Rossini, O. I Colori Dell'Ara Pacis. 2010

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20 ArcheomaticA N° 3 settembre 2010 MUSEI ra un’idea innovativa e la sua realizzazione, come tra il dire e il fare, sta il mare della ricerca: di soluzioni, di collaborazioni tecniche, ma anche di possibili sponsor. e l’indispensabile partenariato professionale. Ma andiamo per ordine. Nel decennio appena trascorso la costruzione di una moderna struttura museale intorno all’altare augusteo ha consentito di ripensare completamente la storia e i signi cati di uno dei monumenti antichi tra i più noti e studiati. Si trattava non solo di costruire una prote- zione idonea intorno all’Ara restaurata, ma di raccontarne storia e signi cati all’interno di un nuovo percorso museale. A questo scopo un gruppo di archeologi e architetti, diretti dalla Sovraintendenza del Comune di Roma, oggi di Roma Capitale, ha operato una rivisitazione completa dell’opera che non poteva eludere un quesito di fondo: come si presentava origi- nariamente l’altare? Appariva candito, come oggi, o presentava come la maggior parte di marmi antichi, zone sottolineate dal colore o, anche, una completa cromia? I COLORI  DELL’ARA PACIS. STORIA DI UN ESPERIMENTO. di Orietta Rossini Una appassionata narrazion e che ha trasformato un progetto tecnico in un’esperienza emotiva: restituire una veste cromatica all’Ara Pacis Augustae. Studiosi, ricercatori, tecnici, aziende e l’amministr azione comunale hanno messo in campo singole competenze per il perseguimento di un obiettivo comune: vedere i colori animare i rilievi, stendersi su di essi, accompagnarne le pieghe e dare di queste sculture famose un’immagine del tutto nuova. T La colorazione della fronte principale realizzata con proiettori digitali.

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MUSEI

ra un’idea innovativa e la sua realizzazione, come tra il dire e il fare, sta il maredella ricerca: di soluzioni, di collaborazioni tecniche, ma anche di possibili sponsor. el’indispensabile partenariato professionale. Ma andiamo per ordine.

Nel decennio appena trascorso la costruzione di una moderna struttura museale intornoall’altare augusteo ha consentito di ripensare completamente la storia e i significati di unodei monumenti antichi tra i più noti e studiati. Si trattava non solo di costruire una prote-zione idonea intorno all’Ara restaurata, ma di raccontarne storia e significati all’interno di

un nuovo percorso museale. A questo scopo un gruppo di archeologi e architetti, diretti dallaSovraintendenza del Comune di Roma, oggi di Roma Capitale, ha operato una rivisitazionecompleta dell’opera che non poteva eludere un quesito di fondo: come si presentava origi-nariamente l’altare? Appariva candito, come oggi, o presentava come la maggior parte dimarmi antichi, zone sottolineate dal colore o, anche, una completa cromia?

I COLORI DELL’ARA PACIS. STORIA DI UN ESPERIMENTO.di Orietta Rossini

Una appassionata narrazione che ha trasformato un progetto tecnico in un’esperienza emotiva: restituire

una veste cromatica all’Ara Pacis Augustae. Studiosi, ricercatori, tecnici, aziende e l’amministrazionecomunale hanno messo in campo singole competenze per il perseguimento di un obiettivo comune:

vedere i colori animare i rilievi, stendersi su di essi, accompagnarne le pieghe e dare di queste sculturefamose un’immagine del tutto nuova.

T

La colorazione della fronte principale realizzata con proiettori digitali.

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Da questa domanda la prima idea: costruire un modellotridimensionale su cui applicare un’ipotesi di colorazione.Affrontata virtualmente, con tecnologia digitale, l’impre-sa appariva meno ‘compromettente’ e velleitaria, dato chequalsiasi ripensamento rimaneva possibile e le alternativeapplicabili in tutte le fasi del lavoro.Riteniamo che sia stata questa facilità di approccio ad averpersuaso gli archeologi (E. La Rocca e S. Foresta) e gli archi-tetti (A. Viscogliosi, S. Borghini e R. Carlani), affiancati dachi scrive, a tentare un lavoro per certi versi molto ambizio-so e insidioso: sapevamo fin dall’inizio che il risultato otte-nuto sarebbe stato del tutto opinabile, ma la nostra volontàera appunto quella di costruire nulla più che un’ipotesi. Nonè questa la sede per descrivere i criteri usati nella scelta deicolori del prototipo digitale. Basterà dire che molto hannoinfluito i modelli della pittura antica - i pochi affreschi ro-mani noti, la pittura pompeiana di II e III stile, ma anchele più recenti scoperte nelle tombe greco-ellenistiche - esoprattutto le acquisizioni derivate dal revival di studi sulcolore dei marmi antichi svolti negli ultimi decenni. Stu-di che in alcuni casi hanno spinto i loro autori a renderevisivamente l’aspetto policromo delle opere greco-romane

attraverso la realizzazione di calchi in gesso, colorati sullascorta di osservazioni e analisi svolte sugli originali.Forse proprio il grande interesse e al tempo stesso le per-plessità suscitate da questi calchi colorati - tra tutti il piùfamoso, l’Augusto di Prima Porta - ha funzionato da stimoloper la ricerca di un’alternativa: era possibile riprodurre ilcolore non sul gesso, una sostanza opaca, che non persua-deva nei risultati pratici ottenuti (non si discutono invecequelli scientifici di quei primi esperimenti, di assoluto va-lore), ma sul marmo ‘vivo’ del monumento stesso? Natural-mente si trattava di operare con modalità assolutamentenon invasive.Di qui l’idea - forse applicata per la prima volta su mar-mi antichi - di restituire una veste cromatica all’Ara Pa-

cis attraverso fasci di luce colorata. Più esattamente ci sichiedeva se era possibile proiettare sulle superfici a rilievodell’Ara Pacis le sue stesse foto digitali colorate. O meglio:foto digitali eseguite da un punto di ripresa zenitale, quindicolorate al computer e infine proiettate sulle superfici dallostesso identico punto di scatto.La fattibilità dell’idea andava verificata con l’aiuto di per-sone che conoscessero le possibilità dei proiettori e le lorocaratteristiche. E finalmente nel 2007 l’incontro decisivo:quello con un professionista interessato alle ricadute spe-rimentali di un primo tentativo pratico. Si trattava di Mi-chael Hill, conosciuto durante lo studio per l’illuminazionedel museo progettato da Richard Meier, nel 2007 managerdella Martin Professional Italy S.r.l., produttrice di impiantiper l’illuminazione di architetture e scenografie contem-poranee. Poiché la Martin disponeva di proiettori analogiciin grado di disegnare a distanza con luce colorata, Hill cipropose un primo limitato tentativo di colorazione su un ri-quadro dell’Ara. Accettammo immediatamente, scegliendodi provare la proiezione dell’immagine colorata sul pannellovegetale sotto la Tellus, un riquadro che ci consentiva diposizionare il proiettore (serie Mac 2000 Profile) a circa unmetro da terra senza troppe difficoltà.A questo scopo S. Borghini e R. Carlani ‘dipingevano’ vir-tualmente con molta accuratezza ed eleganza di tratto lafoto frontale, ad alta risoluzione, del riquadro sotto la Tel-lus. L’immagine colorata veniva quindi affidata alla Martin,

che ne ricavava un gobos, cioè una stampa eseguita a gettod’inchiostro su vetrino circolare di pochi centimetri di dia-metro. Il principio non era diverso da quello di una normalediapositiva: la luce retroproiettata avrebbe attraversato ilvetro, colorandosi secondo l’immagine stampata sul gobos.

Finalmente il28 aprile del2008 veniva mon-tato il proiettore sulretro dell’Ara Pacis e, senzaneppure attendere il tramonto, sieseguiva la prima prova di proie-zione da una distanza di circa5 m. Erano circa le 18.00 e ilsole del primo autunno romanorimaneva ancora sopra l’oriz-zonte, ma il fascio policromoera così forte da rendersi visibi-le anche nella luce pomeridia-na. Vedere i colori animare irilievi e stendersi su di essi,accompagnarne le pieghe edare di quel riquadro così fa-moso un’immagine del tuttonuova, ha suscitato emozio-ne in tutti gli astanti.Certamente un’immagine

straniata, per certi ver-si irreale, anche perché ilgobos realizzato non tradu-ceva esattamente il colorenaturalistico (i tralci verdi,il fondo blu) dell’immaginevirtuale consegnata, ma pure bellissima. Sedotti dal coloree confortati dal successo, capimmo però subito che moltoandava migliorato e che restavano molte incognite. Primafra tutte:cosa sarebbe successo proiettando l’immagine acolori sulla fronte principale del monumento da una distan-za che doveva essere necessariamente maggiore, quasi dop-pia, se volevamo che il pubblico potesse ammirare la visioned’insieme a colori, ad esempio, del pannello di ‘Enea che

sacrifica ai penati’ e di quello sottostante con il fregio vege-tale? E in secondo luogo: con le scarse risorse a disposizione- praticamente ogni costo, in quella prima fase, ricadevasulla generosità dello sponsor - saremmo riusciti a costru-ire un supporto adatto a posizionare due diversi proiettori(peso unitario di circa 40 kg) esattamente uno sull’altro,ad una distanza tra loro e ad un’angolazione tali che le dueimmagini proiettate coincidessero perfettamente nel puntodi giunzione? Le incognite rimanevano, ma quello che ve-

Prima prova proiezioni di colore

Il calco colorato dell’Augustodi Prima Porta.

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le figure delle processioni e i pannelli frontali, le decorazioniarchitettoniche e la mensa sacrificale. Questo confermava lascelta, peraltro già effettuata ‘a tavolino’ nella creazione delmodello digitale, di colorare in esteso le superfici dell’Ara Pa-cis (e non, ad esempio, solo le parti architettoniche o le figureumane, come pure era stato ipotizzato).Con la possibilità fornita da Michael Hill di proiettare sulmarmo e l’apporto di Santamaria e Liverani, iniziava una

devamo ci persuadeva ad andare avanti: ci proponemmo direalizzare per il 23 settembre di quello stesso 2008, in coin-cidenza con il giorno natale di Augusto, una proiezione dicolore su tutta la facciata principale del monumento, circa50 m2 di rilievo di altissima qualità artistica, su cui proietta-re la nostra ipotesi cromatica.Nei mesi che seguirono, grazie all’interessamento di G. Cane-va, botanica e studiosa dell’apparato vegetale dell’Ara Pacis,siamo entrati in contatto con U. Santamaria, direttore dei La-boratori Scientifici dei Musei Vaticani e docente presso l’Uni-versità della Tuscia, ma soprattutto autore delle analisi cheavevano consentito all’archeologo P. Liverani la colorazionedel calco dell’Augusto di Prima Porta. In questo modo il gruppodi lavoro acquisiva l’aiuto prezioso di due studiosi, Liverani eSantamaria, con esperienza internazionale nel campo del co-lore in antico. Con loro cominciava la ricerca delle possibili,superstiti tracce di colorazione sui marmi dell’Ara Pacis. Una

ricerca difficile e quasi disperata, che affrontavamo con laconsapevolezza che oltre mille anni di permanenza nel sotto-

suolo e, peggio ancora, i restauri subiti da molte parti dei rilie-vi lasciavano scarse speranze di ritrovare la minima traccia dipigmentazione. Invece qualcosa venne restituito dalle analisiguidate da Santamaria: innanzitutto numerose tracce, messein evidenza dalla fotografia UV, di una luminescenza giallastrasu alcune parti del rilievo, chiaro sintomo della presenza di unpriming preparatorio, ovvero di una base organica (in generecaseina o colla di coniglio) quasi sempre frapposta, nel caso dicolorazione originaria, tra il marmo e lo strato di pigmento.Poi l’occhio esercitato di Santamaria individuava sulla guanciasinistra dell’altare, in corrispondenza di una voluta, una mac-chia nerastra che, analizzata presso i Laboratori Vaticani, si

rivelava essere l’alterazione di un pigmento rosso, con qualchetraccia di pregiata lacca. Accanto a queste, altre tracce minori- ad esempio di doratura sulle cornici architettoniche e sul fon-do delle coppe sacrificali - confermavano il fatto che l’altarein antico fosse colorato in tutte le sue parti: il fregio vegetale,

Prove di proiezione con videoproiettori digitali.

La prima proiezione di colore realizzata stampando vetri colorati (gobos).

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seconda fase del lavoro. Insieme con G. Zanzi - archeo-logo della Sovraintendenza che ha curato la regia delleriprese fotografiche poi realizzate da S. Castellani - deci-devamo di eseguire quattro scatti perfettamente ortogo-

nali al centro dei quattro pannelli sulla fronte principaledel monumento.Il pannello di ‘Enea che sacrifica ai Penati’ e il ‘Lupercale’con Faustolo, Marte e i gemelli, venivano ripresi da una di-

stanza di 9,5 m e da un’altezza di circa 4,35 m, grazie almontaggio di un trabattello su ruote in grado di ospitare ilfotografo e la sua attrezzatura. I punti di ripresa venivanoannotati con precisione in modo da essere esattamente ri-

trovati al momento della proiezione. Più semplice risulta-va l’esecuzione dei due scatti dei pannelli con decorazionevegetale posti sotto i quadri figurati, realizzati a 2,34 m dialtezza, per i quali non era neppure necessario montare untrabattello. Le foto così ottenute, ad altissima risoluzionevenivano quindi colorate al computer da S. Borghini e R.Carlani, che avrebbero impiegato quasi quattro mesi perportare a termine questo delicato lavoro.Nel frattempo una nuova giunta si era insediata in Cam-pidoglio e un nuovo Sovraintendente veniva nominato allaguida del patrimonio artistico e archeologico comunale. U.Broccoli sostituiva E. La Rocca e con lui gli esperimenti perrestituire il colore all’Ara Pacis subivano un’accelerazione e

una svolta inattese. Venivamo chiamati dal nuovo Sovrain-tendente a produrre una dimostrazione pubblica del nostrolavoro - peraltro nei nostri programmi - ma con tempi emodalità e persino una risonanza spettacolare che in qual-che modo ci coglieva impreparati. I dubbi erano soprattuttotecnici. Alcuni di noi avevano intuito da tempo che il coloreprodotto dai gobos con un procedimento analogico simile aquello delle diapositive poteva non essere ottimale nel casoin cui il rilievo da colorare fosse particolarmente complessoe le tonalità di colore importanti per la credibilità dellarestituzione. E questo era appunto il nostro caso.Appariva chiaro che, invece, la videoproiezione direttadell’immagine digitale (senza la stampa del vetrino) avreb-be presentato dei vantaggi: ad esempio il colore poteva

essere regolato quasi in tempo reale, le giunzioni tra ledue immagini sovrapposte potevano essere corrette e fat-te combaciare con maggiore facilità e anche le distorsioniottiche potevano essere ‘aggiustate’ dal computer. Senzacontare che l’immagine stampata con micro-getti d’inchio-

La proiezione realizzata il 23 settembre del 2008.

L’immagine colorata da A. Merante per il pannello del Lupercale.

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stro su un vetrino di pochi centimetri e proiettata a circa9 m di distanza, veniva ingrandita in modo tale da rivelarele minime imperfezioni e la sua stessa ‘trama’ puntinata.Inoltre quando un gobos era, per qualche ragione, sbaglia-to, cosa che poteva sempre succedere, non c’era altro dafare che gettarlo nel cestino e farne stampare un secondocon ritardi anche di qualche giorno. Ma non c’era più tem-po per i dubbi e quello che dovevamo fare a quel puntoera semplicemente produrre una dimostrazione pubblicadei nostri esperimenti sotto forma di spettacolo.Grazie alla disponibilità della Martin Italia e del suo ma-nager Michael Hill - nonché della buona volontà di tuttele collaborazioni sopra nominate - ciò si realizzava pun-tualmente la sera del 23 settembre 2008, alla presenza diun nutrito e qualificatissimo ‘parterre’ di archeologi e diautorità.Bisogna dire, a distanza di oltre due anni e dopo parecchieriflessioni, che il risultato dava ragione sia a chi avevanutrito dubbi sull’opportunità tecnica della dimostrazionesia al nuovo Sovrintendente, che si era personalmente spe-so per realizzarla. La serata fu indubbiamente un successo- e questo è quello che conta - anche se i nostri occhi,

resi ipercritici dall’esercizio, non mancavano di rilevarela perfettibilità della proiezione realizzata sull’interafronte principale del monumento. I difetti attesi si verifi-carono tutti: la proiezione da 9 m rivelava a ben guardarela trama puntinata dei colori sovrapposti al marmo; sullato del Lupercale le tonalità del pannello superiore e diquello inferiore erano diverse, per cui le due lesene late-rali, che doveva apparire intere, apparivano invece divisein due metà diversamente colorate. Rimaneva inoltre dif-ficile correggere le distorsioni geometriche, per cui, adesempio, un profilo colorato poteva non cadere perfetta-mente su quello reale in marmo. Era pur sempre vero chel’insieme risultava emozionante. Soprattutto meravigliò ilfatto che pochi o nessuno contestasse la nuova immagine

La proiezione del 23 settembre 2008: in evidenza le diverse tonalità dei colori sul pannello del Lupercale.

UN PENNELLO ELETTRONICO PER I COLORI DELL’ARA PACISRestituire ad un monumento del valore artistico dell’Ara Pacis ilsuo colore ipotetico ha richiesto un impegno notevole da parte dichi ha di fatto colorato, prendendo come base una foto digitale,le immagini proiettate sul marmo dei rilievi. Bisognava infatticonciliare le indicazioni scientifiche raccolte con l’impatto emo-tivo dei bassorilievi, senza tradire l’armonia plastica e i misuratiritmi che legano con estrema finezza le figure naturali alle geo-metrie decorative. Sul piano esecutivo si restava vincolati a due

esigenze primarie: quella di realizzare una restituzione pittorica sfruttando al tempo stesso i limiti e le possibilità offerte dallagrafica ad alta definizione.Per quanto attiene il primo aspetto si è cercato di evitare unesasperato e virtuosistico tecnicismo, perseguendo invece unrisultato quanto più possibile pittorico. In altre parole, si è pri-vilegiata la “manualità” del segno e del tratto, allo scopo diesaltarne le capacità evocative e suggestive. Per questo si èfatto ricorso a risorse raramente considerate nell’ambito purvasto della computer grafica, che tuttavia trovano quotidianaapplicazione nella pratica artistica. In particolare, ci si è avvalsidella sovrapposizione di più strati di colore (l’equivalente dellevelature nella pittura a olio) con il vantaggio di poter dosarecon estrema precisione, mediante il computer, l’intensità e latrasparenza di ciascuno strato. Ogni singola calibrazione è statavalutata e modificata più volte, elemento per elemento, fino aottenere il risultato voluto.

Lavorando in alta definizione è stato tanto difficile quanto neces-sario bilanciare la tensione verso a una ricca resa di tonalità, didettagli e di sfumature, con i limiti oggettivi posti dalle dimen-sioni dei file di lavoro. Si è infatti operato su file che hanno rag-giunto dimensioni enormi nel corso della realizzazione, quandoalle immagini fotografiche del monumento, che costituivano losfondo e la base dell’elaborazione cromatica, sono stati sovrap-posti decine di strati di colore.In questo modo le difficoltà conseguenti alle scelte tecniche sonoanche state una componente indispensabile – e, per questa ra-gione, caratterizzante – del percorso insieme artistico e scienti-fico, mirato costantemente ad avvicinarsi alla straordinaria ric-chezza dei colori che oggi solo in parte verificabile negli esempisuperstiti della pittura romana.

Angelo Merante

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del monumento, neppure gli addetti ai lavori più severi.L’archeologo A. La Regina osservò che questa interpreta-zione del fregio vegetale, verde su fondo blu con fiori ecigni bianchi, somigliava stranamente ad una grande ce-ramica rinascimentale, sul tipo di quelle prodotte dalle

botteghe dei Della Robbia. E questo era in parte vero,anche se proprio l’interpretazione cromatica del fregiovegetale era, ed è a tutt’oggi, tra le parti più difendibili eargomentate dell’intera restituzione del colore. In fondoil successo maggiore si dava proprio sul piano scientifico,prima ancora che su quello tecnico: evidentemente i tem-pi erano ormai maturi per un riconoscimento cromatico“anticlassicista” dell’antichità.Dal 23 settembre 2008 ad oggi si sono succeduti altrimomenti importanti nel percorso di ottimizzazione dei“colori dell’Ara Pacis”. Tra tutti va ricordato un incon-tro internazionale, tenuto l’11 marzo 2009 e curato daP. Liverani e da chi scrive, sull’uso del colore nell’anti-

chità e sui risultati delle ricerchefinora svolte in Europasull’argomento. Inoltre, com’era naturale a quel punto,

si è passati - grazie al contributo dell’impresa romanaGros - all’allestimento permanente di quattro proiettoridigitali all’interno del Museo, due per ogni facciata delmonumento, che hanno sostituito definitivamente i pro-iettori Martin, più potenti e certamente più adatti all’illu-minazione di gradi architetture urbane, anche in esterni,ma meno adattabili alle nostre esigenze. Con l’adozionedelle macchine digitali le proiezioni di colore sono diven-tate una consuetudine nella gestione del Museo, ed ormaivengono realizzate con cadenza regolare, in genere ogniultimo mercoledì del mese e nel corso di eventi ufficialidi qualche rilievo.

Innanzitutto sono state realizzate delle nuove colorazionidelle immagini digitali delle due fronti del monumento,questa volta affidando la stesura del colore alle capacitàartistiche di Angelo Merante (vedi riquadro), in grado diusare il mouse come un pennello e di restituire le ombreg-

giature, gli sfumati, i profili dei personaggi e le tonalitàcangianti del colore con vera sensibilità pittorica. OggiMerante è di nuovo al lavoro per colorare al computer leprocessioni sui due lati del monumento.

ABSTRACT

The Ara Pacis' colors 

Passionate narrative of an attempt by a purely technical became anemotional experience: the color of the Ara Pacis Augustae. For therealization of this work have been involved scholars, researchers,engineers, businesses and the municipal authority, combining theindividual skills they came to see the colors and animate the hillsand mountains lie on them, and to accompany the folds of that boxso popular entirely new image.

PAROLE CHIAVE

Modello tridimensionale,colorazione, proiezione, immagini digitali.

AUTORE

ORIETTA ROSSINI

[email protected]

Il primo modello 3D colorato al computer da S. Borghini e R. Carlani.