S. M. S. G. RUSSO PALERMO A.S. 2007/2008 · la guerra di Troia. Una guerra di 3000 anni fa che...

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S. M. S. G. RUSSO PALERMO A.S. 2007/2008 _____________________________________________________ ILIADE Canti di donne, di vinti, di pace

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S. M. S. G. RUSSO – PALERMO

A.S. 2007/2008 _____________________________________________________

ILIADE Canti di donne, di vinti, di pace

Laboratorio teatrale delle classi

Prima I – Seconda I – Prima L

Liberamente tratto da Omero, Iliade A. Baricco, Omero. Iliade Euripide, Le Troiane

Soggetto e sceneggiatura Valentina Chinnici, Maria Pia La Porta, Chiara Vella

Luci, suoni e musiche

Mario Orofino

Costumi Lidia Lombardo

Regia

Mario Orofino

S.M.S. Gregorio Russo a.s. 2007/2008

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Perché l’Iliade

Rileggere l’Iliade ci è sembrata una scelta necessaria. Anche per

noi, ragazzi di una scuola media di oggi.

L’Iliade è il primo poema della letteratura occidentale. Ed è un

lungo poema che parla di guerra, la madre di tutte le guerre. Per

questo lo abbiamo scelto, noi che oggi ci troviamo in un mondo sempre

immerso nella guerra. Per capire forse, cos’è davvero una guerra. Per

non restare disorientati di fronte alle violenze in Iraq, in Tibet, in

Israele, in Africa…

L’Iliade parla infatti di una guerra antica, la guerra di Ilio, cioè

la guerra di Troia. Una guerra di 3000 anni fa che ancora parla al

cuore di tutti. Perché l’Iliade non è solo un poema di guerra, ma è un

poema che vibra di compassione, di pietà, di amicizia, di coraggio. E’

una storia scritta dai vincitori, i Greci, che insegna però che dove ci

sono i vincitori ci sono anche i vinti, con le loro ragioni e i loro

sentimenti. L’Iliade infatti l’hanno scritta i Greci (forse tanti si

nascondono dietro il mitico nome del poeta Omero), ma nel cuore di

chi la legge o la ascolta restano anche e soprattutto i Troiani che la

guerra l’hanno persa. L’Iliade ci insegna che qualunque sia la scusa

per dichiarare una guerra, che sia Dio, il Vangelo, il Corano, un

dittatore malvagio o magari il sorriso di una bella donna, come Elena,

la verità è sempre un’altra: la guerra si fa per il potere e la ricchezza,

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che sia oro, petrolio o addirittura acqua, il bene più prezioso, che oggi

tutti chiamano l’oro blu.

Dunque, perché ancora l’Iliade?

Perché, come diceva Calvino, un classico è un libro che non ha mai

finito di dire quello che ha veramente da dire.

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SCENA I CRISEIDE: Tutto iniziò in un giorno di violenza. Erano nove anni che i Greci assediavano Troia. Spesso avevano bisogno di cibo o di animali o di donne, e allora lasciavano Troia e andavano a procurarsi quel che volevano saccheggiando le città vicine. Quel giorno toccò a Tebe, la mia città. Ci presero tutto e se lo portarono alle loro navi. Fra le donne che rapirono c’ero anch’io. Sì, io. Criseide. Ero bella: quando i principi greci si divisero il bottino, Agamennone mi vide e mi volle per sé. Era il re dei re, e il capo di tutti i Greci. Mi portò nella sua tenda e divenni la sua schiava. Ma alcuni giorni dopo, arrivò all’accampamento mio padre. Si chiamava Crise, era sacerdote di Apollo. Era vecchio. Portò splendidi doni e chiese ai Greci, in cambio, di liberarmi. Tutti i principi greci, vedendolo così, vecchio e disperato, e sapendo che era un nobile sacerdote, dissero che era giusto accettare il riscatto e restituirgli me, sua figlia. Solo uno, fra di loro, non si fece incantare: Agamennone. Si alzò e si scagliò brutalmente contro mio padre dicendogli: AGAMENNONE: Sparisci, vecchio, e non farti mai più vedere. Io non libererò tua figlia: invecchierà ad Argo, nella mia casa, lontano da te e dalla sua patria. Ora vattene, se vuoi salvare la pelle! CRISEIDE: Mio padre, atterrito, obbedì e se ne andò. Ma all’improvviso accadde che morte e dolore piombarono sui Greci. Morivano a centinaia e non si capiva il perché. Achille convocò l’esercito in assemblea per decider cosa fare.

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Nell’accampamento greco tra Achille e Agamennone si scatena un furioso litigio; sono riuniti i Principi greci: Agamennone, Achille, Ulisse, Menelao, Aiace, Calcante. ACHILLE: (rivolgendosi a Calcante) Perché, Calcante, tu che sei sacerdote e indovino, non ci spieghi il motivo di tanta collera? Perché Apollo continua a far morire i Greci con questa pestilenza? In che cosa abbiamo offeso il figlio di Zeus? Si fa silenzio CALCANTE: (con volto severo e fronte corrugata), Apollo vuole punire uno di noi, che tiene schiava la giovane Criseide, figlia di Crise, sacerdote prediletto di Apollo. Crise è venuto qui, ricorderete, ad implorare la liberazione della figlia, ma ne ha avuto un secco rifiuto. Ecco perché Apollo ci punisce. Tutti guardano in silenzio Agamennone ACHILLE: Re fa la tua parte, restituisci la fanciulla. AGAMENNONE: (sdegnato) Rinuncerò alla fanciulla ma prenderò la tua Briseide, Achille. ACHILLE: (furioso dalla collera) Vuoi fare questo? A me che combatto per te, cuore di coniglio! Ho lasciato la mia terra, rischio la vita per un Troiano, Paride, che ha rapito la moglie di tuo fratello! Hai detto che l’offesa fatta a Menelao era un’offesa fatta a tutta la Grecia, e ti abbiamo seguito fino a Troia. E’ per questo che combattiamo da nove anni e io ho combattuto più degli altri! E tu ora mi ricompensi

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così? Bada Agamennone, se mi toglierai Briseide, io non combatterò più. AGAMENNONE: (come se volesse afferrare Achille) Vattene, combatteremo senza di te. NESTORE: Calmatevi, non capite che così facendo favorirete i Troiani? CRISEIDE: Quando l’assemblea si sciolse, Agamennone fece mettere in mare una delle sue navi, mi accompagnò sopra e lasciò che io tornassi al padre e alla mia terra. Rimase sulla riva, a guardare la nave salpare. Poi chiamò due scudieri fidati e ordinò loro di andare nella tenda di Achille e di prendere Briseide per mano e di portarla via. I due scudieri obbedirono, ma a malincuore. Trovarono Achille seduto accanto alla sua tenda e alla nave nera. Si fermarono davanti a lui e non dissero nulla, perché provavano rispetto e paura per quel re. Allora fu lui a parlare. ACHILLE: Avvicinatevi. Non siete voi ad aver colpa per tutto questo, ma Agamennone. Patroclo, prendi Briseide e consegnala a questi due scudieri. Voi mi siete testimoni, Agamennone è un pazzo! CRISEIDE: I due scudieri ai misero in cammino, portandosi Briseide: bella, andava, e triste, e a malincuore. Li vide partire Achille. E allora si andò a sedere, da solo, in riva al mare bianco di schiuma, e scoppiò a piangere davanti a quella distesa infinita. Era il signore della Guerra e il terrore di ogni Troiano. Ma scoppiò in lacrime e come un bambino si mise a invocare il nome della madre, Teti. Da lontano lei venne e lo chiamò per nome:

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TETI: Achille, Achille… figlio mio, perché ti ho messo al mondo, io, madre infelice? La tua vita sarà breve, se almeno tu potessi trascorrerla senza lacrime, senza dolore… ACHILLE: Puoi salvarmi, madre, puoi farlo? TETI: Ascoltami: rimani qui, vicino alle navi, e non andare più in battaglia. Rimani fermo nella tua ira verso gli Achei e non cedere al tuo desiderio di guerra. Io ti dico: un giorno ti offriranno doni splendidi e te ne daranno tre volte tanti, per l’offesa che hai patito. CRISEIDE: Poi scomparve nel mare e Achille rimase lì, solo: il suo animo era pieno d’ira per l’ingiustizia subita. Io rividi la mia città quando la nave, comandata da Ulisse, entrò nel porto. Gettate le ancore, Ulisse mi prese per mano e mi condusse a terra. Mi guidò fino all’altare di Apollo, dove mi aspettava mio padre. Mi lasciò libera e mio padre mi prese fra le braccia, piangendo di gioia. La nave dei Greci scomparve all’orizzonte. Ancora adesso ogni tanto sogno di polvere, armi, ricchezze e giovani eroi. Sogno sempre lo stesso posto, in riva al mare. C’è odore di sangue e di uomini. E il re dei re che butta al vento la sua vita e la sua gente, per me, per la mia bellezza. Ma quando mi sveglio c’è mio padre, al mio fianco. Mi accarezza e mi dice: è tutto finito, figlia mia. Dormi. E’ tutto finito.

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SCENA II CORO NARRANTE: Notte. Tutti gli uomini dormono, dormono tutti gli dei, tranne Giove. Dorme, nella sua tenda, Agamennone; ed ecco, scendendo rapido dal cielo, si avvicina silenzioso il Sogno, e sussurra all’orecchio di Agamennone: SOGNO: Stai dormendo, Agamennone, eppure comandi un esercito e una flotta. Ascoltami: mi manda il dio. Raduna l’esercito e muovi verso Troia. Combatti. Vincerai. La vittoria è tua. Prendila… CORO NARRANTE:: Il Sogno svanì e Agamennone convocò l’assemblea dei soldati. Ma le truppe erano stanche di combattere. Volevano tornare a casa. Avevano nostalgia dei loro cari e tanta, tanta paura di morire. Allora si alzò Ulisse e così parlò ai soldati: ULISSE: Pazzi! Dove correte? Fermi! Tornate! E’ in gioco l’onore della Grecia! Ragazzi miei, è vero, siamo qui da nove anni. Ma è una ragione in più per tenere duro. Combattiamo fino in fondo! Perché saranno morti i nostri compagni, se ora fuggiamo? Avremo solo infangato il nostro nome! No, Agamennone, non ti lasceremo! Ma se qualche pazzo vuole andare, se ne vada. Sappia però che anziché sfuggire alla morte, la troverà subito! AGAMENNONE: In nome della Grecia, dunque, prepariamoci alla battaglia decisiva! La vittoria è nostra! Mangiate ora; poi affilate le spade e le lance, ed ognuno raggiunga la sua schiera, i suoi compagni e il suo principe. Andremo all’attacco, e non smetteremo di batterci fino a quando non saremo a Troia.

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SCENA III ELENA: Come una schiava, io, Elena, quel giorno stavo in silenzio, costretta a tessere su una tela color sangue le imprese dei Troiani e dei Greci in quella dolorosa guerra combattuta per me. D’un tratto vidi Laodice, la più bella delle figlie di Priamo, entrare e gridarmi: LAODICE: Corri, Elena, vieni a vedere! E’ ripresa la battaglia fra Greci e Troiani. Mio padre, il re Priamo, vuol chiederti alcune informazioni sui Greci. ELENA: Io l’ascoltai, e d’improvviso mi venne da piangere, perché grande era in me la nostalgia per l’uomo che avevo sposato, e per la mia famiglia, e la mia vera patria, la Grecia. Mi coprii con un velo bianco e corsi verso le mura, ancora con le lacrime agli occhi. Tutti i Troiani parlavano male di me, della sventura che avevo portato. Solo il re, Priamo, si rivolse a me con dolcezza: PRIAMO: Vieni qui, Elena, figlia mia, accanto a me. Tu non hai colpa per tutto questo. Vieni, da qui si possono vedere tuo marito e i tuoi parenti… dimmi, chi è quel guerriero greco così nobile e grande? E’ così bello e maestoso: sembra un re! ELENA: Oh, Priamo, ho rispetto e paura di te, padre del mio nuovo sposo. Oh, se solo avessi avuto il coraggio di morire piuttosto che seguire tuo figlio fin quaggiù e abbandonare il mio letto nuziale… ma non è stato così, ed ora io mi consumo nel pianto. Ma tu vuoi sapere chi è quel guerriero… E’ Agamennone, re potentissimo e forte: un tempo era mio cognato…

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PRIAMO: E quell’altro? E’ più basso di Agamennone, ma ha il petto e le spalle larghi… ELENA: Quello è Ulisse, famoso per la sua astuzia e intelligenza. Accanto a lui, invece, c’è Menelao, il mio sposo, al quale Paride, tuo figlio, mi ha rubata. Avrei voluto dirgli quanto rimpiangevo Menelao. Paride al confronto era un vigliacco: lo vidi scappare dal campo di battaglia e rifugiarsi nel palazzo. Era l’uomo che nessuno, né Greco né Troiano avrebbe aiutato o nascosto, quel giorno. Era l’uomo che tutti odiavano, come si odia la nera dea della morte.

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SCENA IV CORO NARRANTE: L’Iliade canta di guerra e di sangue. Ma a volte risuonano, inattese, parole di pace. Ecco, ad esempio, Glauco e Diomede, un Troiano e un Greco, avidi di uccidersi in duello. Li salverà il dialogo, perché parlando si riconosceranno amici. DIOMEDE: Chi sei tu, nobilissimo fra i mortali? Non ti ho mai visto in battaglia finora. Ecco che avanzi, davanti a tutti, e col tuo coraggio sfidi me, il grande Diomede, mentre gli altri tremano. Avvicinati, e presto vedrò il tuo sangue versato dalla mia lancia. GLAUCO: Diomede, figlio di Tidèo, perché mi chiedi da quale stirpe provengo? Le stirpi degli uomini sono come le foglie… Le foglie, alcune il vento le getta a terra, altre i boschi le nutrono al tempo di primavera: così sono le stirpi degli uomini: una nasce, l’altra si dilegua. Se proprio vuoi sapere chi sono, mi chiamo Glauco e mio nonno era il saggio Bellerofonte. Mio padre m’inviò a Troia dicendomi di essere sempre il migliore e il più forte. Ecco la stirpe di cui mi vanto d’essere. DIOMEDE (sorridendo di gioia e gettando la lancia): Glauco, Glauco! Mio nonno Oineo ospitò tuo nonno tanti e tanti anni fa! Splendidi doni si fecero l’un l’altro! Conservo ancora una stupenda coppa d’oro che tuo nonno ci donò. Basta dunque, smettiamo di combatterci e scambiamoci le armi. Così tutti sapranno che vantiamo di essere ospiti antichi. L’ospitalità e l’amicizia sono cose sacre.

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GLAUCO: Sì, Diomede, hai ragione. A che vale combattere? La vita dell’uomo è solo il sogno di un’ombra che presto svanisce. Per noi davvero non c’è altra via che la pace. La pace è l’unica via.

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SCENA V CORO NARRANTE:: Intanto i due eserciti muovono uno contro l’altro guidati dai capitani, alti sui loro carri. Marciando i guerrieri gridano, agitano le lance e gli scudi rilucenti al sole; il fragore delle armi sale al cielo. Le linee dei greci si scontrano contro quelle troiane. Gli scudi cozzano gli uni contro gli altri, le lance si incrociano. L’aria risuona di gemiti, urla, lamenti. Troppo lungo sarebbe elencare tutti i guerrieri che trovano combattendo la morte. Da quando Achille non combatte, la battaglia prosegue furibonda. CORIFEO: Intanto ecco Ettore che discute con Andromaca. Entrano l’ancella, Ettore abbracciato ad Andromaca con il bimbo in braccio. ANDROMACA Marito mio, il tuo coraggio ti ucciderà, perché hai accettato di batterti con Achille? Non hai pietà per nostro figlio, non hai pietà di me. Lo sento, presto sarò vedova e il mio destino sarà di diventare schiava. Non ti basta quello che ho già passato per colpa di Achille? Egli uccise mio padre e i miei sette fratelli e rapì mia madre, non ti bastano le pene che ho già sofferto? ETTORE: Donna, se potessi non andrei a combattere, ma cosa penserebbero di me i Troiani, che sono un vigliacco se me ne sto lontano dalla guerra. Non posso rifiutare, gli dei hanno stabilito questo duello e agli dei bisogna obbedire.

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Poi, prendendo il figlio dalle braccia della moglie che viene confortata dall'ancella Figlio mio, Astianatte, spero che gli dei abbiano pietà di te. Alzandolo verso il cielo Zeus, e voi tutti dei, fate che questo bambino cresca forte e valoroso e che un giorno diventi re di Troia. (Avvicinandosi ad Andromaca e restituendole il bimbo) E tu moglie non ti affliggere. Lo sai che nulla può contro il fato, e se il destino ha stabilito per me la morte allora morirò. Tu ritorna a casa e accudisci nostro figlio, al resto penseranno gli dei. La morte attende tutti, vili e valorosi, e ad essa non si sfugge. Ettore esce di scena mentre Andromaca continua a guardarlo. ANCELLA: Noi, le ancelle, tornammo a casa. Camminando, piangeva Andromaca, e continuava a voltarsi indietro. Quando la vedemmo arrivare, in tutte noi suscitò una grande tristezza. Tutte scoppiammo in pianto. Piangevamo Ettore, lo piangevamo nella sua casa e lo piangevamo mentre ancora era vivo. Perché nessuna pensava in cuor suo che vivo sarebbe tornato dalla battaglia. Ma tutte, tutte sapevamo che Ettore sarebbe stato ricordato per sempre. Ettore amante della pace, Ettore vittima innocente. Perché questa è la storia di una guerra, ma è anche il canto di chi sognava la pace.

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SCENA VI

CORO NARRANTE: La battaglia continua e nel frattempo Achille se ne sta nella sua tenda, placidamente seduto, come se la guerra ora non lo riguardasse più. Ma guardate! Patroclo si sta dirigendo da lui. (Esce di scena) ACHILLE: (Scuro in volto) Che hai Patroclo? Perché piangi? PATROCLO: (Sconvolto e pallido) Mio signore, piango perché i troiani stanno incendiando le nostre navi. Troppi sono i morti e i feriti! Se tu tornassi in battaglia… ACHILLE: No, no Patroclo! Sono stato troppo offeso. PATROCLO: Lascia almeno che combatta io, lascia che indossi la tua armatura, che metta il tuo elmo e che guidi i Mirmidoni alla battaglia! I troiani crederanno che sia Achille e forse non oseranno più insistere nel loro attacco! ACHILLE: (Esitando) E sia! Se lo vuoi, Patroclo, prendi le mie armi, i miei soldati e va a batterti. Ma ascolta il mio consiglio: respingi i nemici, Patroclo, e poi lascia che i greci combattano per loro conto. Escono di scena. CORO NARRANTE: L’arrivo di Patroclo e dei Mirmidoni infonde coraggio ai Greci, sgomento ai Troiani. Sotto l’impeto di Patroclo e dei guerrieri, Ettore è costretto a

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ordinare la ritirata. Ma Patroclo dimentica il consiglio di Achille e continua a combattere, quando colpito da una lancia perde corazza ed elmo. Ettore non esita e lo trafigge a morte. Achille, furia scatenata, ritorna in testa all’esercito greco, imponente nella sua nuova armatura, costruita in una notte dal dio Vulcano. Priamo ordina di aprire le porte di Troia e guida la ritirata dei suoi soldati.

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SCENA VII Fuori scena si sente parlare ad alta voce, c’è del trambusto. Entrano Atena, Apollo, Mercurio, Zeus, a grandi passi, seguito da Era. ERA: Zeus, basta! non se ne può più di questa guerra. E’ da 10 anni che stiamo qui senza che si raggiunga alcun risultato. Greci e Troiani si danno battaglia senza che nessuno ottenga la vittoria decisiva. ZEUS: Stai calma Era, ogni cosa a suo tempo. Non posso fare nulla contro il fato. Il fato, lo sai, sta al di sopra anche di noi dei. E poi direi di ridare Elena a Menelao e farla finita con questa guerra. ERA: Guarda, te lo dico per l’ultima volta, se gli Achei perderanno con me hai chiuso. Non voglio la pace fino a quando Troia non sarà distrutta! ZEUS: Si vede che sei figlia di tuo padre, il violento Crono, sempre pronta a minacciare e a ricattare per ottenere quello che vuoi. Non puoi pretendere che io, il padre degli dei, mi schieri al fianco di questo o di quello, io devo essere al di sopra delle parti. ATENA: Eppure una idea ce l’avrei. ZEUS: Atena, come si vede che sei figlia mia, nata dalla mia testa. Parla, parla dunque. ATENA: Padre, facciamo decidere le sorti della guerra con un duello.

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ZEUS: A chi pensi in particolare, figlia mia? ATENA: Pensavo a due campioni, due eroi, uno acheo, l’altro troiano. Facciamoli combattere corpo a corpo, chi vincerà il duello deciderà le sorti della guerra assegnando la vittoria al proprio schieramento. ZEUS: E chi sarebbero questi due campioni? ATENA: Padre, non lo immagini? Achille per i Greci ed Ettore per i Troiani. ZEUS: Non è che per caso poi tu, come sempre, intervieni e aiuti Achille a vincere? ATENA: Padre, ma che dici, come puoi dubitare di me? Guarda, ti prometto solennemente (con le spalle rivolte al pubblico fa dei segni di scongiuro) che non interverrò. ZEUS: Bene allora, mi sembra che la questione sia risolta. (Poi rivolto ad Era) Vedi moglie mia, basta ragionare e si trova una buona soluzione.

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SCENA VIII CORO NARRANTE: Noi conosciamo Ettore, figlio del re Priamo, il più valoroso dei troiani, il comandante dell’esercito, guerriero generoso, ama la vita, lotta per la vita. Fa la guerra ma pensa al futuro, combatte per la pace. Esce di scena ed entra Ettore. ETTORE: Non posso più ritirarmi, non posso sostenere lo sguardo delle Troiane che per la mia ostinazione, oggi hanno perso i figli e i mariti. Potrei spogliarmi dell’armatura e farmi garante della restituzione di Elena, delle sue ricchezze ed altre ancora. (Risoluto) No, prima andava fatto, non ora, è troppo tardi ormai…

Achille entra in scena e si ferma davanti ad Ettore. ETTORE: Basta, non fuggo più davanti a te Achille figlio di Peleo. Adesso il mio cuore mi spinge ad affrontarti, facciamola finita e lottiamo. Ma prima preghiamo gli dei affinché non parteggino né per l'uno né per l'altro, e siano testimoni dei nostri patti: se io ti ucciderò, restituirò il tuo corpo ai Greci: anche tu fa lo stesso. ACHILLE Maledetto, io dovrei stringere un patto con te? Proprio come te che hai ucciso la persona che amavo di più, il caro Patroclo? Come puoi farmi una simile proposta? Non ci possono essere patti tra di noi, noi siamo come l'uomo con il leone, il lupo con l'agnello. La mia sete di sangue si placherà soltanto quando ti vedrò morto e ti appresterai a scendere nell'Ade. Entra in scena, in silenzio, Atena e si ferma alle spalle di Ettore.

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Maledetto, pagherai tutto il male che hai fatto, tutte le morti che hai seminato con la tua lancia. Achille bilancia la lancia e la scaglia contro Ettore, il quale si scosta e non viene colpito, Atena raccoglie la lancia e la restituisce ad Achille mettendosi questa volta alle sue spalle. ETTORE: Figlio di Peleo, Achille piede rapido, non sei riuscito a colpirmi. Ebbene non ho paura, ricordati, se io morirò, morirò da eroe, mostrandoti il petto, non le spalle. Prova a schivare la mia lancia, spero ti si conficchi nel cuore. Ettore bilancia l'asta e la scaglia, ma non colpisce Achille Per gli dei dell'Olimpo, ho perso la mia arma. Ma come è possibile che tu abbia di nuovo tra le mani la tua lancia, forse un dio ti assiste? 0 dei perché siete così ingiusti? Ormai sento la morte vicina, così si compirà il volere del fato, ma non morirò senza combattere! Ettore impugna la spada e si avventa contro Achille. I due combattono, poi Achille colpisce mortalmente Ettore che cade per terra ACHILLE: Ettore, pensavi di farla franca? Speravi che non avresti pagato per la morte di Patroclo? Questa è la morte che meriti.

E lo colpisce ancora.

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ETTORE: (riverso e con voce rotta) Ti prego non lasciare il mio corpo in preda agli animali selvaggi, restituiscilo ai miei familiari, essi ti daranno oro e argento in abbondanza. ACHILLE: Maledetto, non mi pregare, muori qui, solo, preda dei cani e degli uccelli. ETTORE: Attento Achille a non attirare su di te l'ira degli dei, attento alle frecce di Apollo. Ricordati, in qualche modo sarò vendicato. ACHILLE: (mentre esce fuori scena accompagnato da Atena): Zitto, muori e scendi nell'Ade, maledetto. CORO NARRANTE: Ettore è così morto. Viene legato per le caviglie al carro e trascinato da Achille nella polvere, attorno alle mura di Troia. ANDROMACA: Ettore, marito mio. Era così bello il tuo volto. E adesso striscia nella terra, coi bei capelli bruni che, strappati, volano nella polvere. Eravamo nati lontani, noi due, tu a Troia, io a Tebe, ma un solo destino ci aspettava. Ed è stato un destino infelice. Adesso mi lasci vedova nella tua casa, immersa nel più tremendo dolore. Il figlio che abbiamo avuto insieme è ancora così piccolo: non potrai più aiutarlo e lui non potrà più aiutare te. Ettore… il destino ti ha fatto morire lontano da me, e questo sarà il mio dolore più grande: perché non ho avuto per me le tue ultime parole. Le avrei tenute strette e le avrei ricordate per tutta la vita: ogni giorno e ogni notte della mia vita. Sotto le navi nere, adesso,sei preda dei vermi e il tuo corpo bellissimo, che tanto amavo, farà da pasto ai cani. Ma il tuo coraggio e la tua bontà vivranno per sempre nel ricordo di tutti gli uomini.

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SCENA IX

CORO NARRANTE: E tutti videro il re Priamo, padre del grande Ettore, rotolarsi nel fango, impazzito dal dolore. Vagava dall’uno all’altro a supplicare che lo lasciassero andare alle navi greche a riprendersi il corpo del figlio. Con la forza dovettero tenerlo fermo, il vecchio pazzo. Per giorni rimase seduto in mezzo ai figli, chiuso nel suo mantello. Poi, finalmente, gli dei Mercurio e Zeus, ebbero pietà di lui. MERCURIO: Zeus, padre mio, Ettore in vita è stato un uomo valoroso e saggio, e ha sempre onorato noi dei. Non possiamo lasciare che il suo corpo non venga restituito alla moglie, al figlio e ai genitori, e non abbia l’onore del rogo e della tomba. ZEUS: Hai ragione, Mercurio, figlio mio. Aiuteremo Priamo a trovare la forza di andare da Achille e chiederò a Teti di convincere suo figlio Achille a restituire il corpo di Ettore al vecchio padre Priamo. (gli dèi escono di scena. Entra Priamo) PRIAMO: Io, Priamo, pur così vecchio e stanco, devo andare laggiù. Riprenderò il corpo di mio figlio Ettore. Porterò doni preziosi che addolciranno l’animo di Achille. Io DEVO farlo. Se è destino che anch’io muoia presso le navi dei Greci, ebbene, morirò. Ma non prima di aver stretto tra le braccia mio figlio, e pianto tutto il mio dolore su di lui.

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SCENA X CORO NARRANTE: Achille siede tristemente nella sua tenda affiancato dai suoi sergenti ed ecco entrare Priamo. PRIAMO: (si inginocchia ai piedi di Achille) Divino Achille, ricordati di tuo padre, vecchio come me, in pena per te lontano: lui, però, sa che sei vivo e che presto potrà riabbracciarti. Io infelice, ho perso tanti valorosi figli e mi pare di averli persi tutti. Mi restava Ettore che dei suoi fratelli e di Troia e di tutti era il sostegno e anche lui è caduto ai tuoi piedi. Per lui io vengo ora da te con ricchi doni a chiederti il riscatto del suo corpo. Achille abbi pietà di me, abbi rispetto dei numi, ricorda il padre tuo e pensa che io sono più misero, soffro di una sventura grande: baciare, supplicante, la mano che ha ucciso i miei figli. (Achille a queste parole si intenerisce, solleva dolcemente il vecchio, lo abbraccia e piange) CORO NARRANTE: Così abbracciati, questi due uomini che non hanno voluto la guerra, piangono: l’uno piange il valoroso figlio, l’altro l’adorato amico.

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SCENA XI Appena Priamo ed Achille abbandonano la scena, entrano correndo i guerrieri che combattono tra loro facendo un bel po' di trambusto; ad un certo punto dal gruppo si stacca il narratore. Egli avanza sulla scena mentre tutti gli altri sempre combattendo, escono. CORO NARRANTE: Dopo la morte di Ettore, Troia ben presto cade. Fu un tranello a distruggerla: il cavallo di legno congegnato dall'astuto Odisseo. Grandi mali portava nel suo ventre, vi erano nascosti i soldati Achei. E quando i Troiani lo portarono dentro le mura, ignari del male, pensando si trattasse di un dono agli dei, gli Achei balzarono fuori di notte, uccisero gli uomini e le donne le fecero schiave: Troia fu data alle fiamme. CORIFEO: Le ultime parole che abbiamo raccolto e che vi consegniamo furono quelle della regina Ecuba… ECUBA: Povera me: questo è il culmine e il termine di tutti i miei mali: io mi allontano dalla mia patria, e la mia patria è incendiata dal fuoco. Ma tu, mio vecchio piede, affrettati nella fatica, che io voglio abbracciarla, questa mia povera città. O tu che un giorno respiravi grandezza, tra i Barbari, Troia, presto tu perderai il tuo nome glorioso: perché ti bruciano. E noi ci portano via da questa terra, come schiave. O dei! Ma perché io l’invoco gli dei? Già da tempo non mi ascoltano più! Su corriamo verso il rogo: è bello per me, con questa mia patria bruciare nel fuoco. Oh, Ilio avvampa, e bruciano nel fuoco i suoi tetti, e la città, e le cime delle sue mura.

S.M.S. Gregorio Russo a.s. 2007/2008

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Ma, cosa vedo? Ecco Priamo, mio marito. Senza armi, lui che ama la pace. Non avevo mai vista la pace così vicina. Mi voltai a cercarlo. Volevo guardarlo negli occhi, il mio vecchio e saggio Priamo. E nei suoi occhi vedere morire la guerra, e l’arroganza di chi la vuole, e la follia di chi la combatte.