RUDY CREMONINI La vita la vediamo a memoria

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testo: Luigi Meneghelli formato: cm 17 x 24 pagine: 32 edizione: GiaMaArt studio lingue: Italiano / Inglese data: Gennaio 2012

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Direttore Museo Ebraico:Franco Bonilauri

Curatore Museo Ebraico:Vincenza Maugeri

Ufficio stampa Museo Ebraico:Roberta Mosca

Coordinamento Biblioteca e Libreria:Caterina Quareni

Progetto:

Testo:Luigi Meneghelli

Presentazione:Paola Barbara Sega

Direzione:Gianfranco Matarazzo

Segreteria organizzativa:Valentina Cesari

Crediti Fotografici:Enrico Benedettelli

Traduzione testo:Liliana Rota

Traduzione comunicato:Benedetta Del Buono

Si ringrazia:Enrico BenedettelliAchille CapobiancoMarcello CoccioliLaura Correale Santa CroceTommaso De MariaNicola FrattasiSara GuidiAntonio LimataLuca MiglioriBruna OrlandiPaola Rocchi

Evento:

MUSEO EBRAICOVia Valdonica 1,5,40126 Bologna

www.lavitalavediamoamemoria.it

Coordinamento progetto:

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La vita la vediamo a memoriaLuigi Meneghelli

Si dice: il monumento si erge. La sua essenza è la verticalità, l'erezione,l'emergenza. Si ergono le pietre tombali infisse nella terra, si ergonoi totem e gli obelischi, si erge con sforzo titanico la Colonna infinitadi Brancusi. Ebbene, la Stanza della Shoah, collocata in un angolo delMuseo Ebraico di Bologna è, anch'essa, a suo modo un monumento: è concepitaper far ricordare i nomi, i luoghi di un evento tragico come quello delladeportazione e dei campi di sterminio. Ma non si erge, rinuncia allaverticalità e quasi sprofonda in se stessa. Gioca più sull'invisibilitàche sulla visibilità, più sul vuoto che sul pieno. La sua porta si apresul nulla, sulla mancanza, sull'oscurità: sull'assoluta incertezza diconfini e di orizzonti dello sguardo. Del resto, non testimonia un saperedel lutto, una conoscenza della perdita?Anzi: non evoca quella “sfera dell'orrore estremo” che, come diceva HannaArendt, “non può mai essere interamente percepita dall'immaginazione,perchè rimane al di fuori della vita e della morte”? Essa sembra chiederequante “notti” vi sono nella notte: quante fuori di noi e dentro di noi,notti fonde e profonde, accidentali, bianche: notti simbolicamenteilluminate ancora dai fuochi sinistri dei forni crematori. E' come seil luogo risuonasse dal passato e contenesse la dimensione intima di untempo aperto, di una ferita irrisolta. Eppure, all'interno, nessunatraccia, nessun reperto memoriale, se non l'elenco dei nomi dei deportati.Ma è proprio un simile spazio vuoto ad eternare ciò che è stato.Ed è in questo luogo fantasmatico, in questa tomba “scavata nell'aria”(P. Celan) che Rudy Cremonini elabora la sua installazione. Un intervento,il suo, che, a prima vista, potrebbe sembrare come il tentativo di dareuno spessore materiale alla mancanza, una visibilità all'ombra. Ma che,in realtà, si offre come un supplemento d'ombra, che invita lo spettatorea pensare a ciò che (non) vede, a riconfigurare il proprio presenteattraverso la funzione rammemorante di figure e cose che vengono dalpassato più fondo e urgente. Così, l'impiego di valigie va al di là dellanozione di puro feticcio o di fonte documentale (fonte d'epoca), perportare nell'esperienza dello sguardo l'idea di confino, di “viaggio altermine della notte”. La valigia era (ed è) il corredo simbolico in cuitrovano posto i ricordi più segreti e intimi che seguono l'individuo nelsuo spostarsi. Qui, diventando addirittura supporto della rappresentazione,del ritratto pittorico degli ebrei trasferiti nei campi di concentramento,si trasforma in qualcosa che è più di un oggetto e si fa portatrice diforme, di sguardi, di emozioni, segno di anime, di esseri, di mondi. Nonè più solo ciò che contiene ma anche ciò che paradossalmente sostiene,fa vedere. E i volti che Cremonini vi dipinge sopra sono soprattuttoquelli di uomini senza storia e senza eroismo, accomunati da un identicodestino che ci ricorda lo stupore e l'incredulità di fronte all'orrore.La generalità della loro condizione non contraddice la loro particolarità,ma i loro sguardi anonimi “danno la misura di una condizione umana incui ogni tragedia, anche la più individuale, è sempre carica di rimandicollettivi”: ieri come oggi.

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Comunque sia i personaggi rappresentati rimangono sempre estranei a ciòche li circonda (anche, o tanto più, se ripresi da vecchie fotografie):ogni contesto spaziale si dirada, ogni ambientazione si rarefà. Rimanesolo la forma del volto a fronteggiarci in tutta la sua compostezza, intutta la sua austerità: ed è come se essa venisse da un altrove, da unadistanza abissale o come se raffigurasse “il ritorno del morto”. Ilfilosofo Jean-Luc Nancy ci ricorda che “il ritratto è fatto per conservarel'immagine in assenza di persona”: è incaricato di riprodurre dei tratti,ma anche di “rappresentare la presenza in quanto assente”: di evocarla,di esporla, di manifestare il “ri-trarsi” in cui questa presenza sitrattiene. Ed è così anche per quel lavorìo di Cremonini, per quel suotormentato indagare, cercare, inseguire attraverso la materia lo spiritodella vita, la verità del soggetto: esso si traduce in una figura sfinitadall'irruzione del gesto, in una fascinazione per ciò che è mutevole,provvisorio, precario, in un desiderio di praticare il tema della “latenza”,di cogliere ciò che c'è ma non si vede. I ritratti allora non possonopiù essere fissi, ma solo immagini che fuggono e che ci prendono nellaloro fuga: essi sono il modello (“lo stesso”) che diventa altro, sonol'affermazione e la negazione, il bianco e il nero, il presente e ilpassato. “Sono figure contraddittorie – dice lo stesso artista – oppostea loro stesse, duplici (forse addirittura molteplici), costantemente inlotta tra di loro”. Non conoscono una forma definitiva, ma solo una formapossibile, un ritratto interminabile.In questo modo Cremonini non invade quella pura, misteriosa ossessionegeometrica che è la Stanza della shoah (della Memoria). I quadri-valigienon riempiono il vuoto, casomai lo accentuano, lo rendono ancora più“disabitato”. Essi non posseggono la violenza del documento, l'evidenzadella registrazione: non intendono produrre prove allo scopo di produrretraumi, quanto piuttosto produrre (o far riemergere) traumi attraversole immagini. Immagini che, affidandosi al segreto dell'interiorità delvolto, si consegnano anche letteralmente al secretum, a ciò che la memoriasecerne e diffonde come essenza di azioni, vissuti, pensieri. Immaginiche vanno oltre ogni scrittura, perché tracciando segni ci possiamopermettere di dimenticare, sicuri che il segno ricorderà per noi. Immaginiche richiamano invece l'esortazione di Primo Levi di Se questo è un uomo:“Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole / Scolpitelenel vostro cuore”. Immagini, dunque, come un sistema di risonanze, diechi, di voci indicibili, insostenibili, irrapresentabili. Così l'operazionedi Cremonini non va intesa come uno sguardo retorico sul passato: eglisottrae alla vista tutto ciò che s'innalza, si impone, prende possessodello spazio. Egli sa che “bisogna perdere il mondo per ritrovarlo”. E'per questo forse che si accanisce perfino sui suoi personaggi, ricoprendoli,nascondendoli sotto coltri di pittura: anch'essi devono fare largo, perchèla sensibilità dell'osservatore possa liberamente partecipare (e magariricostruire) lo spirito della tragedia. Sempre Primo Levi ha scritto “Secomprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Cremonini ci portasull'orlo dell'abisso: da lì anche l'oggi fa conoscenza dell'irreparabilelutto.

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We see life off by heartLuigi Meneghelli

A memorial monument emerges vertically from very deep down. Tombstones,totems, obelisks rise from the ground; Brancusi’s Endless Column soarsinto the sky with a titanic effort. On the contrary, the Stanza dellaShoah, in Bologna’s Jewish Museum is a horizontal memorial, conceivedto keep the memory of the Holocaust alive. Instead of emerging from theground, it sinks down to the depth of an abyss. It is a door openingon the uncertainty of sight.However, the Stanza della Shoah does not recall that “sphere of extremehorror” which - Hanna Arendt wrote -“imagination cannot fully perceive,because it belongs neither to life or to death.” Rather, the Stanzaapparently asks how many nights there are in a single night, and how manyof those nights belong to us and how many to others; and furthermorehow many nights are still illuminated by the glows of crematoriums. Itseems as if the sound of memory echoes from the past, a past that cannotvanish, a wound that will never be healed. Inside the Stanza, the namesof the victims are the only tangible object exhibited.In this spectral place, in this tomb “dug in the air” (P. Celan) RudyCremonini places his installation.What in this installation might look like an attempt to materialize anabsence or a shadow is actually an invitation to the viewer to thinkabout what he can(‘t) see, to reflect on his own present time throughthe power of the memory contained in shapes and objects of the distantpast.In this sense, suitcases are not just fetishes or documentary sourcesbut suggest the idea of internment, of “journey to the end of the night”.A suitcase was (and is) the symbolic burden made up of the most secretand cherished memories which follow each individual in his/her wandering.Here, becoming part of the portraits of the Jews sent to concentrationcamps, it stops being just an object with a content but it evokes shapes,glances, emotions as well as souls, beings, worlds.On these suitcases Cremonini paints faces without history or heroism,linked by the same fate, which remind us of their owners’ awe andincredulity before horror. Their shared condition doesn’t cancel theirown identity, but their anonymous glances suggest that “even the mostprivate tragedy is at the same time always a collective one”: yesterdayand today.However the portrayed people are unrelated to their surroundings (especiallyif taken from old photos): space and setting are rarefied. Only theshapes of faces appear to the viewer in their neatness and austerity,as if coming from somewhere else, or showing “the return of the dead”.The philosopher Jean Luc Nancy suggests that “a portrait preserves theimage of an absent person”: it draws the person’s traits, but, it also“shows an absent presence”, it evokes, it displays , it visualizes the“portraying” in which this presence is contained.

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This is the way in which Cremonini works too: he investigates and looksinto the matter to find the spirit of life, the truth of the subject inan anguished way: the result is an undefined being, a fascination forwhat is precarious and changeable, and a desire to seize what is therebut can’t be seen. As a consequence portraits can’t be fixed, but onlymoving images that seize the viewer in their escape: they are the model(“the same”) which becomes something else, they are assertion and negation,white and black, the present and the past. “They are contradictorycharacters- says Cremonini- in opposition to themselves, double or evenmultiple, always fighting with one another.” The don’t have a definiteshape, but only a possible one and they look like endless portraits.Thus Cremonini doesn’t invade that pure, mysterious geometric obsessionrepresented by the Stanza della Shoah. The picture/suitcases do not fillthe empty space, on the contrary they underline it and make it look more“uninhabited”. They do not possess the violence of the document: theyare not meant to give evidence in order to cause traumas, they are meantto let traumas surface back through pictures.These images rely on the secret of a person’s inner face and give themselvesup literally to the secretum, to what memory secretes as essences ofdeeds and thoughts. They go beyond any kind of writing, because when wedraw signs we can allow ourselves to forget, as we trust that the signwill remember in our place.Therefore these images, which recall Primo Levi in Se questo é un uomo: “Never forget that this has happened. Remember these words. Engravethem in your hearts”, echo unsaid, unbearable and unimaginable voices.Cremonini’s work shouldn’t be seen as a rhetoric vision of the past: hehides all that rises, imposes its presence, takes possession of the space.He knows that “ one must lose the world in order to find it again.” Thisis, perhaps, the reason why he is pitiless with his characters, hidingthem under layers of paint: they too must almost disappear, so that theviewer may be free to share in the tragedy.Primo Levi wrote: “If it's impossible to understand, to know it isnecessary”.Cremonini takes us to the edge of the abyss: from there, today, we meetagain the irreparable loss.

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farfalla.

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Rudy Cremonininato a Bologna nel 1981 dove vive e lavora.Was born in Bologna in 1981, he lives and works in Bologna.

Mostre personali / Solo exhibitions

2012 "La vita la vediamo a memoria", Giorno della Memoria 2012, progetto GiaMaArt studio, Museo Ebraico di Bologna;

2010 "Lebensraum" per Substance, Biennale Marsica 2010;2010 "Documenti d’alterità" GiaMaArt studio, Vitulano (BN);2010 "Documenti d’alterità", progetto GiaMaArt studio arte fiera OFF, Museo delle cere

anatomiche Alma Mater Studiorum Università di Bologna;2008 "Soul Shibari", Whitecube3, Roma;2007 "Harness", Magazzini Criminali, Sassuolo, Modena.

Mostre collettive / Group exhibitions

2012 "Gli elefanti non sanno saltare" Gallerie delle Battaglie, Brescia;2011 "Janare" C.a.p.a. Casa Arcangelo Progetto d'Arte 2011, San Nazzaro (BN);2011 "Premio Combat" Bottini dell'olio, Livorno;2011 "Nomadic Settlers - Settled Nomads". Project in Cooperation with SAVVY Contemporary

Berlin, Doutreluingne, Berlin;2011 "(In)Leiden" Galerie Stephan Stumpf, München;2011 "AAM" con GiaMaArt studio, Spazio Eventiquattro, Gruppo 24ore, Milano;2011 "Horse Latitudes", Jacopo Casadei vs Rudy Cremonini, Underdog studio. Modena;2011 "[Die Verführkraft schöner Kunst] - Themenausstellung", Galerie Stephan Stumpf , München;2010 "Tratti Tangenti" a cura di Anna Lisa Ghirardi, GiaMaArt studio, Vitulano, (BN);2009 "Walk of art", Magazzini Criminali, Sassuolo, Modena;2009 "Imagine" a cura di Carolina Lio, GiaMaArt studio, Vitulano, (BN);2008 "Cosa ti sei perso", Magazzini Criminali, Sassuolo, Modena;2007 "Mostra collettiva", Chiesa dei Disciplini, Castel Goffredo, Mantova;2007 "Mostra collettiva" patrocinata dall'Accademia di Belle Arti di Bologna;2006 "Rintracciarti", Palazzo della Ragione, Mantova.

Premi / Prizes

2011 Finalista Premio Combat;2010 Selezionato Premio Italian Factory;2010 Selezionato Premio Razzano;2009 Selezionato Premio Arte Mondadori.

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