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Loro di Troia. La vera storia del tesoro scoperto da Schliemann di Gianni Cervetti e Louis Godart Storia dellarte Einaudi 1

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L�oro di Troia. La vera storia deltesoro scoperto daSchliemann

di Gianni Cervetti e Louis Godart

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Edizione di riferimento:Gianni Cervetti e Louis Godart, L�oro di Troia.La vera storia del tesoro scoperto da Schliemann,Einaudi, Torino 1996

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Indice

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Introduzione 4

I. Heinrich Schliemann, una vita tra leggenda e storiaLa leggenda 9La storia 12

II. TroiaLa leggendaLa storia

III. La scoperta del tesoro di PriamoLa cronaca delle peripezie legate al «tesoro di Priamo» 43La leggenda 47La storia 52Il tesoro 63Le sorti del tesoro 67

IV. La battaglia di Berlino e la scomparsa del tesoro 100

V. Dalla vecchia alla nuova Hissarlik 116

VI. Schliemann in Russia e il museo Puskin 131

VII. Il segreto disvelato 144

VIII. Restitucija sí, restitucija no 156

IX. Storie berlinesi e ritorni 170

Conclusione 186

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Introduzione

Tre grandi colpi di scena hanno restituito alla Storiai mondi scomparsi dell�epopea omerica e le civiltà del-l�antico Egeo.

Heinrich Schliemann scavando prima nella Troade,tra il 1870 e il 1873, poi nell�Argolide, tra il 1874 e il1876, scopri la reggia di Priamo e le tombe dei re diMicene. La sua volontà e la sua tenacia aprivano unnuovo capitolo nel grande libro della Storia: nasceva l�ar-cheologia omerica.

Arthur Evans affascinato dal mondo scoperto daSchliemann e colpito dalla ricchezza della gente diTroia e di Micene, s�interrogò sul significato profon-do dei fantastici tesori provenienti dall�acropoli diTroia e dalle tombe a fossa della città di Agamennone.Era mai possibile che una civiltà cosí ricca, con unartigianato cosí sviluppato non avesse mai conosciutol�arte della scrittura? Perciò parti alla ricerca dei testilasciati dai popoli che Schliemann aveva strappati all�o-blio. Nelle rovine del palazzo di Minosse a Cnosso,Evans portò alla luce le testimonianze scritte che cer-cava e dimostrò che tre scritture diverse, la geroglifi-ca, la lineare A e la lineare B erano nate e si erano svi-luppate nell�Egeo del II millennio a. C.

Michael Ventris, nel 1952, scopriva la chiave di let-tura della terza delle scritture individuate da Evans, lalineare B. Dimostrando che la lingua parlata e scritta

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nelle corti di Cnosso, di Micene, di Tirinto, di Tebe edi Pilo era greca, il giovane architetto inglese spostò dioltre sette secoli addietro le origini della lingua greca.

Grazie a Schliemann, Evans e Ventris un�intera pagi-na di Storia è riemersa. Le civiltà dei minoici e deimicenei sono tornate alla luce e gli scavi hanno dimo-strato tra l�altro che gli antichi poeti e scrittori nonmentivano quando raccontavano della guerra di Troia,di Dedalo, del Labirinto, dell�Atlantide oppure dellacolonizzazione dell�arcipelago egeo da parte delle flottedi Minosse.

Se il merito dei tre uomini che hanno riscoperto laGrecia degli eroi è ugualmente grande, la loro prepa-razione era profondamente diversa. Schliemann era unavventuriero autodidatta, Evans un archeologo, diret-tore del prestigioso Ashmolean Museum di Oxford, eVentris un architetto. Era quindi inevitabile che l�at-tenzione del grande pubblico si focalizzasse soprattuttosu Schliemann, il cui destino non è certo stato banale.

Figlio di un modesto pastore di un villaggio dellaGermania dell�inizio dell�Ottocento, Heinrich Schlie-mann perse la madre giovanissimo. La mancanza di sol-di lo costrinse ad abbandonare gli studi a quattordicianni. Diventato garzone in una drogheria di Fürstem-berg, per cinque lunghi anni vende aringhe, burro, ac-quavite di patate, latte, caffè, zucchero, olio, candele epulisce il negozio. Una lesione ai polmoni lo costringead abbandonare questa vita di fatica, dagli orizzontichiusi, e ad arruolarsi come mozzo a bordo di una navein partenza per il Venezuela. Il naufragio dell�im-barcazione lo getta sulle coste olandesi. Schliemann sirifugia ad Amsterdam, trova un impiego e comincia aimparare le lingue moderne; entra come contabile pres-so i signori Schröder; impara il russo e, a ventiquattroanni, diventa l�agente della ditta a San Pietroburgo; silancia nel commercio per conto proprio; riesce ad ac-

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cumulare una fortuna cospicua. All�età di quarantaseianni parte alla scoperta dei mondi scomparsi dell�epopeaomerica! Passerà il resto della sua vita a scavare e a gesti-re il proprio patrimonio.

Pochi uomini come Heinrich Schliemann sono statisensibili alla costruzione della propria immagine. Infattiegli, attento a tutto quello che potesse suscitare l�am-mirazione del pubblico per la propria opera e avallare latesi che solo un genio poteva realizzare tali e tanteimprese, ha lasciato migliaia di scritti atti a celebrare lapropria gloria.

Gli sforzi di Schliemann per costruire la propria leg-genda sono stati notevoli ma, come talvolta accade coni temperamenti vulcanici (e il temperamento di Schlie-mann era tale), la massa dei documenti lasciati in manoai posteri consente spesso di correggere la leggenda cosífaticosamente elaborata e di scoprire una realtà menoartefatta. Perciò il confronto tra quella che chiameremola leggenda dello scopritore di Troia, tramandata dallastessa autobiografia di Schliemann, e la storia vera delpersonaggio, come traspare attraverso la sua corrispon-denza e le recenti ricerche biografiche, ci mette in pre-senza di un uomo terribilmente problematico, a volteodioso, a volte tenero, ma che non lascia di certo il let-tore indifferente.

È merito di W. M. Calder III aver sottolineato perprimo che le pagine di Schliemann relative alla sua au-tobiografia andavano sottoposte ad attenta critica1. Sa-rebbe assurdo, nota Calder, che un autore moderno de-sideroso di scrivere una biografia di Cicerone si basas-se unicamente su Cicerone e sui soli giudizi portati dal-l�autore delle Verrine su se stesso e non prendesse in con-siderazione le altre fonti coeve. Ora, nel caso di Schlie-mann, coloro i quali si sono interessati al personaggio,hanno accettato ciecamente tutte le sue affermazioni e

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quindi dipinto uno Schliemann molto diverso da comefu in realtà.

La riscoperta a Mosca, nel museo Puskin, del tesorodi Priamo rinvenuto da Schliemann sulla collina di His-sarlik nel maggio del 1873, consegnato alla Germania nel1881 e scomparso durante la battaglia di Berlino del1945, ha suscitato grande scalpore. Grazie ai mezzi dicomunicazione, Priamo, Agamennone, Elena, Achillesono usciti dalla cerchia ristretta degli specialisti di pro-tostoria e degli amanti del passato e sono entrati nellagalleria dei grandi personaggi che infiammano l�imma-ginazione e fanno sognare chiunque. A sua volta il teso-ro di Troia è tornato ad affascinare il grande pubblico.

Perciò, abbiamo deciso di scrivere questo volume de-dicato al fascino dell�oro di Troia. Ma ripercorrendo levarie tappe che hanno portato al ritrovamento dei gioiel-li nascosti negli strati della Troia del III millennio a. C.,sono anche emerse le inevitabili storie d�inganno e ditradimenti che spesso costellano la strada dei cercatorid�oro. Non potevamo quindi esimerci dall�abbozzare unritratto del contestato scopritore dell�oro di Priamo. Ilavori pubblicati recentemente da numerosi studiosi, tracui W. Calder III, Easton, P. Amandry, D. Traill, non-ché la lettura della corrispondenza dello stesso Schlie-mann, ci hanno aiutati a disegnare un profilo meno idil-liaco di quello che, a torto o a ragione, è considerato ilpadre dell�archeologia omerica.

Abbiamo anche voluto raccontare le avventure legateal destino del tesoro di Priamo venutosi a trovare al cen-tro delle drammatiche vicende di questo nostro secolo.

Il volume è diviso in due parti. Nella prima, sul filodella leggenda e della storia, raccontiamo la scoperta diTroia e del cosiddetto tesoro di Priamo, quindi passia-mo ad alcune considerazioni sulla grande metropoli del

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nord-est dell�Egeo a 125 anni dalla scoperta da parte diHeinrich Schliemann.

Nella seconda parte, descriviamo le sorti toccate all�o-ro di Troia dalla battaglia di Berlino, durante la secondaguerra mondiale, fino a oggi, concludendo con alcuneconsiderazioni sul futuro riservato a questo grande patri-monio dell�intera umanità.

1 W. M. Calder III, Schliemann on Schliemann: A Study in the Use ofSources, «Greek, Roman and Byzantine Studies», 13, 1972, pp. 335-53.

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Capitolo primo

Heinrich Schliemann, una vita tra leggenda e storia

1. La leggenda.

Tutta l�opera dei miei anni maturi è stata determinatadalle impressioni dell�infanzia1. Si può quindi affermareche il piccone e la pala per gli scavi di Troia e delle tombedei re di Micene furono forgiati e affilati già nel paesellotedesco dove ho passato i primi otto anni della mia vita.Nacqui il 6 gennaio 1822 nella cittadina di Neubuckow, nelMecklemburgo-Schwerin, di cui mio padre, Ernst Schlie-mann, era il pastore e da cui, nel 1823, fu chiamato con lostesso ufficio alla parrocchia di Ankershagen, villaggio com-preso tra Waren e Penzlin, nel medesimo granducato. Quitrascorsi otto anni della mia vita e la mia naturale inclina-zione a tutto ciò che è mistero e prodigio fu mutata in pas-sione dalle cose incredibili che accadevano in quei luoghi.Si diceva che il fantasma del predecessore di mio padre, ilpastore von Russdorf, si aggirasse nel nostro giardino die-tro il quale era un piccolo stagno chiamato «coppa d�ar-gento» da cui si raccontava che emergesse a mezzanotte lospettro di una fanciulla con una coppa d�argento in mano.Per di piú, vanto del paese era un piccolo colle con un fos-sato interno, forse una tomba pagana, di quelle dette dol-men, in cui una culla d�oro conteneva le spoglie del figlioamatissimo di un antico masnadiero.C�era ad Ankershagen anche un maniero medievale, nellecui mura larghe sei piedi correvano corridoi segreti ed un

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cammino sotterraneo, lungo forse un buon miglio tedesco,che portava fin sotto le acque profonde del lago di Speck:si raccontava che fosse popolato da terribili spettri, di cuipaesani parlavano tremanti.Secondo un�antica leggenda, il maniero era appartenuto aun nobile predone, Henning von Holstein, detto dal popo-lo «Henning Bradenkirl», temuto in tutto il paese perchéera solito rubare e saccheggiare ovunque giungesse. Egliera assai seccato del fatto che il Duca di Mecklemburgo,per garantire dalle sue angherie i mercanti di passaggio nelsuo castello, li muniva di un salvacondotto; desiderandovendicarsi, lo invitò un giorno con ipocrita umiltà nel suofeudo. Il Duca accettò e il giorno stabilito, s�incamminòcon un gran seguito. Ma un vaccaro del cavaliere, saputala losca trama del suo padrone ai danni del Duca, si nasco-se in una macchia a metà strada, lo attese dietro un colle,situato a un quarto di miglio dalla nostra abitazione, e glisvelò l�intenzione criminosa di Henning.Per questo, il Duca tornò subito indietro; forse proprio daallora il colle fu chiamato col nome di Wartensberg ovve-ro «Monte dell�attesa».Ma scoperto che era il mandriano a far fallire i suoi delit-tuosi progetti, Henning lo prese e lo arrostí vivo in un grancalderone di ferro, e la leggenda aggiunge che, mentre ilpoveretto stava morendo fra spasimi atroci, infierí ancorasu di lui con un calcio del piede sinistro. Poco dopo giun-se il Duca con un folto drappello di armigeri, assediò edistrusse il maniero; Henning, vistosi perduto, mise tuttii suoi tesori in una grossa cassa, la sotterrò accanto al tor-rione, di cui oggi si vedono ancora i resti, e si uccise.Nel nostro cimitero una lunga fila di pietre sembra che in-dicasse la sepoltura del malfattore e si diceva che per moltisecoli dalla terra fosse emersa la sua gamba sinistra, inguai-nata di seta nera. Sia il sacrestano Prange che il becchinoWöllert asserivano con solennità che erano stati proprioloro da ragazzi a tagliare la gamba, usata poi per scuotere

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le pere giú dagli alberi; all�inizio di questo secolo però lagamba non era piú ricresciuta. È naturale che io con la cre-dulità dei bambini prestassi fede a queste parole e giungessial punto di pregare mio padre perché aprisse la tomba opermettesse a me di farlo per rendermi conto infine di que-sta mancata crescita.Anche se non era né un filologo né un archeologo, mio pa-dre amava appassionatamente la storia antica; sovente midipingeva con parole vibranti la fine spaventosa di Erco-lano e Pompei e sembrava reputare privilegiato colui cheavesse tempo e denaro per visitare gli scavi iniziati. Qual-che volta mi narrava ammirato le gesta degli eroi omericie le sorti della guerra di Troia, trovando sempre in me unfervido paladino della causa troiana. Costernato, seppi dalui che Troia era stata rasa al suolo tanto che di lei non esi-steva piú alcuna traccia sulla terra. Ma quando nel Nata-le del 1829 (avevo allora quasi otto anni) mi regalò la Sto-ria universale per ragazzi del dott. Georg Ludwig Jerrer e vitrovai l�incendio di Troia, con le immani mura, le porteScee ed Enea fuggiasco che portava sulle spalle il padreAnchise e per mano il piccolo Ascanio, allora con un gridodi gioia dissi: «Padre, ti sei sbagliato! Jerrer deve avervisto Troia, altrimenti non avrebbe potuto illustrarla».«Figlio mio, � rispose, � questa è pura immaginazione».Quando però gli domandai se Troia avesse davvero posse-duto mura cosí gigantesche come quelle illustrate, egli annuí.Allora dissi: «Padre, se tali mura sono realmente esistite,non possono essersi dissolte, ma certamente giaccionosotto polvere e detriti secolari».Egli sostenne logicamente l�opposto, ma io restai della miaconvinzione, e alla fine stabilimmo che un giorno sareiandato a scavare l�antica Troia.

Schliemann continuava il suo racconto, spiegando cheormai Troia era diventata la sua ossessione. Ne parlavacon i suoi compagni di giochi che lo burlavano; le figlie di

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un colono di Ankershagen, Minna Meincke e la sorella,lo prendevano invece sul serio. Schliemann si innamora diMinna e il suo amore viene ricambiato. I due ragazzini sigiurano fedeltà eterna ma la vita li separa per sempre.

La madre di Heinrich muore; la famiglia in preda al-le difficoltà finanziarie si sgretola. Schliemann vienemandato a Fürstenberg come garzone nel negozio di uncerto Theodor Hückstädt. È lí che incontrò, a suo dire,il mugnaio ubriacone Hermann Niederhöffer che, incambio di tre bicchieri di grappa, gli recitava alcuniversi di Omero.

2. La storia.

Di tutte le pagine dedicate da Schliemann alla pro-pria autobiografia, quelle che abbiamo appena lette e cheriguardano la sua infanzia sono certamente le più note.Non c�e dubbio che il racconto del bambino povero,costretto a servire la grappa di patate agli ubriaconi diFürstenberg, mentre sognava Troia e ripercorreva legesta degli eroi omerici, ha commosso generazioni egenerazioni di appassionati di storiografia archeologica.

Oggi, grazie in particolare ai lavori di David Traill,si conosce meglio l�ambiente nel quale Heinrich Schlie-mann trascorse i primi anni della sua vita2.

Nel 1822, quando nacque il piccolo Heinrich, la ma-dre Louise aveva 29 anni, il padre Ernst 42. Prima didiventare pastore, Ernst era stato maestro di scuola. Laparrocchia di Neubuckow era troppo povera per nutrireun suo ministro del culto con una famiglia numerosa,perciò nel 1823 gli Schliemann vanno a vivere ad Anker-shagen dove il padre è stato trasferito su sua richiesta.

Ernst Schliemann era un uomo violento, egoista,ubriacone, donnaiolo e perennemente indebitato, pocoadatto a ricoprire la carica di pastore. La madre, invece,

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era dolce, educata e tentava di dimenticare i dispiaceridella vita quotidiana suonando il pianoforte.

Nel 1829, anno in cui Heinrich ricevette in regalo, asuo dire, la Storia universale per bambini di Jerrer, ErnstSchliemann assume una domestica particolarmente at-traente, Sophie Schwarz, che diventò presto la suaamante. Nella primavera del 183o, dopo l�inizio dellanona gravidanza, Louise Schliemann riuscí a far allon-tanare da casa l�amante del marito che, malgrado le dif-ficoltà economiche, affitta a Waren, un paese vicino, unpiccolo appartamento per Sophie, dove i due amanti siincontravano con regolarità.

Intanto, nel gennaio del 1831, Louise dà alla luce ilsuo ultimo figlio, Paul. La povera donna morirà due mesidopo, all�età di 36 anni.

Sophie Schwarz va a vivere in casa Schliemann, mail paese si ribella di fronte allo scandalo. I parrocchianidi Ankershagen sanno tutto della vita del loro pastore elo accusano di aver provocato con i suoi maltrattamentie i suoi tradimenti la morte della moglie. Duecento com-paesani si radunano davanti a casa Schliemann dimo-strando profonda disapprovazione nei confronti del pro-prio pastore. Alcuni mandano in frantumi persino i vetridi casa. Queste penose dimostrazioni si ripetono ognidomenica per ben due mesi. I piccoli Schliemann sonoconsiderati degli appestati e si vieta ai bambini diAnkershagen di giocare con i figli del pastore. La gentechiede alle autorità ecclesiastiche l�allontanamento diErnst Schliemann.

Nel 1832, Heinrich viene mandato a vivere a Kalk-horst con lo zio Friedrich, anche lui pastore. Una vitanuova sembra aprirsi per il bambino, ma nel 1833 l�in-chiesta alla quale è stato sottoposto il padre Ernst por-ta alla sospensione dei suoi emolumenti. Gli studi diHeinrich non possono essere piú pagati: ormai il ra-gazzino dovrà tentare di cavarsela da solo.

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È a San Pietroburgo � gli innumerevoli biografi lohanno sottolineato � che Schliemann guadagnò i milioniche gli servirono per finanziare le sue ricerche ar-cheologiche, prima a Troia, poi a Micene, a Tirinto ealtrove in Grecia. Invece, la storia del bambino inna-morato di Omero e convinto che tutti gli sforzi dellapropria vita dovessero essere finalizzati alla scopertadei resti di Troia risalirebbe, secondo la stessa auto-biografia, ai tempi di Ankershagen e ai momenti felicipassati con Minna.

Il riferimento al libro di Jerrer, che cosí grande im-portanza avrebbe avuto nella vita dello scopritore diTroia, appare per la prima volta in una lettera di Schlie-mann ormai cinquantatreenne, datata 18753. La presen-za nella sua biblioteca di una edizione del 1828 della Sto-ria universale per bambini, con la famosa raffigurazionedi Enea che fugge dalla città di Troia in fiamme, por-tando sulle spalle il vecchio padre Anchise, non ci for-nisce, ovviamente, alcuna indicazione sulla data diacquisizione del volume ma la firma che contiene, Hein-rich Schliemann, è, secondo l�opinione di tutti i grafolo-gi, la firma di un adulto e non di un bambino. Il sospet-to che il volume sia stato acquistato da Schliemannormai maturo è quindi grandissimo, a fortiori se si tieneconto del fatto che i vari racconti relativi alle leggendedi Ankershagen sono puntualmente ripresi da un volu-me pubblicato nel 1857 e varie volte ristampato.

Tutto ciò sembra dimostrare che le famose paginededicate da Schliemann «al verde paradiso degli amo-ri infantili dove tutto quello che si ama è degno d�es-sere amato» siano una pura e semplice costruzione let-teraria, il cui unico scopo è quello di ingannare il let-tore, convincendolo che la passione nutrita per Ome-ro e le leggende troiane risalisse ai tempi trascorsi adAnkershagen.

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Un recente studio di Lev S. Klein getta una luce nuo-va su Schliemann autore di questo racconto altamenteromanzato4, proponendo una lettura suggestiva della pas-sione di Schliemann per Omero e l�epopea troiana.

L�autobiografia di Heinrich Schliemann fu scrittanel 1881, quando lo scopritore di Troia intendeva op-porsi una volta per tutte alle accuse dei suoi detratto-ri, i quali condannavano sia il carattere interessato deisuoi scavi, sia la sua incompetenza, sia, infine, la suatotale mancanza di preparazione scientifica. Schlie-mann si trovava quindi di fronte alla necessità di pro-porre di se stesso l�immagine di un uomo totalmentedisinteressato, di un poeta generoso, che aveva sogna-to fin da bambino di scavare Troia ed era diventatomercante con l�unico scopo di realizzare questo nobi-le progetto.

In realtà, nel 1829, un bambino del Mecklemburgonon poteva minimamente immaginare che si potesserofare degli scavi per riportare alla luce le civiltà del pas-sato. In questo periodo anche le persone piú colte nonavevano idea di cosa fosse uno scavo vero e proprio.Certo, varie tombe erano già state riportate alla luce inItalia e altrove � Pompei ed Ercolano erano state inparte strappate alla cenere e alla lava del Vesuvio � manessuno poteva seriamente pensare che una fortezza,una volta dotata di potenti mura, fosse stata sepoltadalla polvere dei secoli.

In effetti, sappiamo almeno da una testimonianza,quella della sorella Doris, quali fossero i sogni del pic-colo Schliemann. In una lettera indirizzata molti annidopo a Heinrich, Doris ricorda un�iscrizione che il fra-tellino aveva scolpito sul portone del giardino di casa:«Heinrich Schliemann, marinaio». Nel suo piccolo pae-se della profonda Germania Schliemann sognava, comefanno tutti i bambini della sua età, corse lontane intor-no al mondo, paesi misteriosi pieni di sole e di foreste

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ed è probabile che la città di Troia fosse lontana millemiglia dai suoi pensieri. E infatti dopo aver affrontatole prime difficoltà della vita, Schliemann sceglierà la car-riera di marinaio seguendo forse i sogni di cui parlavala vecchia iscrizione scolpita sul portone del giardinodella casa paterna!

Il fatto che Troia non fosse all�apice dei suoi pensieri,anche quando scelse di diventare «archeologo», risultachiaramente dalle prime esplorazioni compiute in Gre-cia. Nella sua autobiografia, Schliemann afferma: «nellaprimavera del 1866, mi fermai definitivamente a Parigiper dedicarmi completamente all�archeologia, il cui stu-dio interruppi solo di tanto in tanto per brevi viaggi inAmerica».

Dopo una simile scelta, qualora l�immagine di Troiain fiamme avesse davvero accompagnato l�intrepidocommerciante per quarant�anni, ci si sarebbe aspettatodi vedere Schliemann impegnato nella Troade alla ricer-ca della città celebrata da Omero. Invece, la primaimpresa archeologica lo porta lontano dalle coste del-l�Asia Minore, prima a Corfú dove sbarca il 6 luglio del1868, e dopo a Itaca dove, il 10 luglio, inizia a scavarein cima al monte Aetos, alla ricerca del palazzo di Ulis-se. Se Schliemann abbandonò Itaca dopo nove giorni dipermanenza è probabilmente perché non aveva trovatonulla di cosí interessante. È sempre rischioso scrivere lastoria con i «se», tuttavia, riteniamo di poter afferma-re che qualora Schliemann avesse scoperto a Itaca restipiú imponenti di quelli da lui portati alla luce, si sareb-be fermato nell�isola parecchio tempo e la Troade avreb-be ancora aspettato a lungo.

Ma se Troia non popolava i sogni dell�infanzia diSchliemann, è opportuno chiedersi quando e perché glisia venuta l�idea di lanciarsi alla ricerca dei mondi scom-parsi dell�epopea omerica.

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Ritorneremo piú avanti su tutta la vicenda russa diSchliemann e sulla luce che vi hanno gettato gli studi diKlein e dei suoi allievi. Qui vogliamo solo ricordare chela passione di Schliemann per le lettere classiche e ilmondo antico è nata a San Pietroburgo e non ad Anker-shagen. Le pagine della sua autobiografia che parlano diTroia, di Omero, del mugnaio ubriaco Hermann Nie-derhöffer, sono certo pagine assai romantiche ma pro-babilmente inventate da chi, giunto alla fine del propriopercorso, sentiva la necessità di giustificare la propriaopera di fronte ai posteri.

In realtà Schliemann voleva inserirsi nella intelli-ghenzia di San Pietroburgo attraverso il mondo dellelettere. Questo suo desiderio appare del resto chiaris-simo nella lettera spedita da Parigi al figlio Sergio il 1°novembre 1868:

Lavoro giorno e notte alla mia opera archeologica perchéspero di crearmi con questo libro una piccola reputazio-ne come autore [si tratta del volume Ithaque, le Pélop-ponnèse et Troie]... Se questo volume raccoglie consensi,continuerò a scrivere libri per tutto il resto della mia vitaperché davvero non posso immaginare carriera piú inte-ressante di quella dell�autore di libri seri. Scrivendo unoè cosí felice, contento, raccolto e si possono inventare,trovandosi in società, mille e mille cose interessanti daraccontare. Queste storie poi che sono il frutto di lun-ghe ricerche e lunghe meditazioni divertono tutti quan-ti. Perciò lo scrittore è sempre ricercato e sempre il ben-venuto; benché io sia soltanto un principiante in mate-ria, oggi mi ritrovo con dieci volte piú amici di quanti nevorrei avere.

Ma vi potrebbe essere un�ultima, importante ragio-ne ad aver determinato la scelta troiana di Schliemann.Nel 1842, per la prima volta, alcuni intrepidi diplo-

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matici si lanciano alla scoperta delle civiltà scomparsedell�antico Oriente. Paul Emile Botta, console di Fran-cia a Mossul, inizia a scavare Ninive e Khorsabad e l�in-glese Layard a sua volta, tra il 1845 e il 1847, intra-prende delle ricerche archeologiche su tre grandi sitiassiri: Ninive, di nuovo, Nimrud e Assur. Grazie a que-ste due iniziative le prime collezioni di antichità assiregiungono in Europa: il 1° maggio 1847 al Louvre e nel-l�ottobre del 1848 al British Museum.

L�Oriente attira gli amanti del passato: Fresnel, con-sole di Francia a Bagdad inizia, nel 1852, l�esplorazio-ne di Babilonia; l�inglese Loftus lavora a Uruk e a Susatra il 1851 e il 1853, e il suo concittadino Taylor scavaa Ur tra il 1854 e il 1855.

Il mondo parla di queste scoperte e Schliemann se-gue attentamente l�attività archeologica orientale, comedimostra la lettera speditagli da Calvert il 26 dicembre1868. Coloro che hanno fatto queste importanti sco-perte non sono professionisti del mondo antico come ifilologi classici o gli storici dell�antichità. Si tratta di per-sone che hanno improvvisamente deciso di ricercare,scavando la terra, le antiche civiltà dell�Oriente. Eanche Schliemann è senza preparazione specifica ma inpossesso di mezzi economici che gli consentono diaffrontare questa nuova avventura. Perciò è probabileche i successi riportati dai diplomatici archeologi occi-dentali in Oriente abbiano spinto sulla strada di Troiauno Schliemann ormai deciso a scoprire i resti delleciviltà del passato.

1 I brani tratti dall�autobiografia di Heinrich Schliemann, Selbstbio-graphie, a cura di Alfred Brünner, Leipzig 1891, sono ripresi dalla tra-duzione di L. Capitanio e M. B. Sirolesi in H. Schliemann, Alla ricer-ca di Troia. La rivelazione del mondo omerico, Newton Compton edi-tori, Roma 1977.

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2 D. Traill, Schliemann of Troy, Treasure and Deceit, London 1995.3 H. Duchêne, L�or de Troie ou le rêve de Schliemann, Découvertes

Gallimard, Paris 1995, p. 20.4 Lev S. Klein, Schliemann à Saint-Pétersbourg, in «Dossiers d�Ar-

chéologie», 2o6, agosto-settembre 1995, pp. 16-27.

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Capitolo secondo

Troia

1. La leggenda.

Il 6 agosto 1868 all�una del mattino, partii col battello avapore Nil delle «Messageries Impèriales» dal Pireo per iDardanelli...Arrivammo a Costantinopoli l�8 agosto alle dieci del matti-no... Ripartii sempre lo stesso giorno con il battello Simoïsper i Dardanelli, dove giunsi l�indomani alle sette del mat-tino. Mi rivolsi subito al Console russo, il signor Fronton,al quale espressi il desiderio di visitare la piana di Troia.Bunarbashi, che si ritiene sorga sul luogo dell�antica Troia,è un villaggio sporco e miserabile, con ventitre case, di cuiquindici sono abitate da turchi e otto da albanesi... Laguida mi condusse in casa di un albanese che parlava un po�di greco; pagai e licenziai la guida. Ma appena entrato inquella casa, capii che era impossibile abitarci; le pareti e lapanca di legno che mi offriva per dormire erano piene dicimici e dovunque regnava una sporcizia ripugnante. Appe-na entrato avevo chiesto un po� di latte; me lo portaronoin una tazza che sembrava non fosse stata lavata da diecianni. Piuttosto che toccarla sarei morto di sete.Mi vidi costretto a passar le notti all�aria aperta e mi accor-dai con l�albanese: per 5 franchi al giorno mi avrebbecustodito il sacco a pelo e dato un pane d�orzo. Perlome-no non avrei visto da quali mani e come era fatto.Arrangiatomi in questo modo, il giorno mi procurai un ca-

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vallo e una guida che parlasse un po� di greco; a stento netrovai una che mi chiese 45 piastre (10 franchi) al giorno...Confesso che non riuscii a trattenere la mia commozionequando mi vidi davanti l�immensa pianura di Troia tantosognata nella mia infanzia. Però a prima vista mi apparvetroppo estesa e troppo lontana dal mare, se è vero cheBunarbashi, come sostengono quasi tutti gli archeologi chehanno visitato quei luoghi, sorgeva nella zona dell�anticacittà. Ma, osservando meglio il terreno e non vedendo ilminimo frammento di tegole o terraglie, cominciai subitoa ritenere che si era probabilmente commesso un erroresulla posizione di Troia, e i miei dubbi aumentarono quan-do visitai, in compagnia del mio ospite albanese, le sorgentiai piedi della collina sulla quale è situata Bunarbashi. Si èsempre pensato che queste sorgenti fossero le due di cuiparla Omero (Iliade XXII, 147-156).Ma queste sorgenti non rassomigliano affatto alla descrizio-ne di Omero, perché, scendendo la collina di Bunarbashi,prima s�incontrano, nello spazio di un metro quadrato, tresorgenti; una esce dal terreno e le altre due dalle falde diuna roccia. Alcuni metri piú in là, trovai altre due sorgentie, in uno spazio di 500 m, contai in tutto trentaquattro sor-genti...Andai allo Scamandro, il fiume principale, da dove midiressi in linea retta dalle falde della collina di Bunarbashialle sorgenti, seguendo lo stesso cammino percorso versoOvest da Achille per incontrare Ettore davanti alle PorteScee. Giunto alle sorgenti girai verso Sud-est, seguendouna specie di fenditura che si apre tra la collina di Bunar-bashi e la rupe vicina. Se Troia è veramente esistita su que-ste alture, la posizione delle mura sembra essere esatta-mente indicata dalla natura del luogo.Dopo un�ora di cammino faticoso, arrivai sul lato sud-occi-dentale della collina, là dove si crede di aver rintracciatoPergamo, in un ripido pendio di circa 150 m; i due eroierano sicuramente scesi di là per arrivare allo Scamandro

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e fare il giro della città... Scesi nel precipizio; aveva unapendenza di 45 gradi, poi di 65 e fui costretto a calarmiall�indietro e a quattro zampe. Ci misi un quarto d�ora perarrivare in fondo e mi convinsi che nessun mortale, nean-che una capra, avrebbe potuto percorrere di corsa unascarpata con una pendenza di 65 gradi e che Omero, cosípreciso nella determinazione delle località, non ha pensa-to minimamente che Ettore ed Achille nella loro corsaintorno alla città dovessero correre per ben tre volte lun-go questa scarpata.

Dopo aver condotto alcuni scavi sulla collina di Bu-narbashi, Schliemann si dice convinto che quello non erail luogo dove sorgeva l�antica Troia omerica. Secondo lui,occorre cercare altrove. Riprendiamo il suo discorso:

Il giorno 14 agosto, alle cinque del mattino partii con laguida e gli operai; ci portammo dapprima verso Est, alloScamandro e poi verso Nord, nel letto sabbioso del fiume.Il caldo aveva reso il terreno cosí asciutto e friabile che ilcavallo non poteva portarmi; lasciai l�animale alla guidaperché lo conducesse attraverso i campi a Hissarlik (NuovaIlio); io proseguii a piedi con i cinque operai.Dopo un�ora di duro cammino sulla sabbia giungemmo alpunto dove il piccolo fiume Kimar Su, l�antico Timbrio,che nasce dalle colline di Chalicolon, si getta nello Sca-mandro; questo fiume ha le rive cosí ricoperte di alberi chelo si vede appena. Risalimmo la riva del Timbrio e a circa1 km dalla sua confluenza arrivammo alla fattoria di Batak,che sta sopra le rovine del villaggio di Akchekin e occupail luogo dove un tempo sorgeva la città di Thymbra e iltempio, di Apollo timbreo; un�iscrizione in onore del dio,riportata alla luce dal dott. Hunt, non lascia dubbi in pro-posito.Secondo Strabone, questo tempio si trovava nello stessoluogo in cui il Timbrio si getta nello Scamandro; a quan-

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to pare, quest�ultimo avrebbe spostato il suo letto di 1 kmverso ovest. Ma, poiché Strabone non ha mai visto di per-sona questi luoghi, è probabile si tratti di una inesattezza,come d�altronde ci sono errori anche nelle notizie di Deme-trio di Scepsi.Nella fattoria di Batak, il terreno è cosparso di cocci e sivedono numerosi resti di mura, di una tale estensione checonvince sull�importanza che ebbe la città di Thymbra.Frank Calvert, a cui l�archeologia deve numerose scoper-te, è riuscito a trovare la necropoli di Thymbra e gli scavida lui compiuti hanno arricchito la sua vasta e splendidacollezione di antichità con un gran numero di vasi artisti-camente perfetti...Verso le dieci del mattino arrivammo ad un altopianomolto esteso, ricoperto di cocci e frammenti di marmolavorati. Quattro colonne di marmo che sorgevano solita-rie, sepolte per metà nel terreno, indicavano il luogo doveanticamente sorgeva un tempio. La grande estensione delterreno cosparso di frammenti non lasciava dubbi che citrovassimo sul recinto di una grande città un tempo fio-rente. In effetti stavamo sulle rovine di Nuova Ilio, chia-mata oggi Hissarlik, che significa «palazzo».Camminammo una mezz�ora su quel terreno e giungemmoad una collina alta ca. 40 m, che cala a nord quasi a pre-cipizio sulla pianura ed è 2o m ca. piú alta del costone dellacatena montuosa che corrisponde pienamente alle parole diStrabone: «è un dorso montuoso continuo».La cima di questa collina forma un pianoro quadrangolarecompatto, lungo 233 m e largo altrettanto. L�ingegnosoFrank Calvert nelle ricerche effettuate sulla collina ha sta-bilito che è in gran parte costituita artificialmente ed è for-mata da rovine e frammenti di templi e palazzi sorti l�unosull�altro per diversi secoli. Con un piccolo scavo effettuatonella zona est, ha riportato alla luce una parte di un gran-de edificio, un tempio o un palazzo fatto con pietre squa-drate e sovrapposte a secco. Si è potuto comunque stabi-

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lire, pur dagli scarsi resti dell�edificio, che era di grandiproporzioni ed eseguito con arte perfetta.Dopo aver attentamente esaminato per due volte la pianadi Troia, io condivido pienamente la convinzione di FrankCalvert che il pianoro di Hissarlik corrisponde al luogo ovesorgeva l�antica Troia e che sulla collina si trovava la roccadi Pergamo.

2. La storia.

Hissarlik e Troia.

Contrariamente a quanto pensano in molti, Schlie-mann non è stato il primo a considerare che la collinadi Hissarlik corrispondesse alla sede della Troia ome-rica.

Gli scrittori antichi ritenevano che Troia si trovasseladdove sorgeva la collina di Hissarlik. Secondo Ero-doto, Serse, re di Persia, aveva sostato in quei luoghidurante la marcia attraverso l�Asia Minore intenzionatoa sottomettere la Grecia. Era salito sull�antica cittadellae si era fatto raccontare la storia dell�assedio. Commos-so, il Re dei re sacrificò mille pecore ad Atena Troianae ordinò ai sacerdoti di versare il vino sulle mura diTroia, in onore delle grandi anime del passato. Se èvero, come sostiene Erodoto, che la guerra di Troiasegna il primo capitolo della lotta spietata tra Oriente eOccidente, Serse, in questo modo, si era autoproclamatocampione d�Oriente e vendicatore dei Troiani.

Ma la città cantata da Omero, la cui storia aveva col-pito il re persiano, esercitò un immenso fascino anchesui grandi capitani d�Occidente. Quando Alessandro ilGrande attraversò l�Ellesponto per portare la guerra inAsia, fermandosi a Troia, corse nudo e unto d�olio in-torno a quella che era considerata la tomba di Achille,

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sul promontorio Sigeo, e indossò le armi custodite neltempio di Atena.

Cesare, inseguendo Pompeo, attraversò le rovinedella città bruciata quarant�anni prima da una spedi-zione romana. Trovò fitte querce che crescevano inmezzo a quelli che erano stati gli orgogliosi palazzi e ledimore degli dèi. E mentre attraversava un corso d�ac-qua, qualcuno esclamò: «Questo è il famoso Xanto!»;allora Cesare si fermò e qualcun�altro gridò: «Qui por-tarono il corpo di Ettore! Attento a non molestare la suaombra!» Giunto a un tumulo di pietre, venne apo-strofato da qualcuno che lo tirò per la manica dicendo:«Vedi l�altare di Giove Tonante?»

Cesare, pur non ritrovando tra le rovine e i cespuglilo splendore delle costruzioni di una volta, capí di cam-minare su una terra sacra; perciò eresse un altare di ter-ra coperto di zolle, bruciandovi sopra l�incenso e pre-gando gli dei immortali che custodivano quelle fatali reli-quie di accordargli protezione; in cambio giurò di rico-struire le mura distrutte e di ridare loro lo splendore deitempi che furono.

Altri condottieri dell�antichità passarono per Troia emeditarono sulle rovine della città di Priamo. Vi fu Cara-calla che, nella sua pazzia, pensava di essere Alessandroil Grande e ricordandosi del dolore di Achille per lamorte di Patroclo, avvelenò il suo amico prediletto Festoperché non soffrisse al momento della propria morte, eordinò che fosse costruita per il funerale una grandepira. Egli stesso uccise gli animali destinati al sacrificiofunebre, posò il cadavere sulla pira e appiccò il fuoco.

Venne Giuliano, nel 124 d. C., e diede nuova se-poltura alle ossa di Aiace, poi Costantino che pensò dicostruire a Troia la nuova capitale dell�Impero Romanod�Oriente prima di scegliere Costantinopoli.

Dopo Alessandro il Grande e gli imperatori, giunseroi barbari, dal sassone Beowulf ai viaggiatori, tutti diret-

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ti verso Oriente o la Terra Santa. Nessuno passò attra-verso la Troade senza rivolgere, per un fugace istante,un pensiero agli eroi cantati da Omero.

Nel 1785, Lechevalier, antichista e consigliere d�Am-basciata a Costantinopoli, fu incaricato dall�Ambascia-tore di Francia Choiseul-Gouffier, di fare una ricogni-zione nella Troade. Per la prima volta, Lechevalieravanzò l�ipotesi che se la collina di Hissarlik corri-spondeva effettivamente alla Troia ellenistico-romana,l�antica città di Troia, quella omerica, era invece da ri-cercare nella zona di Bunarbashi1. Sulla carta della Troa-de disegnata da Lechevalier e dal suo architetto Cassas,la Troia omerica era collocata su un�altura vicina al vil-laggio di Bunarbashi. Lí vi erano le due famose fontidello Scamandro di cui parla l�Iliade.

Dall�una corre l�acqua tiepida ed il fumo ne esce come sesi trattasse di un fuoco ardente; l�altra corre d�estate, simi-le al ghiaccio o alla neve fredda, o all�acqua ghiacciata. Líaccanto, vi sono larghe e buone vasche in pietra, dove ledonne di Troia e le loro graziose fanciulle lavavano i vesti-ti brillanti quando regnava la pace.

Nel 1822, Charles Maclaren riprese in esame l�inte-ro problema e in una tesi di dottorato presso l�Univer-sità di Edimburgo sostenne che in realtà la collina diHissarlik era davvero la sede dell�antica Troia, ivi com-presa quella omerica2. La tesi sostenuta da Maclarenaveva convinto il vice-console degli Stati Uniti d�Ame-rica nei Dardanelli, Frank Calvert, il quale con l�intentodi fare degli scavi e di tentare di ritrovare i resti dellaTroia omerica, comprò metà della collina di Hissarlik e,nel 1863, tentò di coinvolgere il British Museum in unacampagna di scavo.

Le richieste di Calvert non erano di certo eccessive.L�americano sollecitava una somma di 100 sterline per

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intraprendere scavi sistematici a Hissarlik, e il direttoredel British Museum, Charles Newton, appoggiava lasua richiesta ma le autorità britanniche rifiutarono laproposta di collaborazione di Calvert.

Malgrado il rifiuto, Calvert iniziò per conto propriogli scavi nel 1865, aprendo quattro trincee nella parteorientale della collina.

Durante il suo viaggio nella Troade nel 1868, il 10agosto, Schliemann si fece condurre sul posto da unarabo di Chiplak, un modesto villaggio a poco piú di unchilometro da Hissarlik, e vide:

su una collina di almeno 100 piedi di altezza, in gran partecoperto di terra argillosa, un tempio o un palazzo costrui-to con pietre ciclopiche di ottima fattura. Da lí avevo unavista meravigliosa sulla piana di Troia. Lí vicino vi eranomolti resti di colonne.

Senza rendersene conto, Schliemann era stato porta-to sulla collina di Hissarlik e le tracce di scavi che lui staammirando erano gli scavi intrapresi da Calvert nel1865.

Qualche giorno dopo, il 15 agosto, Calvert e Schlie-mann s�incontrano ai Dardanelli. Calvert capisce im-mediatamente che questo singolare dilettante è pieno dientusiasmo e possiede soprattutto i mezzi necessari perproseguire lo scavo di tutta la collina. Calvert spiega aSchliemann le sue teorie sul sito dell�antica Troia, gliparla del lavoro di Maclaren e gli mostra anche la bellacollezione di antichità che è riuscito a mettere insiemedurante le varie spedizioni su diversi siti della Troade.Tra i resti provenienti dalla collina di Hissarlik, vi eranovasi risalenti al VI o al VII secolo a. C. e sculture appar-tenenti al tempio ellenistico. Schliemann è impressio-nato e decide di iniziare gli scavi a Hissarlik nella pri-mavera seguente.

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Ormai egli intende appropriarsi delle idee di Calverte lo si puó capire leggendo il suo diario alla pagina da-tata 16 agosto:

Ho fatto ieri la conoscenza di Frank Calvert, il famoso ar-cheologo, che condivide la mia opinione che la Troia ome-rica non può trovarsi che a Hasserlik [Schliemann non haancora imparato il nome della collina]. Mi ha incoraggiatofortemente a scavare lí. Dice che la collina è tutta della manodell�uomo. Mi ha fatto vedere la sua grande collezione divasi e di altre antichità che provengono dai suoi scavi.

Lo si può capire anche dalla lettera spedita in data 220 24 agosto a suo padre e a sua sorella Doris:

Nel prossimo mese di aprile, intendo denudare l�interacollina di Hissarlik perché sono sicuro di trovare lí Perga-mo, la cittadella di Troia.

Schliemann si precipita a Parigi e inizia a scrivere ilsuo primo lavoro archeologico Ithaque, le Péloponnèse etTroie. Nelle pagine del volume dedicate al suo viaggionella Troade, si presenta come il vero protagonista dellascoperta del sito di Hissarlik, anche se scrive a FrankCalvert, in data 26 dicembre 1868:

Le chiedo mille scuse per non averLa ringraziata prima perle sue interessantissime e validissime comunicazioni delprimo e dell�undici c. m. di cui ho fatto ampio uso nel miolavoro. Quest�ultimo sta per uscire ma poiché intendo par-tire per San Pietroburgo il 2 gennaio 1869 per vedere lamia famiglia, non sarò in grado di mandarglielo primadella metà di gennaio. Lei vedrà che il nome del grandestudioso Frank Calvert al quale la scienza dell�archeologiaè cosí debitrice per tante importanti scoperte, è stato spes-so citato nel libro.

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Questo mi dà il piacere di informarLa che sono ora abba-stanza deciso a scavare l�intera collina artificiale di His-sarlik. La prego di farmi sapere:1) qual è il momento migliore per iniziare il lavoro?2) non è opportuno iniziare il piú presto possibile in prima-vera?3) sono terribilmente soggetto alla febbre. C�è rischio diquesto in aprile?4) quali medicine debbo portare con me?5) devo prendere un domestico? Posso trovarne uno fida-to ad Atene? Forse è meglio avere un greco coscienziosoche parla il turco?6) debbo prendere una tenda e un letto in acciaio con meda Marsiglia? Infatti tutte le case della pianura di Troiasono infestate da insetti.7) La prego di darmi un elenco esatto di tutti gli attrezzidi ogni genere e di tutte le cose necessarie che crede debbaportare con me.8) debbo chiedere pistole, spade e fucili?9) non c�è veramente ostacolo da parte dei contadini alloscavo della collina artificiale?10) posso trovare in loco abbastanza operai e a quale prez-zo?11) quanti operai posso utilizzare? È meglio rivolgersi agreci o a turchi?12) in quanto tempo pensa che possa scavare la collina arti-ficiale?13) a quale prezzo?14) Lei mi suggeriva di scavare prima un tunnel! Ma sonosicuro che questo non sia fattibile perché se la collina èfatta realmente di rovine di antichi templi e di muri, le pie-tre ciclopiche impediranno la costruzione del tunnel.15) Lei indica le dimensioni di 700 piedi quadrati; unfrancese capirebbe 26, 1/2 piedi di lunghezza ed altrettantodi larghezza. Ma io penso che Lei voglia dire 700 piedi inlunghezza ed altrettanto in larghezza, il che nel modo fran-

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cese di calcolare ci porta a 490 000 piedi quadrati. Manel mio libro, ho calcolato la lunghezza e la larghezza in233 metri ognuna, il che ci dà una superficie da scavaredi 54 000 metri quadrati.17) qual è l�altezza della collina artificiale che dobbiamoportare via?18) crede che la cosa migliore sia aprire un conto alla bancadi Costantinopoli?19) quale tipo di copricapo è il piú adatto contro il sole co-cente?

Il 13 gennaio 1869, Frank Calvert rispondeva alla let-tera di Schliemann:

Sono felice di questa sua decisione di scavare ad Hissar-lik. Lei avrà la mia cooperazione che darò con tutto ilcuore... speriamo che i risultati coronino le nostre speran-ze di vedere le mura di Troia.Rispondo categoricamente alle sue domande in questo modo:1-2) è meglio iniziare il piú presto possibile in primavera,prima del caldo e prima della mietitura, quando il prezzodella manodopera aumenta;3) le febbri cominciano a settembre. C�è poca febbre in pri-mavera;4) vi sono delle farmacie in città, dove si possono trovaredelle medicine di uso generale...5) se Lei desidera un domestico, è meglio che se lo porticon sé;6) ci sono due soluzioni. Affittare una casa nel villaggio diChiplak, pulire la casa e distruggere con insetticidi gli inset-ti sopravvissuti alla pulizia, oppure portarsi la tenda e pian-tarla sul sito di Nuova Ilio. Forse fa troppo freddo la notte...7) qui un uomo scava e l�altro porta via la terra. Per ognidue uomini, ci vogliono un piccone e una zappa. È neces-sario portare le carrozze e le leve. Il caffè e lo zucchero sipossono trovare sul posto ma non il tè. I Dardanelli non

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hanno prodotti di lusso. L�agnello è buono. Non c�è altro.8) Lei può portarsi le armi. Personalmente, ho sempre ilmio fucile con me, laddove vado;9) una parte della collina è di mia proprietà e Lei la puòscavare. Per la parte rimanente, userò della mia influenzacon l�altro proprietario per ottenere il permesso di scavo...10) si possono trovare lavoratori greci ai Dardanelli. Costa-no da 8 a 12 piastre al giorno...11) calcolare da 6o a 8o operai. Forse di piú;12) questo dipende soltanto dal numero di personeimpiegate. Un paio di uomini possono rimuovere da 8 a 10iarde cubiche (una iarda corrisponde a circa 91 centimetri)al giorno;13-14) non posso stimare il costo dell�impresa. Tuttodipende dal metodo. Non costruirei un tunnel. Il sistemache adopererei sarebbe quello di aprire delle trincee attra-verso la collina fino alla roccia ed altre trincee ad angoliretti e soltanto quando viene fuori qualcosa di interessan-te, aprirci la struttura o la fondazione. Con questo meto-do, potremmo lasciare non scavata tutta la parte che nonpresenta interesse. Credo che sia in questo modo cheLayard abbia scavato a Ninive;15) laddove ho scavato il suolo è artificiale (non solo sullependici ma anche sulla sommità). In alcuni punti è piúprofondo che in altri. La profondità è di circa 10-12 piedi.È a quella profondità che ho trovato il tempio di Minerva.Il resto del sito è probabilmente fatto di suoli del genere;16) in inglese, quando tanti piedi quadrati sono menzio-nati, si intende che ogni lato della figura rappresentata con-tiene il numero indicato. La collina rappresenta quindi unquadrato di 26, 1/2 piedi per ogni lato;17) v. no 15;18) penso che la banca ottomana a Costantinopoli sia per-fetta per il suo scopo;19) un foulard bianco avvolto a forma di turbante andràbene.

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I permessi di scavo.

Il 1869 non potrà essere l�anno d�inizio degli scavi aTroia perché Schliemann è troppo impegnato con ildivorzio dalla prima moglie, la russa Caterina, come ri-sulta, tra l�altro, da una lettera spedita a Frank Calvertda Indianapolis in data 14 aprile 1869:

Per gli scavi ad Hissarlik, credo che dobbiamo aspettarefino alla primavera prossima perché non posso sperare diottenere il mio divorzio prima di giugno. ..

Nel 187o, Frank Calvert stava tentando di ottenereun permesso di scavo per il suo nuovo collaboratore maSchliemann già pensava ad altro, in particolare a Mice-ne. Scrisse infatti al segretario generale della SocietàArcheologica Greca:

D�accordo con il parere del mio eccellente amico ErnestRenan, prendo la libertà di chiederLe se posso essere sicu-ro di ottenere dal governo greco il permesso di intrapren-dere importanti scavi sull�acropoli di Micene...

In particolare, Schliemann voleva sapere se avrebbeavuto il permesso di impossessarsi delle antichità sco-perte a patto di non portarle via dalla Grecia.

I greci rifiutano il permesso a queste condizioni per-ché la legge prevedeva che tutti i reperti archeologicifossero proprietà dello stato e per conto suo Calvertnon riesce a ottenere dal governo della Sublime Portala famosa autorizzazione a intraprendere degli scavi aHissarlik.

Deluso, Schliemann visita Delo, Naxo e Tera. Tra-scrive iscrizioni greche e compra, laddove può, delleantichità. Intanto decide di moderare le sue richieste epropone un contratto che gli consenta di conservare la

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metà dei ritrovamenti, ma la risposta è di nuovo ne-gativa. A malincuore Schliemann finisce coll�accettare lecondizioni dei greci e il permesso di scavo gli vienefinalmente rilasciato. Siamo all�inizio del mese di apri-le (il 3 per la precisione).

Tuttavia, poiché i lavori non potevano cominciareprima del 25 aprile, progetta un breve viaggio in AsiaMinore. Sembra che strada facendo abbia deciso di ini-ziare uno scavo preliminare a Troia.

Il 9 aprile arriva a Hissarlik portando con sé quattrooperai.

I saggi aperti sulla collina hanno esiti diversi. Sullasommità del colle, Schliemann trova ben poca roba.«Trovo solo schifezze» afferma con rabbia. Invece, nel-la parte sud-ovest scopre dei muri che ritiene «siano imuri dell�antico tempio di Minerva cosí spesso men-zionato nell�Iliade». Insieme ai resti architettonici, tro-va anche molto altro materiale tra cui ceramica, roc-chetti, ossa.

Fiero del successo riportato, scrive dal villaggio diChiplak, in data 21 aprile 1870, al presidente dell�In-stitut de France, il grande Ernest Renan:

Dopo aver, da oltre un anno, invano sollecitato dal gover-no turco una autorizzazione per fare degli scavi su questacollina, persi finalmente la pazienza e decisi di intrapren-dere gli scavi senza alcun permesso. La metà orientaledella collina che si trova a 4 chilometri dall�Ellespontoappartiene al mio amico Frank Calvert, mentre due turchidi Koum-Kalè sono proprietari della metà ovest che siaffaccia sulla grande pianura e che sembra dominarla dal-l�alto della sua posizione imponente. Pensando quindi ditrovarvi il palazzo di Priamo e il tempio di Minerva troia-na, mi sono deciso a scavare questa parte. Tuttavia, sapen-do di certo che i due turchi mi avrebbero negato il per-messo, non glielo ho chiesto...

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L�intento di Schliemann, sempre ansioso di inserirsinel mondo degli studiosi, è chiaramente quello di pub-blicare i risultati delle sue ricerche nei prestigiosi«Mémoires de l�Académie des Inscriptions et Belles-Lettres»; perciò questa lettera al presidente. Ma la suarelazione non uscirà mai in quella collana: i membri diquesta rispettabilissima istituzione sono forse rimastialquanto sconcertati dalle affermazioni di chi confes-sava, senza il minimo pudore, di aver infranto sia le leggidi uno stato sia il diritto alla proprietà per giungere aipropri fini.

Ma i turchi non rimangono inattivi. In una lettera del20 luglio 1870, Frank Calvert informa Schliemann cheil governo turco è furibondo in seguito alla pub-blicazione di alcuni articoli, nei quali egli si vanta delproprio modo di agire e di non essersi preoccupato del-le leggi turche e dei diritti dei proprietari del terreno.

Abbiamo visto che l�interesse di Schliemann per His-sarlik e la Troade è molto relativo. Mentre Calvert ten-tava di procurargli un permesso di scavo, egli si preoc-cupava di ottenere dal governo greco l�autorizzazione discavare Micene. Quello che importa a Schliemann è sca-vare. Ormai sa di poter contare sul permesso greco perle ricerche a Micene, può anche fare a meno dei turchied è probabilmente per questo motivo che mostra unatale arroganza nei loro confronti.

Nel frattempo una notizia sconvolgente turba coloroche vivono e lavorano in Grecia. Alcuni briganti hannorapito e assassinato un gruppo di visitatori stranieri aMaratona l'11 aprile. L�assassinio ha provocato unoscandalo internazionale: questo drammatico incidentedimostra quanto pericolose siano le campagne grechedove manipoli di banditi possono agire impunemente. Ecosí Schliemann, spaventato, abbandona il progetto di

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scavare a Micene per concentrare tutta la sua attenzio-ne su Hissarlik e Troia.

Occorre, quindi, scusarsi con le autorità turche eSchliemann lo fa scrivendo da Parigi, in data 31 agosto187o, al ministro della Pubblica Istruzione del governoturco, Safvet Pascià, una lettera di un servilismoagghiacciante:

Pieno di ammirazione e di entusiasmo per le immenseriforme che il Suo genio non smette di introdurre per ilbene dell�umanità, prendo la libertà di rivolgermi a SuaEccellenza con l�umile preghiera di accettare il libro quiappresso come debole testimonianza della mia venerazio-ne [si tratta di Ithaque, le Péloponnèse et Troie].Il caso avendomi portato di nuovo nell�aprile scorso nellapiana di Troia, il mio entusiasmo per i divini poemi ome-rici ed il mio amore per l�archeologia mi costrinsero a fare,durante alcuni giorni, alcuni piccoli scavi sulla sommitàdella collina e non tardai a scoprirvi il palazzo di Priamoed il tempio di Minerva troiana...Disperato, ho saputo dal signor Calvert che Sua Eccellen-za è arrabbiata con me perché ho fatto questi piccoli scavisenza sollecitare prima un permesso.Ma vedendo davanti a me la collina che racchiude la Perga-mo di Troia che gli studiosi di tutti i paesi hanno ricerca-to invano da oltre 20 secoli, il mio entusiasmo per la scien-za mi trascinò, il mio fanatismo per l�archeologia mi scon-volse; lavoravo sotto la pioggia battente immaginando chefacesse bel tempo; pensavo d�aver pranzato e cenato e nonavevo mangiato nulla per tutta la giornata. Ogni fram-mento di vaso che portavo alla luce era per me una nuovapagina di storia!Imploro il Suo perdono in nome della nostra comuneMadre, la Scienza, alla quale Lei e io dedichiamo lanostra vita; in nome della Scienza per la quale abbiamol�uno e l�altro la stessa adorazione, lo stesso entusiasmo;

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nel nome della Scienza che Lei ha preso sotto la Suapotente tutela!

In un certo senso Schliemann risulta abile dal mo-mento che, deciso a proseguire le sue ricerche a His-sarlik, non svela le sue intenzioni. È troppo presto, oc-corre lasciar passare il temporale scatenato dal suo at-teggiamento dell�aprile 1870.

Solo all�inizio del 1871, in data 6 o forse 8 gennaio,Schliemann si decide a indirizzare una richiesta ufficia-le al ministro Safvet Pascià, chiedendo il rilascio di unpermesso di scavo per le ricerche a Hissarlik:

La presente richiesta che ho l�onore di sottoporre a Sua Ec-cellenza ha come scopo di ottenere una autorizzazioneministeriale che mi consenta di proseguire alcune esplora-zioni storico-scientifiche già intraprese nella piana diTroia. Non si tratta minimamente in questo caso di ricer-care oggetti d�arte antica sepolti nel suolo; no, questoscopo abituale delle ricerche di scavo è totalmente estra-neo al lavoro storico di cui mi preoccupo... Il mio solo edunico scopo è di riuscire a constatare un fatto storico sulquale sono in disaccordo con alcuni storici e geografi difama...

In quel periodo, la Turchia non ha una legislazioneche consenta allo Stato di entrare in possesso delle an-tichità trovate nel sottosuolo del paese. Praticamente ireperti diventano proprietà di colui che possiede il ter-reno sul quale vengono effettuati gli scavi. Schliemannè sensibilissimo al problema. Perciò insiste presso il suoamico Frank Calvert perché acquisti la parte occidenta-le della collina di Hissarlik, proprietà di due turchi, coni quali è entrato in rotta di collisione nell�aprile del1870. Le discussioni tra Calvert e i due proprietari sonolunghe e difficili, tuttavia un accordo sembra prossimo

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quando Schliemann viene a sapere che il terreno è statoespropriato dal governo turco e in particolare dal mini-stro Safvet Pascià.

È furibondo ma non si arrende e scrive, in data 24gennaio 1871, una lettera infuocata all�Ambasciatoredegli Stati Uniti Wyne Mac Veagh:

Manifestando a Sua Eccellenza [il ministro turco] la miastupefazione che abbia potuto comprare cosí rapidamenteun terreno di cui stavo negoziando l�acquisto da due annie mezzo, ho spiegato che mai in vita mia avrei accettatodi fare degli scavi su un terreno che non fosse di mia pro-prietà perché si tratta di aprire delle trincee gigantesche...Allora Safvet Pascià, in presenza del signor Goold,Direttore del Museo, mi ha detto che non voleva piú il ter-reno di Hissarlik, che me lo abbandonava e che mi auto-rizzava ad andare l�indomani a Koum-Kalè... e di iniziaregli scavi quando vorrò, a patto che mi sottomettessi airegolamenti dell�Impero Ottomano per quanto concerne itesori che potrei eventualmente scoprire. In nome dellaScienza, ho allora caldamente ringraziato Sua Eccellenzapromettendo che nel mio prossimo libro su Troia non man-cherò di dire che è grazie al suo appoggio che sono riuscitoa fare queste scoperte.Non ho chiesto a Sua Eccellenza Safvet Pascià di darmi periscritto l�autorizzazione a comperare il terreno, né quelladi iniziare gli scavi perché mi ha dato questo permesso ver-balmente e in presenza di varie Persone.La parola del Ministro della Pubblica Istruzione la considerosanta come dieci giuramenti e, per iniziare questi scavi, misono affrettato a fare acquisti giganteschi di macchinari vari.Sotto una pioggia battente e bagnato fino alle ossa sonoarrivato a Koum-Kalè il 21 c. m. e stupefatto ho saputo chesulla base di un ordine datato 8 c. m. [giorno in cui eraavvenuto l�incontro tra Schliemann e il ministro], il campodi Hissarflk era stato comperato per conto del ministro il

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10 c. m. per un prezzo di 3000 piastre e che i titoli di pro-prietà gli furono inviati il 12 c. m.Non posso credere che Sua Eccellenza abbia voluto insul-tarmi e sono costretto a supporre che autorizzandomi adandare a Koum-Kalè per comprare il terreno, non avevaancora ricevuto la notizia che il suo ordine era stato ese-guito mentre aveva intenzione di revocarlo. Dopo avrà dicerto dimenticato di annullarlo perché di ritorno ai Dar-danelli il 22 c. m., mi sono informato presso il Governa-tore della Provincia che mi disse che non aveva ricevutonessun contrordine.Ad ogni modo... poiché Safvet Pascià mi ha lasciato il suoterreno di Hissarlik e mi ha autorizzato ad andare aKoum-Kalè per comprarlo e poiché la sua parola è sacra,questo terreno mi appartiene a buon diritto per il prezzodi 3000 piastre al quale lo ha comperato. Prendo quindi lalibertà di consegnarLe 4000 piastre, pregandoLa di paga-re 3000 piastre a Sua Eccellenza Safvet Pascià per il prez-zo del mio terreno e di farsi dare indietro i titoli di pro-prietà. Voglia invece tenere per sé le rimanenti 1000 pia-stre come prezzo per la Sua intermediazione.

I giorni passano e non giunge nessuna risposta daparte del ministro.

Nel mese di marzo Schliemann si trova a Parigi e scri-ve, in data 12 marzo, una lettera a Frank Calvert cer-cando di convincerlo ad intervenire presso l�Amba-sciatore degli Stati Uniti per organizzare un incontrocon il ministro turco. Schliemann non esita a prendereimpegni estremamente netti:

Spero che il ministro sarà ragionevole (consentendo il per-messo per gli scavi), se lo vedo in compagnia dell�Amba-sciatore e se gli do, per iscritto, l�assicurazione che hadiritto a mettere due ispettori accanto a me sugli scavi eche potrà impadronirsi di tutti i tesori che potrei even-

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tualmente scoprire... Ha detto (il ministro) all�Ambascia-tore che non mi avrebbe mai lasciato il terreno. Forse hasentito dire che nella parte alta del palazzo di Priamo, alcu-ni anni fa, sono state scoperte 1200 monete in argentoconiate con il nome di Antioco il Grande. Questo potreb-be averlo portato alla convinzione che tutto il terreno èpieno di tesori.Perciò, ho pensato che tornerebbe a sentimenti piú umanise lo chiamassi in compagnia dell�Ambasciatore e se gli scri-vessi che avrà il possesso non solo di tutti i tesori in oro ein argento che potrei scoprire, ma anche di qualunquemoneta venisse alla luce, e che può far sorvegliare il mioscavo da due uomini. Gli darò anche eventualmente ildoppio del valore dei metalli preziosi che potrei trovareperché non ho altro scopo se non quello di risolvere l�an-noso problema di Troia. Sono pronto a sacrificare per que-sti scavi molti anni della mia vita ed una grande quantitàdi denaro...

La presenza di Schliemann in una Parigi accerchiatadalle truppe prussiane dimostra che egli, pur interessatoagli scavi, continuava seguire con estrema attenzione ipropri affari. È a Parigi per riscuotere gli affitti delle suecase e soprattutto per vedere se i suoi immobili hannosofferto della guerra franco-prussiana. La sua gioia nelvedere che gli immobili erano rimasti indenni fu senzaprecedenti, come possiamo leggere in una lettera spedi-ta al suo amico Gottschalk:

Con un�ansia impossibile da descrivere, mi avvicinai allamia casa del 5 Boulevard Saint-Michel e al mio palazzo del6 Place Saint-Michel e quando vidi che ogni cosa eraintatta, mentre temevo che tutto fosse in rovina, la miagioia fu immensa e con le lacrime agli occhi, diedi al miolibraio tanti baci quanti ne avrei dati ad un bambinoscampato alla morte.

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Le sue speranze di riscuotere gli affitti bloccati du-rante la guerra e di intascare anche gli arretrati furonospazzate via dalle elezioni del 26 marzo che videro iltrionfo della Comune. Schliemann lasciò Parigi il 5 apri-le. L�ultima pagina scritta nel suo diario risale proprioal 26 marzo, dopo vi sono 16 pagine strappate. Non c�edubbio che contenessero giudizi poco lusinghieri sulnuovo regime ed è probabile che Schliemann ritenneprudente strappare questi fogli prima di lasciare la città.

Questo episodio ci consente di aprire una breve pa-rentesi sulle opinioni politiche di Schliemann. Abbiamoal riguardo due testimonianze singolari che dimostranoche egli era disposto a professare opinioni politiche total-mente contraddittorie.

Cosí, in una lettera da San Pietroburgo a J. H. Schrö-der ad Amsterdam, in data 1° giugno 1862, scriveva aproposito di alcuni disordini scoppiati in città e chiara-mente provocati dai gruppi di opposizione allo Zar:

È convinzione generale che gli incendi sono deliberata-mente appiccati da incendiari i quali formano una bandanumerosa di pistoleri ed il cui obiettivo è di portare, conla distruzione dell�intera città, alla carestia, e dalla carestiaalla rivoluzione, e dalla rivoluzione all�estremo del sociali-smo e del comunismo.

Non si può dire che in queste righe Schliemann di-mostri una netta simpatia per la sinistra.

Di tutt�altro tono è invece un�altra lettera spedita daParigi al suo amico Gottschalk in data 6 marzo del famo-so anno 1871:

... l�unica causa delle nostre sciagure era dovuta al gover-no corrotto e al regime dei preti che potevano soltanto esi-stere grazie all�ignoranza delle masse. Ma il primo, moren-

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do, ha dato una botta fatale al secondo. Infatti, conimmensa gioia posso dirLe che la repubblica sarà salvata,che il ritorno di una monarchia in Francia è diventatoimpossibile, che l�istruzione è diventata obbligatoria, chesaranno spazzati via tutti i conventi riempiti di queste fecidi monaci e suore, che i preti stanno per perdere ogniinfluenza sull�istruzione e che cosí, grazie alla libertà e al-la luce della Scienza, il popolo francese diventerà in diecianni piú grande che mai. Nulla è piú contagioso delle ideedemocratiche. La Germania a sua volta ne verrà invasa.

Le parole di Schliemann non sarebbero state smen-tite dai rivoluzionari che combattevano sulle barricatedi Parigi. Allora a quale dei due Schliemann credere? Alprimo che biasimava i movimenti rivoluzionari russi del1862 o al secondo che applaudiva ai cambiamenti che sistavano verificando faticosamente nella Parigi del 1871?Non potrebbe darsi invece che il personaggio sia unosolo, sempre pronto a salire sul carro del vincitore?

Il 18 giugno 1871, Schliemann si trova a Costanti-nopoli e indirizza una nuova lettera al ministro SafvetPascià:

Oso sottoporre a V.E. una proposta che mi tiene molto acuore a proposito delle ricerche che vorrei fare nella Troa-de, vicino ai Dardanelli... Ho già fatto a Hissarlik alcuniscavi e credo di avervi trovato la cosiddetta Pergamo chefaceva parte dell�antica città di Troia; ma le difficoltàincontrate da parte dei proprietari del terreno sono statefortunatamente risolte grazie alla bontà di V.E. che haacquistato il suolo per proprio conto. Non mi aspetto,Eccellenza, di trovare alcun tesoro in questi scavi. L�epo-ca è troppo remota per offrire una simile speranza e tuttoil mio compito si limiterà ad alcune verifiche archeologichebasate sugli scritti del poeta Omero.

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Se tuttavia avessi la fortuna di trovare alcuni oggetti anti-chi che potessero interessare il Museo Imperiale, sarei feli-cissimo di dividerli consegnandone la metà al museo e con-servando l�altra metà per me stesso, come ricompensa perle somme sborsate sul terreno. Questa spartizione saràfatta tirando a sorte, di fronte ad un responsabile delMuseo, ed avrò il permesso di esportare la mia metà dioggetti.Non chiedo a V. E. alcuna assistenza pecuniaria... Pregosolamente V. E. di volermi fornire un ordine di S.A. ilGrande Vizir per S.E. il Governatore dei Dardanelli, inmodo che sia protetto nelle mie ricerche e nei miei scavi eche siano conservate le costruzioni storiche che i miei lavo-ri porteranno alla luce.

Anche se le promesse esposte nella lettera del 18 giu-gno 1871 al ministro sono profondamente diverse daquelle del 12 marzo 1871 a Calvert, non vi è alcun dub-bio sull�impegno preso da Schliemann nei confronti dellaTurchia di far seguire gli scavi da due agenti del gover-no della Sublime Porta e di dividere in due parti ugua-li ogni eventuale «tesoro» che verrebbe scoperto sullacollina di Hissarlik.

Finalmente, in data 12 agosto 1871, mentre Schlie-mann si trova a Londra, giunge dalla Legazione ameri-cana a Costantinopoli il permesso tanto atteso. Schlie-mann scrive a Frank Calvert: «Posso sperare di inizia-re gli scavi a Troia prima della fine di settembre».

1 C. Le Roy, Troie, in L�art grec, Citadelles/Mazenot, Paris 1993,pp. 559-61.

2 C. Maclaren, A Dissertation on the Topography of the Plain of Troy,Edinburgh 1822.

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Capitolo terzo

La scoperta del tesoro di Priamo

Prima di passare al racconto della scoperta del teso-ro, ci pare opportuno ricordare il succedersi degli av-venimenti che circondano questo mitico ritrovamento.

1.La cronaca delle peripezie legate al «tesoro di Priamo».

1871-73 Scavi di Schliemann a Hissarlik, nella re-gione nord-occidentale della Troade. Il 31 maggio 1873,viene scoperto il primo tesoro di Troia, il cosiddettotesoro di Priamo. L�avvenimento si verifica dopo la par-tenza di Sofia Schliemann richiamata ad Atene in segui-to alla morte del padre. Schliemann manda di nascostole sue mirabili scoperte alla fattoria del fratello di FrankCalvert.

1873 6 giugno. Schliemann manda in gran segreto iltesoro in Grecia senza tener conto dell�accordo con ilgoverno turco. Nel suo diario scritto ad Atene e non aTroia come egli afferma (nel diario la parola Atene èstata cancellata e al suo posto e stata scritta la parolaTroia in data posteriore al 17 giungo 1873), Schliemannracconta la scoperta del tesoro. Il mese successivo la rap-presentanza diplomatica germanica in Grecia si mobili-ta per appropriarsi a qualunque costo del tesoro.

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1873 5 agosto. Il giornale «Augsburger AllgemeineZeitung» pubblica un articolo di Schliemann dal titolo:Il tesoro di Priamo. La reazione dei turchi, indignati difronte all�esportazione illegale del tesoro, è immediata.

1873 Fine anno. I due volumi di Heinrich SchliemannAntichità Troiane e Atlas delle antichità troiane circolano aParigi e a Lipsia e contengono la pubblicazione dell�inte-ro tesoro. Schliemann offre al primo ministro greco Epa-minondas Deligiorgi la somma di 2000 franchi oro del-l�epoca per ottenere il permesso di costruire il MuseoSchliemann che conterrà tutti i reperti provenienti daisuoi scavi, ponendo una sola condizione: lui stesso dovràrimanere a vita direttore del museo e dopo la sua morte,antichità e museo diventeranno proprietà della Grecia.

Mentre il parlamento vorrebbe accettare l�offerta,alcuni temono la collera dei turchi e rifiutano la propostadi Schliemann. La frase del ministro dei Culti Valasso-polou è emblematica: «Che Schliemann porti via le suemasserizie e ci lasci in pace».

1874 Schliemann è condannato dal tribunale turco apagare 10 000 franchi oro al Museo Archeologico di Co-stantinopoli.

1875 Si giunge faticosamente a un accordo. Schlie-mann pagherà 50 000 franchi oro alla Turchia ma il te-soro insieme alle altre antichità troiane rimarrà in suopossesso.

1877 Il tesoro insieme ad altri reperti provenienti daTroia è esposto al museo di South Kensington a Londrafino alla fine del 1880.

1878 Ernest Tsiller disegna le prime piante per lacostruzione dell�Ilíou Mélathron, la capanna di Ilio, che

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Schliemann si fa costruire in via dell�Università adAtene. È in questo palazzo che andrà a vivere con la suafamiglia greca.

1879 L�antropologo e archeologo tedesco Rudolf Vir-chow convince Schliemann, col quale si trova a Troia,a offrire il tesoro di Priamo alla Germania in cambio diuna onorificenza di secondo grado e della nomina a cit-tadino onorario di Berlino.

1881 Inaugurazione in grande stile dell�Ilíou Mé-lathron, vasta costruzione in stile neoclassico. La pian-ta dell�edificio non è originale ma si ispira alla «VillaRosa» di Dresda, capitale della Sassonia. L�esterno el�interno dell�immobile sono coperti di pitture di stilepompeiano. L�idolatria di Schliemann per l�archeologiatraspare in ogni particolare: le pitture pompeiane, lecopie in argilla di statue greche, i pavimenti in mosaicoche riportano copie delle sue scoperte a Troia e a Mice-ne, le iscrizioni che ricordano le opere degli antichiautori greci. All�esterno, nel giardino, sono stati collo-cati 7500 pezzi delle sue collezioni. Questi reperti, dopola morte di Schliemann, saranno consegnati al museo diBerlino.

188o-81 Le antichità troiane sono state proposte almuseo di Berlino. L�imperatore accetta l�offerta. La col-lezione viene sistemata nel museo (KunstgewerbeMuseum) con la supervisione di Schliemann e della mo-glie Sofia.

1885 La collezione di Schliemann viene esposta alMuseo Etnologico.

1890 26 dicembre. Heinrich Schliemann muore aNapoli.

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1891 Estate. Sotto la supervisione di Dörpfeld, inaccordo con il testamento di Schliemann, le ultime an-tichità vengono portate via dall�Ilíou Mélathron e spe-dite a Berlino. Le collezioni sono sistemate nel repartodi Preistoria del Museo Etnologico, reparto che neglianni venti passerà al Museo di Pre e Protostoria e saràinserito nel complesso retto dall�amministrazione prus-siana dei musei statali di Berlino.

1939 Il tesoro viene nascosto nelle cantine del Museonel Gropius-Bau in modo da essere preservato da even-tuali incursioni aeree. Successivamente, i reperti saran-no trasferiti in altri luoghi berlinesi ed infine nel Flak-turm am Zoo di Berlino. Il tesoro rimarrà in questo ulti-mo nascondiglio fino alla fine della seconda guerra mon-diale. Nel maggio del 1945, il direttore del Museo di Pree Protostoria, Wilhelm Unversagt, consegna il tesoro diTroia a un ufficiale superiore dell�Armata Rossa. Imme-diatamente dopo questa consegna, il tesoro viene trasfe-rito a Mosca e consegnato alle autorità del Puskin.

1993 Il presidente Eltsin durante una sua visita adAtene riconosce che il tesoro si trova a Mosca e pro-mette che verrà spedito ad Atene per essere espostoall�Ilíou Mélathron.

1994 25 ottobre. Il tesoro viene esaminato dai re-sponsabili del museo di Berlino e dagli archeologi chescavano a Troia. Sono presenti anche archeologi turchi.Parallelamente, ad Atene, Melina Mercouri, malata,prodiga i suoi ultimi sforzi perché la mostra sia allestitain Grecia.

Nello stesso tempo, si viene a sapere che nella pri-mavera del 1996 una grande mostra sarà allestita a Mo-sca e che i gioielli saranno esposti per un anno intero alMuseo Puskin.

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2. La leggenda1.

Dopo la mia relazione del 10 maggio, ho concentrato tuttii miei sforzi per rendere piú veloce il grande scavo sul latonordoccidentale del monte e perciò ho iniziato anche daoccidente lo scavo di un profondo vallo in cui purtroppo hourtato obliquamente contro la cerchia di mura di Lisimaco.Nel grande scavo nuovo a nord-ovest, collegato con que-sta trincea, ho acquistato la certezza che la grande mura-glia portata alla luce nell�aprile del 187o appartiene aduna torre, la cui parte inferiore, assai aggettante, risaleforse ai primi tempi della colonia greca, mentre quellasuperiore a Lisimaco.A questa torre appartengono tanto la larga muraglia di cuiho parlato nella mia ultima relazione, di 2 m e 7o di altez-za e 1,8o di spessore, che è la continuazione della cinta dimura di Lisimaco, quanto un�altra muraglia parimentisolida, distante 15 m e in cui ho dovuto aprire una brec-cia. Dietro di essa, ad una profondità di 8-9 m, ho sco-perto la cinta delle mura di Troia che si diparte dallePorte Scee e scavandoci sotto, proprio accanto al palazzodi Priamo, ho urtato contro un grosso oggetto di rame, diforma curiosa, che mi colpí in quanto mi parve di scor-gervi sotto dell�oro. Sopra l�oggetto si trovava uno stratodi ceneri rosse e materiale calcinato, spesso da 1 m e 5oad 1 m e 75 e duro come la pietra, su cui poggiava la mura-glia della fortezza, alta 6 metri e spessa 8o cm, fatta di pie-tre e fango secco e costruita forse nei primi tempi dopola distruzione di Troia.Per sottrarre il tesoro alla cupidigia degli operai e conser-varlo alla scienza, occorreva procedere con rapidità e ben-ché non fosse ora di colazione, diedi subito il segnale delpaïdos, termine di origine oscura, introdottosi nella linguaturca ad indicare il «riposo»; quindi, mentre gli operaimangiavano e riposavano estrassi il tesoro con un grandecoltello, cosa per cui correvo un terribile pericolo, dato che

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la grande muraglia sotto cui scavavo poteva rovinarmiaddosso da un momento all�altro. Ma la vista di tantioggetti preziosi, ognuno dei quali tanto valore aveva perla scienza, mi rese temerario facendomi dimenticare ognipericolo.Trasportare il tesoro mi sarebbe stato impossibile senzal�aiuto di mia moglie che mi era vicina, sempre pronta adavvolgere nel suo scialle e a portar via gli oggetti cheestraevo.Tirai fuori per prima cosa un grande scudo di rame, simi-le a un piatto ovale da portata, nel cui cerchio era una bor-chia circondata da una scanalatura. Lo scudo è lungomezzo metro, liscio e bordato da un orlo. La borchia è alta6 cm e con un diametro di circa 11 cm. Il secondo ogget-to fu un bacile di rame con due manici orizzontali. Il terzouna piastra di rame, alla cui estremità c�erano due ruotefisse con un asse. La piastra è molto curva in due punti:credo però che queste curvature siano attribuibili al calo-re del fuoco a cui l�oggetto fu esposto durante l�incendio.Su di esso è saldato un vaso d�argento alto e largo 12 cm:credo che la saldatura sia dovuta al fuoco.Il quarto oggetto fu un vaso di rame a cui seguirono: unacoppa rotonda di oro purissimo, alta 14 cm e pesante 403grammi, con una decorazione a zig zag incompiuta intornoal bordo; una coppa d�oro pesante 226 grammi e un�altracoppa aurea a forma di nave, con grossi manici alti 9 cm epesante 6 etti. Ai lati ha due aperture: forse chi offriva lacoppa piena beveva dall�apertura piccola in segno di defe-renza, per lasciare che l�ospite bevesse dalla piú grande.Rinvenni anche sei oggetti d�argento a forma di grandilame con una punta arrotondata e l�altra tagliata a mezza-luna, tutti battuti col martello. Forse si tratta di talentiomerici, che dovevano essere piccoli, se Achille, ad esem-pio, offre come primo premio nella lotta (Iliade XXIII) unaschiava, come secondo un cavallo, come terzo un bacile ecome quarto due talenti d�oro. Trovai pure tre grandi vasi

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d�argento, e, sopra e sotto gli oggetti d�oro, tredici lance dibronzo alla cui punta inferiore c�è un foro, in cui ancora èinfisso il chiodo e il bullone con cui la lancia era inchioda-ta all�asta di legno. Ciò che differenziava le lance troianeda quelle greche e romane, era che in queste, l�asta venivainfilata nella lancia, in quelle, la lancia nell�asta.Ho rinvenuto tutti questi oggetti insieme, l�uno vicinoall�altro come in un rettangolo, accanto al muro di cinta epenso perciò che probabilmente erano posti in una cassadi legno; dall�Iliade si ha la notizia che ne esistevano nelpalazzo di Priamo. Infatti, a conferma di ciò ho trovatoaccanto agli oggetti una lunga chiave di rame che assomi-glia molto alla grande chiave di cassa delle banche. Que-sta chiave doveva terminare con un anello di legno; lodimostra l�estremità del fusto interrotta ad angolo rettocome nelle lame dei pugnali. Forse qualche membro dellafamiglia reale ammucchiò frettolosamente il tesoro nellacassa e lo portò via con la chiave infilata nella serratura;ma sulle mura fu ucciso dal nemico o dal fuoco e abban-donò la cassa che fu subito ricoperta dalla cenere rossa edalle pietre del vicino palazzo reale.Forse gli oggetti trovati qualche giorno prima in una stan-za del palazzo, cioè un elmo e un vaso d�argento, in cuiera posta una raffinata coppa d�ambra, appartenevano aquel poveretto che cercò inutilmente di salvare il tesoro.Il vaso in argento alto 18 cm e largo 14 cm conteneva unaelegante coppa in elettro di 11 cm di altezza e 9 cm di lar-ghezza. L�elmo è spezzato, ma avendone tutte le parti, sipotrà forse ricomporlo. Le parti superiori sono intatte.Vicino all�elmo, ho trovato una sbarretta in rame lunga 15cm che in qualche modo doveva essere stata fissata all�el-mo stesso.Ad una distanza di 1 m e 5o e ad una altezza di 1 m e 8osopra al posto dove fu rinvenuto il tesoro, i successori deitroiani hanno costruito un muro di fortificazione alto 6 me spesso 1 m e 8o fatto con pietre tagliate e pietre grezze

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e terra. Questo muro si erge fino ad un metro sopra l�at-tuale piano della collina.La fretta e l�ansia con cui il tesoro fu raccolto sono dimo-strate dal contenuto del vaso d�argento piú grande, infondo al quale ho trovato due splendidi diademi aurei, unafascia frontale e quattro pendenti d�oro di squisita fattu-ra. Sopra vi erano 56 orecchini d�oro a cerchio, e 8750 pic-coli anelli, prismi e dadi traforati e bottoni d�oro, che pro-vengono senza dubbio da altri ornamenti. E ancora, 6bracciali d�oro e due piccole coppe d�oro. Nello stesso vasoc�erano anche due blocchetti d�oro, lunghi 5 cm, di cuiognuno aveva ventuno fori.Uno dei diademi ha 51 centimetri di lunghezza ed ècomposto da una catena in oro; da ogni lato della catenapendono otto catenine ornate con foglioline di albero inoro che coprivano le tempie. All�estremità di ognuna diqueste catenine è appesa una statuina di idoletto in oro contesta di civetta, la dea protettrice di Ilio. Tra i due pen-denti che coprivano le tempie, si estende una serie di 74catenine d�oro ognuna di 10 cm soltanto, coperte di foglied�oro a loro volta, che terminano con una doppia foglialunga 2 cm. Queste catenine erano destinate a coprire edornare la fronte.Il secondo diadema è composto da una striscia d�oro lunga55 cm e larga 12 millimetri. Una serie di sette cateninepende da ogni lato in modo da coprire le tempie. Ognunadi queste catenine è decorata con foglie quadrangolari lega-te tra di loro da quattro catenine trasversali. Ad ognunodi queste sette catenine pende un idoletto in oro raffigu-rante la dea protettrice di Ilio. Questi idoletti hanno unasembianza quasi umana ma la testa di civetta con i dueocchioni è perfettamente riconoscibile. Nello spazio com-preso tra questo doppio ornamento delle tempie sonosospese 47 catenine decorate con fogli quadrangolari e congli stessi idoletti di quelli descritti qui sopra.La striscia che girava intorno alla testa è lunga 46 cm, larga

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1 cm e forata ad ogni estremità con tre buchi. Questa stri-scia è divisa in 9 campi da otto quadrupli ranghi di punti-ni. In ogni campo si possono vedere due grossi punti eduna fila ininterrotta di punti che occupa tutto il bordo. Deiquattro pendenti per le orecchie, due soltanto sono simi-li; nella parte superiore di quest�ultimi, che è quasi a formadi vassoio con due ranghi di ornamenti a mo� di perle, pen-dono sei catenine, ognuna delle quali munita di tre picco-li cilindri quadrangolari alle estremità dei quali vi sono pic-coli idoletti delle divinità protettrici di Troia.Due dei sei braccialetti sono semplici, chiusi, e di 4 milli-metri di spessore. Il terzo, ugualmente chiuso, è compostoda una striscia di oro splendidamente decorata. Gli altri tresono doppi ed hanno le estremità curve ed ornate con unatesta. Le principesse che portavano questi braccialetti ave-vano certamente mani piccolissime perché una bambina di10 anni può appena infilare questi braccialetti.Gli altri 56 orecchini sono di dimensioni diverse. Tre diloro sembrano addirittura essere stati utilizzati come anel-li dalle principesse della casa reale. Nessuno di questi orec-chini somiglia nella forma a quelli dei greci, dei romani,degli egiziani o degli assiri. Diciotto altri orecchini termi-nano con sei foglie. Hanno prima di tutto due piccoli bot-toni, nel mezzo due ranghi di cinque piccoli bottoni ognu-no, e tre bottoncini all�estremità.Due dei piú grandi orecchini, i quali, a causa della loroestremità, non potevano certo essere utilizzati come orec-chini ma dovevano fungere da anelli, terminano con quat-tro foglie e si possono ammirare due bottoni all�inizio, trein mezzo ed anche due all�estremità. Altri due orecchinihanno la forma di tre serpenti disposti l�uno accanto all�al-tro e splendidamente decorati; altri quattro rappresenta-no due serpenti con ornamenti simili.Nel grande vaso di argento, sopra agli orecchini eranostati depositati molti altri ornamenti in oro che eranoattraversati da fili o cuciti sul cuoio perché, come ho detto,

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ho scoperto, sia sopra che sotto gli orecchini, 8750 picco-li oggetti di oro puro che presentano forellini di 3 milli-metri di diametro. Alcuni piccoli cubetti perforati, lisci otagliati a stelle, prismi perforati decorati con sedici inca-nalature nel senso della lunghezza, piccole foglie di albe-ro, con un foro che le attraversava nel senso della lun-ghezza, piccoli spilloni di oro con un foro ad una estremitàed un bottone all�altra; cilindri perforati; anelli doppi o tri-plici incollati tra di loro; bottoni d�oro... Ho trovato anchedue cilindri in oro ed una piccola stecca dello stesso metal-lo. Ad una delle due estremità presenta un buco che ser-viva a sospenderla, all�altra sei incisioni che la circondanoe danno a questo oggetto l�apparenza di una vite. Ci vuolela lente d�ingrandimento per rendersi conto che non si trat-ta di una vite.Chi salvò il tesoro, fu cosí previdente da tenere in piedinella cassa il vaso contenente i gioielli, sicché neppure unaperla è andata perduta.

3. La storia2.

Nel 1873, poco prima di terminare la campagna discavo a Troia cominciata nel mese di febbraio, Schlie-mann scoprí molto probabilmente il 31 maggio, un in-sieme di oggetti in oro e in argento che lui stesso defi-nisce il tesoro di Priamo.

Contrariamente a quanto afferma, Sofia non era ac-canto a lui quel giorno. Infatti, dalla corrispondenza traSchliemann e la moglie, risulta che Sofia lasciò Troia il7 maggio per andare ad Atene dove era morto il padre.

Nel «Fraser�s Magazine» del 1878, William C. Bor-lase, un noto antiquario, racconta la sua visita a Troianel 1875. Borlase aveva allora ingaggiato come guidaquello che era stato il domestico di Schliemann, Niko-laos Zaphyros Yannakis dal racconto del quale scoprí tali

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e tante inesattezze nella versione di Schliemann chenon esitò a scrivere:

... i dettagli della scoperta riportati da Yannakis sono cosíprofondamente diversi dalla relazione del signor Schlie-mann che mi pare davvero impossibile conciliare le dueversioni. Per citare un solo esempio, il Signor Schliemanndice che, mentre faceva questa scoperta, mandò tutti isuoi operai a pranzo e scavò i reperti da solo, aggiungen-do che sarebbe stato impossibile per lui rimuovere tuttiquesti oggetti senza l�aiuto della sua cara moglie che stavaaccanto a lui, pronta ad avvolgere i reperti nel suo sciallee a portarli via. Yannakis d�altro canto mi disse che avevaassistito allo scavo e al trasporto dei reperti a casa di Schlie-mann. Alla mia domanda circa la parte avuta dalla signo-ra Schliemann, aggiunse: «Non era qui; era ad Atene inquel periodo». Questo fu confermato da una mia indagi-ne successiva fatta ai Dardanelli.

Borlase aggiunge infine di sapere da fonte sicurissi-ma che Schliemann stesso aveva confessato a una per-sonalità europea ben nota nei circoli archeologici locali(si tratta chiaramente di Frank Calvert) che la moglieSofia non era presente a Troia il giorno della scopertadel tesoro, ma che il suo nome fu citato in modo da ispi-rarle un po� di passione per l�archeologia.

Inoltre, in una lettera datata 27 dicembre 1873, con-servata al dipartimento di antichità greche e romane delBritish Museum, e spedita al direttore Charles Newton,Schliemann dichiara:

A causa della improvvisa morte di suo padre, la signoraSchliemann mi ha lasciato all�inizio di maggio. Il tesoro èstato rinvenuto alla fine di maggio ma poiché sto tentan-do di fare di lei un�archeologa, ho scritto nel mio libro cheè stata presente e mi ha assistito nel prelevare il tesoro...

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Ho fatto questo soprattutto per stimolarla ed incoraggiar-la perché ha grandi capacità.

Se questa bugia sembra non avere altro scopo se nonquello di associare alla straordinaria scoperta quella chefu la sua compagna negli scavi in Troade e in Argolide,vi sono altri elementi curiosi o inquietanti collegati conla scoperta del tesoro di Priamo.

Prima di tutto la questione della data. Nell�autobio-grafia di Schliemann, il racconto della scoperta del teso-ro è datato: Troia 17 giugno. L�informazione è inesat-ta, come abbiamo visto. In realtà, il tesoro fu ritrovatoil 31 maggio e abbiamo un resoconto abbastanza preci-so degli avvenimenti che si verificarono quel giorno.

Il 31 maggio, due tedeschi, Gustav von Eckembre-cher e il figlio, vengono a visitare Hissarlik. I due de-scrivono la loro visita, ricordando, tra l�altro, che «suamoglie, una giovane signora ateniese, sua costante com-pagna sugli scavi di Troia, non era presente; era andataad Atene». Mentre Schliemann si intratteneva con isuoi ospiti, pregò questi ultimi di scusarlo «perché avevaqualcosa di pressante da fare». I due aggiungono: «Era,come abbiamo saputo piú tardi, la sera in cui aveva datrafugare il tesoro di Priamo ad Atene».

Cosa successe quindi il fatidico 31 maggio 1873?Sappiamo dalle relazioni di Schliemann che il tesoro

è stato ritrovato prima della prima colazione, la qualeavveniva alle 9.3o del mattino. Infatti, in una lettera aCalvert dell�11 febbraio 1872, Schliemann descrive unanormale giornata di lavoro a Troia. Lo scavo iniziava alle5 del mattino; gli operai avevano un�ora di riposo per laprima colazione alle 9.3o e un�altra ora per il pranzo alle14.30. Dopodiché il lavoro riprendeva fino al tramonto.Tutto concorda quindi nell�indicarci che il tesoro di Pria-mo è stato scoperto prima delle 9.3o del 31 maggio 1873.

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Una volta individuato il tesoro, Schliemann ha im-mediatamente deciso di infrangere gli accordi con i tur-chi e di impossessarsi dei reperti. Per compiere il furtooccorreva tuttavia agire all�insaputa dell�ispettore turcoAmin Efendi che sorvegliava gli scavi su ordine e perconto del governo della Sublime Porta. Per ingannareAmin Efendi, Schliemann usa certamente uno strata-gemma del quale lui stesso fornisce due versioni con-trastanti. Il 5 luglio 1873, scrive: «Sono riuscito nel-l�impresa, facendo bere copiosamente al mio turco que-sto liquore famoso chiamato cognac». Invece, il 18 ago-sto afferma: «Sono riuscito a salvare il tesoro perché èstato scoperto mentre Amin Efendi era occupato a sor-vegliare un altro cantiere».

In realtà la corrispondenza di Schliemann ci puó aiu-tare a restituire la verità.

Nella lettera del 18 agosto 1873 indirizzata al se-gretario generale del Governatore provinciale dei Dar-danelli, Schliemann desidera intervenire presso il go-verno turco per discolpare il povero ispettore messosotto accusa dai suoi superiori per aver lasciato trafugarel�oro di Priamo e scrive:

Ho potuto salvare il tesoro perché fu scoperto mentreAmin Efendi era occupato a sorvegliare un altro cantiere.Se avesse visto la disperazione del povero uomo quandoseppe piú tardi dagli operai che avevo scoperto un tesoroe lo avevo preso, e se avesse visto la sua furia quando entrònella mia casa e mi chiese con delle grida, in nome del Sul-tano, di aprire immediatamente tutti i miei bagagli, men-tre la mia sola risposta fu quella di cacciarlo fuori di casa,Lei avrebbe avuto pietà di lui.

Non c�è dubbio che la seconda versione sia quella esat-ta. Schliemann aveva aperto vari cantieri a Troia ed è pro-babile che Amin Efendi avesse molto da fare, spostandosi

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di continuo da un punto all�altro della collina. Del resto,durante quella mattinata cosí intensa, non sarebbe statopossibile organizzare una libagione di cognac; per di piúl�atteggiamento dell�ispettore turco durante il resto dellagiornata dimostra che quest�ultimo era perfettamentelucido e aveva capito il gioco di Schliemann.

Durante il corso della giornata Schliemann intrat-tiene i suoi ospiti tedeschi e la sera si allontana per im-ballare i ritrovamenti in 6 panieri e un baule; affida iltutto al fedele Yannakis che porta il materiale alla fat-toria di Frederick Calvert, il fratello di Frank.

Una lettera di Schliemann spiegava a Calvert di co-sa si trattasse:

Sono desolato di informarLa che sono sotto stretta sorve-glianza e temo che l�ispettore turco che è arrabbiato conme, non so per quali motivi, perquisirà la mia casa doma-ni. Perciò prendo la libertà di depositare presso di Lei 6casse ed un baule, pregandoLa di chiuderli a chiave e dinon permettere per alcuna ragione ai turchi di toccarli. Incambio, ho grande piacere di inviare a Sua moglie la miaparte di tutto quello che è stato trovato quest�anno nel ter-reno di suo fratello, ad eccezione, beninteso, delle iscri-zioni che ho pagate a suo fratello e portato via. Lei si ricor-derà che tra le cose da distribuire vi è una splendida manodi Minerva e una grande quantità di monete. Vi sonoanche due teste femminili in terracotta che sono veri e pro-pri capolavori dell�arte ellenistica.Gli abitanti del villaggio mi tradiscono con il turco alpunto che non posso piú usare i loro cavalli. Perciò quan-do avrò bisogno di riprendere i panieri, La prego di lasciar-mi tre cavalli per tre ore durante la notte. Le sarò estre-mamente grato di questo suo aiuto e Le darò per ognicavallo 40 piastre; La prego di non rifiutare perché sonoalquanto disperato; avendo speso qui piú di 1oo ooo fran-chi, non posso portarmi via un po� di ceramica rotta.

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È evidente che Amin Efendi, furibondo, sta cercan-do di ottenere dalle autorità turche un mandato di per-quisizione per cercare di recuperare quello che Schlie-mann ha trovato. Il tempo preme ma Schliemann, perla seconda volta, batte i turchi in volata, portando l�oroprima nella fattoria di Calvert e poi lontano da Troia.

La sera del 6 giugno manda due suoi fedeli emissari,Spiridon Demetrios e Nikolaos Yannakis, alla fattoria.I due prendono in consegna i sei panieri e il baule e par-tono per Karanlik dove consegnano il prezioso bottinoa una nave in partenza per Atene.

In secondo luogo, l�indicazione del punto esatto do-ve fu rinvenuto il tesoro presenta alcuni problemi.

Abbiamo appena visto che il 6 giugno l�oro di Troiaè stato spedito ad Atene. Il 7 giugno, Schliemann man-da un telegramma al suo editore tedesco, Brockhaus, nelquale dice: «Ogni pericolo è passato. Pubblichi il mioarticolo nell��Augsburger Allegemeine Zeitung�». L�ar-ticolo in questione contiene il riassunto degli scavi del1873 fino al ritrovamento del «piccolo tesoro» avvenu-to otto giorni prima della scoperta del tesoro di Priamoed è pieno di affermazioni ditirambiche sulla qualitàdei reperti di Troia. Schliemann ne aveva fermato lapubblicazione per non attirare l�attenzione dei turchi,ma ora che il tesoro è stato messo in salvo, può lasciar-si prendere dall�entusiasmo.

In data 10 giugno, Schliemann manda all�editore te-desco una bella copia della sua relazione del 31 maggiosulla scoperta del tesoro. Tornato ad Atene, riprende inesame il tesoro e il 27 giugno manda un nuovo tele-gramma a Brockhaus dicendo: «Non pubblichi il mioarticolo del 31 maggio perché lo cambi0. Aggiungeròuna descrizione dettagliata del tesoro». È a questo puntoche scrive nel suo diario la seconda versione della sco-perta, datandola 7 giugno e collocandone il luogo «vici-

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no al muro della cittadella, in una piccola stanza delpalazzo circondata da due muri». Nella versione finaledi questa relazione datata 17 giugno, spedita aBrockhaus il 5 luglio, nella quale, tra l�altro, chiedevaall�editore di bruciare la versione del 31 maggio, Schlie-mann aveva cambiato l�indicazione del luogo di ritro-vamento, collocandolo «sul muro della città, diretta-mente accanto alla casa di Priamo».

E qui Schliemann compie una piroetta degna delmigliore degli equilibristi. Per collegare il ritrovamentodel tesoro, avvenuto questa volta sul muro, inventa lastoria della «chiave». Questi oggetti, dice, erano senz�al-tro radunati in una cassa o in un baule di legno simile aquelli menzionati nell�Iliade (XXIV, 228), che si trova-vano nel palazzo di Priamo. Lo prova il ritrovamentoinsieme al tesoro di una grossa chiave di rame, che sareb-be servita a chiudere il baule di uno sventurato, che fug-gendo, avrebbe dimenticato di tirare fuori la chiavedalla toppa.

Questo racconto è una pura e semplice montaturaperché, come Yannakis ha dichiarato in seguito, la fa-mosa chiave è stata rinvenuta a piú di 150 m dal luogodove è stato trovato il tesoro3. Schliemann ha associatochiave e tesoro per avallare la tesi di un tesoro ap-partenuto al palazzo reale, poi sistemato in un baule eportato a spalle da qualcuno che fuggiva da Troia infiamme.

Allora, dove fu trovato il tesoro? Nel palazzo, sulmuro della città o altrove ancora?

Tre mappe e una illustrazione pubblicata in Troy andits Remains collocano il ritrovamento fuori dalle muradella cittadella, a circa 15 metri ad ovest delle PorteScee4. Perché allora il primo resoconto della scoperta col-loca il tesoro entro le mura, in una stanza del palazzo diPriamo? La risposta è fornita dallo studio di DavidTraill. Secondo Traill, è evidente, come risulta dalla

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collocazione del ritrovamento stesso fuori dalle muradell�acropoli, che Schliemann fosse capitato nello scavodi una tomba. Ma l�interesse di Schliemann era di farrinvenire all�interno dell�abitato qualcosa che potesseconvincere il mondo intero che le costruzioni portatealla luce sulla collina di Hissarlik fossero in realtà i restidel palazzo di Priamo. La scoperta del tesoro gli diedel�occasione tanto attesa. Affermando che i reperti pro-venivano dallo scavo del palazzo e associando i gioiellialla corte troiana, Schliemann dimostrava la ricchezzadella città di Ilio. Di fronte al tesoro nessuno mai avreb-be potuto contestare il fatto che la città distrutta dalfuoco e dalle fiamme fosse davvero la Troia omerica.

Il 19 giugno Schliemann lascia Hissarlik e si imbar-ca su una nave italiana diretta al Pireo via Salonicco. Il21 giugno al piú tardi sbarca ad Atene dove nel frat-tempo il tesoro era stato nascosto in casa dei genitoridella moglie Sofia.

Il 22 giugno, una domenica, Schliemann faceva re-capitare a Panayotis Eustradates, Eforo Generale delleantichità di Grecia, un biglietto nel quale lo invitava avenire, lo stesso giorno, all�una del pomeriggio, adammirare quello che aveva portato con sé da Troia,«qualcosa di meglio di tutte le statue, il tesoro di Pria-mo, che lascerò alla nazione greca dopo la mia morte».Aggiungeva, inoltre, che c�erano «54 casse e panieririempiti di antichità troiane di inestimabile valore».

Praticamente Schliemann aveva portato via da Troial�insieme delle scoperte compiute durante le campagnedi scavo dal 1871 al 1873. Nella sua autobiografia, fa-cendo il bilancio di quegli anni passati a Troia, scrive:

Due terzi dell�intera città sono stati dissepolti, né credoche continuando a scavare si possa acquisire alcunché diutile per l�archeologia. Se tuttavia i lavori dovessero ulte-

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riormente procedere, prego caldamente coloro che li faran-no di rovesciare il materiale di sgombero giú per il pendioe non nelle trincee che tanto mi sono costate e che sonodi alto valore scientifico, perché in esse sono visibili tuttigli strati dalla superficie del monte sino alla roccia.Nel sospendere completamente i miei scavi ad Ilio, ringra-zio con fervore Dio per averci protetti poiché, nonostan-te i gravi pericoli corsi in questi tre anni di scavi gigante-schi, nessuno è rimasto ucciso, né ferito gravemente.Raccomando a chiunque voglia riprendere i lavori l�ottimoNikolaos Zaphyros Giannakis, del paese di Ren Kioi. L�hoavuto con me dall�aprile del 1870 per tutta la durata degliscavi come domestico, cuoco, cassiere; e in quest�ultimaqualità in modo particolare, per la sua fedeltà e perchéconosce il nome e la capacità lavorativa di ogni operaiodella Troade, è stato insostituibile; d�altra parte per la suastatura, per la sua forza e la perfetta conoscenza della lin-gua turca si destreggia benissimo in ogni difficoltà chepossa sorgere con le autorità turche.

È evidente che queste frasi suonano come un addioa Troia. Conoscendo il personaggio, il quale afferma chesoltanto due terzi della città sono stati dissepolti, ci sipotrebbe meravigliare di questo addio che pare strana-mente prematuro. Dopo aver tanto insistito e tanto fati-cato per scavare a Troia, dopo aver condotto battaglieaspre con i due proprietari turchi del terreno, con ilministro Safvet Pascià, con lo stesso Calvert, Schlie-mann che non era certo uomo da mollare cosí facilmentela preda, lascia le redini ad altri.

Allora perché questa decisione? Per un solo e sempli-ce motivo. Alla fine della campagna del 1873, Schlie-mann scopre il tesoro. Dovrebbe dividerlo con i turchie addirittura vendere la parte che gli spetta in Turchia.Gli si prospettano due strade: o rispettare il contrattocon il governo turco, oppure rubare il tesoro al paese che

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lo ospita. Qualora rubasse il tesoro, è molto probabileche verrebbe per sempre allontanato dalla Troade;portandolo via, sarebbe invece ampiamente ripagato ditutte le fatiche. I suoi scavi hanno dimostrato che sullacollina di Hissarlik esisteva davvero un centro impor-tante, senza alcun dubbio la Troia cantata da Omero.Schliemann non ha piú nulla da dimostrare continuandoa scavare a Troia.

Non c�e dubbio che Schliemann abbia compiuto unfurto e lui lo sa perfettamente, tant�è vero che pochigiorni dopo aver trafugato il tesoro in Grecia, il 28 giu-gno 1873, scrive al suo rappresentante a Parigi, un certoBeaurain, di cercare un orafo che sia abile e discreto, alquale potrebbe rivolgersi per far eseguire delle copiedei principali pezzi del tesoro. Questa richiesta fa cer-tamente parte di un piano destinato a ingannare i tur-chi poiché nella stessa lettera a Beaurain, Schliemannaggiunge:

Se pubblicassi un articolo sul tesoro in un giornale, hogrande paura che il governo turco si decida a richiedermila metà del tesoro per via giudiziaria... Troverò di certo ilmodo di difendermi davanti ai tribunali greci... Tuttaviaho paura...

Anni dopo, nel 1881, per discolparsi di fronte ai po-steri, scrive:

Poiché i giornali turchi mi hanno ignominiosamenteaccusato di aver agito contro le disposizioni del firmano ame rilasciato, e di essermi tenuto il tesoro invece di divi-derlo con il governo turco, sono costretto qui a difenderei miei diritti. Solo per un riguardo a Safvet Pascià, ex mini-stro della cultura popolare, dichiarai nella mia relazione(del 18 ottobre 1871) che egli per mia preghiera e peramore della scienza, aveva stabilito che il campo di His-

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sarlik di proprietà dei due turchi di Kum Kalè fosse acqui-stato dal governo. In realtà, le cose andarono ben diver-samente. Fin dall�inizio dei miei scavi, nell�aprile del 1870,mi ero adoperato per comperare quel campo e finalmentedopo ben tre viaggi a Kum Kalè, ero riuscito a ridurre lacifra richiesta a 1000 franchi. Allora, nel dicembre 1870,andai da Safvet Pascià a Costantinopoli e gli comunicail�acquisto dell�area della vecchia Troia per 1000 franchi eche avrei concluso l�acquisto non appena egli mi avesseconcesso di iniziare a scavare. Safvet Pascià ignorava siaTroia sia Omero. Gli esposi in breve la mia speranza di rin-venire in quel luogo oggetti antichi di valore incalcolabileper l�archeologia. Egli pensò che avrei forse trovato moltooro e mi pregò di ripassare dopo otto giorni. Ma tornato,seppi che egli aveva costretto i due proprietari a cedergliil terreno per 6oo franchi e che potevo pure scavare, madovevo dare a lui qualunque cosa avessi trovata. Gli espres-si brutalmente la mia indignazione per il suo modo di agi-re odioso e meschino e affermai che a quei patti non vole-vo piú avere nulla a che fare con lui e che avrei rinuncia-to agli scavi. Egli allora mi fece ripetutamente pregare permezzo dell�ambasciatore americano Wyne MacVeagh per-ché scavassi e gli dessi solo la metà degli oggetti trovati:alla calorosa perorazione dell�ambasciatore mi decisi adacconsentire, a condizione però di poter portare fuori dallaTurchia la mia metà. Questo diritto che mi ero ricono-sciuto, fu revocato nell�aprile del 1872 da un decreto mini-steriale, in cui si diceva che nulla potevo esportare dallaTurchia e che potevo vendere gli oggetti solo in Turchia.Ma con ciò il governo turco aveva pienamente infranto gliaccordi scritti e perciò neppure io mi sono piú attenuto adun patto violato senza mia colpa e ho tenuto per me tuttociò che trovavo, salvandolo per l�archeologia; tutto ilmondo della cultura approverà questa mia azione. Le anti-chità troiane da me reperte, specie il tesoro, hanno supe-rato di molto ogni speranza, compensandomi abbondan-

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temente del tiro fattomi da Safvet Pascià e della giorna-liera sgradevole presenza di un sorvegliante turco, chepagavo giocoforza 5 franchi al giorno. Non per dovere, maunicamente per compiacenza, ho donato al museo diCostantinopoli 7 grandi vasi troiani e 4 sacchi di strumentilitici, diventando cosí l�unico benefattore che questo mu-seo abbia mai avuto. È vero che i firmani vengono rilasciatia condizione che si consegnino al museo la metà deglioggetti trovati, ma sinora nessuno ha dato nulla al museo.Infatti non è per niente pubblico, tanto che spesso la sen-tinella impedisce persino al direttore di entrare e tuttisanno che gli oggetti che qui giacciono sono perduti persempre per la scienza.

I documenti che abbiamo presentato mostrano comesuonino meschine e volgari queste frasi scritte otto annidopo il furto compiuto a Troia. Nella migliore tradizio-ne coloniale Schliemann ha depredato il paese che loospitava.

4. Il tesoro.

Il tesoro di Troia, o come si dice anche spesso il tesorodi Priamo è stato oggetto di innumerevoli studi. Le ine-sattezze o a volte le bugie di Schliemann hanno portatogli studiosi ad avanzare varie ipotesi poco confortanti.

a. Il tesoro di Priamo è probabilmente un insiemecomposito di vari ritrovamenti compiuti in diversi pun-ti dell�acropoli di Troia5.

È stato messo in luce da Traill che la descrizione del-la composizione del tesoro di Priamo, la data esatta del-la scoperta e il preciso luogo di ritrovamento non coin-cidono mai se paragoniamo i testi dei Trojanische

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Alterthümer con le tavole dell�Atlas o, addirittura, separagoniamo tra di loro le tavole dell�Atlas stesso. Adesempio, confrontando le tavole 193 e 194 dell�Atlas, sipossono contare almeno 9 pezzi che sono attribuiti daSchliemann al tesoro di Priamo ma che, in realtà, si pos-sono individuare in tavole precedenti, il che significa chesono stati chiaramente scoperti prima del tesoro, ovve-ro prima del 31 maggio 18736. Del resto, aggiunge Traill,D. F. Easton ha dimostrato che in tre casi Schliemannha creato un grande tesoro raggruppando diversi picco-li ritrovamenti fatti in vari punti dell�acropoli7.

D. F. Easton spiega poi in modo estremamente con-vincente che Schliemann, nel 1872, ha creato dal nullail tesoro R composto da 4 anelli in oro e una spilla sco-perti il 17 maggio, associandoli a uno scheletro, alcunigrani di oro e un anello ovale scoperti due mesi prima8.Nel 1876, a Micene, Schliemann ha trovato una spadain bronzo e, due mesi dopo, ha associato a questo ritro-vamento un pomello in alabastro proveniente da un con-testo stratigrafico differente.

Easton insiste sul fatto che queste associazioni men-dacee sono state compiute da Schliemann con relativabuona fede. Nel caso del tesoro R, egli pensava che sitrattasse in verità di oggetti appartenenti allo stessocontesto e nel caso della spada e del pomello di Micenela sua incapacità a ragionare in termini stratigrafici gliha fatto collegare tra di loro oggetti che dovevano esse-re tenuti staccati l�uno dall�altro.

In conclusione, non possiamo escludere che l�insiemedegli oggetti raggruppati sotto l�appellativo di «Tesorodi Priamo» appartengano in effetti a contesti diversi eche siano stati raccolti in un solo insieme dallo stessoSchliemann per impressionare il grande pubblico. Ciònon toglie nulla al fatto che in questo straordinario in-sieme di tesori vi siano moltissimi oggetti, in particola-re i gioielli, che sono stilisticamente cosí vicini e che, con

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ogni probabilità, provenivano da uno stesso contesto. Inquesto caso particolare il racconto di Schliemann che lidescrive depositati nel grande vaso di argento ha moltepossibilità di corrispondere al vero.

b. I duplicati.

Alcuni hanno avanzato l�ipotesi che un numero in-determinato di oggetti associati al tesoro di Priamo po-trebbero essere, in realtà, creazioni moderne fatte co-struire apposta dallo stesso Schliemann per ingannare ilpubblico e convincerlo del carattere spettacolare dei suoiscavi. Come ha sottolineato Easton, questa accusa, para-dossalmente, riguarderebbe oggetti di scarso valore. Per-ciò non regge a una piú attenta analisi. Infatti, qualoraSchliemann avesse voluto inserire tra i suoi ritrovamen-ti di Troia oggetti di fattura moderna, non c�è dubbioche avrebbe commissionato reperti assai spettacolari, inparticolare vasi in oro o in argento e, perché no, unosplendido depas in oro. Lo stesso si può dire a proposi-to dei ritrovamenti di Micene. Ad eccezione dellamaschera di Agamennone, sulla autenticità della quale lacritica ha espresso dubbi, tutti i falsi di cui Schliemannsi sarebbe reso responsabile riguardano oggetti che sonodavvero di scarso valore9.

In realtà, Schliemann ha tentato di gettare sul mer-cato delle antichità oggetti che voleva spacciare per og-getti troiani, ma lo ha fatto in un contesto completa-mente diverso.

All�inizio dell�estate del 1873, dopo aver scoperto iltesoro e averlo portato via in Grecia, a dispetto di tut-ti gli accordi intercorsi con il governo turco, Schlie-mann scrive in data 28 giugno a Beaurain:

Sarò certamente in grado di difendermi di fronte allacorte... dicendo che ho comperato il tesoro e che era sol-

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tanto per alimentare il mio prestigio che ho scritto che l�a-vevo trovato nel palazzo di Priamo. Ad ogni modo, hopaura e La prego di farmi sapere se c�è un orafo a Pariginel quale uno potrebbe avere piena fiducia, una fiducia taleche potrei ordinargli una copia di tutti gli oggetti.

Tra parentesi, questa lettera costituisce un argomentodi notevole peso a favore dell�autenticità delle antichitàtroiane e degli oggetti associati al «Tesoro di Priamo».Infatti, qualora Schliemann avesse conosciuto un orafoe si fosse rivolto a lui per commissionare i pezzi del teso-ro, non avrebbe di certo scritto una simile lettera aBeaurain. Non si sarebbe preoccupato di una richiestadei turchi oppure avrebbe semplicemente chiesto a quel-l�ipotetico orafo di fabbricare dei duplicati degli ogget-ti del cosiddetto tesoro.

c. Nel tesoro vi sarebbero anche oggetti comperati sulmercato delle antichità.

Nel 1888, Schliemann ha pubblicato 12 iscrizioniattiche che disse di aver scoperto vicino a casa sua in viaMouson, durante alcuni lavori di impianto di tubatureper l�acqua. Georgios Korrès, professore di archeologiapresso l�Università di Atene, ha recentemente dimo-strato che quattro di queste iscrizioni erano già note, ilche induce a pensare che Schliemann fosse solito com-perare delle antichità per poi pubblicarle, associandolea contesti archeologici diversi, in particolare collegaticon i propri scavi.

L�esame di Easton delle iscrizioni troiane pubblicateda Schliemann è tuttavia piú confortante. Easton, infat-ti, dimostra che la distribuzione delle iscrizioni a Troiae la descrizione che Schliemann fa del loro luogo diritrovamento, corrisponde in verità a quella che era laconfigurazione topografica dell�acropoli. Cosí, nel

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1870-73, nella metà occidentale della collina, sono statescoperte le epigrafi anteriori ad Augusto, mentre quel-le postaugustee provengono dalla parte orientale dellacollina.

Coloro che sostengono che Schliemann comperasse leantichità si basano anche su un episodio relativo agliscavi di Micene. Infatti, risulta che egli abbia acquistatodue gemme dai contadini del posto, facendo nascere ilsospetto che tra i reperti di Micene vi fossero ancheritrovamenti estranei alle tombe a fossa. In verità, si hala netta impressione che queste due gemme provenisse-ro davvero dagli scavi e che Schliemann le abbia spac-ciate come ritrovamenti acquistati sul mercato delle anti-chità perché non intendeva cederle alle autorità greche.

È probabilmente per questo stesso motivo che avevaassociato alle iscrizioni scoperte durante alcuni lavoricondotti vicino a casa sua le famose quattro epigrafi cheKorrès ha dimostrato provenire da altro luogo.

5. Le sorti del tesoro.

Schliemann è ormai in possesso dell�oro di Troia.Cosa farne, a chi proporlo o a chi venderlo? È inte-ressante ripercorrere le tappe che hanno preceduto laconsegna dell�oro di Priamo alla Germania e vederequali sono stati i paesi contattati da Schliemann stessoper dar loro in custodia il famoso tesoro.

La Grecia.

Il 22 giugno 1873, appena sbarcato ad Atene pro-veniente da Troia, Schliemann scrive, come abbiamovisto, a Panayotis Eustradates, per invitarlo a venire acasa sua lo stesso giorno ad ammirare il tesoro di Pria-

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mo che intende lasciare alla Grecia dopo la sua morte.Perché un tale atto di generosità nei confronti dellaGrecia?

Occorre ricordare che nel gennaio del 1873, primadi iniziare quella che lui considerava la sua ultimacampagna di scavo a Troia, Schliemann aveva chiestoal governo greco il permesso di scavare a Micene e aOlimpia.

La sua richiesta era stata respinta e lui ne rimaseprofondamente ferito come appare in una lettera del9 febbraio dello stesso 1873 spedita da Troia a Beau-rain:

Prima della mia partenza da Atene, ho fatto al governo gre-co la proposta di scavare a spese mie l�antica città di Mice-ne ed il grande circo di Olimpia, a patto che i miei ritro-vamenti rimanessero di mia proprietà fino alla mia mortee che diventassero proprietà della nazione greca dopo. Hopromesso nello stesso tempo che nel mio testamento avreilasciato 200 ooo franchi per la costruzione di un museo cheporterebbe il mio nome. Questa offerta ha tuttavia scate-nato contro di me l�invidia generale in modo tale che ilgoverno ha dovuto respingerla... Di conseguenza la vita adAtene ci disgusta e torneremo ad abitare a Parigi.

In una seconda fase, Schliemann pensò che la sua ri-chiesta avrebbe avuto piú possibilità di giungere in por-to se egli avesse offerto, senza alcuna restrizione nécondizione, tutta la sua collezione di antichità troiane.Ed è quello che fece rivolgendosi direttamente al Par-lamento greco il 21 marzo.

Questa decisione di lasciare tutta la sua collezionetroiana alla Grecia e di far costruire un «Museo Schlie-mann» traspare in molti scritti datati tra i mesi di mar-zo e di maggio 1873, già prima della scoperta del teso-ro. Ad esempio, la troviamo in una relazione di scavo

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datata 24 maggio 1873, in una lettera al figlio Sergio del30 maggio e infine in una lettera del 17 aprile a FrankCalvert.

Ovviamente, la scoperta del tesoro non lasciava piùalcun dubbio nella mente di Schliemann. Con un simi-le ritrovamento i greci sarebbero stati felicissimi di ac-cettare la sua proposta e in cambio avrebbero rilasciatotutti i permessi per effettuare degli scavi a Olimpia eanche a Micene.

Ma se il Parlamento greco diede parere favorevolealla proposta di Schliemann, il Ministero la rifiutò per-ché erano ormai in atto delle trattative con i prussiania proposito della concessione di scavo a Olimpia che fueffettivamente attribuita alla Germania. Schliemannnon lo perdonerà mai ai suoi concittadini, come traspareda una lettera spedita a Max Müller a Oxford qualcheanno dopo, il 21 dicembre del 1876, dopo la trionfalecampagna di scavo a Micene:

Se il governo prussiano non trova nulla di interessante adOlimpia, è unicamente perché vi lavorano degli stupidiignoranti. Con un terzo delle somme che il governo prus-siano ha speso, avrei scoperto delle meraviglie. Invece dicominciare a scavare ciecamente in un determinato punto,personalmente, come ho fatto nella primavera del 1874 aMicene, avrei studiato tutta la topografia del sito, cosa cheavrei fatto in due settimane. Immensi tesori d�arte, pro-babilmente anche in oro, sono nascosti a Olimpia, ma isignori che stanno a scavare lí sono troppo inesperti perfare degli scavi.

L�Italia.

Schliemann, indignato, non manca di lamentarsi pres-so vari interlocutori sparsi in tutta Europa.

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Il 19 luglio, scrive a Bianconi a Bologna: «sono feritoche abbiano osato rifiutarmi Olimpia contro la volontàsovrana della nazione greca».

Lo stesso 19 luglio afferma che si rivolgerà agli ita-liani chiedendo di fare degli scavi a Palermo o a Napoli.

Il 24 luglio, scrive a Fiorelli, direttore del serviziodelle antichità d�Italia e scavatore di Pompei:

invece del privilegio degli scavi di Olimpia e di Micene, ilministro mi ha mandato una decorazione che gli ho ritor-nata con indignazione... Mi sento sommamente offeso evoglio rompere con questo paese ingrato [la Grecia]... Pre-ferisco stabilirmi a Palermo o a Napoli.

In verità, come ricorda Pierre Amandry, lo scavato-re di Delfi, Accademico di Francia, Schliemann pensache gli italiani, per permettergli di scavare nel loro pae-se, si accontenterebbero della promessa di scavare aspese sue, di costruire un museo per ospitarvi i suoi ri-trovamenti e di lasciare museo e collezioni alla nazioneitaliana. Questo è probabilmente il motivo per cui nellalettera del 24 luglio a Fiorelli non parla affatto delle sueantichità e collezioni troiane.

I primi contatti con l�Inghilterra e la Francia.

Prima della scoperta del tesoro di Priamo, Schliemannaveva contattato le autorità dei due piú grandi museid�Europa, il British Museum e il Louvre, a proposito diun eccezionale ritrovamento fatto a Troia nel 1872.

Nella sua relazione in data 18 giugno 1872, Schlie-mann scrive:

Dopo la mia relazione del 23 del mese scorso, ho scavato,con il permesso del mi0 amico Frank Calvert, quella metà

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della collina che è di sua proprietà a patto di dividere conlui gli oggetti che avrei eventualmente scoperti10.

Durante questo scavo, è venuto alla luce un repertoche Schliemann giustamente definisce eccezionale:

... ho trovato un blocco di triglifi in marmo di Paro di seipiedi e mezzo di lunghezza, quasi 2 piedi e 10 di altezza edi circa 22 pollici di spessore ad un lato e circa 14 polliciall�altro. In mezzo vi è una scultura in alto rilievo di circa2 piedi e 10 di lunghezza e piú o meno lo stesso di altez-za, che rappresenta Apollo vestito da un lungo mantello didonna, che libera i quattro cavalli immortali che compio-no la loro corsa intorno all�universo.

Schliemann aggiunge che sopra la testa del dio si pos-sono scorgere i due terzi del disco solare dal quale spun-tano dieci raggi.

L�opera, una metopa, suscitò l�ammirazione di Schlie-mann che non esita, nella stessa relazione del 18 giugno,a definirla un capolavoro mai visto. Trattandosi di unpezzo di indubbio valore, occorre stabilirne il valorecommerciale e Schliemann avanza il prezzo di 8o sterli-ne e in base agli accordi presi con l�amico Calvert, con-segna a quest�ultimo la somma di 40 sterline. Natural-mente non intende dividere questo ritrovamento con iturchi e lo esporta clandestinamente ad Atene, espo-nendolo nella sua casa.

Di fronte a numerosi testimoni, Schliemann affermaperò che la metopa ha un valore di almeno 400 sterlinee si dice disposto a venderla a questo prezzo. La notiziagiunge alle orecchie di Frank Calvert, il quale, indigna-to, chiede che le 40 sterline che gli sono state date aTroia vengano integrate con una somma corrispondenteal reale valore commerciale del capolavoro trafugato inGrecia.

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Calvert e Schliemann erano amici; il primo ha offertoun aiuto determinante al secondo nelle sue impresetroiane; i due avevano sottoscritto un patto; in unasituazione del genere, ci si aspetterebbe quindi una certaduttilità da parte di Schliemann. Niente di tutto ciòaccadde. Schliemann si arrabbia, chiama in causa ilcarattere sacro e irreversibile di ogni transazione e s�in-digna del fatto che qualcuno possa sospettarlo di volervendere un oggetto antico:

Se avessi avuto l�intenzione di vendere il marmo, lo avreispedito a Londra o a Parigi per venderlo per conto mio mal�ho spedito ad Atene per adornare il mio giardino... per-ché io non vendo antichità; infatti, Lei può essere sicuroche colui che è in grado di spendere ogni anno per ben 5mesi, 400 franchi al giorno per realizzare il grande sognodella propria vita e scoprire Troia, non vende di certo leantichità strappate con sforzi immani alla terra di Ilio...nulla sarà mai venduto dalle mie collezioni di antichitàtroiane perché ho deciso di lasciare per testamento tuttala mia collezione alla cara nazione greca, compresi 2000franchi oro per costruire un grande museo a parte per in-stallarvi le mie collezioni.

Il tenore di questa lettera a Calvert non convincemolto. Infatti, appena tornato ad Atene, Schliemannaveva scritto sia al British Museum che al Louvre, of-frendo a entrambi di procurare loro a spese sue un cal-co della metopa. Amandry fornisce il testo della letteraindirizzata in data 12 ottobre 1872 alla Direzione delLouvre11:

Negli scavi che ho portato avanti quest�anno per 5 mesicon un totale da 12o a 150 operai e durante i quali ho sco-perto la grande torre di Ilio e le grandi mura della circon-vallazione, ho trovato piú di 1oo ooo oggetti assai curiosi

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risalenti al periodo preistorico, nonché un monumento sto-rico, un triglifo [si tratta invece di una metopa] del tempodi Lisimaco di cui Vi spedisco oggi la fotografia. Se desi-derate averne un fac-simile in gesso, sarei felice di offrir-lo al vostro museo. Questo capolavoro che ha 2 m di lun-ghezza e 86 cm di altezza è stato scoperto ad un metro diprofondità sul sito di un tempio...

La lettera di Schliemann è stata recapitata a FélixRavaisson-Mollien, conservatore delle antichità delmuseo, che ha risposto il 23 ottobre a Schliemann, ac-cettando la sua offerta. La stessa risposta positiva giun-ge anche dal British Museum.

È altamente probabile che l�offerta di un calco agliinglesi, poi ai francesi, fosse già un primo passo in vi-sta di una proposta di vendita dell�originale. In altreparole, con questa lettera cortese e «generosa» indi-rizzata contemporaneamente ai due piú grandi museid�Europa, Schliemann getta le basi per eventuali futu-ri affari.

Le proposte di vendita all�Inghilterra.

Come ricorda Pierre Amandry, l�affare viene trattatotra Schliemann, Newton e Gladstone12. Il Primo Mini-stro inglese Gladstone era interessato alla famosa «que-stione omerica», sulla quale aveva scritto sin dal 1847vari libri e articoli, ed era decisamente un sostenitoredella storicità dei poemi omerici.

In una lettera indirizzata a Charles Newton, datata26 luglio 1873, Schliemann propone di vendere la suacollezione troiana all�Inghilterra. In questa lunghissimalettera (in tutto 7 pagine), Schliemann racconta, tra l�al-tro, le circostanze della scoperta del tesoro di Priamo,«questo re mitico di una città mitica della mitica Età

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degli eroi». Poi prosegue, lamentandosi del rifiuto gre-co di concedergli il permesso di scavare a Olimpia:

Intendevo utilizzare il tesoro di Priamo come un�arma neiconfronti del governo greco ed avevo presentato una richie-sta al Parlamento greco, nella quale sollecitavo il privilegiodi scavare a mie spese sia Olimpia che Micene e promet-tendo di costruire lí un grande museo per deporvi tuttoquello che potrei scoprire, compreso il tesoro di Priamo egli altri oggetti della mia collezione troiana... in modo dalasciare tutto alla nazione greca a condizione che il museoporti il mio nome. Il Parlamento ha accolto questa mia pro-posta con grande compiacimento, ma il ministro della Pub-blica Istruzione ha improvvisamente dato il permesso discavare Olimpia al governo prussiano e mi ha offerto sol-tanto Micene ed una decorazione. Ma ho respinto ambeduele offerte con sdegno e disprezzo perché posso considerareche con la scoperta di Troia ho guadagnato la gratitudinedel mondo intero ed in particolare quella della Grecia.

E conclude:

Appare che non sono restio a vendere al suo museo la miacollezione troiana, compresa la famosa metopa di Apollo ecomprese tutte le mie iscrizioni troiane. Posso benissimoesportare le mie antichità troiane poiché le ho iscritte nelregistro della dogana. La informo confidenzialmente diquesta mia volontà di vendere la mia collezione perchél�importazione di questi oggetti ed in particolare del teso-ro di Priamo ha attirato a casa mia una grande folla dicuriosi e non vorrei perdere l�amicizia di questa buonagente prima che il tempo non l�abbia indebolita.

Il 5 agosto del 1873, Newton invia a Gladstone unacopia della lettera che Schliemann gli aveva spedita il 26luglio. Il 18 agosto, Newton risponde a Schliemann per

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dirgli che le sue ricerche hanno suscitato grande in-teresse presso Gladstone e che rimane solo il problemadel prezzo della vendita della collezione:

A proposito della sua proposta di vendere la sua collezio-ne, debbo prima di tutto saperne il prezzo ed in secondoluogo debbo vedere la collezione. Nel frattempo, vorrei sug-gerirLe di mandarmi delle fotografie dei principali oggettiche potrei far vedere al signor Gladstone. Se Lei desiderache il Museo Britannico compri la sua collezione, la cosa digran lunga migliore sarebbe di mandarla qui in Inghilter-ra... Lei sa probabilmente che il governo ha appena paga-to 27 000 sterline per la Collezione Castellani, il che ren-derà difficile il reperimento di altre somme per il momen-to ma forse, se le antichità fossero qui, esposte al pubbli-co, potremmo aprire una sottoscrizione per venderle.

Schliemann risponde immediatamente in data 4 set-tembre, e manda fotografie e piante. Alla domanda diNewton, risponde:

Lei mi chiede il prezzo della mia collezione. Penso che val-ga, includendo la metopa con Apollo e i quattro cavalli delsole, 50 000 sterline perché si tratta di una collezioneunica al mondo e né nel suo museo, né in nessuno altromuseo al mondo Lei troverà qualcosa che somiglia a que-ste antichità troiane... Mandare la collezione a Londra èfuori questione perché è molto grande e conta variemigliaia di cose interessanti. Non ho bisogno di denaro: sela collezione conviene al suo museo, Lei mi può pagare in5 anni. Ma naturalmente Lei ha bisogno prima di vederlae di esaminarla attentamente.

Alla fine della lettera, Schliemann chiede di nuovoche le trattative rimangano confidenziali e che le foto-grafie siano mostrate soltanto a Gladstone.

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Il 13 ottobre 1873, Gladstone passa la serata conNewton ed esamina le fotografie e il materiale speditoda Schliemann.

Il 21 ottobre, Newton scrive a Schliemann tra-smettendogli i ringraziamenti del Primo Ministro eaggiungendo:

Per quanto concerne la sua proposta di vendere le anti-chità, non posso dire niente al momento finché non le avròpersonalmente esaminate, cosa che spero di fare duranteuna mia visita ad Atene quest�inverno... Spero di essere adAtene nel corso di dicembre poiché ho altri lavori in corso.Il suo prezzo di 50 000 sterline mi pare sproporzionatorispetto al valore della collezione da quanto posso giudicaresulla base delle fotografie.

Newton si reca ad Atene intorno al 2o dicembre. Lavigilia di Natale, è invitato a cena da Schliemann. Il 27dicembre Schliemann recapita una lettera per Newtonall�Albergo d�Inghilterra dove l�inglese è sceso. Nella let-tera, Schliemann, tra l�altro, confessa che Sofia non eraaccanto a lui al momento della scoperta del tesoro, con-trariamente a quanto aveva scritto fino ad allora e stavaper ribadire nel libro che sarebbe uscito due mesi dopo.In questa stessa lettera, Schliemann si lamenta ancheaspramente dell�ostilità dei «Professori greci» nei suoiconfronti:

I Professori greci tentano in ogni modo di sottovalutare iltesoro di Troia... perché sono ansiosi di vederlo rimanerein Grecia ed hanno paura che Lei possa portarlo via. Mala verità verrà a galla. Sono ora deciso ad esporlo a Napo-li o a Parigi se riesco ad avere il permesso di piazzarlo nellastanza principale di qualche museo o in qualche altro postoperfettamente sicuro.

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Tra il 1874 e il 1877 Newton e Schliemann conti-nueranno a corrispondere ma nelle loro lettere non tro-veremo più alcun riferimento alla vendita della colle-zione troiana all�Inghilterra. È probabile che nel corsodella sua visita ad Atene, Newton abbia definitivamentescartato ogni possibilità di comprare l�oro di Troia.

Le proposte di vendita alla Francia.

Mentre Schliemann contattava Newton per propor-re la sua collezione all�Inghilterra, Emile Burnouf, di-rettore della scuola archeologica francese di Atene,amico e collaboratore di Schliemann nella Troade, scri-veva in data 1 agosto 1873 al ministro della PubblicaIstruzione, dei Culti e delle Belle Arti di Francia:

Esiste in questo momento ad Atene una collezione unica,che possiamo definire imparagonabile, di oggetti antichiche è possibile acquistare a condizioni da definire.Voglio parlare di antichità rinvenute nella Troade dalDott. Schliemann e di cui il mondo scientifico cominciaa preoccuparsi. Questa collezione proviene tutta dallacollina di Hissarlik che tutto lascia pensare coincida conl�Ilio omerica. Il Signor Schliemann l�ha scavata in granparte e a caro prezzo...La collezione contiene piú di 15 ooo oggetti che possonoessere suddivisi in varie sezioni.1. I piú recenti sono iscrizioni, molte delle quali hanno unvalore storico... o sculture di cui la piú importante è unametopa... rappresentante Apollo con i suoi cavalli...2. La serie troiana vera e propria, la cui abbondanza è taleda costituire da sola un intero museo...Nel momento in cui stava per lasciare il suolo di Troia, ilSignor Schliemann ha portato alla luce un tesoro di ine-stimabile valore, di cui le mando il dettaglio; si tratta

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soprattutto di vasi e gioielli di donna in oro puro, inargento puro o in elettro, il tutto ben conservato. Questioggetti appartenevano ad un ricco signore dei tempi eroi-ci; a giudicare dal loro luogo di ritrovamento, sono pro-babilmente caduti dalle mani di una persona che le por-tava via e che morí fuggendo... Tutta questa collezionerappresenta un periodo della storia della razza ariana sullaquale non abbiamo altri documenti se non quelli omerici.Occorre addirittura osservare che Omero è venuto piútardi e che gli oggetti rinvenuti rispecchiano piú che la suapoesia il vero periodo dei tempi eroici. Non esiste nulladi simile in nessun museo d�Europa. Il signor Schliemannpensava di conservare la sua collezione ad Atene e di faredegli scavi ad Olimpia e a Micene. In questo senso avevafatto delle proposte disinteressate che erano state accoltecon entusiasmo dal Parlamento greco. Ma il Ministero, difronte ad intrighi prussiani, ha sollevato delle difficoltà inseguito alle quali il Signor Schliemann mi ha comunicatola sua intenzione di vendere il suo museo troiano e di con-sacrare il prodotto di questa vendita al finanziamento discavi in Sicilia.Solo la Francia, l�Inghilterra o la Germania possono acqui-stare questa collezione. Il Signor Schliemann, che è citta-dino americano e proprietario a Parigi, detesta i tedeschie non vorrebbe vedere la sua collezione prendere la stra-da di Berlino malgrado le proposte che già gli sono statefatte. Sono convinto che l�Inghilterra non esiterebbe adacquistare questa collezione se sapesse che la cosa è fatti-bile. Considero che sarebbe di un immenso interesse perla scienza, per il nostro onore e per lo sviluppo degli studiscientifici nel nostro paese che il museo troiano sia acqui-stato dalla Francia, anche al prezzo di un grande sacrificio;non ho dubbi che il ministro che negozierebbe questoacquisto ne trarrebbe il piú grande onore. È difficile direquanto valga la collezione Schliemann perché non si trat-ta qui di un semplice valore materiale; tuttavia, osservan-

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do il prezzo pagato recentemente per oggetti antichi di unvalore infinitamente inferiore e considerando da una parteil numero immenso degli oggetti e dall�altra la loro anti-chità e che infine la collezione è unica e lo sarà forse persempre, non credo che la si possa stimare a molto meno diun milione di franchi. Penso che a questo prezzo la sua pre-senza a Parigi sarebbe un buon affare: infatti frutterebbealla Francia molto piú di 50 ooo franchi all�anno, senzacontare l�onore ed il progresso scientifico. Credo sia urgen-te, signor Ministro, che Lei esamini la proposta, che pren-da confidenzialmente il parere di due o tre personecompetenti e che adotti sull�argomento una risoluzioneprovvisoria. Sono, naturalmente, a sua disposizione perintraprendere i primi passi ma occorrerebbe che sia affian-cato da due o tre persone per esaminare la collezione damolto vicino e trasmetterLe una relazione circostanziata eprecisa... È importantissimo preparare questo affare senzaclamore fino al giorno in cui una proposta verrà fatta alParlamento perché i tedeschi ci fanno qui una guerra spie-tata e gli inglesi farebbero qualunque cosa per assicurarsila collezione Schliemann.

In allegato alla sua lettera, Burnouf acclude un in-ventario del tesoro in sette pagine, redatto dallo stessoSchliemann, che lascia chiaramente intendere come que-st�ultimo fosse al corrente dei passi compiuti da Bur-nouf. Amandry fa notare che la stima di un milione difranchi, presentata come un�idea di Burnouf, è statasenza alcun dubbio concordata a titolo indicativo du-rante una conversazione tra Burnouf stesso e Schlie-mann. Infatti, in una lettera ai suoi fratelli e sorelle del19 luglio 1873, Schliemann valuta il tesoro «ad oltre unmilione di franchi».

Quindi Schliemann ha proposto l�affare, contempo-raneamente, agli inglesi e ai francesi.

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Ravaisson al quale il Ministero ha comunicato la let-tera di Burnouf risponde in data 8 settembre:

Sono pronto a credere... che le antichità troiane scopertedal signor Schliemann sono di grandissimo valore e chesarebbe assai auspicabile che la Francia le potesse acqui-stare. Credo che sarebbe opportuno indirizzare una primarisposta, abbastanza favorevole, per permettere a Burnoufdi ingaggiare provvisoriamente alcune negoziazioni. Lacosa essendo molto urgente, in presenza della concorren-za probabile di governi stranieri e cinque settimane essen-do oramai trascorse da quando Burnouf ha scritto, sareb-be opportuno, sempre secondo il mio parere, che la rispo-sta gli sia fatta telegraficamente.Il signor Schliemann desideroso, come sembra, di trattarecon la Francia piuttosto che con qualunque altra potenza,aspetterebbe senza dubbio il seguito di questa prima nego-ziazione...

Un collaboratore del ministro scrive in testa a questalettera in data 30 settembre:

Vedere il relatore del bilancio delle Belle Arti (M. Bar-doux) e domandargli di intrattenere la Commissione diquesto affare, spingendola a prendere l�iniziativa in Par-lamento.

Facendo seguire alla lettera questa annotazione, il di-rettore delle Belle Arti scriveva in data 2 ottobre al si-gnor Bardoux, relatore del bilancio delle Belle Arti che:

l�affare è di una importanza sulla quale non ho bisogno diinsistere e sarebbe per la Francia una vera umiliazionevedere questa mirabile collezione passare nelle mani deitedeschi oppure degli inglesi. Ma allo stato attuale dellecose, di fronte alla spesa considerevole che causerebbe

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questo acquisto, mi trovo persino nella impossibilità di pro-porre l�invio ad Atene di eruditi competenti in grado di fis-sare il prezzo di mercato a meno che non ci sia data la spe-ranza di vedere l�Assemblea Nazionale darci la sommastraordinaria di cui avremmo bisogno. Prima di ingaggiarequalunque negoziazione sottopongo quindi l�affare al suoesame e La prego di parlarne al piú presto con i suoi colle-ghi della Commissione di bilancio affinché decidano se nonsarebbe il caso di prendere l�iniziativa presso l�Assemblea.

La risposta del signor Bardoux non è molto inco-raggiante:

Potrò soltanto intrattenere i miei colleghi della Commissio-ne del bilancio tra tre settimane. Se il Governo non pren-de l�iniziativa, sarà difficile... ottenere un voto favorevole.

Il 18 ottobre, Schliemann pregava Burnouf di far co-noscere le sue condizioni al governo francese:

Accetterò per l�insieme della mia collezione troiana,compreso il tesoro di Priamo, la bella metopa di Apollo,metopa che da sola vale 1oo ooo franchi [ricordiamo che1oo ooo franchi di allora rappresentavano 4000 sterline;Schliemann aveva convinto il povero Calvert a cedergli ilpezzo per sole 40 sterline!], tutte le mie iscrizioni grechedi Ilio, ecc., la somma di un milione.

Il 24 dicembre, Burnouf scriveva al ministro dellaPubblica Istruzione:

Qualche tempo fa, scrissi al signor Batrie [era il ministrodella Pubblica Istruzione, al cui posto era stato ora nomi-nato il signor Fourtou] una lettera nella quale segnalavol�interesse che il Louvre avrebbe avuto a comprare la col-lezione troiana del signor Schliemann... Da allora, ho

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segnalato gli sforzi compiuti dall�Inghilterra per acquista-re la collezione troiana e l�arrivo ad Atene del signor New-ton. Il signor Newton è qui da due giorni. Ho già avutooccasione di intrattenermi due volte con lui su questo ar-gomento e di conoscere l�impressione ricavata dalla suavisita a casa di Schliemann. Se Parigi pensa sempre adacquistare la collezione, debbo dirLe che è urgentissimomandare qui le due persone richieste e che sono pronte apartire perché il signor Newton non dà agli oggetti troia-ni meno importanza di quella rivolta a suo tempo aglioggetti assiri e farà grandi sacrifici per assicurarne la pro-prietà all�Inghilterra.

Il 15 gennaio, prima di ricevere qualunque risposta,Burnouf indirizzava una ulteriore lettera che dava alGoverno francese elementi assai precisi circa la cessio-ne della collezione da parte di Schliemann:

... ho visto il signor Schliemann e gli ho chiesto di fissarelui stesso le condizioni di vendita le piú basse che si pos-sano fare. Mi ha risposto che essendo cittadino americanoe proprietario a Parigi, dove pensa di vivere un giorno,abbasserebbe il prezzo per la Francia piú che per qualun-que altra nazione. Ecco quello che mi ha incaricato di pro-porVi...: Il prezzo sarà di 6oo ooo franchi (invece delmilione che chiede all�Inghilterra). Questa somma saràversata in 4 annualità di 150 000 franchi nel gennaio 1875,1876, 1877 e 1878. Non vi saranno interessi.Inoltre il signor Schliemann si incarica a proprie spese del-l�imballaggio, del trasporto e di qualunque riparazione sa-rebbe necessario fare a Parigi dove si recherà lui stesso coni suoi operai. Cosí i pezzi della collezione potranno esseredirettamente depositati al Louvre.La collezione comprende non soltanto gli oggetti di alta an-tichità con il tesoro dei re troiani, ma anche la bella meto-pa del tempio di Apollo valutata da 3o a 40 000 franchi

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ed inoltre le iscrizioni di alto interesse storico riportatedalla Troade. L�importanza per la Scienza della collezionetroiana è cosí considerevole che il sacrificio richiesto peril suo acquisto sembra minimo. La Francia è certamente ingrado di pagare 150 ooo franchi durante quattro annisenza impoverirsi...

In definitiva la somma richiesta alla Francia corri-sponde a meno della metà della somma sollecitata agliinglesi (50 000 sterline agli inglesi, 6oo ooo franchi, ov-vero 24 000 sterline, alla Francia). Questo sconto èverosimilmente dovuto alla rottura delle trattative conNewton. Schliemann, desideroso di vendere al più pre-sto la sua collezione, non esita a scontarne il prezzo.

Ma, come nota Amandry, accanto alla via ufficiale,Schliemann percorre anche una via ufficiosa pur di giun-gere al piú presto a un accordo con la Francia. Durantequesto periodo, infatti, intrattiene una fitta cor-rispondenza con Eugène Piot, un ricco collezionista,viaggiatore e appassionato di arte. La corrispondenza traPiot e Schliemann è conservata all�Institut de France edè stata oggetto di una parziale pubblicazione da parte diO. Masson13.

Schliemann ha scritto circa trenta lettere a Piot, laprima in data 31 dicembre 1873, l�ultima nel 1881. Inun�altra lettera del 22 gennaio 1874, Schliemann scrive:«Il mio amore per la Francia e soprattutto per Parigidove abito, mi spinge a fare un enorme sacrificio a favo-re del museo del Louvre». Piot come del resto altre per-sonalità francesi, tra cui François Lenormant, sono pagateda Schliemann per diffondere i suoi scritti e redigere arti-coli che celebrino la sua gloria ed esaltino le sue ricerche.

Il tasto battuto per tentare di convincere le autoritàfrancesi a comprare la collezione è sempre lo stesso: sitratta di oggetti unici al mondo, che per di più pro-vengono da Troia, «una parola che appena sentita fa fre-

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mere tutti i cuori» e porteranno a Parigi ogni annomilioni di visitatori «che verranno da tutte le parti delmondo per vedere questa collezione unica».

Il direttore delle Belle Arti, il signor de Chenneviè-res, scriveva, il 3 febbraio 1874, una nota per il mini-stro, nella quale ribadiva l�importanza della collezionedi Schliemann. Inoltre, aggiungeva che l�acquisizione sidovrebbe fare sulla base della concessione di una sommastraordinaria simile a quelle che l�Imperatore avevaaccordato per comprare Murillo, Antonello da Messinae che la Camera dei deputati stessa aveva concessa peracquistare le medaglie del signor de Saulcy o l�affrescodi Mogliano.

Quando si venne a sapere che il bilancio non sareb-be stato votato prima di giugno, Schliemann decise dispostare la data di un viaggio progettato a Napoli e diiniziare gli scavi a Micene.

A marzo, di ritorno da Micene, Schliemann impa-ziente chiede a Burnouf se non sia opportuno rivolger-si direttamente al ministro. Purtroppo, il 7 marzo, il mi-nistro delle Finanze fa sapere al collega della PubblicaIstruzione che la Camera, di fronte alle difficoltà fi-nanziarie del paese, non potrà votare la concessione diuna somma di 6oo ooo franchi per l�acquisizione dellacollezione troiana. Invece, aggiunge, qualora il ministrotragga questa somma dai fondi normalmente concessialla Pubblica Istruzione e alle Belle Arti, non vi sareb-be nessuna obiezione da parte del governo.

Il 22 aprile 1874, il ministro della Pubblica Istruzionecomunicava a Burnouf la risposta del collega delle Finan-ze. Le trattative iniziate il 1° agosto 1873 si chiudeva-no con un nulla di fatto. Il tesoro di Priamo non sareb-be stato venduto al Louvre.

Ma la saga del tesoro di Priamo era appena al suoprimo capitolo.

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Il 23 aprile, prima di ricevere la risposta negativa daparte dei francesi, Schliemann annullava egli stesso laproposta di vendita. Scriveva infatti a Piot:

Con immenso dispiacere debbo dirLe che sono nella spia-cevole necessità di pregare il signor Burnouf di scrivereoggi al ministro Fourtou che ritiro totalmente la mia pro-posta di vendita e che il progetto di acquisto da partedella Francia non può essere in alcun caso sottoposto allaCamera. Il governo turco ha mandato qui un impiegato perportarmi via la metà della mia collezione. Siccome non hovoluto consegnarla, si è rivolto ai tribunali che hannorespinto la richiesta di porre la mia collezione sotto seque-stro... Credo che i turchi riprenderanno i loro attacchi con-tro di me davanti ai tribunali... Quando sarò sbarazzatodalle loro assurde pretese.... potremo di nuovo vendere lacollezione troiana alla Francia.

Schliemann ha paura e teme davvero di essere co-stretto a dividere la sua collezione. Perciò va a trovareBurnouf e propone di regalare tutto alla Francia. Indata 3o aprile 1874, il marchese de Gabriac, ministro diFrancia ad Atene, scrive al duca Decazes, ministro degliAffari Esteri:

Il signor Burnouf, direttore della scuola francese, è venu-to a trovarmi questa mattina accompagnato dal signorSchliemann... Il signor Schliemann mi ha annunciato cheaveva intenzione di donare alla Francia i tesori archeolo-gici che ha recentemente scoperti e mi ha consegnato unalettera in proposito indirizzata al ministro della PubblicaIstruzione... Queste collezioni sono riunite ad Atene maquesti signori non mi hanno nascosto che il governo otto-mano faceva in questo momento grossi sforzi presso i tri-bunali greci per impadronirsi del frutto di queste ricerchee portarle a Costantinopoli in tutto o in parte... Il signor

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Schliemann non vuole sentire parlare di una divisione conil governo turco. Pretende che sarebbe togliere qualsiasiimportanza alla collezione... Vuole darcela per intero, con-vinto che la Francia è la sola a poterla apprezzare degna-mente e farla conoscere... Il signor Schliemann desidere-rebbe che Ella mi autorizzasse a dichiarare che la sua col-lezione, in virtú dell�atto di donazione rinchiuso nella sualettera, è diventata una proprietà francese e mi autoriz-zasse cosí a porre i sigilli della Legazione sulle casse che ciconsegnerebbe immediatamente.

La proposta di donazione alla Francia ha quindi unoscopo precisissimo. Preso dal panico di vedere la sua col-lezione smembrata, Schliemann si rivolge a Burnouf e,tentando di farla diventare «proprietà della Francia»,spera di dribblare definitivamente i turchi.

Il marchese aggiunge un postscriptum che spiega per-fettamente queste cose:

Debbo comunicare a Vostra Eccellenza informazioni chemi sono state date dal signor Schliemann e che spieghe-ranno forse i motivi che lo determinano ad abbandonarcila sua preziosa collezione. Il signor Schliemann è di origi-ne tedesca; dopo una vita assai avventurosa è riuscito acostruire una fortuna considerevole e si è fatto naturaliz-zare americano. Sarebbe quindi felicissimo, da una parte,di ottenere la protezione della Francia per conservare la suacollezione minacciata oggi dalle rivendicazioni della Tur-chia e, dall�altra, acquistare un titolo alla nostra simpatianazionale ed, in seguito, una specie di cittadinanza fran-cese. Sono motivi certamente rispettabilissimi ma di cui hocreduto dover informare Vostra Eccellenza.

Il 3 maggio, tre giorni dopo la visita di Schliemann edi Burnouf al ministro di Francia, senza aspettare la rispo-sta ufficiale della Francia, Burnouf propone a Schlie-

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mann di deporre il «tesoro di Priamo» presso la sededella scuola archeologica francese di Atene. Non sap-piamo quanto tempo il prezioso bottino rimase presso lascuola, ma non è escluso che sia stato durante l�interadurata del processo.

Schliemann ha fretta. L�accettazione dalla Francianon è ancora giunta in data 11 maggio ed egli stessoimpaziente scrive un telegramma al ministro della Pub-blica Istruzione francese:

Come Ambasciatore Gabriac Le ha spiegato, mia colle-zione troiana era in immenso pericolo e facevo donazionealla Francia per salvarla. Gabriac mi aveva assicurato suaaccettazione per 7 maggio. Accettazione non essendo arri-vata entro 11 maggio, ho dovuto per salvare la mia colle-zione prendere con governo greco solenne impegno chenon lascerebbe mai Atene, che costruivo qui museo perospitarla. La donazione è quindi annullata.

La causa di fronte ai tribunali greci si protrae fino almese di aprile del 1875. Finalmente il 13 aprile, i turchisi rassegnano a firmare un compromesso con Schliemann.Il ministro della Turchia ad Atene, Photidas Bey, certifi-ca di aver ricevuto da Schliemann una tratta di 30 ooofranchi su Emile Erlanger a Parigi, pagabile in tre anni,un assegno di 16 ooo dracme sulla Banca Nazionale diGrecia e 6ooo dracme in contanti. La Turchia da partesua rinunciava alla procedura intrapresa per il recuperodelle antichità scoperte a Hissarlik e il sequestro dei beniimmobili e degli averi di Schliemann. Da questo momen-to Schliemann ha il pieno possesso delle antichità troiane.

Burnouf immediatamente, con lettera datata 15 apri-le 1875, informa il ministro della Pubblica Istruzione.Il direttore della scuola archeologica francese nutre sem-pre il desiderio di vedere la collezione troiana raggiun-gere la Francia.

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Ma Schliemann è tornato padrone della situazione.Non si tratta piú di fare una donazione alla Grecia o al-la Francia, semmai di vendere il prodotto dei suoi scavi.

Nel mese di maggio, Schliemann è a Parigi e reiterala sua proposta di vendita alla Francia. Il nuovo mini-stro della Pubblica Istruzione, signor Wallon, non rea-gisce ed è uno Schliemann arrabbiato che scrive da Lon-dra a Piot in data 18 luglio:

Finora non ho ricevuto alcuna risposta dal ministro e credoche non me ne darà nessuna perché da una parte non saapprezzare le antichità troiane e, dall�altra, non mi puòperdonare di essere nato nel Mecklemburgo, benché abbiapiú di una volta dimostrato il mio amore per la Francia.

Le proposte di vendita alla Russia.

Di queste proposte parleremo in seguito, anche se valela pena sottolineare che nel momento in cui Schliemannle avanzava, la promessa di cedere l�intera collezione allaGermania era già stata data a Rudolf Virchow. Mentre icolloqui con i tedeschi erano a buon punto, Schliemanncontattò il barone N. K. Bogusevskij, un membro dellaSocietà archeologica russa e un collezionista appassiona-to di lettere e autografi di personaggi famosi. Bogusevskij,come sottolinea Traill, è in realtà piú interessato ad averelettere e autografi da parte di Schliemann che non adavviare l�acquisizione della collezione troiana14: tira per lelunghe, dicendo che le autorità museali sono estrema-mente interessate ma hanno bisogno di maggiori dettagliprima di fare una proposta concreta. In una lettera del 15gennaio 188o, Schliemann esplode:

Come è possibile chiedere il peso dei gioielli di Troia?...L�intera collezione sta nel museo di South Kensington, lad-

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dove ognuno può ammirarla... Nella mia lettera di aprile,ho chiesto l�ottava parte del valore della collezione, sol-tanto perché speravo di farmi degli amici in Russia grazieal prezzo basso proposto e perché hanno bisogno di unuomo come me per arricchire le loro collezioni e trovarealtre città di Troia in Russia. Di fronte all�impegno presodavanti ad un banchiere londinese, non avrei obiezioni adare l�insieme della mia collezione al museo [dell�Ermita-ge] per il prezzo richiesto e di dilazionare il pagamento sucinque anni, con un interesse annuo del solo cinque percento.

Nel mese di marzo, Schliemann scrisse una lunga let-tera a un ufficiale russo, descrivendo i suoi scavi e la suacollezione troiana:

Dall�Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania, dall�Au-stria, da tutti i paesi, mi fanno delle offerte per acquista-re la mia bella collezione. Ma rispondo sempre che non èin vendita. Se tuttavia la Russia desiderasse acquistarla,accetterei di vendergliela perché amo la Russia piú di qua-lunque altra nazione. Ho passato lí i vent�anni piú felicidella mia vita ed i ricordi piú dolci mi legano a questopaese; inoltre, nutro la speranza che si avrà bisogno dellemie collezioni per l�Ermitage e di me per portare alla lucele antiche città sepolte nel Sud della Russia.

Schliemann non esita quindi ad affermare a greci,inglesi, francesi e russi che di tutte le nazioni della ter-ra quella che preferisce è rispettivamente la Grecia, l�In-ghilterra, la Francia e la Russia.

Nel marzo dello stesso anno, uno studioso di San Pie-troburgo, Ludolph Stephani, mise fine a questa pas-sione di Schliemann per la Russia. Infatti, pubblicò unarticolo il cui tenore mirava ad abbassare di almeno mil-lecinquecento anni la cronologia proposta per le tombe

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a fossa di Micene. Stephani, tra l�altro, affermava chela farfalla che si trovava sui dischetti di oro della tombaIII era un motivo iconografico tardo, non anteriore alperiodo ellenistico.

I tentativi di vendere la collezione troiana in Russiahanno, beninteso, come scopo di racimolare una con-siderevole somma di denaro ma non solo. Vedremo piùavanti interessanti particolari a questo proposito.

La donazione alla Germania.

Nel 1879, Rudolf Virchow si trovava a Hissarlik.Presidente della Società Antropologica di Berlino, edi-tore di due riviste scientifiche, professore di patologiaalla facoltà di medicina dell�Università di Berlino emembro del Parlamento prussiano, Virchow è un uomoche conta. La figura di questo grande cattedraticocalmo, metodico, pieno di tatto, logico, indifferente aldenaro e alla gloria, interessato a tutto quello che lo cir-conda, contrasta profondamente con quella di Schlie-mann. Possiamo dire che i due personaggi sono dav-vero agli antipodi l�uno rispetto all�altro. Ciono-nostante, o forse proprio per questo, nasce tra loro unacerta amicizia.

La leggenda raccontata da Schliemann vuole che i duesi trovassero a fare una escursione lungo le rive delloScamandro. Giunti ai piedi del monte Ida, Schliemannera stranamente silenzioso, immerso nei suoi pensieri e,quando Virchow gli domandò cosa avesse, rispose bru-scamente che rifletteva su tante cose e che non conve-niva domandargli di parlarne.

Poco dopo, mentre riposavano all�ombra di un pru-no, Virchow chiese di nuovo a Schliemann che cosa lotormentava. L�archeologo mercante rispose di esserepreoccupato per ciò che sarebbe avvenuto al tesoro do-

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po la sua morte. Virchow allora colse un ramo di prunoin fiore, lo porse a Schliemann dicendo: «Un omaggiodi Ankershagen».

Virchow notò l�improvviso cambiamento sul voltodell�amico: era come se si fosse liberato di un grandepeso. «Sí, un omaggio di Ankershagen» ripeté Schlie-mann tornato sereno.

La decisione di cedere l�oro di Troia alla Germaniasarebbe quindi nata durante una escursione in compagniadi un grande intellettuale tedesco, uno di quei personaggiche a lungo avevano fatto sognare Schliemann e di cuilui aveva tentato di essere l�emulo per tutta la vita.

La storia è leggermente diversa ma, in questo casoalmeno, leggenda e storia sembrano davvero confon-dersi.

Nel gennaio del 1879, Schliemann è oggetto di nu-merosi attacchi, in particolare da parte di A. S. Murraydel British Museum, che contesta il resoconto dei suoiscavi di Micene. Come sempre, Schliemann reagisce convigore, tentando in tutti modi di mettere a tacere l�ar-dito contestatore delle sue teorie.

Nello stesso mese riceve una lettera da Rudolf Vir-chow. Schliemann conosceva il professore perché si era-no incontrati nel 1875 e Schliemann lo aveva invitato apartecipare, «nell�interesse della scienza», ai suoi scavidi Micene. Troppo impegnato, Virchow aveva declinatol�invito. Tuttavia, sensibile alle scoperte di Schliemann,il professore decide di rendere omaggio alla sua tenacia,e nel settembre del 1877, lo fa nominare membro ono-rario della società antropologica tedesca. La gioia diSchliemann è immensa.

Ora la lettera di Virchow annunciava che avrebbeassistito alla campagna di scavo del 1879 a Troia. E in-fatti, all�inizio di aprile 1879, Virchow arriva a Hissarlikin compagnia di Emile Burnouf.

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Appare chiaro dai racconti di Schliemann e di Vir-chow che tra i due tedeschi si stabilisce subito un rap-porto di sincera amicizia. Questi due uomini cosí diversihanno qualcosa in comune: ambedue provengono dauna famiglia modesta ed è a caro prezzo che si sono gua-dagnati una posizione prestigiosa nella società.

Durante la primavera del 1879, intraprendono ef-fettivamente una lunga ed estenuante escursione a cavallonella Troade (dal racconto di Virchow risulta che rima-sero ben 14 ore in sella), in particolare sulle pendici delmonte Ida. Schliemann fu profondamente meravigliatodalla resistenza di Virchow e gli disse: «Non avrei mai cre-duto che Lei fosse capace di tanto. Lei è il primo profes-sore tedesco ad aver fatto una cosa del genere qui».

Dopo il soggiorno a Troia, Virchow parte per Atenedove si ferma a casa Schliemann, ospite di Sofia che nonha partecipato alle campagne di scavo del 1878 e del1879 a causa della sua recente maternità. AgamennoneSchliemann infatti è nato nel marzo del 1878 e la madrerifiuta di lasciarlo per recarsi a Troia.

La salute della moglie di Schliemann desta alcunepreoccupazioni e su richiesta di Heinrich, Virchow ap-profitta del soggiorno ad Atene per visitarla. Il pro-fessore la trova in discrete condizioni, ma consigliaSchliemann di accompagnarla a fare una cura alle acquetermali di Bad Kissingen in Germania.

Gli Schliemann si recano nel luglio del 1879 nellacittà termale dove incontrano il Cancelliere Bismarck.Il 22 luglio Bismarck invita Schliemann a cena. I dueparlano degli scavi di Troia e di Micene e Schliemannmanda una copia del suo libro Mycènes in omaggio al suoprestigioso interlocutore. Il Cancelliere osservò che ledimensioni dei grandi pithoi rinvenuti nella città di Aga-mennone dimostravano che quel popolo possedeva unalto grado di civiltà poiché vasi del genere non potevanodi certo essere facili a realizzare, né, a fortiori, a cuoce-

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re. Schliemann fu attento a far immortalare questa anno-tazione nel suo libro Ilios.

All�inizio del mese di settembre, prima di illustrareall�amico Virchow le antichità troiane esposte a Londra,Schliemann ha ormai deciso di lasciare per testamentol�intera sua collezione alla Germania. Ordina al suonotaio a Parigi di cambiare il proprio testamento e lostesso giorno scrive a Virchow: «Lei mi ha riconciliatocon la Germania. Come risultato, la Germania riceveràper testamento un lascito notevole. Nessuno se non Vir-chow avrebbe potuto ottenere questo risultato».

Il 20 settembre 1880, mentre Sofia era in vacanza aBoulogne, Agamennone si ammala gravemente. Schlie-mann accorre al capezzale del bambino; si rende contodella gravità della situazione e di fronte alle tergiversa-zioni dei medici francesi, telegrafa a Virchow, pregan-dolo di venire a visitare il piccolo. Il professore si pre-cipita e salva il bambino. Schliemann mandò un te-legramma alla moglie di Virchow dicendo del marito:«Ha salvato il piccolo Agamennone. Senza di lui, ilbambino sarebbe morto».

Non c�è dubbio che l�interesse dimostrato da Bi-smarck per la scoperta di Troia e per il ritrovamentodelle tombe a fossa di Micene aveva portato Schlie-mann a cambiare opinione sulla Germania. A questointeresse del Cancelliere, ecco che ora si aggiungono l�a-micizia e la gratitudine che ormai il mercante archeologonutre per Virchow. Crediamo che non ci volesse di piúper spingere questo carattere passionale a cambiare opi-nione sulla Germania e sui tedeschi.

Verso la fine del 188o, Schliemann fa un ulteriorepasso verso la sua patria di origine. Il 21 dicembre, in-fatti, scrive a Virchow:

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In tutta confidenza, Le comunico che intendo dare la miacollezione troiana al museo di Berlino un anno o due almassimo dopo la pubblicazione del mio libro e a condizioneche le stanze dove verrà esposta siano attraenti e adatteagli oggetti e a patto che portino il mio nome. Queste con-dizioni dovranno essere garantite da un atto del Parla-mento prussiano. Questa mia decisione deve rimanereassolutamente confidenziale perché potrebbe recarmi deidanni in Inghilterra,

dove, ricordiamolo, dal 1877, era esposto il tesoro.Il 27 dicembre, Virchow rispondeva:

Ho comunicato al Direttore del museo, Schöne, il suo se-greto circa la donazione della collezione. Poiché stiamo percostruire un nuovo museo antropologico ed etnografico, ilsuo desiderio di disporre di stanze speciali per la collezio-ne è perfettamente realizzabile.

La cosa sembra ormai fatta e la collezione troiana diSchliemann destinata a raggiungere la Germania.

Ma un incidente apparentemente insignificante vie-ne a turbare la bella armonia che regna tra Schliemanne Virchow. A poco meno di 5 km dalla fattoria di Cal-vert nella Troade, sorge una collina chiamata HanaiTepe. Nel 1878 Calvert inizia lo scavo di questa colli-netta con operai pagati da Schliemann. I due hanno sot-toscritto un patto secondo il quale le antichità scoperteverranno divise tra Calvert e Schliemann.

Gli scavi portarono alla luce alcuni scheletri e null�al-tro di particolarmente prezioso. Calvert mandò i repertiche gli spettavano a Virchow.

Il 2 marzo 188o, Calvert scrive a Schliemann che Vir-chow sta preparando una pubblicazione di Hanai Tepee aggiunge con un pizzico di perfidia: «Lei è l�unico apoter giudicare se queste sue intenzioni entrino in con-

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flitto con la sua prossima pubblicazione [si tratta diIlios]».

Schliemann furibondo manda immediatamente (l�8marzo) un telegramma a Virchow dicendo: «Non pub-blichi niente su Hanai Tepe. Una sua pubblicazioneporrebbe fine alla nostra amicizia ed al mio amore perla Germania».

Questa reazione passionale dimostra, se ve ne fossebisogno, che il riavvicinamento con la Germania è ingran parte il frutto delle relazioni personali che si sonocreate tra Schliemann e Virchow. Dimostra anche cheSchliemann era terribilmente prepotente poiché nonesita a correre il rischio di una rottura con Virchow purdi affermare un suo contestabile diritto sul modestomateriale rinvenuto nello scavo di Hanai Tepe. Di-mostra, infine, che l�armonia non regnava di certo tra icollaboratori di Schliemann se Calvert sente la necessitàdi aizzare il focoso Schliemann contro Virchow.

Il professore, allibito, risponde a Schliemann: «Pen-savo che avevo il dovere di presentare al pubblico scien-tifico il dono suo e del signor Calvert. Per me si trattavadi un atto di gratitudine».

Alla fine, Schliemann e Virchow si mettono d�ac-cordo: lo studio del professore apparirà dopo la pub-blicazione del libro di Schliemann Ilios.

Tra la seconda metà di novembre e l�inizio di di-cembre 188o, Schliemann scava a Orcomeno, in Beozia.L�8 dicembre rientra ad Atene e trova una lettera delleautorità del museo di South Kensington, che gli chiedo-no di riprendere, dopo tre anni, le sue collezioni troiane.

Schliemann scrive allora a Virchow dicendo che stapensando di portare la sua collezione da Londra a Ber-lino. Omette, ovviamente, di confessare che è sfrattatodal museo di South Kensington e inventa di esserepreoccupato dal moltiplicarsi delle chiavi in mano a tut-te le persone che debbono accudire le collezioni, ag-

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giungendo inoltre che nel museo non vi sono garanziecontro i furti. Chiede infine a Virchow di poter disporredi due stanze nel Königliches Museum di Berlino finoalla realizzazione e all�inaugurazione del nuovo museo dicui gli ha parlato il professore. Qualora non fosse pos-sibile, avrebbe riportato l�intera collezione ad Atene o,eventualmente, al Louvre.

Virchow si muove. Non c�è spazio nel KöniglichesMuseum, ma è possibile una sistemazione provvisoria delmateriale troiano nel Kunstgewerbe Museum. Schlie-mann è pregato di recarsi a Berlino per vedere se tuttociò gli conviene. Il 26 dicembre arriva a Berlino e appro-va la proposta. Ritorna immediatamente a Londra perassistere all�imballaggio degli oggetti della collezione eall�invio a Berlino delle 44 casse che li contengono.

Ormai il tesoro è partito per la Germania.Ma questa donazione cosa potrà mai fruttare a

Schliemann?Il 6 gennaio 1881, scrive una lettera incredibile a

Virchow:

Come Le dissi oralmente, mia moglie insisteva perché io ri-portassi la mia collezione troiana ad Atene e ne decorassi ilnostro palazzo. Le notizie della donazione al popolo tede-sco l�hanno messa in uno stato di disperazione di cui mi parlain vari telegrammi giornalieri. Poiché è molto sensibile e stapoco bene, temo il peggio. Lei sa quanta poca importanzahanno per me gli onori del mondo ma a questo punto la vitadella mia cara moglie e la felicità della mia famiglia sono ingioco ed occorre trovare gli strumenti per calmare miamoglie ed evitare cosí una grande tragedia. Mia moglie,come tutte le donne, ha un punto debole: è molto ambizio-sa. Nel nome di tutti gli dèi, cerchi di accontentarla da que-sto punto di vista e di calmarla con alcuni onori, perché,altrimenti, la mia casa crollerà ed io perirò insieme a lei. Fac-cia in modo che la città di Berlino dia la cittadinanza ono-

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raria a mia moglie e a me e ci offra qualunque altro onorepossibile. È con molta lacerazione che Le rivolgo questa pre-ghiera; dato il mio carattere, che Lei conosce, è estrema-mente difficile per me fare questa cosa. Ma poiché si trattadella vita di mia moglie, non ho esitazioni. Faccia anche inmodo che gli onori che potrà ottenere per la mia poveramoglie le siano comunicati per telegramma. Abbiamo rinun-ciato ai nostri beni piú preziosi per la Germania; cerchi per-ciò di fare in modo che i nostri doni ricevano la piú larga edalta considerazione in modo da salvare mia moglie e la feli-cità della mia famiglia. Lei lo può fare, se lo vuole fare.Conto su di Lei. Sarò ad Atene mercoledí sera 12 gennaioed è con sudori freddi ed orrore che mi domando se la miapovera moglie mi darà il benvenuto. Non potrebbe, nelfrattempo, fare qualcosa per confortarla? Le ripagherò ilprezzo del suo telegramma cento volte.

Virchow manda effettivamente una lettera a Sofia eprega il principe di Saxe-Meiningen di fare lo stesso. Lamoglie di Schliemann risponde a Virchow il 29 gennaio1881:

Desidero esprimerLe i miei piú sinceri ringraziamenti peri suoi righi del 10 di questo mese e per gli auguri espres-si a me ed alla mia famiglia. Nello stesso tempo non possonon confessarLe che i contenuti del resto della lettera mihanno lasciata nella piú grande perplessità. Sono la piúentusiasta e piú calorosa amica ed ammiratrice della Ger-mania e del popolo tedesco e non posso di certo essereaccusata di non vedere di buon occhio la donazione delleantichità troiane allo Stato tedesco fatta da mio marito.Non posso proprio capire cosa può averLe fatto scriverequesta Filippica nei miei confronti. Sono stata la prima asuggerire che la collezione dovesse essere spedita alla suapatria; sono stata l�unica che dal primo anno del nostromatrimonio si è sforzata a cancellare i grandi pregiudizi

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di mio marito nei confronti della Germania ed ho tenta-to con passione di riaccendere la fiamma affievolita delsuo patriottismo e del suo amore per la patria, che son-necchiava nel suo cuore. Lei deve aver capito male miomarito, caro professore... Spero che queste parole ba-steranno a chiarire completamente il mio atteggiamentonei confronti della Germania ed il mio punto di vistasulla donazione.

È chiaro che Schliemann ha scritto la lettera a Virchowall�insaputa della moglie, mendicando quei famosi onoridi cui sognava e che rappresentavano una solenne rivin-cita per il figlio del pastore fedifrago di Ankershagen.

Virchow si adoperò per fare di Schliemann un cit-tadino onorario della città di Berlino; l�Imperatore Gu-glielmo con un testo pubblicato sulla «Gazzetta Uffi-ciale», in data 7 febbraio 1881, accettò la donazionefatta da Schliemann ed espresse un vibrante omaggioallo scavatore di Troia e di Micene.

Tra il 19 e il 23 luglio 1881, Heinrich e Sofia Schlie-mann sono a Berlino per sistemare l�allestimento dellamostra della collezione troiana nel Kunstgewerbe Mu-seum. I gioielli rimarranno in Germania fino al maggio1945.

1 Il racconto della scoperta del tesoro di Priamo è ripreso sia dal-l�autobiografia di Heinrich Schliemann, Selbtsbiographie, Leipzig 1891,sia dal suo volume Antichità Troiane, Leipzig 1874.

2 Il racconto critico della scoperta del tesoro di Priamo è stato ripre-so con grande chiarezza da P. Amandry, Schliemann, le trésor de Priamet le musée du Louvre, in «Dossiers d�Archéologie», 2o6, agosto-settem-bre 1995, pp. 42-83.

3 Traill, Schliemann of Troy cit., p. 118.4 H. Schliemann, Troy and its Remains, a narrative of Researches and

Discoveries made on the Site of Ilium and in the trojan Plain, London1875, pianta XIII, p. 321 e pianta III, p. 3o6.

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5 L�ipotesi è stata avanzata per la prima volta da D. A. TrailI,Schliemann�s discovery of Priam�s Treasure, in «Antiquity», 57, 1983,pp. 181-86.

6 D. A. Traill, Priam�s Treasure: Further Problems, in H. Schlie-mann, Grundlagen und Ergebnisse moderner Archäologie 100 Jahre nachSchliemanns Tod, Joachim Hermann, Akademi Verlag, Berlin 1992, pp.183 sgg.

7 D. F. Easton, Schliemann�s Mendacity - a false Trail?, in «Anti-quity», 58, 1984, pp. 197-204.

8 Id., Was Schliemann a Liar?, in Schliemann, Grundlagen und Ergeb-nisse moderner Archäologie 100 Jahre nach Schliemanns Tod cit., pp. 191-97.

9 Cfr. Traill in W. M. Calder and D. A. Traill, Myth, Scandal andHistory. The Heinrich Schliemann Controversy and a First Edition of theMycenaean Diary, Detroit 1986, p. 133.

10 Schliemann, Troy and its Remains, a narrative of Researches andDiscoveries made on the Site of Ilium and in the trojan Plain cit., pp.144-45.

11 P. Amandry, Schliemann, le trésor de Priam et le musée du Louvre,in «Dossiers d�Archéologie», 2o6, agosto-settmebre 1995, p. 45.

12 Ibid., p. 55. 13 O. Masson, Henry Schliemann à Paris et ses amis français, in «Dos-

siers d�Archéologie», 2o6, agosto-settembre 1995, pp. 34-35.14 Traill, Shliemann of Troy cit., p. 202.

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Capitolo quarto

La battaglia di Berlino e la scomparsa del tesoro

Il moderno occultamento dell�oro di Troia ha comesfondo la seconda guerra mondiale e soprattutto l�epi-logo del conflitto sul teatro europeo, cioè la battagliaintorno e dentro Berlino. Anzi, che il tesoro di Priamosia stato sottratto alla vista degli specialisti e del pub-blico durante un avvenimento politico e militare di co-sí grande portata ha fatto sí che da quel momento la suasorte si sia strettamente intrecciata con lo svolgersi acci-dentato e contrastato della politica. A ben vedere, èsempre impossibile sottrarre un avvenimento culturale� e persino un bene culturale � alla situazione politica esociale, ma nel nostro caso l�intreccio si è fatto cosístretto da divenire quasi inestricabile; e si è trattato diun intreccio sia con gli orientamenti politici interni aiPaesi interessati, sia con la politica nella sua espressio-ne massima e nella sua forma piú coinvolgente, cioè conla politica internazionale.

Il 6 marzo 1945, alle ore 8 del mattino, il ministrodi Stato e capo della Cancelleria del Reich, Hans Lam-mers, facendo riferimento a un documento del prece-dente 16 febbraio, sottolinea con un nuovo testo che «IlFührer ha ordinato di mettere immediatamente in salvoi beni culturali e artistici» della cosiddetta «am-ministrazione prussiana», e sollecita «tutti gli Ufficichiamati in causa» ad applicare «al più presto» e «contutti i mezzi» la «presente disposizione». È l�ordine

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che riguarda anche il tesoro di Priamo. Tuttavia, per ledifficoltà e la confusione ormai diffuse nei circoli di-rigenziali e amministrativi tedeschi, esso rimarrà inap-plicato per l�oro di Troia. O meglio � e piú probabil-mente � si riterrà di non modificare la sua collocazioneconsiderata già alquanto sicura.

Il dottor Lammers era uno dei piú stretti collabora-tori di Hitler. Pur non apparendo spesso sulla scenapubblica e svolgendo una funzione piú amministrativache politica in senso stretto, egli era al crocevia degliorientamenti e delle decisioni più importanti del dit-tatore e dell�intera struttura nazista. Un esempio. Quan-do, il 16 luglio del 1941, Hitler convocò una riunionemolto ristretta per esporre le linee (che non dovevano«essere rese pubbliche») dell�atteggiamento effettivo datenere nei confronti dell�Unione Sovietica da poco inva-sa, Lammers venne invitato a partecipare assieme ai soliGöring, Keitel, Rosemberg, Bormann. Quest�ultimocompilò una specie di verbale (fu poi presentato aNorimberga), dal quale risultano indicazioni precise dicomportamento ricalcate dal famoso testo guida hitle-riano Mein Kampf e dalle teorie volte a creare in Russiaun esteso Lebensraum, lo spazio vitale, per la Germania.Nell�occasione, Hitler, dopo aver sottolineato che «nonc�è alcun bisogno di propalare [le intenzioni nei con-fronti dell�Unione Sovietica]; l�essenziale è sapere cosavogliamo», affermò che «nessuno deve accorgersi checiò è l�inizio di una sistemazione definitiva» anche se«questo non deve impedirci di prendere tutte le misurenecessarie � fucilare, ricolonizzare, ecc.», e soprattuttoindicò come «in via di principio, dobbiamo ora affron-tare il compito di tagliare la torta in conformità ai nostribisogni, ai seguenti effetti: primo, per dominarla; secon-do, per amministrarla; terzo, per sfruttarla». In sostan-za, fu la riunione che delineò tutto il successivocomportamento tedesco in Unione Sovietica, compresa

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l�azione di appropriazione dei beni e del patrimonio sto-rico-culturale dei suoi popoli1.

Ovviamente, il capo della Cancelleria dalla testa tau-rina � come Lammers fu definito da W. L. Shirer � nel1945 era a conoscenza dei risultati che le intenzionisuperiori avevano permesso di ottenere nell�Unione So-vietica anche nel campo dei trofei culturali durante i treanni di occupazione. È, però, dubbio che nel momentoin cui sottoscriveva la «disposizione» di «salvaguardia»del patrimonio artistico e museale dell�amministrazionedi stato prussiana egli pensasse alla possibile rivalsasovietica sui beni tedeschi.

Una simile versione dei propositi tedeschi e del si-gnificato delle relative decisioni per l�evacuazione deibeni culturali e artistici è circolata anche in tempi re-centi sia in Russia che in Germania. Anzi, si è spessoaffermato che in quei frangenti, siccome i dirigenti na-zisti consideravano i sovietici, l�oriente, i comunisti, il«nemico principale», si preoccupassero di spostare a estle loro difese e a ovest i beni da custodire. In ciò vi èmolto di vero. Soprattutto che i tedeschi temessero mag-giormente l�offensiva e l�occupazione da est. Tuttavia,la parola «salvaguardia» usata nel documento citato èpiuttosto conseguente a un�altra ben piú immediatapreoccupazione: i danni che venivano recati dai bom-bardamenti aerei alleati e i disastri che avrebbero potu-to essere causati dai cannoneggiamenti e dalle incursionidella già iniziata offensiva sovietica in Prussia e, pro-babilmente tra poco, attorno e dentro la capitale delReich. Lo testimonia la natura dei luoghi nei quali sicercò di mettere in salvo la maggior parte del patrimonioartistico e culturale, vale a dire le miniere. Questi depo-siti sotterranei si trovavano e si trovano � come è noto� in varie zone della Germania. Ed è ormai documen-tato che una parte dei beni archeologici di notevolevalore, i quali erano custoditi assieme all�oro di Troia,

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furono trasportati in tutta fretta all�ovest dell�Elba nelleminiere di Ransbach e Merkers in Werra-Gebiet, diSchönebeck vicino a Magdeburgo e di Grasleben neipressi di Helmesdt. Ma il piú prezioso dei patrimoni �l�oro di Schliemann � rimase a Berlino. Il fatto non puòessere considerato casuale: si riteneva che il luogo fossesufficientemente protetto dalle incursioni aeree e daibombardamenti.

In un libro2 pubblicato non molto tempo fa a Mosca(libro contenente peraltro molti giudizi e considerazionidiscutibili e opinabili), si trova, a questo proposito, unaampia descrizione dei luoghi � le miniere, appunto � daiquali i sovietici portarono via i beni culturali (quadri,sculture, reperti, libri, ecc.) dei tedeschi. La descrizio-ne è basata sui «documenti di stato e di partito» uscitiin questi anni dagli archivi di Mosca. Quest�ultima cir-costanza non è sempre una garanzia, dato il modo far-raginoso e acritico con cui quegli archivi sono stati aper-ti e i documenti vengono utilizzati, ma nel caso in que-stione molti fatti riportati � seppur non tutti � trovanoconferma in altre testimonianze. In un rapporto invia-to il 31 ottobre 1945 a Georgij MaksimilianovicMalenkov, allora uno dei segretari del C. C. del partitoe membro del Comitato statale della Difesa, probabil-mente l�organismo di stato piú autorevole del momen-to, si afferma tra l�altro:

Su vostra indicazione la Direzione della propaganda e dellaagitazione del C. C. del PC(b) [cosí allora si chiamava ilPartito comunista dell�Unione Sovietica] ha inviato in Ger-mania un gruppo di specialisti per la verifica dei beni cul-turali trovati nelle miniere di sale e di potassio vicino aMagdeburgo e anche a Lipsia e nelle sue vicinanze. Nelleminiere sono state trovate la letteratura scientifica del-l�Accademia prussiana delle scienze, dell�Università diLipsia, le biblioteche statali di Berlino, Lubecca, Albert-

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staat, le collezioni del Museo di etnologia di Berlino, delMuseo statale di Berlino [questi riferimenti a raccolte diMusei berlinesi hanno forse indotto qualche volenterosoinseguitore di tracce a ritenere che lí dovesse esserci ancheil tesoro di Priamo], del Museo civico di Magdeburgo, laraccolta dei negativi della fototeca statale in Berlino, laGalleria di quadri della città di Dessau, ecc.3.

Ma che ci si dovesse guardare soprattutto dalle con-seguenze distruttrici degli eventi bellici è dimostratonon solo dai luoghi che furono scelti. Lo stesso Führer,fonte prima degli ordini di salvaguardia del patrimonioculturale contenuti nelle disposizioni del 16 febbraio edel 6 marzo, era preoccupato di quelle conseguenze, epur trovandosi ormai in una condizione disperata con-tinuava a credere e a far credere che non tutto era per-duto e dedicava comunque i propri pensieri e i propriatti non tanto al futuro ormai prossimo della sconfittaquanto piuttosto ai compiti immediati della resistenza.Anche a questo proposito le testimonianze sono pa-recchie e sufficientemente univoche.

Dopo l�ultima grande e fallita controffensiva del di-cembre 1944, quella delle Ardenne, Hitler si rivolse aisuoi generali in questo modo: «... signori... voi non do-vete pensare, nemmeno lontanamente, che io preveda diperdere questa guerra... non ho mai conosciuto la paro-la capitolazione». Nel gennaio del 1945 egli trasferí ilquartier generale nella Cancelleria della capitale e nelfamoso bunker che lo ospitò fino alla morte per suicidio.Qui, il penultimo giorno del mese, ricevette un «memo-riale» di Albert Speer, suo architetto e ministro degliArmamenti, nel quale si diceva a chiare lettere che, datala drastica, forzata riduzione nella produzione di armi,«la guerra è perduta». Il risultato fu che il Führer nonsolo non volle prendere in considerazione il memoriale,ma per un certo tempo mostrò di ignorare il suo auto-

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re4. Però, gli episodi forse piú indicativi del pensiero edell�atteggiamento di Hitler nei confronti della conclu-sione della guerra furono altri e presero corpo, almenoin parte e almeno fino alla metà di aprile, nell�atmosfe-ra cupa del bunker attorno a un evento della passata sto-ria russo-tedesca. Gli eserciti sovietici avrebbero occu-pato la capitale del Reich di lí a poco. Sarebbe stata laterza volta che le truppe russe entravano a Berlino. Laprima volta la conquista della città era avvenuta duran-te la guerra dei Sette Anni, nel 176o, mentre regnava-no da un lato Elisabetta II e dall�altro Federico il Gran-de. Questi, l�anno prima, sconfitto nella battaglia diKunersdorf, era fuggito abbandonando palazzo e città.I russi, entrati in Berlino, la tennero però soltanto unpaio di giorni perché proprio in quei frangenti l�impe-ratrice morí e Federico, già vinto, poté ritornare ripren-dendo l�antica posizione e non considerandosi in defi-nitiva neppure sconfitto. La seconda volta si era verifi-cata durante le guerre napoleoniche.

Nell�atmosfera del bunker l�episodio della guerra deiSette Anni venne piú volte evocato da Hitler e da alcunidei suoi. Ancora ai primi di aprile Goebbels rilesse adalta voce, quasi recitando, uno dei libri molto amati dalFührer, la Storia di Federico il Grande dell�inglese Tho-mas Carlyle, e il dittatore si commosse fino alle lacrimesoprattutto alla lettura del brano in cui il re prussiano,sentendosi perduto, confessa ai suoi che se la fortunanon fosse riapparsa entro pochi giorni egli si sarebbe sui-cidato avvelenandosi; ma la fortuna ricomparve sottoforma della morte improvvisa della nemica, la zarina Eli-sabetta. E nel bunker il racconto ritornò di nuovo allamente degli astanti nelle stesse parole di Hitler quando,il 12 aprile, giunse la notizia della scomparsa del presi-dente americano Roosevelt: quello che era accaduto perla Prussia e la casa di Brandeburgo sembrava rinnovar-si per il Terzo Reich e il potere nazista.

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In realtà, nel Führer coesistevano sia il presentimentodella fine, sia la negazione continua di tale pre-sentimento. Era una negazione basata non tanto sullostato di esaltazione, follia e fanatismo, come spesso si èdetto e come quasi sempre si dice parlando dei dittatori,ma piuttosto su una duplice radicata convinzione: da unlato, che in nessun caso si potesse accettare quello cheper la Germania aveva significato la resa del 1918, e dal-l�altro che la coalizione alleata non avrebbe retto a lungoe si sarebbe presto disgregata. Comunque sia, si dove-va distruggere � quest�altro pensiero era ben presentenella mente di Hitler � tutto quel che serviva distrug-gere in uomini, fabbriche, case, strade, ponti, ferrovieper resistere agli invasori facendo terra bruciata anchein patria. Tuttavia, quel che non aveva senso annienta-re per difendersi poteva essere custodito e salvato peraffidarlo al futuro della Germania. In quel patrimonio,assieme a poche altre cose, rientravano indubbiamentei beni artistici e culturali. Perciò, furono salvaguardaticon una notevole meticolosità sebbene, negli ultimitempi, in circostanze difficili e confuse. Del resto, lacoscienza della necessità di salvarli risaliva all�iniziodelle aggressioni naziste: già allora furono in parte imbal-lati in casse e depositati in vari luoghi. Inizialmente, peril modo in cui la guerra si sviluppò, poco andò dispersoo distrutto. E in seguito, la preoccupazione che ne ordi-nava la custodia ebbe in effetti una conseguenza positi-va: quei beni furono in buona parte realmente custodi-ti e salvati, anche se non lo furono tutti, e in particola-re non tutti i beni archeologici. Comunque, persino gliordini provenienti direttamente dal Führer, emanati efirmati a suo nome da Lammers e burocraticamenteautenticati dal segretario capo dell�Amministrazioneancora il 6 marzo del 1945, a circa due mesi dal suici-dio del dittatore e dalla sconfitta della Germania nazi-sta, furono in una certa misura osservati.

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Al tesoro di Priamo, però, non toccò di essere de-positato in una miniera. Questa regola molto diffusa ser-virà poi, nei decenni successivi, a fuorviare le ricerchedi coloro che � non molti in verità �, passando dallagenerica domanda � questa di tanti � su quale fossestata la sua sorte, si misero sulle sue tracce per scoprireil percorso successivamente seguito e, soprattutto, perindividuare i nuovi possessori e l�ultima sua collo-cazione. Il deposito nel quale l�oro di Troia fu custoditodurante gli ultimi anni del Terzo Reich si trova nel Tier-garten di Berlino, il giardino zoologico, e piú esat-tamente nei sotterranei della Flakturm am Zoo, la tor-re antiaerea dello zoo, ora non piú esistente perché ab-battuta negli anni della ricostruzione. Le testimonianzea questo riguardo sono ormai numerose sia di parte tede-sca che di parte russa. È possibile stabilire inoltre �come vedremo � che questa non è stata l�unica sua resi-denza dopo che era stato tolto allo sguardo dei visitatoridel Museum für Ur-und Frühgeschichte, il Museo di Pree Protostoria di Berlino, e accuratamente messo in appo-site tre casse: è certo però che si trovava lí, nella torredel Tiergarten, mentre imperversava la battaglia nellacapitale, uno degli scontri piú imponenti e cruenti ditutte le guerre.

La battaglia di Berlino iniziò il 16 aprile del 1945.Aveva avuto una specie di grande prologo quando, nelgennaio-marzo, le armate sovietiche, occupata la Prus-sia orientale, attraversata la Polonia e superata la suafrontiera occidentale e la linea dell�Oder-Neisse, eranopenetrate in pieno territorio tedesco. In quei frangenti,il tesoro di Priamo era già messo al riparo dalle incur-sioni e dai bombardamenti e accuratamente custoditonel Flakturm am Zoo del Tiergarten di Berlino. L�of-fensiva che aveva avvicinato le truppe sovietiche alla ca-pitale del Terzo Reich era cominciata esattamente il 12

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gennaio con un anticipo sui tempi previsti in virtú di«uno sfoggio di solidarietà tra gli Alleati», come ebbe ascrivere lo storico inglese Alan J. P. Taylor5.

I bombardamenti aerei su Berlino continuavano e, atratti, si intensificavano. Ai primi di gennaio, le forzeanglo-americane del fronte occidentale, subendo ancorala pressione dell�ultima controffensiva a Ovest, quellanelle Ardenne e nella regione di Strasburgo, si rivolse-ro ai sovietici affinché intervenissero sul loro fronte epermettessero un alleggerimento della situazione degliAlleati. Sia il comandante Eisenhower, che spedí il suovice a Mosca, sia Churchill, che mandò un telegrammaurgente a Stalin, chiesero di attaccare al piú presto aOriente per obbligare i tedeschi a distogliere o a noninviare truppe e mezzi a Occidente. Stalin, che neglianni precedenti aveva ripetutamente criticato nei suoimessaggi gli anglo-americani per il ritardo con cui pro-cedevano all�apertura del cosiddetto secondo fronte inEuropa, anticipò l�offensiva e si meritò gli elogi delPrimo Ministro inglese, il quale fu «molto grato» e inseguito avrebbe addirittura sottolineato che «fu unmagnifico gesto da parte dei russi e del loro capo anti-cipare la loro grande offensiva, certamente con gravesacrificio di vite umane».

Stalin si decise evidentemente ad agire in quel modospinto da una molteplicità di motivi anche militari, masoprattutto politici. Tra l�altro, desiderava presentarsi aJalta � la famosa Conferenza tra lui, Churchill e Roose-velt si tenne dal 4 all�11 febbraio � con tutte le carte inregola, per cosí dire. Non sembra, invece, che fosseropolitici, quanto piuttosto militari i motivi che indusse-ro sempre il «capo» sovietico a bloccare i suoi mare-scialli, a fermare l�offensiva e a posticipare cosí di unpaio di mesi l�attacco di Berlino. In effetti, l�esercitosovietico avanzò in territorio polacco, tedesco e unghe-rese a una velocità impressionante. I tedeschi schiera-

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vano sul fronte orientale 18o divisioni rispetto alle 7odel fronte occidentale, ma la superiorità sovietica inuomini e mezzi era comunque notevole e ciò spiega larapidità dell�avanzata anche se l�operazione non fu difacile esecuzione. Fece da ostacolo il clima rigido. Ebbe-ro un ruolo importante, in positivo, la volontà degliuomini e le strategie. Al centro dell�ampio fronte ilmaresciallo æukov avanzò liberando con le sue truppeVarsavia già il 17 gennaio; piú a sud il maresciallo Konevoccupò la Slesia, e, data l�importanza industriale dellaregione, inferse un duro colpo all�economia tedesca diguerra. In genere, gli eserciti sovietici si mossero inavanti di circa 500 chilometri in tre settimane e le loroavanguardie distavano ormai poco piú di 6o chilometrida Berlino. æukov non voleva fermare l�avanzata eordinò alle sue truppe di agire per «prendere Berlino conun colpo fulmineo il 15-16 febbraio». Stalin gli telefonòproprio da Jalta il 6 febbraio e gli comandò di desiste-re. La decisione fu oggetto di polemiche tra i militarisovietici ancora venti anni dopo. Comunque la presa diBerlino fu rinviata e la battaglia per la capitale tedescaebbe inizio il 16 aprile e si sviluppò per poco piú di duesettimane. Il 2 maggio può essere considerato il giornodella caduta di Berlino, e il luogo dove fu posto termi-ne alle ultime significative resistenze in città fu proprioil Tiergarten.

Alla battaglia presero parte dal lato sovietico duemilioni e mezzo di uomini, 41 6oo cannoni e mortai,6250 carri armati e semoventi, 75oo aerei. Il tutto erasuddiviso su tre fronti, comandati rispettivamente, quel-lo centrale, il primo bielorusso, dal maresciallo æukov,quello meridionale, cioè il primo ucraino, dal marescialloKonev, e quello settentrionale o secondo bielorusso, dalmaresciallo Rokossovskij. Dopo un intenso fuoco di arti-glieria, il colpo frontale fu portato dalle armate di æukove le ali si mossero a tenaglia intorno alla città. La resi-

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stenza tedesca fu tutt�altro che rinunciataria. Da questolato, la forza impiegata era inferiore di numero di circala metà di quella attaccante, ma non era nient�affattotrascurabile: un milione di uomini, 10 400 cannoni emortai, 1530 carri armati e semoventi, 33oo aerei. Erastata mobilitata la Volksturm la milizia formata da anzia-ni e ragazzi.

L�insieme delle forze in campo fu maggiore di tuttele battaglie campali di tutte le guerre. Difficile calcolareesattamente quali forze furono impegnate a Stalingrado,data la durata piú che semestrale dello scontro, ma con-frontandolo con uno scontro piú limitato nel tempo, sipuò ricordare che ad El Alamein, la battaglia che posefine alla guerra in Africa, furono impiegati all�inizio, daparte dei vincitori anglo-americani un po� piú di 200mila uomini e 1440 carri armati, e da parte degli scon-fitti tedesco-italiani un po� meno di 100 mila uomini e540 carri armati. Dal 21 aprile, quando i sovietici eranoentrati in Berlino, fino al 2 maggio, i combattimentifurono condotti giorno e notte, strada per strada, casaper casa, con rilevanti perdite da una parte e dall�altra.I sovietici erano sostenuti nel loro attacco, oltre chedalla forza militare, dal desiderio di «dare il colpo di gra-zia alla belva fascista nella sua tana e di innalzare la ban-diera della vittoria su Berlino» (Stalin) e da un odioaccumulato negli anni dell�occupazione e delle distru-zioni naziste in Bielorussia, Russia e Ucraina. Si dissepoco dopo, ufficialmente, che i morti sovietici per laguerra erano stati 6-7 milioni, negli anni cinquanta siprecisò che la cifra era di 20 milioni e si è calcolato piúrecentemente che si è trattato di 27-30 milioni; ma giàallora la sensazione diffusa tra le truppe era di aversubito una ferita gravissima nelle singole storie familia-ri e nella piú vasta storia nazionale.

La bandiera rossa sovietica fu innalzata sul Reichstagdai sergenti Egorov e Kantaria il 3o aprile. Quello stes-

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so giorno Hitler si uccise nel bunker con un colpo dipistola. Nei giorni precedenti aveva destituito Göringe Himmler, perché aveva saputo che tentavano di nego-ziare la resa. Alla vigilia si era unito in matrimonio conEva Braun, sposa per un giorno, suicidatasi assieme alui con un veleno, e aveva nominato successore, in spre-gio ai generali ritenuti colpevoli della sconfitta, l�am-miraglio Dönitz, lasciandogli in eredità di compierel�atto di capitolazione. Pare che l�ultima notizia che glifosse giunta dall�esterno sia stata quella della fucilazio-ne di Mussolini.

Dal bunker uscirono ancora alcuni ufficiali con varimessaggi destinati a Dönitz e al feldmaresciallo Schör-ner. Per superare l�accerchiamento essi passarono pro-prio dal Tiergarten, vicino al deposito dell�oro di Troiae non ancora teatro di combattimenti. L�ultimo ufficialeche uscí dal bunker per portare al feldmaresciallo Kei-tel l�ultimo messaggio del dittatore, fu il colonnello VonBelow, aiutante del Führer per la Luftwaffe. Le duefrasi finali, che sembra siano state le ultime scritte o det-tate da Hitler ricalcavano concetti espressi nel MeinKampf, quasi a indicare una ossessione profondamenteradicata. Suonano cosí: «In questa guerra gli sforzi e isacrifici del popolo tedesco sono stati cosí grandi, cheio non posso credere siano stati vani. L�obiettivo deveancora essere la conquista, da parte del popolo tedesco,di territori dell�Est». Il documento che le contenevapassò, quasi simbolicamente, nei pressi del deposito del-l�oro di Troia.

Intanto a Berlino, accanto ad atti di eroismo, avevanoluogo le conseguenze tipiche di una guerra e di una bat-taglia cruente. I saccheggi, e persino altri comporta-menti violenti come gli stupri, erano contenuti a faticadagli ordini degli alti comandi sovietici. Questi riusci-rono, però, a organizzare la requisizione centralizzatadei beni artistici e culturali, che non impedí saccheggi e

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dispersioni ma almeno permise di contrastare la perditadel patrimonio maggiore, in specie delle piú preziose rac-colte pubbliche.

Il 1° e il 2 maggio i combattimenti si svolsero nell�ul-tima zona della città ancora non conquistata, l�enclavedel Tiergarten. I reparti sovietici all�attacco, erano quel-li delle armate del primo fronte bielorusso comandato dalmaresciallo æukov. Nel parco � come abbiamo ricordato� era stato costruito un grande edificio a torre, anzi aquattro torri sulle quali erano state collocate le batterieantiaeree. Proprio per questo l�edificio era detto Flak-turm am Zoo, torre della contraerea dello zoo. Qui fucondotta l�ultima azione di resistenza. Qui giacevano letre casse con il tesoro di Priamo. Erano contrassegnatecon le sigle MVF1, MVF2, MVF3. Le dimensioni e l�a-spetto erano piuttosto modesti. Gli oggetti piú preziosidel Museo di Pre e Protostoria vi erano stati imballati findal 1939. Le casse non vennero requisite immediata-mente. Non lo permettevano le operazioni belliche che,se il 2 maggio facevano ormai credere vinta dai sovieti-ci la battaglia di Berlino, non si erano ancora conclusecon la definitiva sconfitta della Germania nazista (8 e 9maggio) e con l�eliminazione di ogni focolaio di resi-stenza e di guerriglia in città. Non lo permettevano nep-pure la paura dei soldati per gli ordini, a questo riguar-do rigorosi, presenti tra le truppe conquistatrici e, pro-babilmente, la non sufficiente immediata conoscenza delvalore contenuto nelle casse custodite nel Flakturm. Ècomunque in un giorno tra la fine di maggio e l�inizio digiugno del 1945 che un ufficiale superiore, quasi sicura-mente appartenente alle armate del maresciallo æukov,ma che agisce in nome e per conto della CommissioneTrofei di guerra istituita su ordine di Mosca (la decisio-ne di costituirla è dell�alto comando, su indicazione diStalin), si presenta al direttore del Museo di Pre e Pro-tostoria, Wilhelm Unversagt, con la richiesta di conse-

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gna e con il mandato di requisizione del tesoro di Pria-mo. Pare che assieme al tesoro e ad altri beni archeolo-gici siano stati requisiti oggetti preziosi e opere d�arte didifferente natura: 73 quadri di autori del Rinascimentoe dell�Impressionismo, è stato detto. Da quel momentole casse passano in mano sovietica e piú precisamentedella Commissione Trofei. Il racconto è stato fatto in-nanzitutto dalla vedova del professor Unversagt, la qualerese nota nel 1989 una serie di affermazioni trasmesseledal marito nel frattempo scomparso.

Il professore, nato nel 1892, aveva dedicato la vitaall�archeologia e alla storia antica. Nel 1945 era da duedecenni direttore del Museo di Pre e Protostoria e, inquesta qualità, era formalmente responsabile della cu-stodia dell�oro di Troia. In realtà, lo status giuridico-formale del tesoro era piú complesso. Pur prescindendo,in questo contesto, dalla legittimità o illegittimità diSchliemann di consegnare alla Germania l�oro da luiritrovato sulla collina di Hissarlik, va detto che il tesoroera di «proprietà» del Stiftung Preussischer Kul-turbesitz, la Fondazione culturale prussiana (di qui an-che il riferimento di Hitler e di Lammers alla Ammi-nistrazione prussiana nel documento noto al lettore), erain consegna al Staatliche Museum für Ur-und Früh-geschichte im Martin Gropius Bau, il Museo statale diPre e Protostoria nel palazzo Martin Gropius, e nel1939 era ancora esposto come parte del Sammlung Troja-nischer Altertümer, la raccolta di antichità troiane. Tut-tavia, la «responsabilità» continuava a essere del diret-tore del museo anche quando il tesoro e le casse che locontenevano erano collocate nel Flakturm. Il professorUnversagt morí, anziano, nel 1971 senza esser riuscitoa far valere piú di tanto le sue conoscenze degli avveni-menti. Le sue dichiarazioni, dirette o trasmesse dallavedova, erano già abbastanza note, ma erano state messein dubbio e, in ogni caso, non erano state ritenute fon-

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date sia perché non avevano avuto riscontri certi, siaperché erano state contraddette da altre dichiarazioni divaria fonte. I sovietici dicevano di aver restituito allaRepubblica Democratica Tedesca tutto ciò che avevanorequisito (giocavano anche sul sottile equivoco dovutoal luogo del ritrovamento dell�oro di Troia, che non eraproprio nel territorio della Germania dell�Est). Altri, trai quali Lucas Goldmann, l�Oberkustos, il dirigente, delMuseo di Pre e Protostoria ricostituito a Berlino Ovest,si dicevano convinti che il tesoro di Priamo non si tro-vasse né a Mosca, né in Unione Sovietica. L�opinione diGoldmann � autorevole, data la posizione di colui chel�esprimeva � era sí che non fosse andato perduto, mache non fosse nelle mani dei sovietici e neppure di altrialleati che avevano occupato la Germania � inglesi efrancesi �, e che fosse invece giunto per vie sconosciutee traverse negli Stati Uniti. L�Oberkustos sostenne que-sta opinione ancora dopo l�89 e la cambiò soltanto nel1993 di fronte alle ormai numerose ammissioni di fonterussa. Perciò, era difficile accettare in quegli anni laversione espressa da Unversagt sul primo atto delnuovo destino dell�oro di Troia. Nel frattempo, però,alle dichiarazioni del professore e della sua vedova, sivenivano aggiungendo altri indizi relativi sia al fattoche l�oro di Troia si trovasse a Mosca, sia al fatto chela requisizione fosse stata compiuta dai sovietici, cosic-ché il racconto di Unversagt acquistava fondatezza everidicità.

1 Le notizie su Lammers e sulla riunione del 16 luglio 1941 sono trat-te in buona parte da The Rise and Fall of the Third Reich del giornali-sta e storico americano William L. Shirer (pubblicato in Italia daEinaudi con il titolo Storia del Terzo Reich, Torino 1962).

2 O. N. Knisevskij, Dobyca tainy germanskich, Soratnik, Moskva1994.

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3 Il testo del documento è riportato dal volume indicato nella notaprecedente.

4 A. Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 1975.5 A. J. P. Taylor, Storia della Seconda Guerra mondiale, il Mulino,

Bologna 1990, p. 243.

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Capitolo quinto

Dalla vecchia alla nuova Hissarlik

Il cammino seguito dall�oro di Troia dopo che fu re-quisito come trofeo di guerra è ormai sufficientementedocumentato. Un giornalista italiano «appassionato diarcheologia», Luigi Necco, fu tra i primi a cercare diricostruire la pista e affermò che con ogni probabilità iltesoro di Priamo si trovava a Mosca, nel Museo Puskin.Le sue ricerche furono proposte in servizi televisivi e inun libro del 19931. Altri ne hanno parlato sia in Russiache in Germania2. In quest�ultimo paese è stato edito unopuscolo che, al di là del fine della restituzione, per ilquale era stato compilato, esponeva con meticolositàteutonica e con la collaborazione di personaggi ufficia-li, direttori di istituzioni culturali, notizie e dati preci-si. Sono stati pubblicati studi, articoli, libri, tra i qualiquelli dei russi Ratorguev, Kozlov e Akinscia3, in Inghil-terra, in Francia e in altri paesi. Sono state fatte consi-derazioni ai margini e no di convegni tenuti negli StatiUniti. Sono stati ritrovati e pubblicati documenti atte-stanti alcuni importanti passaggi del tesoro dal Flakturmam Zoo di Berlino al Museo Puskin di Mosca.

In sostanza, sembra proprio che le tre casse requisi-te dalla torre contraerea tra la fine di maggio e i primidi giugno del �45 vennero trasportate in un�altra loca-lità berlinese. Non si sa se tale località fosse posta all�in-terno o nelle immediate vicinanze della ormai ex capi-tale del Terzo Reich. Si suppone che essa servisse da

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acquartieramento dell�Armata rossa e da deposito dellaCommissione Trofei.

Quasi cinquant�anni dopo, sono state ritrovate a Ber-lino le «liste di trasporto», e Lucas Goldmann le men-ziona nell�opuscolo citato. In esse sono indicate le cifredei camion dell�esercito sovietico che trasportarono lecasse dal Tiergarten: S-69-393, S-69-398, S-69-425. Allafine di giugno i tre preziosi contenitori vengono inviatiin aereo a Mosca e arrivano il 30 giugno a Vnukovo, l�ae-roporto internazionale della capitale sovietica. A Vnuko-vo sono trattenute per alcuni giorni. Il 9 luglio sonofinalmente caricate su un autocarro e portate nel centrodi Mosca sulla collinetta dove, in via Volchonka, ha sedeil Puskin. Tra le persone che entrano in scena e tra lefirme apposte sui documenti che attestano i vari passag-gi compaiono i nomi dei rappresentanti sovietici dell�e-sercito, della dogana, della polizia, del ministero delleFinanze e, ovviamente, del Museo. Tra questi vi è anchequello di Irina Aleksandrovna Antonova, attuale diret-trice del Puskin e allora � sembra � chranitel´, cioè con-servatrice. Ormai, di questo dettaglio della firma dellaAntonova, ne parlano apertamente i collaboratori delPuskin come, per esempio, Mikhail Treister4 che, assie-me al direttore del Dipartimento di Arte e Archeologia,Vladimir Tolstikov, e la specialista di arte greca antica,Liudmila Akimova, ha curato il catalogo per la prossima(1996) mostra del tesoro. Il 12 luglio, poi, il contenutodelle casse viene passato in rassegna e inventariato. Comebase per il nuovo inventario servono le copie delle listeoriginali di 33 pagine inserite nelle casse quando queste,nel 1939, furono riempite dei preziosi oggetti.

Fin qui le notizie ormai abbastanza certe sul tragittoseguito dal tesoro di Priamo da Berlino a Mosca. Quel-lo che possiamo aggiungere e che non è esatto sostenerela tesi dell�immediato occultamento dell�oro di Troiadopo il suo arrivo al Museo Puskin. In realtà, per quasi

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un paio d�anni, tra il 1945 e il 1947, esso ha goduto diuna sorta di semilibertà o, se si vuole, di libertà vigila-ta. Fuor di metafora, va detto che l�oro di Troia era sínegato alla vista del pubblico ma non all�esame di spe-cialisti e allo sguardo di curiosi interessati. In quel perio-do ne poterono osservare fattezze e splendore parecchiedecine di persone, e non soltanto tra i dipendenti del-l�Istituto presso il quale era stato collocato. In fondo,non pochi erano a conoscenza della sua requisizione.Oltre che, naturalmente, a numerosi sovietici, ne eranoa conoscenza diversi tedeschi. Non è neppure del tuttoarbitrario ritenere che esponenti di forze alleateanglo-franco-americane fossero venute in qualche modoa sapere della precedente collocazione berlinese del teso-ro e della sua successiva sorte. Per affermarlo non sonodisponibili prove e riscontri certi. La supposizione nonè però priva di fondamento in quanto è verosimile checoloro i quali avevano subito la requisizione ne avesse-ro parlato ad alcuni dei molti militari e civili occidenta-li di stanza in Germania. È poi noto che nei vari orga-nismi di occupazione, tra cui quelli che agivano in mate-ria di beni culturali e artistici, sovietici e occidentali sitrovavano fianco a fianco e non potevano evitare discambiare notizie, magari indirette, sui loro reciprocicomportamenti. Infine, è da considerare che gli alleatioccidentali disponevano di diversi e affinati strumentidi informazione e di indagine (intelligence, giornalisti,ecc.). Piuttosto ci si dovrebbe domandare come mai, purcircolando già allora alcune voci sulla presunta destina-zione avuta dall�oro di Troia, nessuno puntò il dito nelladirezione giusta.

La risposta va cercata nelle seguenti circostanze: laguerra fredda, già iniziata, non aveva ancora raggiuntole forme estreme ed esasperate che essa conobbe a par-tire dal 1947-48; in quel clima tedeschi, occidentali esovietici erano impegnati soprattutto in altri problemi.

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D�altra parte, il clima di confusione e di esaltazione del-l�immediato dopoguerra aveva le sue propaggini anchea Mosca. È cosí, in effetti, che il momento politicoinfluí sulla vicenda del tesoro di Priamo in quei primianni della sua nuova storia e ne determinò lo status defi-nito di semilibertà. A questo proposito, e soprattutto aproposito dell�avvenuto passaggio dal regime appenaconsiderato a quello successivo di clandestinità o dioccultamento totale, vale la pena di raccontare un epi-sodio significativo.

Nel 1944 era stato nominato direttore del PuskinSergej Dmitrievic Merkurov, un personaggio di in-dubbio prestigio artistico e culturale nella Mosca di que-gli anni. La sua nomina aveva rappresentato una preci-sa scelta di carattere politico-culturale, come era esarebbe spesso accaduto con i direttori dell�importanteistituzione museale. Negli anni trenta, per esempio,diverse nomine avevano avuto come oggetto personedelle quali nelle biografie ufficiali la qualifica sarebbestata indicata con la dicitura partinni rabotnik, funzio-nario di partito diremmo noi. Con Merkurov le cose sipresentavano in maniera differente. Pur nello schema diuna organizzazione culturale sottoposta alla guida par-titica, con la sua nomina si voleva corrispondere a untentativo di maggior rispetto per posizioni meno rigi-damente inquadrate. Lo consigliava lo stesso momentopolitico dominato da esigenze di unità popolare internae dalla alleanza internazionale antifascista. Merkurov eranato nel 1881 in Armenia, aveva studiato filosofia nel-l�Università di Zurigo, aveva frequentato l�Accademia diBelle Arti di Monaco e si era formato come scultore ade-rendo a correnti artisticamente innovative e relativa-mente avanzate come il modernismo, considerate poi inpatria espressioni borghesi. Negli anni venti, aveva scol-pito alcune opere apprezzate ma anche stilisticamentediscusse, che ritraevano i «26 Commissari di Baku»

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fucilati dagli inglesi nel 1919 e il loro presidente, il filo-sofo bolscevico armeno Stepan Georgevic \aumjan.Anche quando aveva costruito complessi monumentalie statue non prive di retorica dedicate a Lenin (famosaquella che ornò la sala del Soviet Supremo nel Cremli-no), a Stalin e ad altri esponenti bolscevichi, aveva man-tenuto tratti di personale originalità. Anziano, nel 1945,nel clima della conclusione della guerra, aveva aderito alPartito comunista. Nominato direttore del Puskin �carica che manterrà fino al 1950 � si impegnerà congrande energia alla ricostruzione in tempi rapididell�edificio museale danneggiato durante l�evento bel-lico e darà notevole impulso sia alla parte scultorea, siaalla parte archeologica del museo.

Egli scriverà una lettera alle «autorità superiori» perchiedere cosa si dovesse fare del patrimonio rappre-sentato dal tesoro di Priamo e se non fosse il caso � la-sciava intendere � di cominciare a pensare come uti-lizzarlo in quanto inestimabile valore artistico e cultu-rale. Piú precisamente la lettera veniva inviata a KlimentEfremovic Vorosilov, vice presidente nel governo delPaese e massimo responsabile, tra l�altro, della Com-missione Trofei di guerra.

Vorosilov era un esponente tipico della struttura go-vernativa e partitica staliniana, coetaneo di Merkurov,essendo nati ambedue nel 1881. Giovane operaio, ave-va partecipato alla attività rivoluzionaria nella Russiazarista. Dopo la rivoluzione, si era legato sempre di piùal gruppo di comando staliniano assolvendo a compiti didirezione militare. Faceva parte di coloro che «eranobuoni stalinisti, ma comandanti mediocri»5. In ragionedi questa sua duplice caratteristica era spesso onorato,ossequiato e, al tempo stesso, allontanato da caricheoperative rilevanti esplicate in prima persona: era statodestituito da ministro della Difesa dopo la sconfitta del�40 in Finlandia, ma era stato il primo a essere nomina-

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to maresciallo dell�Unione Sovietica; era stato sostitui-to da æukov nella difesa di Leningrado, ma era stato trai primi quattro � gli altri tre � erano Molotov,Malenkov, Beria � a far parte del Gosudarstvennyj Komi-tet Oboroni, il potente Comitato statale della Difesapresieduto da Stalin. Oppositore di Chruscëv e da que-sti sconfitto nel �57, sarebbe stato mantenuto per uncerto periodo nella carica, in buona misura onorifica, diPresidente del Presidium.

Alla richiesta di Merkurov egli non rispose diretta-mente né per iscritto, né a voce. Il direttore del Puskinricevette invece una telefonata dall�anticamera del mar-sal, dal segretario di Vorogilov, il quale in modo al-quanto sbrigativo gli tenne un discorsetto del seguentetenore: «Kliment Efremovic vi ricorda che gli oggetti dicui parlate vi sono stati affidati in custodia. Le decisio-ni sulla loro sorte non vi riguardano, sono un affare distato. Custoditeli come è vostro dovere, e basta».

Era cominciato il periodo della clandestinità o del-l�occultamento completo del tesoro di Priamo. Da allo-ra per alcuni decenni una sola persona, dipendente delmuseo, se ne occupò, lo poteva esaminare e dovevaprendersene cura. Questo non vuol dire che nessunofosse a conoscenza della sua esistenza. Tra gli stessisotrudniki, il personale del Puskin, capitava, se non diparlarne apertamente, di indicarne, attraverso cenni efrasi più o meno criptiche, esistenza e luogo di giacenza.

Pare che dopo Merkurov altri direttori si siano rivol-ti ad «autorità superiori», ministri e membri dell�Uffi-cio politico del Partito comunista, con richieste analo-ghe a quelle del loro predecessore. Lo fecero soprattut-to in concomitanza con eventi di ordine piú generale chepermettevano loro di ritenere il momento opportuno epropizio. È stato detto che la stessa attuale direttrice,Antonova, in carica da lungo tempo, cioè dal 1961, laquale ha per lungo tempo negato l�esistenza dell�oro di

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Troia a Mosca e presso il Puskin, si sia rivolta in varieforme e in varie sedi, tra cui il ministero della Cultura(anche con l�attuale titolare Sidorov), per esprimere opi-nioni e sollecitare indicazioni che modificassero lo statoclandestino del tesoro. Fino agli anni più recenti, finocioè alla ammissione della sua giacenza a Mosca e alladecisione di farne prendere visione e di mostrarlo al pub-blico nel 1996, le risposte, più o meno reticenti, sonostate tutte dello stesso «negativo» tenore.

D�altra parte, è noto come ufficialmente si sia con-tinuato a dire che il tesoro di Priamo non si trovasse néa Mosca, né a Est. A volte si usavano � lo ripetiamo �frasi ambigue, come si fa con le dichiarazioni cosiddet-te diplomatiche. Alla negazione si premetteva, per esem-pio, un «per quel che ci concerne»; oppure si afferma-va che «quel che doveva essere restituito, è stato giàconsegnato a...» giocando sui molteplici significati attri-buibili alla circonlocuzione «quel che doveva». Lasostanza dell�atteggiamento però non cambiava. Anchequando si restituí alla città di Dresda la sua famosapinacoteca e prima della restituzione si trassero dalPuskin i capolavori che lí giacevano dal �45 per orga-nizzare una grande mostra d�addio indicando cosí che ilmuseo era il deposito di trofei di guerra, si evitò in ognimodo di ammettere che nello stesso luogo potevanoessere nascosti altri tesori. Del resto, nel 1981 l�Anto-nova, dedicando un articolo al 70° anniversario dellafondazione del Puskin scrisse che «la fine della guerraera stata contrassegnata nella storia del museo da unavvenimento eccezionale» rappresentato appunto «dal-l�arrivo in custodia temporanea» del tesoro della Galle-ria di Dresda, ma si guardò bene dall�accennare ad altriarrivi e, anzi, con le definizioni di «eccezionale» e di«temporanea» cercò quasi di cancellare qualsiasi tracciadi altri trofei e patrimoni culturali.

Comunque sia, il segreto dell�esistenza dell�oro di

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Troia fu ben mantenuto per oltre quattro decenni. Par-liamo di esistenza perché in quel periodo furono in mol-ti a chiedersi non solo dove potesse trovarsi, ma se nonfosse andato distrutto o perduto durante le vicende bel-liche e postbelliche. Eppure a Mosca, e all�interno stes-so del Museo Puskin, parecchie persone erano a cono-scenza persino della stanza nella quale il tesoro di Pria-mo era conservato. Come fu mai possibile � ci si puòlegittimamente chiedere � conservare a lungo quel se-greto, anzi distogliere ogni attenzione e fuorviare ogniipotesi? Molte risposte a questo interrogativo possonoessere date, e in realtà sono state qua e là tentate. Si puòdire che parecchio sia dipeso dalla diffusa disciplinacomunista, dalla ferrea organizzazione interna ed ester-na in cui avevano una loro funzione organi di sicurezzae infiltrazioni del famoso Kgb, e dalla paura che ognirivelazione non solo fosse considerata un tradimento, mafosse perseguita con severità. In tutto ciò vi è sicura-mente molto di vero. È noto che in tutti gli istitutigovernativi e in qualsiasi importante istituzione sovie-tica i cosiddetti organi di sicurezza avevano esteso laloro struttura di controllo. Vi è persino chi ha indicatole persone che ne erano incaricate all�interno del Puskine chi sostiene, non senza concrete ragioni, che il siste-ma, dopo aver subito seri colpi con la glasnost e con ilcrollo dell�Unione Sovietica, abbia ripreso vitalità edenergia nella Russia attuale.

Ma questo tipo di analisi e di considerazioni non èancora una spiegazione esauriente. Basti pensare chemolti importanti segreti sovietici sono via via stati di-svelati e che la segretezza è venuta meno anche a Mo-sca, sia perché si affacciavano sulla scena singole persone� dissidenti e no � sempre piú disposte e favorevoli arompere il velo, sia perché l�intero sistema non reggevapiú. È, però, evidente che il sistema della segretezza haretto di piú nel campo dei trofei e delle requisizioni di

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beni artistici e culturali, ovviamente di quelli non resti-tuiti. Del resto, nel caso del tesoro di Priamo, se vi eraun diffuso interesse nel mondo, tra specialisti e vastopubblico, per conoscerne le sorti e persino le presumi-bili curiose vicende che avrebbero accompagnato la suaindividuazione, a Mosca vi era una radicata consapevo-lezza di essere in possesso di reperti archeologici e di unpatrimonio culturale unico riguardante addirittura lefondamenta della civiltà europea.

Come si spiega dunque, al di là della parte avuta dal-la disciplina, dai controlli e dalle paure, il lungo man-tenimento del segreto attorno al moderno occultamentodell�oro di Troia? Occorre tener conto, a questo pro-posito, di una mentalità nazionale diffusa, sovietica erussa, secondo la quale i trofei di guerra, presi in parti-colare in Germania, erano del tutto legittimi sia perchérisarcivano ciò che i tedeschi avevano portato via duran-te l�occupazione, sia perché ripagavano in parte le distru-zioni subite. Non è un discorso senza fondamento.Accanto ad esso, e sempre come aspetto della mentalitàdiffusa, ha avuto un peso la reazione al fatto che, puressendo gli slavi dell�Est (russi, bielorussi, ucraini) partedella civiltà europea, come ponte tra Occidente e Orien-te, sono stati lasciati ai margini o misconosciuti dalla cul-tura dell�Europa.

Che poi questi fattori costituissero l�humus di cui sisono nutrite la disciplina e, in definitiva, la riservatez-za, e non l�ostentazione o la semplice pubblicità dei tro-fei conquistati, si spiega con fondati timori politici eopportunità di apparire o di essere accusati quali pos-sessori indebiti, prevaricatori e, in sostanza, portatori divolontà di predominio.

Ecco, dunque, i motivi che all�interno dell�Urss edella Russia hanno impedito per lungo tempo che ve-nisse sfondato il muro della segretezza costruito attor-no al tesoro di Priamo. Ma all�interno dell�Urss � o, se

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si vuole, all�esterno dell�ufficialità sovietica � non si sa-rebbe potuto, almeno in termini di supposizione e di tesiindiziaria, localizzare in Russia, nei suoi grandi musei o,addirittura, nel Puskin la sede dell�occultamento moder-no dell�oro di Troia? Piú sopra ci siamo posti una ana-loga domanda per l�immediato periodo postbellico eabbiamo tentato una risposta tenendo conto delle cir-costanze di allora. Nei decenni successivi l�operazioneera indubbiamente difficile tant�è vero che non è stataseriamente intrapresa e, in ogni modo, non ha portatoa nessun risultato; ma a noi piace rilevare � o, se sivuole, far pensare � che nella storia e nelle vicende russedi Schliemann, sono presenti alcuni elementi i quali, conl�aiuto di un po� di fantasia, avrebbero potuto indiriz-zare un esperto investigatore sulla buona strada, persi-no su quella del Puskin. Vediamone come e perché pren-dendo il tema un po� da lontano.

La collina di Hissarlik, nella quale il tesoro di Pria-mo è stato racchiuso per circa quattro millenni assiemeai resti della Troia storica, è collocata sulle rive turchedel mar Egeo, non distante dall�ingresso dello stretto deiDardanelli, a quattro chilometri e mezzo dalla costa. Ilsuo nome significa in turco «piccolo castello» o «picco-lo palazzo» e le sue dimensioni sono di quaranta metrid�altezza e di centocinquanta per duecento metri labase. Una collinetta, dunque.

E a una collinetta assomiglia la nuova Hissarlik � co-sí potremmo chiamarla �, il luogo cioè nel quale il tesorodi Priamo è stato risepolto e nascosto in questi ultimicinquant�anni. Essa si trova nel centro di Mosca, nonlontano dalle mura del Cremlino e dalle rive di un fiume,la Moscova, ben più ampio, anche se più prosaico, del-l�omerico Scamandro. Il quale invece, pur essendo piúsimile a un torrente spesso povero di acque, e riem-piendosi solo in rare occasioni, sa suscitare il canto del

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poeta, come quando, divenuto impetuoso, almeno secon-do il racconto di Omero, favorisce i troiani abbattendoil muro costruito dagli achei a difesa delle navi, o impe-disce ad Achille, irato per l�uccisione di Patroclo e riful-gente per le belle armi dono della madre Teti, di tra-volgere i nemici e di annientarli in battaglia.

La collina moscovita è in altezza pressappoco ugualeall�autentica Hissarlik, ma in larghezza e in lunghezzala sopravanza di molto. Sono queste, si potrebbe dire,curiose somiglianze che si intrecciano a tante ovvie dif-ferenze, che uniscono e dividono i due luoghi nei quali,in epoche e tempi diversi è rimasto nascosto il tesoro diPriamo. E di somiglianze e differenze ve ne sono altreche riguardano altri luoghi e circostanze in qualchemodo legati al primo ritrovamento dell�oro di Troia e alsuo destino russo. Si potrebbe ricordare, per esempio,che le acque che bagnano la nuova Hissarlik giungonoanch�esse al mar Egeo, ma dopo aver attraversato, lente,per migliaia di chilometri, la pianura russa, altri fiumi,tra cui il maestoso Volga, e il mar Nero e i Dardanelli.

Del resto, il rapporto tra la Russia e l�area geopoli-tica che, facendo grosso modo perno sul Bosforo, si irra-dia verso le coste di Grecia e Turchia e attraverso quelpassaggio si espande nell�Egeo e nel Mediterraneo, ècosa antica. In effetti, sono tre le direttrici, o le correntiche hanno collegato la Russia al resto dell�Europa,influenzandola e forgiandola come parte autonoma, etuttavia sempre parte, del vecchio continente. Unaprima è la direttrice nordica, attraverso la quale i russi� per richiamare solo due momenti della loro storia �sono dapprima entrati in contatto e in contrasto soprat-tutto con i vareghi, cioè con una parte delle popolazio-ni vichinghe, e poi, in tempi piú recenti, hanno aperto,con Pietro il Grande, la loro finestra sull�Europa. Unaseconda è quella centrale che ha visto stabilire sia inessi, non sempre tranquilli, con gli altri popoli della

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variegata famiglia slava, sia le relazioni di conoscenza odi contrapposizione con etnie, nazioni, stati di diversanatura, innanzitutto di parentela germanica. La terzadirettrice si dirige, appunto, verso sud passando traacque e terre che dal mar Nero giungono all�Egeo e alpiú vasto Mediterraneo, vale a dire ai luoghi dove dap-prima si affermò e poi si espanse e si sviluppò la civiltàeuropea.

Non si può dire che si tratti della direttrice piú im-portante, ma forse la si può considerare la piú coinvol-gente e la piú influente nel determinare alcuni trattinazionali russi. Ciò è sicuramente vero per il periodo incui le popolazioni russe, dopo essersi da tempo rese indi-pendenti, o relativamente indipendenti, dalla più ampiafamiglia slava, si costituiscono in nazione e formano illoro primo Stato con il principato di Kiev. Na-turalmente, è anche vero che allora ebbe grande im-portanza la prima direttrice che permise ai vareghi, discendere dal mar Baltico verso i mari Nero e Caspio at-traverso le vie d�acqua dei capienti fiumi di pianura e diincontrarsi e mescolarsi ai russi che occupavano gliimmensi spazi tra la regione nordica di Novgorod e lerive marine e fluviali del sud.

Tuttavia, in quel momento fondamentale per la for-mazione dei tratti nazionali, culturali, politici, sociali,dei russi, il rapporto con Bisanzio e con l�area geopoli-tica che sta attorno e al di là della porta rappresentatadal Bosforo risulta più incidente. Basti richiamare, aquesto proposito, quel processo che si dipanò dalla se-conda metà del IX secolo alla fine del X e che vide pa-rallelamente diffondersi tra gli slavi d�Oriente e di unaparte dei Balcani la religione cristiana ortodossa e unnuovo alfabeto (dapprima glagolitico � dal paleoslavoglagol parola, discorso � con la invenzione di una nuo-va forma grafica ad opera del monaco tessalonicese ebizantino Costantino-Cirillo e poi con l�evoluzione sul

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modello dell�alfabeto greco � il cirillico � ad opera deidiscepoli), stabilendo cosí una linea di demarcazioneall�interno stesso dei popoli slavi tra religione cattolicae alfabeto latino da un lato, e religione ortodossa e alfa-beto cirillico dall�altro, la quale dura tuttora.

Ma la direttrice mediterranea non fu per i russi im-portante, soltanto in quel periodo storico; lo fu anchedopo e prima. Anzi, lo fu anche per tutti quei popoliche, prima che gli slavi � IV-VI secoli � si insediassero suilitorali e nelle pianure a nord e a ovest del mar Nero,erano seminomadi o stanziali in quelle stesse zone eavevano rapporti di interscambio materiale e culturalecon le colonie greche e con l�area egea. Cosicché, ilBosforo ha costituito da sempre, in virtú della propriaposizione geografica, una porta o una sorta di membra-na osmotica attraverso le quali sono passati flussi diciviltà di grande rilievo.

Volendo, si può stabilire un parallelismo tra la col-locazione geopolitica della Troade omerica nella anti-chità e quella della Russia in tempi piú recenti. Comesosteniamo in altra parte di questo libro, Troia e laTroade sono sul limitare dell�Oriente prospicienti albacino, l�Egeo, dove stanno sorgendo le prime formedella civiltà europea, delle quali esse subiscono influssievidenti e con le quali hanno relazioni intense, con-flittuali e di scambio. La Russia sarà ed è in una con-dizione un po� diversa, ma anch�essa si trova al confinetra Occidente e Oriente, e di quest�ultimo subisce l�in-fluenza. Più in particolare per la Russia, le tre sun-nominate direttrici, pur con differenti valenze a secondadei momenti storici, hanno significato nel loro insiemenon soltanto vie di comunicazione o di scambio con unarealtà diversa ed estranea, quella europea, ma modi dicompenetrazione o, se si vuole, il legame � se non pro-prio l�ombelico � con questa realtà, il quale ha fatto del-l�identità nazionale russa un miscuglio solido isomorfo

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di elementi originali autonomi e di elementi europei. Insostanza, la Russia si presenta rispetto al resto d�Euro-pa come una specie di entità paradossale costituita dasomiglianza e differenza, da separazione e integrazione,da autonomia e identificazione. Da questo punto divista, la polemica tra slavofili (o piú specificamente rus-sofili, che è altra cosa) e filoccidentali (o piú esatta-mente, filoeuropei), la quale dall�Ottocento ad oggi haappassionato buona parte dell�intellighenzia russa, e cheritroviamo persino alla base della discussione attorno allarestituzione o meno del tesoro di Priamo, non ha un soli-do fondamento teorico ed è invece servita per elabora-re e diffondere, soprattutto nell�anima russofila, conce-zioni estremistiche di contenuto piú propriamente poli-tico o culturale.

Ma, concludendo la divagazione sul rapporto tra Rus-sia ed Egeo o piú in generale tra Russia ed Europa, eritornando al tema delle somiglianze, delle differenze,delle relazioni tra l�antica e la nuova Hissarlik, dobbia-mo sottolineare che il destino russo dei reperti troianiscoperti da Schliemann ha percorso non solo la direttri-ce sud ma anche, come è ovvio, data la precedente sedeberlinese del tesoro, la via dell�ovest e persino la stradapiú tortuosa del nord poiché, come vedremo, una partedel ritrovamento troiano è giaciuta in questi decenni nona Mosca ma a Leningrado-Pietroburgo. Tuttavia, qui ciinteressa ribadire lo strano rapporto tra le due Hissar-lik. E a proposito di differenze va notato che, mentrela vecchia Hissarlik è rimasta spoglia nel tempo, suipendii e sulla cima della nuova sono state costruite ericostruite negli ultimi secoli case e chiese; è statacostruita e abbattuta e ora ricostruita l�enorme basilicadi Cristo Salvatore. In uno dei punti piú alti, accantoalla gorodskaja usad�ba, la casa di città, della famiglia ari-stocratica dei Golicyn è stato edificato all�inizio delsecolo il palazzotto che da allora ospita il Museo di arti

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figurative Puskin. E, come è ormai noto, è il MuseoPuskin che ha tenuto in seno, nei decenni appena tra-scorsi, la parte piú importante e significativa � nontutto, lo ribadiamo, e neppure la parte quantitativa-mente più rilevante � dei reperti archeologici troiani: unMuseo, dunque, e il suo palazzo o palazzotto, comevuole il nome turco � Hissarlik, appunto, che palazzot-to significa � del rilievo collinoso prospiciente ai Dar-danelli.

1 L. Necco, Il giallo di Troia, Pironti, Napoli 1993.2 Schliemann Gold und die Schätze Alteuropas - aus dem Museum für

Vorund Frühgeschichte - Eine Documentation, Berlino 1993. Articoli diWilfred Menghin e Klaus Goldmann.

3 In particolare si tratta delle riviste «Russkaja Mysl�», «Art News»e «Art» di Amburgo.

4 M. Treister, First Report on Priamo�s Treasure, «Archaelogy», set-tembre-ottobre 1995, p. 64.

5 G. Boffa, Storia dell�Unione Sovietica, Mondadori, Milano 1968,vol. II, p. 42.

6 Vedi la testimonianza di Treister, in Id., First Report cit.

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Capitolo sesto

Schliemann in Russia e il museo Puskin

Su una lapide scoperta alcuni anni fa sul muro di unacasa sita sulla «Prima linea», una via dell�isola Vasil�ev-skij in un quartiere centrale di Pietroburgo, è scritto: «inquesta casa negli anni 185o-6o ha vissuto il cittadinoonorario di Sankt-Peterburg, fondatore della archeologiamicenea, Genrich \liman». La casa non è proprio quel-la affittata da Schliemann nel 1852 in vista del suoprimo matrimonio. Quella è stata abbattuta e ora, al suoposto, ve ne è un�altra. Prima aveva abitato all�albergoTilge di proprietà di un tedesco e, successivamente, siera trasferito in un appartamento della ulica Postam-skaja, la via della Posta, anch�esso appartenente a untedesco, il conte Nikolai Sivers, di famiglia da temporussificata. Erano gli ultimi anni quaranta e l�inizio deicinquanta. Schliemann aveva intrapreso diversi viaggid�affari a Mosca, si era recato in alcune città sul Balti-co, per oltre un anno aveva vissuto e lavorato avventu-rosamente in California, dove con il solito fiuto per gliaffari e le speculazioni era giunto nel 1851, in piena feb-bre dell�oro. Il metallo giallo vi era stato infatti scoper-to nel 1848, nove giorni dopo la firma del trattato concui il Messico cedeva agli Stati Uniti per 15 milioni didollari � una inezia rispetto ai futuri proventi solo perl�oro � le province dello Utah, del Nevada, dell�Arizo-na, del New Messico e, appunto, della California. Inaffari si era messo per conto proprio, con un patrimo-

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nio già consistente che in America aveva ulteriormenteaumentato.

La base della sua fortuna rimaneva però in Russia.Qui esercitava il commercio importando ed esportan-

do varie merci, tra cui il cotone americano, il tè india-no, lo zucchero di canna cubano, la carta inglese, le ma-terie prime, il grasso animale, il lino russi e, soprattut-to, l�indaco dal colore blu, il colore che egli avrebbe sem-pre preferito, perché dal blu avrebbe ricavato i piú lautiguadagni. Durante la guerra di Crimea � 1853-56 � ope-razioni mercantili spregiudicate, rischiose e illegali rea-lizzate con l�indaco, ma anche con il salnitro cileno, glipermisero di moltiplicare il capitale.

Intanto, si era sposato con Ekaterina Petrovna Lyd-gina. Dal matrimonio nacquero tre figli: Sergej, Nat´alja,Nadezda. La famiglia avrebbe dapprima abitato nel-l�appartamento affittato sulla «Prima linea» proprio invista dell�unione matrimoniale con la Lydgina, e poi inun altro, piú spazioso, di 14 stanze, situato qualchenumero civico più in là, sempre nella stessa strada e sullastessa isola, la Vasil�evskij. Poco distanti e in bella vistasi trovavano gli edifici eleganti e significativi del Sena-to e dell�Università, dell�Ermitage e dell�Ammiragliato,la Cattedrale di Sant�Isacco e il Palazzo d�Inverno. Lazona non mancava di garantire prestigio e decoro aisuoi abitanti. Schliemann ricercò prestigio e decoroanche altrove. Nel matrimonio, oltre al decoro borghe-se, cercò la felicità, che però non riuscí a trovare mal-grado la durata piú che decennale dell�unione e la nasci-ta dei figli. Fino alla separazione non riconoscerà maiquesto fallimento, e anzi descriverà l�amore della mogliecon parole atte a celare la realtà. In quegli anni, si dedi-cherà agli studi. Continuerà nell�apprendimento dellelingue. Come è noto ne conoscerà numerose, sebbenenon sempre in maniera corretta. Andrà a lezione di lin-gua greca da un greco, Vimpos, che allora frequenta il

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Seminario ortodosso di Pietroburgo e che piú tardi glidarà in moglie, per le seconde nozze, la nipote Sofia.Comincia a studiare il greco antico e il latino proprio inRussia. Si dedica, inoltre, ad altre materie legate all�an-tichità, la storia e l�archeologia. Frequenta ambientiintellettuali e stabilisce rapporti con studiosi di fama. Lostato d�animo inquieto e il desiderio di emergere social-mente lo spingono a cercare un posto nelle file dell�in-tellighenzia che allora come sempre assume in Russia piùche altrove la funzione prestigiosa, specifica e autono-ma di rappresentanza e di «educazione» sociale. Nonsarà mai accettato appieno anche se ne subirà il fascino.

Quando, nel 1864, lascerà per sempre la Russia por-terà con sé, oltre all�ambizione un consistente patrimoniomateriale e una certa base culturale. Non sarà uno dei piúricchi uomini d�Europa, come è stato invece sostenuto,tuttavia la sua ricchezza sarà assai cospicua: è stato cal-colato che al momento di lasciare la Russia essa si aggi-rasse attorno ai 2,7 milioni di rubli (o, che fa lo stesso,ai 1o milioni di marchi, ai 3 milioni di talleri e a 1,9milioni di dollari). Se si ha presente che quando, nel1874-75, sarà chiamato dalle autorità turche a risponde-re del trafugamento illegale del tesoro di Priamo, verràcondannato a una multa di 10 mila franchi (per rabbo-nire la controparte e continuare ad avere accesso ai sitiarcheologici in Turchia ne verserà 50 mila), si può con-statare che il patrimonio in suo possesso (negli anni ses-santa e settanta dell�Ottocento il rapporto tra dollaro efranco è all�incirca di uno a cinque, e perciò 5o mila fran-chi corrispondono a 10 mila dollari o a 14-15 mila rubli)è piú che sufficiente per permettergli una attività discavi archeologici in grande stile.

La consistenza del suo patrimonio culturale sarà in-vece piú controversa. È indubbio che egli lascia la Rus-sia con una notevole esperienza di vita e con un baga-glio nozionistico, soprattutto linguistico, piuttosto con-

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siderevole. Quanto, però, a una visione culturale e a unaconoscenza specialistica nella attività alla quale si accin-ge, l�archeologia, le cose stanno diversamente. È ormairiconosciuto che egli vivrà e opererà in una perennecontraddizione (presente in nuce anche allora) tra ilgrande valore dei suoi ritrovamenti e la ostentata con-sapevolezza di ciò da un lato e il sostanziale dilettanti-smo professionale e gli sbrigativi metodi di indagine edi comportamento dall�altro. Anche se si volesserorespingere � come fanno alcuni studiosi � le critiche piúsevere rivolte a Schliemann dal ricercatore americanoDavid Traill, rimane tuttavia chiaro che le notizie sulritrovamento del tesoro fornite nel libro Atlas trojani-scher Altertümer1 contraddicono gli appunti scritti permano dello stesso Schliemann durante gli scavi. Piú ingenerale, per ricostruire con fondatezza la vita dell�ar-cheologo mercante, e il suo tratto russo in specie, nonci si può basare, come abbiamo già detto, sulla Auto-biografia e sugli altri scritti dell�interessato. Del resto,ora sono a disposizione ricerche sufficientemente docu-mentate e chiarificatrici. È stata per esempio chiarita laragione per cui Genrich Ernestovic (cosí, o con gli altrinome e patronimico di Andrei Aristovic, Schliemannveniva chiamato alla maniera russa), una volta lasciataPietroburgo nel 1864, non ha mai piú potuto tornare inRussia malgrado i suoi desideri e tentativi.

Si è a lungo supposto che gli impedimenti venisseroda residui della passata attività mercantile e finanziaria.In realtà, le cose stanno in maniera diversa e in modicontemporaneamente piú semplici e piú complessi. Unaricerca resa nota da Lev Klein ha appurato che gli osta-coli a un rientro di Schliemann in Russia sono risultatistrettamente connessi con la sua posizione matrimoniale.Fatto è che egli, in prime nozze, aveva sposato la Lyd-gina con rito ortodosso e, per di piú, nella sontuosa esolenne atmosfera della cattedrale di Sant�Isacco. Aveva

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poi divorziato negli Stati Uniti anche se il divorzio nonpoteva essere ritenuto valido dalla Chiesa ortodossarussa, la quale era assai severa in materia matrimoniale.Per giunta dopo il divorzio, Schliemann si era risposa-to: la nuova sposa era Sofia Engastromenos, anch�essadi religione ortodossa, la quale gli darà i due figli Andro-maca e Agamennone. In conseguenza del divorzio ame-ricano e del nuovo matrimonio egli era considerato biga-mo non soltanto dalla Chiesa russa, ma, in virtú dei lega-mi di questa con lo Zar e lo Stato, dalle stesse leggi civi-li. E la pena per un reo di bigamia era la deportazionein Siberia per una durata da uno a tre anni.

Questo fu dunque il vero ostacolo al suo ritorno nel-la «cara Russia». Egli tentò piú volte di superarlo. I suoilegami con quel Paese rimanevano molto forti: erano ditipo familiare, ma non soltanto. Là Genrich Aristovicaveva costruito la propria fortuna finanziaria; ed è ormaichiaro che egli si avvicinò alle opere di Omero e allo stu-dio del greco non già negli anni lontani dell�infanzia main quelli della vita pietroburghese. Aveva definito lacittà sul Baltico «la mia incantevole Pietroburgo»; lo zarNicola I era per lui «il nostro monarca» e i russi «i mieifratelli adottivi». Aveva scritto: «non ho mai incontra-to della gente che risvegli in me un millesimo dell�at-taccamento e dell�amore che nutro per i miei fratelliadottivi, i russi». Ma per mostrare il suo attaccamentoe il suo amore non occorre sempre, e non conviene, farricorso alle sue parole, che appaiono spesso fallaci o dicircostanza.

Del resto, la realtà russa aveva suscitato nel suo ani-mo anche momenti di delusione e di ripulsa, per nondire di odio. Ricco come abbiamo visto, aveva ricerca-to altrove soddisfazioni, affermazioni, onori. L�esserestato male accetto o tenuto in disparte dagli ambientiintellettuali pietroburghesi aveva frustrato le sue am-bizioni. Tuttavia, l�attaccamento e l�amore per la Rus-

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sia prendevano sempre il sopravvento sui sentimenti adessi opposti. A dimostrarlo, piú che le parole e la re-torica, soccorrono i fatti e persino le coincidenze. E quival la pena di ricordare o rivelare quelli che, a propositodei legami persistenti di Andrei Aristovic con la Russiae con le sue istituzioni museali, riguardano da vicino iltesoro di Priamo allora appena venuto alla luce e le ulte-riori desiderate mete archeologiche di Schliemann.Recentemente, alcune di queste coincidenze sono statepresentate come argomenti tendenti ad avvalorare latesi dei diritti russi sull�oro di Troia. A nostro parere,si tratta di argomenti poco convincenti, tanto piú che,per sostenere i diritti alla non restituzione, ve ne sonoaltri piú solidi ed efficaci. Noi preferiamo invece vede-re nei fatti e nelle coincidenze racchiuse nei rapporti traSchliemann e la Russia una strana e curiosa premoni-zione e, se si vuole, un fondamento per fantasticare e,vagando con la mente, convincerci e convincere che ildestino del tesoro di Priamo sia stato condizionato daun passato lontano.

In quel passato si può scorgere uno specchio in cui siriflette un po� di avvenire, una sorta di icona russa delfuturo destino. In effetti, al di là delle ben piú corposevicende belliche del secondo conflitto mondiale e delfatto di essere stato oggetto di bottino di guerra, l�orodi Troia ha trovato la sua nuova Hissarlik in luoghi concui Schliemann non ha avuto soltanto frequentazionioccasionali.

Oltre ai soliti e noti calcoli che lo portarono a pro-porre la sua collezione ai vari paesi, il desiderio di ri-stabilire rapporti con la Russia tali da permettergli diricevere ambiti onori e di realizzare l�auspicato ritorno,indusse Schliemann a proporre ai russi la raccolta troia-na per una cifra tutto sommato modesta. Per la verità,la proposta di cedere la collezione fu avanzata, come siè ricordato, a diversi Paesi. Ma a un certo punto, fu la

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Russia che sembrò prendere il sopravvento nelle prefe-renze di Andrei Aristovic e, mentre egli indicava a unamico del cuore il valore della raccolta in un milione difranchi, dichiarava di valutarla a una cifra molto inferiore� 8o mila franchi � e di accontentarsi di ancor meno. Nel1876, tre anni dopo la scoperta, del tesoro di Priamo,scriveva al barone russo Gunzburg, un ricco banchiere:

... Dopo aver trascorso vent�anni della mia vita a Pietro-burgo, le mie simpatie vanno alla Russia, e poiché auspi-co che la mia collezione vi possa giungere, non chiedo algoverno russo che una somma di 50 mila franchi e sareianche d�accordo per abbassare il prezzo a 40 mila...

E aggiungeva una frase che toccava, assieme, il pas-sato e l�avvenire: «... In ogni modo vi prometto che ac-corderò alla Russia la priorità su ogni altro Paese poichélí ho costruito la mia fortuna e perché inoltre desiderocondurre degli scavi in Russia ...»

Vi era anche l�annuncio di un progetto (gli scavi nelCaucaso, nella Colchide, alla ricerca delle tracce ar-cheologiche della leggenda degli Argonauti e del Vellod�Oro) che non abbandonerà neppure dopo il 1881, cioèdopo che Virchow l�avrà convinto a collocare le raccol-te troiane nel Museo di Etnologia di Berlino, la primadimora tedesca del tesoro.

La lettera a Gunzburg non fu l�unica da lui inviatain Russia per chiedere che la collezione fosse esposta alMuseo imperiale dell�Ermitage in cambio del ripristinodi un normale rapporto con il Paese in cui desideravatornare. Quei tentativi furono anche accompagnati dapolemiche che si svilupparono sulla stampa proprio nel1876 tra lo stesso Schliemann e il conservatore alle Anti-chità dell�Ermitage, Ludvig Stefani. Ma, polemiche onon polemiche, lo scambio non ebbe luogo. A sostene-re la necessità dell�acquisizione della collezione, com-

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preso il tesoro di Priamo, si mosse anche la Societàarcheologica russa, anche questa senza successo, perchéle mancavano i fondi necessari. Tuttavia, l�impedimen-to fondamentale non fu rappresentato tanto da motividi ordine finanziario, quanto piuttosto dall�atteggia-mento delle piú alte autorità statali, le quali si rifiuta-rono di accordare il perdono al bigamo. Lo stesso mini-stro di Corte si espresse in sostanza in tal senso. Sullaquestione del ritorno tra i «fratelli adottivi», Schlie-mann non desistette. E qui si inserisce un altro episo-dio dei suoi rapporti con la Russia, che sposta però ilnucleo degli interlocutori da Pietroburgo e dall�Ermita-ge a Mosca e al Puskin. D�altra parte, i primi interlo-cutori, quelli pietroburghesi, garantiranno alla premo-nizione di realizzarsi portando nel 1945 � come vedre-mo � una quantità non trascurabile dei reperti troiani,divenuti trofeo di guerra, a Leningrado e al suo museo,mentre i secondi ci consentono di indicare in Mosca enel Puskin il luogo di destinazione degli oggetti piú pre-ziosi e prestigiosi della raccolta, l�oro di Troia.

Procediamo però con ordine, stando innanzitutto aifatti.

Tra le avventure archeologiche tentate e non realiz-zate di Schliemann vi è quella della conduzione di sca-vi nella Colchide alla ricerca, di tracce materiali del mi-to degli Argonauti. Il progetto prende corpo negli anni1882-83. È fondato sulla giusta pervicace convinzionedel fantasioso archeologo-mercante, secondo la quale ilmito, se ha le proprie espressioni nella letteratura, ha leproprie radici nella storia, come del resto gli ha giàdimostrato la persuasione che l�opera poetica di Omeropotesse aiutarlo per ritrovare i resti della Troia storica.Non gli è, però, neppure estraneo il desiderio di rista-bilire rapporti con la Russia. Comunque sia, egli si rivol-ge al figlio Sergej e gli chiede di agevolare in qualche

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modo l�impresa. Sergej vive a Mosca, ha da poco ter-minato gli studi in giurisprudenza presso l�Universitàmoscovita e si ritrova nell�ambiente che contende aquello della capitale, Pietroburgo, la palma di istituzio-ne accademico-intellettuale più prestigiosa del Paese.Non a caso quell�Università è frequentata, negli ultimidecenni dell�Ottocento, da studenti che diverranno illu-stri sia nel campo della scienza sia nel campo della let-teratura. Il corpo insegnante è stimato per le propriedoti professionali e culturali generali, ma è anche ovvia-mente al centro di relazioni che lo rendono influentenella società, nella organizzazione burocratica, nelloStato. Tra gli altri vi insegna da alcuni anni, dal 1877,il trentacinquenne professore di lettere e letteratura diRoma antica Ivan Vladimirovic Cvetaev. È a lui chericorre il giovane Sergej Genrichovis o Sergej Andreie-vic (stando ai differenti nomi russificati del genitore) persostenere la causa del padre. E Cvetaev, mostrando dicondividere i nuovi intenti di Schliemann scrive una let-tera di raccomandazioni al segretario della Societàarcheologica russa, l�amico Pomialovski. Come è noto,il progetto di ricerche e scavi nella Colchide non supe-rerà la fase delle intenzioni, degli auspici e della corri-spondenza epistolare, ma è interessante la strada cheviene intrapresa per tentare di realizzarlo.

In effetti, chi era, piú esattamente, Ivan Vladimi-rovic Cvetaev? Abbiamo appena ricordato la sua qua-lifica di professore di lettere e letteratura. Ma egli nonera soltanto questo. Nato nel 1847 nella famiglia di unsacerdote ortodosso della campagna di Vladimir, avevapotuto frequentare la facoltà di storia e filologia dell�U-niversità di Pietroburgo, terminandola nel 1870 a pienivoti con la medaglia d�oro della distinzione e rimanendointerno presso una cattedra, per acquisire il titolo di pro-fessore. Già il suo curriculum scolastico ne fa un tipicointellettuale russo che, non provenendo dalla aristocra-

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zia o dalla nascente ricca borghesia di quel periodo mada strati socialmente piú modesti, intraprende la carrie-ra accademica. Proprio in tale qualità egli riceve dappri-ma il titolo di magistr e poi di doctor in lettere latine e vaa insegnarle da docent e quindi da professor presso le Uni-versità di Varsavia, di Kiev e, finalmente, di Mosca. Èdi quel tempo l�intensificarsi delle relazioni con le cultureitaliche e con la realtà italiana. Proprio nel periodo in cuiscrive la lettera a favore di Schliemann e della nuova pro-gettata avventura nella Colchide, esce a Mosca � è il1883 � il suo libro dal titolo Viaggio in Italia negli anni1875 e 188o. È il segno di una appartenenza alla societàcolta, alla abitudine ottocentesca di compiere viaggi nellapenisola per descriverne la realtà del passato e del pre-sente. È il segno, anche, di un interesse piú specifico:alcuni anni prima sono usciti a Kiev e a Pietroburgo i suoilavori Raccolta di iscrizioni osche con compendio di fone-tica, morfologia e con glossario e Iscrizioni italiche. Usci-ranno poi a Lipsia Inscriptiones Italiae mediae dialecticaee a Mosca, Inscriptiones Italiae inferioris dialecticae.

È eletto membro onorario dell�Università di Bologna.Diventa esponente autorevole della Società archeolo-gica di Mosca. Sempre nel 1883, è nominato conser-vatore della Sezione delle Belle Arti e delle Antichità delMuseo Rumjancev. La sua specializzazione e la sua ricer-ca filologica non vanno dunque intese come frutto di uninteresse concentrato esclusivamente sulla lingua e sullelettere. La sua concezione della filologia si avvicina aquella della scuola tedesca, per la quale il filologo non eun glottologo, ma piuttosto uno storico di varie espres-sioni culturali e sociali.

Tra il 1900 e il 1910 Ivan Vladimirovic sarà direttoredel Museo Rumjancev, ma è soprattutto come esponen-te dell�Università di Mosca che diventerà fondatore e,dal 1911, primo direttore di quello che allora fu chia-mato Museo di Mosca di Belle Arti e che ora è detto

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Museo di arti figurative Puskin, iniziando la raccolta el�acquisizione delle prime collezioni private d�arte. Nonpoteva che essere cosí. Filologo dotto, cultore di anti-chità e di archeologia, professore di teoria e di storia del-l�arte all�Università di Mosca, eletto nei primi del Nove-cento membro dell�Accademia russa di Belle Arti emembro corrispondente dell�Accademia delle scienze, lasua autorità era ampiamente riconosciuta. Aveva rag-giunto una certa agiatezza economica, il che non gua-stava per l�impresa a cui si era ormai dedicato e per sta-bilire buoni rapporti con i ricchi cultori dell�arte. La suastessa figura fisica, con il volto aperto e severo, ornatodei classici baffi aristocratici alla Francesco Giuseppe,si imponeva all�attenzione del potere accademico e deiburocrati delle strutture di vario tipo.

Condizione essenziale per la realizzazione del pro-getto erano la sua posizione e la sua funzione all�internodell�Università moscovita. Erano stati, infatti, questaistituzione e i suoi piú insigni esponenti a promuoverenella seconda metà dell�Ottocento, la creazione e la mol-tiplicazione di musei di varia natura e orientamento.Cosí nacquero, per esempio, il Museo politecnico (1872),e, successivamente, il Museo di storia, il Museo di antro-pologia, una serie di strutture scientifiche o divulgativedi diversa natura, quali il Giardino zoologico, la Mostradi etnografia, la Società medica Pirogov, i Corsi preci-stinskie per operai e, da ultimo, sul finire del secolo(1898), la Società di pedagogia. L�Università non eradunque soltanto un centro di formazione e di ricerca, eraanche, forse, il piú importante punto di irradiazione e diorganizzazione di politica culturale tra le strutture acca-demiche della Russia � certamente di Mosca � del tempo.

Non a caso, quindi, è nell�Università di Mosca chesorse e si concretizzò l�idea di fondare un�istituzione perle belle arti. Non è neppure un caso che promotore del-l�impresa sia stato Ivan Vladimirovic Cvetaev, colui cioè

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che era intervenuto a favore del progetto archeologicodi Schliemann. Ma che cosa fu in realtà, fin dall�inizioquel Museo?

In effetti, la sua origine e la sua storia non sono pri-ve di interesse nell�ambito delle nostre considerazioni.In principio, esisteva il Kabinet iziascnych isskustv, cioèil Gabinetto di belle arti, dell�Università di Mosca. È daquella istituzione che prende l�avvio l�avventura cheporterà alla costituzione del Puskin e alla costruzione delrelativo palazzo sulla nuova Hissarlik. L�Universitàaveva avuto le sue radici a metà del �700 in un�idea delnoto scienziato e umanista del tempo Lomonosov. Dap-prima, la sua sede è sulla piazza Rossa, vicino alle Vo-skresenskie Voroti, una delle porte del Cremlino, là do-ve poi sorgerà il palazzo conosciuto come Museo di sto-ria. Nella seconda metà dell�8oo, quando cioè Cvetaevcomincerà la sua attività di docente universitario e dipromotore del Puskin, i palazzi che ospitano l�Univer-sità sono un poco piú discosti dalle mura della cittadellamoscovita: costruiti in tipico stile classicista russo daKazakov e rifatti dopo l�incendio della guerra na-poleonica del 1812 da Gilardi e in seguito ulteriormen-te allargati si trovano ormai sulla ulica Mochovaja, la viain cui ancor oggi si svolge una parte, pur piccola e incondizioni precarie, dell�insegnamento superiore dellacapitale. È come se essi si avvicinassero sempre piú alluogo dove in futuro, tra il 1898 e il 1912, verrà in-nalzato, su progetto dell�architetto Klein, il palazzo delPuskin. Intanto, il Kabinet raccoglie monete, medagliee � cosa piú caratteristica � una certa quantità di calchiin gesso che riproducono le grandi opere d�arte della sto-ria, cominciando da quelle dell�antichità classica. È,questo, un modo di dimostrare l�ambizione e l�aspira-zione a ricongiungersi alle fonti e a collocarsi nel piúvasto circuito culturale europeo senza avere sempre imezzi per farlo.

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La trasformazione definitiva della vecchia istituzio-ne universitaria d�arte e l�apertura del Museo e della suasede, qualche centinaio di metri piú in là, sulla collinaprospiciente il fiume, lungo la via Volchonka, av-verranno dunque nel 1912. Via via si raccoglieranno nelnuovo Museo opere provenienti da altri musei � ilRumjancev innanzitutto, ma anche l�Ermitage e la Gal-leria Tret�jakov � e da collezioni private donate, ac-quistate e requisite prima e dopo la rivoluzione: famo-se quelle di Scukin e Morozov con le loro opere pitto-riche del �900. Sono cose sufficientemente note. Menonoto è, invece, che la prima importante raccolta ac-quisita dal Puskin è quella di Golemiscev. Non si trat-tava, però, di una collezione d�arte moderna o, addi-rittura, contemporanea. Golemiscev era un egittologo ela sua collezione di iscrizioni e di oggetti d�arte ap-plicata, di sarcofagi e di altri reperti funerari, di bas-sorilievi e di ritratti di al-Fayyum diedero da subito almuseo una impronta tale da farne un ricettacolo di pez-zi archeologici e un centro legato anche allo studio del-l�antichità storica e protostorica.

In sostanza si concentravano sulla nuova Hissarlikalcuni segni che, con un po� di fantasia, avrebbero po-tuto far presagire il destino riservato al tesoro di Pria-mo. La guerra avrebbe potuto, a sua volta, distruggereogni cosa. Mosca non fu invasa, ma il palazzo del Puskinsulla Volchonka fu bombardato nell�autunno del 1941,quando gli eserciti tedeschi erano alle porte della capi-tale. Fortunatamente il patrimonio museale era statoevacuato qualche mese prima dello scoppio della guer-ra, e quando nel �44 i danni furono riparati, il palazzoera pronto ad accogliere i trofei della Germania, tra iquali appunto l�oro di Schliemann.

1 H. Schliemann, Atlas trojanischer Altertümer, Leipzig 1874.

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Capitolo settimo

Il segreto disvelato

Fu il presidente della Federazione russa, Boris Eltsin,a togliere ogni dubbio su chi fosse in possesso del teso-ro di Priamo. Si era a metà del 1993 e il presidente russosi trovava in visita di stato in Grecia. In quel periodo,il tratto piú marcato della politica estera di Eltsin con-sisteva nel tentativo di conquistare simpatie e consensicompiacendo l�Occidente. Sebbene fosse già trascorsoun anno e mezzo dal momento in cui egli, riunitosiassieme all�ucraino Kravciuk e al bielorusso Suskievi�nella foresta di Belaia Veza, avesse con essi dichiaratasciolta l�Unione Sovietica e Gorbaciov fosse stato inpratica deposto, il paragone con i successi di immagineinternazionale di quest�ultimo continuava a pesare nega-tivamente sul nuovo presidente. La Federazione russaaveva ereditato una parte consistente del ruolo dell�U-nione Sovietica nell�arena mondiale, compresi diritti eobblighi, di conseguenza il capo dello stato russo avevaacquisito una fetta rilevante della posizione formale delsuo predecessore. Ma quella posizione non si traducevaautomaticamente né in immagine né in prestigio perso-nale sulla scena mondiale.

Anche in Grecia il nuovo leader volle presentarsi inmodo da compiacere i suoi ospiti compiendo un atto dicortesia e di apertura. A loro, e in particolare all�alloraministro della Cultura, Melina Mercouri, egli promise diesporre ad Atene, in una grande mostra, il tesoro di

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Priamo, cioè l�oro e gli altri reperti scoperti da HeinrichSchliemann in territorio turco, sulla collina di Hissal-rik-Troia. L�eco della affermazione eltsiniana fu indub-biamente notevole. La soddisfazione degli ospiti grecirisultò evidente. Non altrettanto si poteva dire per le rea-zioni che ebbero luogo a Istanbul e in Germania. La Tur-chia ripropose le proprie rivendicazioni in tema di pro-prietà del tesoro. A Berlino si ebbe conferma delle ipo-tesi circa la pista orientale, e negli ambienti scientifici egiornalistici ci si mise in moto per dimostrare la fonda-tezza dei diritti della Germania. Il governo e i diploma-tici di Bonn si impegnarono con maggiore forza nell�a-zione da tempo iniziata affinché il problema fosse affron-tato bilateralmente soprattutto nell�ambito della Com-missione russo-tedesca appositamente costituita perdiscutere � in verità senza molte conclusioni concrete �il tema delle restituzioni reciproche. In Russia il gover-no, trascorsi un paio di mesi, lasciava parlare il ministrodella Cultura, Evgheni Sidorov, il quale confermava ilpossesso del tesoro dando in sostanza assicurazioni sullasua conservazione, ma rimanendo nel vago quanto allepossibilità espositive. Al Museo Puskin l�imbarazzo eraevidente: fino a non molto tempo prima i suoi dirigentinon solo non avevano ammesso di essere i depositari deltesoro, ma avevano negato di saperne alcunché.

Il velo su un mistero della moderna storia di un pa-trimonio fondamentale della archeologia, della cultura edella civiltà europea era stato definitivamente squar-ciato. Tuttavia, il modo in cui l�atto fu compiuto nonmancò di suscitare polemiche, di indurre ad alcune no-te critiche e, addirittura, a qualche sorriso sulla realeconoscenza del problema da parte di Eltsin: vi fu chi sichiese, non senza qualche ragione, se egli fosse in gradodi distinguere fra Troade ed Ellade o di districarsi nellacomplicata querelle diplomatica attorno al tesoro. Delresto, la promessa fatta ad Atene non venne mantenu-

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ta né allora, né dopo, e molti videro in ciò la riprovadella validità delle loro critiche.

Da quel momento, l�oro di Troia divenne il temaprincipale nella discussione sulle restituzioni dei trofeidi guerra, soprattutto russo-tedeschi. Anzi, in Russiatale discussione mutò carattere non soltanto o tantoperché la sua scena venne occupata da un primo attoreche si chiamava tesoro di Priamo, ma perché, se finoallora, pur avendo già assunto toni vivaci, era stata con-tenuta in ambienti specialistici o culturali e si era spes-so svolta in modi sotterranei o vaghi, da quel momentoassunse una dimensione ben piú vasta, coinvolse piúdecisamente organi di informazione, opinione pubblica,istituzioni governative e parlamentari, si trasformò in undibattito che ai connotati storici e culturali aggiungevaaspetti e colori piú marcatamente politici (come con-cretamente rispondere alle richieste tedesche) o quan-tomeno riguardanti scelte di ordine politico e di orga-nizzazione culturale (se e come utilizzare il patrimoniocostituito dai trofei di guerra).

Intanto, veniva alla luce la dimensione quantitativadel problema. Era difficile darne una esatta valutazio-ne. Si parlava di una requisizione «ai tedeschi» e quin-di di un patrimonio «russo», che all�inizio aveva riguar-dato milioni di «oggetti». Non era sempre chiaro checosa si dovesse intendere per «oggetto»: un quadro,una scultura, un vaso avevano una loro precisa de-finizione ed entità, ma una collana, un braccialetto, undiadema potevano essere composti da numerosissimipezzi. In questo caso, quale era l�«oggetto» elementa-re che doveva essere conteggiato? Per il tesoro di Pria-mo si è parlato, anche nella pubblicistica internazionaledi otto-dieci mila pezzi, mentre gli oggetti completi, trametallo e ceramica, sono centinaia e non migliaia. Inquesto caso, poi, si aggiunga che il calcolo risulta piúcomplicato per un�altra ragione, cioè per la non suffi-

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ciente precisione con la quale spesso si considera �almeno nella pubblicistica corrente � quel che va inclu-so o, viceversa, escluso dal novero dei reperti apparte-nuti al prezioso tesoro. In effetti, Schliemann avevadefinito tesoro di Priamo ciò che aveva ritrovato nel1873 a Troia. Come sappiamo la definizione è impro-pria perché in realtà quello strato appartiene a un luogoabitato piú di mille anni prima dell�epoca a cui verosi-milmente si fa risalire la guerra fra troiani e acheientrata nella leggenda e cantata da Omero. A parte,però, questa impropria definizione schliemanniana,fatto è che spesso sotto l�espressione «tesoro di Pria-mo» si annoverano reperti ritrovati da Schliemann pursempre nel sito archeologico di Troia, ma in altri annie in altri scavi, oppure da lui acquistati sul mercatodelle antichita1.

Tornando al complesso dei milioni di oggetti, è evi-dente che in esso si includevano sicuramente i beni de-finibili a prima vista di natura artistica e di grande pre-gio culturale � dipinti, statue, antichità archeologiche,ecc. � ma si includevano anche, ci si poteva domanda-re, i libri di biblioteche dove accanto a rarità biblio-grafiche erano ammassati volumi di poco valore?

Su una rivista di editoria e di bibliologia, «Kniznoedelo», venivano pubblicati alcuni articoli in cui si af-frontava il problema della conservazione-restituzionedei libri requisiti e si esponevano pareri tra loro con-trastanti, i quali, in sostanza, riproducevano molti aspet-ti del piú generale dibattito sui trofei di guerra. Negliarticoli non mancavano racconti di fatti curiosi e scon-certanti. Mentre a Mosca, a Leningrado e in alcunealtre grandi città l�occultamento e la conservazione deilibri-trofei avevano avuto, nella loro straordinarietà, uncarattere più o meno normale, in altri centri i volumirequisiti in Germania e distribuiti dal Fondo librario sta-tale erano andati incontro alle piú diverse avventure. Per

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esempio, nell�estate del 1963, all�epoca del «disgelochruscëviano», gli allora studiosi di bibliografia dellabiblioteca regionale di Celjabinsk, Arlen Viktorovi�Bljum e Boris Timofevi� Utkin, ritrovarono nel vecchiodeposito librario della loro istituzione due stanze pienedi casse e cartoni contenenti libri «soprattutto in linguatedesca». Tra gli altri, vi erano parecchie edizioni pre-giate, a partire dal XVI secolo. A molti di essi erano statemeticolosamente allegate delle schede contenenti brevicaratteristiche: a una delle prime edizioni di un�opera diFriederich Hölderlin si aggiungeva che «l�autore è tal-mente poco noto che non conviene metterlo sugli scaf-fali, inoltre si tratta di vero vecchiume (1798!)»; del-l�Antigone e dell�Elettra di Sofocle, nell�edizione del1751, si diceva che «il libro è molto difficile da legge-re»; di un Fichte edito a Königsberg nel 1791 era scrit-to: «il libro è invecchiato e da noi non può trovare nes-suna utilizzazione»; una prima edizione (sempre König-sberg 179o) della Critica del giudizio di Kant eracaratterizzata con un «non è nostra ideologia». Tra il1945 e il 1946 � era ormai impossibile stabilirlo con pre-cisione � la biblioteca di Celjabinsk aveva ricevuto unvagone di libri-trofeo. I volumi erano stati attentamen-te esaminati e poi messi in deposito «in attesa di tempimigliori» perché intanto era iniziata la campagna «con-tro il cosmopolitismo». I tempi migliori tardarono adarrivare e la Direzione della biblioteca non si decise néa distruggere né a utilizzare in qualche maniera i libriricevuti. Tutto � e per tutto non va inteso il solo de-posito di Celjabinsk, ma l�insieme dei volumi distribui-ti dal Fondo statale � era regolamentato e controllatodalle istanze ideologico-partitiche e dal Glavlit, l�orga-no censorio, il quale aveva emanato alla fine degli anniquaranta una apposita instrucija che «ammetteva allautilizzazione della letteratura straniera proibita soltantole persone che hanno accesso ai documenti asso-

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lutamente riservati». Naturalmente, non agivano sol-tanto il Glavlit o le sue istruzioni. Avevano una in-fluenza ben precisa l�atmosfera, gli orientamenti, lementalità diffuse di carattere politico-ideologico. Delresto, ciò non riguardava soltanto la condizione dei li-bri-trofeo, ma l�insieme dei beni artistici e culturali di-venuti trofeo bellico.

Rimanendo al settore librario, va ricordato che nelladiscussione del 1993-94 si è teso a dare un quadro piúcomplesso del problema. Vi fu chi reagí alle posizionirusse e occidentali che sostenevano l�ipotesi di una sortadi restituzione unilaterale o che, in ogni caso, sottova-lutavano le ragioni che spingevano a soluzioni basate suuna visione piú distaccata e complessiva delle questioniin campo. In un articolo pubblicato già in precedenza su«Kniznoe delo»2, prendendo lo spunto da un saggio diuna ricercatrice americana dell�Istituto ucraino di Har-vard apparso su «Jahrbucher für Geschichte Osteuro-pas» nel quale «i misfatti dei fascisti» in Unione Sovie-tica venivano messi tra virgolette, si riproponevanoall�attenzione del lettore le note tesi naziste con le paro-le di Himmler («I russi sono animali da lavoro che nonhanno alcuna cultura») e si ricordava che proprio da que-sta interpretazione erano scaturiti il depredamento o ladistruzione da parte tedesca di cento milioni di volumicontenuti nelle biblioteche dei territori sovietici occu-pati. Si aggiungeva, anzi, che questa «cifra accettataufficialmente» era, «secondo gli ultimi dati... chiara-mente ridotta» e la si poteva mettere tranquillamente inrelazione con quella � 3-5 milioni � dei libri requisiti inGermania dalle truppe sovietiche. Nel dibattito sullerestituzioni il pendolo oscillava cosí a favore di una tesiopposta a quella della restituzione più o meno unilate-rale. Per confermarne la giustezza si richiamavano lerestituzioni già avvenute, indicando, per esempio, chenel 1956 erano stati riportati nella allora Germania

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orientale 270 mila volumi della biblioteca di Ghota e cherecentemente � 1992 � era stato deciso di restituire allaRepubblica Federale Tedesca gli ultimi libri rimasti inRussia � circa diecimila � di quella famosa biblioteca. Siarrivava infine a giustificare le requisizioni di libri daparte sovietica con un argomento francamente assaidebole, controvertibile e persino ritorcibile: l�argomentosecondo cui era necessario indebolire la scienza tedescaper impedire «ad ogni costo il risorgere del militarismo».

Comunque sia, se dal dibattito non scaturiva unaconclusione unitaria sul problema delle restituzioni e �rimanendo alla ricerca delle dimensioni e delle quantitàdei trofei bellici � neppure una definizione esatta dellequantità requisite nel 1945, tuttavia scaturivano sia unaidea dell�ordine del fenomeno, sia l�esigenza di una pre-cisa catalogazione del patrimonio culturale sottratto odistrutto da ambedue le parti, vinta e vincitrice. Perquanto riguarda l�ordine di grandezza, al di là della valu-tazione diretta, venivano ricordati alcuni altri parame-tri, tra i quali il numero dei vagoni ferroviari che eranoserviti per il trasporto dei trofei dalla Germania all�U-nione Sovietica. Il documento inviato a Malenkov nel-l�ottobre del �45 e già da noi citato prosegue afferman-do che «delle 40 mila casse e buste trovate nelle minie-re ne sono state scelte 8850. Per l�invio in Urss dei librie delle collezioni museali scelte sono necessari 85 vago-ni». In complesso si trattò di decine di migliaia di cassee di migliaia di vagoni, il che in termini di patrimonioartistico e culturale serve a confermare, grosso modo, l�i-dea di una quantità di milioni di oggetti.

Per quanto riguarda la catalogazione le cose non so-no piú semplici. Come è ovvio, essa è risultata parti-colarmente difficile per tutto ciò che è andato distrut-to. Da parte russa si è teso, non senza ragione, a ricor-dare che i nazisti, durante l�occupazione, hanno fattoterra bruciata sia con azioni belliche, sia con intenti di

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rapina. Si sono indicati alcuni grandi complessi monu-mentali espressione della cultura antica o più recentedella Russia, i quali sono stati colpiti o sono andati per-duti con la guerra. Tra di essi, sono stati segnalati i te-sori e i patrimoni della città di Novgorod e della zonadi Pietroburgo. Sono stati anche spesso ricordati, comesimboli di questi patrimoni, alcuni singoli importantitesori artistici e culturali, piú o meno ricostruiti in segui-to: la cattedrale di Santa Sofia con le sue icone, la Jan-tarnaja komnata, varie parti di Petergof (Peterhof), cioèla Versailles nordica, il cui nome nei passati decenni erastato trasformato in Petrodvorec. In questi casi la com-pilazione degli elenchi ha raggiunto qualche successo, main genere essa è apparsa assai problematica. A partequalche eccezione, tra cui alcune appena ricordate, nelcaso dei tesori requisiti o rapinati fanno da ostacolo allacatalogazione altri fattori. I tedeschi si sono impegnaticon un certo rigore a favorirla, ma spesso si è trattato �è il caso dell�oro di Troia � di ciò che è stato preso inGermania come trofeo di guerra e piú raramente di ciòche è stato portato via dalla Russia. L�atteggiamento nonè stato dovuto solo a una difficoltà, o meglio a un osta-colo legato a cattiva volontà e a impostazioni interessa-te: è stato dovuto al fatto che spesso ciò che è statodeportato si è trasformato fin dall�inizio in un bottinodi singoli privati, militari o cittadini, disperso in colle-zioni tedesche e di mezzo mondo. A loro volta i russisono stati guidati per decenni dalle regole della segre-tezza e, con la glasnost, dapprima da una buona dose direticenza e ultimamente da difficoltà di ordine organiz-zativo. Tutto ciò non significa, ovviamente, che non sipossa mettere mano alla catalogazione. In una confe-renza stampa tenuta a Mosca nel giugno del 1994,Evgheni Stroev, presidente della Commissione per lacultura e per l�educazione del Consiglio della Federa-zione � uno dei due rami del Parlamento russo � annun-

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ciava, tra l�altro, sia la volontà di procedere alla compi-lazione degli elenchi, sia la disponibilità a collaborareall�opera di catalogazione e di rasskrescivanie (toglieredallo stato di segretezza) da parte di Sergej Stepasin,direttore dell�Fsk, l�ex Kgb. Finora un risultato com-plessivo del tutto soddisfacente non è stato ottenuto,tuttavia una maggiore approssimazione è stata raggiun-ta. Quella di matrice russa piú riassuntiva è contenuta� almeno secondo le nostre conoscenze � in una «notainformativa» elaborata «sulla base dei materiali deiministeri della Cultura e degli Esteri dall�Istituto dianalisi e di gestione dei conflitti e della stabilità, e con-segnata alla Duma di stato».

Il conteggio è stato tentato per ambedue i campi, cioèper le requisizioni compiute dai tedeschi in Russia e inUnione Sovietica, e viceversa per quelle compiute daisovietici in Germania e in altri Paesi. Ancor piú com-plicato è risultato il calcolo preciso delle distruzioni, aldi là di una loro stima di massima.

Per quanto riguarda l�Unione Sovietica si è iniziatocon il riprendere le ricerche compiute già negli anni del-la guerra e dell�immediato dopoguerra dalla Commis-sione straordinaria di stato appositamente costituita«per stabilire e valutare i crimini degli occupanti tede-sco-fascisti», la quale tra la fine del �42 e la metà del�546 ha potuto esaminare 54 mila documenti e 254 mi-la verbali di testimonianze e dichiarazioni in 28 regionidel Paese. C�è anche da considerare che la Commis-sione di stato per le restituzioni attualmente all�opera stapreparando il catalogo riguardante le perdite della Rus-sia e che si sta per concludere la compilazione deglielenchi da trasmettere alla parte tedesca, relativi aiMusei di Petergof, Krasnodar, Rostov e Smolensk. Piúin generale, sembra che si sia potuto accertare che i na-zisti, soprattutto con l�azione dei gruppi speciali di Ro-semberg e con quella di reparti delle SS, hanno spogliato

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e depredato 427 musei sovietici (173 in Russia) e 769 trachiese cattoliche, templi ortodossi, sinagoghe ed edificiaffini. Da 73 musei (15 russi) furono tratti via o distrut-ti 6oo mila tra icone e altri oggetti esposti (soltanto da3 musei russi questi pezzi d�arte perduti sono stati pocomeno di 40 mila). Dall�elenco sono escluse � come sivede � le biblioteche e le altre istituzioni conservatricidi grandi quantità di beni culturali.

Una parte dei beni artistici sovietici e russi furonorecuperati con la fine della guerra e l�occupazione dellaGermania. A questo scopo lavorarono truppe e com-missioni alleate. Molti valori artistici erano custoditinelle zone meridionali del Paese. Gli americani indivi-duarono circa mille siti di custodia, dove in realtà c�eraun po� di tutto, cioè beni di diversa provenienza. An-che di questo patrimonio è difficile calcolare quale equanto andò disperso. Una parte consistente fu tuttaviaconsegnata alla Amministrazione militare «MFA & A»,cioè Monuments Fine Arts and Archives, che tra il �45 eil �46 raccolse quel che aveva in consegna in quattropunti: Monaco, Wiesbaden, Marburgo e Offenbach. Diqui presero la strada del ritorno in Urss una ventina divagoni con il carico di oggetti artistici per un totale diuna o piú centinaia di migliaia di pezzi, tra cui mille ecento icone preziose di Pskov e Novgorod. Impossibilecalcolare quello che non fece ritorno. È comunque notoche il 10 gennaio del �48 furono presentate dai sovieticialtre 1 62o richieste di restituzione di blocchi di beniculturali e che in seguito a tali richieste furono re-cuperati oggetti � quadri, icone, libri � per un totale dicirca i 6o-170 mila pezzi, tra cui il Nettuno di Petergof,trasportati poi con 29 vagoni.

Anche per i beni tedeschi è difficile stabilire esatta-mente ciò che fu requisito, ciò che fu depredato e ciòche andò distrutto. A parte quello che fu perduto a cau-sa dei bombardamenti e degli incendi, è da considerare

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che una parte di oggetti e beni fu distrutta in seguito allapolitica postbellica alleata detta dei tre «D», cioè dellademilitarizzazione, denazificazione e democratiz-zazione. In ragione di tale politica furono abbattuti mo-numenti nazisti, ma anche letteratura scientifica legataa potenzialità militari (una parte di libri e archivi di que-sto genere fu requisita). Il calcolo è ulteriormente com-plicato da due altri fattori: l�azione non di una solaforza di occupazione, ma di quattro (Unione Sovietica,Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia); i beni artistici eculturali requisiti furono spesso mescolati e confusi conil patrimonio considerato come riparazione per i dannidi guerra.

È, invece, piú agevole calcolare il patrimonio artisticoe culturale tedesco che fu restituito negli anni cinquantae sessanta in particolare alla Repubblica DemocraticaTedesca. Tralasciando in questo contesto complessiimportanti come la Galleria di Dresda su cui ritornere-mo, è stato chiarito che in quegli anni furono sottoscritti19 atti in virtú dei quali furono trasmessi alla Germa-nia dell�Est quasi un milione e seicentomila pezzi d�ar-te (1 571 995 per l�esattezza), tre milioni di dossierd�archivio, libri e altri documenti. Recentemente è statoaffermato che dal solo Museo Puskin sono stati restituitinel corso degli anni successivi 354 271 pezzi che eranolà custoditi. Ciò dimostra, tra l�altro, l�importanza diquel deposito.

Una stima più o meno esatta è anche possibile per ciòche è rimasto in Russia, in particolare nelle istituzionipubbliche. In sostanza si tratterebbe di 200 mila ogget-ti cosiddetti da esposizione, di due milioni di libri e ditre chilometri di scaffali con documenti d�archivio.Naturalmente, si tratta di beni di diverso valore e di dif-ferente natura. Tra i libri vi sono due Bibbie di Guten-berg. Tra i reperti archeologici vi sono pezzi che atten-

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gono alla protostoria dei territori della Germania (peresempio, 8o provenienti dai ritrovamenti di Eberswal-de) e oggetti che con la storia tedesca hanno poco a chefare. Ovviamente il complesso piú famoso e prezioso ditutti è costituito dal tesoro di Priamo.

1 Anche noi abbiamo fatto uso in questo volume di un linguaggio aquesto riguardo non sempre corretto intercambiando i termini di teso-ro di Priamo oro di Troia, tesoro di Troia, raccolte troiane, ecc.. Il let-tore non ce ne voglia. Un po� pedantescamente possiamo dire che inrealtà, si dovrebbe usare il primo per considerare i reperti del 1873 el�ultimo per tutto ciò che è stato ritrovato nei vari scavi a Troia. Il se-condo può essere adoperato in maniera almeno ambivalente: per si-gnificare la parte piú pregiata, cioè in oro o in metallo, del tesoro diPriamo oppure del tesoro di Troia e delle raccolte troiane.

2 A. Mazurickij, Restitucija kniznich sobranii, «Kniznoe delo», 3,1993.

3 «Izvestija» del 28 febbraio 1995.

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Capitolo ottavo

Restitucija sí, restitucija no

Abbiamo detto come, con l�entrata in scena dell�orodi Troia � e, per la verità, di alcuni altri tesori tra cui,per esempio, la collezione d�arte della Kunsthalle diBrema � la discussione intorno ai trofei di guerra abbiariacquistato carattere e natura piú marcatamente politi-ci perché si doveva scegliere il concreto atteggiamentoda tenere sulla questione delle restituzioni. In realtà, ladiscussione assumeva un carattere piú complessivamen-te politico, storico e persino ideale, per almeno due altreragioni: perché i russi, attraverso l�assunzione di undeterminato atteggiamento pratico, sceglievano sia unaposizione di politica internazionale � verso la Germania,ma non solo � sia una visione della propria storia � laguerra � e dei propri interessi nazionali. Naturalmente,era vero anche il contrario, e cioè che le scelte di poli-tica internazionale e le visioni del passato e dell�interesseattuale influenzavano o determinavano le proposte daattuare nella questione delle restituzioni.

Non è qui il caso di ripercorrere tutto lo svolgimen-to del dibattito e neppure di presentare tutta la congeriedi posizioni, atteggiamenti, proposte che si sono espres-se, intrecciate e scontrate. Un noto intellettuale, Save-li Jamsikov, che vi ha partecipato anche come membrodella Commissione statale per le restituzioni e di ungruppo di esperti russo-tedeschi, ha definito in uno scrit-to apparso sulla «Nezavizimaja gazeta» le due correnti

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che hanno animato la discussione da sponde opposte:coloro i quali «hanno categoricamente protestato controqualsiasi restituzione dei trofei basandosi sul fatto cheil regime fascista tedesco ha provocato la guerra ed è l�u-nico colpevole della perdita di inestimabili monumentidella cultura patria»; coloro i quali, «al contrario, hannotentato di restituire gratuitamente alla Germania i beniculturali da lí tratti fuori»1. In effetti, queste sono le duetendenze nelle quali è confluita buona parte dei con-tendenti. Ne esiste una terza, forse la piú numerosa, cheha reso il quadro piú mosso e articolato. Non solo è daincludere in essa chi ha assunto un atteggiamento media-no tra le due opposte correnti, ma anche chi, distac-candosi dalla posizione di rigido rifiuto o, viceversa, dauna impostazione favorevole alle richieste tedesche, haoscillato alla ricerca � per acquisita convinzione o peresigenze di manovra politica � di proposte più ragiona-te e complesse come, per esempio, la restituzione su basidi reciprocità o di parti limitate dei trofei di guerra.

L�analisi delle posizioni reali è resa ancora piú com-plessa in quanto il dibattito si è spesso trasformato inpolemiche nelle quali le ragioni dello scontro e delle di-vergenze esulavano in buona parte dalla materia in que-stione, avendo le proprie radici in contrasti e interessipolitici piú generali cosí come nei trambusti, nei rivol-gimenti e nella confusione della vita politica russa diquesti anni. È il caso delle responsabilità attribuite, inmateria, all�ex presidente Gorbaciov. È evidente chedurante il quinquennio di affermazione della perestroikae della glasnost si sarebbe dovuto giungere a una maggiorchiarezza su tutto il tema dei trofei e delle restituzioni.Ma è anche noto, primo, che proprio negli anni 1985-90il problema fu affrontato per la prima volta al di fuoridelle ristrette stanze in cui i trofei bellici, e il potere sudi essi, erano trattenuti e circoscritti; secondo, che ciòfu possibile grazie alla impostazione data alla piú gene-

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rale questione delle cërnye pjatna, le macchie nere, dellastoria sovietica; terzo, che in quel periodo la posta ingioco, ben piú vasta, sovrastava su tutto e sulle singolescelte in campi particolari seppure importanti; quarto,che le resistenze provenienti dagli apparati e dalla piúampia società erano assai consistenti; quinto, che leposizioni e le spinte opposte � alla resistenza e alla cede-volezza, all�apertura e alla chiusura, alla conservazionee alla innovazione � non erano facilmente riconducibilia un disegno e a un processo razionali. D�altra parte,l�insistenza sulle responsabilità personali discende spes-so o da un modo angusto e sbagliato di interpretare lastoria o dal desiderio di far prevalere altri interessiimmediati e particolari. Comunque sia, Gorbaciov èstato chiamato in causa, a torto o a ragione, più di unavolta sia per non aver affrontato i problemi della rassk-rescivanie e della restitucija, sia per aver mostrato unatendenza a cedere di fronte alle pretese tedesche. Piúprecisamente gli si imputò che nel «Trattato di buonvicinato, di compartecipazione e di collaborazione»,firmato il 9 novembre del 1990 tra Unione Sovietica eRepubblica Federale Tedesca, vi fosse scritto all�artico-lo 16 la seguente frase: «i beni culturali scomparsi o por-tati via illegalmente, i quali si trovino sui loro [dell�U-nione Sovietica e della Repubblica Federale Tedesca]territori, devono ritornare ai proprietari o loro eredi».

Naturalmente, sotto il profilo degli effetti giuridici sipoteva discutere � e si continuò e si continua a farlo �sul significato del termine «illegalmente» (i russi, vin-citori, difficilmente possono considerare «illegali» i tro-fei di guerra), cosí come si poteva puntualizzare chequella frase non andava presa in maniera a sé stante inquanto c�erano altre norme e un insieme di incerte,ambigue, contraddittorie disposizioni (ci ritorneremo)che ponevano altri obblighi o davano luogo ad altre con-clusioni. Sotto il profilo politico, invece, la frase appa-

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riva piú significativa e interessante. Era il 1990. Da unlato, essa era il segno della debolezza, confusione e pre-minenza di ben altri problemi a cui erano giunte la poli-tica e la posizione, interna e internazionale, gorbacio-viana. Dall�altro lato, però � e questo è il dato forse piúilluminante � essa appare l�espressione di un piú gene-rale atteggiamento tedesco e occidentale verso la moren-te Unione Sovietica: approfittare della condizione altruiper trarne vantaggio magari senza superare i limiti del-l�invalicabile, epperò senza farsi guidare da una visionepiú lungimirante degli interessi propri e dell�interlocu-tore, comuni e collettivi. Si dirà che spesso nella storiaè accaduto qualcosa del genere, tuttavia si deve sottoli-neare che ciò è stato piú grave per il dopoguerra freddaed è tanto piú miope in quanto si colloca nel mondo del-l�interdipendenza che, fino a prova contraria, dovrebbeuniformare e configurare di sé le relazioni internazionali.Del resto, rimanendo al campo limitato della restitucija,i risultati � o i non risultati � finora raggiunti sono, inquesto senso, assai eloquenti.

A complicare ulteriormente la questione sta il fattoche Gorbaciov fu chiamato in causa per una vicendaparallela o, meglio, che furono affiancati due tipi di re-stitucija: accanto alla restitucija di beni culturali tra Sta-ti, relativa cioè a rapporti internazionali, fu posta quel-la della restitucija interna, cioè di beni di varia naturaconfiscati a cittadini tedeschi e trasmessi ad altri cit-tadini tedeschi o a istituzioni pubbliche. È il caso diterre passate di proprietà nella Germania orientale conla riforma agraria attuata negli anni del regime di oc-cupazione (1945-49). In particolare, si disse che Gor-baciov aveva concesso il benestare alla riunificazionetedesca a patto che non fossero mutati lo status quo e irapporti (di proprietà, ecc.) nei territori appartenenti allaRepubblica Democratica Tedesca. La discussione suquesto tema si accese e si diffuse soprattutto in Ger-

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mania anche perché le autorità di Bonn, assumendo leloro posizioni, si trincerarono dietro gli obblighi assuntiinternazionalmente. In realtà, la norma, secondo laquale «le confische di beni attuate sulla base dei dirittie della autorità delle forze di occupazione (1945-49)sono irreversibili» è inserita nella Dichiarazione comunesottoscritta il 15 giugno 1990 dai Governi della Repub-blica Federale Tedesca e della Repubblica DemocraticaTedesca�.

L�ex leader sovietico si difese varie volte dalle accusesostenendo che egli non aveva mai dettato � e non pote-va dettare dato il suo ruolo e le sue concezioni � alcunacondizione intertedesca alla riunificazione. In partico-lare, in una intervista del 31 agosto 1994 ricordava inquesti termini il proprio intervento alla definizione delproblema: «Il 10 febbraio 199o, a Mosca, ho dichiara-to a Helmut Kohl che i problemi intergermanici dellariunificazione sono problemi interni, sono affare deitedeschi. Kohl ha riproposto la domanda chiedendo seavevo capito bene. Io ho confermato, aggiungendo:�tenendo conto della realtà� avendo presente che il pro-cesso di riunificazione non avrebbe dovuto recar dannoagli interessi di altri Stati, al processo paneuropeo, allacausa del disarmo e della liquidazione della guerra fred-da, in altre parole non si sarebbe dovuto ribaltare tuttociò che era stato acquisito nei mutamenti radicali dellasituazione internazionale».

Sulla formula specifica dei «beni culturali scomparsio portati via illegalmente», contenuta nell�articolo 16del Trattato del �9o, Gorbaciov non ci ritornò. Pro-babilmente non aveva bisogno di farlo neppure perdifendersi, perché quell�«illegalmente» forniva la chia-ve della piú favorevole interpretazione diplomatica e altempo stesso non offendeva l�interlocutore tedesco.

Diverso è il caso che tocca l�attuale presidente dellaFederazione russa. Tuttavia, le critiche rivolte a Eltsin

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sono, almeno in alcuni loro aspetti e quasi per nemesistorica, simili a quelle lanciate nei confronti del suoinformale predecessore. Si tratta, in sostanza, dell�ac-cusa di aver affrontato il problema della restituzione, epersino quello del disvelamento dei segreti trofeali, inmodo tale da subordinare gli atti compiuti a esigenze dicompiacimento diplomatico o a scelte male impostate dipolitica estera. Il lettore conosce già le dichiarazioniateniesi del presidente. Dopo una visita ufficiale in Rus-sia di Helmut Kohl, vi fu chi ricordò che soltanto gra-zie a un intervento della Commissione per le restituzio-ni fu evitato di compiere un atto già deciso «ai vertici»,cioè la riconsegna, in forma di grazioso regalo, dellaBibbia di Gutenberg al Cancelliere tedesco. Fu anchereso noto che non molto prima del viaggio di Eltsin inUngheria i burocrati governativi avevano nottetempotrafugato dal Centro panrusso del restauro due dipintidi maestri ungheresi del XIX secolo, senza ovviamentecomunicare nulla alla Commissione per le restituzioni e,viceversa, osservando «là condizione di segretezzavigente negli anni del totalitarismo». In cambio, il pre-sidente avrebbe portato a casa � cosí avvenne � unaicona russa del XIX secolo, «di quelle che numerose sivendono nei negozi di antiquariato». A Eltsin venneanche imputato di aver approvato un accordo tra igoverni di Russia e Germania sulla collaborazione cul-turale � accordo siglato a Mosca il 16 dicembre �92 � nelquale si riproponeva il concetto già stabilito nel Tratta-to del �9o e, all�articolo 15, lo si ripeteva con le seguen-ti identiche parole: «le parti concordano che i beni cul-turali scomparsi o portati via illegalmente, i quali si tro-vino sui loro territori, devono ritornare ai proprietari oloro eredi».

Un�altra importante istituzione statale � il Governoe, per suo conto, il ministero della Cultura � è stata og-getto di polemiche da parte sia di organi di opinione, sia

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di ambienti parlamentari. In alcuni casi il Governo o ilMinistero venivano opportunisticamente presi di miraper non attaccare il potere presidenziale, in altri casi lapolemica, a torto o a ragione, era piú direttamente giu-stificata.

A metà del 1994, essa si acutizzò, avendo come pro-tagonisti il Parlamento da un lato, e il Governo dall�al-tro, e per quest�ultimo il ministero della Cultura e laCommissione statale per le restituzioni. La Presidenzadella Federazione risultò, almeno pubblicamente, al-quanto defilata. Tra i contendenti principali vi fu unmomento in cui i toni si fecero asperrimi e la polemicasi trasformò in scontro aperto con accuse violente daambedue le parti. Cos�era successo? Oltre alla pubbli-cazione di articoli, dichiarazioni, prese di posizione, daun paio d�anni erano al lavoro due commissioni: unainterna, cioè russa, la Commissione statale per le re-stituzioni appunto; l�altra internazionale bilaterale, cioèrusso-tedesca. La prima era formata dai rappresentantidei ministeri degli Esteri, dell�Interno, della Giustizia,della Difesa, della Cultura, da mandatari dell�Fsk � exKgb � e di altri organismi governativi, da intellettuali,specialisti e funzionari in vari campi: bibliotecario,museale, archivistico, del restauro e del diritto. Era pre-sieduta dal ministro della Cultura, Evgheni Sidorov, eal momento della sua costituzione aveva subito le soli-te pressioni per includere e, viceversa, escludere questoo quello, e aveva generato qualche dissapore. Tra gliintellettuali erano stati chiamati a farne parte persona-lità dagli atteggiamenti, dalle inclinazioni e dagli orien-tamenti differenti anche nella materia specifica dei beniculturali, dei trofei bellici e della restitucija. Due soliesempi: Irina Antonova direttrice del Puskin, che, al dilà di ogni sua gentile mitezza nel rivolgersi agli interlo-cutori e persino al di là di ogni sua convinzione, peral-tro difficilmente manifestata, sul destino dei trofei,

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aveva negato e continuava a negare che il tesoro di Pria-mo fosse custodito presso il suo museo; Saveli Iamsikovche era stato tra i primi � forse il primo � a indicare pub-blicamente il Puskin quale luogo in cui il tesoro erastato nascosto per tanti anni e dove tuttora si trovava.

La seconda Commissione era nata sulla base di unaccordo intercorso tra Eltsin e Kohl nel periodo dellapolitica estera di compiacimento da parte del presidenterusso e, soprattutto, delle pressioni tedesche. La stam-pa moscovita avrebbe poi commentato, in riferimentoproprio alla questione delle restituzioni, che, rispetto altempo precedente l�unificazione della Germania e loscioglimento dell�Urss, «i ruoli sono ora cambiati: daposizioni di forza cerca di agire la Germania, grande cre-ditore della Russia». Tra i rappresentanti di Mosca nella«bilaterale» si trovavano esponenti della prima delledue Commissioni; la loro posizione non era sempre faci-le e vi era chi attribuiva buona parte delle difficoltà nontanto alla sostanza delle questioni sul tappeto, quantopiuttosto ai modi con cui Eltsin e la squadra presiden-ziale avevano fronteggiato, o non fronteggiato, l�azionedel Cancelliere e dei funzionari governativi di Bonn.Molti parlamentari presi singolarmente e il Parlamentonel suo insieme, cioè sia la Duma che la Camera alta, ilSovet Federacii, si sentivano messi in un angolo, se nonaddirittura estromessi dalla attività diplomatica e datutta la vicenda.

Finché le condizioni oggettive più generali (scontrotra i poteri, attacco militare del 23 ottobre 1993 alla«Casa bianca» moscovita, scioglimento del Parlamento,elezioni) costringevano all�inattività legislativa o adoccuparsi d�altro, l�attenzione non era certo rivolta aitrofei bellici, ma non appena sembrò ritornare una re-lativa normalità, il Parlamento tentò di assumere l�ini-ziativa. Il presupposto su cui questa si fondava era le-

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gittimo e ragionevole. Si trattava di ovviare a una evi-dente lacuna: l�assenza di una norma e della stessa vestegiuridica di tutto il patrimonio requisito in Germania ealtrove, presente in territorio russo. Naturalmente, nonerano estranei altri scopi. Al di là della volontà da partedi ciascun parlamentare e di ciascun gruppo, di affer-mare la propria visione storica e politica d�insieme sul-l�argomento (e, nella situazione data, lo spazio maggio-re veniva occupato dalle tendenze piú rigide nell�affer-mare «i diritti russi»), si manifestavano interessi e finidi ordine politico in senso stretto. Nel momento di mas-sima tensione, il ministro Sidorov si pronunciò polemi-camente e retoricamente cosí: «No, signori, in questomodo non si ricerca la verità, e per quante parole sidicano sulla necessità di difendere i beni culturali dallapolitica, si perseguono soltanto scopi politici»3.

Vennero organizzate audizioni parlamentari. Il mi-nistro della Cultura si sarebbe poi lamentato che tra tuttii componenti della Commissione statale da lui presiedutafosse stata ascoltata solo l�Antonova. Probabilmente, irapporti tesi tra Parlamento e Ministero giocarono unloro ruolo ma c�è anche da dire che il tesoro di Priamodivenuto ormai simbolo del complesso trofeale, avevaconcentrato su di sé gran parte delle attenzioni. D�altraparte, il ministro non aveva tutti i torti a mettere in rilie-vo che nella vicenda si erano inseriti interessi e atteg-giamenti dovuti soprattutto agli scontri politici. Comun-que sia, a seguito delle audizioni parlamentari, l�acca-demico Evgheni Stroev, presidente della Commissionedel Sovet Federacii per la scienza, la cultura e l�istru-zione, tenne una conferenza stampa, nella quale stig-matizzò la neobycnaia usluzlivost�, l�eccezionale com-piacenza, del ministero della Cultura e personalmentedel ministro verso la Germania, sottolineò la necessitàdi creare una base giuridica che permettesse alla Russiadi regolare il possesso dei trofei di guerra, lasciò inten-

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dere che � come si espresse un giornale nel titolo del-l�articolo sulle dichiarazioni di Stroev � «la Germaniapuò attendere l�oro di Schliemann»4. Veniva approvatoe pubblicato un documento dei deputati del Consigliodella Federazione partecipanti alle audizioni, nel qualesi delineava il contenuto di norme di comportamentovolto a definire «statuto giuridico e conservazione deibeni culturali trasferiti».

L�attacco alla Commissione statale, al Ministero epersino al Governo era violento. La Commissione per lerestituzioni � si diceva nel documento � «aveva direttoil proprio lavoro non per far ritornare dalla Germania ibeni culturali, ma soprattutto per trasmetterli unilate-ralmente alla parte tedesca e ad altri Paesi alleati dellaGermania nella seconda guerra mondiale». Si aggiunge-va che ci «si trovava di fronte alla minaccia della per-dita di insigni raccolte d�arte quali la Collezione Koenigse la Collezione Schliemann». Tre giorni dopo, il 23 giu-gno, appariva sulle «Izvestija» il già citato articolo diSidorov. Era altrettanto violento ma sostanzialmentedifensivo. Tra il serio e l�ironico si concludeva cosí:«Anche noi da tempo discutiamo sul nome della Com-missione. Probabilmente è opportuno abbandonare iltermine restitucija non soltanto perché suona male all�o-recchio russo. Dovrebbe essere denominata �Commis-sione per il ritorno dei beni culturali della Russia persiin seguito alla seconda guerra mondiale e alle sue con-seguenze�. Le audizioni del Consiglio della Federazio-ne ci hanno consolidato in questa opinione».

La polemica non sembrava placarsi. Il Sovet Federaciie la Duma hanno continuato a lungo nella loro azione,per la verità con alcune dissonanze e non sempre conl�intento di giungere a una conclusione. Nella primave-ra del �95 la Duma approvava una moratoria sulla tra-smissione dei trofei a chicchessia. Il postanavlenie daltitolo Sulla moratoria nella restituzione dei beni culturali

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portati via negli anni della Grande guerra patriottica, fir-mato il 21 aprile dal presidente di quel ramo del Parla-mento, Rybkin, diceva testualmente: «La Duma diStato dell�Assemblea Federale della Federazione russadecreta: fino a che non sia approvata la legge federalesui beni culturali trasferiti negli anni della Grande guer-ra patriottica, si introduce la moratoria supresa qualsia-si decisione circa le questioni inerenti la loro restituzio-ne». Il testo, succinto, era sufficientemente chiaro nonsolo nello stabilire che cosa non si dovesse fare almenoper il momento � la restituzione dei beni culturali requi-siti � ma anche per quanto lasciava intendere circa gliumori che venivano affermandosi. In effetti, l�altroramo del Parlamento, il Consiglio della Federazione,aveva appena discusso e approvato un progetto di legge(«sul diritto di proprietà dei beni culturali trasferiti nelterritorio della Federazione russa in seguito alla secon-da guerra mondiale») che il 23 marzo veniva passato allaDuma a norma dell�articolo 104 della Costituzione. Iltesto era alquanto rigido poiché affermava senza mezzitermini il possesso («proprietà», come si diceva nel tito-lo) dei beni contesi. Il ministero della Cultura non pote-va essere d�accordo. Nella Duma alcuni deputati pre-sentavano la sua formulazione, e si diceva avesse parte-cipato con suggerimenti e consigli anche qualche espo-nente della Commissione per le restituzioni e del mini-stero della Cultura (in particolare dell�Ufficio diretto dalfunzionario Valeri Kulisiov). Era un testo piú articola-to che lasciava al Governo e ai ministri interessati mag-giori margini di manovra in campo internazionale, anchese non soddisfaceva appieno il ministero della Cultura.Comunque si introduceva un�ulteriore variante e non sigiungeva a un testo unificato. Tra Parlamento, Go-verno, gruppi politici, e tra gli stessi due rami del Par-lamento, la dialettica sembrava rimanere viva.

In realtà qualcosa veniva modificandosi. Al di là de-

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gli scontri e delle contrapposizioni, le modificazioniavevano luogo nelle convinzioni e nelle impostazionidelle tre correnti di opinione formatesi sulla sostanzastessa del problema delle restituzioni. La seconda del-le tre, quella intransigente, di cui facevano e fanno par-te parlamentari, giornalisti, intellettuali orientati versouna sorta di puro nazionalismo, continuava a espri-mersi con determinazione ma non riusciva ad allargarela propria influenza. La prima, quella possibilista, dicui, a loro volta, facevano e fanno parte altri uomini dicultura, funzionari governativi, membri delle Com-missioni, persone speranzose di ottenere con le resti-tuzioni da parte della Russia qualcosa in cambio, in ter-mini di patrimonio culturale, soprattutto dalla Ger-mania, vedevano obbiettivamente ridursi le loro aspet-tative. Si allargava e si consolidava cosí la terza cor-rente, la quale però veniva chiarendo, con il contribu-to di esponenti delle altre due e in virtú di alcune lezio-ni interne e internazionali subite, le proprie posizioni,rendendole piú ambigue nella forma ma più articolatee precise nella sostanza.

Nell�agosto del �95, il ministro Sidorov che sembra-va essere ormai decisamente approdato a queste posi-zioni fotografava la situazione con un nuovo articolosulle «Izvestija» dal titolo e dal sottotitolo piuttostosignificativi: «Non può esserci �padrone� dell�oro diSchliemann. Non gli speculatori politici, ma la legge eil buon senso devono risolvere la sorte dei beni trasfe-riti»5. In sostanza, la Russia sembrava disposta a trat-tare su beni secondari o in più copie e sul patrimonio dif-ficilmente utilizzabile (per esempio, una parte di libri ebiblioteche) in cambio di altro analogo materiale oppu-re di controvalori adeguati (per esempio, impianti tec-nologici per biblioteche), ma non sembrava molto dispo-sta a ritornare sulla questione di grandi beni come iltesoro di Priamo.

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Questo era stato intanto mostrato agli specialisti te-deschi nell�ottobre del �94. Il direttore del Museo di Pree Protostoria, Menghin, assieme ai colleghi Goldmanne Born, aveva potuto constatarne direttamente l�auten-ticità. Era stato anche deciso e annunciato di volerloesporre in mostra a Mosca nel 1996. Non era neppurestato tolto dal tavolo delle trattative russo-tedesche. Matutto ciò sembrava ormai essere piú un formale com-portamento di cortesia diplomatica che il segno di unaeffettiva disponibilità.

Gli atteggiamenti governativi e degli stessi ambientipresidenziali sembravano essere cambiati. Il ministroSidorov, ricordando il suo primo impatto con l�oro diTroia appariva ormai come colui che mette le mani avan-ti. Cosí scriveva: «Sono stato uno dei primi a vedere illeggendario �oro di Schliemann�. Nell�agosto del �93,quando l�ulteriore silenzio attorno a questa collezionearcheologica era divenuto semplicemente un nonsenso,ho pregato la direttrice del Puskin, Irina Aleksandrov-na Antonova, di mostrarmelo, dopodiché ho confer-mato ufficialmente attraverso la stampa che l��oro diSchliemann� si trovava presso di noi... Ricordo, porta-rono alcuni astucci di legno e i conservatori comincia-rono con attenzione e devozione a tirar fuori da essialcuni pezzi molto semplici di bronzo scuro: coppe, vasi,orecchini, anelli, braccialetti, piccolissimi elementi deldiadema. Pur comprendendo che il valore non stavanell�oro ma nell�antichità di questi oggetti, fui, per dirlasinceramente, un po� deluso. Poi portarono proprio leasce di pietra di inusitata bellezza, di forma perfetta, disorprendente conservazione, e io ho meditato sull�in-comprensibilità, nell�ambito di una vita umana, di untempo di 5 mila anni, sul segreto in essi racchiuso: qualimani li abbiano creati, a quali dèi fossero dedicati, comesiano capitati nella leggendaria Troia 2 mila anni primadi Omero, sul felice colpo di vanga di Heinrich Schlie-

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mann che li ha trovati, sulla drammatica sorte postbel-lica. Effettivamente essi avrebbero potuto scomparireassieme a migliaia di altre opere d�arte di inestimabilevalore nella torre antiaerea da qualcuno incendiata nellazona dello zoo berlinese, la cosiddetta Flakturm amZoo, nella quale si trovava uno dei piú grandi depositidei vari musei berlinesi. Il Flakturm ha sopportato tuttigli attacchi aerei, ma è stato incendiato dall�interno.Tutto ciò che è stato possibile salvare, comprese alcunepreziose casse del Museo di storia antica è stato porta-to in Unione Sovietica... Chi è colpevole di questo? Idirigenti nazisti che hanno condotto il proprio paeseverso la catastrofe nazionale. Riflettendo su ciò si capi-sce che noi effettivamente non siamo colpevoli davantia nessuno, né a questa, né tantomeno a quella Germa-nia. E se siamo colpevoli, lo siamo davanti a tutte leopere d�arte che abbiamo celato senza ragione e sensoagli occhi degli uomini durante tutti gli anni postbelli-ci. E davanti ad esse dobbiamo e possiamo espiare lacolpa al piú presto»6.

1 «Nezavizimaja gazeta» del 21 aprile 1994.2 La Dichiarazione prosegue affermando: «I Governi dell�Unione

Sovietica e della Repubblica Democratica Tedesca non vedono possibi-lità di riconsiderare le misure prese allora. Il Governo della Repubbli-ca Federale Tedesca, tenendo conto dello sviluppo storico, prende at-to di ciò. Esso è dell�opinione che al futuro Parlamento pantedescodebba essere lasciato il diritto di prendere una decisione definitiva suipossibili provvedimenti statali di compensazione».

3 «Izvestija» del 23 giugno 1994.4 «Kommersant» del 2 giugno 1994.5 «Izvestija» del 25 agosto 1995.6 Ibidem.

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Capitolo nono

Storie berlinesi e ritorni

Nelle contrapposizioni degli anni novanta intorno aiproblemi delle restituzioni-sí delle restituzioni-no,hanno fatto continuamente capolino le vicende trascorsedai trofei bellici russi nei decenni precedenti. Un riferi-mento insistente veniva spesso fatto al periodo chru-scëviano. La cosa non era casuale. In effetti, fu dal1953 ai primi anni sessanta che la storia dei trofei sem-brò entrare, e in una certa misura entrò, in una nuovafase.

Nel 1953, già nell�aprile, poco dopo la morte di Sta-lin avvenuta in marzo, la politica estera sovietica ri-prese a parlare di «coesistenza pacifica». Si apriva ilperiodo che fu detto della «prima distensione». Allaguerra fredda, alla rigida politica dei blocchi contrap-posti, agli episodi di guerra calda, che per esempio inCorea o a Berlino avevano portato il mondo ai limiti diun conflitto generalizzato, facevano seguito nuove spe-ranze di pace. Non tutto si svolgeva in modo lineare. InUnione Sovietica vi era chi, come il premier Malenkove il vincitore di Berlino, maresciallo æukov, andava oltreil linguaggio della semplice pur necessaria distensioneper mettere l�accento sul mutato carattere della guerrae sottolineare che l�evento bellico, con l�apparizionedella bomba atomica, avrebbe portato alla fine dellaciviltà umana. Vi era chi, al contrario, riteneva e riba-

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diva che la guerra avrebbe comunque portato alla distru-zione solo dell�avversario «capitalistico». Con il famo-so XX Congresso del febbraio del �56, Chruscëv si atte-stò sulla politica della «coesistenza pacifica» e, con-temporaneamente, dei blocchi o «campi» che, se nondovevano essere rigidamente contrapposti, rimanevanoseparati e tra loro rigidamente differenziati. In questoambito si poneva anche la «questione tedesca». Se nonsi doveva accedere a nessun progetto di riunificazionedelle due Germanie, si dovevano favorire i rapportiintertedeschi sulla base di un rafforzamento della Ger-mania dell�Est e, per Mosca, di dimostrazioni di simpa-tia e stabilimento di legami stretti, persino soffocanti,verso la parte orientale. Ne conseguiva un determinatoatteggiamento, in una certa misura nuovo, nei confron-ti dei beni artistici e culturali requisiti alla fine dellaseconda guerra mondiale. Se ne ammetteva apertamen-te l�esistenza e in parte � tuttavia, come abbiamo nota-to, non piccola parte � si procedeva alle restituzioni.

Il Museo Puskin conservava nei suoi depositi, tral�altro, due grandi raccolte: il tesoro di Priamo, e i qua-dri della Galleria di Dresda. Recentemente, due autorirussi, Konstantin Akinscia e Grigori Kozlov, ex col-laboratori del museo, in un loro libro pubblicato a Lon-dra, hanno cercato di dar corpo a una voce circolante datempo, e cioè che Stalin, per controbilanciare le perditesubite durante la guerra e per dotare Mosca di un�at-trazione culturale senza pari, volesse creare un «super-museo» con migliaia di opere requisite nei paesi vinti eportate nella capitale sovietica, tra le quali, ovviamen-te, i quadri della pinacoteca di Dresda. In effetti, conun postanavlenie del Comitato statale di Difesa, vale adire con un decreto firmato da Stalin il 26 giugno del�45, si impegnava il Comitato per le questioni delle Artipresso il Consiglio dei Commissari del popolo (il gover-no era allora cosí denominato) e personalmente il respon-

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sabile «comp. Hrapcenko» a portare a Mosca «per ilcompletamento (popolnenie) dei musei di stato le piú pre-ziose opere d�arte... in quantità non superiore alle 2000unità traendole dai depositi trofeali della città di Dre-sda». E in una sorta di risposta al decreto, contenuta inuna relazione redatta il 22 agosto successivo dallo stes-so Hrapcenko per il vice presidente del Consiglio deiCommissari, Molotov, � dopo un elenco dei maggioriquadri requisiti, aperto dalla Madonna Sistina di Raf-faello, e delle maggiori sculture con in testa i nomi diPrassitele e Mirone � si scriveva che «ciò permette,assieme alle preesistenti collezioni del Museo Puskin, dicreare a Mosca un grande museo d�arte mondiale ana-logo per il suo significato a musei quali il Louvre di Pari-gi, il British di Londra, l�Ermitage di Leningrado». Adimostrazione che allora si pensava di esporre le operesequestrate, si aggiungeva che «l�edificio dei Puskin nonpermette di dispiegare l�esposizione» appieno e che ènecessario «ampliare notevolmente l�arca della mostra».Ma quali che fossero le intenzioni � fondare un «super-museo», creare un «grande museo», allargare l�esisten-te � la raccolta di Dresda fu portata a Mosca nell�ago-sto del �45 e collocata nei depositi del Puskin.

Dieci anni dopo, il 31 marzo del �55, la «Pravda»pubblicava un articolo dal titolo anodino Nel Consigliodei ministri dell�Urss, in cui si diceva che «nell�UnioneSovietica si conservano circa 75o quadri della Galleriadi Dresda, molti dei quali sono modelli della grande pit-tura classica, patrimonio della cultura artistica dell�u-manità intera», e che «in seguito a colloqui avvenuti trail Governo dell�Unione Sovietica e il Governo dellaRepubblica Democratica Tedesca» era stata presa unaimportante decisione a riguardo. In sostanza si annun-ciava enfaticamente che, «ai fini del rafforzamento edell�ulteriore sviluppo delle relazioni di amicizia deipopoli sovietico e tedesco, e considerando che il Gover-

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no della Rdt conduce una conseguente politica di pacee di amicizia tra i popoli, conserva e sviluppa la culturae l�arte del popolo tedesco, lotta per l�unificazione dellaGermania su basi pacifiche e democratiche, il Consigliodei ministri dell�Urss ha assunto la decisione di tra-smettere al Governo della Repubblica DemocraticaTedesca tutti i quadri della Galleria di Dresda che siconservano nell�Unione Sovietica». Si sottolineava inol-tre che «nello scambio di opinioni» tra i due governi, eper iniziativa � cosí era detto � di quello tedesco, «erastato raggiunto l�accordo di organizzare a Mosca nelMuseo di arti figurative Puskin la mostra di questi qua-dri nel periodo maggio-agosto 1955». La mostra si aprísolennemente il 2 maggio. Ebbe un milione e 200 milavisitatori. Fu forse la piú importante e imponentemostra temporanea di arte classica mai organizzata inRussia e nell�Unione Sovietica. Subito dopo, nell�otto-bre di quell�anno, l�intera Galleria ritornò in Germania.Si era cosí realizzata la piú rilevante e significativa resti-tucija traendo i trofei bellici dai depositi del Puskin.

E il tesoro di Priamo? Il fatto che esso sia rimastocustodito nei depositi del museo moscovita non significache la sua sorte sia stata decisa da considerazioni per cosídire extrapolitiche. Al contrario, il suo diverso destinorispetto ai Raffaello, Rembrandt, Tiziano, Rubens, Bot-ticelli, Giorgione, Velázquez, Veronese, Tintoretto ecc.della Galleria di Dresda e l�altra medaglia o, se si vuole,il segno di una politica estera di apertura ma che, altempo stesso, conteneva limiti, contraddizioni, incoe-renze e che, pur «realistica», non riusciva a dispiegarsiappieno non solo per ragioni interne a essa medesima,ma per condizioni legate e inerenti ai rapporti interna-zionali vigenti.

A chi si doveva restituire quel tesoro? Alla Germa-nia Orientale, alla Repubblica Federale Tedesca, allacittà di Berlino? Ecco altre domande che in un modo o

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nell�altro venivano poste. E poi era giusto restituiretutti i trofei senza alcuna concreta e persino possibilereciprocità, quasi che si riconoscessero estinte le con-seguenze della guerra da una sola parte mentre l�altra,che del resto la guerra aveva provocato, non ricono-scesse � o addirittura non potesse coi fatti riconoscere� altrettanto? Dal Museo Puskin si colse l�occasione diquel clima per richiedere delucidazioni e direttive sucome comportarsi con il tesoro di Priamo; e le risposte,piú o meno esplicite, ufficiali e no, furono quelle disempre: lasciare le cose come stavano.

Tuttavia in quel periodo anche una parte dei trofei«archeologici» bellici fu resa dall�Urss alla Germania. Inparticolare, nel 1958 vennero consegnate alla Re-pubblica Democratica Tedesca 58o casse di «materialearcheologico» provenienti da Leningrado. Di che mate-riale si trattava? Cosa contenevano le casse? Perchéprovenivano da Leningrado? Quelle 58o casse con-tenevano una parte importante del patrimonio del vec-chio museo di Pre e Protostoria di Berlino; dalla Ger-mania erano state tratte e trasportate in Unione Sovie-tica nel 1943, ma non erano state né lasciate a Mosca,né consegnate al Museo Puskin: erano state inviate aLeningrado � presumibilmente subito al Museo dell�Er-mitage, anche se quest�ultima circostanza va ancora ac-clarata � e da Leningrado ritornavano in Germania.Quella parte di patrimonio archeologico era cosí im-portante che portò alla fondazione e apertura, nel 1963,di un altro Museo di Pre e Protostoria, quello inseritonell�organizzazione museale statale di Berlino Est. NellaGermania e nella città divise esso si affiancava, megliofaceva da pendant, senza timore di concorrenza, alMuseo di Pre e Protostoria che nel 1947 era stato col-locato nei sotterranei del vecchio Museo di Etnologia,e che in seguito, cioè nel 1956, aveva a sua volta rice-vuto una parte dei beni archeologici requisiti dalle

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Potenze occidentali � soprattutto americani e inglesi �vincitrici della guerra, e che infine, nel 196o, aveva tro-vato la sua nuova sede nel Langhanbau del Castello diCharlottenberg. I due musei � occidentale e orientale �si sarebbero poi riuniti con la riunificazione del Paese eavrebbero avuto a disposizione un patrimonio calcolatodal professore e direttore Wilfried Menghin pari al 6oper cento di quello prebellico e con in piú parecchienuove acquisizioni dovute a scavi e ad acquisti.

Il contenuto delle 58o casse era molto rilevante e con-sisteva anche di reperti trovati nella Troade. Del resto,il fatto che esso fosse stato restituito contribuí a confon-dere le acque attorno a ciò che era rimasto nascosto nel-l�Unione Sovietica, a Mosca e a Leningrado, tanto che,come abbiamo già ricordato, persino gli specialisti tede-schi erano ancora convinti all�inizio degli anni novantache la «pista russa» non aveva piú nulla da dare.

Ma oltre alle 58o casse di cui abbiamo ricordato larestituzione nel 1958, vi era anche dell�altro, e in par-ticolare alcune centinaia di pezzi del Sammlung tröja-nischer Altertümer, la Raccolta delle antichità troiane diSchliemann. In effetti, quando nel 1994, le autoritàmuseali e governative russe decisero di organizzare aMosca la mostra del Tesoro di Priamo sembrava ad al-cuni che dovessero essere esposti i 26o pezzi che co-stituivano la parte piú pregiata del tesoro � quello chesarebbe piú esatto denominare l�oro di Troia � cioè glioggetti in metallo giallo, in argento, in bronzo, in piom-bo, in pietra conservati dal �45 al Puskin e, assieme, 414pezzi, soprattutto di bronzo e di ceramica, provenientidall�Ermitage. Fu, però, poi immediatamente chiaro chele mostre sarebbero state due: una a Mosca, al Puskin,con il patrimonio là giacente, e l�altra a Pietroburgo,all�Ermitage, con ciò che dal �45 si trovava nella cittàrussa del Baltico. In effetti, già nell�«estate della vitto-ria», quasi a compensare, almeno parzialmente, che il

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cuore prezioso della Heinrich Schliemann Sammlung troja-nischer Altertümer veniva consegnato al museo moscovi-ta, un�altra parte della raccolta museale veniva inviataa Leningrado. Del resto, se il mercante archeologo tede-sco aveva avuto quei rapporti di cui abbiamo detto conil fondatore del Puskin, aveva anche intensamente vis-suto a Pietroburgo, fatto fortuna e stretto relazioni conlo stesso Ermitage. Perciò, era giusto che nella destina-zione-destino del patrimonio da lui ritrovato e trafuga-to da Troia se ne tenesse in qualche modo conto.

Ora, tuttavia, ci si può chiedere se è dunque chiaroche il tesoro di Priamo o di Troia si trova dal �45 alMuseo Puskin di Mosca, e un�altra parte del Museo diPre e Protostoria di Berlino è stata inviata a Leningra-do, come fu possibile la suddivisione dei reperti e ilconcreto invio nella capitale sovietica del cuore più pre-zioso di essi? Per chiarirlo occorre andare a ritroso, eancora piú indietro, nella nostra storia e nella storia delMuseo di Pre e Protostoria.

Senza voler qui ripercorrere tutte le vicende del mu-seo di Pre e Protostoria di Berlino e le sue lontane ori-gini che si perdono nell�Ottocento e persino nel Sette-cento prussiani, va almeno ricordato che nel 1931 essodivenne indipendente nell�unione dei musei statali. Eraallora direttore � anche questo abbiamo già ricordato �il professor Wilhelm Unversagt, che era succeduto nel1925 a Karl Schechardt, noto autore di un�opera classi-ca di archeologia comparativa, Alteuropa. Eine Vorge-schichte unseres Erdteils (Vecchia Europa. Una preistoriadel nostro continente), che gli fu possibile scrivere pro-prio basandosi su una raccolta museale di repertiammontante ormai a 200 mila unità. In quel tempo, cioènegli anni dieci e venti, la raccolta era ancora formal-mente collocata nella sezione preistorica del Museo diEtnologia (il Museum für Volkerkunde Berlin), aveva

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come fiore all�occhiello il Sammlung trojanischer Altertü-mer, e sarebbe diventata di lí a qualche lustro fonda-mento patrimoniale del Museo di Pre e Protostoria. Dal1921, vale a dire ancora come sezione preistorica delMuseo di Etnologia e, poi, come entità ormai autono-ma, la raccolta aveva la propria sede nel Palazzo Mar-tin Gropius al numero 7 della via Prinz Albrecht dellacapitale tedesca.

Nel 1934, quando i musei statali decisero di proce-dere a un inventario generale dei loro patrimoni, ancheil dottor Unversagt, che dirigeva il museo, indi-pendentemente ma nell�ambito della loro unione, si ac-cinse a catalogare gli oggetti della raccolta. Le categoriesecondo la quale questi venivano valutati e suddivisierano tre. La piú importante era quella dell�Unersetzli-ches, l�insostituibile; seguivano il Wertvollstes, il pre-zioso, e l�Übriges, il restante, il rimanente. La defini-zione delle categorie, e la concreta suddivisione del ma-teriale tra esse, erano piuttosto discutibili. Né eranodel tutto chiare, o rese esplicite, le ragioni per cui ve-nivano indetti inventario e catalogazione. Non pare,però, completamente estraneo a esse il clima che conl�avvento al potere di Hitler e del nazionalsocialismo siera venuto determinando in Germania: era evidente lavolontà di ribaltare con la forza il trattato di Versaillesche aveva concluso la prima guerra mondiale; i prepa-rativi bellici non erano piú soltanto esercizi verbali; senon soffiavano ancora venti di guerra, il fragore dellatempesta si avvertiva non troppo lontano.

Comunque sia, i criteri di catalogazione furono quel-li dati e la concreta classificazione degli oggetti nelle trecategorie sarebbe poi servita a compiere le operazionicon cui il materiale archeologico venne imballato e poicollocato e trasferito nei vari depositi allo scoppio dellaguerra e durante i differenti momenti bellici. Il Museodi Pre e Protostoria aveva classificato circa 3500 pezzi

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nel primo gruppo, cioè tra gli «insostituibili». Di que-sti, 1538 vennero considerati Tresorgut, beni da cas-saforte. Tra di essi vi erano il famoso diadema e gli altrioggetti in oro, argento, bronzo, piombo e pietra checostituivano la parte ritenuta piú preziosa � forse nondel tutto in base a norme rigorosamente scientifiche, maa parametri di valutazione piú correnti � del tesoro diSchliemann.

Nel 1939, allo scoppio della guerra, i 1538 pezzi ven-nero imballati in tre casse di non grandi dimensioni ap-positamente costruite: due erano di eguale formato,quasi cubiche (48 x 50 x 59), e una si presentava comeun parallelepipedo (30 x 39 x 93): nell�insieme il lorovolume era inferiore al mezzo metro cubo. Saranno in-dicate con le sigle MVF1, MVF2, MVF3; saranno si-gillate dopo che furono introdotti in esse gli elenchi delmateriale contenuto (non sempre precisi, perché la fret-ta indotta dagli eventi bellici può battere anche la meti-colosità germanica); saranno ritrovate nel Flakturm amZoo di Berlino dall�ufficiale che nel maggio del 1945, anome della Commissione Trofei, se le farà consegnare �come il lettore già sa � dal professor Unversagt.

Intanto � è il 1939 � assieme a una trentina di Tra-gekästen, le cassette da trasporto, contenenti gli altri18oo-1900 reperti considerati «insostituibili», trovanoil loro luogo di custodia temporanea nei sotterranei delPalazzo Martin Gropius. Vi rimarranno un po� piú di unanno. Nel gennaio del 1941, quando la PreußischeSeehandlung, la Banca di Stato prussiana, metterà adisposizione del Museo di Pre e Protostoria una sede piúsicura, verranno trasportate nel caveau numero 5. Allafine di quello stesso 1941, mentre le armate tedeschegiungeranno all�apice delle loro conquiste a Est e aOvest, a Sud e a Nord, verranno collocate � presagioforse delle sconfitte e dei pericoli futuri � nella loro ulti-ma dimora berlinese e tedesca: le stanze contrassegnate

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con i numeri 10 e 11 della Flakturm am Zoo, da pocoterminata come torre della contraerea. Qui, le tre cassevennero separate da una parte del contenuto delle tren-ta Tragekästen perché l�«insostituibile» in queste conte-nuto venne rimballato e poi suddiviso tra quello desti-nato a rimanere a Berlino e quello inviato in Occiden-te, in un altro luogo ritenuto sicuro al di là dell�Elba.

Anche gli oggetti classificati nelle categorie del «pre-zioso» e del «rimanente» avranno collocazioni e sortidiverse. Una parte non piccola andrà irrimediabilmen-te distrutta dagli eventi bellici. Ora, gli esperti tedeschi,e soprattutto l�attuale direttore del Museo di Pre e Pro-tostoria, Wilfred Menghin, tendono a minimizzare laportata di queste perdite. Il loro intento è com-prensibile: sono impegnati a recuperare il piú possibiledell�antico patrimonio e desiderano dimostrare che, unavolta recuperato tutto quanto di esso oggi esiste, ilmuseo berlinese può ritornare a essere, senza nessunamenomazione, quel centro archeologico e scientifico divalore mondiale di prima della guerra. In realtà, i danninon saranno trascurabili, anche se rimarrà la documen-tazione degli oggetti distrutti. Il 3 febbraio 1945 unbombardamento aereo alleato su Berlino colpirà inpieno il Palazzo Martin Gropius e circa 400 casse direperti pronte per l�evacuazione saranno avvolte dallefiamme che ne distruggeranno il contenuto Wertvollstese Übriges. Il materiale delle stesse categorie evacuatonella regione del Perusche-Schlesien e a Lebus sull�O-der verra anch�esso perduto a causa della guerra. E sele 58o casse provenienti da Leningrado, ciò che resti-tuiranno gli Alleati occidentali e tutto quanto verrà inaltro modo riacquisito o aggiunto permetteranno � sicalcola e abbiamo ricordato � di ricostituire il 6o percento dell�antico patrimonio del Museo di Pre e Pro-tostoria, la restante parte, perduta o rimasta in manialtrui, non sarà a tutt�oggi recuperata. Di questa si ri-

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tiene che l�«insostituibile» manchi all�8o per cento e delTresorgut contenuto nelle tre casse sigillate il cento percento, ovviamente.

La sorte di quest�ultimo ci è nota. Quando arrivò alMuseo Puskin di Mosca fu oggetto, durante i primi dueanni del dopoguerra, di osmotr, l�esame e la curiosa at-tenzione � come ricordato � di alcuni specialisti. Poi,affidato alle cure di un «conservatore», trovò la sua col-locazione, tranne brevi momenti, in uno strano luogo,sempre � si capisce � all�interno del Museo Puskin nelpalazzo sulla Volchonka. La strana, ultima e segretadimora non era altro che un ripostiglio abbastanza invista collocato al pianterreno del palazzo ai piedi di unascala di marmo, non la principale, dalla quale però,anche, si accedeva e si accede alle grandi sale delle espo-sizioni. Le centinaia di visitatori che quotidianamenteentravano dall�ingresso secondario posto nella via didestra guardando la facciata del Museo, la ulica Marsa-la Saposnikova, l�ex vicolo Aktinevskij, percorrevano illungo corridoio del garderob, voltavano a destra e poiancora a sinistra, qui si trovavano di fronte alla scali-nata, avendo da una parte il buffet e dall�altra, alla lorosinistra, l�ekskursionnoe bjuro, l�ufficio o bando per igruppi turistici. Al di là di questo banco, dietro unaparete insignificante come tante, e una porta semprechiusa, giacque in questi decenni, custodito in buonostato di conservazione, lontano dagli occhi di pubblicoe specialisti � tranne quelli, appunto, di un solo for-tunato addetto � il cuore, per dirla alla tedesca, delSchatz des Priamos, del tesoro di Priamo, divenuto ormaicuore del zoloto \limana, dell�oro di Schliemann.

Da allora, fino agli ultimi anni ottanta, la sua storiaè monotona. Non è soltanto storia segreta, quanto piut-tosto storia di un giacere clandestino o sotterraneo, sem-mai accompagnato dai desideri di qualche specialista,peraltro subito repressi, di vederlo apparire alla luce. Se,

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infatti, negli anni cinquanta, poté a taluno sembrareche, a causa del suo rapporto di vicinanza materiale conl�altro importante patrimonio culturale � i quadri allorarestituiti della Galleria di Dresda � si riaprisse anche perl�oro di Troia la strada della ricomparsa e persino dellarestituzione, con la fine dell�epoca chruscëviana tutto furicoperto dal velo della dimenticanza. Era di nuovo cam-biato il clima politico interno e internazionale.

La politica interna non lasciava nessuno spazio adaperture in campo culturale. La politica estera, al di làdelle proclamazioni verbali, appariva sempre piú fondatasu una contraddizione fatta di ripiegamenti isola-zionistici e di ostentazioni di potenza, nei quali il brez-nevismo traduceva il nazionalismo e il profetismo diben altri momenti della storia russa e sovietica. Né, dal-l�esterno europeo e mondiale si favoriva seriamente unadiversa evoluzione. Il tesoro di Priamo restava avvoltoin quella atmosfera, e in essa prigioniero.

Quando poi, a metà degli anni ottanta, si aprí la fa-se dei mutamenti politici e sociali, si cominciò dappri-ma a vociferare sommessamente dell�esistenza del pro-blema; in seguito a parlarne piú diffusamente; infine adassumere alcune iniziative «interne», come ad esempiopetizioni ad «istanze superiori». Intanto, le speranzegenerali di sviluppi politici piani e guidati si tramuta-vano in convulsioni, contrasti, indecisioni che pesavanosul modo di affrontare � o di non affrontare �il proble-ma. Tutto ciò avrebbe influenzato anche i metodi e isistemi con i quali si sarebbe parlato e negato pubblica-mente sia la realtà del tesoro di Schliemann, sia la que-stione delle restituzioni. Nel 1989-9o si facevano cennisempre piú frequenti, espliciti e impliciti, all�una e all�al-tra. In quello scorcio di tempo un giovane docente diestetica dell�Università di Mosca, A. Rastorguev, scris-se e fece circolare un documento che avrebbe pubblica-to dopo su «Russkaja Mysl�», un giornale della dissi-

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denza russa, allora non sempre tale, il quale si stampa-va a Parigi. Il titolo era lungo e significativo: Progetto disoluzione della questione relativa alla sorte dei beni artistici,dei materiali d�archivio, dei manoscritti, delle biblioteche,ecc., portati dalla Germania come trofei di guerra e che orasi trovano nei fondi speciali dei musei e nei depositi statalidell�Urss1. Anche la storia famigliare dell�autore erasignificativa. Il padre, un intellettuale abbastanza noto,aveva subito la deportazione per ragioni politiche. Ilfiglio raccontava nella cerchia universitaria e culturalealla quale apparteneva, in una conversazione del 1993con il giornalista italiano Luigi Necco2 che il propriointeresse e la propria passione per la questione dei tro-fei bellici era stata probabilmente ereditata: il padre erastato interprete presso l�esercito nella Berlino dei primitempi della occupazione; aveva visto il Flakturm amZoo, ovviamente prima che nel �46 venisse smantellato;aveva assistito ai «furti e saccheggi che fecero disperderepiú della metà (sic!) di quanto vi era custodito».

Nel 1991, furono pubblicate notizie sulle peripeziedel tesoro di Priamo e delle tre famose casse sulla rivi-sta newyorchese «Artnews». Una cosa analoga si ripetésul numero di aprile del 1993 della rivista di Amburgo«Art». La questione aveva assunto, anche sotto il pro-filo della circolazione delle notizie, una dimensione in-ternazionale. Non restava che sollecitare e attendere leprime conferme sulla collocazione del tesoro, confermeche � come sappiamo � giunsero dopo pochi mesi.

Due altre preoccupazioni hanno attraversato l�animodegli studiosi di archeologia e di tutti coloro i quali sisono interessati alle sorti delle raccolte e del tesorotroiani: l�autenticità del materiale che si trovava alPuskin e il suo stato di conservazione. Con lo scopo dirassicurare pubblico e ricercatori, si sono susseguite daallora diverse dichiarazioni, piú o meno ufficiali, ingenere provenienti da specialisti e funzionari russi e

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stranieri, i quali nel frattempo avevano avuto occasio-ne di accedere ai depositi puskiniani. Ma forse i timo-ri sono stati definitivamente fugati dopo la visita com-piuta dalla delegazione tedesca (Menghin, Goldmann,Born) nell�ottobre del �94. In effetti, le dichiarazioni daessa rilasciate hanno permesso di attestare sia l�auten-ticità che l�ottimo stato di conservazione del tesoro.Nell�occasione si è potuto anche chiarire che i tre con-tenitori originari � le tre famose casse � sono stati sosti-tuiti con nuove scatole probabilmente subito dopo illoro arrivo al museo moscovita. Lo sostiene MikhailTreister3, il quale precisa che in quel momento furonoinventariate nuovamente, mantenendo per ogni ogget-to il vecchio numero tedesco, e che il nuovo inventario«fu trascritto in un libro a parte». Piú interessantisono, però, le ulteriori notizie fornite da Treister sem-pre su «Archaeology». A questo proposito va ricorda-to che, oltre alla catalogazione nelle tre categoriedell�«insostituibile», del «prezioso» e del «rimanen-te», ne esiste un�altra piú particolareggiata e piú anti-ca riguardante i ritrovamenti di Schliemann. Ne fuautore, nel 1902, Hubert Schmidt, che aveva scavatoa Troia con Dörpfeld.

Precisa ulteriormente Treister: «Durante i suoi sca-vi dal 1872 al 189o, Heinrich Schliemann trovò 19 de-positi. Alcuni di questi erano davvero delle raccolte diritrovamenti provenienti da vari posti che Schliemanndesignò come «deposito». Schmidt ha definito questidepositi col nome di «tesori» e con sigle dalla A alla S.Fino alla seconda guerra mondiale 17 di questi deposi-ti erano a Berlino. Il Puskin ne possiede 13. Gli altrisono a Istanbul (tesoro C ed alcuni oggetti dei tesori A,D, F, O) e ad Atene (tesoro G e alcuni oggetti del teso-ro A). La maggior parte degli utensili di bronzo e delleasce conservati a Berlino prima della seconda guerramondiale sono ora all�Ermitage di Pietroburgo. Alcuni

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di questi oggetti, compresi alcuni vasi di argento deltesoro A, sono a Berlino. Il tesoro A, conosciuto anchecome tesoro di Priamo, è il piú grande e comprende vasiin oro, orecchini, spilloni per i capelli, bottoni e penda-gli. Questi oggetti sono stati ormai pesati due volte e irisultati sono molto più precisi di quelli pubblicati nelcatalogo del 1902 di Schmidt. Gli oggetti piú fini sonoi due diademi d�oro...»

Ma al di là delle varie catalogazioni e della stessa am-mirazione che gli oggetti riportati alla luce dalla nuovaHissarlik già suscitano e potranno ancor più suscitare,sono ben immaginabili le supposizioni e le conclusionialle quali la scienza potrà portare, date le rivoluziona-rie acquisizioni archeologiche, storiche, filologiche del-l�ultimo cinquantennio. Già alcune rapide e prelimina-ri osservazioni lo lasciano intendere. Nel solo tesoro L� per la verità «uno dei depositi piú affascinanti»,secondo Treister � si trovano tra l�altro, decine di lentidi cristallo di rocca, una testa di spillone o di mazza inferro, un�ascia di lapislazzuli, due bottoni d�ambra,cioè una serie di oggetti che suggeriscono nuove consi-derazioni sia di avanzate tecniche produttive, sia divasti rapporti di Troia con luoghi lontani. Lenti similisono attestate a Cnosso per l�Età del Bronzo cretese, enon è escluso che potessero servire da lenti di ingran-dimento data la finezza della gioielleria troiana. L�og-getto in ferro è uno dei piú antichi del mondo in que-sto metallo e risale a un tempo in cui la sua escavazionee lavorazione era piú costosa di quella dell�oro. L�asciaci riconduce ai depositi di lapislazzuli dell�Afganistan,cosí come all�Afganistan e alle sue ricche miniere di sta-gno ci portano la larga attestazione di bronzi del Bron-zo antico a Troia e a Poliochni. L�ambra ci fa risalireattraverso il mar Nero, i fiumi e le pianure della Rus-sia fino ai popoli del Baltico.

Il tesoro di Troia � o del Puskin � è effettivamente

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una grande, inestimabile raccolta di informazioni cheattendono di essere disvelate per portare a loro volta allaluce caratteri importanti non solo di una città e di uncrocevia antichi, ma dei primordi della civiltà europea.

1 Vedi l�articolo di S. Iamsikov su «Nezavizimaja gazeta» del 21aprile 1994.

2 Necco, Il giallo di Troia cit.3 Treister, First Report cit.

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Conclusione

Nella querelle russa interna e, nelle dispute russo-te-desche attorno all�oro di Troia e al piú generale pro-blema delle restituzioni (cosí come nelle prese di posi-zione turche, nel convegno che si tenne a New York suSpoils of war, i bottini di guerra, nelle discussioni inFrancia e in altri Paesi) si è fatto spesso riferimento, persostenere una tesi o il suo contrario, alle norme del dirit-to internazionale.

Per parte nostra, dopo aver ripercorso la vita e l�o-pera avventurose di Heinrich Schliemann e aver rico-struito il destino e le vicende singolari delle sue raccol-te troiane, non ci vogliamo sottrarre al compito di dire,a conclusione, qualche parola sul prevedibile o auspica-bile futuro del tesoro di Priamo. Nel farlo, non possia-mo non tener conto di vari fattori, tra cui le consuetu-dini e le basi giuridiche che permettono il possesso o,viceversa, spingono alla restituzione dei trofei di guer-ra e in particolare dei beni culturali.

Delle consuetudini è presto detto. Nella storia sihanno molti esempi di valori e patrimoni artistici checambiano collocazione e padrone in seguito alle guerre.In questo secondo lungo dopoguerra si sono avuti casidi restituzioni e di non restituzioni. Come abbiamovisto, ciò ha riguardato anche i rapporti russotedeschie, piú in generale, gli atteggiamenti sovietici e russiverso i trofei requisiti nei Paesi occupati.

Piú arduo appare il discorso riguardante le norme del

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diritto sia in virtú della loro complessità, sia a causa delleloro interne incertezze, sia in ragione delle violazioni acui sono state sottoposte.

Esistono due vecchie convenzioni internazionali sti-pulate all�Aja nel 1899 e nel 1907, con le quali si sonosanciti principî di salvaguardia dei beni culturali in ca-so di conflitti armati. Quelle convenzioni furono sti-pulate nell�atmosfera e nell�ultimo periodo della belleépoque, periodo nel quale, da un lato si facevano senti-re le spinte di correnti pacifiste politiche � socialiste,democratiche, libertarie � e filosofiche � kantiane,neokantiane, genericamente umanitarie �, e dall�altro siintravedevano i rischi della rottura violenta degli equi-libri europei ottocenteschi e l�esplodere delle conflagra-zioni belliche. In epoca a noi piú vicina, tra le due guer-re mondiali, esattamente il 15 aprile del 1935, fu firmatoil cosiddetto Patto di Washington, il quale grosso modoriprendeva lo spirito e i principî delle due precedenticonvenzioni relativamente ai beni culturali.

A questo punto è però facile osservare che tale in-sieme di norme è rimasto lettera morta e, anzi, è statooggetto di tali e tante violazioni durante le due guerremondiali e gli altri conflitti del secolo che qualcuno hapotuto sostenere nella discussione russa che un richia-mo ad esso, per applicarlo improvvisamente a una seriedi casi piú recenti, potrebbe persino legalizzare le ille-galità di tutti gli altri innumerevoli precedenti episodi.C�è di piú.

La Convenzione del 1907 era sufficientemente chia-ra. In particolare, l�articolo 56 afferma che «la proprietàdelle comunità, delle istituzioni religiose, caritative,educative, artistiche e scientifiche, anche se apparte-nenti allo Stato, è parificata alla proprietà privata. Ognipresa di possesso, ogni distruzione o deliberata lesionedi tali istituzioni, dei monumenti storici, di opere d�ar-te e di scienza è proibita e deve essere perseguita». In

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questo caso, l�inosservanza o la violazione non possonoavere alibi nella incertezza della norma.

È, però, accaduto che durante il conflitto mondialela Germania abbia dichiarato a piú riprese, dal 1941 inavanti, la «non applicabilità» delle Convenzioni del-l�Aja all�Unione Sovietica; e alle parole, come si sa, sonoseguiti i fatti.

Per parte sua, l�Unione Sovietica, il 27 aprile 1942,ha emanato una nota del proprio ministero degli Este-ri, nella quale affermava di voler osservare le Conven-zioni dell�Aja se vi fosse stata «reciprocità».

Ne consegue che sulla base del principio della «rap-presaglia di guerra» Mosca acquisiva il diritto a nonadempiere agli obblighi derivanti dalle convenzioni del-l�Aja nei confronti della Germania e che semmai quegliobblighi continuavano ad avere validità per i beni cul-turali delle Nazioni Unite e dei paesi neutrali, beni cul-turali presi dalla Germania e dai suoi alleati nei territo-ri occupati. Per quest�ultimo motivo, e per ristabilire ipropri diritti di proprietà sopra il patrimonio a lorostrappato, le Nazioni Unite sottoscrissero, il 5 gennaio1943, una dichiarazione con cui si invalidava qualsiasipassaggio di proprietà avvenuto non importa in cheforma (contratto, furto, rapina, ecc.) nelle zone occupatedalla Germania o dai suoi alleati. Inoltre, dal 1944, neldocumento di Bretton Woods, ai primi anni postbellicinella commissione di controllo alleata, nei Trattati dipace e in altre circostanze, si tesero ad affermare prin-cipî analoghi e il criterio dell�utilizzo dei beni culturalitedeschi come mezzi per far fronte alle «riparazioni» deidanni subiti dagli Alleati a causa della guerra provoca-ta dalla Germania.

In sostanza, in quel periodo si è cercato di stabilireuna condizione «ineguale» per la Germania, che avevaaggredito le Convenzioni precedenti, per le potenzealleate che erano state aggredite e avevano vinto la guer-

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ra, per i Paesi neutrali, che erano stati in qualche mododanneggiati.

Paesi come l�Italia o l�Ungheria, uniti alla Germanianazista nelle azioni aggressive, venivano parificati a que-st�ultimi. Del resto, questa triplice suddivisione vieneancora oggi considerata un fondamento su cui il Parla-mento russo vorrebbe costruire i rapporti con l�estero aproposito di restitucija.

Allora, nei primi anni del dopoguerra, le posizionidettate dai vincitori rientrarono nello Statuto dell�O-nu, il quale d�altra parte, come afferma il suo articolo103, ha valore preminente rispetto a qualsiasi norma otrattato internazionali. E, quanto a rapporti sanciti ostabiliti di fatto tra vincitori e vinti, lo Statuto Onu af-ferma una norma di carattere generale all�articolo 107,dove si dice appunto che «il presente Statuto non to-glie in nessuna misura forza giuridica alle azioni com-piute o sanzionate in seguito alla seconda guerra mon-diale da parte dei governi responsabili di tali azioni fir-matari del presente Statuto, e non è neppure di osta-colo a tali azioni».

Per altro verso, occorre ricordare che negli anni suc-cessivi al dopoguerra si cercò di ritornare ai principî con-tenuti nelle Convenzioni dell�Aja di fine Ottocento einizio Novecento. In questo senso si espresse una nuovaConferenza dell�Aja svoltasi nel 1954. La Convenzioneallora sottoscritta dice espressamente che «la difesa deibeni culturali in caso di conflitto, è retta dai principî sta-biliti nelle Convenzioni dell�Aja del 1899 e del 1907 enel Patto di Washington del 15 aprile 1935». Vieta,anzi, in maniera perentoria «la requisizione dei beniculturali mobili posti sul territorio di una delle parti con-cordatarie», lasciando per di piú intendere di rifiutarela concezione del diritto del vincitore.

Sulla stessa linea ci si è mossi in seguito: per esem-pio, con la Convenzione Unesco del 197o ratificata dal-

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l�Urss nel 1988 e relativa alla importazione, esportazionee trasferimento dei beni culturali.

Ma, intanto, nel muro che si opponeva alle requisi-zioni e ai passaggi di proprietà una finestra si era aper-ta. Essa era stata non solo costruita con i materiali rap-presentati dagli atti di guerra, cioè dalle distruzioni erapine compiute dagli aggressori e dalle risposte fornitepoi dai vincitori, ma anche con le violazioni alle normeprecedenti e le formulazioni, magari temporanee, dinuove norme.

Con questo non vogliamo dire che le Convenzioniinternazionali sono carta straccia e che ciascuno puòfare quel che piú gli aggrada. Vogliamo, però, far pre-sente che non è neppure categoricamente sostenibilel�esatto contrario; e ciò in ragione della tortuosità se-guita nella formulazione e applicazione del diritto, e amotivo di tutte le incertezze della norma. Purtroppo, èassai difficile conciliare e portare a coerenza quel cheviene sancito in tempo di pace con quel che viene sta-bilito � e non solo compiuto ovviamente � in tempo diguerra o in periodo immediatamente postbellico. D�al-tra parte, le tortuosità, le incoerenze, le incertezze nonsono soltanto presenti nelle convenzioni e nei patti mul-tilaterali, ma anche nei trattati e negli accordi piú cir-coscritti o bilaterali.

Abbiamo già richiamato le espressioni sottoscritte daGorbaciov e le sue successive dichiarazioni. È notocome anche Eltsin abbia stipulato con Kohl un accordodi analogo tenore. Tuttavia, alle posizioni cosí sancite �però già di per sé non del tutto chiare e, comunque, inun modo o nell�altro contestate � si accompagnano altridocumenti diplomatici di tenore non proprio analogo. Èil caso della lettera del 12 settembre 1990 firmata con-giuntamente dai ministri degli Esteri di RepubblicaFederale Tedesca e di Repubblica Democratica Tedesca

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e inviata ai loro colleghi delle quattro potenze vincitri-ci della seconda guerra mondiale. In essa si afferma che,in forza dell�Atto di capitolazione del �45, la Germanianon avanza nessuna pretesa nei confronti di Stati Uniti,Unione Sovietica, Inghilterra e Francia. Del resto, né laRft, né la Rdt hanno mai rivendicato nella loro storia �e ora non lo rivendica la Repubblica Federale Tedescaunificata � una qualsivoglia continuità con il TerzoReich e, di conseguenza, una qualche eredità che nesarebbe derivata. In quella lettera-documento poi, facen-do riferimento a una precedente dichiarazione del giu-gno del �9o, si sostiene che «le misure di requisizione deibeni prese sulla base dei diritti di sovranità delle auto-rità di occupazione (1945-49) sono irreversibili ...»

Naturalmente, si può disquisire sul significato deltermine «beni». Che cosa si deve intendere esatta-mente? Rientrano nella categoria anche i beni artisticie culturali oppure essa comprende solo beni materiali dialtro tipo quali quelli industriali piú direttamente lega-ti al piú vasto tema delle riparazioni di guerra? E poi sitratta di beni sottoposti a trasferimenti internazionalioppure solo di patrimoni (terre, case, ecc.) passati di pro-prietà all�interno (confisca, riforma, ecc.)? Il fatto stes-so, però, che il termine sia controverso, e in ogni casopassibile di differenti interpretazioni, non aiuta a eli-minare la fragilità dell�intero impianto giuridico.

La luce della chiarezza non si è riflessa neppure sultema piú complessivo delle riparazioni quando esso fuaffrontato dalle potenze vincitrici nelle loro discussioni.Di esso si parlò nelle Conferenze tripartite di Jalta e diPotsdam e nella apposita Commissione decisa in Crimeae detta di Mosca. A Jalta, i sovietici presentarono unaproposta che prevedeva un esborso tedesco di 20 miliar-di di dollari. Il pagamento doveva avvenire in prodottie non in denaro. La metà doveva essere trasferita in Urssdate le distruzioni belliche riconosciute maggiori proprio

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in quel Paese. Gli americani acconsentirono, ma gliinglesi avanzarono le loro riserve. A Potsdam, le trepotenze sottoscrissero un accordo speciale che si fonda-va su quanto già discusso in Crimea e nella Commissio-ne di Mosca. Tra l�altro vi si affermò che «le autoritàtedesche devono assumere a favore delle Nazioni Unitele misure per la restituzione, la ricostruzione, la restau-razione, la riparazione, il ristabilimento, e la prestazio-ne di aiuti che saranno prescritte dai Rappresentantidegli Alleati».

In sostanza si decise di requisire e sottrarre alla Ger-mania beni e ricchezza nazionale tali da minare il sup-porto militare a ogni futuro Stato tedesco e da com-pensare nella misura maggiore possibile le distruzioni ele perdite subite dai Paesi aggrediti e vincitori, pur senzaintaccare le basi per la ripresa economica tedesca e lagaranzia di un tenore di vita medio europeo. La generi-cità o la scarsa linearità dell�assunto non favorivanocerto la chiarezza. Né la favorivano le ulteriori precisa-zioni che mettevano l�accento sulla necessità di operaretrasferimenti di tecnologia e di prodotti e obbligavanociascuna potenza vincitrice a trarre le riparazioni dallazona di occupazione di propria competenza, aggiungen-do per l�Unione Sovietica la possibilità di completare lasua quota con percentuali aggirantesi sul 10-15 per centorecuperabile nella parte occidentale.

La clausola della zona di occupazione, pur mitigata daquella delle percentuali, è forse servita, recentemente,a stimolare in ambienti inglesi la richiesta che l�oro diTroia sia ora trasferito e affidato alla Gran Bretagnacome nazione avente diritto al suo possesso, in quantoil Flakturm am Zoo si sarebbe trovato in seguito, quan-do Berlino fu divisa in quattro settori, nella parte bri-tannica. Qui si è certamente nel campo, per non diraltro, della eccentricità anche se gli inglesi potrebberoaggiungere a sostegno della loro rivendicazione che il

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tesoro di Schliemann, prima di essere consegnato edesposto a Berlino e mentre il suo scopritore era ancoraalla ricerca di un destinatario trovò nel museo di SouthKensington il luogo che per un momento apparve per-sino di residenza definitiva. Fatto è che la richiestainglese sottolinea, nella sua originale stranezza, quantosiano fragili, incerti, confusi, i presupposti e le coperturegiuridiche dell�intera questione delle riparazioni, deibeni artistici, delle restituzioni.

In realtà, tali presupposti non sono stati soltanto ela-borati sulla scorta di ragioni giuridiche o politiche insenso lato e di ampio respiro, ma sono stati anche co-struiti tenendo soprattutto conto di interessi e di in-tenzioni immediate, tra loro contrastanti e non sempreconfessabili. Ciò vale sia per gli accordi che furono sta-biliti nel 1945 quando facevano ormai capolino i con-trasti della futura guerra fredda tra Alleati vincitori, siaper le dichiarazioni e le decisioni degli anni novanta,quando le inquietudini dominanti e impellenti tra i diri-genti tedeschi erano volte a conseguire, subito e pur-chessia, l�obiettivo della unificazione tra i due Statidella Germania divisa, piuttosto che la soluzione deiproblemi rimasti sospesi. Ciò era vero per argomenti equestioni di immediato impatto economico e sociale.Figuriamoci se non sarebbe stato vero per le restituzionie i beni museali.

Del resto nella soluzione del grande problemadell�unificazione non agirono soltanto Helmut Kohl,altri dirigenti e il popolo tedesco; ebbero un ruolodeterminante, sebbene tra loro differente, le grandipotenze. Gorbaciov e la dirigenza dell�Unione Sovieti-ca, a parte gli errori tattici compiuti e le espressioni dellevolontà di liberarsi del peso del passato, si trovavano or-mai ad agire in spazi di manovra assai ristretti. Bush el�amministrazione statunitense erano preoccupati di ac-quisire, convogliare e, se si vuole, imbrigliare l�intera

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Germania nella Nato piuttosto che di definire gli assettipiú complessivi per i problemi che si aprivano in Euro-pa e nel mondo1. Ed ecco allora che vi è qui, ancora unavolta, la sottolineatura del peso che gli interessi, le aspi-razioni, le visioni differenti e contrastanti, in una paro-la la politica in senso stretto � e quale politica � hannoavuto e continuano ad avere sul destino dei trofei e del-l�oro di Troia.

Vale piuttosto la pena di prendere atto della situa-zione di fatto che si è creata, di considerarla realisti-camente sotto tutti i suoi aspetti e, semmai, di preoc-cuparsi di costruire in forme nuove una soluzione, laquale tenga conto il più possibile delle varie contra-stanti esigenze e favorisca il libero sviluppo culturale edia un contributo, magari modesto, alla formazione diun ordine internazionale, almeno nel campo della cul-tura, veramente interdipendente.

Che cosa vogliamo dire in concreto? La situazionenon è soltanto caratterizzata dal fatto evidente che ilzoloto \limana, l�oro di Schliemann, si trova a Mosca,ma anche dalla sempre piú improbabile eventualità di unsuo ritorno a Berlino. È vero che nella stessa Russia pro-segue una discussione sul destino da garantire ai trofeidi guerra, ed è altrettanto vero che tra gli Stati � Rus-sia e Germania, innanzitutto � e tra le comunità scien-tifiche non si sono placati i tentativi di dare alla que-stione del possesso dell�oro di Troia una soluzione diver-sa rispetto all�attuale. Tuttavia, le discussioni e i tenta-tivi si vanno sempre piú attenuando oppure � il che èpiù esatto � contengono una dose di speranza sempreminore per i partigiani dei propositi tedeschi o di quel-li turchi o di altri ancora. Il Parlamento, il Governo e ilPresidente russi non sono ancora giunti a una determi-nazione definitiva, ma piú il tempo passa piú, con ogniprobabilità, la bilancia pende dalla parte dello statusquo. Il Parlamento che viene rinnovato con le elezioni

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del dicembre 1995 non ha concluso l�iter del progettodi legge che in sostanza decretava la proprietà dellaFederazione russa sui beni culturali e sui trofei di guer-ra presenti nel territorio nazionale (salvo, even-tualmente, farne oggetto di trattativa e di scambio subase di reciprocità o di vantaggio delle parti: è il caso dibeni quali le biblioteche, ma qui difficilmente può rien-trare il tesoro di Priamo) però la composizione dellenuove assemblee di Duma e Sovet Federacii fa pensareche se le norme non saranno quelle previste, non saran-no neppure molto meno rigide.

Tutto questo non potrà non influenzare gli altri po-teri, i quali del resto hanno già modificato le loro piùincerte passate posizioni. Si può discutere sulla giu-stezza e persino sulla opportunità degli atteggiamentiricordati e delle conclusioni prevedibili. A questo pro-posito occorre tener conto di tutti gli argomenti possi-bili a sostegno delle varie tesi. Ad esempio, non si puòritenere che sia priva di senso l�osservazione secondo laquale la decisione di restituire il tesoro di Priamo neglianni cinquanta avrebbe avuto un significato diverso dauna analoga scelta compiuta oggi. Allora, la guerra erafinita da poco e, nella condizione di un mondo diviso inblocchi, la restituzione dei trofei avrebbe potuto espri-mere la volontà di chiudere il periodo della belligeran-za e di stabilire nuovi rapporti. Cosí fu intesa � anchese ovviamente nei limiti di relazioni interne al bloccosovietico � la restituzione della Galleria di Dresda. Ora,il ritorno a Berlino dell�oro di Schliemann potrebbe �volere o no � indicare che la seconda guerra mondialenon è finita nel 1945 con la sconfitta del Terzo Reich,ma nel 1989-9o con la caduta del muro e la riunifica-zione tedesca, e anzi che i rapporti di forza sono ora talida ripristinare una sorta di status quo ante. Esagerazio-ni? Piú che probabile. Non si può, però, non tenerconto che simili osservazioni alimentano sentimenti e

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mentalità sia di gruppi dirigenti, sia di ampi strati socia-li, le quali sono diffuse non soltanto in Russia. Non con-siderarli può persino provocare una loro accentuazione.D�altra parte, in assenza di solide, univoche, convincentibasi giuridiche la ricerca di una soluzione, per essere nonsolo accettata ma ritenuta giusta in concreto, va com-misurata alle osservazioni appena accennate.

Si potrebbe aggiungere che tutto va contenuto nel-l�ambito di interessi, ragionamenti, condizioni di tipoesclusivamente culturale. Ma, a parte il fatto che dellaquestione delle restituzioni, e dell�oro di Troia in parti-colare, si sono occupate istituzioni prettamente politichequali le diplomazie, i Parlamenti, i Governi, i Presi-denti, gli argomenti di natura culturale sono spesso opi-nabili e, soprattutto, controvertibili. Pubblicisti e spe-cialisti tedeschi sostengono, ad esempio, che la re-stituzione del Schatz des Priamos permetterebbe di ri-costituire a Berlino nel Museo di Pre e Protostoria uncentro europeo e mondiale di archeologia e di arte di altovalore scientifico. Le obiezioni, però, a una simile posi-zione, sono almeno altrettanto fondate: la tecnologiamoderna e la necessità di una diffusione delle informa-zioni � si dice � rendono piú razionale la distribuzione� in certi limiti naturalmente, e fatto salvo il portatodella storia � dei patrimoni archeologici e artistici in varicentri europei e mondiali.

Che fare, allora? Lasciare tutto come è adesso? Nonproprio. Occorrerebbe, innanzitutto, distinguere trapossesso, proprietà, appartenenza, sede, da un lato, edall�altro uso, fruibilità, gestione espositiva e scientificadi un grande bene culturale. Qui il suo valore monetario,che pure è stato calcolato da fonti tedesche in circa unmiliardo di marchi, c�entra poco o nulla. C�entrano dipiú altri parametri di valutazione. Comunque, la distin-zione potrebbe permettere di lasciare le cose come stan-no quanto a proprietà e collocazione, mentre favorireb-

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be o addirittura obbligherebbe a costituire una istitu-zione � una Fondazione, ad esempio � per la gestione el�utilizzo del patrimonio con la partecipazione di enticulturali nazionali e internazionali e con la relativa sud-divisione degli oneri finanziari.

Si tratta anche in questo caso, di un sogno? Puòdarsi. Realizzarla indicherebbe però che, se la vicendapassata del tesoro di Schliemann è stata anche storia didispute egoistiche, imbrogli, segreti, ruberie, avventuree illegalità di ogni genere, il presente e l�avvenire del-l�oro di Troia si concretizzano in un esempio di nuoverelazioni culturali di collaborazione capace forse di fareda modello, sia pure in miniatura, in altri campi del-l�attività umana. Il suo destino sarebbe cosí profon-damente mutato, anzi capovolto. E non sarebbe un ri-sultato di poco conto a conclusione di una storia e di unaavventura cosí complesse e travagliate.

1 Vedi le copiose rivelazioni e considerazioni fatte da piú parti �tedesca, russa, americana � dai partecipanti di vario grado agli avve-nimenti diplomatici e politici di allora.

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