S. Lorenzo Confraternita della SS. Trinità S. Lorenzo... · Era certamente la stessa di cui parla...

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S. Lorenzo Confraternita della SS. Trinità Flavio Fagnani – Giovanni Torti Le origini di questa chiesa sono piuttosto antiche, ma non è possibile dire nulla di più preciso. Di certo sappiamo soltanto che esisteva nel 1460 (1), quando figura già sede della omonima confraternita dei disciplini, forse la più antica del paese (2).

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S. LorenzoConfraternita della SS. Trinità

Flavio Fagnani – Giovanni Torti

Le origini di questa chiesa sono piuttosto antiche, ma non è possibile dire nulla di più preciso. Di certo sappiamo soltanto che esisteva nel 1460 (1), quando figura già sede della omonima confraternita dei disciplini, forse la più antica del paese (2).

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Dalla visita pastorale del 14 aprile 1562 (3), compiuta dal vicario generale della diocesi, risulta che la chiesa sorgeva “versus teracium versus locum Rivaroni”, vale a dire verso il terraggio che anticamente circondava l’abitato, e precisamente dalla parte di mezzogiorno, che guardava verso Rivarone, e quindi nella stessa posizione in cui sorge attualmente.Gli atti della visita riferiscono inoltre che la sede della confraternita, umidissima, era un edificio in volte a due campate, preceduto da un locale non ancora finito. L’interno presentava un altare, munito di un pallio di cuoio dorato e di una pace di legno, dietro il quale era un affresco rappresentante la Passione di Cristo. Tra gli arredi sono elencati tre angeli antichi intagliati nel legno, una statua antichissima di S. Lorenzo pure in legno, due candelieri di ferro, due torcere dipinte e dorate, un grande crocifisso di legno dipinto e un gonfalone con la figura di S. Lorenzo. Intorno all’altare erano numerose panche di legno costruite da poco, in quanto quelle precedenti furono bruciate dai francesi nel corso dell’occupazione avvenuta qualche anno prima.I disciplini erano una ventina e il loro priore era Galeazzo Maria Gallini. La confraternita non aveva alcun reddito, ad eccezione di 2 sacchi di frumento ricavati da 8 pertiche di terra legate da un certo Giovanni Bilegni per testamento a rogito del notaio bassignanese Gian Francesco Provera. Il modestissimo reddito veniva amministrato da Pietro Gerardi e Ubertino Torti, tesorieri della confraternita, i quali erogavano il ricavato in elemosine, nella celebrazione di messe nelle festività di S. Lorenzo e nell’acquisto di cera, olio e altre cose necessarie al culto. Data la grande povertà della confraternita, nella chiesa si celebrava soltanto nella ricorrenza del patrono, ma i disciplini si riunivano tutti i giorni festivi per recitare l’ufficio, e ogni tre settimane svolgevano una processione penitenziale.Sembra che l’oratorio abbia subito qualche miglioramento negli anni seguenti, dal momento che nella visita apostolica del 5 settembre 1576 (4) si afferma che l’edificio era in buone condizioni: il Peruzzi si limitò a prescrivere che tutte le finestre fossero chiuse con gli appositi telai e la tela cerata.Per il resto, le cose stavano come prima, ad eccezione dei libri contabili che erano in disordine. Accertato che a partire dal 1574 non era più stata effettuata alcuna registrazione, il visitatore rimproverò il priore e lo esortò ad essere più preciso per l’avvenire. Ma qui viene il bello. Ispezionando l’oratorio, il Peruzzi vide che a lato dell’altare era stato collocato un armadio pieno di frumento, frutto del fazzoletto di terra che apparteneva alla confraternita. Scandalizzato, egli ordinò che l’armadio fosse immediatamente rimosso dal luogo sacro, e che il grano fosse misurato e registrato nei libri contabili. I disciplini, candidamente, obiettarono che l’armadio era stato messo lì apposta, in seguito ai continui litigi sorti tra i disciplini, ciascuno dei quali reclamava la custodia del grano. La diffidenza però era reciproca perché, in quei tempi di carestia, la fame poteva essere cattiva consigliera. Ecco perché fu deciso di collocare il grano in luogo sicuro e … neutrale. Ascoltate le ragioni degli uni e degli altri, il Peruzzi nominò depositario del grano il disciplino Galeazzo Gallina, che già in passato aveva svolto analogo incarico e aveva sempre dato conto della sua integerrima amministrazione.

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Passando all’oratorio, il visitatore trovò che l’altare era indecoroso e privo di ornamenti, e apprese che vi si celebrava soltanto nella ricorrenza di S. Lorenzo. Ordinò quindi che l’altare fosse ornato e dotato di una bella ancona con l’immagine del titolare, aggiungendo la croce, i candelieri e il pallio di cuoio dorato. Dispose inoltre che fosse restaurata una antichissima ancona di legno intagliata a figure in rilievo, ormai guasta dal tempo. Le pratiche religiose dei disciplini non avevano nulla di superstizioso: essi recitavano l’ufficio della Vergine nei giorni festivi e si comunicavano quattro volte l’anno, ma non sempre vestivano il sacco, per cui il visitatore impose loro di portarlo sempre.Quattro anni dopo, il 28 febbraio 1580 (5), l’oratorio fu visitato dal prevosto Marconi, il quale poté constatare che i disciplini avevano ottemperato soltanto in parte alle prescrizioni del Peruzzi, limitandosi ad acquistare i candelieri e a collocare la tela cerata alle finestre e il pallio di cuoio dorato all’altare. Per il resto, i confratelli si scusarono allegando la loro povertà, e le spese che nel frattempo avevano sostenuto per la esecuzione di due lastre di marmo da collocare sopra le sepolture della confraternita esistenti nella chiesa parrocchiale. Promisero comunque di rimediare quanto prima a quanto era stato omesso. In effetti, i disciplini mantennero la

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promessa, perché S. Alessandro Sauli, nel corso della sua breve visita del 20 settembre 1592 (6), vide sull’altare un’ancona dorata con l’immagine di S. Lorenzo. Era certamente la stessa di cui parla il Peruzzi, restaurata e ricollocata sull’altare.Una precisa descrizione dello stato della chiesa e della confraternita agli inizi del Seicento si ricava dagli atti della visita pastorale del 10 ottobre 1619 (7). Vi si dice che la chiesa di S. Lorenzo era un edificio ben costruito e pavimentato, ma non chiuso, e dietro l’altare era il coro con gli stalli lignei ove si raccoglievano i disciplini nei giorni festivi per recitare l’ufficio della B. Vergine. L’altare era fornito di ogni requisito, e vi celebrava il sacerdote Francesco Cardones, che veniva compensato con un’offerta. I confratelli erano 65, e vestivano un sacco di colore bianco, ma quest’ultima notizia è certamente errata, perché da tutte le visite posteriori risulta che in realtà il sacco era di colore rosso, intonato liturgicamente al culto del santo martire titolare della chiesa.Il tesoriere Gio. Battista Valle mostrò al visitatore il libro d’amministrazione, nel quale erano registrate le offerte stanziate dalla confraternita per ornare l’altare, fare celebrare le messe e provvedere quanto necessario per il culto. La confraternita aveva un legato di 24 messe ogni anno, che venivano celebrate con i rediti di alcuni beni legati da Gian Domenico Armellini. I disciplini poi mostrarono al visitatore le lettere e le bolle di aggregazione all’arciconfraternita della SS. Trinità di Roma (8), debitamente approvate dall’ordinario. Gli atti della visita inoltre precisano che i disciplini di S. Lorenzo osservavano le regole emanate a suo tempo dal card. Ippolito Rossi vescovo di Pavia. Tra i confratelli non esistevano discordie, e su invito del prevosto partecipavano alle processioni e accompagnavano i defunti alla sepoltura senza chiedere alcun compenso, accontentandosi delle offerte spontanee.Il priore Gio. Battista Riario domandò al visitatore che il tabernacolo ligneo si potesse tenere sull’altare anche quando non conteneva il Santissimo. La richiesta fu accolta, ma a condizione che in quel caso il tabernacolo fosse tenuto aperto, “ad effectum ne idolatria committatur”. Dal canto suo, il vicepriore Cristoforo Torre chiese ed ottenne dal visitatore la licenza di erigere a sue spese nell’oratorio un altare dedicato a S. Carlo, in sostituzione di un altarino provvisorio costruito con assi di legno.Qualche ulteriore notizia si ricava dagli atti della visita compiuta il 29 maggio 1635 (9) dal vescovo Fabrizio Landriani. In quell’anno era priore della confraternita Giulio Bertolotti, e tesoriere Gerolamo Fontana. Il vescovo rilevò che davanti all’altare maggiore era stata collocata da poco tempo una balaustra di marmo. La copertura dell’edificio presso la porta d’ingresso minacciava rovina, onde il visitatore ordinò che si facessero le necessarie riparazioni, sotto pena di interdire la chiesa. Anche la sacrestia annessa, scarsamente dotata di arredi sacri e paramenti, minacciava imminente rovina. Il vescovo quindi ordinò che entro tre mesi, sotto pena da stabilire a suo arbitrio, la sacrestia fosse riparata a spese della comunità e provvista di arredi in misura adeguata al decoro del culto.Sembra che i disciplini non abbiano ottemperato agli ordini del vescovo Landriani perché il delegato vescovile Ippolito Visconti, prevosto della cattedrale di Pavia, in occasione della sua visita del 25 settembre 1667 (10), riferisce che in quel tempo

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l’oratorio di S. Lorenzo era interdetto, il che prova che gli ordini precedenti non erano stati osservati. Il visitatore prescrisse allora che, revocato l’interdetto, si eseguisse quanto era stato ordinato e si riprendesse la celebrazione di una messa settimanale e di un ufficio annuale di cui la confraternita era gravata per legato lasciato da Cesare Fione. Il legato comprendeva pure l’obbligo di assegnare ogni anno le doti a quattro fanciulle povere del paese ma, poiché i redditi dei beni assegnati dal Fione non erano sufficienti ad assicurare l’osservanza di tutte le obbligazioni, il Visconti ordinò che tre parti dei redditi fossero assegnate alla chiesa di S. Lorenzo per il soddisfacimento dei legati spirituali, e la rimanente fosse distribuita alle fanciulle povere che intendevano sposarsi.È qui opportuno precisare che l’origine del legato accennato risale al testamento dettato il 9 febbraio 1619 dal bassignanese Cesare Fione il quale, dimorando a Roma e trovandosi infermo, volle disporre dei suoi beni nel caso fosse passato a miglior vita. Del citato testamento, il cui originale era rogato dal notaio Tranquillo Pizzato di Roma, si conserva un apografo (11), di cui diamo di seguito la trascrizione parziale.

L’anno della natività di nostro Signore Gesù Cristo del 1619, nella indicione seconda à dì febraro sotto il pontificato del S.mo in Cristo Padre S. S. Paulo per la Divina Provvidenza Papa Quinto dell’anno XIIII in presenza di me nottaro infrascritto e de’ testimoni infrascritti presente et personalmente constituto il signor Giulio Cesare Fione fillio del signor Guicciardo di Bassignana, diocesi di Pavia, conosciuto da me nottaro, sano per l’Iddio grazia, di mente senso, parlare, ed intelletto, benché infermo di corpo prostratto in letto, e temendo della morte, et niente più incerto della morte istessa e pronto di quella, non volendo perciò morire senza testamento, ma più tosto con testamento acciò dopo la sua morte tra suoi successori non nasca litte e discordia, però spontaneamente ha procurato di fare et fa questo presente suo ultimo testamento nuncupativo, che per raggione civile si dice senza scritto vi et modo e forma, che segue, cioè. Primo con umiltà e di divocione ha raccomandato l’anima sua come più nobile del corpo, all’Altissimo Creatore et alla Gloriosissima Sempre Vergine Madre Maria, e seguita che quando sarà la sua morte vole essere sepolto nella chiesa di santa Maria del Popolo, alla quale chiesa ha lasciato le raggioni di sua sepoltura, et ha lasciato alla Veneranda Arciconfraternita di san Lorenzo della detta sua Patria, scuti sei di moneta per la celebrazione di Sante Messe da morto alla di lui anima da celebrarsi quanto prima doppo la sua morte e questo de’ beni, et denari, che sono, e che a lui s’aspettano nella sua Patria. Item ha comandatto che gli infrascritti suoi heredi vendano, et alienano una vigna dell’istesso testamento posta nel territorio di Bassignana, di staia cinque, all’Ill.mo Signor Guglielmo Bellingeri di Bassignana per il prezzo da convenirsi e dal detto prezzo che si construa et bonifichi il muro o sii la facciata di detta chiesa di santo Stephano di detta sua Patria con gli infrascritti miglioramenti et opere cioè si imbianchi la facciata di detta chiesa, vi si faccia tre campanili sopra, si faccia un cornicione, si faccia la porta e vi si dipinghi Santo Stephano. Item per raggione di prelegato ha lasciato all’infrascritta Signora Minerva de Ricci sua moglie, ogni e qualunque denaro, entrata et uscita de beni dell’istesso testatore, che sono nel territorio istesso di Bassignana in qualunque modo scossi

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sin’hora da’ suoi Procuratori, et che si troveranno nelle mani de’ detti suoi Procuratori quali denari vole detto testatore, che si rimettino alla sua moglie in questa Città, e ciò s’ha incaricato all’infrascritto Rev. Signor Pietro Oltrabello, et in tutto gli altri, e particolari beni mobili, raggioni, crediti et ationi universali presenti e futuri del medesimo testatore, che sono in quel territorio della detta sua Patria di Bassignana. Solamente ha instituito, fatto, e vole che sia come per sua bocca propria, ha nominato suo erede universale usufruttuario il detto Magnifico et Rev.mo Sacerdote Pietro Paulo Oltrabello, suo zio, del quondam Phisico Colleggiato Bernardo di Pavia con gli infrascritti carichi cioè che sia tenuto il medesimo Rev. Signor Pietro Paulo ogni anno durante la sua vita, e si che viverà, maritare tre povere fanciulle vergini di bona et honorata fama, conditione e famiglia, il giorno della festa della Natività della Beatissima Vergine Maria del mese di settembre di qualsivoglia anno con dote di lire cento di moneta della detta sua Patria per ciasched’una quali fanciulle doppo che saranno statte fatte le solite visite et diligenze che si troveranno essere nel caso come sopra, vole e comanda che siano poste in una bussola e che si cavano alla fortuna e di più sia obbligato il medesimo Rev. Signor Pietro Paulo, cellebrare, o far cellebrare una messa da morto ogni settimana, ed un ufficio ogni anno sin tanto che viverà come sopra nella predetta chiesa di San Lorenzo per l’anima sua, et una volta che morirà detto Signor Pietro Paulo, e doppo la sua morte come anche vivente l’istesso, e mancando di maritare dette fanciulle e della celebrazione della detta messa ed offitio come s’è detto di sopra anco per una volta sola, nella detta eredità tanto nell’usofrutto, quanto in proprietà tanto nell’uno quanto nell’altro caso sopradetto ha instituito e vole che succeda, e di bocca propria parimenti ha nominato la sopradetta Veneranda Confraternita di San Lorenzo della detta sua Patria di Bassignana con li medesimi carichi et obligationi di maritare le dette tre fanciulle ogni anno nel modo, e tempo che s’è detto di sopra di maritarsi in perpetuo, e similmente di cellebrare o di far cellebrare la detta messa ogni settimana et officio ogni anno in perpetuo, nella detta chiesa di san Lorenzo per l’anima sua come si è detto di sopra. Item ha lasciato una delle dette doti da darsi come sopra cioè la prima volta a V. Julia di Boniforti Necchi e di Laura moglie. Item ha concesso licenza e facoltà al dette Rev. Signor Pietro Paulo per una volta tanto di maritare una figlia con una delle sopradette dotti della detta sua Patria ad arbitrio dell’istesso Rev. Signor Pietro Paulo et in tutti gli altri, e particolari beni mobili e immobili, raggioni, crediti, et ationi universali presenti e futuri dell’istesso testatore, che sono qui in Città, et in altro luogo esclusi però li soprannominati in qualsivoglia modo spettanti e pertinenti all’istesso testatore ha instituito fatto sua erede universale, e vole che sia il suo ultimo testamente et ultima volontà perché, et quale ha voluto vaglia per raggione di testamento o di codicillo o di donatione per causa di morte, et in qual si voglia miglior modo lassandole sopra le quali cose.

Verso il 1727, utilizzando probabilmente qualche disponibilità accumulata con i proventi del legato Fione, i disciplini iniziarono alcuni importanti lavori di ristrutturazione della chiesa di S. Lorenzo, al termine dei quali l’edificio assunse l’aspetto attuale.

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A questi lavori, con ogni probabilità, si riferiscono gli atti di una controversia sorta nel 1734 fra la confraternita ed i padri carmelitani dell’attiguo convento a proposito di alcune aperture praticate nel muro absidale della chiesa di S. Lorenzo. I carmelitani giudicarono arbitrarie quelle aperture, e il 6 maggio 1734 inoltrarono al Senato di Torino la seguente protesta: (12)

Ill.mi et ecc.mi Signori del Senato di S. M. sedente in Torino.Esponendo li MM. RR. Padri del convento del carmine di Bassignana, trovarsi il giardino di detto loro convento in vicinanza ed attiguo alla chiesa della confraternita sotto il titolo di San Lorenzo di detto luogo, detta della SS.ma Trinità; ed esso giardino libero da ogni soggezione massime di finestre, et per tale da anni 10, 20, 30, 40, 50, e più, e da tempo immemorabile in qua posseduto alla riserva di un piccolo occhio nel choro di detta chiesa permesso a detta confraternita precario nomine. Ora occorre che detta confraternita per mezzo dei suoi officiali si jatta di voler ampliare detto occhio di finestra ornata, anzi di far aprire altre finestre in detta loro chiesa sul motivo di dare maggiore luce alla medesima, e come tali finestre sarebbero troppo pregiudizievoli e di sogezione a detto loro giardino e convento sempre stato libero da tale servitù, perciò all’affetto d’ovviare ad ogni pregiudizio di detto loro convento se ne raccorreno alle LL. EE., supplicandole si degnino mandar citarsi avanti Loro, et al banco dell’attuaro deputando, la confraternita suddetta, in persona dei suoi officiali, e direttori a far fede delle loro notificate ragioni con quali si jattano di voler ampliare detto occhio del coro di detta loro chiesa e fare altre aperture riguardanti il detto loro giardino e convento.

La confraternita di S. Lorenzo, a sua volta, si accinse a far valere le proprie ragioni e presentò al Senato le deposizioni di alcuni testimoni (13) favorevoli alle sue tesi. Dopo repliche e controrepliche, alla fine le parti decisero di addivenire ad una transazione, che reca la data del 18 dicembre 1734 (14). In base all’accordo, i carmelitani autorizzarono i disciplini a “ridurre ad una finestra l’occhio, che di presente si trova nel choro di detta chiesa di San Lorenzo, in modo però che detta finestra non s’abbassi più dell’occhio presentaneo, che oncie due milanesi e non si dilati più di quello, che si trovi al presente la finestra di detta chiesa corrispondente dall’altra parte del choro. E perché con ingrandimento di detto occhio non sarà bastantemente provveduto il choro di San Lorenzo del lume necessario per leggere in detto choro, il sudetto Padre Priore, ed altri PP. del Carmine, permettono a detti scolari di San Lorenzo un’altra finestra consimile a quella, che si farà nel sito dell’occhio allargato, e questa a titolo di pegno precario, e non altrimenti, e sino a che piacerà a’ stessi PP. e non più; in modo tale che rinnovato il detto precario, ed annontiata la rivocatione a sudetti confratelli, debbano questi senz’altra replica, far chiudere la detta seconda finestra che sarà la più vicina all’altare di detta chiesa di San Lorenzo e poi in appresso addurre le loro ragioni, le quali in tal caso restaranno intatte vicendevolmente come erano avanti la presente. Si cauteleranno ambe le finestre con la ferrata, et ramata per reciproca cautione delle parti, e questo a spese della confraternita di San Lorenzo”.

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I lavori cui abbiamo accennato furono portati avanti negli anni seguenti, e si conclusero con la costruzione dell’attuale facciata, che costituisce certamente la parte più interessante dell’edificio. Improntata a un barocchetto vivace ed armonioso, la facciata è leggermente concava e presenta due ordini sovrapposti culminanti in una estrosa cimasa a cappello. Ciascuno dei due ordini è scompartito da quattro lesene che delimitano tre svecchiature: le due laterali più ristrette e quella centrale più ampia.All’interno dell’edificio sono degni di nota l’altare maggiore e la balaustra, formati da marmi pregiati di diverso colore che compongono un assieme piacevole e armonioso. Da un documento del 1750 (15) risulta che l’esecuzione di queste opere fu affidata nel 1745 a un certo Agostino Sommino di Viggiù, ma la posa in opera dei materiali avvenne soltanto nel 1747, in seguito ad alcune difficoltà insorte nel frattempo.Dal citato documento del 1750 risulta infatti che sin dal novembre 1744 i disciplini avevano commesso al Sommino l’esecuzione dell’ altare in marmo con i relativi gradini e delle porticine laterali che immettevano nel coro. L’artista a sua volta assumeva l’obbligo di condurre a proprie spese i marmi lavorati sino alla sponda del Tanaro, entro il mese di giugno o al principio di luglio 1745, in modo che per la festività di S. Lorenzo di quell’anno i marmi fossero collocati in opera. Alla stipulazione del contratto il Sommino ricevete tre quarti della somma pattuita, mentre il saldo gli sarebbe stato versato al termine dei lavori. Le cose però andarono diversamente, perché nei mesi di giugno e luglio 1745 le truppe piemontesi si accamparono a Bassignana e la chiesa di S. Lorenzo, come quasi tutte le altre del paese, fui adibita a deposito di farine, grano e biade dell’armata. Di conseguenza, i disciplini della confraternita ritennero prudente differire il trasporto dei marmi già pronti, per non esporli alla licenza delle truppe.Cessata l’occupazione militare, nel 1746 fu eletto priore della confraternita Francesco Tosino, il quale si mise in capo di far collocare in opera il nuovo altare. Nel mese di ottobre di quell’anno, accompagnato dal cugino Domenico Tosino tesoriere della confraternita, egli si presentò al notaio Fabario, originario di Bassignana ma residente a Milano. Con il pretesto di aver sentito che il Sommino era fallito, facendo perdere alla confraternita l’anticipazione sborsata alla stipulazione del contratto, il Tosino pregò il notaio di interporre i suoi buoni uffici per indurre l’artista a consegnare i marmi lavorati. Il Fabario riuscì a convincere il Sommino ad effettuare la consegna entro l’ottobre 1747, ma dovette sborsagli di tasca propria la somma di 38 zecchini gigliati che quello pretendeva a saldo delle proprie spettanze.Nel novembre 1747 i marmi furono finalmente collocati in opera, e il priore firmò una convenzione in base alla quale veniva riconosciuta al Sommino la differenza di prezzo provocata dal rincaro dei marmi e delle spese di trasporto verificatosi nel frattempo. Tale differenza fu effettivamente saldata, ma dal totale fu dedotta la somma di 38 zecchini che il Sommino aveva già ricevuto dal Fabario. Questo, a un certo punto, chiese alla confraternita la restituzione della somma anticipata, ma gli furono presentati soltanto 10 zecchini, che l’interessato ricusò di accettare. Anzi vista la piega della situazione, oltre alla restituzione del suo chiese anche la rifusione dei

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danni, interessi e spese per il ritardato pagamento. E poiché la controparte faceva orecchie da mercante, inviò una supplica al tribunale perché fosse emessa citazione contro Francesco e Domenico Tosino. Quale esito abbia avuto la supplica non sappiamo, né ci preme saperlo,Quel Francesco Tosino comunque doveva essere un tipo piuttosto litigioso, perché il suo nome viene nuovamente in luce a proposito di una controversia che egli, unitamente al fratello Gio. Battista, ebbe con la confraternita di S. Lorenzo per motivi di confine. I due fratelli infatti abitavano in una casa attigua al coro della chiesa, e negli anni 1730-31 fecero costruire una stalla che era separata dal coro della chiesa da una “rittana”, cioè da una strettissima strada vicinale. Nel 1766 i Tosini ampliarono al stalla occupando il sedime del vicolo, addossandosi al coro di S. Lorenzo. Poiché i disciplini fecero opposizione, le parti iniziarono una causa nel corso della quale raccolsero numerose prove testimoniali a sostegno delle rispettive tesi. Fra le testimonianze che si conservano (16) riproduciamo le seguenti, che per il loro carattere di immediatezza ci offrono qualche spunto gustoso sulla vita interna del paese nella seconda metà del Settecento.

Deposizione di Carlo Boveri del fu Pietro, d’anni 78:Nell’anno 1696, in tempo che ero ancora ragazzo, andando a scuola in questo luogo, e specialmente nella casa dell’or fu Antonio Tosino, essendo in tal tempo il maestro certo Padre Sachi carmelitano, era situata detta casa dietro l’oratorio di San Lorenzo eretto in questa terra in capo della corte che era intermedia fra detta casa e la fabbrica del coro di detto oratorio, ritrovandosi questo esposto a detta casa lateralmente alla quale esisteva l’orto o sia giardino del convento de’ RR. Padri del Carmine, e proseguiva detto giardino anche lateralmente allo stesso oratorio con un muro di cinta che divideva la corte dal medesimo giardino. Restava detto muro di cinta da una parte attaccato all’angolo a detta casa di Antonio Tosino e dall’altra parte all’angolo di detto oratorio, o sia choro d’esso, ed al piè d’esso choro verso detta corte vi erano per terra dell’erbaggi e dei pastrocchi, ossia immondizie come ho più volte veduto ed osservato …

Deposizione di Pietro Giaroli del fu Gio. Battista, d’anni 74Dico che anni 60 circo di età giovanile e di compagnia dell’or fu Giuseppe Boveri, e con lui sono andato in cerca di lumache nell’orto di questi RR. Padri del Carmine, e per entrare siamo passati nella rittana che esisteva fra la fabbrica esteriore del choro dell’oratorio di San Lorenzo e la fabbrica del fu Antonio Tosino. La rittana essendo chiusa nel fondo verso l’orto dei Padri Carmelitani, da un muretto, noi lo scavalcammo e scendemmo nell’orto per mezzo di un albero che era vicino al muretto. Cercammo e trovammo le lumache che poi regalammo a certo signor D. Sartirana in tale tempo maestro di scola in questa terra di Bassignana, come entrambi suoi scolari …

Deposizione di Gio. Battista Calvi di Rivarone, d’anni 57:

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In tempo di mia gioventù, e che ero dell’età di 16 anni, andavo ogni giorno da Rivarone a Bassignana, alla scuola in Bassignana, e mi sovengo che in quel tempo, sendo solito di portarmi alla casa di Gian Battista Lavezzari mio zio, fratello del mio avo paterno, il quale abitava nella vicinanza dei fratelli Tosini, e passavo per andarvi, per la strada vicinale et accanto alla porta della casa dei detti Tosini, ed in tal tempo la chiesa di san Lorenzo aveva il suo choro con lo spiovente che capitava in una rittana che vi era fra esso choro e la stalla della casa dei fratelli Tosini, mentre oggi detta stalla si trova appoggiata la muro di detto choro. Quando avevo 18 anni e andavo a scuola ancora a Bassignana, la confraternita aveva deliberato di fare allargare il choro della chiesa verso la rittana, ed occupare parte della medesima, facendo cadere il piovente del choro verso la strada e dall’altra parte verso il giardino dei Padri del Carmine, e vi rimase, come ho veduto in quel tempo ancora una piccola rittana tra il detto coro et la stalla di detti Tosini, i quali cambiavano il coperto e lo stillicidio di detta loro stalla, facendolo capitare parte sulla strada e parte in detto giardino, mentre prima capitava in detta rittana …

La deposizione del Calvi si conclude con l’affermazione che nel 1730-31 la stalla dei Tosini fu trasportata contro il coro della chiesa ad opera del maestro muratore Carlo Nasetti, il quale era ancora vivente nel 1765, e “ha tavagliato in Bassignana in casa Provera, e in casa del Monsignor Bellingeri”. Quest’ultimo inciso è importante, perché prova che il palazzo Bellingeri, tuttora esistente in Bassignana, fu eretto nella prima metà del Settecento su commissione di mons. Pio Bellingeri, nativo del luogo e illustre personaggio della chiesa pavese.Come abbiamo già detto e ancora diremo altrove, nella sua qualità di vicario generale il Bellingeri fu incaricato di svolgere la visita pastorale della diocesi. Il 17 aprile 1765 (17) egli visitò la chiesa di S. Lorenzo di Bassignana e rilevò che l’interno conteneva un altare di marmo di forme eleganti, dietro il quale era il coro che accoglieva gli stalli lignei dei disciplini. Il loro priore era Giulio Cesare Nobili, e vicepriore Pietro Antonio Pagella.L’oratorio aveva un solo legato lasciato da Cesare Fione. Con i suoi proventi, ogni anno i disciplini assegnavano la dote a tre ragazze del luogo, di buona e onesta famiglia, per una somma complessiva di 100 lire imperiali. Il Bellingeri volle informarsi delle modalità di assegnazione delle doti, e gli fu precisato che i confratelli, vagliate le domande presentate dalle interessate e assunte le debite informazioni sull’effettivo stato di povertà e sull’onestà della famiglia, ponevano le domande in una bussola. Tre di esse venivano estratte a sorte da un ragazzo, e le doti venivano quindi assegnate alle ragazze favorite dalla fortuna. Il Bellingeri apprese però che qualche volta venivano imbussolati i nomi di ragazze che non avevano ancora compiuto dieci o undici anni, ma la dote veniva loro assegnata ugualmente, in attesa che le interessate raggiungessero l’età da marito. Ad evitare questo abuso, il visitatore ordinò che per l’avvenire le domande fossero vistate dal parroco, e che fossero ammesse soltanto le ragazze che avessero compiuto il quindicesimo anno.Questa raccomandazione fu scrupolosamente osservata per molti anni, ma nel 1788 la confraternita si trovò ad affrontare la richiesta di incameramento dei beni del legato

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Fione nel patrimonio dell’ospedale di S. Spirito. La richiesta era stata avanzata dagli organi comunali, i quali avevano fatto presente che da vent’anni in qua la popolazione del paese si era pressoché raddoppiata, e altrettanto era aumentato il numero dei poveri e degli infermi, per soccorrere i quali si rendevano necessari mezzi straordinari. Di qui la richiesta, indirizzata ai disciplini di S. Lorenzo, di rilasciare all’ospedale i beni del legato Fione.Il 2 marzo 1788 i disciplini si congregarono (18) con l’assistenza del rev. Francesco Tosini e, dopo aver esaminato le istanze presentate dagli organi comunali, affidarono al priore Pietro Antonio Pagella i pieni poteri per concordare le modalità di assegnazione del legato che, dedotti gli obblighi imposti dal testatore, consisteva nella somma annua di circa 300 lire.Il 6 marzo si riunì il consiglio di amministrazione dell’ospedale (19) sotto la presidenza del prevosto Francesco Tartara. I deputati Pietro Antonio Pagella e Antonio Lenti presero la parola e riferirono che “questa comunità con suo atti consulare del primo andante e la veneranda Confraternita della SS. Trinità con suo atto pure delli due andante hanno lodevolmente proposta l’aggregazione de’ redditi della predetta Confraternita eccedenti le cause pie instituite, a favore dei redditi e dei beni di questo Ospedale per così in qualche maniera sollevare li poveri ed infermi di questo luogo che al giorno d’oggi e da venti anni circa a questa parte si sono raddoppiati; onde quanto sopra rapportano a questa Amministrazione e Congregazione per avere i di lei sentimenti”. I congregati, all’unanimità, deliberarono di prendere accordi con il Comune per ottenere dalle superiori autorità l’approvazione dell’incameramento dei beni del legato, “considerando che la proposta aggregazione ella è opera lodevolissima e necessaria alle grandi miserie che per malasorte in questo Luogo si trovano, per così sollevare l’umanità massime che li redditi di questo Ospedale al dì d’oggi sono assai tenui né bastanti neppure al terzo di questi miserabili per dar ricetto e portar cura alli quali abbisognerebbe che l’Ospedale fuosse dilatato ed ampliato il fabbricato per cui importa non indifferente dispendio …”.Ecco ora il verbale della riunione del 9 marzo 1788 (20) nel corso della quale i disciplini stabilirono i capitoli per la cessione dei beni del legato Fione all’ospedale di S. Spirito:

L’anno del Signore 1788, ed alli nove di marzo in Bassignana nel coro della veneranda Confraternita della Chiesa della SS. Trinità. Convocata, e congregata la Ven. Congregazione di questa Confraternita prevj li verbali avvisi à signori componenti la medesima e suono di campana, sono in una intervenuti, ed intervengono il molto Rev. Signor Don Francesco Tosino Capellano, e Presside, il Signor Priore Pietro Antonio Pagella, il Signor Vice Priore Tomaso Pavese, il Signor Reggio Assistente Giuseppe Campo Fregoso, li Signori Consiglieri Gio. Francesco Arbutto, Giuseppe Fabio, Gio. Battista Nosetti, Giuseppe Antonio Arzenati, Francesco Dannovi, Angelo Domenico Torri, Giuseppe Gallini, Gio. Maria Torti, Domenico Boveri, Giuseppe Allegro, Giulio Cesare Nobile e Gio. Battista Tosini componenti l’intero corpo. Più sono intervenuti li seguenti confratelli: Francesco Rizzi, Carlo Burzi, Francesco Antonio Cervetti, Giuseppe Arbutto, Angelo Domenico

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Omodeo, Massimo Pelizzari, Antonio Cattaneo, Domenico Arzenati, Angelo Maria Rizzi, Francesco Antonio Freschi e Gio. Battista Arsano. Precedenti le solite preci, riflettendo questa veneranda Congregazione avere con di lei atto delli due corrente mese progettata l’agregazione de’ redditi di questa Confraternita a favore dell’ospedale di questo luogo per sollievo de’ poveri infermi di questo luogo, che in oggi si sono moltiplicati, per la stipulazione di detta cessione forma perciò questa Congregazione li seguenti capitoli co’ quali dovrà detta aggregazione seguire.

1. Il detto Ven. Ospedale sarà obbligato di adempiere tutti i legati, ed obblighi portati dal testamento del Signor Cesare Fione del nove Febraro 1619, rogato Pizzati, e sono di pagare le tre annue doti alle tre figlie da estrarsi a sorte nella chiesa di questa confraternita, nel dì della B. V. secondo il sin qui praticato, di far celebrare una messa in caduna settimana, ed un officio con messa da requie ogni anno.

2. Dovrà deto Ospedale corrispondere annualmente il solito onorario al Rev. Signor Cappellano di questa Confraternita da elegersi in perpetuo dalla stessa Confraternita in lire settanta di Piemonte oltre all’elemosina della detta messa ebdomadaria che si celebrerà dallo stesso Signor Capellano.

3. Dovrà l’Ospedale corrispondere l’elemosina per l’officio e messa cantata tanto al Molto Rev. Signor Paroco, che alli Signori Preti Ressidenti.

4. In caso di riparazione meramente necessaria della chiesa di questa Confraternita sarà tenuto detto Ospedale di farvi provvedere all’avviso da darseli dal Signor Priore che sarà pro tempore.

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5. Sarà pure tenuto detto Ven. Ospedale corrispondere al Signor Cancelliere della detta Ven. Confraternita quella tenue recognizione annua che li verrà dalla medesima accordata, e lire dodici di salario annuale al Sagrestano.

6. Sarà pure tenuto detto Ospedale provvedere la cera bisognevole per le funzioni di detta chiesa della Confraternita secondo il consueto, e l’oglio ad uso della lampada, calcolata detta spesa all’annualità di lire cinquanta.

7. Che il Signor Priore pro tempore in perpetuo, o quell’altra persona che verrà da questa Congregazione deputata possa intervenire a tutte le congreghe che si faranno in detto Ospedale in aggiunta a quattro Signori Deputati senza nuocere all’intervento, ed assistenza del Molto Rev. Parroco.

8. Che nella cessione da farsi, e stipularsi vi rimangano compresi tutti li debiti, e crediti di questa Confraternita secondo lo stato che verrà formato.

Per quanto la cosa possa sembrare strana, non risulta che la progettata fusione dei beni in realtà sia mai avvenuta: probabilmente, quando tutti gli ostacoli sembravano ormai superati, venne a mancare l’approvazione delle superiori autorità, e il progetto andò in fumo. E fu davvero peccato, perché non passò molto tempo che i beni del legato, costituiti da 26 moggi di terra, furono incamerati dal governo nei turbinosi anni della rivoluzione francese. Nei verbali della visita pastorale di Mons. Alessandro d’Angennes del 6 agosto 1826 (21) si ricorda appunto che i beni furono “venduti dal Governo nel 1797, dietro Regie Patenti 10 Luglio 1795, pel prezzo di lire 20.000 in oro garantito sui Monti di Torino al tre e mezzo per cento, e così all’anno lire 700 state esatte dalla confraternita soltanto sino al 1807 come da libro d’entrata; ed in oggi dal 1820 in poi, per interesse derivante da interessi non stati esatti dai suddetti Monti nel 1800: lire otto e centesimi 35 all’anno, per cui non è possibile alla Confraternita di fedelmente adempire ai pesi di una messa da morti ogni settimana, d’un ufficio ogni anno per l’anima del detto Testatore, di lire 100 a tre povere figlie cadauna per una volta tanto, da estrarsi a sorte il dì della Natività di M. V., così avendo legato il detto Signor Fione. Le messe, ed ufficio sono stati adempiuti sino al 1810, e le 300 lire di dote alle maritande sino pendente l’esazione delle lire 700, cioè sino al 1806 inclusivamente”.Nella seconda metà dell’Ottocento, quando a Bassignana fu costituito il primo nucleo della comunità evangelica, sorse il problema se alle doti del lascito Fione potessero concorrere anche le fanciulle di culto diverso da quello cattolico. La confraternita, naturalmente, negava recisamente questa possibilità e, in data 8 aprile 1894, provvide a redigere un nuovo statuto organico nel quale, agli art. 6 e 11, si ribadiva il principio che requisito essenziale per concorrere all’assegnazione delle doti fosse l’appartenenza ala confessione cattolica. Il consiglio comunale del paese, riunitosi in seduta straordinaria il 4 agosto 1894, esaminò lo schema di statuto e accordò la sua approvazione ma, su proposta del consigliere Giuseppe Fracchia, chiese la revisione dei due articoli citati, sostenendo che il Fione nel suo testamento non aveva inteso operare alcuna discriminazione in merito alla confessione religiosa delle fanciulle aspiranti alle doti. La giunta provinciale amministrativa di Alessandria, a sua volta,

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diede parere favorevole all’approvazione dello statuto, ma sollevò le medesime eccezioni a proposito degli art. 6 e 11 (23).Di fronte a queste prese di posizione, la confraternita si riunì in data 25 novembre 1894 e stese un ricorso al Consiglio di Stato, allo scopo di dimostrare che il Fione in realtà intendeva beneficiare soltanto le fanciulle appartenenti alla confessione cattolica (24). Questo principio fu sostanzialmente accolto dal Consiglio di Stato, pur con qualche proposta di modifica per latri articoli dello statuto (25). Il nuovo testo, contenente le modifiche richieste, fu redatto in data 26 marzo 1899, e fu approvato con decreto di Umberto I del 16 agosto dello stesso anno (26).

(1) X. TOSCANI, op. cit., 169: “adest … ecclesia Sancti Laurentii verberatorum”.(2) Nella visita pastorale del 14 aprile 1562, parlando dei disciplini di S. Lorenzo,

si afferma che mentre un tempo esisteva in paese una sola confraternita, attualmente ne esistevano tre. Ciò induce a credere che la confraternita di S. Lorenzo fosse in effetti la più antica.

(3) A.C.V.P., Parrocchie, cart. 10, Bassignana, fasc. Visite Pastorali.(4) Ivi, Visitatio Apostolica di mons. Angelo Peruzzi, II, fol. 551v-552r.(5) Ivi, Parrocchie, cart. 10, Bassignana, fasc. Visite pastorali.(6) Ivi, Visita pastorale di S. Alessandro Sauli, fol 95v. I verbali precisano che la

chiesa, in volta, era in buone condizioni, e che i disciplini erano circa 18.(7) Ivi, Parrocchie, cart. 10, Basignana, fasc. Visite pastorali.(8) L’aggregazione della confraternita avvenne nel 1611. Cfr. E. CHENNA, op.

cit., III, 1, 8.(9) A.C.V.P., cart. 19, Bassignana, cart. Visite pastorali.(10) Ivi.(11) Archivio della confraternita di San Lorenzo in Bassignana (A.C.S.L.). La

copia del testamento, in lingua italiana, fu redatta dal notaio A. Bini di Roma.(12) A.C.S.L.(13) Ivi. Fra le deposizioni è particolarmente interessante quella di un certo

Bertolero, il quale nella sua comparsa asserisce “l’eccessiva umidità della chiesa di san Lorenzo viene in buona parte da un fosso molto profondo, reso tale da poco tempo in qua, e che i detti Padri hanno di presente nel detto loro giardino attiguo alla muraglia su cui si pretende di impedire l’ampliazione et apertura delle finestre, senza che vi sia la doverosa legal distanza da essa muraglia al detto fosso, il quale ricevendo tutte le acque del convento, corte del massaro, et giardino di detti Padri, né dandosi all’acqua di detto fosso il dovuto esito e scaricamento, si ferma in esso stagnante danneggiando la muraglia della chiesa. Li medesimi Padri hanno preteso di far costruire attigua alla detta muraglia, una latrina, e fatto piantare alberi in vicinanza di detta muraglia senza essersi lasciato il dovuto spazio legale”.

(14) A.C.S.L., L’atto fu rogato dal notaio Giuseppe Burzio di Torino nella saletta priorale del convento di S. Maria del Carmine di Bassignana, sito al Capo Sottano e coerente a mattina con la chiesa di San Lorenzo, in parte, e in parte con mastro Antonio Tosino; a mezzogiorno con la contrada del Carmine

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e S. Lorenzo; a sera con la contrada del Carmine e il palazzo pretorio; a mezzanotte con la Quintana, ossia strada vicinale. Rappresentanti del convento erano il padre baccelliere Giuseppe Maria Rutta, priore; il padre Giovanni Francesco Conti, vicario; il padre Carlo Felice Bessone, procuratore; il padre Angelo Maria Lavezzari; il padre Aurelio Maggi. Rappresentanti della confraternita invece erano il dottore in utroque Gio. Battista Cortese, priore della confraternita, e mastro Antonio Tosino, vicepriore.

(15) A.C.S.L. Si tratta di un esposto indirizzato dal causidico milanese Fabario al tribunale di Alessandria circa la questione cui si accennerà tra breve nel testo.

(16) Ivi. L’archivio raccoglie una nutrita documentazione riguardante altre liti che, per brevità, non sono ricordate in questa sede. La più curiosa di tutte riguarda un olmo di diametro eccezionale, di antichissimo possesso della confraternita, che sorgeva proprio davanti alla facciata della chiesa di S. Lorenzo. Il 10 novembre 1760 un certo Giuseppe Laboranti di Bassignana pensò bene di abbattere l’olmo, lasciandone il tronco abbandonato sulla piazza. Ne nacque un tale vespaio che Giovanni Garrone, priore della confraternita, si affrettò a presentare al tribunale di Alessandria una citazione nei confronti del Laboranti.

(17) A.C.V.P. Parrocchie, cart. 10, Bassignana, fasc. Visite pastorali.(18) Il verbale di riunione è in A.C.S.L., Convocati.(19) Archivio dell’ospedale di S. Spirito di Bassignana.(20) A.C.S.L., Convocati(21) Ivi. I verbali citati contengono altre notizie di qualche interesse, che qui

per brevità vengono omesse. Si ritiene tuttavia opportuno riportare la seguente annotazione relativa allo stato patrimoniale della confraternita al tempo della visita pastorale del 1826: “Per essere stati venduti dal Governo dietro le RR. Patenti citate nella vendita dei beni del legato Fione anche i beni della confraternita, questa tiene il capitale di lire 15210:13:4, garantito sui mentovati Monti di Torino al 3,10 per cento, che forma l’annuo interesse di lire 182:7:4; che ridotto in capitale produce all’anno, dal 1828 in poi, lire 2 e centesimi 17; ond’è, che unendo le due rendite dei beni Fione e confraternita, formano il capitale di lire 25210:13:4 coll’annuo interesse di lire 882:7:4, che ridotto in capitale come col promemoria di codesto nostro Signor Prevosto e Vicario Foraneo appare, produce soltanto l’annuo interesse di lire 10 e centesimi 62, cioè lire una, centesimi 1/5 per cento quando il 3 e ½ per cento dovrebbe produrre lire 30:17:4:4/5. Il Governo però invece delle lire 882:7:4, pagava all’anno soltanto lire 765:11 come dal libro d’entrata, e ciò per diminuzione di lire 4201”.

(22) A.C.S.L.(23) Ivi. Con sua nota del 10 settembre 1894, il prefetto di Alessandria

marchese Garrone invitò la giunta provinciale a comunicare all’amministrazione della confraternita l’avvenuta approvazione dello statuto,

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consigliando alla stessa di chiedere “il riconoscimento legale dell’istituto per quanto ha riguardo alla beneficenza, cioè al conferimento di doti”.

(24) Ivi.(25) Ivi.(26) Ivi.