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ARACNE Rosmini politico e la storiografia del Novecento Paolo Armellini

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ARACNE

Rosmini politico e la storiografia

del Novecento

Paolo Armellini

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I edizione: giugno 2008

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Indice

Introduzione .................................................................................................................................................... 7

Parte I IL PENSIERO POLITICO DI ROSMINI

I. LA GENESI DEL COSTITUZIONALISMO IN ANTONIO ROSMIN I .................................................. 21 Premessa .................................................................................................................................. 21 Il lento abbandono del tradizionalismo patrimonialistico ............................................. 25 Il Tribunale politico: l’immanentizzazione costituzionale della giustizia ................. 35 Chiarificazioni metafisiche e questioni ecclesiologiche: il tema della laicità ........... 41 Conclusione ............................................................................................................................ 46 II. MORALE, DIRITTO ED ECONOMIA NEL PENSIERO POLITICO DI A. ROSMINI .......................... 47 Premessa .................................................................................................................................. 47 Il tradizionalismo anomalo di Rosmini ............................................................................ 48 L’universalismo giuridico rosminiano .............................................................................. 53 Rappresentanza degli interessi e rappresentanza dei diritti ........................................... 65 Conclusioni ............................................................................................................................. 70 III. COSTITUZIONALISMO, FEDERALISMO E IL PROBLEMA DELL’UNITÀ D’ITALIA ..................... 73 Gli scritti giovanili (1821-1826) ......................................................................................... 73 La Filosofia della politica e la Filosofia del diritto: bene comune e Stato di diritto ............................................................................................ 83 La Costituzione secondo giustizia sociale e la Missione a Roma: costituzione e federalismo in Rosmini .............................................................................. 94 Conclusioni ........................................................................................................................... 112

Parte II LA PRESENZA DI ROSMINI

NELLA FILOSOFIA POLITICA ITALIANA DEL NOVECENTO IV. LA RIPRESA DEL PENSIERO POLITICO DI ANTONIO ROSMINI TRA LE DUE GUERRE............ 117 Quadro storico-filosofico degli anni Quaranta .............................................................. 117 Ripresa di Rosmini dal punto di vista teoretico: Giuseppe Capograssi ................... 118 Rosmini e la nuova stagione storiografica: Luigi Bulferetti ....................................... 131 La polemica Bulferetti-Piovani ........................................................................................ 131 V. NUOVE TENDENZE DEL PENSIERO POLITICO DI ANTONIO ROSMINI NEGLI ANNI CINQUANTA ...................................................................... 137 Quadro generale degli anni Cinquanta ........................................................................... 137 La questione della Teodicea Sociale ............................................................................... 138

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Indice

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Rosmini e le dottrine liberistiche ..................................................................................... 140 La polemica Piovani-Zolo e la teoria della disuguaglianza sociale ......................... 145 La problematica politico-sociale in Rosmini ................................................................ 150 VI. SOCIETÀ RELIGIOSA, SOCIETÀ CIVILE, PERSONALISMO E ATTUALITÀ NEGLI ANNI SESSANTA ......................................................................................... 155 Quadro storico-filosofico degli anni Sessanta .............................................................. 155 Il personalismo nella riflessione Rosminiana .............................................................. 156 Società religiosa e Società civile ...................................................................................... 162 Attualità di Rosmini ........................................................................................................... 169 Le cinque piaghe della Santa Chiesa .............................................................................. 171 Haller e Rosmini ................................................................................................................. 178 VII. POLITICA, DIRITTO E REGOLAMENTO DELLA MODALITÀ DEI DIRITTI NEGLI ANNI SETTTANTA ............................................................................................................... 183 Quadro storico filosofico degli anni Settanta.................................................................. 183 Il concetto di filosofia politica in Antonio Rosmini ..................................................... 184 Filosofia e politica ............................................................................................................... 184 Natura della società politica .............................................................................................. 186 Società interiore ed esteriore ............................................................................................. 188 Società e forme di razionalità ........................................................................................... 190 Critica all’economicismo e al perfettismo ..................................................................... 192 La società civile e la modalità dei diritti ......................................................................... 193 Diritto .................................................................................................................................... 198 Utilità, moralità e religione ............................................................................................... 200 VIII. STATO, SOCIETÀ CIVILE E POLITICA DAGLI ANNI OTTANTA AGLI ANNI NOVANTA ........ 203 Quadro generale degli anni Ottanta ................................................................................ 203 Stato e società civile ........................................................................................................... 205 Natura della società civile ................................................................................................. 206 “L’antistatalismo in Rosmini” ......................................................................................... 208 Concetto di Politica ............................................................................................................ 209 Le più recenti prospettive .................................................................................................. 212 Conclusioni ................................................................................................................................................. 229

APPENDICE

Augusto Del Noce: Alcune condizioni per la riscoperta del Rosmini politico ........................... 233 Bibliografia ................................................................................................................................................ 253

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Parte I

IL PENSIERO POLITICO DI ROSMINI

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Capitolo I

LA GENESI DEL COSTITUZIONALISMO

IN ANTONIO ROSMINI*

Premessa

La prospettiva da cui vorremmo affrontare il tema della transizione del

giovane Rosmini dal tradizionalismo patrimonialistico dei primi anni (1822-26) al primo costituzionalismo del periodo milanese (1826-27) e poi alla tesi della maturità politica del Roveretano è quella in cui essa ri-sulta sempre essere accompagnata da svolte che riguardano anche il suo pensiero filosofico, coi suoi necessari riverberi su quello giuridico-politico1. Ciò attesta nella sua evoluzione di pensiero la tesi della unità fra metafisica e politica. Il suo pensiero infatti è contraddistinto da un pro-gressivo allontanamento dall’iniziale entusiasmo per le tesi tradizionaliste di Von Haller, de Bonald e De Maistre, le quali vengono via via depurate dal partimonialismo puro per abbracciare progressivamente tesi propria-

* Pubblicato già in F. M. Di Sciullo (a cura di), Anni di svolta. Crisi e trasformazioni

nel pensiero politico della prima età contemporanea, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2007, pp. 29-52.

1 Per le vicende biografiche di A. Rosmini cfr. G. B. PAGANI, Vita di Antonio Rosmi-ni scritta da un sacerdote dell’Istituto della Carità riveduta e aggiornata dal Prof. G. Rossi, Rovereto 1959; G. BOZZETTI, La vita di Antonio Rosmini, in Idem, Opere comple-te, a cura di M. F. Sciacca, Marzorati, Milano 1966, vol. I, 303-372; U. MURATORE, Ro-smini. Profeta obbediente, Ed. Paoline, Milano 1995; G. LORIZIO, Antonio Rosmini-Serbati, 1797-1855. Un profilo storico-teologico, Mursia, Milano 1997; A. VALLE, La vera sapienza è in Dio. Antonio Rosmini: biografia spirituale, Città Nuova, Roma 1997; F. DE GIORGI, Rosmini e il suo tempo. L’educazione dell’uomo moderno tra riforma del-la filosofia e rinnovamento della Chiesa (1797-1833), Morcelliana, Brescia 2003.

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mente costituzionali2. L’interesse per questi scritti è determinato dal fatto che Rosmini non li abbia pubblicati, come afferma nel 1839 a Polidori: «Sappiate che questi scritti di politica mi hanno burlato: già da dodici an-ni e più li tenevo nello scrittoio. Ora traendoli fuori, mi accorgo ch’io in-vecchio perocché in dodici anni si cangia stile, gusto e pensiero. Ond’io mi trovai mal pago di me medesimo e dovetti rifondere tutto da capo»3. Il frutto di questi anni di riflessioni e cambiamenti sarà la stesura di due o-pere fondamentali della maturità di Rosmini, la Filosofia della politica del 1839, e la Filosofia del diritto del 18424. Ma cosa ha scritto Rosmini dodici anni prima? Una quantità innumerevole di pagine di politica che lo hanno tenuto occupato dai primi anni ’20 sino al’28 e che ora ritroviamo pubblicati col titolo di Politica Prima5.

2 Cfr. A. ROSMINI, Politica Prima, introduzione e cura di M. d’Addio, Città Nuova,

Roma 2003 (con l’Appendice: Frammenti della Filosofia della Politica (1826-27)); I-dem, Della naturale costituzione della società civile (1827), a cura di F. Paoli, Grigoletti, Rovereto 1887; Idem, Opuscoli politici, a cura di G. Marconi, Città Nuova, Roma 1978; L. BULFERETTI, Antonio Rosmini nella Restaurazione (1942), cura di U. Muratore, Cen-tro Internazionale di Studi Rosminiani,, Stresa (VB) 1999; G. SOLARI, Rosmini inedito. La formazione del pensiero politico (8122-1827) (1935-40), a cura di U. Muratore, Cen-tro Int. Di St. Rosm., Stresa (VB) 2000; P. PIOVANI, La Teodicea sociale in Rosmini, Cedam, Padova 1957, pp. ; D. ZOLO, Il personalismo rosminiano, Morcelliana, Brescia 1963; F. TRANIELLO, Società religiosa e società civile, Il Mulino, Bologna 1966; pp. 17-134; M. SANCIPRIANO, Il pensiero politico di Haller e Rosmini, Marzorati, Milano 1968; G. CAMPANINI, Rosmini politico, Giuffrè, Milnao 1990, pp. 29-40; P. PRINI, Introduzio-ne a Rosmini, Laterza, Bari 1997, pp. 3-18; M. DOSSI, Profilo filosofico di Antonio Ro-smini, Morcelliana, Brescia 1998¸M. D’ADDIO, Libertà e appagamento. Politica e dina-mica sociale in Rosmini, Studium, Roma 2000, pp. 3-70. Sul pensiero della Restaurazio-ne si veda G. VERUCCI, La Restaurazione, in L. Firpo (a cura di), Storia delle idee politi-che, economiche e sociali, prima ed. 1975, Utet, Torino 1996, vol. IV. t. II, pp. 873-957 (su Rosmini pp. 930-939); P. PASTORI, Tradizione e tradizionalismi. Primi saggi, Micel-la, Lecce 1997.

3 Lettera di Rosmini a Polidori del 28 gennaio 1839, in A. ROSMINI, Epistolario filo-sofico, a cura di G. Bonafede, Celebes, Trapani 1968, p. 310.

4 Cfr. A. ROSMINI, Filosofia della politica, a cura di M. d’Addio, Città Nuova, Roma 1997; Idem, Filosofia del Diritto, acura di R. Orecchi, 6 voll., Cedam, Padova 1967-69.

5 Cfr. A. Rosmini, Politica Prima, cit.; G. Campanini, La Politica prima. Una ripro-posizione e una “scoperta”, Istituto Accademico di Roma (a cura di), Acta 2003-2004, Il Veltro, Roma 2004, poi in G. Campanini, Antonio Rosmini fra politica ed ecclesiologia, EDB, Bologna 2006, pp. 129-136.

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L’imponente mole di materiali che va sotto il nome di Politica Prima e di Politica Seconda non si comprende pienamente se non si collega alla polemica giovanile col Foscolo sulla felicità e col Gioia sul bene comune. Lo scetticismo del poeta tende ad identificare la felicità dell’uomo con le sua capacità di sperare. Rosmini nel saggio del 1822 intitolato Saggio so-pra la felicità6 osserva innanzitutto che la ragione umana, legata al suo inizio e alla sua fine a Dio, è determinata dall’aspirazione naturale alla felicità. Poiché questa tendenza è sempre vincolata ad un oggetto e l’aspirazione alla felicità del singolo è il suo diritto principale, essa rap-presenta anche il fondamento di ogni comunità giuridica. Lontano dal pensiero di Foscolo per cui la felicità debba ridursi ad un impossibile so-gno, come insegna un certo misticismo romantico, Rosmini invece pensa che sarebbe un destino crudele se l’uomo, che porta fin dalla nascita un desiderio di felicità, non possa mai vederlo realizzato pienamente per sé. Chi segue utopie irrealizzabili vive nella paura continua di fallire e finisce per morire di delusioni. La religione trasforma le illusioni in certezze, mantenendo ciò che promette, attraverso la vita di Cristo che ha vinto il peccato e la morte. La speranza, trasformata in sicurezza, ha permesso all’uomo di credere che la felicità non sia un teorema indimostrabile ma un destino già scritto. Dal punto di vista politico ciò in Rosmini si traduce nella visuale per cui «il diritto e lo stato incarnano – commenta K.H. Menke – la totalità dei mezzi per l’appagamento della tensione individua-le alla felicità»7. Già in questa posizione si avvertono quella della futura definizione della persona come «diritto umano sussistente».

Nel 1823 Rosmini compie un viaggio a Roma, per incontrare l’anziano pontefice Pio VII, simbolo dell’eroica resistenza al dispotismo di Napoleo-ne. Egli scrive dopo la sua morte il Panegirico alla santa e gloriosa memo-ria di Pio VII pontefice massimo8. Pio VII rappresenta ai suoi occhi il ba-

6 Cfr. A. ROSMINI, Saggio sopra la felicità (Rovereto 1822), rielaborato col titolo

Sulla speranza. Contro alcune idee di Ugo Foscolo, in Idem, Opuscoli filosofici, a cura di R. Orecchia, Cedam, Padova 1976, pp. 1-84. Se ne veda il commento di A. Giordano, Le polemiche giovanili di A. Rosmini, Centro Intern di St. Rosm., Stresa (VB) 1976, pp. 63-81.

7 K.H. MENKE, Ragione e Rivelazione, Il progetto apologetico di un’enci-clopedia cristiana, Morcelliana, Brescia 1997, p. 88.

8 Redatto nell’estate del 1823, viene letto alla Chiesa di S. Marco di Rovereto e sot-tposto subito alla censura austriaca, viene pubblicato anonimo e modificato nelle mode-

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stione posto dalla storia a difesa della giustizia disarmata contro il dispoti-smo e la violenza dei poteri mondani (simboleggiati da Napoleone). Fra i temi cari alla speculazione successiva del Roveretano c’è innanzitutto il ri-fiuto dell’asservimento della religione ai poteri costituiti: «Quei principi, che di religione fanno una serva alla politica, la rispogliano di quell’unica prerogativa per la quale potrebbe loro essere utile»9, cioè la sua libertà. L’aspirazione ad un irenica soluzione delle controversie internazionali per evitare il ricorso alla guerra attraverso la creazione di un tribunale politico sopranazionale deve essere posta poi sotto la guida spirituale e morale del pontefice, che mostra come la funzione di arbitrato internazionale a lui at-tribuita per la difesa dei diritti dei popoli e dei sovrani sia una condizione per superare in un clima di cristianità condivisa i conflitti delle nazioni qua-lora i loro rapporti fossero lasciati al libero gioco dei rapporti di forza. La rivendicazione dell’unità e della libertà italiana, infine, anche se per ora più in termini morali che politici, emerge da alcune pagine censurate dagli au-striaci: «Ahi, Italia! E tu in eterno sarai dannata a essere dagli stessi tuoi fi-glioli pur con parole doma, per ornare incatenata […] gli stranieri trion-fi?»10. Da cui parte la rivendicazione della libertà di un’Italia di cui egli au-spica il ritorno ai suoi alti destini. Il papato mantiene una missione sia spiri-tuale che civilizzatrice in assonanza col linguaggio del neoguelfismo.

A partire da una originale ripresa del pensiero tradizionalista che duran-te il periodo della Restaurazione vede informarsi delle riflessioni di von Haller, L. de Bonald e J. De Maistre, Rosmini polemizza contro la ragione astratta dell’illuminismo, che ha dimenticato di considerare la relazione fra storia e società. Esempio di questa metodologia che fa astrazione della concreta situazione storica in cui far calare idee e schemi politici è la filo-

nesi «Memorie di religione, di morale, di letteratura», a. IX, 1931, t. XVIII, f. 52-53, pp. 5-133, poi appare col nome dell’autore presso l’editore Veladini, Lugano 1834. Cfr. G.B., Nicola, Il Panegirico di Pio VII, «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», 1923 (fasc. unico), pp. 67-132; P. ZOVATTO, “Il Panegirico di Pio VII” di Rosmini, «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», a. LXXXVI, fasc. I, 1992, pp. 27-52; G. CAMPANINI, Un incunabolo del “neoguelfismo”. Il “Panegirico di Pio VII”, in L. Malusa-P. De Lu-cia (a cura di), Rosmini e Roma, Centro Internazionale Studi rosminiani-Fondazione Ca-pograssi, Stresa (VB)-Roma 2000, pp. 35-45, poi in G. Campanini, Antonio Rosmini fra politica ed ecclesiologia, EDB, Bologna 2006, pp. 35-48.

9 A. ROSMINI, Il panegirico di Pio VII, in Idem, Prose ecclesiastiche, I, Pogliani, Mi-lano 1834, p. 424.

10 A. ROSMINI, Il panegirico di Pio VII, in Idem, Prose ecclesiastiche,cit., p. 467.

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sofia di M. Gioia, il quale, riprendendo la concezione illuministica che stu-dia le società cercandone d’individuarne le leggi con l’esclusivo ausilio di scienze empirico-positive, soprattutto in economia, propone una interpreta-zione economicistico-edonistica della pubblica felicità. Per essa infatti la soluzione del problema della felicità dei cittadini è perseguibile attraverso la continua produzione di beni da consumare. Il primo limite individuato da Rosmini non consiste tanto nell’analizzare scientificamente il mondo economico, ma nel ridurre il problema eudemonologico a una soluzione edonistica. La felicità è un problema “morale” e non solo economico11. Il limite del sensismo nella definizione della ricchezza sta nel non considera-re anche l’esistenza di bisogni intellettuali e morali, per cui la sua filosofia materialistica «riduce tutto l’uomo al suo corpo, e perciò tutta la sapienza umana a delle speculazioni economiche»12.

Il lento abbandono del tradizionalismo patrimonialistico La Politica Prima risente della forte influenza della sociologia del tradi-

zionalismo, che non riflette più dei presupposti di carattere ontologico e di-viene solo una filosofia della società e della storia. Per Rosmini la religione cattolica ha offerto all’uomo un oggetto adeguato al bisogno costitutivo di felicità infinita insito nell’anima umana. Per questo risulta un mezzo politi-co non in senso strumentale, ma in quanto propone alla società il suo fine ultimo e la sua regola suprema: «la religione […] presta a pascolo delle a-nime degli uomini un Dio, cioè a dire un oggetto da tutte le parti infinito. La quale pertanto sarà la regola maggiore per misurare i politici mezzi, la più universale e la più costante, quella cioè a dire che suggerisce di trovare l’oggetto che sazii la universalissima e veementissima delle umane capaci-tà»13. Ecco messo a tema il rapporto tra politica ed eudemonologia. All’interno di un progetto che vede il Libro I dedicato alla ricerca delle re-gole per misurare il valore dei mezzi politici, il Libro II viene dedicato alla ricerca «del mezzo efficacissimo» in mano ai governatori a ottenere il fine

11 Cfr. D. ZOLO, Il personalismo rosminiano, Brescia, Morcelliana 1968, p. 52. 12 A. ROSMINI, Saggio sulla definizione della ricchezza (1827), in Idem, Opuscoli fi-

losofici, Città Nuova, Roma 1978, p. 16, n. 4. 13 A. ROSMINI, Politica prima, cit., p. 147.

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della politica, mentre altri frammenti dell’opera vedono Rosmini meditare il rapporto fra felicità e società, nell’intento di superare sul tema dell’appagamento quel sensismo che si fonda su una considerazione insuf-ficiente della natura umana. L’errore di molti scrittori politici è quello di ricavare la felicità dai semplici vincoli sociali senza tener conto politica-mente dei diletti della esistenza interiore. La pubblica felicità non poteva essere per Rosmini distinta dalla felicità dei suoi singoli componenti: «non so qual pubblica felicità vi possa essere se questa non risulta dalla felicità dei particolari […]. Il dire che è bene della società e non bene dei particola-ri, è contraddittorio. Purtroppo s’ingannano molti in questo fingendo esser-vi felicità di qualche ente astratto, che non ha esistenza altro che nelle men-ti»14. Egli qui mette in questione le pretese dispotiche della società sull’individuo a partire dalla rivendicazione del fondamento religioso e me-tafisico dell’aspirazione alla felicità.

I moti del ’20-’21 hanno mostrato a Rosmini la minaccia che le grandi forme delle società civili possono essere distrutte, se la saggezza politica non abbia deciso di adoperare di fronte ai mali estremi del tempo i rimedi giusti. Di fronte al male della caduta del sommo rispetto dovuto alle istitu-zioni del passato e dei vincoli sociali fra gli uomini sedimentati nella tradi-zione dei costumi, risulta per lui inefficace la violenza dei ceti popolari a «rimettere le antiche cose ma anche l’ignoranza dei principi che non per-cepiscono che il male non è opera accidentale di pochi sediziosi pensatori, ma del tempo»15. Attingendo a S. Tommaso, Rosmini afferma di volersi curare non degli aspetti accidentali, ma fissarsi sulla sostanza della società, ben sapendo che nella società umana operano due forze, una centripeta e una centrifuga: la prima tende a portare la società verso il suo limite infe-riore, cioè la sua disgregazione e la sua dissoluzione, la seconda la sospin-ge invece verso il suo limite superiore, che coincide con il massimo di feli-cità pubblica. Il pericolo maggiore delle società moderne viene dato dal prevalere delle dottrine politiche che contrastano con la natura spirituale dell’uomo. Egli condanna così prima i ‘politici avari’ come gli economisti inglesi, seguiti in Italia dal Gioia e da Romagnosi e dagli scrittori della Bi-blioteca italiana, che hanno cercato l’appagamento del desiderio umano nei beni esteriori, nell’aumento del consumo e nell’arricchimento. Se non è i-

14 Ivi, p. 103. 15 Ivi, pp 88-89.

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spirata a valori etici l’attività capitalista e commerciale è da condannare, perché dà massima importanza alla quantità dei beni prodotti, ponendo la scienza economica al servizio della ricchezza globale della nazione e ridu-cendo la felicità a quella pubblica dello Stato. Poi per Rosmini risulta dan-nosa la dottrina di Helvètius e degli enciclopedisti, per la quale lo Stato de-ve aumentare le occasioni di godimento fisico; i ‘politici effeminati’, infat-ti, considerando l’uomo sotto l’esclusivo aspetto fisico, presuppongono «che il bisogno di sentire sia una quantità costante, che perciò la felicità sia in ragione del numero dei piaceri»16. Infine non bisogna seguire i ‘politici selvaggi’, come Rousseau, che fanno l’elogio della rinuncia e sdegnano la ricchezze di cui sono privi, cioè i godimenti esteriori che non possono ap-pagare l’animo. È deleteria quella dottrina politica che oppone la felicità pubblica a quella privata, come se la prima potesse essere separata dalla seconda. Rousseau e i socialisti cercano fuori dell’uomo, in un ente astrat-to, la fonte della felicità, che per Rosmini risiede nell’uomo stesso, misura-ta dal grado con cui ognuno sente appagati i propri desideri. La vita in co-mune deve agevolare, non creare la felicità, che in quanto tale è singolare e non generale. Lo stato perfetto della felicità per Rosmini viene dato dalla vita contemplativa, dove essa è tutta interiore e non risulta dalla somma e-steriore delle felicità particolari. La società può cioè agevolare la ricerca della felicità personale, non costituirla, perché essa consiste nell’equilibrio tra beni, piaceri e appagamento: «Bisogna adunque che noi consideriamo non uno o due di quei tre elementi della felicità esterna, ma tutti e tre in-sieme e nel loro ordine, cioè subordinati ai piaceri, e i piaceri all’appaga-mento (che) è il fine dei primi due […]. L’equilibrio adunque fra i desideri e i bisogni e ciò che li appaga è la felicità»17.

La politica tende così a dare misura e regola all’economia, che tende ad accrescere ricchezze e piaceri. Questi sono in attesa della funzione re-golatrice di una filosofia politica che sia capace di individuare la propor-zione e la misura della capacità di accrescere ricchezze e piaceri. La feli-cità risulta dall’appagamento dei piaceri individuali, che non sono in pri-ma istanza esteriori, ma anche interiori e spirituali. Anche i piaceri morali però possono causare disordini, come nel caso dell’amore di potenza e di gloria, che possono degenerare in passioni violente ed egoistiche, quando

16 Ivi, p. 102. 17 Ivi, pp. 101-102.

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il loro oggetto non è fisso e reale. Rosmini pensa a Napoleone, che, mi-rando ad un inappagabile fine di gloria e potenza universale, ha sacrifica-to persone e cose a sé e dissolto vincoli sociali consolidati. Egli ha mo-strato che la Rivoluzione francese ha favorito il suo egoismo, perché di-struggendo ogni forma di vita comunitaria, ha disarmato gli individui contro l’egoismo dei pochi animati da un inesauribile amore di gloria e potenza. La nuova politica deve restaurare i vincoli sociali, offrendo all’amore di gloria non un oggetto egoistico e indeterminato, ma un bene naturale all’uomo, un bene pubblico come la patria, che è capace di ele-vare tale amore al desiderio di gloria comune: «la patria è la più vasta delle corporazioni cittadine, perché essa racchiude tutto il numero dei suoi cittadini, è l’oggetto più nobile della gloria, ella ne è la somma e giu-stissima regolatrice»18.

Qui si inserisce la profonda riflessione rosminiana sui destini dei pa-trioti italiani. Essi hanno tentato la via dell’insurrezione, ma non hanno considerato la condizione di debolezza dell’Italia, che a ciò è stata con-dotta da secoli di viltà, di servitù e di mollezza, legati al particolarismo medioevale, il quale ha impedito alla penisola italiana di formarsi come nazione. Il medioevo appare a Rosmini non un’età dell’oro da rimpiange-re secondo il gusto romantico, ma un’epoca brulicante di tiranni e di fa-zioni, che affondano le proprie radici nelle ataviche contrapposizioni dei piccoli Stati del periodo feudale. Ai promotori dei moti del ’21 egli dice: «In queste ribellioni non si guadagna nient’altro che la calamità […]. Co-sì la ribellione rischia di aprire la strada ad un nuovo potere dittatoriale, perpetrando così, per altra via, i guasti dell’assolutismo»19. Ciò non ha impedito a Rosmini di abbracciare sin dall’inizio degli anni ’20 la causa nazionale italiana, mostrando un dissenso coi rivoluzionari non rispetto ai fini (l’indipendenza dall’Impero asburgico), ma soltanto rispetto ai mez-zi. Se la rivoluzione rimane ristretta ad alcune élites che sono lontane dal sentimento popolare e manca all’Italia una educazione e una forza milita-re, i sommovimenti sono realisticamente destinati al fallimento. Il rinno-vamento della società non deve partire dall’astratta utopia rivoluzionaria, ma deve tener conto del bisogno di cambiare per il logoramento necessa-rio delle cose connesso al loro naturale inveterarsi.

18 Ivi, p. 143. 19 Ivi, p. 227.

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In tali tesi si rispecchia la frequentazione dei testi dei controrivoluzio-nari, come de Bonald e von Haller. Il primo è l’autore della Législation primitive (Parigi 1802) che rimprovera a Rousseau di aver rinviato l’uomo allo stato di natura che ha preceduto la società, come se conside-rasse l’uomo non venuto fuori dai vincoli sociali e familiari e insieme a lui non ci fossero il cielo, la terra, i genitori e Dio. Le istituzioni presup-pongono il linguaggio che è un fatto primitivo e universale e costituisce un deposito di saggezza rivelata da Dio all’uomo colla rivelazione. Per questo la ragione umana è indissolubilmente legata alla tradizione, da cui deve necessariamente trarre le leggi della società. Così l’idea di una im-pronta incancellabile di Dio nelle “pristine istituzioni” consente al giova-ne Rosmini, che si oppone all’idea di una astratta eguaglianza fra gli uo-mini e afferma che alla base dell’ordine sociale sta la naturale inferiorità e superiorità fra gli uomini come quella che esiste fra i governanti e i go-vernati, di proporre alle monarchie della Restaurazione un programma di autoriforma del loro potere, nel senso di temperarlo con riforme di carat-tere politico-amministrativo. C’è nel primo Rosmini la necessità di rico-noscere non solo l’intangibilità giuridica della proprietà di ciascuno, se-gno della sua forza e della sua differenza personale, ma nello stesso tem-po di assicurare uno squilibrio di proprietà e potere sempre maggiore fra superiori e inferiori, affinché la sovranità dei primi non venga minacciata dal fisiologico aumento dei secondi come popolo o nazione. È evidente la suggestione di von Haller, che nella Restaurazione della scienza politica (Lione 1816-25) ha affermato che la natura ha offerto mezzi e bisogni di-suguali agli uomini, producendo il dominio dei più potenti. Egli in tale opera si contrappone alla chimera dello Stato artificiale-civile con la teo-ria dello stato naturale del diritto signorile. Lo Stato è il risultato della na-turale sottomissione dei deboli al più forte, per essere da lui protetti e guidati politicamente. Von Haller concepisce lo Stato sul modello della famiglia patriarcale, nella quale il capo-famiglia esercita un potere incon-dizionato e la sua autorità viene sottoposta solo a quella di Dio. Lo Stato dovrebbe infine essere di piccole dimensioni come accade nelle ristrette comunità cantonali della Svizzera. Rosmini apprende queste idee nell’ambiente aristocratico della sua provincia, ma presto ne vede i limiti. Egli, che ne legge con l’ausilio della sorella i primi libri, affrontando il problema dell’origine della sovranità polemizza con le dottrine contrat-tualistiche, i cui princìpi contrastano con i fondamenti dell’ordine natura-

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le fra gli uomini coi loro diversi possessi acquisiti dopo la primitiva oc-cupazione. Da tale disuguaglianza e dalla conseguente superiorità di uno o di alcuni sorge la sovranità piena e incondizionata, ma subordinata solo ad un principio assoluto di giustizia. I superiori possono essere difesi dal-le ribellioni degli inferiori se quest’ultimi sono convinti che l’iniziale oc-cupazione delle terre sia stato un giusto titolo di possesso e che la pro-prietà sia un diritto inviolabile. Da questa premessa Rosmini deriva l’inconsistenza della rappresentanza personale, fondata sull’eguale diritto di tutti alla partecipazione al governo e sostiene invece il principio della rappresentanza reale commisurata alla proprietà e al patrimonio immobi-liare e mobiliare: «Lo scopo […] della società, a cui tutta si debbe rivol-gere, si è l’assicuramento della proprietà: i proprietari adunque […] han-no il diritto d’aver parte in questo governo, perché questo governo non è altro alla fine che una difesa della loro proprietà»20. Chi non ha proprietà non ha diritti perché l’amministrazione del governo è relativo agli inte-ressi dei proprietari. Le riforme hanno però consentito una partecipazione del ceto dei proprietari, degli intellettuali, dei professionisti, degli im-prenditori, dei commercianti al governo della cosa pubblica come uno dei mezzi più efficaci per eliminare condizioni di oppressione politica e civi-le. In lui quindi non c’è l’esaltazione halleriana dei privilegi dei gover-nanti, quasi fosse l’espressione dell’ordine divino, poiché il riconosci-mento della loro necessità non esclude l’ingiustizia. Ma egli sa che il go-verno debba spettare ai migliori per capacità e per merito e in questo pe-riodo continua a condividere l’idea che la pretesa che il popolo possa ambire alla sovranità come a un proprio diritto sia falsa: «quando la dot-trina della rappresentanza personale fu recata al suo colmo nella Rivolu-zione francese, allora poche centinaia al più di prepotenti sofisti decide-vano la sorte di trenta milioni, e si diceva operare ogni cosa in nome della nazione. Ma questi trenta milioni, dimando io, sono stati nemmeno con-sultati? […] La massa del popolo non cerca e non cercherà mai tanto, ma si sottometterà ben volentieri a que’ padroni che comandano […]. Questa opinione di potere radicata nella massa del popolo dimostra chiaramente, il popolo essere nato per venire diretto e condotto da capi»21.

20 Ivi, p. 170. 21 Ivi, pp. 163-164.

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Rosmini vuole seguire il movimento della stessa società, che si tra-sforma e degenera da aristocrazia in oligarchia, da democrazia a dema-gogia e da monarchia a tirannide. Per questo ricorda che la naturale costi-tuzione della società civile si debba fondare sulla proprietà e che il potere costituente dell’ordine politico debba essere riconosciuto all’assemblea dei proprietari, per cui il potere della monarchia si fonda su una iniziale concessione del potere di governare ad uno dei proprietari, con diritto di trasmetterlo ai suoi eredi: «In effetti Rosmini abbandona la concezione halleriana, patrimonialistica pura, del potere sovrano del Principe,» commenta M. d’Addio nella Introduzione «introducendo un principio di ‘costituzionalizzazione’ del potere delle Monarchie della Restaurazione, che ritrovano la loro legittimità nell’originaria delega dell’assemblea dei proprietari. Rosmini si rende conto dell’importanza della dinamica eco-nomico-sociale ai fini della stabilità dell’ordine, e ritiene che le tensioni e i conflitti fra proprietari e non proprietari possono trovare una vera com-posizione solamente quando si consegue un equilibrio fra il potere e la proprietà […]. Tale equilibrio si fonda in sostanza sulla stessa dinamica economico-sociale, sui mutamenti che essa apporta nella classe dei pro-prietari, che non è un’oligarchia chiusa, ma è caratterizzata da una mobi-lità ‘imposta’ proprio da quella dinamica […]: la classe dei proprietari si allarga man mano che cresce la ricchezza della società e il reddito degli associati»22.

Il suo pessimismo politico viene temperato dalla fede religiosa e ciò accentua l’importanza della religione come l’ottimo mezzo politico. Essa insegna l’impossibilità di esercitare alcun diritto sull’altrui persona e por-ta alla critica del potere privo di limiti a partire dalla concezione della Chiesa come istituzione libera, che in quanto tale viene posta a difesa dei diritti naturali e acquisiti dell’uomo. In Rosmini c’è anche l’affermazione di una norma eterna conforme alla giustizia che può limitare la tendenza alla tirannide da parte del principe sulla base dell’idea che la legge natu-rale iscritta in ogni cuore da Dio costituisca un argine contro il dispoti-smo del potere. L’assolutismo è stato alimentato invece dalla visione pro-testante, che, producendo la separazione tra Stato e Chiesa, ha finito per legittimare l’interferenza del primo sulla seconda. Avendo interiorizzato l’idea teocratica, invece Rosmini non presta il suo consenso né alle diver-

22 M. D’ADDIO, Introduzione a A. Rosmini, Politica Prima, cit., pp. 30-31.

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se forme di giurisdizione politica sopra le cose religiose né a quelle d’intervento della Chiesa negli affari pubblici.

Negli ultimi libri della Politica Prima affiorano elementi diversi, se non sul piano dei princìpi, almeno su quello della loro applicazione. In Rosmini si accentua innanzitutto l’idea che il cristianesimo abbia introdotto una modificazione dei rapporti sociali esigendo il rispetto della personalità e delle libertà di tutti anche nell’ordine politico. Il rischio diventa progressi-vamente che l’assolutismo dei prìncipi comporta una diminuzione della li-bertà della Chiesa. L’esperienza della Riforma protestante ha mostrato che l’estensione illimitata del potere politico ha inaugurato un sistema arbitra-rio e dispotico, che non ha più trovato un argine nell’indispensabile suppor-to della religione. Il dispotismo non appartiene solo all’assolutismo, ma an-che ai sistemi rivoluzionari che non riconoscono limiti alla sovranità. Af-finché siano tutelati gli interessi del popolo intero occorre stabilire una re-lazione fra il principe e il popolo, le cui informi aspirazioni ed esigenze de-vono trovare ordine nella forma unitaria impressa ad esse dal principe. I rivoluzionari italiani per lui sbagliano invece nell’opporre popolo e princi-pe nel cercare l’indipendenza. Nella conclusione il principe non appare ad-dirittura più come la forma, ma è l’immagine e l’amministratore del popo-lo-materia. La monarchia non è più assoluta ma si costituzionalizza come monarchia-repubblica temperata da tale regola: il principe «potrà per siffat-to modo perfezionare la monarchia che s’innesti il principio della repubbli-ca; quando egli degni considerarsi non tanto come il signore […] ma come tal signore che, amministrando lo Stato, tiene per sua privata regola, e rego-la somma, delle sue azioni, d’esser l’interprete e l’immagine di tutto il cor-po dello Stato»23.

Quando Rosmini soggiorna a Milano, il distacco da molti punti di vi-sta dei pensatori della Restaurazione viene preparato dall’idea che l’uomo è fatto per la felicità e che l’oggetto dell’uomo reale, non quello in gene-rale delle ideologie rivoluzionarie atee e materialistiche, rimane Dio, che è il fondamento eudemonologico sia del singolo sia della società, perché appaga tutto l’uomo nella sua concretezza di anima e corpo. I membri della società si sentono uguali e affratellati dalla comune dignità sopran-naturale del loro destino e ciò sta a fondamento anche della loro felicità sociale. La felicità soprannaturale determina ogni forma di felicità socia-

23 Ivi, p. 507.

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le, perché ne costituisce la sua continuità necessaria: «legge costituente della società fra gli uomini si è che più persone individue sieno congiunte per modo fra loro, che formino una sola persona morale […]. Né società può dirsi quella, nella quale una sola persona è fine e le altre compaiano e non si presentino che nella qualità e relazione di cose, come mezzi […]. Bisogna all’incontro che tutti quegli individui abbiano un solo fine, al quale l’uno non discordi dall’altro […]. La società di servitù e di signoria non è dunque vera società ma è detta così impropriamente»24.

Rosmini non accetta l’indifferenza dello Stato verso la pratica di questo o quel culto religioso e attribuisce all’autorità politica il ruolo di difendere la fede della maggioranza dei propri sudditi, ma ci tiene ad affermare che non si possa adoperare altra forza che quella della persuasione morale per convincere a lasciare le “false” religioni e abbracciare quella vera. Il catto-licesimo insegna che il fine ultimo e assoluto dell’uomo è posto in un’altra vita e dunque fuori della società civile, fornendo a questa lo scopo di rea-lizzare secondo le sue possibilità il fine prossimo e relativo di tutti i suoi membri, ossia promuovere per essi il diritto essenziale alla felicità, il solo diritto inalienabile. Nel Libro I troviamo scritto: «Dico adunque che il de-siderio della universal beatitudine primieramente è nell’uomo essenziale e cerca un posto in tutte le cose e di natura e di sopra natura. Questa brama non è già come tutte le altri parziali, […] le quali sono fittizie»25. L’idea religiosa dell’appagamento ultimo dell’uomo in Dio, da un lato, da un sen-so non reazionario alla critica rosminiana del radicalismo rivoluzionario e alla sua difesa della tradizione, e dall’altro conduce ad un concetto non funzionalistico e meccanico della società civile, che viene considerata fina-lizzata alla massima felicità possibile di ciascuno dei suoi membri, ossia ad un reale bene comune e non ad un fittizio bene pubblico. Non si tratta di affidare al popolo capacità di governo che non ha, ma di mettere al suo servizio chi può aiutarlo a dirigersi al suo fine, per cui governare è servire. L’autoriforma che egli auspica deve dare ai popoli tutte quelle libertà che corrispondono al livello della civiltà cui sono pervenuti. Se il popolo è un essere morale, la sua obbedienza non promana dalla sua passività, ma dal fatto di essere un soggetto attivo: «Il potere del principe deve ridursi tanto quanto è aumentata la capacità del popolo di realizzarsi come ‘essere mo-

24 Ivi, p. 512. 25 Ivi, p. 146.

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rale’»26. In ciò sta la trasformazione del progetto di autoriforma delle mo-narchie in costituzionalizzazione del potere nel Rosmini di queste pagine.

Negli scritti composti fra il 1826 e il 1827, denominati Politica Secon-da, l’idea ispiratrice è che il vincolo sociale è un legame spirituale e che la società è una “persona morale”. Società per eccellenza è la “società eccle-siastica”, in cui, in vista della felicità soprannaturale, si realizza una vera unità fra i suoi membri. Su di essa si devono modellare la società domesti-ca e la società civile. Quest’ultima, che ha come scopo la felicità naturale e riflette in modo imperfetto i principi della società ecclesiastica, deve co-munque sempre fondarsi sul riconoscimento che tutti i suoi membri sono reciprocamente legati da un vincolo di carità, che fa sì che la superiorità di alcuni non implica il loro dominio sugli altri, ma solo la loro disposizione a governare secondo una prospettiva di servizio. La “legge costituente” della società cioè ha lo scopo di adeguare la struttura esterna di essa alla sua na-tura interna. La società serve così al perfezionamento della persona, cui tut-to deve subordinarsi. Rosmini respinge in questo modo il tipo di società si-gnorile illustrato nella Politica Prima, ove è ancora considerata legittima quella società in cui esiste il diritto di dominio di uno sopra altri uomini. Ciò discende dal fatto che nella società umana la congiunzione di più per-sone implica la formazione di una sola persona morale, che lega l’aumento della felicità individuale al godimento di essa in comunione con i suoi con-simili. In questo senso si comprende l’influsso del cristianesimo, che ri-spettando le persona nel vincolo d’amore, fa della invisibile repubblica del-le anime (la società ecclesiastica) la società senza altra misura volta ad in-segnare la libertà all’uomo. Perciò tutti si devono sentire membri di una società che è una sola persona. Le società accidentali come le repubbliche letterarie che favoriscono l’aumento dei lumi, sono comunque subordinate alla “società del genere umano”, in cui viene conservata l’istanza etica uni-versalistica della società ecclesiastica. Essa ha lo scopo di conservare la fe-licità e la virtù, cioè tutta la moralità, sapendo che i diritti dell’uomo prece-dono lo Stato e la società civile. La parzialità della società civile sta nel fat-to che il suo scopo immediato consiste nell’ordinare la parte di moralità che riguarda la giustizia esterna fra gli individui, ovvero la sola regolazione della modalità dei diritti. La proprietà continua a determinare un diritto e un certo tipo di libertà, ma non può essere considerata il fondamento della

26 M. D’ADDIO, Introduzione, cit., p. 54.

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società, che è invece ora più chiaramente per lui quell’unione di persone volte a realizzare, con il legame sociale e la reciproca carità, una libertà più ampia, riconoscendo Rosmini a ciascuno il diritto alla proprietà e al miglioramento delle proprie condizioni materiali. Per rinnovare la società è per lui ormai chiaro che è necessario ed indispensabile riformare la Chiesa. Ciò è possibile sulla base della distinzione della società religiosa dalla società civile, che non può essere subordinata alla prima. La società religiosa esercita la sua influenza sulla società civile indirettamente, favorendo la libertà di coscienza degli individui all’interno della società familiare e della società teocratica. Ma lo Stato non deve rimanere indifferente al fatto religioso se fra i suoi compiti c’è quello di aiutare i cittadini a perseguire i loro fini di perfezionamento morale.

Il Tribunale politico: l’immanentizzazione costituzionale della giustizia A partire dal secondo soggiorno milanese del novembre 182627 la ri-

flessione rosminiana si arricchisce attraverso il confronto con un ambien-te che ha assorbito molti dei temi provenienti da oltralpe. Crescono in lui gli elementi di dura critica condotta contro la società signorile e conse-guentemente assume sempre più importanza la categoria della libertà, per cui la dipendenza dal dominio di un signore è contro la natura della socie-tà, un elemento ad essa eterogeneo. Un conto è essere soggetto alla legge da tutti voluta, che è compatibile con lo stato di diritto, ed un altro è la subordinazione al dispotismo. La transizione dalla società signorile alla società civile è possibile solo riconoscendo i fondamentali diritti di liber-tà, che gli uomini possono vedere difesi se esiste un sistema della rappre-sentanza. Questi temi, che sono elaborati compiutamente nella produzio-ne del Rosmini maturo della Filosofia della politica e della Filosofia del diritto, sono presenti già in nuce in Della naturale costituzione della so-cietà civile (1827)28, in cui la rimozione di ogni forma di dispotismo si

27 Cfr. S. MUSCOLINO, Genesi e sviluppo del costituzionalismo rosminiano, Palumbo,

Palermo 2006, cap. II: La svolta milanese e gli scritti maturi. 28 Cfr. A. ROSMINI, Della naturale costituzione della società civile (1827), ed. po-

stuma a cura di F. Paoli, Grigoletti, Rovereto 1887.Cfr. M. MASCIARELLI, Il problema della società civile secondo A. Rosmini, PUL, Chieti 1990.

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può ottenere fondando la società civile sulla giustizia e garantendo a tutti i cittadini la libera espressione della loro volontà.

In questo testo egli dice che il carattere della giustizia è così essenziale alle società civili che, pur in mezzo ad usurpazioni ed ingiustizie, esse non hanno mai di smesso ricercarla e ostentarla. Anche gli usurpatori hanno sempre cercato di prendere la faccia di uomini probi, sapendo che l’opinione di giustizia muove gli uomini. Il desiderio di giustizia alberga nel cuore umano ed è stato sentito da tutte le società, che hanno posto come supremi uffici i tribunali. Giusti sono i comportamenti finalizzati a costruire, conservare e sviluppare una pacifica, equilibrata e armonica so-cietà, ingiusti i comportamenti che impediscono, disturbano e rallentano la costruzione di tale società. La giustizia è una necessità originaria che s’impone come principio regolatore della società: la libertà di uno non può espropriare lo spazio dell’altrui libertà. Questa, che è da sempre un bisogno da riconoscere nei suoi limiti, deve essere però guidata, ordinata per aprirsi alla libertà degli altri, non può immiserirsi nell’egoismo gretto dell’utilità. A ciò presiede il principio della giustizia, che non si pone contro l’utilità in sé, ma come fondazione e radice dell’utilità di tutti, ga-rantendone l’uguaglianza. Il pericolo è quindi che l’utilità persista da so-la. La giustizia s’incarna nella storia in un divenire di eventi storici im-perfetti, essendo l’essenza della perfezione delle leggi; la giustizia dà va-lore positivo al diritto positivo. Per garantire la giustizia Rosmini propone il Tribunale politico, formato da uomini retti ed eletti da tutti i cittadini col compito fondamentale di decidere se e quando venga violata la giu-stizia nei rapporti fra Stato e cittadini. Egli constata amaramente lo strido-re di una incompiuta giustizia nelle società civili proprio appunto per l’assenza di un Tribunale politico, che ha fatto sì che l’autorità civile ri-manesse dispotica, lasciando alle società un lato indifeso legato psicolo-gicamente al fatto che gli uomini desiderano vedere esercitata la giustizia verso se stessi piuttosto che impegnarsi ad esercitarla verso gli altri. L’urgenza del Tribunale politico è dato dal fatto che «è sempre necessa-rio che innanzi a qualunque disposizione governativa preceda un giudizio sulla giustizia della medesima»29. Il giudizio che l’autorità civile porta su se stessa è piuttosto un autocontrollo, che dovrebbe essere sempre pre-sente nell’autorità come viva coscienza di volere e dovere operare con-

29 A. ROSMINI, Della naturale costituzione della società civile, cit., p. 26.

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formemente «alle leggi dell’eterna giustizia»30. Il diritto dei deboli rimar-rebbe gravemente esposto se chi ha il potere non fonda il proprio governo sulla moralità. Neppure la democrazia può garantire il fragile diritto dei deboli, perché la maggioranza dei cittadini può tiranneggiare le minoran-ze. Alla base del diritto deve esserci quindi per il Roveretano l’etica.

Egli si propone di risolvere il problema di chi deve pronunciare tale giudizio sulla giustizia. Abbandonare tale giudizio a coloro che lo pro-nunciano è cadere nel dispotismo. Quale organo istituzionale deve emet-tere tale giudizio? Sono tre i governi nei diversi stadi di maturazione della società: 1) c’è lo stadio di accettazione del governo assolutistico, per cui «tutto ciò che si può fare si è che sieno eletti dei buoni governatori, ai quali il popolo ciecamente si sottometta»31, affermando con ciò che l’assolutismo viene pacificamente accettato; 2) si dà poi lo stadio di criti-ca al governo assolutistico, ove si ricerca la maniera di «ottenere che il governo civile dia a tutti i cittadini sufficienti guarentigie, le quali assicu-rino la giustizia delle sue disposizioni»32; 3) esiste infine lo stadio di rivo-luzione contro il governo assolutistico, che è per Rosmini quello della co-scientizzazione del popolo ad avere una gestione politica giusta, anche se mantiene l’imperfezione di contenere sotto nuove forme l’assolutismo; il passaggio da una rivoluzione all’altra per l’evoluzione dell’istruzione non modifica la situazione di ricerca della giustizia e della libertà.

Rosmini è consapevole che il dispotismo genera le rivoluzioni, che na-scono da un’istintiva ma non meditata avversione ad esso; ma da tutto ciò si genera un circolo vizioso che dà luogo a nuove forme di dispotismo, da cui non è possibile uscire limitandosi a ribaltare le strutture di potere. Oc-corre operare in profondità nella società civile. Originariamente la società vede sempre emergere il diritto dalla forza, che vede affermarsi il potere di pochi. Ad essi non resta che governare facendo appello alla propria retta coscienza. Ma il progresso della civiltà fa aumentare nel popolo la doman-da di giustizia, che se viene respinta dai governanti genera le rivoluzioni. Siano esse aristocratiche (è il caso della rivoluzione inglese), siano demo-cratiche (come la rivoluzione francese), esprimono istanze presenti e radi-cate nella società civile. Ma la coscienza popolare talvolta è ancora imma-

30 Ivi, p. 27. 31 Ivi, p. 26. 32 Ivi, p. 25.

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tura e mancano spesso meccanismi giuridici di garanzia dei cittadini, come nel caso della rivoluzione francese: «si pensò a limitare la potenza del go-verno, a impedirgli o a difficultargli quegli atti che furono esperimentati notevoli nei governi precedenti, ma non si pensò a controllare il giudizio sulla giustizia di tutti i suoi atti: la responsabilità di questo giudizio fu pel maggiore numero de’ suoi atti abbandonata alla sua coscienza»33. L’antiperfettismo di Rosmini ritiene insufficiente una limitazione del pote-re realizzata sul piano esclusivamente morale e considera necessario predi-sporre adeguate misure giuridiche. Senza tali garanzie nascono contrasti fra i princìpi di libertà astrattamente affermati e le strutture di potere, che an-che nel caso siano democratiche non escludono l’assolutismo nel governo. Nasce di nuovo il risentimento nel popolo, che passa di rivoluzione in rivo-luzione, con cui si spera sempre nell’instaurazione della giustizia: «Così gli stati camminano di rivoluzione in rivoluzione, e non possono arrestarsi in questa serie di dolorose vicende fino a tanto che non abbiano espulso dai visceri de’ loro governi il dispotismo sotto tutte le forme, e così abbiano resi veramente civili obbligandoli ad operare non più con l’arbitrio ma se-condo la norma della giustizia»34. Per questo secondo lui l’acquisizione di un governo secondo giustizia è legato all’istituzione di un Tribunale politi-co, con cui non si governa più secondo l’arbitrio ma secondo giustizia: «o-ra a questo si sarà pervenuto solamente allora che nella società vi sia un tri-bunale venerabile e indipendente il quale sia incaricato alla opportuna oc-correnza di chiamare a censura la giustizia di tutti gli atti di governo, di tut-te le leggi»35. Esso non pone a censura solo la legge costituzionale senza la quale non può pronunciare e motivare le sentenze.

La giustizia politica ha bisogno di essere amministrata da un Tribunale politico, perché non bastano i tribunali ordinari volti a definire le questioni tra privati; c’è anzi bisogno di un tribunale competente a difendere i privati dal pericolo di eccesso di potere da parte dello Stato. In ciò sta il realismo della filosofia giuridico-politica rosminiana, che sa che l’ingiustizia politica si concretizza nel favorire interessi partitici, castali, particolari e di classe. I cittadini devono trovare invece in un Tribunale la difesa da eventuali offese provenienti dallo Stato, tenendo conto che la società civile ha solo la possi-

33 Ivi, p. 27. 34 Ivi, pp. 27-28. 35 Ivi, p. 27.

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bilità di regolare la modalità dei diritti delle persone senza poterli contrasta-re. I diritti della persona precedono la costituzione della società civile. Così il Tribunale politico ha un compito riparatore, vuole scoprire se si sia mai dato danno alle persone da parte dell’amministrazione e stabilire l’oggetto e la modalità di una piena riparazione. La sua azione non è sincronica ri-spetto all’amministrazione dell’esecutivo, ma avviene dopo, rimediando ai suoi cattivi effetti. Mentre l’amministrazione deve fare ciò che crede utile, il Tribunale politico vuole verificare ed eventualmente rimediare alle azio-ni inutili e ingiuste di essa. Esso non diminuisce la giusta autonomia dell’amministrazione, ma veglia sul rispetto dei confini di competenza giu-ridica di essa. Il livello su cui agisce l’amministrazione è quello di regolare la modalità di esercizio dei diritti, non fonda i diritti dei cittadini. La perso-na è il diritto sussistente, cioè l’essenza del diritto. Sulla modalità dei diritti si esercita illimitatamente il potere dell’amministrazione tenendo conto che il campo di essa non è illimitato, ma risulta appunto limitato dai diritti. Il Tribunale politico sorveglia e custodisce il rispetto del confine che separa modalità dei diritti e valore oggettivo e reale di essi. Stretto è il legame fra Tribunale politico e diritti dell’uomo: «È cosa innegabile che ogni uomo abbia dei diritti i quali, appunto perché sono coll’uomo innati, si possono chiamare i diritti dell’uomo»36, fra cui il riconoscimento della personalità e il rispetto della vita. Tali diritti sono difesi in un luogo della rappresentanza dei diritti, in cui anche i non proprietari se li vedano garantiti al di là delle normali strutture amministrative della società civile. Esso non può essere per lui il Parlamento, che «rappresenta la nobiltà e il popolo, cio è a dire rappresenta gli amministrati: essi non possono dunque essere giudici, per-ché sono parti»37. La distinzione fra amministrazione e Tribunale politico non equivale però a opposizione, perché il secondo aiuta la prima per mez-zo dell’esecuzione del compito di giudicarne la giustizia scaricata da quel-la. D’altronde il confronto non si dà tra Tribunale politico e amministrazio-ne, ma fra i membri della società e l’amministrazione. Il tribunale politico ha anche il compito di inibire le manifestazioni contrarie al diritto. Per fu-gare ulteriormente il sospetto di una opposizione tra Tribunale e ammini-strazione, Rosmini sostiene che, pur avendo il primo la dignità di giudicare l’amministrazione e la magistratura ordinaria, la sua funzione non è pura-

36 Ivi, p. 45. 37 Ivi, p. 328.

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mente giudiziaria ma è d’ordine costituzionale e amministrativo: difende il popolo, il debole contro il forte, le minoranze contro le maggioranze. Per questo esso è di base democratica. Democratica è infatti la giustizia politi-ca, perché esige «che tutti gli uomini e tutte le persone morali si consideri-no uguali quando vengono […] giudicate; è democratico perciò non in quel senso che tutti gli uomini vi abbieno parte, ma nel senso che tutti gli uomi-ni vi possono aver parte»38. Il carattere non solo politico ma metapolitico è dato poi dal fatto che, secondo F. Traniello, è «espressione di quei diritti personali, ai quali nella sfera della società politica è dal Rosmini ricono-sciuta una semplice rappresentanza passiva avendo essi la loro esplicazione in un altro tipo di società»; è «espressione della coscienza generale come somma dei princìpi eterni e universali che il Roveretano […] ritiene pie-namente incarnati nella medesima società ecclesiastica»39, non confidando in strumenti giuridici e politici, ma nella pura coscienza, la coscienza reli-giosa. Il tribunale politico confida nella pubblica opinione, che guarda ad esso come caparra della libertà di tutti. Esso deve essere eletto a suffragio universale e potranno farne parte cittadini scelti per la loro virtù, integrità e saldezza contro la corruzione. Le difficoltà derivanti dalla iniziale farragi-nosità e lentezza saranno risolte poi dalla composizione di un apposito co-dice fino alla creazione di una giustizia politica sulla base di una compro-vata giurisprudenza costituzionale.

Traniello ha opportunamente osservato che «l’avvio al costituzionali-smo procede dal tentativo di delineare un’organizzazione sociale ispirata al cristianesimo ma sfuggente alle soluzioni teocratiche»40. Negli elementi metapolitici che ispirano il Tribunale politico c’è una forte ispirazione cri-stiana non maculata d’integrismo, pur avendo una qualche derivazione dall’idea della monarchia cristiana elaborata nel Panegirico di Pio VII. Il Tribunale è un organo elettivo, laico, statale, espressione della rappresen-tanza politica dei diritti, frutto di elezione popolare operata a suffragio uni-versale. Con ciò egli intende combattere il dispotismo e la tirannide, in re-lazione alla tesi che nella storia il cristianesimo si è presentato come nemi-co di ogni dispotismo, incarnando così il Tribunale politico un’idea morale frutto dell’amore della pura giustizia. Tra l’altro il compito etico del tribu-

38 Ivi, pp. 331-332. 39 F. TRANIELLO, Società religiosa e società civile, Il Mulino, Bologna, 1966, p. 126. 40 Ivi., p. 122.

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nale politico porta gli Stati a comportarsi secondo canoni di civiltà e di giu-stizia, spingendoli «ad operare non più con l’arbitrio, ma secondo la norma della giustizia»41, concretizzando un ideale civile e cristiano.

Chiarificazioni metafisiche e questioni ecclesiologiche: il tema della laicità

La svolta politica richiama un approfondimento della questione filosofi-

ca, già annunziata in un lungo frammento sul Diritto naturale, ove chiari-sce il senso dell’esistenza di una legge naturale universale, immutabile e innata, che nelle sue applicazioni può dare luogo a sue differenti specifica-zioni. Citiamo Rosmini: «Ci vuole una grande ignoranza o pure una grande perversità a pretendere che tutto il Diritto naturale non sia altro che un ef-fetto del clima e delle abitudini […]. Un poco di attenzione basta per rico-noscere che tutte le apparenti modificazioni a cui si vede andar soggetto il diritto naturale presso i differenti popoli non riguardano punto quella legge morale da cui il diritto discende che costituisce i diritti e che obbliga a ri-spettarli: ma che restando questa semplice, inflessibile, immutabile, rice-vono una grandissima varietà le sue diverse applicazioni. Le diverse appli-cazioni della legge non costituiscono già propriamente nuove leggi: mentre non sono altro che diversi modi nei quali la legge che viene applicata mani-festa la sua forza obbligante»42. L’uomo scopre nell’esperienza di essere un giudice di ciò che lo circonda, ma anche che la regola generale con cui giudica precede tutti i giudizi; tale regola è innata: «dunque l’idea più a-stratta di tutte debb’essere innata nell’uomo, e questa è quella che io nomi-no FORMA DELLA VERITA’»43. L’interesse rosminiano per la politica lo spinge ad approfondire la questione teoretica centrale della sua maggiore opera: la conoscenza e la struttura dell’essere affrontati nel Nuovo saggio sull’origine delle idee pubblicata a Roma nel 1830. Come gli suggerisce Tommaseo, accantonare i problemi politici per un maggiore approfondi-mento delle questioni filosofiche ed ontologiche avrebbe dato alla sua ri-

41 A. ROSMINI, Della naturale costituzione della società civile, cit., p. 28. 42 A. ROSMINI, Frammento 4 sul Diritto naturale, in Idem, Politica Prima, cit., p.

651. 43 Ivi, 658.

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flessione una maggiore coerenza, perché risulta ancora legata ad una im-matura aderenza alle teorie tradizionalistiche. Egli capisce che occorre ab-bandonare la tesi di De Maistre secondo cui la Rivoluzione francese non sarebbe solo la manifestazione degli errori radicati nel seno della moderni-tà, che hanno operato in favore dell’affermazione della sovranità popolare violando il principio dell’autorità, dando a Dio la occasione di una azione punitiva per gli uomini, ma l’espressione di un disagio presente nei popoli. Dunque Rosmini non consente più con il pessimismo antropologico del De Maistre collegato al suo determinismo e panteismo teologico politico che svaluta l’uomo e la sua libertà. Commenta G. Solari: «Soprattutto il Ro-smini doveva respingere la confusione dell’ordine naturale coll’ordine so-prannaturale, per cui era negata la legittimità dell’ordine temporale e l’importanza decisiva delle cause seconde nella storia e nella politica»44. Il frutto di questo distacco è sul piano filosofico il Nuovo Saggio. Analizzan-do il giudizio, risulta che in esso si trovano la nozione dell’essere ideale i-niziale, che è invariabile, e le determinazioni o modi dell’essere, che sono l’elemento variabile. L’uno è la forma o predicato e l’altro è la materia del giudizio. La forma non è ricavabile per astrazione o per giudizio, ma piut-tosto li permette ed è la condizione che li spiega. Essa è l’idea dell’essere. Tale a priori, che non si ricava cioè dall’esperienza, non è come in Kant soggettivo, ma è oggettivo per essenza. Ma perché si dia conoscenza nella percezione intellettiva, occorre che vengano fornite le determinazione dell’essere attraverso le sensazioni, che costituiscono la fonte dell’essere reale. Esse sono il prodotto di uno stimolo sul nostro organismo che avvie-ne fuori della nostra soggettività presupponendo un agente esteriore. Nella sensazione vi siamo noi che veniamo modificati e qualcosa che non siamo noi e che ci provoca con certezza una passione. Non è ancora oggetto, il quale presuppone quella percezione della passività che è quel sentimento unico di noi come corpo che viene da lui chiamato il sentimento fondamen-tale. Da esso dipendono i sentimenti secondari. Il sentimento fondamentale ha non solo valore psicologico e gnoseologico, ma anche metafisico, se è vero che Rosmini lo intende come forma universale delle sensazioni, come l’idea dell’essere spiega l’intelligibilità originaria dei giudizi. Riprendendo dopo le ‘amnesie’ e le ‘banalità’ della filosofia moderna il progetto di una fondazione razionale della metafisica a partire dalla riscoperta dei tesori

44 G. SOLARI, Studi rosminiani, a cura di P. Piovani, Giuffrè, Milano 1957, p. 133.

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speculativi della fede cristiana, Rosmini pone per un verso un ostacolo alla tradizione illuministica che crede di aver definitivamente liquidato il feno-meno religioso come irrazionalità e come illusione, ma dall’altro sa di sfi-dare anche la radicale diffidenza antifilosofica che è una componente im-portante del tradizionalismo cattolico del suo tempo, incapace di superare il trauma rivoluzionario avendo erroneamente identificato la ragione umana con l’aborrita raison dei philosophiques. Ora questa idea dell’essere è stata scoperta da Rosmini a partire dall’approfondimento dell’idea universale di giustizia, che insieme al principio metaempirico della forma della verità, costituiscono l’essenza della personalità: la questione centrale secondo Bulferetti diventa allora quella di «studiare la possibilità della sua estrinse-cazione sociale, e le sue garanzie ad essa necessarie, costruire, cioè, un si-stema ‘naturalmente giuridico’, un ‘diritto naturale’ sul quale edificare, e-terno quanto il principio di personalità, e mutabile colle necessità storiche contingenti»45. Affinché l’utile non pregiudichi né violi mai il giusto c’è bisogno che l’immutabile giustizia sia posta a garanzia dell’utile di tutti at-traverso la via della costituzionalizzazione del potere, che sarà analizzata con profondità nella Costituzione secondo giustizia sociale e nella Filoso-fia del diritto.

Nel 1832 Rosmini finisce di scrivere senza pubblicarle le meditazioni intorno all’opera Cinque piaghe della Santa Chiesa, che infatti uscirà so-lo nel 1848 insieme alla Costituzione secondo giustizia sociale, le quali saranno condannate dall’Indice con una formula che sarà dimessa nel 1854, un anno prima della morte del Roveretano46. Affinché la Chiesa possa mantenere la sua funzione di civilizzazione dei popoli, occorre svi-luppare i princìpi eterni del cattolicesimo nel senso che possa portare or-dine, pace ed amore nella società estendendo il lume della verità ovun-que, sostnendo Rosmini la dimensione societaria del cristianesimo. Per questo la Chiesa è indisgiungibile dalla sua forma istituzionale, anche se la comunità invisibile dei fedeli non coincide meccanicamente con la sua rappresentazione sensibile che è la Chiesa. Nel saggio di confutazione

45 L. BULFERETTI, Antonio Rosmini nella Restaurazione, cit., p. 205. 46 Cfr. R. BESSERO BELTI, La questione rosminiana, Centro Int. di St.Rosm., Stresa

(VB) s.d. (ma 1989); L. Malusa (a cura di), Antonio Rosmini e la Congregazione dell’Indice. Il Decreto del 30 maggio 1849, la sua genesi ed i suoi echi, Ed. Rosminiane, Stresa (VB) 1999.

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dell’opera di Constant Della religione del 1829, il filosofo roveretano ap-prezza la sua critica ai politici che considerano la religione come mezzo di utilità pubblica, ma per lui la constantiana tesi del sentimento religioso riduce la religione ad appagamento puramente individuale che reintrodu-ce un elemento utilitaristico nella considerazione della religione. Il senti-mento di Constant è cioè privo di ragione, cieco ed incapace di muoversi e svilupparsi. Quella constantiana è una religiosità romantica, cui egli contrappone una concezione razionale e positiva della religione; giudica-ta dal punto di vista della sola ragione, quella di Constant, che è un prote-stante, ignora che la comunicazione dell’uomo con Dio si fonda su un primum razionale che è l’idea dell’essere, il quale mostra l’antecedenza ad ogni sentimento religiosa di un’idea nello spirito umano creata da una divinità che diventa il summum bonum della creatura umana. Non è vero che nella divinità non c’è nulla di storico, perché il fondo della religione è tradizionale ed immutabile, fornendo un lume razionale all’uomo senza escludere che le idee religiose possano avere un ambito di perfettibilità, dispiegando il cristianesimo luce sull’oscurità delle verità religiose e al-largando l’influenza sui rapporti sociali47.

Queste idee preparano i contenuti delle Cinque piaghe della Santa Chiesa finita nel 1832 Ma pubblicata solo1848, in cui Rosmini denuncia i mali gravissimi della Chiesa: 1) la divisione del popolo dal clero; 2) l’insufficiente educazione del clero; 3) La disunione dei vescovi; 4) la no-mina dei vescovi; 5) la servitù dei beni ecclesiastici. I temi sono tra loro strettamente legati. Un clero privo d’istruzione che si rivolge all’intelletto e non al sentimento porta ignoranza anche al popolo. I vescovi una volta e-rano padri e maestri per i fedeli, ma si sono trasformati oggi prevalente-mente in politici, le loro case sono divenuti corti e l’amore per essi da parte dei preti si è cambiata in soggezione. Il loro potere orienta la vita dei preti in occupazioni di carriera e di guadagno. I vescovi poi erano un tempo uni-ti nella fede, speranza e carità, ma l’interesse li ha divisi e la ricchezza è rimasto l’ultimo scopo. Si è creduto che le ricchezze della Chiesa coinci-dessero con essa, ma in tempi d’incredulità il rimedio della scomunica non funziona più; occorre alleggerire la nave durante la tempesta, ma c’è un clero disposto a rinunciare alle ricchezze? È poi necessario sottrarre

47 Cfr. A. ROSMINI, Frammenti di una storia dell’empietà, a cura di R. Orecchia, Ce-

dam, Padova 1977.

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l’elezione dei vescovi alle autorità politiche per purificare la Chiesa ed eli-minare la mescolanza del profano e del sacro, che va a svantaggio del sa-cro. Gli onori portano alla corruzione e alla servitù della Chiesa. Non è giu-sto che in una società civile i beni ecclesiastici godano dell’immunità delle imposte. La giustizia, fonte della legge positiva, non lo consente. La Chiesa non deve godere fra le nazioni incivilite di alcun privilegio nell’ordine temporale. Santità e scienza erano inoltre unite negli antichi pastori per amore della verità della fede. Ma la produzione letteraria del clero di oggi è misera moralmente e intellettualmente. A tali mali non si può ovviare solo con la pietà, lo studio, la subordinazione del terreno al celeste, ma ritornan-do alla tradizione dell’elezione dei vescovi a clero e popolo. L’elezione mantiene intatto il diritto costitutivo divino perché la Sacra Ordinazione e la missione della Chiesa sono al sicuro da ingerenze dal potere politico; es-se sono di diritto morale perché la Chiesa deve rimanere libera anche nell’elezione dei propri pastori e così devono lasciarla i fedeli. Il diritto è della Chiesa gerarchica, ma relativamente all’esercizio dello stesso diritto nulla vieta che la Chiesa possa estenderlo ai fedeli. L’elemento democrati-co riceve una precisa limitazione morale e giuridica. Il popolo non convie-ne però disprezzarlo perché è parte fondamentale del corpo mistico di Cri-sto. Insomma Rosmini guarda ad una riforma non tanto del papato ma del-la Chiesa, da pensare purificata e restituita alla sua dimensione salvifica che sola ne garantisce la funzione civilizzatrice. La vocazione mistica e profetica è cioè presente come preminente anche quando Rosmini usa l’espressione della «civilissima religione di Cristo». La storia dell’umanità vede la Chiesa di Cristo come motore dello sviluppo spirituale materiale presente nelle diverse epoche ad intensità diversa. Ma la società spirituale della Chiesa si è assunta compiti estranei e superiori alla sua vocazione di dare anche un orientamento nel governo civile, conducendo la comunità cristiana a gravi compromessi. Ma si deve sapere che «la Chiesa ha in sé del divino e dell’umano. Divino è il suo eterno disegno; divino il principal mezzo onde quel disegno viene eseguito, cioè l’assistenza del Redentore […]. Ma dopo ciò, oltre a quel mezzo principale, umani sono altri mezzi che entrano ad eseguire il disegno dell’Eterno: perciocché la Chiesa è una società composta da uomini, e, fino che sono in vita, di uomini soggetti alle imperfezioni e miserie dell’umanità. Indi è che questa società, nella parte in cui ella è umana, ubbidisce nel suo sviluppamento e nei suoi progressi a quelle leggi comuni che presiedono all’andamento di tutte le altre umane

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società. E tuttavia queste leggi, a cui le umane società sono sommesse nel loro svolgersi, non si possono applicare interiamente alla Chiesa, appunto perché questa non è una società al tutto umana, ma in parte divina»48.

Conclusione Dal contesto di una cultura romantica dominante nella prima metà

dell’Ottocento, in cui i confini fra politica e religione quasi si confondono, emerge la figura di un pensatore che invece ripensa criticamente i confini fra le strutture complessive della società civile e lo statuto dei valori reli-giosi. Rosmini senza ipotizzare la estraneità del cristianesimo alla storia ma riconoscendo lo statuto pubblico della fede e un necessario ruolo civilizza-tore della Chiesa, riesce ad evitare le derive integralistiche e fondamentali-stiche che sono all’origine del neomedioevalismo49 e della tesi corrispettiva del primato civile della Chiesa nel mondo secondo la mai abbandonata a-spirazione all’identità della cristianità con la civiltà europea.

48 A. ROSMINI, Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa, introduzione e cura di Alfeo

Valle, Città Nuova, Roma 1999, n. 58, p. 124; cfr. L. Malusa, Le Cinque piaghe della Santa Chiesa di Antonio Rosmini, Jaca Book, Milano 1996; P. Marangon, La “Chiesa di Gesù” nella Cinque piaghe di Rosmini, in U. Muratore (a cura di), Rosmini e la cultura del Risorgimento. Attualità di un pensiero storico-politico, Ed. Rosminiane, Stresa (VB) 1996, pp. 171-192.

49 Cfr. G. CAMPANINI, Fra Rosmini e Gioberti. Religione, nazione, democrazia, in G. Beschin-L. Cristellon, (a cura di), Rosmini e Gioberti pensatori europei, Morcelliana, Brescia 2003, pp. 205-212, poi in G. Campanini, Antonio Rosmini fra politica ed eccle-siologia, cit., pp.45-55.