Rubrica Interviste

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1 ET Interviste a cura di Corrado Ravaioli

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1ETInterviste a cura di Corrado Ravaioli

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Interviste

a cura di Corrado Ravaioli

LAVORARE, CON METODO, TRA LE ONDE DEL MERCATO

Investire competenze e professionalità in un settore affine alle proprie passioni è possibile. Michelangelo Casadei, ingegnere meccanico di 41 anni, vive a Forlì e lavora presso Ferretti Group come Direttore Qualità e Miglioramento Continuo. Da sempre lo accompagna un grande amore per il mare e la vela in particolare. Trovare il giusto compromesso tra metodo e pragmatismo è la sua regola per affrontare sempre nuove sfide.

Quale bagaglio di esperienze ha raccolto prima di approdare in Ferretti?Dopo la laurea in ingegneria meccanica, a Bologna, ho deciso di affrontare un’avventura professionale nel gruppo Fiat che offriva sulla carta un’esperienza completa anche se un pò “rischiosa”. Prevedeva un periodo di formazione di 4-5 mesi seguito da tre incarichi sui tre comparti CNH, Iveco e Fiat cambiando ruolo, mansione (progettazione, produzione e sales & marketing) e la sede di lavoro, prima all’estero, poi in Italia.

Quali difficoltà ha incontrato e quali sono state invece le maggiori soddisfazioni?L’esperienza è stata inizialmente spiazzante perché avevo una formazione molto tecnica e mi hanno mandato a fare un’esperienza commerciale in Grecia. In pratica dovevo lavorare sulla rete di concessionari, programmare ordini e vendite, monitorando l’andamento del mercato.

Per me significava interrompere un percorso tradizionale di specializzazione, iniziare a costruire la mia professionalità in una realtà di lingua e cultura diverse. Dopo la Grecia mi sono occupato di attrezzamenti produttivi e costi del prodotto in CNH, in alta Austria. Un’altra esperienza di rottura rispetto a quella precedente. Fino al ritorno in Italia, a Torino. L’obiettivo finale del progetto era infatti quello di riportare le risorse nell’alveo della loro formazione professionale, dopo aver costruito competenze manageriali (e interculturali) più ampie. Ha funzionato.

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LAVORARE, CON METODO, TRA LE ONDE DEL MERCATO

Sono entrato in Iveco con un ruolo in progettazione motori diesel industriali. Poi, nei 4 anni successivi, il mio profilo si è evoluto fino alla responsabilità di Platform manager su tutta la famiglia di prodotto. La maggiore ricchezza del periodo in Iveco è stata l’opportunità di vivere in prima persona lo sviluppo di un prodotto nuovo in tutte le sue fasi. Il giorno della prima messa in moto

del prototipo, nel 2005, rimane una delle mie più grandi soddisfazioni professionali di sempre.

Che cosa le hanno insegnato gli anni vissuti all’interno del Gruppo Fiat?E’ stata sicuramente una grande esperienza umana e professionale, soprattutto per la rotazione su ruoli diversi e in Paesi differenti, e l’incontro con persone di grande spessore e competenza. E’ stata anche una grande scuola di metodo, di struttura e di

organizzazione, a volte rigida e complicata, ma capace di insegnare a individuare ruoli e flussi corretti, e contenuti chiave delle molte professioni che fanno vivere e possibilmente prosperare l’organismo azienda.

A proposito di metodo, cosa significa per lei questo termine? Quanto è importante all’interno di un flusso di lavoro per lo sviluppo di prodotto?Il metodo è l’insieme di coerenza, rigore, organizzazione, pianificazione secondo priorità e corretta comunicazione. Sia nella

gestione delle attività che in quella delle risorse. Dagli aspetti banali e quotidiani (il versioning puntuale di un documento, l’oggetto e i destinatari corretti di una e-mail) a quelli piu’ complessi, nei processi interfunzionali (ad esempio, la gestione di una modifica di prodotto). Un po’ viene dalla tua formazione, come modo di pensare e lavorare organizzato, imparato sin dagli studi. D’altra parte viene dal tuo percorso professionale. L’esperienza in una struttura ben costruita, complessa, gestita e governata secondo certi flussi aggiunge chiaramente insegnamento di metodo. Questo però non significa che i metodi che conosci siano i migliori in assoluto o sempre efficaci. Un approccio metodico è una grande ricchezza ma spesso bisogna avere il coraggio di scardinarlo e aggirarlo, e questa convinzione arriva più dall’esperienza di vita che lavorativa. A volte si è costretti a risolvere un problema attraverso un percorso alternativo. L’idea che l’unica strada che conosci è quella che ti porta alla meta può limitarti.Il fatto di affrontare esperienze nuove, assumere ruoli non troppo noti, incontrare persone diverse ti aiuta ad affinare questa capacità.

Quando ha deciso di cambiare rotta?La scelta, a fine 2008, è stata dettata in parte da una visione diversa sulla strategia di prodotto, rispetto a quella aziendale del momento, ma allo stesso tempo avevo voglia di affrontare nuove sfide e ampliare la mia esperienza.

Non sarà un caso se ha scelto il Gruppo Ferretti e quindi un settore molto affine alla sua passione, quella per il mare.Lavorare nel Gruppo Ferretti mi ha dato la possibilità di avvicinare ulteriormente la sfera

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professionale alle mie passioni, cosa che considero un grande privilegio nel contesto attuale. L’interesse per il prodotto e la grande passione per la cultura navale e gli sport nautici, hanno contribuito a indirizzare la scelta verso la mia attuale azienda. Ho cominciato ad andare in barca per caso, verso i sette anni, poi sono passato alla pratica agonistica partecipando, con buoni risultati, a varie regate. Infine mi sono dedicato all’insegnamento. Negli ultimi anni, ho assunto la “guida” del Circolo Nautico del Savio (Ravenna ndr), un’associazione sportiva dedita alla diffusione delle attività nautiche e alla formazione dei giovani nello sport della vela.

Che soddisfazioni le dà questo ruolo?Per me è un modo per reinvestire nel sociale una professionalità che ho acquisito negli anni sul lavoro. Un Circolo sportivo equivale oggi in tutto a una piccola azienda per i vari aspetti organizzativi, fiscali, gestionali e burocratici, anche se tutto è svolto su base volontaria e la finalità è lo sviluppo, non il profitto. Offre ai giovani la possibilità di avvicinarsi a uno sport bellissimo e rappresenta un piccolo motore per l’economia del luogo.

Invece di cosa si occupa in Ferretti?Inizialmente mi sono dedicato alla riduzione dei costi del prodotto attraverso la standardizzazione e modularizzazione dei contenuti tecnici e industriali, attraverso attività di engineering ma anche di acquisto, gestione e sviluppo delle forniture. Dal 2011 invece mi occupo di Qualità, collaudi e miglioramento continuo. Nella riorganizzazione seguita ai cambiamenti del 2009, ho sviluppato il Team di persone e le attività partendo da esperienze e metodi che prima erano legati a singoli marchi e

cantieri, centralizzando e rafforzando l’organizzazione del lavoro.

Dalle regate alle imbarcazioni di lusso, quali sono state le sfide più impegnative?Sicuramente quelle sul lavoro. Ferretti, come tutte le aziende di questo settore, è una realtà molto più dinamica e meno “metodica” di altri settori industriali nei quali ho lavorato. E’ fondamentale avere sempre chiaro l’obiettivo, l’organizzazione per raggiungerlo e l’attuazione di quello che avevi previsto, ma anche la flessibilità e la capacità di trovare soluzioni non standard: non è forse un caso che le più grandi eccellenze nautiche siano italiane. E questo è ancora più importante in un settore caratterizzato da un prodotto molto complesso, che integra conoscenze tecniche diverse, dai compositi agli arredi, dalla propulsione meccanica ai sistemi elettrici, idraulici, all’elettronica, che combina saper fare artigianale con esigenze industriali, perfezione estetica e prestazioni funzionali. Un settore a bassi volumi dove gli aspetti affidabilistici e di durata sono difficili

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da testare, e non ultimo si fa prodotto che vive in un ambiente naturale sfidante e pieno di variabili, che a cascata si ripercuotono su ciò che devi rendere disponibile affidabile e pronto sul mercato. In questo settore, trovare il compromesso tra metodologia e pragmatismo diventa fondamentale.

Siccome ha citato di nuovo questa parola le chiedo una definizione di metodo, alla luce delle sue esperienze professionali.Come ho già detto lavorare con metodo significa avere un quadro chiaro degli elementi da acquisire, dei passaggi da fare, delle competenze e dei metodi da utilizzare, degli attori da coinvolgere per arrivare a un risultato. La definizione è

ampia. Altrettanto importante è la capacità di vedere i limiti del metodo che si sta applicando.Fondamentale anche la gestione delle risorse secondo un approccio metodologico: le persone, quelle valide, vanno messe al centro dell’attività professionale, responsabilizzate, parlando in modo chiaro, facendo capire il perché di una richiesta. Fondamentale guidare con l’esempio: a volte si ottengono migliori risultati senza calare dall’alto disposizioni ma facendo leva sulla responsabilità e motivazione personale, d’altra parte le linee guida devono essere chiare e non opinabili. Non ultimo, è necessario evidenziare l’obiettivo complessivo rispetto a quello intermedio, avere e dare una visione d’insieme, riuscire a distinguere tra “importante” e “urgente”. Non devo rischiare di concentrare le mie energie nel punto sbagliato di un processo produttivo, di vendita o comunque di business.

Parliamo di sviluppo di prodotto. Quali

possono essere alcuni suggerimenti per raggiungere il risultato? In questo momento storico, è fondamentale riuscire a coniugare creatività e innovazione nei contenuti con metodologia e rigore nell’implementazione, dal concept al mercato. Oggi, vista la pressione finanziaria e le risorse limitate, non si può sbagliare, ma non si deve perdere il coraggio di sperimentare e d’innovare. Una ricetta è quella di lavorare molto sull’obiettivo. Devo sapere cosa voglio, cosa vuole il mio mercato di riferimento, il cliente e cosa fanno gli altri. Poi nel lavoro di sviluppo bisogna essere capaci di curare ogni dettaglio del processo, sapere come fare, cosa fare e quando. Il livello dell’output richiesto è veramente molto alto nei mercati e nei settori “maturi”, per cui il risultato deve essere all’altezza. Un aspetto chiave è mantenere il saper fare in azienda e sul territorio: se posso consigliare una lettura, “Make it in America” di Andrew Liveris è un libro illuminante e attualissimo sul tema, parla di nord America, ma fatte le dovute proporzioni, i concetti valgono ugualmente per Europa e Italia.

Un’ultima cosa: cosa pensa degli incubatori aziendali?L’idea in sé è stimolante. Oggi “fare azienda” è più complesso e oneroso di un tempo. Il fatto che un’infrastruttura possa aiutare a sbrigare aspetti normativi, fiscali e burocratici può agevolare la creazione di una nuova impresa. Ho due amici che hanno seguito con grande successo questa strada, avviando dentro un incubatore una start-up che oggi è un laboratorio chimico affermato, a Torino. Ci sono però anche molti casi di progetti senza seguito, che rimangono in vita solo fino a che sono “assistiti”. Questo dimostra che alla base deve esserci un’idea davvero forte, poi l’incubatore può essere un aiuto.

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