Rugby & Regole. Per una sana e robusta Costituzione

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25-29 gennaio 2016 RUGBY & REGOLE Senato della Repubblica

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25-29 gennaio 2016

RUGBY & REGOLE

Senato della Repubblica

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A cura dell’Ufficio comunicazione istituzionale del SenatoCopyright Senato della Repubblica, 2016Stampato nel mese di gennaio 2016 presso il Centro riproduzione documenti del SenatoLa presente pubblicazione è edita dal Senato della Repubblica nell’ambito delle attività di comunicazione istituzionale.Non è destinata alla vendita e non può essere utilizzata per scopi diversi.è possibile effettuare il download da: http://www.senato.it/4574http://www.senatoperiragazzi.it/materiali-docentiCentro di in-Form@zione e Libreria multimedialeVia della Maddalena, 27 - 00186 Romatel. 06.6706.2505

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INTRODUZIONE.

Perchè una "Settimana in Libreria" dedicataal Rugby? Fondamentalmente per tre ragioni:

1) innanzitutto perché lo sport, e l'ordinamentosportivo più specificamente, trova unacollocazione già nella Costituzione;

2) poi perché nel rugby sono valori fondamentaliil rispetto delle regole, dell'arbitro edell'avversario; la collaborazione e lo spirito digruppo, l'impegno di tutti al massimo delle propriepossibilità per portare a mèta l'intera squadra...

3) in ultimo perché fra i valori checontradistinguono il gioco del rugby è facilericonoscere quelli che sono i principi fondamentalidella nostra carta costituzionale: uguaglianza, nondiscriminazione, solidarietà, democraticità, lavoro,impegno.

La conoscenza delle regole del gioco fa moltopensare a quella che generalmente è la successionedelle fasi nel procedimento legislativo: una tappadopo l'altra, dalla presentazione del disegno di legge,alla discussione in Commissione e poi all'ap-provazione, generalmente in Aula, passandoattraverso il confronto con l'opposizione, nell'ottica

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del miglioramento del testo e del comune obiettivodi inserire nell'ordinamento una buona legge.

Il progetto intende quindi proporre alle scolarescheche visitano il Senato durante la settimana esvolgono attività didattica presso il Centro di In-Formazione e Libreria del Senato un approccio alrugby come sport capace di veicolare, in coloro chelo praticano e lo seguono valori e principi cheritroviamo nella carta costituzionale.

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SPORT E COSTITUZIONE

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha apportatomodifiche all'articolo 117 della Costituzione, relativo alla potestàlegislativa dello Stato e delle Regioni. La nuova formulazione prevede, in linea generale, che "lapotestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispettodella Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamentocomunitario e dagli obblighi internazionali". Nell'indicazione delle materie nelle quali lo Stato halegislazione esclusiva, il secondo comma dell'articolo 117, allalettera g), contempla anche l'ordinamento e l'organizzazioneamministrativa dello Stato e degli Enti pubblici nazionali. In tal modo viene ribadita la competenza esclusiva dello Statoa legiferare sull'ordinamento e l'organizzazione del CONI, quale entepubblico nazionale al vertice dello sport italiano. Il terzo comma dell'articolo 117 elenca, invece, le materie dilegislazione concorrente, per le quali spetta alle Regioni la potestàlegislativa, salvo che per la determinazione dei principifondamentali, riservata alla legislazione dello Stato: tra di essel'ordinamento sportivo e la tutela della salute. è la prima volta che la Costituzione prende in considerazionelo sport. Fino alla data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2001, lapresenza dello sport era deducibile solo concettualmente dall'esamedi varie altre disposizioni (es. diritto alla salute, all'integrità fisica;libertà di associazione e di insegnamento...).

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LA COSTITUZIONEParte II

Ordinamento della RepubblicaTitolo V

Le Regioni, le Provincie, i ComuniArticolo 117

(§3) Sono materie di legislazione concorrente quelle relativea: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Re-gioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro;istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e conesclusione della istruzione e della formazione professionale;professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'in-novazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimen-tazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo delterritorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e dinavigazione; ordinamento della comunicazione; produzione,trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenzacomplementare e integrativa; coordinamento della finanzapubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni cul-turali e ambientali e promozione e organizzazione di attivitàculturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito acarattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carat-tere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spettaalle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determina-zione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazionedello Stato.

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NUMERO DDL

INIZIATIVA

TITOLO

DATA PRESENTAZIONE

Atti Senato 644 Sen. Alessio Butti

(PdL) Costituzione in materia di tutela del diritto

22 maggio 2008

2455 Sen. Patrizia Bugnano (IdV) e altri in materia di tutela costituzionale

fisica e morale degli sportivi

16 novembre 2010

NUMERO DDL

INIZIATIVA

TITOLO

DATA PRESENTAZIONE

Atti Camera 1994 On. Giovanni Fava

(LNP) e altri Disposizioni per consentire la candidatura

dell'Italia come Paese ospitante delle edizioni della Coppa del mondo di rugby

degli anni 2015 e 2019

9 dicembre 2008

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DISEGNI DI LEGGEDisegni di legge che introducono lo sport nella Costituzione (XVIlegislatura)

Disegni di legge sul Rugby (XVI legislatura)

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LE NAZIONALI ITALIANE DI RUGBY 2015

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LO SPORT IN ALTRE COSTITUZIONI

Croazia, art. 68: “La Repubblica incoraggia ed aiuta lacultura fisica e lo sport.”

Grecia, art. 16, §9: “Gli sport sono posti sotto laprotezione e l'alta sorveglianza dello Stato. Lo Stato sifarà garante e controllerà tutti i tipi di associazionisportive specificate dalla legge. L'utilizzo dei sussidi, inconformità con i propositi e gli scopi delle associazionibeneficiarie, dovrà essere disciplinato con legge."

Portogallo, art. 79: “Ognuno ha il diritto di riceverel'educazione fisica ed esercitare lo sport. è dovere delloStato, unitamente alla scuola, ai gruppi e alleassociazioni sportive promuovere, stimolare, guidare esostenere la pratica e la diffusione dello sport, ed,altresì, prevenire la violenza nello sport.”

Russia, art. 41: “Lo Stato assume le misure volte allosviluppo della cultura fisica e dello sport.”

Turchia, art. 59: “è dovere dello Stato assumere lemisure necessarie per lo sviluppo della salute fisica emorale dei cittadini di tutte le età ed incoraggiare lapratica degli sport tra la popolazione.”

Ungheria, art. XX: “L’Ungheria promuove il diritto allasalute fisica e mentale [...] con il sostegno all’attivitàsportiva ed al regolare esercizio fisico, nonchéassicurando la tutela dell’ambiente.”

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LO SPORT NELL'UNIONE EUROPEATrattato sul funzionamento dell'Unione Europea

Titolo XIIIstruzione, formazione professionale,

gioventù e sportArticolo 165

(ex articolo 149 del TCE)

1. L'Unione contribuisce allo sviluppo di un'istruzionedi qualità incentivando la cooperazione tra Stati mem-bri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loroazione nel pieno rispetto della responsabilità degli Statimembri per quanto riguarda il contenuto dell'insegna-mento e l'organizzazione del sistema di istruzione, non-ché delle loro diversità culturali e linguistiche. L'Unionecontribuisce alla promozione dei profili europei dellosport, tenendo conto delle sue specificità, delle suestrutture fondate sul volontariato e della sua funzionesociale ed educativa.2. L'azione dell'Unione è intesa:— a sviluppare la dimensione europea dell'istruzione,segnatamente con l'apprendimento e la diffusione dellelingue degli Stati membri;— a favorire la mobilità degli studenti e degli inse-gnanti, promuovendo tra l'altro il riconoscimento ac-cademico dei diplomi e dei periodi di studio;— a promuovere la cooperazione tra gli istituti di inse-gnamento;— a sviluppare lo scambio di informazioni e di espe-rienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzionedegli Stati membri;

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— a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e dianimatori di attività socioeducative e a incoraggiare lapartecipazione dei giovani alla vita democratica del-l'Europa;— a incoraggiare lo sviluppo dell'istruzione a distanza;— a sviluppare la dimensione europea dello sport, pro-muovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni spor-tive e la cooperazione tra gli organismi responsabilidello sport e proteggendo l'integrità fisica e moraledegli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi.3. L'Unione e gli Stati membri favoriscono la coopera-zione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionalicompetenti in materia di istruzione e di sport, in parti-colare con il Consiglio d'Europa.4. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi pre-visti dal presente articolo:— il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando inconformità della procedura legislativa ordinariae previa consultazione del Comitato economico e so-ciale e del Comitato delle regioni, adottano azioni diincentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizza-zione delle disposizioni legislative e regolamentari degliStati membri;— il Consiglio, su proposta della Commissione, adottaraccomandazioni. (cfr. Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Versione con-

solidata, Gazzetta ufficiale n. C 326 del 26/10/2012; vedi anche

Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli

Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 21 maggio 2014, sul

piano di lavoro dell'Unione europea per lo sport)

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LA NASCITA DEL RUGBY

Nel XIX secolo nei colleges inglesi il gioco del pallone eramolto in voga, benché si differenziasse da college a college secondol'uso che si faceva delle mani e dei piedi.La “leggenda” racconta che il 1° novembre 1823 accadde un fatto,allora insignificante, che doveva però dare inizio alla disciplinasportiva del rugby moderno. Mentre giocava con i compagni nel prato della Public Schooldi Rugby (cittadina inglese nella regione del Warwickshire, sulle

sponde del fiume Avon),l'irlandese William Webb Ellis -con grande dispregio delleregole allora in vigore - presela palla tra le braccia e corsecon essa, determinando cosìl'origine di una dellecaratteristiche essenziali edistintive del gioco del rugby. L'irregolarità commessa daEllis consisteva non tanto nel

fatto di aver afferrato la palla con le mani, azione che non eraproibita, ma nell'aver corso in avanti con la palla stessa.Nel 1829 - e questa è storia, invece - fu nominato direttore dellascuola di Rugby il filosofo scolastico Thomas Arnold, il qualesensibilizzò fra i suoi studenti il gioco, tanto che essi lo avrebberodiffuso fra i compagni anche una volta giunti all'università. Il pallone, dalla caratteristica forma ovale, era fornito da unartigiano molto abile che ricavava lo strumento di gioco dallavescica di maiale. Si chiamava William Gilbert e sin dal 1800 era ilfornitore di palloni della scuola di Rugby. Alla fine dell'800 le più prestigiose università inglesi, tra cuiOxford e Cambridge, e americane (Harvard) avevano accantonato ilcalcio e preferito il rugby, proprio perché il calcio cominciava adessere troppo in odore di massa.

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I PRINCIPI FONDAMENTALI DEL RUGBY

AVANZARE per guadagnare terreno o mettere sotto pressione l'avversario;

SOSTENEREil compagno che attacca o difende.Questi principi rendono il rugby fortemente educativo e

formativo, perché insegna adAVANZARE sempre, come si deve fare nella vita, sia nelle

situazioni positive sia in quelle negative, perseverando nell'impegnosenza scoraggiarsi mai;

SOSTENERE sempre il proprio compagno, stimolando il sensodi solidarietà e lo spirito di cooperazione.

E POI...CONTINUARE ad AVANZARE e a SOSTENERE con disciplina,

rigore, altruismo, determinazione, autocontrollo, destrezza,passione...

Riconoscendo queste caratteristiche peculiari del rugby, ilMinistero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hasottoscritto un protocollo d'intesa con la Federazione italiana rugbyper favorire la conoscenza e la pratica del rugby in tutte le scuoleitaliane (D.M. 114 del 9 marzo 1998).

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PERSONAGGI FAMOSI CHE HANNO PRATICATO IL RUGBY

Per il giovane studente argentino di medicina ErnestoGuevara era stata un folgorazione giovanile e sconvolgente.Malgrado l'asma, giocò a rugby dai 14 ai 23 anni e fondò con ilfratello Roberto la rivista «Tackle», il placcaggio, l'anima del gioco,in cui mise la stessa dedizione che dedicò poialla lotta rivoluzionaria. La rivista durò poco,perché «si occupava troppo di politica», secondola polizia. Ernesto arrivò fino alla serie Aargentina, giocando con il San Isidro di BuenosAires e facendo impazzire il padre, preoccupatoper la sua salute. Alla fine rinunciò e prese altrestrade, ma il rugby rimase per il medico dellaRevolución uno dei piaceri dello spirito, tanto che tentò di fareproseliti anche tra i barbudos, tra le montagne di Cuba.

Innumerevoli gli scrittori affascinati allo spirito del rugby: J.R. R. Tolkien fu signore dei placcaggi oltre che degli anelli, tantoche fu capitano della sua squadra ad Oxford; Lewis Carroll eSalman Rushdie giocarono al college. Lo scrittore indiano, a 14anni, fu spedito nella «madrepatria» a studiare proprio alla RugbySchool. Per lui, alla faticosa ricerca di integrazione in una societàancora molto chiusa e tradizionalista, era quasi un obbligocimentarsi con la palla ovale, ma se ne innamorò.

Arthur Conan Doyle compose invece unodei gialli più intricati di Sherlock Holmes(«Lo strano caso del trequarti scomparso»)basandosi sulla storia (vera) di uno deigiocatori più rappresentativi della storiainglese, Ronald William Poulton-Palmer,stella di Oxford, della nazionale della Rosae dei Barbarians: erede di un vero eproprio impero dei biscotti, fu il capitanoinglese nel match contro l'Irlanda del

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1914, l'ultima sfida tra nazionali prima del lungo stop dovuto allaGrande Guerra. Fu anche l'ultimo incontro del trequarti inglese:insieme a 133 dei migliori rugbisti del Paese perse la vita negliassalti disperati che insanguinarono l'Europa. Anche celebri attori coltivarono speranze nel rugby. Richard Burtonnon cambiò mai idea sul rugby: ebbe per tutta la vita l'ambizionedi vestire la maglia del Galles. Era un buon flanker, e raccontò i suoisogni in A Welcome in the Valleys. Robin Williams rimase folgorato dall'incontro con JonahLomu: «l'ho conosciuto - raccontò - è così maledettamente brutale,

non pensavo fosse così grosso. Mi sono sentitocome un contadino in un film di Godzilla». Tanti politici hanno vestito le scarpe bullonatee le eleganti maglie dei club più esclusivi.Certo, tanti scozzesi: non solo il laburista TonyBlair, discreto centro negli anni universitari aEdimburgo. Il compagno di partito Gordon

Brown, da ragazzino, sognava di giocare in nazionale con la Scozia. Ma anche tra i presidenti americani si contano appassionati egiocatori: Woodrow Wilson, da rettoreuniversitario, cercò in tutti i modi diconservare la tradizione del rugby,osteggiando la moda del footballamericano (nato, paradossalmente, perattutire i rischi di infortunio per iragazzi). Di Bill Clinton si racconta chefu un'impacciata seconda linea ai tempidi Oxford, dove conobbe e giocò con una delle stelle più luminosedella storia degli All Blacks, il mediano di mischia Chris Laidlaw.George W. Bush invece giocò estremo ai tempi dell'università, aYale.(tratto da "Dal Che a Giovanni Paolo, i grandi che amavano ilrugby", Paolo Ligammari, Corriere della sera, 7 settembre 2011)

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I TRE TEMPI DEL RUGBY

René Crabos, figura leggendaria del rugby francese,credeva fermamente nell’esistenza dei tre tempi del rugby:quello della preparazione, quello della partita e il terzo tempo.

Diceva che solo passandoattraverso queste tre fasiil giocatore completa lasua formazione comevero uomo di rugby.

Il “primo tempo” è ilperiodo che i giocatoridedicano al rugby duran-te la settimana. Comprende gli allena-menti. è l’opportunità diritrovarsi con gli amiciper correggere gli errori.

Un buon “primo tempo” è la base per costruire una verasquadra di rugby.

Il “secondo tempo” è rappresentato dalla partita. Comediceva Crabos, è il tempo del massimo divertimento, ma anchedello sviluppo del carattere, dell’autocontrollo e dello spiritodi squadra.La condizione più importante per affrontare questo “secondotempo” del rugby è l’attitudine mentale, perché è con unadisposizione mentale adeguata che si raggiungerà il successo.

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Tale successo non è necessariamente misurato in termini dirisultato, ma piuttosto nel piacere che suscita il fatto digiocarlo, dando tutto per la squadra e rispettando i compagni,gli avversari e l’arbitro. Il “secondo tempo” è la “battaglia delrugby” e ha senso che si conduca solo se coloro che viprendono parte sono persone educate secondo i principi e letradizioni di questo gioco.

Il “terzo tempo” è - secondo Crabos - il più importante esignificativo di tutti. è il tempo del re-incontro con il rivale econ l’arbitro dopo la “battaglia delrugby”. Il “terzo tempo” è il tempo delringraziamento reciproco per essersiaiutati a godere del gioco, il tempodel riconoscimento degli erroricommessi e il momento per limareeventuali asprezze; il tempo dei festeggiamenti, delle bevute,dei canti. Durante il “terzo tempo” conosciamo la persona cheracchiude in se' il giocatore col quale abbiamo appenaterminato di competere duramente.Così si forgiano legami di amicizia che durano per sempre. Nonpartecipare al terzo tempo significa non aver capito il gioco enon poter godere pienamente della meravigliosa avventura delrugby.

Durante il primo e il secondo tempo ci si prepara adessere “giocatori di rugby”. Nel terzo tempo si completa laformazione per diventare veri “uomini di rugby”.

(dal sito della Fundación Rugby Sin Fronteras)

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In occasione della Coppa delmondo di rugby del 2015 ilProgramma alimentare mondiale(WFP) e il World Rugby hannounito le forze per sensibilizzare eraccogliere fondi contro la fameattraverso la campagna Tackle

Hunger (placca la fame).

Il rugby integrato - o inclusivo -favorisce l’inclusione socialeattraverso la compresenza el’interazione di giocatori condifferenti abilità, volontari,allenatori, facilitatori. Lanazionale italiana si è classficataal terzo posto ai mondiali Mixed

ability rugby 2015.

Il minirugby è il rugby declinatoper i bambini e serve adintrodurre loro la disciplina ed ivalori di questo sport. è rivolto aibambini e alle bambine dai 5 ai12 anni. Non sono richieste dotifisiche particolari, perché nelgioco i diversi ruoli valorizzanotutte le caratteristiche fisiche.

Il rugby femminile è spessooggetto di pregiudizio. Tuttavia il movimento italiano èin crescita (più di 2000 giocatriciregistrate nel 2014, il 44% in piùrispetto al 2013) e la nazionale haguadagnato un fantastico terzoposto al Sei Nazioni 2015.

RUGBY E SOCIETÀ CIVILE

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RASSEGNA STAMPA

Data: 04-09-2007Pagine: 1; 37

Il rugby, l' anti-calcio chesalverebbe l' Italia

GIUSEPPE D' AVANZO

Noi appassionati del rugby -diversi e un po' sfigati comepuò esserlo in Italia chi nonama il calcio - abbiamo unsogno: vedere l' 8 settembre aMarsiglia, quando l'Italia gio-cherà con gli All Blacks lapartita di esordio deiMondiali, il premier, il leaderdell' opposizione. Perché no?,il Capo dello Stato. In buonasostanza, chi ha sulle spalle laresponsabilità di guidare ilPaese. Per un motivoelementare: abbiamo laconvinzione che l' Italia abbiabisogno del rugby; che iprincìpi del rugby consentanodi guardare meglio lo «statopresente del costume degliitaliani». Siamo persuasi che

questo gioco possa migliorarel'Italia. è un mistero inglo-rioso, per gli italiani, il rugby.Pochi sanno esattamente diche cosa si tratta. è unpeccato perché il rugby ha lestesse capacità mitopoietichedel calcio e, come il calcio,permette di interpretare ilmondo. Dalla sua, il footballpuò vantare moltissimi scrit-tori che si sono misurati conquest' impresa. Qui da noi conil rugby si è misurato soltanto,che io sappia, AlessandroBaricco con tre cronache (duesu questo giornale) che, pernoi del rugby, sono ancoraoggi una medaglia damostrare in giro. Di quellecronache, negli spogliatoi esugli spalti semideserti, se neconoscono le frasi a memoria.Un paio in particolare:«Rugby, gioco da psichecubista»; «Qualsiasi partita di

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rugby è una partita di calcioche va fuori di testa». Non sidiscute la scintillante eleganzadella scrittura. Mi sembra,però, che la prova di Bariccoconfonda quel poco che nelrugby è chiaro. «Psichecubista». A naso, credo che sipossa contestare l'accosta-mento tra i volumi, i vuoti delcubismo e il rugby. Il rugby èfatto di traiettorie e di pieni,quando è ben organizzato egiocato. Se si apre un vuoto èper sfinitezza o errore tattico.L'omogeneità dello spazio noninterrotto, impenetrabile allecose, di Braque mi apparel'immagine rovesciata delrugby dove i giocatori devonoirrompere continuamentenello spazio altrui. Il fatto èche faccio molta fatica avedere nella leggiadria nuda emolle de Les demoiselles

d'Avignon di Picasso l'esplo-sività di una “linea trequarti",nella certezza che non si possatrattare di un “pacchetto dimischia" (gli “avanti" hannotroppo da fare là sotto per

essere leggiadri). Soprattutto itempi non tornano. Quando ilcubismo nacque tra il 1907 eil 1908 al Salon d'Automne, ilrugby era già più chemaggiorenne con i suoiottantaquattro anni, se è veroche uno spiritello anarchicoconsigliò a quel mattocchiod'irlandese di William WebbEllis - nel Bigside della public

school di Rugby - di afferrarela palla con le mani e di nongiocarla con i piedi, il 1°novembre del 1823. Qualcosasulla natura del gioco vorrà,dovrà pure svelarsi se è natonel terzo decennio dell'Otto-cento e non nel primo delNovecento. La differenza - mipare - è addirittura decisivaper comprendere quale cul-tura, nella sua fase originaria,sia custodita dal carattere delgioco. A cavallo di quel 1823in Inghilterra è in corso unarivoluzione. Il Paese - il primoPaese urbanizzato e moder-nizzato della storia - è“l'officina del mondo", unvortice impetuoso di scienza,

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tecnologia, industria, istru-zione, cultura, riformismopolitico che cancella leantiche demarcazioni socialitra signori e contadini, fraagricoltori nelle campagne eartigiani nelle città. La forzadi quel processo dimodernizzazione in movi-mento in quegli anni dividepiù che unire. Nella grandeIsola, scrive BenjaminDisraeli, ci sono “dueNazioni": «Non vi è comunitàin Inghilterra. Crediamo diessere una Nazione e siamodue Nazioni sullo stessoterritorio, due Nazioni ostilinei ricordi, inconciliabili neiprogetti». Nella palude di unanazione divisa affiora lanecessità di trovare ragionicomuni, l'urgenza di creare unsistema educativo capace diformare giuristi, medici,funzionari dello Stato,scienziati che sappiano - sì -lavorare con efficienza, masiano anche consapevoli dell'interesse pubblico e dotati di“buone maniere". In questo

bisogno prende forma l' ideadi Thomas Arnold, presidedella Rugby School,l'autentico padre del gioco, aldi là del mito fondativo che fadi William Webb Ellis l' eroe.Egli immagina un nuovomodello educativo fondato suuna “cristianità energica", sulservizio alla collettività, sulladisciplina abbinata al senso diresponsabilità; una for-mazione innervata da valoriche, senza rallentare “l'of-ficina del mondo", cancelli lafrattura che si è creata tra le“due Nazioni" con il rispetto ela reciproca comprensione,una memoria comune, unprogetto non più “incon-ciliabile", ma condiviso.(Quanto questo sia necessario- oggi - all' Italia è inutiledire). Thomas Arnold èconvinto che lo sport possaavere un ruolo essenziale inquesta missione. Il corpo lo sipuò dire veramente “formato",conclude, soltanto quandocon tutte le sue risorse è alservizio di un ideale morale.

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Lo sport non è più svago,allora. Diventa un cardinedella “formazione morale". Seogni ragazzo conosce lavittoria e la sconfitta, sirafforza la sua stabilitàemotiva. Lo si prepara alservizio sociale perché siconfronta con grandeimpegno in un quadro diregole reciprocamente accet-tate. Gli si insegna a rispettarel'avversario pur volendolosconfiggere. Lo si educa adaccettare serenamente e senzaalibi l'esito della compe-tizione. Una partita -soprattutto la brutalefranchezza di una partita dirugby - apre il solco entro cuisi definisce un ethos, un' ideadi gentleman, un modo distare al mondo e con gli altri.Offre la possibilità didimostrare forza d' animo,coraggio, capacità di sop-portazione, tempra morale, lamateria grezza di quella eticadel fair play, che trova il suoslogan nell'esortazione vitto-riana Play up and play the

man! Gioca e sii uomo.Perdonatemi la tirata. Vogliodire che il rugby è spessoraccontato con una retoricache lo rende irriconoscibile. Aimolti che non ne conosconole regole appare la sfrenatezzadi un regime psichicoprimitivo segnata dai gesti diragazzotti saturi di irrequietotestosterone. In questa luce,non se ne intravedono lemetamorfosi di compor-tamento che si consumano nelgioco né quanto quellemetamorfosi siano indotte dauna pratica auto-repressiva,governata dal Super-Io. Credoche non sia coerente alloraparlare di “follia", di “caos", di«una partita di calcio che vafuori di testa». Il rugby è unafaccenda per niente caotica ofolle. Quindici uomini (odonne) contro quindici,separati con nettezza dallalinea immaginaria creata dallapalla, in gara per conquistarel'area di meta e schiacciarvil'ovale. Si conquista insieme ilterreno, spanna dopo spanna.

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Lo si difende insieme. Nonesiste Io, se non vuoi andareincontro a guai seri per te e latua squadra. Esiste soltantoNoi. Il rugby è lineare,addirittura spudorato nellasua essenzialità. è coltoperché, nonostante l'appa-renza, è l'esatto contrario ditutto ciò che è naturale. Nellesue mani-festazionimigliori, maiscava nellacloaca degliistinti o nelgorgo emo-tivo. Alcontrario,impone controllo. Dicono cheeduchi, ma istruisce. Diconoche dia carattere, inveceaccultura. Postula unaplacenta comunitaria; unpensiero ordinato; paradigmicondivisi senza gesuitismi oimposture. Nessun odio e, perriflesso, nessuna paura (l'odioè paura cristallizzata, odiamociò che temiamo). Sottendeuna forza spirituale prima che

fisica. Esclude la mossafurbesca, la sottomissionegregaria, l'arroganza delprepotente. Aborre ognicinismo immoralistico perchéè capace di essere schietto eleale nonostante la violenza oforse proprio grazie a quella.Dite, si può immaginarequalcosa di meno italiano?

Ogni pas-so nelrugby(valori,pratiche,compor-tamenti,riti) è inscanda-

losa contraddizione conquella specificità italiana cheglorifica l'ingegno talentuosoe non il metodo. La furbizia enon la lealtà. L'inventiva emai la preparazione. Il“miracolo" e mai l'organiz-zazione. L'individualità e maiil collettivo. Il caldo piacereautoreferenziale del “gruppochiuso" e mai il desiderio difarsi stimare da chi al

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“gruppo" (ceto, famiglia,corporazione) non appartiene:la più grande soddisfazione diun giocatore di rugby, anchese sconfitto, è l'ammirazioneche suscita nell' avversario. Ilrugby - la comprensione delgioco, della sua nervatura, delsuo spirito e consuetudine -spiegano, come meglio non sipotrebbe, il deficit delcarattere italiano e le

debolezze del nostro stareinsieme. Ecco perché a noi delrugby piace pensare chequesto gioco così estraneo all'identità nazionale possaoffrire, felicemente, unesempio per riformarla.L'appuntamento è al Velo-

drome di Marsiglia, l'8settembre. Le prenderemo, manon importa. Play up and play

the man!

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Rugby, inno alla lealtà

VITTORIO E. PARSI

Chi domenica ha avuto ilprivilegio di essere allo stadioOlimpico di Roma sa bene diessere stato partecipe di unevento il cui significato vaoltre il pure importanteambito sportivo (con la storicavittoria italiana). Sessantamilapersone, assiepate spalla aspalla, senza alcuna distin-zione tra francesi e italiani,convenute sulle rive delTevere per sostenere i propricolori: tutti insieme, senzareti, gabbie e schieramenti dipolizia a separarli, perchéaccomunati innanzitutto dal-l’amore per uno sport senzatempo, che neppure la tv e ilprofessionismo hanno saputorovinare. E in campo 30uomini che si sono battutiletteralmente fino all’ultimosecondo per sopraffarsi avicenda, dandosele di santa

ragione, eppure pronti ariconoscersi fratelli, gli uni pergli altri. Bisogna forse averlogiocato, il rugby, per capirefino in fondo come la lotta eil rispetto formino le due facceinscindibili di un’unica meda-glia. Perché è dall’asprezzadella lotta, dal sudore e daldolore per i colpi subiti, per lavera fatica che si fa aconquistare e a difendere ognisingolo metro del campo digioco che scaturisce il rispettoper l’avversario il quale, comete, sta dando il massimo (eanche di più) per avanzare. Sicorre, si placca e ci si affrontaper portare la palla avanti diqualche metro, e per pro-teggerla: tutti insieme, perchéquesto è il rugby, uno sport incui nessuno è così “feno-meno" da poter vincere dasolo e dove il contributo diognuno è decisivo per portarela palla oltre la linea di meta.è uno sport serio, in cui siparla poco, e in cui le “moine"

Data: 05-02-2013Pagine: 27

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e le “simulazioni" non trova-no spazio. Duro come la vita,bello come la vita e leale comela vita dovrebbe sempre es-sere, anche se a volte non loè. Il rugby è pura educazionesentimentale, perché costringea fare del coraggio, delsacrificio, della lealtà,dell’umiltà e dell’altruismouna pratica quotidiana: senzatante parole, senza troppidiscorsi, ma semplicementecorrendo, spingendo e plac-cando perché, come amanoricordare i rugbisti, «noimettiamo la faccia in postidove molti altri non met-terebbero neppure un piede».Eppure, non c’è nessunaspocchia in queste frasi, masemplicemente il monito ri-volto innanzitutto a noi stessiche tutto questo è possibilesolo perché hai la certezza dipoter contare sul sostegno diun compagno - sempre -disposto a sacrificarsi per tecome tu faresti per lui. Credosia proprio questo tipo dimessaggio che sta avvi-

cinando al rugby tanti neofitie lo sta trasformando in unodegli sport più seguiti e amati,ampliandone il numero deipraticanti. Al di là di ogniretorica, basta fare un giro peri campi in cui tanti gio-vanissimi giocano ogniweek-end, vedere che cosasono le rugby moms, percapire di che cosa stiamoparlando. Il rispetto cheimpari sul campo, con l’ovalestretto al petto, non tiabbandonerà mai anche fuoridal rettangolo di gioco, esaprai praticarlo anche neiconfronti di chi nella vita hacommesso errori magari gravi.Perché se è vero che il rispettote lo devi conquistare con ilcoraggio, è altrettanto veroche a chi mostra coraggio ilrispetto è dovuto. E cosa c’è dipiù coraggioso che provare acambiare una vita sbagliata?è proprio questo spirito chelega la partita di domenica aun’altra storia di rugby, cheavrà luogo domani, quando, il“Grande Brianza Rugby" e il

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“Rugby Monza" terranno abattesimo la squadra deidetenuti del carcere di Monza,che da settembre hannocontribuito a far nascere edallenare. Una storia di rugby,come tante altre, nata dallacircostanza che il campo diallenamento brianzolo confi-na con la casa circondariale:un luogo di dolore e uno digioia, due mondi diversi,

incapaci di ignorarsi, uniti daivalori che la palla ovaleincarna e rappresenta, perchéil rugby non è solo il nostrosport, ma è anche uno stile divita e dare sostegno a chi habisogno di aiuto non è solo unaspetto del nostro gioco, ma èun modo di essere.

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Data: 22-11-2013Pagine: (versione online)

Papa Francesco: «Bello ilrugby: duro ma leale. Andatesempre in meta»

PAOLO RICCI BITTI

Non ha vacillato, PapaFrancesco, quando il piloneazzurro Matias Aguero l'haimprovvisamente stretto inuna morsa con entrambe lebraccia come solo un omonebarbuto di 105 kg può fare.Non si è irrigidito, PapaFrancesco, quando MauroBergamasco l'ha baciato sullaguancia destra, come solo unfratello può fare. Non si èsorpreso, Papa Francesco,quando un altro omoneancora più irsuto del primo,Martin Castrogiovanni, dopoaver eccezionalmente fattopace con il pettine e dopo unincerto inchino (non si sa maicome comportarsi, in questicasi), ha tirato fuori dalletasche un sacchetto pieno dirosari da far benedire. Non si

è tirato indietro, PapaFrancesco, quando iltallonatore Davide Giazzon gliha parlato a lungo, molto alungo, viso a viso, come soloun amico può fare. E hasorriso felice come un bimbo,Papa Francesco, quando ilcapitano Sergio Parisse gli haregalato, con grande orgoglioe la faccia della persona piùallegra del mondo, la pallaovale uguale a quella con cuioggi alle 15 l'Italia sfideràl'Argentina all'Olimpico.Questa volta il terzo tempo èarrivato prima della partita. Ea casa del Papa argentino. Trai marmi e gli affreschi dellasala Clementina, che toglie ilfiato solo ad affacciarsi, ilPontefice ha ricevuto gliazzurri e i Pumas. Tuttiinsieme, in nome del rugby edella solidarietà. Era accadutoin agosto con i calciatori dellestesse nazioni, ma l'effetto,con quelle masse inmovimento sia pure in

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eleganti completi scuri sempresul punto di sparare i bottoni,è risultato amplificato. PapaFrancesco si dev'esseredavvero sentito a suo agio: glipiace il calcio, non ha maigiocato a rugby (ieri lacircostanza è stata chiaritadefinitivamente) ma neconosce e ama l'essenza eanche qualche giocatore,come il pilone argentinoMarcos Ayerzache è stato suochierichetto aBuenos Aires. Chebello rivedersi do-po tanti anni. Perl'Italia giocano poi Parisse,nato in Argentina da genitoriitaliani, e gli oriundi GonzaloCanale, Luciano Orquera,Alberto Di Bernardo,Castrogiovanni e lo stessopilone Aguero: “Ero cosìemozionato che non horesistito e così, d'istinto, l'hoabbracciato”. [...] Peccatoveniale, questa etichettaandata in frantumi, eassoluzione immediata. I

piloni del rugby, del resto, inVaticano fanno sempre uncerto effetto: nel 2001, allavigilia di una visita analoga,il ct dell'Irlanda erapreoccupato: “Speriamo chePeter (Clohessy, dettosobriamente “la clava”) nonchieda a Papa Giovanni PaoloII di confessarsi: sennòresteremo due giorni inVaticano”. No, fra Italia

Argentina nes-suno ha chiestodispense specialial Papa, che èapparso incu-riosito anche dalle

maglie riceveute in dono esoprattutto dal cap (ilcappellino azzurro con fioccodorato) che rappresenta lapresenza in nazionale e chegli è stato consegnato dalpresidente della FIR, AlfredoGavazzi, anche lui parecchioemozionato. “Ha un carismafortissimo, immediatamenteavvertibile – aggiungePierluigi Bernabò, respon-sabile dei grandi eventi della

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federazione – ad ogni modoadesso che ha il cap lopossiamo considerare ilnumero uno fra i nostriconvocati”. “Ha parlato dellasolidarietà e del gioco disquadra che c'è nel rugby -racconta Parisse – e che deveessere anche nella Chiesa.Essere stati invitati da luirappresenta un onore che miporterò dentro tutta vita. Ci hachiesto di pregare per luiperché si riesca a lavorarecome una squadra inVaticano”. [...]IL DISCORSO DEL PAPA:“Cari amici, vedo con piacereche tra Italia e Argentina cisono diversi incontri sportivi!Questo è buon segno, segnoanche di una grandetradizione che continua traqueste due Nazioni. Viringrazio di essere venuti asalutarmi, con l’aiuto delSignor Ambasciatore, e anchedell’iniziativa caritativa cheavete preso. Il rugby è unosport molto simpatico, e vidico perché lo vedo così:

perché è uno sport duro, c’èmolto scontro fisico, ma nonc’è violenza, c’è grande lealtà,grande rispetto. Giocare arugby è faticoso, non è unapasseggiata! E questo pensoche sia utile anche a temprareil carattere, la forza divolontà. Un altro aspetto cherisalta è l’equilibrio tra ilgruppo e l’individuo. Ci sonole famose “mischie”, che avolte fanno impressione! Ledue squadre si affrontano, duegruppi compatti, che spingonoinsieme uno contro l’altro e sibilanciano. E poi ci sono leazioni individuali, le corseagili verso la “meta”. Ecco, nelrugby si corre verso la “meta”!Questa parola così bella, cosìimportante, ci fa pensare allavita, perché tutta la nostravita tende a una meta; equesta ricerca è faticosa,richiede lotta, impegno, mal’importante è non correre dasoli! Per arrivare bisognacorrere insieme, e la pallaviene passata di mano inmano, e si avanza insieme,

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finché si arriva alla meta. Eallora si festeggia! Forsequesta mia interpretazionenon è molto tecnica, ma è ilmodo in cui un vescovo vedeil rugby! E come vescovo viauguro di mettere in pratica

tutto questo anche fuori dalcampo, nella vostra vita. Maanche voi pregate per me,perché anch’io, con i mieicollaboratori, facciamo unabuona squadra! Grazie, e chedomani sia una bella partita!"

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Quella partita di rugby cheriunificò il Paese...

FRANCO BERLINGHIERI

Non si può dimenticare tuttoquello che successe quelpomeriggio del 24 giugno1995 allo Stadio Ellis Park diJohannesburg in Sudafrica,dove si giocava la finale deimondiali di rugby tra ipadroni di casa e i mitici All

Blacks. Non si può dimen-ticare la sorpresa e l’emozioneche prese i 45 milioni ditelespettatori sudafricani col-legati in diretta televisiva e ilmiliardo sparso per il mondo,nel sentire che nello stadio sicantava “Shosholoza”: unacanzone di strada dei neri chefino a qualche mese primaodiavano il rugby perché inregime di segregazione era ilgioco dei bianchi e sopratuttodegli odiati afrikaner. Poi, ilboato improvviso e infernaledi quel Boeing 747 della

South African Airways,ovviamente senza passeggeri,che virò dritto sul campo digioco e a circa settanta metrisopra la copertura dello stadioscaricò tutti i suoi decibelfacendo tremare gli spalti. Inun secondo, gli spettatoripassarono da uno stato dipanico a uno di esaltazione,scorgendo sotto la fusoliera, lascritta “Good Luck Bokke”:buona fortuna Springboks inlingua afrikaans. Era unincitamento ai padroni di casache stavano per giocarsi iltitolo iridato contro i favoritineozelandesi. Soprattutto nonsi può dimenticare l’ingressoin campo, cinque minutiprima dell’inizio del match, diNelson Mandela, da un annoPresidente del Sudafrica. Uningresso a effetto perchéindossava il berretto e lamaglia degli Springboks con ilnumero sei del capitanoFrancois Pienaar. Fu unmomento magico nella storia

Data: 06-12-2013Pagine: (versione online)

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della nuova “Rainbow Nation"con un Presidente nero cheindossava i simboli più amatidai bianchi e che avanzavacon lo sguardo fiero econciliante e i pugni chiusi aincitare la sua nazionale,mentre dagli spalti glispettatori, bianchi e afrikaner

compresi, scandivano semprepiù forte il suo nome“Nel-son– Nel-son”. Come d’incanto, i27 anni di prigionia diMandela, duri, tremendi elunghissimi, quel pomeriggiodel 24 giugno 1995 alloStadio Ellis Park diJohannesburg parvero brillarepiù dei colori dell’iride dellacompetizione mondiale. Incre-dibile. I bianchi con il loroapplauso volevano rendereomaggio a quell’uomo chestava dimostrando, anche conquel gesto, che si potevaperdonare. La vittoria per 15 a12 contro gli All Blacks resequella giornata indimenti-cabile per i sudafricani. Oltreal riscontro sportivo, emerseuna grande intuizione politica

di Nelson Mandela: l’impor-tanza che il rugby e icampionati del mondopotevano avere per riap-pacificare un Paese devastatodall’apartheid e sull’orlo dellaguerra civile dopo il suoinsediamento alla guida dellanazione. La minoranza biancatemeva la vendetta e avevapaura di perdere tutto. I rischiche il Paese esplodesse eranoenormi e per questo Mandelacercò di convincere il suopopolo che tutti avrebberotrovato posto nella nuovanazione, senza spirito ven-dicativo. Così, opporsi ai tantiche volevano cancellare lastoria degli Springboks e anzidare grande risalto almondiale di rugby che sigiocava in casa, fu un gestolungimirante per l’interessedella nuova nazione. Così“Madiba", com’era chiamato ilnuovo Presidente dal popolonero, riuscì a conquistare lafiducia di molti bianchi e inquell’indimenticabile pome-riggio del 24 giugno 1995 allo

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Stadio Ellis Park diJohannesburg, indossandol’emblema di quelli che pertanti anni erano stati i suoicarcerieri, dimostrò che percostruire un nuovo futuroinsieme e in pace bisognavaabbandonare ogni pregiu-dizio. Per questo strinse tuttoun popolo attorno allanazionale di rugby che pertanti decenni era stata odiatadai neri al punto che, durantei test match, tifavano per lanazionale avversaria. Eraun’impresa complicata perchéi ripetuti tentativi, condottinel decennio precedente, diimpedire ai sudafricani digiocare tranquillamente i lorotest match all’estero, accen-devano ancora gli animi deineri. Così era stato nel tour

degli Springboks in NuovaZelanda del 1981, dove unaeroplano leggero sganciòdella farina sul campo diAuckland, durante l’ultimapartita in programma. Maquel giorno della finale aJohannesburg, tutto il popolosudafricano si trovò unito: pervincere o per perdere ilmondiale. Era questo ilmessaggio che Mandelavoleva mandare alla suagente. Uniti per vincere laWorld Cup. Ancora insieme ilgiorno dopo per portare ilPaese sulla via della pace edello sviluppo. E’ lungo quelfaticoso percorso della nuova“Rainbow Nation" che“Madiba”, come si dice nelmondo del rugby, “ha passatoper l’ultima volta l’ovale”.

Nelson Mandela premia il capitano dellasquadra di rugby sudafricana, FrançoisPienaar.

La maglia di Pienaar, conservata presso laFondazione "Il Museo del Rugby, Fango eSudore" (donata dal dott. Orazio Arancio).

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Data: 21-02-2014Pagine: 44

L’ultima meta oltre le sbarre:con il rugby si «esce» dalcarcere

DANIELE CASTELLANI PERELLI

«E questo cos’è? Un uovocolorato?». Non per tutti idetenuti è stato facile, il primoapproccio con la palla darugby. Eppure a molti, nelcarcere di Torino, è stataproprio lei a dare unasperanza. Nell’ex Le Vallette,alcuni uomini di buonavolontà hanno infatti messoin piedi una squadra di rugby,composta solo da carcerati.L’hanno iscritta al campio-nato, la serie C piemontese, ehanno dato vita a un’avven-tura, ora raccontata da undocumentario, Liberi a meta(‘)

- con un gioco di parole trameta e metà - in onda domanisera su RaiTre alle 23.20 eprodotto da Daniele DiGennaro della Minimun FaxMedia, società dell’omonima

casa editrice. Tutto nasce daun’idea di un ex nazionale dirugby, Walter Rista, cuneesedi 70 anni. Qualche anno fa sitrovava a Comodoro Riva-davia, in Argentina, quandovide passare un camion didetenuti tristi in mezzo allaPatagonia. «Si arriva a un’etàin cui si sente il dovere e ilpiacere di fare qualcosa per glialtri», ci racconta. «Ho pen-sato: che cosa faceva starebene me, quando ero giova-ne? Il rugby! Ho conosciutoPietro Buffa, allora direttoredel carcere di Torino. Nel 2010ho fondato la Onlus Ovale

oltre le sbarre, e siamo partiticol progetto». Walter ha ilcompito di reclutare idetenuti-giocatori nelle cin-que carceri piemontesi chehanno siglato un’intesa con laRegione. Sono ormai unatrentina: un terzo di est-europei, uno di maghrebini euno di italiani, tutticondannati per reati non

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contro la persona. La squadrasì chiama Drola («strano» inpiemontese), e l’anno scorsoin campionato è arrivataquarta su dodici. Il rugby.Perché riteneva che avrebbefunzionato? «Fa canalizzarel’aggressività in regole bencodificate e fa scioglierel’individualismo dei detenutinel gioco di squadra. Nelrugby se sei un individualistanon vai da nessuna parte. Illeader è il pallone, non ilMaradona di turno». «Laprigione è un amplificatoreemotivo pazzesco», osservaGughi Fassino, 40 anni,fotogiornalista torinese che,alla sua opera prima da

regista, si è cimentato con unbinomio, carcere-cinema,sempre più di successo, comeha confermato l’Orso d’oro aCesare deve morire deiTaviani. In realtà il padiglioneE, gestito dalla ComunitàArcobaleno, è un’eccezionenel panorama italiano. «Larealtà è un’altra, ovvero leprigioni in cui non si riesconoa gestire le epidemie sanitarie»dice Gughi Fassino: «ancheaiutare i detenuti a giocare arugby significa trattarli conrispetto, aumentando lepossibilità che un giornosapranno reinserirsi nellasocietà».

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Data: 04-01-2015Pagine: 57

Rugby, Robertino e quel tirodella felicità

MASSIMO CALANDRI

Un rugbista lo vedi dalcoraggio, dall'altruismo edalla fantasia. Robertino nonha avuto paura, no: alloscadere ha sistemato concalma la palla ovale - losguardo alla porta, un respiroprofondo, tre passi di rincorsa- poi da quasi trenta metri l'hacalciata proprio in mezzo aipali. Tiro perfetto. L'UnionViterbo si è comunque arresaal Livorno (17-26), leader delcampionato di serie B. Peròmai vista tanta felicità incampo, altro che Sei Nazioni.Perché Robertino Ricci, 27anni e un grave ritardomentale (soffre della sindromedell’X fragile) è un rugbistaper davvero, sono quasivent'anni che gioca con lasquadra laziale. Con quelcalcio – i primi due punti a

referto in una partita ufficiale– ha scritto una paginaimportante nella storia dellosport. Del rugby. Che non èuna disciplina come le altre,altrimenti non regalerebbevicende come questa. “Me loricordo bambino. Prese ilpallone e scappò negli spo-gliatoi, non voleva più uscire.I genitori erano spaventati. “Cipensiamo noi", li abbiamorassicurati. E qualche mesedopo ha cominciato a pas-sarlo, il pallone. A interagirecol gruppo, a fare squadra.Come gli altri". Antonio Luisi,vicepresidente FIR, è stato ilsuo primo allenatore. Rober-tino in mischia c'era finitograzie all'insegnante disostegno, ex rugbista. “Hafatto tutte le categorie gio-vanili, senza sconti", spiegaMarco Lanzi, ds dell'UnionViterbo. “Naturalmente siamosempre stati attenti alla suaincolumità: non è un pilone,meglio all’ala, dove i contatti

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fisici sono più controllati.Entra quando mancano unpaio di minuti al termine, dàtutto e gli avversari lorispettano per ciò che è: unavversario con cui condi-videre il piacere del gioco". Davent'anni è sempre il primoall'allenamento, l'ultimo adandarsene. “è molto più diuna mascotte: un esempio pertutti. La squadra partecipa adun torneo di livello, la B nonè roba da ridere: il posto inrosa Robertino se lo merita insettimana, se non s’impegnaabbastanza sta fuori". Robeovali. Come in un'altra societàromana, la Primavera Rugby,coinvolta da tre anni in unprogetto che settimanalmentevede in campo 25 ragazziautistici, un team compostoda educatori riconosciuti dallaFIR, una psicologa e i tecnici

della onlus L’Emozione dellaVoce. Simonetta, sorella diRobertino, racconta che queiplaccaggi, e le corse dietro irimbalzi sghembi della palla“lo hanno sbloccato findall’inizio: ha imparato adintegrarsi nel gruppo, a farsiapprezzare per l’impegno. èdiventato un uomo". Quandoha cominciato, anche l’Ital-rugby muoveva i primi passi.“Robertino stravede per capi-tan Parisse. Gli piaceCastrogiovanni. Ma soprat-tutto, il suo sogno è la maglian. 10". Infatti si esercita sem-pre a calciare l’ovale. “èbravo. Per questo gli abbiamodato fiducia, l’altra dome-nica", taglia corto MarcoLanzi, burbero. “Robertino ècoraggioso, altruista, ha fan-tasia. è un rugbista, che c’è distrano?".

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Data: 17-09-2015Pagine: 27

Bergamasco, l`icona azzurradel rugby vintage

PAOLO BUGATTO

è un testimone del rugbyvintage e allo stesso tempoun`icona del rugby moderno.Sono passati quasi 17 anni daquel 18 novembre 1998: duemete nel debutto azzurrocontro l`Olanda nelle qua-lificazioni mondiali. E` alla suaquinta coppa del mondo (al viadomani con Inghilterra-Figi,sabato tocca all`Italia), come luisolo l`ala samoana Brian Lima.Il ct azzurro Jacques Brunel loha chiamato perché nella“rumenta" della mischia riescea tirar fuori palloni chevalgono tanto oro quantopesano. Mauro non si sentearrivato, e tantomeno siaccontenta: «Speriamo digiocarli questi mondiali. Dicein attesa della formazione anti-Francia - Per ora non c`ènessun bilancio da fare. Intanto

sono qui con il gruppo grazieal lavoro che abbiamo fatto.Ora il secondo obiettivo èquello di giocare». Per iBergamasco il rugby èquestione di famiglia. 205 lepresenze azzurre tra Mauro,Mirco e il papà Arturo. In casala lavatrice ha lavoratoparecchio con la mamma cheha condiviso sin dall`inizio lapassione ovale di marito e figli:«E` stata una comprensionetotale. Nei momenti belli e inquelli più tristi li ho sempresentiti affianco - riconosceMauro - A partire da miofratello. Mi dispiace non averloqui in Inghilterra. Dal 2002 ciavevo fatto l`abitudine avederlo almeno nel gruppo dei30. Ma mi ha sostenutomoltissimo anche in questarincorsa verso il quintomondiale e se potrò giocarequesto risultato sarà dedicatoanche a lui». Petrarca, Trevisofino all`esperienza nel cam-pionato francese e il ritorno in

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Italia prima con gli Aironi, poicon le Zebre. I capitoli della suabiografia snocciolano la suamaturazione come uomo ecome giocatore. Mauro è unragazzo senza fronzoli. Unagrande forza morale che sulcampo viene alimentata da unastraordinaria motivazione. Lameta contro il Galles e l`altrosigillo nella storica primavittoria italiana sull`erba diMurrayfield nell`anno di grazia2007 sono i flash indelebilidella sua carriera in azzurro mal`esperienza con lo StadeFrançais gli è servita permettere a fuoco il suo identikitdi giocatore. «E` stata un`esperienza unica sul pianoformativo. - riconosce - Mi hapermesso di giocare ad altissimilivelli in un contesto in cuianche il fattore umano avevaun peso non indifferente». Epoi i maestri: «All`inizio il mioriferimento era l`inglese NeilBack, poi mio padre che è statosempre un elemento diconfronto. Ci sono stati diversimodelli... puoi metterci anche

Jonny Wilkinson o BrianO`Driscoll». Ma anche Mauro asuo modo ha tracciato unarotta. Come quando JohnKirwan decise di buttarlo fuoridalla mischia, nel ruolo dimediano. Lui non si èscomposto, ha giocato ma poiha cercato di capire le ragionidi una scelta fuoridall`ordinario. E` fatto così ilBergamasco e così è rimastoanche ora mentre aspetta lachiamata per il quinto debuttomondiale contro la Francia.«L`abbiamo vista. - dice -Hanno avuto un rodaggio disostanza con due vittorie su trecon Inghilterra e Scozia. E nonè roba da poco. La conosciamoe penso che dovremmo metterequalcosa in più a Twickenhamper portare a casa questomatch. Sono indecifrabili. Sesono in forma sono capaci ditutto, se sono in crisi sonopericolosi alla stessa manieraperché tendono a reinventare illoro rugby. Di una cosa sonosicuro: non sarà per nientefacile».

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Data: 17-09-2015Pagine: 27

L’ingegnere va a meta

GIULIANO TRAINI

Dovrà guardare il Mondiale dirugby in tv e vedere allon-tanare il record di presenze inNazionale. Marco Bortolamiha 112 cap, uno in meno diSergio Parisse che lo hasorpassato scippandogli anchela fascia di capitano. Ma luiresta leader azzurro anchefuori dal campo. Accettal’esclusione dalla Nazionaleevitando di unirsi alle critichedei detrattori del ct Brunel.«L’esclusione pesa perché èuna delusione sportiva, manon cancella tutto il resto -confida orgoglioso -. Oggi èpoco elegante criticare: sabatoc’è una partita moltoimportante e bisogna soste-nere la squadra. Sono statefatte delle scelte, chi le hafatte e chi scende in camposarà giudicato». Ma questaItalia dove può arrivare?

«Siamo in un gironecomplicato. Tutti parlano diun obiettivo, i quarti di finale,ma è difficile: abbiamo difronte Francia e Irlanda chepuntano al titolo, e se l’Italiadovesse raggiungere i quartisarebbe un exploit non dapoco. Però la Francia ha unpunto debole: è molto discon-tinua, così se riusciamo asorprenderla nel momento incui si disunisce potremo averepiù chance di quelle cheabbiamo sulla carta». Restanofavoriti gli All Blacks? «Tuttipronosticano i neozelandesi ei padroni di casa dell’Inghil-terra, mentre io vedo bene laFrancia: è una squadra cheviaggia sempre su equilibrimolto labili, ma quando riescea trovarli diventa quasiimbattibile. Però come fina-lista mi piacerebbe un’outsider

europea, Galles o Irlanda.Secondo me gli All Blacks

sono meno favoriti di quelloche si crede». Come mai,

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nonostante il Sei Nazioni e itanti soldi spesi, il rugbyitaliano non riesce adecollare? «Sono tanti soldirispetto a prima, ma ancorapochi rispetto a quelli dinazioni come l’Inghilterra, chehanno un budget doppiorispetto al nostro. Poi, in Italiabisognerebbe pensare a tuttoil movimento e non solo allaNazionale: dovremmo farcrescere la base, perché è da lìche si pescano i giocatori».Sono state create leAccademie: vuol dire che nonfunzionano? «Questi progettiproducono risultati a lungotermine. Dopo questoMondiale, quando la miagenerazione smetterà digiocare in Nazionale, vedremose ci saranno giocatoriall’altezza. Comunque ilnostro modello è più lentorispetto ad altre nazioni. InInghilterra, il campionato piùcompetitivo d’Europa, gioca-tori di 21-22 anni sono giàtitolari, mentre da noi aquell’età cercano ancora

spazio in Eccellenza. Suquesto tema è doverosoragionare». In Inghilterra leiha giocato ed è stato anchecapitano: ma come sirisolvono i problemi con lalingua? «è stato più unproblema di cultura. Rappor-tarsi con quella anglosassonenon è semplice. Però gliinglesi sono pronti adaccogliere chi può dare uncontributo, le persone dallequali possono impararequalcosa. è una culturaestremamente esigente dalpunto di vista individuale mache riconosce il merito, e nonimporta se sei italiano,indiano o cinese: è benvenutochi riesce a dare il propriocontributo per far crescere lasocietà». Quindi lo sport puòdavvero aiutare ad abbatterele barriere? «Credo proprio disì, innanzitutto per chi lopratica. Ci si trova a confrontocon altre culture e, se si haabbastanza sensibilità daentrarci davvero in contatto,diventa un straordinario

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momento di accrescimento.Noi latini, sanguigni, viviamomolto di sensazioni astratte,gli anglosassoni invece sonomolto concreti: il mix com-pleta una persona. Bisognacarpire, per colmare le proprielacune, e donare, quello chemanca agli altri. Lo sportamplifica tutte questeesperienze». Quindi il terzotempo non è solo retorica?«No, perché è vissutopienamente dai giocatori. èdall’esterno che viene des-critto con un po’ di retorica. Ilrugbista non è una personaparticolare, ha solo avuto lafortuna di praticare unadisciplina che mette al centrovalori come il rispetto deicompagni, dell’avversario edegli arbitri. Inevitabilmentecresce con quella mentalità,che si porta dietro per tutta lavita. Questo aspetto colpiscemolto chi il rugby non loconosce a fondo. è vero che losport aiuta a educare, e ilrugby soprattutto. Lo sport èil momento del confronto con

altre persone, quando ti mettialla prova: si può vincere mapiù spesso si perde. La verasconfitta, però, non è il nonvincere, ma il non riuscire adare il meglio di sé. Tutti imomenti di frustrazione cheho vissuto nella mia carrierasportiva non sono mai arrivatiper aver perso una partita, maperché non avevo dato tuttoquello che potevo dare, o nonero stato messo nella condi-zione di farlo. Un particolareche aiuta anche nell’edu-cazione dei figli: esigere èimportante, ma lo è altret-tanto dare fiducia, laconvinzione che possonofarcela. Aspetti che nella vitadi uno sportivo sono semprepresenti». Per l’educazione diun ragazzo c’è differenza frasport individuale e di squa-dra? «Nello sport individuale,se si lavora con la giustadisciplina, il risultato dipendesolo da se stessi. Mentre inuna squadra dipende anche dachi non rema nella stessadirezione. In questo caso il

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coefficiente di difficoltà èsuperiore, soprattutto per lacultura latina: per noi ilgruppo è un punto di forza,ma offre anche la possibilitàdi nascondersi dietro gli altriquando qualcosa non fun-ziona. Ecco perché i braviallenatori e i bravi capitanisono pochi. è difficile trovarepersone con la capacità ditrovare il giusto equilibrio, lagiusta alchimia fra tutte leindividualità che, volente onolente, sono lo specchiodella nostra società, inpositivo e in negativo». Parlacome un allenatore... «Per orapenso a terminare l’annata.Ma tutto quello che mi haspinto ad andare all’estero dagiocatore, per confrontarmi, èchiaro che vale anche in un

nuovo ruolo. Credo che lequalità individuali di unapersona, se messe nel giustocontesto riescano a fare ladifferenza: cercherò un am-biente che dia precise garanzieanche dal punto di vistaumano». All’estero, quindi?«Da giocatore il mio sogno eradi giocare nel campionatoinglese. Ora sarà il mio nuovoobiettivo». Prima, però, ce n’èun altro... «La laurea iningegneria. Devo affrontaregli ultimi esami a Parma. Nontanto per il pezzo di carta,quanto per completarmi, perla mia cultura. Poi, perché hoimparato a portare a termineciò in cui mi impegno. è unamia sfida, e le sfide dello sportsono importanti anche per ilmondo lavorativo».

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Data: 04-10-2015Pagine: 44

Il sogno di Giusy mascottedel rugby

PAOLO BARBUTO

Se oggi pomeriggio saretedavanti alla tv per guardare ilmondiale di rugby, fateattenzione all’ingresso incampo delle squadre. In mezzoai giganti dell’Italia edell’Irlanda che andranno asfidarsi sul campo, notereteuno scricciolo biondo con icapelli lunghi e le gambe chele tremano per l’emozione. èGiusy Ambrosio, 12 anni,mascotte ufficiale dellanazionale italiana, napoletanaverace, figlia del quartiereMercato, iscritta alla secondamedia alla Sogliano, PortaCapuana. Ieri Giusy è arrivataa Londra per vivere un sogno,quel sogno è iniziato esat-tamente un anno fa tra ibanchi della sua scuola. Leinon aveva mai visto una pallaovale ma quando in classe

sono arrivati quelli dellaPartenope e hanno spiegatoche ci si divertiva e s’imparavamolto, Giusy è tornata a casae ha convinto mamma For-tuna, casalinga, e papà Mario,operaio orgoglioso della suafamiglia: «Non m’importa se èuno sport da maschi, io vogliofarlo». Lei è brava a ottenereciò che vuole, unica figliafemmina tra il maggioreGiosuè che ha diciotto anni eil piccolo Gabriele che ne hasette, con il suo sorriso dolceraggiunge ogni obiettivo. Ascuola si è messa nelle mani diMaria Marciano, la prof diginnastica che coinvolge ipiccoli della prima media e liavvia verso il rugby. Sulcampo, all’Albricci, ha incon-trato Antonio Foglia chedovrebbe essere solo unallenatore ma per i ragazzi è dipiù: fratello, papà, amico,confidente, punto di riferi-mento. Anche lei come tantialtri ragazzini ha deciso, dopo

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un solo minuto, che quellosport non era un semplicesport ma una «disciplina» cheti fa divertire e ti insegna adaffrontare la vita e ad avererispetto per gli altri: proprioquel che si prefigge diinsegnare la Partenope ai ra-gazzini che si avvicinano alrugby. Il resto è storia dipassione e divertimento: su-bito dopo le lezioni allaSogliano, quattro passi a piedifino all’Albricci per gli allena-menti e, infine, per le partite.A questa età le squadre sonomiste e se provate a chiedereai suoi avversari maschi virisponderanno che i placcaggiin tuffo di Giusy fannodavvero male. Nel frattempoin Italia si cercava unamascotte che accompagnassela squadra in campo. Isopralluoghi nel Nordest riccodi passione per il rugby nonavevano portato nulla dibuono, così è stato organiz-zato un torneo a Roma contante squadre del Centro e delSud, compresa la Partenope,

senza far sapere ai ragazzi chesi cercava qualcuno daportare in Inghilterra per imondiali. Appena Giusy èscesa in campo, MircoBergamasco, selezionatoredella mascotte per la LandRover, non ha avuto dubbi:grinta, tecnica, nessuna paura,lei era la mascotte ideale. Cosìalla fine del torneo hannochiamato Giusy sul palco e lehanno detto a bruciapelo: «Seila mascotte della nazionale italiana ai mondiali. Volerai aLondra». La piccola s’è emo-zionata, poi s’è fatta forza eha gridato a squarciagola«Forza Italia». Perciò, se oggipomeriggio guardate la tv,fate attenzione a quello scric-ciolo che scende in campomano nella mano ai gigantidel rugby. Lei non lo sa, ma èun simbolo: lo sport non è so-lo divertimento, serve a tenerei giovani lontani dalla stradae dai pericoli, consente di cre-scere con ideali sani e,qualche volta, permette direalizzare i sogni.

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