i rischi di ma-nipolazione e di degenerazione in-controllata sono assai elevati. Perdirla con una frase attribuita al foto-grafo americano Lewis Hine “la fo-tografia non sa mentire, ma i bugiar-di sanno fotografare” e con le nuovetecnologie ciò può essere fatto piùfacilmente e da un numero più ele-vato di persone.

Giovanni Comandé

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Uno dei tanti interventi che l’incontro ha suscitato: al centro il Prof. Giovanni Comandé, a destra Francesco Zizola, a sinistraBruno Sereni, Presidente del Centro Ricreativo Dipententi Universitari e del CFP, che ha invitato il noto fotografo a Pisa.

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studio. Il che costituiva una pro-spettiva ragionevole e, se ciò non siverificò, la causa ne fu la mia irre-quietezza, che peraltro non mi feceabbandonare anche il diritto. Sem-mai, il bisogno di razionalità mi in-dusse a cercare in esso (come, delresto, ogni giurista onesto dovrebbefare) quella razionalità che la mate-matica offre soltanto in modoastratto.

Avvenne così che io indirizzassiallo studio (e in minor misura allapratica) del diritto la maggior partedella mia attività professionale, de-dicata in minima parte all’attivitàdi avvocato o di consulente, in unaparte più ampia a quella di magi-strato (per circa quattordici anni,cui dovrebbero forse aggiungersi iquattro di componente “laico” delConsiglio superiore della Magistra-tura) e soprattutto (da diciannoveanni in poi, per il resto della vita) aquella di studente, ricercatore o in-segnante in materie giuridiche.

E al diritto costituzionale comearrivò?

La scelta della tesi in Diritto co-stituzionale fu determinata dall’im-pressione molto positiva che rice-vetti da Franco Pierandrei, col qua-le sostenni il primo esame, appuntodi diritto costituzionale, e poi an-che gli esami di diritto amministra-tivo e di diritto internazionale, tro-vandosi egli a tenere per incaricotali insegnamenti negli anni chefurono per me il secondo, il terzo(essendo amministrativo “bienna-le”) e il quarto. È difficile dire ache cosa dovessi realmente tale im-magine positiva, poiché certamen-te essa non derivava soltanto dallematerie che lui insegnava, ma pro-prio dal modo – direi dallo stile –con cui le insegnava e che lasciavacomprendere come alla base di uninsegnamento universitario ci fossenecessariamente un impegno di ri-cercatore del quale fino a qual mo-mento, negli insegnamenti ricevutial Liceo, avevo percepito soltantoqualche barlume.

C’erano altri docenti a Pisa cheteneva in speciale considerazione?

Certamente, fra gli insegnantidella Facoltà giuridica pisana diquel tempo ce ne erano anche altriche davano una sensazione analogaa quella di Pierandrei e qualcunoforse anche più intensa. Ma dalprofessore che maggiormente miimpressionava e che poi è stato perme veramente un maestro (nonsoltanto di diritto) per un lungoperiodo, cioè Virgilio Andrioli, in-

segnante di diritto processuale civi-le, mi sentivo talmente soverchiato(anche per la straordinaria energiache metteva nel suo lavoro di do-cente, di avvocato, di ricercatore edi tutto) che pensavo di non essereall’altezza di seguirlo, anche soltan-to ai fini dal lavoro di redazionedella tesi di laurea. Con Pierandreiinvece, anche per il suo modo difare, sempre cortese e cordiale, mipareva di potermi quasi mettere

sullo stesso piano. Non credo chein questo rapporto ci fosse nientedi particolarmente complicato, dalpunto di vista psicologico. Soltan-to, avevo trovato un modello chemi affascinava e questo riguardavasoprattutto il modo di intendere laricerca scientifica nel campo deldiritto.

Il diritto costituzionale, d’altron-de, era la meno giuridica delle ma-terie giuridiche e, per uno studenteche veniva dal liceo classico, que-sta era forse una buona ragione persceglierla come disciplina cui dedi-care la tesi, anche se poi, combi-nando il fascino di Pierandrei conl’insegnamento di diritto proces-suale di Andrioli, finii per optareper un tema abbastanza tecnico re-lativo al processo costituzionale,cioè all’attività dell’Alta Corte per

la Regione siciliana, che era unaspecie di Corte costituzionale cheoperò dal 1948 al 1955 (quando laCorte vera non funzionava ancora:ciò che avvenne nel 1956, mentreio mi laureai nel 1954). Dell’AltaCorte mi procurai tutte le decisionipronunciate fino a quel momento,poche delle quali erano state allorapubblicate, e ciò mi consentì di fa-re un buon lavoro, che ebbe ancheun premio della Regione siciliana.

Continuò a collaborare conPierandrei?

Franco Pierandrei morì a Torinoil 15 dicembre 1962 a soli 48 anni,mentre era al Sestriere dove si erarecato da solo a sciare: colpito daun attacco cardiaco probabilmentenon particolarmente grave, invecedi farsi curare subito, decise discendere a valle per tornare a casae fu trovato morto sullo “slittone”su cui aveva affrontato la discesa.Gli anni intercorsi fra la mia laureae tale data li dedicai in parte al ser-vizio militare di leva, cui non riu-scii a sfuggire, e nel preparare e so-stenere i concorsi per procuratore(ora si direbbe per avvocato) e peruditore giudiziario, cioè per entrarein Magistratura. Per queste ragionisolo negli ultimi due anni, essendodivenuto sostituto procuratore del-la Repubblica di Torino, ebbi mo-do di collaborare veramente conPierandrei (che nel frattempo erarientrato alla sua facoltà di origine)alla presentazione delle sentenzedella Corte costituzionale su Giuri-sprudenza italiana, una rivista dellacui direzione egli era entrato a farparte per curarne appunto la sezio-ne costituzionale, e soprattutto allapreparazione della voce “Corte co-stituzionale” dell’Enciclopedia del di-ritto, da lui redatta, che fu il primolavoro importante dedicato a que-sto organo di nuova istituzione ealla attività di esso propria. In talmodo, al termine del mio rapportocon Pierandrei, conoscevo alcunecose circa la “giustizia costituziona-le”, avevo imparato a scrivere iprovvedimenti giudiziari, ma avevopubblicato soltanto una piccola no-ta a sentenza.

Come e perché si avvicinòall’insegnamento?

In verità in questa fase non con-sideravo l’università come la miaeventuale destinazione, sia perchéil lavoro che essa comportava nonmi entusiasmava, sia perché invecetrovavo interesse nel lavoro giudi-ziario. Mi era chiaro, tuttavia, chebisognava cercare di mantenerequel poco di rapporti che avevo po-tuto stabilire con Pierandrei e An-drioli per non chiudersi del tutto lapossibilità di cambiare mestiere ove

ciò fosse apparso desiderabile. Unaspeciale possibilità di accrescere ta-li rapporti mi si presentò grazie allacompetenza che avevo acquisito inmateria di diritto (e processo) co-stituzionale, la quale mi permise disollevare, come giudice, alcunequestioni di costituzionalità che fu-rono accolte dalla Corte, dandomiuna qualche notorietà fra gli stu-diosi del ramo. Ciò mi consentì,unitamente al sostegno di Andrio-li, mai venuto meno, e di quello dialcuni costituzionalisti che, di vol-ta in volta, svolsero il ruolo promo-zionale che eventualmente sarebbestato proprio del loro collega scom-parso, di conseguire la libera do-cenza e poi di essere nominato“magistrato addetto” (cioè assisten-te) del prof. Mortati, grande costi-tuzionalista divenuto giudice dellaCorte. I lusinghieri suggerimenti ri-cevuti da queste persone e certepoco incoraggianti esperienze fattecome magistrato durante il periodonel quale avevo lavorato alla pretu-ra di Empoli (anche se controbi-lanciate da momenti di convintapartecipazione al ruolo che la fun-zione portava ad esercitare), mi in-dussero a presentare domanda alconcorso a cattedra bandito nel1969 e ciò mi consentì di iniziarel’insegnamento del diritto costitu-zionale a Pisa dal 1° novembre1972.

Ha qualche particolare ricordodi quel periodo?

Delle complicate vicende chemi condussero a questo risultato,preferisco limitarmi a ricordare ilsostegno che in varie occasioni horicevuto da Leopoldo Elia (succes-sore di Pierandrei a Torino), daCarlo Lavagna (col quale avevocollaborato per un certo tempo aPisa) e da Giuseppe Ferrari, miopredecessore a Pisa. Di essi e dimolti altri colleghi mi sento intel-lettualmente debitore.

Quali rapporti intrattenutiall’epoca con il mondo accademicoe intellettuale ritiene siano statipiù proficui?

Assai utili per la mia formazionedi studioso risultarono gli incontriche, negli anni ’70 o giù di lì, ebbicon molti coetanei nell’ambito del“gruppo di Tirrenia” (così denomi-nato dal nome della località in cuisi svolse la prima riunione dei suoicomponenti), fra i quali ricordo so-prattutto Giuliano Amato, Augu-sto Barbera, Franco Bassanini,Giorgio Berti, Sabino Cassese, En-zo Cheli, Giovanni Grottanelli de’Santi, Franco Levi, Alberto Masse-ra, Fabio Merusi, Valerio Onida,Giuseppe Pericu, Stefano Rodotà,Donatello Serrani, Giovanni Ta-

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“La Costituzione...”

(segue dalla prima)

Assai utili per la miaformazione di studioso

risultarono gli incontri che,negli anni ’70 o giù di lì,ebbi con molti coetanei

nell’ambito del “gruppo diTirrenia” (così denominatodal nome della località in

cui si svolse la primariunione dei suoi

componenti), fra i qualiricordo soprattutto

Giuliano Amato, AugustoBarbera, Franco

Bassanini, Giorgio Berti,Sabino Cassese, Enzo

Cheli, GiovanniGrottanelli de’ Santi,Franco Levi, Alberto

Massera, Fabio Merusi,Valerio Onida, GiuseppePericu, Stefano Rodotà,

Donatello Serrani,Giovanni Tarello e

Gustavo Zagrebelsky

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rello e Gustavo Zagrebelsky. Daquelle riunioni nacque, tra l’altro,la rivista Politica del diritto e, perme, sorsero molte importanti occa-sioni di collaborare con colleghidella mia generazione.

Di quali materie si occupavaprincipalmente?

In questa fase mi ero occupatosoprattutto di due settori del dirittocostituzionale: quello del processocostituzionale, che mi aveva per-messo di avvalermi anche dell’inse-gnamento di Andrioli, oltre che dimettere a frutto l’esperienza fattadurante la collaborazione con Mor-tati, e quello della tutela delle mi-noranze linguistiche, delle qualiparla un articolo della Costituzione(l’articolo 6) che fino a quel temponon era stato studiato quasi da nes-suno (almeno dal punto di vista deldiritto interno). Su ambedue questitemi ho avuto poi occasione di la-vorare per molti anni. La dimesti-chezza acquisita con i problemi delprocesso costituzionale mi ha con-sentito di collaborare con il Foroitaliano, l’altra maggiore rivista ita-liana di giurisprudenza, allora diret-ta appunto da Andrioli, per la pre-sentazione delle decisioni relative aquesta materia, ed anche questa èstata un’esperienza molto interes-sante. L’altro tema mi ha portatoinvece ad incontrare sia studiosidei problemi linguistici, sia espo-nenti di gruppi minoritari, in unalunga serie di convegni e dibattitidi notevole interesse non soltantogiuridico.

Ci racconti come proseguì lasua vita da professore universita-rio. Intraprese nuovi studi?

Dopo l’assunzione della cattedradi diritto costituzionale iniziai adaffrontare anche un terzo tema,quello delle fonti del diritto (cuiavevo dedicato una ricerca limitataad un tema particolare, La pubblica-zione degli atti normativi, pubblicatonel 1963, che era stato il mio pri-mo libro). Avendo notato che que-sto argomento era trattato tradizio-nalmente nell’ambito del dirittoprivato, nonostante che, quantomeno a partire dal XIX secolo,molti aspetti di esso fossero ormaioggetto di studio soprattutto daparte dei giuspubblicisti e, in parti-colare, dei costituzionalisti, mi do-mandai se non fosse opportunotentare di realizzarne un’analisi cheriunisse i due punti di vista, la cuitrattazione separata era chiaramen-te causa di inconvenienti. Chiesiad Andrioli se riteneva opportunosottoporre questo progetto al diret-tore del Commentario del codice civi-le Scialoja e Branca, Giuseppe Bran-ca, e questi lo approvò e riuscì a

strappare al grande internazionali-sta Rolando Quadri, cui l’intero te-sto delle preleggi era stato assegna-to per il commento, i primi novearticoli che ne costituiscono il ca-po I, intitolato appunto “Delle fon-ti del diritto”. Ne derivò un volu-me di oltre cinquecento pagine (el’operazione fu poi ripetuta con ri-ferimento al commento al titolo Idel libro I del codice civile, dedica-to alle “persone fisiche”, che fu rea-

lizzato da me, quanto agli articoli1-4, sulla capacità e sulla commo-rienza, da Roberto Romboli quantoall’articolo 5, sugli atti di disposi-zione del proprio corpo, da Umber-to Breccia quanto agli articoli 6-9,sul diritto al nome, e da Anna DeVita quanto all’art. 10, sul dirittoall’immagine).

È poi ritornato a lungo sullostudio delle fonti del diritto.

Sì. Ho successivamente avutooccasione di riprendere in molteoccasioni il tema delle fonti, inparticolare con il volume collettivoLaw in the Making, pubblicato ininglese in Germania nel 1988, e re-datto da un gruppi di studiosi di va-ri paesi, sulla base di un ricerca chemi fu affidata dalla European Scien-ce Foundation di Strasburgo e chesvolsi con la preziosa collaborazio-ne del prof. Paolo Carrozza, alloraricercatore nell’Università di Fi-renze, e sotto la guida dei compo-nenti dello Steering Committee dellaFondazione, presieduto dal prof.Stig Strömholm dell’Università diUppsala, e del quale faceva parte ilprof. Giovanni Pugliese, dell’Uni-versità di Roma, che di questa ini-ziativa fu il promotore. Credo chesia stato soprattutto questo lavoro adeterminare, nel 1988, la mia ele-zione a componente dell’Accade-mia Nazionale dei Lincei.

Attraverso quale evoluzione èarrivato ad occuparsi dello studiodel diritto comparato, in una fasein cui la sensibilità per un simileapproccio era certo meno diffuso?

Fin dagli anni ’70 avevo comin-ciato a frequentare anche un grup-po di studiosi, fra i quali mi piacericordare soprattutto Mauro Cap-pelletti (e i suoi allievi fiorentini),Vittorio Denti, Antonio Gambaro,Gino Gorla, Maurizio Lupoi, Ro-dolfo Sacco, Michele Taruffo e Pie-ro Verrucoli, i quali avevano creatol’Associazione italiana di dirittocomparato, collegata con le istitu-zioni internazionali che si propone-vano di diffondere questo modo di

studiare il diritto. Con questi colle-ghi ebbi occasione di collaborare alungo in varie forme, tra l’altro,nell’ambito del direttivo di tale As-sociazione, le cui riunioni non era-no dedicate soltanto – come avvie-ne spesso in questi casi – ai proble-mi pratici di funzionamentodell’Associazione stessa, bensì an-che più in generale ai problemi del-lo studio e dell’insegnamento deldiritto comparato, il che risultòmolto formativo per me, che nonavevo avuto un’educazione specifi-camente comparatistica findall’inizio.

Lei, tra l’altro, fu anche Presi-dente dell’Associazione.

Fu proprio per far sì che l’Istitu-to fiorentino fondato da MauroCappelletti al fine di promuovere eincrementare questi studi potessesopravvivere al trasferimento di luiall’Istituto universitario europeo diS. Domenico di Fiesole e poiall’Università di Stanford, che, ne-gli anni ’80, mi trasferii tempora-neamente all’Università di Firenzefino a quando gli allievi di Cappel-letti (Anna De Vita, Valerio Gre-mentieri, Nicola Trocker, Enzo Va-rano e Vincenzo Vigoriti) non fos-sero in grado di continuare l’inizia-tiva da lui avviata. Fra i lavoricompiuti in questo periodo, mi pia-ce ricordare, oltre al volume collet-tivo Law in the Making già segnala-to, ai due volumi degli Italian Stu-dies in Law, pubblicati nel periodoin cui tenni la presidenza dell’As-sociazione, e all’altro volume col-lettivo L’évolution récente du parla-mentarisme/Developing Trends ofParliamentarism, il corso di Sistemigiuridici comparati, che ho successi-vamente utilizzato anche a Pisa per

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Avemmo così una buona Costituzione – sostanzialmente l’unica

Costituzione italianaispirata ai principi del

costituzionalismoilluminista, tali non

potendo dirsi, né lo Statuto albertino,

né la Costituzione nonscritta vigente

nell’epoca fascista – ma la corrispondenza diessa alle intenzioni degli

Italiani ed alla loro culturaresta tutta da dimostrare

Un’immagine giovanile di Alessandro Pizzorusso

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l’insegnamento di questa discipli-na. Questo manuale, come anchele Lezioni di diritto costituzionale,hanno avuto considerevole diffu-sione nei paesi di lingua castiglia-na, grazie alla traduzione che ne fufatta, per quanto riguarda leLezioni, dall’amico Javier JimenezCampo, per iniziativa del grandecollega spagnolo Francisco RubioLlorente.

Immagino conservi ricordi diimportanti collaborazioni?

Sì, penso soprattutto a quellaavuta con il professor Louis Favo-reu, recentemente mancato, che hoincontrato frequentemente inFrancia e altrove, ma in particolarenella sua sede di Aix en Provence,dove egli organizzava ogni annoimportanti incontri di studio e diricerca sulla Giustizia costituziona-le con la partecipazione di studiosidi molti paesi. La frequentazione dicolleghi stranieri, poi, resa possibileda viaggi di questo tipo, ai quali hodedicato buone parte degli anni’90, è risultava certamente una fon-te preziosa di riflessioni che mihanno permesso di sviluppare lamia cultura comparatistica ben ol-tre le mie stesse previsioni.

Voglio anche aggiungere circa lamia attività di insegnante e di stu-dioso l’esperienza relativa al dotto-rato pisano in “Giustizia costituzio-nale e tutela internazionale dei di-ritti fondamentali” che ho curatonegli ultimi venti anni circa, con lapreziosa collaborazione del prof.Roberto Romboli, nel corso dellaquale ho avuto modo di curare laformazione di molti giovani costi-tuzionalisti di grande valore, diver-si dei quali svolgono oggi questostesso lavoro a Pisa o in altre sediuniversitarie.

Quale opinione ha maturatodella storia costituzionale del no-stro Paese e delle sue possibilievoluzioni?

Se consideriamo nel suo com-plesso la storia costituzionale d’Ita-lia, che comincia nel lontano1861, vediamo che assai forti sonostate, nel corso di essa, le resistenzecontro l’avvento di quelle idee delcostituzionalismo, sviluppatesi nelquadro della tradizione liberale in-glese e dell’influenza culturaledell’Illuminismo, che gli accadi-menti della Rivoluzione franceseavevano diffuso in Europa – e an-che in Italia – negli ultimi anni delXVIII secolo e nel periodo imme-diatamente successivo. Per tuttal’età della Restaurazione, la diffu-sione delle idee del “liberalismo”,che in Italia si traducevanonell’aspirazione all’indipendenza, alriconoscimento dei diritti fonda-

mentali dell’uomo e del cittadino ealla realizzazione di una forma al-meno embrionale di democrazia,ebbero qualche manifestazione del-la loro presenza nei “moti” risorgi-mentali, ma furono generalmentelimitate a ristretti gruppi e comun-que spesso duramente represse. Lostesso Statuto albertino adottato

nel 1848 nel Regno di Sardegna siispirava alle costituzioni francesi ebelga concesse dai rispettivi sovra-ni negli anni precedenti, le qualiavevano raccolto solo superficial-mente i risultati dell’evoluzione in-glese, introducendo una forma digoverno “costituzionale puro”. Eanche le “modificazioni tacite” del-lo Statuto, che di fatto realizzaro-no, grosso modo, il passaggio al go-verno “parlamentare”, non furonoaccompagnate da riforme costitu-zionali tali da realizzare il completosuperamento dell’assolutismo e lapiena realizzazione dei principi del-lo Stato liberale. E se il manteni-mento, da parte del nuovo re Vit-torio Emanuele II delle riformeadottate nel 1848 dopo la “fatalNovara” evitò il ritorno all’assolu-tismo almeno in questa parte d’Ita-lia, l’evoluzione in senso democra-tico che esso consentì non fu abba-stanza forte da permettere alla nuo-va spinta determinatasi con la se-conda guerra d’indipendenza di ot-tenere la convocazione di quell’as-semblea costituente che gli espo-nenti del pensiero liberale piùavanzato richiedevano. Controquesta richiesta stava infatti l’esi-genza di salvaguardare gli acquistiterritoriali che avevano sostanzial-mente consentito di realizzare l’in-

dipendenza nazionale e che eranostati dovuti all’azione diplomaticadel Cavour non meno che alleazioni militari di Garibaldi. E pernon mettere a rischio i risultatidell’azione diplomatica, bisognavanon turbare troppo i sonni dellePotenze europee. La “rivoluzioneliberale” di cui si è parlato con rife-rimento al Risorgimento italiano fupertanto una rivoluzione incom-piuta e l’assetto costituzionale delloStato italiano dopo l’unità fu inminima parte frutto di una rivolu-zione democratica. Ciò nondime-no, tale assetto consentì alla éliteche governava il paese di superarele considerevoli difficoltà incontra-te in questa prima fase di vita uni-taria, di completare, invero assaifortunosamente, il processo di libe-razione con l’acquisizione del Ve-neto, del Lazio e di Trento e Trie-ste e, soprattutto, di resistere allecorrenti reazionarie che avrebberovoluto regredire alla forma di go-verno prevista dallo Statuto, prin-cipale manifestazione delle quali fuil celebre articolo di Sydney Sonni-no del 1897 (mentre del tutto fuoridella storia si collocavano posizionicome quelle sostenute nel Sillabo diPio IX, che pure raccolgono ancoroggi in Italia una quota di consensonon trascurabile).

È partito da molto lontano…Arrivando al Novecento?

Diverso esito ebbe però un di-verso movimento politico che sisviluppò in seguito alle difficoltàcagionate dall’intervento dell’Italianella prima guerra mondiale, favo-rito da correnti culturali le qualisperavano di realizzare una crescitapolitica e morale del paese colti-vando illusioni pericolosissime,quali quella secondo la quale laguerra avrebbe potuto costituire unvalido rimedio ai problemi italiani.Le “radiose giornate” del maggio1915 furono così indirettamentecausa di un profondo sovvertimen-to delle istituzioni.

Il risultato di queste vicende fu-rono infatti venti anni di fascismo,con la conseguente ulteriore dise-ducazione delle masse ad opera del-la propaganda sistematicamentevolta ad esaltare le varie forme diautoritarismo, di oscurantismo e dinegazione dei valori liberali e so-ciali, che procurò al regime un dif-fuso consenso, frutto dell’ignoranzae del cieco conformismo. Al termi-ne della seconda guerra mondiale,le innumerevoli infamie perpetratedai dirigenti fascisti nel periodo incui furono al potere e particolar-mente nel corso della guerra – acominciare dal fatto stesso di schie-rarsi dalla parte della Germania na-zista – provocarono tuttavia un ro-

vesciamento dell’opinione pubblicaitaliana in senso antifascista, soste-nuto anche dalle clausole del trat-tato di pace (articoli 15 e 17) cheimponevano il riconoscimento del-le libertà fondamentali e vietavanola ricostituzione del partito fascista,e queste circostanze favorirono lapronuncia degli elettori a favoredella Repubblica e l’elezione diun’Assemblea costituente nellaquale le migliori espressioni dellacultura italiana che avevano vissu-to gli anni dell’antifascismo, eranoassai ben rappresentate.

E arriviamo alla Costituzionerepubblicana.

Avemmo così una buona Costi-tuzione – sostanzialmente l’unicaCostituzione italiana ispirata aiprincipi del costituzionalismo illu-minista, tali non potendo dirsi, nélo Statuto albertino, né la Costitu-zione non scritta vigente nell’epocafascista – ma la corrispondenza diessa alle intenzioni degli Italiani edalla loro cultura resta tutta da di-mostrare. Nuovi conformismi spin-sero infatti la grande maggioranzadi essi ad allinearsi alle tendenzeopportunistiche prevalenti nel cat-tolicesimo italiano oppure a quelle

del comunismo filo-sovietico,creando nuovi motivi di difficoltàper lo sviluppo del regime liberale,e non permisero un adeguato svi-luppo allo sviluppo del socialismodemocratico. Ciò nonostante, la si-tuazione di equilibrio che si deter-minò fra i due grandi partiti chedominarono la politica italiana dal1948 al 1994 fece sì che non potes-se essere impedita una forte spintaverso l’attuazione dei principi scrit-ti nella Costituzione, il che avven-ne soprattutto grazie all’apporto di

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Il populismo più cinico hapotuto mietere molti

successi grazie all’uso deimass media, fino a

determinare un diffusorovesciamento dei criteri di

valutazione della realtà.La sistematica

deformazione dei significatidelle parole ha consentitocosì agli imputati di gravireati di processare i lorogiudici, a uomini politiciche per decenni avevanopropagandato il fascismo

(e il neo-fascismo) dipresentarsi come dei

liberali e così via Si aggiunga che, a mano amano che il ricorso al

criterio dell’audience nellascelta dei programmitelevisivi ha finito per

prevalere su ogni altro, si èvenuto realizzando un

disastroso allineamento diessi a talune delle tendenze

più deteriori che già inpassato avevano reso

difficile, in Italia,l’affermazione delle idee-

base dell’illuminismo e, piùspecificamente, di quelle

del costituzionalismo.

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istituzioni aventi una composizionedi provenienza non esclusivamentepolitica come la Corte costituzio-nale e la Magistratura, con il soste-gno di una cultura giuridica nel suocomplesso non insensibile alle rela-tive esigenze. Dopo decenni dicontrasti, alla fine degli anni ’70 sipoteva affermare che l’attuazionedei principi del costituzionalismoin Italia poteva dirsi se non com-piuta, almeno ben avviata, nono-stante i gravi attacchi subiti, insenso contrario, da movimenti au-toqualificatisi come rivoluzionari,dal costante incremento della cor-ruzione politica e della criminalitàcomune e dalla strisciante attivitàdi organizzazioni sovversive di va-rio tipo, fra la quali cominciaronoad emergere orientamenti specifi-camente rivolti contro la Costitu-zione.

Venendo alla svolta degli anni’90, cosa può dirci?

Negli anni ’90 si giunse così allacrisi costituzionale che portò a unaserie di modificazioni all’indietrodella Costituzione, ancora una vol-ta “tacite”, cioè realizzate in via diprassi, senza una revisione esplicita,quasi tutti i tentativi compiuti inquesta direzione essendo falliti peril disaccordo fra i proponenti o perun netto recupero della coscienzapopolare, come in occasione del re-ferendum costituzionale del 26 giu-gno 2006. Tale crisi ha portato alladistruzione dei partiti che avevanooperato fino a quel momento ed altrionfo di forze che raccoglievanotutte le tendenze anti-illuministeed anti-costituzionali già presentiin Italia nei secoli precedenti e oraagevolate dal controllo dei più mo-derni mezzi di comunicazione dimassa che essi controllavano.

Ritiene che il ruolo della tele-visione sia decisivo nel dibattitopolitico?

Oggi che questo potentissimomezzo di propaganda politico-cul-turale, spesso nascosta anche neiprogrammi in apparenza più lonta-ni dalla politica vera e propria, pe-netra, a qualunque ora del giorno edella notte, non soltanto nelle abi-tazioni private di tutti gli Italiani,ma anche in tutti i luoghi di vitacollettiva (dagli ospedali alle carce-ri, dagli alberghi alle sale d’aspettoe ai luoghi di svago e di soggiornodi qualsiasi tipo), la sua forza di in-dottrinamento e di assimilazionedegli ascoltatori alla cultura e agliorientamenti di chi gestisce questomezzo appare irresistibile e tale dasconcertare gli stessi potenziali av-versari di essi, inducendoli a cla-morosi errori.

Non vi è dubbio che questo

mezzo di formazione della persona-lità degli ascoltatori eserciti su tuttinoi un’influenza capillare (comegià aveva cominciato a fare la ra-dio, al tempo del fascismo e anchedopo) e ciò non poteva non riflet-tersi sulla cultura politica, nellaquale gli Italiani erano (e sono),nonostante Machiavelli, partico-larmente deboli. Si aggiunga che, amano a mano che il ricorso al cri-terio dell’audience nella scelta deiprogrammi televisivi ha finito perprevalere su ogni altro, si è venutorealizzando un disastroso allinea-mento di essi a talune delle ten-denze più deteriori che già in passa-to avevano reso difficile, in Italia,l’affermazione delle idee-basedell’illuminismo e, più specifica-mente, di quelle del costituzionali-smo.

Gli attacchi alla Costituzionecominciati negli anni ’80 e ’90 delXX secolo hanno rappresentato, altempo stesso, un sintomo e un esitodi questo genere di fenomeni. De-bolmente contrastato (e costante-mente rafforzato da quanti, fra i po-tenziali difensori dei principi di unmoderno umanesimo, hanno fattoa gara nel sostenere la necessità di“dialogare” anche con i tendenzialieversori dell’ordinamento demo-cratico), il populismo più cinico hapotuto mietere molti successi grazieall’uso dei mass media, fino a deter-minare un diffuso rovesciamentodei criteri di valutazione dellarealtà. La sistematica deformazionedei significati delle parole ha con-sentito così agli imputati di gravireati di processare i loro giudici, a

uomini politici che per decenniavevano propagandato il fascismo(e il neo-fascismo) di presentarsicome dei liberali e così via. Persinole idee del papa Pio IX che, fin daragazzo, quando le vicende otto-centesche costituivano un passatomeno remoto di quanto lo costitui-

scano oggi, avevo sempre sentitostigmatizzare come esempio diestremismo oscurantista, trovanospazio come espressione della cam-pagna contro il relativismo.

In conclusione, non ritienedavvero che ci siano le condizioniper modificare la Carta costituzio-nale?

In una tale situazione, al di làdelle possibili imperfezioni del te-sto costituzionale, esso va difesocomunque ad ogni costo, essendoridotto a un’ultima trincea, ormai

in più punti già intaccata dall’of-fensiva di quanti avversano il pro-gresso dell’umanità tutta intera eperseguono invece solo il loro van-taggio personale o quello della ca-tegoria cui appartengono. Natural-mente, ciò non esclude affatto lapossibilità e l’opportunità di revi-sioni puntuali, alcune delle qualisarebbero necessarie per realizzaretaluni orientamenti preannunciati,ma non adeguatamente sviluppati,già nel corso dei lavori dell’Assem-blea costituente nel 1946-47. Maciò appare difficile da realizzare inuna situazione come quella attuale.

Intervista a cura di Davide Ragone*Allievo ordinario di Giurisprudenza

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Per la redazione di questa in-tervista mi sento di ringraziareprima di tutto il prof. Paolo Pas-saglia, che mi ha consigliatosull’impostazione e sulle temati-che, e, come sempre, il prof.Emanuele Rossi, con cui mi so-no potuto confrontare più volte.

Preziosi sono stati anche isuggerimenti degli amici Giu-seppe Martinico ed Elettra Stra-della, oltre a quelli abituali dimia sorella Sabrina Ragone, tut-ti giovani e brillanti studiosi didiritto pubblico, che hanno avu-to modo per varie ragioni di rap-portarsi all’intervistato.

Un sentito ringraziamentova, infine, a tre “pilastri” del set-tore di Giurisprudenza, che mihanno aiutato nell’elaborazionedelle domande: Emanuel Castel-larin, Luca Gori e Fabio Pacini.

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Petrolio, carbone e gas naturaliforniscono attualmente circa il90% dell’energia utilizzata a li-

vello globale (Energy InformationAdministration, 2006). L’innalza-mento dei prezzi dell’energia, lepreoccupazioni riguardanti la sicu-rezza e la disponibilità delle risorse, icambiamenti climatici e gli impattisulla salute umana sono fra le tantepreoccupazioni che nascono dalladipendenza energetica basata suicombustibili fossili. L’utilizzo indi-scriminato di fonti non rinnovabilicomporta, infatti, sia il problema digarantire la sicurezza dell’approvvi-gionamento di energia che quello diarginare l’impatto ambientale relati-

vo a tale uso. Da qui la necessità didover ricorrere a fonti di energiarinnovabili, ovvero forme di energianon soggette ad esaurimento che sirigenerano rapidamente medianteprocessi naturali. La comunitàscientifica ha indirizzato quindi lapropria ricerca verso risorse rinno-vabili quali il solare, l’eolico, le bio-masse da energia e l’idrogeno. Af-finché, tuttavia, l’impiego di questerisorse sia conveniente, è necessarioche esse riescano a supportare la do-manda crescente di energia ad unprezzo ragionevole riducendo i dan-ni ambientali. Fra le varie risorse,l’idrogeno sta emergendo semprepiù quale vettore per la produzione

di energia pulita. A livello biologi-co, diverse specie di microalghe so-no state studiate per la loro capacitàdi produrre idrogeno molecolare.Fra queste, Chlamydomonas reinhard-tii, presente nel suolo e nei bacini diacqua dolce, è dotata di due flagelliche ne permettono il movimento edi un ampio cloroplasto contenenteil pigmento fotosintetico clorofilla.Caratterizzata da un’estrema adatta-bilità, quest’alga ricava normalmen-te energia dalla fotosintesi, ma è ca-pace di sopravvivere e crescere an-che al buio in presenza di una fontealternativa di carbonio. Queste ca-ratteristiche, unite al corto tempo diduplicazione, hanno fatto di Ch-

lamydomonas un importante model-lo per la ricerca biologica, ed il se-quenziamento del genoma (quasicompleto) ha reso possibile l’utilizzodelle diverse tecniche di biologiamolecolare.

Tale piccolo organismo acquati-co potrebbe risolvere il grosso pro-blema energetico con soluzioni abasso costo e scarso impatto. Allabase di questa strategia produttivaverde e “pulita” c’è un processovecchio quasi quanto la vita: la fo-tosintesi.

Si tratta di una sequenza di com-plesse reazioni fisico-chimiche cheesiste da miliardi di anni e che per-mette la vita sul nostro pianeta. In

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Produzione biologica di idrogeno:verso nuove fonti di energia rinnovabile

di Elena Loreti, Leonardo Magneschi, Pierdomenico Perata*

Foto al microscopio elettronico di Chlamydomonas reinhardtii, l’alga produttrice di idrogeno

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sintesi, Chlamydomonas produceidrogeno utilizzando come substratoprincipale acqua e luce (in un pro-cesso chiamato biofotolisi). L’acquaviene utilizzata come fonte di elet-troni (e-) e protoni (H+), mentre laluce fornisce l’energia necessaria perfar avvenire il processo, secondo lareazione:

2H+ + 2e- + luce ➝ H2

In questo modo, l’energia dellaluce è raccolta nella forma dell’idro-geno gassoso.

Condizione essenziale per il pro-cedere della reazione è l’assenza diossigeno, potente inibitore deglienzimi (chiamati idrogenasi) cheentrano a far parte del processo.Tuttavia, la liberazione di ossigenoè insita nel processo fotosintetico edi conseguenza l’interesse della co-munità scientifica si è indirizzatosempre più verso la scoperta di for-me di idrogenasi meno sensibiliall’ossigeno, o in alternativa, a si-stemi economicamente sostenibiliper indurre anaerobiosi in presenzadi luce. Degna di nota è la metodi-ca ideata nel 2000 da AnastasiosMelis, un ricercatore dell’univer-sità di Berkeley (California, USA).Il sistema consiste nel privare il

mezzo di coltura dello zolfo, unelemento fondamentale per il foto-sistema II, responsabile della libe-razione di ossigeno durante la foto-lisi dell’acqua.

Questa deprivazione porta, aduna riduzione drastica della foto-sintesi – e quindi della produzionedi ossigeno – fino a bilanciare lanormale respirazione della mi-croalga. Non appena questi due fe-nomeni si equivalgono, la colturaentra in anaerobiosi, ovvero si tro-va in un ambiente privo di ossige-no: questo determina un nettocambiamento metabolico che por-ta alla produzione di idrogeno, ilquale sembrerebbe rappresentareper la microalga un modo per so-pravvivere in un momento distress. Questa condizione estremanon può però protrarsi a lungo acausa del deterioramento del siste-ma fotosintetico.

In alternativa alle metodiche dicoltivazione, l’utilizzo di tecniche diingegneria genetica o selezione na-turale per l’isolamento di ceppi diChlamydomonas caratterizzati da unamigliore performance metabolicapiù spostata verso la produzione diidrogeno potrebbe facilitare lo svi-luppo di questo sistema biologicoper la produzione su larga scala.

La Scuola Sant’Anna è impegna-ta da anni nello sviluppo di tecnolo-gie d’avanguardia ed in questo con-testo le bioenergie rappresentanouna delle sfide future in cui la Scuo-la è impegnata.

Recentemente il PlantLab diret-to dal Prof. Pierdomenico Perata, incollaborazione con il laboratorioCrim diretto dal Prof. Paolo Dario,ha realizzato un prototipo costituitoda un sistema cellulare (alghe diChlamydomonas reinhardtii) interfac-ciato a un rilevatore di idrogeno co-stituito da una serie di “fuel cells”.

Il prototipo dimostra in manierasemplice ed efficace come il siste-ma biologico di produzionedell’idrogeno sia in grado di ali-mentare un impianto di generazio-ne di elettricità, capace a sua voltadi azionare un sistema utilizzatoreche compie lavoro.

Il cuore del sistema è costituitodall’unità biologica, un bioreattorecontenente alghe di Chlamydomo-nas reinhardtii, generatrici di idro-geno, collegate a delle celle a com-bustibile (fuel cells). Le celle sonoconnesse tra loro tramite un op-portuno sistema fluidico a circuitochiuso che permette la circolazio-ne controllata dell’idrogeno pro-dotto dalle colture. L’idrogeno ge-

nerato dalle alghe passa attraversouna serie di celle a combustibileche convertono l’idrogeno in cor-rente elettrica. L’energia elettricaprodotta dalle celle a combustibileviene dunque utilizzata per aziona-re il sistema dimostrativo (motoreelettrico). Le attività di ricerca incui i due team sono impegnati so-no da una parte l’aumento dellecapacità intrinseche al sistema bio-logico di produrre idrogeno,dall’altra lo sviluppo di sistemi diconversione dell’idrogeno in ener-gia che risultino più efficienti.

In un futuro auspicabilmenteprossimo, attraverso uno scaling-updel sistema, ogni abitazione potreb-be essere illuminata dall’energia svi-luppata da questo piccolo microrga-nismo unicellulare.

*Elena LoretiRicercatore presso l’Istituto di Biologia

e Biotecnologia Agrariadel CNR, Pisa

*Leonardo MagneschiPerfezionando in Agrobioscienze,

Scuola Superiore Sant’Anna

*Pierdomenico PerataOrdinario di Fisiologia Vegetale,

Scuola Superiore Sant’Anna

Il bioreattore contenente le alghe e le celle a combustibile che convertono l’idrogeno prodotto in corrente elettrica

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Il giorno 28 marzo si è svolta fra Pa-laia, Pontedera e Pisa la giornata di“azione, pensiero e coltivazione” di ciòche Mauro Gallevi aveva ideato e svi-luppato dal 2002 ad oggi, integrandoinnovativi progetti di agricoltura socialecon concrete prospettive di inserimentolavorativo di soggetti portatori di svan-

taggio sociale, intellettuale e psichico.Dal primo progetto di Giardino dei

semplici (2002-2004) fino all’iniziativa“Agricoltura sociale nella Provincia diPisa”, promossa dalla Provincia stessa,dal Centro Avanzi ed ORISS, dallaFondazione Zancan, associazione Val-dera Insieme Onlus Mauro Gallevi, si

è giunti all’attuale feconda compresenzanel territorio pisano di due progetti epercorsi formativi di avanguardia, che siintegrano a vicenda valorizzando edestendendo le esperienze di inserimentonel mercato del lavoro dei soggetti svan-taggiati psichici, sviluppando entrambila lezione di Mauro Gallevi.

Può una giornata in campagnatrasformarsi in un percorso diriflessione e di cambiamento?

Si può nella stessa giornata pianta-re un orto, fare una passeggiata nelbosco e tra le piante aromatiche,confrontarsi su temi sociali ed am-bientali attuali, formare soggettideboli ed aziende agricole, e tesse-re ipotesi di cambiamento politicoed istituzionale? Quella che sem-brava essere un’ipotesi poco reali-stica si è trasformata in una con-creta e quasi ovvia evidenza tra Pa-laia (azienda Agricola CollineVerdi di Partino) e Pontedera(Museo Piaggio), in una giornatadedicata a Mauro Gallevi, psichia-tra scomparso da un anno, che inValdera ha promosso e fatto fiorireuna rete di conoscenze ed espe-rienze collettive inusuali quantoutili per la vita di molti. MauroGallevi è stato, sarebbe meglio direè, un innovatore sociale, il porta-tore di un pensiero fecondo, quelloin grado di trovare terreno fertile ereplicarsi per offrire soluzioni utilialle esigenze quotidiane. Un’idea,uno schizzo sulla carta, un orto ca-pace di rappresentare una chiavedi possibile cambiamento, partiredai semplici, da un giardino per lo-ro, per generare architetture ardite,quelle di una società diversa e piùattenta, ai singoli ed ai più, coin-volgere delle aziende, dei consu-matori, tessere nuove reti ed op-portunità estese, per il nostro quo-tidiano di persone, di consumatori,di abitanti di un pianeta continua-mente aggredito. Il progetto delGiardino dei Semplici prendespunto da una valutazione cheguarda alle piante ed agli animalicome soggetti, capaci di promuo-vere salute ed inclusione sociale elavorativa di persone a più bassacontrattualità. Piante ed animali,ma anche gruppi di agricoltori eimprenditori agricoli, di aziendeagricole vere, quelle che con unaidea di responsabilità sociale si or-ganizzano per realizzare prodottiagricoli buoni tre volte, dal puntodi vista alimentare, sociale ed am-bientale.Il pensiero fecondo è quello di cuiabbiamo bisogno per costruire pro-spettive e visioni utili per il futuro.Un futuro, oggi, reso incerto dallostrazio ambientale e dal dilemmaeconomico ed occupazionale. Par-ticolare che se ne discuta in ricor-do, o in corrispondenza, come scel-to dagli organizzatori, di una perso-na scomparsa, uno psichiatra cheha messo al lavoro le sue cono-scenze e le sue esperienze per trac-

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Una giornata di “azione, pensiero e coltivazione”per continuare il lavoro di Mauro Gallevi

di I. Baldini, P. Cantoresi, F. Di Iacovo, A. Gallevi, S. Maestro, M. Marchitiello, P. Palla

In punta di piedi, sottovoce,com’era nel suo stile, non ha esi-tato ad imbracciare badile e picco-ne, indossare calzoni corti e, inpiena estate, cominciare a smuo-vere oltre che la terra, anche lecoscienze dei pochi interlocutoriche osservavano con curiositàquesto lungo birillo grondante su-dore che innaffiava le piante medi-cinali del “Giardino dei Semplici”.

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ciare un progetto di trasformazionedelle persone, dei semplici, ma poi,più in generale, di pezzi sempre piùestesi di comunità locale, tuttimessi all’opera per ricostruire unfuturo meno incerto. E così, tra ri-cordo personale, narrazione di pra-tiche concrete per “ribaltare l’eco-nomia” (della Provincia di Pisacon il suo vice Presidente Giaco-mo Sanavio, delle cinque aziendeagricole dell’Associazione ValderaInsieme Mauro Gallevi e di Gio-vanni Forte Direttore dell’Unionedei Comuni e della Società dellaSalute della Valdera che, prima inItalia, ha riconosciuto le pratichedi agricoltura sociale), ed ap-profondimenti sul “cibo per lamente” sui bivi della psichiatria(Stefano Carrara) e della produzio-ne del cibo per la città (GianlucaBrunori, Università di Pisa), si èpassati a delineare un “futuro chenon ci spaventa”, attraverso la co-struzione di un filo conduttore(tracciato dal gruppo organizzatoredella giornata e presentato daFrancesco Di Iacovo) e alla costru-zione di un pensiero strategico im-prontato sull’idea del distretto cul-turale (attraverso la proposta diEnzo Avanzi). Una tavola rotondafinale ha provato a “quadrare ilcerchio” favorendo un cortocircui-to tra ricordo e proposta, conse-gnando ipotesi di lavoro future.

Noi tutti riconosciamo a MauroGallevi le doti dell’innovatore so-ciale, dell’anticipatore, dolce e de-terminato, capace di favorire unacompleta trasmutazione delle risor-se incontrate, un soggetto dallagrande temperanza, capace di im-pastare, amalgamare e rigenerarecon metodica pazienza ed in perfet-to equilibrio risorse grezze, tanto daprodurne il cambiamento, una tra-sformazione felice in forma di ini-ziative proiettate verso il futuro, al-l'insegna dell'equilibrio e della ra-gionevolezza seguendo una forzalaica dell’agire.In questa sua azione, con l’amoreper la psichiatria e per la terra,quella vissuta da bambino e quellacalpestata da adulto, non sua seb-bene resa sua, sintetizzava in qual-che cosa di nuovo, anni di espe-rienze, riflessioni, intuizioni, senti-menti. Ciò aveva l’effetto di obbli-gare a spostarsi di lato e da quellanuova posizione guardare quelloche prima non si riusciva a vederee poi a muoversi trasformando.Attento all’imperativo dell’adatta-bilità e della tolleranza, Mauro ècapace, ancora oggi, di stimolare lacalma, la fiducia, la riflessioneobiettiva, la solidarietà e l’apertu-ra. Precisa spazi posizionando rife-

rimenti ideali e valoriali, che im-plicitamente (e a volte moltoesplicitamente) orientano e deli-mitano un paesaggio specifico cheprende corpo attraverso la parteci-pazione di quelle persone che, perscelta o per caso, si trovano a tran-sitare in questo spazio e a soffer-marcisi per abitarlo. In compre-senza con Mauro si creano spazi diazione virtuosa, mai virtuali, capa-ci di esercitare la virtù in forza disostanza. Mauro è un irriducibiledel nostro tempo, non perché por-tato ad escludere e ad affermare inmodo incontrastato una propria

idea. Al contrario, è la tenace ca-pacità di tessere relazioni, di fareincontrare idee e operosità, di

mettere al lavoro le menti, lachiave del suo essere, inesorabil-mente, irriducibile. In questo suo

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Se noi rileggiamo e riflettiamo sugli scritti e sui programmi di Mauro, sulleazioni compiute e su quelle ancora da compiere, ci accorgeremo che con ilGiardino dei Semplici egli pensava, appunto, sia alla salvezza delle menti edell’anima delle genti, ma anche dell’ambiente nel quale esse, tutti noi, vi-viamo. E chi è più “semplice” di un persona in difficoltà che si avvicina allanatura, che trae da essa arricchimento per la sua mente e per la sua salute?Oppure di un agricoltore che a contatto con persone nuove vede crescere efiorire oltre che i suoi prodotti anche esseri umani da molti ritenuti “appassi-ti”? O dei bambini che, attraverso orti scolastici, visite a fattorie didattiche,educazione alimentare appropriata, acquistano una coscienza ambientaleche i grandi hanno, in buona parte, ormai perso? Adriano Gallevi

La giornata in memoria di Mauro Gallevi (nella foto in alto, quarto, nella fila di destra) è iniziata con la realizzazionenell'azienda agricola Colline verdi di Partino (Palaia) di un orto realizzato dai partecipanti e con l'inaugurazione del giar-dino di piante aromatiche realizzato da delle persone in cura presso l'Unità Funzionale di Salute mentale adulti di Ponte-dera (ASL 5 di Pisa). Nella foto a sinistra, l’ulivo piantato in memoria di Mauro. La giornata è poi proseguita al MuseoPiaggio dove si sono svolti numerosi interventi, tra i quali quello del Prof. Enzo Avanzi che qui riportiamo.

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modo di operare come non prota-gonista, affidabile e discreto, e dimettere all’opera come soggettocollettivo impersonale gli altri,ognuno è capace di prendere qual-cosa degli altri, ognuno è un pocodi più gli altri, in un processo diappropriazione comune, ognuno èun poco più parte di un corpo so-ciale coeso, ognuno è più capacedi promuovere soluzioni ed archi-tetture coerenti con le tremendecontraddizioni esistenti. In questoMauro, come innovatore sociale, ècapace di riorganizzare una mate-ria indisponibile, quella delle rela-zioni capaci di avere continuità,indipendentemente dalla presenzafisica degli individui. Una materiaimpalpabile che si impasta nellamemoria e nelle modalità di com-portarsi di un corpo sociale, quelloche è andato formandosi attraver-so l’allargamento di quelle spirepositivamente contaminate che,grazie al suo contributo, si sonogenerate.E solo grazie a quest’esperienzache stiamo vivendo, al modo dioperare che con Mauro abbiamocostruito, alla sua capacità di por-tarci in uno spazio di azione nuo-vo, a queste certezze che costante-mente continuiamo a scambiareche siamo in grado di pensare adun futuro che non ci spaventa.

Pubblichiamo la relazione svolta daEnzo Avanzi in occasione della giorna-ta di “azione, pensiero e coltivazione”per delineare ulteriori percorsi proget-tuali, in particolare attivando tutte lepossibili sinergie che in questo ambitopossono utilmente svilupparsi fra gliOperatori culturali ed economici e leAmministrazioni locali, seguendo e svi-luppando le indicazioni e gli studi pro-mossi anche in sede internazionale(OCSE,UE ecc).

La costruzione del pensierostrategico: il distretto culturale

La considerazione dei diversi pro-getti via via elaborati ed attuati daMauro può essere un utile percorsoper comprendere in cosa possa effet-tivamente consistere un distrettoculturale, esperienza ancora oggi piùnota nella letteratura specialisticache non con riguardo a specificherealizzazioni.

Propongo, in altri termini, di ri-leggere il complesso delle sue speri-mentazioni per evidenziarne quel fi-lo conduttore che è stato semprechiaramente individuabile e che ri-tengo di poter qui così riassumere:sono tutte applicazioni di specie diun approccio innovativo indirizzatoall’utilizzo di valori etici e culturali

per lo sviluppo territoriale e locale.Un approccio naturalmente as-

sunto e sviluppato da chi, comeMauro, ha sempre saputo coniugaresemplicità e leggerezza nei rapportiinterpersonali con una sicurezza dipensiero che gli veniva prima di tut-to da valori etici profondamentevissuti, quali:

- la coscienza della sostanzialevacuità di una crescita economicache si sviluppi senza attenzione alleesigenze di coesione sociale dei ter-ritori;

- l’intuizione – oggi validata dallamigliore letteratura specialistica mafino a pochi anni fa probabilmenteancora prevalentemente, se nonunicamente, diffusa in ben delimita-ti settori dell’avanguardia artistica –che la creatività ed il riferimento avalori etici e/o professionali profon-damente condivisi possono essere, acerte condizioni, in grado di conno-tare la correlazione e l’interdipen-denza fra esperienze, appunto, cultu-ralmente collegate, non meno diquanto non avvenga normalmenteper le attività accomunate dalla ap-partenenza allo stesso settore mer-ceologico (è normalmente il casodei distretti industriali);

- che questa consapevolezza benpuò supportare un vero e proprio

vantaggio competitivo per quei ter-ritori che sappiano essere capaci diinnescare e valorizzare al loro inter-no serie coerenti di iniziative eco-nomico-culturali in grado di inserir-si per la propria specificità nelle rea-lizzazioni più interessanti della at-tuale economia della conoscenza,nella convinzione che anche da in-novazioni socialmente fondate pos-sano derivare indotti economicinon meno interessanti di quelli di-scendenti dalla sola evoluzione delletecnologie;

- che, anzi, i tre processi necessariattraverso i quali nei distretti cultu-rali normalmente dovrebbe svilup-parsi lo slancio anche economicoindotto dal comune riferimento avalori condivisi (il paradigmadell’attrattività, il paradigma delladisseminazione, il paradigma dellacultura territoriale) di per sé benpossono identificare un percorsovirtuoso mediante il quale consoli-dare la valenza politico-economicadi esperienze che solo se considerateunitariamente – in un’ottica, ap-punto, culturale – possono raggiun-gere la massa critica indispensabileper essere apprezzate dalla pubblicaopinione e, quindi, dallo stesso mer-cato;

- che in questa accezione la cul-

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La relazione tenuta da Enzo Avanzi

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tura a cui fare riferimento non èunicamente quella capace di soste-nere la realizzazione di prodotti diper sé uniformi (è il caso più ricor-rente e, in fondo più scontato), maanche quella che può manifestarsitramite la conclamata e verificataadesione di diversi soggetti, econo-mici e non solo (aziende,ma ancheassociazioni, organismi prevalente-mente attivi nel volontariato ecc.)ad obiettivi e/o modelli gestionali emanageriali che siano in quanto taliben noti ed apprezzati dalla pubblicaopinione.

Può così accadere che la tensio-ne etico-organizzativa propria dellereti per la solidarietà produttiva, incui si inserisce il caso curato daMauro, possa rivelarsi utile anchequando si ipotizzino possibilità diutilizzi oltre l’ambito strettamenteagricolo, purché si tratti in ogni ca-so di attività connotate anch’essedal fatto che se ne sia esplicitamen-te prevista la stretta connessionecon la tutela di soggetti socialmentesvantaggiati o altri obiettivi di inte-resse generale, nell’ambito,ovvia-mente,di una gestione rispondenteagli standard di responsabilità socia-le internazionalmente riconosciuti.

Si potrà così lasciare volta pervolta alla creatività organizzativo-culturale dei promotori la specifica-zione degli obiettivi, dei modi edell’entità dell’impegno, in un am-bito operativo condiviso, verificatoe validato dalle autorità locali re-sponsabili del territorio in cui dovràsvolgersi l’esperienza di questi di-stretti culturali indirizzati, appunto,alla solidarietà.

In estrema sintesi, così riferendole conclusioni di discussioni più vol-te portate avanti con Mauro e chequi cerco solo di razionalizzare expost, mi sento di ribadire che il di-stretto culturale della solidarietà do-vrà poter connettere una serie diiniziative che ricomprendano tuttel’adesione ai valori della responsabi-lità sociale, essi stessi volontaria-mente integrati da obiettivi ulterioridi solidarietà, secondo lo schemaqui proposto (da adattarsi in funzio-ne della dimensione dell’impresa).

Si dovrà così: - monitorare, nel quadro della tu-

tela della concorrenza, il mercato diriferimento ed i concorrenti, conspecifica esclusione che possa inqualsiasi forma abusarsi di posizionidominanti; che si verifichi un utiliz-

zo improprio di appalti, finanzia-menti e aiuti pubblici; che ulterioridistorsioni del mercato possano es-sere indotte da clientelismo e/o cor-ruzione;

- assicurare, inoltre, un’articola-zione della proprietà che preveda,quanto ai rapporti fra capitale socia-le ed associati, norme volontarie in-terne esplicitamente destinate alladisciplina dell’esercizio della pro-prietà; regole certe per la prevenzio-ne e soluzione dei conflitti di inte-resse; protezione dei soci di mino-ranza e nomina degli amministrato-ri; norme per la comunicazione,informazione e trasparenza;

- assicurare una gestione che, conriguardo all’azione ed alle prerogati-ve del gruppo dirigente, preveda co-munque: norme volontarie internesulla gestione; norme che possanoescludere situazioni di conflitto diinteresse per gli amministratori; tra-sparenza per quanto attiene comu-nicazione e informazione; partecipa-zione e voto nelle assemblee genera-li; tutela dell’occupazione e selezio-ne trasparente delle risorse umane;salute e sicurezza nel lavoro e dialo-go sociale; adattamento alle trasfor-mazioni societarie; tutela dell’am-

biente, dei consumatori e della qua-lità; adozione e diffusione di azionidi ricerca e di sviluppo scientificocon ricadute anche sul territorio; in-dicazione di quali iniziative venga-no previste per sensibilizzare alle po-litiche volontarie adottate le auto-rità locali e gli stessi partners com-merciali, caratteristiche che di persé sono proprie della responsabilitàsociale d’impresa, riferendole ad unpreciso ambito territoriale nell’am-bito del quale – è il nostro caso – glioperatori economici e le Autoritàlocali condividano il progetto di unDistretto culturale organizzato an-che per meglio mettere in rete il pa-trimonio di risorse culturali ed am-bientali del territorio.

Ciò che contribuirà allo svilup-po sostenibile dell’area consideratae, appunto, alla sua caratterizzazionequale Distretto culturale socialmen-te responsabile.

Presupposto per l’agibilità diquesto progetto è, dunque, la condi-visione, da parte dei Promotori edelle Autorità locali interessate:

- di quale sia il complesso dellerisorse di carattere sociale, economi-co, ambientale ritenute strategicherispetto agli obiettivi stabiliti;

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Nella foto a fianco: un altro momento della preparazione dell’orto durante la giornata; in alto, Mauro Gallevi presenta l'iniziativa di Agricoltura Sociale in Valde-ra durante una giornata di formazione per persone iscritte al Master in Sviluppo Rurale di cui l'Università di Pisa è partner.

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- di quale sia il grado sostenibi-lità, con riguardo ad ogni singolainiziativa, di ognuno degli obiettiviin astratto propri della responsabi-lità d’impresa, essendo evidente lanecessità di ragionevolmente ridefi-nirli in concreto con riguardo allareale agibilità nel singolo contestoaziendale;

- della eventuale realizzazione diattività di formazione finalizzate adaumentare la consapevolezza delleimprese e dei funzionari degli entilocali circa la positiva incidenza deiprincipi della responsabilità socialesullo sviluppo del territorio (gli ope-ratori economici quali destinatari fi-nali ed i funzionari anche in consi-derazione dell’influenza che essi pos-sono e devono esercitare per un rea-le consolidamento della cultura del-la responsabilità sociale e della soli-darietà: un primo ed utile oggettodella formazione potrebbe così esse-re individuato proprio con riguardoalla redazione di bilanci sociali,siaper il distretto in quanto tale cheper ogni singola attività, curandonela diffusione perché la pubblica opi-nione possa meglio cogliere l’effica-cia sociale delle attività svolte);

- degli obiettivi da conseguirsioltre quanto previsto da norme co-genti nazionali e/o locali e da defi-nirsi con specifica attenzione a bi-sogni individuali e/o collettivi ef-fettivamente verificati nel territo-rio: necessità di tutele aggiuntive asoggetti gravati dall’incidenza dihandicap fisici o sociali; azioni mi-rate ad una migliore tutela del pa-trimonio culturale territoriale,con-tribuendo a meglio integrare a talfine le risorse storiche, culturali edambientali; sostegno all’identità so-ciale del territorio, anche attraver-so la valorizzazione di culture diffe-renti in esso presenti, costruendoun modello di sviluppo locale aper-to alle ibridazioni culturali ed aivalori della tolleranza; dare un pro-prio specifico apporto perché siconsolidi una linea direttrice dellepolitiche per la gestione delle risor-se umane capace di favorire la for-mazione di competenze adatte allemutazioni interne ed esterne e og-getto di uno sforzo di anticipazionee prospezione a lungo termine; por-tare, in definitiva, un contributoalla realizzazione di un’offerta diqualità ambientale e sociale chepossa investire tutto il territorio,ben oltre i confini dello stesso di-stretto culturale (così promuoven-do una specializzazione dell’offertadel distretto culturale tale da con-ferirgli la capacità di condizionarein qualche misura la stessa forma-zione della domanda e, quindi, so-stenere nel mercato locale la cre-scita di un sistema di offerte, senon proprio alternativo, almeno

correttivo rispetto a quelle altri-menti unicamente condizionate edindotte dai grandi media pubblici-tari).

Si tratta, in definitiva, di valoriz-zare la specificità solidaristica del di-stretto culturale utilizzandolo ancheper potenziare e rafforzare l’impren-ditorialità diffusa, costruendo una fi-liera di beni, servizi e conoscenze le-gati all’uso sostenibile del patrimo-nio culturale in quanto risorsa, pro-muovendo ed innovando anchequei servizi alle imprese attraverso iquali si può positivamente incidereper uno sviluppo equilibrato e soli-dale.

Non c’è dubbio che strumentosicuramente utilizzabile a tal finepotrebbe essere anche la promozio-ne di un marchio del distretto cultu-rale, eventualmente ad integrazionedei marchi territoriali già esistenti,facendone in tal caso un label diqualità da utilizzare dalle impresemeritevoli a fini di comunicazionecon l’opinione pubblica e, soprattut-to, con i consumatori.

I concetti più volte richiamati diresponsabilità sociale di impresa,di-stretto industriale, buona governan-ce ecc. sono generalmente ben noti,anche perché più volte ricorrenti intesti normativi ed in indicazioniprogrammatiche a livello sia nazio-nale che internazionale, soprattuttonei documenti dell’Unione Euro-pea.

Chi volesse approfondire la pro-blematica dei rapporti fra cultura esviluppo locale non può prescinderedagli approfondimenti dell’OCSE,soprattutto quelli elaborati su im-pulso del programma LEED (v. inproposito il volume “Cultura e svi-luppo locale”,Trento 2005 e l’am-plissima casistica e bibliografia iviraccolta).

Deriva soprattutto dalla elabora-zione teorica e concettuale propostada LEED lo stimolo per la costruzio-ne e lo sviluppo di un concetto didistretto culturale che viene quiproposto al dibattito politico-specia-listico nella sua accezione più am-pia, anche per meglio consolidare ediffondere esperienze come quelleelaborate e condotte da Mauro.

Propongo a tal fine queste ulte-riori considerazioni che possono ri-vestire tanto più interesse in ragionedi tutti quegli stimoli che l’attualecrisi economica inevitabilmente in-duce, portandoci a riconsiderareconcetti e convinzioni fino a ieri digenerale accettazione.

Uno dei dubbi oggi più proficua-mente ricorrenti è che la logica delmercato non sia necessariamenteautoreferenziale, potendosi e, in cer-ti casi, dovendosi anche far riferi-mento a valori etici, con una serie

di disposizione che ne assicurino o,quanto meno, ne agevolino il rispet-to.

Cresce anche nei” santuari” delliberismo puro e duro il dubbio chel’efficienza economica non possaprescindere da una considerazionedi valori fondati altrove, nelle esi-genze di coesione espresse dalla so-cietà civile, nel sistema di valoriconnesso alla considerazione dellasolidarietà, nella cultura espressa dauna comunità in un momento dato.

“La cultura è un elemento essen-ziale dello sviluppo” e, in quanto ta-le,” è legata alla creazione di occu-pazione, alla esportazione ed allaproduzione di redditi. Nelle città,come nelle aree e regioni metropoli-tane, la cultura è diventata unacomponente essenziale della qualitàdella vita,una fonte di reddito deri-vante dal turismo ed una leva creati-va per nuovi beni e servizi”.

La cultura, appunto, prescinden-do dai contenuti e dalle motivazio-ni: purchè compresa, radicata, diffu-sa in un contesto dato e percepitapositivamente dalla pubblica opi-nione, il che certo normalmente av-viene nel caso di progetti di solida-rietà sociale.

In questa ottica non è quindisenza significato segnalare che il di-stretto culturale nella sua sostanza sipuò considerare come modello disviluppo locale autosostenibile co-struito su un sistema di relazioni ter-ritorialmente delimitato. Esso inte-gra il processo di valorizzazione dellarisorsa “patrimonio culturale territo-riale” (sia materiale che immateria-le) con i processi di potenziamentodelle altre risorse del territorio e conquelli di rivitalizzazione delle econo-mie locali connesse con il settoredella cultura.

Nel panorama contemporaneo iltermine “distretto” supera e reinter-preta l’accezione letteraria e si arric-chisce di significati ulteriori, volen-dosi intendere con esso non solouna struttura amministrativa o laforma organizzativa del processoproduttivo di certe categorie di be-ni,ma anche un ambiente sociale incui le relazioni tra gli esseri, all’in-terno e fuori dei luoghi della produ-zione, presentano peculiarità e ca-rattere propri.

La dimensione caratterizzantequella parte di territorio che vieneidentificata come distretto è quelladell’esistenza di una “condizione ter-ritoriale specifica” ovvero il fattoche la competitività delle singoleorganizzazioni presenti nell’ambitoterritoriale è rafforzata dal legamespaziale che esse stabiliscono tra diloro e dalla sovrapposizione tra ladimensione economica e quella del-la vita locale (reti di relazioni inter-personali, cultura, politica, saperi

artigianali ecc.).Il “distretto industriale”, che può

essere considerato il primo strumen-to di progettualità ancorato al terri-torio, individua un territorio carat-terizzato, dal punto di vista produtti-vo, dal dominio di uno specifico set-tore di produzione (calzaturiero,tes-sile ecc.) che, oltre che a determina-re le caratteristiche della strutturaeconomica, connota anche il tipo direlazioni spaziali (orografia, reti enodi di comunicazione, forme di in-sediamento) e sociali (sistema di va-lori, orientamenti e istituzioni,espressioni culturali ecc.).

Analogamente è possibile defini-re il “distretto turistico” (o sistematuristico locale) come un contestoturistico omogeneo o integrato,comprendente ambiti territoriali ap-partenenti anche a regioni diverse,caratterizzato dall’offerta integrata dibeni culturali, ambientali e di attra-zioni turistiche, compresi i prodottitipici dell’agricoltura e dell’artigia-nato locale, o dalla presenza diffusadi imprese turistiche singole o asso-ciate”( L.29 marzo 2001, n.135).

Mentre appare più condivisal’interpretazione del ruolo e dellecaratteristiche di un distretto nelledefinizioni di “industriale” o “turisti-co” (perché i temi sono ormai “fa-miliari”, accertati nelle esperienzerealizzate, istituzionalizzati da riferi-menti legislativi), meno immediatarisulta, invece, la definizione di di-stretto culturale.

L’attributo “culturale” non ri-manda in maniera univoca all’indi-viduazione di un settore produttivo,ma fa piuttosto riferimento ad una“vocazione territoriale” che identifi-ca nel patrimonio culturale la suaprincipale fonte di sviluppo.

A ciò si aggiunga l’osservazioneche è un fenomeno “giovane”, nonancora istituzionalizzato o convali-dato da specifiche esperienze territo-riali che possano nei fatti sostenersia vicenda, come normalmente av-viene per tutte le reti esistenti.

Anche per questo i lavori diquesta giornata potrebbero rivelarsipreziosi, incoraggiando gli Operato-ri e le Autorità locali a promuoverealtre esperienze del genere in qual-sivoglia settore merceologico, pur-ché ne esca convalidata e rafforzatala prospettiva di distretti culturalicaratterizzati dall’intreccio fra re-sponsabilità sociale e specificiobiettivi di solidarietà e/o interessegenerale, obiettivo esplicitamenteperseguito in comune da soggettieconomici in grado di raggiungereinsieme massa critica, non importase attivi in settori merceologici di-versi nel territorio di riferimento.

Enzo AvanziDelegato generale CEEP-IT

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Un premio dedicato a Federico ChiarugiLa Scuola ricorda il campione

È“Scienzia Machinale”, attivanel settore della robotica, fon-data nel 1991 a Navacchio

(Pisa) e con un fatturato che oggiraggiunge i 40 milioni di euro, l’im-presa vincitrice del “Premio spin offdell’anno Federico Chiarugi”, rico-noscimento che il “Club delle spinoff della Scuola Superiore Sant’An-na” di Pisa ha voluto promuovereper ricordare la figura del ginnastaolimpionico scomparso prematura-mente nel 2008.

La cerimonia di consegna si è te-nuta sabato 27 giugno, presso l’aulamagna della Scuola SuperioreSant'Anna (vedi foto), con la qualeFederico ha collaborato a lungo edove ha contribuito lui stesso, dalaureato in economia, a far nascere ea far affermare aziende spin off.

L’idea di istituire un premio in ri-cordo di Federico Chiarugi è statafatta propria dal club che riunisce leormai quasi trenta imprese natenell’ambito dei laboratori di ricercadella Scuola e che oggi affrontano ilmercato; è stata subito fatta propriadai vertici accademici, in primo luo-go dal Direttore (Rettore) MariaChiara Carrozza e dal Presidente,Riccardo Varaldo. Tra l’altro, MariaChiara Carrozza, come ricercatrice edocente di biorobotica, ha conosciu-to bene Federico Chiarugi durantela sua collaborazione con alcuni la-boratori del Polo Sant’Anna Valde-ra, dopo il suo infortunio che lo co-strinse ad abbandonare l’attivitàagonistica.

Il premio intitolato all’olimpioni-co amico e compagno di squadra delpluricampione Yuri Chechi (foto adestra) non vuole aggiungersi allegià numerose competizioni per im-prese che operano in settori innova-tivi o per “business plan”. In questifronti la Scuola è infatti già impe-gnata, ad esempio come referente re-gionale toscana per il “Premio Na-zionale Innovazione”.

La cerimonia di consegna ha vi-sto – tra gli altri – gli interventi diRiccardo Varaldo e di Maria ChiaraCarrozza, che ha tratteggiato la figu-ra di Federico, prima di passare allapremiazione. Ovviamente eranopresenti i genitori di Federico, allecui spalle è stata proiettata una bellaimmagine di Federico, e Giuseppinadi Lauro, Presidente del “Club dellespin off”, nonché una delle prime alanciare l’idea del premio.

“Scienzia Machinale”, per laquale ha ritirato il premio RenzoValleggi, è stata scelta dalla giuria,composta dai rappresentanti delle

aziende spin off e della Scuola Supe-riore Sant'Anna, perché è stata laprima, “è la più grande e ancora oggila più importante – si legge tra lemotivazioni –, riesce a mantenereun alto grado di creatività in quelloche fa e sta diventando sempre piùfamosa nel mondo, contribuendo afare onore al miglior made in Italy dialto livello”. Inoltre, “Scienzia Ma-chinale” – si legge ancora – ha sapu-to aprirsi nuovi mercati in manieradel tutto indipendente dalla Scuola,rappresentando un ottimo modello”.Oggi questa spin off, che “si caratte-rizza per la creatività degli ingegneri– concludono i giurati – che rappre-sentano il 90% delle risorse umane,ha grande esperienza nella parteci-pazione e gestione di progetti euro-pei ed ha importanti collaborazionicon grandi aziende”. Grazie a questesue affermazioni “Scienzia Machina-le” ha dato vita ad altre due imprese.

Nelle foto, alcuni momenti della cerimonia.Tra queste, una vecchia foto di Fe-derico con Yuri Chechi. In basso, uno studio di un’opera scultorea che AnnaChromy ha elaborato in ricordo di Federico e della sua sfida di vita. Poco sopra,i genitori di Federico insieme a Paolo Dario e Maria Chiara Carrozza.

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Uno studente di medicina,allievo di un collegio asso-ciato alla Scuola Normale,

che si sposa mentre è ancora alquinto anno, e per di più con unadottoressa norvegese, era cosa raranella Pisa del 1961. In quel periodosi leggeva anche, con maliziosa cu-riosità, un simpatico e disinvolto li-bretto di Silvano Ambrogi, intitola-to Le svedesi, per giunta ambientatoproprio dalle nostre parti - e io ave-vo la sensazione che alcuni degliamici ai quali presentavo la mia Er-na ripassassero mentalmente alcunepagine del libretto, il che potevacreare un po’ di imbarazzo. Natura-le, insomma, che sulla mia storia sifacessero diversi commenti sia neiquartieri del Collegio Medico-Giu-ridico, sia negli ambienti dellaScuola Medica. Ma Erna ed io nonce ne curavamo e ci davamo inveceda fare per allargare la cerchia dellenostre relazioni, arrivando a contat-tare anche un giovane ma già notochirurgo con ampie esperienze in-ternazionali. Un passo che a me ri-chiese una buona dose di disinvol-tura, per non dire sfrontatezza, per-ché superavo la barriera che alloraesisteva tra studente e professore, icui rapporti, molto formali, eranolimitati alla sola attività accademi-ca. Sentita la nostra storia e delica-tamente respingendo i nostri timoridi apparire come giovani inespertidi buone maniere, Paolo Santoni-Rugiu, con la sua Gerd, ci invitògenerosamente a cena nel loro bel-lissimo sottotetto sul Lungarno del-le Piagge. Fu una serata indimenti-cabile che segnò l’inizio di una lun-ga amicizia.

A quel tempo, Paolo era assi-stente nella Clinica di PatologiaChirurgica ed era da poco tornatoda un lungo soggiorno a Uppsala, inSvezia, dove era andato a specializ-zarsi in chirurgia plastica sotto laguida del famoso professor TordSkoog, uno dei luminari in quelcampo che lui aveva scelto per lasua carriera. Lasciare il proprio Pae-se per andare a perfezionare, se nonproprio a imparare, una professioneall’estero è sempre un atto di corag-gio, che solitamente si compie se-guendo lo stimolo intellettuale diun maestro carismatico. Ma la scel-ta di andarsene fino in Svezia perperfezionarsi in chirurgia plastica,credo che Paolo l’avesse fatta di suapropria iniziativa, scommettendosul futuro: infatti mi sembra di ri-cordare che allora a Pisa non ci fos-se in quel campo medico un pro-

gramma forte abbastanza da ispirareun giovane specializzando. Se poi sipensa che a quel tempo nell’ospe-dale di Uppsala si parlava quasiesclusivamente svedese – non eraieri, ma ben mezzo secolo fa! –, iltragitto di Paolo da Pisa alla Scan-dinavia doveva sembrare lungo, enon soltanto in chilometri.

In Svezia, oltre a farsi un’eccel-lente esperienza in chirurgia plasti-ca, incontrò anche la futura moglie.Gerd era una magnifica donna dispirito indipendente, che ammiravamolto l’Italia pur vedendone i latideboli. Lei e Paolo offrirono ad Er-na e a me la prova concreta cheuna felice relazione matrimonialepuò essere basata su culture e suesperienze molto diverse, com’era-no appunto le loro, maturate in duePaesi lontanissimi fra loro, e nonsoltanto geograficamente, comel’Italia, ancora impegnata a supera-re le difficoltà del dopoguerra e, co-me la Svezia, già bene avviata sullastrada di una moderna socialdemo-crazia.

I nostri pranzi italo-scandinavi,spesso preparati sapientemente daPaolo oppure più modestamente da

me, si susseguirono con una certafrequenza fino alla nostra partenzaper la Scuola Medica di Oslo.

Il rito degli allegri convivi inter-nazionali si ripeté in seguito duran-te le nostre vacanze estive in Italia.Ma dopo il nostro definitivo trasfe-rimento Oltreoceano, in Connecti-cut e poi a Chicago, i contatti si fe-cero molto rari, e purtroppo cimancò la possibilità di rivedereun’ultima volta Gerd durante lamalattia che la portò a una morteprematura. In questi ultimi anni,però, i rapporti erano ripresi. Diver-si colleghi pisani ricorderanno unennesimo pranzo, una rimpatriatafra vecchi amici, che Paolo orga-nizzò nel suo attico vicino al Tribu-nale. Lui era ritornato di recente dauna delle sue visite in Cambogia,dove sotto l’egida della benemeritaorganizzazione Emergency avevapassato diversi mesi a prestare le suecure alla popolazione, eliminandolabbri leporini, una piaga diffusa nelPaese, e rimediando ai terribili ef-fetti delle mine disseminate dapper-tutto durante e dopo la guerra delVietnam diventata sciaguratamenteguerra dell’Indocina e infine sfocia-

ta in una devastante guerra civile.Questa esperienza l’ha raccontatain alcuni articoli sul Sant’AnnaNews.

Dopo quell’incontro, i nostrirapporti epistolari via e-mail si in-tensificarono, animati dal suo desi-derio di aggiungere all’attività divolontariato la stesura di un librosulla storia della chirurgia plastica,alla quale si stava dedicando con uncollega britannico. Il libro fu poipubblicato con notevole successoda una casa editrice tedesca.

In seguito, Paolo mi scrivevanon solo del suo intenso lavoro dichirurgo in Cambogia, che restaval’interesse primario, ma anche deinuovi orizzonti della sua vita priva-ta. Penso all’ultima lettera di pochimesi fa. Nonostante il precario sta-to di salute, lui era appena arrivatoa Copenhagen per trascorrere il Na-tale con la famiglia del figlio, dopoun viaggio di 36 ore da PhmomPenh. Da settembre era rimasto inCambogia ad operare bambini conmalformazioni congenite dovute ingran parte al famigerato “agentorange”. Mi comunicò con moltoentusiasmo due notizie: che si sa-rebbe sposato a marzo con una si-gnora, anche lei vedova, già amicadi Gerd, e che la casa editriceSpringer avrebbe fatto una nuovaedizione del libro al quale si ripro-poneva di aggiungere tre nuovi ca-pitoli. Mi raccontava anche che inluglio era andato in barca a vela neilaghi Michigan e Huron con un suovecchio amico, pure chirurgo plasti-co, della University of Illinois, e ag-giungeva: “È stata un’esperienzabellissima. Lake Huron nelNorthern Channel ricorda tantol’Arcipelago Svedese”.

Allora, carissimo Paolo, un ulti-mo abbraccio anche da parte no-stra. Erna ed io siamo felici di averticonosciuto e di essere stati inclusifra i tuoi amici.

Tu rimarrai nella nostra memo-ria non solo come un amico since-ro, oltremodo generoso, aperto egentile, ma anche come modello diprofessionista e di accademico cheha fatto onore all’Università di Pi-sa e all’Italia. Per l’una e per l’al-tra, e per la medicina, sarà unagrande fortuna se le future genera-zioni potranno contare su figurecome la tua.

*Enrico MugnainiThe Feinberg School of Medicine

of Northwestern University Chicago, Illinois (USA)

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Un ricordo di Paolo Santoni-Rugiudi Enrico Mugnaini*

Paolo Santoni Rugiu in giovanili insieme alla moglie Gerta (a destra) e un ami-ca, sul terrazzo della sua casa pisana. In basso: a tavola con il piccolo Eric.

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Alla mente di un bambino illuogo e le condizioni nellequali quotidianamente vi-

ve, appariranno sempre “normali”.Non potendo confrontarle con nes-sun’altra realtà oggettiva se sapesseinterrogarsi le definirebbe sempli-cemente “universali”. Un piccoloesquimese, il bambino cresciuto inuna metropoli, un profugo natonella povertà di un “campo” pale-stinese crederanno, tutti e tre, chequella che vivono sia l’unica realtàpossibile. Dovranno passare moltianni prima che siano in grado diporsi delle domande sul propriostato ed analizzarlo mettendolo inrelazione col mondo.

Una sola cosa potrebbe colpirlo,disorientarlo, costringerlo ad inter-rogarsi su di sé mettendo immedia-tamente in crisi le sue certezze piùprofonde: la “discriminazione”. Seall’interno del suo contesto socialeverrà immediatamente “focalizzato”e… con le lunghe pinze dell’ento-mologo ne sarà estratto ed allonta-nato, potrebbe allora piegarsi sottol’immagine negativa di sé che gliviene trasmessa.

È questo “discrimen”, che nascesolo dai rapporti di forza, a non ces-sare di dividere gli uomini, a radi-carsi ovunque saltando da un conti-nente ad un altro, dandosi articola-zioni logiche diverse rinchiudendoil “discriminato” in una gabbia sur-reale dalle rigide sbarre invisibiliperché lo avrà convinto di essereprigioniero di sé stesso. Lo vediamoavvenire oggi, quotidianamente, aidiseredati che arrivano, trasformatiin relitti iperreali, che la risacca ab-bandona sulle nostre coste.

Subiranno subito la cancellazio-ne di chi, non possedendo nulla,approda in una società sazia e bru-talmente mercantile che, cancella-ta ogni loro individualità, li recu-pererà come mano d’opera a bassocosto se non come schiavi.

Quali meccanismi psicologicipermetteranno loro di vivere que-sta separazione da sé stessi? Qualetrasformazione interiore?

Con disagio, tormentoso, tornainevitabilmente il ricordo del fati-coso adattamento che hanno dovu-to elaborare in Italia i bambiniebrei all’indomani della promulga-zione delle “leggi razziali” nel lon-tano settembre 1938. Una leggebrutale che, escludendoli dallascuola di Stato ha frantumato perloro il concetto stesso di cultura.

Angosciati da quella discrimina-zione che li separava dai propricompagni, puniti per una colpa in-comprensibile, hanno poi assistitostupefatti alla frettolosa organizza-zione di una patetica “scuola ghet-

to” così improbabile quanto volen-terosa.

Sono nata, con due sorelle, inuna famiglia ebraica ed è stato sola-mente grazie all’intelligenza dei no-stri genitori se ho potuto padroneg-giare lo smarrimento di quella se-parazione che ci veniva imposta.Ma ho solo un poco più tardi supe-rato (anche con la modesta culturadi una undicenne) il dubbio cheappartenere ad una “razza inferiore”potesse fare di me una “quadruma-ne arboricola” quell’eccesso verbalesi era già trasformato nella dizionecomica di un goffo refuso mentregli avvenimenti privati stavano or-mai iscrivendosi prepotentementenella tempesta ingovernabile chestava precipitando l’Europa nel ba-ratro della guerra.

I “grandi” ne parlavano conti-nuamente tra loro ascoltati dabambini attenti e silenziosi, incer-tezze indefinibili che ci sovrastava-no e, assolutamente sconcertanteper noi bambini, lo stillicidio, sullastampa, della volgarità delle “vi-gnette” antisemite, tutto creava al-larme e spaesamento come, in ac-que tempestose, una navigazionesenza bussola né sestante.

È stato allora che, unico argine atanto sfaldamento, si è rivelato losguardo fermo che il babbo posava

sulla Natura ed il suo grande Dise-gno osservato, raccontato, spiegatoinstancabilmente, forse come con-sapevole antidoto, certamente co-me lettura della diversità del mon-do. “Solo nella conoscenza c’è li-

bertà”: era quanto pareva volercitrasmettere.

Su ogni “evento” richiamava lanostra attenzione: dalla crescita diun filo d’erba al moto di un piane-ta, dal volo degli uccelli migratoriall’ambiente biologico di uno sta-gno. Professore di Chimica Fisicaera attento a tutti i “fenomeni”, maestraneo a ogni loro “gerarchia”perché – sosteneva – la stessa com-plessità riguarda ogni espressionedella Natura, anche la più piccola,nell’apparente unità del mondo. “Epoi – scherzava – rispetto a qualescala di grandezza?”

Coltivava il dubbio, motore se-greto di ogni indagine, di ogni veri-fica ed era questo spirito che avreb-be dovuto guidarci anche nell’ana-lisi dei problemi che stavamo vi-vendo.

Insieme alla mamma, come inun gioco, ci proponevano l’Arte ela Musica nella loro incessante tra-sformazione perché ci mostrasserol’evoluzione inarrestabile del pen-siero e della visione del mondo nel-la quale la Società, nei secoli, si erarispecchiata.

Ricordo come, insieme, scopri-vamo uno dei rapporti che legavaArte e Musica attraverso la filolo-gica riproduzione degli strumentimusicali nei quadri rinascimentali:

lire, viole, citole, viole da gamba,liuti imbracciati impeccabilmenteda angeli musicanti.

Quasi sempre i pittori erano, essistessi, musicisti: Leonardo, Raffael-lo, Gaudenzio Ferrari, Bellini. Se-gno straordinario, questo, di unaoggi perduta unità della cultura, diuna più vasta integrazione delmondo dello spirito.

Non ho dimenticato neppure larisposta che, una volta, il babboaveva dato ad una domanda sulladodecafonia. “Al di là della com-plessa combinazione matematicache sottende la ‘serie’ – mi avevadetto – andava intesa soprattuttoquale dolorosa rinuncia all’armoniatradizionale, espressione di un pas-sato ormai consumato e rifiutatonelle sue regole e nei suoi vincolicompositivi: una ricerca di libertà”.Non volevano proporci affatto unafuga né un rifugio, ma solamentesuggerirci di aprire il più possibile inostri orizzonti in un mondo dive-nuto soffocante.

Per sette anni le leggi razziali re-steranno valide in Italia con dram-matiche conseguenze infinite; manon è di questo che si può ora par-lare: la guerra ha travolto in tuttal’Europa milioni di esseri umani.Ha cambiato definitivamente gliequilibri sociali e politici nel mon-do. Nulla sarà più come prima.

Nel nostro paese, balbettando,nascerà finalmente la Democraziama, non per questo, la giustizia so-ciale, la solidarietà , la tolleranzapotranno affermarsi senza lotte.

Sono passati già 60 anni, unostraordinario avanzamento tecno-logico ha portato l’uomo nel Co-smo e dentro i segreti della Cellula.Ma i barconi di esseri umani, affa-mati dalla desertificazione delle lo-ro terre, naufragano quotidiana-mente sulle nostre coste.

Si ruba prepotentemente l’acquaai più poveri e l’infanzia ai “bambi-ni soldato” ed alle bambine prosti-tute mentre i trafficanti di coca co-struiscono segretamente, con effi-cienza, una devastante economiaparallela e milioni di bambini cre-dono ancora che un campo profu-ghi sia l’unico mondo possibile.

Abbiamo ancora bisogno di unfilo d’erba, il bisogno disperato delvolo dei “migratori”, del moto diun pianeta e della melma di unostagno per non smarrire il nostrovolto umano.

Anna Piccardi

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Dalle persecuzioni ai barconi...tanti mondi possibili, in un solo filo d’erba

di Anna Piccardi

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Nello scorso mese di marzoun gruppo di allievi diGiurisprudenza e di Scien-

ze politiche ha avuto l’opportunitàdi visitare alcune fra le principaliuniversità ed istituzioni degli StatiUniti in occasione del consueto“viaggio di settore”. La trasferta,organizzata dagli allievi stessi, è sta-ta resa possibile grazie al contributofondamentale di docenti ed ex al-lievi della Scuola (tra cui, in parti-colare, il prof. Giovanni Comandé,l’ambasciatore Francesco Basconeed il prof. Giuliano Amato), i qualihanno fornito contatti e suggeri-menti al fine della buona riuscitadel viaggio: a tutti loro va dunqueun ringraziamento speciale da partedegli allievi.

La scelta della meta è stata det-tata dalla curiosità di molti di noinei riguardi del sistema formativoamericano, di cui spesso abbiamosentito parlare anche da parte di al-lievi della Scuola che lì sono anda-

ti a completare i loro studi. Un ul-teriore elemento di interesse è statoquello di vedere dall’interno comegli Stati Uniti, “la democrazia piùantica del mondo” e “il mercatopiù sviluppato del mondo”, stesseroaffrontando questo periodo di crisieconomica.

L’itinerario seguito è si è dunquearticolato nelle città di Boston,New Haven, Washington D.C. eNew York, visitando alcune delleuniversità della Ivy League nonchéle principali istituzioni politiche edeconomiche del Paese.

***

L’impatto iniziale del viaggio èstato dirompente: appena arrivatiin aeroporto, ci è stato comunicatoche il nostro volo per New York,dove avremmo fatto scalo per Bo-ston, era stato cancellato a causa diuna forte tempesta di neve. L’im-previsto e il ritardo che ne è deri-

vato ci hanno poi costretti a peri-pezie notturne nella metropolitanadi New York al fine di raggiungerela nostra meta in treno, così da nondisertare gli impegni già in pro-gramma per il giorno successivo.Una volta arrivati, dopo una meri-tata doccia siamo finalmente anda-ti alla scoperta di Boston, in queigiorni completamente innevata.

La prestigiosa università di Har-vard è stata la prima visita. Qui,grazie alla collaborazione del Con-solato Generale d’Italia a Boston,abbiamo potuto seguire una lezionedel Professor Duncan Kennedy in-sieme agli altri studenti della Fa-culty e abbiamo visitato il campusincuriositi. Immancabili le foto dirito nella bellissima Library dellaLaw School, con o senza libri in ma-no: d’altronde, non sapendo se ungiorno ci saremmo effettivamentepotuti tornare in qualità di studen-ti, era doveroso portare testimo-nianza dei nostri “studi” americani

per nonne e zie!Il senso di appartenenza e di or-

goglio in una simile istituzione nonpuò che essere molto forte; e, d’al-tronde, non potrebbe essere altri-menti, dal momento che da questauniversità sono usciti alcuni fra iprincipali protagonisti della storiaamericana. Nelle diverse conversa-zioni che abbiamo avuto con glistudenti, una delle questioni che ciha maggiormente attratto è il siste-ma di recruiting delle universitàd’élite americane. Le fees da pagarenelle università della Ivy league so-no infatti altissime e il test nazio-nale effettuato prima di accedere alcollege costituisce di per sé solouna prima selezione; al contrario,fondamentali sono le lettere di pre-sentazione del candidato. Un’altravia d’accesso privilegiata è poi l’ap-partenenza a famiglie che da gene-razioni si formano nella stessa uni-versità e che alla stessa fornisconoingenti finanziamenti: in giro per le

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La meritocrazia in AmericaGli allievi di Giurisprudenza e Scienze politiche

raccontano il loro viaggio negli Stati Unitidi Giuseppe Bianco e Vincenzo Carbonelli*

Gli Allievi Ordinari partecipanti: Aiello Giuseppe Francesco, Barago Enrica, Barros Pinto Maria Olimpia, Bianco Giuseppe, Bigazzi Sabrina, Blasini Andrea, Bor-toluzzi Chiara, Carbonelli Vincenzo, Castellarin Emanuel, Della Negra Federico, Di Iorio Edda, Donadio Giulia, Ferrari Silvia, Gaboardi Andrea Nicola Ludovico,Grandi Martina, Guaniai Ricci Rossella, Harris Eleonora, Lamonaca Sara, Mancano Leandro, Miniussi Davide, Pacini Fabio, Pedone Michele, Pirisi FrancescoGiovanni Giuseppe, Poggiani Giovanni, Presotto Andrea, Rini Alberto, Scalzini Silvia, Seminara Violetta, Tarsi Giulia, Virgili Tommaso, Volino Carmine Luca.

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diverse palazzine sono infatti nu-merosissime le targhe con cui siringraziano le famiglie per le dona-zioni effettuate. Ad Harvard, adesempio, da più di un secolo si for-mano i rampolli di casa Kennedy.D’altra parte, il sistema americanodi borse di studio è molto sviluppa-to e gli studenti davvero meritevolihanno così ugualmente assicuratala possibilità di accesso nelle mi-gliori università.

Il giorno seguente abbiamo visi-tato i laboratori del MIT, il Massa-chusetts Institute of Technology. Quici ha accolti la Prof. Serenella Sfer-za, la quale ci ha parlato delle pro-spettive di sviluppo del ProgrammaMIT-Italy e delle possibilità di stu-dio a Boston. Abbiamo inoltre co-nosciuto un gruppo di ricercatoriitaliani che, orgogliosi della loroesperienza, ci hanno mostrato alcu-ni loro progetti e ci hanno accom-pagnato per i corridoi dei laborato-ri, fornendoci anche molte infor-mazioni utili per i nostri colleghiingegneri santannini.

***

Nel pomeriggio siamo saliti inpullman alla volta di New Haven,dove siamo stati accolti dai perfe-zionandi della nostra Scuola Cate-rina Sganga e Andrea Bertolini,che presso la Yale Law School sta-vano seguendo il loro LLM, il Ma-ster of Laws. Grazie a loro abbiamopotuto vivere due giorni da allievidella prestigiosissima università.Accompagnati da Mike Widener,curatore della sezione dei libri anti-chi, abbiamo visitato la sezionegiuridica della loro biblioteca, dove– con nostro stupore – ci sono statemostrate tantissime pubblicazioniitaliane. Alcuni di noi, essendo pe-riodo di tesina, sono stati tentatidalla possibilità di richiedere unprestito interbibliotecario transo-ceanico. Abbiamo poi seguito alcu-ni corsi insieme agli altri studenti,tra cui un’interessantissima lezionedi Bruce Ackerman, Sterling Profes-sor of Law and Political Science.

Il giudice, prof. Guido Calabresi,ci ha ricevuti molto affettuosamen-te nel suo studio privato di NewHaven, dove ci ha raccontato lasua esperienza negli Stati Uniti, sinda quando emigrò con la sua fami-glia alla fine degli anni ’30. Ha poievidenziato i suoi forti legami conl’Italia e con Pisa in particolare;spronato dalla gran quantità di do-mande, ci ha quindi offerto il suoprezioso punto di vista su un grannumero di questioni, dal modo incui vive il suo ruolo di giudice aiproblemi attuali del diritto.

L’ultimo giorno a Yale, il Prof.Mirjan Damaska ci ha onorati diuna lezione tenuta appositamente

per noi, incentrata sulla differenzatra i systems of legal education conti-nentale e statunitense.

La serata è stata un’occasioneper cenare in un locale molto fre-quentato dagli studenti universita-ri, assieme all’ex-allieva, prof.ssaMarina Santilli, che ha fornito uncontributo fondamentale per l’or-ganizzazione della visita nella LawSchool.

L’indomani, Washington D.C.ci ha accolti con l’imponenza mo-numentale della sua zona governa-tiva.

La nostra prima tappa è stata ilFondo Monetario Internazionale.Lì abbiamo incontrato il Direttoreesecutivo per l’Italia, Dott. ArrigoSadun, il quale ci ha illustrato imeccanismi di funzionamento in-terno del Board of Directors, non-ché le strategie per affrontare lacrisi economica attuale.

Più tardi, abbiamo visitato laCorte Suprema federale, dove ab-biamo incontrato il giudiceStephen G. Breyer, famoso per lesue raffinate argomentazioni non-ché per i suoi diverbi con il collegaAntonin Scalia. Insieme a lui ab-biamo anche incontrato la sua lawclerk, una ragazza di pochi anni piùgrande di noi, la quale – appenadopo la laurea – è stata scelta dalgiudice Breyer per assisterlo nellapreparazione delle sentenze.

Nel fine settimana abbiamoavuto finalmente un po’ di tempolibero per esplorare la capitaleamericana. Il Mall, con il suo chilo-metro abbondante di giardini checosteggiano diversi musei e galle-rie, è stato la meta preferita dai più.Poi, la sera, i locali etnici del quar-tiere di Georgetown hanno spezza-to la routine di hamburger e hot-dog.

Lunedì 9 è cominciata un’altraintensa settimana. Nonostante finoall’ultimo sembrasse un sogno im-possibile da realizzare, grazie all’in-teressamento dell’Ambasciata d’Ita-lia a Washington, abbiamo avutol’ok per la visita del Congresso degliStati Uniti, a Capitol Hill. Accom-pagnati da un funzionario dell’uffi-cio dell’on. Nancy Pelosi, abbiamoammirato gli interni del palazzo cheospita le due camere del parlamentoamericano. Dopo pranzo, eravamotra il pubblico che ha assistitoall’apertura di una sessione dellaHouse of Representatives, ascoltandoi deputati democratici e repubblica-ni che si alternavano sul podio.

Nel pomeriggio c’è stato spazioanche per la magnifica Library ofCongress. La guida ha spiegato chel’intento era di replicare lo stile delRinascimento italiano – e ci hachiesto di non essere eccessiva-mente esigenti nel nostro giudi-zio... La più grande biblioteca delmondo ci però ha definitivamente

conquistati quando abbiamo scortosulla volta il profilo familiare diDante Alighieri.

***

L’indomani, dopo un breve viag-gio in treno, la Grande Mela ci haaccolti con qualche grado in più (emolta neve in meno) rispetto alnostro atterraggio una settimanaprima. Per cominciare, abbiamoavuto un incontro presso lo studiolegale “Cleary Gottlieb Steen andHamilton”, tra i più noti a livellointernazionale. Qui abbiamo con-versato a lungo con gli avvocatiMatteo Gatti e Daniel S. Stern-berg, che ci hanno raccontato delleorigini e degli obiettivi che caratte-rizzano il gruppo, sottolineandoche le capacità dimostrate sul cam-po conducono a ottimi risultatiprofessionali, a prescindere dalbackground del singolo.

L’11 è stata la volta della piùimportante istituzione internazio-nale, l’Organizzazione delle Nazio-ni Unite. Dopo una visita del Pa-lazzo di Vetro, abbiamo incontratoStefania di Paola del Securi-ty Council Practices and Charter Re-search Branch, Angela Bargellinidell’Electoral Assistance Division eFrancesca Jannotti Pecci del Subsi-diary Organs Branch del Diparti-mento Affari Politici, per discuteredelle diverse possibilità di stage, la-voro e tirocinio nella galassia delleistituzioni internazionali. Infine,David Jeffrey ha illustrato le molte-plici attività dell’Ufficio degli Affa-ri Legali dell’ONU. Nel pomerig-gio, la Rappresentanza permanented’Italia ha organizzato un dibattitoa più voci con il magistrato StefanoMogini, il consigliere Stefano Gat-ti, il prof. Giuseppe Nesi, France-sco Candelari dell’UNICRI (l’Isti-tuto Internazionale delle NazioniUnite per la Ricerca sul Crimine ela Giustizia) e Shervin Majlessidell’United Nations Office on Drugsand Crime.

A conclusione dell’intensa gior-nata, ci siamo trasferiti presso ilConsolato Generale d’Italia, doveil console Francesco Maria Talò, ilviceconsole Maurizio Antonini edil dott. Rino Gradassi avevano in-vitato l’avv. Paolo Strino dell’AL-MA (Italian LL.M. Association),l’avv. Annalisa Liuzzo della Colum-bian Lawyers Association, l’avv. Ri-chard M. Biaggi ed il giudiceAnthony J. Fiorella della New YorkCity Civil Court. Nel corso dellalunga serata, si è discusso degli im-migrati italiani negli Stati Uniti edel notevole ruolo che essi hannoavuto e continuano ad avere, non-ché del sistema giudiziario america-no e del rapporto giudice-avvocato.

Il giorno dopo, per cogliere tutte

le opportunità che New York ci of-friva, ci siamo divisi in due gruppi.

Il primo si è diretto allaFordham Law School, dove ha se-guito una lezione di ComparativeLaw tenuta dalla prof.ssa VittoriaBarsotti, storica conoscenza dellaScuola. Ha molto affettuosamenteincentrato la discussione sull’ordi-namento giuridico italiano, spin-gendo gli allievi ad interagire congli altri studenti.

Nel frattempo, gli aficionadosdelle Nazioni Unite hanno dappri-ma incontrato Alberto Turlon delBurma Fund United Nations Officeche ha parlato dei metodi di “advo-cacy and lobbying” all’ombra del Pa-lazzo di Vetro. Quindi l’ex-allievaGiuditta Scordino, con la sua col-lega Radha Day del Department ofPeacekeeping Operations, ci hannoofferto una panoramica della situa-zione afghana, mentre Andrea Te-nenti della missione UNIFIL hatracciato un positivo bilancio dellamissione in Libano. Per finire, LoïcLallemand-Zeller ha illustrato leattività della Delegazione dellaCommissione Europea pressol’ONU, senza tacere le difficoltàche incontrano i ventisette Statimembri negli sforzi per coordinarsisulle questioni di politica interna-zionale.

I due gruppi si sono riuniti nelpomeriggio per seguire un accesodibattimento presso la Court of Ap-peals for the Second Circuit. Al ter-mine, il giudice Guido Calabresi harisposto alle nostre curiosità sulprocesso fatto nell’American way.

Venerdì, la visita della LawSchool della New York University,accompagnati da Stefano Monte-maggi (anche lui allievo perfezio-nando della Scuola, nonché LL.M.student), e la lezione di AnalisiEconomica del Diritto del prof.Lewis H. Kornhauser sono stati gliultimi impegni accademici, primadi un weekend dedicato ai musei(dal Metropolitan alla Neue Gale-rie), a Broadway (dal classico “Fan-tasma dell’Opera” al più recente“Chicago”) ed alla vita notturnanewyorkese.

Il viaggio di ritorno in aereo èstato l’occasione per un primo bi-lancio. Ci si sono aperte molte nuo-ve prospettive, rispetto alle quali laformazione della Scuola sarà di si-curo un ottimo punto di partenza. Il16 marzo siamo atterrati a Pisa, conla consapevolezza di aver vissutonon solo un importante momentoformativo, ma soprattutto un’espe-rienza che ha rafforzato lo spiritocollegiale tra allievi, professori edex-allievi vicini e lontani!

Giuseppe BiancoVincenzo Carbonelli

*Allievi di Scienze Giuridiche

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Viaggiare non era “un’attivitànuova” neanche qualchemese fa quando senza troppi

preavvisi mi si è presentata la possi-bilità di svolgere uno stage a Gine-vra alla Rappresentanza Italianapresso le Nazioni e le altre OO.II..Destinazione: Ufficio Affari Umani-tari. Detta così i miei compiti sem-bravano un po’ da scrivania o attac-cata alla giacca del funzionario diturno con estrema necessità di unsecondino pronto a passargli le car-te. Nonostante questo rischio mi in-curiosiva il fatto che gli “AffariUmanitari” e il parlare di crisi eemergenze venisse traslato in uncontesto avulso da problematiche,conflitti, carenze alimentari, flussi diimmigrati. Sembrava quasi un con-trosenso. E ho voluto a tutti costiscoprire come questa commistionetra la tranquillità e la crisi fosse rea-lizzabile.

Mi sono ritrovata al mio secondogiorno di stage ad accompagnare ildelegato italiano ad un workinggroup sulle politiche relative ai flussimigratori in Europa organizzato dal-la Repubblica Ceca, presidente diturno del Consiglio dell’UE. Io, se-duta accanto a lei, dietro la scrittaItalia a rappresentare il nostro pae-se, “perché” – il delegato ha tenutoa precisare – “altrimenti come fa aprendere parte alla riunione in mo-do attivo?”. Prendere parte ad unariunione con, immediatamente do-po, il compito di scrivere un comu-nicato ufficiale al nostro Ministerodegli Affari Esteri non senza primaaver conosciuto il delegato Giappo-nese e la delegata olandese. Questoè stato solo l’inizio. I comunicati uf-ficiali sono diventati una costantedi fine giornata e un divertimentoallo stesso tempo. Per me ogni co-municato corrispondeva, infatti, adun incontro informale, una confe-renza, una nuova crisi oggetto di di-scussione a Ginevra a cui avevo pre-so parte on behalf of Italy.

Il settore umanitario, lì ai quar-tieri generali, è totalmente trasver-sale. Tocca quasi tutte le agenzieONU, è di interesse primario per leorganizzazioni non-governative espesso è, senza esagerare, un’ontaper paesi in via di sviluppo e non inquanto alcuni Stati sono portati achiedere fondi per far fronte alle dif-ficoltà e altri che dovrebbero esserepronti ad accogliere le richieste silasciano distrarre da altre questioninon meglio definite.

È a questo proposito che stando acontatto ogni giorno con un diplo-matico e incontrando nel contempo

funzionari di diverso livello ho avu-to la percezione di uno dei moltepli-ci cleavages di questo nostro piccologrande mondo: da una parte i paesiDonatori e dall’altra parte “gli altri”.In questi “altri” si racchiude una va-rietà vastissima di attori – agenzie,Stati destinatari, organizzazioninon-governative – che cercano inogni modo di far fronte a crisiestemporanee o di lungo corso spar-se un po’ dappertutto. Credevo cheun’emergenza umanitaria trovassemaggior sostegno e supporto diretta-mente da chi vi sta a diretto contat-to e che la parte tristemente taccia-ta di “burocratismo” fosse solo mar-ginale e non incidesse in modo so-stanziale sul raggiungimento delloscopo primario – risolvere o comun-que limitare l’emergenza – di chiopera sul campo ( UNHCR, UNI-CEF, UNRWA, CICR). Ho dovutocambiare il mio punto di vista.Quando si parla di cleavage si haun’idea di frattura, di divisione. Ipaesi donatori in effetti hanno le re-dini di questo variegato carrozzonedenominato settore umanitario, mamalgrado tale controllo i programmisotto-finanziati determinano la na-scita di dissidi con chi chiede un piùforte sostegno, siano essi Agenzie o

paesi in emergenza.In marzo c’è stata “un’emergen-

za” in Rappresentanza: quattro riu-nioni in un giorno più o meno tuttealla stessa ora. Premessa: nel settoreumanitario operavano in quel mo-mento tre persone, me compresa.Dividendoci i compiti a me è tocca-ta la 44ma sessione del ComitatoPermanente dell’UNHCR. È statala prima volta che ho rappresentatol’Italia da sola ad un incontro di tregiorni funzionale alla definizione delpiano annuale dell’UNHCR(l’Agenzia ONU che si occupa dellatutela e della protezione dei rifugia-ti). Lì ho trovato strizzati in un emi-ciclo tutti gli stati membri del Co-mitato, poco meno di un’ottantina,dai più poveri ai più ricchi, dai piùpiccoli ai più grandi. In un luogodove le questioni politiche e le fri-zioni di vecchia data non dovrebbe-ro entrare, in quanto l’UNHCRnon è lì a sindacare su chi fa cosa echi è colpevole o meno, si è consu-mato una sorta di teatrino melo-drammatico in cui la presidenza co-lombiana ha cercato di far valere lasua voce mediatrice. La forza delleparole pronunciate dal delegato ma-rocchino nei confronti del delegatoalgerino è rimbombata in tutta la

sala. In realtà poi il delegato irlan-dese mi ha gentilmente spiegato chela querelle sul campo profughi diTindouf era pressoché una costante,lì ai quartieri generali. Le rivendica-zioni di un paese nei confrontidell’altro erano attorniate da silen-zio apparente. Tutt’attorno sorrisettio alzate di spalle infastidite. Eppureho pensato che il campo di Tindoufpoteva scuotere un po’ la platea incui erano presenti alcuni tra i prin-cipali donatori e anche dei più fre-quenti destinatari. Nulla invece.

Altra “emergenza-riunioni” altroaneddoto: “al briefing-lunch dell’U-NICEF vai tu” queste le parole afronte di altre riunioni che sarebbe-ro rimaste prive di un delegato ita-liano “ufficiale” se avessi risposto noalla (semi)proposta. Di fronte, misono resa subito conto, di avere al-cuni importanti paesi donatori(sempre lo stesso refrain) e l’UNI-CEF, che questa volta chiedeva un“sostegno” maggiore per una delletante emergenze in cui è coinvolto.Di fronte a piatti di nouvelle cuisinedall’indubbia raffinatezza, tra com-menti positivi sulle varie portate, hovisto scuotere le teste ad alcuni de-legati considerata la situazione pre-sentata dal funzionario UNICEFtornato da poco direttamente dallamissione sul campo. Alla presenta-zione sono seguite alcune domandedi palese (?) interesse sulle dinami-che geo-economiche nell’area inte-ressata dall’emergenza e ringrazia-menti calorosi per la location dellariunione. Anche qui la mia perce-zione del mondo si è un po’ allonta-nata dalla fisionomia ideale che miero tracciata nella mia testa. E an-che qui si è consumata la ricerca diuna soluzione economica in una se-de altra e lontana dal luogo biso-gnoso di aiuti. Eppure i briefing diquesto tipo sono quelli che contri-buiscono ad alzare le percentuali difondi donati o in linguaggio più di-plomatico che rafforzano il sostegnodei paesi donatori.

Ginevra è un po’ al centro delmondo e il mondo lì è lontano daipericoli e dai conflitti malgradoquesti costituiscano il main subject diriunioni, briefing e conferenze. Inpochissimo tempo ho conosciuto ilmondo e le sue dinamiche un po’bizzarre per cercare di curare i mali erisolvere le crisi non sul campo main luoghi dove la pace è nell’aria e ilbenessere tangibile ai più.

Alessandra La Vaccara*Allieva di II livello

Settore di Scienze Politiche

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Ho scoperto il mondo… umanitario e non solodi Alessandra La Vaccara*

In alto: entrata delle Nazioni Unite, European Headquarters (Ginevra); inbasso a sinistra, Alessandra La Vaccara; in basso a destra, The CelestialSphere (collocata nel parco delle Nazioni Unite, Ginevra).

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Èin ricordo dello statunitensePhilip C. Jessup, diplomatico,professore di diritto interna-

zionale e membro della Corte Inter-nazionale di Giustizia (CIG) dal1961 al 1970, che ogni anno sisvolge il “Philip C. Jessup Interna-tional Law Moot Court Competi-tion”, più semplicemente chiamato“Jessup”, la più partecipata e presti-giosa Moot Court Competition a li-vello mondiale.

Il Jessup è una competizione didiritto internazionale sulla base diun caso fittizio inquadrato di frontealla CIG. La competizione simulache tra due Stati sorga una contro-versia internazionale che si concor-da venga risolta pacificamente perarbitrato internazionale. La descri-zione dei fatti, pattuita tra le parti,è affidata al cosiddetto “Compro-mis”. È sulla base degli eventi de-scritti dal Compromis che le squa-dre partecipanti devono lavorare,trovando i migliori argomenti giuri-dici per difendere le posizioni di en-trambi gli Stati. Una prima partedel lavoro è scritta: si tratta di redi-gere il “Memoriale”, la linea di dife-sa per ciascuno Stato. La secondaparte è orale: le due squadre si con-tendono, reciprocamente intera-gendo, il favore di tre fittizi giudiciinternazionali.

La competizione, che si svolgeinteramente in inglese, è organizza-ta dalla International Law StudentsAssociation (ILSA) ed è dedicataalle università di tutto il mondo.Essa si svolge in due fasi. La prima èun’insieme di Tornei Nazionali,cui, in tutto il mondo, hanno parte-cipato, quest’anno, circa 600 ate-nei. La squadra vincitrice di ciascunTorneo Nazionale è qualificata peril Campionato Internazionale. Que-st’ultimo si svolge a Washington D.C. e vi partecipano un centinaio diuniversità.

La nostra esperienzaQuando abbiamo preso la deci-

sione di iscrivere la Scuola allacompetizione ed il Prof. de Guttryha dato il pieno sostegno all’inizia-tiva nessuno di noi pensava che lapartecipazione potesse rivelarsiun’esperienza tanto impegnativa.Ha richiesto giorni di approfondi-mento su temi di diritto internazio-nale appositamente scelti perchétra i più dibattuti dalla dottrina,perché di non facile, o meglio, diimpossibile soluzione. Ha significa-to riorganizzare il proprio piano distudi in funzione degli incontri perla stesura del Memoriale, sempre

più frequenti con il passare dei me-si. Soprattutto, ha richiesto tantadisponibilità, al confronto, al lavo-ro di gruppo, al mettersi in giococon umiltà, ad essere pronti ad am-mettere che le proprie conoscenzenon erano mai sufficienti.

Proprio per questo aver vinto ilTorneo Nazionale ha significatotanta soddisfazione. A febbraio era-vamo molto stanchi, in special mo-do quelli di noi che si preparavanoper la parte orale e pur dovevano

destreggiarsi contemporaneamentecon gli impegni accademici. Con-servavamo la speranza di potercelafare ma eravamo consci di esseredei “principianti” in una competi-zione che, anche a livello naziona-le, vede partecipanti agguerriti eatenei con esperienza pluriennale.Il torneo nazionale è stato entusia-smante. Durante i gironi prelimina-ri abbiamo perso contro i favoriti.Li abbiamo incontrati di nuovo infinale. Stessi argomenti, stesse per-

sone. Per fortuna, un vincitore di-verso.

Alla felicità, ai festeggiamenti, èseguito un impegno maggiore, in vi-sta del Campionato Internazionale.Ancora un mese di studio. Il piùduro. Ripetere, ripetere, ripetere. Èvero. La competizione nazionale erastata per noi una palestra, ci aveva“allenato”, ci aveva iniziato a quelleche sono le regole della competizio-ne e alle modalità del suo svolgi-mento. Eppure ci si accorgeva con-tinuamente che ancora qualcosanon andava. Che un’argomentazio-ne era troppo debole: non si potevasostenere. Che un’altra era inutile:già eravamo convincenti grazie adaltro. Qui i nostri Coach hanno fat-to sentire il loro appoggio: ci hannoguidato e accompagnato nei mo-menti di sconforto e di stanchezza.Poi, partire per Washington. Un gi-rone non dei più duri. RepubblicaDomenicana, poca esperienza per-ché privi di Torneo Nazionale. Re-pubblica Ceca, un’università comela nostra, alla prima partecipazione.Nuova Zelanda, pericolosi perchémadrelingua. Germania, un Memo-riale molto rigoroso. Vinciamo con-tro i Domenicani e i Cechi. Perdia-mo contro i Neo-Zelandesi, la no-stra prova peggiore, e i Tedeschi,pur facendo un grande orale. Allafine siamo nel 10% delle universitàmigliori. I giudici ci fermano per icorridoi, ci fanno i complimentiperché alla prima esperienza com-portarsi così bene non è facile. E al-lora un po’ lo pensiamo, lo speria-mo, che abbiamo fatto il nostro,che siamo stati bravi.

Jessup ha voluto dire studio, di-vertimento e squadra. Soprattuttosquadra. Abbiamo studiato insieme.Abbiamo ripetuto insieme. Per chila lettura è un’esperienza personale,abbiamo letto insieme. Per fare ve-loci. Per non farci sfuggire niente.Siamo diventati amici. Con le no-stre crisi e con i nostri caratteri. Aimparare a modellarli, per ottenereil meglio da tutti. Un’esperienzaformativa, che consigliamo, e ab-biamo già consigliato, agli altri al-lievi. Perché il 2010 sia il primo an-no con una squadra italiana alla fa-se finale del Campionato Interna-zionale.

Un’ultima cosa. Un ringrazia-mento. Ad Emanuele ed Alessan-dro, i nostri coach. A Emanuele,che non ha visto le partite per sen-tirci ripetere. Ad Alessandro, che amezzanotte diceva che era impe-gnato e che ci richiamava più tardi.Più tardi?? A voi. Grazie.

Jessup: studio, divertimento e... squadra!racconto di un gruppo di Allievi

Gli Allievi della Scuola che hanno partecipato al “Philip C. Jessup InternationalLaw Moot Court Competition”. La squadra è composta da: Anna Bulzomi,Carolina De Simone, Alessandra La Vaccara, Cinzia Morrone, Damiano deFelice, Giovanni Stanghellini, Tommaso Virgili.

Mr. President, Your Excellencies,good morning...

Queste sono le parole con cui i rappresentanti degli Stati formalmente saluta-no i membri della Corte Internazionale di Giustizia quando vi si rivolgono.Queste sono le parole con cui inizia un discorso preparato per mesi e studiatoa tavolino, analizzato in tutti i suoi potenziali punti deboli e ripetuto fino alparossismo. Queste sono le parole con cui (sorridendo!) oramai ci salutiamo,noi, membri della squadra della Scuola Superiore Sant’Anna all’edizione2009 del Philip C. Jessup International Law Moot Court Competition.

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Nella situazione attuale, incui la discussione sull’in-ternazionalizzazione e la

valutazione delle università sia na-zionale che internazionale (c.d.ranking) è al centro dei destinidelle singole università e del siste-ma nel suo complesso, la ScuolaSuperiore Sant’Anna ha avviatodiverse iniziative per porre in ma-niera costruttiva il problema e perporsi al centro di soluzioni inno-vative.

La valutazione dei risultatiscientifici e la loro collocazioneinternazionale è ancor più crucialeper la Scuola ma le sperimentazio-ni e le riflessioni al suo interno so-no potenzialmente in grado di da-re un contributo fattivo più gene-rale, non tanto e non solo propo-nendosi come generatore di bestpractice (saranno altri a dire se ciòche facciamo lo sia o meno).

Anche con eventuali errori, laScuola può contribuire in modocostruttivo alla delineazione dimodelli virtuosi senza avere la pre-tesa di trovare ricette buone a toutfaire e senza accodarsi prona a mo-de e modelli, seppure validi in al-cuni campi, non necessariamenteapplicabili senza adeguamenti allarealtà nazionale o europea.

Nel nostro paese in diverse areescientifiche, ad esempio, non vie-ne fatto uso delle tecniche di revi-sione dei pari spesso formalizzatefuori dai confini nazionali. Alme-no ciò non avviene costantementenello stesso modo. Il mancato in-vio in forma anonima per una re-visione critica, la mancata verificaassai rigorosa (forse a volte trop-po) dei riferimenti in nota caratte-rizzano purtroppo molte delle rivi-ste pubblicate in Italia. Ciò ovvia-mente non significa che la qualitàdi esse non sia buona, a volte mol-to buona ed altre volte eccellente.

Per un verso, l’assenza di questoprocesso (o sovente la sua manca-ta formalizzazione) significa sola-mente che le tecniche di selezio-ne, anche su invito, dei saggi econtributi da pubblicare avvengo-no secondo schemi e meccanismidiversi.

Assai di frequente le rivistehanno un comitato di lettura o uninsieme di direttori scientifici chedella qualità dei contenuti pubbli-cati si fa garante senza necessità diesplicitarlo. Questi Direttori leg-gono (almeno così dovrebbero fare

sempre) i contributi e li valutano;a volte li inviano indietro, chie-dendo approfondimenti e revisionimagari a rischio di far perdere diattualità il contributo o di crearsiinimicizie, ma lo fanno. Assai difrequente, poi, dicono anche “no,grazie” a contributi pur provenien-ti da studiosi illustri, perché anche

gli studiosi illustri possono a volteprodurre risultati non particolar-mente esaltanti o innovativi.

In questa dinamica fisiologica,seppur non anonima né strutturatasecondo gli schemi delle rivistedelle scienze naturali, può tran-quillamente leggersi un processo –forse pericolosamente troppo tra-sparente – di revisione dei pari ca-pace di produrre sia una gerarchiaqualitativa delle riviste percepitadalle comunità scientifiche di rife-rimento, così come auspica ancheil CUN, sia vere e proprie guerretra scuole diverse. Absit iniuria ver-bis , una rivista di qualità, conun’eccellente reputazione e magari

con un prestigioso direttivo puòrapidamente scadere nella perce-zione qualitativa della comunitàscientifica di riferimento, magariperché concentra l’attenzione suun numero ristretto di scuole dipensiero (magari non concorrentifra loro) ovvero perché il suo di-rettivo non opera senza riguardi

una selezione dei contributi essen-do più prono ai “noti e potenti” enon altrettanto indulgente con imeno noti e meno “potenti”. Tut-to ciò difficilmente è misurabile;tutto ciò, specialmente se la rivi-sta è censita nelle banche dati in-ternazionali, ci metterà del tempoad avere dei riflessi sulla valutazio-ne effettiva della rivista stessa edei contributi in essa pubblicati.

Per altro verso, però, la quasitotale assenza di una proceduraoggettiva e trasparente rende pres-soché impossibile misurare la diu-turna e seria attività di direttori diriviste e di collane monografiche.Questa assenza di riferimenti, al-

meno in apparenza oggettivi, la-scia in balia del dubbio sulla qua-lità dei contributi in modo parti-colare le discipline i cui temi nonsono oggetto di pubblicazione inriviste prese in considerazione dal-le banche dati internazionali e ri-schia di ridicolizzare gli sforzi e gliimpegni quotidianamente profusidagli scienziati.

È pur vero che il rispetto delleforme e delle apparenze non ga-rantisce i risultati, ma almeno per-mette di rispondere ad accuse, ve-rosimili o meno che siano, di au-toproclamata eccellenza ovvero dicointeressenze editoriali, ovvero dicircolarità delle citazioni.

In questo quadro, e in parallelocon numerose attività sulla valuta-zione e sull’internazionalizzazionein corso alla Scuola SuperioreSant’Anna, ha preso forma e av-vio un progetto scientifico specifi-co; quello di “Opinio Juris inComparatione”.

Si tratta di un progetto specialedella Scuola svolto sotto gli auspi-ci della “Associazione Italiana diDiritto Comparato”, che è Comi-tato nazionale della Association In-ternationale des Sciences Juridiques.Opinio Juris in Comparatione è unarivista/piattaforma on-line di studidi diritto comparato e nazionaleche va oltre gli steccati dirittopubblico/diritto privato. Opinio Ju-ris pubblica on-line i suoi fascicolicon il suo ISSN, contenenti arti-coli, note, saggi, solo dopo averlisottomessi ad un processo di revi-sione dei pari assai articolato (permaggiori informazioni http://lider-lab.sssup.it/joomla/opinio-juris) .

Lo staff editoriale (composto daallievi della Scuola e con l’assi-stenza di giuristi madrelingua)presso il laboratorio LIDER-Lab(http//lider-lab.sssup.it) fa una pri-ma selezione verificando il livellodi coerenza interna e la qualitàlinguistica; i contributi che passa-no questo primo vaglio vengonodebitamente “anonimizzati” e sonoinoltrati a revisori internazionaliesperti dei temi di volta in voltatrattati. Questi, con garanzia dianonimato, producono una detta-gliata scheda di giudizio motivatoraccomandando o meno la pubbli-cazione ovvero raccomandandolaa seguito di specifiche modifiche eintegrazioni.

Opinio Juris viene distribuitonon solo direttamente dalla Scuo-

Tra revisione dei pari, valutazione e dintorni,nasce Opinio Juris in Comparatione

di Giovanni Comandé

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la (http://lider-lab.sssup.it/joom-la/opinio-juris) ma anche tramiteil Social Science Research Network(www.ssrn.com). Opinio Juris è laprima rivista con revisione dei pa-ri doppiamente cieca (autori e re-visori non conoscono la reciprocaidentità) diffusa dal prestigiosoNetwork delle Scienze Sociali. Èanche la prima rivista che loSSRN acconsente di pubblicarecon l’uso di lingue diverse dall’in-glese. È stata una lunga “battaglia”ed uno sforzo organizzativo e tec-nico non indifferente anche perSSRN.

Infatti, oltre all’inglese, le lin-gue preferenziali di pubblicazionesono anche il francese e lo spagno-lo, ma non si esclude nessuna lin-gua visto che queste sono solo lelingue preferite ma non esclusive eche ai contributi, sotto il profilolinguistico, si applica solo il vin-colo che ove essi trattino di un te-ma esclusivamente nazionale ilcontributo scientifico debba essereredatto in una lingua diversa daquella del tema trattato, proprio

per allargare la platea del dibattitoa coloro che non hanno accessoimmediato alla lingua del proble-ma trattato e quindi ai canali esi-stenti come le riviste in cartaceoin lingua nazionale.

Alla supervisione e con un ruo-lo di costante consiglio operativoè chiamato uno International Ad-visory Board che coinvolge auto-revoli docenti di 12 fra le più pre-stigiose istituzioni accademiche almondo: F. D. Busnelli (Scuola Su-periore Sant’Anna); G. Brugge-meier (Universität Bremen); G.Calabresi (Yale Law School); H.Collins (London School of Econo-mics and Political Science); F. Hi-nestrosa (Universidad Externadode Colombia); E. Hondius (Utre-cht University); N. Kasirer (McGill University); D. Owen (Uni-versity of South Carolina);V. Pal-mer (Tulane University); R. Sac-co (Università di Torino); S. Su-garman (University of California,Berkeley); G. Viney (UniversitéParis 1 Panthéon Sorbonne).

La previsione di canali distri-

butivi innovativi , di modalitànuove di gestione dei diritti dipubblicazione, di un percorso diselezione a tappe in cui assiemeallo student staff internazionaleoperino docenti ed esperti di tuttoil mondo (per il primo fascicoload esempio, le revisioni dei con-tributi pubblicati sono venute daItalia, Belgio, Svizzera, Francia,Regno Unito, Canada, USA), diuno Advisory Board internaziona-le autorevole che assicura atten-zione e controllo internazionalenon sono certo garanzie di per séné di qualità né di successo ma al-meno corrispondono ai requisitiche nel tempo deve avere una ri-vista per potere accedere alla clas-sificazione di ISI web of Knowled-ge e mettono in gioco sperimenta-zioni concrete con dati oggettiva-mente verificabili.

Con questo progetto, poi, laScuola Superiore Sant’Anna fa dasherpa alla ricerca di punti di rife-rimento verificabili per l’operatodella valutazione dei contributiscientifici sottomessi in vasta par-

te delle scienze sociali, concorre acreare e sperimentare pratichevirtuose che spezzano anche mo-nopoli culturali e linguistici nelladiffusione della cultura, giuridicain particolare, fornisce uno stru-mento di potenziale sprovincializ-zazione di molti dibattiti, offre un’arena di discussione che non ag-giunge semplicemente l’ennesimarivista specializzata o la riserva in-diana in cui pubblicare i propricontributi ma che si fa piattafor-ma internazionale per dibattitianche nazionali non solo italiani.

Le ambizioni sono quindi tante,se solo riuscissimo a imparare daglierrori che inevitabilmente faremoe a renderli noti avremo certo da-to un contributo nella direzione diservizio pubblico (non solo nazio-nale) che un’istituzione come laScuola Superiore Sant’Anna èchiamata a svolgere, con spiritocreativo ma con rigore metodolo-gico. Ogni contributo costruttivo(e saggi ovviamente) sono benve-nuti.

Giovanni Comandé

“Brain Drain e Brain Gain”.Questo il titolo dell’undicesi-

mo convegno della Fondazione Ro-dolfo Debenedetti che si è tenutosabato 23 maggio nei locali dell’Au-la Magna della Scuola SuperioreSant’Anna.Oltre a Maria Chiara Carrozza, Di-rettore della Scuola SuperioreSant’Anna, hanno presenziatoall’apertura dei lavori Rodolfo DeBenedetti, Presidente della Fonda-zione Rodolfo Debenedetti e, conun messaggio, Maria Stella Gelmini,Ministro dell’Istruzione, dell’Uni-versità e della Ricerca.De Benedetti ha ricordato la scarsaconsapevolezza in Italia del vantag-gio che deriva dalla circolazione ditalenti stranieri, in ambo i sensi di

attrazione dei cervelli nel nostroPaese, e di esportazione negli altriPaesi . Le due questioni di fuga sonostate ribadite anche da Maria StellaGelmini, che individua nel rinnovodel permesso di soggiorno la princi-pale difficoltà di attrarre talenti. Po-chi di loro, continua, restano in Ita-lia dopo gli studi, spinti da un climadi incertezza che il Ministero si pro-pone di affrontare anche con il neo-nato “Programma Rita Levi Montal-cini” – un finanziamento di 6 milio-ni di euro per il rientro di 30 ricer-catori – e l’impegno per una nuovalegge quadro.A Tito Boeri, Direttore scientificoRDB e Università Bocconi, il com-pito di presentare i risultati del son-daggio sui dottorandi stranieri in

Italia, e di moderare gli interventidel convegno. Tra i temi maggior-mente discussi: cosa accadrà ai flussimigratori e alla loro composizioneper livello di istruzione durante larecessione? Quali sono le politicheche favoriscono l’immigrazione alta-mente qualificata? È opportuno chel’Italia adotti, come altri Paesi, unapolitica selettiva che aiuti ad attrar-re “cervelli”? Cosa bisogna modifi-care nelle politiche di reclutamentodelle università per limitare la “fugadi cervelli” e far arrivare nuovi ta-lenti dall’estero?Lo studio di Simone Bertoli (Euro-pean University Institute) si è soffer-mato sulle cause e le conseguenzedella migrazione di talenti, dal puntodi vista dei Paesi che accolgono ri-cercatori stranieri. L’analisi è finaliz-zata a una migliore conoscenza dellepolitiche che favorirebbero l’immi-grazione altamente specializzata.Circa 20 milioni di ricercatori risie-devano nei Paesi della OECD (Or-ganization for Economic Coopera-tion and Development) all’inizio diquesto decennio, e corrispondevanoall’11% della popolazione altamentequalificata in quei Paesi. Oggi solopochi Paesi anglofoni della OECD(Canada, Usa e Australia) assorbonoi giovani migranti, mentre gli altrinon esportano studenti qualificati.Le forze di economia politica posso-

no spiegare solo in parte perché sonoun numero così esiguo dei Paesi del-la OECD applicano sistematicamen-te politiche selettive che aiutano adattrarre “cervelli”. Peraltro si registraun aumento significativo di politi-che in termini di welfare orientate auna maggiore mobilità di talenti nelprossimo futuro.L’analisi della migrazione di talentiin rapporto alle dinamiche dellaglobalizzazione ha impegnato i par-tecipanti nel pomeriggio. Scopo dellavoro presentato da Fédréric Doc-quier, Université Catholique deLouvain, Belgium e Hillel Rapo-port, Bar-Ilan University, Israel, ri-considerare la recente letteraturaempirica e quantificare l’impattoglobale della “fuga dei cervelli” suiPaesi di provenienza. In particolare,hanno considerato i canali istituzio-nali di capitale umano, di selezionee produttività attraverso i quali lamigrazione impatta sulle performan-ce economiche presenti e future deiPaesi in via di sviluppo.All’ultima parte del convegno è sta-ta dedicata una tavola rotonda sucome “attrarre i cervelli” cui hannopreso parte i direttori di alcune dellepiù importanti Scuole di Dottoratoitaliane. La discussione è stata mo-derata da Pietro Garibaldi, Direttoredel Collegio Carlo Alberto e Fonda-zione Rodolfo Debenedetti. n.g.

IX Convegno della fondazione Debenedetti"Brain Drain e Brain Gain"

Giovanni Dosi, Carlo De Benedetti, Maria Chiara Carrozza, Tito Boeri

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La tradizione va rispettata...Ebbene il doppio appunta-mento di quest’anno, impor-

tante ricorrenza per allievi ed exallievi, grazie al bel tempo, alle ci-barie prelibate e soprattutto allagrande partecipazione di tutti nonha mancato di onorarla.

Al ritmo di vibranti canti celti-ci si sono aperte le danze la seradel 30 aprile; l’intrattenimentoproposto dagli ex allievi, una banddi musica irlandese, ha incontratogrande consenso anche da partedei giovani e, in particolare, di al-cuni allievi salentini, che hannotentato un esperimento di sincreti-smo musicale mixando le note ir-landesi con i passi della pizzica.Scorrevano intanto fiumi di birra,in tipico stile irlandese, d’altronde,e l’atmosfera nordica era confer-mata dal ciuffo rosso del nostro Lo-renzo “Nedino”, che si sentiva co-me a casa sua. Pian piano la musi-ca, sofisticata, si è fatta più popola-re, e alle prime note dance, allosparuto gruppo di salentini si è ag-

giunto un gran numero di allievicon il rimarchevole contributo dimolti adulti, fra i quali spiccavauno scatenato prof. Chilosi.

Nel frattempo, fuori al Chiostrodi San Girolamo, grandi risate se-guivano gli appassionanti raccontidell’istrionico Franco Barciulli. Ilprofessore di ginecologia, intento asoddisfare la curiosità di una cortedi allievi, ha estratto dal cilindromolti episodi di vita collegiale daiprotagonisti eccellenti, quali Tizia-no Terzani, Giuliano Amato, Lam-berto Maffei e poi Franco Merusi,Gino Bartalena, Dino Satriano,Vincenzo Di Nubila e tanti altriancora.

La festa si è prolungata fino atarda sera, ma già molto presto ilmattino seguente un esercito di“affettatori”, alle direttive insinda-cabili dell’esperta Candida, era giàall’opera nell’aula magna storica, eha permesso la riuscita delle im-mancabili bruschette anche senzal’autrice della celebre ricetta.

Fondamentale per la riuscita del

tutto l’avventurosa spesa del po-meriggio precedente: cinque vo-lenterose matricole dirette al Car-refour per adempiere alla delicatamissione del reperimento della ma-teria prima da grigliare. La sera pri-ma invece i vini e le altre preliba-tezze erano state gentilmente offer-te dagli ex allievi, e in particolaredal prof. Franco Mosca e da AnnaLetta.

Il non plus ultra della giornataera ovviamente la grigliata, sapien-temente amministrata anche que-st’anno dall’insostituibile “Mozzo”e da “Nedo”, suo fido collaboratorecon cappello, ormai immuni almonossido di carbonio sprigionatodai fumi della brace. Ad aiutarli unvalido gruppo di nuove e vecchieleve, altrettanto entusiaste di con-tribuire al successo di una gustosis-sima brace.

Lo stesso entusiasmo hanno in-fatti dimostrato i commensalinell’assaltare i vassoi…

Per smaltire antipasti, bruschet-te e salsicce varie, un pallone e

qualche sedia a mo’ di porta sonobastati per dare inizio alla partitadi rito sul pratino cui hanno presoparte anche professori ed ex allie-vi. Altri hanno optato per unosport meno convenzionale, ma al-trettanto tradizionale tra le muradella Scuola: i gavettoni, che que-st’anno non hanno risparmiatonemmeno le più alte cariche istitu-zionali e diversi ex allievi.

Finita la battaglia di gavettoni,mentre il primo sole di maggioasciugava le ferite e soprattutto lemagliette gocciolanti, l’atmosferasi faceva più tranquilla. E, imbrac-ciate le chitarre, la festa è finita asuon di musica, così com’era co-minciata…

Arrivederci al prossimo anno!

Per il comitato organizzatoredel Convivio 2009

Angela AbbateGiorgio Malet

Giacomo RagniDavide Ragone

Silvia Tieri

Convivio di primavera 2009

Sopra, e nella pagina a fianco: alcuni momenti del tradizionale convivio del primo maggio.

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Notizie(ottime)

dal ConsiglioDirettivo

Riportiamo quanto discussonell’ultimo Consiglio Direttivodell’Associazione, che si è svolto aridosso dell’inaugurazione dell’An-no Accademico della Scuola.

Ricordiamo come la recentemodifica di Statuto consenta diavere attivamente e legalmentepresenti al CD, tramite Skype, an-che i Consiglieri molto lontani(Ugo Faraguna a Madison, EnricoMugnaini Chicago).

È stato concordato di ribadire,formalizzandole e strutturandoleunitariamente, le richieste allaScuola emerse negli ultimi annidalle nostre assemblee. Gli sviluppisembrano positivi, come si evincedalla lettera inviata dal PresidenteVaraldo di cui riportiamo i puntiessenziali: nell’aderire alla propostadi contribuire al consolidamento e svi-luppo dell’Associazione, il Consigliodi Amministrazione ha espresso una-nime e vivo apprezzamento per il con-tributo costante e fattivo che gli exAllievi hanno offerto alla migliore cre-scita della Scuola ed alla formazioneumana e culturale dei suoi Allievi.Questa collaborazione si è espressaanche con un’ampia adesione allaproposta di riservare il 5 per milledell’imposta sul reddito alla Scuola,tanto è vero che nel 2006 il ricavatoammonta a 48.889 euro, collocandocosì la Scuola stessa in una posizionedi avanguardia tra le università, an-che rispetto ad atenei di più antichetradizioni e di dimensioni decisamentemaggiori. In secondo luogo il Consi-glio ha preso atto con piacere che laSignora Rachele Marinoni, vedovadell’Ing. Sergio Mazzolli, ex Allievodel Pacinotti a metà anni ’50, ha de-volutoalla Scuola 40.000 euro perborse di studio che sono state allocateal settore Scienze Giuridiche. Per lemodalità con cui la Scuola può so-stanziare i suoi interventi a favoredell’Associazione, il Consiglio di Am-ministrazione ritiene che occorra farriferimento all’articolo 14 dello statu-to, dove al comma 2 si individua laconvenzione come strumento giuridi-co per formalizzare il rapporto. Tuttociò premesso, il Consiglio di Ammini-strazione ha provveduto, nell’attesache si possa definire tale atto conven-zionale, a deliberare quanto segue:

- aggiornare lo stanziamento annuo

Impegnamoci in progetti umanitari

Da tempo numerosi ex allievi medici si sono con-vinti che è opportuno impegnare l’Associazione

in programmi umanitari, coinvolgendo giovani ex Al-lievi ed Allievi della Scuola e ve ne sono molti di di-sponibili e motivati. Riteniamo che ad oggi vi possaessere una massa critica. Dobbiamo verificarlo con in-contri preparatori in ottobre ed in occasione del pros-simo Convegno dell’11 dicembre.Riccardo Varaldo e Chiara Carrozza, messi informal-mente al corrente di questa iniziativa dell’Associazio-ne, hanno espresso il loro alto interesse impegnandosia un ampio coinvolgimento della Scuola S. Anna inuna sinergia promettente. Ma anche la Scuola Norma-le con la Sua Associazione Ex Normalisti potrebbe es-sere della partita. Salvatore Settis, Direttore dellaScuola Normale Superiore e Franco Montanari, Presi-dente dell’Associazione ex Normalisti, hanno assicura-to il loro interesse e la disponibilità a partecipare alleriunioni organizzative fin dall’inizio.Da tempo l’Associazione ex Allievi ha portato avantiil concetto della “restituzione”, oggi ben recepito e lar-gamente condiviso, nella convinzione che non vi è ec-cellenza senza la formazione in “solidarietà” e lo svi-luppo della relativa cultura. Chi ha avuto tanto, e tuttinoi abbiamo avuto tanto a cominciare dalla nostraScuola, chi ha acquisito risorse e sapere si metta a di-sposizione di quanti spesso non sanno nemmeno dadove e come cominciare. Il dono della salute e la capa-cità di difenderla è alla base della libertà della persona.La libertà crea benessere, previene i conflitti sociali,migrazioni, mantiene pace. Non si può fingere di nonvedere, di non sapere.Non sarà sfuggito come una delle filiere più strutturatee continue sul S. Anna News abbia riguardato le espe-rienze di medici nei paesi svantaggiati. Molti di loro,diventati “Amici dell’Associazione” per il contributoal giornale e per gli incontri con gli studenti, sono di-sponibili per nuovi progetti che coinvolgano Associa-zione e Scuola. In questi anni, il concetto di progetto umanitario si èampliato, diversificato, ridefinito nella propria essenza,prima ancora che nelle parole e negli scopi. Dai finan-ziamenti governativi, affondati dalla corruzione e dalla

assenza di controlli, si è passati alle attività delle ONGbasate sui cardini dell’assistenza sanitaria, dell’istruzio-ne e della formazione locale. Negli anni, si sono ag-giunte altre voci: economisti, ingegneri, diplomatici,agronomi. In questo panorama, dove l’approccio assi-stenziale viene e riprogrammato come un investimen-to sulle motivazioni e sulle capacità locali, dove lamancanza di risorse diventa un’opportunità di cambia-mento ed un processo creativo, dove l’economia nonsi siede in salotto, ma lavora nelle cucine, nasce lanuova idea di Sviluppo. La multidisciplinarietà dellaScuola Sant’Anna e della sua Associazione ex Allievi,ben si attaglia a questa nuova esigenza per partecipareattivamente, proporre, sperimentare. Dare. Coinvol-gendo anche gli Allievi. Attraverso la collaborazionecon organizzazioni no-profit, seguendo progetti gestitida professionisti e da personale altamente specializza-to, principalmente nel campo dell’assistenza sanitariae della formazione, immaginiamo quale valore aggiun-to sarebbe, accanto ad ex allievi, un allievo di scienzepolitiche, un agronomo, un economista, un ingegnere.Costruire una scuola e fondare una banca, individuarele attività commerciali redditizie sul campo, studiare laqualità dei terreni, costruire un pozzo. Fare anche gliinfermieri, al bisogno. Ce n’è per tutti! Non solo me-dici dunque. Ci sono le idee, c’e’ tanto da fare, e c’è lapossibilità di farlo bene. Per questo, proponiamo comeAssociazione Ex-Allievi e con gli Amici dell’Associa-zione questo nuovo, ambizioso, stimolante progetto.Proviamo ad immaginarlo. Non è solo probabile, èpossibile. Dipende solo da chi ci crede. In accordo con il motivatissimo Gianluca Samarani,medico, specializzando in anestesiologia, che da luglioè coinvolto in questo progetto, abbiamo immaginatodi effettuare a metà ottobre (14 e 15) due incontri aScuola con quanti (ex allievi, docenti, alunni e loroAssociazione, amministrativi) siano interessati a fareproposte e sviluppare progetti al cui finanziamento po-trebbero essere chiamati anche gli ex allievi. Insommauna chiamata per idee e verifiche. Il tutto in prepara-zione del Convegno di dicembre (totalmente internoall’Associazione ed alla Scuola). Franco Mosca con lacollaborazione di Gianluca Samarani (continua nella pagina a fianco)

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Scambi di esperienze con gli Ex

Gianluca (Jamaica) Samarani,ex allievo ordinario di medici-

na e Chirurgia, ha recentementeincontrato gli Allievi Ordinari delsuo settore per una chiaccheratasulle opportunità di studio all’esteroper uno studente di medicina, siaper brevi periodi, sia per progetti alungo termine. Gianluca si è specia-lizzato in Anestesia e Rianimazionea Torino, effettuando una missioneall’estero di 12 mesi a Parigi duran-te il suo ultimo anno. Attualmenteè allievo perfezionando della Scuolae lavora alla University of Califor-nia, San Francisco. La riunione èstata una piacevole occasione perdiscutere sulla scelta della Specia-lizzazione, sulle esperienze a breve elungo termine in Europa e negliUSA, e più generalmente su comeaffrontare ed impostare il propriopercorso di studi all’interno di unsettore in apparenza rigido, ma inrealtà molto variegato come quellodelle Scienze Mediche. L’incontroè durato un paio d’ore in cui si sonotoccati diversi argomenti: le sceltedel tipo di Scuola di Specialità po-stlaurea, le esperienze all’estero du-rante il Corso di Laurea e la Specia-lità, l’opportunità di fermarsi a stu-diare in Europa o negli USA, conparticolare attenzione alle occasioniper intraprendere il proprio percor-so di studi postlaurea interamentein un altro Paese dell’Unione Euro-pea o degli Stati Uniti d’America.Una chiaccherata, infine, sui puntidi forza e debolezza del sistema for-mativo italiano nel campo dellamedicina, ed una riflessione sulle

prorie capacità e sulle occasioni dimiglioramento del percorso in ge-nerale. Gianluca Samarani ha ac-cettato di essere il referente ufficia-le della Associzione Ex-Allievi del-la Scuola Sant’Anna a San Franci-sco e per la West Coast, fino ad ora

scoperta. Grazie! Gianluca si spo-serà in dicembre con Jessica Wynne(nella foto), nella missione france-scana di San Juan Bautista, in Ca-lifornia.Auguri. Per contattareGianluca scrivere a [email protected] a [email protected].

L’Associazione ritiene che sia mol-to importante che anche i giovaniex allievi, sull’esempio di Gianluca,incontrino gli allievi per trasmette-re le loro fresche esperienze ed in-staurare uno stabile rapporto di tu-toraggio.

per il sant’Anna News dagli attuali7.500 euro a 12.000 euro/anno;

- incaricare il Direttore Ammini-strativo per individuare una risorsa dipersonale part-time che possa coadiu-vare la Sig.ra Anna Letta nella gestio-ne amministrativa dell’ufficio;

- incaricare l’Ufficio Tecnico di ag-giungere ed integrare gli arredi e le at-trezzature dei locali della segreteriadell’Associazione ex Allievi, anche invista di un suo utilizzo temporaneo daparte di ex Allievi in visita alla scuola;

- contestualmente il Consiglio èlieto di comunicare che nel prossimomese di maggio sarà inaugurata la fo-resteria della Scuola, posta in viaCarducci della quale potranno usu-fruire a condizioni preferenziali anchegli ex Allievi.

Il Consiglio ha dato incarico alProf. Nicola Bellini, in veste di rap-presentante dell’Associazione ex Al-lievi, di prendere i necessari contatticon l’Associazione per predisporrel’atto convenzionale nel quale potran-no essere prese in considerazione leproposte dell’Associazione in sintoniacon gli approfondimenti e le risoluzio-ni del Senato Accademico.

Ringraziamo il Presidente Ric-cardo Varaldo per il suo contributoalla accettazione delle richiesteformulate dall’Associazione allaScuola. Insieme a lui ringraziamo laScuola per la accettazione della no-stra richiesta di rendere disponibilela Foresteria (grande acquisizione!Complimenti) anche per gli ex Al-lievi. Per informazioni e prenota-zioni rivolgersi alla Dr.ssa Paola Pa-risi, referente del servizio([email protected]). Per notiziein merito alla struttura e l’organiz-

zazione: [email protected] CD ha inoltre proposto di sta-

bilire due date fisse per gli incontridell’Associazione (Assemblea Soci,CD, Convegni): il venerdì/sabatodi dicembre, alla data in cui laScuola organizza la Cerimonia diApertura dell’Anno Accademico;il 30 aprile-1° maggio in coinci-denza con l’ormai ben stabilizzato“Convivio di Primavera”.

Vi invitiamo a bloccare in agen-da queste date.

È stata avanzata richiesta allaDirezione della Scuola di fissare ladata dell’inaugurazione dell’AnnoAccademico con largo anticipo perdare modo all’Associazione di or-ganizzare i suoi incontri. A settem-bre Chiara Carrozza ha comunica-to che l’inaugurazione avrà luogo il12 dicembre. Grazie Chiara. Per-tanto: venerdì 11 dicembre ci rive-dremo per l’Assemblea e Conve-

gno secondo orari e modalità chesaranno comunicati in seguito, viae-mail.

Come avviene da diversi anni laScuola coinvolge l’Associazionenella cerimonia di consegna dei di-plomi che segue alla inaugurazionedell’Anno Accademico. In praticaè un passaggio di consegne moltosimbolico: la Scuola congeda el’Associazione Ex Allievi accoglie.Chi volesse partecipare attivamen-te alla consegna dei diplomi con-tatti la nostra Segreteria dando lapropria disponibilità ed indicandoil suo anno di laurea e la facoltà.

Invitiamo gli ex Allievi ad at-tribuire il 5‰ alla Scuola (codicefiscale: 93008800505) come gli an-ni scorsi ed a fare opera di proseliti-smo con parenti ed amici: sono ri-sorse che possono ricadere anchesull’Associazione.

Franco Mosca

Gianluca Samarani con la fidanzata Jessica Wynne e gli Allievi Ordinari di Medicina davanti alla statua di Sisifo

Consiglio direttivo

(segue dalla pagina precedente)

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Franco Mosca nell’AmericanSurgical Association

Il Prof. Franco Mosca è stato accolto nell’American Surgical Associationnel corso dell’ultima riunione tenuta il 23-25 Aprile 2009 ad Indian Wel-ls, California. Il prof. Mosca è il terzo chirurgo italiano che ha ricevutoquesto onore, dopo il Prof. Alberto Peracchia nel 1997 e il Prof. VincenzoSperanza nel 2001.Il Dr. Andrew Whittemore, Presidente della American Surgical Associa-tion, ha presentato il Prof. Mosca sottolineando come la sua carriera siacolma di successi ottenuti come chirurgo, docente accademico ed orga-nizzatore.L’American Surgical Association rappresenta l’organizzazione chirurgicapiù antica e prestigiosa degli Stati Uniti. I suoi membri comprendono ichirurghi più eminenti della nazione ed entrare a far parte della Ameri-can Surgical Association è un grande onore e segno di successo per i chi-rurghi nord americani.L’atto di Costituzione del 1882 della American Surgical Association con-templa la possibilità di selezionare dei chirurghi internazionali per la no-mina a Membro Onorario. Nel corso degli anni questa opzione è stataesercitata raramente e, a tutt’oggi, vi sono solo 42 Membri Onorari attivi,con un numero massimo di Membri Onorari “attivi” limitato a 50.Lo scopo principale dell’Association è quello di essere il riferimento per lascienza e la docenza chirurgica, di rappresentare un forum per la presenta-zione degli sviluppi dello stato dell’arte e delle conoscenze della chirurgiagenerale e specialistica e per elevare lo standard della professione medico-chirurgica. Questa missione viene svolta principalmente mediante la pre-parazione di una riunione annuale che prevede presentazioni selezionateche contengono le informazioni più convalidate disponibili nel campo del-la clinica e della ricerca in chirurgia e nelle specialità chirurgiche.

L’Arpa per l’AbruzzoLa Fondazione Arpa, che promuovela ricerca e la formazione medico-sanitaria in Italia ed all’estero, haistituito due borse di studio a favoredi studenti di medicina e di scienzeinfermieristiche iscritti presso l’Uni-versità dell’Aquila, provenienti dal-le aree abruzzesi terremotate, oggi indifficoltà a completare i loro studi.Inoltre la Fondazione si è resa dispo-nibile ad istituire borse di studio afavore di giovani, provenienti dalle aree terremotate ed appartenenti a fa-miglie in condizioni critiche per gli effetti del sisma, che aspirassero ad in-traprendere gli studi medici e di scienze infermieristiche già nel prossimoAnno Accademico. Il tutto presso l’Università dell’Aquila. Il progetto, coordinato dal Prof. Antonio Famulari, Ordinario di Chirurgiapresso l’Università dell’Aquila, Presidente della Società Italiana dei Tra-pianti d’Organo (SITO), vuole essere un piccolo contributo al manteni-mento di una accettabile continuità dell’Accademia Aquilana, condizioneindispensabile per la sopravvivenza della città.La Fondazione Arpa ha espresso il desiderio che questo progetto sia dedi-cato alla memoria dei Professori Paride Stefanini e Mario Selli, Maestri dichirurgia. A Paride Stefanini, già primario all’Aquila e successivamenteProfessore di Chirurgia presso le Università di Perugia, Pisa e Roma, si de-ve la fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Aquila. MarioSelli era aquilano, allievo del Prof. Stefanini con cui aveva lavorato fin daitempi dell’Aquila durante la II Guerra Mondiale, fu Professore di chirurgiaa Perugia e quindi a Pisa. Tra i ricordi che il professor Selli aveva del suoMaestro vi è una indimenticabile testimonianza: subito dopo i bombarda-menti su Avezzano, Stefanini e Selli partivano in moto dall’Aquila persoccorrere i feriti. Oggi l’insidia è venuta non dal cielo, ma dalle visceredella terra; ha trovato le stesse genti tenaci e dignitose.L’augurio è che all’iniziativa della Fondazione Arpa aderiscano non solo ichirurghi della “Scuola Stefanini”, ma quanti si identificano nei valori cheStefanini e Selli hanno testimoniato con i fatti. Franco Mosca

Ex Allievi a New YorkIl 20 Aprile 2009 l’exallievo Fabrizio Miche-lassi (nella foto) è statoinsignito dell’Onorifi-cenza di Commendatoredell’Ordine della Stelladella Solidarietà Italia-na, presso il ConsolatoGenerale d’Italia inNew York.Questa la motivazione:“Chirurgo di fama mon-diale, il Prof. Michelassivanta una lunghissima ed articolata esperienza nella prevenzione e cura deitumori e delle malattie gastrointestinali. A lui si deve l’introduzione di tec-niche chirurgiche innovative per il trattamento delle patologie oncologi-che e del morbo di Crohn. Autore di importanti trattati, il Prof. Michelassiunisce al successo nel campo medico-chirurgico un elevatissimo profilo mo-rale e doti umane non comuni. Rappresenta un importante punto di riferi-mento per l’ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North AmericaFoundation) e per diverse Istituzioni italiane, come la Scuola SuperioreSant’Anna di Pisa e la sua Associazione Ex Allievi. Collabora con il Con-solato generale nell’organizzazione di seminari di cultura scientifica italiana.Ha inoltre dimostrato grandi doti di generosità ed umanità in collaborazio-ne con il Consolato generale a favore dell’assistenza medica di connaziona-li.” Michelassi è Direttore del Dipartmento di Chirurgia della Cornell Uni-versity. A festeggiare Fabrizio, che da molti anni è punto di riferimentodell’Associazione negli Stati uniti, erano presenti il nostro Presidente Fran-co Mosca e l’ex allieva Marina Santilli (nella foto, insieme a Michelassi).

Lamberto Maffei Presidentedell’Accademia dei Lincei

Lamberto Maffei è il nuovo presi-dente dell’Accademia Nazionale deiLincei. La prestigiosa accademia loha eletto il 10 giugno scorso, conte-stualmente al rinnovo di tutte le ca-riche per il prossimo triennio. Lam-berto Maffei, nato a Grosseto nel1936, si è laureato a Pisa in Medici-na come allievo del Collegio Medi-co Giuridico. Ha condotto gran par-te delle sue ricerche presso l’Istitutodi Neuroscienze del CNR, che hadiretto dal 1980 al 2008.

Giuliano Amatodirettore della Treccani

Giuliano Amato è il nuovo Presi-dente dell’Istituto della Enciclope-dia Italiana Treccani. Su propostadel Consiglio dei Ministri il decre-to di nomina è stato firmato dalPresidente Giorgio Napolitano.Amato succede a Francesco PaoloCasavola, che ha guidato la Trec-cani per due mandati dal 1998 al2008 e che dal maggio scorso era inprorogatio. In precedenza l’incaricodi vertice era stato ricoperto da Ri-ta Levi-Montalcini.

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Per un giorno “cantore” di Dante

“Nel mezzo del cammin di nostravita…” Il ragazzino di nove anniche sta leggendo la celeberrimaterzina quasi sicuramente non stapensando che lui è molto lontano– buon per lui – da quella metà delcammino. Io invece penso chedantescamente sono praticamenteal fondo del medesimo, ma la cosami turba poco perché in questomomento lui, io e altri circa sette-cento “cantori di Dante” (un di-ploma, alla fine, certificherà laqualifica) siamo tutti colleghi. È il 16 Maggio, sono le 16 (la datae l’ora sono numeri cabalistica-mente fortunati); siamo in piazzadi Santa Croce, noi settecento euna parte dei ventimila (lo saprò aconsuntivo) appassionati che se-guono l’evento. Il cielo su Firenze

promette pioggia, ma per fortunanon manterrà la promessa (meritodel 16, o Beatrice si è data da fareper noi e il suo poeta?). Più chel’età invidio al giovanissimo colle-ga quelle aspirate che la mia golapadana mi nega. Ho perfino unbrivido di esitazione, ma poi pre-vale la voglia di partecipare, queltanto di narcisismo/esibizionismoche mi accompagna dall’infanzia eche mi farà sfidare il pubblico rac-colto nella sede della Società Dan-tesca (Via dell’Arte della Lana,1)proprio alle spalle di Orsammiche-le, nel cuore del cuore di Firenze. Come lettura individuale mi han-no assegnato il XXI Canto del Pa-radiso (“quello di San Pier Damia-ni”, per dirla da liceali); parteci-però, poi, sul sagrato del Duomo,alla lettura corale(tutti e settecen-to!) del XXXIII del Paradiso, gran-dioso sigillo di chiusura.Certo l’Inferno è molto più rappre-sentabile, ma, proprio per questo,invita al “birignao”, all’autocom-piacimento, all’ascolto della pro-pria voce, che andava bene per se-durre le fanciulle “alle cinque dellasera”, ma è ormai un residuo datatoal limite del ridicolo. Allora sonograto agli organizzatori e alle istru-zioni del regista (Franco Palmieri),al suo decalogo, nel quale ricordaai “cantori” che la Divina Comme-dia è stata scritta da Dante unavolta per tutte e impone l’umiltàdel lettore al servizio del testo, perfar capire, per provocare emozioni,non per commuovere a tutti i costi.Perfino al quasi termine del cam-mino c’è da imparare.

Gino Bartalena

La vita vegliava nelle notti del Me-dico Giuridico, mezzo secolo fa. Ilgiorno, i giorni, erano routine, le-zioni, mensa, caffè, penniche. Mala notte, le notti… Filtravano sdraiate sciabole di lucedalle porte sigillate dei tre o quat-tro culi di ferro, lodevoli, lodabili(?) cacciatori di lodi. Mentre nella sala del piano terra,sui tavoli squillanti di formica ac-costati, si sperperavano lirette negliadrenalitici Settemmezzo urlati dalBartalena e dal Barciulli, o, più ra-ramente e costosamente, nei fumo-si, silenziosi e fruscianti Poker diAlberto Mazzoni e Carlo Cozzani epochi altri. Io, decisamente pippa aPoker, me ne tenevo alla larga.Blandamente sfigato a Settemmez-zo, non avevo quasi mai l’aria di di-vertirmi granché. Qualche ragazza coraggiosa, intan-to, probabilmente scavalcava fine-stre. Alcuni pallidi e gotici aspiranti fi-siologi, si inoltravano in strade evicoli periferici che rabbrividivanosotto una luna icchcocchiana, acaccia di gatti da far per forza dor-mire, da far per forza sognare, perpoi tentare di catturare i loro incu-bi e dare un piccolo contributo alNobel che il gran Moruzzi avrebbecomunque strameritato. Altre notti, invece, nel silenzioscuro di Corso Italia, un drappellodi collegiali, simili a una pattugliadi pacifici congiurati, si sarebberopotuti vedere sciamare a ventaglio,indolenti e ondeggianti dietro lelucciole delle sigarette, vagamentediretti verso Piazza dei Cavalieri. Quella sera, per esempio, avevamoappena visto Sorrisi di una notted’estate di Ingmar Bergman. (Credouscito in un cinema normale: aquell’epoca, eh sì, i grandi film lidavano ancora nei cinema norma-li). Io parlavo a voce alta, parlavosolo io, forse straparlavo o addirit-tura deliravo, non so. Sciorinavoispirato, interpretazioni a raffica,anfratti reconditi e rime segrete diquel film champagne, variegato eallegramente feroce, e cocciuta-mente perverso. (E viene semprespontaneo a questo punto aggiun-gere: come la vita, ma in realtàmolto di più, molto di più, come so-lo con la vera poesia accade). E, in-tanto, ci affacciavamo sul Ponte diMezzo, sull’arco panciuto del Lun-garno con la sua collanina di luci,perennemente teso, sempre prontoa scoccare frecce verso l’odorosomare e i vasti orizzonti della Storia. E gli altri collegiali, silenziosi, be-vevano le mie parole, o pensavanoai cavoli loro, non so… No, no,

bevevano ammaliati le mie parole,posso ben dirlo, lo so per certo, co-me subito vedremo. Perché io, do-vete sapere, è da un po’ che stomentendo: questo ricordo non loricordo. O piuttosto, non lo ricor-davo. Finché, un anno o due fa,non ricordo bene, Franchino Mo-sca non me lo ha raccontato comeio ho cercato goffamente (goffa-mente una sega!) di riferire. E così,ecco perché mi sono potuto per-mettere di affermare che gli altrinotturni collegiali ascoltavano am-maliati le mie parole, i miei delirii:perché me l’ha detto e spergiuratoproprio lui, Franchino Mosca, ilFranco Mosca che poi per mezzosecolo ne avrebbe fatte di belle e dibellissime, ne avrebbe combinatedi cotte e di stracotte, come bensapete, come tutti sanno bene. Adesso, quel ricordo è tornato an-che mio e cercherò di conservarlocon cura. Anche se non so a quantipomeriggi della mia soap preferita(Centovetrine, per la cronaca) potreirinunciare pur di conoscere che ca-volo mi ero inventato, che sprolo-quio avevo tenuto cinquant’anniorsono, su quel mirabile film, orache farei fatica a farfugliare anchesolo poche frasi sull’argomento. Matant’è. Che altro? Anche niente,volendo, quel che volevo raccon-tarvi l’ho fatto. Potrei lasciarvi inpace a meditare l’aneddoto. Manon mi fido del tutto. E così, vipropino le due principali scoperte,o embrionali certezze, che quellesveglie, lontanissime notti del Col-legio Medico Giuridico depositaro-no nel mio animo, e che poi i co-piosi decenni a seguire si sarebberoincaricati di confermare. La prima èche la dissipazione, vi piaccia o me-no, resta la più sincera e attendibilemisura di ogni ricchezza. La seconda è che se la vita è, nelmigliore dei casi, creazione di ri-cordi, niente si perde anche se siperde un ricordo, perché, o per me-glio dire, purché si siano incontratinegli anni giusti, nelle giuste notti,collegiali attenti a raccogliere i beiricordi smarriti e capaci di custo-dirli per mezzo secolo. E oltre.

Paolo Breccia

Si, è vero. Paolo ci ha fatto capire edamare il cinema in quegli anni mera-vigliosi del Medico Giuridico. Quan-do si tornava in Collegio dopo il cine-ma (Cineforum della Scuola Norma-le!) eravamo in molti intorno a Paoload ascoltarlo; mi sentivo orgoglioso diavere un compagno come lui. La seradi “Sorrisi d’una notte d’Estate” la ri-cordo come se fosse ora. Grazie Pao-lo. (F.M.)

Non ricordo un ricordo

SANT’ANNA NEWSnotiziario semestrale

Direttore responsabile: Brunello GhelarducciComitato redazionale: Amedeo Alpi, Giovanni Comandé, Alga Fo-schi, Franco Mosca, Vincenzo Letta, Pierdomenico Perata, DavideRagone, Mauro Stampacchia, Giuseppe Turchetti.

Editore: Associazione Ex-Allievi Scuola Superiore di Studi Universi-tari e di Perfezionamento S. Anna, Pisa. Pubblicato con un contributodella Scuola Superiore Sant’Anna e della «Fondazione Spitali».Presidente: Franco Mosca; Presidente Onorario: Giuliano AmatoCoordinatore: Giuseppe TurchettiSegreteria: Anna LettaSede: Piazza Martiri della Libertà, 33 – 56127 Pisa.

Tel. 050/883226, fax 050/883600

e-mail: [email protected] - web: www.sssup.it/exallievi

Stampa: Edizioni ETS, piazza Carrara – 56126 Pisa, www.edizioniets.comISSN 1593-5442, Registrazione n. 9 del 1993 presso il Tribunale di Pisa.

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Viaggio nella Toscana del 2050di Giancarlo Scalabrelli, Edimond.

Accade, anche se non di fre-quente, che colleghi universitari,della cosiddetta area scientifica, sicimentino con opere letterarie gene-rando sorpresa che comunque, inmolti casi, è preceduta da avvisagliedi vario tipo. Non è stato il caso diGiancarlo Scalabrelli. Non avrei im-maginato un suo esordio in questoambito e me ne rammarico, perchévuol dire che non lo conoscevo ab-bastanza. Comunque la sorpresa èstata piacevole e per numerose ra-gioni. Le 120 pagine del testo si la-sciano apprezzare, invitando alla let-tura, per la loro fantasia “realistica” ela perizia con cui è stata tradotta inuna prosa sciolta e garbata, senzamediazioni culturali, che così spessoappesantiscono i romanzi, ma anchesenza ricorrere ad espressioni ricerca-te. Un linguaggio corrente per parla-re di come sarà una giornata qualun-que di gente comune, ma in un pe-riodo segnato da una “mutazione”ambientale e quindi antropologica.Tutte le persone che Giovanbattista,il personaggio centrale, incontra, so-no serene e sagge, come se l’umanitàavesse subito una “cura” dolorosa edimpegnativa da far divenire tutti serie disponibili. La “catarsi” ecologicadi cui egli parla, peraltro plausibile, èil motivo ricorrente del libro ed èanche per questo che coinvolgequanti hanno a cuore il destino delpianeta assillato dai problemi am-bientali. La vicenda, dunque, fanta-siosa (come potrebbe non esserlo, es-sendo proiettata nel 2050) contieneriflessioni di grande attualità e di for-midabile significato: si tratta di co-me e se una civiltà potrà sopravvive-re. Per parlare di questo tema Scala-brelli ha scelto un modo semplice,ma avvincente, ricco di riferimentitecnici e scientifici, comunque trat-tati con il linguaggio del romanziere"divulgatore".

Ma dove si percepisce una ecce-zionale umanità, rispetto alla media,è nelle ultime pagine che non sono

solo commoventi; c’è l’essenza dellavita: “Cara Lara, a volte penso chenella nostra esistenza dobbiamo tuttisuperare delle prove per meritare disoffrire e poi finalmente morire”. Illibro non parla dunque solo del no-stro probabile avvenire in un mondocostretto ad essere più umile. C'è dipiù, è un romanzo che suggerisco dileggere. Amedeo Alpi

Il libro Trafficking in HumanBeings: Modern Slavery di SilviaScarpa, edito dalla Oxford Univer-sity Press nel 2008, esamina la trattadi esseri umani in quanto modernaforma di schiavitù ed analizza la ri-sposta che la Comunità Internazio-nale ha cercato di dare al fine di pre-venire questo allarmante fenomeno,punire i nuovi trafficanti di esseriumani e proteggerne le vittime. Ne-gli ultimi decenni, infatti, la tratta diesseri umani si è diffusa rapidamentein tutto il mondo, determinando lanecessità di una risposta rapida edefficace da parte degli Stati. Il Proto-collo volto a Prevenire, Reprimere ePunire la Tratta di Persone, in Partico-lare Donne e Bambini annesso allaConvenzione contro il Crimine Tran-snazionale Organizzato adottata a Pa-lermo nel 2000, ha finalmente pro-posto una definizione di tratta di es-seri umani, in particolare donne ebambini che deve essere adottata datutti gli attori – tra i quali gli Stati ele organizzazioni internazionali enon governative – che si occupano avario titolo di questo fenomeno edha previsto misure volte a perseguirei trafficanti, a prevenire il fenomenoed a proteggere le vittime.

Il primo capitolo analizza, alla lu-ce della definizione di tratta di esseriumani contenuta nel Protocollo, lecause e le conseguenze del fenomenoe le più comuni forme di sfruttamen-to ad esso legate, compresi lo sfrutta-mento lavorativo, quello sessuale, ilcoinvolgimento dei bambini neiconflitti armati, le adozioni illegalied il traffico di organi. Successiva-

mente, vengono vagliate le più im-portanti convenzioni internazionalivolte ad abolire la schiavitù, la trattadi schiavi, oltre al Protocollo di Pa-lermo e ad altri trattati internaziona-li che si propongono di garantire laprotezione internazionale dei dirittiumani e di stabilire le basi del dirittointernazionale penale e del lavoro, alfine di identificare le misure che per-mettano di assicurare la più ampiaprotezione delle vittime di tratta diesseri umani. Il libro analizza anche ipiù importanti strumenti di soft lawche raccomandano agli Stati glistandard minimi da adottare per ga-rantire la tutela dei diritti umanidelle vittime di tratta e commental’estensione del principio di jus co-gens che proibisce la schiavitù, perstabilire che, in alcuni casi, la trattadi esseri umani può giustamente es-sere considerata come parte inte-grante di tale norma internazionale.

Gli ultimi due capitoli del libroanalizzano l’azione volta a garantirela protezione dei diritti umani dellevittime di tratta a livello europeonell’ambito, da un lato, del Consi-glio d’Europa e, dall’altro, dell’Unio-ne europea (UE). La prima organiz-zazione dispone sicuramente deglistrumenti adeguati volti a raggiunge-re tale obiettivo, tra i quali ricordia-mo: la Convenzione europea per la sal-vaguardia dei diritti dell’uomo e delle li-bertà fondamentali (CEDU), la recen-te Convenzione per la lotta contro latratta di esseri umani - che contiene,ad oggi, le misure più avanzate inmateria di protezione delle vittimedi tratta di esseri umani – e la Con-venzione sui Diritti Umani e la Biome-dicina ed il suo Protocollo Addizionalesul Trapianto di Organi e Tessuti diOrigine Umana. Per quel che riguar-da, invece, l’UE, l’adozione della Di-rettiva 2004/81/CE riguardante il ti-tolo di soggiorno di breve durata darilasciare alle vittime di favoreggia-mento dell’immigrazione illegale ealle vittime della tratta di esseriumani che cooperino con le autoritàcompetenti, è stata criticata da piùparti per aver promosso un sistemapremiale ingiusto che lega la prote-zione delle vittime alla loro collabo-razione con le autorità. Tuttavia, inuna serie di recenti strumenti di softlaw l’UE ha anche riconosciuto lanecessità di basare la lotta alla trattadi esseri umani su tre principi fonda-mentali: la tutela dei diritti umani,l’adozione di una prospettiva di ge-nere e di tutela dei diritti dei minori.

Infine, il libro contiene numeroseraccomandazioni rivolte a tutti gliattori che si occupano di tratta degliesseri umani, tra le quali figurano la

necessità di adottare un approcciomaggiormente bilanciato e volto agarantire una maggiore attenzioneper la tutela delle vittime ed il pres-sante bisogno di condurre attività diricerca su specifici aspetti legati alladiffusione del fenomeno e ad alcunedelle forme di sfruttamento ad essocollegate, al fine di poterne megliocomprendere la diffusione, le dina-miche e lo sviluppo.

Il libro è il frutto della ricerca con-dotta durante il Corso di Perfeziona-mento in Scienze Politiche – DirittiUmani frequentato presso la ScuolaSant’Anna nel periodo 2003-2006.

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