Rosario Di Mauro (ePub) - liberliber.it · polizia marittima romana ... storia di roma curata e...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia di Roma. Vol. 7: La monarchia milita-re. Parte prima: Dalla morte di Silla alla dittaturadi PompeoAUTORE: Mommsen, TheodorTRADUTTORE: Quattrini, Antonio GaribaldoCURATORE: Quattrini, Antonio GaribaldoNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100423

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Vercingetorix jetteses armes aux pieds de Jules César" di Lionel Royer.- Musée Crozatier Puy-en-Velay, Auvergne, Francia. -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Siege-ale-sia-vercingetorix-jules-cesar.jpg - Pubblico Domi-nio.

TRATTO DA: 7: \ La Monarchia militare : parteprima ; dalla morte di Silla alla dittatura di Pom-

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TITOLO: Storia di Roma. Vol. 7: La monarchia milita-re. Parte prima: Dalla morte di Silla alla dittaturadi PompeoAUTORE: Mommsen, TheodorTRADUTTORE: Quattrini, Antonio GaribaldoCURATORE: Quattrini, Antonio GaribaldoNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100423

DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA: [elaborazione da] "Vercingetorix jetteses armes aux pieds de Jules César" di Lionel Royer.- Musée Crozatier Puy-en-Velay, Auvergne, Francia. -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Siege-ale-sia-vercingetorix-jules-cesar.jpg - Pubblico Domi-nio.

TRATTO DA: 7: \ La Monarchia militare : parteprima ; dalla morte di Silla alla dittatura di Pom-

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peo / Teodoro Mommsen. - [Sul front.: volume setti-mo, all'interno del v. sesto libro, prima parte] -Roma: Aequa, stampa 1939. - 351 ; 20 cm. – Fa partedi Storia di Roma / Teodoro Mommsen ; curata e anno-tata da Antonio G. Quattrini.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 marzo 2011

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS002020 STORIA / Antica / Roma

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected] Di Mauro (ePub)Ugo Santamaria

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected] F. Traverso (ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected] Santamaria

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie in

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peo / Teodoro Mommsen. - [Sul front.: volume setti-mo, all'interno del v. sesto libro, prima parte] -Roma: Aequa, stampa 1939. - 351 ; 20 cm. – Fa partedi Storia di Roma / Teodoro Mommsen ; curata e anno-tata da Antonio G. Quattrini.

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SOGGETTO:HIS002020 STORIA / Antica / Roma

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Indice generale

SESTO LIBROLA MONARCHIA MILITARE Prima ParteDALLA MORTE DI SILLA ALLA DITTATURA DI POM-PEO...................................................................................... 13

PRIMO CAPITOLOREGIME DELLA RESTAURAZIONE DI SILLA........14

1. Condizioni dell'estero.............................................................. 142. Le Spedizioni dalmato-macedoniche...................................... 153. La pirateria.............................................................................. 174. Organizzazione della pirateria................................................. 195. Polizia marittima romana........................................................ 236. Spedizione in Asia minore...................................................... 257. Condizioni dell'Asia................................................................ 268. La Siria sotto Tigrane.............................................................. 289. Condotta dei Romani in oriente.............................................. 3110. Il non intervento in Siria....................................................... 3311. Mitridate dichiara la guerra................................................... 3712. Inizio della guerra................................................................. 3913. I Romani battuti a Calcedonia............................................... 4214. Distruzione dell'esercito pontico........................................... 4415. Guerra marittima................................................................... 4616. Lucullo invade il Ponto......................................................... 4717. Vittoria di Cabira................................................................... 4918. La resistenza delle città......................................................... 5119. Guerra con l'Armenia............................................................ 5320. Lucullo passa l'Eufrate.......................................................... 5821. Battaglia di Tigranocerta....................................................... 5922. Tigrane e Mitridate................................................................ 6223. Ripresa della guerra.............................................................. 6424. Malumori contro Lucullo...................................................... 66

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Indice generale

SESTO LIBROLA MONARCHIA MILITARE Prima ParteDALLA MORTE DI SILLA ALLA DITTATURA DI POM-PEO...................................................................................... 13

PRIMO CAPITOLOREGIME DELLA RESTAURAZIONE DI SILLA........14

1. Condizioni dell'estero.............................................................. 142. Le Spedizioni dalmato-macedoniche...................................... 153. La pirateria.............................................................................. 174. Organizzazione della pirateria................................................. 195. Polizia marittima romana........................................................ 236. Spedizione in Asia minore...................................................... 257. Condizioni dell'Asia................................................................ 268. La Siria sotto Tigrane.............................................................. 289. Condotta dei Romani in oriente.............................................. 3110. Il non intervento in Siria....................................................... 3311. Mitridate dichiara la guerra................................................... 3712. Inizio della guerra................................................................. 3913. I Romani battuti a Calcedonia............................................... 4214. Distruzione dell'esercito pontico........................................... 4415. Guerra marittima................................................................... 4616. Lucullo invade il Ponto......................................................... 4717. Vittoria di Cabira................................................................... 4918. La resistenza delle città......................................................... 5119. Guerra con l'Armenia............................................................ 5320. Lucullo passa l'Eufrate.......................................................... 5821. Battaglia di Tigranocerta....................................................... 5922. Tigrane e Mitridate................................................................ 6223. Ripresa della guerra.............................................................. 6424. Malumori contro Lucullo...................................................... 66

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25. Combattimenti sul Ponto....................................................... 6926. Sconfitta dei Romani............................................................. 7027. Ritirata in Asia minore.......................................................... 7328. Sconfitta di Antonio.............................................................. 7429. Guerra cretese....................................................................... 7630. I pirati nel Mediterraneo....................................................... 7931. Fermento fra gli schiavi........................................................ 8032. Spartaco................................................................................. 8333. Grandi vittorie di Spartaco.................................................... 8634. Gli schiavi sconfitti............................................................... 9035. Panorama della restaurazione................................................ 93

SECONDO CAPITOLOCADUTA DELL'OLIGARCHIA E PREDOMINIO DIPOMPEO......................................................................... 99

1. Continuità della costituzione sillana....................................... 992. Attacchi ai tribunali senatorî................................................. 1013. Nullità dell'agitazione democratica....................................... 1044. Contese tra il governo e Pompeo.......................................... 1065. Coalizione dei capi militari e della democrazia. ...................1096. Ristabilimento del regime democratico................................. 1117. La nuova costituzione............................................................ 1138. Minaccia d'una dittatura militare di Pompeo. ....................... 1169. Pompeo si ritira..................................................................... 11810. Senato, cavalieri e popolani................................................ 11911. Ritorno di Pompeo.............................................................. 12112. Caduta del governo senatorio.............................................. 12313. Pompeo e le leggi gabinie................................................... 12814. Successi di Pompeo in oriente............................................ 13215. La legge manilia.................................................................. 13416. La rivoluzione democratico-militare................................... 136

TERZO CAPITOLOPOMPEO E L'ORIENTE.............................................. 139

1. Pompeo distrugge la pirateria............................................... 1392. Contese tra Pompeo e Metello.............................................. 1423. Pompeo contro Mitridate...................................................... 1444. Lega con i Parti..................................................................... 146

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25. Combattimenti sul Ponto....................................................... 6926. Sconfitta dei Romani............................................................. 7027. Ritirata in Asia minore.......................................................... 7328. Sconfitta di Antonio.............................................................. 7429. Guerra cretese....................................................................... 7630. I pirati nel Mediterraneo....................................................... 7931. Fermento fra gli schiavi........................................................ 8032. Spartaco................................................................................. 8333. Grandi vittorie di Spartaco.................................................... 8634. Gli schiavi sconfitti............................................................... 9035. Panorama della restaurazione................................................ 93

SECONDO CAPITOLOCADUTA DELL'OLIGARCHIA E PREDOMINIO DIPOMPEO......................................................................... 99

1. Continuità della costituzione sillana....................................... 992. Attacchi ai tribunali senatorî................................................. 1013. Nullità dell'agitazione democratica....................................... 1044. Contese tra il governo e Pompeo.......................................... 1065. Coalizione dei capi militari e della democrazia. ...................1096. Ristabilimento del regime democratico................................. 1117. La nuova costituzione............................................................ 1138. Minaccia d'una dittatura militare di Pompeo. ....................... 1169. Pompeo si ritira..................................................................... 11810. Senato, cavalieri e popolani................................................ 11911. Ritorno di Pompeo.............................................................. 12112. Caduta del governo senatorio.............................................. 12313. Pompeo e le leggi gabinie................................................... 12814. Successi di Pompeo in oriente............................................ 13215. La legge manilia.................................................................. 13416. La rivoluzione democratico-militare................................... 136

TERZO CAPITOLOPOMPEO E L'ORIENTE.............................................. 139

1. Pompeo distrugge la pirateria............................................... 1392. Contese tra Pompeo e Metello.............................................. 1423. Pompeo contro Mitridate...................................................... 1444. Lega con i Parti..................................................................... 146

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5. Pompeo e Lucullo................................................................. 1486. Battaglia di Nicopoli............................................................. 1507. Mitridate fuggitivo................................................................ 1518. Pace con Tigrane................................................................... 1539. I popoli del Caucaso sottomessi............................................ 15510. Pompeo nella Colchide....................................................... 15811. Nuovi scontri con gli Albani............................................... 15912. Mitridate a Panticapea......................................................... 16113. Sollevazione contro Mitridate............................................. 16314. Morte di Mitridate............................................................... 16515. Pompeo nella Siria.............................................................. 16716. Giudei.................................................................................. 16917. Sadducei.............................................................................. 17118. Nabatei................................................................................ 17319. Gli ultimi Seleucidi............................................................. 17520. Assorbimento della Siria..................................................... 17521. Lotte contro i Giudei........................................................... 17822. Nuovi rapporti tra Roma e l'oriente..................................... 18023. Complicazioni con i Parti.................................................... 18224. Organizzazione delle province............................................ 18625. Principi e signori................................................................. 18826. Fondazione di città in Asia.................................................. 19027. Risultati............................................................................... 19528. L'Asia dopo Pompeo........................................................... 20129. Il regno egizio..................................................................... 20330. Annessione di Cipro e vicende egiziane............................. 20531. Tolomeo rimesso sul trono da Gabinio............................... 207

QUARTO CAPITOLOLOTTA DEI PARTITI DURANTE L'ASSENZA DIPOMPEO....................................................................... 209

1. L'aristocrazia battuta............................................................. 2092. Catone................................................................................... 2103. Persecuzioni democratiche.................................................... 2124. Transpadani e liberti.............................................................. 2155. Processo contro Rabirio........................................................ 2166. Inutilità dei successi democratici. ......................................... 217

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5. Pompeo e Lucullo................................................................. 1486. Battaglia di Nicopoli............................................................. 1507. Mitridate fuggitivo................................................................ 1518. Pace con Tigrane................................................................... 1539. I popoli del Caucaso sottomessi............................................ 15510. Pompeo nella Colchide....................................................... 15811. Nuovi scontri con gli Albani............................................... 15912. Mitridate a Panticapea......................................................... 16113. Sollevazione contro Mitridate............................................. 16314. Morte di Mitridate............................................................... 16515. Pompeo nella Siria.............................................................. 16716. Giudei.................................................................................. 16917. Sadducei.............................................................................. 17118. Nabatei................................................................................ 17319. Gli ultimi Seleucidi............................................................. 17520. Assorbimento della Siria..................................................... 17521. Lotte contro i Giudei........................................................... 17822. Nuovi rapporti tra Roma e l'oriente..................................... 18023. Complicazioni con i Parti.................................................... 18224. Organizzazione delle province............................................ 18625. Principi e signori................................................................. 18826. Fondazione di città in Asia.................................................. 19027. Risultati............................................................................... 19528. L'Asia dopo Pompeo........................................................... 20129. Il regno egizio..................................................................... 20330. Annessione di Cipro e vicende egiziane............................. 20531. Tolomeo rimesso sul trono da Gabinio............................... 207

QUARTO CAPITOLOLOTTA DEI PARTITI DURANTE L'ASSENZA DIPOMPEO....................................................................... 209

1. L'aristocrazia battuta............................................................. 2092. Catone................................................................................... 2103. Persecuzioni democratiche.................................................... 2124. Transpadani e liberti.............................................................. 2155. Processo contro Rabirio........................................................ 2166. Inutilità dei successi democratici. ......................................... 217

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7. Timori e pericoli della democrazia........................................ 2208. Catilina.................................................................................. 2239. I primi piani della congiura................................................... 22610. Ripresa della Congiura........................................................ 22911. Cicerone batte Catilina........................................................ 23112. La legge agraria di Servilio................................................. 23413. Scoppio dell'insurrezione in Etruria.................................... 23714. Misure repressive del governo............................................ 24015. Catilina in Etruria................................................................ 24316. Arresto dei congiurati di Roma........................................... 24417. Condanna capitale degli insorti........................................... 24618. L'insurrezione etrusca vinta................................................ 25019. Crasso e Cesare di fronte agli anarchici. ............................. 25220. Sconfitta totale del partito democratico. ............................. 257

QUINTO CAPITOLORITORNO DI POMPEO E COALIZIONE DEI PRE-TENDENTI................................................................... 261

1. Pompeo in oriente................................................................. 2612. Gli avversari del futuro sovrano............................................ 2623. Pompeo di fronte ai partiti.................................................... 2644. Rottura tra Pompeo e l'aristocrazia....................................... 2675. Ritiro di Pompeo................................................................... 2706. Pompeo senza influenza........................................................ 2737. L'ascesa di Cesare................................................................. 2758. Pompeo, Cesare e Crasso...................................................... 2779. Nuova posizione di Cesare.................................................... 27910. Cesare console..................................................................... 28211. Opposizioni dell'aristocrazia............................................... 28312. Approvazione della legge agraria....................................... 28513. Cesare luogotenente delle Gallie......................................... 28714. Misure di sicurezza dei collegati......................................... 28915. Condizioni dell'aristocrazia................................................. 29116. Allontamento di Cicerone e di Catone................................ 293

SESTO CAPITOLOASSOGGETTAMENTO DELL'OCCIDENTE............297

1. Romanizzazione dell'occidente............................................. 297

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7. Timori e pericoli della democrazia........................................ 2208. Catilina.................................................................................. 2239. I primi piani della congiura................................................... 22610. Ripresa della Congiura........................................................ 22911. Cicerone batte Catilina........................................................ 23112. La legge agraria di Servilio................................................. 23413. Scoppio dell'insurrezione in Etruria.................................... 23714. Misure repressive del governo............................................ 24015. Catilina in Etruria................................................................ 24316. Arresto dei congiurati di Roma........................................... 24417. Condanna capitale degli insorti........................................... 24618. L'insurrezione etrusca vinta................................................ 25019. Crasso e Cesare di fronte agli anarchici. ............................. 25220. Sconfitta totale del partito democratico. ............................. 257

QUINTO CAPITOLORITORNO DI POMPEO E COALIZIONE DEI PRE-TENDENTI................................................................... 261

1. Pompeo in oriente................................................................. 2612. Gli avversari del futuro sovrano............................................ 2623. Pompeo di fronte ai partiti.................................................... 2644. Rottura tra Pompeo e l'aristocrazia....................................... 2675. Ritiro di Pompeo................................................................... 2706. Pompeo senza influenza........................................................ 2737. L'ascesa di Cesare................................................................. 2758. Pompeo, Cesare e Crasso...................................................... 2779. Nuova posizione di Cesare.................................................... 27910. Cesare console..................................................................... 28211. Opposizioni dell'aristocrazia............................................... 28312. Approvazione della legge agraria....................................... 28513. Cesare luogotenente delle Gallie......................................... 28714. Misure di sicurezza dei collegati......................................... 28915. Condizioni dell'aristocrazia................................................. 29116. Allontamento di Cicerone e di Catone................................ 293

SESTO CAPITOLOASSOGGETTAMENTO DELL'OCCIDENTE............297

1. Romanizzazione dell'occidente............................................. 297

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2. Importanza delle conquiste di Cesare................................... 3003. Cesare in Spagna................................................................... 3014. Il paese dei Celti.................................................................... 3025. Incipiente romanizzazione.................................................... 3066. La libera Gallia...................................................................... 3087. Popolazione - agricoltura - pastorizia................................... 3098. Traffico e commercio............................................................ 3129. Industria - Miniere................................................................ 31510. Arti e scienze....................................................................... 31611. Ordinamento politico........................................................... 31712. Origine della cavalleria....................................................... 31913. Abolizione della monarchia................................................ 32114. Unione religiosa - Druidi.................................................... 32315. Leghe distrettuali................................................................. 32516. L'esercito celtico................................................................. 32717. Sviluppo della civiltà celtica............................................... 32918. Condizioni esterne............................................................... 33119. Celti e Germani................................................................... 33420. I Romani e l'invasione germanica....................................... 33721. Ariovisto sul Reno.............................................................. 33922. I Germani nel basso Reno................................................... 34123. Cesare nella Gallia.............................................................. 34324. Difesa degli Elvezi.............................................................. 34525. Gli Elvezi nella Gallia......................................................... 34726. Battaglia di Bibracte............................................................ 35027. Cesare e Ariovisto............................................................... 35228. Ariovisto battuto................................................................. 35429. Il confine del Reno.............................................................. 35730. Assoggettamento della Gallia............................................. 35931. Battaglia contro i Nervi....................................................... 36132. Guerra contro Veneti, Morini e Menapii............................. 36533. Comunicazioni con l'Italia e la Spagna............................... 37034. Cesare sulla destra del Reno............................................... 37235. Spedizione nella Bretagna................................................... 37536. Congiure e insurrezioni....................................................... 38037. Cesare libera Q. Cicerone................................................... 385

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2. Importanza delle conquiste di Cesare................................... 3003. Cesare in Spagna................................................................... 3014. Il paese dei Celti.................................................................... 3025. Incipiente romanizzazione.................................................... 3066. La libera Gallia...................................................................... 3087. Popolazione - agricoltura - pastorizia................................... 3098. Traffico e commercio............................................................ 3129. Industria - Miniere................................................................ 31510. Arti e scienze....................................................................... 31611. Ordinamento politico........................................................... 31712. Origine della cavalleria....................................................... 31913. Abolizione della monarchia................................................ 32114. Unione religiosa - Druidi.................................................... 32315. Leghe distrettuali................................................................. 32516. L'esercito celtico................................................................. 32717. Sviluppo della civiltà celtica............................................... 32918. Condizioni esterne............................................................... 33119. Celti e Germani................................................................... 33420. I Romani e l'invasione germanica....................................... 33721. Ariovisto sul Reno.............................................................. 33922. I Germani nel basso Reno................................................... 34123. Cesare nella Gallia.............................................................. 34324. Difesa degli Elvezi.............................................................. 34525. Gli Elvezi nella Gallia......................................................... 34726. Battaglia di Bibracte............................................................ 35027. Cesare e Ariovisto............................................................... 35228. Ariovisto battuto................................................................. 35429. Il confine del Reno.............................................................. 35730. Assoggettamento della Gallia............................................. 35931. Battaglia contro i Nervi....................................................... 36132. Guerra contro Veneti, Morini e Menapii............................. 36533. Comunicazioni con l'Italia e la Spagna............................... 37034. Cesare sulla destra del Reno............................................... 37235. Spedizione nella Bretagna................................................... 37536. Congiure e insurrezioni....................................................... 38037. Cesare libera Q. Cicerone................................................... 385

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38. L'insurrezione domata......................................................... 38839. Seconda insurrezione.......................................................... 39140. Piano di guerra dei Galli..................................................... 39541. Principio della lotta............................................................. 39742. Cesare fermato.................................................................... 40043. Piano di guerra di Cesare.................................................... 40444. Battaglia di Alesia............................................................... 40745. Vercingetorige decapitato.................................................... 41146. Le ultime battaglie.............................................................. 41347. La Gallia sottomessa........................................................... 41748. La romanizzazione delle Gallie........................................... 42149. Il dramma della nazione celtica.......................................... 42350. Principî dello sviluppo romano........................................... 42651. Le province danubiane........................................................ 429

SETTIMO CAPITOLOPOMPEO E CESARE................................................... 434

1. Pompeo e Cesare................................................................... 4342. Gli anarchici e Clodio........................................................... 4373. Contesa tra Pompeo e Clodio................................................ 4404. Pompeo e le vittorie di Cesare.............................................. 4435. Opposizione repubblicana..................................................... 4456. Crescente importanza del senato........................................... 4487. Pompeo mendica al senato un comando............................... 4518. Attacco alle leggi di Cesare.................................................. 4559. Convegno di Lucca............................................................... 45710. Intenzioni di Cesare............................................................ 46011. L'aristocrazia si adatta......................................................... 46312. Il nuovo governo monarchico............................................. 46513. Cicerone e la maggioranza.................................................. 46814. Catone e la minoranza......................................................... 47015. Opposizione nelle elezioni e nei tribunali. .......................... 47216. Letteratura di opposizione................................................... 47817. Nuove misure eccezionali................................................... 48118. Uccisione di Clodio............................................................. 48519. Dittatura di Pompeo............................................................ 48620. Umiliazione dei repubblicani.............................................. 489

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38. L'insurrezione domata......................................................... 38839. Seconda insurrezione.......................................................... 39140. Piano di guerra dei Galli..................................................... 39541. Principio della lotta............................................................. 39742. Cesare fermato.................................................................... 40043. Piano di guerra di Cesare.................................................... 40444. Battaglia di Alesia............................................................... 40745. Vercingetorige decapitato.................................................... 41146. Le ultime battaglie.............................................................. 41347. La Gallia sottomessa........................................................... 41748. La romanizzazione delle Gallie........................................... 42149. Il dramma della nazione celtica.......................................... 42350. Principî dello sviluppo romano........................................... 42651. Le province danubiane........................................................ 429

SETTIMO CAPITOLOPOMPEO E CESARE................................................... 434

1. Pompeo e Cesare................................................................... 4342. Gli anarchici e Clodio........................................................... 4373. Contesa tra Pompeo e Clodio................................................ 4404. Pompeo e le vittorie di Cesare.............................................. 4435. Opposizione repubblicana..................................................... 4456. Crescente importanza del senato........................................... 4487. Pompeo mendica al senato un comando............................... 4518. Attacco alle leggi di Cesare.................................................. 4559. Convegno di Lucca............................................................... 45710. Intenzioni di Cesare............................................................ 46011. L'aristocrazia si adatta......................................................... 46312. Il nuovo governo monarchico............................................. 46513. Cicerone e la maggioranza.................................................. 46814. Catone e la minoranza......................................................... 47015. Opposizione nelle elezioni e nei tribunali. .......................... 47216. Letteratura di opposizione................................................... 47817. Nuove misure eccezionali................................................... 48118. Uccisione di Clodio............................................................. 48519. Dittatura di Pompeo............................................................ 48620. Umiliazione dei repubblicani.............................................. 489

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TEODORO MOMMSEN

STORIA DI ROMACURATA E ANNOTATA DA ANTONIO G. QUATTRINI

SETTIMO VOLUME

TEODORO MOMMSEN

STORIA DI ROMACURATA E ANNOTATA DA ANTONIO G. QUATTRINI

SETTIMO VOLUME

SESTO LIBROLA MONARCHIA MILITARE

PRIMA PARTE

DALLA MORTE DI SILLAALLA DITTATURA DI POMPEO

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SESTO LIBROLA MONARCHIA MILITARE

PRIMA PARTE

DALLA MORTE DI SILLAALLA DITTATURA DI POMPEO

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PRIMO CAPITOLOREGIME DELLA RESTAURAZIONE

DI SILLA

1. Condizioni dell'estero.Quando, soffocata la rivoluzione di Cinna cheminacciava il senato nella sua esistenza, il restauratogoverno del senato potè di nuovo rivolgere la necessariaattenzione alla sicurezza interna ed esterna dello stato, sirivelarono non pochi problemi, la cui soluzione nonpoteva essere protratta senza ledere i più importantiinteressi e senza lasciare che deficenze del momentodegenerassero in pericoli per l'avvenire.Indipendentemente dalla gravissima complicazione del-le cose nella Spagna, si mostrava assolutamente neces-sario di battere decisamente nella Tracia e nei paesi da-nubiani i barbari che Silla nella sua marcia in Macedo-nia non aveva potuto punire che superficialmente, e diregolare militarmente le complicate faccende ai confinisettentrionali della penisola greca, di estirpare le bandedi pirati che dominavano dappertutto e specialmentenelle acque orientali, e d'introdurre infine un miglioreordine di governo nell'Asia minore.La pace conchiusa da Silla nel 670 = 84 con Mitridate,re del Ponto, della quale il trattato fatto con Murena nel673 = 81 in sostanza non fu che una ripetizione, avevaassolutamente l'impronta di un atto provvisorio dettato

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PRIMO CAPITOLOREGIME DELLA RESTAURAZIONE

DI SILLA

1. Condizioni dell'estero.Quando, soffocata la rivoluzione di Cinna cheminacciava il senato nella sua esistenza, il restauratogoverno del senato potè di nuovo rivolgere la necessariaattenzione alla sicurezza interna ed esterna dello stato, sirivelarono non pochi problemi, la cui soluzione nonpoteva essere protratta senza ledere i più importantiinteressi e senza lasciare che deficenze del momentodegenerassero in pericoli per l'avvenire.Indipendentemente dalla gravissima complicazione del-le cose nella Spagna, si mostrava assolutamente neces-sario di battere decisamente nella Tracia e nei paesi da-nubiani i barbari che Silla nella sua marcia in Macedo-nia non aveva potuto punire che superficialmente, e diregolare militarmente le complicate faccende ai confinisettentrionali della penisola greca, di estirpare le bandedi pirati che dominavano dappertutto e specialmentenelle acque orientali, e d'introdurre infine un miglioreordine di governo nell'Asia minore.La pace conchiusa da Silla nel 670 = 84 con Mitridate,re del Ponto, della quale il trattato fatto con Murena nel673 = 81 in sostanza non fu che una ripetizione, avevaassolutamente l'impronta di un atto provvisorio dettato

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dalle circostanze del momento; e dei rapporti dei Roma-ni con Tigrane, re dell'Armenia, col quale essi avevanopure realmente guerreggiato, non era stato fatto alcuncenno in quella pace.Con ragione Tigrane vi aveva trovato il tacito permessodi far propri i possedimenti dei Romani in Asia. Se essinon dovevano essere abbandonati, era necessario inten-dersi con le buone o con la forza col nuovo gran redell'Asia.Dopo avere narrato gli avvenimenti in Italia ed in Spa-gna in connessione con le mene democratiche, e la vitto-ria riportata dal governo senatorio, considereremo ora ilregime esterno nel mondo, e come le autorità istituite daSilla l'hanno guidato o anche non guidato.

2. Le Spedizioni dalmato-macedoniche.

Nelle misure energiche che negli ultimi tempi dellareggenza di Silla il senato prese quasicontemporaneamente contro i sertoriani, contro iDalmati ed i Traci, e contro i pirati della Cilicia, siriconosce ancora la potente mano del reggente.La spedizione nella penisola greco-illirica aveva lo sco-po sia di sottomettere o almeno di rendere docili le tribùbarbare che infestavano tutto il paese interno compresotra il Mar Nero e l'Adriatico, e tra le quali specialmente iBessi (sul grande Balkan), come si diceva allora, gode-vano presso i padroni stessi di una ben triste reputazionedi ladroni, sia di distruggere i corsari che si tenevano

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dalle circostanze del momento; e dei rapporti dei Roma-ni con Tigrane, re dell'Armenia, col quale essi avevanopure realmente guerreggiato, non era stato fatto alcuncenno in quella pace.Con ragione Tigrane vi aveva trovato il tacito permessodi far propri i possedimenti dei Romani in Asia. Se essinon dovevano essere abbandonati, era necessario inten-dersi con le buone o con la forza col nuovo gran redell'Asia.Dopo avere narrato gli avvenimenti in Italia ed in Spa-gna in connessione con le mene democratiche, e la vitto-ria riportata dal governo senatorio, considereremo ora ilregime esterno nel mondo, e come le autorità istituite daSilla l'hanno guidato o anche non guidato.

2. Le Spedizioni dalmato-macedoniche.

Nelle misure energiche che negli ultimi tempi dellareggenza di Silla il senato prese quasicontemporaneamente contro i sertoriani, contro iDalmati ed i Traci, e contro i pirati della Cilicia, siriconosce ancora la potente mano del reggente.La spedizione nella penisola greco-illirica aveva lo sco-po sia di sottomettere o almeno di rendere docili le tribùbarbare che infestavano tutto il paese interno compresotra il Mar Nero e l'Adriatico, e tra le quali specialmente iBessi (sul grande Balkan), come si diceva allora, gode-vano presso i padroni stessi di una ben triste reputazionedi ladroni, sia di distruggere i corsari che si tenevano

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nascosti specialmente nel litorale dalmato.L'attacco seguì, come al solito, contemporaneamentedalla Dalmazia e dalla Macedonia, nella quale ultimaprovincia era stato raccolto a tale scopo un esercito dicinque legioni.In Dalmazia il comando era affidato all'ex-pretore CaioCosconio che percorse il paese in tutte le direzioni edespugnò la provincia di Salona dopo un assedio di bendue anni.Nella Macedonia il proconsole Appio Claudio (676-678= 78-76) tentò anzitutto di impossessarsi sul confinemacedone-tracico del paese montuoso sulla sponda sini-stra del Karasu.Dalle due parti si guerreggiava con grande ferocia. ITraci distruggevano i luoghi conquistati e tagliavano apezzi i prigionieri, ed i Romani facevano altrettanto.Però non vi furon importanti successi; le faticose marcieed i continui combattimenti coi numerosi e gagliardimontanari decimarono senza alcun risultato l'esercito; lostesso generale si ammalò e morì. Il suo successore,Caio Scribonio Curione (679-681 = 75-73), fu indottoda parecchi ostacoli, e specialmente da una non indiffe-rente sollevazione militare, ad abbandonare la difficilespedizione contro i Traci ed a volgere invece i suoi passiverso il confine settentrionale della Macedonia, ove(nella Serbia) soggiogò i Dardani, più deboli, spingen-doli fino al Danubio. Solo il valoroso ed esperto MarcoLucullo (682-683 = 72-71) si avanzò di nuovo versol'oriente, sconfisse i Bessi nei loro monti, prese la loro

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nascosti specialmente nel litorale dalmato.L'attacco seguì, come al solito, contemporaneamentedalla Dalmazia e dalla Macedonia, nella quale ultimaprovincia era stato raccolto a tale scopo un esercito dicinque legioni.In Dalmazia il comando era affidato all'ex-pretore CaioCosconio che percorse il paese in tutte le direzioni edespugnò la provincia di Salona dopo un assedio di bendue anni.Nella Macedonia il proconsole Appio Claudio (676-678= 78-76) tentò anzitutto di impossessarsi sul confinemacedone-tracico del paese montuoso sulla sponda sini-stra del Karasu.Dalle due parti si guerreggiava con grande ferocia. ITraci distruggevano i luoghi conquistati e tagliavano apezzi i prigionieri, ed i Romani facevano altrettanto.Però non vi furon importanti successi; le faticose marcieed i continui combattimenti coi numerosi e gagliardimontanari decimarono senza alcun risultato l'esercito; lostesso generale si ammalò e morì. Il suo successore,Caio Scribonio Curione (679-681 = 75-73), fu indottoda parecchi ostacoli, e specialmente da una non indiffe-rente sollevazione militare, ad abbandonare la difficilespedizione contro i Traci ed a volgere invece i suoi passiverso il confine settentrionale della Macedonia, ove(nella Serbia) soggiogò i Dardani, più deboli, spingen-doli fino al Danubio. Solo il valoroso ed esperto MarcoLucullo (682-683 = 72-71) si avanzò di nuovo versol'oriente, sconfisse i Bessi nei loro monti, prese la loro

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capitale Uscudama (Adrianopoli) e li obbligò a ricono-scere la supremazia romana. Il re degli Odrisi, Sadala, ele città greche sulla costa orientale a settentrione e amezzodì dei Balcani: Istropoli, Tomoi, Kallati, Odesso(presso Varna), Mesembria ed altre, divennero vassalledei Romani; la Tracia, di cui i Romani non avevano pos-seduto molto più del dominio attalico nel Chersoneso,benchè non completamente sottomessa, divenne ora unaparte della provincia di Macedonia.

3. La pirateria.

Ma molto più pericolosa delle scorrerie dei predoni tracie dardani che infine si limitavano sempre ad una piccolafrazione dello stato, riusciva, sia al governo che aiprivati, la pirateria che sempre più si andava estendendoe saldamente organizzando.Il commercio marittimo del Mediterraneo era tutto nellesue mani. L'Italia non poteva nè spedire all'estero i suoiprodotti, nè introdurre il frumento dalle province; nellapenisola si soffriva la fame, nelle province si trascuravala coltivazione delle terre per mancanza di smercio.Nessuna spedizione di danaro, nessun viaggiatore eranopiù sicuri; il tesoro dello stato ne risentiva perdite sensi-bilissime; moltissimi personaggi romani venivano cattu-rati da corsari e costretti a riscattarsi mediante grossesomme, quando non piaceva ai pirati di eseguire su al-cuni, con sfrontata ferocia, la pena di morte.I commercianti e persino i distaccamenti di truppe ro-

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capitale Uscudama (Adrianopoli) e li obbligò a ricono-scere la supremazia romana. Il re degli Odrisi, Sadala, ele città greche sulla costa orientale a settentrione e amezzodì dei Balcani: Istropoli, Tomoi, Kallati, Odesso(presso Varna), Mesembria ed altre, divennero vassalledei Romani; la Tracia, di cui i Romani non avevano pos-seduto molto più del dominio attalico nel Chersoneso,benchè non completamente sottomessa, divenne ora unaparte della provincia di Macedonia.

3. La pirateria.

Ma molto più pericolosa delle scorrerie dei predoni tracie dardani che infine si limitavano sempre ad una piccolafrazione dello stato, riusciva, sia al governo che aiprivati, la pirateria che sempre più si andava estendendoe saldamente organizzando.Il commercio marittimo del Mediterraneo era tutto nellesue mani. L'Italia non poteva nè spedire all'estero i suoiprodotti, nè introdurre il frumento dalle province; nellapenisola si soffriva la fame, nelle province si trascuravala coltivazione delle terre per mancanza di smercio.Nessuna spedizione di danaro, nessun viaggiatore eranopiù sicuri; il tesoro dello stato ne risentiva perdite sensi-bilissime; moltissimi personaggi romani venivano cattu-rati da corsari e costretti a riscattarsi mediante grossesomme, quando non piaceva ai pirati di eseguire su al-cuni, con sfrontata ferocia, la pena di morte.I commercianti e persino i distaccamenti di truppe ro-

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mane con destinazione per l'oriente cominciarono a ri-mettere i loro viaggi di preferenza alle stagioni procello-se e a temere meno le burrasche che le navi dei pirati,che naturalmente anche in queste stagioni non scompa-rivano del tutto.Ma per quanto sensibile fosse questo blocco del mare,esso era sempre meno molesto delle devastazioni delleisole e delle coste greche e dell'Asia minore. Come piùtardi fecero i Normanni, le squadre dei corsari assaliva-no le città marittime e le obbligavano o a riscattarsi me-diante il pagamento di grosse somme di danaro, o lestringevano d'assedio e le espugnavano armata mano.Se avveniva che sotto gli occhi di Silla, dopo conchiusala pace con Mitridate, i pirati spogliavano le città di Sa-motracia, Clazomene, Samo e Iasso (670 = 84), si puòimmaginare che cosa succedesse là dove non era nellevicinanze nè una flotta nè un esercito romano.Tutti gli antichi e ricchi templi sulle coste della Grecia edell'Asia minore furono saccheggiati l'uno dopo l'altro, edalla sola Samotracia si dice sia stato asportato un teso-ro di 1000 talenti (6.375.000 lire).Un poeta romano di quei tempi dice che Apollo era tan-to impoverito dai pirati, che quando la rondinella venivaa visitarlo, egli di tutti i suoi tesori non le poteva più farvedere nemmeno una dramma d'oro.Si facevano ascendere a più di quattrocento i luoghi pre-si d'assalto o taglieggiati dai pirati, fra i quali parecchiecittà come Cnido, Samo, Colofone; da parecchie già fio-renti piazze insulari e marittime espatriava tutta la popo-

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mane con destinazione per l'oriente cominciarono a ri-mettere i loro viaggi di preferenza alle stagioni procello-se e a temere meno le burrasche che le navi dei pirati,che naturalmente anche in queste stagioni non scompa-rivano del tutto.Ma per quanto sensibile fosse questo blocco del mare,esso era sempre meno molesto delle devastazioni delleisole e delle coste greche e dell'Asia minore. Come piùtardi fecero i Normanni, le squadre dei corsari assaliva-no le città marittime e le obbligavano o a riscattarsi me-diante il pagamento di grosse somme di danaro, o lestringevano d'assedio e le espugnavano armata mano.Se avveniva che sotto gli occhi di Silla, dopo conchiusala pace con Mitridate, i pirati spogliavano le città di Sa-motracia, Clazomene, Samo e Iasso (670 = 84), si puòimmaginare che cosa succedesse là dove non era nellevicinanze nè una flotta nè un esercito romano.Tutti gli antichi e ricchi templi sulle coste della Grecia edell'Asia minore furono saccheggiati l'uno dopo l'altro, edalla sola Samotracia si dice sia stato asportato un teso-ro di 1000 talenti (6.375.000 lire).Un poeta romano di quei tempi dice che Apollo era tan-to impoverito dai pirati, che quando la rondinella venivaa visitarlo, egli di tutti i suoi tesori non le poteva più farvedere nemmeno una dramma d'oro.Si facevano ascendere a più di quattrocento i luoghi pre-si d'assalto o taglieggiati dai pirati, fra i quali parecchiecittà come Cnido, Samo, Colofone; da parecchie già fio-renti piazze insulari e marittime espatriava tutta la popo-

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lazione per non essere rapita dai pirati. Non si era più si-curi nemmeno nell'interno del paese: essi sorpreseroluoghi posti ad una e perfino a due giornate di camminodalla costa.Il terribile indebitamento, a cui soggiacquero poi tutti icomuni dell'oriente greco, data appunto per la maggiorparte da questi fatalissimi tempi.

4. Organizzazione della pirateria.

La pirateria aveva cambiato totalmente natura. Nonerano più arditi malandrini quelli che nelle acque diCreta, tra Cirene ed il Peloponneso, detto – nellinguaggio dei corsari «mare d'oro» – mettevano acontribuzione il grosso commercio italo-orientale dischiavi e di oggetti di lusso; non erano neanchecacciatori armati di schiavi, che esercitavano al tempostesso «la guerra, il commercio e la pirateria»; era unacasta di corsari con un singolare spirito di corpo, conuna solida e assai notevole organizzazione, con unapropria patria e con una rudimentale simmachia, e senzadubbio anche con determinati scopi politici.Quei corsari si dicevano Cilicii, ma in realtà sulle loronavi si raccoglievano disperati ed avventurieri di tutte lenazioni: soldati licenziati dalle piazze di arruolamentodi Creta, abitanti delle città e dei villaggi distrutti in Ita-lia, Spagna ed Asia, soldati ed ufficiali degli eserciti diFimbria e di Sertorio: in generale la feccia di tutte le na-zioni, i fuggitivi perseguitati di tutti i partiti vinti, tutto-

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lazione per non essere rapita dai pirati. Non si era più si-curi nemmeno nell'interno del paese: essi sorpreseroluoghi posti ad una e perfino a due giornate di camminodalla costa.Il terribile indebitamento, a cui soggiacquero poi tutti icomuni dell'oriente greco, data appunto per la maggiorparte da questi fatalissimi tempi.

4. Organizzazione della pirateria.

La pirateria aveva cambiato totalmente natura. Nonerano più arditi malandrini quelli che nelle acque diCreta, tra Cirene ed il Peloponneso, detto – nellinguaggio dei corsari «mare d'oro» – mettevano acontribuzione il grosso commercio italo-orientale dischiavi e di oggetti di lusso; non erano neanchecacciatori armati di schiavi, che esercitavano al tempostesso «la guerra, il commercio e la pirateria»; era unacasta di corsari con un singolare spirito di corpo, conuna solida e assai notevole organizzazione, con unapropria patria e con una rudimentale simmachia, e senzadubbio anche con determinati scopi politici.Quei corsari si dicevano Cilicii, ma in realtà sulle loronavi si raccoglievano disperati ed avventurieri di tutte lenazioni: soldati licenziati dalle piazze di arruolamentodi Creta, abitanti delle città e dei villaggi distrutti in Ita-lia, Spagna ed Asia, soldati ed ufficiali degli eserciti diFimbria e di Sertorio: in generale la feccia di tutte le na-zioni, i fuggitivi perseguitati di tutti i partiti vinti, tutto-

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ciò che vi era di miserabile e di temerario: e dove non sitrovavano malvagità e calamità in quei malaugurati tem-pi? Non era più una banda di ladri, ma uno stato militareconsolidato, in cui la solidarietà della proscrizione e deldelitto teneva luogo di nazionalità e nel quale il delitto,come avviene così spesso, garentiva dal delitto per lospirito di corpo.In un'epoca di dissoluzione, in cui la codardia e l'anar-chia avevano fiaccati tutti i legami dell'ordine sociale,gli stati legittimi potevano specchiarsi in questo statobastardo, figlio del bisogno e della forza, nel quale solofra tutti gli altri sembravano essersi ricoverati l'inviola-bile unione, lo spirito di corpo, il rispetto per la fededata e per i capi eletti nel proprio seno, il valore e la de-strezza.Sebbene sopra il vessillo di questo stato fosse scritto ilmotto della vendetta contro la società, che a torto o a ra-gione aveva cacciato da sè i suoi membri, si potrebbediscutere se quel motto fosse molto peggiore di quellidell'oligarchia italica e del dispotismo dei sultani orien-tali, che sembravano in procinto di dividere il mondo fradi loro.I corsari sentivano di poter stare al livello di qualsiasistato legittimo; abbiamo ancora parecchi aneddoti carat-teristici di pazza giovialità e di costumi cavallereschi dibanditi, che rendono testimonianza della loro ambizio-ne, della loro magnificenza e della loro giovialità di bri-ganti. Essi credevano, e se ne vantavano, di essere impe-gnati in una giusta guerra con tutto il mondo; quanto

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ciò che vi era di miserabile e di temerario: e dove non sitrovavano malvagità e calamità in quei malaugurati tem-pi? Non era più una banda di ladri, ma uno stato militareconsolidato, in cui la solidarietà della proscrizione e deldelitto teneva luogo di nazionalità e nel quale il delitto,come avviene così spesso, garentiva dal delitto per lospirito di corpo.In un'epoca di dissoluzione, in cui la codardia e l'anar-chia avevano fiaccati tutti i legami dell'ordine sociale,gli stati legittimi potevano specchiarsi in questo statobastardo, figlio del bisogno e della forza, nel quale solofra tutti gli altri sembravano essersi ricoverati l'inviola-bile unione, lo spirito di corpo, il rispetto per la fededata e per i capi eletti nel proprio seno, il valore e la de-strezza.Sebbene sopra il vessillo di questo stato fosse scritto ilmotto della vendetta contro la società, che a torto o a ra-gione aveva cacciato da sè i suoi membri, si potrebbediscutere se quel motto fosse molto peggiore di quellidell'oligarchia italica e del dispotismo dei sultani orien-tali, che sembravano in procinto di dividere il mondo fradi loro.I corsari sentivano di poter stare al livello di qualsiasistato legittimo; abbiamo ancora parecchi aneddoti carat-teristici di pazza giovialità e di costumi cavallereschi dibanditi, che rendono testimonianza della loro ambizio-ne, della loro magnificenza e della loro giovialità di bri-ganti. Essi credevano, e se ne vantavano, di essere impe-gnati in una giusta guerra con tutto il mondo; quanto

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essi ne ritraevano non era considerato come cosa rubata,ma come bottino di guerra; e se venendo catturati i cor-sari potevano essere certi d'essere messi in croce nel pri-mo porto romano, essi si ritenevano a loro volta in dirit-to di mettere a morte qualunque loro prigioniero.La loro organizzazione politico-militare fu stabilita spe-cialmente all'epoca della guerra mitridatica.Le loro navi, per lo più piccole barche a vela, aperte, ve-loci, delle quali solo poche erano quelle a due o tre pon-ti, correvano ora i mari organizzate in squadre comanda-te da ammiragli, i cui navigli solevano brillare copertid'oro e di porpora.Nessun capitano pirata richiesto d'aiuto lo rifiutava alcamerata minacciato, anche se questi gli era affatto sco-nosciuto; un trattato conchiuso con uno dei pirati era ri-conosciuto valido da tutta la società, come ogni offesafatta ad uno di loro era vendicata da tutto il consorzio.La loro vera patria era il mare dalle Colonne d'Ercolesino ai lidi della Siria e dello Egitto; essi trovavano fa-cilmente gli asili di cui abbisognavano sul continente,per sè e per le loro case galleggianti, sulle coste dellaMauritania e della Dalmazia, nell'isola di Creta e soprat-tutto sulla costa meridionale dell'Asia minore, così riccadi seni e di nascondigli, che allora dominava la via prin-cipale del traffico marittimo ed era, per così dire, senzapadrone.La lega delle città cilicie e i comuni della Pamfilia noncontavano molto; la stazione romana che esisteva in Ci-licia dal 652 = 102 in poi, non bastava per dominare la

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essi ne ritraevano non era considerato come cosa rubata,ma come bottino di guerra; e se venendo catturati i cor-sari potevano essere certi d'essere messi in croce nel pri-mo porto romano, essi si ritenevano a loro volta in dirit-to di mettere a morte qualunque loro prigioniero.La loro organizzazione politico-militare fu stabilita spe-cialmente all'epoca della guerra mitridatica.Le loro navi, per lo più piccole barche a vela, aperte, ve-loci, delle quali solo poche erano quelle a due o tre pon-ti, correvano ora i mari organizzate in squadre comanda-te da ammiragli, i cui navigli solevano brillare copertid'oro e di porpora.Nessun capitano pirata richiesto d'aiuto lo rifiutava alcamerata minacciato, anche se questi gli era affatto sco-nosciuto; un trattato conchiuso con uno dei pirati era ri-conosciuto valido da tutta la società, come ogni offesafatta ad uno di loro era vendicata da tutto il consorzio.La loro vera patria era il mare dalle Colonne d'Ercolesino ai lidi della Siria e dello Egitto; essi trovavano fa-cilmente gli asili di cui abbisognavano sul continente,per sè e per le loro case galleggianti, sulle coste dellaMauritania e della Dalmazia, nell'isola di Creta e soprat-tutto sulla costa meridionale dell'Asia minore, così riccadi seni e di nascondigli, che allora dominava la via prin-cipale del traffico marittimo ed era, per così dire, senzapadrone.La lega delle città cilicie e i comuni della Pamfilia noncontavano molto; la stazione romana che esisteva in Ci-licia dal 652 = 102 in poi, non bastava per dominare la

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lunga costiera; il dominio siriaco sulla Cilicia non eraesistito mai che di nome e da poco tempo era persinostato surrogato dal dominio armeno, il cui sovrano, davero gran re, non si curava del mare e lo abbandonavavolentieri alle spogliazioni dei Cilici.Non è quindi da sorprendere se qui prosperassero piùche in qualsiasi altro luogo. Essi non solo vi possedeva-no dappertutto sulla costa dei segnali e delle stazioni,ma avevano costruito le loro rocche anche nei più remo-ti nascondigli dei paesi erti e montuosi dell'interno dellaLicia, della Pamfilia e della Cilicia, nelle quali, mentreessi percorrevano i mari, nascondevano le loro mogli, iloro fanciulli e i loro tesori e, dove in tempi pericolosi,trovavano asilo essi stessi.Simili rocche da pirati abbondavano specialmentenell'aspra Cilicia, nelle cui foreste essi trovavano nellostesso tempo il miglior legname per la costruzione delleloro barche e dove perciò si trovavano i principali lorocantieri ed arsenali. Non doveva quindi destare meravi-glia, se questo regolare stato militare si era formato frale città greche marittime, le quali erano più o meno ab-bandonate a sè stesse e si amministravano da sè, una so-lida clientela, che in base ad accordi stabiliti trattava coipirati di affari commerciali come con una potenza amicae che si rifiutò all'invito del governatore romano di man-dare delle navi contro i medesimi. La città di Side nellaPamfilia, ad esempio, concesse ai pirati di costruire navinei suoi cantieri e di vendere sul suo mercato gli uominiliberi fatti prigionieri.

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lunga costiera; il dominio siriaco sulla Cilicia non eraesistito mai che di nome e da poco tempo era persinostato surrogato dal dominio armeno, il cui sovrano, davero gran re, non si curava del mare e lo abbandonavavolentieri alle spogliazioni dei Cilici.Non è quindi da sorprendere se qui prosperassero piùche in qualsiasi altro luogo. Essi non solo vi possedeva-no dappertutto sulla costa dei segnali e delle stazioni,ma avevano costruito le loro rocche anche nei più remo-ti nascondigli dei paesi erti e montuosi dell'interno dellaLicia, della Pamfilia e della Cilicia, nelle quali, mentreessi percorrevano i mari, nascondevano le loro mogli, iloro fanciulli e i loro tesori e, dove in tempi pericolosi,trovavano asilo essi stessi.Simili rocche da pirati abbondavano specialmentenell'aspra Cilicia, nelle cui foreste essi trovavano nellostesso tempo il miglior legname per la costruzione delleloro barche e dove perciò si trovavano i principali lorocantieri ed arsenali. Non doveva quindi destare meravi-glia, se questo regolare stato militare si era formato frale città greche marittime, le quali erano più o meno ab-bandonate a sè stesse e si amministravano da sè, una so-lida clientela, che in base ad accordi stabiliti trattava coipirati di affari commerciali come con una potenza amicae che si rifiutò all'invito del governatore romano di man-dare delle navi contro i medesimi. La città di Side nellaPamfilia, ad esempio, concesse ai pirati di costruire navinei suoi cantieri e di vendere sul suo mercato gli uominiliberi fatti prigionieri.

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Una tale pirateria era una vera potenza politica e cometale essa si spacciava ed era considerata, da quando perprimo il re della Siria, Trifone, se ne era servito perusurpare lo scettro.Noi troviamo i pirati come alleati sia di Mitridate re delPonto, sia dell'emigrazione democratica romana; litroviamo che combattono le flotte di Silla tanto nel mareorientale quanto in quello occidentale; troviamo principipirati che signoreggiano su una serie di città litoranee.Non sapremmo dire a qual grado di interno sviluppo po-litico questo stato galleggiante fosse già pervenuto; main queste forme si ravvisa senza dubbio il germe di unostato marittimo che comincia a consolidarsi e dal quale,sotto favorevoli condizioni, avrebbe potuto svilupparsiuno stato durevole.

5. Polizia marittima romana.

Da questa narrazione si può giudicare, e in partel'abbiamo già accennato altrove, della polizia cheesercitavano o piuttosto che non esercitavano i Romanisul «loro mare».Il protettorato esercitato da Roma sulle province consi-steva sostanzialmente nella tutela militare; per la difesain mare e in terra che era tutta nelle mani dei Romani,contribuivano i provinciali. Ma non vi fu forse mai untutore che abbia con tanta impudenza ingannato il suopupillo come l'oligarchia romana ingannava le provincevassalle.

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Una tale pirateria era una vera potenza politica e cometale essa si spacciava ed era considerata, da quando perprimo il re della Siria, Trifone, se ne era servito perusurpare lo scettro.Noi troviamo i pirati come alleati sia di Mitridate re delPonto, sia dell'emigrazione democratica romana; litroviamo che combattono le flotte di Silla tanto nel mareorientale quanto in quello occidentale; troviamo principipirati che signoreggiano su una serie di città litoranee.Non sapremmo dire a qual grado di interno sviluppo po-litico questo stato galleggiante fosse già pervenuto; main queste forme si ravvisa senza dubbio il germe di unostato marittimo che comincia a consolidarsi e dal quale,sotto favorevoli condizioni, avrebbe potuto svilupparsiuno stato durevole.

5. Polizia marittima romana.

Da questa narrazione si può giudicare, e in partel'abbiamo già accennato altrove, della polizia cheesercitavano o piuttosto che non esercitavano i Romanisul «loro mare».Il protettorato esercitato da Roma sulle province consi-steva sostanzialmente nella tutela militare; per la difesain mare e in terra che era tutta nelle mani dei Romani,contribuivano i provinciali. Ma non vi fu forse mai untutore che abbia con tanta impudenza ingannato il suopupillo come l'oligarchia romana ingannava le provincevassalle.

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Invece di formare una flotta generale dello stato e dicentralizzare la polizia marittima, il senato abbandonòdel tutto la suprema direzione e la centralizzazione dellapolizia marittima, senza la quale appunto in questo ge-nere di affari nulla di buono si poteva operare, lasciandoche ogni singolo governatore e ogni stato vassallo si di-fendesse dai pirati come meglio potesse.Invece di sostenere le spese della flotta esclusivamentecon i propri mezzi e con quelli degli stati vassalli rimastinominalmente sovrani, come ne aveva preso impegno,Roma trascurò la marina da guerra italiana, servendosidelle navi mercantili requisite dalle città marittime o piùfrequentemente dai guardacoste che aveva organizzatodappertutto, e in entrambi i casi toccava ai sudditi a so-stenere le spese e le fatiche.I provinciali potevano chiamarsi fortunati, se il governa-tore romano impiegava realmente in difesa delle coste lerequisizioni imposte per tale titolo e non se le appropria-va, o non le destinava, come spesso avveniva, a riscatta-re dai pirati qualche personaggio romano.Le poche cose ragionevoli che si erano cominciate afare, come per esempio l'occupazione della Cilicia nel652 = 102, vennero meno nel corso dell'esecuzione.Quei Romani che non erano interamente inebriati dallavertiginosa idea della grandezza nazionale, avrebberodovuto desiderare di vedere strappati dalla tribuna sulforo i rostri, almeno per non ricordare ad ogni istante levittorie navali ottenute in tempi migliori.Silla, che nella guerra contro Mitridate aveva dovuto

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Invece di formare una flotta generale dello stato e dicentralizzare la polizia marittima, il senato abbandonòdel tutto la suprema direzione e la centralizzazione dellapolizia marittima, senza la quale appunto in questo ge-nere di affari nulla di buono si poteva operare, lasciandoche ogni singolo governatore e ogni stato vassallo si di-fendesse dai pirati come meglio potesse.Invece di sostenere le spese della flotta esclusivamentecon i propri mezzi e con quelli degli stati vassalli rimastinominalmente sovrani, come ne aveva preso impegno,Roma trascurò la marina da guerra italiana, servendosidelle navi mercantili requisite dalle città marittime o piùfrequentemente dai guardacoste che aveva organizzatodappertutto, e in entrambi i casi toccava ai sudditi a so-stenere le spese e le fatiche.I provinciali potevano chiamarsi fortunati, se il governa-tore romano impiegava realmente in difesa delle coste lerequisizioni imposte per tale titolo e non se le appropria-va, o non le destinava, come spesso avveniva, a riscatta-re dai pirati qualche personaggio romano.Le poche cose ragionevoli che si erano cominciate afare, come per esempio l'occupazione della Cilicia nel652 = 102, vennero meno nel corso dell'esecuzione.Quei Romani che non erano interamente inebriati dallavertiginosa idea della grandezza nazionale, avrebberodovuto desiderare di vedere strappati dalla tribuna sulforo i rostri, almeno per non ricordare ad ogni istante levittorie navali ottenute in tempi migliori.Silla, che nella guerra contro Mitridate aveva dovuto

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persuadersi dei pericoli cui si andava incontro col tra-scurare la flotta, aveva date alcune disposizioni per ripa-rare efficacemente a questo inconveniente. Ma l'ordinelasciato ai governatori da lui nominati in Asia di armarenelle città una flotta contro i pirati, aveva veramentefruttato ben poco, dacchè Murena aveva preferito di co-minciare la guerra contro Mitridate, e il governatore del-la Cilicia, Gneo Dolabella, si era mostrato assolutamen-te inetto.

6. Spedizione in Asia minore.

Finalmente il senato, nel 675 = 79, deliberò d'inviarenella Cilicia un console; la sorte toccò al valente PublioServilio. Egli sconfisse in un micidiale combattimentola flotta dei pirati e si diresse poi a distruggere quellecittà situate sulla costa meridionale dell'Asia minore,che servivano ad essi di stazioni e di scali commerciali.Le fortezze del possente principe pirata Zenicete: Olim-po, Corico e Faseli nella Licia orientale, e Attalia nellaPamfilia, furono prese con la forza, e il principe perdettela vita nell'incendio di Olimpo. Si andò più in là con gliIsauri, che abitavano la parte nord-ovest dell'alpestre Ci-licia sul versante nordico del Tauro, una specie di labi-rinto di erti gioghi, di rocce dirupate e di profonde valli,coperto da magnifiche foreste di querce, paese oggi an-cora pieno di ricordi degli antichi predoni.Per forzare queste rocche, gli ultimi e più sicuri ricetta-coli dei pirati, Servilio condusse il primo esercito roma-

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persuadersi dei pericoli cui si andava incontro col tra-scurare la flotta, aveva date alcune disposizioni per ripa-rare efficacemente a questo inconveniente. Ma l'ordinelasciato ai governatori da lui nominati in Asia di armarenelle città una flotta contro i pirati, aveva veramentefruttato ben poco, dacchè Murena aveva preferito di co-minciare la guerra contro Mitridate, e il governatore del-la Cilicia, Gneo Dolabella, si era mostrato assolutamen-te inetto.

6. Spedizione in Asia minore.

Finalmente il senato, nel 675 = 79, deliberò d'inviarenella Cilicia un console; la sorte toccò al valente PublioServilio. Egli sconfisse in un micidiale combattimentola flotta dei pirati e si diresse poi a distruggere quellecittà situate sulla costa meridionale dell'Asia minore,che servivano ad essi di stazioni e di scali commerciali.Le fortezze del possente principe pirata Zenicete: Olim-po, Corico e Faseli nella Licia orientale, e Attalia nellaPamfilia, furono prese con la forza, e il principe perdettela vita nell'incendio di Olimpo. Si andò più in là con gliIsauri, che abitavano la parte nord-ovest dell'alpestre Ci-licia sul versante nordico del Tauro, una specie di labi-rinto di erti gioghi, di rocce dirupate e di profonde valli,coperto da magnifiche foreste di querce, paese oggi an-cora pieno di ricordi degli antichi predoni.Per forzare queste rocche, gli ultimi e più sicuri ricetta-coli dei pirati, Servilio condusse il primo esercito roma-

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no oltre il Tauro ed espugnò la fortezza nemica diOroanda e specialmente Isaura, che era l'ideale per unacittà di predoni, situata sulla vetta di un monte di diffici-le accesso, e dominante completamente la vasta pianuradi Iconio. La triennale campagna del 676-78 = 78-76,che diede a Publio Servilio e ai suoi discendenti il nomedi Isaurico, non fu sterile; un gran numero di corsari e dinavi cadde per opera sua in potere dei Romani; la Licia,la Pamfilia, la Cilicia occidentale furono gravemente de-vastate, i territori delle città distrutte confiscati e incor-porati alla provincia della Cilicia.Ma era nella natura delle cose che la pirateria con ciònon fosse distrutta; essa si portò soltanto, per allora, inaltre regioni, specialmente in Creta, il più antico ricove-ro dei corsari del Mediterraneo.Per raggiungere completamente lo scopo a cui si miravaera necessario mettere in opera misure repressive gene-rali, o, per meglio dire, era necessaria una permanentepolizia marittima.

7. Condizioni dell'Asia.

Le condizioni dell'Asia minore erano in stretta relazionecon questa guerra marittima. L'irritazione che quiesisteva tra Roma e i re del Ponto e dell'Armenia, non siattenuava, anzi andava sempre più crescendo.Da un lato Tigrane, re dell'Armenia, continuava nelmodo più impudente ad estendere il suo regno connuove conquiste. I Parti, il cui stato per le discordie

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no oltre il Tauro ed espugnò la fortezza nemica diOroanda e specialmente Isaura, che era l'ideale per unacittà di predoni, situata sulla vetta di un monte di diffici-le accesso, e dominante completamente la vasta pianuradi Iconio. La triennale campagna del 676-78 = 78-76,che diede a Publio Servilio e ai suoi discendenti il nomedi Isaurico, non fu sterile; un gran numero di corsari e dinavi cadde per opera sua in potere dei Romani; la Licia,la Pamfilia, la Cilicia occidentale furono gravemente de-vastate, i territori delle città distrutte confiscati e incor-porati alla provincia della Cilicia.Ma era nella natura delle cose che la pirateria con ciònon fosse distrutta; essa si portò soltanto, per allora, inaltre regioni, specialmente in Creta, il più antico ricove-ro dei corsari del Mediterraneo.Per raggiungere completamente lo scopo a cui si miravaera necessario mettere in opera misure repressive gene-rali, o, per meglio dire, era necessaria una permanentepolizia marittima.

7. Condizioni dell'Asia.

Le condizioni dell'Asia minore erano in stretta relazionecon questa guerra marittima. L'irritazione che quiesisteva tra Roma e i re del Ponto e dell'Armenia, non siattenuava, anzi andava sempre più crescendo.Da un lato Tigrane, re dell'Armenia, continuava nelmodo più impudente ad estendere il suo regno connuove conquiste. I Parti, il cui stato per le discordie

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intestine era in grande decadenza, erano stati concontinue lotte respinti sempre più nell'interno dell'Asia.Fra le province situate tra l'Armenia, la Mesopotamia el'Iran, il paese dei Cordueni (parte settentrionale delCurdistan) e la Media atropatene (Azerbagian)mutarono il vassallaggio dei Parti in quello degliArmeni, e il regno di Ninive (Mossul) o Adiabene fuobbligato almeno per il momento a sottomettersiugualmente al re d'Armenia; anche nella Mesopotamia eparticolarmente in Nisibi e sue adiacenze, si estese ladominazione armena; solo la metà meridionale, per lamaggior parte deserta, e specialmente Seleucia sul Tigri,pare non sia stata occupata dal nuovo gran re. Egli diedeil regno di Edessa, ossia d'Osroena, ad una tribù diArabi erranti, che trapiantò dalla Mesopotamia,meridionale, fissandola qui, per delinare a suo mezzo ilpassaggio dell'Eufrate e la grande strada commerciale1.Ma Tigrane non si accontentò delle conquiste fatte sullasponda orientale dell'Eufrate. La Cappadocia fu prima1 Il regno di Edessa, fondato secondo le cronache patrie l'anno 620 = 134,

solo qualche tempo dopo pervenne alla dinastia araba degli Abgariti e deiMannidi, che vi troviamo più tardi. È evidente che ciò si lega collacolonizzazione di molti arabi per opera di Tigrane il Grande, nella regionedi Edessa, di Kallirroe, di Karre (PLIN., H. nn. 5, 20, 85; 21, 86; 6, 28,142); dicendo anche PLUTARCO (Luc. 21) che Tigrane civilizzò gli Arabinomadi e li avvicinò al suo regno, per rendersi col loro aiuto padrone delcommercio. Questo si spiega verosimilmente così, che cioè i beduiniabituati ad aprire vie commerciali attraverso il loro paese e a farsi pagareun pedaggio dai viaggiatori (STRABONE, 16, 748), servirono al gran re comedi ricevitori doganali, riscuotendo dazi per esso e per sè al passaggiodell'Eufrate. Questi «Arabi osroeni» (Orei Arabes), come li chiamò Plinio,devono essere gli stessi Arabi vinti da Afranio sul monte Amano (PLUT.,Pomp., 39).

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intestine era in grande decadenza, erano stati concontinue lotte respinti sempre più nell'interno dell'Asia.Fra le province situate tra l'Armenia, la Mesopotamia el'Iran, il paese dei Cordueni (parte settentrionale delCurdistan) e la Media atropatene (Azerbagian)mutarono il vassallaggio dei Parti in quello degliArmeni, e il regno di Ninive (Mossul) o Adiabene fuobbligato almeno per il momento a sottomettersiugualmente al re d'Armenia; anche nella Mesopotamia eparticolarmente in Nisibi e sue adiacenze, si estese ladominazione armena; solo la metà meridionale, per lamaggior parte deserta, e specialmente Seleucia sul Tigri,pare non sia stata occupata dal nuovo gran re. Egli diedeil regno di Edessa, ossia d'Osroena, ad una tribù diArabi erranti, che trapiantò dalla Mesopotamia,meridionale, fissandola qui, per delinare a suo mezzo ilpassaggio dell'Eufrate e la grande strada commerciale1.Ma Tigrane non si accontentò delle conquiste fatte sullasponda orientale dell'Eufrate. La Cappadocia fu prima1 Il regno di Edessa, fondato secondo le cronache patrie l'anno 620 = 134,

solo qualche tempo dopo pervenne alla dinastia araba degli Abgariti e deiMannidi, che vi troviamo più tardi. È evidente che ciò si lega collacolonizzazione di molti arabi per opera di Tigrane il Grande, nella regionedi Edessa, di Kallirroe, di Karre (PLIN., H. nn. 5, 20, 85; 21, 86; 6, 28,142); dicendo anche PLUTARCO (Luc. 21) che Tigrane civilizzò gli Arabinomadi e li avvicinò al suo regno, per rendersi col loro aiuto padrone delcommercio. Questo si spiega verosimilmente così, che cioè i beduiniabituati ad aprire vie commerciali attraverso il loro paese e a farsi pagareun pedaggio dai viaggiatori (STRABONE, 16, 748), servirono al gran re comedi ricevitori doganali, riscuotendo dazi per esso e per sè al passaggiodell'Eufrate. Questi «Arabi osroeni» (Orei Arabes), come li chiamò Plinio,devono essere gli stessi Arabi vinti da Afranio sul monte Amano (PLUT.,Pomp., 39).

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d'ogni altro paese la mira delle sue aggressioni e, inermecom'era, essa soffrì dal prepotente vicino dei colpi rovi-nosi. Egli staccò dalla Cappadocia la provincia piùorientale di Melitene e l'unì alla provincia armena di So-fene che le stava di fronte, riducendo così in suo potereil suo passaggio dell'Eufrate e la grande via commercia-le dell'Asia minore e dell'Armenia.Dopo la morte di Silla gli Armeni penetrarono perfinonella Cappadocia propriamente detta e condussero inArmenia gli abitanti della capitale, Mazaca (poi Cesa-rea), e di altre undici città ordinate al modo greco.

8. La Siria sotto Tigrane.

Nè maggior resistenza poteva opporre al nuovo gran reil regno dei Seleucidi ormai in piena dissoluzione.Regnava qui a mezzodì, dal confine egizio sino alla tor-re di Stratone (Cesarea) il re dei Giudei, AlessandroGianneo, che nella lotta sostenuta coi vicini della Siria,dell'Egitto e dell'Arabia estese e consolidò a poco apoco il suo regno. Le maggiori città della Siria, Gaza,Torre di Stratone, Tolemaide, Beroea, tentarono, oracome comuni liberi, ora sotto i cosiddetti tiranni, di so-stenersi indipendenti; specialmente Antiochia, la cittàcapitale, poteva considerarsi indipendente.Damasco e le valli del Libano si erano sottomesse alprincipe nabateo Aretas da Petra. Finalmente nella Cili-cia dominavano i pirati o i Romani.E per questa corona, che si andava sfasciando in mille

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d'ogni altro paese la mira delle sue aggressioni e, inermecom'era, essa soffrì dal prepotente vicino dei colpi rovi-nosi. Egli staccò dalla Cappadocia la provincia piùorientale di Melitene e l'unì alla provincia armena di So-fene che le stava di fronte, riducendo così in suo potereil suo passaggio dell'Eufrate e la grande via commercia-le dell'Asia minore e dell'Armenia.Dopo la morte di Silla gli Armeni penetrarono perfinonella Cappadocia propriamente detta e condussero inArmenia gli abitanti della capitale, Mazaca (poi Cesa-rea), e di altre undici città ordinate al modo greco.

8. La Siria sotto Tigrane.

Nè maggior resistenza poteva opporre al nuovo gran reil regno dei Seleucidi ormai in piena dissoluzione.Regnava qui a mezzodì, dal confine egizio sino alla tor-re di Stratone (Cesarea) il re dei Giudei, AlessandroGianneo, che nella lotta sostenuta coi vicini della Siria,dell'Egitto e dell'Arabia estese e consolidò a poco apoco il suo regno. Le maggiori città della Siria, Gaza,Torre di Stratone, Tolemaide, Beroea, tentarono, oracome comuni liberi, ora sotto i cosiddetti tiranni, di so-stenersi indipendenti; specialmente Antiochia, la cittàcapitale, poteva considerarsi indipendente.Damasco e le valli del Libano si erano sottomesse alprincipe nabateo Aretas da Petra. Finalmente nella Cili-cia dominavano i pirati o i Romani.E per questa corona, che si andava sfasciando in mille

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frantumi, i Seleucidi continuavano pertinacemente acontendere fra di loro, quasi volessero ridurre il regnoad un oggetto di scherno e di scandalo universale; edanzi, mentre i sudditi si staccavano tutti da questa dina-stia condannata come la famiglia di Laio ad eterna di-scordia, essi osavano persino elevare delle pretese altrono d'Egitto, resosi vacante essendo morto senza erediil re Alessandro II.In conseguenza di ciò il re Tigrane mise mano all'operasenza cerimonie. Non incontrò difficoltà a soggiogare laCilicia orientale e condusse in Armenia i cittadini di So-loi e di altre città, appunto come vi aveva condotto quel-li della Cappadocia. Così ridusse all'obbedienza dellearmi il territorio superiore della Siria, eccettuato Seleu-cia alla foce dell'Oronte valorosamente difesa, e la mas-sima parte della Fenicia.Verso l'anno 680 = 74 dagli Armeni fu espugnata Tole-maide e minacciato lo stato dei Giudei.Antiochia, antica capitale dei Seleucidi, divenne unadelle residenze del gran re. Già a cominciare dal 671 =83, il primo dopo la pace conchiusa tra Silla e Mitridate,Tigrane viene indicato negli annali della Siria come so-vrano, e la Cilicia e la Siria sono designate come unadelle satrapie armene sotto il governatore del gran reMagadate.Pareva ritornato il tempo dei re di Ninive, dei Salmanas-sar e dei Sanherib; di nuovo il dispotismo orientale pe-sava gravemente sulla popolazione commerciale del li-torale siriaco come una volta sopra Tiro e sopra Sidone;

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frantumi, i Seleucidi continuavano pertinacemente acontendere fra di loro, quasi volessero ridurre il regnoad un oggetto di scherno e di scandalo universale; edanzi, mentre i sudditi si staccavano tutti da questa dina-stia condannata come la famiglia di Laio ad eterna di-scordia, essi osavano persino elevare delle pretese altrono d'Egitto, resosi vacante essendo morto senza erediil re Alessandro II.In conseguenza di ciò il re Tigrane mise mano all'operasenza cerimonie. Non incontrò difficoltà a soggiogare laCilicia orientale e condusse in Armenia i cittadini di So-loi e di altre città, appunto come vi aveva condotto quel-li della Cappadocia. Così ridusse all'obbedienza dellearmi il territorio superiore della Siria, eccettuato Seleu-cia alla foce dell'Oronte valorosamente difesa, e la mas-sima parte della Fenicia.Verso l'anno 680 = 74 dagli Armeni fu espugnata Tole-maide e minacciato lo stato dei Giudei.Antiochia, antica capitale dei Seleucidi, divenne unadelle residenze del gran re. Già a cominciare dal 671 =83, il primo dopo la pace conchiusa tra Silla e Mitridate,Tigrane viene indicato negli annali della Siria come so-vrano, e la Cilicia e la Siria sono designate come unadelle satrapie armene sotto il governatore del gran reMagadate.Pareva ritornato il tempo dei re di Ninive, dei Salmanas-sar e dei Sanherib; di nuovo il dispotismo orientale pe-sava gravemente sulla popolazione commerciale del li-torale siriaco come una volta sopra Tiro e sopra Sidone;

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di nuovo grandi potenze del continente assalivano leprovince bagnate dal Mediterraneo, di nuovo sulle costedella Cilicia e della Siria si vedevano eserciti asiatici,composti, si presume, di un mezzo milione di combat-tenti.Come un tempo Salmanassar e Nabucodonosor avevanocondotti i Giudei in Babilonia, cosa ora da tutte le pro-vince confinanti del nuovo regno i Cordueni, gli Adia-beni, gli Assiri, i Cilici, i Cappadoci e specialmente icittadini greci o semigreci dovettero raccogliersi contutti i loro beni, sotto pena di confisca di tutto ciò cheavessero lasciato in patria, nella nuova residenza, una diquelle città gigantesche le quali attestano piuttosto ladappocaggine dei popoli che la grandezza dei dominato-ri, che sorgono quasi per incantesimo nei paesi bagnatidall'Eufrate ad ogni cambiamento di supremazia politi-ca, alla parola d'ordine del nuovo gran sultano.La nuova «città di Tigrane» detta Tigranocerta, postanella provincia più meridionale dell'Armenia, non lungidal confine della Mesopotamia, divenne una città comeNinive e Babilonia, con mura dell'altezza di cinquantabraccia e coi palazzi, giardini e parchi, ormai caratteri-stici del sultanesimo.Anche in altri rapporti il nuovo gran re non smentiva ilsuo carattere; poichè come nell'eterna infanziadell'oriente le puerili rappresentazioni dei re con verecorone sul capo non furono mai abolite, così anche Ti-grane compariva in pubblico con la pompa a col costu-me di un successore di Dario e di Serse, col caffettano

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di nuovo grandi potenze del continente assalivano leprovince bagnate dal Mediterraneo, di nuovo sulle costedella Cilicia e della Siria si vedevano eserciti asiatici,composti, si presume, di un mezzo milione di combat-tenti.Come un tempo Salmanassar e Nabucodonosor avevanocondotti i Giudei in Babilonia, cosa ora da tutte le pro-vince confinanti del nuovo regno i Cordueni, gli Adia-beni, gli Assiri, i Cilici, i Cappadoci e specialmente icittadini greci o semigreci dovettero raccogliersi contutti i loro beni, sotto pena di confisca di tutto ciò cheavessero lasciato in patria, nella nuova residenza, una diquelle città gigantesche le quali attestano piuttosto ladappocaggine dei popoli che la grandezza dei dominato-ri, che sorgono quasi per incantesimo nei paesi bagnatidall'Eufrate ad ogni cambiamento di supremazia politi-ca, alla parola d'ordine del nuovo gran sultano.La nuova «città di Tigrane» detta Tigranocerta, postanella provincia più meridionale dell'Armenia, non lungidal confine della Mesopotamia, divenne una città comeNinive e Babilonia, con mura dell'altezza di cinquantabraccia e coi palazzi, giardini e parchi, ormai caratteri-stici del sultanesimo.Anche in altri rapporti il nuovo gran re non smentiva ilsuo carattere; poichè come nell'eterna infanziadell'oriente le puerili rappresentazioni dei re con verecorone sul capo non furono mai abolite, così anche Ti-grane compariva in pubblico con la pompa a col costu-me di un successore di Dario e di Serse, col caffettano

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di porpora, colla sottoveste bianco-purpurea, coi calzonilunghi a grandi pieghe, con un alto turbante e col diade-ma reale, e ovunque andasse era accompagnato e servitoda quattro «re» in costume da schiavi.Più modesto si mostrava il re Mitridate. Egli si astenevada usurpazioni nell'Asia minore, limitandosi, ciò chenessun trattato gli vietava, a consolidare maggiormenteil suo dominio sul Mar Nero e a ridurre a poco a pocopiù decisamente sotto la sua dipendenza le province cheseparavano il regno del Bosforo – allora posseduto dasuo figlio Macare, sotto la sua supremazia – dal regnopontico.Ma egli pure impiegò tutti i mezzi per portare in buonecondizioni la sua flotta ed il suo esercito, e per armarloed organizzarlo alla romana, e in ciò gli prestarono se-gnalati servigi i moltissimi emigrati romani che si trova-vano alla sua corte.

9. Condotta dei Romani in oriente.

Ai Romani non importava nulla di immischiarsi negliaffari d'oriente più di quello che già lo erano. Ciò èdimostrato specialmente dalla circostanza, che il senatodisdegnò di cogliere l'occasione presentatasi in queltempo di ridurre pacificamente il regno egizio sottol'immediata signoria romana.La discendenza legittima di Tolomeo, figlio di Lago, sispense quando, dopo la morte di Tolomeo Sotero II, La-tiro, re Alessandro II, figlio di Alessandro I, messo sul

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di porpora, colla sottoveste bianco-purpurea, coi calzonilunghi a grandi pieghe, con un alto turbante e col diade-ma reale, e ovunque andasse era accompagnato e servitoda quattro «re» in costume da schiavi.Più modesto si mostrava il re Mitridate. Egli si astenevada usurpazioni nell'Asia minore, limitandosi, ciò chenessun trattato gli vietava, a consolidare maggiormenteil suo dominio sul Mar Nero e a ridurre a poco a pocopiù decisamente sotto la sua dipendenza le province cheseparavano il regno del Bosforo – allora posseduto dasuo figlio Macare, sotto la sua supremazia – dal regnopontico.Ma egli pure impiegò tutti i mezzi per portare in buonecondizioni la sua flotta ed il suo esercito, e per armarloed organizzarlo alla romana, e in ciò gli prestarono se-gnalati servigi i moltissimi emigrati romani che si trova-vano alla sua corte.

9. Condotta dei Romani in oriente.

Ai Romani non importava nulla di immischiarsi negliaffari d'oriente più di quello che già lo erano. Ciò èdimostrato specialmente dalla circostanza, che il senatodisdegnò di cogliere l'occasione presentatasi in queltempo di ridurre pacificamente il regno egizio sottol'immediata signoria romana.La discendenza legittima di Tolomeo, figlio di Lago, sispense quando, dopo la morte di Tolomeo Sotero II, La-tiro, re Alessandro II, figlio di Alessandro I, messo sul

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trono da Silla, pochi giorni dopo la sua assunzione altrono fu ammazzato in una sollevazione della capitale(673 = 81).Questo Alessandro nel suo testamento2 aveva costituitaerede la repubblica romana. Veramente l'autenticità diquesto documento fu contestata, ma il senato loriconobbe, incassando in base al medesimo le sommedepositate in Tiro per conto del defunto re. Tuttavia

2 Nella questione se questo supposto o effettivo testamento sipossa attribuire al primo Alessandro (†666 = 88) o al secondo(†673 = 81) si propende ordinariamente per la primasupposizione. Ma le ragioni sono insufficienti. CICERONE (De l.agr., 1, 4, 12; 15, 38; 16, 41) non dice che l'Egitto sia venuto inpotere di Roma nell'anno 666 = 88 ma in questo o nell'anno dopo,e se dalla circostanza che Alessandro I morì all'estero eAlessandro II in Alessandria, si volle dedurne che i tesoriaccennati nel testamento di cui si parla, e depositati in Tiro,abbiano appartenuto al primo, non si badò che Alessandro II erastato ammazzato diciannove giorni dopo il suo arrivo in Egitto(LETRONNE, Inscr. de l'Egipte, 2, 20), mentre la sua cassa potevabenissimo essere ancora a Tiro. Invece è decisiva la circostanza,che il secondo Alessandro era l'ultimo vero Lagide, poichè neisimili acquisti di Pergamo, di Cirene e della Bitinia, Roma fusempre costituita erede dall'ultimo rampollo della legittimafamiglia regnante. L'antica ragione di stato, almeno come servivadi norma per gli stati clienti dei Romani, sembra che nonacconsentisse ai reggenti il diritto di disporre con atti di ultimavolontà del proprio regno in modo assoluto, ma solo in mancanzadi discendenti aventi diritto alla successione.Se il testamento fosse vero o falso, non si può giudicare, ed è anche abbastanza

indifferente; non vi sono però dati speciali per ammettere unafalsificazione.

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trono da Silla, pochi giorni dopo la sua assunzione altrono fu ammazzato in una sollevazione della capitale(673 = 81).Questo Alessandro nel suo testamento2 aveva costituitaerede la repubblica romana. Veramente l'autenticità diquesto documento fu contestata, ma il senato loriconobbe, incassando in base al medesimo le sommedepositate in Tiro per conto del defunto re. Tuttavia

2 Nella questione se questo supposto o effettivo testamento sipossa attribuire al primo Alessandro (†666 = 88) o al secondo(†673 = 81) si propende ordinariamente per la primasupposizione. Ma le ragioni sono insufficienti. CICERONE (De l.agr., 1, 4, 12; 15, 38; 16, 41) non dice che l'Egitto sia venuto inpotere di Roma nell'anno 666 = 88 ma in questo o nell'anno dopo,e se dalla circostanza che Alessandro I morì all'estero eAlessandro II in Alessandria, si volle dedurne che i tesoriaccennati nel testamento di cui si parla, e depositati in Tiro,abbiano appartenuto al primo, non si badò che Alessandro II erastato ammazzato diciannove giorni dopo il suo arrivo in Egitto(LETRONNE, Inscr. de l'Egipte, 2, 20), mentre la sua cassa potevabenissimo essere ancora a Tiro. Invece è decisiva la circostanza,che il secondo Alessandro era l'ultimo vero Lagide, poichè neisimili acquisti di Pergamo, di Cirene e della Bitinia, Roma fusempre costituita erede dall'ultimo rampollo della legittimafamiglia regnante. L'antica ragione di stato, almeno come servivadi norma per gli stati clienti dei Romani, sembra che nonacconsentisse ai reggenti il diritto di disporre con atti di ultimavolontà del proprio regno in modo assoluto, ma solo in mancanzadi discendenti aventi diritto alla successione.Se il testamento fosse vero o falso, non si può giudicare, ed è anche abbastanza

indifferente; non vi sono però dati speciali per ammettere unafalsificazione.

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lasciò che due figli del re Latiro, notoriamenteillegittimi, prendessero possesso in via di fatto, l'uno,Tolomeo XI, detto il novello Bacco o il suonatore diflauto (Auleta), dell'Egitto, l'altro, Tolomeo il Cipriota,di Cipro; veramente essi non furono riconosciuti dalsenato, ma questo non fece loro nemmeno una esplicitarichiesta di restituzione dei regni. La ragione per cui ilsenato lasciò che durasse questo stato ambiguo di cose enon si decise a rinunciare in modo obbligatorioall'Egitto ed a Cipro, era senza dubbio l'importantetributo che questi re, che regnavano quasi per grazia,pagavano sempre, per conservarsela, ai capi dellaconsorteria in Roma.Ma la ragione di rinunciare assolutamente a questa riccapreda si deve cercare altrove. L'Egitto, per la sua specia-le posizione e per la sua organizzazione finanziaria,dava ad un qualsiasi luogotenente che ivi comandasseuna potenza finanziaria e marittima e in generale unatale forza indipendente, che assolutamente non conface-va col governo sospettoso e fiacco dell'oligarchia; par-tendo da questo punto di vista si faceva cosa assennatarinunciando all'immediato possesso del paese bagnatodal Nilo.

10. Il non intervento in Siria.

È meno giustificabile che il senato omettesse diintervenire direttamente negli affari dell'Asia minore edella Siria.

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lasciò che due figli del re Latiro, notoriamenteillegittimi, prendessero possesso in via di fatto, l'uno,Tolomeo XI, detto il novello Bacco o il suonatore diflauto (Auleta), dell'Egitto, l'altro, Tolomeo il Cipriota,di Cipro; veramente essi non furono riconosciuti dalsenato, ma questo non fece loro nemmeno una esplicitarichiesta di restituzione dei regni. La ragione per cui ilsenato lasciò che durasse questo stato ambiguo di cose enon si decise a rinunciare in modo obbligatorioall'Egitto ed a Cipro, era senza dubbio l'importantetributo che questi re, che regnavano quasi per grazia,pagavano sempre, per conservarsela, ai capi dellaconsorteria in Roma.Ma la ragione di rinunciare assolutamente a questa riccapreda si deve cercare altrove. L'Egitto, per la sua specia-le posizione e per la sua organizzazione finanziaria,dava ad un qualsiasi luogotenente che ivi comandasseuna potenza finanziaria e marittima e in generale unatale forza indipendente, che assolutamente non conface-va col governo sospettoso e fiacco dell'oligarchia; par-tendo da questo punto di vista si faceva cosa assennatarinunciando all'immediato possesso del paese bagnatodal Nilo.

10. Il non intervento in Siria.

È meno giustificabile che il senato omettesse diintervenire direttamente negli affari dell'Asia minore edella Siria.

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È vero che il governo romano non riconobbe il conqui-statore armeno come re di Cappadocia e di Siria; madall'altro lato esso non fece nulla per respingerlo, perquanto la guerra che fu costretto a condurre nella Ciliciacontro i pirati, nel 676 = 78, dovesse eccitarlo a interve-nire specialmente nella Siria.Infatti, acconsentendo alla perdita della Cappadocia edella Siria senza una dichiarazione di guerra, il governoromano non solo abbandonava i suoi clienti, ma le basipiù importanti della sua posizione politica. Era già cosagrave il rinunciare alle città ed ai regni ellenizzatisull'Eufrate e sul Tigri, che erano le opere avanzate delsuo dominio; ma il permettere che gli asiatici si stabilis-sero sulle coste del Mediterraneo, che formava la basepolitica del suo dominio, non era una prova di amor dipace, ma una confessione che l'oligarchia colla restaura-zione di Silla era divenuta più oligarchica, ma non piùassennata nè più energica, e che il dominio romano uni-versale era giunto al principio della fine.Nemmeno la parte avversaria voleva la guerra. Tigranenon aveva nessuna ragione di desiderarla, dato cheRoma gli abbandonava tutti gli alleati senza neppure ri-correre alla forza delle armi. Mitridate, che era più cheun sultano, e che aveva avuto molte occasioni di esperi-mentare amici e nemici nella buona e nell'avversa fortu-na, sapeva benissimo, che in una seconda guerra coi Ro-mani egli molto probabilmente si sarebbe trovato solocome nella prima, e che non poteva fare nulla di piùsennato che di starsene tranquillo e rinforzare il suo re-

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È vero che il governo romano non riconobbe il conqui-statore armeno come re di Cappadocia e di Siria; madall'altro lato esso non fece nulla per respingerlo, perquanto la guerra che fu costretto a condurre nella Ciliciacontro i pirati, nel 676 = 78, dovesse eccitarlo a interve-nire specialmente nella Siria.Infatti, acconsentendo alla perdita della Cappadocia edella Siria senza una dichiarazione di guerra, il governoromano non solo abbandonava i suoi clienti, ma le basipiù importanti della sua posizione politica. Era già cosagrave il rinunciare alle città ed ai regni ellenizzatisull'Eufrate e sul Tigri, che erano le opere avanzate delsuo dominio; ma il permettere che gli asiatici si stabilis-sero sulle coste del Mediterraneo, che formava la basepolitica del suo dominio, non era una prova di amor dipace, ma una confessione che l'oligarchia colla restaura-zione di Silla era divenuta più oligarchica, ma non piùassennata nè più energica, e che il dominio romano uni-versale era giunto al principio della fine.Nemmeno la parte avversaria voleva la guerra. Tigranenon aveva nessuna ragione di desiderarla, dato cheRoma gli abbandonava tutti gli alleati senza neppure ri-correre alla forza delle armi. Mitridate, che era più cheun sultano, e che aveva avuto molte occasioni di esperi-mentare amici e nemici nella buona e nell'avversa fortu-na, sapeva benissimo, che in una seconda guerra coi Ro-mani egli molto probabilmente si sarebbe trovato solocome nella prima, e che non poteva fare nulla di piùsennato che di starsene tranquillo e rinforzare il suo re-

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gno nell'interno. Che egli fosse seriamente penetrato diquesti sentimenti pacifici lo aveva provato a sufficienzanel convegno avuto con Murena; egli continuava perciòad evitare ogni cosa che potesse spingere il governo ro-mano ad uscire dalla sua attitudine passiva.Ma come la prima guerra contro Mitridate era avvenutasenza che alcuna delle due parti l'avesse seriamente de-siderata, così anche ora opposti interessi cagionarono re-ciproci sospetti e quindi reciproci preparativi di difesa,che finalmente condussero per forza di gravità alla aper-ta rottura.La sfiducia, che da lungo tempo la politica romana ave-va delle proprie forze, ben naturale quando si vogliaconsiderare la mancanza di eserciti permanenti ed il re-gime collegiale assai poco esemplare, riduceva, per cosìdire, ad assioma della politica romana il principio dicondurre ogni guerra non solo sino al soggiogamento,ma sino all'annientamento del nemico; a Roma quindi siera fin da principio poco contenti della pace di Silla,come, altra volta, delle condizioni che Scipione Africa-no aveva concesso al Cartaginesi.Il timore più volte espresso, che sovrastasse una secon-da aggressione del re del Ponto, era in qualche modogiustificato dalla grandissima analogia delle attuali con-dizioni con quelle di dodici anni prima.Anche ora si combinava una pericolosa guerra civilecon seri armamenti di Mitridate; i Traci inondavano dinuovo la Macedonia, e le flotte dei corsari infestavanotutto il Mediterraneo; di nuovo era un andirivieni di

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gno nell'interno. Che egli fosse seriamente penetrato diquesti sentimenti pacifici lo aveva provato a sufficienzanel convegno avuto con Murena; egli continuava perciòad evitare ogni cosa che potesse spingere il governo ro-mano ad uscire dalla sua attitudine passiva.Ma come la prima guerra contro Mitridate era avvenutasenza che alcuna delle due parti l'avesse seriamente de-siderata, così anche ora opposti interessi cagionarono re-ciproci sospetti e quindi reciproci preparativi di difesa,che finalmente condussero per forza di gravità alla aper-ta rottura.La sfiducia, che da lungo tempo la politica romana ave-va delle proprie forze, ben naturale quando si vogliaconsiderare la mancanza di eserciti permanenti ed il re-gime collegiale assai poco esemplare, riduceva, per cosìdire, ad assioma della politica romana il principio dicondurre ogni guerra non solo sino al soggiogamento,ma sino all'annientamento del nemico; a Roma quindi siera fin da principio poco contenti della pace di Silla,come, altra volta, delle condizioni che Scipione Africa-no aveva concesso al Cartaginesi.Il timore più volte espresso, che sovrastasse una secon-da aggressione del re del Ponto, era in qualche modogiustificato dalla grandissima analogia delle attuali con-dizioni con quelle di dodici anni prima.Anche ora si combinava una pericolosa guerra civilecon seri armamenti di Mitridate; i Traci inondavano dinuovo la Macedonia, e le flotte dei corsari infestavanotutto il Mediterraneo; di nuovo era un andirivieni di

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emissari: come una volta fra Mitridate e gli Italici, cosìadesso tra gli emigrati romani nella Spagna e quelli di-moranti alla corte di Sinope.Già dal principio del 677 = 77 fu detto in senato, che ilre attendeva solo la buona occasione per assalire l'Asiaromana fervendo in Italia la guerra civile; gli eserciti ro-mani stanziati in Asia e in Cilicia furono rinforzati perovviare a possibili eventi.Dall'altro lato anche Mitridate spiava con crescente in-quietudine lo svolgimento della politica romana. Eglidoveva sentire che una guerra dei Romani con Tigrane,per quanto il fiacco senato cercasse di evitarla, alla lun-ga sarebbe divenuta inevitabile, e che egli non avrebbepotuto fare a meno di prendervi parte.Il tentativo da lui fatto per ottenere dal senato romano iltuttora mancante trattato di pace per iscritto, era andatoa vuoto durante gli scompigli della rivoluzione lepidia-na, ed era rimasto senza effetto; Mitridate scorse in ciòun indizio dell'imminente ripresa della lotta.La spedizione contro i pirati, che toccava direttamenteanche i re d'oriente, di cui essi erano gli alleati, ne sem-brava l'introduzione. E maggior pensiero davano le pre-tese di Roma sull'Egitto e su Cipro; ed è significativoche il re del Ponto promettesse in moglie le sue due fi-glie Mitradati e Nissa ai due Tolomei, ai quali il senatocontinuava a rifiutare il riconoscimento.Gli emigrati spingevano alla guerra; la posizione di Ser-torio in Spagna, per conoscere la quale Mitridate conplausibili pretesti aveva mandato dei messi nel quartier

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emissari: come una volta fra Mitridate e gli Italici, cosìadesso tra gli emigrati romani nella Spagna e quelli di-moranti alla corte di Sinope.Già dal principio del 677 = 77 fu detto in senato, che ilre attendeva solo la buona occasione per assalire l'Asiaromana fervendo in Italia la guerra civile; gli eserciti ro-mani stanziati in Asia e in Cilicia furono rinforzati perovviare a possibili eventi.Dall'altro lato anche Mitridate spiava con crescente in-quietudine lo svolgimento della politica romana. Eglidoveva sentire che una guerra dei Romani con Tigrane,per quanto il fiacco senato cercasse di evitarla, alla lun-ga sarebbe divenuta inevitabile, e che egli non avrebbepotuto fare a meno di prendervi parte.Il tentativo da lui fatto per ottenere dal senato romano iltuttora mancante trattato di pace per iscritto, era andatoa vuoto durante gli scompigli della rivoluzione lepidia-na, ed era rimasto senza effetto; Mitridate scorse in ciòun indizio dell'imminente ripresa della lotta.La spedizione contro i pirati, che toccava direttamenteanche i re d'oriente, di cui essi erano gli alleati, ne sem-brava l'introduzione. E maggior pensiero davano le pre-tese di Roma sull'Egitto e su Cipro; ed è significativoche il re del Ponto promettesse in moglie le sue due fi-glie Mitradati e Nissa ai due Tolomei, ai quali il senatocontinuava a rifiutare il riconoscimento.Gli emigrati spingevano alla guerra; la posizione di Ser-torio in Spagna, per conoscere la quale Mitridate conplausibili pretesti aveva mandato dei messi nel quartier

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generale di Pompeo, e che difatti appunto in quel mo-mento era imponente, fece nascere al re la speranza dinon combattere, come colla prima guerra, contro tutti edue i partiti romani, ma l'uno per mezzo dell'altro. Unmomento più propizio non si poteva sperare, e, infine,era sempre meglio dichiarare la guerra che farsela di-chiarare.

11. Mitridate dichiara la guerra.

Nell'anno 679 = 75 moriva Nicomede III Filopatore redi Bitinia e ultimo della sua schiatta – poichè il figlioavuto da Nissa era, o si diceva, illegittimo – lasciando ilsuo regno con testamento ai Romani che nonindugiarono a prendere possesso di questo paeseconfinante colla provincia romana e già da lungo tempopieno di impiegati e di commercianti romani.Intanto anche la Cirenaica, caduta sin dal 658 = 96 inpotere dei Romani, era finalmente organizzata comeprovincia e nel 679 = 75 vi fu mandato un governatoreromano. Queste disposizioni e la guerra mossa in queltempo sulle coste meridionali dell'Asia minore contro ipirati, devono aver suscitato dei seri timori nell'animodel re; specialmente poi l'occupazione della Bitinia, cherendeva i Romani immediati vicini del regno pontico; eciò diede probabilmente il tracollo alla bilancia. Il refece il passo decisivo e nell'inverno dell'anno 679-80 =75-4 dichiarò la guerra ai Romani.Mitridate avrebbe desiderato di non trovarsi solo

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generale di Pompeo, e che difatti appunto in quel mo-mento era imponente, fece nascere al re la speranza dinon combattere, come colla prima guerra, contro tutti edue i partiti romani, ma l'uno per mezzo dell'altro. Unmomento più propizio non si poteva sperare, e, infine,era sempre meglio dichiarare la guerra che farsela di-chiarare.

11. Mitridate dichiara la guerra.

Nell'anno 679 = 75 moriva Nicomede III Filopatore redi Bitinia e ultimo della sua schiatta – poichè il figlioavuto da Nissa era, o si diceva, illegittimo – lasciando ilsuo regno con testamento ai Romani che nonindugiarono a prendere possesso di questo paeseconfinante colla provincia romana e già da lungo tempopieno di impiegati e di commercianti romani.Intanto anche la Cirenaica, caduta sin dal 658 = 96 inpotere dei Romani, era finalmente organizzata comeprovincia e nel 679 = 75 vi fu mandato un governatoreromano. Queste disposizioni e la guerra mossa in queltempo sulle coste meridionali dell'Asia minore contro ipirati, devono aver suscitato dei seri timori nell'animodel re; specialmente poi l'occupazione della Bitinia, cherendeva i Romani immediati vicini del regno pontico; eciò diede probabilmente il tracollo alla bilancia. Il refece il passo decisivo e nell'inverno dell'anno 679-80 =75-4 dichiarò la guerra ai Romani.Mitridate avrebbe desiderato di non trovarsi solo

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nell'ardua impresa. Il suo più prossimo e naturale alleatoera il gran re Tigrane; ma questi, corto di senno, declinòla proposta del suocero. Così non rimanevano che gli in-sorti e i pirati.Mitridate si diede premura di mettersi in relazione congli uni e cogli altri, inviando numerose squadre in Spa-gna e a Creta. Concluse un trattato in piena regola conSertorio, col quale Roma cedeva al re di Bitinia la Pafla-gonia, la Galazia e la Cappadocia; questi erano acquistiche dovevano naturalmente venir ratificati sul campo dibattaglia. Più importante fu l'aiuto che il duce spagnoloaccordò al re coll'invio di ufficiali romani per condurre isuoi eserciti e le sue flotte.I più operosi fra gli emigrati in oriente, Lucio Magio eLucio Fannio, furono spediti da Sertorio alla corte di Si-nope come suoi rappresentanti. Vennero soccorsi anchedai pirati; essi si raccolsero in gran numero nel regnopontico e specialmente col loro mezzo pare che sia riu-scito al re di formare una forza navale imponente tantoper numero che per bontà delle navi. Il maggiore asse-gnamento doveva farlo però sulle proprie forze, collequali il re sperava di potersi impossessare dei possedi-menti dei Romani in Asia prima che essi vi arrivassero,e ciò tanto più facilmente in quanto nella provinciad'Asia la gran miseria cagionata dall'imposta di guerradecretata da Silla, in Bitinia l'avversione per il nuovogoverno romano, nella Cilicia e nella Pamfilia la mate-ria infiammabile rimastavi dall'ultima guerra distruttriceappena finita, offrivano lusinga favorevole ad una inva-

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nell'ardua impresa. Il suo più prossimo e naturale alleatoera il gran re Tigrane; ma questi, corto di senno, declinòla proposta del suocero. Così non rimanevano che gli in-sorti e i pirati.Mitridate si diede premura di mettersi in relazione congli uni e cogli altri, inviando numerose squadre in Spa-gna e a Creta. Concluse un trattato in piena regola conSertorio, col quale Roma cedeva al re di Bitinia la Pafla-gonia, la Galazia e la Cappadocia; questi erano acquistiche dovevano naturalmente venir ratificati sul campo dibattaglia. Più importante fu l'aiuto che il duce spagnoloaccordò al re coll'invio di ufficiali romani per condurre isuoi eserciti e le sue flotte.I più operosi fra gli emigrati in oriente, Lucio Magio eLucio Fannio, furono spediti da Sertorio alla corte di Si-nope come suoi rappresentanti. Vennero soccorsi anchedai pirati; essi si raccolsero in gran numero nel regnopontico e specialmente col loro mezzo pare che sia riu-scito al re di formare una forza navale imponente tantoper numero che per bontà delle navi. Il maggiore asse-gnamento doveva farlo però sulle proprie forze, collequali il re sperava di potersi impossessare dei possedi-menti dei Romani in Asia prima che essi vi arrivassero,e ciò tanto più facilmente in quanto nella provinciad'Asia la gran miseria cagionata dall'imposta di guerradecretata da Silla, in Bitinia l'avversione per il nuovogoverno romano, nella Cilicia e nella Pamfilia la mate-ria infiammabile rimastavi dall'ultima guerra distruttriceappena finita, offrivano lusinga favorevole ad una inva-

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sione pontica.Non difettavano le provvigioni, nei granai regi si trova-vano due milioni di medimmi di frumento. La flotta el'esercito erano numerosi e bene esercitati e specialmen-te gli assoldati Bastarni formavano una schiera sceltanon inferiore ai legionari italici.Anche questa volta fu il re che prese l'offensiva. Un cor-po di truppe comandato da Diofante entrò nella Cappa-docia per occuparvi le fortezze e sbarrare ai Romani lavia al regno pontico; il condottiero inviato da Sertorio, ilpro-pretore Marco Mario, si recò con l'ufficiale ponticoEumaco nella Frigia per fare insorgere quella provinciaromana e le popolazioni del monte Tauro; il corpo prin-cipale composto di oltre 100.000 fanti, 16.000 cavalierie 100 carri falcati, condotto da Tassile e da Ermocratesotto la suprema direzione del re, e la flotta di guerra di400 vele comandata da Aristonico muoveva lungo la co-sta settentrionale dell'Asia minore per occupare la Pafla-gonia e la Bitinia.

12. Inizio della guerra.

I Romani elessero per la guerra in primo luogo ilconsole dell'anno 680 = 74, Lucio Lucullo, il quale,come governatore dell'Asia e della Cilicia, fu posto allatesta delle quattro legioni che erano nell'Asia minore edi una quinta condotta dall'Italia, con l'incarico diattraversare con questo esercito, forte di 30.000 fanti e1600 cavalieri, la Frigia per entrare nel regno pontico.

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sione pontica.Non difettavano le provvigioni, nei granai regi si trova-vano due milioni di medimmi di frumento. La flotta el'esercito erano numerosi e bene esercitati e specialmen-te gli assoldati Bastarni formavano una schiera sceltanon inferiore ai legionari italici.Anche questa volta fu il re che prese l'offensiva. Un cor-po di truppe comandato da Diofante entrò nella Cappa-docia per occuparvi le fortezze e sbarrare ai Romani lavia al regno pontico; il condottiero inviato da Sertorio, ilpro-pretore Marco Mario, si recò con l'ufficiale ponticoEumaco nella Frigia per fare insorgere quella provinciaromana e le popolazioni del monte Tauro; il corpo prin-cipale composto di oltre 100.000 fanti, 16.000 cavalierie 100 carri falcati, condotto da Tassile e da Ermocratesotto la suprema direzione del re, e la flotta di guerra di400 vele comandata da Aristonico muoveva lungo la co-sta settentrionale dell'Asia minore per occupare la Pafla-gonia e la Bitinia.

12. Inizio della guerra.

I Romani elessero per la guerra in primo luogo ilconsole dell'anno 680 = 74, Lucio Lucullo, il quale,come governatore dell'Asia e della Cilicia, fu posto allatesta delle quattro legioni che erano nell'Asia minore edi una quinta condotta dall'Italia, con l'incarico diattraversare con questo esercito, forte di 30.000 fanti e1600 cavalieri, la Frigia per entrare nel regno pontico.

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Il suo collega Marco Cotta si mosse con la flotta e conun altro corpo di truppe romane verso la Propontide percoprire l'Asia e la Bitinia. Fu infine ordinato un arma-mento generale delle coste, specialmente di quelle traci-che, minacciate più da vicino dalla flotta pontica; e ven-ne affidato in via straordinaria ad un solo funzionariol'incarico di spazzare tutti i mari e tutte le coste dai pira-ti e dai loro consorti pontici, e la scelta cadde sul pretoreMarco Antonio, figlio di quello che trent'anni primaaveva per il primo battuto i corsari cilicii.Oltre a ciò il senato mise a disposizione di Lucullo unasomma di 72 milioni di sesterzi (L. 18.750.000) per co-struire una flotta; Lucullo però la rifiutò.Da tuttociò si vede che il governo romano riconoscevanella trascuratezza della marineria la fonte del male e sidava, almeno secondo le sue forze, tutto il pensiero perporvi rimedio.Così cominciò nel 680 = 74 la guerra su tutti i punti. Fuuna disgrazia per Mitridate che appunto nel momentodella sua dichiarazione di guerra la fortuna volgesse lespalle a Sertorio, per cui il re perdette una delle princi-pali speranze e il governo romano potè volgere tutte lesue forze alla guerra marittima ed alla guerra dell'Asiaminore.Invece Mitridate raccolse i vantaggi dell'offensiva e del-la grande distanza dei Romani dal teatro immediato del-la guerra. Molte città dell'Asia minore aprirono le porteal propretore sertoriano inviato innanzi nella provinciad'Asia, e le famiglie romane ivi stabilite furono scannate

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Il suo collega Marco Cotta si mosse con la flotta e conun altro corpo di truppe romane verso la Propontide percoprire l'Asia e la Bitinia. Fu infine ordinato un arma-mento generale delle coste, specialmente di quelle traci-che, minacciate più da vicino dalla flotta pontica; e ven-ne affidato in via straordinaria ad un solo funzionariol'incarico di spazzare tutti i mari e tutte le coste dai pira-ti e dai loro consorti pontici, e la scelta cadde sul pretoreMarco Antonio, figlio di quello che trent'anni primaaveva per il primo battuto i corsari cilicii.Oltre a ciò il senato mise a disposizione di Lucullo unasomma di 72 milioni di sesterzi (L. 18.750.000) per co-struire una flotta; Lucullo però la rifiutò.Da tuttociò si vede che il governo romano riconoscevanella trascuratezza della marineria la fonte del male e sidava, almeno secondo le sue forze, tutto il pensiero perporvi rimedio.Così cominciò nel 680 = 74 la guerra su tutti i punti. Fuuna disgrazia per Mitridate che appunto nel momentodella sua dichiarazione di guerra la fortuna volgesse lespalle a Sertorio, per cui il re perdette una delle princi-pali speranze e il governo romano potè volgere tutte lesue forze alla guerra marittima ed alla guerra dell'Asiaminore.Invece Mitridate raccolse i vantaggi dell'offensiva e del-la grande distanza dei Romani dal teatro immediato del-la guerra. Molte città dell'Asia minore aprirono le porteal propretore sertoriano inviato innanzi nella provinciad'Asia, e le famiglie romane ivi stabilite furono scannate

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come era avvenuto nel 666 = 88; i Pisidi, gli Isauri, i Ci-lici presero le armi contro Roma.I Romani in quel momento non avevano truppe nei pun-ti minacciati. Qualche volonteroso si provò per sponta-neo impulso di contenere questa sollevazione dei pro-vinciali; così il giovine Caio Cesare alla notizia di questiavvenimenti abbandonò Rodi, dove accudiva ai suoi stu-di, e con una schiera di giovani raccolti in tutta fretta af-frontò gli insorti; ma simili corpi franchi non potevanoessere di grande vantaggio.Se il valoroso Deiotaro, tetrarca della tribù celtica deiTolistobogi, stabilitosi attorno a Pessinunte, non avesseabbracciato il partito dei Romani e combattuto felice-mente contro i generali pontici, Lucullo avrebbe dovutoricominciare dal ritogliere al nemico l'interno della pro-vincia romana.Ma anche così egli perdette un tempo prezioso nel paci-ficare il paese e nel respingere il nemico; i meschinisuccessi ottenuti dalla cavalleria non lo compensarono.Ancor più sfavorevoli che nella Frigia si mettevano per iRomani le cose sulla costa settentrionale dell'Asia mino-re. Qui il grande esercito e la flotta dei Pontici si eranoimpossessati intieramente della Bitinia e avevano co-stretto il console romano Cotta a ritirarsi colla sua pocatruppa e con le sue navi entro le mura e nel porto di Cal-cedonia, dove Mitridate lo teneva bloccato.Però questo blocco era per i Romani un avvenimento fa-vorevole, inquantochè, se Cotta teneva occupato l'eser-cito pontico dinanzi a Calcedonia e Lucullo volgeva i

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come era avvenuto nel 666 = 88; i Pisidi, gli Isauri, i Ci-lici presero le armi contro Roma.I Romani in quel momento non avevano truppe nei pun-ti minacciati. Qualche volonteroso si provò per sponta-neo impulso di contenere questa sollevazione dei pro-vinciali; così il giovine Caio Cesare alla notizia di questiavvenimenti abbandonò Rodi, dove accudiva ai suoi stu-di, e con una schiera di giovani raccolti in tutta fretta af-frontò gli insorti; ma simili corpi franchi non potevanoessere di grande vantaggio.Se il valoroso Deiotaro, tetrarca della tribù celtica deiTolistobogi, stabilitosi attorno a Pessinunte, non avesseabbracciato il partito dei Romani e combattuto felice-mente contro i generali pontici, Lucullo avrebbe dovutoricominciare dal ritogliere al nemico l'interno della pro-vincia romana.Ma anche così egli perdette un tempo prezioso nel paci-ficare il paese e nel respingere il nemico; i meschinisuccessi ottenuti dalla cavalleria non lo compensarono.Ancor più sfavorevoli che nella Frigia si mettevano per iRomani le cose sulla costa settentrionale dell'Asia mino-re. Qui il grande esercito e la flotta dei Pontici si eranoimpossessati intieramente della Bitinia e avevano co-stretto il console romano Cotta a ritirarsi colla sua pocatruppa e con le sue navi entro le mura e nel porto di Cal-cedonia, dove Mitridate lo teneva bloccato.Però questo blocco era per i Romani un avvenimento fa-vorevole, inquantochè, se Cotta teneva occupato l'eser-cito pontico dinanzi a Calcedonia e Lucullo volgeva i

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suoi passi appunto a quella volta, tutte le forze dei Ro-mani potevano concentrarsi presso Calcedonia e costrin-gere il nemico a venire qui ad una battaglia decisiva, an-zichè nel lontano e impraticabile paese pontico.

13. I Romani battuti a Calcedonia.

Lucullo prese effettivamente la via di Calcedonia; maCotta, per fare un gran colpo prima del suo arrivo,ordinò al suo ammiraglio Publio Rutilio Nudo di fareuna sortita, che non solo finì con una sanguinosasconfitta dei Romani, ma procurò anche ai Pontici lapossibilità di attaccare il porto, di spezzare la catena chelo chiudeva e di ardere tutte le navi da guerra che vi sitrovavano, circa sessanta.Alla notizia di queste sventure, pervenuta a Lucullo sulfiume Sangario, egli accelerò la sua marcia con gravemalcontento dei soldati, a cui secondo le loro idee nullaimportava di Cotta, e i quali avrebbero preferito di sac-cheggiare un paese inerme piuttosto che d'insegnare avincere ai loro camerati.Il suo arrivo rimediò in parte alle sofferte sventure: il retolse l'assedio da Calcedonia; però non fece ritorno nelPonto, ma si diresse verso mezzodì nell'antica provinciaromana, ove si estese sulla Propontide e sull'Ellesponto,occupando Lampsaco e cominciando l'assedio dellagrande e ricca città di Cizico.Egli si cacciava dunque semprepiù addentro nel vicolocieco in cui si era messo, invece di giovarsi contro i Ro-

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suoi passi appunto a quella volta, tutte le forze dei Ro-mani potevano concentrarsi presso Calcedonia e costrin-gere il nemico a venire qui ad una battaglia decisiva, an-zichè nel lontano e impraticabile paese pontico.

13. I Romani battuti a Calcedonia.

Lucullo prese effettivamente la via di Calcedonia; maCotta, per fare un gran colpo prima del suo arrivo,ordinò al suo ammiraglio Publio Rutilio Nudo di fareuna sortita, che non solo finì con una sanguinosasconfitta dei Romani, ma procurò anche ai Pontici lapossibilità di attaccare il porto, di spezzare la catena chelo chiudeva e di ardere tutte le navi da guerra che vi sitrovavano, circa sessanta.Alla notizia di queste sventure, pervenuta a Lucullo sulfiume Sangario, egli accelerò la sua marcia con gravemalcontento dei soldati, a cui secondo le loro idee nullaimportava di Cotta, e i quali avrebbero preferito di sac-cheggiare un paese inerme piuttosto che d'insegnare avincere ai loro camerati.Il suo arrivo rimediò in parte alle sofferte sventure: il retolse l'assedio da Calcedonia; però non fece ritorno nelPonto, ma si diresse verso mezzodì nell'antica provinciaromana, ove si estese sulla Propontide e sull'Ellesponto,occupando Lampsaco e cominciando l'assedio dellagrande e ricca città di Cizico.Egli si cacciava dunque semprepiù addentro nel vicolocieco in cui si era messo, invece di giovarsi contro i Ro-

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mani delle grandi distanze, come quelle che solo avreb-bero potuto essergli utili.In Cizico si era conservata più pura che in ogni altroluogo l'antica destrezza e la gagliardia greca; i suoi cit-tadini prestarono la più risoluta resistenza benchènell'infelice doppia battaglia di Calcedonia avessero su-bìto varie perdite di uomini e di navi.Cizico sorgeva vicino alla terra ferma ed era unita adessa con un ponte. Gli assedianti si impadronirono tantodell'altura che dominava la terra ferma e metteva capo alponte, e del sobborgo ivi esistente, quanto delle famosealture dindimeniche sull'isola stessa, e sia dal latodell'isola che da quello della terra ferma gli ingegnerigreci impegnarono tutta la loro arte per rendere possibi-le l'assalto.Ma la breccia, che finalmente si giunse ad aprire, fu du-rante la notte novamente chiusa dagli assediati e glisforzi dell'esercito regio rimasero infruttuosi appuntocome la barbara minaccia del re di far mettere a mortesotto le mura i Ciziceni fatti prigionieri se i cittadini ri-fiutassero ancora di arrendersi.I Ciziceni continuarono la difesa con coraggio e con for-tuna; e mancò poco che durante l'assedio facessero pri-gioniero lo stesso re. Intanto Lucullo aveva occupatouna forte posizione alle spalle dell'esercito pontico, chese non gli permetteva di recare aiuto immediatoall'angustiata città, gli consentiva di tagliare al nemicoogni trasporto di viveri per terra.

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mani delle grandi distanze, come quelle che solo avreb-bero potuto essergli utili.In Cizico si era conservata più pura che in ogni altroluogo l'antica destrezza e la gagliardia greca; i suoi cit-tadini prestarono la più risoluta resistenza benchènell'infelice doppia battaglia di Calcedonia avessero su-bìto varie perdite di uomini e di navi.Cizico sorgeva vicino alla terra ferma ed era unita adessa con un ponte. Gli assedianti si impadronirono tantodell'altura che dominava la terra ferma e metteva capo alponte, e del sobborgo ivi esistente, quanto delle famosealture dindimeniche sull'isola stessa, e sia dal latodell'isola che da quello della terra ferma gli ingegnerigreci impegnarono tutta la loro arte per rendere possibi-le l'assalto.Ma la breccia, che finalmente si giunse ad aprire, fu du-rante la notte novamente chiusa dagli assediati e glisforzi dell'esercito regio rimasero infruttuosi appuntocome la barbara minaccia del re di far mettere a mortesotto le mura i Ciziceni fatti prigionieri se i cittadini ri-fiutassero ancora di arrendersi.I Ciziceni continuarono la difesa con coraggio e con for-tuna; e mancò poco che durante l'assedio facessero pri-gioniero lo stesso re. Intanto Lucullo aveva occupatouna forte posizione alle spalle dell'esercito pontico, chese non gli permetteva di recare aiuto immediatoall'angustiata città, gli consentiva di tagliare al nemicoogni trasporto di viveri per terra.

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14. Distruzione dell'esercito pontico.

Così l'immenso esercito di Mitridate, che, compreso ilcorpo delle salmerie, si valutava in 300.000 uomini, sitrovava nell'impossibilità di combattere e di marciare,conficcato com'era tra l'inespugnabile città e l'immobileesercito romano, e per tutti i suoi bisogni ridotto solo almare, che per fortuna dei Pontici era esclusivamentedominato dalla loro flotta.Ma si approssimava la cattiva stagione; una tempesta di-strusse una parte delle opere d'assedio; la mancanza deiviveri e specialmente del foraggio per i cavalli cominciòa divenire insopportabile. Le bestie da soma e le salme-rie, colla scorta della maggior parte della cavalleria pon-tica, furono allontanate con l'ordine di cavarsela di sop-piatto o di aprirsi a qualunque costo una via; ma Luculloraggiunse il convoglio sul fiume Rindaco dalla parteorientale di Cizico e lo fece a pezzi.Un'altra divisione di cavalleria, comandata da Metrofa-ne e da Lucio Fannio fu costretta dopo un lungo vagarenell'Asia minore occidentale a fare ritorno nel campoposto sotto Cizico.La fame e le malattie contagiose facevano terribile stra-ge nelle schiere pontiche. Arrivata la primavera (681 =73) gli assediati raddoppiarono i loro sforzi e presero letrincee piantate sul Dindimo; al re non rimaneva altroche levare l'assedio e salvare quanto si poteva col mezzodella flotta.Egli stesso partì colla flotta alla volta dell'Ellesponto;

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14. Distruzione dell'esercito pontico.

Così l'immenso esercito di Mitridate, che, compreso ilcorpo delle salmerie, si valutava in 300.000 uomini, sitrovava nell'impossibilità di combattere e di marciare,conficcato com'era tra l'inespugnabile città e l'immobileesercito romano, e per tutti i suoi bisogni ridotto solo almare, che per fortuna dei Pontici era esclusivamentedominato dalla loro flotta.Ma si approssimava la cattiva stagione; una tempesta di-strusse una parte delle opere d'assedio; la mancanza deiviveri e specialmente del foraggio per i cavalli cominciòa divenire insopportabile. Le bestie da soma e le salme-rie, colla scorta della maggior parte della cavalleria pon-tica, furono allontanate con l'ordine di cavarsela di sop-piatto o di aprirsi a qualunque costo una via; ma Luculloraggiunse il convoglio sul fiume Rindaco dalla parteorientale di Cizico e lo fece a pezzi.Un'altra divisione di cavalleria, comandata da Metrofa-ne e da Lucio Fannio fu costretta dopo un lungo vagarenell'Asia minore occidentale a fare ritorno nel campoposto sotto Cizico.La fame e le malattie contagiose facevano terribile stra-ge nelle schiere pontiche. Arrivata la primavera (681 =73) gli assediati raddoppiarono i loro sforzi e presero letrincee piantate sul Dindimo; al re non rimaneva altroche levare l'assedio e salvare quanto si poteva col mezzodella flotta.Egli stesso partì colla flotta alla volta dell'Ellesponto;

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ma tanto nell'imbarco quanto lungo la rotta ebbe molto asoffrire per le tempeste. La stessa direzione presero an-che Ermeo e Mario con l'esercito di terra, per imbarcarsiin Lampsaco sotto la protezione delle mura della città.Essi abbandonarono i loro bagagli, gli ammalati ed i fe-riti che furono tutti massacrati dai Ciziceni. Strada fa-cendo Lucullo, al passaggio dei fiumi Esepo e Granico,cagionò loro considerevoli danni; essi raggiunsero peròil loro scopo: le navi pontiche condussero i resti delgrande esercito ed i cittadini di Lampsaco lontani dallaportata dei Romani.Lucullo, col suo conseguente ed assennato modo diguerreggiare, non solo aveva rimediato agli errori com-messi dal suo collega, ma aveva anche distrutto senzadare una battaglia campale, il fiore dell'esercito nemico,composto, come si diceva, di 200.000 uomini. Se avesseavuto la flotta, arsa nel porto di Calcedonia, egli avreb-be annientato tutto l'esercito nemico; invece l'opera didistruzione rimase incompiuta ed egli dovette perfinoprovare il dispiacere di vedere che, nonostante la cata-strofe di Cizico, la flotta pontica prendesse posizionenella Propontide, che la medesima bloccasse Perinto eBisanzio sulla costa europea, che fosse da essa saccheg-giata Priapo sulla costa asiatica, e che il quartier genera-le dei re fosse posto nel porto bitinico di Nicomedia.Anzi una squadra scelta di 50 vele con a bordo 10.000uomini scelti, tra i quali Marco Mario e il nerbo degliemigrati romani, si recò nel mare Egeo; corse voce chedovesse approdare in Italia per accendervi di nuovo la

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ma tanto nell'imbarco quanto lungo la rotta ebbe molto asoffrire per le tempeste. La stessa direzione presero an-che Ermeo e Mario con l'esercito di terra, per imbarcarsiin Lampsaco sotto la protezione delle mura della città.Essi abbandonarono i loro bagagli, gli ammalati ed i fe-riti che furono tutti massacrati dai Ciziceni. Strada fa-cendo Lucullo, al passaggio dei fiumi Esepo e Granico,cagionò loro considerevoli danni; essi raggiunsero peròil loro scopo: le navi pontiche condussero i resti delgrande esercito ed i cittadini di Lampsaco lontani dallaportata dei Romani.Lucullo, col suo conseguente ed assennato modo diguerreggiare, non solo aveva rimediato agli errori com-messi dal suo collega, ma aveva anche distrutto senzadare una battaglia campale, il fiore dell'esercito nemico,composto, come si diceva, di 200.000 uomini. Se avesseavuto la flotta, arsa nel porto di Calcedonia, egli avreb-be annientato tutto l'esercito nemico; invece l'opera didistruzione rimase incompiuta ed egli dovette perfinoprovare il dispiacere di vedere che, nonostante la cata-strofe di Cizico, la flotta pontica prendesse posizionenella Propontide, che la medesima bloccasse Perinto eBisanzio sulla costa europea, che fosse da essa saccheg-giata Priapo sulla costa asiatica, e che il quartier genera-le dei re fosse posto nel porto bitinico di Nicomedia.Anzi una squadra scelta di 50 vele con a bordo 10.000uomini scelti, tra i quali Marco Mario e il nerbo degliemigrati romani, si recò nel mare Egeo; corse voce chedovesse approdare in Italia per accendervi di nuovo la

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guerra civile.

15. Guerra marittima.

Però incominciavano a raccogliersi le navi che Lucullodopo il fatto di Calcedonia aveva richiesto ai comuniasiatici, e fu subito inviata una squadra nel mare Egeo incerca della squadra nemica. Lucullo stesso, ammiraglioesperto, ne prese il comando. In vista del porto diAcheo, nelle acque tra la costa troiana e la isola diTenedo, furono sorprese e calate a fondo trediciquinqueremi nemiche, che viaggiavano alla volta diLemno sotto il comando di Isidoro.Presso l'isoletta di Nea, tra Lemno e Sciro, in quel luogopoco frequentato, la flottiglia pontica di 32 vele era statatirata a secco; Lucullo attaccò nel tempo stesso le navi ela ciurma dispersa nell'isola e si impadronì di tutta lasquadra.Qui trovarono la morte in combattimento o per manodel carnefice Marco Mario e i più valorosi emigrati ro-mani. Lucullo distrusse tutta la flotta nemica dell'Egeo.Intanto Cotta e i legati di Lucullo, Laconio, Caio ValerioTriario e Barba avevano continuata la guerra nella Biti-nia coll'esercito aumentato dai rinforzi venuti dall'Italiae con una squadriglia messa insieme in Asia.Barba prese nell'interno Prusa sull'Olimpo e Nicea, Tria-rio sulla costa Apamea (Mirlea) e Prusa a Mare (Chio).Si unirono poi in Nicomedia per una impresa in comunecontro Mitridate; ma il re, senza nemmeno tentare la

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guerra civile.

15. Guerra marittima.

Però incominciavano a raccogliersi le navi che Lucullodopo il fatto di Calcedonia aveva richiesto ai comuniasiatici, e fu subito inviata una squadra nel mare Egeo incerca della squadra nemica. Lucullo stesso, ammiraglioesperto, ne prese il comando. In vista del porto diAcheo, nelle acque tra la costa troiana e la isola diTenedo, furono sorprese e calate a fondo trediciquinqueremi nemiche, che viaggiavano alla volta diLemno sotto il comando di Isidoro.Presso l'isoletta di Nea, tra Lemno e Sciro, in quel luogopoco frequentato, la flottiglia pontica di 32 vele era statatirata a secco; Lucullo attaccò nel tempo stesso le navi ela ciurma dispersa nell'isola e si impadronì di tutta lasquadra.Qui trovarono la morte in combattimento o per manodel carnefice Marco Mario e i più valorosi emigrati ro-mani. Lucullo distrusse tutta la flotta nemica dell'Egeo.Intanto Cotta e i legati di Lucullo, Laconio, Caio ValerioTriario e Barba avevano continuata la guerra nella Biti-nia coll'esercito aumentato dai rinforzi venuti dall'Italiae con una squadriglia messa insieme in Asia.Barba prese nell'interno Prusa sull'Olimpo e Nicea, Tria-rio sulla costa Apamea (Mirlea) e Prusa a Mare (Chio).Si unirono poi in Nicomedia per una impresa in comunecontro Mitridate; ma il re, senza nemmeno tentare la

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battaglia, fuggì sulle navi e se ne ritornò in patria, ciòche gli riuscì solo perchè l'ammiraglio romano Voconio,incaricato del blocco del porto di Nicomedia, arrivòtroppo tardi. Veramente durante il viaggio il re ebbe pertradimento l'importante città di Eraclea, e l'occupò: mauna tempesta gli affondò in quelle acque oltre sessantanavi e disperse le altre, così che egli arrivò a Sinopequasi solo.L'offensiva di Mitridate finì con una completa sconfittadelle sue forze navali e terrestri, ingloriosa soprattuttoper il supremo duce.

16. Lucullo invade il Ponto.

Lucullo prese ora a sua volta l'offensiva. Triario assunseil comando della flotta coll'ordine di chiuderel'Ellesponto prima di ogni altra cosa e di dare la cacciaalle navi pontiche che ritornassero da Creta e dallaSpagna.Cotta ebbe il comando dell'assedio di Eraclea; il difficileservizio delle provvigioni fu affidato ai fedeli e operosiprincipi galati ed al re della Cappadocia Ariobarzane;Lucullo stesso entrò nell'autunno del 681 = 73 nel paesepontico, che da lungo tempo aveva avuto la fortuna dinon venir calpestato da nessun nemico.Mitridate, deciso ad attenersi ora alla più stretta difensi-va, si ritrasse, senza tentare la sorte delle armi, da Sino-pe ad Amisa, da qui a Cabira (poi Neocesarea, ora Nik-sar) sul Lico, un affluente dell'Iri; egli si accontentava di

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battaglia, fuggì sulle navi e se ne ritornò in patria, ciòche gli riuscì solo perchè l'ammiraglio romano Voconio,incaricato del blocco del porto di Nicomedia, arrivòtroppo tardi. Veramente durante il viaggio il re ebbe pertradimento l'importante città di Eraclea, e l'occupò: mauna tempesta gli affondò in quelle acque oltre sessantanavi e disperse le altre, così che egli arrivò a Sinopequasi solo.L'offensiva di Mitridate finì con una completa sconfittadelle sue forze navali e terrestri, ingloriosa soprattuttoper il supremo duce.

16. Lucullo invade il Ponto.

Lucullo prese ora a sua volta l'offensiva. Triario assunseil comando della flotta coll'ordine di chiuderel'Ellesponto prima di ogni altra cosa e di dare la cacciaalle navi pontiche che ritornassero da Creta e dallaSpagna.Cotta ebbe il comando dell'assedio di Eraclea; il difficileservizio delle provvigioni fu affidato ai fedeli e operosiprincipi galati ed al re della Cappadocia Ariobarzane;Lucullo stesso entrò nell'autunno del 681 = 73 nel paesepontico, che da lungo tempo aveva avuto la fortuna dinon venir calpestato da nessun nemico.Mitridate, deciso ad attenersi ora alla più stretta difensi-va, si ritrasse, senza tentare la sorte delle armi, da Sino-pe ad Amisa, da qui a Cabira (poi Neocesarea, ora Nik-sar) sul Lico, un affluente dell'Iri; egli si accontentava di

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attirare il nemico sempre più nell'interno del paese perrendergli sempre più difficili gli approvvigionamenti deiviveri e le comunicazioni.Lucullo lo seguiva rapidamente; Sinope fu lasciata daun lato; passato il fiume Ali, l'antico confine di Scipio-ne, furono circondate le importanti città di Amisa, Eupa-toria (sull'Iri), Temiscira (sul Termodonte), sino a quan-do l'inverno venne a porre un termine alle marce, manon all'assedio delle città.I soldati di Lucullo mormoravano per l'incessante avan-zare, che non permetteva loro di raccogliere i frutti delleloro fatiche e dei gravosi assedi nell'avversa stagione in-vernale. Ma Lucullo non era uomo da badare a simili la-menti; nella primavera del 682 = 72 proseguì la marciaverso Cabira, lasciando due legioni capitanate da LucioMurena per guardare Amisa.Il re durante l'inverno aveva fatto un tentativo per fareentrare nella lotta il gran re dell'Armenia, ma questo ten-tativo non fu più felice del precedente o almeno non vifu risposto che con vane promesse.Ancor meno desiderosi di prendere parte ad una causaperduta erano i Pontici. Intanto si era formato, special-mente con arruolamenti, nel paese degli Sciti presso Ca-bira, un ragguardevole esercito comandato da Diofante eda Tassile. L'esercito romano, ridotto a sole tre legioni, enella cavalleria assai inferiore ai Pontici, si vide obbli-gato ad evitare la campagna rasa ed arrivò a Cabira, nonsenza fatica e perdite, per aspri ed appartati sentieri.I due eserciti rimasero per lungo tempo accampati di

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attirare il nemico sempre più nell'interno del paese perrendergli sempre più difficili gli approvvigionamenti deiviveri e le comunicazioni.Lucullo lo seguiva rapidamente; Sinope fu lasciata daun lato; passato il fiume Ali, l'antico confine di Scipio-ne, furono circondate le importanti città di Amisa, Eupa-toria (sull'Iri), Temiscira (sul Termodonte), sino a quan-do l'inverno venne a porre un termine alle marce, manon all'assedio delle città.I soldati di Lucullo mormoravano per l'incessante avan-zare, che non permetteva loro di raccogliere i frutti delleloro fatiche e dei gravosi assedi nell'avversa stagione in-vernale. Ma Lucullo non era uomo da badare a simili la-menti; nella primavera del 682 = 72 proseguì la marciaverso Cabira, lasciando due legioni capitanate da LucioMurena per guardare Amisa.Il re durante l'inverno aveva fatto un tentativo per fareentrare nella lotta il gran re dell'Armenia, ma questo ten-tativo non fu più felice del precedente o almeno non vifu risposto che con vane promesse.Ancor meno desiderosi di prendere parte ad una causaperduta erano i Pontici. Intanto si era formato, special-mente con arruolamenti, nel paese degli Sciti presso Ca-bira, un ragguardevole esercito comandato da Diofante eda Tassile. L'esercito romano, ridotto a sole tre legioni, enella cavalleria assai inferiore ai Pontici, si vide obbli-gato ad evitare la campagna rasa ed arrivò a Cabira, nonsenza fatica e perdite, per aspri ed appartati sentieri.I due eserciti rimasero per lungo tempo accampati di

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fronte uno all'altro presso questa città.Si combatteva specialmente per le provvigioni, scarsedalle due parti. Mitridate formò perciò, sotto il comandodi Diofante e di Tassile, col fiore della cavalleria e conuna divisione di fanteria scelta un corpo volante, il qualeera destinato a percorrere il paese tra il Lico e l'Ali ed acatturare i trasporti di viveri che dalla Cappadocia giun-gevano ai Romani.

17. Vittoria di Cabira.

Ma il luogotenente di Lucullo, Marco Fabio Adriano,che scortava uno di questi convogli, non solo sconfissela schiera che lo attendeva in quelle strette, nelle qualiessa aveva in animo di sorprenderlo, ma ottenuti deirinforzi dal campo, battè anche il corpo di Diofante e diTassile in modo che lo sciolse.Fu una perdita irreparabile per il re che qui gli fosse di-strutta la cavalleria, sulla quale soltanto faceva assegna-mento; così, come ebbe ricevuta dai primi fuggitivi dalcampo di battaglia di Cabira – i quali, cosa abbastanzanotevole, furono gli stessi generali sconfitti – l'infaustanotizia, e prima ancora che Lucullo ricevesse quella del-la vittoria, il re si decise all'immediata ulteriore ritirata.Ma la notizia di questa decisione del re si sparse con lacelerità del lampo fra quelli che gli stavano più vicino; ecome i soldati videro che i confidenti del re facevano infretta i loro bagagli, furono presi anch'essi da timor pa-nico. Nessuno voleva essere l'ultimo a partire; superiori

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fronte uno all'altro presso questa città.Si combatteva specialmente per le provvigioni, scarsedalle due parti. Mitridate formò perciò, sotto il comandodi Diofante e di Tassile, col fiore della cavalleria e conuna divisione di fanteria scelta un corpo volante, il qualeera destinato a percorrere il paese tra il Lico e l'Ali ed acatturare i trasporti di viveri che dalla Cappadocia giun-gevano ai Romani.

17. Vittoria di Cabira.

Ma il luogotenente di Lucullo, Marco Fabio Adriano,che scortava uno di questi convogli, non solo sconfissela schiera che lo attendeva in quelle strette, nelle qualiessa aveva in animo di sorprenderlo, ma ottenuti deirinforzi dal campo, battè anche il corpo di Diofante e diTassile in modo che lo sciolse.Fu una perdita irreparabile per il re che qui gli fosse di-strutta la cavalleria, sulla quale soltanto faceva assegna-mento; così, come ebbe ricevuta dai primi fuggitivi dalcampo di battaglia di Cabira – i quali, cosa abbastanzanotevole, furono gli stessi generali sconfitti – l'infaustanotizia, e prima ancora che Lucullo ricevesse quella del-la vittoria, il re si decise all'immediata ulteriore ritirata.Ma la notizia di questa decisione del re si sparse con lacelerità del lampo fra quelli che gli stavano più vicino; ecome i soldati videro che i confidenti del re facevano infretta i loro bagagli, furono presi anch'essi da timor pa-nico. Nessuno voleva essere l'ultimo a partire; superiori

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ed inferiori fuggivano come fiere spaventate; non si ri-spettava più alcuna autorità, nemmeno quella del re, e ilre stesso era trascinato in quel fiero trambusto.Accortosi della confusione, Lucullo incominciò l'attaccoe le schiere pontiche si lasciarono tagliare a pezzi quasisenza fare resistenza. Se le legioni avessero saputo man-tenere la disciplina e moderare la loro avidità di bottino,non un uomo sarebbe loro sfuggito ed avrebbero senzadubbio fatto prigioniero lo stesso re.A stento Mitridate si salvò con pochi compagni peimonti a Comana (non lungi da Tocat e dalle sorgentidell'Iri), dove ben presto lo raggiunse una schiera roma-na comandata da Marco Pompeo che lo inseguì fino atanto che, accompagnato da solo 2000 cavalieri, passò ilconfine del suo regno nell'Armenia minore presso Ta-laura.Negli stati del gran re egli trovò un asilo, ma nulla dipiù (fine del 682 = 72). È vero che Tigrane fece rendereonori regali al suocero fuggitivo, ma non lo invitò nem-meno alla sua corte e lo tenne nella lontana provincia diconfine, ove si trovava quasi in una onorevole prigionia.Le truppe romane invasero tutto il Ponto e l'Armeniaminore, e il paese piano sino a Trebisonda si sottomiseal vincitore senza opporre resistenza. Anche i coman-danti delle tesorerie regie si arresero dopo un temporeg-giamento più o meno lungo e consegnarono le sommeche avevano nelle casse.Le donne del serraglio regio, le sorelle del re, le moltesue mogli e concubine, dietro suo ordine, poichè non era

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ed inferiori fuggivano come fiere spaventate; non si ri-spettava più alcuna autorità, nemmeno quella del re, e ilre stesso era trascinato in quel fiero trambusto.Accortosi della confusione, Lucullo incominciò l'attaccoe le schiere pontiche si lasciarono tagliare a pezzi quasisenza fare resistenza. Se le legioni avessero saputo man-tenere la disciplina e moderare la loro avidità di bottino,non un uomo sarebbe loro sfuggito ed avrebbero senzadubbio fatto prigioniero lo stesso re.A stento Mitridate si salvò con pochi compagni peimonti a Comana (non lungi da Tocat e dalle sorgentidell'Iri), dove ben presto lo raggiunse una schiera roma-na comandata da Marco Pompeo che lo inseguì fino atanto che, accompagnato da solo 2000 cavalieri, passò ilconfine del suo regno nell'Armenia minore presso Ta-laura.Negli stati del gran re egli trovò un asilo, ma nulla dipiù (fine del 682 = 72). È vero che Tigrane fece rendereonori regali al suocero fuggitivo, ma non lo invitò nem-meno alla sua corte e lo tenne nella lontana provincia diconfine, ove si trovava quasi in una onorevole prigionia.Le truppe romane invasero tutto il Ponto e l'Armeniaminore, e il paese piano sino a Trebisonda si sottomiseal vincitore senza opporre resistenza. Anche i coman-danti delle tesorerie regie si arresero dopo un temporeg-giamento più o meno lungo e consegnarono le sommeche avevano nelle casse.Le donne del serraglio regio, le sorelle del re, le moltesue mogli e concubine, dietro suo ordine, poichè non era

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possibile farle fuggire, furono uccise da uno dei suoi eu-nuchi in Farnacea.

18. La resistenza delle città.

Le sole città opposero una viva resistenza. Quelle pochenel paese interno, come Cabira, Amaseia, Eupatoria,veramente caddero assai presto in potere dei Romani;ma le città marittime più grandi, come Arriso e Sinopenel Ponto, Amastri nella Paflagonia, Tio e la PonticaEraclea nella Bitinia, si difesero disperatamente, sia perdevozione al re ed alla libera costituzione municipaleellenica da lui difesa, sia perchè tenute in soggezionedalle schiere dei corsari chiamatevi dal re. Sinope edEraclea mandarono perfino delle navi contro i Romani ela squadra di Sinope prese una flottiglia romanaproveniente dalla penisola taurica, carica di grano perl'esercito di Lucullo.Eraclea cadde solo dopo un assedio di due anni, dopoche la flotta romana ebbe tagliate alla città le comunica-zioni colle città greche della penisola taurica e dopo chenelle file della guarnigione si insinuò il tradimento.Quando Amiso si trovò ridotta agli estremi, la guarni-gione incendiò la città, e, protetta dalle fiamme, salì sul-le sue navi. In Sinope, ove il temerario capitano dei pi-rati, Seleuco, ed il regio eunuco Bacchide dirigevano ladifesa, il presidio prima di partire diede il sacco allecase ed incendiò le navi che non poteva condur seco; sipretende che, quantunque la maggior parte dei difensori

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possibile farle fuggire, furono uccise da uno dei suoi eu-nuchi in Farnacea.

18. La resistenza delle città.

Le sole città opposero una viva resistenza. Quelle pochenel paese interno, come Cabira, Amaseia, Eupatoria,veramente caddero assai presto in potere dei Romani;ma le città marittime più grandi, come Arriso e Sinopenel Ponto, Amastri nella Paflagonia, Tio e la PonticaEraclea nella Bitinia, si difesero disperatamente, sia perdevozione al re ed alla libera costituzione municipaleellenica da lui difesa, sia perchè tenute in soggezionedalle schiere dei corsari chiamatevi dal re. Sinope edEraclea mandarono perfino delle navi contro i Romani ela squadra di Sinope prese una flottiglia romanaproveniente dalla penisola taurica, carica di grano perl'esercito di Lucullo.Eraclea cadde solo dopo un assedio di due anni, dopoche la flotta romana ebbe tagliate alla città le comunica-zioni colle città greche della penisola taurica e dopo chenelle file della guarnigione si insinuò il tradimento.Quando Amiso si trovò ridotta agli estremi, la guarni-gione incendiò la città, e, protetta dalle fiamme, salì sul-le sue navi. In Sinope, ove il temerario capitano dei pi-rati, Seleuco, ed il regio eunuco Bacchide dirigevano ladifesa, il presidio prima di partire diede il sacco allecase ed incendiò le navi che non poteva condur seco; sipretende che, quantunque la maggior parte dei difensori

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abbia potuto imbarcarsi, tuttavia nella città furono uccisipiù di 8000 pirati.Due anni ancora dopo la battaglia di Cabira (682-684 =72-70) durarono gli assedi che Lucullo conduceva nellamaggior parte per mezzo dei suoi comandanti inferiori,mentre egli stesso regolava le condizioni della provinciad'Asia, che richiedeva ed ebbe una riforma radicale.Per quanto questa resistenza di commercianti ponticicontro i vittoriosi Romani sia storicamente meraviglio-sa, tuttavia il risultato non poteva essere di grande im-portanza; giacchè la causa di re Mitridate non era menodisperata. Il gran re non aveva, almeno per il momento,assolutamente alcuna intenzione di ricondurlo nel suoregno. Colla distruzione della flotta del mare Egeo,l'emigrazione romana aveva perduto i migliori suoicampioni; non pochi dei rimasti, come ad esempio glioperosi capitani Lucio Magio e Lucio Fannio, avevanofatto pace con Lucullo, e colla morte di Sertorio, avve-nuta l'anno della battaglia di Cabira, spariva l'ultima suasperanza.La potenza propria di Mitridate era completamente di-strutta e l'uno dopo l'altro andavano cadendo anche gliultimi appoggi di essa: anche le sue flotte, composte disettanta vele provenienti da Creta e dalla Spagna, furonoattaccate e distrutte da Triario presso l'isola di Tenedo;anche il governatore del regno del Bosforo, il proprio fi-glio Macare, si staccò da lui e concluse, come principeindipendente del Chersoneso Taurico, per proprio conto,pace ed amicizia coi Romani (684 = 70).

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abbia potuto imbarcarsi, tuttavia nella città furono uccisipiù di 8000 pirati.Due anni ancora dopo la battaglia di Cabira (682-684 =72-70) durarono gli assedi che Lucullo conduceva nellamaggior parte per mezzo dei suoi comandanti inferiori,mentre egli stesso regolava le condizioni della provinciad'Asia, che richiedeva ed ebbe una riforma radicale.Per quanto questa resistenza di commercianti ponticicontro i vittoriosi Romani sia storicamente meraviglio-sa, tuttavia il risultato non poteva essere di grande im-portanza; giacchè la causa di re Mitridate non era menodisperata. Il gran re non aveva, almeno per il momento,assolutamente alcuna intenzione di ricondurlo nel suoregno. Colla distruzione della flotta del mare Egeo,l'emigrazione romana aveva perduto i migliori suoicampioni; non pochi dei rimasti, come ad esempio glioperosi capitani Lucio Magio e Lucio Fannio, avevanofatto pace con Lucullo, e colla morte di Sertorio, avve-nuta l'anno della battaglia di Cabira, spariva l'ultima suasperanza.La potenza propria di Mitridate era completamente di-strutta e l'uno dopo l'altro andavano cadendo anche gliultimi appoggi di essa: anche le sue flotte, composte disettanta vele provenienti da Creta e dalla Spagna, furonoattaccate e distrutte da Triario presso l'isola di Tenedo;anche il governatore del regno del Bosforo, il proprio fi-glio Macare, si staccò da lui e concluse, come principeindipendente del Chersoneso Taurico, per proprio conto,pace ed amicizia coi Romani (684 = 70).

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Il re stesso dopo una poco gloriosa difesa si trovava fug-gitivo dal suo regno, quasi prigioniero del genero, in unlontano castello dell'Armenia.Malgrado le schiere dei pirati stessero tutt'ora nell'isoladi Creta e quelli che erano rimasti dopo la caduta diAmiso e di Sinope si fossero salvati presso i Sanigi e iLazi, abitanti delle inospitali coste del mar Nero, lamaestria colla quale Lucullo aveva diretto la guerra,l'assennata moderazione con la quale egli non disdegna-va di rendere giustizia alle giuste querele dei provincialie sapeva impiegare nel suo esercito come ufficiali gliemigrati ravveduti, avevano fatto sì che egli con pochisacrifici aveva liberato l'Asia minore dal nemico, di-strutto il regno pontico e fatto in modo che il medesimoda uno stato vassallo di Roma potesse venir mutato inuna provincia romana. Si attendeva una commissionedel senato per procedere, in unione al supremo duce,alla nuova organizzazione provinciale.

19. Guerra con l'Armenia.

Ma ancora non si erano sistemate le condizionidell'Armenia.Si è già dimostrato che una dichiarazione di guerra deiRomani a Tigrane era giustificata, anzi imposta dallecircostanze.Lucullo, che aveva osservato più da vicino e con mag-gior senno le condizioni delle cose che non il collegiosenatorio di Roma, riconobbe chiaramente la necessità

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Il re stesso dopo una poco gloriosa difesa si trovava fug-gitivo dal suo regno, quasi prigioniero del genero, in unlontano castello dell'Armenia.Malgrado le schiere dei pirati stessero tutt'ora nell'isoladi Creta e quelli che erano rimasti dopo la caduta diAmiso e di Sinope si fossero salvati presso i Sanigi e iLazi, abitanti delle inospitali coste del mar Nero, lamaestria colla quale Lucullo aveva diretto la guerra,l'assennata moderazione con la quale egli non disdegna-va di rendere giustizia alle giuste querele dei provincialie sapeva impiegare nel suo esercito come ufficiali gliemigrati ravveduti, avevano fatto sì che egli con pochisacrifici aveva liberato l'Asia minore dal nemico, di-strutto il regno pontico e fatto in modo che il medesimoda uno stato vassallo di Roma potesse venir mutato inuna provincia romana. Si attendeva una commissionedel senato per procedere, in unione al supremo duce,alla nuova organizzazione provinciale.

19. Guerra con l'Armenia.

Ma ancora non si erano sistemate le condizionidell'Armenia.Si è già dimostrato che una dichiarazione di guerra deiRomani a Tigrane era giustificata, anzi imposta dallecircostanze.Lucullo, che aveva osservato più da vicino e con mag-gior senno le condizioni delle cose che non il collegiosenatorio di Roma, riconobbe chiaramente la necessità

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di ridurre l'Armenia nei suoi limiti e di riconquistare aprò di Roma la perduta signoria sul Mediterraneo.Nella direzione degli affari asiatici egli si rivelò non in-degno successore del suo maestro ed amico Silla. Filel-leno come pochi Romani del suo tempo, egli non era in-sensibile agli obblighi che Roma aveva assunto coll'ere-dità di Alessandro: di essere cioè lo scudo e la spada deiGreci in oriente. Non vogliamo negare che Lucullo nonsi sia lasciato indurre a questi piani anche da motivi per-sonali, dal desiderio di raccogliere degli allori anche ol-tre l'Eufrate, dalla suscettibilità offesa perchè il gran rein una lettera a lui diretta aveva omesso il titolo di impe-rator; ma è ingiusto ricercare motivi meschini ed egoi-stici per azioni, alla cui spiegazione bastano perfetta-mente quelli conformi al dovere.Però dal governo romano, sempre in angoscia, neghitto-so, male informato e anzitutto tribolato dall'eterna penu-ria in cui versavano le sue finanze, non si poteva maiaspettare che, senza esservi immediatamente costretto,prendesse l'iniziativa per una così lontana e dispendiosaspedizione.Verso l'anno 682 = 72 erano venuti a Roma i rappresen-tanti legittimi della dinastia dei Seleucidi, Antioco dettol'Asiatico e suo fratello, indottivi dalla piega favorevoledella guerra pontica, per ottenere l'intervento romanonella Siria, e nel tempo stesso far riconoscere i loro di-ritti ereditari sull'Egitto.Benchè questi non potessero venir concessi, non erapossibile trovare un più favorevole momento ed una mi-

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di ridurre l'Armenia nei suoi limiti e di riconquistare aprò di Roma la perduta signoria sul Mediterraneo.Nella direzione degli affari asiatici egli si rivelò non in-degno successore del suo maestro ed amico Silla. Filel-leno come pochi Romani del suo tempo, egli non era in-sensibile agli obblighi che Roma aveva assunto coll'ere-dità di Alessandro: di essere cioè lo scudo e la spada deiGreci in oriente. Non vogliamo negare che Lucullo nonsi sia lasciato indurre a questi piani anche da motivi per-sonali, dal desiderio di raccogliere degli allori anche ol-tre l'Eufrate, dalla suscettibilità offesa perchè il gran rein una lettera a lui diretta aveva omesso il titolo di impe-rator; ma è ingiusto ricercare motivi meschini ed egoi-stici per azioni, alla cui spiegazione bastano perfetta-mente quelli conformi al dovere.Però dal governo romano, sempre in angoscia, neghitto-so, male informato e anzitutto tribolato dall'eterna penu-ria in cui versavano le sue finanze, non si poteva maiaspettare che, senza esservi immediatamente costretto,prendesse l'iniziativa per una così lontana e dispendiosaspedizione.Verso l'anno 682 = 72 erano venuti a Roma i rappresen-tanti legittimi della dinastia dei Seleucidi, Antioco dettol'Asiatico e suo fratello, indottivi dalla piega favorevoledella guerra pontica, per ottenere l'intervento romanonella Siria, e nel tempo stesso far riconoscere i loro di-ritti ereditari sull'Egitto.Benchè questi non potessero venir concessi, non erapossibile trovare un più favorevole momento ed una mi-

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gliore occasione per incominciare la guerra con Tigrane,ritenuta da lungo tempo necessaria. Senonchè il senatoaveva riconosciuto i principi come i legittimi re della Si-ria, ma non si era potuto risolvere ad ordinare l'interven-to armato.Per non lasciarsi sfuggire l'occasione favorevole conve-niva che Lucullo cominciasse la guerra a suo rischio epericolo e senza un preciso ordine del senato. Anch'egli,come Silla, si era visto nella necessità di intraprendereciò che era di manifesto interesse dell'attuale governo,ma non d'accordo con esso, anzi suo malgrado.Questa determinazione riusciva meno scabrosa a Lucul-lo per gli incerti rapporti di Roma coll'Armenia, che dalungo tempo oscillavano tra la pace e la guerra, rapportiche coprirono il suo arbitrario operato e fornirono moti-vi sufficienti per venire ad una guerra.La situazione della Cappadocia e della Siria offrivanocause sufficienti, e d'altronde i confini del regno di Ti-grane erano già stati lesi dalle truppe romane inseguentiil re pontico.Ma siccome il còmpito di Lucullo era la direzione dellaguerra contro Mitridate, ed esso desiderava restare attac-cato a quello, così pensò di mandare al gran re in Antio-chia uno dei suoi ufficiali, Appio Claudio, per chiederela consegna di Mitridate, il che doveva condurre neces-sariamente alla guerra.La deliberazione era seria, tanto più se si tiene contodelle condizioni dell'esercito romano. Durante la campa-gna dell'Armenia era inevitabile di occupare fortemente

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gliore occasione per incominciare la guerra con Tigrane,ritenuta da lungo tempo necessaria. Senonchè il senatoaveva riconosciuto i principi come i legittimi re della Si-ria, ma non si era potuto risolvere ad ordinare l'interven-to armato.Per non lasciarsi sfuggire l'occasione favorevole conve-niva che Lucullo cominciasse la guerra a suo rischio epericolo e senza un preciso ordine del senato. Anch'egli,come Silla, si era visto nella necessità di intraprendereciò che era di manifesto interesse dell'attuale governo,ma non d'accordo con esso, anzi suo malgrado.Questa determinazione riusciva meno scabrosa a Lucul-lo per gli incerti rapporti di Roma coll'Armenia, che dalungo tempo oscillavano tra la pace e la guerra, rapportiche coprirono il suo arbitrario operato e fornirono moti-vi sufficienti per venire ad una guerra.La situazione della Cappadocia e della Siria offrivanocause sufficienti, e d'altronde i confini del regno di Ti-grane erano già stati lesi dalle truppe romane inseguentiil re pontico.Ma siccome il còmpito di Lucullo era la direzione dellaguerra contro Mitridate, ed esso desiderava restare attac-cato a quello, così pensò di mandare al gran re in Antio-chia uno dei suoi ufficiali, Appio Claudio, per chiederela consegna di Mitridate, il che doveva condurre neces-sariamente alla guerra.La deliberazione era seria, tanto più se si tiene contodelle condizioni dell'esercito romano. Durante la campa-gna dell'Armenia era inevitabile di occupare fortemente

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l'esteso territorio pontico, poichè diversamente l'esercitonon avrebbe potuto mantenere le comunicazioni conRoma, e oltre ciò era facile prevedere una invasione diMitridate nel suo antico regno.Era evidente che l'esercito, alla cui testa Lucullo avevacondotto a fine la guerra contro Mitridate, e che saliva a30.000 uomini, non bastava per questo duplice compito.In condizioni ordinarie il supremo duce avrebbe chiestoed ottenuto dal suo governo l'invio supplementare di unsecondo esercito; ma siccome Lucullo voleva e in certomodo doveva costringere il governo a fare la guerra,così si sentì obbligato a rinunciarvi, e sebbene egli in-grossasse le sue fila perfino coi mercenari traci del redel Ponto fatti prigionieri, non potè passare l'Eufrate conpiù di due legioni, ossia tutt'al più con 15.000 uomini.Questo era già un grave pensiero; ma l'esiguità del nu-mero poteva essere compensata in qualche modo dalprovato valore dell'esercito composto completamente diveterani.Molto peggior male minacciava lo spirito dei soldati,del quale Lucullo, nelle sue massime altamente aristo-cratiche, si dava troppo poco pensiero. Lucullo era unbuon generale e – giudicandolo come aristocratico – unuomo onesto e benevolo, ma non era affatto amato daisoldati. Egli era impopolare perchè fautore decisodell'oligarchia, e perchè nell'Asia minore aveva messoenergicamente un freno alle orribili usure dei capitalistiromani; impopolare perchè teneva sotto severa discipli-na i suoi soldati, e impediva, per quanto era possibile, il

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l'esteso territorio pontico, poichè diversamente l'esercitonon avrebbe potuto mantenere le comunicazioni conRoma, e oltre ciò era facile prevedere una invasione diMitridate nel suo antico regno.Era evidente che l'esercito, alla cui testa Lucullo avevacondotto a fine la guerra contro Mitridate, e che saliva a30.000 uomini, non bastava per questo duplice compito.In condizioni ordinarie il supremo duce avrebbe chiestoed ottenuto dal suo governo l'invio supplementare di unsecondo esercito; ma siccome Lucullo voleva e in certomodo doveva costringere il governo a fare la guerra,così si sentì obbligato a rinunciarvi, e sebbene egli in-grossasse le sue fila perfino coi mercenari traci del redel Ponto fatti prigionieri, non potè passare l'Eufrate conpiù di due legioni, ossia tutt'al più con 15.000 uomini.Questo era già un grave pensiero; ma l'esiguità del nu-mero poteva essere compensata in qualche modo dalprovato valore dell'esercito composto completamente diveterani.Molto peggior male minacciava lo spirito dei soldati,del quale Lucullo, nelle sue massime altamente aristo-cratiche, si dava troppo poco pensiero. Lucullo era unbuon generale e – giudicandolo come aristocratico – unuomo onesto e benevolo, ma non era affatto amato daisoldati. Egli era impopolare perchè fautore decisodell'oligarchia, e perchè nell'Asia minore aveva messoenergicamente un freno alle orribili usure dei capitalistiromani; impopolare perchè teneva sotto severa discipli-na i suoi soldati, e impediva, per quanto era possibile, il

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saccheggio delle città greche, mentre faceva però per sèstesso caricare molti carri e molti cammelli coi tesoridell'oriente; impopolare infine per i suoi modi delicati,da gran signore, affettanti l'ellenismo, assolutamente in-socievoli coi suoi soldati, e perchè in tutto portato allavita comoda.Non era in lui nemmeno una parte di quell'arte magicache stringe personalmente il supremo duce al semplicesoldato. Si aggiunga finalmente che una gran parte deipiù valorosi suoi soldati aveva tutte le ragioni di lamen-tarsi per lo smisurato prolungarsi della durata del servi-zio. Le sue migliori legioni erano appunto quelle cheerano state condotte in oriente da Flacco e da Fimbrianel 668 = 86; nonostante che da ultimo, dopo la batta-glia di Cabira, fosse stato loro assicurato il congedo daesse ben meritato dopo tredici campagne, ora Lucullo leconduceva oltre l'Eufrate per una guerra della quale nonsi poteva calcolare la fine; sembrava che si volesserotrattare peggio i vincitori di Cabira che i vinti di Canne.Era cosa infatti più che temeraria, che un generale conun così scarso numero di truppe, per giunta svogliate,come abbiamo detto, di sua propria autorità, e, stretta-mente parlando, in opposizione alle leggi, intraprendes-se una spedizione in un paese lontano ed ignoto, pienodi rapidi fiumi e di monti coperti di neve, che per la suasola estensione rendeva pericolosa ogni aggressione ten-tata con leggerezza.La condotta di Lucullo fu biasimata a Roma sotto variaspetti e non a torto; soltanto si sarebbe dovuto tener

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saccheggio delle città greche, mentre faceva però per sèstesso caricare molti carri e molti cammelli coi tesoridell'oriente; impopolare infine per i suoi modi delicati,da gran signore, affettanti l'ellenismo, assolutamente in-socievoli coi suoi soldati, e perchè in tutto portato allavita comoda.Non era in lui nemmeno una parte di quell'arte magicache stringe personalmente il supremo duce al semplicesoldato. Si aggiunga finalmente che una gran parte deipiù valorosi suoi soldati aveva tutte le ragioni di lamen-tarsi per lo smisurato prolungarsi della durata del servi-zio. Le sue migliori legioni erano appunto quelle cheerano state condotte in oriente da Flacco e da Fimbrianel 668 = 86; nonostante che da ultimo, dopo la batta-glia di Cabira, fosse stato loro assicurato il congedo daesse ben meritato dopo tredici campagne, ora Lucullo leconduceva oltre l'Eufrate per una guerra della quale nonsi poteva calcolare la fine; sembrava che si volesserotrattare peggio i vincitori di Cabira che i vinti di Canne.Era cosa infatti più che temeraria, che un generale conun così scarso numero di truppe, per giunta svogliate,come abbiamo detto, di sua propria autorità, e, stretta-mente parlando, in opposizione alle leggi, intraprendes-se una spedizione in un paese lontano ed ignoto, pienodi rapidi fiumi e di monti coperti di neve, che per la suasola estensione rendeva pericolosa ogni aggressione ten-tata con leggerezza.La condotta di Lucullo fu biasimata a Roma sotto variaspetti e non a torto; soltanto si sarebbe dovuto tener

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conto che questo disperato procedere del comandanteera stato motivato dalla stravaganza del governo, la qua-le, se non lo giustificava, lo rendeva però meritevole discusa.

20. Lucullo passa l'Eufrate.

La missione di Appio Claudio, oltre lo scopo dimotivare diplomaticamente la dichiarazione di guerra,aveva avuto anche quello di chiamare alle armi contro ilgran re i principi e le città, specialmente quelle dellaSiria. Il formale attacco avvenne nella primavera del685 = 69.Durante l'inverno il re di Cappadocia aveva provvedutosegretamente alle navi da trasporto, con le quali fu pas-sato l'Eufrate, presso Melitene, e la marcia fu quindi di-retta più oltre, verso il Tigri, attraverso i passi del Tauro.Anche questo fiume fu attraversato da Lucullo nellaregione di Amida (Diarbekr); egli si spinse dunque sullastrada che univa la seconda capitale, Tigranocerta3, dapoco fondata sul confine meridionale dell'Armenia, conl'antica metropoli Artaxata. Il gran re stava presso laprima; egli era da poco ritornato dalla Siria, dopo averrimandato ad altra epoca la prosecuzione dei suoi3 Che Tigranocerta si trovasse nella regione di Mardin, a circa due giornate

di marcia a occidente di Nisibi, lo ha dimostrato l'indagine fatta sul luogoda SACHAU (Sulla situazione di Tigranocerta, dissertazione dell'accademiadi Berlino, 1880), sebbene anche la determinazione della località piùprecisamente indicata da Sachau non sia fuori di dubbio. Invece contro lasua descrizione della campagna di Lucullo si può obiettare che non vi puòessere questione di un passaggio del Tigri sul cammino intrapreso.

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conto che questo disperato procedere del comandanteera stato motivato dalla stravaganza del governo, la qua-le, se non lo giustificava, lo rendeva però meritevole discusa.

20. Lucullo passa l'Eufrate.

La missione di Appio Claudio, oltre lo scopo dimotivare diplomaticamente la dichiarazione di guerra,aveva avuto anche quello di chiamare alle armi contro ilgran re i principi e le città, specialmente quelle dellaSiria. Il formale attacco avvenne nella primavera del685 = 69.Durante l'inverno il re di Cappadocia aveva provvedutosegretamente alle navi da trasporto, con le quali fu pas-sato l'Eufrate, presso Melitene, e la marcia fu quindi di-retta più oltre, verso il Tigri, attraverso i passi del Tauro.Anche questo fiume fu attraversato da Lucullo nellaregione di Amida (Diarbekr); egli si spinse dunque sullastrada che univa la seconda capitale, Tigranocerta3, dapoco fondata sul confine meridionale dell'Armenia, conl'antica metropoli Artaxata. Il gran re stava presso laprima; egli era da poco ritornato dalla Siria, dopo averrimandato ad altra epoca la prosecuzione dei suoi3 Che Tigranocerta si trovasse nella regione di Mardin, a circa due giornate

di marcia a occidente di Nisibi, lo ha dimostrato l'indagine fatta sul luogoda SACHAU (Sulla situazione di Tigranocerta, dissertazione dell'accademiadi Berlino, 1880), sebbene anche la determinazione della località piùprecisamente indicata da Sachau non sia fuori di dubbio. Invece contro lasua descrizione della campagna di Lucullo si può obiettare che non vi puòessere questione di un passaggio del Tigri sul cammino intrapreso.

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progetti di conquista nel Mediterraneo, a cagione diquesta complicazione con i Romani.Egli stava appunto meditando un'invasione dell'Asia mi-nore romana dalla Cilicia e dalla Licaonia e stava pen-sando se i Romani avessero subito sgombrato l'Asia o seforse presso Efeso si sarebbero schierati in battaglia,quando un messaggero gli recò la notizia della marcia diLucullo, che minacciava di tagliargli le comunicazionicon Artaxata. Egli fece appiccare il messo, ma la spiace-vole realtà restò quella che era; allora lasciò la nuovacapitale e si ritirò nell'interno dell'Armenia per armarsi,ciò che non aveva fatto fin'allora, contro i Romani.Intanto Mitrobarzane doveva tenere occupati i Romanicolle truppe che aveva a sua disposizione e colle vicinetruppe degli Arabi, che in tutta fretta erano state chiama-te sotto le armi.

21. Battaglia di Tigranocerta.

Ma il corpo di truppe di Mitrobarzane fu sconfittodall'avanguardia romana, e gli Arabi lo furono da undistaccamento comandato da Sestilio; Lucullo guadagnòla strada che conduceva da Tigranocerta ad Artaxata, ementre sulla riva destra del Tigri un distaccamentoromano perseguiva il gran re, che volgeva verso nord,Lucullo passò sulla sinistra e avanzò verso Tigranocerta.L'incessante pioggia di dardi lanciati dalla guarnigionesull'esercito romano e l'incendio delle macchine d'asse-dio con nafta fecero conoscere ai Romani i nuovi peri-

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progetti di conquista nel Mediterraneo, a cagione diquesta complicazione con i Romani.Egli stava appunto meditando un'invasione dell'Asia mi-nore romana dalla Cilicia e dalla Licaonia e stava pen-sando se i Romani avessero subito sgombrato l'Asia o seforse presso Efeso si sarebbero schierati in battaglia,quando un messaggero gli recò la notizia della marcia diLucullo, che minacciava di tagliargli le comunicazionicon Artaxata. Egli fece appiccare il messo, ma la spiace-vole realtà restò quella che era; allora lasciò la nuovacapitale e si ritirò nell'interno dell'Armenia per armarsi,ciò che non aveva fatto fin'allora, contro i Romani.Intanto Mitrobarzane doveva tenere occupati i Romanicolle truppe che aveva a sua disposizione e colle vicinetruppe degli Arabi, che in tutta fretta erano state chiama-te sotto le armi.

21. Battaglia di Tigranocerta.

Ma il corpo di truppe di Mitrobarzane fu sconfittodall'avanguardia romana, e gli Arabi lo furono da undistaccamento comandato da Sestilio; Lucullo guadagnòla strada che conduceva da Tigranocerta ad Artaxata, ementre sulla riva destra del Tigri un distaccamentoromano perseguiva il gran re, che volgeva verso nord,Lucullo passò sulla sinistra e avanzò verso Tigranocerta.L'incessante pioggia di dardi lanciati dalla guarnigionesull'esercito romano e l'incendio delle macchine d'asse-dio con nafta fecero conoscere ai Romani i nuovi peri-

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coli delle guerre combattute nell'Iran; e il valoroso co-mandante Manceo tenne la città finchè, finalmente, ilgrande esercito regio, raccolto da tutte le parti del vastoregno e delle finitime province, aperte agli arruolatoriarmeni, superati i passi al nord-est si approssimò per li-berare la capitale.Tassile, il condottiero provato nelle guerre di Mitridate,consigliò di evitare la battaglia e di circondare con la ca-valleria la piccola schiera romana obbligandola così adarrendersi per fame. Ma quando il re vide che il genera-le romano, che si era deciso a dare battaglia senza tutta-via levare l'assedio, si avanzava con poco più di 10.000uomini contro una forza venti volte superiore e passavaarditamente il fiume che divideva i due eserciti; quandovide da un lato questa piccola schiera «troppo numerosaper una ambasciata, troppo scarsa per un esercito»,dall'altro l'immenso suo esercito, nel quale s'incontrava-no popoli del Mar Nero, del Caspio, del Mediterraneo edel golfo Persico, e del quale la sola terribile cavalleriacoperta di ferro e armata di lance era più numerosa ditutto l'esercito di Lucullo, non mancando neanche lafanteria armata alla romana, allora decise di accettareimmediatamente la battaglia desiderata dal nemico.Ma mentre gli Armeni erano intenti ad ordinarsi, l'acutoocchio di Lucullo s'accorse che essi avevano dimentica-to di occupare un'altura dominante tutta la posizionedella loro cavalleria; allora con due coorti si affrettò adoccuparla mentre, attaccando di fianco con la sua pocacavalleria, distraeva l'attenzione del nemico da questo

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coli delle guerre combattute nell'Iran; e il valoroso co-mandante Manceo tenne la città finchè, finalmente, ilgrande esercito regio, raccolto da tutte le parti del vastoregno e delle finitime province, aperte agli arruolatoriarmeni, superati i passi al nord-est si approssimò per li-berare la capitale.Tassile, il condottiero provato nelle guerre di Mitridate,consigliò di evitare la battaglia e di circondare con la ca-valleria la piccola schiera romana obbligandola così adarrendersi per fame. Ma quando il re vide che il genera-le romano, che si era deciso a dare battaglia senza tutta-via levare l'assedio, si avanzava con poco più di 10.000uomini contro una forza venti volte superiore e passavaarditamente il fiume che divideva i due eserciti; quandovide da un lato questa piccola schiera «troppo numerosaper una ambasciata, troppo scarsa per un esercito»,dall'altro l'immenso suo esercito, nel quale s'incontrava-no popoli del Mar Nero, del Caspio, del Mediterraneo edel golfo Persico, e del quale la sola terribile cavalleriacoperta di ferro e armata di lance era più numerosa ditutto l'esercito di Lucullo, non mancando neanche lafanteria armata alla romana, allora decise di accettareimmediatamente la battaglia desiderata dal nemico.Ma mentre gli Armeni erano intenti ad ordinarsi, l'acutoocchio di Lucullo s'accorse che essi avevano dimentica-to di occupare un'altura dominante tutta la posizionedella loro cavalleria; allora con due coorti si affrettò adoccuparla mentre, attaccando di fianco con la sua pocacavalleria, distraeva l'attenzione del nemico da questo

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movimento, e appena giuntovi lanciava la sua piccolacolonna alle spalle della cavalleria nemica.Questa fu completamente sbaragliata e si rovesciò sullafanteria non ancora bene ordinata, la quale prese la fugasenza combattere. Il bollettino del vincitore che dicevaessere caduti 100.000 Armeni e 5 Romani, e che il re,gettati via turbante e corona, era fuggito senza esser ri-conosciuto e accompagnato da pochi cavalieri, è conce-pito nello stile del suo maestro Silla; ma senza dubbio lavittoria riportata il 6 ottobre 685 = 69 dinanzi a Tigrano-certa è una delle più brillanti della gloriosa storia delleguerre romane; e non fu meno fruttifera che gloriosa.Tutti i paesi tolti ai Parti ed ai Siri in seguito a tale scon-fitta andarono strategicamente perduti per gli Armeni epassarono per la maggior parte senz'altro in possesso delvincitore. Prima di tutti la stessa capitale del regno.I numerosi greci costretti ad abitarvi, si sollevarono con-tro il presidio e aprirono all'esercito romano le porte del-la città, che fu abbandonata al sacco dei soldati. Essa erastata creata per il nuovo grande regno e, come questo, fudistrutta dai vincitori.Il satrapo armeno Magadate aveva levato dalla Cilicia edalla Siria tutte le truppe per rinforzare l'esercito di libe-razione sotto Tigranocerta. Lucullo invase la provinciapiù settentrionale della Siria, Commagene, e presed'assalto la capitale, Samosata. Non giunse alla Siriapropriamente detta, ma giunsero a lui gli ambasciatorispediti dai sovrani e dai comuni sino al Mar Rosso, El-leni, Siri, Giudei, Arabi per rendere omaggio ai Romani,

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movimento, e appena giuntovi lanciava la sua piccolacolonna alle spalle della cavalleria nemica.Questa fu completamente sbaragliata e si rovesciò sullafanteria non ancora bene ordinata, la quale prese la fugasenza combattere. Il bollettino del vincitore che dicevaessere caduti 100.000 Armeni e 5 Romani, e che il re,gettati via turbante e corona, era fuggito senza esser ri-conosciuto e accompagnato da pochi cavalieri, è conce-pito nello stile del suo maestro Silla; ma senza dubbio lavittoria riportata il 6 ottobre 685 = 69 dinanzi a Tigrano-certa è una delle più brillanti della gloriosa storia delleguerre romane; e non fu meno fruttifera che gloriosa.Tutti i paesi tolti ai Parti ed ai Siri in seguito a tale scon-fitta andarono strategicamente perduti per gli Armeni epassarono per la maggior parte senz'altro in possesso delvincitore. Prima di tutti la stessa capitale del regno.I numerosi greci costretti ad abitarvi, si sollevarono con-tro il presidio e aprirono all'esercito romano le porte del-la città, che fu abbandonata al sacco dei soldati. Essa erastata creata per il nuovo grande regno e, come questo, fudistrutta dai vincitori.Il satrapo armeno Magadate aveva levato dalla Cilicia edalla Siria tutte le truppe per rinforzare l'esercito di libe-razione sotto Tigranocerta. Lucullo invase la provinciapiù settentrionale della Siria, Commagene, e presed'assalto la capitale, Samosata. Non giunse alla Siriapropriamente detta, ma giunsero a lui gli ambasciatorispediti dai sovrani e dai comuni sino al Mar Rosso, El-leni, Siri, Giudei, Arabi per rendere omaggio ai Romani,

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quali nuovi sovrani.Persino il principe di Corduene, provincia situata a le-vante di Tigranocerta, fece la sua sottomissione. Invecein Nisibi, e quindi in Mesopotamia, si sosteneva Gura,fratello del gran re. Dappertutto Lucullo si presentavacome protettore dei principi e dei cittadini greci; inCommagene mise sul trono un principe della famigliadei Seleucidi, Antioco; riconobbe come re della SiriaAntioco l'asiatico, che era ritornato in Antiochia dopo lapartenza degli Armeni, e permise ai coloni stabiliti perforza a Tigranocerta di tornare nei rispettivi paesi.Le immense provvigioni e i tesori del gran re – 30 mi-lioni di medimni di frumento e nella sola Tigranocerta8000 talenti in danaro (circa 50 milioni di lire) – miseroLucullo in istato di sostenere le spese di guerra senza ri-correre al pubblico tesoro e di assegnare a ciascuno deisuoi soldati, oltre un abbondantissimo vitto, un dono di800 denari (860 lire).

22. Tigrane e Mitridate.

Il gran re era profondamente umiliato. Egli aveva uncarattere debole, tracotante nella fortuna, sbigottito nellasventura. Forse poteva aver luogo fra lui e Lucullo unaccomodamento, che entrambi avevano tutto l'interessedi accettare, il gran re facendo gravi sagrifici, il generaleromano a condizioni discrete, se non vi fosse stato dimezzo il vecchio Mitridate.Questi non aveva preso alcuna parte ai combattimenti

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quali nuovi sovrani.Persino il principe di Corduene, provincia situata a le-vante di Tigranocerta, fece la sua sottomissione. Invecein Nisibi, e quindi in Mesopotamia, si sosteneva Gura,fratello del gran re. Dappertutto Lucullo si presentavacome protettore dei principi e dei cittadini greci; inCommagene mise sul trono un principe della famigliadei Seleucidi, Antioco; riconobbe come re della SiriaAntioco l'asiatico, che era ritornato in Antiochia dopo lapartenza degli Armeni, e permise ai coloni stabiliti perforza a Tigranocerta di tornare nei rispettivi paesi.Le immense provvigioni e i tesori del gran re – 30 mi-lioni di medimni di frumento e nella sola Tigranocerta8000 talenti in danaro (circa 50 milioni di lire) – miseroLucullo in istato di sostenere le spese di guerra senza ri-correre al pubblico tesoro e di assegnare a ciascuno deisuoi soldati, oltre un abbondantissimo vitto, un dono di800 denari (860 lire).

22. Tigrane e Mitridate.

Il gran re era profondamente umiliato. Egli aveva uncarattere debole, tracotante nella fortuna, sbigottito nellasventura. Forse poteva aver luogo fra lui e Lucullo unaccomodamento, che entrambi avevano tutto l'interessedi accettare, il gran re facendo gravi sagrifici, il generaleromano a condizioni discrete, se non vi fosse stato dimezzo il vecchio Mitridate.Questi non aveva preso alcuna parte ai combattimenti

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sotto le mura di Tigranocerta. Per la discordia nata fra ilgran re ed i Romani, lasciato libero dopo venti mesi diprigionia verso la metà del 684 = 70, Mitridate era statomandato alla testa di 10.000 cavalieri armeni nell'anticosuo regno, per minacciare le comunicazioni al nemico.Richiamato ancor prima che avesse potuto fare qualchecosa, quando il gran re raccoglieva tutte le sue forze perliberare la capitale da lui fondata, gli vennero incontroal suo arrivo, dinanzi a Tigranocerta, le colonne che fug-givano dal campo di battaglia.Dal gran re fino al semplice soldato, a tutti pareva chetutto fosse perduto. Se però Tigrane avesse fatto allorala pace, Mitridate non solo avrebbe perduta l'ultima spe-ranza di riavere il suo regno, ma la sua consegna sareb-be stata senza dubbio la prima condizione della pace; eMitridate era certo che Tigrane non avrebbe agito diver-samente con lui da quanto aveva fatto Bocco con Giu-gurta.Egli perciò impiegò tutti i suoi mezzi per impedire untale accomodamento e per decidere la corte armena acontinuare la guerra nella quale egli nulla aveva da per-dere e tutto da guadagnare; e, benchè fuggitivo e detro-nizzato, la sua influenza a corte era ancora notevole.Egli era ancora un uomo di bella e nobile presenza, esebbene avesse più di sessant'anni si sosteneva a cavalloin completa armatura, e nella mischia era tale da starealla pari con chicchessia.Sembrava che gli anni e le avversità avessero ritempratoil suo spirito: mentre nei tempi anteriori faceva guidare i

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sotto le mura di Tigranocerta. Per la discordia nata fra ilgran re ed i Romani, lasciato libero dopo venti mesi diprigionia verso la metà del 684 = 70, Mitridate era statomandato alla testa di 10.000 cavalieri armeni nell'anticosuo regno, per minacciare le comunicazioni al nemico.Richiamato ancor prima che avesse potuto fare qualchecosa, quando il gran re raccoglieva tutte le sue forze perliberare la capitale da lui fondata, gli vennero incontroal suo arrivo, dinanzi a Tigranocerta, le colonne che fug-givano dal campo di battaglia.Dal gran re fino al semplice soldato, a tutti pareva chetutto fosse perduto. Se però Tigrane avesse fatto allorala pace, Mitridate non solo avrebbe perduta l'ultima spe-ranza di riavere il suo regno, ma la sua consegna sareb-be stata senza dubbio la prima condizione della pace; eMitridate era certo che Tigrane non avrebbe agito diver-samente con lui da quanto aveva fatto Bocco con Giu-gurta.Egli perciò impiegò tutti i suoi mezzi per impedire untale accomodamento e per decidere la corte armena acontinuare la guerra nella quale egli nulla aveva da per-dere e tutto da guadagnare; e, benchè fuggitivo e detro-nizzato, la sua influenza a corte era ancora notevole.Egli era ancora un uomo di bella e nobile presenza, esebbene avesse più di sessant'anni si sosteneva a cavalloin completa armatura, e nella mischia era tale da starealla pari con chicchessia.Sembrava che gli anni e le avversità avessero ritempratoil suo spirito: mentre nei tempi anteriori faceva guidare i

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suoi eserciti dai suoi condottieri e non prendeva parteimmediata alla guerra, ora nell'età senile lo troviamo acomandare e combattere. Avendo assistito durante il suoregno di cinquant'anni a tante catastrofi, Mitridate nonconsiderava la causa del gran re come perduta per lasconfitta sofferta a Tigranocerta, anzi giudicava la situa-zione di Lucullo assai critica, e qualora non si facesse lapace e si continuasse la guerra in modo migliore, la rite-neva molto grave.L'esperto vecchio che faceva quasi da padre al gran re, eche ora si trovava in grado di esercitare personalmentela sua influenza su di lui, vinse con la sua energia il de-bole uomo e lo indusse non solo a continuare la guerra,ma ad affidarne a lui stesso la direzione politica e mili-tare.

23. Ripresa della guerra.

Quella guerra di intrighi doveva ora cambiarsi in unaguerra nazionale asiatica; i re ed i popoli dell'Asiadovevano unirsi contro i prepotenti ed orgogliosioccidentali. Furono fatti i più grandi sforzi perriconciliare gli Armeni ed i Parti e per deciderli allacomune lotta contro Roma.Dietro sollecitazione di Mitridate, Tigrane si offrì di re-stituire all'arsacide Fraate il Dio (regnava nel 684 = 70),le province conquistate dagli Armeni, la Mesopotamia,Adiabene e le «grandi valli» e di stringere con esso paceed amicizia. Ma dopo tutto quello che era avvenuto,

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suoi eserciti dai suoi condottieri e non prendeva parteimmediata alla guerra, ora nell'età senile lo troviamo acomandare e combattere. Avendo assistito durante il suoregno di cinquant'anni a tante catastrofi, Mitridate nonconsiderava la causa del gran re come perduta per lasconfitta sofferta a Tigranocerta, anzi giudicava la situa-zione di Lucullo assai critica, e qualora non si facesse lapace e si continuasse la guerra in modo migliore, la rite-neva molto grave.L'esperto vecchio che faceva quasi da padre al gran re, eche ora si trovava in grado di esercitare personalmentela sua influenza su di lui, vinse con la sua energia il de-bole uomo e lo indusse non solo a continuare la guerra,ma ad affidarne a lui stesso la direzione politica e mili-tare.

23. Ripresa della guerra.

Quella guerra di intrighi doveva ora cambiarsi in unaguerra nazionale asiatica; i re ed i popoli dell'Asiadovevano unirsi contro i prepotenti ed orgogliosioccidentali. Furono fatti i più grandi sforzi perriconciliare gli Armeni ed i Parti e per deciderli allacomune lotta contro Roma.Dietro sollecitazione di Mitridate, Tigrane si offrì di re-stituire all'arsacide Fraate il Dio (regnava nel 684 = 70),le province conquistate dagli Armeni, la Mesopotamia,Adiabene e le «grandi valli» e di stringere con esso paceed amicizia. Ma dopo tutto quello che era avvenuto,

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questa offerta poteva difficilmente sperare una accetta-zione favorevole; Fraate preferì di assicurarsi il confinedell'Eufrate piuttosto trattando coi Romani che con gliArmeni e di stare a vedere come l'odioso vicino e l'inco-modo straniero andassero fra loro distruggendosi.Con maggior successo che ai re, Mitridate si volse aipopoli dell'oriente. Non fu un còmpito difficile dirappresentare quella guerra come una guerra nazionaledell'oriente contro l'occidente, poichè essa era tale; e sipoteva dire anche guerra di religione e spargere lanotizia che la mèta cui mirava l'esercito di Lucullo era iltempio di Nanea o Anaiti nell'Elimaide, il più celebratoe più ricco santuario di tutta la valle dell'Eufrate4.Da vicino e da lontano gli Asiatici accorrevano a tormesotto le insegne dei re che li chiamavano a difenderel'oriente ed i suoi dei contro gli empi stranieri. Ma i fattiavevano provato che il solo ammassare una immensaquantità di truppe non solo era cosa inutile, ma, anzi, colmettervi insieme le schiere agguerrite e disciplinate,queste divenivano inservibili e trascinate dalle altre nel-la generale rovina.Mitridate si sforzò anzitutto di organizzare l'arma chepresso gli occidentali era la più debole e presso gli Asia-tici la più gagliarda, la cavalleria: nel nuovo esercito da4 È poco probabile che CICERONE (De imp. Pomp., 9, 23) intenda parlare

d'altro che di uno dei ricchi templi dell'Elimaide, ai quali si dirigevanoregolarmente le scorrerie dei re di Siria e della Partia (STRABONE, 16, 744;POLIBIO, 31, II, 1; MACCAB. 6 e in altri luoghi) e verosimilmente intendeparlare di questa scorreria, come della più nota; In nessun caso si devesupporre che sia il tempio di Comana o in genere un santuario del regnopontico.

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questa offerta poteva difficilmente sperare una accetta-zione favorevole; Fraate preferì di assicurarsi il confinedell'Eufrate piuttosto trattando coi Romani che con gliArmeni e di stare a vedere come l'odioso vicino e l'inco-modo straniero andassero fra loro distruggendosi.Con maggior successo che ai re, Mitridate si volse aipopoli dell'oriente. Non fu un còmpito difficile dirappresentare quella guerra come una guerra nazionaledell'oriente contro l'occidente, poichè essa era tale; e sipoteva dire anche guerra di religione e spargere lanotizia che la mèta cui mirava l'esercito di Lucullo era iltempio di Nanea o Anaiti nell'Elimaide, il più celebratoe più ricco santuario di tutta la valle dell'Eufrate4.Da vicino e da lontano gli Asiatici accorrevano a tormesotto le insegne dei re che li chiamavano a difenderel'oriente ed i suoi dei contro gli empi stranieri. Ma i fattiavevano provato che il solo ammassare una immensaquantità di truppe non solo era cosa inutile, ma, anzi, colmettervi insieme le schiere agguerrite e disciplinate,queste divenivano inservibili e trascinate dalle altre nel-la generale rovina.Mitridate si sforzò anzitutto di organizzare l'arma chepresso gli occidentali era la più debole e presso gli Asia-tici la più gagliarda, la cavalleria: nel nuovo esercito da4 È poco probabile che CICERONE (De imp. Pomp., 9, 23) intenda parlare

d'altro che di uno dei ricchi templi dell'Elimaide, ai quali si dirigevanoregolarmente le scorrerie dei re di Siria e della Partia (STRABONE, 16, 744;POLIBIO, 31, II, 1; MACCAB. 6 e in altri luoghi) e verosimilmente intendeparlare di questa scorreria, come della più nota; In nessun caso si devesupporre che sia il tempio di Comana o in genere un santuario del regnopontico.

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lui ordinato, la metà delle truppe era a cavallo. Per ilservizio a piedi egli scelse con ogni cura i più adatti dal-la massa dei coscritti o dei volontari, e li fece addestraredai suoi ufficiali pontici.Il considerevole esercito, che di nuovo si trovò sotto leinsegne del gran re, non era però destinato a cimentarsialla prima occasione sul campo di battaglia coi veteraniromani, ma doveva limitarsi alla difesa ed alla guerraspicciola.Già nell'ultima guerra combattuta nel suo regno Mitrida-te aveva adottato il sistema di ritirarsi evitando ogni bat-taglia: anche questa volta fu seguìta la stessa tattica, eper teatro della guerra fu scelta l'Armenia propriamentedetta, il paese avito di Tigrane, non ancora toccato dalnemico, e che per la sua condizione topografica e per ilpatriottismo dei suoi abitanti, si confaceva eccellente-mente a questo modo di guerreggiare.

24. Malumori contro Lucullo.

L'anno 686 = 68 trovò Lucullo in una posizione difficilee che si andava facendo sempre più scabrosa.Malgrado le sue brillanti vittorie, in Roma non si era af-fatto contenti di lui. Il senato era urtato del suo modo ar-bitrario di procedere; il partito dei capitalisti, da lui pro-fondamente offeso, metteva in moto tutti i mezzi dellacorruzione per ottenere il suo richiamo. Nel foro dellacapitale si gridava ogni giorno a torto o a ragione controil generale temerario, avido, antiromano, reo d'alto tradi-

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lui ordinato, la metà delle truppe era a cavallo. Per ilservizio a piedi egli scelse con ogni cura i più adatti dal-la massa dei coscritti o dei volontari, e li fece addestraredai suoi ufficiali pontici.Il considerevole esercito, che di nuovo si trovò sotto leinsegne del gran re, non era però destinato a cimentarsialla prima occasione sul campo di battaglia coi veteraniromani, ma doveva limitarsi alla difesa ed alla guerraspicciola.Già nell'ultima guerra combattuta nel suo regno Mitrida-te aveva adottato il sistema di ritirarsi evitando ogni bat-taglia: anche questa volta fu seguìta la stessa tattica, eper teatro della guerra fu scelta l'Armenia propriamentedetta, il paese avito di Tigrane, non ancora toccato dalnemico, e che per la sua condizione topografica e per ilpatriottismo dei suoi abitanti, si confaceva eccellente-mente a questo modo di guerreggiare.

24. Malumori contro Lucullo.

L'anno 686 = 68 trovò Lucullo in una posizione difficilee che si andava facendo sempre più scabrosa.Malgrado le sue brillanti vittorie, in Roma non si era af-fatto contenti di lui. Il senato era urtato del suo modo ar-bitrario di procedere; il partito dei capitalisti, da lui pro-fondamente offeso, metteva in moto tutti i mezzi dellacorruzione per ottenere il suo richiamo. Nel foro dellacapitale si gridava ogni giorno a torto o a ragione controil generale temerario, avido, antiromano, reo d'alto tradi-

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mento.Alle lagnanze sull'accumularsi di un potere così smisu-rato, di due ordinarie province e di un importante co-mando straordinario, nelle mani di un tal uomo, il sena-to aveva già ceduto destinando la provincia d'Asia aduno dei pretori, la provincia di Cilicia con tre legioni dinuova formazione al console Quinto Marcio Re e limi-tando al supremo duce il comando contro Mitridate econtro Tigrane.Queste accuse elevatesi in Roma contro Lucullo trova-rono una pericolosa eco negli accampamenti sull'Iri esul Tigri; tanto più che alcuni ufficiali, e fra essi lo stes-so cognato del supremo duce, Publio Clodio, sobillava-no in questo senso i soldati.La voce, senza dubbio sparsa da costui espressamente,che Lucullo avesse in mente di far seguire alla guerrapontico-armena una spedizione contro i Parti, alimenta-va l'irritazione delle truppe.Ma mentre il malumore del governo e dei soldati minac-ciava il vittorioso duce col richiamo e colla sollevazio-ne, egli, come il giocatore disperato, continuava raddop-piando la posta e crescendo di ardire.Veramente Lucullo non andò contro i Parti; ma vedendoche Tigrane non si decideva a fare la pace, nè, come egliavrebbe desiderato, osava scendere in campo per unabattaglia decisiva, deliberò di lasciare Tigranocerta e direcarsi, attraversando la scoscesa provincia montuosasulla riva orientale del lago Van, nella valle dell'Eufrateorientale (o Arsania, ora Murad Tschai) e da questa in

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mento.Alle lagnanze sull'accumularsi di un potere così smisu-rato, di due ordinarie province e di un importante co-mando straordinario, nelle mani di un tal uomo, il sena-to aveva già ceduto destinando la provincia d'Asia aduno dei pretori, la provincia di Cilicia con tre legioni dinuova formazione al console Quinto Marcio Re e limi-tando al supremo duce il comando contro Mitridate econtro Tigrane.Queste accuse elevatesi in Roma contro Lucullo trova-rono una pericolosa eco negli accampamenti sull'Iri esul Tigri; tanto più che alcuni ufficiali, e fra essi lo stes-so cognato del supremo duce, Publio Clodio, sobillava-no in questo senso i soldati.La voce, senza dubbio sparsa da costui espressamente,che Lucullo avesse in mente di far seguire alla guerrapontico-armena una spedizione contro i Parti, alimenta-va l'irritazione delle truppe.Ma mentre il malumore del governo e dei soldati minac-ciava il vittorioso duce col richiamo e colla sollevazio-ne, egli, come il giocatore disperato, continuava raddop-piando la posta e crescendo di ardire.Veramente Lucullo non andò contro i Parti; ma vedendoche Tigrane non si decideva a fare la pace, nè, come egliavrebbe desiderato, osava scendere in campo per unabattaglia decisiva, deliberò di lasciare Tigranocerta e direcarsi, attraversando la scoscesa provincia montuosasulla riva orientale del lago Van, nella valle dell'Eufrateorientale (o Arsania, ora Murad Tschai) e da questa in

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quella dell'Arasse, dove, sulle falde settentrionalidell'Ararat si trovava Artaxata, capitale dell'Armeniapropriamente detta, col palazzo ereditario e col serragliodel re.Minacciando l'avita residenza del re egli sperava di co-stringerlo ad accettare la battaglia, o lungo il cammino osotto le mura di Artaxata. Era assolutamente necessariolasciare una divisione sotto Tigranocerta; e non poten-dosi indebolire ulteriormente l'esercito mobile, non ri-mase altro che diminuire le guarnigioni del Ponto e farvenire di là delle truppe a Tigranocerta.La principale difficoltà per imprese militari era perònell'Armenia la breve durata dell'estate. Sull'altipianoarmeno oltre 5.000 piedi sul livello del mare, il granogermoglia presso Erzerum solo sul principio di giugno ecol raccolto, che si ha in settembre, comincia già l'inver-no; in quattro mesi al massimo si doveva raggiungereArtaxata e la campagna doveva essere finita. Lucullopartì da Tigranocerta alla metà dell'estate del 686 = 68, eattraversando certamente il passo di Bitlis e marciandoin su, verso il lago di Van, ad occidente, giunse sull'alti-piano di Musch e presso l'Eufrate.La marcia, attraverso continue e molestissime scara-muccie colla cavalleria nemica e specialmente cogli ar-cieri a cavallo, procedeva lenta ma senza notevoli osta-coli, e anche il passaggio dell'Eufrate, difeso seriamentedalla cavalleria nemica, fu forzato con un felice combat-timento; la fanteria armena si fece vedere, ma non potèessere attirata nella lotta.

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quella dell'Arasse, dove, sulle falde settentrionalidell'Ararat si trovava Artaxata, capitale dell'Armeniapropriamente detta, col palazzo ereditario e col serragliodel re.Minacciando l'avita residenza del re egli sperava di co-stringerlo ad accettare la battaglia, o lungo il cammino osotto le mura di Artaxata. Era assolutamente necessariolasciare una divisione sotto Tigranocerta; e non poten-dosi indebolire ulteriormente l'esercito mobile, non ri-mase altro che diminuire le guarnigioni del Ponto e farvenire di là delle truppe a Tigranocerta.La principale difficoltà per imprese militari era perònell'Armenia la breve durata dell'estate. Sull'altipianoarmeno oltre 5.000 piedi sul livello del mare, il granogermoglia presso Erzerum solo sul principio di giugno ecol raccolto, che si ha in settembre, comincia già l'inver-no; in quattro mesi al massimo si doveva raggiungereArtaxata e la campagna doveva essere finita. Lucullopartì da Tigranocerta alla metà dell'estate del 686 = 68, eattraversando certamente il passo di Bitlis e marciandoin su, verso il lago di Van, ad occidente, giunse sull'alti-piano di Musch e presso l'Eufrate.La marcia, attraverso continue e molestissime scara-muccie colla cavalleria nemica e specialmente cogli ar-cieri a cavallo, procedeva lenta ma senza notevoli osta-coli, e anche il passaggio dell'Eufrate, difeso seriamentedalla cavalleria nemica, fu forzato con un felice combat-timento; la fanteria armena si fece vedere, ma non potèessere attirata nella lotta.

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Così l'esercito giunse al vero altipiano dell'Armenia econtinuò la sua marcia nell'interno di quel paese scono-sciuto. Non si era sofferto nessun vero accidente, ma ilsolo inevitabile ritardo della marcia, causato dalle diffi-coltà del terreno e dalla cavalleria nemica, erano già undanno sensibilissimo.Molto tempo prima di giungere ad Artaxata era venutol'inverno; e quando i soldati italici si videro in mezzoalla neve e al ghiaccio, l'arco della disciplina militare siruppe.Una vera sollevazione obbligò il generale ad ordinare laritirata, che esso eseguì colla sua solita destrezza. Arri-vato felicemente al piano ove la stagione permetteva ul-teriori imprese, Lucullo passò il Tigri e si gettò con tuttala massa del suo esercito su Nisibi, capitale della Meso-potamia armena.

25. Combattimenti sul Ponto.

Il gran re, reso accorto dall'esperienza fatta sottoTigranocerta, abbandonò la città a sè stessa; questanonostante una valorosa difesa, fu dagli assedianti presad'assalto in una notte oscura e piovosa e l'esercito diLucullo vi trovò un bottino non meno ricco e quartierid'inverno non meno comodi di quelli trovati l'annoprima in Tigranocerta.Ma intanto tutta la forza dell'offensiva nemica cadde suideboli corpi romani del Ponto e presso Tigranocerta.Qui Tigrane costrinse il comandante romano Lucio Fan-

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Così l'esercito giunse al vero altipiano dell'Armenia econtinuò la sua marcia nell'interno di quel paese scono-sciuto. Non si era sofferto nessun vero accidente, ma ilsolo inevitabile ritardo della marcia, causato dalle diffi-coltà del terreno e dalla cavalleria nemica, erano già undanno sensibilissimo.Molto tempo prima di giungere ad Artaxata era venutol'inverno; e quando i soldati italici si videro in mezzoalla neve e al ghiaccio, l'arco della disciplina militare siruppe.Una vera sollevazione obbligò il generale ad ordinare laritirata, che esso eseguì colla sua solita destrezza. Arri-vato felicemente al piano ove la stagione permetteva ul-teriori imprese, Lucullo passò il Tigri e si gettò con tuttala massa del suo esercito su Nisibi, capitale della Meso-potamia armena.

25. Combattimenti sul Ponto.

Il gran re, reso accorto dall'esperienza fatta sottoTigranocerta, abbandonò la città a sè stessa; questanonostante una valorosa difesa, fu dagli assedianti presad'assalto in una notte oscura e piovosa e l'esercito diLucullo vi trovò un bottino non meno ricco e quartierid'inverno non meno comodi di quelli trovati l'annoprima in Tigranocerta.Ma intanto tutta la forza dell'offensiva nemica cadde suideboli corpi romani del Ponto e presso Tigranocerta.Qui Tigrane costrinse il comandante romano Lucio Fan-

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nio – quello stesso che prima aveva fatto il mediatore traSertorio e Mitridate – a gettarsi in una fortezza, ove lotenne assediato.Mitridate entrò nel Ponto con 4000 cavalieri armeni ealtrettanti propri, e come liberatore e vindice chiamòsotto le armi la nazione contro il nemico del paese. Tuttiaccorrevano; i soldati romani dispersi furono presi e uc-cisi e quando Adriano, comandante romano del Ponto,condusse le sue truppe contro di lui, gli antichi mercena-ri del re e i molti Pontici, che seguivano l'esercito comeschiavi, fecero causa comune col nemico. Due giorni diseguito durò la lotta ineguale; solo la circostanza che ilre, dopo aver ricevuto due ferite, dovette essere traspor-tato fuori del campo di battaglia, fornì al comandanteromano la possibilità di interrompere la battaglia consi-derata come perduta e di gettarsi con le poche forze ri-mastegli in Cabira.Un altro dei luogotenenti di Lucullo, che venne per casoin questa regione, il risoluto Triario, raccolse ancora unmanipolo di soldati e ottenne contro il re un fortunatocombattimento; ma egli era troppo debole per ricacciar-lo dal suolo pontico e dovette lasciare che il re prendes-se i suoi quartieri d'inverno in Comana.

26. Sconfitta dei Romani.

Si giunse così alla primavera del 687 = 67. Laconcentrazione dell'esercito in Nisibi, l'ozio dei quartierid'inverno, la frequente assenza del generale, avevano

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nio – quello stesso che prima aveva fatto il mediatore traSertorio e Mitridate – a gettarsi in una fortezza, ove lotenne assediato.Mitridate entrò nel Ponto con 4000 cavalieri armeni ealtrettanti propri, e come liberatore e vindice chiamòsotto le armi la nazione contro il nemico del paese. Tuttiaccorrevano; i soldati romani dispersi furono presi e uc-cisi e quando Adriano, comandante romano del Ponto,condusse le sue truppe contro di lui, gli antichi mercena-ri del re e i molti Pontici, che seguivano l'esercito comeschiavi, fecero causa comune col nemico. Due giorni diseguito durò la lotta ineguale; solo la circostanza che ilre, dopo aver ricevuto due ferite, dovette essere traspor-tato fuori del campo di battaglia, fornì al comandanteromano la possibilità di interrompere la battaglia consi-derata come perduta e di gettarsi con le poche forze ri-mastegli in Cabira.Un altro dei luogotenenti di Lucullo, che venne per casoin questa regione, il risoluto Triario, raccolse ancora unmanipolo di soldati e ottenne contro il re un fortunatocombattimento; ma egli era troppo debole per ricacciar-lo dal suolo pontico e dovette lasciare che il re prendes-se i suoi quartieri d'inverno in Comana.

26. Sconfitta dei Romani.

Si giunse così alla primavera del 687 = 67. Laconcentrazione dell'esercito in Nisibi, l'ozio dei quartierid'inverno, la frequente assenza del generale, avevano

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intanto accresciuto l'indisciplina delle truppe; esse nonsolo domandavano con violenza di essere ricondotte inpatria, ma era ormai abbastanza evidente che se ilgenerale vi si rifiutasse, si sarebbero sollevate.Le provvigioni erano scarse; Fannio e Triario nella lorotriste posizione chiedevano aiuti al generale. Lucullo,col cuore addolorato, si decise di cedere alla necessità e,rinunciando a Nisibi e Tigranocerta e a tutte le brillantisperanze della sua posizione armena, di ritornare sulladestra dell'Eufrate.Fannio fu liberato; ma per il Ponto era già troppo tardi.Triario, non abbastanza forte per misurarsi con Mitrida-te, aveva preso una forte posizione presso Gaziura(Turksal sull'Iri ad ovest di Tokat), lasciando il bagagliopresso Dadasa.Ma avendo Mitridate posto l'assedio a questa località, isoldati romani, che videro in pericolo il loro bagaglio,obbligarono il re sulle alture fra Gaziura e Ziella (Zil-leh). Avvenne ciò che Triario aveva preveduto: nono-stante la più valorosa difesa, l'ala comandata personal-mente dal re ruppe la linea dei romani e spinse la fante-ria romana in una gola melmosa dove non poteva nèavanzare nè retrocedere e dove fu messa a pezzi senzapietà.Veramente un centurione romano, sacrificando la pro-pria vita, aveva ferito mortalmente il re, ma la sconfittanon fu perciò meno completa. Il campo romano fu pre-so; il meglio della fanteria, quasi tutti gli ufficiali esott'ufficiali coprivano il suolo; i cadaveri rimasero inse-

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intanto accresciuto l'indisciplina delle truppe; esse nonsolo domandavano con violenza di essere ricondotte inpatria, ma era ormai abbastanza evidente che se ilgenerale vi si rifiutasse, si sarebbero sollevate.Le provvigioni erano scarse; Fannio e Triario nella lorotriste posizione chiedevano aiuti al generale. Lucullo,col cuore addolorato, si decise di cedere alla necessità e,rinunciando a Nisibi e Tigranocerta e a tutte le brillantisperanze della sua posizione armena, di ritornare sulladestra dell'Eufrate.Fannio fu liberato; ma per il Ponto era già troppo tardi.Triario, non abbastanza forte per misurarsi con Mitrida-te, aveva preso una forte posizione presso Gaziura(Turksal sull'Iri ad ovest di Tokat), lasciando il bagagliopresso Dadasa.Ma avendo Mitridate posto l'assedio a questa località, isoldati romani, che videro in pericolo il loro bagaglio,obbligarono il re sulle alture fra Gaziura e Ziella (Zil-leh). Avvenne ciò che Triario aveva preveduto: nono-stante la più valorosa difesa, l'ala comandata personal-mente dal re ruppe la linea dei romani e spinse la fante-ria romana in una gola melmosa dove non poteva nèavanzare nè retrocedere e dove fu messa a pezzi senzapietà.Veramente un centurione romano, sacrificando la pro-pria vita, aveva ferito mortalmente il re, ma la sconfittanon fu perciò meno completa. Il campo romano fu pre-so; il meglio della fanteria, quasi tutti gli ufficiali esott'ufficiali coprivano il suolo; i cadaveri rimasero inse-

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polti sul campo di battaglia, e quando Lucullo giunsesulla destra dell'Eufrate, non ebbe la dolorosa notizia daisuoi, ma dagli indigeni.Insieme con questa sconfitta scoppiò la congiura milita-re. Intanto venne da Roma la notizia che il popolo avevadeciso di accordare il congedo ai soldati che avevano fi-nito gli anni di servizio, cioè ai soldati di Fimbria, e diconferire ad uno dei consoli dell'anno corrente il coman-do nella Bitinia e nel Ponto.Il console Manio Acilio Giabrione, successore di Lucul-lo, era già approdato nell'Asia minore. Il congedo dellepiù valorose e più inquiete legioni ed il richiamo del su-premo duce, nonchè l'impressione prodotta dalla scon-fitta presso Ziela, rallentarono nell'esercito tutti i vincolidell'autorità, appunto nel momento in cui il generale neaveva il massimo bisogno.Egli si trovava presso Talaura nell'Armenia minore, difronte alle truppe pontiche, alla testa delle quali Mitrida-te di Media, suocero di Tigrane, aveva già dato ai Ro-mani un combattimento fortunato, e appunto a questavolta si trovava in marcia proveniente dall'Armenia laforza principale del gran re.Lucullo mandò a chiedere aiuto al nuovo governatoredella Cilicia, Quinto Marcio, che era arrivato appuntoallora nella Licaonia con tre legioni della sua provincia;questi rispose che i suoi soldati si rifiutavano di andarein Armenia.Lucullo mandò allora a pregare Glabrio di assumere ilcomando supremo conferitogli dal popolo; questi mo-

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polti sul campo di battaglia, e quando Lucullo giunsesulla destra dell'Eufrate, non ebbe la dolorosa notizia daisuoi, ma dagli indigeni.Insieme con questa sconfitta scoppiò la congiura milita-re. Intanto venne da Roma la notizia che il popolo avevadeciso di accordare il congedo ai soldati che avevano fi-nito gli anni di servizio, cioè ai soldati di Fimbria, e diconferire ad uno dei consoli dell'anno corrente il coman-do nella Bitinia e nel Ponto.Il console Manio Acilio Giabrione, successore di Lucul-lo, era già approdato nell'Asia minore. Il congedo dellepiù valorose e più inquiete legioni ed il richiamo del su-premo duce, nonchè l'impressione prodotta dalla scon-fitta presso Ziela, rallentarono nell'esercito tutti i vincolidell'autorità, appunto nel momento in cui il generale neaveva il massimo bisogno.Egli si trovava presso Talaura nell'Armenia minore, difronte alle truppe pontiche, alla testa delle quali Mitrida-te di Media, suocero di Tigrane, aveva già dato ai Ro-mani un combattimento fortunato, e appunto a questavolta si trovava in marcia proveniente dall'Armenia laforza principale del gran re.Lucullo mandò a chiedere aiuto al nuovo governatoredella Cilicia, Quinto Marcio, che era arrivato appuntoallora nella Licaonia con tre legioni della sua provincia;questi rispose che i suoi soldati si rifiutavano di andarein Armenia.Lucullo mandò allora a pregare Glabrio di assumere ilcomando supremo conferitogli dal popolo; questi mo-

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strò ancor meno voglia di entrare in una situazione resa-si così difficile e pericolosa. Lucullo, costretto a conser-vare il supremo comando, per non dover combatterepresso Talaura al tempo stesso contro gli Armeni e con-tro i Pontici, ordinò di marciare incontro all'esercito ar-meno che si approssimava.I soldati obbedirono al comando; ma arrivati al biviodove una via conduce nell'Armenia, l'altra nella Cappa-docia, la massa dell'esercito s'incamminò per questa e siportò nella provincia d'Asia.

27. Ritirata in Asia minore.

Qui giunti i fimbriani chiesero l'immediato lorocongedo: e sebbene dietro le insistenti preghiere delsupremo duce e degli altri corpi essi ne desistessero,dichiararono che, avvicinandosi l'inverno senza cheavessero di fronte un nemico, essi si sarebbero sciolti; ecosì avvenne.Mitridate non solo occupò di nuovo quasi tutto il suo re-gno, ma i suoi cavalieri percorsero tutta la Cappadociasino ai confini della Bitinia; invano il re Ariobarzane sivolse a Quinto Marcio, a Lucullo e a Glabrio colla pre-ghiera di soccorrerlo.Fu un risultato strano e quasi incredibile quello di que-sta guerra sostenuta tanto gloriosamente. Considerandosoltanto le imprese militari, non v'è un generale romanoche abbia fatto tanto con sì pochi mezzi quanto Lucullo;sembrava che il talento e la fortuna di Silla fossero pas-

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strò ancor meno voglia di entrare in una situazione resa-si così difficile e pericolosa. Lucullo, costretto a conser-vare il supremo comando, per non dover combatterepresso Talaura al tempo stesso contro gli Armeni e con-tro i Pontici, ordinò di marciare incontro all'esercito ar-meno che si approssimava.I soldati obbedirono al comando; ma arrivati al biviodove una via conduce nell'Armenia, l'altra nella Cappa-docia, la massa dell'esercito s'incamminò per questa e siportò nella provincia d'Asia.

27. Ritirata in Asia minore.

Qui giunti i fimbriani chiesero l'immediato lorocongedo: e sebbene dietro le insistenti preghiere delsupremo duce e degli altri corpi essi ne desistessero,dichiararono che, avvicinandosi l'inverno senza cheavessero di fronte un nemico, essi si sarebbero sciolti; ecosì avvenne.Mitridate non solo occupò di nuovo quasi tutto il suo re-gno, ma i suoi cavalieri percorsero tutta la Cappadociasino ai confini della Bitinia; invano il re Ariobarzane sivolse a Quinto Marcio, a Lucullo e a Glabrio colla pre-ghiera di soccorrerlo.Fu un risultato strano e quasi incredibile quello di que-sta guerra sostenuta tanto gloriosamente. Considerandosoltanto le imprese militari, non v'è un generale romanoche abbia fatto tanto con sì pochi mezzi quanto Lucullo;sembrava che il talento e la fortuna di Silla fossero pas-

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sati in eredità a questo suo allievo.La ritirata dell'esercito romano nelle condizioni in cui sitrovava, e il suo arrivo incolume nell'Asia minore, sideve considerare come un'impresa militare meraviglio-sa, che, per quanto noi possiamo giudicare, sorpassa dimolto la ritirata di Senofonte, ciò che si deve però prin-cipalmente attribuire alla solidità del sistema militaredei romani e alla inabilità degli orientali, ma che sottotutti i rapporti assicura al duce di questa campagna unnome onorevolissimo tra le capacità militari diprim'ordine.Se il nome di Lucullo non è ordinariamente ricordato traqueste, se ne deve cercare la causa, secondo ogni appa-renza, solo nella circostanza che da un lato non è perve-nuta sino a noi nessuna, benchè minima, relazione mili-tare delle sue campagne, e dall'altro che in tutte le cose,e specialmente in quelle di guerra, si guarda anzitutto ilrisultato finale, e questo rassomiglia certamente ad unacompleta sconfitta.Coll'ultima malaugurata piega delle cose, e specialmen-te a causa della sollevazione dei soldati, tutti i successidi una guerra di otto anni erano andati di nuovo perduti;nell'inverno del 687-8 = 67-6, i Romani si trovavano ap-punto nella stessa condizione dell'inverno 679-80 = 75-74.

28. Sconfitta di Antonio.

La guerra marittima fatta ai pirati non offriva migliori

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sati in eredità a questo suo allievo.La ritirata dell'esercito romano nelle condizioni in cui sitrovava, e il suo arrivo incolume nell'Asia minore, sideve considerare come un'impresa militare meraviglio-sa, che, per quanto noi possiamo giudicare, sorpassa dimolto la ritirata di Senofonte, ciò che si deve però prin-cipalmente attribuire alla solidità del sistema militaredei romani e alla inabilità degli orientali, ma che sottotutti i rapporti assicura al duce di questa campagna unnome onorevolissimo tra le capacità militari diprim'ordine.Se il nome di Lucullo non è ordinariamente ricordato traqueste, se ne deve cercare la causa, secondo ogni appa-renza, solo nella circostanza che da un lato non è perve-nuta sino a noi nessuna, benchè minima, relazione mili-tare delle sue campagne, e dall'altro che in tutte le cose,e specialmente in quelle di guerra, si guarda anzitutto ilrisultato finale, e questo rassomiglia certamente ad unacompleta sconfitta.Coll'ultima malaugurata piega delle cose, e specialmen-te a causa della sollevazione dei soldati, tutti i successidi una guerra di otto anni erano andati di nuovo perduti;nell'inverno del 687-8 = 67-6, i Romani si trovavano ap-punto nella stessa condizione dell'inverno 679-80 = 75-74.

28. Sconfitta di Antonio.

La guerra marittima fatta ai pirati non offriva migliori

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risultati di quella sul continente, che era cominciatacontemporaneamente e si era sempre mantenuta conquella in stretta relazione.Si è già narrato come il senato nell'anno 680 = 74 pren-desse la saggia risoluzione di incaricare un solo ammira-glio in capo per purgare i mari dai pirati e di conferirequesta carica al pretore Marco Antonio.Ma i senatori sin dal principio si erano ingannati nellascelta dei capo o, per dir meglio, coloro che avevano ap-poggiato questa misura in sè conveniente, non avevanoconsiderato che nel senato tutte le questioni personali sidecidevano per l'influenza di Cetego, o con altri similiriguardi di consorteria.Avevano inoltre mancato di fornire all'ammiraglio navie danaro sufficiente alla sua missione, così che per leenormi requisizioni egli riuscì quasi altrettanto molestoai provinciali quanto ai pirati. I risultati furono corri-spondenti. Antonio nelle acque della Campania presecolla sua flotta parecchie navi corsare.Con i Cretesi, i quali avevano conchiuso amicizia ed al-leanza con i pirati ed avevano respinto con asprezza lasua esortazione a sciogliersi da tale alleanza, si venne abattaglia; e le catene, che il previdente Antonio avevadisposto sulle proprie navi per servirsene pei pirati fattiprigionieri, servirono per legare il questore e gli altriprigionieri romani agli alberi delle conquistate navi ro-mane quando i generali cretesi Lastene e Panare ritorna-rono trionfanti a Cidonia dopo la battaglia navale data aiRomani presso la loro isola.

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risultati di quella sul continente, che era cominciatacontemporaneamente e si era sempre mantenuta conquella in stretta relazione.Si è già narrato come il senato nell'anno 680 = 74 pren-desse la saggia risoluzione di incaricare un solo ammira-glio in capo per purgare i mari dai pirati e di conferirequesta carica al pretore Marco Antonio.Ma i senatori sin dal principio si erano ingannati nellascelta dei capo o, per dir meglio, coloro che avevano ap-poggiato questa misura in sè conveniente, non avevanoconsiderato che nel senato tutte le questioni personali sidecidevano per l'influenza di Cetego, o con altri similiriguardi di consorteria.Avevano inoltre mancato di fornire all'ammiraglio navie danaro sufficiente alla sua missione, così che per leenormi requisizioni egli riuscì quasi altrettanto molestoai provinciali quanto ai pirati. I risultati furono corri-spondenti. Antonio nelle acque della Campania presecolla sua flotta parecchie navi corsare.Con i Cretesi, i quali avevano conchiuso amicizia ed al-leanza con i pirati ed avevano respinto con asprezza lasua esortazione a sciogliersi da tale alleanza, si venne abattaglia; e le catene, che il previdente Antonio avevadisposto sulle proprie navi per servirsene pei pirati fattiprigionieri, servirono per legare il questore e gli altriprigionieri romani agli alberi delle conquistate navi ro-mane quando i generali cretesi Lastene e Panare ritorna-rono trionfanti a Cidonia dopo la battaglia navale data aiRomani presso la loro isola.

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Dopo avere sciupato somme immense collo sventatosuo modo di guerreggiare, e non aver ottenuto il minimorisultato, Antonio morì a Creta nel 683 = 71.Il cattivo successo della spedizione di Antonio, la spesaper la costruzione della flotta, e in parte l'avversionedell'oligarchia ad accordare qualsiasi più estesa autoritàai funzionari, fecero sì che, terminata di fatto questa im-presa colla morte di Antonio, non si procedette più allanomina di un altro ammiraglio in capo e si ritornò allamassima antica di lasciare ad ogni governatore, nellasua provincia, la cura di sradicare la pirateria; all'istessomodo che la flotta di Lucullo agiva nel mar Egeo.

29. Guerra cretese.

Solo per quanto concerneva i Cretesi, parve anche aquella stirpe degenerata, che ad uno smacco comequello subito presso Cidonia, non si potesse rispondereche con una dichiarazione di guerra. Sarebbe però quasiriuscito agli ambasciatori cretesi, venuti a Roma nel 684= 70 colla preghiera di voler riprendere i prigionieri e diripristinare l'antica alleanza, di ottenere una favorevolerisoluzione dal senato poichè ogni singolo senatore erapronto a concedere per danaro sonante ciò che l'interocollegio chiamava una vergogna.Solo dopo che una formale risoluzione senatoria ebbedichiarato non perseguibili legalmente i prestiti degliambasciatori cretesi presso i banchieri romani, cioèdopo che il senato si era posto nell'impossibilità di la-

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Dopo avere sciupato somme immense collo sventatosuo modo di guerreggiare, e non aver ottenuto il minimorisultato, Antonio morì a Creta nel 683 = 71.Il cattivo successo della spedizione di Antonio, la spesaper la costruzione della flotta, e in parte l'avversionedell'oligarchia ad accordare qualsiasi più estesa autoritàai funzionari, fecero sì che, terminata di fatto questa im-presa colla morte di Antonio, non si procedette più allanomina di un altro ammiraglio in capo e si ritornò allamassima antica di lasciare ad ogni governatore, nellasua provincia, la cura di sradicare la pirateria; all'istessomodo che la flotta di Lucullo agiva nel mar Egeo.

29. Guerra cretese.

Solo per quanto concerneva i Cretesi, parve anche aquella stirpe degenerata, che ad uno smacco comequello subito presso Cidonia, non si potesse rispondereche con una dichiarazione di guerra. Sarebbe però quasiriuscito agli ambasciatori cretesi, venuti a Roma nel 684= 70 colla preghiera di voler riprendere i prigionieri e diripristinare l'antica alleanza, di ottenere una favorevolerisoluzione dal senato poichè ogni singolo senatore erapronto a concedere per danaro sonante ciò che l'interocollegio chiamava una vergogna.Solo dopo che una formale risoluzione senatoria ebbedichiarato non perseguibili legalmente i prestiti degliambasciatori cretesi presso i banchieri romani, cioèdopo che il senato si era posto nell'impossibilità di la-

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sciarsi corrompere, comparve il decreto che i comunicretesi, se volevano evitare la guerra, dovessero conse-gnare ai Romani per la conveniente punizione, oltre i di-sertori, gli autori delle malvagità commesse presso Ci-donia, i condottieri Lastene e Panare; dovessero conse-gnare, oltre le navi e tutti gli schifi da quattro e più remi,400 ostaggi e pagare una multa di 4000 talenti (L.25.875.000).Avendo gli ambasciatori dichiarato di non essere auto-rizzati ad accettare queste condizioni, uno dei consolidell'anno seguente fu incaricato, dopo spirato il termine,di recarsi a Creta, per ricevere in consegna quanto si erarichiesto, oppure incominciare la guerra.Così nell'anno 685 = 69 il proconsole Quinto Metellocomparve nelle acque cretesi. I comuni dell'isola, e spe-cialmente le città più importanti, Gortina, Gnosso e Ci-donia, erano risolute a difendersi con le armi piuttostoche adattarsi a quelle esorbitanti pretese.I Cretesi erano un popolo perverso e degenerato la cuivita pubblica e privata era così intimamente legata allapirateria, come quella della repubblica degli Etoli lo eraal ladroneccio, ma essi rassomigliavano agli Etoli comesotto molti altri aspetti anche nella prodezza, e furonoinfatti questi due stati greci i soli che abbiano sostenutocoraggiosamente e onorevolmente la lotta per l'indipen-denza.Presso Cidonia, dove Metello fece sbarcare le sue tre le-gioni, era pronto per riceverlo un esercito cretese di24.000 uomini comandati da Lastene e da Panare; si

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sciarsi corrompere, comparve il decreto che i comunicretesi, se volevano evitare la guerra, dovessero conse-gnare ai Romani per la conveniente punizione, oltre i di-sertori, gli autori delle malvagità commesse presso Ci-donia, i condottieri Lastene e Panare; dovessero conse-gnare, oltre le navi e tutti gli schifi da quattro e più remi,400 ostaggi e pagare una multa di 4000 talenti (L.25.875.000).Avendo gli ambasciatori dichiarato di non essere auto-rizzati ad accettare queste condizioni, uno dei consolidell'anno seguente fu incaricato, dopo spirato il termine,di recarsi a Creta, per ricevere in consegna quanto si erarichiesto, oppure incominciare la guerra.Così nell'anno 685 = 69 il proconsole Quinto Metellocomparve nelle acque cretesi. I comuni dell'isola, e spe-cialmente le città più importanti, Gortina, Gnosso e Ci-donia, erano risolute a difendersi con le armi piuttostoche adattarsi a quelle esorbitanti pretese.I Cretesi erano un popolo perverso e degenerato la cuivita pubblica e privata era così intimamente legata allapirateria, come quella della repubblica degli Etoli lo eraal ladroneccio, ma essi rassomigliavano agli Etoli comesotto molti altri aspetti anche nella prodezza, e furonoinfatti questi due stati greci i soli che abbiano sostenutocoraggiosamente e onorevolmente la lotta per l'indipen-denza.Presso Cidonia, dove Metello fece sbarcare le sue tre le-gioni, era pronto per riceverlo un esercito cretese di24.000 uomini comandati da Lastene e da Panare; si

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venne ad una battaglia in campo aperto, nella qualedopo una dura lotta la vittoria rimase ai Romani. Ma ciòmalgrado le città irridevano il generale romano dietro leloro mura, e Metello dovette decidersi ad assediarle,l'una dopo l'altra.La prima ad arrendersi fu Cidonia, in cui si erano salvatigli avanzi dell'esercito sconfitto; dopo un lungo assedione furono aperte le porte da Panare, che ottenne per sèlibera uscita.Lastene, che era fuggito dalla città, dovette venire asse-diato una seconda volta in Gnosso, ed essendo anchequesta fortezza vicina ad arrendersi, egli distrusse i suoitesori ed evase ancora recandosi in luoghi i quali, comeLicto, Eleutera ed altri, continuarono a difendersi.Passarono due anni (686-687 = 68-67) prima che Metel-lo si rendesse padrone di tutta l'isola, e con questa l'ulti-mo lembo di terra greca cadde in potere dei Romani; icomuni Cretesi, che primi fra i Greci avevano dato svi-luppo alla libera costituzione urbana ed alla signoria deimari, dovevano essere anche gli ultimi di quegli statimarittimi greci, che avevano fatto corona al Mediterra-neo, a soggiacere alla potenza romana continentale.Tutte le condizioni legali erano compiute per celebrareun altro pomposo trionfo; la famiglia dei Metello ai suoifasti macedoni, numidici, dalmati e balearici, poteva conegual diritto aggiungere i cretesi e Roma aveva un nomesplendido di più.

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venne ad una battaglia in campo aperto, nella qualedopo una dura lotta la vittoria rimase ai Romani. Ma ciòmalgrado le città irridevano il generale romano dietro leloro mura, e Metello dovette decidersi ad assediarle,l'una dopo l'altra.La prima ad arrendersi fu Cidonia, in cui si erano salvatigli avanzi dell'esercito sconfitto; dopo un lungo assedione furono aperte le porte da Panare, che ottenne per sèlibera uscita.Lastene, che era fuggito dalla città, dovette venire asse-diato una seconda volta in Gnosso, ed essendo anchequesta fortezza vicina ad arrendersi, egli distrusse i suoitesori ed evase ancora recandosi in luoghi i quali, comeLicto, Eleutera ed altri, continuarono a difendersi.Passarono due anni (686-687 = 68-67) prima che Metel-lo si rendesse padrone di tutta l'isola, e con questa l'ulti-mo lembo di terra greca cadde in potere dei Romani; icomuni Cretesi, che primi fra i Greci avevano dato svi-luppo alla libera costituzione urbana ed alla signoria deimari, dovevano essere anche gli ultimi di quegli statimarittimi greci, che avevano fatto corona al Mediterra-neo, a soggiacere alla potenza romana continentale.Tutte le condizioni legali erano compiute per celebrareun altro pomposo trionfo; la famiglia dei Metello ai suoifasti macedoni, numidici, dalmati e balearici, poteva conegual diritto aggiungere i cretesi e Roma aveva un nomesplendido di più.

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30. I pirati nel Mediterraneo.

Ciò nonostante l'autorità dei Romani nel Mediterraneonon fu mai più meschina, quella dei pirati mai piùbrillante come in quel momento.I Cilici ed i Cretesi, che stavano sul mare, e i quali sidice contassero più di 1000 navi, potevano benissimobeffarsi dell'Isaurico non meno che del Cretese e dellemeschine loro vittorie.Si è già detto con quale energia i pirati agissero nellaguerra mitridatica e come le città marittime del Pontonella pertinace loro difesa derivassero le migliori forzedai pirati. Ma questi facevano anche per conto proprionon meno grandiosi affari. Quasi alla vista della flotta diLucullo il pirata Atenodoro sorprese nell'anno 685 = 69l'isola di Delo, ne distrusse i celebratissimi santuari etempli e condusse in schiavitù tutta la popolazione.L'isola di Lipari, non lungi dalla Sicilia, pagava ognianno un tributo per essere preservata da simili invasioni.Un altro capo di pirati, Eracleone, distrusse nel 682 = 72la squadra armata in Sicilia contro di lui ed ebbe il co-raggio di entrare in Siracusa con soli quattro schifi sco-perti.Due anni dopo il suo collega Pirganione entrò nello stes-so porto, sbarcò a terra, vi si stabilì e fece fare dellescorrerie nell'interno dell'isola fino a che il governatoreromano lo obbligò a rimbarcarsi. Era ormai consuetudi-ne che le province armassero delle squadre e che mante-nessero dei guardacoste, o almeno contribuissero per le

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30. I pirati nel Mediterraneo.

Ciò nonostante l'autorità dei Romani nel Mediterraneonon fu mai più meschina, quella dei pirati mai piùbrillante come in quel momento.I Cilici ed i Cretesi, che stavano sul mare, e i quali sidice contassero più di 1000 navi, potevano benissimobeffarsi dell'Isaurico non meno che del Cretese e dellemeschine loro vittorie.Si è già detto con quale energia i pirati agissero nellaguerra mitridatica e come le città marittime del Pontonella pertinace loro difesa derivassero le migliori forzedai pirati. Ma questi facevano anche per conto proprionon meno grandiosi affari. Quasi alla vista della flotta diLucullo il pirata Atenodoro sorprese nell'anno 685 = 69l'isola di Delo, ne distrusse i celebratissimi santuari etempli e condusse in schiavitù tutta la popolazione.L'isola di Lipari, non lungi dalla Sicilia, pagava ognianno un tributo per essere preservata da simili invasioni.Un altro capo di pirati, Eracleone, distrusse nel 682 = 72la squadra armata in Sicilia contro di lui ed ebbe il co-raggio di entrare in Siracusa con soli quattro schifi sco-perti.Due anni dopo il suo collega Pirganione entrò nello stes-so porto, sbarcò a terra, vi si stabilì e fece fare dellescorrerie nell'interno dell'isola fino a che il governatoreromano lo obbligò a rimbarcarsi. Era ormai consuetudi-ne che le province armassero delle squadre e che mante-nessero dei guardacoste, o almeno contribuissero per le

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une e per gli altri, e tuttavia i pirati venivano a saccheg-giare le province con la stessa regolarità dei governatoriromani.Ma questi sfrontati ladroni non rispettavano ormai piùnemmeno il sacro suolo d'Italia; essi rubarono a Crotoneil tesoro nel tempio di Era Lacinia; approdarono a Mise-no, a Gaeta, nei porti dell'Etruria e nella stessa Ostia,condussero seco come loro prigionieri i più distinti fun-zionari romani, fra gli altri l'ammiraglio della Cilicia edue pretori con tutto il loro seguito, colle tremende scurie coi fasci e con tutti i distintivi della loro carica; da unavilla presso Miseno rapirono la stessa sorella dell'ammi-raglio Marco Antonio incaricato della distruzione dei pi-rati; nel porto di Ostia distrussero la flotta armata controdi essi e comandata da un console.Il contadino latino, il viaggiatore sulla via Appia, il ric-co signore che andava a fare i bagni nel paradiso terre-stre di Baia, non erano un solo momento sicuri delleloro cose e della loro vita; il traffico ed il commerciostagnavano; la più terribile carestia regnava in Italia especialmente nella capitale, che si nutriva di frumento dioltremare.I contemporanei e la storia sono generosi di lamenti in-torno all'insopportabile miseria.

31. Fermento fra gli schiavi.

Fin qui abbiamo narrato come il senato restaurato daSilla provvedesse alla guardia dei confini in Macedonia,

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une e per gli altri, e tuttavia i pirati venivano a saccheg-giare le province con la stessa regolarità dei governatoriromani.Ma questi sfrontati ladroni non rispettavano ormai piùnemmeno il sacro suolo d'Italia; essi rubarono a Crotoneil tesoro nel tempio di Era Lacinia; approdarono a Mise-no, a Gaeta, nei porti dell'Etruria e nella stessa Ostia,condussero seco come loro prigionieri i più distinti fun-zionari romani, fra gli altri l'ammiraglio della Cilicia edue pretori con tutto il loro seguito, colle tremende scurie coi fasci e con tutti i distintivi della loro carica; da unavilla presso Miseno rapirono la stessa sorella dell'ammi-raglio Marco Antonio incaricato della distruzione dei pi-rati; nel porto di Ostia distrussero la flotta armata controdi essi e comandata da un console.Il contadino latino, il viaggiatore sulla via Appia, il ric-co signore che andava a fare i bagni nel paradiso terre-stre di Baia, non erano un solo momento sicuri delleloro cose e della loro vita; il traffico ed il commerciostagnavano; la più terribile carestia regnava in Italia especialmente nella capitale, che si nutriva di frumento dioltremare.I contemporanei e la storia sono generosi di lamenti in-torno all'insopportabile miseria.

31. Fermento fra gli schiavi.

Fin qui abbiamo narrato come il senato restaurato daSilla provvedesse alla guardia dei confini in Macedonia,

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alla clientela dei re vassalli dell'Asia minore e allapolizia del mare; i risultati non erano in alcun luogosoddisfacenti.Non migliori successi ebbe il governo in un altro più ur-gente affare: nella sorveglianza del proletariato delleprovince e soprattutto dell'Italia.Il cancro del proletariato degli schiavi rodeva le midolladi tutti gli stati dell'antichità, e tanto più quanto mag-giormente erano prosperi; poichè la potenza e la ric-chezza, nelle condizioni in cui erano allora gli stati, por-tavano regolarmente ad uno sproporzionato aumento nelnumero degli schiavi. Naturalmente Roma ne soffriva leconseguenze più di qualsiasi altro stato dell'antichità.Già il governo del sesto secolo aveva dovuto mettere incampo delle truppe contro le bande degli schiavi pastoried agricoltori che erano fuggiti. Il sistema delle pianta-gioni, adottato dagli speculatori italici in proporzionisempre maggiori, aveva aumentato all'infinito il perico-loso male; nei tempi delle crisi dei Gracchi e di Marioed in stretta relazione colle medesime erano avvenutedelle sollevazioni di schiavi in parecchi punti dello statoromano, ed in Sicilia ne erano infine derivate due san-guinose guerre (619-622 = 135-132 e 652-654 = 102-100).Ma il decennio del governo della restaurazione dopo lamorte di Silla fu l'età dell'oro tanto pei pirati in mare,quanto per le bande di egual genere in terraferma e spe-cialmente nella penisola italica fino allora abbastanzabene ordinata. D'una sicurezza pubblica non si poteva

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alla clientela dei re vassalli dell'Asia minore e allapolizia del mare; i risultati non erano in alcun luogosoddisfacenti.Non migliori successi ebbe il governo in un altro più ur-gente affare: nella sorveglianza del proletariato delleprovince e soprattutto dell'Italia.Il cancro del proletariato degli schiavi rodeva le midolladi tutti gli stati dell'antichità, e tanto più quanto mag-giormente erano prosperi; poichè la potenza e la ric-chezza, nelle condizioni in cui erano allora gli stati, por-tavano regolarmente ad uno sproporzionato aumento nelnumero degli schiavi. Naturalmente Roma ne soffriva leconseguenze più di qualsiasi altro stato dell'antichità.Già il governo del sesto secolo aveva dovuto mettere incampo delle truppe contro le bande degli schiavi pastoried agricoltori che erano fuggiti. Il sistema delle pianta-gioni, adottato dagli speculatori italici in proporzionisempre maggiori, aveva aumentato all'infinito il perico-loso male; nei tempi delle crisi dei Gracchi e di Marioed in stretta relazione colle medesime erano avvenutedelle sollevazioni di schiavi in parecchi punti dello statoromano, ed in Sicilia ne erano infine derivate due san-guinose guerre (619-622 = 135-132 e 652-654 = 102-100).Ma il decennio del governo della restaurazione dopo lamorte di Silla fu l'età dell'oro tanto pei pirati in mare,quanto per le bande di egual genere in terraferma e spe-cialmente nella penisola italica fino allora abbastanzabene ordinata. D'una sicurezza pubblica non si poteva

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più nemmeno parlare. Nella capitale e nei territori menopopolati d'Italia i furti si succedevano senza tregua e gliassassinî erano frequenti.Contro il rapimento di uomini schiavi e liberi fu, proba-bilmente in questa epoca, emanato uno speciale plebi-scito; contro la violenta espropriazione di terreni in que-sti tempi venne introdotta una procedura sommaria.Questi delitti dovevano apparire pericolosi particolar-mente perchè commessi dai proletari, ma vi partecipava-no in grandi proporzioni, come autori morali e interessa-ti nel guadagno, anche persone della classe elevata.Specialmente il rapimento d'uomini e l'appropriazionedelle terre avvenivano assai di frequente per opera deisopraintendenti delle grandi tenute, e venivano eseguitida schiere di schiavi spesso armati, che nelle tenute stes-se si radunavano; e parecchi personaggi assai rispettatinon sdegnavano di accettare ciò che qualcuno dei lorozelanti sicarî procurava loro nel modo stesso come Me-fistofele tolse di vista a Fausto i tigli di Filemone.Come stessero le cose è dimostrato dalle maggiori peneintrodotte verso il 676 = 78 per i delitti commessi conbande armate contro la proprietà da uno dei miglioriottimati, Marco Lucullo, nella sua qualità di presidedell'amministrazione della giustizia nella capitale5, colloscopo manifesto di costringere i proprietari delle grandimasse di schiavi ad esercitare su di essi una più severasorveglianza col pericolo di vedersene spossessati.5 Da queste disposizioni si sviluppò l'idea che la rapina dovesse essere

considerata come un delitto speciale, mentre l'antico diritto comprendevala rapina nel furto.

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più nemmeno parlare. Nella capitale e nei territori menopopolati d'Italia i furti si succedevano senza tregua e gliassassinî erano frequenti.Contro il rapimento di uomini schiavi e liberi fu, proba-bilmente in questa epoca, emanato uno speciale plebi-scito; contro la violenta espropriazione di terreni in que-sti tempi venne introdotta una procedura sommaria.Questi delitti dovevano apparire pericolosi particolar-mente perchè commessi dai proletari, ma vi partecipava-no in grandi proporzioni, come autori morali e interessa-ti nel guadagno, anche persone della classe elevata.Specialmente il rapimento d'uomini e l'appropriazionedelle terre avvenivano assai di frequente per opera deisopraintendenti delle grandi tenute, e venivano eseguitida schiere di schiavi spesso armati, che nelle tenute stes-se si radunavano; e parecchi personaggi assai rispettatinon sdegnavano di accettare ciò che qualcuno dei lorozelanti sicarî procurava loro nel modo stesso come Me-fistofele tolse di vista a Fausto i tigli di Filemone.Come stessero le cose è dimostrato dalle maggiori peneintrodotte verso il 676 = 78 per i delitti commessi conbande armate contro la proprietà da uno dei miglioriottimati, Marco Lucullo, nella sua qualità di presidedell'amministrazione della giustizia nella capitale5, colloscopo manifesto di costringere i proprietari delle grandimasse di schiavi ad esercitare su di essi una più severasorveglianza col pericolo di vedersene spossessati.5 Da queste disposizioni si sviluppò l'idea che la rapina dovesse essere

considerata come un delitto speciale, mentre l'antico diritto comprendevala rapina nel furto.

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Là dove si rubava e si assassinava per ordine dei signo-ri, queste masse di schiavi e di proletari avevano buongiuoco per fare altrettanto per loro conto; bastava quindiuna scintilla per fare avvampare la terribile materia in-fiammabile e per mutare il proletariato in un esercito in-surrezionale.L'occasione non si fece aspettare. I combattimenti deigladiatori, che allora occupavano il primo posto nei di-vertimenti popolari in Italia avevano fatto sorgere mol-tissimi stabilimenti, specialmente in Capua e nei dintor-ni, nei quali si custodivano o si istruivano quegli schiaviche per divertire il popolo sovrano erano destinati ad uc-cidere o ad essere uccisi; naturalmente erano per lo piùvalorosi prigionieri di guerra, i quali non si erano di-menticati di aver combattuto altre volte contro i Romanisui campi di battaglia.Un certo numero di questi uomini disperati fuggì (681 =73) da una di tali scuole di Capua e si portò sul Vesuvio.Alla loro testa si trovavano due Celti, denominati comeschiavi Crisso ed Enomao, e il trace Spartaco.

32. Spartaco.

Questi, forse un rampollo della nobile schiatta degliSpartocidi, pervenuta nella Tracia e Panticapea perfinoall'onore del soglio, aveva servito tra le truppe ausiliarietraciche nell'esercito romano, aveva disertato e si eradato al brigantaggio nelle montagne, dove era statopreso e destinato per i divertimenti gladiatorî.

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Là dove si rubava e si assassinava per ordine dei signo-ri, queste masse di schiavi e di proletari avevano buongiuoco per fare altrettanto per loro conto; bastava quindiuna scintilla per fare avvampare la terribile materia in-fiammabile e per mutare il proletariato in un esercito in-surrezionale.L'occasione non si fece aspettare. I combattimenti deigladiatori, che allora occupavano il primo posto nei di-vertimenti popolari in Italia avevano fatto sorgere mol-tissimi stabilimenti, specialmente in Capua e nei dintor-ni, nei quali si custodivano o si istruivano quegli schiaviche per divertire il popolo sovrano erano destinati ad uc-cidere o ad essere uccisi; naturalmente erano per lo piùvalorosi prigionieri di guerra, i quali non si erano di-menticati di aver combattuto altre volte contro i Romanisui campi di battaglia.Un certo numero di questi uomini disperati fuggì (681 =73) da una di tali scuole di Capua e si portò sul Vesuvio.Alla loro testa si trovavano due Celti, denominati comeschiavi Crisso ed Enomao, e il trace Spartaco.

32. Spartaco.

Questi, forse un rampollo della nobile schiatta degliSpartocidi, pervenuta nella Tracia e Panticapea perfinoall'onore del soglio, aveva servito tra le truppe ausiliarietraciche nell'esercito romano, aveva disertato e si eradato al brigantaggio nelle montagne, dove era statopreso e destinato per i divertimenti gladiatorî.

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Le scorrerie di questa piccola schiera, che da principionon contava più di settantaquattro persone, ma che pelconcorso delle vicinanze andò rapidamente ingrossan-dosi, riuscirono in breve tempo moleste agli abitanti del-la ricca Campania, i quali, dopo aver tentato inutilmentedi difendersene, chiesero aiuto a Roma.Tremila uomini messi insieme in tutta fretta, comandatida Clodio Glabrio, occuparono le vie che conducevanoal Vesuvio per costringere la schiera degli schiavi ad ar-rendersi per fame. Ma i masnadieri, benchè in piccolonumero e mancanti d'arma, si arrischiarono a scendereper le scoscese pendici e sorprendere i posti dei Roma-ni; e quando quella miserabile milizia si vide assalitaimpensatamente da quel pugno di uomini disperati, alzòi tacchi disperdendosi da tutte le parti.Questo primo successo procurò armi e concorso semprecrescente ai masnadieri. Sebbene una gran parte di essifosse armata solo di randelli acuminati, pure la nuova epiù forte divisione della milizia, due legioni comandatedal pretore Publio Varinio, che, proveniente da Romaera entrata nella Campania, li trovò accampati nel pianoquasi come un esercito.La situazione di Varinio era piuttosto scabrosa. Le suemilizie costrette all'addiaccio di fronte al nemico, ebbe-ro molto a soffrire dell'umidità della stagione autunnalee delle malattie che ne furono la conseguenza; ma piùche le epidemie, ne diradarono le file la codardia el'indisciplinatezza. Al primo urto una delle sue legioni siscompose in tal modo che i fuggitivi non si ritirarono

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Le scorrerie di questa piccola schiera, che da principionon contava più di settantaquattro persone, ma che pelconcorso delle vicinanze andò rapidamente ingrossan-dosi, riuscirono in breve tempo moleste agli abitanti del-la ricca Campania, i quali, dopo aver tentato inutilmentedi difendersene, chiesero aiuto a Roma.Tremila uomini messi insieme in tutta fretta, comandatida Clodio Glabrio, occuparono le vie che conducevanoal Vesuvio per costringere la schiera degli schiavi ad ar-rendersi per fame. Ma i masnadieri, benchè in piccolonumero e mancanti d'arma, si arrischiarono a scendereper le scoscese pendici e sorprendere i posti dei Roma-ni; e quando quella miserabile milizia si vide assalitaimpensatamente da quel pugno di uomini disperati, alzòi tacchi disperdendosi da tutte le parti.Questo primo successo procurò armi e concorso semprecrescente ai masnadieri. Sebbene una gran parte di essifosse armata solo di randelli acuminati, pure la nuova epiù forte divisione della milizia, due legioni comandatedal pretore Publio Varinio, che, proveniente da Romaera entrata nella Campania, li trovò accampati nel pianoquasi come un esercito.La situazione di Varinio era piuttosto scabrosa. Le suemilizie costrette all'addiaccio di fronte al nemico, ebbe-ro molto a soffrire dell'umidità della stagione autunnalee delle malattie che ne furono la conseguenza; ma piùche le epidemie, ne diradarono le file la codardia el'indisciplinatezza. Al primo urto una delle sue legioni siscompose in tal modo che i fuggitivi non si ritirarono

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presso il corpo principale, ma fecero addirittura ritornoa casa. E quando fu dato l'ordine di portarsi presso letrincee nemiche e di attaccarle, la maggior parte di quel-la gente si rifiutò.Tuttavia Varinio marciò, con quelli che tennero fermo,contro la schiera dei masnadieri, ma questa non era piùdove egli la cercava.Essa era partita nel più profondo silenzio dirigendosi almezzodì verso Picentia (Vicenza presso Amalfi), doveVarinio la raggiunse, ma non potè impedire che passasseil Silaro e che si ritirasse fin nella Lucania inferiore, laterra promessa dei pastori e dei ladri.Anche là Varinio la seguì; e finalmente lo sprezzato ne-mico si fermò per combattere. Tutte le condizioni da cuidipendeva il combattimento erano contro i Romani; isoldati, benchè pochi momenti prima avessero chiesto dicombattere, pugnarono male; Varinio fu completamentevinto; il suo cavallo e le insegne della sua dignità cadde-ro col campo stesso dei Romani nelle mani dei nemici.Gli schiavi accorrevano ora in massa dall'Italia meridio-nale, specialmente i valorosi e semi-barbari pastori, sot-to le insegne dei salvatori apparsi così impensatamente.Secondo i calcoli più discreti il numero degli insorti ar-mati salì a 40.000 uomini.La Campania, appena sgombrata, fu così rioccupata; ilcorpo delle truppe romane qui rimasto sotto gli ordinidel questore di Varinio, Caio Toriano, fu sbaragliato edistrutto. In tutto il sud-ovest dell'Italia il paese apertocadde in potere dei vittoriosi capitani di quelle bande;

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presso il corpo principale, ma fecero addirittura ritornoa casa. E quando fu dato l'ordine di portarsi presso letrincee nemiche e di attaccarle, la maggior parte di quel-la gente si rifiutò.Tuttavia Varinio marciò, con quelli che tennero fermo,contro la schiera dei masnadieri, ma questa non era piùdove egli la cercava.Essa era partita nel più profondo silenzio dirigendosi almezzodì verso Picentia (Vicenza presso Amalfi), doveVarinio la raggiunse, ma non potè impedire che passasseil Silaro e che si ritirasse fin nella Lucania inferiore, laterra promessa dei pastori e dei ladri.Anche là Varinio la seguì; e finalmente lo sprezzato ne-mico si fermò per combattere. Tutte le condizioni da cuidipendeva il combattimento erano contro i Romani; isoldati, benchè pochi momenti prima avessero chiesto dicombattere, pugnarono male; Varinio fu completamentevinto; il suo cavallo e le insegne della sua dignità cadde-ro col campo stesso dei Romani nelle mani dei nemici.Gli schiavi accorrevano ora in massa dall'Italia meridio-nale, specialmente i valorosi e semi-barbari pastori, sot-to le insegne dei salvatori apparsi così impensatamente.Secondo i calcoli più discreti il numero degli insorti ar-mati salì a 40.000 uomini.La Campania, appena sgombrata, fu così rioccupata; ilcorpo delle truppe romane qui rimasto sotto gli ordinidel questore di Varinio, Caio Toriano, fu sbaragliato edistrutto. In tutto il sud-ovest dell'Italia il paese apertocadde in potere dei vittoriosi capitani di quelle bande;

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persino delle importanti città, come Cosenza nel Bruzio,Turio e Metaponto nella Lucania, Nola e Nocera nellaCampania, furono prese d'assalto ed ebbero a soffriretutti gli orrori che possono commettere i barbari vitto-riosi contro gente inerme civilizzata, e schiavi scatenaticontro gli antichi loro padroni.Che una lotta come questa fosse condotta senza alcunaregola, e assomigliasse piuttosto ad un macello che aduna guerra, ognuno comprende da sè. I signori crocefig-gevano di diritto tutti gli schiavi che capitavano loro inmano; naturalmente questi uccidevano ugualmente iloro prigionieri o li obbligavano con rappresaglia ancorapiù schernevole ad uccidersi tra loro come gladiatori,come avvenne più tardi per trecento di essi in occasionedei funerali d'uno dei capi banditi morto in battaglia.

33. Grandi vittorie di Spartaco.

A Roma si stava con ragione in apprensionesull'incendio che si andava sempre più dilatando. Fudeciso di spedire nel prossimo anno (682 = 72) dueconsoli contro i terribili capi-banda. Ed infatti il pretoreQuinto Arrio, comandante in seconda del console LucioGellio, riuscì a scoprire e distruggere nell'Apulia sulGargano la banda dei Celti, che sotto il comando diCrisso si era staccata dalla massa dell'esercito deigladiatori e andava saccheggiando per proprio conto.Ma brillanti vittorie riportava ancora Spartaco negli Ap-pennini e nell'Italia settentrionale, dove il console Gneo

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persino delle importanti città, come Cosenza nel Bruzio,Turio e Metaponto nella Lucania, Nola e Nocera nellaCampania, furono prese d'assalto ed ebbero a soffriretutti gli orrori che possono commettere i barbari vitto-riosi contro gente inerme civilizzata, e schiavi scatenaticontro gli antichi loro padroni.Che una lotta come questa fosse condotta senza alcunaregola, e assomigliasse piuttosto ad un macello che aduna guerra, ognuno comprende da sè. I signori crocefig-gevano di diritto tutti gli schiavi che capitavano loro inmano; naturalmente questi uccidevano ugualmente iloro prigionieri o li obbligavano con rappresaglia ancorapiù schernevole ad uccidersi tra loro come gladiatori,come avvenne più tardi per trecento di essi in occasionedei funerali d'uno dei capi banditi morto in battaglia.

33. Grandi vittorie di Spartaco.

A Roma si stava con ragione in apprensionesull'incendio che si andava sempre più dilatando. Fudeciso di spedire nel prossimo anno (682 = 72) dueconsoli contro i terribili capi-banda. Ed infatti il pretoreQuinto Arrio, comandante in seconda del console LucioGellio, riuscì a scoprire e distruggere nell'Apulia sulGargano la banda dei Celti, che sotto il comando diCrisso si era staccata dalla massa dell'esercito deigladiatori e andava saccheggiando per proprio conto.Ma brillanti vittorie riportava ancora Spartaco negli Ap-pennini e nell'Italia settentrionale, dove il console Gneo

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Lentulo, che credeva di poter circondare e far prigionie-ri i masnadieri, e poi il suo collega Gellio ed il pretoreArrio testè vincitore, e finalmente presso Modena il go-vernatore della Gallia citeriore, Caio Cassio (console681 = 73), e il pretore Gneo Manlio, soggiacevano undopo l'altro ai loro colpi.Queste masnade di schiavi, appena armate, erano lo spa-vento delle legioni; la serie delle sconfitte ricordava iprimi anni della prima guerra annibalica. Non è possibi-le dire cosa sarebbe potuto accadere se alla testa dellevittoriose schiere, invece di schiavi gladiatori, fosserostati i re dei popoli delle montagne dell'Alvernia o delBalkan; ma quel movimento, malgrado le sue brillantivittorie, rimase quello che era in origine, una sollevazio-ne di masnadieri, e fu vinto più per l'interna discordia eper la mancanza d'un piano, che per la superiorità de'suoi avversari.L'unione contro il nemico comune, che nelle primeguerre servili in Sicilia si era conseguita così meravi-gliosamente, mancò in questa d'Italia e si deve cercarnela causa nel fatto che gli schiavi siciliani avevano quasiun punto di unione nella comune nazionalità siro-elleni-ca, mentre gli italici si dividevano nelle due masse deglielleno-barbari e dei celto-germanici. La scissione fra ilcelto Crisso e il trace Spartaco – Enomao era perito inuno dei primi scontri – e altri dissapori, impedirono diapprofittare dei successi ottenuti e procurarono parec-chie ed importanti vittorie ai Romani.Ma ancor più della indisciplinatezza celto-germanica in-

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Lentulo, che credeva di poter circondare e far prigionie-ri i masnadieri, e poi il suo collega Gellio ed il pretoreArrio testè vincitore, e finalmente presso Modena il go-vernatore della Gallia citeriore, Caio Cassio (console681 = 73), e il pretore Gneo Manlio, soggiacevano undopo l'altro ai loro colpi.Queste masnade di schiavi, appena armate, erano lo spa-vento delle legioni; la serie delle sconfitte ricordava iprimi anni della prima guerra annibalica. Non è possibi-le dire cosa sarebbe potuto accadere se alla testa dellevittoriose schiere, invece di schiavi gladiatori, fosserostati i re dei popoli delle montagne dell'Alvernia o delBalkan; ma quel movimento, malgrado le sue brillantivittorie, rimase quello che era in origine, una sollevazio-ne di masnadieri, e fu vinto più per l'interna discordia eper la mancanza d'un piano, che per la superiorità de'suoi avversari.L'unione contro il nemico comune, che nelle primeguerre servili in Sicilia si era conseguita così meravi-gliosamente, mancò in questa d'Italia e si deve cercarnela causa nel fatto che gli schiavi siciliani avevano quasiun punto di unione nella comune nazionalità siro-elleni-ca, mentre gli italici si dividevano nelle due masse deglielleno-barbari e dei celto-germanici. La scissione fra ilcelto Crisso e il trace Spartaco – Enomao era perito inuno dei primi scontri – e altri dissapori, impedirono diapprofittare dei successi ottenuti e procurarono parec-chie ed importanti vittorie ai Romani.Ma ancor più della indisciplinatezza celto-germanica in-

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fluì perniciosamente sull'impresa la mancanza di un pia-no e di uno scopo. Da quel poco che noi sappiamo diSpartaco, quest'uomo singolare era molto superiore alsuo partito. Egli, oltre al talento strategico, mostrò an-che un non comune ingegno organizzatore, e da princi-pio la giustizia con la quale comandava la sua masnadae distribuiva il bottino attirò su di lui la simpatia dellemasse almeno quanto il suo valore.Per rimediare al difetto di cavalleria e di armi, egli ten-tò, coll'aiuto di mandrie di cavalli prese nell'Italia infe-riore, di formare e disciplinare una cavalleria, e appenaavuto in suo potere il porto di Turio, tentò di procurarsidel ferro e del rame, senza dubbio per mezzo dei pirati.Ma nelle cose principali egli pure non avrà potuto diri-gere le orde selvagge, che capitanava, a scopi determi-nati. Volentieri avrebbe proibito i forsennati baccanali dicrudeltà, a cui quei ladroni si abbandonavano nelle cittàconquistate, e che costituivano il principale motivo percui nessuna città italica faceva spontaneamente causacomune cogli insorti; ma l'ubbidienza che il capitanodella masnada otteneva sul campo di battaglia cessavacolla vittoria, e vane erano tutte le sue preghiere e le suerimostranze.Dopo le vittorie riportate negli Appennini (682 = 72),all'esercito degli schiavi restava libero il passo in ognidirezione. Si pretende che Spartaco accarezzasse l'ideadi passare le Alpi per aprire a sè e ai suoi la via per il ri-torno nella loro rispettiva patria celtica e tracica; e se lanotizia è fondata, essa dimostra quanto poco il vincitore

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fluì perniciosamente sull'impresa la mancanza di un pia-no e di uno scopo. Da quel poco che noi sappiamo diSpartaco, quest'uomo singolare era molto superiore alsuo partito. Egli, oltre al talento strategico, mostrò an-che un non comune ingegno organizzatore, e da princi-pio la giustizia con la quale comandava la sua masnadae distribuiva il bottino attirò su di lui la simpatia dellemasse almeno quanto il suo valore.Per rimediare al difetto di cavalleria e di armi, egli ten-tò, coll'aiuto di mandrie di cavalli prese nell'Italia infe-riore, di formare e disciplinare una cavalleria, e appenaavuto in suo potere il porto di Turio, tentò di procurarsidel ferro e del rame, senza dubbio per mezzo dei pirati.Ma nelle cose principali egli pure non avrà potuto diri-gere le orde selvagge, che capitanava, a scopi determi-nati. Volentieri avrebbe proibito i forsennati baccanali dicrudeltà, a cui quei ladroni si abbandonavano nelle cittàconquistate, e che costituivano il principale motivo percui nessuna città italica faceva spontaneamente causacomune cogli insorti; ma l'ubbidienza che il capitanodella masnada otteneva sul campo di battaglia cessavacolla vittoria, e vane erano tutte le sue preghiere e le suerimostranze.Dopo le vittorie riportate negli Appennini (682 = 72),all'esercito degli schiavi restava libero il passo in ognidirezione. Si pretende che Spartaco accarezzasse l'ideadi passare le Alpi per aprire a sè e ai suoi la via per il ri-torno nella loro rispettiva patria celtica e tracica; e se lanotizia è fondata, essa dimostra quanto poco il vincitore

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presumesse dei suoi successi e della sua potenza.Siccome i soldati si rifiutavano di voltare così presto lespalle alla ricca Italia, Spartaco si diresse verso Roma,col proposito, sembra, di bloccare la capitale. Ma anchea questo progetto, disperato se si vuole, ma pure fattocon un fine, le schiere si mostrarono contrarie; esse ob-bligarono il loro condottiero, se voleva essere generale,di rimanere capitano dei masnadieri e scorrere l'Italiasaccheggiando, senza altro scopo.Roma poteva dirsi fortunata che le cose passassero così,ma anche così si trovava in un bell'imbroglio. Mancava-no soldati addestrati nonchè generali sperimentati;Quinto Metello e Gneo Pompeo erano occupati in Spa-gna, Marco Lucullo nella Tracia, Lucullo nell'Asia mi-nore, e non v'erano disponibili che milizie inesperte eufficiali mediocri. S'investì del supremo comando in Ita-lia il pretore Marco Crasso, che non era veramente undistinto generale, ma aveva combattuto con onore sottoSilla ed era almeno uomo di carattere, e si mise a sua di-sposizione un esercito di otto legioni, imponente per nu-mero se non per qualità.Il nuovo supremo comandante cominciò l'esercizio dellasua carica facendo trattare con tutto il rigore della leggemarziale e decimare la prima divisione per aver gettatole armi ed essere fuggita dinanzi ai masnadieri; dopo diche le legioni fecero veramente meglio il loro dovere.Spartaco, vinto nel primo combattimento, si ritirò ten-tando di recarsi a Reggio attraverso la Lucania.

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presumesse dei suoi successi e della sua potenza.Siccome i soldati si rifiutavano di voltare così presto lespalle alla ricca Italia, Spartaco si diresse verso Roma,col proposito, sembra, di bloccare la capitale. Ma anchea questo progetto, disperato se si vuole, ma pure fattocon un fine, le schiere si mostrarono contrarie; esse ob-bligarono il loro condottiero, se voleva essere generale,di rimanere capitano dei masnadieri e scorrere l'Italiasaccheggiando, senza altro scopo.Roma poteva dirsi fortunata che le cose passassero così,ma anche così si trovava in un bell'imbroglio. Mancava-no soldati addestrati nonchè generali sperimentati;Quinto Metello e Gneo Pompeo erano occupati in Spa-gna, Marco Lucullo nella Tracia, Lucullo nell'Asia mi-nore, e non v'erano disponibili che milizie inesperte eufficiali mediocri. S'investì del supremo comando in Ita-lia il pretore Marco Crasso, che non era veramente undistinto generale, ma aveva combattuto con onore sottoSilla ed era almeno uomo di carattere, e si mise a sua di-sposizione un esercito di otto legioni, imponente per nu-mero se non per qualità.Il nuovo supremo comandante cominciò l'esercizio dellasua carica facendo trattare con tutto il rigore della leggemarziale e decimare la prima divisione per aver gettatole armi ed essere fuggita dinanzi ai masnadieri; dopo diche le legioni fecero veramente meglio il loro dovere.Spartaco, vinto nel primo combattimento, si ritirò ten-tando di recarsi a Reggio attraverso la Lucania.

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34. Gli schiavi sconfitti.

Appunto allora i pirati dominavano non solo nelle acquedi Sicilia ma anche nel porto di Siracusa; Spartacopensava, con l'aiuto dei loro schifi, di gettare un corpodei suoi in Sicilia, dove gli schiavi non attendevano cheuna spinta per insorgere una terza volta.La marcia su Reggio riuscì; ma i pirati, spaventati forsedai guardiacoste istituiti in Sicilia dal pretore Caio Ver-re, forse anche corrotti dai Romani, accettarono da Spar-taco il compenso convenuto senza mantenere il loro im-pegno.Intanto Crasso aveva seguito la masnada fino alle focidel Crate, e siccome i suoi soldati non combattevanocome avrebbero dovuto, egli, come Scipione dinanzi aNumanzia, li fece lavorare ad un vallo trincerato dellalunghezza di sette leghe, il quale divise la penisolabruzia dal resto d'Italia6, chiuse agli insorti la via pertornare a Reggio e tagliò loro le provvigioni.Nondimeno in una notte oscura Spartaco ruppe le lineenemiche e nella primavera del 683 = 717 si trovò dinuovo in Lucania.La faticosa opera era dunque riuscita inutile. Crasso co-6 Essendo la linea lunga 7 leghe (SALLUSTIO, hist., 4, 19. DIETSCH; PLUTARCO,

Crass., 10) essa non correva da Squillace al Pizzo, ma più verso nord,forse presso Castrovillari e Cassano attraverso la penisola, larga qui circa 6leghe in linea retta.

7 Che Crasso abbia assunto ancora nel 682 = 72 il supremo comando risultadall'essere stato tolto il comando ai consoli (PLUTARCO, Crass., 10.); che idue eserciti passassero l'inverno del 682-3 = 72-1 presso il vallo Bruziorisulta dalla «notte che nevicava» (PLUT., Crass., 11).

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34. Gli schiavi sconfitti.

Appunto allora i pirati dominavano non solo nelle acquedi Sicilia ma anche nel porto di Siracusa; Spartacopensava, con l'aiuto dei loro schifi, di gettare un corpodei suoi in Sicilia, dove gli schiavi non attendevano cheuna spinta per insorgere una terza volta.La marcia su Reggio riuscì; ma i pirati, spaventati forsedai guardiacoste istituiti in Sicilia dal pretore Caio Ver-re, forse anche corrotti dai Romani, accettarono da Spar-taco il compenso convenuto senza mantenere il loro im-pegno.Intanto Crasso aveva seguito la masnada fino alle focidel Crate, e siccome i suoi soldati non combattevanocome avrebbero dovuto, egli, come Scipione dinanzi aNumanzia, li fece lavorare ad un vallo trincerato dellalunghezza di sette leghe, il quale divise la penisolabruzia dal resto d'Italia6, chiuse agli insorti la via pertornare a Reggio e tagliò loro le provvigioni.Nondimeno in una notte oscura Spartaco ruppe le lineenemiche e nella primavera del 683 = 717 si trovò dinuovo in Lucania.La faticosa opera era dunque riuscita inutile. Crasso co-6 Essendo la linea lunga 7 leghe (SALLUSTIO, hist., 4, 19. DIETSCH; PLUTARCO,

Crass., 10) essa non correva da Squillace al Pizzo, ma più verso nord,forse presso Castrovillari e Cassano attraverso la penisola, larga qui circa 6leghe in linea retta.

7 Che Crasso abbia assunto ancora nel 682 = 72 il supremo comando risultadall'essere stato tolto il comando ai consoli (PLUTARCO, Crass., 10.); che idue eserciti passassero l'inverno del 682-3 = 72-1 presso il vallo Bruziorisulta dalla «notte che nevicava» (PLUT., Crass., 11).

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minciò a disperare di assolvere il suo còmpito e chieseal senato di richiamare in Italia in suo aiuto gli esercitiche erano in Macedonia sotto Marco Lucullo e nellaSpagna citeriore sotto Gneo Pompeo.Ma non era necessario ricorrere a questo passo estremo;la discordia e la baldanza di quelle bande di predoni ba-stavano a paralizzare i vantaggi da essi ottenuti.I Celti ed i Germani si staccarono un'altra volta dallalega, capo ed anima della quale era il trace, per esporsialla spicciolata, sotto i capi nazionali, Gannico e Casto,al ferro dei Romani.Una volta li salvò sul lago Lucano l'opportuno arrivo diSpartaco; essi accamparono in sua vicinanza, ma tutta-via Crasso riuscì a tenere occupato Spartaco colla caval-leria mentre aggirava le schiere celtiche obbligandole aduna battaglia separata, nella quale tutti, si dice 12.300,valorosamente combattendo, caddero sul campo colpitial petto.Allora Spartaco tentò di raggiungere colla sua divisionele montagne di Petelia (presso Strongoli in Calabria) ebattè duramente l'avanguardia dei Romani che lo inse-guiva. Ma questa vittoria recò maggior danno al vincito-re che al vinto. Ebbri del successo i masnadieri si rifiu-tarono di ritirarsi più in là, e costrinsero il loro generalea condurli attraverso la Lucania nell'Apulia, all'ultima edefinitiva battaglia.Spartaco prima del combattimento uccise il suo cavallo;come egli nella buona ed avversa fortuna non si era maidiviso dai suoi, così con quest'atto li ammoniva che ora

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minciò a disperare di assolvere il suo còmpito e chieseal senato di richiamare in Italia in suo aiuto gli esercitiche erano in Macedonia sotto Marco Lucullo e nellaSpagna citeriore sotto Gneo Pompeo.Ma non era necessario ricorrere a questo passo estremo;la discordia e la baldanza di quelle bande di predoni ba-stavano a paralizzare i vantaggi da essi ottenuti.I Celti ed i Germani si staccarono un'altra volta dallalega, capo ed anima della quale era il trace, per esporsialla spicciolata, sotto i capi nazionali, Gannico e Casto,al ferro dei Romani.Una volta li salvò sul lago Lucano l'opportuno arrivo diSpartaco; essi accamparono in sua vicinanza, ma tutta-via Crasso riuscì a tenere occupato Spartaco colla caval-leria mentre aggirava le schiere celtiche obbligandole aduna battaglia separata, nella quale tutti, si dice 12.300,valorosamente combattendo, caddero sul campo colpitial petto.Allora Spartaco tentò di raggiungere colla sua divisionele montagne di Petelia (presso Strongoli in Calabria) ebattè duramente l'avanguardia dei Romani che lo inse-guiva. Ma questa vittoria recò maggior danno al vincito-re che al vinto. Ebbri del successo i masnadieri si rifiu-tarono di ritirarsi più in là, e costrinsero il loro generalea condurli attraverso la Lucania nell'Apulia, all'ultima edefinitiva battaglia.Spartaco prima del combattimento uccise il suo cavallo;come egli nella buona ed avversa fortuna non si era maidiviso dai suoi, così con quest'atto li ammoniva che ora

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si trattava per lui, come per tutti, di vincere o di morire.E nella battaglia egli combattè col coraggio del leone;due centurioni caddero di sua mano; ferito alle ginoc-chia, colla sua lancia seguitava a menar colpi contro inemici che gli erano addosso. Così il grande capitanodei banditi, e con lui i migliori dei suoi compagnid'arme, incontrarono la morte degli uomini liberi e deisoldati d'onore (683 = 71).Dopo la vittoria ottenuta a così caro prezzo, le truppeche la riportarono, e quelle di Pompeo, che intanto, vintii sertoriani, erano arrivate dalla Spagna, fecero per tuttal'Apulia e la Lucania una vera caccia di uomini, comenon se n'era mai vista l'eguale, per estinguere sin l'ulti-ma favilla del grande incendio.Sebbene nelle regioni meridionali, dove ad esempio, nel683 = 71 fu presa da una banda di masnadieri la piccolacittà di Tempsa, e nell'Etruria, così gravemente colpitadalle confische di Silla, non fosse ancora veramente as-sicurata la pubblica tranquillità, pure ufficialmente fudetto che essa in Italia era ormai ristabilita. Almeno leaquile così vergognosamente perdute erano state di nuo-vo riconquistate – solo dopo la vittoria sul Celti se netrovarono cinque – e lungo la via da Capua a Roma le6.000 croci, su cui erano appesi altrettanti schiavi, eranouna prova del nuovo ordine e della nuova vittoria, deldiritto riconosciuto sulla schiavitù vivente che s'era ri-bellata.

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si trattava per lui, come per tutti, di vincere o di morire.E nella battaglia egli combattè col coraggio del leone;due centurioni caddero di sua mano; ferito alle ginoc-chia, colla sua lancia seguitava a menar colpi contro inemici che gli erano addosso. Così il grande capitanodei banditi, e con lui i migliori dei suoi compagnid'arme, incontrarono la morte degli uomini liberi e deisoldati d'onore (683 = 71).Dopo la vittoria ottenuta a così caro prezzo, le truppeche la riportarono, e quelle di Pompeo, che intanto, vintii sertoriani, erano arrivate dalla Spagna, fecero per tuttal'Apulia e la Lucania una vera caccia di uomini, comenon se n'era mai vista l'eguale, per estinguere sin l'ulti-ma favilla del grande incendio.Sebbene nelle regioni meridionali, dove ad esempio, nel683 = 71 fu presa da una banda di masnadieri la piccolacittà di Tempsa, e nell'Etruria, così gravemente colpitadalle confische di Silla, non fosse ancora veramente as-sicurata la pubblica tranquillità, pure ufficialmente fudetto che essa in Italia era ormai ristabilita. Almeno leaquile così vergognosamente perdute erano state di nuo-vo riconquistate – solo dopo la vittoria sul Celti se netrovarono cinque – e lungo la via da Capua a Roma le6.000 croci, su cui erano appesi altrettanti schiavi, eranouna prova del nuovo ordine e della nuova vittoria, deldiritto riconosciuto sulla schiavitù vivente che s'era ri-bellata.

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35. Panorama della restaurazione.

Gettiamo uno sguardo retrospettivo sugli avvenimentiche occupano il decennio seguito alla restaurazione diSilla.Nessuna delle commozioni esterne ed interne avvenutein questo tempo conteneva un pericolo che minacciasseseriamente le forze vitali della nazione; nè la insurrezio-ne di Lepido, nè le imprese degli emigrati spagnoli, nèle guerre tracico-macedoni e dell'Asia minore, nè le sol-levazioni dei pirati e degli schiavi; eppure lo stato avevadovuto combattere per la sua esistenza contro tutte que-ste forze.Ciò è derivato dal fatto che i problemi, fintanto che erafacile risolverli, erano rimasti ovunque insoluti; che latrascuratezza delle più semplici misure di precauzioneaveva prodotto i più gravi inconvenienti e disgrazie econvertito le classi dipendenti e i re impotenti in avver-sari di uguale portata.Veramente la democrazia e l'insurrezione degli schiavierano state vinte; ma le vittorie erano state tali, che ilvincitore non era per esse nè moralmente elevato nè ma-terialmente rinforzato.Non era una gloria che i due generali più festeggiati delpartito governativo, in una guerra di otto anni, segnalatapiù per le sconfitte che per le vittorie, non avessero po-tuto debellare nè il capo degli insorti, Sertorio, nè le suebande spagnole, e solo il ferro omicida de' suoi amiciavesse deciso la guerra sertoriana in favore del governo

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35. Panorama della restaurazione.

Gettiamo uno sguardo retrospettivo sugli avvenimentiche occupano il decennio seguito alla restaurazione diSilla.Nessuna delle commozioni esterne ed interne avvenutein questo tempo conteneva un pericolo che minacciasseseriamente le forze vitali della nazione; nè la insurrezio-ne di Lepido, nè le imprese degli emigrati spagnoli, nèle guerre tracico-macedoni e dell'Asia minore, nè le sol-levazioni dei pirati e degli schiavi; eppure lo stato avevadovuto combattere per la sua esistenza contro tutte que-ste forze.Ciò è derivato dal fatto che i problemi, fintanto che erafacile risolverli, erano rimasti ovunque insoluti; che latrascuratezza delle più semplici misure di precauzioneaveva prodotto i più gravi inconvenienti e disgrazie econvertito le classi dipendenti e i re impotenti in avver-sari di uguale portata.Veramente la democrazia e l'insurrezione degli schiavierano state vinte; ma le vittorie erano state tali, che ilvincitore non era per esse nè moralmente elevato nè ma-terialmente rinforzato.Non era una gloria che i due generali più festeggiati delpartito governativo, in una guerra di otto anni, segnalatapiù per le sconfitte che per le vittorie, non avessero po-tuto debellare nè il capo degli insorti, Sertorio, nè le suebande spagnole, e solo il ferro omicida de' suoi amiciavesse deciso la guerra sertoriana in favore del governo

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legittimo. Quanto poi agli schiavi era molto minorel'onore di averli vinti della vergogna di essere stati pa-recchi anni con loro in lotta da pari a pari.Dalla guerra annibalica era passato poco più di un seco-lo; gli onesti romani dovevano sentirsi salire il sanguealle guancie se riflettevano alla decadenza rapidissimadella nazione da quella grande epoca in poi.Allora gli schiavi italici erano rimasti saldi come mura-glie dinanzi ai veterani di Annibale; ora la milizia italicasi disperdeva come il grano battuto dinanzi ai randellide' suoi schiavi disertati. Allora ogni ufficiale superiorein caso di bisogno faceva da generale e combattevaspesso con avversa fortuna, ma sempre con onore; ora viera la massima difficoltà di trovar tra tutti i distinti uffi-ciali un solo condottiero di capacità sia pure comune.Allora il governo toglieva l'ultimo bifolco dall'aratropiuttosto che rinunciare alla conquista della Grecia edella Spagna; ora si stava quasi per rinunciare a questiterritori da lungo tempo acquistati solo per potersi difen-dere in casa dagli schiavi ribelli.Anche Spartaco, come Annibale, aveva corsa col suoesercito l'Italia dal Po allo stretto di Messina, avevasconfitti due consoli e minacciato Roma d'assedio; secontro l'antica Roma era stato necessario il più grandegenerale dell'antichità, contro la moderna era bastato unaudace capo di masnadieri.Che meraviglia dunque se da tali vittorie contro insorti ecapi di masnadieri non derivasse nuovo vigore allo sta-to? Un risultato ancora meno consolante avevano poi ri-

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legittimo. Quanto poi agli schiavi era molto minorel'onore di averli vinti della vergogna di essere stati pa-recchi anni con loro in lotta da pari a pari.Dalla guerra annibalica era passato poco più di un seco-lo; gli onesti romani dovevano sentirsi salire il sanguealle guancie se riflettevano alla decadenza rapidissimadella nazione da quella grande epoca in poi.Allora gli schiavi italici erano rimasti saldi come mura-glie dinanzi ai veterani di Annibale; ora la milizia italicasi disperdeva come il grano battuto dinanzi ai randellide' suoi schiavi disertati. Allora ogni ufficiale superiorein caso di bisogno faceva da generale e combattevaspesso con avversa fortuna, ma sempre con onore; ora viera la massima difficoltà di trovar tra tutti i distinti uffi-ciali un solo condottiero di capacità sia pure comune.Allora il governo toglieva l'ultimo bifolco dall'aratropiuttosto che rinunciare alla conquista della Grecia edella Spagna; ora si stava quasi per rinunciare a questiterritori da lungo tempo acquistati solo per potersi difen-dere in casa dagli schiavi ribelli.Anche Spartaco, come Annibale, aveva corsa col suoesercito l'Italia dal Po allo stretto di Messina, avevasconfitti due consoli e minacciato Roma d'assedio; secontro l'antica Roma era stato necessario il più grandegenerale dell'antichità, contro la moderna era bastato unaudace capo di masnadieri.Che meraviglia dunque se da tali vittorie contro insorti ecapi di masnadieri non derivasse nuovo vigore allo sta-to? Un risultato ancora meno consolante avevano poi ri-

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velato le guerre esterne. Veramente la tracico-macedonese non diede un risultato corrispondente all'importantespreco d'uomini e di denaro, non ne diede però uno deltutto sfavorevole. Invece nella guerra dell'Asia minore ein quella dei pirati il governo aveva completamente fal-lito. La prima finì colla perdita di tutte le conquiste fattein otto sanguinose campagne; la seconda colla completacacciata dei Romani dal «loro mare».Una volta, Roma, nella coscienza dell'irresistibilità dellasua forza nel continente, aveva acquistata la preponde-ranza anche sull'altro elemento; ora la grande potenzaera nulla sul mare e pareva sul punto di perdere anche ilsuo dominio terrestre, almeno sul continente asiatico.I benefici materiali sull'ordinamento politico della socie-tà, la sicurezza dei confini, il non turbato pacifico traffi-co, la protezione delle leggi, l'ordinata amministrazione,cominciarono a venire meno nelle varie nazioni raccoltenello stato romano; tutti gli dei protettori parevano salitiall'Olimpo abbandonando la misera terra a coloro che,per incarico ufficiale o spontaneamente, si davano a sac-cheggiarla e a tormentarla.Questa decadenza dello stato non era solo sentita comeuna pubblica calamità da quelli che godevano dei dirittipolitici e avevano sentimenti di patriottismo, ma l'insur-rezione dei proletari e il mal governo delle bande deimasnadieri e delle squadre dei pirati, che ricordano itempi dei Borboni del regno di Napoli, portavano il sen-timento di questa decadenza nelle più lontane vallate enelle più umili capanne dell'Italia, e lo facevano sentire

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velato le guerre esterne. Veramente la tracico-macedonese non diede un risultato corrispondente all'importantespreco d'uomini e di denaro, non ne diede però uno deltutto sfavorevole. Invece nella guerra dell'Asia minore ein quella dei pirati il governo aveva completamente fal-lito. La prima finì colla perdita di tutte le conquiste fattein otto sanguinose campagne; la seconda colla completacacciata dei Romani dal «loro mare».Una volta, Roma, nella coscienza dell'irresistibilità dellasua forza nel continente, aveva acquistata la preponde-ranza anche sull'altro elemento; ora la grande potenzaera nulla sul mare e pareva sul punto di perdere anche ilsuo dominio terrestre, almeno sul continente asiatico.I benefici materiali sull'ordinamento politico della socie-tà, la sicurezza dei confini, il non turbato pacifico traffi-co, la protezione delle leggi, l'ordinata amministrazione,cominciarono a venire meno nelle varie nazioni raccoltenello stato romano; tutti gli dei protettori parevano salitiall'Olimpo abbandonando la misera terra a coloro che,per incarico ufficiale o spontaneamente, si davano a sac-cheggiarla e a tormentarla.Questa decadenza dello stato non era solo sentita comeuna pubblica calamità da quelli che godevano dei dirittipolitici e avevano sentimenti di patriottismo, ma l'insur-rezione dei proletari e il mal governo delle bande deimasnadieri e delle squadre dei pirati, che ricordano itempi dei Borboni del regno di Napoli, portavano il sen-timento di questa decadenza nelle più lontane vallate enelle più umili capanne dell'Italia, e lo facevano sentire

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come una calamità personale a tutti coloro che esercita-vano il commercio ed il traffico, o che solo acquistava-no uno staio di frumento.Se si chiedeva quali fossero stati gli autori di questa ma-laugurata e mai veduta miseria, se ne potevano a ragioneaccusare non pochi. I detentori di schiavi, il cui cuore sene stava rinchiuso nella borsa del denaro, i soldati indi-sciplinati, i generali o vili o inetti o spensierati, i dema-goghi del foro, che per lo più spingevano il popolo sullafalsa via, avevano una gran parte della colpa: ma, per dirmeglio, chi non vi aveva parte?Si sentiva, come per istinto, che questa miseria, questavergogna e questo scompiglio erano troppo colossali peressere l'opera di un solo individuo.Come la grandezza della repubblica romana non era sta-ta l'opera di eminenti individui ma quella di una borghe-sia sapientemente organizzata, così anche la decadenzadi questo magnifico edificio non sorse dal mal talento disingoli individui, ma dalla generale disorganizzazione.La grande maggioranza della borghesia non era buona anulla e ogni mattone fradicio serviva ad accelerare la ro-vina dell'intero edificio; la nazione intera scontava lapena che aveva meritata. Era cosa ingiusta rendere re-sponsabile il governo, come l'ultima espressione palpa-bile dello stato, di tutte le malattie sanabili ed insanabilidi esso; ma era ad ogni modo vero che il governo avevagrandissima parte nella colpa universale.Nella guerra dell'Asia minore, ad esempio, – in cui nes-suno di coloro che reggevano la cosa pubblica mancò in

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come una calamità personale a tutti coloro che esercita-vano il commercio ed il traffico, o che solo acquistava-no uno staio di frumento.Se si chiedeva quali fossero stati gli autori di questa ma-laugurata e mai veduta miseria, se ne potevano a ragioneaccusare non pochi. I detentori di schiavi, il cui cuore sene stava rinchiuso nella borsa del denaro, i soldati indi-sciplinati, i generali o vili o inetti o spensierati, i dema-goghi del foro, che per lo più spingevano il popolo sullafalsa via, avevano una gran parte della colpa: ma, per dirmeglio, chi non vi aveva parte?Si sentiva, come per istinto, che questa miseria, questavergogna e questo scompiglio erano troppo colossali peressere l'opera di un solo individuo.Come la grandezza della repubblica romana non era sta-ta l'opera di eminenti individui ma quella di una borghe-sia sapientemente organizzata, così anche la decadenzadi questo magnifico edificio non sorse dal mal talento disingoli individui, ma dalla generale disorganizzazione.La grande maggioranza della borghesia non era buona anulla e ogni mattone fradicio serviva ad accelerare la ro-vina dell'intero edificio; la nazione intera scontava lapena che aveva meritata. Era cosa ingiusta rendere re-sponsabile il governo, come l'ultima espressione palpa-bile dello stato, di tutte le malattie sanabili ed insanabilidi esso; ma era ad ogni modo vero che il governo avevagrandissima parte nella colpa universale.Nella guerra dell'Asia minore, ad esempio, – in cui nes-suno di coloro che reggevano la cosa pubblica mancò in

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modo particolare, in cui anzi Lucullo, almeno militar-mente, si mostrò valente e si ebbe molta gloria, – appar-ve tanto evidentemente che la colpa della cattiva riuscitastava nel sistema e nel governo come tale, e soprattuttonell'avere antecedentemente abbandonate per inerzia laCappadocia e la Siria, e nella falsa posizione del valentegenerale di fronte al collegio governativo inetto a qual-siasi energica risoluzione.E così nella polizia del mare il senato aveva guastato ilsavio e giusto concetto di una generale caccia ai pirati,prima nel porlo in esecuzione e poi lasciandolo intera-mente cadere per seguire di nuovo l'antico stolido siste-ma di inviare delle legioni contro i corridori del mare.Secondo questo sistema furono intraprese le spedizionidi Servilio e di Marcio nella Cilicia, di Metello in Creta;secondo questo sistema Triario fece circondare con unmuro l'isola di Delo per garantirla contro i pirati. L'avertentato di ottenere il dominio del mare con questi mezzi,ricorda quel re di Persia che fece dare delle frustate almare per renderlo obbediente.La nazione aveva perciò le sue buone ragioni per porreprincipalmente a carico del governo della restaurazioneil suo fallimento. Colla restaurazione dell'oligarchia siera sempre avuto un mal governo pari a questo; dopo lacaduta dei Gracchi, come dopo quella di Mario e di Sa-turnino; ma prima non ve ne era stato mai uno così vio-lento e al tempo stesso così debole, così guasto e cosìrovinoso.Ma quando un governo non sa governare esso cessa di

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modo particolare, in cui anzi Lucullo, almeno militar-mente, si mostrò valente e si ebbe molta gloria, – appar-ve tanto evidentemente che la colpa della cattiva riuscitastava nel sistema e nel governo come tale, e soprattuttonell'avere antecedentemente abbandonate per inerzia laCappadocia e la Siria, e nella falsa posizione del valentegenerale di fronte al collegio governativo inetto a qual-siasi energica risoluzione.E così nella polizia del mare il senato aveva guastato ilsavio e giusto concetto di una generale caccia ai pirati,prima nel porlo in esecuzione e poi lasciandolo intera-mente cadere per seguire di nuovo l'antico stolido siste-ma di inviare delle legioni contro i corridori del mare.Secondo questo sistema furono intraprese le spedizionidi Servilio e di Marcio nella Cilicia, di Metello in Creta;secondo questo sistema Triario fece circondare con unmuro l'isola di Delo per garantirla contro i pirati. L'avertentato di ottenere il dominio del mare con questi mezzi,ricorda quel re di Persia che fece dare delle frustate almare per renderlo obbediente.La nazione aveva perciò le sue buone ragioni per porreprincipalmente a carico del governo della restaurazioneil suo fallimento. Colla restaurazione dell'oligarchia siera sempre avuto un mal governo pari a questo; dopo lacaduta dei Gracchi, come dopo quella di Mario e di Sa-turnino; ma prima non ve ne era stato mai uno così vio-lento e al tempo stesso così debole, così guasto e cosìrovinoso.Ma quando un governo non sa governare esso cessa di

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essere legittimo, e chi ha la forza ha anche il diritto diabbatterlo. È purtroppo vero che un governo inetto emalvagio può calpestare per lungo tempo il benessere el'onore del paese, prima che si trovino uomini che si ser-vano contro di esso delle terribili armi da esso stessopreparate e possano e vogliano suscitare dallo sdegnomorale dei forti e dalla miseria dei molti la rivoluzione,che in tal caso è legittima.Ma se lo scherzare colle sorti della nazione può tornarequasi a diletto e può venire continuato per molto tempoa piacimento, può anche però riuscire fatale e ingoiare igiocatori; e nessuno allora impreca alla scure che recidela radice dell'albero che porta simili frutti.Questo tempo era venuto ora per l'oligarchia romana. Laguerra pontico armena e gli affari dei pirati furono lecause contingenti della caduta della costituzione di Sillae della istituzione di una dittatura militare rivoluziona-ria.

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essere legittimo, e chi ha la forza ha anche il diritto diabbatterlo. È purtroppo vero che un governo inetto emalvagio può calpestare per lungo tempo il benessere el'onore del paese, prima che si trovino uomini che si ser-vano contro di esso delle terribili armi da esso stessopreparate e possano e vogliano suscitare dallo sdegnomorale dei forti e dalla miseria dei molti la rivoluzione,che in tal caso è legittima.Ma se lo scherzare colle sorti della nazione può tornarequasi a diletto e può venire continuato per molto tempoa piacimento, può anche però riuscire fatale e ingoiare igiocatori; e nessuno allora impreca alla scure che recidela radice dell'albero che porta simili frutti.Questo tempo era venuto ora per l'oligarchia romana. Laguerra pontico armena e gli affari dei pirati furono lecause contingenti della caduta della costituzione di Sillae della istituzione di una dittatura militare rivoluziona-ria.

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SECONDO CAPITOLOCADUTA DELL'OLIGARCHIAE PREDOMINIO DI POMPEO

1. Continuità della costituzione sillana.La costituzione di Silla resisteva ancora tenacemente.La tempesta scatenata da Lepido e da Sertorio contro diessa, era stata sedata senza grave danno. Il governoaveva indubbiamente trascurato di condurre a terminel'edificio, lasciato a metà, secondo l'energico concettodel suo autore. Lo prova il fatto che esso nè si fece undovere di procedere alla divisione dei terreni a ciòdestinati da Silla, e dallo stesso non ancora frazionati,nè rinunciò ai diritti su di essi, ma tollerò che per ilmomento i primitivi proprietari continuassero arimanerne in possesso senza regolarne il titolo, e lasciòanche che si occupassero arbitrariamente alcuni tratti diterreno demaniale sillano non ancora distribuiti secondol'antico sistema di occupazione, abolito di fatto e didiritto colle riforme di Gracco.Quanto delle disposizioni di Silla riusciva agli ottimatiindifferente o molesto, veniva senz'altro ignorato o can-cellato; così il ritiro del diritto di cittadinanza ad intericomuni, così il divieto di riunire le nuove tenute rurali;così fu di parecchi privilegi accordati da Silla a molticomuni, naturalmente senza restituire agli stessi le som-me da essi pagate per tali concessioni.

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SECONDO CAPITOLOCADUTA DELL'OLIGARCHIAE PREDOMINIO DI POMPEO

1. Continuità della costituzione sillana.La costituzione di Silla resisteva ancora tenacemente.La tempesta scatenata da Lepido e da Sertorio contro diessa, era stata sedata senza grave danno. Il governoaveva indubbiamente trascurato di condurre a terminel'edificio, lasciato a metà, secondo l'energico concettodel suo autore. Lo prova il fatto che esso nè si fece undovere di procedere alla divisione dei terreni a ciòdestinati da Silla, e dallo stesso non ancora frazionati,nè rinunciò ai diritti su di essi, ma tollerò che per ilmomento i primitivi proprietari continuassero arimanerne in possesso senza regolarne il titolo, e lasciòanche che si occupassero arbitrariamente alcuni tratti diterreno demaniale sillano non ancora distribuiti secondol'antico sistema di occupazione, abolito di fatto e didiritto colle riforme di Gracco.Quanto delle disposizioni di Silla riusciva agli ottimatiindifferente o molesto, veniva senz'altro ignorato o can-cellato; così il ritiro del diritto di cittadinanza ad intericomuni, così il divieto di riunire le nuove tenute rurali;così fu di parecchi privilegi accordati da Silla a molticomuni, naturalmente senza restituire agli stessi le som-me da essi pagate per tali concessioni.

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Ma quand'anche queste infrazioni alle ordinanze di Sillada parte dello stesso governo contribuissero a scuoterele fondamenta del suo edificio, le leggi sempronie eranoe rimasero nella loro essenza abolite.Certo non mancarono uomini che pensassero a ripristi-nare la costituzione di Gracco, e non si difettava di pro-getti per ottenere alla spicciolata e col mezzo di riformecostituzionali quanto Lepido e Sertorio avevano tentatodi ottenere con la rivoluzione. Il governo, sotto la pres-sione dell'agitazione promossa da Lepido subito dopo lamorte di Silla (676 = 78), aveva acconsentito alla limita-ta ripresa della distribuzione del frumento, e fece in se-guito quanto era possibile per mostrarsi compiacente alproletariato della capitale in questa sua questione vitale.Quando nell'anno 679 = 75, nonostante questa distribu-zione, i prezzi dei cereali, elevatisi ad una enorme altez-za a cagione della pirateria, produssero in Roma una ca-restia così opprimente che ne seguì una forte sollevazio-ne nella città, si ricorse anzitutto ad acquisti straordinaridi frumento siciliano per conto del governo per ripararealla più stringente necessità. Per l'avvenire poi una leggefrumentaria, proposta dai consoli nel 681 = 73, provvideall'acquisto dei grani siciliani, dando al governo, natu-ralmente a spese dei provinciali, i mezzi per ovviare me-glio a simili penose situazioni.Ma anche i punti meno materiali di differenza, il ripristi-no del potere tribunizio nell'antica sua estensione e lasospensione dei tribunali senatori, non cessavano di es-sere soggetto di agitazione per il popolo e a queste com-

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Ma quand'anche queste infrazioni alle ordinanze di Sillada parte dello stesso governo contribuissero a scuoterele fondamenta del suo edificio, le leggi sempronie eranoe rimasero nella loro essenza abolite.Certo non mancarono uomini che pensassero a ripristi-nare la costituzione di Gracco, e non si difettava di pro-getti per ottenere alla spicciolata e col mezzo di riformecostituzionali quanto Lepido e Sertorio avevano tentatodi ottenere con la rivoluzione. Il governo, sotto la pres-sione dell'agitazione promossa da Lepido subito dopo lamorte di Silla (676 = 78), aveva acconsentito alla limita-ta ripresa della distribuzione del frumento, e fece in se-guito quanto era possibile per mostrarsi compiacente alproletariato della capitale in questa sua questione vitale.Quando nell'anno 679 = 75, nonostante questa distribu-zione, i prezzi dei cereali, elevatisi ad una enorme altez-za a cagione della pirateria, produssero in Roma una ca-restia così opprimente che ne seguì una forte sollevazio-ne nella città, si ricorse anzitutto ad acquisti straordinaridi frumento siciliano per conto del governo per ripararealla più stringente necessità. Per l'avvenire poi una leggefrumentaria, proposta dai consoli nel 681 = 73, provvideall'acquisto dei grani siciliani, dando al governo, natu-ralmente a spese dei provinciali, i mezzi per ovviare me-glio a simili penose situazioni.Ma anche i punti meno materiali di differenza, il ripristi-no del potere tribunizio nell'antica sua estensione e lasospensione dei tribunali senatori, non cessavano di es-sere soggetto di agitazione per il popolo e a queste com-

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mozioni il governo oppose una più energica resistenza.La questione dell'ufficio tribunizio fu posta sin dal 678= 76, subito dopo la sconfitta di Lepido, dal tribuno delpopolo Lucio Licinio, forse un discendente dell'omoni-mo, il quale più di quattrocento anni innanzi aveva oc-cupato per primo questa carica; ma il suo disegno andòa vuoto per l'opposizione che gli fece l'accorto consoleCaio Curione.Nei 680 = 74 ritentò l'agitazione Caio Quinzio; mal'autorità del console Lucio Lucullo lo indusse a rinun-ciare all'impresa. Con maggiore zelo si mise l'anno se-guente sulle sue orme Caio Licinio Macro, il quale – ciòche è caratteristico per l'epoca – portò i suoi studi lette-rari nella vita pubblica, e, come lo aveva letto nelle cro-nache, consigliò alla borghesia di rifiutarsi alla coscri-zione.Anche sulla cattiva amministrazione della giustizia colmezzo dei giurati senatori non andò molto che si udiro-no ben fondate lagnanze.

2. Attacchi ai tribunali senatorî.

Non era quasi più possibile ottenere la condanna di unuomo che avesse appena qualche influenza. Non solo ilcollega sentiva una giusta compassione per il collega, el'ex accusato o l'accusato futuro pel presente poveropeccatore, ma anche la venalità dei voti dei giurati nonera quasi più un'eccezione.Parecchi senatori erano stati giudiziariamente convinti

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mozioni il governo oppose una più energica resistenza.La questione dell'ufficio tribunizio fu posta sin dal 678= 76, subito dopo la sconfitta di Lepido, dal tribuno delpopolo Lucio Licinio, forse un discendente dell'omoni-mo, il quale più di quattrocento anni innanzi aveva oc-cupato per primo questa carica; ma il suo disegno andòa vuoto per l'opposizione che gli fece l'accorto consoleCaio Curione.Nei 680 = 74 ritentò l'agitazione Caio Quinzio; mal'autorità del console Lucio Lucullo lo indusse a rinun-ciare all'impresa. Con maggiore zelo si mise l'anno se-guente sulle sue orme Caio Licinio Macro, il quale – ciòche è caratteristico per l'epoca – portò i suoi studi lette-rari nella vita pubblica, e, come lo aveva letto nelle cro-nache, consigliò alla borghesia di rifiutarsi alla coscri-zione.Anche sulla cattiva amministrazione della giustizia colmezzo dei giurati senatori non andò molto che si udiro-no ben fondate lagnanze.

2. Attacchi ai tribunali senatorî.

Non era quasi più possibile ottenere la condanna di unuomo che avesse appena qualche influenza. Non solo ilcollega sentiva una giusta compassione per il collega, el'ex accusato o l'accusato futuro pel presente poveropeccatore, ma anche la venalità dei voti dei giurati nonera quasi più un'eccezione.Parecchi senatori erano stati giudiziariamente convinti

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di questo delitto8; gli altri, egualmente colpevoli, si mo-stravano a dito; gli ottimati più ragguardevoli, comeQuinto Catulo, confessavano apertamente in senato chei reclami erano perfettamente fondati; alcuni casi spe-cialmente clamorosi obbligarono parecchie volte il sena-to come ad esempio nell'anno 680 = 74, a deliberarecontro la venalità dei giurati, naturalmente sin che il pri-mo chiasso si fosse sedato e si potesse lasciar scorrere lacosa tranquillamente sotto la crosta del ghiaccio.Le conseguenze di questa miserevole amministrazionedella giustizia si rivelavano specialmente in un sistemadi saccheggio e di tormenti per i provinciali, a confrontodei quali gli stessi delitti sinora sofferti sembravano sop-portabili e moderati.Il furto era in un certo modo reso legittimo dall'abitudi-ne; la commissione istituita per investigare sulle concus-sioni poteva passare per una istituzione destinata a met-tere a contributo i senatori reduci dalle province a favo-re dei loro colleghi rimasti in patria.Ma quando un siciliano di distinzione, per non aver vo-luto prestar mano ad un governatore per commettere undelitto, fu da questi condannato a morte in contumacia esenza essere sentito; quando persino cittadini romani,che non fossero cavalieri o senatori, non erano più sicuriin provincia dalle verghe e dalla scure del governatoreromano, e la più antica delle conquiste fatte dalla demo-crazia romana, la sicurezza della persona e della vita,8 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "erano perfino stati riconosciuti giudizia-

riamente colpevoli di questo delitto" [nota per l'edizione elettronica Manu-zio].

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di questo delitto8; gli altri, egualmente colpevoli, si mo-stravano a dito; gli ottimati più ragguardevoli, comeQuinto Catulo, confessavano apertamente in senato chei reclami erano perfettamente fondati; alcuni casi spe-cialmente clamorosi obbligarono parecchie volte il sena-to come ad esempio nell'anno 680 = 74, a deliberarecontro la venalità dei giurati, naturalmente sin che il pri-mo chiasso si fosse sedato e si potesse lasciar scorrere lacosa tranquillamente sotto la crosta del ghiaccio.Le conseguenze di questa miserevole amministrazionedella giustizia si rivelavano specialmente in un sistemadi saccheggio e di tormenti per i provinciali, a confrontodei quali gli stessi delitti sinora sofferti sembravano sop-portabili e moderati.Il furto era in un certo modo reso legittimo dall'abitudi-ne; la commissione istituita per investigare sulle concus-sioni poteva passare per una istituzione destinata a met-tere a contributo i senatori reduci dalle province a favo-re dei loro colleghi rimasti in patria.Ma quando un siciliano di distinzione, per non aver vo-luto prestar mano ad un governatore per commettere undelitto, fu da questi condannato a morte in contumacia esenza essere sentito; quando persino cittadini romani,che non fossero cavalieri o senatori, non erano più sicuriin provincia dalle verghe e dalla scure del governatoreromano, e la più antica delle conquiste fatte dalla demo-crazia romana, la sicurezza della persona e della vita,8 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "erano perfino stati riconosciuti giudizia-

riamente colpevoli di questo delitto" [nota per l'edizione elettronica Manu-zio].

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cominciò ad essere calpestata dalla dominazione oligar-chica, allora anche il popolo radunato nel foro romanonon rimase insensibile alle lagnanze contro i suoi gover-nanti e contro i giudici, che moralmente si rendevanocomplici di tali misfatti.L'opposizione non mancò naturalmente di attaccare isuoi avversari sull'unico terreno, che, per così dire, lefosse rimasto, quello giuridico.Così il giovane Caio Cesare, il quale, per quanto lo con-sentiva la sua età, si era con zelo mischiato nell'agitazio-ne per il ripristino del potere tribunizio, trasse dinanzi altribunale nel 677 = 77 uno dei più ragguardevoli parti-giani di Silla, il console Gneo Dolabella, e nell'anno se-guente un altro ufficiale di Silla, Caio Antonio: cosìMarco Cicerone nel 684 = 70 fece per Caio Verre, unadelle più miserabili creature di Silla, ed uno dei peggioriflagelli dei provinciali.Giorno per giorno, con tutta la pompa della retorica ita-lica e con tutta l'amarezza dello scherno, si spiegavanodinanzi alla folla radunata le immagini di quel tenebrosotempo delle proscrizioni, gli orrendi patimenti dei pro-vinciali, lo stato abbominevole dell'amministrazionedella giustizia criminale, e il potente morto, coi suoi si-cari vivi, venivano abbandonati senza compassioneall'ira ed allo scherno.Ogni giorno si reclamava ad alta voce dagli oratori delpartito popolare il ristabilimento del pieno potere tribu-nizio, – al quale sembrava legata la libertà, la potenza ela felicità della repubblica, come per virtù d'un antico

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cominciò ad essere calpestata dalla dominazione oligar-chica, allora anche il popolo radunato nel foro romanonon rimase insensibile alle lagnanze contro i suoi gover-nanti e contro i giudici, che moralmente si rendevanocomplici di tali misfatti.L'opposizione non mancò naturalmente di attaccare isuoi avversari sull'unico terreno, che, per così dire, lefosse rimasto, quello giuridico.Così il giovane Caio Cesare, il quale, per quanto lo con-sentiva la sua età, si era con zelo mischiato nell'agitazio-ne per il ripristino del potere tribunizio, trasse dinanzi altribunale nel 677 = 77 uno dei più ragguardevoli parti-giani di Silla, il console Gneo Dolabella, e nell'anno se-guente un altro ufficiale di Silla, Caio Antonio: cosìMarco Cicerone nel 684 = 70 fece per Caio Verre, unadelle più miserabili creature di Silla, ed uno dei peggioriflagelli dei provinciali.Giorno per giorno, con tutta la pompa della retorica ita-lica e con tutta l'amarezza dello scherno, si spiegavanodinanzi alla folla radunata le immagini di quel tenebrosotempo delle proscrizioni, gli orrendi patimenti dei pro-vinciali, lo stato abbominevole dell'amministrazionedella giustizia criminale, e il potente morto, coi suoi si-cari vivi, venivano abbandonati senza compassioneall'ira ed allo scherno.Ogni giorno si reclamava ad alta voce dagli oratori delpartito popolare il ristabilimento del pieno potere tribu-nizio, – al quale sembrava legata la libertà, la potenza ela felicità della repubblica, come per virtù d'un antico

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sacro incantesimo – il ristabilimento dei «severi» tribu-nali dei cavalieri, e la rinnovazione della censura sop-pressa da Silla, per depurare la suprema carica dello sta-to dai fradici e perniciosi elementi.

3. Nullità dell'agitazione democratica.

Ma tutti questi sforzi a nulla approdavano. Vi fu moltoscandalo e molto chiasso, ma col prostituire il governocome meritava e più che non meritasse, non si raggiunseun vero successo.La forza materiale, finchè l'elemento militare nons'immischiava, era sempre nelle mani della borghesiadella capitale; e questo «popolo» che si assiepava nellevie di Roma ed eleggeva magistrati e faceva leggi nelforo, non era affatto migliore del senato che governava.Veramente dove si trattava del proprio immediato inte-resse il governo doveva accomodarsi con le masse, equesta è la ragione della rinnovazione della legge fru-mentaria sempronia. Ma non si deve credere che questaborghesia, trattandosi d'una idea e, meno ancora, d'unaconveniente riforma, prendesse la cosa sul serio.Con ragione fu applicato ai Romani di quest'epoca ciòche Demostene disse de' suoi Ateniesi; che erano gentezelantissima fin che stavano intorno alla tribuna deglioratori e udivano le proposte di riforma, ma che unavolta ritornati a casa, nessuno più pensava a ciò che ave-va udito nel foro.Per quanto gli agitatori democratici soffiassero nelle

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sacro incantesimo – il ristabilimento dei «severi» tribu-nali dei cavalieri, e la rinnovazione della censura sop-pressa da Silla, per depurare la suprema carica dello sta-to dai fradici e perniciosi elementi.

3. Nullità dell'agitazione democratica.

Ma tutti questi sforzi a nulla approdavano. Vi fu moltoscandalo e molto chiasso, ma col prostituire il governocome meritava e più che non meritasse, non si raggiunseun vero successo.La forza materiale, finchè l'elemento militare nons'immischiava, era sempre nelle mani della borghesiadella capitale; e questo «popolo» che si assiepava nellevie di Roma ed eleggeva magistrati e faceva leggi nelforo, non era affatto migliore del senato che governava.Veramente dove si trattava del proprio immediato inte-resse il governo doveva accomodarsi con le masse, equesta è la ragione della rinnovazione della legge fru-mentaria sempronia. Ma non si deve credere che questaborghesia, trattandosi d'una idea e, meno ancora, d'unaconveniente riforma, prendesse la cosa sul serio.Con ragione fu applicato ai Romani di quest'epoca ciòche Demostene disse de' suoi Ateniesi; che erano gentezelantissima fin che stavano intorno alla tribuna deglioratori e udivano le proposte di riforma, ma che unavolta ritornati a casa, nessuno più pensava a ciò che ave-va udito nel foro.Per quanto gli agitatori democratici soffiassero nelle

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fiamme, la loro fatica non serviva a nulla, poichè man-cava la materia combustibile. Il governo lo sapeva e nel-le importanti questioni di principio non si lasciava strap-pare nessuna concessione; tutto al più (verso il 682 =72) acconsentì di concedere l'amnistia ad una parte deiprofughi che erano andati in esilio con Lepido. E le con-cessioni non derivavano dall'insistenza della democra-zia, ma piuttosto dai tentativi di mediazione dell'aristo-crazia moderata.Ma delle due leggi che Caio Cotta, l'unico capo ancoraesistente di quella frazione, ottenne che venissero san-zionate durante il suo consolato del 679 = 75, quella re-lativa ai tribunali fu di nuovo soppressa nell'anno se-guente, e quella che annullava la disposizione di Silla,per cui la carica del tribuno era incompatibile coll'assun-zione di qualsiasi altra magistratura, lasciando però sus-sistere le altre limitazioni, destò, come desta al solitoogni mezza misura, solo il malumore dei due partiti.Il partito dei conservatori nel senso della riforma9, chein grazia alla morte prematura di Cotta (verso l'anno 681= 73) perdette il suo capo più rinomato, andò semprepiù decadendo, schiacciato fra i due partiti estremi cheemergevano sempre più aspri. Ma fra questi due il parti-to del governo, benchè cattivo e debole, ebbe, di fronteall'opposizione egualmente cattiva e debole, necessaria-mente la meglio.

9 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "Il partito dei conservatori riformisti" [notaper l'edizione elettronica Manuzio].

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fiamme, la loro fatica non serviva a nulla, poichè man-cava la materia combustibile. Il governo lo sapeva e nel-le importanti questioni di principio non si lasciava strap-pare nessuna concessione; tutto al più (verso il 682 =72) acconsentì di concedere l'amnistia ad una parte deiprofughi che erano andati in esilio con Lepido. E le con-cessioni non derivavano dall'insistenza della democra-zia, ma piuttosto dai tentativi di mediazione dell'aristo-crazia moderata.Ma delle due leggi che Caio Cotta, l'unico capo ancoraesistente di quella frazione, ottenne che venissero san-zionate durante il suo consolato del 679 = 75, quella re-lativa ai tribunali fu di nuovo soppressa nell'anno se-guente, e quella che annullava la disposizione di Silla,per cui la carica del tribuno era incompatibile coll'assun-zione di qualsiasi altra magistratura, lasciando però sus-sistere le altre limitazioni, destò, come desta al solitoogni mezza misura, solo il malumore dei due partiti.Il partito dei conservatori nel senso della riforma9, chein grazia alla morte prematura di Cotta (verso l'anno 681= 73) perdette il suo capo più rinomato, andò semprepiù decadendo, schiacciato fra i due partiti estremi cheemergevano sempre più aspri. Ma fra questi due il parti-to del governo, benchè cattivo e debole, ebbe, di fronteall'opposizione egualmente cattiva e debole, necessaria-mente la meglio.

9 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "Il partito dei conservatori riformisti" [notaper l'edizione elettronica Manuzio].

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4. Contese tra il governo e Pompeo.

Ma questa condizione così favorevole al governo sicambiò quando si inasprirono le contese tra esso ecoloro fra i suoi partigiani le cui speranze salirono a piùalte aspirazioni che non fossero il posto d'onore nellacuria e la villa aristocratica.In prima linea fra questi vediamo Gneo Pompeo. Egliera un seguace di Silla; ma si è già narrato come non sitrovasse bene neppure con gli uomini del suo partito, ecome dalla nobiltà, di cui era considerato ufficialmentecome lo scudo e il brando, lo allontanassero la sua origi-ne, il suo passato e le sue aspirazioni.La discordia già esistente aveva preso, durante le cam-pagne spagnole di questo generale (677-683 = 77-71),proporzioni tali da non ammettere una riconciliazione. Amalincuore e quasi obbligato, il governo lo aveva asso-ciato come collega al suo vero rappresentante, QuintoMetello; ed egli d'altronde accusava, e non senza ragio-ne, il senato di avere con negligenza o malvagità procu-rato la sconfitta degli eserciti spagnoli e di aver messo arepentaglio l'esito della spedizione.Ora ritornava vincitore dei nemici palesi e occulti, allatesta di un esercito agguerrito a lui affezionato, chieden-do terre per i suoi soldati e per sè l'onore del trionfo edil consolato.Queste ultime richieste erano contrarie alla legge. Seb-bene egli fosse già stato investito più volte, in via straor-dinaria, del supremo potere, non aveva ancora coperto

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4. Contese tra il governo e Pompeo.

Ma questa condizione così favorevole al governo sicambiò quando si inasprirono le contese tra esso ecoloro fra i suoi partigiani le cui speranze salirono a piùalte aspirazioni che non fossero il posto d'onore nellacuria e la villa aristocratica.In prima linea fra questi vediamo Gneo Pompeo. Egliera un seguace di Silla; ma si è già narrato come non sitrovasse bene neppure con gli uomini del suo partito, ecome dalla nobiltà, di cui era considerato ufficialmentecome lo scudo e il brando, lo allontanassero la sua origi-ne, il suo passato e le sue aspirazioni.La discordia già esistente aveva preso, durante le cam-pagne spagnole di questo generale (677-683 = 77-71),proporzioni tali da non ammettere una riconciliazione. Amalincuore e quasi obbligato, il governo lo aveva asso-ciato come collega al suo vero rappresentante, QuintoMetello; ed egli d'altronde accusava, e non senza ragio-ne, il senato di avere con negligenza o malvagità procu-rato la sconfitta degli eserciti spagnoli e di aver messo arepentaglio l'esito della spedizione.Ora ritornava vincitore dei nemici palesi e occulti, allatesta di un esercito agguerrito a lui affezionato, chieden-do terre per i suoi soldati e per sè l'onore del trionfo edil consolato.Queste ultime richieste erano contrarie alla legge. Seb-bene egli fosse già stato investito più volte, in via straor-dinaria, del supremo potere, non aveva ancora coperto

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nessuna carica ordinaria, non aveva nemmeno avuto laquestura e non era ancora membro del senato: e consolenon poteva essere che colui il quale avesse regolarmentepercorso i gradi inferiori della magistratura, e non pote-va ottenere gli onori del trionfo che colui il quale avessecoperto la suprema carica in via ordinaria.Il senato era legalmente autorizzato, quando egli avessechiesto il consolato, di invitarlo a domandare la questu-ra, e quando avesse chiesto gli onori del trionfo, di ri-cordargli il grande Scipione, che in condizioni ugualiaveva rinunciato al trionfo per la conquista della Spa-gna.Non meno dipendente dal buon volere del senato, se-condo la costituzione, era Pompeo, riguardo all'assegna-zione delle terre promesse ai suoi soldati.Del resto anche se il senato, come era naturale, data lasua debolezza perfino nel rancore, si fosse mostrato ar-rendevole, e, pel servizio reso contro i capi della demo-crazia, avesse concesso al vittorioso generale gli onoridei trionfo, il consolato e gli assegni di terreni, questoonorevole strappo dell'indolenza senatoria nella lungaserie dei pacifici imperatori senatori, sarebbe pur stata lasorte più favorevole che l'oligarchia avesse potuto pro-curare al trentaseenne generale. Egli non doveva tuttaviasperare che il senato gli concedesse spontaneamente ilcomando della guerra contro Mitridate, che pure era ilsogno della sua mente; nel proprio beninteso interessel'oligarchia non poteva permettere che Pompeo ai trofeiafricani ed europei aggiungesse pure quelli di mezza

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nessuna carica ordinaria, non aveva nemmeno avuto laquestura e non era ancora membro del senato: e consolenon poteva essere che colui il quale avesse regolarmentepercorso i gradi inferiori della magistratura, e non pote-va ottenere gli onori del trionfo che colui il quale avessecoperto la suprema carica in via ordinaria.Il senato era legalmente autorizzato, quando egli avessechiesto il consolato, di invitarlo a domandare la questu-ra, e quando avesse chiesto gli onori del trionfo, di ri-cordargli il grande Scipione, che in condizioni ugualiaveva rinunciato al trionfo per la conquista della Spa-gna.Non meno dipendente dal buon volere del senato, se-condo la costituzione, era Pompeo, riguardo all'assegna-zione delle terre promesse ai suoi soldati.Del resto anche se il senato, come era naturale, data lasua debolezza perfino nel rancore, si fosse mostrato ar-rendevole, e, pel servizio reso contro i capi della demo-crazia, avesse concesso al vittorioso generale gli onoridei trionfo, il consolato e gli assegni di terreni, questoonorevole strappo dell'indolenza senatoria nella lungaserie dei pacifici imperatori senatori, sarebbe pur stata lasorte più favorevole che l'oligarchia avesse potuto pro-curare al trentaseenne generale. Egli non doveva tuttaviasperare che il senato gli concedesse spontaneamente ilcomando della guerra contro Mitridate, che pure era ilsogno della sua mente; nel proprio beninteso interessel'oligarchia non poteva permettere che Pompeo ai trofeiafricani ed europei aggiungesse pure quelli di mezza

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parte del mondo; gli abbondanti e comodi allori da rac-cogliersi in oriente dovevano in tutti i casi essere riser-vati alla pura aristocrazia.Se poi il festeggiato generale non trovava il suo torna-conto a stare con la dominante oligarchia – poichè nonera nè maturo il tempo, nè adatto nel suo complesso ilcarattere di Pompeo per una politica puramente persona-le, schiettamente dinastica – allora non gli rimaneva al-tra scelta che quella di far causa comune colla democra-zia. Nessun interesse lo legava alla costituzione di Silla;egli poteva raggiungere i suoi scopi personali egualmen-te bene, se non meglio, anche con una costituzione piùdemocratica.D'altra parte egli trovava tutto ciò che gli occorreva nelpartito democratico. Gli attivi e scaltri capi di questoerano pronti e capaci di togliere all'imbarazzato e al-quanto inadatto eroe la difficile direzione politica, e nel-lo stesso tempo erano troppo meschini per potere o an-che soltanto volere contendere al celebrato generale laparte principale e specialmente la suprema direzione mi-litare.Lo stesso Caio Cesare, il più importante fra di essi, nonera che un giovine al quale avevano procurato un nome,più che la vivace sua eloquenza democratica, gli arditisuoi viaggi ed i suoi debiti eleganti, e doveva sentirsimolto onorato se il celeberrimo imperator gli concedeval'onore di essere il suo aiutante politico.La popolarità, alla quale uomini della tempra di Pom-peo, di pretese superiori alla propria capacità, sogliono

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parte del mondo; gli abbondanti e comodi allori da rac-cogliersi in oriente dovevano in tutti i casi essere riser-vati alla pura aristocrazia.Se poi il festeggiato generale non trovava il suo torna-conto a stare con la dominante oligarchia – poichè nonera nè maturo il tempo, nè adatto nel suo complesso ilcarattere di Pompeo per una politica puramente persona-le, schiettamente dinastica – allora non gli rimaneva al-tra scelta che quella di far causa comune colla democra-zia. Nessun interesse lo legava alla costituzione di Silla;egli poteva raggiungere i suoi scopi personali egualmen-te bene, se non meglio, anche con una costituzione piùdemocratica.D'altra parte egli trovava tutto ciò che gli occorreva nelpartito democratico. Gli attivi e scaltri capi di questoerano pronti e capaci di togliere all'imbarazzato e al-quanto inadatto eroe la difficile direzione politica, e nel-lo stesso tempo erano troppo meschini per potere o an-che soltanto volere contendere al celebrato generale laparte principale e specialmente la suprema direzione mi-litare.Lo stesso Caio Cesare, il più importante fra di essi, nonera che un giovine al quale avevano procurato un nome,più che la vivace sua eloquenza democratica, gli arditisuoi viaggi ed i suoi debiti eleganti, e doveva sentirsimolto onorato se il celeberrimo imperator gli concedeval'onore di essere il suo aiutante politico.La popolarità, alla quale uomini della tempra di Pom-peo, di pretese superiori alla propria capacità, sogliono

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accordare più importanza che non confessino a sè stessi,doveva ottenerla al massimo grado il giovine generaledal suo passaggio alla causa vacillante della democraziache dava a questa la vittoria. Tale passaggio rendeva si-curo il premio della vittoria da lui richiesto per sè e pe'suoi soldati. Sembrava in generale che, rovesciata l'oli-garchia e mancando altri rinomati capi d'opposizione,dovesse dipendere solo da Pompeo il determinare l'ulte-riore sua posizione.Non si poteva poi dubitare che il passaggio al partitodell'opposizione fatto dal generale comandante dell'eser-cito allora tornato vittorioso dalla Spagna, e ancora adu-nato in Italia, dovesse dare il crollo al vigente ordine dicose. Il governo e l'opposizione erano egualmente impo-tenti; ma ora che questa non combatteva più colle soledeclamazioni, e che la spada d'un generale vittorioso sidisponeva a dar forza alle sue richieste, il governo eravinto e, forse, senza combattimento.

5. Coalizione dei capi militari e della democrazia.

Quindi le due parti si vedevano spinte alla coalizione.Nè dall'una nè dall'altra saranno mancate le antipatiepersonali; è impossibile che il vittorioso generalepotesse vedere i demagoghi di piazza di buon occhio, eancor meno che questi accettassero con piacere ilcarnefice di Carbone e Bruto per loro capo; ma lanecessità politica prevalse, almeno per il momento, adogni scrupolo morale.

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accordare più importanza che non confessino a sè stessi,doveva ottenerla al massimo grado il giovine generaledal suo passaggio alla causa vacillante della democraziache dava a questa la vittoria. Tale passaggio rendeva si-curo il premio della vittoria da lui richiesto per sè e pe'suoi soldati. Sembrava in generale che, rovesciata l'oli-garchia e mancando altri rinomati capi d'opposizione,dovesse dipendere solo da Pompeo il determinare l'ulte-riore sua posizione.Non si poteva poi dubitare che il passaggio al partitodell'opposizione fatto dal generale comandante dell'eser-cito allora tornato vittorioso dalla Spagna, e ancora adu-nato in Italia, dovesse dare il crollo al vigente ordine dicose. Il governo e l'opposizione erano egualmente impo-tenti; ma ora che questa non combatteva più colle soledeclamazioni, e che la spada d'un generale vittorioso sidisponeva a dar forza alle sue richieste, il governo eravinto e, forse, senza combattimento.

5. Coalizione dei capi militari e della democrazia.

Quindi le due parti si vedevano spinte alla coalizione.Nè dall'una nè dall'altra saranno mancate le antipatiepersonali; è impossibile che il vittorioso generalepotesse vedere i demagoghi di piazza di buon occhio, eancor meno che questi accettassero con piacere ilcarnefice di Carbone e Bruto per loro capo; ma lanecessità politica prevalse, almeno per il momento, adogni scrupolo morale.

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I democratici e Pompeo non strinsero però da soli lalega. Anche Marco Crasso si trovava in una condizionesimile a quella di Pompeo. Benchè, come questi, segua-ce di Silla, la sua politica, come quella di Pompeo, eraprima di tutto una politica personale e non era assoluta-mente quella della dominante oligarchia; ed anch'egliora si trovava in Italia, capitano di un numeroso e vitto-rioso esercito, col quale aveva appunto vinta la solleva-zione degli schiavi.Dipendeva da lui unirsi all'oligarchia contro la coalizio-ne o di entrare a far parte della coalizione stessa; scelsequest'ultimo partito, senza dubbio il più sicuro. Conside-rando la sua colossale sostanza e la sua influenza sui cir-coli della capitale, egli era in generale un prezioso allea-to; nelle presenti circostanze era poi un vantaggio incal-colabile, se l'unico esercito, col quale il senato avrebbepotuto far fronte alle truppe di Pompeo, si gettava dallaparte della forza assalitrice. Oltre a ciò i democratici, iquali non erano eccessivamente entusiasti dell'alleanzacol formidabile generale, non vedevano mal volentieriin Marco Crasso un contrappeso e forse un futuro rivalepostogli al fianco.Così nell'estate del 683 = 71 fu stipulata la prima coali-zione tra la democrazia da un lato e i due generali silla-ni, Gneo Pompeo e Marco Crasso dall'altro. Entrambiadottarono il programma della democrazia; in compensofu loro assicurato il consolato per l'anno seguente ed ol-tre ciò a Pompeo l'onore del trionfo e la chiesta distribu-zione dei terreni per i suoi soldati; a Crasso, come vinci-

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I democratici e Pompeo non strinsero però da soli lalega. Anche Marco Crasso si trovava in una condizionesimile a quella di Pompeo. Benchè, come questi, segua-ce di Silla, la sua politica, come quella di Pompeo, eraprima di tutto una politica personale e non era assoluta-mente quella della dominante oligarchia; ed anch'egliora si trovava in Italia, capitano di un numeroso e vitto-rioso esercito, col quale aveva appunto vinta la solleva-zione degli schiavi.Dipendeva da lui unirsi all'oligarchia contro la coalizio-ne o di entrare a far parte della coalizione stessa; scelsequest'ultimo partito, senza dubbio il più sicuro. Conside-rando la sua colossale sostanza e la sua influenza sui cir-coli della capitale, egli era in generale un prezioso allea-to; nelle presenti circostanze era poi un vantaggio incal-colabile, se l'unico esercito, col quale il senato avrebbepotuto far fronte alle truppe di Pompeo, si gettava dallaparte della forza assalitrice. Oltre a ciò i democratici, iquali non erano eccessivamente entusiasti dell'alleanzacol formidabile generale, non vedevano mal volentieriin Marco Crasso un contrappeso e forse un futuro rivalepostogli al fianco.Così nell'estate del 683 = 71 fu stipulata la prima coali-zione tra la democrazia da un lato e i due generali silla-ni, Gneo Pompeo e Marco Crasso dall'altro. Entrambiadottarono il programma della democrazia; in compensofu loro assicurato il consolato per l'anno seguente ed ol-tre ciò a Pompeo l'onore del trionfo e la chiesta distribu-zione dei terreni per i suoi soldati; a Crasso, come vinci-

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tore di Spartaco, almeno l'onore del solenne ingressonella capitale.Ai due eserciti italici, alle sterminate ricchezze ed allademocrazia, che, strette in lega, sorgevano a rovesciarela costituzione di Silla, il senato non aveva altro da con-trapporre fuorchè, forse, il secondo esercito spagnuolocapitanato da Quinto Metello Pio.Ma Silla aveva giustamente predetto che ciò che egliaveva fatto non sarebbe avvenuto una seconda volta;Metello, non inclinato assolutamente a mescolarsi inuna guerra civile, aveva licenziato i suoi soldati appenavalicate le Alpi. Così all'oligarchia non rimaneva altroche adattarsi alla necessità. Il senato accordò le necessa-rie dispense pel consolato e pel trionfo; Pompeo e Cras-so furono eletti consoli, senza trovare ostacoli, perl'anno 684 = 70, mentre i loro eserciti, col pretesto di at-tendere il trionfo, stavano accampati fuori della città.Ancora prima di assumere la sua carica Pompeo inun'adunanza popolare, promossa dal tribuno Marco Lol-lio Palicano, fece pubblicamente e formalmente adesio-ne al programma democratico. La riforma della costitu-zione con quest'atto era decisa.

6. Ristabilimento del regime democratico.

Si procedette quindi con tutta serietà alla soppressionedelle istituzioni sillane.Prima di tutto fu ristabilita nella sua antica autorità lacarica tribunizia. Pompeo stesso nella sua qualità di

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tore di Spartaco, almeno l'onore del solenne ingressonella capitale.Ai due eserciti italici, alle sterminate ricchezze ed allademocrazia, che, strette in lega, sorgevano a rovesciarela costituzione di Silla, il senato non aveva altro da con-trapporre fuorchè, forse, il secondo esercito spagnuolocapitanato da Quinto Metello Pio.Ma Silla aveva giustamente predetto che ciò che egliaveva fatto non sarebbe avvenuto una seconda volta;Metello, non inclinato assolutamente a mescolarsi inuna guerra civile, aveva licenziato i suoi soldati appenavalicate le Alpi. Così all'oligarchia non rimaneva altroche adattarsi alla necessità. Il senato accordò le necessa-rie dispense pel consolato e pel trionfo; Pompeo e Cras-so furono eletti consoli, senza trovare ostacoli, perl'anno 684 = 70, mentre i loro eserciti, col pretesto di at-tendere il trionfo, stavano accampati fuori della città.Ancora prima di assumere la sua carica Pompeo inun'adunanza popolare, promossa dal tribuno Marco Lol-lio Palicano, fece pubblicamente e formalmente adesio-ne al programma democratico. La riforma della costitu-zione con quest'atto era decisa.

6. Ristabilimento del regime democratico.

Si procedette quindi con tutta serietà alla soppressionedelle istituzioni sillane.Prima di tutto fu ristabilita nella sua antica autorità lacarica tribunizia. Pompeo stesso nella sua qualità di

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console propose la legge che restituiva ai tribuni del po-polo i loro antichi privilegi, e specialmente l'iniziativalegislativa: dono singolare dalle mani dell'uomo cheaveva contribuito più di qualunque altro a strappare alcomune i suoi antichi diritti.Quanto alla carica dei giurati fu soppressa l'ordinanza diSilla, che l'elenco dei senatori dovesse servire come listadei giurati; ma non si venne perciò ad una pura e sem-plice restaurazione dei tribunali dei cavalieri istituiti daGracco. La nuova legge aureliana stabiliva, che in avve-nire i collegi dei giurati dovessero comporsi per un terzodi senatori, per due terzi di uomini aventi il censo deicavalieri, e che la metà di questi ultimi avesse coperta lacarica di presidente di tribù, ossia il cosidetto tribunatodi cassa.Quest'ultima innovazione era un'ulteriore concessionefatta ai democratici, mentre per essa almeno la terza par-te dei giurati criminali come i giurati civili del tribunaledei cento, usciva indirettamente dalle elezioni della tri-bù. Se il senato non fu interamente respinto dai tribuna-li, conviene cercare la ragione, a quanto pare, sia nellerelazioni di Crasso col medesimo, sia nella adesione delpartito aristocratico moderato del senato alla coalizione,colla quale adesione si connette la circostanza, che ilpretore Lucio Cotta, fratello del capo recentemente mor-to di quel partito, fu quegli che propose questa legge.Non meno importante fu la soppressione dell'ordina-mento delle imposte stabilito da Silla per la provinciad'Asia, che avvenne probabilmente anche in quest'anno;

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console propose la legge che restituiva ai tribuni del po-polo i loro antichi privilegi, e specialmente l'iniziativalegislativa: dono singolare dalle mani dell'uomo cheaveva contribuito più di qualunque altro a strappare alcomune i suoi antichi diritti.Quanto alla carica dei giurati fu soppressa l'ordinanza diSilla, che l'elenco dei senatori dovesse servire come listadei giurati; ma non si venne perciò ad una pura e sem-plice restaurazione dei tribunali dei cavalieri istituiti daGracco. La nuova legge aureliana stabiliva, che in avve-nire i collegi dei giurati dovessero comporsi per un terzodi senatori, per due terzi di uomini aventi il censo deicavalieri, e che la metà di questi ultimi avesse coperta lacarica di presidente di tribù, ossia il cosidetto tribunatodi cassa.Quest'ultima innovazione era un'ulteriore concessionefatta ai democratici, mentre per essa almeno la terza par-te dei giurati criminali come i giurati civili del tribunaledei cento, usciva indirettamente dalle elezioni della tri-bù. Se il senato non fu interamente respinto dai tribuna-li, conviene cercare la ragione, a quanto pare, sia nellerelazioni di Crasso col medesimo, sia nella adesione delpartito aristocratico moderato del senato alla coalizione,colla quale adesione si connette la circostanza, che ilpretore Lucio Cotta, fratello del capo recentemente mor-to di quel partito, fu quegli che propose questa legge.Non meno importante fu la soppressione dell'ordina-mento delle imposte stabilito da Silla per la provinciad'Asia, che avvenne probabilmente anche in quest'anno;

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il governatore dell'Asia, Lucio Lucullo, fu invitato a ri-stabilire il sistema degli appalti introdotto da Caio Grac-co, restituendo così ai grandi capitalisti questa importan-te sorgente di danaro e di potere.Finalmente fu ristabilita la censura. Le elezioni che inuovi consoli indirono poco dopo assunta la loro carica,caddero, a evidente scherno del senato, sui due consolidell'anno 682 = 72, Gneo Lentulo Clodiano e LucioGellio, i quali, per la loro dappocaggine nella guerracontro Spartaco, erano stati dal senato spogliati dellaloro carica di comandanti.È naturale che questi uomini impiegassero tutti i mezziche l'importante carica offriva loro per incensare i nuoviautocrati ed indispettire il senato.Non meno dell'ottava parte del senato, sessantaquattrosenatori, numero fino allora inaudito, fu cancellata dallalista; fra questi Caio Antonio, già accusato da Caio Ce-sare senza effetto, ed il console dell'anno 683 = 71, Pu-blio Lentulo Sura, e probabilmente anche non poche frale più odiate creature di Silla.

7. La nuova costituzione.

Così col 684 = 70 si era ritornati in sostanza allo statoche esisteva prima della restaurazione di Silla.La plebe della capitale era di nuovo nutrita a carico delpubblico erario, o per dir meglio, a carico delle provin-ce; il pretore tribunizio accordava ancora ad ogni dema-gogo il privilegio legale di sconvolgere le pubbliche isti-

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il governatore dell'Asia, Lucio Lucullo, fu invitato a ri-stabilire il sistema degli appalti introdotto da Caio Grac-co, restituendo così ai grandi capitalisti questa importan-te sorgente di danaro e di potere.Finalmente fu ristabilita la censura. Le elezioni che inuovi consoli indirono poco dopo assunta la loro carica,caddero, a evidente scherno del senato, sui due consolidell'anno 682 = 72, Gneo Lentulo Clodiano e LucioGellio, i quali, per la loro dappocaggine nella guerracontro Spartaco, erano stati dal senato spogliati dellaloro carica di comandanti.È naturale che questi uomini impiegassero tutti i mezziche l'importante carica offriva loro per incensare i nuoviautocrati ed indispettire il senato.Non meno dell'ottava parte del senato, sessantaquattrosenatori, numero fino allora inaudito, fu cancellata dallalista; fra questi Caio Antonio, già accusato da Caio Ce-sare senza effetto, ed il console dell'anno 683 = 71, Pu-blio Lentulo Sura, e probabilmente anche non poche frale più odiate creature di Silla.

7. La nuova costituzione.

Così col 684 = 70 si era ritornati in sostanza allo statoche esisteva prima della restaurazione di Silla.La plebe della capitale era di nuovo nutrita a carico delpubblico erario, o per dir meglio, a carico delle provin-ce; il pretore tribunizio accordava ancora ad ogni dema-gogo il privilegio legale di sconvolgere le pubbliche isti-

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tuzioni; ancora l'aristocrazia del danaro, quale detentricedegli appalti, delle imposte e del controllo giudiziariosui governatori, alzava la testa verso il governo con unabaldanza senza esempio; ancora il senato tremava di-nanzi al verdetto dei giurati del ceto dei cavalieri ed alleaccuse dei censori.Il sistema di Silla, che aveva fondato il governo dellanobiltà sulla distruzione della aristocrazia dei capitali edella demagogia, era stato così pienamente rovesciato.Fatta eccezione di alcune determinazioni di minor con-to, la cui abolizione seguì più tardi, come ad esempio larestituzione fatta ai collegi sacerdotali del diritto dicompletarsi nel proprio seno, delle istituzioni generali diSilla non rimase più nulla fuorchè le concessioni, cheegli stesso aveva creduto necessario di fare all'opposi-zione, come il riconoscimento del diritto di cittadini ro-mani a tutti gli italici, o disposizioni che non avevanoun'aperta tendenza di parte, per cui nulla avevano ad ec-cepire anche i democratici giudiziosi, come fra le altrela restrizione dei liberti, l'ordinamento delle competenzedei magistrati ed i cambiamenti materiali nelle leggi cri-minali.La coalizione era meno d'accordo relativamente allequestioni personali promosse da un tale sconvolgimen-to, che non sulle questioni dei principî. I democraticinon si accontentavano del generale riconoscimento delloro programma, ma anche essi ora chiedevano una re-staurazione nel loro senso: ristabilimento della memoriadei loro defunti, punizione degli assassini, richiamo de-

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tuzioni; ancora l'aristocrazia del danaro, quale detentricedegli appalti, delle imposte e del controllo giudiziariosui governatori, alzava la testa verso il governo con unabaldanza senza esempio; ancora il senato tremava di-nanzi al verdetto dei giurati del ceto dei cavalieri ed alleaccuse dei censori.Il sistema di Silla, che aveva fondato il governo dellanobiltà sulla distruzione della aristocrazia dei capitali edella demagogia, era stato così pienamente rovesciato.Fatta eccezione di alcune determinazioni di minor con-to, la cui abolizione seguì più tardi, come ad esempio larestituzione fatta ai collegi sacerdotali del diritto dicompletarsi nel proprio seno, delle istituzioni generali diSilla non rimase più nulla fuorchè le concessioni, cheegli stesso aveva creduto necessario di fare all'opposi-zione, come il riconoscimento del diritto di cittadini ro-mani a tutti gli italici, o disposizioni che non avevanoun'aperta tendenza di parte, per cui nulla avevano ad ec-cepire anche i democratici giudiziosi, come fra le altrela restrizione dei liberti, l'ordinamento delle competenzedei magistrati ed i cambiamenti materiali nelle leggi cri-minali.La coalizione era meno d'accordo relativamente allequestioni personali promosse da un tale sconvolgimen-to, che non sulle questioni dei principî. I democraticinon si accontentavano del generale riconoscimento delloro programma, ma anche essi ora chiedevano una re-staurazione nel loro senso: ristabilimento della memoriadei loro defunti, punizione degli assassini, richiamo de-

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gli esiliati, soppressione della esclusione politica chegravitava sui loro figli, restituzione dei beni confiscatida Silla, indennizzo dei danni colla sostanza degli eredie dei ministri del dittatore.Erano certamente queste le logiche conseguenze che ri-sultavano da una pura vittoria della democrazia; ma lavittoria riportata dalla coalizione del 683 = 71 era benlungi dal potersi chiamare tale. La democrazia vi presta-va il suo nome e il suo programma, gli ufficiali che era-no passati sotto la sua bandiera e prima di tutti Pompeo,vi davano la forza e il complemento; ma essi non pote-vano nè ora nè mai acconsentire ad una reazione, chenon solo avrebbe scosso le esistenti condizioni sin nelleloro fondamenta, ma che alla fine si sarebbe rivolta con-tro essi stessi, che ben si ricordavano di quali uominiPompeo avesse fatto versare il sangue, e come Crassoavesse poste le basi della sua immensa fortuna.Così si comprende facilmente, ed è pure una prova delladebolezza della democrazia, come la coalizione del 683= 71 non facesse assolutamente nulla per procurare aidemocratici una vendetta, o anche solo una riabilitazio-ne. La posteriore esazione di tutte le somme arretrateper i beni acquistati che provenivano da confische, e diquelle condonate da Silla agli acquirenti, stabilita dalcensore Lentulo con una apposita legge, si può appenaconsiderare come un'eccezione; poichè sebbene collamedesima non pochi aderenti di Silla venissero sensibil-mente danneggiati nei loro personali interessi, pure lamisura stessa era in sostanza una conferma delle confi-

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gli esiliati, soppressione della esclusione politica chegravitava sui loro figli, restituzione dei beni confiscatida Silla, indennizzo dei danni colla sostanza degli eredie dei ministri del dittatore.Erano certamente queste le logiche conseguenze che ri-sultavano da una pura vittoria della democrazia; ma lavittoria riportata dalla coalizione del 683 = 71 era benlungi dal potersi chiamare tale. La democrazia vi presta-va il suo nome e il suo programma, gli ufficiali che era-no passati sotto la sua bandiera e prima di tutti Pompeo,vi davano la forza e il complemento; ma essi non pote-vano nè ora nè mai acconsentire ad una reazione, chenon solo avrebbe scosso le esistenti condizioni sin nelleloro fondamenta, ma che alla fine si sarebbe rivolta con-tro essi stessi, che ben si ricordavano di quali uominiPompeo avesse fatto versare il sangue, e come Crassoavesse poste le basi della sua immensa fortuna.Così si comprende facilmente, ed è pure una prova delladebolezza della democrazia, come la coalizione del 683= 71 non facesse assolutamente nulla per procurare aidemocratici una vendetta, o anche solo una riabilitazio-ne. La posteriore esazione di tutte le somme arretrateper i beni acquistati che provenivano da confische, e diquelle condonate da Silla agli acquirenti, stabilita dalcensore Lentulo con una apposita legge, si può appenaconsiderare come un'eccezione; poichè sebbene collamedesima non pochi aderenti di Silla venissero sensibil-mente danneggiati nei loro personali interessi, pure lamisura stessa era in sostanza una conferma delle confi-

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sche intraprese da Silla.L'opera di Silla era così distrutta; ma con ciò piuttostoche determinare si metteva in dubbio quello che dovevaavvenire.

8. Minaccia d'una dittatura militare di Pompeo.

La coalizione, tenuta assieme solo per lo scopo comunedi togliere di mezzo l'opera della restaurazione, sisciolse da sè quando l'ebbe ottenuto, se non di nome,almeno di fatto; ma per stabilire poi da qual partedovesse convergere il punto di gravità della potenza,sembrava prepararsi uno scioglimento pronto e violento.Gli eserciti di Pompeo e di Crasso stavano ancora atten-dati alle porte della città. Pompeo veramente aveva pro-messo di licenziare i soldati dopo il trionfo (ultimo gior-no di dicembre del 683 = 71); ma questa misura fu allo-ra sospesa per condurre a termine senza contrasti la ri-voluzione politica sotto la pressione che esercitava sullacittà e sul senato l'esercito di Spagna accampato sotto lemura, e la stessa misura per lo stesso motivo fu ancheapplicata all'esercito di Crasso.Questo motivo ora più non esisteva; ma non si procede-va allo scioglimento dell'esercito. Le cose sembravanodisporsi in modo come se uno dei due generali alleaticolla democrazia dovesse assumere la dittatura militaree stringere nei medesimi ceppi gli oligarchi e i democra-tici.Quest'uno non poteva essere che Pompeo. Crasso fin da

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sche intraprese da Silla.L'opera di Silla era così distrutta; ma con ciò piuttostoche determinare si metteva in dubbio quello che dovevaavvenire.

8. Minaccia d'una dittatura militare di Pompeo.

La coalizione, tenuta assieme solo per lo scopo comunedi togliere di mezzo l'opera della restaurazione, sisciolse da sè quando l'ebbe ottenuto, se non di nome,almeno di fatto; ma per stabilire poi da qual partedovesse convergere il punto di gravità della potenza,sembrava prepararsi uno scioglimento pronto e violento.Gli eserciti di Pompeo e di Crasso stavano ancora atten-dati alle porte della città. Pompeo veramente aveva pro-messo di licenziare i soldati dopo il trionfo (ultimo gior-no di dicembre del 683 = 71); ma questa misura fu allo-ra sospesa per condurre a termine senza contrasti la ri-voluzione politica sotto la pressione che esercitava sullacittà e sul senato l'esercito di Spagna accampato sotto lemura, e la stessa misura per lo stesso motivo fu ancheapplicata all'esercito di Crasso.Questo motivo ora più non esisteva; ma non si procede-va allo scioglimento dell'esercito. Le cose sembravanodisporsi in modo come se uno dei due generali alleaticolla democrazia dovesse assumere la dittatura militaree stringere nei medesimi ceppi gli oligarchi e i democra-tici.Quest'uno non poteva essere che Pompeo. Crasso fin da

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principio aveva avuto una parte secondaria nella coali-zione; egli era stato costretto ad offrirsi, ed all'orgoglio-sa intercessione di Pompeo aveva specialmente dovutola sua elezione al consolato.Molto più forte, Pompeo era evidentemente il padronedella situazione; se egli fosse stato da tanto, sembravache dovesse divenire ciò che l'istinto della moltitudinegià allora gli profetizzava, cioè l'assoluto padrone delpiù possente stato del mondo civile.Già tutta la massa dei servili si accalcava intorno al fu-turo monarca. Già i più deboli avversari cercavano laloro ultima salvezza in una nuova coalizione; Crasso,tormentato da gelosia antica e recente contro il suo piùgiovine rivale, che gli era assolutamente superiore, siaccostò al senato e tentò, con spese senza esempio, diguadagnarsi la plebe della capitale, come se l'oligarchiacaduta per opera dello stesso Crasso e la sempre ingratamoltitudine avessero potuto procurargli un qualsiasisoccorso contro i veterani dell'esercito spagnuolo.Vi fu un momento in cui parve che si dovesse venire adun combattimento fuori delle porte della capitale tra idue eserciti di Pompeo e di Crasso. Ma questa catastrofefu evitata dai democratici colla loro avvedutezza ed ar-rendevolezza. Anche al partito democratico, non menoche al senato e a Crasso, importava moltissimo chePompeo non afferrasse la dittatura; ma, con più giustoapprezzamento della propria debolezza e del caratteredel possente avversario, i suoi capi tentarono la via dellaconciliazione.

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principio aveva avuto una parte secondaria nella coali-zione; egli era stato costretto ad offrirsi, ed all'orgoglio-sa intercessione di Pompeo aveva specialmente dovutola sua elezione al consolato.Molto più forte, Pompeo era evidentemente il padronedella situazione; se egli fosse stato da tanto, sembravache dovesse divenire ciò che l'istinto della moltitudinegià allora gli profetizzava, cioè l'assoluto padrone delpiù possente stato del mondo civile.Già tutta la massa dei servili si accalcava intorno al fu-turo monarca. Già i più deboli avversari cercavano laloro ultima salvezza in una nuova coalizione; Crasso,tormentato da gelosia antica e recente contro il suo piùgiovine rivale, che gli era assolutamente superiore, siaccostò al senato e tentò, con spese senza esempio, diguadagnarsi la plebe della capitale, come se l'oligarchiacaduta per opera dello stesso Crasso e la sempre ingratamoltitudine avessero potuto procurargli un qualsiasisoccorso contro i veterani dell'esercito spagnuolo.Vi fu un momento in cui parve che si dovesse venire adun combattimento fuori delle porte della capitale tra idue eserciti di Pompeo e di Crasso. Ma questa catastrofefu evitata dai democratici colla loro avvedutezza ed ar-rendevolezza. Anche al partito democratico, non menoche al senato e a Crasso, importava moltissimo chePompeo non afferrasse la dittatura; ma, con più giustoapprezzamento della propria debolezza e del caratteredel possente avversario, i suoi capi tentarono la via dellaconciliazione.

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A Pompeo non mancava nessun'altra condizione perstendere la mano alla corona, se non la principale: il co-raggio di essere re.Abbiamo già descritto quest'uomo con la sua tendenzaad essere al tempo stesso repubblicano leale e padronedi Roma, senza idee chiare e senza volontà, colla suapieghevolezza nascosta sotto gli impulsi di risoluzionicontrastanti.

9. Pompeo si ritira.

Era questa la prima grande prova alla quale venivasottoposto dal destino, ed egli non vi resse.Il pretesto, per cui Pompeo si rifiutava di licenziarel'esercito, era che egli non si fidava di Crasso e non po-teva quindi essere il primo a prendere questa risoluzio-ne. I democratici decisero Crasso a fare i primi passi peruna riconciliazione e porgere al collega la mano in se-gno di pace al cospetto di tutti; ed in seguito assediaronoPompeo affinchè al duplice merito di aver vinti i nemicie di aver riconciliati i partiti, egli volesse aggiungere ilterzo e più grande, quello di mantenere la pace interna escongiurare il minacciante mostro di una guerra civile.Tutto ciò che può fare impressione sull'animo di unuomo vanaglorioso, poco destro, tentennante, fu detto;tutte le arti lusinghiere della diplomazia, tutto lo sfarzoteatrale dell'entusiasmo patriottico fu messo in opera perraggiungere lo scopo desiderato; ma ciò che più valeva,lo stato delle cose si era talmente cambiato coll'arrende-

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A Pompeo non mancava nessun'altra condizione perstendere la mano alla corona, se non la principale: il co-raggio di essere re.Abbiamo già descritto quest'uomo con la sua tendenzaad essere al tempo stesso repubblicano leale e padronedi Roma, senza idee chiare e senza volontà, colla suapieghevolezza nascosta sotto gli impulsi di risoluzionicontrastanti.

9. Pompeo si ritira.

Era questa la prima grande prova alla quale venivasottoposto dal destino, ed egli non vi resse.Il pretesto, per cui Pompeo si rifiutava di licenziarel'esercito, era che egli non si fidava di Crasso e non po-teva quindi essere il primo a prendere questa risoluzio-ne. I democratici decisero Crasso a fare i primi passi peruna riconciliazione e porgere al collega la mano in se-gno di pace al cospetto di tutti; ed in seguito assediaronoPompeo affinchè al duplice merito di aver vinti i nemicie di aver riconciliati i partiti, egli volesse aggiungere ilterzo e più grande, quello di mantenere la pace interna escongiurare il minacciante mostro di una guerra civile.Tutto ciò che può fare impressione sull'animo di unuomo vanaglorioso, poco destro, tentennante, fu detto;tutte le arti lusinghiere della diplomazia, tutto lo sfarzoteatrale dell'entusiasmo patriottico fu messo in opera perraggiungere lo scopo desiderato; ma ciò che più valeva,lo stato delle cose si era talmente cambiato coll'arrende-

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volezza di Crasso, venuta così a proposito, che a Pom-peo altro non rimaneva che sorgere addirittura come ti-ranno o ritirarsi.Così egli finalmente cedette e acconsentì a ritirare l'eser-cito. Quanto al comando della guerra contro Mitridate, acui certamente egli aspirava quando si era fatto nominarconsole pel 684 = 70, ora non lo poteva più desiderare,giacchè colla campagna del 683 = 71 sembrava che Lu-cullo la avesse effettivamente terminata; egli giudicò in-degno della sua dignità l'accettare la provincia consolaredestinatagli dal senato a tenore della legge sempronia, eCrasso seguì in ciò il suo esempio.Così Pompeo, licenziati i suoi soldati e deposta, l'ultimogiorno del 684 = 70, la sua carica di console, si ritrasseinteramente dagli affari pubblici, dichiarando di volervivere d'allora in poi da semplice cittadino in tranquilloriposo.Egli si era messo in una posizione da dover stendere lamano alla corona, e non volendolo fare, non gli rimane-va altra parte che quella meschina di un rassegnato pre-tendente al trono.

10. Senato, cavalieri e popolani.

La ritirata dalla scena politica dell'uomo, cui secondo lostato delle cose spettava il primo posto, ricondussepresso a poco alla medesima condizione dei partiti, chenoi trovammo nell'epoca dei Gracchi e di Mario. Sillanon aveva dato il governo nelle mani del senato, ma

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volezza di Crasso, venuta così a proposito, che a Pom-peo altro non rimaneva che sorgere addirittura come ti-ranno o ritirarsi.Così egli finalmente cedette e acconsentì a ritirare l'eser-cito. Quanto al comando della guerra contro Mitridate, acui certamente egli aspirava quando si era fatto nominarconsole pel 684 = 70, ora non lo poteva più desiderare,giacchè colla campagna del 683 = 71 sembrava che Lu-cullo la avesse effettivamente terminata; egli giudicò in-degno della sua dignità l'accettare la provincia consolaredestinatagli dal senato a tenore della legge sempronia, eCrasso seguì in ciò il suo esempio.Così Pompeo, licenziati i suoi soldati e deposta, l'ultimogiorno del 684 = 70, la sua carica di console, si ritrasseinteramente dagli affari pubblici, dichiarando di volervivere d'allora in poi da semplice cittadino in tranquilloriposo.Egli si era messo in una posizione da dover stendere lamano alla corona, e non volendolo fare, non gli rimane-va altra parte che quella meschina di un rassegnato pre-tendente al trono.

10. Senato, cavalieri e popolani.

La ritirata dalla scena politica dell'uomo, cui secondo lostato delle cose spettava il primo posto, ricondussepresso a poco alla medesima condizione dei partiti, chenoi trovammo nell'epoca dei Gracchi e di Mario. Sillanon aveva dato il governo nelle mani del senato, ma

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glielo aveva assicurato; e così rimase al senato, anchedopo cadute le dighe costruite da Silla, mentre lacostituzione, colla quale esso governava, in sostanzaquella di Gracco, era imbevuta di uno spirito avversoall'oligarchia.La democrazia aveva ottenuto il ristabilimento della co-stituzione di Gracco; ma senza un nuovo Gracco era uncorpo senza capo ed era per sè stesso evidente e dagliultimi avvenimenti dimostrato ancor più chiaramente,che questo capo non poteva essere nè Pompeo nè Cras-so. Così l'opposizione democratica, in mancanza di uncapo il quale afferrasse addirittura il timone, doveva peril momento accontentarsi di frenare e molestare conti-nuamente il governo. Ma fra l'oligarchia e la democraziasorse a nuova considerazione il partito dei capitalisti, ilquale nell'ultima crisi aveva fatto causa comune con laseconda, e che gli oligarchi erano ora intenti a tirare dal-la loro per procurarsi un contrappeso contro la democra-zia.Accarezzati dalle due parti, i capitalisti non mancaronodi trar profitto dalla vantaggiosa loro posizione facendoora (687 = 67) restituire con un plebiscito il solo degliantichi privilegi che loro mancasse ancora, cioè le 14panche riservate in teatro alla classe dei cavalieri. Cosìessa, in tutto, senza romperla bruscamente colla demo-crazia, si andava accostando maggiormente al governo.Già i rapporti del senato con Crasso ed i suoi clienti lodimostrano; ma una migliore armonia sembra subentratatra il senato e l'aristocrazia dei capitalisti colla circostan-

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glielo aveva assicurato; e così rimase al senato, anchedopo cadute le dighe costruite da Silla, mentre lacostituzione, colla quale esso governava, in sostanzaquella di Gracco, era imbevuta di uno spirito avversoall'oligarchia.La democrazia aveva ottenuto il ristabilimento della co-stituzione di Gracco; ma senza un nuovo Gracco era uncorpo senza capo ed era per sè stesso evidente e dagliultimi avvenimenti dimostrato ancor più chiaramente,che questo capo non poteva essere nè Pompeo nè Cras-so. Così l'opposizione democratica, in mancanza di uncapo il quale afferrasse addirittura il timone, doveva peril momento accontentarsi di frenare e molestare conti-nuamente il governo. Ma fra l'oligarchia e la democraziasorse a nuova considerazione il partito dei capitalisti, ilquale nell'ultima crisi aveva fatto causa comune con laseconda, e che gli oligarchi erano ora intenti a tirare dal-la loro per procurarsi un contrappeso contro la democra-zia.Accarezzati dalle due parti, i capitalisti non mancaronodi trar profitto dalla vantaggiosa loro posizione facendoora (687 = 67) restituire con un plebiscito il solo degliantichi privilegi che loro mancasse ancora, cioè le 14panche riservate in teatro alla classe dei cavalieri. Cosìessa, in tutto, senza romperla bruscamente colla demo-crazia, si andava accostando maggiormente al governo.Già i rapporti del senato con Crasso ed i suoi clienti lodimostrano; ma una migliore armonia sembra subentratatra il senato e l'aristocrazia dei capitalisti colla circostan-

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za che il senato tolse nel 686 = 68 al più valente fra isuoi ufficiali, Lucio Lucullo, dietro i reclami dei capita-listi da questi gravemente offesi, il governo della pro-vincia d'Asia, per essi di tanta importanza.

11. Ritorno di Pompeo.

Ma mentre le fazioni della capitale continuavano nelleloro solite contese, senza che ne uscisse una veradecisione, gli affari in oriente, come abbiam già narrato,seguivano il loro fatale corso, e questi avvenimentierano quelli che spingevano alla crisi il tentennanteandamento della politica della capitale.La guerra continentale e la marittima vi avevano presouna pessima piega. Al principio del 687 = 67 l'esercitopontico dei Romani era stato distrutto, quello dell'Arme-nia si ritirava in pieno dissolvimento, tutte le conquisteerano perdute, il mare era esclusivamente in potere deipirati, i prezzi dei cereali per tal cagione in Italia eranosaliti tanto alti che si temeva una vera carestia.Questa misera condizione era certo da attribuirsi, comeabbiam veduto, agli errori dei generali e specialmentealla totale inettitudine dell'ammiraglio Marc'Antonio, ealla temerità di Lucio Lucullo, d'altra parte valente capi-tano; certo anche la democrazia aveva concorso essen-zialmente alla dissoluzione dell'esercito armeno collesue agitazioni. Ma naturalmente ora si rendevasenz'altro responsabile il governo di tuttociò che essi egli altri avevano guastato e l'astiosa ed affamata moltitu-

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za che il senato tolse nel 686 = 68 al più valente fra isuoi ufficiali, Lucio Lucullo, dietro i reclami dei capita-listi da questi gravemente offesi, il governo della pro-vincia d'Asia, per essi di tanta importanza.

11. Ritorno di Pompeo.

Ma mentre le fazioni della capitale continuavano nelleloro solite contese, senza che ne uscisse una veradecisione, gli affari in oriente, come abbiam già narrato,seguivano il loro fatale corso, e questi avvenimentierano quelli che spingevano alla crisi il tentennanteandamento della politica della capitale.La guerra continentale e la marittima vi avevano presouna pessima piega. Al principio del 687 = 67 l'esercitopontico dei Romani era stato distrutto, quello dell'Arme-nia si ritirava in pieno dissolvimento, tutte le conquisteerano perdute, il mare era esclusivamente in potere deipirati, i prezzi dei cereali per tal cagione in Italia eranosaliti tanto alti che si temeva una vera carestia.Questa misera condizione era certo da attribuirsi, comeabbiam veduto, agli errori dei generali e specialmentealla totale inettitudine dell'ammiraglio Marc'Antonio, ealla temerità di Lucio Lucullo, d'altra parte valente capi-tano; certo anche la democrazia aveva concorso essen-zialmente alla dissoluzione dell'esercito armeno collesue agitazioni. Ma naturalmente ora si rendevasenz'altro responsabile il governo di tuttociò che essi egli altri avevano guastato e l'astiosa ed affamata moltitu-

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dine attendeva solo un'occasione per aggiustare le parti-te col senato.Fu una crisi decisiva. L'oligarchia, per quanto fosse di-sprezzata e disarmata non era però ancora rovesciata,poichè il reggimento della cosa pubblica era ancora nel-le mani del senato; ma sarebbe caduta se gli avversari sifossero appropriati della suprema direzione degli affarimilitari; e ciò era possibile.Se si fosse proposto ai comizi un altro e miglior mododi condurre la guerra continentale e marittima, era daprevedersi che, tenendo conto dello spirito da cui era in-vasa la borghesia, il senato non sarebbe stato in grado diimpedirne l'adozione; e un intervento della borghesianelle più alte questioni amministrative valeva in fatto ladestituzione del senato e la trasmissione del governodello stato ai capi dell'opposizione.La concatenazione delle cose volle che un'altra volta ladecisione toccasse a Pompeo. Il festeggiato generale vi-veva ormai da oltre due anni nella capitale da sempliceprivato. Di rado si udiva la sua voce in senato e nel foro;in senato egli non era ben veduto e non esercitava alcu-na influenza, nel foro temeva il procelloso dibattersi deipartiti. Ma quando vi si mostrava, ciò avveniva col com-pleto corteggio dei suoi ragguardevoli e bassi clienti, eappunto la sua solenne riservatezza s'imponeva allamoltitudine.Se egli, conservando ancora non menomato il primosplendore dei suoi non comuni successi, si offriva ora diandare in oriente, era sicuro che la borghesia lo avrebbe

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dine attendeva solo un'occasione per aggiustare le parti-te col senato.Fu una crisi decisiva. L'oligarchia, per quanto fosse di-sprezzata e disarmata non era però ancora rovesciata,poichè il reggimento della cosa pubblica era ancora nel-le mani del senato; ma sarebbe caduta se gli avversari sifossero appropriati della suprema direzione degli affarimilitari; e ciò era possibile.Se si fosse proposto ai comizi un altro e miglior mododi condurre la guerra continentale e marittima, era daprevedersi che, tenendo conto dello spirito da cui era in-vasa la borghesia, il senato non sarebbe stato in grado diimpedirne l'adozione; e un intervento della borghesianelle più alte questioni amministrative valeva in fatto ladestituzione del senato e la trasmissione del governodello stato ai capi dell'opposizione.La concatenazione delle cose volle che un'altra volta ladecisione toccasse a Pompeo. Il festeggiato generale vi-veva ormai da oltre due anni nella capitale da sempliceprivato. Di rado si udiva la sua voce in senato e nel foro;in senato egli non era ben veduto e non esercitava alcu-na influenza, nel foro temeva il procelloso dibattersi deipartiti. Ma quando vi si mostrava, ciò avveniva col com-pleto corteggio dei suoi ragguardevoli e bassi clienti, eappunto la sua solenne riservatezza s'imponeva allamoltitudine.Se egli, conservando ancora non menomato il primosplendore dei suoi non comuni successi, si offriva ora diandare in oriente, era sicuro che la borghesia lo avrebbe

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investito volontariamente di tutta l'autorità militare e po-litica ch'egli avesse chiesto. Per l'oligarchia, che scorge-va nella dittatura militare concessa dal popolo la sua si-cura rovina, e in Pompeo stesso dall'epoca della coali-zione del 683 = 71 il suo acerrimo nemico, era questo ilcolpo estremo; ma nemmeno il partito democratico ave-va motivo di stare di buon animo.Per quanto questo partito potesse vedere volentieri chesi mettesse fine al predominio del senato, succedendoperò la cosa in questo modo, essa era meno una sua vit-toria che una vittoria personale del prepotente suo allea-to. Non era difficile che il partito democratico vedessesorgere in lui un avversario molto più pericoloso diquello che fosse il senato.Il pericolo scongiurato felicemente pochi anni prima collicenziamento dell'esercito spagnuolo e col ritiro diPompeo si riaffacciava più tremendo se Pompeo ora simetteva alla testa degli eserciti d'oriente.

12. Caduta del governo senatorio.

Questa volta Pompeo si scosse, o almeno lasciò che altrisi scuotessero per lui.Nel 687 = 67 furono presentati due progetti di legge,uno dei quali ordinava, oltre il licenziamento dei soldatidell'esercito d'Asia che avevano finito il loro servizio,chiesto già da lungo tempo dalla democrazia, il richia-mo del suo supremo duce, Lucio Lucullo, e la sua sosti-tuzione con uno dei consoli del corrente anno, Caio Pi-

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investito volontariamente di tutta l'autorità militare e po-litica ch'egli avesse chiesto. Per l'oligarchia, che scorge-va nella dittatura militare concessa dal popolo la sua si-cura rovina, e in Pompeo stesso dall'epoca della coali-zione del 683 = 71 il suo acerrimo nemico, era questo ilcolpo estremo; ma nemmeno il partito democratico ave-va motivo di stare di buon animo.Per quanto questo partito potesse vedere volentieri chesi mettesse fine al predominio del senato, succedendoperò la cosa in questo modo, essa era meno una sua vit-toria che una vittoria personale del prepotente suo allea-to. Non era difficile che il partito democratico vedessesorgere in lui un avversario molto più pericoloso diquello che fosse il senato.Il pericolo scongiurato felicemente pochi anni prima collicenziamento dell'esercito spagnuolo e col ritiro diPompeo si riaffacciava più tremendo se Pompeo ora simetteva alla testa degli eserciti d'oriente.

12. Caduta del governo senatorio.

Questa volta Pompeo si scosse, o almeno lasciò che altrisi scuotessero per lui.Nel 687 = 67 furono presentati due progetti di legge,uno dei quali ordinava, oltre il licenziamento dei soldatidell'esercito d'Asia che avevano finito il loro servizio,chiesto già da lungo tempo dalla democrazia, il richia-mo del suo supremo duce, Lucio Lucullo, e la sua sosti-tuzione con uno dei consoli del corrente anno, Caio Pi-

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sone e Manio Labrione; l'altro riassumeva e ampliava ilpiano fatto sette anni prima dallo stesso senato per libe-rare i mari dai pirati.Un solo generale, scelto dal senato fra i consolari, dove-va assumere il comando in capo nel Mediterraneo, dalleColonne d'Ercole sino ai lidi pontici e siriaci e nelle co-ste su tutto il litorale sino a dieci leghe nell'interno colconcorso dei relativi luogotenenti romani. Tale carica gliera assicurata per tre anni. Egli aveva uno stato maggio-re, di cui non si era mai veduto in Roma il simile, com-posto di venticinque luogotenenti di grado senatorio,tutti investiti di potere pretorio e con le insegne pretorie,e di due tesorieri con facoltà questorie, tutti da nominar-si esclusivamente secondo la volontà del supremo co-mandante. Il quale era autorizzato a chiamare sotto learmi sino a 120.000 fanti e 5.000 cavalieri e ad adunareuna flotta di 500 navi da guerra, potendo disporre a que-sto scopo, senza restrizione, dei mezzi che offrivano leprovince e gli stati vassalli; oltre a ciò furono subitomesse a sua disposizione le navi da guerra esistenti edun ragguardevole numero di soldati. Inoltre gli dovevaessere aperto un credito illimitato nelle casse dello stato,nella capitale e nelle province, e così pure su quelle deicomuni dipendenti, e, non ostante la imbarazzante penu-ria in cui versavano le finanze, si doveva subito metterea sua disposizione una somma di 144 milioni di sesterzi(L. 33.750.000).È evidente che questi progetti di legge e specialmentequello che si riferisce alla spedizione contro i pirati, ren-

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sone e Manio Labrione; l'altro riassumeva e ampliava ilpiano fatto sette anni prima dallo stesso senato per libe-rare i mari dai pirati.Un solo generale, scelto dal senato fra i consolari, dove-va assumere il comando in capo nel Mediterraneo, dalleColonne d'Ercole sino ai lidi pontici e siriaci e nelle co-ste su tutto il litorale sino a dieci leghe nell'interno colconcorso dei relativi luogotenenti romani. Tale carica gliera assicurata per tre anni. Egli aveva uno stato maggio-re, di cui non si era mai veduto in Roma il simile, com-posto di venticinque luogotenenti di grado senatorio,tutti investiti di potere pretorio e con le insegne pretorie,e di due tesorieri con facoltà questorie, tutti da nominar-si esclusivamente secondo la volontà del supremo co-mandante. Il quale era autorizzato a chiamare sotto learmi sino a 120.000 fanti e 5.000 cavalieri e ad adunareuna flotta di 500 navi da guerra, potendo disporre a que-sto scopo, senza restrizione, dei mezzi che offrivano leprovince e gli stati vassalli; oltre a ciò furono subitomesse a sua disposizione le navi da guerra esistenti edun ragguardevole numero di soldati. Inoltre gli dovevaessere aperto un credito illimitato nelle casse dello stato,nella capitale e nelle province, e così pure su quelle deicomuni dipendenti, e, non ostante la imbarazzante penu-ria in cui versavano le finanze, si doveva subito metterea sua disposizione una somma di 144 milioni di sesterzi(L. 33.750.000).È evidente che questi progetti di legge e specialmentequello che si riferisce alla spedizione contro i pirati, ren-

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devano nullo il governo del senato. I supremi magistratiordinari nominati dai cittadini erano veramente i genera-li di fatto della repubblica e anche i funzionari straordi-nari, per poter essere generali, dovevano, almeno secon-do lo stretto diritto, ottenere la conferma dal popolo; masul conferimento dei singoli comandi i cittadini non ave-vano costituzionalmente alcuna influenza, e solo dietroproposta del senato o dietro quella d'un funzionarioavente il diritto alla carica di generale i comizi si eranosino allora qualche volta immischiati in questi affari edavevano anche assegnata la speciale competenza.Da quando esisteva una repubblica romana, in ciò l'ulti-ma parola spettava piuttosto al senato, e questo suo di-ritto coll'andar del tempo era andato sempre più consoli-dandosi. La democrazia aveva certamente tentatoanch'essa d'ingerirsi in questo affare; ma persino nel piùscabroso dei fatti sinora avvenuti, nella trasmissione delcomando dell'esercito d'Africa a Caio Mario (647 =107), non si trattò che d'un funzionario qualificato aisensi della costituzione a coprire una carica di generalee incaricato da un plebiscito di una speciale spedizione.Ma ora la borghesia non solo aveva facoltà d'investireun qualsiasi privato, ma anche di assegnargli una com-petenza da essa proposta.La scelta, che il senato doveva fare di quest'uomo entrola cerchia dei consolari, non era che una mitigazionenella forma; giacchè la scelta gli era stata lasciata solopel motivo che essa non era più una scelta, e perchè ilsenato, di fronte alla moltitudine tempestosamente agi-

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devano nullo il governo del senato. I supremi magistratiordinari nominati dai cittadini erano veramente i genera-li di fatto della repubblica e anche i funzionari straordi-nari, per poter essere generali, dovevano, almeno secon-do lo stretto diritto, ottenere la conferma dal popolo; masul conferimento dei singoli comandi i cittadini non ave-vano costituzionalmente alcuna influenza, e solo dietroproposta del senato o dietro quella d'un funzionarioavente il diritto alla carica di generale i comizi si eranosino allora qualche volta immischiati in questi affari edavevano anche assegnata la speciale competenza.Da quando esisteva una repubblica romana, in ciò l'ulti-ma parola spettava piuttosto al senato, e questo suo di-ritto coll'andar del tempo era andato sempre più consoli-dandosi. La democrazia aveva certamente tentatoanch'essa d'ingerirsi in questo affare; ma persino nel piùscabroso dei fatti sinora avvenuti, nella trasmissione delcomando dell'esercito d'Africa a Caio Mario (647 =107), non si trattò che d'un funzionario qualificato aisensi della costituzione a coprire una carica di generalee incaricato da un plebiscito di una speciale spedizione.Ma ora la borghesia non solo aveva facoltà d'investireun qualsiasi privato, ma anche di assegnargli una com-petenza da essa proposta.La scelta, che il senato doveva fare di quest'uomo entrola cerchia dei consolari, non era che una mitigazionenella forma; giacchè la scelta gli era stata lasciata solopel motivo che essa non era più una scelta, e perchè ilsenato, di fronte alla moltitudine tempestosamente agi-

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tata, non poteva conferire il supremo comando sul maree sulle coste assolutamente a nessun altro fuorchè aPompeo.Ma più pericolosa di questa negazione fondamentaledell'autorità fu l'effettivo annullamento di essa coll'isti-tuzione di una carica di competenza militare e finanzia-ria quasi illimitata. Mentre la carica di generale si limi-tava di solito al termine di un anno, ad una determinataprovincia, a mezzi militari e finanziari esattamente fis-sati, a questa nuova carica straordinaria fu preventiva-mente fissata la durata di un triennio, che naturalmentenon escludeva un'ulteriore proroga, a tal carica fu sotto-messa la massima parte della provincia e l'Italia stessa,che di solito non dipendeva mai da un'autorità militare,e furono messi a sua disposizione quasi senza restrizio-ne i soldati, le navi, il tesoro dello stato.A favore del nuovo supremo duce fu persino infranta lasu accennata antichissima massima fondamentale deldiritto pubblico della repubblica romana, che il supremopotere militare e civile non potesse venir concesso senzail concorso della borghesia: attribuendo la leggepreventivamente grado e facoltà pretoria10 ai 25 aiutanti,10 Il potere straordinario (pro consule, pro praetore, pro quaestore) secondo

il diritto pubblico dei Romani poteva nascere in tre modi. O dalla massimafondamentale, non applicabile agli uffici municipali, che la carica dovessedurare sino al termine legalmente stabilito e il potere fino all'arrivo delsuccessore, e questo era il caso più antico, il più semplice e il piùfrequente. O esso nasceva dalla nomina fatta dagli organi sussidiari dellostato, specialmente dai comizi e negli ultimi tempi anche dal senato, d'unfunzionario superiore non contemplato dalla costituzione, il quale di solitoera eguale, in rango, al funzionario regolare, ma per segno distintivo dellaeccezionalità della sua carica si chiamava solo pro praetore o pro consule.

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tata, non poteva conferire il supremo comando sul maree sulle coste assolutamente a nessun altro fuorchè aPompeo.Ma più pericolosa di questa negazione fondamentaledell'autorità fu l'effettivo annullamento di essa coll'isti-tuzione di una carica di competenza militare e finanzia-ria quasi illimitata. Mentre la carica di generale si limi-tava di solito al termine di un anno, ad una determinataprovincia, a mezzi militari e finanziari esattamente fis-sati, a questa nuova carica straordinaria fu preventiva-mente fissata la durata di un triennio, che naturalmentenon escludeva un'ulteriore proroga, a tal carica fu sotto-messa la massima parte della provincia e l'Italia stessa,che di solito non dipendeva mai da un'autorità militare,e furono messi a sua disposizione quasi senza restrizio-ne i soldati, le navi, il tesoro dello stato.A favore del nuovo supremo duce fu persino infranta lasu accennata antichissima massima fondamentale deldiritto pubblico della repubblica romana, che il supremopotere militare e civile non potesse venir concesso senzail concorso della borghesia: attribuendo la leggepreventivamente grado e facoltà pretoria10 ai 25 aiutanti,10 Il potere straordinario (pro consule, pro praetore, pro quaestore) secondo

il diritto pubblico dei Romani poteva nascere in tre modi. O dalla massimafondamentale, non applicabile agli uffici municipali, che la carica dovessedurare sino al termine legalmente stabilito e il potere fino all'arrivo delsuccessore, e questo era il caso più antico, il più semplice e il piùfrequente. O esso nasceva dalla nomina fatta dagli organi sussidiari dellostato, specialmente dai comizi e negli ultimi tempi anche dal senato, d'unfunzionario superiore non contemplato dalla costituzione, il quale di solitoera eguale, in rango, al funzionario regolare, ma per segno distintivo dellaeccezionalità della sua carica si chiamava solo pro praetore o pro consule.

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che il supremo duce avrebbe nominato, la supremamagistratura di Roma repubblicana sarebbe statasubordinata ad una carica di nuova creazione, il cuiconveniente nome si doveva fissare in seguito, e cheperò in sostanza conteneva in sè stessa sin da allora lamonarchia.Con questo progetto di legge si faceva il primo passoverso un completo capovolgimento dell'ordine fino allo-ra esistito.

A questa classe appartenevano anche coloro, che in via ordinaria eranoquestori e poi in via straordinaria erano investiti del potere pretorio epersino consolare (quaestores pro praetore o pro consule); nella qualqualità, ad esempio, Publio Lentulo Marcellino nel 689 = 75, andò aCirene (SALLUSTIO, Hist., 2, 39, DIETSCH), Gneo Pisone nel 689 = 65 nellaSpagna citeriore (SALLUSTIO, Cat., 19), Catone nel 686 = 68 a Cipro (VELL.,2, 45). O finalmente il potere straordinario aveva origine nel diritto disostituzione che aveva il supremo funzionario. Questi aveva la facoltà,quando lasciava il suo distretto, o quando era impedito di accudire al suoimpiego, di nominare uno del suoi dipendenti come suo luogotenente, cheallora assumeva il nome di legatus pro praetore (SALLUSTIO, Iug., 36, 37,38), o se la nomina cadeva sul questore, quaestor pro praetore (SALLUSTIO,Iug., 103). Nello stesso modo egli era autorizzato, se non aveva unquestore, di far trattare i suoi affari da uno del suo seguito, il quale allorasi chiamava legatus pro quaestore, e con questo nome lo troviamodapprima nel tetradramma macedone in Sura, sottocomandante delgovernatore della Macedonia del 665-667 = 89-87. Ma questo eracontrario al carattere della costituzione, e perciò, secondo l'antica ragionedi stato, inammissibile che il supremo magistrato, senza essere impeditonella sua gestione, appena entrato in carica investisse uno o parecchi de'suoi subalterni del potere supremo; e sotto questo aspetto erano una novitài legati pro praetore del pro console Pompeo, e già rassomigliavano aquelli, che ai tempi degli imperatori hanno avuta una parte cosìimportante.

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che il supremo duce avrebbe nominato, la supremamagistratura di Roma repubblicana sarebbe statasubordinata ad una carica di nuova creazione, il cuiconveniente nome si doveva fissare in seguito, e cheperò in sostanza conteneva in sè stessa sin da allora lamonarchia.Con questo progetto di legge si faceva il primo passoverso un completo capovolgimento dell'ordine fino allo-ra esistito.

A questa classe appartenevano anche coloro, che in via ordinaria eranoquestori e poi in via straordinaria erano investiti del potere pretorio epersino consolare (quaestores pro praetore o pro consule); nella qualqualità, ad esempio, Publio Lentulo Marcellino nel 689 = 75, andò aCirene (SALLUSTIO, Hist., 2, 39, DIETSCH), Gneo Pisone nel 689 = 65 nellaSpagna citeriore (SALLUSTIO, Cat., 19), Catone nel 686 = 68 a Cipro (VELL.,2, 45). O finalmente il potere straordinario aveva origine nel diritto disostituzione che aveva il supremo funzionario. Questi aveva la facoltà,quando lasciava il suo distretto, o quando era impedito di accudire al suoimpiego, di nominare uno del suoi dipendenti come suo luogotenente, cheallora assumeva il nome di legatus pro praetore (SALLUSTIO, Iug., 36, 37,38), o se la nomina cadeva sul questore, quaestor pro praetore (SALLUSTIO,Iug., 103). Nello stesso modo egli era autorizzato, se non aveva unquestore, di far trattare i suoi affari da uno del suo seguito, il quale allorasi chiamava legatus pro quaestore, e con questo nome lo troviamodapprima nel tetradramma macedone in Sura, sottocomandante delgovernatore della Macedonia del 665-667 = 89-87. Ma questo eracontrario al carattere della costituzione, e perciò, secondo l'antica ragionedi stato, inammissibile che il supremo magistrato, senza essere impeditonella sua gestione, appena entrato in carica investisse uno o parecchi de'suoi subalterni del potere supremo; e sotto questo aspetto erano una novitài legati pro praetore del pro console Pompeo, e già rassomigliavano aquelli, che ai tempi degli imperatori hanno avuta una parte cosìimportante.

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13. Pompeo e le leggi gabinie.

Queste misure, prese da un uomo, che ancora pocoprima aveva dato prove così evidenti della suamediocrità e della sua debolezza, destano meraviglia perl'efficace loro energia.Ma se vediamo ora Pompeo più risoluto che non lo fos-se durante il suo consolato, non è difficile spiegarne lacausa. Non si trattava di mostrarsi subito come monarca,ma di spianare la via alla monarchia con misure militarieccezionali che, per quanto fossero in sè stesse rivolu-zionarie, pure potevano ancora avere una parvenza di le-galità nel quadro della costituzione vigente, e che anzi-tutto avvicinavano Pompeo all'antica meta de' suoi desi-deri: al comando della guerra contro Mitridate e controTigrane.Vi erano poi anche importanti motivi di opportunità perl'emancipazione del potere militare dal senato.Pompeo non poteva aver dimenticato che un piano perla distruzione della pirateria formato cogli identici prin-cipî era fallito pochi anni prima per la cattiva esecuzio-ne che nel metterlo in pratica ne aveva fatto il senato; eche l'esito della guerra di Spagna era stato in gravissimopericolo per la trascuratezza con cui il senato aveva trat-tato gli eserciti o per la sua insana amministrazione del-le finanze; egli non poteva fare a meno di accorgersi chela grande maggioranza dell'aristocrazia gli era contraria,come colui che era apostata del partito di Silla, e dovevasapere quale sarebbe stata la sua sorte, se avesse lasciato

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13. Pompeo e le leggi gabinie.

Queste misure, prese da un uomo, che ancora pocoprima aveva dato prove così evidenti della suamediocrità e della sua debolezza, destano meraviglia perl'efficace loro energia.Ma se vediamo ora Pompeo più risoluto che non lo fos-se durante il suo consolato, non è difficile spiegarne lacausa. Non si trattava di mostrarsi subito come monarca,ma di spianare la via alla monarchia con misure militarieccezionali che, per quanto fossero in sè stesse rivolu-zionarie, pure potevano ancora avere una parvenza di le-galità nel quadro della costituzione vigente, e che anzi-tutto avvicinavano Pompeo all'antica meta de' suoi desi-deri: al comando della guerra contro Mitridate e controTigrane.Vi erano poi anche importanti motivi di opportunità perl'emancipazione del potere militare dal senato.Pompeo non poteva aver dimenticato che un piano perla distruzione della pirateria formato cogli identici prin-cipî era fallito pochi anni prima per la cattiva esecuzio-ne che nel metterlo in pratica ne aveva fatto il senato; eche l'esito della guerra di Spagna era stato in gravissimopericolo per la trascuratezza con cui il senato aveva trat-tato gli eserciti o per la sua insana amministrazione del-le finanze; egli non poteva fare a meno di accorgersi chela grande maggioranza dell'aristocrazia gli era contraria,come colui che era apostata del partito di Silla, e dovevasapere quale sarebbe stata la sua sorte, se avesse lasciato

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che lo si inviasse in oriente colla solita funzione dei ge-nerali del governo.È perciò naturale che egli ponesse per prima condizionealla assunzione del comando, di avere una posizione in-dipendente dal senato, e che la borghesia accettasse dibuon grado tale condizione. Inoltre è molto probabileche questa volta Pompeo venisse trascinato ad agire conmaggiore prontezza da quelli che lo avvicinavano, iquali probabilmente non erano poco sdegnati della suaritirata di pochi anni prima.I progetti di legge sul richiamo di Lucullo e sulla spedi-zione contro i pirati furono presentati dal tribuno del po-polo Aulo Gabinio, uomo rovinato economicamente emoralmente, ma avveduto mediatore, ardito parlatore evaloroso soldato.Per quanto non si prendessero sul serio le assicurazionidi Pompeo che egli assolutamente non aspirasse al su-premo comando nella guerra contro i pirati, e chenull'altro desiderasse che la domestica tranquillità, vi eraperò probabilmente questo di vero, che l'audace e catti-vo cliente il quale si trovava con Pompeo e con i suoipiù intimi in tutta confidenza e conosceva perfettamentegli uomini e le circostanze avrà fatto prendere la deci-sione per sorpresa al poco accorto e impacciato suo pa-trono.La democrazia non poteva pronunciarsi pubblicamentecontro il progetto di legge per quanto i suoi capi ne po-tessero in segreto essere malcontenti. In ogni modo essa,a quanto pare, non avrebbe potuto impedire che fosse

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che lo si inviasse in oriente colla solita funzione dei ge-nerali del governo.È perciò naturale che egli ponesse per prima condizionealla assunzione del comando, di avere una posizione in-dipendente dal senato, e che la borghesia accettasse dibuon grado tale condizione. Inoltre è molto probabileche questa volta Pompeo venisse trascinato ad agire conmaggiore prontezza da quelli che lo avvicinavano, iquali probabilmente non erano poco sdegnati della suaritirata di pochi anni prima.I progetti di legge sul richiamo di Lucullo e sulla spedi-zione contro i pirati furono presentati dal tribuno del po-polo Aulo Gabinio, uomo rovinato economicamente emoralmente, ma avveduto mediatore, ardito parlatore evaloroso soldato.Per quanto non si prendessero sul serio le assicurazionidi Pompeo che egli assolutamente non aspirasse al su-premo comando nella guerra contro i pirati, e chenull'altro desiderasse che la domestica tranquillità, vi eraperò probabilmente questo di vero, che l'audace e catti-vo cliente il quale si trovava con Pompeo e con i suoipiù intimi in tutta confidenza e conosceva perfettamentegli uomini e le circostanze avrà fatto prendere la deci-sione per sorpresa al poco accorto e impacciato suo pa-trono.La democrazia non poteva pronunciarsi pubblicamentecontro il progetto di legge per quanto i suoi capi ne po-tessero in segreto essere malcontenti. In ogni modo essa,a quanto pare, non avrebbe potuto impedire che fosse

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adottato e la sua opposizione avrebbe invece provocatoun'aperta rottura con Pompeo e lo avrebbe obbligato oad accostarsi all'oligarchia o a seguire senza riguardo disorta la sua politica personale in opposizione a tutti edue i partiti.Ai democratici non rimaneva altro da fare che mantene-re ancora questa volta la loro alleanza con Pompeo perquanto vacua essa fosse e di cogliere questa opportunità,per abbattere almeno definitivamente il senato e passaredall'opposizione al governo, lasciando il resto al tempoe alla notoria debolezza di carattere di Pompeo.Perciò appoggiarono i progetti di legge di Gabinio an-che i capi democratici, il pretore Lucio Quinzio, quellostesso che sette anni prima era stato così operoso per larestaurazione del potere tribunizio, e l'ex questore CaioCesare. Le classi privilegiate erano fuori di sè e nonsolo la nobiltà, ma anche l'aristocrazia capitalistica, laquale con uno sconvolgimento così completo si vedevaminacciata ne' suoi diritti particolari e anche questa vol-ta vedeva nel senato il suo vero protettore.Quando il tribuno Gabinio, dopo aver presentato i suoiprogetti di legge, comparve nella curia, mancò poco chei padri della città non lo strozzassero colle loro propriemani, senza riflettere nel loro zelo quanto sarebbe statoper essi svantaggioso un simile modo di argomentare.Il tribuno si salvò recandosi nel foro ed eccitò la molti-tudine ad assalire il senato, quando, ancora in tempo, futolta la seduta. Il console Pisone, il propugnatoredell'oligarchia, venuto per caso nelle mani della plebe,

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adottato e la sua opposizione avrebbe invece provocatoun'aperta rottura con Pompeo e lo avrebbe obbligato oad accostarsi all'oligarchia o a seguire senza riguardo disorta la sua politica personale in opposizione a tutti edue i partiti.Ai democratici non rimaneva altro da fare che mantene-re ancora questa volta la loro alleanza con Pompeo perquanto vacua essa fosse e di cogliere questa opportunità,per abbattere almeno definitivamente il senato e passaredall'opposizione al governo, lasciando il resto al tempoe alla notoria debolezza di carattere di Pompeo.Perciò appoggiarono i progetti di legge di Gabinio an-che i capi democratici, il pretore Lucio Quinzio, quellostesso che sette anni prima era stato così operoso per larestaurazione del potere tribunizio, e l'ex questore CaioCesare. Le classi privilegiate erano fuori di sè e nonsolo la nobiltà, ma anche l'aristocrazia capitalistica, laquale con uno sconvolgimento così completo si vedevaminacciata ne' suoi diritti particolari e anche questa vol-ta vedeva nel senato il suo vero protettore.Quando il tribuno Gabinio, dopo aver presentato i suoiprogetti di legge, comparve nella curia, mancò poco chei padri della città non lo strozzassero colle loro propriemani, senza riflettere nel loro zelo quanto sarebbe statoper essi svantaggioso un simile modo di argomentare.Il tribuno si salvò recandosi nel foro ed eccitò la molti-tudine ad assalire il senato, quando, ancora in tempo, futolta la seduta. Il console Pisone, il propugnatoredell'oligarchia, venuto per caso nelle mani della plebe,

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sarebbe stato certamente vittima del furore popolare seGabinio non si fosse intromesso e non lo avesse libera-to, per non mettere a repentaglio, con un intempestivodelitto, la sua sicura vittoria.L'irritazione della moltitudine non diminuì e trovòsempre nuovo alimento nel prezzo elevato del frumentoe nelle moltissime e per lo più stolte notizie messe incircolazione; per esempio, che Lucio Lucullo avevaimpiegato il danaro assegnatogli per far fronte alle spesedi guerra, in parte mettendolo a frutto in Roma, in partetentando di distogliere con esso il pretore Quinzio dallacausa del popolo; che il senato preparava al «secondoRomolo», come era chiamato Pompeo, la sorte delprimo11 ed altre simili.Intanto venne il giorno della votazione. Foltissima era lamoltitudine nel foro; persino i tetti degli edifici, dondesi poteva vedere la tribuna dell'oratore, erano coperti digente. Tutti i colleghi di Gabinio avevano promesso alsenato di porre il loro veto; ma alla vista delle frementionde delle masse tacquero tutti meno Lucio Prebellio,che aveva giurato a sè stesso e al senato di morire piut-tosto che cedere. Quando questi interpose il veto, Gabi-nio interruppe tosto la votazione dei suoi progetti di leg-ge e propose al popolo adunato di procedere verso il suoricalcitrante collega come s'era proceduto una volta ver-so Ottavio sulla proposta di Tiberio Gracco, cioè di di-metterlo subito dalla sua carica.La legge fu messa ai voti e si cominciò lo scrutinio;11 Una leggenda dice che il re Romolo venne fatto a pezzi dai senatori.

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sarebbe stato certamente vittima del furore popolare seGabinio non si fosse intromesso e non lo avesse libera-to, per non mettere a repentaglio, con un intempestivodelitto, la sua sicura vittoria.L'irritazione della moltitudine non diminuì e trovòsempre nuovo alimento nel prezzo elevato del frumentoe nelle moltissime e per lo più stolte notizie messe incircolazione; per esempio, che Lucio Lucullo avevaimpiegato il danaro assegnatogli per far fronte alle spesedi guerra, in parte mettendolo a frutto in Roma, in partetentando di distogliere con esso il pretore Quinzio dallacausa del popolo; che il senato preparava al «secondoRomolo», come era chiamato Pompeo, la sorte delprimo11 ed altre simili.Intanto venne il giorno della votazione. Foltissima era lamoltitudine nel foro; persino i tetti degli edifici, dondesi poteva vedere la tribuna dell'oratore, erano coperti digente. Tutti i colleghi di Gabinio avevano promesso alsenato di porre il loro veto; ma alla vista delle frementionde delle masse tacquero tutti meno Lucio Prebellio,che aveva giurato a sè stesso e al senato di morire piut-tosto che cedere. Quando questi interpose il veto, Gabi-nio interruppe tosto la votazione dei suoi progetti di leg-ge e propose al popolo adunato di procedere verso il suoricalcitrante collega come s'era proceduto una volta ver-so Ottavio sulla proposta di Tiberio Gracco, cioè di di-metterlo subito dalla sua carica.La legge fu messa ai voti e si cominciò lo scrutinio;11 Una leggenda dice che il re Romolo venne fatto a pezzi dai senatori.

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quando si vide che le prime diciassette tribù si erano di-chiarate favorevoli al progetto, e che il primo voto favo-revole avrebbe dato ad esso la maggioranza, Prebellio,dimentico del giuramento fatto, ritirò pusillanime il suoveto. Invano tentò poi il tribuno Ottone di ottenere al-meno, che invece di uno si nominassero due generali;invano il vecchio Quinto Catulo, il più stimato fra i se-natori, impiegò le ultime sue forze perchè i luogotenentinon fossero nominati dal comandante in capo, ma dalpopolo; Ottone non potè nemmeno farsi intendere per ilchiasso della moltitudine; ottenne ascolto Gabinio collaben calcolata sua officiosità, e la moltitudine udì in ri-spettoso silenzio le parole del vecchio; ma ciò non tolseche fossero parole gettate al vento.Le proposte non solo furono convertite in leggi con tuttele clausole e senza alcun emendamento, ma fu subitoconcesso e completamente tutto ciò che Pompeo chiesein via supplementare.

14. Successi di Pompeo in oriente.

Roma vide partire colle più lusinghiere speranze i duegenerali Pompeo e Glabrione per le loro destinazioni.I prezzi dei cereali erano ridiscesi alle solite proporzionisubito dopo passate le leggi gabinie; fu questa una provadelle speranze che sollevava la grandiosa spedizione e ilglorioso condottiero che la comandava. Esse non solo siverificarono, ma, come si racconterà, furono superate;nel termine di tre mesi la sicurezza dei mari fu comple-

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quando si vide che le prime diciassette tribù si erano di-chiarate favorevoli al progetto, e che il primo voto favo-revole avrebbe dato ad esso la maggioranza, Prebellio,dimentico del giuramento fatto, ritirò pusillanime il suoveto. Invano tentò poi il tribuno Ottone di ottenere al-meno, che invece di uno si nominassero due generali;invano il vecchio Quinto Catulo, il più stimato fra i se-natori, impiegò le ultime sue forze perchè i luogotenentinon fossero nominati dal comandante in capo, ma dalpopolo; Ottone non potè nemmeno farsi intendere per ilchiasso della moltitudine; ottenne ascolto Gabinio collaben calcolata sua officiosità, e la moltitudine udì in ri-spettoso silenzio le parole del vecchio; ma ciò non tolseche fossero parole gettate al vento.Le proposte non solo furono convertite in leggi con tuttele clausole e senza alcun emendamento, ma fu subitoconcesso e completamente tutto ciò che Pompeo chiesein via supplementare.

14. Successi di Pompeo in oriente.

Roma vide partire colle più lusinghiere speranze i duegenerali Pompeo e Glabrione per le loro destinazioni.I prezzi dei cereali erano ridiscesi alle solite proporzionisubito dopo passate le leggi gabinie; fu questa una provadelle speranze che sollevava la grandiosa spedizione e ilglorioso condottiero che la comandava. Esse non solo siverificarono, ma, come si racconterà, furono superate;nel termine di tre mesi la sicurezza dei mari fu comple-

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tamente ristabilita. Dal tempo della guerra annibalica inpoi il governo romano non aveva più spiegata tantaenergia nei rapporti esterni; in faccia alla fiacca ed inettaamministrazione dell'oligarchia, l'opposizione democra-tico-militare, aveva dimostrato nel modo più brillante lasua maturità ad afferrare e reggere le redini dello stato.Gli sforzi antipatriottici non meno che goffi del consolePisone, per porre dei meschini ostacoli alle disposizionidate da tempo per estirpare la pirateria nella Gallia nar-bonense, non fecero che accrescere l'irritazione del po-polo contro l'oligarchia e il suo entusiasmo per Pompeo;il cui intervento personale solo impedì che l'assembleapopolare non deponesse addirittura il console dalla suacarica.Intanto s'era fatta ancora maggiore la confusione sulcontinente asiatico. Glabrione, che doveva assumere in-vece di Lucullo il supremo comando nella guerra controMitridate e Tigrane, si era fermato nell'Asia minore eaveva per mezzo di diversi proclami eccitato i soldaticontro Lucullo, ma non aveva assunto il supremo co-mando, cosicchè Lucullo era costretto a continuare adesercitarlo.Naturalmente contro Mitridate non si era fatto nulla; lacavalleria pontica saccheggiava arditamente e impune-mente la Bitinia e la Cappadocia.A cagione della guerra contro i pirati, Pompeo fu spintoa recarsi col suo esercito nell'Asia minore; nulla era piùnaturale che di conferire a lui il supremo comando dellaguerra pontico-armena, al quale egli da sì lungo tempo

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tamente ristabilita. Dal tempo della guerra annibalica inpoi il governo romano non aveva più spiegata tantaenergia nei rapporti esterni; in faccia alla fiacca ed inettaamministrazione dell'oligarchia, l'opposizione democra-tico-militare, aveva dimostrato nel modo più brillante lasua maturità ad afferrare e reggere le redini dello stato.Gli sforzi antipatriottici non meno che goffi del consolePisone, per porre dei meschini ostacoli alle disposizionidate da tempo per estirpare la pirateria nella Gallia nar-bonense, non fecero che accrescere l'irritazione del po-polo contro l'oligarchia e il suo entusiasmo per Pompeo;il cui intervento personale solo impedì che l'assembleapopolare non deponesse addirittura il console dalla suacarica.Intanto s'era fatta ancora maggiore la confusione sulcontinente asiatico. Glabrione, che doveva assumere in-vece di Lucullo il supremo comando nella guerra controMitridate e Tigrane, si era fermato nell'Asia minore eaveva per mezzo di diversi proclami eccitato i soldaticontro Lucullo, ma non aveva assunto il supremo co-mando, cosicchè Lucullo era costretto a continuare adesercitarlo.Naturalmente contro Mitridate non si era fatto nulla; lacavalleria pontica saccheggiava arditamente e impune-mente la Bitinia e la Cappadocia.A cagione della guerra contro i pirati, Pompeo fu spintoa recarsi col suo esercito nell'Asia minore; nulla era piùnaturale che di conferire a lui il supremo comando dellaguerra pontico-armena, al quale egli da sì lungo tempo

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anelava. Ma il partito democratico in Roma non condi-videva, e ben si comprende, i desideri del suo generale esi guardava bene dal prendere in ciò l'iniziativa.È molto probabile che questo partito avesse indotto Ga-binio a non conferire addirittura a Pompeo il supremocomando della guerra contro Mitridate e di quella controi pirati, ma di assegnare a Glabrione la direzione dellaprima; in nessun caso egli poteva ora voler accrescere eperpetuare la posizione eccezionale dell'ormai troppopotente duce.Anche Pompeo si mantenne, come era suo costume, in-teramente passivo, e sarebbe forse ritornato realmente acasa dopo aver assolto l'incarico avuto, se non si fosseverificato un caso inatteso da tutti i partiti.

15. La legge manilia.

Un tale Caio Manilio, uomo affatto nullo einsignificante, come tribuno del popolo, per i suoiinsulsi progetti di legge, si era messo in urto tantocoll'aristocrazia quanto colla democrazia.Nella speranza di mettersi sotto l'egida del possente ge-nerale col fargli ottenere ciò che egli, come era noto atutti, ardentemente desiderava ma non osava chiedere,propose al popolo di richiamare il governatore Glabrio-ne dalla Bitinia e dal Ponto, Marcio dalla Cilicia e diconferire queste cariche e la direzione della guerrad'oriente, come pure senza limitazione di tempo e inogni caso colla libera facoltà di fare pace ed alleanze, al

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anelava. Ma il partito democratico in Roma non condi-videva, e ben si comprende, i desideri del suo generale esi guardava bene dal prendere in ciò l'iniziativa.È molto probabile che questo partito avesse indotto Ga-binio a non conferire addirittura a Pompeo il supremocomando della guerra contro Mitridate e di quella controi pirati, ma di assegnare a Glabrione la direzione dellaprima; in nessun caso egli poteva ora voler accrescere eperpetuare la posizione eccezionale dell'ormai troppopotente duce.Anche Pompeo si mantenne, come era suo costume, in-teramente passivo, e sarebbe forse ritornato realmente acasa dopo aver assolto l'incarico avuto, se non si fosseverificato un caso inatteso da tutti i partiti.

15. La legge manilia.

Un tale Caio Manilio, uomo affatto nullo einsignificante, come tribuno del popolo, per i suoiinsulsi progetti di legge, si era messo in urto tantocoll'aristocrazia quanto colla democrazia.Nella speranza di mettersi sotto l'egida del possente ge-nerale col fargli ottenere ciò che egli, come era noto atutti, ardentemente desiderava ma non osava chiedere,propose al popolo di richiamare il governatore Glabrio-ne dalla Bitinia e dal Ponto, Marcio dalla Cilicia e diconferire queste cariche e la direzione della guerrad'oriente, come pure senza limitazione di tempo e inogni caso colla libera facoltà di fare pace ed alleanze, al

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proconsole dei mari e delle coste, in aggiunta alla caricadi cui egli era già investito (principio del 688-66).E allora si vide in modo manifesto quanto fosse guastoil meccanismo della costituzione romana, giacchè il po-tere legislativo, quanto all'iniziativa si trovava nellemani di qualsiasi demagogo, e quanto alla decisione inquelle di una moltitudine inesperta e lo si estendeva allepiù importanti questioni amministrative. Il progetto dilegge di Manilio non garbava a nessuno dei partiti poli-tici, tuttavia non trovò quasi nessuna seria resistenza. Icapi della democrazia non osavano opporsi seriamenteper i medesimi motivi che li avevano obbligati ad accet-tare la legge gabinia; essi tennero per sè il malumore edi loro timori, ed in pubblico si pronunciarono in favoredel generale della democrazia. Gli ottimati moderati sidichiararono per la proposta di Manilio, perchè dopo lalegge gabinia ogni resistenza era in fin dei conti inutile,e perchè gli uomini accorti vedevano sin da allora che lavera politica del senato era quella d'avvicinarsi il piùche era possibile a Pompeo, e che conveniva trarlo dallapropria parte, nella prevedibile lotta tra lui e i democra-tici.Infine gli uomini che erano esitanti per sistema, benedi-vano il giorno in cui essi pure potevano manifestareun'opinione senza disgustarsi con nessuno dei partiti. Èdegno di rilievo che Marco Tullio Cicerone iniziò la suacarriera d'oratore politico colla difesa della legge mani-lia.Solo i severi ottimati con Quinzio Catulo alla testa si

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proconsole dei mari e delle coste, in aggiunta alla caricadi cui egli era già investito (principio del 688-66).E allora si vide in modo manifesto quanto fosse guastoil meccanismo della costituzione romana, giacchè il po-tere legislativo, quanto all'iniziativa si trovava nellemani di qualsiasi demagogo, e quanto alla decisione inquelle di una moltitudine inesperta e lo si estendeva allepiù importanti questioni amministrative. Il progetto dilegge di Manilio non garbava a nessuno dei partiti poli-tici, tuttavia non trovò quasi nessuna seria resistenza. Icapi della democrazia non osavano opporsi seriamenteper i medesimi motivi che li avevano obbligati ad accet-tare la legge gabinia; essi tennero per sè il malumore edi loro timori, ed in pubblico si pronunciarono in favoredel generale della democrazia. Gli ottimati moderati sidichiararono per la proposta di Manilio, perchè dopo lalegge gabinia ogni resistenza era in fin dei conti inutile,e perchè gli uomini accorti vedevano sin da allora che lavera politica del senato era quella d'avvicinarsi il piùche era possibile a Pompeo, e che conveniva trarlo dallapropria parte, nella prevedibile lotta tra lui e i democra-tici.Infine gli uomini che erano esitanti per sistema, benedi-vano il giorno in cui essi pure potevano manifestareun'opinione senza disgustarsi con nessuno dei partiti. Èdegno di rilievo che Marco Tullio Cicerone iniziò la suacarriera d'oratore politico colla difesa della legge mani-lia.Solo i severi ottimati con Quinzio Catulo alla testa si

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mostrarono almeno quali erano e parlarono contro ilprogetto. Naturalmente esso fu convertito in legge conuna maggioranza che si avvicinava all'unanimità.Pompeo, con questa legge ebbe, aggiunto agli altri estesipoteri, anche il governo delle più importanti provincedell'Asia minore, cosicchè entro i limiti del vasto statoromano v'era appena qualche luogo che non ubbidisse a'suoi cenni, e la direzione d'una guerra, di cui si potevadire, come della spedizione d'Alessandro, dove e quan-do era incominciata, ma non dove e quando finirebbe.Dacchè Roma era Roma, mai era stata concentrata unatale forza nelle mani di un solo uomo.

16. La rivoluzione democratico-militare.

Le proposte di Gabinio e di Manilio misero fine allalotta tra il senato e il partito popolare, alla qualeavevano dato origine sessanta anni prima le leggisempronie.Come le leggi sempronie avevano organizzato per laprima volta il partito della rivoluzione in opposizionepolitica, così il medesimo passò colle leggi gabinio-manilie dall'opposizione al governo; e come era stato unmomento di suprema importanza quello, nel qualecoll'essere andato a vuoto il veto di Ottavio, fu portato ilprimo colpo alla vigente costituzione, così non fu unmomento meno importante quello in cui col recedere diPrebellio rovinò l'ultimo baluardo del regime senatorio.Ciò fu sentito da entrambe le parti e persino gli animi

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mostrarono almeno quali erano e parlarono contro ilprogetto. Naturalmente esso fu convertito in legge conuna maggioranza che si avvicinava all'unanimità.Pompeo, con questa legge ebbe, aggiunto agli altri estesipoteri, anche il governo delle più importanti provincedell'Asia minore, cosicchè entro i limiti del vasto statoromano v'era appena qualche luogo che non ubbidisse a'suoi cenni, e la direzione d'una guerra, di cui si potevadire, come della spedizione d'Alessandro, dove e quan-do era incominciata, ma non dove e quando finirebbe.Dacchè Roma era Roma, mai era stata concentrata unatale forza nelle mani di un solo uomo.

16. La rivoluzione democratico-militare.

Le proposte di Gabinio e di Manilio misero fine allalotta tra il senato e il partito popolare, alla qualeavevano dato origine sessanta anni prima le leggisempronie.Come le leggi sempronie avevano organizzato per laprima volta il partito della rivoluzione in opposizionepolitica, così il medesimo passò colle leggi gabinio-manilie dall'opposizione al governo; e come era stato unmomento di suprema importanza quello, nel qualecoll'essere andato a vuoto il veto di Ottavio, fu portato ilprimo colpo alla vigente costituzione, così non fu unmomento meno importante quello in cui col recedere diPrebellio rovinò l'ultimo baluardo del regime senatorio.Ciò fu sentito da entrambe le parti e persino gli animi

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vili dei senatori si scossero a questa lotta mortale; ma lalotta della costituzione ebbe fine in modo ben diverso emolto più meschino di quello che fosse stato il suo prin-cipio.Un giovane dotato sotto ogni rapporto di nobili senti-menti aveva iniziata la rivoluzione; essa fu terminata daaudaci intriganti e da demagoghi della più bassa sfera.Se dall'altra parte gli ottimati avevano cominciato conmoderata resistenza, con una seria difesa perseveranteanche nella sconfitta, essi finirono coll'iniziare il dirittodel più forte, con millantatrice fiacchezza e con infra-zione dei giuramenti.Era avvenuto ciò che una volta sembrava un sogno te-merario: il senato aveva cessato di governare. Ma se ipochi vecchi, i quali avevano veduto le prime procelledella rivoluzione e udite le parole dei Gracchi, parago-navano il tempo presente con il passato, essi trovavanotutto cambiato, la campagna e la città, il diritto pubblicoe la disciplina militare, la vita e i costumi, e coloro cheavranno confrontato l'ideale dei tempi dei Gracchi conla sua realizzazione non avranno potuto trattenere undoloroso sospiro.Ma tali considerazioni appartenevano al passato.Per ora e anche per l'avvenire, la caduta dell'aristocraziaera un fatto compiuto. Gli oligarchi rassomigliavano adun esercito in piena rotta, gli sbaragliati corpi del qualepossono rinforzare un altro esercito, ma sono incapaci ditenere ancora da soli il campo o di arrischiare un com-battimento per proprio conto.

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vili dei senatori si scossero a questa lotta mortale; ma lalotta della costituzione ebbe fine in modo ben diverso emolto più meschino di quello che fosse stato il suo prin-cipio.Un giovane dotato sotto ogni rapporto di nobili senti-menti aveva iniziata la rivoluzione; essa fu terminata daaudaci intriganti e da demagoghi della più bassa sfera.Se dall'altra parte gli ottimati avevano cominciato conmoderata resistenza, con una seria difesa perseveranteanche nella sconfitta, essi finirono coll'iniziare il dirittodel più forte, con millantatrice fiacchezza e con infra-zione dei giuramenti.Era avvenuto ciò che una volta sembrava un sogno te-merario: il senato aveva cessato di governare. Ma se ipochi vecchi, i quali avevano veduto le prime procelledella rivoluzione e udite le parole dei Gracchi, parago-navano il tempo presente con il passato, essi trovavanotutto cambiato, la campagna e la città, il diritto pubblicoe la disciplina militare, la vita e i costumi, e coloro cheavranno confrontato l'ideale dei tempi dei Gracchi conla sua realizzazione non avranno potuto trattenere undoloroso sospiro.Ma tali considerazioni appartenevano al passato.Per ora e anche per l'avvenire, la caduta dell'aristocraziaera un fatto compiuto. Gli oligarchi rassomigliavano adun esercito in piena rotta, gli sbaragliati corpi del qualepossono rinforzare un altro esercito, ma sono incapaci ditenere ancora da soli il campo o di arrischiare un com-battimento per proprio conto.

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Ma mentre l'antica lotta inclinava alla fine, già se nepreparava una nuova: la lotta tra le due potenze, alleatesino allora per abbattere il governo aristocratico, l'oppo-sizione democratico-civile e la forza militare, che dive-niva sempre più prepotente.La posizione eccezionale di Pompeo non conciliabileper la legge gabinia con un governo democratico, lo eraancor meno per la legge manilia. Egli, colla leggegabinia, non era stato nominato ammiraglio, mareggente dello stato; non a torto fu chiamato «re dei re»da un greco che era famigliare con le condizionid'oriente.Quando egli un bel giorno, vittorioso e pieno di gloria,carico d'oro e con un esercito affezionato ed agguerrito,ritornasse dall'oriente e stendesse la mano alla corona,chi oserebbe trattenergli il braccio? Il consolare QuintoCatulo ricorrerebbe forse ai senatori, contro il primo ge-nerale del suo tempo e contro le sperimentate sue legio-ni? o il designato edile Caio Cesare alla moltitudine del-la capitale che si era allora allora pasciuta dello spetta-colo delle sue 320 coppie di gladiatori coperti di argen-to?Fra poco, esclamava Catulo, per salvare la libertà, si sa-rebbe nuovamente costretti a rifugiarsi tra le rupi delCampidoglio. Non fu colpa del profeta se la procellanon venne dall'oriente, come egli pensava; ma il destino,interpretando le sue parole più letteralmente di quelloche egli stesso presentisse, evocò l'uragano distruttorepochi anni dopo dal paese dei Celti.

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Ma mentre l'antica lotta inclinava alla fine, già se nepreparava una nuova: la lotta tra le due potenze, alleatesino allora per abbattere il governo aristocratico, l'oppo-sizione democratico-civile e la forza militare, che dive-niva sempre più prepotente.La posizione eccezionale di Pompeo non conciliabileper la legge gabinia con un governo democratico, lo eraancor meno per la legge manilia. Egli, colla leggegabinia, non era stato nominato ammiraglio, mareggente dello stato; non a torto fu chiamato «re dei re»da un greco che era famigliare con le condizionid'oriente.Quando egli un bel giorno, vittorioso e pieno di gloria,carico d'oro e con un esercito affezionato ed agguerrito,ritornasse dall'oriente e stendesse la mano alla corona,chi oserebbe trattenergli il braccio? Il consolare QuintoCatulo ricorrerebbe forse ai senatori, contro il primo ge-nerale del suo tempo e contro le sperimentate sue legio-ni? o il designato edile Caio Cesare alla moltitudine del-la capitale che si era allora allora pasciuta dello spetta-colo delle sue 320 coppie di gladiatori coperti di argen-to?Fra poco, esclamava Catulo, per salvare la libertà, si sa-rebbe nuovamente costretti a rifugiarsi tra le rupi delCampidoglio. Non fu colpa del profeta se la procellanon venne dall'oriente, come egli pensava; ma il destino,interpretando le sue parole più letteralmente di quelloche egli stesso presentisse, evocò l'uragano distruttorepochi anni dopo dal paese dei Celti.

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TERZO CAPITOLOPOMPEO E L'ORIENTE

1. Pompeo distrugge la pirateria.Si è già veduto come in oriente gli affari dei Romaniandassero alla peggio per mare e per terra, quando alprincipio del 687 = 67 Pompeo assunse la direzionedella guerra contro i pirati con poteri quasi illimitati.Egli cominciò l'opera sua dividendo l'immenso territorioassegnatogli in tredici distretti, affidandone ciascuno aduno dei suoi luogotenenti con l'ordine di armarvi navi euomini, di percorrere il litorale, e di prendere o di cac-ciare nella rete di uno dei colleghi le barche dei pirati.Egli stesso con la miglior parte delle navi da guerra di-sponibili, fra le quali anche in questa circostanza si se-gnalarono le rodiote, mise vela sul principio dell'annosgombrando subito i mari della Sicilia, dell'Africa e del-la Sardegna, per far rimettere in corso le spedizioni delfrumento da queste province alla volta dell'Italia.Per lo sgombro delle coste della Spagna e della Gallia,pensavano intanto i suoi luogotenenti. Fu in questa oc-casione che il console Caio Pisone tentò da Roma di im-pedire le leve che Marco Pomponio, legato di Pompeo,aveva ordinato nella provincia narbonense in forza dellalegge gabinia; misura imprudente per opporsi alla qualee al tempo stesso per contenere la giusta irritazione dellamoltitudine contro il console entro i limiti legali, Pom-peo decise di recarsi momentaneamente a Roma.

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TERZO CAPITOLOPOMPEO E L'ORIENTE

1. Pompeo distrugge la pirateria.Si è già veduto come in oriente gli affari dei Romaniandassero alla peggio per mare e per terra, quando alprincipio del 687 = 67 Pompeo assunse la direzionedella guerra contro i pirati con poteri quasi illimitati.Egli cominciò l'opera sua dividendo l'immenso territorioassegnatogli in tredici distretti, affidandone ciascuno aduno dei suoi luogotenenti con l'ordine di armarvi navi euomini, di percorrere il litorale, e di prendere o di cac-ciare nella rete di uno dei colleghi le barche dei pirati.Egli stesso con la miglior parte delle navi da guerra di-sponibili, fra le quali anche in questa circostanza si se-gnalarono le rodiote, mise vela sul principio dell'annosgombrando subito i mari della Sicilia, dell'Africa e del-la Sardegna, per far rimettere in corso le spedizioni delfrumento da queste province alla volta dell'Italia.Per lo sgombro delle coste della Spagna e della Gallia,pensavano intanto i suoi luogotenenti. Fu in questa oc-casione che il console Caio Pisone tentò da Roma di im-pedire le leve che Marco Pomponio, legato di Pompeo,aveva ordinato nella provincia narbonense in forza dellalegge gabinia; misura imprudente per opporsi alla qualee al tempo stesso per contenere la giusta irritazione dellamoltitudine contro il console entro i limiti legali, Pom-peo decise di recarsi momentaneamente a Roma.

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Quando nel termine di quaranta giorni fu ristabilita la si-curezza della navigazione in tutto il bacino occidentaledel Mediterraneo, Pompeo colle migliori sue sessantanavi si recò in oriente, dapprima nelle acque della Liciae della Cilicia, sedi centrali della pirateria.All'annunzio dell'avvicinarsi della flotta romana, nonsolo scomparvero ovunque le barche dei pirati dall'altomare; ma si arresero dopo una debole resistenza anchele piazze forti di Anticrago e di Crago nella Licia. Piùche la paura aprì le porte di queste piazze marittime didifficile accesso la ben calcolata mitezza di Pompeo.I suoi predecessori avevano fatto crocifiggere tutti i pi-rati che erano capitati nelle loro mani; egli diede quar-tiere a tutti senza difficoltà, e trattò con insolita indul-genza specialmente i rematori ordinari che si trovavanonelle barche catturate dei pirati.Solo gli audaci re corsari della Cilicia osarono fare untentativo per resistere ai Romani, almeno nelle proprieacque: dopo aver messo al sicuro nelle loro rocche delTauro i figli e le mogli coi loro copiosi tesori, essi atte-sero le navi romane al confine occidentale della Ciliciaall'altezza di Coracesio. Ma le navi di Pompeo, beneequipaggiate e munite di tutto il necessario, riportaronouna completa vittoria.Senza altri impedimenti Pompeo approdò allora e co-minciò ad espugnare e distruggere le rocche dei corsari,continuando però ad offrire persino ad essi, in premiodella sottomissione, la libertà e la vita.Non andò molto che il maggior numero dei corsari ri-

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Quando nel termine di quaranta giorni fu ristabilita la si-curezza della navigazione in tutto il bacino occidentaledel Mediterraneo, Pompeo colle migliori sue sessantanavi si recò in oriente, dapprima nelle acque della Liciae della Cilicia, sedi centrali della pirateria.All'annunzio dell'avvicinarsi della flotta romana, nonsolo scomparvero ovunque le barche dei pirati dall'altomare; ma si arresero dopo una debole resistenza anchele piazze forti di Anticrago e di Crago nella Licia. Piùche la paura aprì le porte di queste piazze marittime didifficile accesso la ben calcolata mitezza di Pompeo.I suoi predecessori avevano fatto crocifiggere tutti i pi-rati che erano capitati nelle loro mani; egli diede quar-tiere a tutti senza difficoltà, e trattò con insolita indul-genza specialmente i rematori ordinari che si trovavanonelle barche catturate dei pirati.Solo gli audaci re corsari della Cilicia osarono fare untentativo per resistere ai Romani, almeno nelle proprieacque: dopo aver messo al sicuro nelle loro rocche delTauro i figli e le mogli coi loro copiosi tesori, essi atte-sero le navi romane al confine occidentale della Ciliciaall'altezza di Coracesio. Ma le navi di Pompeo, beneequipaggiate e munite di tutto il necessario, riportaronouna completa vittoria.Senza altri impedimenti Pompeo approdò allora e co-minciò ad espugnare e distruggere le rocche dei corsari,continuando però ad offrire persino ad essi, in premiodella sottomissione, la libertà e la vita.Non andò molto che il maggior numero dei corsari ri-

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nunciò a continuare nelle rocche e nei monti una guerrache non lasciava alcuna speranza, e si adattò alla sotto-missione. Quarantanove giorni dopo la venuta di Pom-peo in questo mare, la Cilicia fu sottomessa e la guerrafinita.La pronta soppressione della pirateria fu un grande sol-lievo, ma non già un fatto grandioso; coi mezzi dellostato romano, impiegati senza alcun risparmio, era im-possibile che i pirati potessero misurarsi, come non lopotrebbero le bande di ladri di una grande città controuna polizia bene organizzata.Vi era una ingenuità senza pari nel celebrare come unavittoria una simile impresa. Ma considerata la lunghissi-ma esistenza e la sempre maggiore estensione di questacalamità, è ben naturale che la soppressione sorprenden-temente rapida dei temuti pirati facesse una grandissimaimpressione sul pubblico; e tanto più, che questa era unaprima prova del potere concentrato in un solo individuo,e i partiti aspettavano ansiosamente di vedere se esso sa-pesse governare meglio del collegio.Circa 400 tra barche e battelli, e fra questi 90 vere navida guerra, furono in parte prese da Pompeo, in parte glivennero consegnate; in tutto sarebbero state distruttepresso a poco 1300 navi di pirati e incendiati oltre a ciòi ricchi arsenali e le armerie di quei ladroni. Erano periticirca 10.000 pirati e più di 20.000 erano quelli cadutinelle mani del vincitore, mentre Publio Clodio, l'ammi-raglio romano, che comandava la flotta stanziata nellaCilicia, ed un gran numero di altri personaggi catturati

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nunciò a continuare nelle rocche e nei monti una guerrache non lasciava alcuna speranza, e si adattò alla sotto-missione. Quarantanove giorni dopo la venuta di Pom-peo in questo mare, la Cilicia fu sottomessa e la guerrafinita.La pronta soppressione della pirateria fu un grande sol-lievo, ma non già un fatto grandioso; coi mezzi dellostato romano, impiegati senza alcun risparmio, era im-possibile che i pirati potessero misurarsi, come non lopotrebbero le bande di ladri di una grande città controuna polizia bene organizzata.Vi era una ingenuità senza pari nel celebrare come unavittoria una simile impresa. Ma considerata la lunghissi-ma esistenza e la sempre maggiore estensione di questacalamità, è ben naturale che la soppressione sorprenden-temente rapida dei temuti pirati facesse una grandissimaimpressione sul pubblico; e tanto più, che questa era unaprima prova del potere concentrato in un solo individuo,e i partiti aspettavano ansiosamente di vedere se esso sa-pesse governare meglio del collegio.Circa 400 tra barche e battelli, e fra questi 90 vere navida guerra, furono in parte prese da Pompeo, in parte glivennero consegnate; in tutto sarebbero state distruttepresso a poco 1300 navi di pirati e incendiati oltre a ciòi ricchi arsenali e le armerie di quei ladroni. Erano periticirca 10.000 pirati e più di 20.000 erano quelli cadutinelle mani del vincitore, mentre Publio Clodio, l'ammi-raglio romano, che comandava la flotta stanziata nellaCilicia, ed un gran numero di altri personaggi catturati

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dai pirati, ed in patria creduti morti da molto tempo, permezzo di Pompeo ottenevano la libertà.Nell'estate del 687 = 67, tre mesi dopo la incominciatacampagna, il commercio aveva ripreso il suo andamentoordinario e in Italia invece della precedente carestia re-gnava l'abbondanza.

2. Contese tra Pompeo e Metello.

Un fastidioso intermezzo nell'isola di Creta turbavafrattanto non poco questo consolante successo dellearmi romane. Era già il secondo anno che QuintoMetello stava là occupato a compiere la sottomissionedell'isola, ciò che in sostanza si era già effettuato,quando Pompeo, comparve nelle acque orientali.Era inevitabile una collisione; poichè secondo la leggegabinia, il comando di Pompeo facendo concorrenza aquello di Metello, si estendeva su tutta l'isola, che èmolto lunga, ma in nessun luogo larga oltre le venti mi-glia, tuttavia Pompeo ebbe tanto riguardo da non asse-gnare l'isola a nessuno de' suoi legati.Ma i comuni cretensi ancora recalcitranti, che avevanovisto come i loro compatriotti sottomessi fossero statichiamati da Metello a rispondere della loro condottacolla più crudele severità, e avevano invece udito parla-re delle miti condizioni che Pompeo soleva imporre aipaesi dell'Asia minore che gli si sottomettevano, preferi-rono di assoggettarsi tutti insieme a Pompeo, il quale,allora trovandosi nella Pamfilia, accettò l'offerta dei loro

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dai pirati, ed in patria creduti morti da molto tempo, permezzo di Pompeo ottenevano la libertà.Nell'estate del 687 = 67, tre mesi dopo la incominciatacampagna, il commercio aveva ripreso il suo andamentoordinario e in Italia invece della precedente carestia re-gnava l'abbondanza.

2. Contese tra Pompeo e Metello.

Un fastidioso intermezzo nell'isola di Creta turbavafrattanto non poco questo consolante successo dellearmi romane. Era già il secondo anno che QuintoMetello stava là occupato a compiere la sottomissionedell'isola, ciò che in sostanza si era già effettuato,quando Pompeo, comparve nelle acque orientali.Era inevitabile una collisione; poichè secondo la leggegabinia, il comando di Pompeo facendo concorrenza aquello di Metello, si estendeva su tutta l'isola, che èmolto lunga, ma in nessun luogo larga oltre le venti mi-glia, tuttavia Pompeo ebbe tanto riguardo da non asse-gnare l'isola a nessuno de' suoi legati.Ma i comuni cretensi ancora recalcitranti, che avevanovisto come i loro compatriotti sottomessi fossero statichiamati da Metello a rispondere della loro condottacolla più crudele severità, e avevano invece udito parla-re delle miti condizioni che Pompeo soleva imporre aipaesi dell'Asia minore che gli si sottomettevano, preferi-rono di assoggettarsi tutti insieme a Pompeo, il quale,allora trovandosi nella Pamfilia, accettò l'offerta dei loro

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ambasciatori, e quando tornarono associò loro il suo le-gato Lucio Ottavio, affinchè partecipasse a Metellol'avvenuto trattato e prendesse possesso delle città sotto-messe.Veramente questo modo di procedere non era collegiale;ma il diritto formale era assolutamente dalla parte diPompeo, e Metello aveva torto manifesto se, fingendod'ignorare completamente la convenzione avvenuta trale città e Pompeo, continuava a trattarle ostilmente.Invano Ottavio protestò: invano fece venire dalla Acaiail legato di Pompeo, Lucio Sisenna, essendo egli stessovenuto senza truppe; Metello, non curandosi nè di Otta-vio nè di Sisenna, strinse di assedio Eleuterna e preseLappa d'assalto, ove fu fatto prigioniero Ottavio stesso,e lasciato libero dopo d'essere stato insultato, mentre iCretesi presi con lui venivano consegnati al carnefice.Così si venne a veri combattimenti fra le truppe di Si-senna, alla cui testa, rimasto questi ucciso, si pose Otta-vio, e quelle di Metello. Ottavio, insieme al cretese Ari-stione continuò la guerra persino dopo che le schiere ve-nute con Sisenna erano di nuovo state mandate nell'Aca-ia. Ierapitna, ove si trovavano i due condottieri, fu espu-gnata da Metello solo dopo un'ostinatissima difesa.Lo zelante ottimate Metello aveva in realtà cominciatoper proprio conto una vera guerra civile contro il supre-mo duce della democrazia; una prova dell'indescrivibilescompiglio a cui era ridotto il governo di Roma, fu chequeste scene non ebbero altro risultato fuorchè un'amaracorrispondenza fra i due generali, i quali un paio d'anni

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ambasciatori, e quando tornarono associò loro il suo le-gato Lucio Ottavio, affinchè partecipasse a Metellol'avvenuto trattato e prendesse possesso delle città sotto-messe.Veramente questo modo di procedere non era collegiale;ma il diritto formale era assolutamente dalla parte diPompeo, e Metello aveva torto manifesto se, fingendod'ignorare completamente la convenzione avvenuta trale città e Pompeo, continuava a trattarle ostilmente.Invano Ottavio protestò: invano fece venire dalla Acaiail legato di Pompeo, Lucio Sisenna, essendo egli stessovenuto senza truppe; Metello, non curandosi nè di Otta-vio nè di Sisenna, strinse di assedio Eleuterna e preseLappa d'assalto, ove fu fatto prigioniero Ottavio stesso,e lasciato libero dopo d'essere stato insultato, mentre iCretesi presi con lui venivano consegnati al carnefice.Così si venne a veri combattimenti fra le truppe di Si-senna, alla cui testa, rimasto questi ucciso, si pose Otta-vio, e quelle di Metello. Ottavio, insieme al cretese Ari-stione continuò la guerra persino dopo che le schiere ve-nute con Sisenna erano di nuovo state mandate nell'Aca-ia. Ierapitna, ove si trovavano i due condottieri, fu espu-gnata da Metello solo dopo un'ostinatissima difesa.Lo zelante ottimate Metello aveva in realtà cominciatoper proprio conto una vera guerra civile contro il supre-mo duce della democrazia; una prova dell'indescrivibilescompiglio a cui era ridotto il governo di Roma, fu chequeste scene non ebbero altro risultato fuorchè un'amaracorrispondenza fra i due generali, i quali un paio d'anni

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dopo sedevano di nuovo pacificamente, anzi, «amiche-volmente» l'uno accanto all'altro in senato.

3. Pompeo contro Mitridate.

Durante questi avvenimenti Pompeo si trovava inCilicia. Apparentemente si preparava ad intraprenderel'anno dopo una spedizione contro i Cretesi o per dirmeglio contro Metello, in sostanza stava aspettando ilcenno che lo chiamasse a porre rimedio agliimbrogliatissimi affari dell'Asia minore.Ciò ch'era rimasto dell'esercito di Lucullo, dopo le per-dite sofferte e dopo il licenziamento delle legioni fim-briane, stava inoperoso sull'alto Ali nel paese dei Troc-mi, sul confine del territorio pontico. Provvisoriamentene aveva ancora il comando Lucullo, poichè il suo suc-cessore Glabrione continuava a rimanere nell'Asia mi-nore. E così anche inoperose accampavano nella Ciliciale tre legioni capitanate da Quinto Marcio Re.Tutto il territorio pontico era nuovamente in potere delre Mitridate, che faceva barbaramente scontare la defe-zione dei singoli individui e dei comuni, come peresempio Eupatoria, che si erano accostati ai Romani. Ire dell'oriente non passarono ad una seria offensiva con-tro i Romani, sia che essa in generale non entrasse nelloro piano, sia, come fu anche affermato, che lo sbarcodi Pompeo nella Cilicia decidesse Mitridate e Tigrane adesistere da ulteriori movimenti.Più presto di quello che Pompeo stesso non lo potesse

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dopo sedevano di nuovo pacificamente, anzi, «amiche-volmente» l'uno accanto all'altro in senato.

3. Pompeo contro Mitridate.

Durante questi avvenimenti Pompeo si trovava inCilicia. Apparentemente si preparava ad intraprenderel'anno dopo una spedizione contro i Cretesi o per dirmeglio contro Metello, in sostanza stava aspettando ilcenno che lo chiamasse a porre rimedio agliimbrogliatissimi affari dell'Asia minore.Ciò ch'era rimasto dell'esercito di Lucullo, dopo le per-dite sofferte e dopo il licenziamento delle legioni fim-briane, stava inoperoso sull'alto Ali nel paese dei Troc-mi, sul confine del territorio pontico. Provvisoriamentene aveva ancora il comando Lucullo, poichè il suo suc-cessore Glabrione continuava a rimanere nell'Asia mi-nore. E così anche inoperose accampavano nella Ciliciale tre legioni capitanate da Quinto Marcio Re.Tutto il territorio pontico era nuovamente in potere delre Mitridate, che faceva barbaramente scontare la defe-zione dei singoli individui e dei comuni, come peresempio Eupatoria, che si erano accostati ai Romani. Ire dell'oriente non passarono ad una seria offensiva con-tro i Romani, sia che essa in generale non entrasse nelloro piano, sia, come fu anche affermato, che lo sbarcodi Pompeo nella Cilicia decidesse Mitridate e Tigrane adesistere da ulteriori movimenti.Più presto di quello che Pompeo stesso non lo potesse

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sperare la legge manilia realizzò i suoi desideri: Gla-brione e Re furono richiamati e i governi del Ponto, del-la Bitinia e della Cilicia insieme colle truppe che vi era-no accampate e la condotta della guerra pontico-armenafurono affidate a Pompeo colla facoltà di dichiarareguerra, di concludere pace e di stringere alleanza a suobeneplacito.Colla prospettiva di così grandi onori e di così ricchespoglie Pompeo tralasciò volentieri di punire un ottima-te lunatico e geloso di conservare gli scarsi suoi allori,rinunciò alla spedizione contro Creta e sospese l'ulterio-re persecuzione dei pirati, destinando anche la sua flottaad appoggiare l'attacco da lui progettato contro i re delPonto e dell'Armenia.Tuttavia questa guerra continentale non gli fece perdereinteramente d'occhio la pirateria, che tentava sempre dirialzare il capo. Prima di lasciare l'Asia (691 = 63) fecedisporre le navi necessarie contro i corsari; sulla suaproposta l'anno dopo fu decisa una simile misura perl'Italia, e dal senato fu accordata la somma a ciò neces-saria.Si continuò a coprire le coste con guarnigioni di cavalle-ria e con piccole squadre. Se anche non si venne com-pletamente a capo della distruzione della pirateria, comelo provano le spedizioni contro Cipro del 696 = 58 econtro l'Egitto del 699 = 55, di cui si farà cenno più tar-di, essa dopo la spedizione di Pompeo non ha mai piùpotuto, nonostante tutte le vicissitudini e le crisi politi-che di Roma, rialzare il capo e respingere i Romani dal

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sperare la legge manilia realizzò i suoi desideri: Gla-brione e Re furono richiamati e i governi del Ponto, del-la Bitinia e della Cilicia insieme colle truppe che vi era-no accampate e la condotta della guerra pontico-armenafurono affidate a Pompeo colla facoltà di dichiarareguerra, di concludere pace e di stringere alleanza a suobeneplacito.Colla prospettiva di così grandi onori e di così ricchespoglie Pompeo tralasciò volentieri di punire un ottima-te lunatico e geloso di conservare gli scarsi suoi allori,rinunciò alla spedizione contro Creta e sospese l'ulterio-re persecuzione dei pirati, destinando anche la sua flottaad appoggiare l'attacco da lui progettato contro i re delPonto e dell'Armenia.Tuttavia questa guerra continentale non gli fece perdereinteramente d'occhio la pirateria, che tentava sempre dirialzare il capo. Prima di lasciare l'Asia (691 = 63) fecedisporre le navi necessarie contro i corsari; sulla suaproposta l'anno dopo fu decisa una simile misura perl'Italia, e dal senato fu accordata la somma a ciò neces-saria.Si continuò a coprire le coste con guarnigioni di cavalle-ria e con piccole squadre. Se anche non si venne com-pletamente a capo della distruzione della pirateria, comelo provano le spedizioni contro Cipro del 696 = 58 econtro l'Egitto del 699 = 55, di cui si farà cenno più tar-di, essa dopo la spedizione di Pompeo non ha mai piùpotuto, nonostante tutte le vicissitudini e le crisi politi-che di Roma, rialzare il capo e respingere i Romani dal

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mare in un modo così assoluto come era avvenuto sottoil governo della corrotta oligarchia.

4. Lega con i Parti.

I pochi mesi che rimanevano per l'inizio della campagnanell'Asia minore furono impiegati dal nuovo supremocomandante con indefessa attività in preparativi militarie diplomatici. Furono inviati ambasciatori a Mitridatepiù per spiare che per tentare un serio componimento.Alla corte pontica si sperava che il re dei Parti, Fraate, silascierebbe indurre ad entrare nella lega pontico-armenadagli importanti successi che gli alleati avevano ultima-mente riportato su Roma. Per impedire questo, partironoambasciatori romani per la corte di Ctesifonte; e ad essigiovarono gli interni dissidi che laceravano la dinastiaarmena. Il figlio omonimo del gran re Tigrane si era ri-bellato al padre, o perchè non voleva più a lungo atten-dere la morte del vecchio, o perchè i sospetti del vec-chio, che avevano già costato la vita a parecchi dei suoifratelli, gli suggerivano che l'unica via di salvezza eral'aperta ribellione.Vinto dal padre, egli si era rifugiato con un certo nume-ro di nobili armeni alla corte dell'Arsacide, ove intrigavacontro il padre. Fu in parte opera sua, se Fraate accettòil premio offertogli dalle due parti per la sua adesione,cioè il sicuro possesso della Mesopotania, che prese to-sto dalle mani dei Romani, e se rinnovò con Pompeo iltrattato conchiuso già con Lucullo relativamente ai con-

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mare in un modo così assoluto come era avvenuto sottoil governo della corrotta oligarchia.

4. Lega con i Parti.

I pochi mesi che rimanevano per l'inizio della campagnanell'Asia minore furono impiegati dal nuovo supremocomandante con indefessa attività in preparativi militarie diplomatici. Furono inviati ambasciatori a Mitridatepiù per spiare che per tentare un serio componimento.Alla corte pontica si sperava che il re dei Parti, Fraate, silascierebbe indurre ad entrare nella lega pontico-armenadagli importanti successi che gli alleati avevano ultima-mente riportato su Roma. Per impedire questo, partironoambasciatori romani per la corte di Ctesifonte; e ad essigiovarono gli interni dissidi che laceravano la dinastiaarmena. Il figlio omonimo del gran re Tigrane si era ri-bellato al padre, o perchè non voleva più a lungo atten-dere la morte del vecchio, o perchè i sospetti del vec-chio, che avevano già costato la vita a parecchi dei suoifratelli, gli suggerivano che l'unica via di salvezza eral'aperta ribellione.Vinto dal padre, egli si era rifugiato con un certo nume-ro di nobili armeni alla corte dell'Arsacide, ove intrigavacontro il padre. Fu in parte opera sua, se Fraate accettòil premio offertogli dalle due parti per la sua adesione,cioè il sicuro possesso della Mesopotania, che prese to-sto dalle mani dei Romani, e se rinnovò con Pompeo iltrattato conchiuso già con Lucullo relativamente ai con-

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fini dell'Eufrate, e se finalmente dichiarò di far causacomune coi Romani contro l'Armenia.Maggior danno, che non coll'appoggio prestato per lastipulazione della lega fra Romani e Parti, cagionò ilgiovane Tigrane al re Tigrane e a Mitridate nella scissu-ra prodotta tra loro dalla sua sollevazione. Il gran re nu-triva segretamente il sospetto che nella rivolta del figlioavesse avuto parte il suocero – la madre del giovane Ti-grane, Cleopatra, era figlia di Mitridate – e sebbene nonne avvenisse un'aperta rottura, la buona intelligenza fra idue monarchi fu turbata appunto nel momento in cui peressi era più che mai necessaria.Pompeo al tempo stesso spingeva con energia gli arma-menti. I comuni asiatici confederati e clienti furono in-vitati a fornire i pattuiti contingenti. Pubblici proclamiinvitavano i veterani della legione di Fimbria congedatia ritornare sotto le insegne come volontari, e in graziadelle grandi promesse e del nome di Pompeo un'impor-tante parte di essi si lasciò convincere a rispondere allachiamata.Tutta la forza che s'era raccolta sotto il comando diPompeo poteva ammontare, escluse le truppesussidiarie, da 40 a 50.000 uomini circa12.

12 Pompeo distribuì, tra i suoi soldati e ufficiali, qual dono d'onore 384milioni di sesterzi; e siccome gli ufficiali ricevettero 100 milioni e ognisoldato semplice 6000 sesterzi (PLINIO, App.), così si deduce che l'esercitoall'epoca del trionfo contava ancora circa 40.000 uomini.

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fini dell'Eufrate, e se finalmente dichiarò di far causacomune coi Romani contro l'Armenia.Maggior danno, che non coll'appoggio prestato per lastipulazione della lega fra Romani e Parti, cagionò ilgiovane Tigrane al re Tigrane e a Mitridate nella scissu-ra prodotta tra loro dalla sua sollevazione. Il gran re nu-triva segretamente il sospetto che nella rivolta del figlioavesse avuto parte il suocero – la madre del giovane Ti-grane, Cleopatra, era figlia di Mitridate – e sebbene nonne avvenisse un'aperta rottura, la buona intelligenza fra idue monarchi fu turbata appunto nel momento in cui peressi era più che mai necessaria.Pompeo al tempo stesso spingeva con energia gli arma-menti. I comuni asiatici confederati e clienti furono in-vitati a fornire i pattuiti contingenti. Pubblici proclamiinvitavano i veterani della legione di Fimbria congedatia ritornare sotto le insegne come volontari, e in graziadelle grandi promesse e del nome di Pompeo un'impor-tante parte di essi si lasciò convincere a rispondere allachiamata.Tutta la forza che s'era raccolta sotto il comando diPompeo poteva ammontare, escluse le truppesussidiarie, da 40 a 50.000 uomini circa12.

12 Pompeo distribuì, tra i suoi soldati e ufficiali, qual dono d'onore 384milioni di sesterzi; e siccome gli ufficiali ricevettero 100 milioni e ognisoldato semplice 6000 sesterzi (PLINIO, App.), così si deduce che l'esercitoall'epoca del trionfo contava ancora circa 40.000 uomini.

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5. Pompeo e Lucullo.

Nella primavera del 688 = 66 Pompeo si portò nellaGalazia per assumere il supremo comando delle truppedi Lucullo e con esse invadere il territorio pontico, ovele legioni stanziate nella Cilicia ebbero ordine diseguirlo.I due generali s'incontrarono in Danala, piccola città deiTrocmi; ma non si ottenne la conciliazione, che gli ami-ci dell'uno e dell'altro avevano sperato di operare. Lepreliminari cortesie si cambiarono tosto in pungenti di-scussioni e queste in violenti diverbi: si separarono piùdiscordi di prima.Continuando Lucullo, come se fosse ancora in carica, afare dei doni onorari ed assegni di terre, Pompeo dichia-rò nulli tutti gli atti compiuti dal suo predecessore dopoil suo arrivo. Secondo le forme legali egli era nel suo di-ritto; ma si doveva da esso attendere un sentimento mo-rale nel trattamento d'un rivale benemerito e oltremodooffeso.Così quando la stagione lo permise, le truppe romanepassarono i confini del Ponto. Vi trovarono il re Mitrida-te con 30.000 fanti e 3.000 cavalieri. Abbandonato daisuoi alleati e attaccato dai Romani con forze superiori econ maggiore energia, egli fece un tentativo per ottenerela pace: ma non volle sentir parlare dell'incondizionatasottomissione che Pompeo esigeva; quale peggior dannoavrebbe potuto attendersi anche dalla campagna più in-felice?

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5. Pompeo e Lucullo.

Nella primavera del 688 = 66 Pompeo si portò nellaGalazia per assumere il supremo comando delle truppedi Lucullo e con esse invadere il territorio pontico, ovele legioni stanziate nella Cilicia ebbero ordine diseguirlo.I due generali s'incontrarono in Danala, piccola città deiTrocmi; ma non si ottenne la conciliazione, che gli ami-ci dell'uno e dell'altro avevano sperato di operare. Lepreliminari cortesie si cambiarono tosto in pungenti di-scussioni e queste in violenti diverbi: si separarono piùdiscordi di prima.Continuando Lucullo, come se fosse ancora in carica, afare dei doni onorari ed assegni di terre, Pompeo dichia-rò nulli tutti gli atti compiuti dal suo predecessore dopoil suo arrivo. Secondo le forme legali egli era nel suo di-ritto; ma si doveva da esso attendere un sentimento mo-rale nel trattamento d'un rivale benemerito e oltremodooffeso.Così quando la stagione lo permise, le truppe romanepassarono i confini del Ponto. Vi trovarono il re Mitrida-te con 30.000 fanti e 3.000 cavalieri. Abbandonato daisuoi alleati e attaccato dai Romani con forze superiori econ maggiore energia, egli fece un tentativo per ottenerela pace: ma non volle sentir parlare dell'incondizionatasottomissione che Pompeo esigeva; quale peggior dannoavrebbe potuto attendersi anche dalla campagna più in-felice?

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Per non esporre il suo esercito, composto per la maggiorparte di arcieri e di cavalieri, al terribile urto delle legio-ni romane, egli battè lentamente in ritirata dinanzi al ne-mico, obbligando i Romani a seguirlo in tutte le suemarce, nelle quali, quando gli si presentava l'opportuni-tà, colla sua cavalleria superiore in numero faceva testaalla nemica, e col rendere difficili gli approvvigiona-menti cagionava ai Romani non poche tribolazioni.Pompeo impaziente cessò di seguire l'armata pontica enon curandosi del re volse i suoi sforzi a sottomettere ilpaese. Egli si avanzò verso l'alto Eufrate, lo passò e toc-cò le province orientali del regno pontico. Ma anche Mi-tridate lo seguì sulla sinistra del fiume, e giunto nel pae-se degli Anaiti o Achiliseni, chiuse ai Romani la stradapresso Dastira, piazza forte ed abbondantemente prov-veduta d'acqua dalla quale egli colle sue truppe leggeredominava la campagna.Pompeo mancante ancora delle legioni cilicie, senza lequali non si sentiva abbastanza forte per mantenersi inquella posizione, dovette ripassare l'Eufrate e mettersi alsicuro contro i cavalieri e gli arcieri del re dell'Armeniapontica, coperta di selve e tagliata in tutti i sensi da bur-roni e da profonde valli.Solo quando furono arrivate le truppe dalla Cilicia, chemettevano Pompeo in grado di riprendere con forze su-periori l'offensiva, egli circondò il campo del re con uncordone di posti per la lunghezza di circa venti miglia eve lo tenne completamente bloccato, mentre i distacca-menti romani, scorrevano a grandi distanze il paese.

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Per non esporre il suo esercito, composto per la maggiorparte di arcieri e di cavalieri, al terribile urto delle legio-ni romane, egli battè lentamente in ritirata dinanzi al ne-mico, obbligando i Romani a seguirlo in tutte le suemarce, nelle quali, quando gli si presentava l'opportuni-tà, colla sua cavalleria superiore in numero faceva testaalla nemica, e col rendere difficili gli approvvigiona-menti cagionava ai Romani non poche tribolazioni.Pompeo impaziente cessò di seguire l'armata pontica enon curandosi del re volse i suoi sforzi a sottomettere ilpaese. Egli si avanzò verso l'alto Eufrate, lo passò e toc-cò le province orientali del regno pontico. Ma anche Mi-tridate lo seguì sulla sinistra del fiume, e giunto nel pae-se degli Anaiti o Achiliseni, chiuse ai Romani la stradapresso Dastira, piazza forte ed abbondantemente prov-veduta d'acqua dalla quale egli colle sue truppe leggeredominava la campagna.Pompeo mancante ancora delle legioni cilicie, senza lequali non si sentiva abbastanza forte per mantenersi inquella posizione, dovette ripassare l'Eufrate e mettersi alsicuro contro i cavalieri e gli arcieri del re dell'Armeniapontica, coperta di selve e tagliata in tutti i sensi da bur-roni e da profonde valli.Solo quando furono arrivate le truppe dalla Cilicia, chemettevano Pompeo in grado di riprendere con forze su-periori l'offensiva, egli circondò il campo del re con uncordone di posti per la lunghezza di circa venti miglia eve lo tenne completamente bloccato, mentre i distacca-menti romani, scorrevano a grandi distanze il paese.

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La scarsezza dei viveri nel campo pontico era grande; sidovevano già ammazzare le bestie da tiro; finalmentedopo quaranta giorni di indugio, non potendo il re salva-re i suoi ammalati e feriti nè volendo lasciarli caderenelle mani del nemico li fece uccidere dalle sue genti epartì colla più grande segretezza possibile di notte versol'oriente.

6. Battaglia di Nicopoli.

Pompeo lo seguiva con circospezione attraverso l'ignotopaese; la marcia era già vicina al confine che separava iterritori di Mitridate e di Tigrane. Accortosi il duceromano che Mitridate non pensava di venire ad unabattaglia decisiva entro i confini del suo stato, matentava di attirarlo nelle immense lontananzedell'oriente, si decise a prevenirlo.I due eserciti erano accampati a breve distanza l'unodall'altro. Durante il riposo meridiano l'esercito romanolevò le tende senza che il nemico se ne avvedesse, lo ag-girò ed occupò le alture prominenti e dominanti unagola per la quale il nemico doveva passare, sulla spondameridionale del fiume Lico (Ieschil Irmak) vicino allaodierna Endera, dove più tardi fu edificata Nicopoli.La mattina seguente l'esercito pontico si mise in marciacome al solito, supponendo di avere come per il passatoil nemico dietro di sè, e dopo terminata la marcia gior-naliera, mise le tende appunto nella valle, le cui circo-stanti sommità erano state occupate dai Romani. Im-

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La scarsezza dei viveri nel campo pontico era grande; sidovevano già ammazzare le bestie da tiro; finalmentedopo quaranta giorni di indugio, non potendo il re salva-re i suoi ammalati e feriti nè volendo lasciarli caderenelle mani del nemico li fece uccidere dalle sue genti epartì colla più grande segretezza possibile di notte versol'oriente.

6. Battaglia di Nicopoli.

Pompeo lo seguiva con circospezione attraverso l'ignotopaese; la marcia era già vicina al confine che separava iterritori di Mitridate e di Tigrane. Accortosi il duceromano che Mitridate non pensava di venire ad unabattaglia decisiva entro i confini del suo stato, matentava di attirarlo nelle immense lontananzedell'oriente, si decise a prevenirlo.I due eserciti erano accampati a breve distanza l'unodall'altro. Durante il riposo meridiano l'esercito romanolevò le tende senza che il nemico se ne avvedesse, lo ag-girò ed occupò le alture prominenti e dominanti unagola per la quale il nemico doveva passare, sulla spondameridionale del fiume Lico (Ieschil Irmak) vicino allaodierna Endera, dove più tardi fu edificata Nicopoli.La mattina seguente l'esercito pontico si mise in marciacome al solito, supponendo di avere come per il passatoil nemico dietro di sè, e dopo terminata la marcia gior-naliera, mise le tende appunto nella valle, le cui circo-stanti sommità erano state occupate dai Romani. Im-

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provvisamente nel silenzio della notte risuonò tutt'intor-no il temuto grido di guerra delle legioni, e da ogni partecadde una pioggia di dardi sulle masse asiatiche: soldati,carriaggi, cavalli, cammelli si sospingevano gli uni suglialtri ed in quel fitto vortice, nonostante l'oscurità, nessunproiettile mancava la sua vittima.Quando i Romani ebbero consumati tutti i proiettili siprecipitarono dalle alture sulle schiere, che il sorgeredella luna rendeva visibili, e che erano abbandonatequasi inermi al loro furore, e coloro che non perirono diferro nemico furono nella spaventevole mischia schiac-ciati sotto le ruote dei carriaggi e sotto le unghie dei ca-valli.Fu l'ultima battaglia nella quale il vecchio monarcacombattè coi Romani. Con tre soli compagni, due deisuoi cavalieri e una concubina, la quale soleva seguirloe combatteva valorosamente al suo fianco in costumevirile, egli fuggì nella fortezza di Sinoria, ove si raccol-se una parte dei suoi fidi. Distribuì fra di essi i suoi teso-ri qui conservati che ammontavano a 6000 talenti d'oro(L. 33.750.000), fornì loro del veleno conservandoneper sè una dose e s'affrettò a risalire colla schiera rima-stagli il corso dell'Eufrate per unirsi al suo alleato, ilgran re dell'Armenia.

7. Mitridate fuggitivo.

Ma anche questa speranza gli andò fallita; l'alleanza incui Mitridate confidava quando aveva presa la via

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provvisamente nel silenzio della notte risuonò tutt'intor-no il temuto grido di guerra delle legioni, e da ogni partecadde una pioggia di dardi sulle masse asiatiche: soldati,carriaggi, cavalli, cammelli si sospingevano gli uni suglialtri ed in quel fitto vortice, nonostante l'oscurità, nessunproiettile mancava la sua vittima.Quando i Romani ebbero consumati tutti i proiettili siprecipitarono dalle alture sulle schiere, che il sorgeredella luna rendeva visibili, e che erano abbandonatequasi inermi al loro furore, e coloro che non perirono diferro nemico furono nella spaventevole mischia schiac-ciati sotto le ruote dei carriaggi e sotto le unghie dei ca-valli.Fu l'ultima battaglia nella quale il vecchio monarcacombattè coi Romani. Con tre soli compagni, due deisuoi cavalieri e una concubina, la quale soleva seguirloe combatteva valorosamente al suo fianco in costumevirile, egli fuggì nella fortezza di Sinoria, ove si raccol-se una parte dei suoi fidi. Distribuì fra di essi i suoi teso-ri qui conservati che ammontavano a 6000 talenti d'oro(L. 33.750.000), fornì loro del veleno conservandoneper sè una dose e s'affrettò a risalire colla schiera rima-stagli il corso dell'Eufrate per unirsi al suo alleato, ilgran re dell'Armenia.

7. Mitridate fuggitivo.

Ma anche questa speranza gli andò fallita; l'alleanza incui Mitridate confidava quando aveva presa la via

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dell'Armenia, più non esisteva.Mentre avvenivano i combattimenti ora narrati fra Pom-peo e Mitridate, il re dei Parti, cedendo all'insistenza deiRomani, e specialmente a quella del principe armenofuggitivo, aveva invaso il regno di Tigrane, e obbligatoil re a ritirarsi nelle inaccessibili montagne.L'esercito invasore aveva persino cominciato a stringered'assedio la città capitale di Artaxata; ma siccome que-sta operazione si prolungava troppo, il re Fraate se neallontanò colla miglior parte delle sue truppe; dopo diche Tigrane vinse il corpo dei Parti rimasti in paese e gliemigrati armeni capitanati da suo figlio, e ristabilì la suasignoria in tutto il regno.Naturalmente in queste condizioni il re era poco inclina-to a combattere coi Romani che erano di nuovo vincito-ri, tanto meno poi a sacrificarsi per Mitridate, di cui dif-fidava più che mai da quando gli era venuta la notiziache il ribelle suo figlio aveva l'intenzione di recarsidall'avo. Così egli intavolò coi Romani delle trattativeper una pace separata; ma non attese che fosse stipulatoil trattato per rompere l'alleanza che lo vincolava a Mi-tridate.Arrivato ai confini dell'Armenia, Mitridate dovette udireche il gran re Tigrane aveva messo una taglia di 100 ta-lenti (L. 562.500) sulla sua testa e che aveva fatto arre-stare e consegnare ai Romani i suoi ambasciatori.Il re Mitridate vedeva il suo regno nelle mani del nemi-co, i suoi alleati sul punto di accordarsi con esso; nonera possibile continuare la guerra; doveva stimarsi fortu-

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dell'Armenia, più non esisteva.Mentre avvenivano i combattimenti ora narrati fra Pom-peo e Mitridate, il re dei Parti, cedendo all'insistenza deiRomani, e specialmente a quella del principe armenofuggitivo, aveva invaso il regno di Tigrane, e obbligatoil re a ritirarsi nelle inaccessibili montagne.L'esercito invasore aveva persino cominciato a stringered'assedio la città capitale di Artaxata; ma siccome que-sta operazione si prolungava troppo, il re Fraate se neallontanò colla miglior parte delle sue truppe; dopo diche Tigrane vinse il corpo dei Parti rimasti in paese e gliemigrati armeni capitanati da suo figlio, e ristabilì la suasignoria in tutto il regno.Naturalmente in queste condizioni il re era poco inclina-to a combattere coi Romani che erano di nuovo vincito-ri, tanto meno poi a sacrificarsi per Mitridate, di cui dif-fidava più che mai da quando gli era venuta la notiziache il ribelle suo figlio aveva l'intenzione di recarsidall'avo. Così egli intavolò coi Romani delle trattativeper una pace separata; ma non attese che fosse stipulatoil trattato per rompere l'alleanza che lo vincolava a Mi-tridate.Arrivato ai confini dell'Armenia, Mitridate dovette udireche il gran re Tigrane aveva messo una taglia di 100 ta-lenti (L. 562.500) sulla sua testa e che aveva fatto arre-stare e consegnare ai Romani i suoi ambasciatori.Il re Mitridate vedeva il suo regno nelle mani del nemi-co, i suoi alleati sul punto di accordarsi con esso; nonera possibile continuare la guerra; doveva stimarsi fortu-

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nato se gli riusciva di mettersi in salvo sui lidi orientalie settentrionali del Mar Nero, di cacciare forse dal regnodel Bosforo il ribelle suo figlio Macarete, alleato deiRomani, e di trovare sulle coste della Meotide un nuovocampo per nuovi piani.Così volse i suoi passi verso settentrione. Quando il reebbe passato il Fasi, antico confine dell'Asia minore,Pompeo sospese per il momento d'inseguirlo; ma invecedi ritornare nel paese delle sorgenti dell'Eufrate, si volseverso il territorio dell'Arasse per finirla con Tigrane.

8. Pace con Tigrane.

Quasi senza trovare resistenza, Pompeo giunse nellevicinanze di Artaxata (vicino ad Eriwan) e mise il suocampo a dieci miglia dalla città. Là ebbe la visita delfiglio del gran re il quale dopo la caduta del padresperava di ricevere dalle mani dei Romani la coronadell'Armenia, e con questa opinione impiegava tutti imezzi per impedire la conclusione del trattato tra suopadre e i Romani.Il gran re alla sua volta era tanto più deciso di far lapace ad ogni costo. A cavallo e senza il manto di porpo-ra, ma ornato del diadema e del turbante reale, Tigranecomparve all'ingresso del campo nemico chiedendod'essere condotto dinanzi al generale romano.Dopo avere, per comando dei littori, come lo voleval'ordinamento di campo dei Romani, consegnato il suocavallo e la sua spada, si gettò, secondo il costume dei

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nato se gli riusciva di mettersi in salvo sui lidi orientalie settentrionali del Mar Nero, di cacciare forse dal regnodel Bosforo il ribelle suo figlio Macarete, alleato deiRomani, e di trovare sulle coste della Meotide un nuovocampo per nuovi piani.Così volse i suoi passi verso settentrione. Quando il reebbe passato il Fasi, antico confine dell'Asia minore,Pompeo sospese per il momento d'inseguirlo; ma invecedi ritornare nel paese delle sorgenti dell'Eufrate, si volseverso il territorio dell'Arasse per finirla con Tigrane.

8. Pace con Tigrane.

Quasi senza trovare resistenza, Pompeo giunse nellevicinanze di Artaxata (vicino ad Eriwan) e mise il suocampo a dieci miglia dalla città. Là ebbe la visita delfiglio del gran re il quale dopo la caduta del padresperava di ricevere dalle mani dei Romani la coronadell'Armenia, e con questa opinione impiegava tutti imezzi per impedire la conclusione del trattato tra suopadre e i Romani.Il gran re alla sua volta era tanto più deciso di far lapace ad ogni costo. A cavallo e senza il manto di porpo-ra, ma ornato del diadema e del turbante reale, Tigranecomparve all'ingresso del campo nemico chiedendod'essere condotto dinanzi al generale romano.Dopo avere, per comando dei littori, come lo voleval'ordinamento di campo dei Romani, consegnato il suocavallo e la sua spada, si gettò, secondo il costume dei

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barbari, ai piedi del proconsole, deponendo in segno diassoluta sottomissione il diadema e la tiara nelle suemani. Pompeo felice per la facile vittoria, sollevò l'umi-liato re dei re, lo riadornò colle insegne della sua digni-tà, e dettò la pace.Oltre una somma di 6000 talenti (L. 33.750.000) da ver-sarsi nella cassa di guerra ed un dono ai soldati di 50 da-nari (L. 52,50) per ciascuno, il re cedeva tutte le conqui-ste fatte e non solo quelle nella Fenicia, nella Siria, nellaCilicia e nella Cappadocia, ma anche quelle sulla destradell'Eufrate, Soffene e Corduene. In tal modo egli fu ri-dotto all'Armenia propriamente detta ed il suo gran re-gno aveva cessato d'esistere.In una sola campagna Pompeo aveva soggiogato com-pletamente i due possenti re del Ponto e dell'Armenia.Al principio del 688 = 66 non si vedeva un solo soldatoromano oltre il confine degli antichissimi possedimentiromani; alla fine dello stesso anno il re Mitridate erravaesule e senza esercito nelle gole del Caucaso, e il re Ti-grane occupava il trono dell'Armenia non più come redei re, ma come principe vassallo dei Romani.Tutto il paese dell'Asia minore ad occidente dell'Eufrateobbediva assolutamente ai Romani; il vittorioso esercitoprese i suoi quartieri d'inverno ad oriente di questo fiu-me sino al fiume Cur, nel quale gli Italici abbeveraronoallora per la prima volta i loro cavalli.

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barbari, ai piedi del proconsole, deponendo in segno diassoluta sottomissione il diadema e la tiara nelle suemani. Pompeo felice per la facile vittoria, sollevò l'umi-liato re dei re, lo riadornò colle insegne della sua digni-tà, e dettò la pace.Oltre una somma di 6000 talenti (L. 33.750.000) da ver-sarsi nella cassa di guerra ed un dono ai soldati di 50 da-nari (L. 52,50) per ciascuno, il re cedeva tutte le conqui-ste fatte e non solo quelle nella Fenicia, nella Siria, nellaCilicia e nella Cappadocia, ma anche quelle sulla destradell'Eufrate, Soffene e Corduene. In tal modo egli fu ri-dotto all'Armenia propriamente detta ed il suo gran re-gno aveva cessato d'esistere.In una sola campagna Pompeo aveva soggiogato com-pletamente i due possenti re del Ponto e dell'Armenia.Al principio del 688 = 66 non si vedeva un solo soldatoromano oltre il confine degli antichissimi possedimentiromani; alla fine dello stesso anno il re Mitridate erravaesule e senza esercito nelle gole del Caucaso, e il re Ti-grane occupava il trono dell'Armenia non più come redei re, ma come principe vassallo dei Romani.Tutto il paese dell'Asia minore ad occidente dell'Eufrateobbediva assolutamente ai Romani; il vittorioso esercitoprese i suoi quartieri d'inverno ad oriente di questo fiu-me sino al fiume Cur, nel quale gli Italici abbeveraronoallora per la prima volta i loro cavalli.

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9. I popoli del Caucaso sottomessi.

Ma il nuovo paese, che i Romani toccavano, procuròloro nuovi guai. Le valorose popolazioni del Caucasomediano ed orientale, vedevano di malanimo che ilontani occidentali accampassero sul loro territorio.Sull'ubertoso ed abbondantemente irrigato altipianodell'odierna Georgia, vivevano gli Iberi, nazione valoro-sa, ben ordinata e dedita all'agricoltura, le cui tribù lavo-ravano la campagna in comune sotto i loro anziani; isingoli lavoratori non avevano proprietà particolari.Esercito e popolo erano una stessa cosa; alla testa dellapopolazione erano in parte le famiglie signorili – e inesse il più vecchio della nazione iberica presiedevacome re, il secondo per età come giudice e condottierodell'esercito – in parte delle speciali famiglie sacerdotalialle quali specialmente incombeva di conservare e di farosservare i contratti stipulati con altri popoli.La massa dei non liberi veniva considerata come pro-prietà del re.Un grado di coltura molto minore avevano i loro viciniorientali, gli Albani o Alani, che stanziavano sul bassoCur, sino al Mar Caspio. Per la maggior parte popolopastore, pascolavano a piedi od a cavallo le numeroseloro greggie sulle rigogliose praterie dell'odierno Scir-wan; i pochi campi aratori13 erano lavorati ancoracoll'antico aratro di legno senza vomero di ferro. Non13 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "coltivabili" [nota per l'edizione elettronica

Manuzio].154

9. I popoli del Caucaso sottomessi.

Ma il nuovo paese, che i Romani toccavano, procuròloro nuovi guai. Le valorose popolazioni del Caucasomediano ed orientale, vedevano di malanimo che ilontani occidentali accampassero sul loro territorio.Sull'ubertoso ed abbondantemente irrigato altipianodell'odierna Georgia, vivevano gli Iberi, nazione valoro-sa, ben ordinata e dedita all'agricoltura, le cui tribù lavo-ravano la campagna in comune sotto i loro anziani; isingoli lavoratori non avevano proprietà particolari.Esercito e popolo erano una stessa cosa; alla testa dellapopolazione erano in parte le famiglie signorili – e inesse il più vecchio della nazione iberica presiedevacome re, il secondo per età come giudice e condottierodell'esercito – in parte delle speciali famiglie sacerdotalialle quali specialmente incombeva di conservare e di farosservare i contratti stipulati con altri popoli.La massa dei non liberi veniva considerata come pro-prietà del re.Un grado di coltura molto minore avevano i loro viciniorientali, gli Albani o Alani, che stanziavano sul bassoCur, sino al Mar Caspio. Per la maggior parte popolopastore, pascolavano a piedi od a cavallo le numeroseloro greggie sulle rigogliose praterie dell'odierno Scir-wan; i pochi campi aratori13 erano lavorati ancoracoll'antico aratro di legno senza vomero di ferro. Non13 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "coltivabili" [nota per l'edizione elettronica

Manuzio].154

conoscevano la moneta e non sapevano contare oltre ilcento.Ciascuna delle loro tribù, che erano ventiquattro, avevail suo capo e parlava il proprio dialetto. Sebbene supe-riori in numero agli Iberi non potevano assolutamentecontendere con loro per valore.Il modo di combattere in queste due nazioni era del re-sto quasi lo stesso; essi combattevano di preferenza confrecce e con leggieri dardi, che al modo degli Indianilanciavano spesso sul nemico, nascosti nelle macchie,dietro i tronchi d'albero o dalle cime delle piante; gli Al-bani avevano anche una numerosa cavalleria, coperta inparte, come la medio-armena, di pesanti corazze e dischinieri.Entrambe queste nazioni vivevano nei loro campi e pa-scoli serbando da tempo immemorabile una completaindipendenza.Il Caucaso pare posto dalla natura tra l'Europa e l'Asiacome un'argine contro l'invasione dei popoli; in essoavevano già trovato il loro confine le armi di Ciro nonmeno di quelle di Alessandro; ora la valorosa guarnigio-ne di questo gigantesco baluardo si disponeva a difen-dersi anche contro i Romani.Spaventati dalla notizia che il supremo duce dei Romaniintendeva di varcare i monti nella prossima primavera edi inseguire il re del Ponto oltre il Caucaso – siccomeMitridate svernava, a quanto si diceva in Dioscuria(Iskuria tra Suchum Kale e Anaklia) nel Mar Nero, – gliAlbani, capitanati dal principe Oroize, passarono prima,

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conoscevano la moneta e non sapevano contare oltre ilcento.Ciascuna delle loro tribù, che erano ventiquattro, avevail suo capo e parlava il proprio dialetto. Sebbene supe-riori in numero agli Iberi non potevano assolutamentecontendere con loro per valore.Il modo di combattere in queste due nazioni era del re-sto quasi lo stesso; essi combattevano di preferenza confrecce e con leggieri dardi, che al modo degli Indianilanciavano spesso sul nemico, nascosti nelle macchie,dietro i tronchi d'albero o dalle cime delle piante; gli Al-bani avevano anche una numerosa cavalleria, coperta inparte, come la medio-armena, di pesanti corazze e dischinieri.Entrambe queste nazioni vivevano nei loro campi e pa-scoli serbando da tempo immemorabile una completaindipendenza.Il Caucaso pare posto dalla natura tra l'Europa e l'Asiacome un'argine contro l'invasione dei popoli; in essoavevano già trovato il loro confine le armi di Ciro nonmeno di quelle di Alessandro; ora la valorosa guarnigio-ne di questo gigantesco baluardo si disponeva a difen-dersi anche contro i Romani.Spaventati dalla notizia che il supremo duce dei Romaniintendeva di varcare i monti nella prossima primavera edi inseguire il re del Ponto oltre il Caucaso – siccomeMitridate svernava, a quanto si diceva in Dioscuria(Iskuria tra Suchum Kale e Anaklia) nel Mar Nero, – gliAlbani, capitanati dal principe Oroize, passarono prima,

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ancora nel cuor dell'inverno, 688-89 = 66-5, il Cur e sigettarono sull'esercito romano, già diviso in tre corpiragguardevoli per facilitarne l'approvvigionamento, ecomandati da Quinto Metello Celere, Lucio Flacco ePompeo.Ma Celere, a cui toccò l'attacco principale, tenne fermoe Pompeo, liberatosi delle schiere mandate contro di lui,inseguì i barbari, vinti su tutti i punti, fino al Cur.Il re degli Iberi, Artoce, non si mosse e promise pace eamicizia; ma essendo stato Pompeo informato che essosegretamente armava per sorprendere i Romani durantela loro marcia nelle gole del Caucaso, si affrettò di por-tarsi, venuta la primavera nel 689 = 65 e prima di ri-prendere l'inseguimento di Mitridate, sotto le due fortez-ze di Armozica (Horumziche o Armazi) e Seusamora(Tsumar), distanti l'una dall'altra appena una mezzalega, che poco al disopra dell'odierna Tiflis dominano ledue valli del Cur e dell'Aragua suo affluente, e perciò isoli passi che dall'Armenia conducono nell'Iberia.Artoce, sorpreso dal nemico prima che lo pensasse, arsein tutta fretta il ponte sul Cur e intavolando trattative siritrasse nell'interno del paese. Pompeo occupò le fortez-ze ed inseguì gli Iberi sull'altra riva del Cur, sperando diindurli all'immediata sottomissione. Ma Artoce continuòa ritirarsi senza posa nell'interno del paese, e arrivato fi-nalmente al fiume Peloro, si fermò non per arrendersi,ma per combattere.Ma i frombolieri iberi non resistettero all'urto delle le-gioni, e Artoce, vedendo che i Romani passavano anche

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ancora nel cuor dell'inverno, 688-89 = 66-5, il Cur e sigettarono sull'esercito romano, già diviso in tre corpiragguardevoli per facilitarne l'approvvigionamento, ecomandati da Quinto Metello Celere, Lucio Flacco ePompeo.Ma Celere, a cui toccò l'attacco principale, tenne fermoe Pompeo, liberatosi delle schiere mandate contro di lui,inseguì i barbari, vinti su tutti i punti, fino al Cur.Il re degli Iberi, Artoce, non si mosse e promise pace eamicizia; ma essendo stato Pompeo informato che essosegretamente armava per sorprendere i Romani durantela loro marcia nelle gole del Caucaso, si affrettò di por-tarsi, venuta la primavera nel 689 = 65 e prima di ri-prendere l'inseguimento di Mitridate, sotto le due fortez-ze di Armozica (Horumziche o Armazi) e Seusamora(Tsumar), distanti l'una dall'altra appena una mezzalega, che poco al disopra dell'odierna Tiflis dominano ledue valli del Cur e dell'Aragua suo affluente, e perciò isoli passi che dall'Armenia conducono nell'Iberia.Artoce, sorpreso dal nemico prima che lo pensasse, arsein tutta fretta il ponte sul Cur e intavolando trattative siritrasse nell'interno del paese. Pompeo occupò le fortez-ze ed inseguì gli Iberi sull'altra riva del Cur, sperando diindurli all'immediata sottomissione. Ma Artoce continuòa ritirarsi senza posa nell'interno del paese, e arrivato fi-nalmente al fiume Peloro, si fermò non per arrendersi,ma per combattere.Ma i frombolieri iberi non resistettero all'urto delle le-gioni, e Artoce, vedendo che i Romani passavano anche

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il Peloro, accettò le condizioni che dettò il vincitore emandò i suoi figli come ostaggi.

10. Pompeo nella Colchide.

Seguendo ora Pompeo il primitivo suo piano, marciò atraverso il passo di Sarapana dalla valle del Cur inquella del Fasi e da qui lungo il fiume sulle rive del MarNero, dove sulle coste della Colchide già l'attendeva laflotta comandata da Servilio.Ma era un piano assai incerto e si può dire quasi senzascopo quello di condurre l'esercito e la flotta nel favolo-so litorale della Colchide. La marcia faticosa or oracompiuta tra nazioni sconosciute e quasi tutte nemicheera un nulla in confronto di quella che ancora l'attende-va; e quando pure si potesse condurre l'esercito in Cri-mea, passando dalla foce del Fasi in mezzo a povere tri-bù bellicose e barbare, attraversando acque inospitali esconosciute, lungo un litorale sul quale in alcuni luoghi imonti sorgono a picco dal mare, e dove sarebbe stato as-solutamente necessario di usare le navi; quando anche siriuscisse di condurre a buon porto questa spedizione,che forse era più scabrosa di quelle d'Alessandro ed'Annibale, cosa si sarebbe ottenuto, anche nel miglioreevento, che corrispondesse alle fatiche ed ai pericolicorsi?È vero che la guerra non era finita, finchè il vecchio reera ancora in vita; ma quale garanzia si aveva di riuscireveramente a prendere la fiera regale, per la quale veniva

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il Peloro, accettò le condizioni che dettò il vincitore emandò i suoi figli come ostaggi.

10. Pompeo nella Colchide.

Seguendo ora Pompeo il primitivo suo piano, marciò atraverso il passo di Sarapana dalla valle del Cur inquella del Fasi e da qui lungo il fiume sulle rive del MarNero, dove sulle coste della Colchide già l'attendeva laflotta comandata da Servilio.Ma era un piano assai incerto e si può dire quasi senzascopo quello di condurre l'esercito e la flotta nel favolo-so litorale della Colchide. La marcia faticosa or oracompiuta tra nazioni sconosciute e quasi tutte nemicheera un nulla in confronto di quella che ancora l'attende-va; e quando pure si potesse condurre l'esercito in Cri-mea, passando dalla foce del Fasi in mezzo a povere tri-bù bellicose e barbare, attraversando acque inospitali esconosciute, lungo un litorale sul quale in alcuni luoghi imonti sorgono a picco dal mare, e dove sarebbe stato as-solutamente necessario di usare le navi; quando anche siriuscisse di condurre a buon porto questa spedizione,che forse era più scabrosa di quelle d'Alessandro ed'Annibale, cosa si sarebbe ottenuto, anche nel miglioreevento, che corrispondesse alle fatiche ed ai pericolicorsi?È vero che la guerra non era finita, finchè il vecchio reera ancora in vita; ma quale garanzia si aveva di riuscireveramente a prendere la fiera regale, per la quale veniva

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ordinata questa caccia senza esempio? Non era meglioanche con il pericolo che Mitridate riaccendesse la facedella guerra nell'Asia minore, il desistere da una perse-cuzione che presentava così poco profitto e tanti perico-li?È vero che molte voci nell'esercito e moltissime nellacapitale insistevano presso il supremo comandanteaffinchè continuasse senza posa ed a qualunque costol'inseguimento di Mitridate; ma erano in parte voci diteste balzane, in parte di quel falsi amici, i qualiavrebbero tenuto volentieri ed a qualunque prezzolontano dalla capitale il troppo possente imperator,impegnandolo in oriente con interminabili imprese.Pompeo era un ufficiale troppo esperto e troppo assen-nato per mettere a repentaglio la sua gloria e il suo eser-cito ostinandosi in una così dissennata spedizione; unasollevazione degli Albani alle spalle dell'esercito porseil pretesto per sospendere ogni ulteriore inseguimentodel re e per ordinare la ritirata.

11. Nuovi scontri con gli Albani.

La flotta ebbe ordine di incrociare nel Mar Nero, diproteggere contro ogni invasione nemica la costasettentrionale dell'Asia minore, di bloccarestrettissimamente il Bosforo Cimmerio minacciando lavita di qualunque mercante tentasse di rompere ilblocco.Pompeo condusse non senza gravi disagi le truppe di

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ordinata questa caccia senza esempio? Non era meglioanche con il pericolo che Mitridate riaccendesse la facedella guerra nell'Asia minore, il desistere da una perse-cuzione che presentava così poco profitto e tanti perico-li?È vero che molte voci nell'esercito e moltissime nellacapitale insistevano presso il supremo comandanteaffinchè continuasse senza posa ed a qualunque costol'inseguimento di Mitridate; ma erano in parte voci diteste balzane, in parte di quel falsi amici, i qualiavrebbero tenuto volentieri ed a qualunque prezzolontano dalla capitale il troppo possente imperator,impegnandolo in oriente con interminabili imprese.Pompeo era un ufficiale troppo esperto e troppo assen-nato per mettere a repentaglio la sua gloria e il suo eser-cito ostinandosi in una così dissennata spedizione; unasollevazione degli Albani alle spalle dell'esercito porseil pretesto per sospendere ogni ulteriore inseguimentodel re e per ordinare la ritirata.

11. Nuovi scontri con gli Albani.

La flotta ebbe ordine di incrociare nel Mar Nero, diproteggere contro ogni invasione nemica la costasettentrionale dell'Asia minore, di bloccarestrettissimamente il Bosforo Cimmerio minacciando lavita di qualunque mercante tentasse di rompere ilblocco.Pompeo condusse non senza gravi disagi le truppe di

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terra per il territorio della Colchide e dell'Armenia finoal basso Cur, ed attraverso il fiume, più lungi, nel pianoalbano. L'esercito romano fu costretto a marciare moltigiorni sotto un sole cocente, attraverso quella pianurascarsissima d'acqua, senza incontrare il nemico; solosulla sponda sinistra dell'Aba (probabilmente il fiumedenominato in quel tempi Alazonio, ora Alasan), letruppe albane, capitanate da Cose fratello del re Oroize,affrontarono i Romani; queste truppe pare ascendesseroa 60.000 fanti e 12.000 cavalli, compreso il contingentedegli abitanti delle steppe transcaucasiche.Tuttavia i barbari si sarebbero difficilmente arrischiati avenire a battaglia se non avessero creduto di dover com-battere colla sola cavalleria romana; ma la cavalleria erastata espressamente collocata sul davanti, e appena si ri-tirò apparvero le masse della fanteria romana.Dopo breve combattimento l'esercito dei barbari fu di-sperso nei boschi che per ordine di Pompeo vennero cir-condati ed arsi. Allora gli Albani si piegarono alla pacee, seguendo l'esempio dei popoli più potenti, tutte le tri-bù stabilite tra il Cur e il mar Caspio conclusero un trat-tato col duce romano.Gli Albani, gli Iberi e in generale tutte le popolazionistabilite verso mezzogiorno alle falde del Caucaso e aisuoi piedi entrarono perciò, almeno pel momento, inrapporto di dipendenza verso Roma.Se poi nella lunga serie delle nazioni soggiogate daPompeo si annoverarono anche i popoli dimoranti tra ilFasi e la Meotide, i Colchi, i Soani, gli Eniochi, gli Iagi-

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terra per il territorio della Colchide e dell'Armenia finoal basso Cur, ed attraverso il fiume, più lungi, nel pianoalbano. L'esercito romano fu costretto a marciare moltigiorni sotto un sole cocente, attraverso quella pianurascarsissima d'acqua, senza incontrare il nemico; solosulla sponda sinistra dell'Aba (probabilmente il fiumedenominato in quel tempi Alazonio, ora Alasan), letruppe albane, capitanate da Cose fratello del re Oroize,affrontarono i Romani; queste truppe pare ascendesseroa 60.000 fanti e 12.000 cavalli, compreso il contingentedegli abitanti delle steppe transcaucasiche.Tuttavia i barbari si sarebbero difficilmente arrischiati avenire a battaglia se non avessero creduto di dover com-battere colla sola cavalleria romana; ma la cavalleria erastata espressamente collocata sul davanti, e appena si ri-tirò apparvero le masse della fanteria romana.Dopo breve combattimento l'esercito dei barbari fu di-sperso nei boschi che per ordine di Pompeo vennero cir-condati ed arsi. Allora gli Albani si piegarono alla pacee, seguendo l'esempio dei popoli più potenti, tutte le tri-bù stabilite tra il Cur e il mar Caspio conclusero un trat-tato col duce romano.Gli Albani, gli Iberi e in generale tutte le popolazionistabilite verso mezzogiorno alle falde del Caucaso e aisuoi piedi entrarono perciò, almeno pel momento, inrapporto di dipendenza verso Roma.Se poi nella lunga serie delle nazioni soggiogate daPompeo si annoverarono anche i popoli dimoranti tra ilFasi e la Meotide, i Colchi, i Soani, gli Eniochi, gli Iagi-

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zi, gli Achei e persino i lontani Bastarni, bisogna direche non si prendesse tanto per il sottile l'idea del soggio-gamento.Il Caucaso confermò anche in questo caso la sua impor-tanza nella storia del mondo; come le conquiste persianee le elleniche, così anche la romana trovò in esso il pro-prio confine.

12. Mitridate a Panticapea.

Il re Mitridate rimase quindi abbandonato a sè e al suodestino. Come il suo avo, il fondatore dello statopontico, aveva toccato il suolo del futuro suo regnofuggendo dai sicari d'Antigono e accompagnato solo dasei cavalieri, così ora il nipote dovette oltrepassareun'altra volta i confini del suo regno e volgere le spallealle sue conquiste e a quelle dei suoi avi.Ma i dadi gettati dalla fortuna non avevano mai dato anessuno più spesso e più capricciosamente i più alti fa-vori e le più gravi perdite come al vecchio sultano di Si-nope, e rapidi e incalcolabili si alternarono gli eventinell'oriente.Mitridate, giunto al tramonto dei suoi giorni, potevasopportare in pace qualunque cambiamento pensandoche egli a sua volta meditava un nuovo svolgimento dicose e che non v'è nulla di costante se non l'eterno avvi-cendarsi delle sorti.Considerando che la dominazione romana era in sommogrado insopportabile alle popolazioni orientali e che Mi-

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zi, gli Achei e persino i lontani Bastarni, bisogna direche non si prendesse tanto per il sottile l'idea del soggio-gamento.Il Caucaso confermò anche in questo caso la sua impor-tanza nella storia del mondo; come le conquiste persianee le elleniche, così anche la romana trovò in esso il pro-prio confine.

12. Mitridate a Panticapea.

Il re Mitridate rimase quindi abbandonato a sè e al suodestino. Come il suo avo, il fondatore dello statopontico, aveva toccato il suolo del futuro suo regnofuggendo dai sicari d'Antigono e accompagnato solo dasei cavalieri, così ora il nipote dovette oltrepassareun'altra volta i confini del suo regno e volgere le spallealle sue conquiste e a quelle dei suoi avi.Ma i dadi gettati dalla fortuna non avevano mai dato anessuno più spesso e più capricciosamente i più alti fa-vori e le più gravi perdite come al vecchio sultano di Si-nope, e rapidi e incalcolabili si alternarono gli eventinell'oriente.Mitridate, giunto al tramonto dei suoi giorni, potevasopportare in pace qualunque cambiamento pensandoche egli a sua volta meditava un nuovo svolgimento dicose e che non v'è nulla di costante se non l'eterno avvi-cendarsi delle sorti.Considerando che la dominazione romana era in sommogrado insopportabile alle popolazioni orientali e che Mi-

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tridate era il re, che sotto ogni rapporto convenivaall'oriente; considerando la fiacchezza con cui il senatoromano governava le province, e avuto riguardo al fer-mento dei partiti politici in Roma che facendosi semprepiù intenso minacciava la guerra civile, Mitridate potevabenissimo, quando gli fosse riuscito di temporeggiare,ristabilire per la terza volta la sua signoria.Appunto perchè egli sperava e faceva nuovi progetti fin-chè in lui c'era vita, egli rimase pericoloso ai Romanifinchè visse, ed ora che era vecchio e fuggitivo non loera meno di prima quando alla testa di un esercito dicentinaia di migliaia di uomini aveva tentato di strappa-re ai Romani l'Ellade e la Macedonia.L'infaticabile vecchio, superati incredibili disagi sulcontinente e in mare, giunse nel 689 = 65 a Panticapeaprovenendo da Dioscuria. Colla sua autorità e col nume-roso suo seguito rovesciò dal trono il figlio ribelle Ma-carete e lo obbligò a darsi la morte. Da lì cercò di venireun'altra volta a trattative coi Romani; chiese a Pompeola restituzione dell'avito suo regno dichiarandosi prontoa riconoscere la supremazia di Roma e a pagare tributocome principe vassallo.Pompeo si rifiutò di ridare al re una posizione in cui egliavrebbe ricominciato l'antico suo giuoco e insistette sul-la personale sua sottomissione. Ma Mitridate non pensòdi darsi in mano al nemico e fece dei nuovi e sempre piùfantastici piani.Coll'impiego di tutti i mezzi, che gli offrivano i suoi te-sori e il rimanente de' suoi stati, Mitridate mise in piedi

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tridate era il re, che sotto ogni rapporto convenivaall'oriente; considerando la fiacchezza con cui il senatoromano governava le province, e avuto riguardo al fer-mento dei partiti politici in Roma che facendosi semprepiù intenso minacciava la guerra civile, Mitridate potevabenissimo, quando gli fosse riuscito di temporeggiare,ristabilire per la terza volta la sua signoria.Appunto perchè egli sperava e faceva nuovi progetti fin-chè in lui c'era vita, egli rimase pericoloso ai Romanifinchè visse, ed ora che era vecchio e fuggitivo non loera meno di prima quando alla testa di un esercito dicentinaia di migliaia di uomini aveva tentato di strappa-re ai Romani l'Ellade e la Macedonia.L'infaticabile vecchio, superati incredibili disagi sulcontinente e in mare, giunse nel 689 = 65 a Panticapeaprovenendo da Dioscuria. Colla sua autorità e col nume-roso suo seguito rovesciò dal trono il figlio ribelle Ma-carete e lo obbligò a darsi la morte. Da lì cercò di venireun'altra volta a trattative coi Romani; chiese a Pompeola restituzione dell'avito suo regno dichiarandosi prontoa riconoscere la supremazia di Roma e a pagare tributocome principe vassallo.Pompeo si rifiutò di ridare al re una posizione in cui egliavrebbe ricominciato l'antico suo giuoco e insistette sul-la personale sua sottomissione. Ma Mitridate non pensòdi darsi in mano al nemico e fece dei nuovi e sempre piùfantastici piani.Coll'impiego di tutti i mezzi, che gli offrivano i suoi te-sori e il rimanente de' suoi stati, Mitridate mise in piedi

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un nuovo esercito, composto in parte di schiavi, forte di36.000 uomini armati e istruiti alla romana, e fece co-struire un naviglio da guerra. Si diceva che volesse re-carsi per la Tracia, la Macedonia e la Pannonia verso oc-cidente, per associarsi gli Sciti abitanti le steppe sarmatee i Celti delle rive del Danubio e gettarsi sull'Italia conquesta valanga di popoli.Si volle trovare magnifica l'idea e paragonare questopiano di guerra del re pontico colla calata d'Annibale;ma, lo stesso progetto, che è geniale in uno spirito ge-niale, diventa pazzia in un uomo bizzarro.Questa progettata invasione dell'Italia per parte degliorientali era semplicemente ridicola e parto d'una impo-tente fantastica disperazione. Si dovette alla previdenzae al sangue freddo del loro duce se i Romani non segui-rono lo stravagante loro avversario per combattere nellalontana Crimea un'impresa, la quale, se pure non cadevada sè, poteva sempre venire combattuta abbastanza intempo a pie' delle Alpi. Infatti, mentre Pompeo, noncu-rando le minacce dell'impotente gigante, era intento ariordinare il conquistato territorio, si compivano senzala sua opera nel lontano settentrione i destini del vec-chio re.

13. Sollevazione contro Mitridate.

Gli sproporzionati apparecchi di guerra avevano destatoil massimo malumore negli abitanti del Bosforo, ai qualisi demolivano le case, si staccavano dall'aratro e

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un nuovo esercito, composto in parte di schiavi, forte di36.000 uomini armati e istruiti alla romana, e fece co-struire un naviglio da guerra. Si diceva che volesse re-carsi per la Tracia, la Macedonia e la Pannonia verso oc-cidente, per associarsi gli Sciti abitanti le steppe sarmatee i Celti delle rive del Danubio e gettarsi sull'Italia conquesta valanga di popoli.Si volle trovare magnifica l'idea e paragonare questopiano di guerra del re pontico colla calata d'Annibale;ma, lo stesso progetto, che è geniale in uno spirito ge-niale, diventa pazzia in un uomo bizzarro.Questa progettata invasione dell'Italia per parte degliorientali era semplicemente ridicola e parto d'una impo-tente fantastica disperazione. Si dovette alla previdenzae al sangue freddo del loro duce se i Romani non segui-rono lo stravagante loro avversario per combattere nellalontana Crimea un'impresa, la quale, se pure non cadevada sè, poteva sempre venire combattuta abbastanza intempo a pie' delle Alpi. Infatti, mentre Pompeo, noncu-rando le minacce dell'impotente gigante, era intento ariordinare il conquistato territorio, si compivano senzala sua opera nel lontano settentrione i destini del vec-chio re.

13. Sollevazione contro Mitridate.

Gli sproporzionati apparecchi di guerra avevano destatoil massimo malumore negli abitanti del Bosforo, ai qualisi demolivano le case, si staccavano dall'aratro e

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s'ammazzavano i buoi per procurarsi le necessarie travie i tendini per la costruzione delle macchine. E anche isoldati si prestavano di malavoglia a questa disperataspedizione italica.Mitridate era sempre stato circondato dalla diffidenza edal tradimento; egli non aveva il dono di ispirare allesue truppe sentimenti d'amore e di fedeltà. Come avevagià costretto il suo distinto generale Archelao a porsi insalvo nel campo romano, e nelle campagne di Luculloerano passati dalla parte nemica i suoi più fidati ufficia-li, Diocle e Fenice, e persino i più ragguardevoli emi-grati romani, così ora, che la sua stella impallidiva e ilvecchio sultano malandato e irritato non era accessibilea nessuno fuorchè ai suoi eunuchi, le diserzioni si segui-vano senza tregua.Castore, comandante la fortezza di Fanagoria (sulla co-sta asiatica di fronte a Kertsch) fu il primo ad inalberarela bandiera della rivolta; egli proclamò la libertà dellacittà e consegnò nelle mani dei Romani i figli di Mitri-date che si trovavano nella fortezza.Mentre la sollevazione si andava estendendo nelle cittàdel Bosforo e in quelle di Chersoneso (non lungi da Se-bastopoli), Teodosia (Caffa) ed altre si univano a Fana-goria, il re lasciava libero sfogo ai suoi sospetti ed allasua crudeltà.Sulla denuncia di spregevoli eunuchi vennero crocefissii suoi più fidi; gli stessi suoi figli erano meno sicuri de-gli altri per la loro vita. Il prediletto fra essi, per nomeFarnace, destinato probabilmente a succedergli, prese la

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s'ammazzavano i buoi per procurarsi le necessarie travie i tendini per la costruzione delle macchine. E anche isoldati si prestavano di malavoglia a questa disperataspedizione italica.Mitridate era sempre stato circondato dalla diffidenza edal tradimento; egli non aveva il dono di ispirare allesue truppe sentimenti d'amore e di fedeltà. Come avevagià costretto il suo distinto generale Archelao a porsi insalvo nel campo romano, e nelle campagne di Luculloerano passati dalla parte nemica i suoi più fidati ufficia-li, Diocle e Fenice, e persino i più ragguardevoli emi-grati romani, così ora, che la sua stella impallidiva e ilvecchio sultano malandato e irritato non era accessibilea nessuno fuorchè ai suoi eunuchi, le diserzioni si segui-vano senza tregua.Castore, comandante la fortezza di Fanagoria (sulla co-sta asiatica di fronte a Kertsch) fu il primo ad inalberarela bandiera della rivolta; egli proclamò la libertà dellacittà e consegnò nelle mani dei Romani i figli di Mitri-date che si trovavano nella fortezza.Mentre la sollevazione si andava estendendo nelle cittàdel Bosforo e in quelle di Chersoneso (non lungi da Se-bastopoli), Teodosia (Caffa) ed altre si univano a Fana-goria, il re lasciava libero sfogo ai suoi sospetti ed allasua crudeltà.Sulla denuncia di spregevoli eunuchi vennero crocefissii suoi più fidi; gli stessi suoi figli erano meno sicuri de-gli altri per la loro vita. Il prediletto fra essi, per nomeFarnace, destinato probabilmente a succedergli, prese la

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risoluzione di porsi a capo degli insorti.Gli scherani inviati da Mitridate per arrestarlo e le trup-pe spedite contro di lui passarono sotto le insegne del ri-belle. E pel principe si dichiarò in massa il corpo dei di-sertori italici, forse la più valida tra le schiere di Mitri-date e appunto per ciò la meno inclinata a prender partealla rischiosa spedizione d'Italia che doveva dar da pen-sare in modo speciale ai disertori; gli altri corpidell'esercito e la flotta seguirono l'esempio.Abbandonato che fu il re dall'esercito e dalla flotta e dalpaese, anche la capitale Panticapea aprì finalmente leporte agli insorti e consegnò loro il vecchio re che si te-neva chiuso nel suo palazzo.

14. Morte di Mitridate.

Dalle alte mura del suo castello Mitridate supplicava ilfiglio di lasciargli almeno la vita e di non macchiare lesue mani nel sangue del proprio padre; ma la preghieramale suonava sulle labbra di un uomo, le cui mani eranogrondanti del sangue della madre e di quellorecentemente sparso del proprio innocente figlio Sifare,e Farnace nella grandezza della sua atrocità superòpersino il padre.Non vedendo quindi speranza di salvezza, il sultano de-cise di morire come aveva vissuto: le sue mogli, le sueconcubine e le sue figlie, fra queste le giovani mogli deire di Egitto e di Cipro, tutte dovettero sentire l'amarezzadella morte e vuotare il nappo letale prima ch'egli stesso

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risoluzione di porsi a capo degli insorti.Gli scherani inviati da Mitridate per arrestarlo e le trup-pe spedite contro di lui passarono sotto le insegne del ri-belle. E pel principe si dichiarò in massa il corpo dei di-sertori italici, forse la più valida tra le schiere di Mitri-date e appunto per ciò la meno inclinata a prender partealla rischiosa spedizione d'Italia che doveva dar da pen-sare in modo speciale ai disertori; gli altri corpidell'esercito e la flotta seguirono l'esempio.Abbandonato che fu il re dall'esercito e dalla flotta e dalpaese, anche la capitale Panticapea aprì finalmente leporte agli insorti e consegnò loro il vecchio re che si te-neva chiuso nel suo palazzo.

14. Morte di Mitridate.

Dalle alte mura del suo castello Mitridate supplicava ilfiglio di lasciargli almeno la vita e di non macchiare lesue mani nel sangue del proprio padre; ma la preghieramale suonava sulle labbra di un uomo, le cui mani eranogrondanti del sangue della madre e di quellorecentemente sparso del proprio innocente figlio Sifare,e Farnace nella grandezza della sua atrocità superòpersino il padre.Non vedendo quindi speranza di salvezza, il sultano de-cise di morire come aveva vissuto: le sue mogli, le sueconcubine e le sue figlie, fra queste le giovani mogli deire di Egitto e di Cipro, tutte dovettero sentire l'amarezzadella morte e vuotare il nappo letale prima ch'egli stesso

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vuotasse il suo; ma temendo che il veleno agisse troppolentamente, porse il collo a Betuito, uno dei suoi merce-nari scelti, perchè glielo tagliasse.Così moriva Mitridate Eupatore (691 = 63) a sessantottoanni di età, dopo aver regnato cinquantasette anni, venti-sei dopo essere la prima volta sceso in campo contro iRomani.La salma spedita da re Farnace a Pompeo come provadei propri meriti e della sua lealtà, fu per ordine di Pom-peo depositata nelle tombe reali di Sinope.La morte di Mitridate valse ai Romani una vittoria: co-ronati d'alloro, proprio come se avessero da annunciareuna vittoria, comparvero nel campo romano di Gerico imessaggeri spediti per riferire la catastrofe al generale. IRomani avevano un potente nemico di meno e tra i piùgrandi che essi abbiano avuto a combattere nel decaden-te oriente. Il popolo lo comprese per istinto; come Sci-pione aveva già menato maggior vanto di aver vinto An-nibale che non Cartagine, così di fronte alla morte diMitridate furono quasi dimenticate le vittorie riportatesulle moltissime tribù dell'oriente e sullo stesso gran re,e in occasione del trionfo di Pompeo nessuna cosa attirògli sguardi della moltitudine più dei quadri che rappre-sentavano Mitridate fuggitivo che conduceva a mano ilsuo cavallo e morente in mezzo ai cadaveri delle sue fi-glie.Comunque si voglia giudicare del carattere singolare diquesto re, egli rimane però sempre un personaggiod'importanza storica universale in tutta la forza

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vuotasse il suo; ma temendo che il veleno agisse troppolentamente, porse il collo a Betuito, uno dei suoi merce-nari scelti, perchè glielo tagliasse.Così moriva Mitridate Eupatore (691 = 63) a sessantottoanni di età, dopo aver regnato cinquantasette anni, venti-sei dopo essere la prima volta sceso in campo contro iRomani.La salma spedita da re Farnace a Pompeo come provadei propri meriti e della sua lealtà, fu per ordine di Pom-peo depositata nelle tombe reali di Sinope.La morte di Mitridate valse ai Romani una vittoria: co-ronati d'alloro, proprio come se avessero da annunciareuna vittoria, comparvero nel campo romano di Gerico imessaggeri spediti per riferire la catastrofe al generale. IRomani avevano un potente nemico di meno e tra i piùgrandi che essi abbiano avuto a combattere nel decaden-te oriente. Il popolo lo comprese per istinto; come Sci-pione aveva già menato maggior vanto di aver vinto An-nibale che non Cartagine, così di fronte alla morte diMitridate furono quasi dimenticate le vittorie riportatesulle moltissime tribù dell'oriente e sullo stesso gran re,e in occasione del trionfo di Pompeo nessuna cosa attirògli sguardi della moltitudine più dei quadri che rappre-sentavano Mitridate fuggitivo che conduceva a mano ilsuo cavallo e morente in mezzo ai cadaveri delle sue fi-glie.Comunque si voglia giudicare del carattere singolare diquesto re, egli rimane però sempre un personaggiod'importanza storica universale in tutta la forza

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dell'espressione. Non era un genio, e forse nemmeno unuomo di molte doti personali; ma aveva quella assai ter-ribile di odiare veramente e con questo odio egli sosten-ne con onore se non con successo per mezzo secolol'ineguale lotta contro i formidabili suoi nemici.Più che per la sua individualità egli ebbe importanza peril posto che la storia gli assegnò. Egli iniziò, quale senti-nella avanzata della reazione dell'oriente contro gli occi-dentali, la nuova lotta dell'oriente contro l'occidente; etanto i vinti quanto i vincitori rimasero persuasi, che diquesta lotta, con la sua morte non si era alla fine, ma alprincipio.

15. Pompeo nella Siria.

Intanto Pompeo dopo aver guerreggiato collepopolazioni del Caucaso nel 689 = 55, si era portato nelregno pontico, ove ridusse all'ubbidienza le ultimerocche che ancora resistevano e che fece poidistruggere, rendendo inservibili i pozzi col riempirli dimassi onde far cessare intieramente il brigantaggio.Nell'estate del 690 si recò nella Siria per ordinare quelpaese. Non è facile narrare con chiarezza lo stato didissoluzione, in cui allora si trovavano le province dellaSiria. Il governatore armeno Magadate in seguito agliattacchi di Lucullo nel 685 = 69 aveva sgombrato questeprovince e anche i Tolomei, per quanto potesserodesiderare di rinnovare i tentativi dei loro predecessoridi aggiungere il litorale della Siria al loro regno, se ne

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dell'espressione. Non era un genio, e forse nemmeno unuomo di molte doti personali; ma aveva quella assai ter-ribile di odiare veramente e con questo odio egli sosten-ne con onore se non con successo per mezzo secolol'ineguale lotta contro i formidabili suoi nemici.Più che per la sua individualità egli ebbe importanza peril posto che la storia gli assegnò. Egli iniziò, quale senti-nella avanzata della reazione dell'oriente contro gli occi-dentali, la nuova lotta dell'oriente contro l'occidente; etanto i vinti quanto i vincitori rimasero persuasi, che diquesta lotta, con la sua morte non si era alla fine, ma alprincipio.

15. Pompeo nella Siria.

Intanto Pompeo dopo aver guerreggiato collepopolazioni del Caucaso nel 689 = 55, si era portato nelregno pontico, ove ridusse all'ubbidienza le ultimerocche che ancora resistevano e che fece poidistruggere, rendendo inservibili i pozzi col riempirli dimassi onde far cessare intieramente il brigantaggio.Nell'estate del 690 si recò nella Siria per ordinare quelpaese. Non è facile narrare con chiarezza lo stato didissoluzione, in cui allora si trovavano le province dellaSiria. Il governatore armeno Magadate in seguito agliattacchi di Lucullo nel 685 = 69 aveva sgombrato questeprovince e anche i Tolomei, per quanto potesserodesiderare di rinnovare i tentativi dei loro predecessoridi aggiungere il litorale della Siria al loro regno, se ne

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astennero per non irritare colla occupazione della Siria ilgoverno romano, tanto più che questo non aveva ancoraregolato i loro più che dubbi titoli ed era stato più voltepregato dai principi della Siria di riconoscerli comelegittimi eredi della estinta casa dei Lagidi.Ma quand'anche tutte le maggiori potenze si astenesseromomentaneamente dall'immischiarsi negli affari dellaSiria, il paese soffriva però molto più per le ostilità sen-za fine e senza scopo dei principi, dei cavalieri e dei co-muni, di quello che avrebbe potuto soffrire per unagrande guerra.Nel regno dei Seleucidi dominavano allora in via di fat-to i Beduini, i Giudei e i Nabatei.L'inospitale deserto di sabbia senza sorgenti e senza ve-getazione, che dalla penisola arabica si estende sinoall'Eufrate e al di là, verso occidente sino alla catenadelle montagne della Siria e l'angusto litorale, e versooriente arriva sino alle ubertose valli bagnate dal Tigri edal basso Eufrate, questo Sahara dell'Asia è l'antichissi-ma patria dei figli d'Ismaele. Da quando esiste una tradi-zione noi vi troviamo «il Bedawin» (Beduino), il «figliodel deserto» piantare le sue tende e pascere i suoi cam-melli, o sul celere suo destriero, dare la caccia ora al ne-mico della sua tribù, ora al mercante di passaggio.Prima protetti dal re Tigrane, che di loro si serviva peisuoi piani politico-commerciali, poi favoriti dall'assolutamancanza d'una signoria nel paese siriaco, questi figlidel deserto si erano estesi nell'interno della Siria setten-trionale e dal punto di vista politico erano più importanti

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astennero per non irritare colla occupazione della Siria ilgoverno romano, tanto più che questo non aveva ancoraregolato i loro più che dubbi titoli ed era stato più voltepregato dai principi della Siria di riconoscerli comelegittimi eredi della estinta casa dei Lagidi.Ma quand'anche tutte le maggiori potenze si astenesseromomentaneamente dall'immischiarsi negli affari dellaSiria, il paese soffriva però molto più per le ostilità sen-za fine e senza scopo dei principi, dei cavalieri e dei co-muni, di quello che avrebbe potuto soffrire per unagrande guerra.Nel regno dei Seleucidi dominavano allora in via di fat-to i Beduini, i Giudei e i Nabatei.L'inospitale deserto di sabbia senza sorgenti e senza ve-getazione, che dalla penisola arabica si estende sinoall'Eufrate e al di là, verso occidente sino alla catenadelle montagne della Siria e l'angusto litorale, e versooriente arriva sino alle ubertose valli bagnate dal Tigri edal basso Eufrate, questo Sahara dell'Asia è l'antichissi-ma patria dei figli d'Ismaele. Da quando esiste una tradi-zione noi vi troviamo «il Bedawin» (Beduino), il «figliodel deserto» piantare le sue tende e pascere i suoi cam-melli, o sul celere suo destriero, dare la caccia ora al ne-mico della sua tribù, ora al mercante di passaggio.Prima protetti dal re Tigrane, che di loro si serviva peisuoi piani politico-commerciali, poi favoriti dall'assolutamancanza d'una signoria nel paese siriaco, questi figlidel deserto si erano estesi nell'interno della Siria setten-trionale e dal punto di vista politico erano più importanti

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quelle tribù, che per la vicinanza dei Sirii più civilizzatiavevano accolti i primi principî del vivere ordinato.I più ragguardevoli fra i loro emiri erano Abgaro, capodella tribù araba dei Mardani, che Tigrane aveva stabili-to in vicinanza di Edessa e di Carre nell'alta Mesopota-mia; ad occidente dell'Eufrate, Sampsicheramo, emirodegli arabi di Emesa (Hems) fra Damasco e Antiochia esignore della fortezza di Aretusa; Azizo, capo di un'altraorda che scorrazzava nello stesso paese; Alcaudonio,principe dei Rambei, il quale si era messo in relazionecon Lucullo; ed altri ancora.Accanto a questi principi dei Beduini erano sorti dap-pertutto degli uomini arditi, che conoscevano il nobilemestiere dei briganti al pari e meglio di questi figli deldeserto; tale era Tolomeo figlio di Menneo, forse il piùpossente fra questi cavalieri predoni siriaci ed uno deipiù ricchi di quel tempo, il quale imperava nel territoriodegli Itirei – gli odierni Drusi – nelle valli del Libano esul litorale, nonchè sul piano di Massia posta verso set-tentrione, colle città di Eliopoli (Baalbeck) e di Calcide,e aveva 8000 cavalieri al suo soldo; tali erano Dionisio eCinira, signori delle città marittime di Tripoli (Tarabo-los) e di Biblo (tra Tarabolos e Beirut); tale il giudeoSila in Lisia, fortezza sull'Oronte non lungi da Apamea.

16. Giudei.

La razza dei Giudei nel mezzogiorno della Siriasembrava invece che volesse diventare una solida

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quelle tribù, che per la vicinanza dei Sirii più civilizzatiavevano accolti i primi principî del vivere ordinato.I più ragguardevoli fra i loro emiri erano Abgaro, capodella tribù araba dei Mardani, che Tigrane aveva stabili-to in vicinanza di Edessa e di Carre nell'alta Mesopota-mia; ad occidente dell'Eufrate, Sampsicheramo, emirodegli arabi di Emesa (Hems) fra Damasco e Antiochia esignore della fortezza di Aretusa; Azizo, capo di un'altraorda che scorrazzava nello stesso paese; Alcaudonio,principe dei Rambei, il quale si era messo in relazionecon Lucullo; ed altri ancora.Accanto a questi principi dei Beduini erano sorti dap-pertutto degli uomini arditi, che conoscevano il nobilemestiere dei briganti al pari e meglio di questi figli deldeserto; tale era Tolomeo figlio di Menneo, forse il piùpossente fra questi cavalieri predoni siriaci ed uno deipiù ricchi di quel tempo, il quale imperava nel territoriodegli Itirei – gli odierni Drusi – nelle valli del Libano esul litorale, nonchè sul piano di Massia posta verso set-tentrione, colle città di Eliopoli (Baalbeck) e di Calcide,e aveva 8000 cavalieri al suo soldo; tali erano Dionisio eCinira, signori delle città marittime di Tripoli (Tarabo-los) e di Biblo (tra Tarabolos e Beirut); tale il giudeoSila in Lisia, fortezza sull'Oronte non lungi da Apamea.

16. Giudei.

La razza dei Giudei nel mezzogiorno della Siriasembrava invece che volesse diventare una solida

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potenza politica.Colla sacra ed ardita difesa dell'antichissimo culto na-zionale giudaico, minacciato dall'ellenismo dei re siriaciche tutto voleva parificare, la dinastia degli Asmonei odei Maccabei non solo si era elevata al principato eredi-tario e a poco a poco all'onore della corona, ma queisommi sacerdoti principeschi erano andati estendendo lostato verso settentrione, oriente e mezzogiorno. Quandomorì il valoroso Alessandro Ianneo (675 = 79) il regnogiudaico si estendeva verso mezzogiorno su tutto il ter-ritorio filisteo fino al confine egizio; verso il sud-estfino al confine del regno nabateo di Petra, dal quale Ian-neo aveva staccato ragguardevoli territori sulla destradel Giordano e del Mar morto; verso settentrione al di làdi Samaria e della Decapoli fino al lago di Genezareth; egià si disponeva ad impossessarsi di Tolemaide (Akka) esoggiogando gli Itirei a far cessare le loro usurpazioni.Il litorale era soggetto ai Giudei dal monte Carmelo sinoa Rinocorura, compresa l'importante città di Gaza –Ascalon soltanto era ancora libera – cosicchè il regnogiudaico, altra volta quasi separato dal mare, si potevaora annoverare fra gli asili dei pirati.È probabile, che appunto quando la procella armena siavvicinò ai confini della Giudea e ne fu stornatadall'intervento di Lucullo, i saggi principi della dinastiaasmonea avrebbero portato più oltre le loro armi, se losviluppo delle forze di questo meraviglioso stato sacer-dotale conquistatore non fosse stato soffocato nel suonascere da interni dissidi.

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potenza politica.Colla sacra ed ardita difesa dell'antichissimo culto na-zionale giudaico, minacciato dall'ellenismo dei re siriaciche tutto voleva parificare, la dinastia degli Asmonei odei Maccabei non solo si era elevata al principato eredi-tario e a poco a poco all'onore della corona, ma queisommi sacerdoti principeschi erano andati estendendo lostato verso settentrione, oriente e mezzogiorno. Quandomorì il valoroso Alessandro Ianneo (675 = 79) il regnogiudaico si estendeva verso mezzogiorno su tutto il ter-ritorio filisteo fino al confine egizio; verso il sud-estfino al confine del regno nabateo di Petra, dal quale Ian-neo aveva staccato ragguardevoli territori sulla destradel Giordano e del Mar morto; verso settentrione al di làdi Samaria e della Decapoli fino al lago di Genezareth; egià si disponeva ad impossessarsi di Tolemaide (Akka) esoggiogando gli Itirei a far cessare le loro usurpazioni.Il litorale era soggetto ai Giudei dal monte Carmelo sinoa Rinocorura, compresa l'importante città di Gaza –Ascalon soltanto era ancora libera – cosicchè il regnogiudaico, altra volta quasi separato dal mare, si potevaora annoverare fra gli asili dei pirati.È probabile, che appunto quando la procella armena siavvicinò ai confini della Giudea e ne fu stornatadall'intervento di Lucullo, i saggi principi della dinastiaasmonea avrebbero portato più oltre le loro armi, se losviluppo delle forze di questo meraviglioso stato sacer-dotale conquistatore non fosse stato soffocato nel suonascere da interni dissidi.

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Lo spirito d'indipendenza religiosa e quello dell'indipen-denza nazionale, dalla cui vigorosa unione aveva avutovita lo stato dei Maccabei, degenerarono ben presto evennero persino in lotta fra loro. All'ortodossia ossia alcosì detto fariseismo, bastava il libero esercizio della re-ligione, che era stato ottenuto per forza dai sovrani siria-ci; il suo scopo pratico era una comunità giudaica com-posta degli ortodossi di tutti i paesi, la quale non avesseessenzialmente riguardo al governo civile e trovasse isuoi punti visibili di contatto nell'imposta che ogni giu-deo coscienzioso doveva pagare per il tempio di Gerusa-lemme, nelle scuole religiose e nei tribunali ecclesiasti-ci.

17. Sadducei.

Di fronte a questa ortodossia, che ogni giorno piùintristiva sotto l'influenza di una teologia senza idee e diun culto disciplinare opprimente, sorse l'opposizione deirappresentanti dell'indipendenza nazionale, rinvigoritinella fortunata lotta contro la signoria straniera, i qualiavanzavano precorrendo nel pensiero di unristabilimento dello stato giudaico i rappresentanti delleantiche grandi schiatte, i così detti Sadducei, i quali inparte erano dogmatici, in quanto che non ammettevanoche i libri sacri e non riconoscevano quanto avevanolasciato scritto i sacri dottori, cioè non prestavano allatradizione canonica che un'autorità, non la canonicità14;14 Così i Sadducei condannavano la dottrina degli angeli e degli spiriti e la

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Lo spirito d'indipendenza religiosa e quello dell'indipen-denza nazionale, dalla cui vigorosa unione aveva avutovita lo stato dei Maccabei, degenerarono ben presto evennero persino in lotta fra loro. All'ortodossia ossia alcosì detto fariseismo, bastava il libero esercizio della re-ligione, che era stato ottenuto per forza dai sovrani siria-ci; il suo scopo pratico era una comunità giudaica com-posta degli ortodossi di tutti i paesi, la quale non avesseessenzialmente riguardo al governo civile e trovasse isuoi punti visibili di contatto nell'imposta che ogni giu-deo coscienzioso doveva pagare per il tempio di Gerusa-lemme, nelle scuole religiose e nei tribunali ecclesiasti-ci.

17. Sadducei.

Di fronte a questa ortodossia, che ogni giorno piùintristiva sotto l'influenza di una teologia senza idee e diun culto disciplinare opprimente, sorse l'opposizione deirappresentanti dell'indipendenza nazionale, rinvigoritinella fortunata lotta contro la signoria straniera, i qualiavanzavano precorrendo nel pensiero di unristabilimento dello stato giudaico i rappresentanti delleantiche grandi schiatte, i così detti Sadducei, i quali inparte erano dogmatici, in quanto che non ammettevanoche i libri sacri e non riconoscevano quanto avevanolasciato scritto i sacri dottori, cioè non prestavano allatradizione canonica che un'autorità, non la canonicità14;14 Così i Sadducei condannavano la dottrina degli angeli e degli spiriti e la

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e in parte politica, poichè invece di attendere come ifatalisti la salvezza della nazione dal potente braccio deldio Zebaoth, l'attendevano dalle proprie armi especialmente dall'interna ed esterna vigoria del regno diDavide risorto nei gloriosi tempi dei Maccabei.Questi ortodossi si appoggiavano sul sacerdozio e sullemasse, e combattevano contro i perversi eretici con tuttaquella implacabilità, priva di riguardo, con la quale i de-voti sono soliti combattere per il possesso dei beni terre-ni. Invece il partito politico faceva assegnamento sulleintelligenze eccitate dall'influenza dell'ellenismo,sull'esercito, nel quale servivano molti mercenari dellaPisidia e della Cilicia, e sui migliori re, che allora lotta-vano in Giudea contro l'autorità ecclesiastica, appuntocome un migliaio d'anni più tardi gli Hohenstaufen con-tro il papato.Ianneo aveva saputo con mano forte tenere a posto ilclero; sotto i suoi due figli (685 = 69) scoppiò una guer-ra cittadina e fraterna, mentre i Farisei facevano opposi-zione al forte Aristobulo, tentando sotto la signoria no-minale di suo fratello Ircano, uomo buono e fiacco, diraggiungere il loro intento.Questa contesa non solo fermò le conquiste degli Ebrei,ma diede anche occasione a nazioni estere d'immischiar-

risurrezione dei morti. La maggior parte dei punti, nei quali i Farisei e iSadducei differivano, si riferiscono a questioni secondarie rituali,giuridiche e di calendario. È caratteristico, che i vittoriosi Farisei feceroregistrare nell'elenco dei giorni memorabili e festivi della nazione quelli incui essi avevano avuto definitivamente il sopravvento nelle variecontroversie e in cui avevano scacciato dei membri eretici dal supremoconcistoro.

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e in parte politica, poichè invece di attendere come ifatalisti la salvezza della nazione dal potente braccio deldio Zebaoth, l'attendevano dalle proprie armi especialmente dall'interna ed esterna vigoria del regno diDavide risorto nei gloriosi tempi dei Maccabei.Questi ortodossi si appoggiavano sul sacerdozio e sullemasse, e combattevano contro i perversi eretici con tuttaquella implacabilità, priva di riguardo, con la quale i de-voti sono soliti combattere per il possesso dei beni terre-ni. Invece il partito politico faceva assegnamento sulleintelligenze eccitate dall'influenza dell'ellenismo,sull'esercito, nel quale servivano molti mercenari dellaPisidia e della Cilicia, e sui migliori re, che allora lotta-vano in Giudea contro l'autorità ecclesiastica, appuntocome un migliaio d'anni più tardi gli Hohenstaufen con-tro il papato.Ianneo aveva saputo con mano forte tenere a posto ilclero; sotto i suoi due figli (685 = 69) scoppiò una guer-ra cittadina e fraterna, mentre i Farisei facevano opposi-zione al forte Aristobulo, tentando sotto la signoria no-minale di suo fratello Ircano, uomo buono e fiacco, diraggiungere il loro intento.Questa contesa non solo fermò le conquiste degli Ebrei,ma diede anche occasione a nazioni estere d'immischiar-

risurrezione dei morti. La maggior parte dei punti, nei quali i Farisei e iSadducei differivano, si riferiscono a questioni secondarie rituali,giuridiche e di calendario. È caratteristico, che i vittoriosi Farisei feceroregistrare nell'elenco dei giorni memorabili e festivi della nazione quelli incui essi avevano avuto definitivamente il sopravvento nelle variecontroversie e in cui avevano scacciato dei membri eretici dal supremoconcistoro.

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si e di procacciarsi una posizione dominante nella Siriameridionale.

18. Nabatei.

Ciò vale anzi tutto per i Nabatei. Questa singolarenazione fu spesso confusa con gli arabi nomadi suoivicini orientali, ma essa è più affine al ramo Arameo chenon ai veri figli d'Ismaele.Questa tribù aramea, o, come è detta dagli occidentali,siriaca, deve aver mandato dalle prime sue sedi nelle vi-cinanze di Babilonia in tempi antichissimi una coloniaalla estremità nordica del golfo arabico, probabilmenteper motivi commerciali: sono questi i Nabatei della pe-nisola asiatica fra il golfo di Suez ed Aila e della regio-ne di Petra (Wadi Musa). Nei loro porti si scambiavanole merci del Mediterraneo contro quelle provenientidall'India; la grande via meridionale delle carovane, chepercorreva il paese da Gaza alla foce dell'Eufrate ed algolfo Persico, attraversava Petra, città capitale dei Na-batei, i cui resti di magnifici palazzi e di sepolcri tagliatinelle rupi fanno ancora oggi testimonianza molto piùevidente della civiltà nabatea, che non la quasi spentatradizione.Il partito farisaico, al quale la vittoria non sembrava ri-portata a troppo caro prezzo col sacrificio dell'indipen-denza e dell'integrità dei paese, invocò l'aiuto del re deiNabatei, Areta, contro Aristobulo, promettendo per ciòdi restituirgli tutte le conquiste strappategli da Janneo.

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si e di procacciarsi una posizione dominante nella Siriameridionale.

18. Nabatei.

Ciò vale anzi tutto per i Nabatei. Questa singolarenazione fu spesso confusa con gli arabi nomadi suoivicini orientali, ma essa è più affine al ramo Arameo chenon ai veri figli d'Ismaele.Questa tribù aramea, o, come è detta dagli occidentali,siriaca, deve aver mandato dalle prime sue sedi nelle vi-cinanze di Babilonia in tempi antichissimi una coloniaalla estremità nordica del golfo arabico, probabilmenteper motivi commerciali: sono questi i Nabatei della pe-nisola asiatica fra il golfo di Suez ed Aila e della regio-ne di Petra (Wadi Musa). Nei loro porti si scambiavanole merci del Mediterraneo contro quelle provenientidall'India; la grande via meridionale delle carovane, chepercorreva il paese da Gaza alla foce dell'Eufrate ed algolfo Persico, attraversava Petra, città capitale dei Na-batei, i cui resti di magnifici palazzi e di sepolcri tagliatinelle rupi fanno ancora oggi testimonianza molto piùevidente della civiltà nabatea, che non la quasi spentatradizione.Il partito farisaico, al quale la vittoria non sembrava ri-portata a troppo caro prezzo col sacrificio dell'indipen-denza e dell'integrità dei paese, invocò l'aiuto del re deiNabatei, Areta, contro Aristobulo, promettendo per ciòdi restituirgli tutte le conquiste strappategli da Janneo.

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Areta invase quindi il paese giudaico, come si disse, concinquanta mila uomini, e, rafforzato dal partito dei Fari-sei, strinse d'assedio re Aristobulo nella sua capitale.In questi tempi, in cui il diritto del più forte e il diritto diguerra dominavano dall'una all'altra estremità della Si-ria, naturalmente versavano anzitutto in cattive condi-zioni le città più grandi, Antiochia, Seleucia, Damasco, icittadini delle quali non potevano attendere nè ai lavoriagricoli nè al loro commercio marittimo e carovaniero. Icittadini di Biblo e di Berito (Beirut) non potevano di-fendere nè i loro campi, nè le loro barche contro gli Iti-rei i quali dai loro forti castelli sui monti e sulle spiaggerendevano malsicuri la terra ed il mare.Quelli di Damasco tentarono di difendersi dagli attacchidegli Itirei e di Tolomeo mettendosi sotto la dipendenzadei re più lontani, dei Nabatei e dei Giudei. Nelle inter-ne discordie dei cittadini d'Antiochia s'immischiaronoSampsicheramo e Azizo, e poco mancò che la grandecittà ellenica non divenisse fin d'allora sede d'un emiroarabo. Erano condizioni che ricordano i tempi degli in-terregni del medio evo in Germania, quando Norimber-ga e Augusta non trovavano difesa nell'autorità e nei tri-bunali del re, ma unicamente dietro i loro ripari; i citta-dini commercianti della Siria attendevano con impazien-za un braccio forte che ridonasse loro la pace e rendessesicuro il traffico.In Siria non si difettava già di re legittimi; anzi ve neerano già più di tre.

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Areta invase quindi il paese giudaico, come si disse, concinquanta mila uomini, e, rafforzato dal partito dei Fari-sei, strinse d'assedio re Aristobulo nella sua capitale.In questi tempi, in cui il diritto del più forte e il diritto diguerra dominavano dall'una all'altra estremità della Si-ria, naturalmente versavano anzitutto in cattive condi-zioni le città più grandi, Antiochia, Seleucia, Damasco, icittadini delle quali non potevano attendere nè ai lavoriagricoli nè al loro commercio marittimo e carovaniero. Icittadini di Biblo e di Berito (Beirut) non potevano di-fendere nè i loro campi, nè le loro barche contro gli Iti-rei i quali dai loro forti castelli sui monti e sulle spiaggerendevano malsicuri la terra ed il mare.Quelli di Damasco tentarono di difendersi dagli attacchidegli Itirei e di Tolomeo mettendosi sotto la dipendenzadei re più lontani, dei Nabatei e dei Giudei. Nelle inter-ne discordie dei cittadini d'Antiochia s'immischiaronoSampsicheramo e Azizo, e poco mancò che la grandecittà ellenica non divenisse fin d'allora sede d'un emiroarabo. Erano condizioni che ricordano i tempi degli in-terregni del medio evo in Germania, quando Norimber-ga e Augusta non trovavano difesa nell'autorità e nei tri-bunali del re, ma unicamente dietro i loro ripari; i citta-dini commercianti della Siria attendevano con impazien-za un braccio forte che ridonasse loro la pace e rendessesicuro il traffico.In Siria non si difettava già di re legittimi; anzi ve neerano già più di tre.

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19. Gli ultimi Seleucidi.

Un principe, Antioco, della dinastia dei Seleucidi, erastato insediato da Lucullo come signore della provinciapiù settentrionale siriaca, di Commagene. Antiocol'asiatico, le cui pretese al trono di Siria erano statericonosciute dal senato e da Lucullo, era stato accolto inAntiochia dopo la partenza degli Armeni e riconosciutore. A questi non tardò di opporsi un terzo principeseleucida a nome Filippo e la numerosa borghesiad'Antiochia, leggera e inclinata a fare opposizione quasicome l'alessandrina; inoltre parecchi emiri arabi vicinis'erano mescolati nelle contese di famiglia, chesembravano ormai inseparabili dal dominio deiSeleucidi. Non desta quindi meraviglia, se la legittimitàera divenuta pei sudditi un soggetto di scherno e dinausea, e se i cosiddetti re legittimi erano in quel paeseancor meno considerati dei principi e dei cavalieripredoni.

20. Assorbimento della Siria.

Per mettere ordine in questo caos non abbisognavano nèconcetti geniali, nè grandi forze, bensì una chiaracomprensione degli interessi di Roma e dei suoi sudditi,e un forte e logico impianto e mantenimento delleistituzioni riconosciute necessarie.La politica legittimista del senato si era prostituita piùdel necessario; il generale, elevato al potere dal partito

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19. Gli ultimi Seleucidi.

Un principe, Antioco, della dinastia dei Seleucidi, erastato insediato da Lucullo come signore della provinciapiù settentrionale siriaca, di Commagene. Antiocol'asiatico, le cui pretese al trono di Siria erano statericonosciute dal senato e da Lucullo, era stato accolto inAntiochia dopo la partenza degli Armeni e riconosciutore. A questi non tardò di opporsi un terzo principeseleucida a nome Filippo e la numerosa borghesiad'Antiochia, leggera e inclinata a fare opposizione quasicome l'alessandrina; inoltre parecchi emiri arabi vicinis'erano mescolati nelle contese di famiglia, chesembravano ormai inseparabili dal dominio deiSeleucidi. Non desta quindi meraviglia, se la legittimitàera divenuta pei sudditi un soggetto di scherno e dinausea, e se i cosiddetti re legittimi erano in quel paeseancor meno considerati dei principi e dei cavalieripredoni.

20. Assorbimento della Siria.

Per mettere ordine in questo caos non abbisognavano nèconcetti geniali, nè grandi forze, bensì una chiaracomprensione degli interessi di Roma e dei suoi sudditi,e un forte e logico impianto e mantenimento delleistituzioni riconosciute necessarie.La politica legittimista del senato si era prostituita piùdel necessario; il generale, elevato al potere dal partito

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dell'opposizione, non aveva bisogno di lasciarsi domina-re dai riguardi dinastici, ma doveva soltanto vigilare af-finchè in avvenire il regno di Siria non venisse sottrattoalla clientela romana nè per i litigi dei pretendenti nè perl'avidità dei vicini.Per ottenere questo intento non v'era però che una via;quella, cioè, che un satrapo inviato dalla repubblica ro-mana afferrasse con mano vigorosa le redini del gover-no, che i re della dinastia reggente, più per propria colpache per effetto di esterne disgrazie, si erano virtualmenteda lungo tempo lasciate sfuggire dalle mani.Pompeo scelse questa via. Ad Antioco, che domandavadi essere riconosciuto legittimo signore della Siria,Pompeo rispose che egli non ridarebbe la signoria ad unre che non sa nè governare nè conservare il suo regnonemmeno dietro preghiera dei suoi sudditi, tanto menopoi contro il loro desiderio solennemente manifesto.Con questa lettera del proconsole romano la dinastia diSeleuco veniva rovesciata dal trono, sul quale si eramantenuta per 250 anni. Antioco perdette poco dopo lavita per insidia dell'emiro Sampsicheramo, il quale, ben-chè suo dipendente, la faceva da padrone in Antiochia;da allora in poi non si fa più menzione nè di queste om-bre del re, nè delle loro pretese.Ma per imporre il nuovo governo ed un certo ordine nel-le complicate condizioni della Siria era però ancora ne-cessario entrarvi con un esercito per spaventare e abbat-tere con le legioni romane tutti i nemici della ordinatapace, sorti durante la lunga anarchia. Già durante le

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dell'opposizione, non aveva bisogno di lasciarsi domina-re dai riguardi dinastici, ma doveva soltanto vigilare af-finchè in avvenire il regno di Siria non venisse sottrattoalla clientela romana nè per i litigi dei pretendenti nè perl'avidità dei vicini.Per ottenere questo intento non v'era però che una via;quella, cioè, che un satrapo inviato dalla repubblica ro-mana afferrasse con mano vigorosa le redini del gover-no, che i re della dinastia reggente, più per propria colpache per effetto di esterne disgrazie, si erano virtualmenteda lungo tempo lasciate sfuggire dalle mani.Pompeo scelse questa via. Ad Antioco, che domandavadi essere riconosciuto legittimo signore della Siria,Pompeo rispose che egli non ridarebbe la signoria ad unre che non sa nè governare nè conservare il suo regnonemmeno dietro preghiera dei suoi sudditi, tanto menopoi contro il loro desiderio solennemente manifesto.Con questa lettera del proconsole romano la dinastia diSeleuco veniva rovesciata dal trono, sul quale si eramantenuta per 250 anni. Antioco perdette poco dopo lavita per insidia dell'emiro Sampsicheramo, il quale, ben-chè suo dipendente, la faceva da padrone in Antiochia;da allora in poi non si fa più menzione nè di queste om-bre del re, nè delle loro pretese.Ma per imporre il nuovo governo ed un certo ordine nel-le complicate condizioni della Siria era però ancora ne-cessario entrarvi con un esercito per spaventare e abbat-tere con le legioni romane tutti i nemici della ordinatapace, sorti durante la lunga anarchia. Già durante le

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campagne nel regno del Ponto e alle falde del CaucasoPompeo aveva rivolta la sua attenzione agli affari dellaSiria e vi aveva inviati speciali incaricati e anche qual-che divisione. Aulo Gabinio – quello stesso che, essen-do tribuno del popolo, aveva inviato Pompeo in oriente– fino dal 689 = 65 era giunto al Tigri, poi traversandola Mesopotamia, in Siria, per metter ordine agli intricatiaffari della Giudea.Così era stata occupata da Lollio e da Metello la città diDamasco gravemente tribolata. Non andò molto che nel-la Giudea arrivò un altro aiutante di Pompeo, MarcoScauro, per metter fine alle contese che vi si andavanosuccedendo senza posa. E così Lucio Afranio, il qualedurante la spedizione di Pompeo al Caucaso aveva tenu-to il comando sulle truppe stanziate nell'Armenia, si erarecato, partendo da Corduene (Curdistan settentrionale)nell'alta Mesopotamia, e dopo di avere, coll'aiuto degliElleni stabiliti in Carre, percorsa felicemente la perico-losa via, aveva soggiogati gli arabi di Osroene.Sulla fine del 690 = 64 arrivò Pompeo stesso nellaSiria15 e vi si fermò fino all'estate dell'anno seguente,risoluto ad ordinare energicamente le condizioni del15 Pompeo passò l'inverno del 689-690 = 65-64 ancora in vicinanza del mar

Caspio (DIONE, 37. 7). Egli espugnò nel 690 = 64 anzitutto gli ultimicastelli, che nel regno pontico resistevano ancora e si portò poi verso ilmezzodì a piccole giornate e riordinando ovunque gli affari del paese.L'ordinamento della Siria cominciò nel 690, e se ne ha la certezza dallacircostanza, che l'era provinciale siriaca ha origine con quest'anno, nonchèda quanto dice CICERONE della Commagene (ad Q. fr. 2, 12, 2, confr. DIONE,37, 7). Pare che Pompeo nell'inverno del 690 = 64 avesse il suo quartieregenerale in Antiochia (GIUSEPPE 14, 3, 1, 2, nel quale vi è molta confusionecorretta da NIESE in Hermes 11, p. 471).

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campagne nel regno del Ponto e alle falde del CaucasoPompeo aveva rivolta la sua attenzione agli affari dellaSiria e vi aveva inviati speciali incaricati e anche qual-che divisione. Aulo Gabinio – quello stesso che, essen-do tribuno del popolo, aveva inviato Pompeo in oriente– fino dal 689 = 65 era giunto al Tigri, poi traversandola Mesopotamia, in Siria, per metter ordine agli intricatiaffari della Giudea.Così era stata occupata da Lollio e da Metello la città diDamasco gravemente tribolata. Non andò molto che nel-la Giudea arrivò un altro aiutante di Pompeo, MarcoScauro, per metter fine alle contese che vi si andavanosuccedendo senza posa. E così Lucio Afranio, il qualedurante la spedizione di Pompeo al Caucaso aveva tenu-to il comando sulle truppe stanziate nell'Armenia, si erarecato, partendo da Corduene (Curdistan settentrionale)nell'alta Mesopotamia, e dopo di avere, coll'aiuto degliElleni stabiliti in Carre, percorsa felicemente la perico-losa via, aveva soggiogati gli arabi di Osroene.Sulla fine del 690 = 64 arrivò Pompeo stesso nellaSiria15 e vi si fermò fino all'estate dell'anno seguente,risoluto ad ordinare energicamente le condizioni del15 Pompeo passò l'inverno del 689-690 = 65-64 ancora in vicinanza del mar

Caspio (DIONE, 37. 7). Egli espugnò nel 690 = 64 anzitutto gli ultimicastelli, che nel regno pontico resistevano ancora e si portò poi verso ilmezzodì a piccole giornate e riordinando ovunque gli affari del paese.L'ordinamento della Siria cominciò nel 690, e se ne ha la certezza dallacircostanza, che l'era provinciale siriaca ha origine con quest'anno, nonchèda quanto dice CICERONE della Commagene (ad Q. fr. 2, 12, 2, confr. DIONE,37, 7). Pare che Pompeo nell'inverno del 690 = 64 avesse il suo quartieregenerale in Antiochia (GIUSEPPE 14, 3, 1, 2, nel quale vi è molta confusionecorretta da NIESE in Hermes 11, p. 471).

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paese per allora e per l'avvenire.Riportandosi alle condizioni del regno dei migliori tem-pi della signoria dei Seleucidi, furono tolti di mezzo tuttii poteri usurpati, i cavalieri predoni furono invitati aconsegnare le loro rocche, gli sceicchi arabi furono dinuovo ridotti al loro territorio nel deserto, e furono rego-late definitivamente le condizioni dei singoli comuni.Ad imporre l'obbedienza a questi severi ordini eranopronte le legioni e il loro immediato intervento fu neces-sario particolarmente contro i temerari cavalieri predoni.Sira signore di Lisia, Dionigi signore di Tripoli e Cinirasignore di Biblo, furono presi e scacciati nelle loro roc-che; i castelli marittimi e quelli alpestri degli Itirei furo-no distrutti. Tolomeo, figlio di Menneo, fu obbligato ariscattare la sua libertà e la signoria colla somma di1000 talenti (pari a 6.435.000 lire). Nel rimanente gli or-dini del nuovo signore erano per lo più eseguiti senza lamenoma resistenza.

21. Lotte contro i Giudei.

I soli Giudei vacillavano. Gabinio e Scauro inviati daPompeo come mediatori – entrambi corrotti, come sidiceva, con ragguardevoli somme – avevano decisonella contesa dei due fratelli Ircano e Aristobulo infavore di quest'ultimo e avevano anche indotto il reAreta a levare l'esercito da Gerusalemme e a ritornare acasa; per cui nella ritirata egli ebbe anche a soffrire unasconfitta da Aristobulo.

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paese per allora e per l'avvenire.Riportandosi alle condizioni del regno dei migliori tem-pi della signoria dei Seleucidi, furono tolti di mezzo tuttii poteri usurpati, i cavalieri predoni furono invitati aconsegnare le loro rocche, gli sceicchi arabi furono dinuovo ridotti al loro territorio nel deserto, e furono rego-late definitivamente le condizioni dei singoli comuni.Ad imporre l'obbedienza a questi severi ordini eranopronte le legioni e il loro immediato intervento fu neces-sario particolarmente contro i temerari cavalieri predoni.Sira signore di Lisia, Dionigi signore di Tripoli e Cinirasignore di Biblo, furono presi e scacciati nelle loro roc-che; i castelli marittimi e quelli alpestri degli Itirei furo-no distrutti. Tolomeo, figlio di Menneo, fu obbligato ariscattare la sua libertà e la signoria colla somma di1000 talenti (pari a 6.435.000 lire). Nel rimanente gli or-dini del nuovo signore erano per lo più eseguiti senza lamenoma resistenza.

21. Lotte contro i Giudei.

I soli Giudei vacillavano. Gabinio e Scauro inviati daPompeo come mediatori – entrambi corrotti, come sidiceva, con ragguardevoli somme – avevano decisonella contesa dei due fratelli Ircano e Aristobulo infavore di quest'ultimo e avevano anche indotto il reAreta a levare l'esercito da Gerusalemme e a ritornare acasa; per cui nella ritirata egli ebbe anche a soffrire unasconfitta da Aristobulo.

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Ma quando Pompeo arrivò in Siria, annullò le disposi-zioni dei suoi subordinati e ordinò ai Giudei di ripristi-nare la loro antica costituzione sommo-sacerdotale, qua-le era stata riconosciuta dal senato verso l'anno 693 =61, e di rinunciare, come al principato stesso, così a tut-te le conquiste fatte dai principi asmonei.Erano stati i Farisei ad inviare una ambasciata compostadi duecento dei loro più distinti personaggi al supremoduce romano, ottenendo il rovesciamento del regno, nonpiù a vantaggio della loro nazione, ma dei Romani, iquali per la natura della cosa dovettero riportarsi anchein questo agli antichi diritti dei Seleucidi e non potevanotollerare entro il loro regno una potenza conquistatrice,qual'era quella di Janneo.Aristobulo esitava nella scelta, se meglio convenisse ditollerare ciò che era inevitabile o di soggiacere alla fata-lità colle armi alla mano; ora sembrava volersi sottomet-tere a Pompeo, ora voler fare un appello al partito nazio-nale dei Giudei per combattere i Romani. Allorchè fi-nalmente, essendo le legioni ormai vicino alle porte, eglisi diede ai nemici, la parte più risoluta e fanatica del suoesercito non ubbidì agli ordini del suo re non libero. Lacapitale si sottomise; ma quella schiera di fanatici difeseper tre mesi con una tremenda ostinatezza la scoscesarocca col suo tempio, fino a che gli assedianti, profittan-do del riposo ebraico del sabato, vi penetrarono impos-sessandosi del santuario e facendo cadere sotto le scuridei littori le teste di coloro fra i promotori di quella di-sperata difesa, che non eran caduti sotto i brandi romani.

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Ma quando Pompeo arrivò in Siria, annullò le disposi-zioni dei suoi subordinati e ordinò ai Giudei di ripristi-nare la loro antica costituzione sommo-sacerdotale, qua-le era stata riconosciuta dal senato verso l'anno 693 =61, e di rinunciare, come al principato stesso, così a tut-te le conquiste fatte dai principi asmonei.Erano stati i Farisei ad inviare una ambasciata compostadi duecento dei loro più distinti personaggi al supremoduce romano, ottenendo il rovesciamento del regno, nonpiù a vantaggio della loro nazione, ma dei Romani, iquali per la natura della cosa dovettero riportarsi anchein questo agli antichi diritti dei Seleucidi e non potevanotollerare entro il loro regno una potenza conquistatrice,qual'era quella di Janneo.Aristobulo esitava nella scelta, se meglio convenisse ditollerare ciò che era inevitabile o di soggiacere alla fata-lità colle armi alla mano; ora sembrava volersi sottomet-tere a Pompeo, ora voler fare un appello al partito nazio-nale dei Giudei per combattere i Romani. Allorchè fi-nalmente, essendo le legioni ormai vicino alle porte, eglisi diede ai nemici, la parte più risoluta e fanatica del suoesercito non ubbidì agli ordini del suo re non libero. Lacapitale si sottomise; ma quella schiera di fanatici difeseper tre mesi con una tremenda ostinatezza la scoscesarocca col suo tempio, fino a che gli assedianti, profittan-do del riposo ebraico del sabato, vi penetrarono impos-sessandosi del santuario e facendo cadere sotto le scuridei littori le teste di coloro fra i promotori di quella di-sperata difesa, che non eran caduti sotto i brandi romani.

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Con questa espugnazione fu posto fine all'ultima resi-stenza dei territori nuovamente incorporati nello statoromano.

22. Nuovi rapporti tra Roma e l'oriente.

All'opera incominciata da Lucullo aveva messo finePompeo: gli stati fino allora formalmente indipendenti,la Bitinia, il Ponto e la Siria, erano uniti allo statoromano; il cambiamento del fiacco sistema dellaclientela colla signoria diretta sui più importanti territoridipendenti, riconosciuta necessaria da oltre un secolo, siera finalmente verificato, appena il senato era statorovesciato ed il partito dei Gracchi aveva afferrato iltimone dello stato.In oriente si erano ottenuti nuovi confini, erano sortinuovi vicini, si erano formati nuovi rapporti amichevolied ostili.Nel novero dei territori direttamente romani entrarono ilregno d'Armenia e i principati caucasiani, nonchè il re-gno sul Bosforo Cimmerio, e i pochi avanzi delle esteseconquiste di Mitridate Eupatore divenuti ora uno statocliente romano retto da Farnace suo figlio ed assassinodel padre; la sola città di Fanagoria, il cui comandanteCastore aveva dato il segnale della sollevazione, fu pertal motivo dai Romani riconosciuta libera ed indipen-dente.Non si potevano vantare eguali successi di fronte ai Na-batei. Dietro richiesta dei Romani il re Areta aveva, ve-

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Con questa espugnazione fu posto fine all'ultima resi-stenza dei territori nuovamente incorporati nello statoromano.

22. Nuovi rapporti tra Roma e l'oriente.

All'opera incominciata da Lucullo aveva messo finePompeo: gli stati fino allora formalmente indipendenti,la Bitinia, il Ponto e la Siria, erano uniti allo statoromano; il cambiamento del fiacco sistema dellaclientela colla signoria diretta sui più importanti territoridipendenti, riconosciuta necessaria da oltre un secolo, siera finalmente verificato, appena il senato era statorovesciato ed il partito dei Gracchi aveva afferrato iltimone dello stato.In oriente si erano ottenuti nuovi confini, erano sortinuovi vicini, si erano formati nuovi rapporti amichevolied ostili.Nel novero dei territori direttamente romani entrarono ilregno d'Armenia e i principati caucasiani, nonchè il re-gno sul Bosforo Cimmerio, e i pochi avanzi delle esteseconquiste di Mitridate Eupatore divenuti ora uno statocliente romano retto da Farnace suo figlio ed assassinodel padre; la sola città di Fanagoria, il cui comandanteCastore aveva dato il segnale della sollevazione, fu pertal motivo dai Romani riconosciuta libera ed indipen-dente.Non si potevano vantare eguali successi di fronte ai Na-batei. Dietro richiesta dei Romani il re Areta aveva, ve-

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ramente, sgombrato il paese giudaico, ma era tuttora insuo potere la città di Damasco e nessun soldato romanoaveva ancora messo il piede nel paese dei Nabatei.Per sottomettere i quali o almeno per provare ai suoivicini dell'Arabia che ora sull'Oronte e sul Giordanoimperavano le aquile romane, e che non era più il tempoin cui a chicchessia era lecito di taglieggiare i paesidella Siria come non appartenenti a nessun padrone,Pompeo nel 691 = 63, fece una spedizione contro Petra;senonchè, trattenuto dalla sollevazione dei Giudeiscoppiata appunto allora, egli incaricò senzarincrescimento il suo successore Marco Scauro delladifficile impresa contro la lontana città dei Nabatei sitain mezzo al deserto16.Infatti Scauro si vide anch'egli presto obbligato a rinun-ciare all'impresa ed a ritornare sul suoi passi.Egli dovette accontentarsi di combattere coi Nabatei neideserti sulla sinistra del Giordano, ove poteva fare asse-gnamento sui Giudei; ma anche colà non ottenne chemediocrissimi successi.Finalmente l'avveduto ministro giudaico Antipatrod'Idumea persuase il re Areta di acquistare dal luogote-nente romano, col danaro, la garanzia di tutti i suoi pos-16 OROSIO 6, 6 e DIONE 37, 45, seguendo senza dubbio LIVIO, fanno giungere

Pompeo sino a Petra, espugnare anche la città e lo fanno persino arrivare alMar Rosso; ma Pompeo (POMP. 41; 42) confermato da FLORO 1, 33, e daGIUSEPPE 14, 3, 3, 4, dice che esso invece appena ricevuta la notizia dellamorte di Mitridate, pervenutagli mentre era in marcia alla volta diGerusalemme, retrocedette dalla Siria e si recò nel Ponto. Se il re Aretafigura nei bollettini fra i vinti da Pompeo, lo si deve ascrivere alla suaritirata da Gerusalemme, alla quale fu costretto da Pompeo.

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ramente, sgombrato il paese giudaico, ma era tuttora insuo potere la città di Damasco e nessun soldato romanoaveva ancora messo il piede nel paese dei Nabatei.Per sottomettere i quali o almeno per provare ai suoivicini dell'Arabia che ora sull'Oronte e sul Giordanoimperavano le aquile romane, e che non era più il tempoin cui a chicchessia era lecito di taglieggiare i paesidella Siria come non appartenenti a nessun padrone,Pompeo nel 691 = 63, fece una spedizione contro Petra;senonchè, trattenuto dalla sollevazione dei Giudeiscoppiata appunto allora, egli incaricò senzarincrescimento il suo successore Marco Scauro delladifficile impresa contro la lontana città dei Nabatei sitain mezzo al deserto16.Infatti Scauro si vide anch'egli presto obbligato a rinun-ciare all'impresa ed a ritornare sul suoi passi.Egli dovette accontentarsi di combattere coi Nabatei neideserti sulla sinistra del Giordano, ove poteva fare asse-gnamento sui Giudei; ma anche colà non ottenne chemediocrissimi successi.Finalmente l'avveduto ministro giudaico Antipatrod'Idumea persuase il re Areta di acquistare dal luogote-nente romano, col danaro, la garanzia di tutti i suoi pos-16 OROSIO 6, 6 e DIONE 37, 45, seguendo senza dubbio LIVIO, fanno giungere

Pompeo sino a Petra, espugnare anche la città e lo fanno persino arrivare alMar Rosso; ma Pompeo (POMP. 41; 42) confermato da FLORO 1, 33, e daGIUSEPPE 14, 3, 3, 4, dice che esso invece appena ricevuta la notizia dellamorte di Mitridate, pervenutagli mentre era in marcia alla volta diGerusalemme, retrocedette dalla Siria e si recò nel Ponto. Se il re Aretafigura nei bollettini fra i vinti da Pompeo, lo si deve ascrivere alla suaritirata da Gerusalemme, alla quale fu costretto da Pompeo.

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sedimenti compresa Damasco, e questa è la pace simbo-leggiata sulle monete di Scauro, nelle quali re Areta, te-nendo genuflesse le briglia di un cammello, porge alRomano il ramo d'ulivo.

23. Complicazioni con i Parti.

Molto più grave di conseguenze, che non questi nuovirapporti con gli Armeni, Iberi, Bosforani, e Nabatei, erail contatto dei Romani coi Parti, determinatosi conl'occupazione della Siria.Quanto la diplomazia romana s'era mostrata arrendevoleverso Fraate mentre sussistevano ancora i regni del Pon-to e dell'Armenia, e quanto Lucullo e Pompeo si eranomostrati volenterosi nel conceder loro il possesso delleprovincie oltre l'Eufrate, altrettanto aspro si mostrò orail nuovo vicino verso l'arsacide; e se l'abitudine comuneai re di dimenticare i propri errori glielo avesse permes-so, Fraate si sarebbe ora ricordato delle memorabili pa-role di Mitridate, che il Parto alleandosi cogli occidenta-li contro i regni connazionali, preparava anzitutto la ro-vina dei medesimi, poi la propria.I Romani in lega coi Parti avevano rovinato l'Armenia;quando questa cadde, Roma, fedele all'antica sua politi-ca, invertì le parti e favorì l'umiliato nemico a spese delpossente alleato.E fu in conseguenza di questa politica che Tigrane padretrovò presso Pompeo molto favore contro il figlio allea-to e genero del re dei Parti; fu poi un'aperta offesa quan-

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sedimenti compresa Damasco, e questa è la pace simbo-leggiata sulle monete di Scauro, nelle quali re Areta, te-nendo genuflesse le briglia di un cammello, porge alRomano il ramo d'ulivo.

23. Complicazioni con i Parti.

Molto più grave di conseguenze, che non questi nuovirapporti con gli Armeni, Iberi, Bosforani, e Nabatei, erail contatto dei Romani coi Parti, determinatosi conl'occupazione della Siria.Quanto la diplomazia romana s'era mostrata arrendevoleverso Fraate mentre sussistevano ancora i regni del Pon-to e dell'Armenia, e quanto Lucullo e Pompeo si eranomostrati volenterosi nel conceder loro il possesso delleprovincie oltre l'Eufrate, altrettanto aspro si mostrò orail nuovo vicino verso l'arsacide; e se l'abitudine comuneai re di dimenticare i propri errori glielo avesse permes-so, Fraate si sarebbe ora ricordato delle memorabili pa-role di Mitridate, che il Parto alleandosi cogli occidenta-li contro i regni connazionali, preparava anzitutto la ro-vina dei medesimi, poi la propria.I Romani in lega coi Parti avevano rovinato l'Armenia;quando questa cadde, Roma, fedele all'antica sua politi-ca, invertì le parti e favorì l'umiliato nemico a spese delpossente alleato.E fu in conseguenza di questa politica che Tigrane padretrovò presso Pompeo molto favore contro il figlio allea-to e genero del re dei Parti; fu poi un'aperta offesa quan-

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do subito dopo, per ordine di Pompeo, fu arrestato ilgiovine Tigrane insieme colla sua famiglia, e non fu la-sciato libero nemmeno quando Fraate s'interessò pressoil supremo comandante amico in favore di sua figlia edel genero.Ma Pompeo non si fermò là. La provincia di Corduene,alla quale pretendevano tanto Fraate che Tigrane, fu perordine di Pompeo occupata da truppe romane a vantag-gio di Tigrane, scacciandone i Parti che ne erano in pos-sesso e inseguendoli sino ad Arbela nell'Adiabene, sen-za che il governo di Ctesifonte ne fosse stato prima con-sultato (689 = 65).Ma molto più grave era il fatto che i Romani non sem-bravano assolutamente disposti a rispettare il confinedell'Eufrate stabilito col trattato. Parecchie volte divisio-ni di truppe romane avevano attraversato la Mesopota-mia recandosi dall'Armenia nella Siria; l'emiro araboAbgaro, di Osroene, fu accolto nella clientela romana acondizioni favorevolissime; che più? Oruro, sita nell'altaMesopotamia tra Nisibi ed il Tigri, a cinquanta leghe adoriente dal passo commagenico dell'Eufrate, fu designa-ta come il punto di confine orientale della signoria deiRomani, probabilmente della signoria mediata, giacchèla grande e più fertile meta settentrionale della Mesopo-tamia era stata aggiunta dai Romani, appunto come laCorduene, al regno armeno.Il gran deserto siro-mesopotamico era dunque divenutoil confine tra i Romani e i Parti invece dell'Eufrate: equesta pure era una disposizione del momento. Agli am-

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do subito dopo, per ordine di Pompeo, fu arrestato ilgiovine Tigrane insieme colla sua famiglia, e non fu la-sciato libero nemmeno quando Fraate s'interessò pressoil supremo comandante amico in favore di sua figlia edel genero.Ma Pompeo non si fermò là. La provincia di Corduene,alla quale pretendevano tanto Fraate che Tigrane, fu perordine di Pompeo occupata da truppe romane a vantag-gio di Tigrane, scacciandone i Parti che ne erano in pos-sesso e inseguendoli sino ad Arbela nell'Adiabene, sen-za che il governo di Ctesifonte ne fosse stato prima con-sultato (689 = 65).Ma molto più grave era il fatto che i Romani non sem-bravano assolutamente disposti a rispettare il confinedell'Eufrate stabilito col trattato. Parecchie volte divisio-ni di truppe romane avevano attraversato la Mesopota-mia recandosi dall'Armenia nella Siria; l'emiro araboAbgaro, di Osroene, fu accolto nella clientela romana acondizioni favorevolissime; che più? Oruro, sita nell'altaMesopotamia tra Nisibi ed il Tigri, a cinquanta leghe adoriente dal passo commagenico dell'Eufrate, fu designa-ta come il punto di confine orientale della signoria deiRomani, probabilmente della signoria mediata, giacchèla grande e più fertile meta settentrionale della Mesopo-tamia era stata aggiunta dai Romani, appunto come laCorduene, al regno armeno.Il gran deserto siro-mesopotamico era dunque divenutoil confine tra i Romani e i Parti invece dell'Eufrate: equesta pure era una disposizione del momento. Agli am-

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basciatori parti, che vennero per insistere sul manteni-mento dei trattati conchiusi, come pare, soltanto verbal-mente, e relativi ai confini dell'Eufrate, Pompeo diedel'ambigua risposta, che il territorio di Roma si estendevaquanto il suo diritto.La singolare corrispondenza tra il supremo duce romanoe i satrapi parti della provincia della Media e persinodella lontana provincia di Elimaide (tra la Susiana, laMedia e la Persia nell'odierno Luristan)17 sembrò quasiil commento di quelle parole.I luogotenenti di quest'ultimo montuoso, bellicoso e lon-tano paese si erano sempre adoperati per procurarsi unaposizione indipendente dal gran re; tanto più offensivo epiù minaccioso riusciva per il governo partico l'omaggioofferto da questo satrapo e accettato da Pompeo.Non fu meno significativo il fatto che il titolo di «re deire» accordato sino allora al re dei Parti anche dai Roma-ni nella corrispondenza ufficiale, fosse ora d'un tratto da17 Questa opinione si fonda sulla narrazione di PLUTARCO (Pomp., 36)

appoggiata dalla descrizione fatta da STRABONE (16, 744) della posizionedel satrapo d'Elimaide. Se nella serie delle provincie e dei re vinti daPompeo figurano anche la Media ed il suo re Dario (DIOD., Vat., p. 140:APPIAN, Mithr., 117), ciò deve essere considerato come un'amplificazione,dalla quale si dedusse pure la guerra di Pompeo coi Medi (VELL., 2, 40.APPIAN., Mithr., 106, 114) e persino la sua spedizione a Ecbatana (OROS., 6,5). Non è verosimile, che sia avvenuto uno scambio colla favolosa cittàomonima sul monte Carmelo; fu semplicemente, come pare, un effetto diquella insopportabile esagerazione dei bollettini ampollosi eavvedutamente ambigui di Pompeo, che della sua scorreria contro i Getulifece una spedizione sulla costa occidentale dell'Africa (PLUT., Pomp., 38),della fallita sua spedizione contro i Nabatei la conquista della città diPetra, del suo arbitrato relativamente ai confini dell'Armenia unadeterminazione dei confini dello stato romano oltre il Nisibi.

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basciatori parti, che vennero per insistere sul manteni-mento dei trattati conchiusi, come pare, soltanto verbal-mente, e relativi ai confini dell'Eufrate, Pompeo diedel'ambigua risposta, che il territorio di Roma si estendevaquanto il suo diritto.La singolare corrispondenza tra il supremo duce romanoe i satrapi parti della provincia della Media e persinodella lontana provincia di Elimaide (tra la Susiana, laMedia e la Persia nell'odierno Luristan)17 sembrò quasiil commento di quelle parole.I luogotenenti di quest'ultimo montuoso, bellicoso e lon-tano paese si erano sempre adoperati per procurarsi unaposizione indipendente dal gran re; tanto più offensivo epiù minaccioso riusciva per il governo partico l'omaggioofferto da questo satrapo e accettato da Pompeo.Non fu meno significativo il fatto che il titolo di «re deire» accordato sino allora al re dei Parti anche dai Roma-ni nella corrispondenza ufficiale, fosse ora d'un tratto da17 Questa opinione si fonda sulla narrazione di PLUTARCO (Pomp., 36)

appoggiata dalla descrizione fatta da STRABONE (16, 744) della posizionedel satrapo d'Elimaide. Se nella serie delle provincie e dei re vinti daPompeo figurano anche la Media ed il suo re Dario (DIOD., Vat., p. 140:APPIAN, Mithr., 117), ciò deve essere considerato come un'amplificazione,dalla quale si dedusse pure la guerra di Pompeo coi Medi (VELL., 2, 40.APPIAN., Mithr., 106, 114) e persino la sua spedizione a Ecbatana (OROS., 6,5). Non è verosimile, che sia avvenuto uno scambio colla favolosa cittàomonima sul monte Carmelo; fu semplicemente, come pare, un effetto diquella insopportabile esagerazione dei bollettini ampollosi eavvedutamente ambigui di Pompeo, che della sua scorreria contro i Getulifece una spedizione sulla costa occidentale dell'Africa (PLUT., Pomp., 38),della fallita sua spedizione contro i Nabatei la conquista della città diPetra, del suo arbitrato relativamente ai confini dell'Armenia unadeterminazione dei confini dello stato romano oltre il Nisibi.

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essi scambiato con quello semplice di re. Era questa unaminaccia piuttosto che un'offesa all'etichetta? Da quan-do Roma aveva ereditato dai Seleucidi sembrava quasiche si coltivasse il proposito di ripristinare in quel pae-se, al momento opportuno, le cose come erano a queitempi antichi, allorchè tutto l'Iran ed il Turan erano sottola signoria d'Antiochia, e non esisteva ancora il regnodei Parti, ma soltanto una satrapia pratica. La corte diCtesifonte avrebbe avuto quindi motivi sufficienti permuovere guerra ai Romani; sembrò che essa ne facesse iprimi passi nel 690 = 64 dichiarandola all'Armenia perquestioni di confini.Ma Fraate non aveva il coraggio di romperla apertamen-te coi Romani proprio ora che il temuto supremo co-mandante si trovava col suo forte esercito ai confini delregno partico. Allorchè Pompeo inviò alcuni commissa-ri per definire pacificamente la contesa esistente tra ilregno dei Parti e quello dell'Armenia, Fraate si rassegnòall'impostagli mediazione dei Romani e non si opposealla sentenza arbitraria, che assegnava Corduene e laMesopotamia settentrionale agli Armeni.Non passò molto che sua figlia, insieme al figlio ed almarito, onorarono il trionfo del supremo duce romano.Anche i Parti tremavano dinanzi alla potenza dei Roma-ni, e se essi non soggiacquero come i Pontici e gli Ar-meni alle armi romane, la causa non pareva fosse altrache quella di non aver osato di esporsi a sostenerne lalotta.

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essi scambiato con quello semplice di re. Era questa unaminaccia piuttosto che un'offesa all'etichetta? Da quan-do Roma aveva ereditato dai Seleucidi sembrava quasiche si coltivasse il proposito di ripristinare in quel pae-se, al momento opportuno, le cose come erano a queitempi antichi, allorchè tutto l'Iran ed il Turan erano sottola signoria d'Antiochia, e non esisteva ancora il regnodei Parti, ma soltanto una satrapia pratica. La corte diCtesifonte avrebbe avuto quindi motivi sufficienti permuovere guerra ai Romani; sembrò che essa ne facesse iprimi passi nel 690 = 64 dichiarandola all'Armenia perquestioni di confini.Ma Fraate non aveva il coraggio di romperla apertamen-te coi Romani proprio ora che il temuto supremo co-mandante si trovava col suo forte esercito ai confini delregno partico. Allorchè Pompeo inviò alcuni commissa-ri per definire pacificamente la contesa esistente tra ilregno dei Parti e quello dell'Armenia, Fraate si rassegnòall'impostagli mediazione dei Romani e non si opposealla sentenza arbitraria, che assegnava Corduene e laMesopotamia settentrionale agli Armeni.Non passò molto che sua figlia, insieme al figlio ed almarito, onorarono il trionfo del supremo duce romano.Anche i Parti tremavano dinanzi alla potenza dei Roma-ni, e se essi non soggiacquero come i Pontici e gli Ar-meni alle armi romane, la causa non pareva fosse altrache quella di non aver osato di esporsi a sostenerne lalotta.

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24. Organizzazione delle province.

Spettava pure al comandante di ordinare le condizioniinterne delle provincie di nuovo acquisto, e per quantofosse possibile, di cancellare le traccie di una guerradistruttrice durata tredici anni.L'organizzazione incominciata nell'Asia minore da Lu-cullo e dalla commissione che l'aveva accompagnato, edin Creta da Metello, ebbe il finale suo compimentonell'opera di Pompeo. Il territorio, che fino a quell'epocaera stato la provincia d'Asia e comprendeva la Misia, laLidia, la Frigia, la Caria e la Licia, si trasformò da pro-vincia confinaria, qual'era, in provincia mediana; furonoorganizzate le nuove province di Bitinia e del Ponto,formate con tutto l'antico regno di Nicomede e con lametà occidentale dello stato pontico sino all'Ali e oltrelo stesso.La provincia della Cilicia, che esisteva già da tempo, mache ora soltanto fu ampliata e organizzata conforme-mente al suo nome, comprendeva anche la Pamfilia el'Isauria, la provincia della Siria e quella di Creta. Non-dimeno questa massa di paesi non si poteva assoluta-mente considerare ancora come un possedimento territo-riale dei Romani nel senso odierno della parola.La forma e l'ordinamento del governo rimasero fonda-mentalmente quello che erano; soltanto che al posto deimonarchi esistiti fino allora si pose la repubblica roma-na. Quelle province asiatiche continuarono ad esserecomposte di una screziata mescolanza di possedimenti

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24. Organizzazione delle province.

Spettava pure al comandante di ordinare le condizioniinterne delle provincie di nuovo acquisto, e per quantofosse possibile, di cancellare le traccie di una guerradistruttrice durata tredici anni.L'organizzazione incominciata nell'Asia minore da Lu-cullo e dalla commissione che l'aveva accompagnato, edin Creta da Metello, ebbe il finale suo compimentonell'opera di Pompeo. Il territorio, che fino a quell'epocaera stato la provincia d'Asia e comprendeva la Misia, laLidia, la Frigia, la Caria e la Licia, si trasformò da pro-vincia confinaria, qual'era, in provincia mediana; furonoorganizzate le nuove province di Bitinia e del Ponto,formate con tutto l'antico regno di Nicomede e con lametà occidentale dello stato pontico sino all'Ali e oltrelo stesso.La provincia della Cilicia, che esisteva già da tempo, mache ora soltanto fu ampliata e organizzata conforme-mente al suo nome, comprendeva anche la Pamfilia el'Isauria, la provincia della Siria e quella di Creta. Non-dimeno questa massa di paesi non si poteva assoluta-mente considerare ancora come un possedimento territo-riale dei Romani nel senso odierno della parola.La forma e l'ordinamento del governo rimasero fonda-mentalmente quello che erano; soltanto che al posto deimonarchi esistiti fino allora si pose la repubblica roma-na. Quelle province asiatiche continuarono ad esserecomposte di una screziata mescolanza di possedimenti

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demaniali, di territori urbani autonomi di fatto e di dirit-to, di signorie e di stati principeschi e sacerdotali, i qualierano tutti più o meno indipendenti nell'interna loro am-ministrazione; nel rimanente poi, come prima dipende-vano dal gran re e dai suoi satrapi, così, ora in più miti,ora in più severe forme, erano dipendenti dal governoromano e dai suoi proconsoli.Fra i dinasti vassalli teneva il primo posto, se non altropel suo rango, il re della Cappadocia, il cui territorio erastato esteso da Lucullo infeudandogli la provincia diMelitene (sangiaccato di Malatia) sino all'Eufrate. Pom-peo gli concesse inoltre ai confini occidentali alcuni di-stretti staccati dalla Cilicia da Castabala sino a Derbepresso Iconio, ed ai confini orientali la provincia di Sof-fene sulla sponda sinistra dell'Eufrate di contro a Melite-ne e già destinata al principe armeno Tigrane, per cui ilpiù importante passaggio dell'Eufrate fu ridotto intiera-mente in potere di questo principe.La piccola provincia di Commagene posta tra la Siria ela Cappadocia, colla capitale Samosata (Samsat), rimasecome un regno vassallo al già nominato seleucideAntioco18 cui furono anche assegnati l'importantefortezza di Seleucia (presso Biradjik), dominante ilpassaggio più meridionale dell'Eufrate e i più prossimitratti del paese sulla sponda sinistra del detto fiume, e

18 La guerra che questo Antioco avrebbe condotto con Pompeo (APPIAN.,Mithr., 106, 117), non collima col trattato, che il medesimo concluse conLucullo (DIONE, 36, 4) e col non turbato suo dominio; non pareinverosimile che anche questa guerra sia stata inventata perchè Antioco diCommagene figurava tra i re sottomessi da Pompeo.

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demaniali, di territori urbani autonomi di fatto e di dirit-to, di signorie e di stati principeschi e sacerdotali, i qualierano tutti più o meno indipendenti nell'interna loro am-ministrazione; nel rimanente poi, come prima dipende-vano dal gran re e dai suoi satrapi, così, ora in più miti,ora in più severe forme, erano dipendenti dal governoromano e dai suoi proconsoli.Fra i dinasti vassalli teneva il primo posto, se non altropel suo rango, il re della Cappadocia, il cui territorio erastato esteso da Lucullo infeudandogli la provincia diMelitene (sangiaccato di Malatia) sino all'Eufrate. Pom-peo gli concesse inoltre ai confini occidentali alcuni di-stretti staccati dalla Cilicia da Castabala sino a Derbepresso Iconio, ed ai confini orientali la provincia di Sof-fene sulla sponda sinistra dell'Eufrate di contro a Melite-ne e già destinata al principe armeno Tigrane, per cui ilpiù importante passaggio dell'Eufrate fu ridotto intiera-mente in potere di questo principe.La piccola provincia di Commagene posta tra la Siria ela Cappadocia, colla capitale Samosata (Samsat), rimasecome un regno vassallo al già nominato seleucideAntioco18 cui furono anche assegnati l'importantefortezza di Seleucia (presso Biradjik), dominante ilpassaggio più meridionale dell'Eufrate e i più prossimitratti del paese sulla sponda sinistra del detto fiume, e

18 La guerra che questo Antioco avrebbe condotto con Pompeo (APPIAN.,Mithr., 106, 117), non collima col trattato, che il medesimo concluse conLucullo (DIONE, 36, 4) e col non turbato suo dominio; non pareinverosimile che anche questa guerra sia stata inventata perchè Antioco diCommagene figurava tra i re sottomessi da Pompeo.

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con ciò fu provveduto affinchè i due principali passaggidell'Eufrate con un corrispondente territorio sulla rivaorientale rimanessero in potere di due dinastiinteramente indipendenti da Roma.Accanto al re della Cappadocia e di Commagene, e su-periore in forze ad entrambi, dominava nell'Asia minoreil nuovo re Deiotaro.Deiotaro, uno dei tetrarchi della tribù celtica dei Tolisto-bogi, sita presso Pesinunte, invitato da Lucullo e daPompeo insieme agli altri piccoli clienti a prestare il suocontingente, aveva mostrato in queste campagne, inconfronto a tutti gli altri fiacchi orientali, così splendi-damente la sua fede e la sua operosità, che i generali ro-mani credettero di concedergli, in aggiunta alla ereditataGalazia e ai suoi possedimenti nella ricca provincia traAmiso e la foce dell'Ali, anche la metà orientale del giàregno pontico colle città marittime di Farnacia e Trebi-sonda, nonchè l'Armenia pontica sino al confine dellaColchide, e della grande Armenia col nome di regnodella piccola Armenia. Poco dopo egli accrebbe il suoterritorio già ragguardevole coll'annessione della pro-vincia dei Trocmeri celtici, dei quali cacciò i tetrarchi. Ilmeschino vassallo divenne così uno dei più potenti so-vrani dell'Asia minore, cui si potè affidare la guardia diun'importante parte dei confini del regno.

25. Principi e signori.

Vassalli di secondo ordine erano gli altri numerosi

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con ciò fu provveduto affinchè i due principali passaggidell'Eufrate con un corrispondente territorio sulla rivaorientale rimanessero in potere di due dinastiinteramente indipendenti da Roma.Accanto al re della Cappadocia e di Commagene, e su-periore in forze ad entrambi, dominava nell'Asia minoreil nuovo re Deiotaro.Deiotaro, uno dei tetrarchi della tribù celtica dei Tolisto-bogi, sita presso Pesinunte, invitato da Lucullo e daPompeo insieme agli altri piccoli clienti a prestare il suocontingente, aveva mostrato in queste campagne, inconfronto a tutti gli altri fiacchi orientali, così splendi-damente la sua fede e la sua operosità, che i generali ro-mani credettero di concedergli, in aggiunta alla ereditataGalazia e ai suoi possedimenti nella ricca provincia traAmiso e la foce dell'Ali, anche la metà orientale del giàregno pontico colle città marittime di Farnacia e Trebi-sonda, nonchè l'Armenia pontica sino al confine dellaColchide, e della grande Armenia col nome di regnodella piccola Armenia. Poco dopo egli accrebbe il suoterritorio già ragguardevole coll'annessione della pro-vincia dei Trocmeri celtici, dei quali cacciò i tetrarchi. Ilmeschino vassallo divenne così uno dei più potenti so-vrani dell'Asia minore, cui si potè affidare la guardia diun'importante parte dei confini del regno.

25. Principi e signori.

Vassalli di secondo ordine erano gli altri numerosi

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tetrarchi galati: uno di essi, il principe di Trocmeri,Bogodiataro, aveva avuto in regalo da Pompeo per lasua operosità nella guerra mitridatica la città diMitradation, altre volte città confinaria pontica; ilprincipe di Paflagonia, Attalo, che faceva risalire la suafamiglia sino all'antica dinastia dei Pilemenidi;Aristarco ed altri piccoli signori nel territorio colchico;Tarcondimoto, il quale comandava nelle montuose vallidell'Aman, nella Cilicia orientale; Tolomeo, figlio diMenneo, che signoreggiava in Calcide alle falde delLibano; Areta re dei Nabatei, signore di Damasco; efinalmente gli emiri arabi nelle province al di qua e al dilà dell'Eufrate, Abgaro in Osroene, che i Romani, perservirsene come sentinella avanzata contro i Parti,cercavano in tutti i modi di far entrare nel loro giuoco;Sampsicheramo in Emesa; Alcandanio principe deiRambei, un altro emiro in Bostra.A questi si aggiungevano i principi-sacerdoti che inoriente signoreggiavano sovente come i sovrani secolarisopra territori e popolazioni, contro la cui autorità, sal-damente stabilita in questo paese del fanatismo, i Roma-ni assennatamente ben si guardavano di attentare, o sol-tanto di metter mano ai tesori dei loro templi; il sommosacerdote della dea Madre in Pessinunte; i due sommisacerdoti della dea Ma nella Comana cappadocica(sull'alto Saro) e nell'omonima città pontica (Gymeneckpresso Tokat), i quali nelle loro province la cedevano inpotenza solo al re, e ognuno dei quali in tempi molto po-steriori possedeva ragguardevoli territori con propria

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tetrarchi galati: uno di essi, il principe di Trocmeri,Bogodiataro, aveva avuto in regalo da Pompeo per lasua operosità nella guerra mitridatica la città diMitradation, altre volte città confinaria pontica; ilprincipe di Paflagonia, Attalo, che faceva risalire la suafamiglia sino all'antica dinastia dei Pilemenidi;Aristarco ed altri piccoli signori nel territorio colchico;Tarcondimoto, il quale comandava nelle montuose vallidell'Aman, nella Cilicia orientale; Tolomeo, figlio diMenneo, che signoreggiava in Calcide alle falde delLibano; Areta re dei Nabatei, signore di Damasco; efinalmente gli emiri arabi nelle province al di qua e al dilà dell'Eufrate, Abgaro in Osroene, che i Romani, perservirsene come sentinella avanzata contro i Parti,cercavano in tutti i modi di far entrare nel loro giuoco;Sampsicheramo in Emesa; Alcandanio principe deiRambei, un altro emiro in Bostra.A questi si aggiungevano i principi-sacerdoti che inoriente signoreggiavano sovente come i sovrani secolarisopra territori e popolazioni, contro la cui autorità, sal-damente stabilita in questo paese del fanatismo, i Roma-ni assennatamente ben si guardavano di attentare, o sol-tanto di metter mano ai tesori dei loro templi; il sommosacerdote della dea Madre in Pessinunte; i due sommisacerdoti della dea Ma nella Comana cappadocica(sull'alto Saro) e nell'omonima città pontica (Gymeneckpresso Tokat), i quali nelle loro province la cedevano inpotenza solo al re, e ognuno dei quali in tempi molto po-steriori possedeva ragguardevoli territori con propria

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giurisdizione e non meno di seimila schiavi addetti altempio – della carica di sommo sacerdote pontico erastato da Pompeo investito Archelao, figlio dell'omonimogenerale di Mitridate passato ai Romani –; il sommo sa-cerdote di Giove venatorio nel distretto cappadocico diMorimene, le cui rendite annuali salivano a quindici ta-lenti (L. 86.375); il «sommo sacerdote e principe» delterritorio dell'inclemente Cilicia, ove Teucro, figlio diAiace, aveva eretto un tempio a Giove, cui per dirittoereditario presiedevano i suoi discendenti; il sommo sa-cerdote e principe del popolo ebreo, cui Pompeo restituìla signoria della sua nazione dopo aver raso al suolo lemura della capitale e le rocche ove si conservavano i te-sori reali e che servivano di prigioni, colla ammonizionedi mantenere la pace e di non imprendere ulteriori con-quiste.Accanto a questi potentati secolari e sacerdotali veniva-no i comuni urbani. Alcuni erano ordinati in maggiorileghe con una indipendenza relativa, come era partico-larmente la ben ordinata lega delle ventitrè città dellaLicia la quale, per esempio, non prese mai parte alla pi-rateria. I molti comuni isolati invece, anche quando ave-vano ottenuto il privilegio d'un governo proprio, eranodi fatto assolutamente dipendenti dai governatori roma-ni.

26. Fondazione di città in Asia.

Non ignoravano i romani che col compito di sostenere

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giurisdizione e non meno di seimila schiavi addetti altempio – della carica di sommo sacerdote pontico erastato da Pompeo investito Archelao, figlio dell'omonimogenerale di Mitridate passato ai Romani –; il sommo sa-cerdote di Giove venatorio nel distretto cappadocico diMorimene, le cui rendite annuali salivano a quindici ta-lenti (L. 86.375); il «sommo sacerdote e principe» delterritorio dell'inclemente Cilicia, ove Teucro, figlio diAiace, aveva eretto un tempio a Giove, cui per dirittoereditario presiedevano i suoi discendenti; il sommo sa-cerdote e principe del popolo ebreo, cui Pompeo restituìla signoria della sua nazione dopo aver raso al suolo lemura della capitale e le rocche ove si conservavano i te-sori reali e che servivano di prigioni, colla ammonizionedi mantenere la pace e di non imprendere ulteriori con-quiste.Accanto a questi potentati secolari e sacerdotali veniva-no i comuni urbani. Alcuni erano ordinati in maggiorileghe con una indipendenza relativa, come era partico-larmente la ben ordinata lega delle ventitrè città dellaLicia la quale, per esempio, non prese mai parte alla pi-rateria. I molti comuni isolati invece, anche quando ave-vano ottenuto il privilegio d'un governo proprio, eranodi fatto assolutamente dipendenti dai governatori roma-ni.

26. Fondazione di città in Asia.

Non ignoravano i romani che col compito di sostenere

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l'ellenismo e di difendere in Oriente i confinid'Alessandro era anzitutto loro dovere di far prosperarele condizioni delle città; poichè se le città sono sempre edappertutto il sostegno della civiltà, l'antagonismo degliorientali e degli occidentali culminava in tutta la suaforza nell'antitesi fra la gerarchia feudale dell'oriente,militarmente dispotica, e i comuni urbani elleno-italici,industriali e commerciali.Per quanto Lucullo e Pompeo si dessero in generalepoco pensiero di porre ad uno stesso livello le condizio-ni dell'oriente, e per quanto Pompeo inclinasse a censu-rare e cambiare nelle questioni di dettaglio le disposizio-ni del suo predecessore, convenivano però pienamentenella massima di promuovere con tutta possa gli interes-si dei comuni urbani nell'Asia minore e nella Siria.Cizico, contro la cui possente difesa si era infranta laprima veemenza dell'ultima guerra, ebbe da Lucullo unaimportante estensione del suo territorio. Sebbene la pon-tica Eraclea opponesse una formidabile resistenza ai Ro-mani, essa riebbe tuttavia il suo territorio e i suoi porti; eil barbaro infuriare di Cotta contro l'infelice città fu bia-simato solennemente in senato. Lucullo aveva profonda-mente rimpianto, che la sorte non gli avesse concessa lafortuna di salvare Sinope ed Amiso dalla furia della sol-datesca pontica e della propria; ma fece almeno quantopotè per restaurarle, estese ragguardevolmente i loro ter-ritori, le popolò in parte cogli antichi abitanti, che, invi-tati a rimpatriare, ritornarono a frotte nella amata patria,in parte con nuovi coloni di origine greca, e prese cura

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l'ellenismo e di difendere in Oriente i confinid'Alessandro era anzitutto loro dovere di far prosperarele condizioni delle città; poichè se le città sono sempre edappertutto il sostegno della civiltà, l'antagonismo degliorientali e degli occidentali culminava in tutta la suaforza nell'antitesi fra la gerarchia feudale dell'oriente,militarmente dispotica, e i comuni urbani elleno-italici,industriali e commerciali.Per quanto Lucullo e Pompeo si dessero in generalepoco pensiero di porre ad uno stesso livello le condizio-ni dell'oriente, e per quanto Pompeo inclinasse a censu-rare e cambiare nelle questioni di dettaglio le disposizio-ni del suo predecessore, convenivano però pienamentenella massima di promuovere con tutta possa gli interes-si dei comuni urbani nell'Asia minore e nella Siria.Cizico, contro la cui possente difesa si era infranta laprima veemenza dell'ultima guerra, ebbe da Lucullo unaimportante estensione del suo territorio. Sebbene la pon-tica Eraclea opponesse una formidabile resistenza ai Ro-mani, essa riebbe tuttavia il suo territorio e i suoi porti; eil barbaro infuriare di Cotta contro l'infelice città fu bia-simato solennemente in senato. Lucullo aveva profonda-mente rimpianto, che la sorte non gli avesse concessa lafortuna di salvare Sinope ed Amiso dalla furia della sol-datesca pontica e della propria; ma fece almeno quantopotè per restaurarle, estese ragguardevolmente i loro ter-ritori, le popolò in parte cogli antichi abitanti, che, invi-tati a rimpatriare, ritornarono a frotte nella amata patria,in parte con nuovi coloni di origine greca, e prese cura

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della ricostruzione degli edifici devastati.In questo senso, e anche in maggiori proporzioni agìPompeo. Dopo vinti i pirati, invece di far crocifiggere iprigionieri – oltre 20.000 – come avevano praticato isuoi predecessori, egli se ne servì per popolare in partele disertate città della Cilicia, come Mallo, Adana,Epifania e particolarmente Soli, che d'allora in avantiprese il nome di città di Pompeo (Pompeiopoli), e inparte Dyme nell'Acaia e persino Taranto. Questoripopolamento con pirati fu biasimato sotto moltirapporti19, in quanto sembrava che si desse in certo qualmodo una ricompensa al delitto; essa era perògiustificabile sotto l'aspetto politico e morale, poichè,considerato lo stato delle cose d'allora, la pirateria eraqualche cosa di diverso dal ladroneccio, ed era giusto ditrattare quei prigionieri secondo il diritto di guerra.Ma anzitutto Pompeo si preoccupò di migliorare nelleprovince romane di nuovo acquisto le condizioni dei co-muni urbani. Abbiamo già rilevato quanto il regno pon-tico fosse povero di città. La maggior parte dei distrettidella Cappadocia non avevano nemmeno un secolo piùtardi alcuna città, ma soltanto dei castelli sulle monta-gne, che servivano di rifugio ai contadini in tempo diguerra, e tale sarà stata allora la condizione di tuttal'Asia minore orientale, eccettuate le poche colonie gre-

19 A ciò probabilmente si riferisce il rimprovero di CICERONE (De off., 3, 12,49), piratas immunes habemus, socios vectigales; perchè come pare aqueste colonie di pirati Pompeo concesse l'immunità, mentre è notorio,come i comuni provinciali dipendenti da Roma fossero tutti obbligati apagare le imposte.

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della ricostruzione degli edifici devastati.In questo senso, e anche in maggiori proporzioni agìPompeo. Dopo vinti i pirati, invece di far crocifiggere iprigionieri – oltre 20.000 – come avevano praticato isuoi predecessori, egli se ne servì per popolare in partele disertate città della Cilicia, come Mallo, Adana,Epifania e particolarmente Soli, che d'allora in avantiprese il nome di città di Pompeo (Pompeiopoli), e inparte Dyme nell'Acaia e persino Taranto. Questoripopolamento con pirati fu biasimato sotto moltirapporti19, in quanto sembrava che si desse in certo qualmodo una ricompensa al delitto; essa era perògiustificabile sotto l'aspetto politico e morale, poichè,considerato lo stato delle cose d'allora, la pirateria eraqualche cosa di diverso dal ladroneccio, ed era giusto ditrattare quei prigionieri secondo il diritto di guerra.Ma anzitutto Pompeo si preoccupò di migliorare nelleprovince romane di nuovo acquisto le condizioni dei co-muni urbani. Abbiamo già rilevato quanto il regno pon-tico fosse povero di città. La maggior parte dei distrettidella Cappadocia non avevano nemmeno un secolo piùtardi alcuna città, ma soltanto dei castelli sulle monta-gne, che servivano di rifugio ai contadini in tempo diguerra, e tale sarà stata allora la condizione di tuttal'Asia minore orientale, eccettuate le poche colonie gre-

19 A ciò probabilmente si riferisce il rimprovero di CICERONE (De off., 3, 12,49), piratas immunes habemus, socios vectigales; perchè come pare aqueste colonie di pirati Pompeo concesse l'immunità, mentre è notorio,come i comuni provinciali dipendenti da Roma fossero tutti obbligati apagare le imposte.

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che sul litorale.Si fa ascendere a trentanove il numero delle città fonda-te da Pompeo in questi paesi, comprese le colonie cili-cie; parecchie di esse salirono a grande importanza.Le principali fra queste nel già regno pontico sono: Ni-copoli «Città della vittoria», fondata sul luogo dove Mi-tridate s'ebbe l'ultima sconfitta: il più bel monumentodel grande trionfatore; Megalopoli, chiamata così dalsoprannome di Pompeo sita sul confine della Cappado-cia e della Armenia minore, detta più tardi Sebastea (oraSiwas); Ziela, dove i Romani diedero l'infelice battaglia,luogo sorto intorno ad un tempio sacro ad Anaiti e sinoallora appartenente al sommo sacerdote, Pompeo diedeforma di città e le conferì il diritto cittadino; Diospoli,prima Cabira, poi Neocesarea (Nìksar), sorta essa purenel campo di battaglia combattuta nell'ultima guerra;Magnopoli o Pompeopoli, la restaurata Eupatoria alconfluente del Lico e dell'Iri, edificata in origine da Mi-tridate, ma per essersi la città data ai Romani da lui nuo-vamente distrutta; Neapoli, altre volte Fazemone, traAmasia e l'Ali.La maggior parte di queste fondazioni di città non si ot-tenne col mezzo di coloni venuti da lontano, ma collasoppressione di villaggi e la raccolta degli abitanti entrole nuove mura; la sola Nicopoli fu da Pompeo destinataa raccogliere gli invalidi e gli attempati del suo esercito,che preferirono di stabilirsi in questo paese invece di re-carsi in Italia.Ma anche in altri luoghi ad un cenno del potente perso-

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che sul litorale.Si fa ascendere a trentanove il numero delle città fonda-te da Pompeo in questi paesi, comprese le colonie cili-cie; parecchie di esse salirono a grande importanza.Le principali fra queste nel già regno pontico sono: Ni-copoli «Città della vittoria», fondata sul luogo dove Mi-tridate s'ebbe l'ultima sconfitta: il più bel monumentodel grande trionfatore; Megalopoli, chiamata così dalsoprannome di Pompeo sita sul confine della Cappado-cia e della Armenia minore, detta più tardi Sebastea (oraSiwas); Ziela, dove i Romani diedero l'infelice battaglia,luogo sorto intorno ad un tempio sacro ad Anaiti e sinoallora appartenente al sommo sacerdote, Pompeo diedeforma di città e le conferì il diritto cittadino; Diospoli,prima Cabira, poi Neocesarea (Nìksar), sorta essa purenel campo di battaglia combattuta nell'ultima guerra;Magnopoli o Pompeopoli, la restaurata Eupatoria alconfluente del Lico e dell'Iri, edificata in origine da Mi-tridate, ma per essersi la città data ai Romani da lui nuo-vamente distrutta; Neapoli, altre volte Fazemone, traAmasia e l'Ali.La maggior parte di queste fondazioni di città non si ot-tenne col mezzo di coloni venuti da lontano, ma collasoppressione di villaggi e la raccolta degli abitanti entrole nuove mura; la sola Nicopoli fu da Pompeo destinataa raccogliere gli invalidi e gli attempati del suo esercito,che preferirono di stabilirsi in questo paese invece di re-carsi in Italia.Ma anche in altri luoghi ad un cenno del potente perso-

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naggio sorgevano nuovi centri della civiltà ellenica.Nella Paflagonia una terza Pompeiopoli indicava il luo-go, dove l'esercito di Mitridate nell'anno 666 = 88 avevariportato la grande vittoria sui Bitinii. Nella Cappadociache aveva risentito forse più di qualunque altra provin-cia le sofferenze della guerra, furono per ordine di Pom-peo restaurate e riordinate a città la residenza Mazaka(poi Cesarea, ora Kaisarieh) e sette altri luoghi.Nella Cilicia e nella Celesiria il numero delle città fon-date da Pompeo ascese a venti. Nei distretti sgombratidai Giudei per ordine di Pompeo sorse dalle sue macerieGadara nella Decapoli, e fu fondata la città di Seleucia.La maggior parte del suolo demaniale disponibile sulcontinente asiatico dev'essere stata certamente da Pom-peo impiegata per queste nuove colonie, mentre a Creta,della quale Pompeo si dava poca o nessuna premura, leterre demaniali romane sembra siano rimaste in grandeestensione.Non meno che a fondare nuove città Pompeo era intentoa ordinare e migliorare i comuni esistenti. Gli abusi e leusurpazioni introdottevi furono possibilmente tolte dimezzo, nuovi dettagliati ordinamenti comunali, compi-lati con cura per le diverse province, regolarono gli affa-ri municipali.Una serie delle più ragguardevoli città fu dotata di nuoviprivilegi. Ebbero l'autonomia Antiochia, sull'Oronte, lapiù importante città dell'Asia romana e poco inferiore adAlessandria d'Egitto e alla città di Seleucia nel regnoparto, la Bagdad dell'antichità; inoltre la città vicina ad

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naggio sorgevano nuovi centri della civiltà ellenica.Nella Paflagonia una terza Pompeiopoli indicava il luo-go, dove l'esercito di Mitridate nell'anno 666 = 88 avevariportato la grande vittoria sui Bitinii. Nella Cappadociache aveva risentito forse più di qualunque altra provin-cia le sofferenze della guerra, furono per ordine di Pom-peo restaurate e riordinate a città la residenza Mazaka(poi Cesarea, ora Kaisarieh) e sette altri luoghi.Nella Cilicia e nella Celesiria il numero delle città fon-date da Pompeo ascese a venti. Nei distretti sgombratidai Giudei per ordine di Pompeo sorse dalle sue macerieGadara nella Decapoli, e fu fondata la città di Seleucia.La maggior parte del suolo demaniale disponibile sulcontinente asiatico dev'essere stata certamente da Pom-peo impiegata per queste nuove colonie, mentre a Creta,della quale Pompeo si dava poca o nessuna premura, leterre demaniali romane sembra siano rimaste in grandeestensione.Non meno che a fondare nuove città Pompeo era intentoa ordinare e migliorare i comuni esistenti. Gli abusi e leusurpazioni introdottevi furono possibilmente tolte dimezzo, nuovi dettagliati ordinamenti comunali, compi-lati con cura per le diverse province, regolarono gli affa-ri municipali.Una serie delle più ragguardevoli città fu dotata di nuoviprivilegi. Ebbero l'autonomia Antiochia, sull'Oronte, lapiù importante città dell'Asia romana e poco inferiore adAlessandria d'Egitto e alla città di Seleucia nel regnoparto, la Bagdad dell'antichità; inoltre la città vicina ad

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Antiochia, la pierica Seleucia, che l'ebbe in compensodella coraggiosa sua difesa contro Tigrane; Gaza e ingenerale tutte le città liberate dal dominio giudaico, cosìMitilene nell'Asia anteriore e Fanagoria sul Mar Nero.

27. Risultati.

Così era stato portato a termine l'edificio dello statoromano asiatico, il quale coi suoi re feudali e vassalli,coi suoi principi-sacerdoti, e colla lunga serie di cittàlibere e semilibere ricorda vivamente il sacro romanoimpero della nazione tedesca20.Questa costruzione non era una meraviglia nè rispettoalle superate difficoltà nè rispetto alla raggiunta perfe-zione; nè divenne tale per le enfatiche parole spese ge-nerosamente in Roma dalla nobiltà in lode di Lucullo edalla più schietta moltitudine in lode di Pompeo.Pompeo specialmente si faceva festeggiare e si festeg-giava da se stesso in un modo da farsi credere ancorapiù leggero di quello che lo fosse di fatto. Se i Mitilenigli eressero una statua come al loro salvatore e fondato-re, come a colui che aveva messo fine tanto per terra cheper mare alle guerre che riempivano il mondo, un tale20 Questa è un po' grossa. Nella storia del mondo nulla esiste che possa

paragonarsi a quest'opera formidabile di civilizzazione, alla gigantescaimpresa di far sorgere un mondo civile in un territorio di barbari,elevandone in poco tempo il tenore di vita e tanto meno si assomiglia alsacro romano impero tedesco che nulla ha creato che non fosse già creato.L'opera compiuta da Pompeo in Asia, contrasta infine col giudizio chedell'uomo di stato dà lo stesso Mommsen che il grande amore per Cesarerende ingiusto con Pompeo. [Nota del trad.].

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Antiochia, la pierica Seleucia, che l'ebbe in compensodella coraggiosa sua difesa contro Tigrane; Gaza e ingenerale tutte le città liberate dal dominio giudaico, cosìMitilene nell'Asia anteriore e Fanagoria sul Mar Nero.

27. Risultati.

Così era stato portato a termine l'edificio dello statoromano asiatico, il quale coi suoi re feudali e vassalli,coi suoi principi-sacerdoti, e colla lunga serie di cittàlibere e semilibere ricorda vivamente il sacro romanoimpero della nazione tedesca20.Questa costruzione non era una meraviglia nè rispettoalle superate difficoltà nè rispetto alla raggiunta perfe-zione; nè divenne tale per le enfatiche parole spese ge-nerosamente in Roma dalla nobiltà in lode di Lucullo edalla più schietta moltitudine in lode di Pompeo.Pompeo specialmente si faceva festeggiare e si festeg-giava da se stesso in un modo da farsi credere ancorapiù leggero di quello che lo fosse di fatto. Se i Mitilenigli eressero una statua come al loro salvatore e fondato-re, come a colui che aveva messo fine tanto per terra cheper mare alle guerre che riempivano il mondo, un tale20 Questa è un po' grossa. Nella storia del mondo nulla esiste che possa

paragonarsi a quest'opera formidabile di civilizzazione, alla gigantescaimpresa di far sorgere un mondo civile in un territorio di barbari,elevandone in poco tempo il tenore di vita e tanto meno si assomiglia alsacro romano impero tedesco che nulla ha creato che non fosse già creato.L'opera compiuta da Pompeo in Asia, contrasta infine col giudizio chedell'uomo di stato dà lo stesso Mommsen che il grande amore per Cesarerende ingiusto con Pompeo. [Nota del trad.].

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omaggio poteva non parere esagerato al domatore deipirati e degli imperi d'oriente. Ma i Romani sorpassava-no questa volta i greci. Le inscrizioni trionfali di Pom-peo facevano salire a dodici milioni i popoli soggiogati,a 1538 le città e i castelli espugnati – sembrava che laquantità dovesse supplire alla qualità – ed estendevanoil cerchio delle sue vittorie dalla palude Meotide al marCaspio e da questo al Mar Rosso, senza ch'esso avessemai veduto con i propri occhi alcuno di questi tre mari;chè se egli non diceva apertamente, pure faceva in mododa lasciar credere al pubblico, che l'incorporazione dellaSiria, che non fu davvero un'impresa eroica, avesse ag-giunto all'impero romano tutto l'oriente sino alla Battria-na e all'India – in così vaporosa lontananza si confonde-va secondo i suoi calcoli la linea di demarcazione dellesue conquiste in oriente.Le servilità democratica, che in tutti i tempi gareggiacon la cortigianesca, faceva buon viso a codeste scipitebizzarrie.Ad essa non bastava il pomposo corteggio trionfale, chenei giorni 28 e 29 settembre dell'anno 693 = 61, quaran-tesimo sesto anniversario di Pompeo il Grande, si sno-dava per le vie di Roma, reso più magnifico, per taceredei gioielli d'ogni sorta, dalle insegne reali di Mitridate edalla presenza dei figli dei tre potenti dell'Asia, Mitrida-te, Tigrane e Fraate; essa ricompensava il suo generale,che aveva vinto ventidue re, con onorificenze reali con-cedendogli la corona d'oro e le insegne consolari vitasua durante.

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omaggio poteva non parere esagerato al domatore deipirati e degli imperi d'oriente. Ma i Romani sorpassava-no questa volta i greci. Le inscrizioni trionfali di Pom-peo facevano salire a dodici milioni i popoli soggiogati,a 1538 le città e i castelli espugnati – sembrava che laquantità dovesse supplire alla qualità – ed estendevanoil cerchio delle sue vittorie dalla palude Meotide al marCaspio e da questo al Mar Rosso, senza ch'esso avessemai veduto con i propri occhi alcuno di questi tre mari;chè se egli non diceva apertamente, pure faceva in mododa lasciar credere al pubblico, che l'incorporazione dellaSiria, che non fu davvero un'impresa eroica, avesse ag-giunto all'impero romano tutto l'oriente sino alla Battria-na e all'India – in così vaporosa lontananza si confonde-va secondo i suoi calcoli la linea di demarcazione dellesue conquiste in oriente.Le servilità democratica, che in tutti i tempi gareggiacon la cortigianesca, faceva buon viso a codeste scipitebizzarrie.Ad essa non bastava il pomposo corteggio trionfale, chenei giorni 28 e 29 settembre dell'anno 693 = 61, quaran-tesimo sesto anniversario di Pompeo il Grande, si sno-dava per le vie di Roma, reso più magnifico, per taceredei gioielli d'ogni sorta, dalle insegne reali di Mitridate edalla presenza dei figli dei tre potenti dell'Asia, Mitrida-te, Tigrane e Fraate; essa ricompensava il suo generale,che aveva vinto ventidue re, con onorificenze reali con-cedendogli la corona d'oro e le insegne consolari vitasua durante.

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Sulle medaglie coniate in onor suo si scorge il globo ter-restre in mezzo alla triplice corona d'alloro riportata dal-le tre parti del mondo e librante sopra il globo il sertod'oro offerto al trionfatore dai cittadini per le vittorie ri-portate in Africa, in Spagna ed in Asia.Non recherà meraviglia, se accanto a questi fanciulle-schi omaggi l'opinione pubblica si pronunciò anche insenso contrario. Nell'alta società romana si riteneva co-munemente, che il vero merito della sottomissionedell'oriente spettasse a Lucullo, e che Pompeo vi si fosserecato solo per soppiantare Lucullo e per cingere la suafronte cogli allori raccolti da altra mano.L'una e l'altra supposizione erano egualmente false; nonPompeo ma Glabrio era stato spedito in Asia a rilevareLucullo e per quanto valorosamente abbia pugnato an-che Lucullo, era pure un fatto, che allorquando Pompeoassunse il supremo comando, i Romani avevano perdutodi nuovo tutti i loro anteriori vantaggi e non possedeva-no più un palmo di terra pontica.Meglio colpivano nel segno gli scherni di quei cittadinidella capitale, i quali non mancavano di apporre al po-tente vincitore del mondo come soprannomi i nomi dellegrandi potenze da esso vinte, chiamandolo ora il «vinci-tore di Salem», ora «l'Emiro» (Arabarca), ora il romanoSampsicheramo.Ma un giudice imparziale non si atterrà nè a quelle esa-gerazioni, nè a queste detrazioni. Lucullo e Pompeo, as-soggettando e ordinando l'Asia, non si sono rivelati eroie uomini di genio, ma previdenti e valorosi generali e

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Sulle medaglie coniate in onor suo si scorge il globo ter-restre in mezzo alla triplice corona d'alloro riportata dal-le tre parti del mondo e librante sopra il globo il sertod'oro offerto al trionfatore dai cittadini per le vittorie ri-portate in Africa, in Spagna ed in Asia.Non recherà meraviglia, se accanto a questi fanciulle-schi omaggi l'opinione pubblica si pronunciò anche insenso contrario. Nell'alta società romana si riteneva co-munemente, che il vero merito della sottomissionedell'oriente spettasse a Lucullo, e che Pompeo vi si fosserecato solo per soppiantare Lucullo e per cingere la suafronte cogli allori raccolti da altra mano.L'una e l'altra supposizione erano egualmente false; nonPompeo ma Glabrio era stato spedito in Asia a rilevareLucullo e per quanto valorosamente abbia pugnato an-che Lucullo, era pure un fatto, che allorquando Pompeoassunse il supremo comando, i Romani avevano perdutodi nuovo tutti i loro anteriori vantaggi e non possedeva-no più un palmo di terra pontica.Meglio colpivano nel segno gli scherni di quei cittadinidella capitale, i quali non mancavano di apporre al po-tente vincitore del mondo come soprannomi i nomi dellegrandi potenze da esso vinte, chiamandolo ora il «vinci-tore di Salem», ora «l'Emiro» (Arabarca), ora il romanoSampsicheramo.Ma un giudice imparziale non si atterrà nè a quelle esa-gerazioni, nè a queste detrazioni. Lucullo e Pompeo, as-soggettando e ordinando l'Asia, non si sono rivelati eroie uomini di genio, ma previdenti e valorosi generali e

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governatori.Lucullo mostrò come generale non comuni doti ed unafiducia in se stesso che si avvicinava alla temerarietà;Pompeo una grande avvedutezza militare e una rara rite-nutezza, tale che mai un generale, che disponeva di tan-te forze con una così completa libertà d'azione, operòcon tanta prudenza come Pompeo in oriente.Le più brillanti imprese gli si offrirono quasi spontanea-mente da tutte le parti: stava in suo potere di portarsi sulBosforo cimmerico e verso il Mar Rosso; per dichiararela guerra ai Parti ebbe tutta l'opportunità; le sollevateprovince dell'Egitto lo pregarono di cacciare dal trono reTolomeo, che non era stato riconosciuto da Roma, e didare esecuzione al testamento d'Alessandro; ma Pompeonon si recò nè a Panticapea, nè a Petra, nè a Ctesifonte,nè in Alessandria; egli coglieva soltanto quelle fruttache gli cadevano in mano.E così combattè le sue battaglie sia in mare che in terracon una straordinaria superiorità di forze. Se questa mo-derazione fosse derivata dalla severa osservanza delleimpartite istruzioni, come Pompeo soleva protestare, oanche dalla convinzione che le conquiste di Roma dove-vano pure trovare un limite e che i nuovi accrescimentiterritoriali non erano utili allo stato, egli meriterebbeuna lode maggiore di quella che la storia assegna al piùabile generale, ma dal carattere di Pompeo risulta fuordi ogni dubbio che la sua prudenza non era che la conse-guenza della mancanza di sicurezza e d'iniziativa che gliera propria – difetti questi che certamente in questo caso

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governatori.Lucullo mostrò come generale non comuni doti ed unafiducia in se stesso che si avvicinava alla temerarietà;Pompeo una grande avvedutezza militare e una rara rite-nutezza, tale che mai un generale, che disponeva di tan-te forze con una così completa libertà d'azione, operòcon tanta prudenza come Pompeo in oriente.Le più brillanti imprese gli si offrirono quasi spontanea-mente da tutte le parti: stava in suo potere di portarsi sulBosforo cimmerico e verso il Mar Rosso; per dichiararela guerra ai Parti ebbe tutta l'opportunità; le sollevateprovince dell'Egitto lo pregarono di cacciare dal trono reTolomeo, che non era stato riconosciuto da Roma, e didare esecuzione al testamento d'Alessandro; ma Pompeonon si recò nè a Panticapea, nè a Petra, nè a Ctesifonte,nè in Alessandria; egli coglieva soltanto quelle fruttache gli cadevano in mano.E così combattè le sue battaglie sia in mare che in terracon una straordinaria superiorità di forze. Se questa mo-derazione fosse derivata dalla severa osservanza delleimpartite istruzioni, come Pompeo soleva protestare, oanche dalla convinzione che le conquiste di Roma dove-vano pure trovare un limite e che i nuovi accrescimentiterritoriali non erano utili allo stato, egli meriterebbeuna lode maggiore di quella che la storia assegna al piùabile generale, ma dal carattere di Pompeo risulta fuordi ogni dubbio che la sua prudenza non era che la conse-guenza della mancanza di sicurezza e d'iniziativa che gliera propria – difetti questi che certamente in questo caso

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riuscirono allo stato molto più vantaggiosi che non leopposte prerogative del suo antecessore.Non v'è alcun dubbio che furono commessi perniciosis-simi errori da Lucullo come da Pompeo. Lucullo ne rac-colse egli stesso i frutti, poichè la sua condotta leggeragli tolse di nuovo tutti i risultati delle sue vittorie: Pom-peo trasmise ai suoi successori le conseguenze della suafalsa politica contro i Parti.Stava in lui o di dichiarare loro la guerra, se credeva dipoterlo fare, o di mantenere con loro la pace e, comeaveva promesso, di riconoscere l'Eufrate quale confine.Per abbracciare il primo partito era troppo timido, perdecidersi per l'ultimo troppo ambizioso e così si attennealla sciocca perfidia di rendere impossibili colle piùsfrenate usurpazioni le relazioni di buon vicinato desi-derate e mantenute dalla corte di Ctesifonte, ma allostesso tempo di lasciare al nemico la facoltà di scegliereesso stesso il tempo della rottura e della rappresaglia.Come governatore dell'Asia Lucullo raccolse una so-stanza più che principesca, ed anche Pompeo ebbe inpremio della sua organizzazione dal re di Cappadocia,dalla ricca città d'Antiochia e da altri signori e comuni,delle grosse somme e ancora più ragguardevoli obbliga-zioni di debito. Tali concussioni erano del resto divenutequasi un'abituale imposizione e i due generali non pat-teggiavano propriamente per denaro nelle più importantiquestioni e, potendo, si facevano pagare dalla parte i cuiinteressi s'accordavano con quelli di Roma. Ciò non to-glie che, considerati i tempi che correvano, non si debba

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riuscirono allo stato molto più vantaggiosi che non leopposte prerogative del suo antecessore.Non v'è alcun dubbio che furono commessi perniciosis-simi errori da Lucullo come da Pompeo. Lucullo ne rac-colse egli stesso i frutti, poichè la sua condotta leggeragli tolse di nuovo tutti i risultati delle sue vittorie: Pom-peo trasmise ai suoi successori le conseguenze della suafalsa politica contro i Parti.Stava in lui o di dichiarare loro la guerra, se credeva dipoterlo fare, o di mantenere con loro la pace e, comeaveva promesso, di riconoscere l'Eufrate quale confine.Per abbracciare il primo partito era troppo timido, perdecidersi per l'ultimo troppo ambizioso e così si attennealla sciocca perfidia di rendere impossibili colle piùsfrenate usurpazioni le relazioni di buon vicinato desi-derate e mantenute dalla corte di Ctesifonte, ma allostesso tempo di lasciare al nemico la facoltà di scegliereesso stesso il tempo della rottura e della rappresaglia.Come governatore dell'Asia Lucullo raccolse una so-stanza più che principesca, ed anche Pompeo ebbe inpremio della sua organizzazione dal re di Cappadocia,dalla ricca città d'Antiochia e da altri signori e comuni,delle grosse somme e ancora più ragguardevoli obbliga-zioni di debito. Tali concussioni erano del resto divenutequasi un'abituale imposizione e i due generali non pat-teggiavano propriamente per denaro nelle più importantiquestioni e, potendo, si facevano pagare dalla parte i cuiinteressi s'accordavano con quelli di Roma. Ciò non to-glie che, considerati i tempi che correvano, non si debba

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riguardare l'amministrazione di questi due uomini comerelativamente lodevole ed a tutto vantaggio di Roma, epoi a vantaggio dei provinciali.La trasformazione di clienti in sudditi, la migliore rego-larizzazione del confine orientale, la fondazione di ungoverno unito e forte, erano benefici tanto per i domi-nanti che per i dominati. Immenso fu il profitto finanzia-rio per Roma; la nuova imposta sulle sostanze, che, adeccezione di alcuni comuni liberi per cause speciali, tut-ti quei principi, tutti quei sacerdoti, e tutte quelle cittàdovevano versare a Roma, aumentò il reddito dello statoquasi della metà.L'Asia indubbiamente ne soffrì. Pompeo depose nellecasse dello stato, tra oro e gioielli, una somma di 200milioni di sesterzi (L. 52.500.000) e distribuì tra i suoiufficiali e soldati 16.000 talenti (L. 101.250.000). Ora,se a queste somme si aggiungessero quelle ragguardevo-li asportate da Lucullo, le concussioni non ufficiali fattedall'esercito romano e l'importo dei danni cagionati dal-la guerra, si comprenderà facilmente l'esaurimento fi-nanziario in cui dovette trovarsi il paese.Le imposizioni romane in Asia non erano forse più one-rose di quelle degli anteriori reggenti, ma gravitavano dipiù sul paese, poichè d'allora in avanti il danaro incassa-to andò fuori dello stato, non rimanendone in Asia cheuna minima parte; e in ogni modo poi le imposte eranobasate, nelle antiche come nelle nuove province, a favo-re di Roma.Ma di ciò la responsabilità tocca molto meno ai generali

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riguardare l'amministrazione di questi due uomini comerelativamente lodevole ed a tutto vantaggio di Roma, epoi a vantaggio dei provinciali.La trasformazione di clienti in sudditi, la migliore rego-larizzazione del confine orientale, la fondazione di ungoverno unito e forte, erano benefici tanto per i domi-nanti che per i dominati. Immenso fu il profitto finanzia-rio per Roma; la nuova imposta sulle sostanze, che, adeccezione di alcuni comuni liberi per cause speciali, tut-ti quei principi, tutti quei sacerdoti, e tutte quelle cittàdovevano versare a Roma, aumentò il reddito dello statoquasi della metà.L'Asia indubbiamente ne soffrì. Pompeo depose nellecasse dello stato, tra oro e gioielli, una somma di 200milioni di sesterzi (L. 52.500.000) e distribuì tra i suoiufficiali e soldati 16.000 talenti (L. 101.250.000). Ora,se a queste somme si aggiungessero quelle ragguardevo-li asportate da Lucullo, le concussioni non ufficiali fattedall'esercito romano e l'importo dei danni cagionati dal-la guerra, si comprenderà facilmente l'esaurimento fi-nanziario in cui dovette trovarsi il paese.Le imposizioni romane in Asia non erano forse più one-rose di quelle degli anteriori reggenti, ma gravitavano dipiù sul paese, poichè d'allora in avanti il danaro incassa-to andò fuori dello stato, non rimanendone in Asia cheuna minima parte; e in ogni modo poi le imposte eranobasate, nelle antiche come nelle nuove province, a favo-re di Roma.Ma di ciò la responsabilità tocca molto meno ai generali

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personalmente che ai partiti della capitale, cui essi dove-vano servire; Lucullo anzi si sforzò con tutta l'energia diporre un freno alle usure dei capitalisti romani in Asia, ela sua caduta fu causata specialmente da ciò.Quanto questi due uomini fossero seriamente interessatia far di nuovo risorgere le oppresse provincie, lo provala loro operosità là dove non glielo impedivano i riguar-di dei partiti, e specialmente la loro sollecitudine per lecittà dell'Asia minore. Se ancora dopo molti secoli le ro-vine di questo o quel villaggio asiatico ricordavano itempi di quella grande guerra, Sinope poteva, però, co-minciare una nuova era coll'anno del suo risorgimentoper opera di Lucullo, e quasi tutte le più importanti cittàcontinentali del regno pontico dovevano riconoscere inPompeo il loro fondatore.

28. L'Asia dopo Pompeo.

L'organizzazione dell'Asia romana per opera di Luculloe di Pompeo, malgrado gli inevitabili difetti, si puòconsiderare in generale come assennata e lodevole e perquanto essa non andasse scevra di gravi inconvenienti,dovette essere apprezzata dai tribolati popoli asiatici,anche per il fatto che coincideva con la pace interna edesterna così lungamente e ansiosamente desiderata.In sostanza la pace durò in oriente finchè il proposito,cui Pompeo per la sua caratteristica titubanza aveva ap-pena accennato, di aggiungere cioè al regno romano leprovince poste all'oriente dell'Eufrate, fu dalla nuova

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personalmente che ai partiti della capitale, cui essi dove-vano servire; Lucullo anzi si sforzò con tutta l'energia diporre un freno alle usure dei capitalisti romani in Asia, ela sua caduta fu causata specialmente da ciò.Quanto questi due uomini fossero seriamente interessatia far di nuovo risorgere le oppresse provincie, lo provala loro operosità là dove non glielo impedivano i riguar-di dei partiti, e specialmente la loro sollecitudine per lecittà dell'Asia minore. Se ancora dopo molti secoli le ro-vine di questo o quel villaggio asiatico ricordavano itempi di quella grande guerra, Sinope poteva, però, co-minciare una nuova era coll'anno del suo risorgimentoper opera di Lucullo, e quasi tutte le più importanti cittàcontinentali del regno pontico dovevano riconoscere inPompeo il loro fondatore.

28. L'Asia dopo Pompeo.

L'organizzazione dell'Asia romana per opera di Luculloe di Pompeo, malgrado gli inevitabili difetti, si puòconsiderare in generale come assennata e lodevole e perquanto essa non andasse scevra di gravi inconvenienti,dovette essere apprezzata dai tribolati popoli asiatici,anche per il fatto che coincideva con la pace interna edesterna così lungamente e ansiosamente desiderata.In sostanza la pace durò in oriente finchè il proposito,cui Pompeo per la sua caratteristica titubanza aveva ap-pena accennato, di aggiungere cioè al regno romano leprovince poste all'oriente dell'Eufrate, fu dalla nuova

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triade dei dominatori di Roma riassunto energicamente.Ma lo fu con infelice successo, giacchè poco dopo laguerra civile trasse nel suo fatale vortice, come tutte lealtre, anche le province orientali.Gli scontri, che intanto i luogotenenti della Cilicia ebbe-ro continuamente colle alpestri popolazioni dell'Amano,e quelli della Siria colle orde del deserto, e nemmeno leperdite sofferte dai Romani specialmente in questa guer-ra contro i Beduini, ebbero ulteriore importanza.È degna di essere più specialmente rilevata l'ostinata re-sistenza opposta ai conquistatori dalla nazione giudaica.Alessandro, figlio del deposto re Aristobulo, e Aristobu-lo stesso, cui riuscì dopo qualche anno di sottrarsi allaprigionia, durante la luogotenenza di Aulo Gabinio(697-700 = 57-54) suscitò tre diverse sollevazioni con-tro i nuovi padroni, in ciascuna delle quali soggiacquel'impotente governo del sommo sacerdote Ircano stabili-to da Roma.Non era la ragion politica, ma l'invincibile avversionedegli orientali per quel giogo contro natura, che li co-stringeva a ribellarsi al pungolo; infatti l'ultima e più pe-ricolosa di queste sollevazioni, cui diede il primo impul-so lo sgombro dello esercito e l'occupazione della Siria,causata dalle crisi egiziane, cominciò coll'eccidio deiRomani stabiliti in Palestina.Non senza difficoltà il valente governatore riuscì a sal-vare dagli insorti, che li tenevano bloccati, quei pochiRomani che si erano sottratti a tal sorte trovando un mo-mentaneo rifugio sul monte Garizim, e a vincere, dopo

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triade dei dominatori di Roma riassunto energicamente.Ma lo fu con infelice successo, giacchè poco dopo laguerra civile trasse nel suo fatale vortice, come tutte lealtre, anche le province orientali.Gli scontri, che intanto i luogotenenti della Cilicia ebbe-ro continuamente colle alpestri popolazioni dell'Amano,e quelli della Siria colle orde del deserto, e nemmeno leperdite sofferte dai Romani specialmente in questa guer-ra contro i Beduini, ebbero ulteriore importanza.È degna di essere più specialmente rilevata l'ostinata re-sistenza opposta ai conquistatori dalla nazione giudaica.Alessandro, figlio del deposto re Aristobulo, e Aristobu-lo stesso, cui riuscì dopo qualche anno di sottrarsi allaprigionia, durante la luogotenenza di Aulo Gabinio(697-700 = 57-54) suscitò tre diverse sollevazioni con-tro i nuovi padroni, in ciascuna delle quali soggiacquel'impotente governo del sommo sacerdote Ircano stabili-to da Roma.Non era la ragion politica, ma l'invincibile avversionedegli orientali per quel giogo contro natura, che li co-stringeva a ribellarsi al pungolo; infatti l'ultima e più pe-ricolosa di queste sollevazioni, cui diede il primo impul-so lo sgombro dello esercito e l'occupazione della Siria,causata dalle crisi egiziane, cominciò coll'eccidio deiRomani stabiliti in Palestina.Non senza difficoltà il valente governatore riuscì a sal-vare dagli insorti, che li tenevano bloccati, quei pochiRomani che si erano sottratti a tal sorte trovando un mo-mentaneo rifugio sul monte Garizim, e a vincere, dopo

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molti e aspri combattimenti e lunghi assedi, la solleva-zione.In conseguenza di questa sollevazione fu abolita la mo-narchia teocratica e il paese giudaico diviso, come laMacedonia, in cinque parti indipendenti, amministrateda collegi di ottimati; per stabilire un equilibrio di frontea Gerusalemme furono ricostruite la città di Samaria ealtre località abbattute dai Giudei, e finalmente fu impo-sto ai Giudei un tributo più grave che agli altri sudditisiriaci di Roma.

29. Il regno egizio.

Dobbiamo ancora gettare uno sguardo sull'Egitto e sullabella isola di Cipro, ultimo paese rimastogli annessodelle estese conquiste dei Lagidi.L'Egitto era allora l'unico stato dell'oriente ellenico an-cora indipendente, almeno di nome; appunto come unavolta, quando i Persiani si stabilirono alla metà orientaledel Mediterraneo, l'Egitto fu l'ultima loro conquista, cosìanche i potenti conquistatori dell'occidente lasciaronoper ultima l'annessione di questo ricco e singolarissimopaese.Non si deve attribuire questo ritardo, come abbiamo giàdetto, nè al timore della resistenza dell'Egitto, nè allamancanza di un plausibile motivo. L'Egitto era presso apoco privo di forze come la Siria, e sin dal 673 = 81 de-voluto alla repubblica romana secondo tutte le forme deldiritto; alla corte d Alessandria dominava la guardia rea-

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molti e aspri combattimenti e lunghi assedi, la solleva-zione.In conseguenza di questa sollevazione fu abolita la mo-narchia teocratica e il paese giudaico diviso, come laMacedonia, in cinque parti indipendenti, amministrateda collegi di ottimati; per stabilire un equilibrio di frontea Gerusalemme furono ricostruite la città di Samaria ealtre località abbattute dai Giudei, e finalmente fu impo-sto ai Giudei un tributo più grave che agli altri sudditisiriaci di Roma.

29. Il regno egizio.

Dobbiamo ancora gettare uno sguardo sull'Egitto e sullabella isola di Cipro, ultimo paese rimastogli annessodelle estese conquiste dei Lagidi.L'Egitto era allora l'unico stato dell'oriente ellenico an-cora indipendente, almeno di nome; appunto come unavolta, quando i Persiani si stabilirono alla metà orientaledel Mediterraneo, l'Egitto fu l'ultima loro conquista, cosìanche i potenti conquistatori dell'occidente lasciaronoper ultima l'annessione di questo ricco e singolarissimopaese.Non si deve attribuire questo ritardo, come abbiamo giàdetto, nè al timore della resistenza dell'Egitto, nè allamancanza di un plausibile motivo. L'Egitto era presso apoco privo di forze come la Siria, e sin dal 673 = 81 de-voluto alla repubblica romana secondo tutte le forme deldiritto; alla corte d Alessandria dominava la guardia rea-

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le, che nominava e deponeva i ministri e anche i re,s'appropriava tutto ciò che le piaceva, e se le veniva ri-fiutato l'aumento del soldo, assediava il re nel suo palaz-zo, nel paese, o per dir meglio nella capitale, poichè ilpaese colla sua popolazione di schiavi agricoli nullacontava.Essa non era assolutamente ben vista, e almeno una par-te degli abitanti desiderava che l'Egitto venisse assorbitoda Roma, e faceva persino dei passi perchè ciò avvenis-se. Ma quanto meno i re d'Egitto potevano pensare acombattere Roma colle armi, tanto più energicamentecombattevano coll'oro i piani di annessione dei Romani;e in conseguenza della singolare centralizzazione dispo-tico-comunista della pubblica economia dell'Egitto, leentrate della corte d'Alessandria pareggiavano presso apoco quelle delle finanze di Roma anche dopo l'aumentoprocurato da Pompeo. Si aggiungeva la sospettosa gelo-sia dell'oligarchia, che non sapeva risolversi di affidarenè la conquista nè l'amministrazione dell'Egitto ad unsolo individuo. Così quelli che signoreggiavano di fattoin Egitto e Cipro potevano non solo prolungare, ma assi-curare maggiormente le vacillanti loro corone corrom-pendo i personaggi che dirigevano il senato, e compe-rando da questo la conferma dei loro titoli reali.Ma con ciò non erano ancora alla meta. Le forme dellacostituzione richiedevano una decisione della borghesiaromana; prima che questa decisione fosse emanata, i To-lomei erano esposti al capriccio di ogni democratico po-tente, ed era quindi necessario che cominciassero la

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le, che nominava e deponeva i ministri e anche i re,s'appropriava tutto ciò che le piaceva, e se le veniva ri-fiutato l'aumento del soldo, assediava il re nel suo palaz-zo, nel paese, o per dir meglio nella capitale, poichè ilpaese colla sua popolazione di schiavi agricoli nullacontava.Essa non era assolutamente ben vista, e almeno una par-te degli abitanti desiderava che l'Egitto venisse assorbitoda Roma, e faceva persino dei passi perchè ciò avvenis-se. Ma quanto meno i re d'Egitto potevano pensare acombattere Roma colle armi, tanto più energicamentecombattevano coll'oro i piani di annessione dei Romani;e in conseguenza della singolare centralizzazione dispo-tico-comunista della pubblica economia dell'Egitto, leentrate della corte d'Alessandria pareggiavano presso apoco quelle delle finanze di Roma anche dopo l'aumentoprocurato da Pompeo. Si aggiungeva la sospettosa gelo-sia dell'oligarchia, che non sapeva risolversi di affidarenè la conquista nè l'amministrazione dell'Egitto ad unsolo individuo. Così quelli che signoreggiavano di fattoin Egitto e Cipro potevano non solo prolungare, ma assi-curare maggiormente le vacillanti loro corone corrom-pendo i personaggi che dirigevano il senato, e compe-rando da questo la conferma dei loro titoli reali.Ma con ciò non erano ancora alla meta. Le forme dellacostituzione richiedevano una decisione della borghesiaromana; prima che questa decisione fosse emanata, i To-lomei erano esposti al capriccio di ogni democratico po-tente, ed era quindi necessario che cominciassero la

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guerra della corruzione anche contro l'altro partito ro-mano, che, come il più forte, poneva dei prezzi moltoelevati. Il risultato fu ineguale.

30. Annessione di Cipro e vicende egiziane.

L'annessione di Cipro fu fatta nel 696 = 58 perdisposizione del popolo, cioè di coloro che dirigevano lademocrazia, giustificandola ufficialmente col pretestodell'aiuto accordato dai Ciprioti alla pirateria.Marco Catone, incaricato dai suoi avversari dell'esecu-zione di questa misura, arrivò nell'isola senza esercito,ma egli non ne abbisognava. Il re si avvelenò; gli abi-tanti si adattarono senza opposizione all'inevitabile fata-lità e furono sottomessi al luogotenente della Cilicia.Il ricchissimo tesoro di quasi 7000 talenti (L.45.000.000) al quale l'avaro e non meno avido re nonseppe decidersi a metter mano per la corruzione neces-saria a salvare la sua corona, cadde insieme con questanelle mani dei Romani e ne riempì quanto si desideravai vuoti scrigni delle loro tesorerie.Invece il fratello, che regnava in Egitto, potè nel 695 =59 comperare mediante un plebiscito il suo riconosci-mento dai nuovi signori di Roma; il prezzo pattuito sa-rebbe stato di 6000 talenti (37.500.000 lire).Il popolo egiziano, però, che da molto tempo era irritatocontro l'eccellente flautista ma cattivo regnante, e la cuiindignazione era giunta al massimo grado per la perditadefinitiva di Cipro o per l'aumento insopportabile delle

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guerra della corruzione anche contro l'altro partito ro-mano, che, come il più forte, poneva dei prezzi moltoelevati. Il risultato fu ineguale.

30. Annessione di Cipro e vicende egiziane.

L'annessione di Cipro fu fatta nel 696 = 58 perdisposizione del popolo, cioè di coloro che dirigevano lademocrazia, giustificandola ufficialmente col pretestodell'aiuto accordato dai Ciprioti alla pirateria.Marco Catone, incaricato dai suoi avversari dell'esecu-zione di questa misura, arrivò nell'isola senza esercito,ma egli non ne abbisognava. Il re si avvelenò; gli abi-tanti si adattarono senza opposizione all'inevitabile fata-lità e furono sottomessi al luogotenente della Cilicia.Il ricchissimo tesoro di quasi 7000 talenti (L.45.000.000) al quale l'avaro e non meno avido re nonseppe decidersi a metter mano per la corruzione neces-saria a salvare la sua corona, cadde insieme con questanelle mani dei Romani e ne riempì quanto si desideravai vuoti scrigni delle loro tesorerie.Invece il fratello, che regnava in Egitto, potè nel 695 =59 comperare mediante un plebiscito il suo riconosci-mento dai nuovi signori di Roma; il prezzo pattuito sa-rebbe stato di 6000 talenti (37.500.000 lire).Il popolo egiziano, però, che da molto tempo era irritatocontro l'eccellente flautista ma cattivo regnante, e la cuiindignazione era giunta al massimo grado per la perditadefinitiva di Cipro o per l'aumento insopportabile delle

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imposte avvenute in seguito alle transazioni coi Romani(696 = 58), lo cacciò dal paese. Allorchè poi il re si vol-se ai suoi venditori, quasi per indennizzo dell'oggettocomperato, essi furono abbastanza giusti di riconoscereche, da onesti uomini d'affari, dovevano recuperare dinuovo a Tolomeo il suo regno, ma i partiti non riusciva-no a mettersi d'accordo a chi dovesse toccare l'importan-te incarico di occupare l'Egitto coi proventi che se nedovevano sperare.Solo quando la triarchia nelle conferenze di Lucca fu ri-confermata, fu sistemato anche questo affare, dopo cheTolomeo si decise a depositare altri 10.000 talenti (L.63.750.000) allora giunse al luogotenente della Sirial'ordine da coloro che avevano il potere, di fare tosto inecessari passi per ricondurre il re sul suo trono.La cittadinanza d'Alessandria aveva frattanto incoronataregina Berenice, figlia maggiore del re scacciato, dando-le per marito Archelao, uno dei principi sacerdotidell'Asia minore, sommo sacerdote di Comana, dotatodi sufficiente ambizione per mettere a repentaglio la suasicura e ragguardevole posizione per la speranza di sali-re al trono dei Lagidi.I suoi tentativi presso i potenti romani, onde averli favo-revoli, rimasero senza effetto; ma egli non si spaventònemmeno al pensiero di dover mantenere il nuovo regnocolla forza delle armi persino contro i Romani.

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imposte avvenute in seguito alle transazioni coi Romani(696 = 58), lo cacciò dal paese. Allorchè poi il re si vol-se ai suoi venditori, quasi per indennizzo dell'oggettocomperato, essi furono abbastanza giusti di riconoscereche, da onesti uomini d'affari, dovevano recuperare dinuovo a Tolomeo il suo regno, ma i partiti non riusciva-no a mettersi d'accordo a chi dovesse toccare l'importan-te incarico di occupare l'Egitto coi proventi che se nedovevano sperare.Solo quando la triarchia nelle conferenze di Lucca fu ri-confermata, fu sistemato anche questo affare, dopo cheTolomeo si decise a depositare altri 10.000 talenti (L.63.750.000) allora giunse al luogotenente della Sirial'ordine da coloro che avevano il potere, di fare tosto inecessari passi per ricondurre il re sul suo trono.La cittadinanza d'Alessandria aveva frattanto incoronataregina Berenice, figlia maggiore del re scacciato, dando-le per marito Archelao, uno dei principi sacerdotidell'Asia minore, sommo sacerdote di Comana, dotatodi sufficiente ambizione per mettere a repentaglio la suasicura e ragguardevole posizione per la speranza di sali-re al trono dei Lagidi.I suoi tentativi presso i potenti romani, onde averli favo-revoli, rimasero senza effetto; ma egli non si spaventònemmeno al pensiero di dover mantenere il nuovo regnocolla forza delle armi persino contro i Romani.

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31. Tolomeo rimesso sul trono da Gabinio.

Senza pieni poteri ostensibili per poter cominciare laguerra contro l'Egitto, ma autorizzatovi dagli autocratidi Roma, Gabinio prese a pretesto il preteso aiutoprestato dagli Egizi ai pirati e la costruzione della flottadi Archelao, e si diresse subito verso i confini egizi (699= 55).La marcia attraverso il deserto di sabbia tra il Gaza ePelusio, dove più di una invasione diretta contro l'Egittoera fallita, fu questa volta eseguita facilmente per le cureimpiegate particolarmente dall'abile condottiero dellacavalleria, Marco Antonio. La fortezza di confine, Pelu-sio, fu anch'essa consegnata dalla guarnigione giudaicasenza combattimento.Dinanzi a questa città i Romani si scontrarono cogliEgizi, li batterono e nella lotta si distinse ancoraMarc'Antonio; per la prima volta un'armata romana per-venne sino al Nilo.Qui avevano preso posizione l'esercito egiziano e la flot-ta per l'ultima decisiva battaglia; ma i Romani vinseroancora, e Archelao stesso con molti dei suoi trovò lamorte sul campo. Subito dopo quella battaglia la capita-le si arrese, ed ebbe fine ogni resistenza. L'infelice paesefu restituito al legittimo suo tiranno; i supplizi, con cui,senza l'intromissione del cavalleresco Marco Antonio,Tolomeo avrebbe cominciato già in Pelusio la restaura-zione del governo legittimo, procedettero ora senzaostacoli, e la prima vittima dello snaturato padre fu la

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31. Tolomeo rimesso sul trono da Gabinio.

Senza pieni poteri ostensibili per poter cominciare laguerra contro l'Egitto, ma autorizzatovi dagli autocratidi Roma, Gabinio prese a pretesto il preteso aiutoprestato dagli Egizi ai pirati e la costruzione della flottadi Archelao, e si diresse subito verso i confini egizi (699= 55).La marcia attraverso il deserto di sabbia tra il Gaza ePelusio, dove più di una invasione diretta contro l'Egittoera fallita, fu questa volta eseguita facilmente per le cureimpiegate particolarmente dall'abile condottiero dellacavalleria, Marco Antonio. La fortezza di confine, Pelu-sio, fu anch'essa consegnata dalla guarnigione giudaicasenza combattimento.Dinanzi a questa città i Romani si scontrarono cogliEgizi, li batterono e nella lotta si distinse ancoraMarc'Antonio; per la prima volta un'armata romana per-venne sino al Nilo.Qui avevano preso posizione l'esercito egiziano e la flot-ta per l'ultima decisiva battaglia; ma i Romani vinseroancora, e Archelao stesso con molti dei suoi trovò lamorte sul campo. Subito dopo quella battaglia la capita-le si arrese, ed ebbe fine ogni resistenza. L'infelice paesefu restituito al legittimo suo tiranno; i supplizi, con cui,senza l'intromissione del cavalleresco Marco Antonio,Tolomeo avrebbe cominciato già in Pelusio la restaura-zione del governo legittimo, procedettero ora senzaostacoli, e la prima vittima dello snaturato padre fu la

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innocente figlia Berenice.Benchè si togliesse alla misera popolazione sino all'ulti-mo obolo, non si potè fare il versamento della ricom-pensa stabilita per coloro che tenevano in Roma il pote-re, essendo assolutamente impossibile di raccogliere dalpaese già esausto le immense somme richieste.Della tranquillità del paese prese cura il presidio rimastonella capitale e composto di fanteria romana e di caval-leria celtica e germanica, il quale diede il cambio ai pre-toriani indigeni non male imitandoli.L'egemonia di Roma sull'Egitto fu così cambiata in unadiretta occupazione militare e la continuazione nominaledel regno indigeno fu per il paese piuttosto un doppioonere che una prerogativa.

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innocente figlia Berenice.Benchè si togliesse alla misera popolazione sino all'ulti-mo obolo, non si potè fare il versamento della ricom-pensa stabilita per coloro che tenevano in Roma il pote-re, essendo assolutamente impossibile di raccogliere dalpaese già esausto le immense somme richieste.Della tranquillità del paese prese cura il presidio rimastonella capitale e composto di fanteria romana e di caval-leria celtica e germanica, il quale diede il cambio ai pre-toriani indigeni non male imitandoli.L'egemonia di Roma sull'Egitto fu così cambiata in unadiretta occupazione militare e la continuazione nominaledel regno indigeno fu per il paese piuttosto un doppioonere che una prerogativa.

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QUARTO CAPITOLOLOTTA DEI PARTITI DURANTE L'ASSEN-

ZA DI POMPEO

1. L'aristocrazia battuta.Colla legge gabinia i partiti della capitale invertirono leparti. Dal momento in cui il generale eletto dallademocrazia impugnò la spada, anche il suo partito, o ciòche valeva per tale, divenne prepotente nella capitale.La nobiltà si manteneva tuttora ben serrata e dal mac-chinismo dei comizi continuavano ancora come prima asortire soltanto dei consoli, che secondo l'espressione didemocratici erano stati designati al consolato fin dallefasce; dominare le elezioni e togliere l'influenza delleantiche famiglie era cosa impossibile persino a coloroche avevano in mano il potere.Senonchè il consolato incominciò a impallidire al co-spetto della nuova stella del potere militare eccezionaleproprio quando le cose erano state spinte al punto daescludere da esso «gli uomini nuovi».L'aristocrazia se ne accorse benchè non lo confessasse;essa stessa si diede come perduta. Ad eccezione diQuinto Catulo, il quale con commendevole fermezza sitenne sino alla morte al suo posto poco invidiabile dipropugnatore di un partito vinto (694 = 60), non sa-premmo nominare nelle più elevate file della nobiltànessun ottimate, che abbia rappresentato con coraggio e

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QUARTO CAPITOLOLOTTA DEI PARTITI DURANTE L'ASSEN-

ZA DI POMPEO

1. L'aristocrazia battuta.Colla legge gabinia i partiti della capitale invertirono leparti. Dal momento in cui il generale eletto dallademocrazia impugnò la spada, anche il suo partito, o ciòche valeva per tale, divenne prepotente nella capitale.La nobiltà si manteneva tuttora ben serrata e dal mac-chinismo dei comizi continuavano ancora come prima asortire soltanto dei consoli, che secondo l'espressione didemocratici erano stati designati al consolato fin dallefasce; dominare le elezioni e togliere l'influenza delleantiche famiglie era cosa impossibile persino a coloroche avevano in mano il potere.Senonchè il consolato incominciò a impallidire al co-spetto della nuova stella del potere militare eccezionaleproprio quando le cose erano state spinte al punto daescludere da esso «gli uomini nuovi».L'aristocrazia se ne accorse benchè non lo confessasse;essa stessa si diede come perduta. Ad eccezione diQuinto Catulo, il quale con commendevole fermezza sitenne sino alla morte al suo posto poco invidiabile dipropugnatore di un partito vinto (694 = 60), non sa-premmo nominare nelle più elevate file della nobiltànessun ottimate, che abbia rappresentato con coraggio e

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con perseveranza gli interessi dell'aristocrazia.Appunto i suoi uomini di maggior ingegno e i più rino-mati, come Quinto Metello Pio e Lucio Lucullo, abdica-rono di fatto e si ritrassero, per quanto lo potevano farecon decenza, nelle loro ville, per dimenticare possibil-mente in mezzo ai giardini ed alle biblioteche, alle uc-celliere ed alle peschiere, il senato e il foro. E ciò valeancor più per la più giovane generazione dell'aristocra-zia, la quale o si dava intieramente al lusso ed alla lette-ratura, o volgeva gli sguardi al sole nascente.

2. Catone.

Uno solo fra i più giovani fa eccezione; Marco PorcioCatone, nato il 659 = 95, uomo del miglior volere edotato d'un raro spirito di sacrificio e pure una delle piùbizzarre e più accigliate e più sgradevoli figure diquesto tempo così abbondante di caricature politiche.Onesto e fermo, serio nel volere e nell'operare, pieno didevozione per la sua patria e per l'avita costituzione, macervello lento e senza passioni nè sensuali nè morali,avrebbe forse potuto diventare un discreto contabile distato.Senonchè malauguratamente egli si lasciò ben prestotrasportare dal fascino delle frasi, e in parte dominatodalla retorica dello stoa, in uso nel gran mondo di queltempo, con la sua astratta aridità e insipida frammenta-rietà, in parte dallo esempio del suo bisavolo che eglicredeva suo speciale compito di imitare, cominciò a per-

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con perseveranza gli interessi dell'aristocrazia.Appunto i suoi uomini di maggior ingegno e i più rino-mati, come Quinto Metello Pio e Lucio Lucullo, abdica-rono di fatto e si ritrassero, per quanto lo potevano farecon decenza, nelle loro ville, per dimenticare possibil-mente in mezzo ai giardini ed alle biblioteche, alle uc-celliere ed alle peschiere, il senato e il foro. E ciò valeancor più per la più giovane generazione dell'aristocra-zia, la quale o si dava intieramente al lusso ed alla lette-ratura, o volgeva gli sguardi al sole nascente.

2. Catone.

Uno solo fra i più giovani fa eccezione; Marco PorcioCatone, nato il 659 = 95, uomo del miglior volere edotato d'un raro spirito di sacrificio e pure una delle piùbizzarre e più accigliate e più sgradevoli figure diquesto tempo così abbondante di caricature politiche.Onesto e fermo, serio nel volere e nell'operare, pieno didevozione per la sua patria e per l'avita costituzione, macervello lento e senza passioni nè sensuali nè morali,avrebbe forse potuto diventare un discreto contabile distato.Senonchè malauguratamente egli si lasciò ben prestotrasportare dal fascino delle frasi, e in parte dominatodalla retorica dello stoa, in uso nel gran mondo di queltempo, con la sua astratta aridità e insipida frammenta-rietà, in parte dallo esempio del suo bisavolo che eglicredeva suo speciale compito di imitare, cominciò a per-

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correre la viziosa capitale qual cittadino modello e spec-chio di virtù; e, come il vecchio Catone, a sparlare deitempi che correvano, andando a piedi invece che a ca-vallo, non prestando denaro ad interesse, declinandoogni distintivo di onori militari e credendo di restaurarei buoni antichi tempi coll'andare senza camiciasull'esempio di Romolo.Questo giovane e freddo erudito, dalle cui labbra sgor-gava la scienza del pedagogo e che si vedeva dappertut-to sedere con un libro in mano, questo filosofo, che nonconosceva nè il mestiere delle armi, nè un altro qualun-que, questo fantastico del regno dell'astratta filosofiamorale era una singolare caricatura del suo antenato, delvecchio agricoltore, di colui che l'odio e l'ira avevanoconvertito in un oratore, che maneggiava colla stessamaestria la spada e l'aratro, di colui, che colla sua intel-ligenza limitata, ma originale e sana, generalmente col-piva nel segno.Nondimeno egli divenne un uomo di una certa autoritàmorale, e quindi anche politica. In un'epoca assoluta-mente triste e vile il suo coraggio e le sue virtù negativesi imponevano alle moltitudini; egli faceva perfino ilmaestro di scuola e vi furono alunni – certo della stessatempra – i quali copiavano il vivente filosofo modello ealla loro volta ne divenivano la caricatura.Alle stesse cause si deve attribuire anche la sua influen-za politica. Siccome egli era il solo conservatore rag-guardevole il quale, se non possedeva ingegno e perspi-cacia, era però dotato di onestà e di coraggio e sempre

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correre la viziosa capitale qual cittadino modello e spec-chio di virtù; e, come il vecchio Catone, a sparlare deitempi che correvano, andando a piedi invece che a ca-vallo, non prestando denaro ad interesse, declinandoogni distintivo di onori militari e credendo di restaurarei buoni antichi tempi coll'andare senza camiciasull'esempio di Romolo.Questo giovane e freddo erudito, dalle cui labbra sgor-gava la scienza del pedagogo e che si vedeva dappertut-to sedere con un libro in mano, questo filosofo, che nonconosceva nè il mestiere delle armi, nè un altro qualun-que, questo fantastico del regno dell'astratta filosofiamorale era una singolare caricatura del suo antenato, delvecchio agricoltore, di colui che l'odio e l'ira avevanoconvertito in un oratore, che maneggiava colla stessamaestria la spada e l'aratro, di colui, che colla sua intel-ligenza limitata, ma originale e sana, generalmente col-piva nel segno.Nondimeno egli divenne un uomo di una certa autoritàmorale, e quindi anche politica. In un'epoca assoluta-mente triste e vile il suo coraggio e le sue virtù negativesi imponevano alle moltitudini; egli faceva perfino ilmaestro di scuola e vi furono alunni – certo della stessatempra – i quali copiavano il vivente filosofo modello ealla loro volta ne divenivano la caricatura.Alle stesse cause si deve attribuire anche la sua influen-za politica. Siccome egli era il solo conservatore rag-guardevole il quale, se non possedeva ingegno e perspi-cacia, era però dotato di onestà e di coraggio e sempre

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pronto, occorrendo e non occorrendo, ad esporre la suapersona, egli divenne ben presto il capo riconosciuto delpartito degli ottimati, sebbene nè la sua età nè la suamente gliene dessero il diritto.Là dove poteva decidere la perseveranza d'un solo uomorisoluto egli ottenne anche un buon successo, e nellequestioni di dettaglio, particolarmente nel ramo finan-ziario, egli rese spesso dei buoni servizi; non mancavamai d'intervenire alle sedute del senato e la sua questurafece veramente epoca; finchè visse esaminò e controllònei suoi dettagli il bilancio dello stato e perciò egli sitrovò sempre in guerra aperta cogli appaltatori delle im-poste.Ma oltre ciò egli non aveva assolutamente alcuna quali-tà per essere un uomo di stato.Mancava di ogni sensibilità politica ed era incapace diravvisare a colpo d'occhio le quistioni politiche; tutta lasua tattica consisteva nell'affrontare chiunque si scostas-se o gli sembrava che si scostasse dal tradizionale cate-chismo morale-politico dell'aristocrazia, e così facendoera naturale che egli lavorasse più per gli avversari cheper gli uomini del suo partito. Come il don Chisciottedell'aristocrazia, con i suoi modi egli provò tutto al piùche esisteva ancora un'aristocrazia, ma che la politicaaristocratica non era più che una chimera.

3. Persecuzioni democratiche.

Non tornava a grande onore continuare la lotta con

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pronto, occorrendo e non occorrendo, ad esporre la suapersona, egli divenne ben presto il capo riconosciuto delpartito degli ottimati, sebbene nè la sua età nè la suamente gliene dessero il diritto.Là dove poteva decidere la perseveranza d'un solo uomorisoluto egli ottenne anche un buon successo, e nellequestioni di dettaglio, particolarmente nel ramo finan-ziario, egli rese spesso dei buoni servizi; non mancavamai d'intervenire alle sedute del senato e la sua questurafece veramente epoca; finchè visse esaminò e controllònei suoi dettagli il bilancio dello stato e perciò egli sitrovò sempre in guerra aperta cogli appaltatori delle im-poste.Ma oltre ciò egli non aveva assolutamente alcuna quali-tà per essere un uomo di stato.Mancava di ogni sensibilità politica ed era incapace diravvisare a colpo d'occhio le quistioni politiche; tutta lasua tattica consisteva nell'affrontare chiunque si scostas-se o gli sembrava che si scostasse dal tradizionale cate-chismo morale-politico dell'aristocrazia, e così facendoera naturale che egli lavorasse più per gli avversari cheper gli uomini del suo partito. Come il don Chisciottedell'aristocrazia, con i suoi modi egli provò tutto al piùche esisteva ancora un'aristocrazia, ma che la politicaaristocratica non era più che una chimera.

3. Persecuzioni democratiche.

Non tornava a grande onore continuare la lotta con

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questa aristocrazia. Naturalmente gli attacchi dellademocrazia contro il vinto nemico non cessavano perquesto. Come i saccomanni in un campo espugnato,l'arrabbiata muta del partito popolare si gettò sulla vintanobiltà e almeno la superfice della politica fu da questeagitazioni fatta salire a enormi cavalloni di spuma. Laplebe si unì tanto più volonterosa a questo partito inquanto particolarmente Caio Cesare sapeva attirarlacolla magnificenza delle sue feste (689 = 65), in cuitutte le suppellettili, persino le gabbie delle fiere, eranodi argento massiccio ed erano dati in generale con unaprodigalità la quale appariva tanto più principesca inquanto si basava unicamente sui debiti.Gli attacchi diretti contro la nobiltà erano di svariataspecie. Gli abusi del governo aristocratico ne offrivanoricca materia; funzionari e procuratori liberali, o cheavevano una tinta di liberalismo, come Caio Cornelio,Aulo Gabinio, Marco Cicerone, continuavano a metterein evidenza sistematicamente gli atti più scandalosi epiù turpi del governo degli ottimati ed a proporre leggiper impedirli. Il senato fu invitato ad accordare agli am-basciatori esteri l'udienza in giorni stabiliti per mettereun freno all'attuale proroga delle udienze.I prestiti fatti in Roma da ambasciatori esteri furono di-chiarati non soggetti a querela, essendo questo il solomezzo per porre efficacemente un freno alle corruzioniche nel senato erano all'ordine dei giorno (687 = 67). Fulimitato il diritto del senato di dispensare dalle leggi incasi speciali (687 = 67) e così l'abuso, che ogni distinto

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questa aristocrazia. Naturalmente gli attacchi dellademocrazia contro il vinto nemico non cessavano perquesto. Come i saccomanni in un campo espugnato,l'arrabbiata muta del partito popolare si gettò sulla vintanobiltà e almeno la superfice della politica fu da questeagitazioni fatta salire a enormi cavalloni di spuma. Laplebe si unì tanto più volonterosa a questo partito inquanto particolarmente Caio Cesare sapeva attirarlacolla magnificenza delle sue feste (689 = 65), in cuitutte le suppellettili, persino le gabbie delle fiere, eranodi argento massiccio ed erano dati in generale con unaprodigalità la quale appariva tanto più principesca inquanto si basava unicamente sui debiti.Gli attacchi diretti contro la nobiltà erano di svariataspecie. Gli abusi del governo aristocratico ne offrivanoricca materia; funzionari e procuratori liberali, o cheavevano una tinta di liberalismo, come Caio Cornelio,Aulo Gabinio, Marco Cicerone, continuavano a metterein evidenza sistematicamente gli atti più scandalosi epiù turpi del governo degli ottimati ed a proporre leggiper impedirli. Il senato fu invitato ad accordare agli am-basciatori esteri l'udienza in giorni stabiliti per mettereun freno all'attuale proroga delle udienze.I prestiti fatti in Roma da ambasciatori esteri furono di-chiarati non soggetti a querela, essendo questo il solomezzo per porre efficacemente un freno alle corruzioniche nel senato erano all'ordine dei giorno (687 = 67). Fulimitato il diritto del senato di dispensare dalle leggi incasi speciali (687 = 67) e così l'abuso, che ogni distinto

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romano, il quale avesse dei privati interessi nelle pro-vince, si facesse a tale scopo attribuire dal senato il ran-go di inviato romano (691 = 63).Furono aggravate le punizioni contro il commercio deivoti e contro le mene elettorali (687-691 = 67-63) essen-do aumentate particolarmente queste ultime in modoscandaloso per i tentativi di coloro che, eliminati dal se-nato, tentavano di esservi riammessi con la rielezione.Fu stabilito per legge ciò che fino allora non era statoche sottinteso, cioè che i giudici fossero tenuti a renderei giudizi in conformità delle norme da essi stabilite se-condo l'uso romano al momento della loro nomina (687= 67).Ma anzitutto si lavorò a completare la restaurazione de-mocratica e a dar forma, secondo le esigenze dei tempi,ai principî direttivi dell'epoca dei Gracchi.L'elezione dei sacerdoti, che procedeva dai comizi nelmodo introdotto da Gneo Domizio e soppressa da Silla,fu ripristinata nel 691 = 63 con una legge del tribuno delpopolo Tito Labieno. Si discuteva volentieri sulla care-stia per far rivivere in tutta la loro estensione le leggifrumentarie di Sempronio, passando sotto silenziocome, per le cambiate circostanze, per le tristi condizio-ni delle pubbliche finanze e per l'aumentato numero deicittadini romani aventi la pienezza dei diritti, questa ri-pristinazione fosse assolutamente impossibile.

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romano, il quale avesse dei privati interessi nelle pro-vince, si facesse a tale scopo attribuire dal senato il ran-go di inviato romano (691 = 63).Furono aggravate le punizioni contro il commercio deivoti e contro le mene elettorali (687-691 = 67-63) essen-do aumentate particolarmente queste ultime in modoscandaloso per i tentativi di coloro che, eliminati dal se-nato, tentavano di esservi riammessi con la rielezione.Fu stabilito per legge ciò che fino allora non era statoche sottinteso, cioè che i giudici fossero tenuti a renderei giudizi in conformità delle norme da essi stabilite se-condo l'uso romano al momento della loro nomina (687= 67).Ma anzitutto si lavorò a completare la restaurazione de-mocratica e a dar forma, secondo le esigenze dei tempi,ai principî direttivi dell'epoca dei Gracchi.L'elezione dei sacerdoti, che procedeva dai comizi nelmodo introdotto da Gneo Domizio e soppressa da Silla,fu ripristinata nel 691 = 63 con una legge del tribuno delpopolo Tito Labieno. Si discuteva volentieri sulla care-stia per far rivivere in tutta la loro estensione le leggifrumentarie di Sempronio, passando sotto silenziocome, per le cambiate circostanze, per le tristi condizio-ni delle pubbliche finanze e per l'aumentato numero deicittadini romani aventi la pienezza dei diritti, questa ri-pristinazione fosse assolutamente impossibile.

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4. Transpadani e liberti.

Nella regione tra il Po e le Alpi si andava efficacementealimentando l'agitazione per ottenere l'eguaglianzapolitica con gli italici. Fin dal 686 = 68 Caio Cesarevisitò a questo scopo quel paese luogo per luogo; nel689 = 65 Marco Crasso aveva disposto come censore diregistrare gli abitanti senz'altro sulla lista dei cittadini,ma il suo tentativo andò fallito per l'opposizione del suocollega; pare che sotto i successivi censori questotentativo venisse regolarmeute ripetuto.Come una volta Gracco e Flacco erano stati i patroni deiLatini, così coloro che dirigevano attualmente la demo-crazia si atteggiavano a protettori dei transpadani, eCaio Pisone (console 687 = 67) dovette pentirsi grave-mente d'aver osato di mettere le mani addosso ad uno diquesti clienti di Cesare e di Crasso.Invece questi stessi capi-parte non si mostravano affattoinclinati a promuovere l'eguaglianza politica dei liberti.Il tribuno del popolo Caio Manilio, il quale aveva fattorinnovare la legge sulpicia sul diritto di votazione dei li-berti in un'adunanza di poche persone (31 dicembre 687= 67) fu disapprovato dai capi della democrazia, col cuiconsenso la legge fu annullata il giorno dopo al senato.Nello stesso modo nel 689 = 65 furono scacciati dallacapitale, dietro un plebiscito, tutti i forestieri che nonavevano diritto alla cittadinanza romana nè a quella lati-na. Si vede che la contraddizione, che conteneva in sè ilsistema politico di Gracco, il quale teneva calcolo con-

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4. Transpadani e liberti.

Nella regione tra il Po e le Alpi si andava efficacementealimentando l'agitazione per ottenere l'eguaglianzapolitica con gli italici. Fin dal 686 = 68 Caio Cesarevisitò a questo scopo quel paese luogo per luogo; nel689 = 65 Marco Crasso aveva disposto come censore diregistrare gli abitanti senz'altro sulla lista dei cittadini,ma il suo tentativo andò fallito per l'opposizione del suocollega; pare che sotto i successivi censori questotentativo venisse regolarmeute ripetuto.Come una volta Gracco e Flacco erano stati i patroni deiLatini, così coloro che dirigevano attualmente la demo-crazia si atteggiavano a protettori dei transpadani, eCaio Pisone (console 687 = 67) dovette pentirsi grave-mente d'aver osato di mettere le mani addosso ad uno diquesti clienti di Cesare e di Crasso.Invece questi stessi capi-parte non si mostravano affattoinclinati a promuovere l'eguaglianza politica dei liberti.Il tribuno del popolo Caio Manilio, il quale aveva fattorinnovare la legge sulpicia sul diritto di votazione dei li-berti in un'adunanza di poche persone (31 dicembre 687= 67) fu disapprovato dai capi della democrazia, col cuiconsenso la legge fu annullata il giorno dopo al senato.Nello stesso modo nel 689 = 65 furono scacciati dallacapitale, dietro un plebiscito, tutti i forestieri che nonavevano diritto alla cittadinanza romana nè a quella lati-na. Si vede che la contraddizione, che conteneva in sè ilsistema politico di Gracco, il quale teneva calcolo con-

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temporaneamente degli esclusi per entrare nel numerodel privilegiati, e di quello dei privilegiati per la conser-vazione dei loro privilegi, era passata in eredità anche aisuoi successori.Cesare e i suoi aderenti, mentre da un lato facevano spe-rare il diritto di cittadinanza ai transpadani, dall'altro da-vano il loro assenso perchè continuasse la posposizionedei liberti, e si eliminasse la concorrenza che l'industriae l'abilità commerciale degli Elleni e degli orientali fa-cevano in Italia agli stessi Italici.

5. Processo contro Rabirio.

È caratteristico il modo col quale la democraziaprocedette in merito all'antica legislazione criminale suicomizi.Silla non l'aveva propriamente soppressa, ma essa erastata però di fatto sostituita dalle commissioni dei giura-ti per i delitti d'alto tradimento e per gli assassini, e nes-suna persona assennata poteva pensare ad un serio rista-bilimento della vecchia procedura ritenuta assolutamen-te impossibile nella pratica già molto tempo prima diSilla.Siccome però l'idea della sovranità del popolo sembravaesigere il riconoscimento almeno in principio della legi-slazione criminale della borghesia, così il tribuno delpopolo Tito Labieno citò nel 691 = 63 quel vecchio, chetrent'otto anni prima aveva ucciso o si riteneva avesseucciso il tribuno del popolo Lucio Saturnino dinanzi a

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temporaneamente degli esclusi per entrare nel numerodel privilegiati, e di quello dei privilegiati per la conser-vazione dei loro privilegi, era passata in eredità anche aisuoi successori.Cesare e i suoi aderenti, mentre da un lato facevano spe-rare il diritto di cittadinanza ai transpadani, dall'altro da-vano il loro assenso perchè continuasse la posposizionedei liberti, e si eliminasse la concorrenza che l'industriae l'abilità commerciale degli Elleni e degli orientali fa-cevano in Italia agli stessi Italici.

5. Processo contro Rabirio.

È caratteristico il modo col quale la democraziaprocedette in merito all'antica legislazione criminale suicomizi.Silla non l'aveva propriamente soppressa, ma essa erastata però di fatto sostituita dalle commissioni dei giura-ti per i delitti d'alto tradimento e per gli assassini, e nes-suna persona assennata poteva pensare ad un serio rista-bilimento della vecchia procedura ritenuta assolutamen-te impossibile nella pratica già molto tempo prima diSilla.Siccome però l'idea della sovranità del popolo sembravaesigere il riconoscimento almeno in principio della legi-slazione criminale della borghesia, così il tribuno delpopolo Tito Labieno citò nel 691 = 63 quel vecchio, chetrent'otto anni prima aveva ucciso o si riteneva avesseucciso il tribuno del popolo Lucio Saturnino dinanzi a

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quello stesso supremo tribunale criminale straordinario,dal quale, se la cronaca è esatta, re Tullo aveva fatto as-solvere Orazio, che aveva ucciso la sorella.L'accusato era un certo Caio Rabirio, che se non avevaucciso Saturnino, ne aveva per lo meno portato il capo,onde farne pompa, al banchetto dei nobili, e che erainoltre molto celebre presso i possidenti pugliesi per de-litti di sangue e per rapimenti di uomini.All'accusatore stesso importava forse che questo misera-bile fosse inchiodato sulla croce, ma non agli uomini piùastuti che operavano col di lui mezzo; si vide quindi conpiacere, che il senato anzitutto mitigasse essenzialmentela forma dell'accusa e che poscia l'assemblea popolareadunata per giudicare il colpevole fosse con un pretestostata sciolta dal partito avversario e così fosse messa daun canto tutta la procedura.Intanto però i due palladî della libertà romana, il dirittodi appello dei cittadini e l'inviolabilità del tribunale delpopolo, erano stati un'altra volta confermati come dirittopratico, e il campo del diritto democratico ristabilito dinuovo.

6. Inutilità dei successi democratici.

La reazione democratica si manifestava ancora piùappassionatamente in tutte le questioni personali ogniqual volta lo poteva e ne aveva il coraggio.La prudenza veramente le imponeva di non insistere sul-la restituzione dei beni confiscati da Silla agli antichi

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quello stesso supremo tribunale criminale straordinario,dal quale, se la cronaca è esatta, re Tullo aveva fatto as-solvere Orazio, che aveva ucciso la sorella.L'accusato era un certo Caio Rabirio, che se non avevaucciso Saturnino, ne aveva per lo meno portato il capo,onde farne pompa, al banchetto dei nobili, e che erainoltre molto celebre presso i possidenti pugliesi per de-litti di sangue e per rapimenti di uomini.All'accusatore stesso importava forse che questo misera-bile fosse inchiodato sulla croce, ma non agli uomini piùastuti che operavano col di lui mezzo; si vide quindi conpiacere, che il senato anzitutto mitigasse essenzialmentela forma dell'accusa e che poscia l'assemblea popolareadunata per giudicare il colpevole fosse con un pretestostata sciolta dal partito avversario e così fosse messa daun canto tutta la procedura.Intanto però i due palladî della libertà romana, il dirittodi appello dei cittadini e l'inviolabilità del tribunale delpopolo, erano stati un'altra volta confermati come dirittopratico, e il campo del diritto democratico ristabilito dinuovo.

6. Inutilità dei successi democratici.

La reazione democratica si manifestava ancora piùappassionatamente in tutte le questioni personali ogniqual volta lo poteva e ne aveva il coraggio.La prudenza veramente le imponeva di non insistere sul-la restituzione dei beni confiscati da Silla agli antichi

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proprietari, per non inimicarsi i propri alleati e ridursi altempo stesso in una lotta di interessi materiali, cui la po-litica di parte può di rado tener fronte. A questa quistio-ne delle sostanze era troppo strettamente legata quelladel richiamo degli emigrati per non riconoscere anchequesta ineguaglianza inopportuna.Viceversa si fecero grandi sforzi per restituire ai figli deibanditi i diritti politici (691 = 63) e si perseguirono sen-za posa con attacchi personali i capi del partito senato-rio. Così intentò Caio Memmio a Mario Lucullo nel 688un processo di partito. Così fu costretto il di lui fratellodi attendere tre anni alle porte della capitale il ben meri-tato onore del trionfo (688-691 = 66-63). In egual modofurono offesi Quinto Re ed il conquistatore di Creta,Quinto Metello. Maggiore sensazione destò il fatto, cheil giovine corifeo della democrazia, Caio Cesare, nel691 = 63 non solo si permettesse di concorrere alla su-prema carica sacerdotale con i due più rispettabili uomi-ni della nobiltà, Quinto Catulo e Publio Servilio, il vin-citore d'Isaura, ma contendesse con loro il rango pressola borghesia.Gli eredi di Silla, in particolare suo figlio Fausto, eranocontinuamente minacciati da processi per la restituzionedei danari pubblici che si dicevano sottratti dal reggente.Si parlò persino di riassumere sulla base della legge diQuinto Vario i processi democratici sospesi nel 664 =90.Con maggior rigore, come ben si comprende, furono daitribunali perseguitati gli uomini che avevano servito

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proprietari, per non inimicarsi i propri alleati e ridursi altempo stesso in una lotta di interessi materiali, cui la po-litica di parte può di rado tener fronte. A questa quistio-ne delle sostanze era troppo strettamente legata quelladel richiamo degli emigrati per non riconoscere anchequesta ineguaglianza inopportuna.Viceversa si fecero grandi sforzi per restituire ai figli deibanditi i diritti politici (691 = 63) e si perseguirono sen-za posa con attacchi personali i capi del partito senato-rio. Così intentò Caio Memmio a Mario Lucullo nel 688un processo di partito. Così fu costretto il di lui fratellodi attendere tre anni alle porte della capitale il ben meri-tato onore del trionfo (688-691 = 66-63). In egual modofurono offesi Quinto Re ed il conquistatore di Creta,Quinto Metello. Maggiore sensazione destò il fatto, cheil giovine corifeo della democrazia, Caio Cesare, nel691 = 63 non solo si permettesse di concorrere alla su-prema carica sacerdotale con i due più rispettabili uomi-ni della nobiltà, Quinto Catulo e Publio Servilio, il vin-citore d'Isaura, ma contendesse con loro il rango pressola borghesia.Gli eredi di Silla, in particolare suo figlio Fausto, eranocontinuamente minacciati da processi per la restituzionedei danari pubblici che si dicevano sottratti dal reggente.Si parlò persino di riassumere sulla base della legge diQuinto Vario i processi democratici sospesi nel 664 =90.Con maggior rigore, come ben si comprende, furono daitribunali perseguitati gli uomini che avevano servito

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nelle esecuzioni di Silla. Se il questore Marco Catone,nella goffa sua onestà, ne diede l'esempio, esigendo dacostoro i premi ricevuti per assassini commessi, comedanaro sottratto illegalmente al pubblico tesoro (689 =65), non può destar meraviglia se l'anno successivo (690= 64), Caio Cesare, quale presidente del tribunale crimi-nale, considerò senz'altro come nulla la clausola conte-nuta nell'ordinamento di Silla, la quale dichiarava impu-nito l'uccisore d'un proscritto, e fece tradurre dinanzi alsuo tribunale di giurati e in parte condannare i più rino-mati sgherri di Silla, Lucio Catilina, Lucio Bellieno eLucio Luscio.E infine non si omise di riabilitare i nomi degli eroi edei martiri della democrazia e di festeggiarne pubblica-mente il ricordo. Si è già narrato come fosse stato riabi-litato Saturnino con il processo intentato contro il suoassassino.Ma un suono ben diverso mandava ancora il nome diCaio Mario, quel nome che un tempo nessuno avevapronunciato senza palpitare; e accadde che lo stessouomo, cui l'Italia era andata debitrice della sua salvezzadai barbari del Nord, era lo zio dell'attuale corifeo dellademocrazia. Immenso fu il giubilo della moltitudine, al-lorchè Caio Cesare l'anno 686 = 68, malgrado il divieto,osò esporre nel foro la venerata effige di Mario in occa-sione della sepoltura della sua vedova.Quando poi tre anni dopo (689 = 65) apparvero un mat-tino, inaspettati a tutti e splendenti d'oro e di marmo,nello stesso luogo in Campidoglio, i trofei che Mario vi

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nelle esecuzioni di Silla. Se il questore Marco Catone,nella goffa sua onestà, ne diede l'esempio, esigendo dacostoro i premi ricevuti per assassini commessi, comedanaro sottratto illegalmente al pubblico tesoro (689 =65), non può destar meraviglia se l'anno successivo (690= 64), Caio Cesare, quale presidente del tribunale crimi-nale, considerò senz'altro come nulla la clausola conte-nuta nell'ordinamento di Silla, la quale dichiarava impu-nito l'uccisore d'un proscritto, e fece tradurre dinanzi alsuo tribunale di giurati e in parte condannare i più rino-mati sgherri di Silla, Lucio Catilina, Lucio Bellieno eLucio Luscio.E infine non si omise di riabilitare i nomi degli eroi edei martiri della democrazia e di festeggiarne pubblica-mente il ricordo. Si è già narrato come fosse stato riabi-litato Saturnino con il processo intentato contro il suoassassino.Ma un suono ben diverso mandava ancora il nome diCaio Mario, quel nome che un tempo nessuno avevapronunciato senza palpitare; e accadde che lo stessouomo, cui l'Italia era andata debitrice della sua salvezzadai barbari del Nord, era lo zio dell'attuale corifeo dellademocrazia. Immenso fu il giubilo della moltitudine, al-lorchè Caio Cesare l'anno 686 = 68, malgrado il divieto,osò esporre nel foro la venerata effige di Mario in occa-sione della sepoltura della sua vedova.Quando poi tre anni dopo (689 = 65) apparvero un mat-tino, inaspettati a tutti e splendenti d'oro e di marmo,nello stesso luogo in Campidoglio, i trofei che Mario vi

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aveva già fatto innalzare ed erano stati abbattuti da Silla,accorsero gli invalidi delle guerre africane e cimbrichecogli occhi pieni di lacrime ad ammirare l'immaginedell'amato capitano, e il senato, di fronte al giubilo dellamoltitudine, non ebbe il coraggio di far rimuovere i tro-fei che una mano temeraria aveva innalzati a schernodelle leggi.Ma tutte queste mene e tutte queste contese, per quantochiasso facessero, considerate politicamente non eranotuttavia di grande importanza. L'oligarchia era vinta, lademocrazia aveva afferrato il timone dello stato. Che lagente da poco e da pochissimo ora si gettasse sul nemi-co ormai vinto per dargli un altro calcio, che anche i de-mocratici avessero il loro terreno del diritto e il loro cul-to dei principî, che i loro dottrinari non riposassero finoa che non fossero stati rivendicati tutti i privilegi dellarepubblica e così facendo essi si rendessero ridicoli alpari dei legittimisti, tutto ciò era naturale e altrettantoindifferente.L'agitazione in complesso non ha scopo e vi si scorgel'imbarazzo degli agitatori per trovare un pretesto allaloro operosità, aggirandosi questa quasi in generale sucose accessorie od essenzialmente già definite. Nè pote-va essere diversamente.

7. Timori e pericoli della democrazia.

Nella lotta contro l'aristocrazia erano rimasti vittoriosi idemocratici, ma essi non avevano vinto da soli ed

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aveva già fatto innalzare ed erano stati abbattuti da Silla,accorsero gli invalidi delle guerre africane e cimbrichecogli occhi pieni di lacrime ad ammirare l'immaginedell'amato capitano, e il senato, di fronte al giubilo dellamoltitudine, non ebbe il coraggio di far rimuovere i tro-fei che una mano temeraria aveva innalzati a schernodelle leggi.Ma tutte queste mene e tutte queste contese, per quantochiasso facessero, considerate politicamente non eranotuttavia di grande importanza. L'oligarchia era vinta, lademocrazia aveva afferrato il timone dello stato. Che lagente da poco e da pochissimo ora si gettasse sul nemi-co ormai vinto per dargli un altro calcio, che anche i de-mocratici avessero il loro terreno del diritto e il loro cul-to dei principî, che i loro dottrinari non riposassero finoa che non fossero stati rivendicati tutti i privilegi dellarepubblica e così facendo essi si rendessero ridicoli alpari dei legittimisti, tutto ciò era naturale e altrettantoindifferente.L'agitazione in complesso non ha scopo e vi si scorgel'imbarazzo degli agitatori per trovare un pretesto allaloro operosità, aggirandosi questa quasi in generale sucose accessorie od essenzialmente già definite. Nè pote-va essere diversamente.

7. Timori e pericoli della democrazia.

Nella lotta contro l'aristocrazia erano rimasti vittoriosi idemocratici, ma essi non avevano vinto da soli ed

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avevano da superare ancora la prova del fuoco; non sitrattava di pareggiare le partite col nemico di ieri ma colprepotente alleato, a cui essi andavano principalmentedebitori della loro vittoria contro l'aristocrazia ed alquale essi stessi avevano ora dato un immenso poteremilitare e politico, perchè non bastava loro l'animo dirifiutarglielo.Il supremo duce dell'oriente e dei mari era ancora occu-pato nell'insediare e detronizzare sovrani; quanto tempogli occorresse ancora per questi affari, quando avrebbedichiarata finita la guerra, nessuno fuori di lui potevadirlo poichè, come tutto il resto, si era lasciato a lui difissare l'epoca del suo ritorno in Italia, cioè l'epoca delladecisione.In Roma intanto i partiti facevano sosta in attesa del ri-torno del temuto generale, gli ottimati più serenamentedei democratici prevedendo con certezza la rottura traPompeo e la democrazia, dalla quale essi nulla avevanoda perdere, ma soltanto da guadagnare. I democratici,viceversa, attendevano con penosa inquietudine enell'attesa tentavano di porre una contromina alla mi-nacciante esplosione. In ciò essi si trovarono ancora in-sieme con Crasso, al quale per affrontare l'invidiato eodioso rivale null'altro rimaneva da fare se non di riav-vicinarsi e unirsi più fortemente di prima alla democra-zia.Già fin dalla prima coalizione Cesare e Crasso si eranoavvicinati come i due più deboli; l'interesse comune edil comune pericolo strinse maggiormente il nodo che

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avevano da superare ancora la prova del fuoco; non sitrattava di pareggiare le partite col nemico di ieri ma colprepotente alleato, a cui essi andavano principalmentedebitori della loro vittoria contro l'aristocrazia ed alquale essi stessi avevano ora dato un immenso poteremilitare e politico, perchè non bastava loro l'animo dirifiutarglielo.Il supremo duce dell'oriente e dei mari era ancora occu-pato nell'insediare e detronizzare sovrani; quanto tempogli occorresse ancora per questi affari, quando avrebbedichiarata finita la guerra, nessuno fuori di lui potevadirlo poichè, come tutto il resto, si era lasciato a lui difissare l'epoca del suo ritorno in Italia, cioè l'epoca delladecisione.In Roma intanto i partiti facevano sosta in attesa del ri-torno del temuto generale, gli ottimati più serenamentedei democratici prevedendo con certezza la rottura traPompeo e la democrazia, dalla quale essi nulla avevanoda perdere, ma soltanto da guadagnare. I democratici,viceversa, attendevano con penosa inquietudine enell'attesa tentavano di porre una contromina alla mi-nacciante esplosione. In ciò essi si trovarono ancora in-sieme con Crasso, al quale per affrontare l'invidiato eodioso rivale null'altro rimaneva da fare se non di riav-vicinarsi e unirsi più fortemente di prima alla democra-zia.Già fin dalla prima coalizione Cesare e Crasso si eranoavvicinati come i due più deboli; l'interesse comune edil comune pericolo strinse maggiormente il nodo che

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univa in strettissima alleanza l'uomo più ricco coll'uomopiù indebitato di Roma. Mentre i democratici qualifica-vano pubblicamente l'assente generale come il corifeo el'orgoglio del partito, e sembravano dirigere tutti i lorodardi contro l'aristocrazia, sotto mano si premunivanocontro Pompeo; e questi tentativi della democrazia disottrarsi alla minacciata dittatura militare hanno storica-mente un significato molto maggiore che non la strepi-tosa agitazione contro la nobiltà, che per lo più non ser-viva che di maschera.È vero che questi tentativi si facevano nelle tenebre, incui la nostra tradizione non lascia penetrare che qualchedebole lampo, poichè non solo i contemporanei, ma an-che i posteri avevano bisogno di stendervi sopra unvelo. Però tanto la condotta quanto le mire di questisforzi sono in complesso perfettamente chiari.Il potere militare non poteva essere tenuto efficacementein scacco se non da un altro potere militare. L'intenzionedei democratici era di impossessarsi delle redini del go-verno, come avevano fatto Mario e Cinna, di affidarequindi ad uno dei loro capi, sia colla conquista dell'Egit-to, sia colla luogotenenza della Spagna, una carica ordi-naria e straordinaria, e di trovare in esso e nel suo eser-cito un contrapposto contro Pompeo ed il suo esercito.Per giungere a questa meta essi avevano bisogno d'unarivoluzione, diretta apparentemente contro il governonominale ma in realtà contro Pompeo quale designatomonarca21; e per mandare ad effetto questa rivoluzione,21 Chiunque a colpo d'occhio abbracci tutto il panorama politico di questo

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univa in strettissima alleanza l'uomo più ricco coll'uomopiù indebitato di Roma. Mentre i democratici qualifica-vano pubblicamente l'assente generale come il corifeo el'orgoglio del partito, e sembravano dirigere tutti i lorodardi contro l'aristocrazia, sotto mano si premunivanocontro Pompeo; e questi tentativi della democrazia disottrarsi alla minacciata dittatura militare hanno storica-mente un significato molto maggiore che non la strepi-tosa agitazione contro la nobiltà, che per lo più non ser-viva che di maschera.È vero che questi tentativi si facevano nelle tenebre, incui la nostra tradizione non lascia penetrare che qualchedebole lampo, poichè non solo i contemporanei, ma an-che i posteri avevano bisogno di stendervi sopra unvelo. Però tanto la condotta quanto le mire di questisforzi sono in complesso perfettamente chiari.Il potere militare non poteva essere tenuto efficacementein scacco se non da un altro potere militare. L'intenzionedei democratici era di impossessarsi delle redini del go-verno, come avevano fatto Mario e Cinna, di affidarequindi ad uno dei loro capi, sia colla conquista dell'Egit-to, sia colla luogotenenza della Spagna, una carica ordi-naria e straordinaria, e di trovare in esso e nel suo eser-cito un contrapposto contro Pompeo ed il suo esercito.Per giungere a questa meta essi avevano bisogno d'unarivoluzione, diretta apparentemente contro il governonominale ma in realtà contro Pompeo quale designatomonarca21; e per mandare ad effetto questa rivoluzione,21 Chiunque a colpo d'occhio abbracci tutto il panorama politico di questo

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la congiura dal tempo della emanazione delle leggigabinio-manilie sino al ritorno di Pompeo (688-692 =66-62) si tenne in permanenza in Roma.Regnava nella capitale un'angosciosa inquietudine; lospirito abbattuto dei capitalisti, il ristagno dei pagamen-ti, i frequenti fallimenti erano precursori della incom-bente rivoluzione, la quale sembrava dover condurreseco al tempo stesso una posizione affatto nuova deipartiti.Il colpo della democrazia, che, lasciando da una parte ilsenato, mirava a Pompeo, provocò un riavvicinamentofra quest'ultimo e il senato. Ma la democrazia, cercandodi contrapporre alla dittatura di Pompeo quella d'unuomo ad essa più benevolo, in sostanza riconobbe essapure il governo militare e si servi di Belzebù per caccia-re Satanasso; la quistione dei principî le si era cambiatasotto mano in una questione personale.

8. Catilina.

I preliminari della rivoluzione progettata tra i capi dellademocrazia dovevano essere il rovesciamento del

tempo non abbisogna di prove ufficiali per conoscere che il primo scopodelle macchinazioni democratiche non era il rovesciamento del senato, maquello di Pompeo. Ma non mancano nemmeno simili prove. Che le leggigabinio-manilie dessero alla democrazia un colpo mortale lo diceSALLUSTIO (Cat. 39); che la congiura del 688-689 = 66-65 e la rogazione diServilio fossero dirette specialmente contro Pompeo è ugualmentetestimoniato (SALLUSTIO, Cat. 19: VAL. MASS., 6, 2, 4; CIC., de lege agr., 2,17, 46). Del resto basta osservare la posizione di Crasso di fronte allacongiura per ritenere che essa era diretta contro Pompeo.

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la congiura dal tempo della emanazione delle leggigabinio-manilie sino al ritorno di Pompeo (688-692 =66-62) si tenne in permanenza in Roma.Regnava nella capitale un'angosciosa inquietudine; lospirito abbattuto dei capitalisti, il ristagno dei pagamen-ti, i frequenti fallimenti erano precursori della incom-bente rivoluzione, la quale sembrava dover condurreseco al tempo stesso una posizione affatto nuova deipartiti.Il colpo della democrazia, che, lasciando da una parte ilsenato, mirava a Pompeo, provocò un riavvicinamentofra quest'ultimo e il senato. Ma la democrazia, cercandodi contrapporre alla dittatura di Pompeo quella d'unuomo ad essa più benevolo, in sostanza riconobbe essapure il governo militare e si servi di Belzebù per caccia-re Satanasso; la quistione dei principî le si era cambiatasotto mano in una questione personale.

8. Catilina.

I preliminari della rivoluzione progettata tra i capi dellademocrazia dovevano essere il rovesciamento del

tempo non abbisogna di prove ufficiali per conoscere che il primo scopodelle macchinazioni democratiche non era il rovesciamento del senato, maquello di Pompeo. Ma non mancano nemmeno simili prove. Che le leggigabinio-manilie dessero alla democrazia un colpo mortale lo diceSALLUSTIO (Cat. 39); che la congiura del 688-689 = 66-65 e la rogazione diServilio fossero dirette specialmente contro Pompeo è ugualmentetestimoniato (SALLUSTIO, Cat. 19: VAL. MASS., 6, 2, 4; CIC., de lege agr., 2,17, 46). Del resto basta osservare la posizione di Crasso di fronte allacongiura per ritenere che essa era diretta contro Pompeo.

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governo per opera d'una insurrezione combinata primain Roma da congiurati democratici.La condizione morale delle più basse e più elevate classisociali della capitale ne somministrava l'elemento in unadeplorevole abbondanza. In quale situazione versasse ilproletariato libero e schiavo della capitale non occorreche lo ripetiamo.Era già stata pronunciata la sentenza, che il povero sol-tanto è capace di rappresentare il povero; si fece dunquestrada il pensiero, che la massa dei poveri poteva costi-tuirsi egualmente come l'oligarchia dei ricchi in potereindipendente e che, invece di lasciarsi tiranneggiare, po-teva farla a sua volta da tiranno.E simili idee trovavano un'eco anche nei circoli dellanobiltà giovanile. La vita elegante della capitale sciupa-va non solo le sostanze ma anche le forze fisiche e mo-rali. Quel gran mondo dagli olezzanti capelli inanellati,dalle basette e dai figurini all'ultima moda, sebbene fre-quentasse allegramente i convegni destinati alla danzaed alla musica e di buon mattino e a tarda notte sedessein mezzo ai bicchieri, pure nascondeva in sè uno spa-ventevole abisso di decadenza morale ed economica, didisperazione più o meno celata e di pazze e tristi risolu-zioni.In questi circoli si desiderava apertamente il ritorno deltempo di Cinna colle sue proscrizioni, colle confische ecolla distruzione dei libri dei debiti. Ve n'erano molti, efra questi non pochi appartenenti a buone famiglie e dinon comune talento, i quali non attendevano che il se-

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governo per opera d'una insurrezione combinata primain Roma da congiurati democratici.La condizione morale delle più basse e più elevate classisociali della capitale ne somministrava l'elemento in unadeplorevole abbondanza. In quale situazione versasse ilproletariato libero e schiavo della capitale non occorreche lo ripetiamo.Era già stata pronunciata la sentenza, che il povero sol-tanto è capace di rappresentare il povero; si fece dunquestrada il pensiero, che la massa dei poveri poteva costi-tuirsi egualmente come l'oligarchia dei ricchi in potereindipendente e che, invece di lasciarsi tiranneggiare, po-teva farla a sua volta da tiranno.E simili idee trovavano un'eco anche nei circoli dellanobiltà giovanile. La vita elegante della capitale sciupa-va non solo le sostanze ma anche le forze fisiche e mo-rali. Quel gran mondo dagli olezzanti capelli inanellati,dalle basette e dai figurini all'ultima moda, sebbene fre-quentasse allegramente i convegni destinati alla danzaed alla musica e di buon mattino e a tarda notte sedessein mezzo ai bicchieri, pure nascondeva in sè uno spa-ventevole abisso di decadenza morale ed economica, didisperazione più o meno celata e di pazze e tristi risolu-zioni.In questi circoli si desiderava apertamente il ritorno deltempo di Cinna colle sue proscrizioni, colle confische ecolla distruzione dei libri dei debiti. Ve n'erano molti, efra questi non pochi appartenenti a buone famiglie e dinon comune talento, i quali non attendevano che il se-

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gnale per gettarsi come una schiera di banditi sulla so-cietà cittadina e rifare col saccheggio la loro sciupatasostanza.Dove una banda si forma trova facilmente i suoi capita-ni ed anche qui si trovarono presto gli uomini adatti alcaso.L'ex pretore Lucio Catilina, il questore Gneo Pisone,non si distinguevano fra i loro compagni soltanto per lanobiltà dei loro natali e per il loro rango. Essi avevanotagliato completamente il ponte dietro le loro spalle e siimponevano ai loro complici colla loro scelleratagginenon meno che col loro talento.Uno dei più malvagi di questo tempo malvagio era Cati-lina. Le sue ribalderie meritano di essere registrate nellibro degli atti criminali, non in quello della storia; ilsuo stesso esteriore, il volto pallido, lo sguardo truce,l'incesso ora pigro ora frettoloso tradivano un passatotempestoso.Egli possedeva in grado eminente le qualità di cui deveessere dotato il capo di una simile banda: saper goderedi tutto e sapere rinunciare a tutto, coraggio, talento mi-litare, conoscenza degli uomini, energia nel delitto equella scienza pedagogica del vizio che sa far cadere ildebole ed educare il caduto a divenir delinquente.Formare con simili elementi una congiura per abbattereil vigente ordine di cose non poteva essere difficile peruomini che avevano danaro ed influenza politica. Catili-na, Pisone e i suoi compagni erano pronti a qualsiasi im-presa che loro desse la speranza di decreti di proscrizio-

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gnale per gettarsi come una schiera di banditi sulla so-cietà cittadina e rifare col saccheggio la loro sciupatasostanza.Dove una banda si forma trova facilmente i suoi capita-ni ed anche qui si trovarono presto gli uomini adatti alcaso.L'ex pretore Lucio Catilina, il questore Gneo Pisone,non si distinguevano fra i loro compagni soltanto per lanobiltà dei loro natali e per il loro rango. Essi avevanotagliato completamente il ponte dietro le loro spalle e siimponevano ai loro complici colla loro scelleratagginenon meno che col loro talento.Uno dei più malvagi di questo tempo malvagio era Cati-lina. Le sue ribalderie meritano di essere registrate nellibro degli atti criminali, non in quello della storia; ilsuo stesso esteriore, il volto pallido, lo sguardo truce,l'incesso ora pigro ora frettoloso tradivano un passatotempestoso.Egli possedeva in grado eminente le qualità di cui deveessere dotato il capo di una simile banda: saper goderedi tutto e sapere rinunciare a tutto, coraggio, talento mi-litare, conoscenza degli uomini, energia nel delitto equella scienza pedagogica del vizio che sa far cadere ildebole ed educare il caduto a divenir delinquente.Formare con simili elementi una congiura per abbattereil vigente ordine di cose non poteva essere difficile peruomini che avevano danaro ed influenza politica. Catili-na, Pisone e i suoi compagni erano pronti a qualsiasi im-presa che loro desse la speranza di decreti di proscrizio-

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ni e la distruzione dei libri dei debiti; Catilina aveva poianche in odio l'aristocrazia, perchè questa si era oppostaalla sua candidatura consolare dicendolo uomo deprava-to e pericoloso.Come egli una volta, quale sgherro di Silla, alla testad'una schiera di Celti aveva dato la caccia ai proscritti, efra altri aveva di propria mano scannato il vecchio co-gnato, così ora si mostrò pronto a prestare eguali servigial partito opposto. Fu fatta una lega segreta. Il numerodei membri, che ne facevano parte, avrebbe oltrepassatoi 400; essa contava degli affiliati in tutte le province, intutte le città d'Italia; non occorre poi dire che una insur-rezione, la quale portasse sulla sua bandiera l'estinzionedei debiti, non avrebbe mancato di attirare numerose re-clute dalle file della gioventù dissoluta.

9. I primi piani della congiura.

Si dice che nel dicembre 688 = 66 i capi della legacredettero di aver trovato una favorevole occasione perinsorgere. I due consoli Publio Cornelio Silla e PublioAntonio Peto, eletti pel 689 = 65, erano stati da pocotempo giudiziariamente convinti22 di aver impiegatomezzi di corruzione per essere eletti, e perciò a tenoredella legge era stata annullata la loro elezione allasuprema magistratura. Entrambi fecero quindi adesionealla lega.

22 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "riconosciuti in giudizio rei" [nota perl'edizione elettronica Manuzio].

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ni e la distruzione dei libri dei debiti; Catilina aveva poianche in odio l'aristocrazia, perchè questa si era oppostaalla sua candidatura consolare dicendolo uomo deprava-to e pericoloso.Come egli una volta, quale sgherro di Silla, alla testad'una schiera di Celti aveva dato la caccia ai proscritti, efra altri aveva di propria mano scannato il vecchio co-gnato, così ora si mostrò pronto a prestare eguali servigial partito opposto. Fu fatta una lega segreta. Il numerodei membri, che ne facevano parte, avrebbe oltrepassatoi 400; essa contava degli affiliati in tutte le province, intutte le città d'Italia; non occorre poi dire che una insur-rezione, la quale portasse sulla sua bandiera l'estinzionedei debiti, non avrebbe mancato di attirare numerose re-clute dalle file della gioventù dissoluta.

9. I primi piani della congiura.

Si dice che nel dicembre 688 = 66 i capi della legacredettero di aver trovato una favorevole occasione perinsorgere. I due consoli Publio Cornelio Silla e PublioAntonio Peto, eletti pel 689 = 65, erano stati da pocotempo giudiziariamente convinti22 di aver impiegatomezzi di corruzione per essere eletti, e perciò a tenoredella legge era stata annullata la loro elezione allasuprema magistratura. Entrambi fecero quindi adesionealla lega.

22 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "riconosciuti in giudizio rei" [nota perl'edizione elettronica Manuzio].

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I congiurati decisero di procurar loro il consolato collaforza, e con ciò di entrare in possesso del supremo pote-re dello stato. Il giorno in cui i nuovi consoli avrebberoassunto la loro carica, il primo gennaio 689 = 65, il se-nato doveva essere invaso da armati, i nuovi consoli tru-cidati insieme colle altre vittime designate, e proclamaticonsoli Silla e Peto dopo cancellata la sentenza giudizia-ria che li escludeva.Crasso doveva poi assumere la dittatura, Cesare la cari-ca di comandante la cavalleria, senza dubbio per orga-nizzare una imponente forza militare, mentre Pompeoera occupato ai piedi del lontano Caucaso. Capitani emiliti erano stati assoldati e avevano ricevuto gli ordiniopportuni; Catilina attendeva nel giorno convenuto invicinanza del senato il segnale stabilito, che dietro uncenno di Crasso doveva essergli dato da Cesare.Ma egli attese invano; Crasso non era intervenuto alladecisiva seduta del senato, per cui questa volta la pro-gettata insurrezione andò a vuoto. Fu poi fissato pel 5febbraio un simile e più esteso eccidio; ma questo puremancò, essendosi Catilina troppo affrettato a dare il se-gnale, prima ancora che tutti i sicari fossero arrivati ailoro posti. Poi cominciò a trapelare il segreto.Il governo veramente non ebbe il coraggio di affrontareapertamente la congiura, ma assegnò delle guardie aiconsoli, come ai primi esposti, e contrappose una bandada esso pagata a quella del congiurati. Per allontanarePisone fu fatta la proposta d'inviarlo questore con facol-tà pretorie nella Spagna citeriore; Crasso vi aderì colla

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I congiurati decisero di procurar loro il consolato collaforza, e con ciò di entrare in possesso del supremo pote-re dello stato. Il giorno in cui i nuovi consoli avrebberoassunto la loro carica, il primo gennaio 689 = 65, il se-nato doveva essere invaso da armati, i nuovi consoli tru-cidati insieme colle altre vittime designate, e proclamaticonsoli Silla e Peto dopo cancellata la sentenza giudizia-ria che li escludeva.Crasso doveva poi assumere la dittatura, Cesare la cari-ca di comandante la cavalleria, senza dubbio per orga-nizzare una imponente forza militare, mentre Pompeoera occupato ai piedi del lontano Caucaso. Capitani emiliti erano stati assoldati e avevano ricevuto gli ordiniopportuni; Catilina attendeva nel giorno convenuto invicinanza del senato il segnale stabilito, che dietro uncenno di Crasso doveva essergli dato da Cesare.Ma egli attese invano; Crasso non era intervenuto alladecisiva seduta del senato, per cui questa volta la pro-gettata insurrezione andò a vuoto. Fu poi fissato pel 5febbraio un simile e più esteso eccidio; ma questo puremancò, essendosi Catilina troppo affrettato a dare il se-gnale, prima ancora che tutti i sicari fossero arrivati ailoro posti. Poi cominciò a trapelare il segreto.Il governo veramente non ebbe il coraggio di affrontareapertamente la congiura, ma assegnò delle guardie aiconsoli, come ai primi esposti, e contrappose una bandada esso pagata a quella del congiurati. Per allontanarePisone fu fatta la proposta d'inviarlo questore con facol-tà pretorie nella Spagna citeriore; Crasso vi aderì colla

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speranza di servirsi col suo mezzo delle sorgenti di quel-la importante provincia a prò dell'insurrezione. Altreproposte più energiche furono impedite dai tribuni.Così suona la tradizione, la quale evidentemente ripetela versione che correva nel circoli governativi e la cuiveridicità, per mancanza di ogni controllo, deve mettersiin dubbio.Quanto alla cosa principale, la parte cioè che vi prende-vano Cesare e Crasso, la testimonianza dei loro avversa-ri politici non può essere certo considerata come unaprova sufficiente. Ma in quel momento la palese lorooperosità coincide in modo singolare con quella segreta,che viene ad essi attribuita. E fu un gesto rivoluzionarioil tentativo fatto da Crasso nella sua censura di far regi-strare i transpadani nella lista dei cittadini.E più sorprendente ancora fu la disposizione di Crassodi far comprendere nella stessa occasione l'Egitto eCipro nella lista dei domini romani23 e che Cesare nellastessa epoca (689 o 690 = 65-64) fece fare da alcunitribuni presso la borghesia la proposta di mandarlo in

23 PLUTARCO, Crass., 13; CICERONE, De l. agr., 2, 17, 44. A quest'anno (689 =65) e non al 698 = 56 esposto per errore, appartiene l'orazione di CICERONE,De rege alexandrino. Come i frammenti chiaramente indicano, Cicerone viconfuta l'asserzione di Crasso, che per il testamento del re Alessandrol'Egitto sia divenuto proprietà dei Romani. Questa questione legale potè edovette essere discussa l'anno 689 = 65; ma nel 698 = 56 però essa avevaperduto ogni importanza colla legge giulia del 695 = 59. Del resto nel 698= 56 non si trattava di sapere a chi appartenesse l'Egitto, ma di ricondurviil re scacciato da una sollevazione, e in questa vertenza, che noiconosciamo benissimo, Crasso non ha avuto alcuna parte. Cicerone poi,dopo la conferenza di Lucca, non era assolutamente in grado di fare alcunaseria opposizione ai triumviri.

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speranza di servirsi col suo mezzo delle sorgenti di quel-la importante provincia a prò dell'insurrezione. Altreproposte più energiche furono impedite dai tribuni.Così suona la tradizione, la quale evidentemente ripetela versione che correva nel circoli governativi e la cuiveridicità, per mancanza di ogni controllo, deve mettersiin dubbio.Quanto alla cosa principale, la parte cioè che vi prende-vano Cesare e Crasso, la testimonianza dei loro avversa-ri politici non può essere certo considerata come unaprova sufficiente. Ma in quel momento la palese lorooperosità coincide in modo singolare con quella segreta,che viene ad essi attribuita. E fu un gesto rivoluzionarioil tentativo fatto da Crasso nella sua censura di far regi-strare i transpadani nella lista dei cittadini.E più sorprendente ancora fu la disposizione di Crassodi far comprendere nella stessa occasione l'Egitto eCipro nella lista dei domini romani23 e che Cesare nellastessa epoca (689 o 690 = 65-64) fece fare da alcunitribuni presso la borghesia la proposta di mandarlo in

23 PLUTARCO, Crass., 13; CICERONE, De l. agr., 2, 17, 44. A quest'anno (689 =65) e non al 698 = 56 esposto per errore, appartiene l'orazione di CICERONE,De rege alexandrino. Come i frammenti chiaramente indicano, Cicerone viconfuta l'asserzione di Crasso, che per il testamento del re Alessandrol'Egitto sia divenuto proprietà dei Romani. Questa questione legale potè edovette essere discussa l'anno 689 = 65; ma nel 698 = 56 però essa avevaperduto ogni importanza colla legge giulia del 695 = 59. Del resto nel 698= 56 non si trattava di sapere a chi appartenesse l'Egitto, ma di ricondurviil re scacciato da una sollevazione, e in questa vertenza, che noiconosciamo benissimo, Crasso non ha avuto alcuna parte. Cicerone poi,dopo la conferenza di Lucca, non era assolutamente in grado di fare alcunaseria opposizione ai triumviri.

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Egitto, per ricondurvi il re Tolomeo scacciato dagliAlessandrini.Queste mene si accordavano in modo strano coi lamentielevati dagli avversari. Non si può dare nulla per positi-vo; ma la maggior probabilità è per il fatto, che Crasso eCesare abbiano combinato il piano di impossessarsi del-la dittatura militare nell'assenza di Pompeo; che sia statoscelto l'Egitto per base di questo potere militare demo-cratico; finalmente che il tentativo insurrezionale del689 = 65 sia stato ordito per dar forma a questi progettie che Catilina e Pisone fossero quindi strumenti nellemani di Crasso e di Cesare.

10. Ripresa della Congiura.

La congiura si arrestò un momento. Si fecero le elezionipel 690 = 64 senza che Crasso e Cesare rinnovassero illoro tentativo di impossessarsi del consolato; al checontribuì certamente la circostanza che si presentòcandidato pel consolato Lucio Cesare, parente del capodella democrazia, uomo debole e spesso adoperato comestrumento da Caio Cesare.Intanto le relazioni sull'andamento delle cose in Asiaspingevano ad una soluzione. Gli affari dell'Asia minoree dell'Armenia erano già perfettamente ordinati. Perquanto i generali democratici dimostrassero chiaramenteche la guerra mitridatica non poteva considerarsi finitache colla presa dei re e che urgesse per conseguenza diiniziare la caccia del medesimo sulle rive del Mar Nero,

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Egitto, per ricondurvi il re Tolomeo scacciato dagliAlessandrini.Queste mene si accordavano in modo strano coi lamentielevati dagli avversari. Non si può dare nulla per positi-vo; ma la maggior probabilità è per il fatto, che Crasso eCesare abbiano combinato il piano di impossessarsi del-la dittatura militare nell'assenza di Pompeo; che sia statoscelto l'Egitto per base di questo potere militare demo-cratico; finalmente che il tentativo insurrezionale del689 = 65 sia stato ordito per dar forma a questi progettie che Catilina e Pisone fossero quindi strumenti nellemani di Crasso e di Cesare.

10. Ripresa della Congiura.

La congiura si arrestò un momento. Si fecero le elezionipel 690 = 64 senza che Crasso e Cesare rinnovassero illoro tentativo di impossessarsi del consolato; al checontribuì certamente la circostanza che si presentòcandidato pel consolato Lucio Cesare, parente del capodella democrazia, uomo debole e spesso adoperato comestrumento da Caio Cesare.Intanto le relazioni sull'andamento delle cose in Asiaspingevano ad una soluzione. Gli affari dell'Asia minoree dell'Armenia erano già perfettamente ordinati. Perquanto i generali democratici dimostrassero chiaramenteche la guerra mitridatica non poteva considerarsi finitache colla presa dei re e che urgesse per conseguenza diiniziare la caccia del medesimo sulle rive del Mar Nero,

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anzitutto poi di tenersi lontani dalla Siria, Pompeo, noncurando questo cicaleccio, era partito la primavera del690 = 64 dall'Armenia recandosi nella Siria.Se i democratici avevano effettivamente scelto l'Egittoper quartier generale, non dovevano perder tempo, poi-chè poteva facilmente accadere che Pompeo vi arrivasseprima di Cesare.La congiura del 688 = 66, non spenta affatto dalle fiac-che e titubanti misure repressive, si risvegliò all'appros-simarsi dell'epoca delle elezioni consolari pel 691 = 63.I personaggi erano probabilmente in sostanza gli stessi,e anche il piano non aveva subìto notevoli cambiamenti.I capi del movimento si tennero anche questa volta indisparte. Essi avevano proposto come candidati pel con-solato lo stesso Catilina e Caio Antonio, il figlio minoredell'oratore fratello del generale di cattiva fama per gliaffari di Creta.Si era certi di Catilina. Antonio, in origine seguace diSilla come lo era stato Catilina e come questi, per talemotivo, dal partito democratico condotto dinanzi ai tri-bunali e cacciato dal senato, era del resto un uomo sner-vato, insignificante, assolutamente inetto ad essere capod'un partito e completamente rovinato finanziariamente:si era offerto come strumento ai democratici a prezzodel consolato e dei vantaggi che vi erano annessi.I capi della congiura intendevano con l'aiuto di questiconsoli d'impossessarsi del governo, di assicurarsi deifigli di Pompeo, rimasti nella capitale, tenendoli comeostaggi, e di armare l'Italia e le province contro Pompeo.

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anzitutto poi di tenersi lontani dalla Siria, Pompeo, noncurando questo cicaleccio, era partito la primavera del690 = 64 dall'Armenia recandosi nella Siria.Se i democratici avevano effettivamente scelto l'Egittoper quartier generale, non dovevano perder tempo, poi-chè poteva facilmente accadere che Pompeo vi arrivasseprima di Cesare.La congiura del 688 = 66, non spenta affatto dalle fiac-che e titubanti misure repressive, si risvegliò all'appros-simarsi dell'epoca delle elezioni consolari pel 691 = 63.I personaggi erano probabilmente in sostanza gli stessi,e anche il piano non aveva subìto notevoli cambiamenti.I capi del movimento si tennero anche questa volta indisparte. Essi avevano proposto come candidati pel con-solato lo stesso Catilina e Caio Antonio, il figlio minoredell'oratore fratello del generale di cattiva fama per gliaffari di Creta.Si era certi di Catilina. Antonio, in origine seguace diSilla come lo era stato Catilina e come questi, per talemotivo, dal partito democratico condotto dinanzi ai tri-bunali e cacciato dal senato, era del resto un uomo sner-vato, insignificante, assolutamente inetto ad essere capod'un partito e completamente rovinato finanziariamente:si era offerto come strumento ai democratici a prezzodel consolato e dei vantaggi che vi erano annessi.I capi della congiura intendevano con l'aiuto di questiconsoli d'impossessarsi del governo, di assicurarsi deifigli di Pompeo, rimasti nella capitale, tenendoli comeostaggi, e di armare l'Italia e le province contro Pompeo.

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Alla prima notizia del colpo riuscito nella capitale illuogotenente Gneo Pisone doveva inalberare il vessillodell'insurrezione nella Spagna citeriore. Non erapossibile mantenere con lui le comunicazioni per la viadel mare, poichè vi dominava la flotta di Pompeo; sifaceva quindi assegnamento sui transpadani, antichiclienti della democrazia, fra i quali era un gravefermento, e che avrebbero naturalmente ottenuto subitoil diritto di cittadinanza; si calcolava inoltre su parecchiealtre tribù celtiche24.Le fila di questa congiura si estendevano sino nellaMauritania. Uno dei congiurati, il commerciante romanoPublio Sitto da Nocera, costretto a lasciare l'Italia in se-guito ad imbrogli finanziari, aveva armato nella Mauri-tania e in Spagna una schiera di disperati, e a capo diessa andava girando nell'Africa occidentale, ove avevaantiche relazioni commerciali.

11. Cicerone batte Catilina.

Il partito concentrava tutte le sue forze per la lottaelettorale.Crasso e Cesare misero il danaro, proprio o preso a pre-stito, e impegnarono le loro relazioni per far cadere lanomina su Catilina e su Antonio; i compagni di Catilinafecero di tutto per far salire al potere quest'uomo, cheaveva loro promesso gli impieghi e le cariche sacerdota-

24 Gli Ambrani (SVET., Caes. 9) non sono gli Ambrani liguri (PLUTARCO, Mar.,19) ma si trovano citati erroneamente per Arverni.

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Alla prima notizia del colpo riuscito nella capitale illuogotenente Gneo Pisone doveva inalberare il vessillodell'insurrezione nella Spagna citeriore. Non erapossibile mantenere con lui le comunicazioni per la viadel mare, poichè vi dominava la flotta di Pompeo; sifaceva quindi assegnamento sui transpadani, antichiclienti della democrazia, fra i quali era un gravefermento, e che avrebbero naturalmente ottenuto subitoil diritto di cittadinanza; si calcolava inoltre su parecchiealtre tribù celtiche24.Le fila di questa congiura si estendevano sino nellaMauritania. Uno dei congiurati, il commerciante romanoPublio Sitto da Nocera, costretto a lasciare l'Italia in se-guito ad imbrogli finanziari, aveva armato nella Mauri-tania e in Spagna una schiera di disperati, e a capo diessa andava girando nell'Africa occidentale, ove avevaantiche relazioni commerciali.

11. Cicerone batte Catilina.

Il partito concentrava tutte le sue forze per la lottaelettorale.Crasso e Cesare misero il danaro, proprio o preso a pre-stito, e impegnarono le loro relazioni per far cadere lanomina su Catilina e su Antonio; i compagni di Catilinafecero di tutto per far salire al potere quest'uomo, cheaveva loro promesso gli impieghi e le cariche sacerdota-

24 Gli Ambrani (SVET., Caes. 9) non sono gli Ambrani liguri (PLUTARCO, Mar.,19) ma si trovano citati erroneamente per Arverni.

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li, i palazzi e i beni dei loro avversari e anzitutto di fardepennare i loro debiti, e si sapeva che avrebbe mante-nuto la parola.L'aristocrazia si trovava in grave imbarazzo, special-mente perchè non aveva nemmeno candidati da contrap-porre. Era evidente, che chiunque si fosse presentatocome tale metteva a repentaglio la propria testa, e nonerano più i tempi in cui il posto del pericolo attirava ilcittadino; ora persino l'ambizione ammutoliva dinanzi altimore.Così stando le cose la nobiltà si limitò a fare un deboletentativo per porre un freno alle mene elettorali con unanuova legge sulla corruzione dei votanti – che del restonon passò per il veto d'un tribuno del popolo – e a rac-cogliere i propri voti su un candidato che, se non le eradi soddisfazione, le riesciva almeno innocuo.Era questi Marco Cicerone, uomo notoriamente doppioin politica25, abituato a tenere ora per i democratici oraper Pompeo, ora ad occhieggiare un po' più da lungicoll'aristocrazia e a patrocinare, senza distinzione dellapersona e del partito, – contando tra i suoi clienti ancheCatilina – qualsiasi accusato influente.Egli in sostanza non apparteneva a nessun partito, o, ciòche vale quasi lo stesso, apparteneva al partito degli in-

25 Non si può dire ciò più semplicemente di come lo disse il suo stessofratello (De pet. cons., 1, 5; 13, 51, 53, dell'anno 690 = 64). Qualedocumento di ciò gli uomini imparziali leggeranno con interesse laseconda orazione contro Rullo, in cui il «primo console democratico»,conducendo deliziosamente per il naso il buon pubblico, gli sviluppa ilconcetto della «vera democrazia».

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li, i palazzi e i beni dei loro avversari e anzitutto di fardepennare i loro debiti, e si sapeva che avrebbe mante-nuto la parola.L'aristocrazia si trovava in grave imbarazzo, special-mente perchè non aveva nemmeno candidati da contrap-porre. Era evidente, che chiunque si fosse presentatocome tale metteva a repentaglio la propria testa, e nonerano più i tempi in cui il posto del pericolo attirava ilcittadino; ora persino l'ambizione ammutoliva dinanzi altimore.Così stando le cose la nobiltà si limitò a fare un deboletentativo per porre un freno alle mene elettorali con unanuova legge sulla corruzione dei votanti – che del restonon passò per il veto d'un tribuno del popolo – e a rac-cogliere i propri voti su un candidato che, se non le eradi soddisfazione, le riesciva almeno innocuo.Era questi Marco Cicerone, uomo notoriamente doppioin politica25, abituato a tenere ora per i democratici oraper Pompeo, ora ad occhieggiare un po' più da lungicoll'aristocrazia e a patrocinare, senza distinzione dellapersona e del partito, – contando tra i suoi clienti ancheCatilina – qualsiasi accusato influente.Egli in sostanza non apparteneva a nessun partito, o, ciòche vale quasi lo stesso, apparteneva al partito degli in-

25 Non si può dire ciò più semplicemente di come lo disse il suo stessofratello (De pet. cons., 1, 5; 13, 51, 53, dell'anno 690 = 64). Qualedocumento di ciò gli uomini imparziali leggeranno con interesse laseconda orazione contro Rullo, in cui il «primo console democratico»,conducendo deliziosamente per il naso il buon pubblico, gli sviluppa ilconcetto della «vera democrazia».

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teressi materiali, che dominava nei tribunali e che avevacaro l'eloquente giureconsulto, il compìto e spiritosocollega.Egli aveva abbastanza relazioni nella capitale e nelle cit-tà provinciali per temere i candidati sostenuti dalla de-mocrazia; e siccome anche i nobili, sebbene malvolen-tieri, e i Pompeiani lo portavano, così egli fu eletto agrande maggioranza. I due candidati democratici ebberoquasi parità di voti, ma ne ebbe qualcuno di più Anto-nio, la cui famiglia era più ragguardevole di quella delsuo competitore. Questo caso rese vana l'elezione di Ca-tilina e salvò Roma da un secondo Cinna.Poco prima, e si disse per istigazione di Pompeo, suonemico politico e personale, era stato massacrato Pisonein Spagna dalla sua guardia indigena26. Col solo consoleAntonio nulla si poteva fare; Cicerone ruppe il debolelegame che teneva Antonio vincolato alla congiura,prima ancora che entrambi entrassero in carica,rinunciando alla scelta che gli spettava di diritto dellaprovincia consolare e lasciando all'indebitato collega lalucrosa luogotenenza della Macedonia.Erano quindi andate in fumo le essenziali condizioniprestabilite anche per questo colpo.Intanto andavano sviluppandosi sempre più minacciosiper la democrazia gli affari orientali. L'ordinamento del-la Siria procedeva con celerità; erano già pervenutedall'Egitto esortazioni a Pompeo di entrare in quel paese

26 Il suo epitaffio ancora esistente così dice: Cn. Calpurnius Cn. f. Pisoquaestor pro pr. ex. s. c. provinciam Hispaniam citeriorem optinuit.

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teressi materiali, che dominava nei tribunali e che avevacaro l'eloquente giureconsulto, il compìto e spiritosocollega.Egli aveva abbastanza relazioni nella capitale e nelle cit-tà provinciali per temere i candidati sostenuti dalla de-mocrazia; e siccome anche i nobili, sebbene malvolen-tieri, e i Pompeiani lo portavano, così egli fu eletto agrande maggioranza. I due candidati democratici ebberoquasi parità di voti, ma ne ebbe qualcuno di più Anto-nio, la cui famiglia era più ragguardevole di quella delsuo competitore. Questo caso rese vana l'elezione di Ca-tilina e salvò Roma da un secondo Cinna.Poco prima, e si disse per istigazione di Pompeo, suonemico politico e personale, era stato massacrato Pisonein Spagna dalla sua guardia indigena26. Col solo consoleAntonio nulla si poteva fare; Cicerone ruppe il debolelegame che teneva Antonio vincolato alla congiura,prima ancora che entrambi entrassero in carica,rinunciando alla scelta che gli spettava di diritto dellaprovincia consolare e lasciando all'indebitato collega lalucrosa luogotenenza della Macedonia.Erano quindi andate in fumo le essenziali condizioniprestabilite anche per questo colpo.Intanto andavano sviluppandosi sempre più minacciosiper la democrazia gli affari orientali. L'ordinamento del-la Siria procedeva con celerità; erano già pervenutedall'Egitto esortazioni a Pompeo di entrare in quel paese

26 Il suo epitaffio ancora esistente così dice: Cn. Calpurnius Cn. f. Pisoquaestor pro pr. ex. s. c. provinciam Hispaniam citeriorem optinuit.

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occupandolo per conto di Roma; era da aspettarsi di udi-re fra breve che Pompeo si era impadronito anche dellavalle del Nilo. Questo presentimento avrà deciso Cesarea tentare di farsi mandare dal popolo addirittura in Egit-to per prestare aiuto al re contro i ribellati suoi sudditi; ilprogetto di Cesare pare fallisse di fronte all'avversionedei grandi e degli infimi per qualsiasi impresa contro gliinteressi di Pompeo. Il ritorno di Pompeo in patria e conlui la verosimile catastrofe si approssimava sempre più;per quanto la corda si fosse parecchie volte spezzata,pure occorreva sempre ritentare di tendere il medesimoarco.La città era in preda ad una cupa effervescenza; le fre-quenti conferenze dei capi del movimento indicavanoche qualche cosa si stava macchinando.

12. La legge agraria di Servilio.

Che cosa si macchinasse si rivelò allorchè i nuovitribuni del popolo entrarono in carica (10 dicembre 690= 64) e tosto uno di essi, Publio Servilio Rullo, proposeuna legge agraria, che doveva preparare ai capi deidemocratici una posizione simile a quella fatta aPompeo dalle proposte gabinio-manilie.Lo scopo apparente era la fondazione di colonie in Ita-lia, per le quali però non si doveva acquistare il terrenocoll'espropriazione, anzi venivano garantiti tutti i dirittiprivati esistenti e persino mutate in piena proprietà le il-legali occupazioni più recenti. Soltanto i beni pubblici

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occupandolo per conto di Roma; era da aspettarsi di udi-re fra breve che Pompeo si era impadronito anche dellavalle del Nilo. Questo presentimento avrà deciso Cesarea tentare di farsi mandare dal popolo addirittura in Egit-to per prestare aiuto al re contro i ribellati suoi sudditi; ilprogetto di Cesare pare fallisse di fronte all'avversionedei grandi e degli infimi per qualsiasi impresa contro gliinteressi di Pompeo. Il ritorno di Pompeo in patria e conlui la verosimile catastrofe si approssimava sempre più;per quanto la corda si fosse parecchie volte spezzata,pure occorreva sempre ritentare di tendere il medesimoarco.La città era in preda ad una cupa effervescenza; le fre-quenti conferenze dei capi del movimento indicavanoche qualche cosa si stava macchinando.

12. La legge agraria di Servilio.

Che cosa si macchinasse si rivelò allorchè i nuovitribuni del popolo entrarono in carica (10 dicembre 690= 64) e tosto uno di essi, Publio Servilio Rullo, proposeuna legge agraria, che doveva preparare ai capi deidemocratici una posizione simile a quella fatta aPompeo dalle proposte gabinio-manilie.Lo scopo apparente era la fondazione di colonie in Ita-lia, per le quali però non si doveva acquistare il terrenocoll'espropriazione, anzi venivano garantiti tutti i dirittiprivati esistenti e persino mutate in piena proprietà le il-legali occupazioni più recenti. Soltanto i beni pubblici

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appaltati della Campania dovevano essere suddivisi ecolonizzati, del rimanente doveva il governo acquistarenel modo usato il terreno destinato alle assegnazioni.Per procurare le somme necessarie, si doveva porre suc-cessivamente in vendita l'ulteriore terreno italico e pri-ma di ogni altro tutto il suolo demaniale fuoritalico, checomprendeva particolarmente gli antichi beni regi nellaMacedonia, nel Chersoneso tracico, nella Bitinia, nelPonto, in Cirene e inoltre i territori delle città divenute,secondo il diritto di guerra, di assoluta proprietà in Spa-gna, nell'Africa, in Sicilia, nell'Ellade, nella Cilicia.Doveva anche essere messo in vendita tutto ciò che lostato dal 666 = 88 in avanti aveva conquistato in benimobili ed immobili e di cui non aveva prima disposto,ciò che si riferiva principalmente all'Egitto e a Cipro.Collo stesso scopo furono sovraccaricati di dazi e di de-cime molto elevate tutti i comuni dipendenti ad eccezio-ne delle città di diritto latino e delle altre libere.Per codesti acquisti fu finalmente destinato il ricavatodalle nuove gabelle provinciali incominciando dall'anno692 = 62 e il prodotto di tutto il bottino non ancora le-galmente impiegato; disposizione che si riferiva allenuove sorgenti finanziarie aperte da Pompeo in oriente,nonchè alle somme erariali che si trovavano pressoPompeo e presso gli eredi di Silla.Per l'esecuzione di questa misura dovevano esserenominati dieci uomini aventi propria giurisdizione eproprio imperium; i quali dovevano rimanere in caricacinque anni ed essere aiutati da duecento impiegati

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appaltati della Campania dovevano essere suddivisi ecolonizzati, del rimanente doveva il governo acquistarenel modo usato il terreno destinato alle assegnazioni.Per procurare le somme necessarie, si doveva porre suc-cessivamente in vendita l'ulteriore terreno italico e pri-ma di ogni altro tutto il suolo demaniale fuoritalico, checomprendeva particolarmente gli antichi beni regi nellaMacedonia, nel Chersoneso tracico, nella Bitinia, nelPonto, in Cirene e inoltre i territori delle città divenute,secondo il diritto di guerra, di assoluta proprietà in Spa-gna, nell'Africa, in Sicilia, nell'Ellade, nella Cilicia.Doveva anche essere messo in vendita tutto ciò che lostato dal 666 = 88 in avanti aveva conquistato in benimobili ed immobili e di cui non aveva prima disposto,ciò che si riferiva principalmente all'Egitto e a Cipro.Collo stesso scopo furono sovraccaricati di dazi e di de-cime molto elevate tutti i comuni dipendenti ad eccezio-ne delle città di diritto latino e delle altre libere.Per codesti acquisti fu finalmente destinato il ricavatodalle nuove gabelle provinciali incominciando dall'anno692 = 62 e il prodotto di tutto il bottino non ancora le-galmente impiegato; disposizione che si riferiva allenuove sorgenti finanziarie aperte da Pompeo in oriente,nonchè alle somme erariali che si trovavano pressoPompeo e presso gli eredi di Silla.Per l'esecuzione di questa misura dovevano esserenominati dieci uomini aventi propria giurisdizione eproprio imperium; i quali dovevano rimanere in caricacinque anni ed essere aiutati da duecento impiegati

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subalterni scelti nella classe dei cavalieri; ma nellaelezione dei dieci dovevano esser presi inconsiderazione solo quei candidati che si sarebberopresentati personalmente, e nel modo praticato nelleelezioni per le cariche sacerdotali.Dovevano votare solo diciassette distretti da estrarsi asorte fra i trentacinque. Non c'era bisogno di una grandeperspicacia per riconoscere in questo collegio dei diecil'intenzione di stabilire un potere simile a quello diPompeo, sebbene con una tinta meno militare e più de-mocratica. Si aveva bisogno dell'autorità giudiziaria par-ticolarmente per decidere la quistione egiziana,dell'autorità militare per armare contro Pompeo; la clau-sola che vietava l'elezione d'un assente escludeva Pom-peo, e la riduzione dei distretti aventi il diritto di vota-zione nel sorteggio doveva facilitare la direzione dellavotazione nel senso della democrazia.Ma questo tentativo mancò del tutto al suo scopo. Lamoltitudine, che trovava più comodo di ricevereall'ombra dei portici il frumento dai pubblici magazzeni,che non di guadagnarlo col sudore della fronte, accolsela proposta colla massima indifferenza. Essa s'accorseanche subito che Pompeo non acconsentirebbe mai aduna risoluzione che l'offendeva sotto ogni rapporto, eche un partito il quale, in una specie di affannosa ango-scia, scendeva a simili eccessive offerte, non era moltovalido.Tale essendo la condizione delle cose, al governo nonriuscì difficile di far andare a vuoto il progetto; il nuovo

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subalterni scelti nella classe dei cavalieri; ma nellaelezione dei dieci dovevano esser presi inconsiderazione solo quei candidati che si sarebberopresentati personalmente, e nel modo praticato nelleelezioni per le cariche sacerdotali.Dovevano votare solo diciassette distretti da estrarsi asorte fra i trentacinque. Non c'era bisogno di una grandeperspicacia per riconoscere in questo collegio dei diecil'intenzione di stabilire un potere simile a quello diPompeo, sebbene con una tinta meno militare e più de-mocratica. Si aveva bisogno dell'autorità giudiziaria par-ticolarmente per decidere la quistione egiziana,dell'autorità militare per armare contro Pompeo; la clau-sola che vietava l'elezione d'un assente escludeva Pom-peo, e la riduzione dei distretti aventi il diritto di vota-zione nel sorteggio doveva facilitare la direzione dellavotazione nel senso della democrazia.Ma questo tentativo mancò del tutto al suo scopo. Lamoltitudine, che trovava più comodo di ricevereall'ombra dei portici il frumento dai pubblici magazzeni,che non di guadagnarlo col sudore della fronte, accolsela proposta colla massima indifferenza. Essa s'accorseanche subito che Pompeo non acconsentirebbe mai aduna risoluzione che l'offendeva sotto ogni rapporto, eche un partito il quale, in una specie di affannosa ango-scia, scendeva a simili eccessive offerte, non era moltovalido.Tale essendo la condizione delle cose, al governo nonriuscì difficile di far andare a vuoto il progetto; il nuovo

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console Cicerone approfittò dell'occasione per portarecol suo ingegno anche in questo caso un ultimo colpo alpartito vinto; ancora prima che i tribuni, che stavanopronti, intercedessero, il proponente stesso ritirò la suaproposta (1 gennaio 691 = 63). La democrazia non ave-va riportato che la triste convinzione, che la moltitudinenelle sue afflizioni e nei suoi timori faceva ancora asse-gnamento su Pompeo e che nessuna proposta avrebbesuccesso quando fosse dal pubblico ritenuta diretta con-tro Pompeo.

13. Scoppio dell'insurrezione in Etruria.

Stanco di tutte queste inutili mene e di tanti piani andatia vuoto, Catilina decise di spingere le cose ad unasoluzione facendola finita una volta per sempre, e presele sue misure per incominciare la guerra civile durantel'estate.Fiesole, città molto forte dell'Etruria, formicolante digente ridotta alla miseria e di congiurati, che quindicianni prima era stata il focolare della sollevazione lepi-diana, ridivenne un'altra volta il quartier generaledell'insurrezione.A Fiesole si dirigevano le spedizioni di denaro, cui con-tribuivano particolarmente le dame romane entrate nellacongiura; in Fiesole si radunavano armi e soldati; un an-tico capitano dell'esercito di Silla, Caio Manlio, così va-loroso e così libero da scrupoli di coscienza come non lofu mai un lanzichenecco, vi prese provvisoriamente il

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console Cicerone approfittò dell'occasione per portarecol suo ingegno anche in questo caso un ultimo colpo alpartito vinto; ancora prima che i tribuni, che stavanopronti, intercedessero, il proponente stesso ritirò la suaproposta (1 gennaio 691 = 63). La democrazia non ave-va riportato che la triste convinzione, che la moltitudinenelle sue afflizioni e nei suoi timori faceva ancora asse-gnamento su Pompeo e che nessuna proposta avrebbesuccesso quando fosse dal pubblico ritenuta diretta con-tro Pompeo.

13. Scoppio dell'insurrezione in Etruria.

Stanco di tutte queste inutili mene e di tanti piani andatia vuoto, Catilina decise di spingere le cose ad unasoluzione facendola finita una volta per sempre, e presele sue misure per incominciare la guerra civile durantel'estate.Fiesole, città molto forte dell'Etruria, formicolante digente ridotta alla miseria e di congiurati, che quindicianni prima era stata il focolare della sollevazione lepi-diana, ridivenne un'altra volta il quartier generaledell'insurrezione.A Fiesole si dirigevano le spedizioni di denaro, cui con-tribuivano particolarmente le dame romane entrate nellacongiura; in Fiesole si radunavano armi e soldati; un an-tico capitano dell'esercito di Silla, Caio Manlio, così va-loroso e così libero da scrupoli di coscienza come non lofu mai un lanzichenecco, vi prese provvisoriamente il

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supremo comando.Simili preparativi, sebbene in proporzioni minori, furo-no fatti in altri punti d'Italia. I transpadani erano eccitatiin modo da non aspettare il segnale per sollevarsi. Nelpaese dei Bruzi, sulla costa orientale d'Italia, a Capua,luoghi nei quali erano raccolte grandi masse di schiavi,pareva prepararsi una seconda irruzione di schiavi simi-le a quella di Spartaco. Nella capitale stessa si stava pre-disponendo qualche cosa; chi osservava il baldanzosocontegno che tenevano debitori citati dinanzi al potereurbano, doveva ricordare le scene che avevano precedu-to l'assassinio di Asellione.I capitalisti si trovavano in grande apprensione; fu ne-cessario emanare il divieto dell'esportazione dell'oro edell'argento e di far sorvegliare i principali porti dimare. Il piano dei congiurati era di trucidare senz'altrodurante le elezioni del 692 = 62, nelle quali Catilinaaspirava di nuovo al consolato, il console che le dirigevae gli importuni concorrenti, per ottenere a qualunque co-sto l'elezione di Catilina, facendo in caso di bisognomarciare delle bande armate da Fiesole e da altri puntidi riunione sulla capitale per rompere colla forza ogniresistenza.Sempre rapidamente ed esattamente informato dai suoiagenti, maschi e femmine, delle mene dei congiurati,Cicerone denunciò nel giorno fissato per l'elezione (20ottobre) in pieno senato, e alla presenza dei principalicapi, l'esistenza della congiura. Catilina non si abbassò anegarla; rispose arrogantemente che, cadendo l'elezione

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supremo comando.Simili preparativi, sebbene in proporzioni minori, furo-no fatti in altri punti d'Italia. I transpadani erano eccitatiin modo da non aspettare il segnale per sollevarsi. Nelpaese dei Bruzi, sulla costa orientale d'Italia, a Capua,luoghi nei quali erano raccolte grandi masse di schiavi,pareva prepararsi una seconda irruzione di schiavi simi-le a quella di Spartaco. Nella capitale stessa si stava pre-disponendo qualche cosa; chi osservava il baldanzosocontegno che tenevano debitori citati dinanzi al potereurbano, doveva ricordare le scene che avevano precedu-to l'assassinio di Asellione.I capitalisti si trovavano in grande apprensione; fu ne-cessario emanare il divieto dell'esportazione dell'oro edell'argento e di far sorvegliare i principali porti dimare. Il piano dei congiurati era di trucidare senz'altrodurante le elezioni del 692 = 62, nelle quali Catilinaaspirava di nuovo al consolato, il console che le dirigevae gli importuni concorrenti, per ottenere a qualunque co-sto l'elezione di Catilina, facendo in caso di bisognomarciare delle bande armate da Fiesole e da altri puntidi riunione sulla capitale per rompere colla forza ogniresistenza.Sempre rapidamente ed esattamente informato dai suoiagenti, maschi e femmine, delle mene dei congiurati,Cicerone denunciò nel giorno fissato per l'elezione (20ottobre) in pieno senato, e alla presenza dei principalicapi, l'esistenza della congiura. Catilina non si abbassò anegarla; rispose arrogantemente che, cadendo l'elezione

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sopra di lui, il grande partito senza capo di fronte al pic-colo diretto da meschini, non mancherebbe più a lungod'un capitano.Non essendovi però le prove dirette del complotto nonsi potè ottenere altro dal timido senato che desse pre-ventivamente la sua sanzione alle misure eccezionaligiudicate opportune dai magistrati (21 ottobre).Così andava avvicinandosi la battaglia elettorale, questavolta più battaglia che elezione; poichè anche Ciceronesi era costituito una guardia del corpo formata partico-larmente da giovani della classe dei commercianti; e isuoi armati erano quelli che il 28 ottobre, giorno al qua-le erano state protratte le elezioni dal senato, coprivanoe dominavano il campo di Marte. Non potevano quindi icongiurati nè ammazzare il console che dirigeva le ele-zioni, nè condurre le elezioni nel loro senso.Frattanto però era incominciata la guerra civile. CaioManlio il 27 ottobre aveva piantata l'insegna in Fiesoleattorno alla quale doveva raccogliersi l'esercitodell'insurrezione – era una delle aquile dell'epoca dellaguerra cimbrica di Mario – e aveva fatto appello ai la-droni dei monti ed ai paesani di unirsi a lui. Riferendosialle antiche tradizioni del partito del popolo, i suoi pro-clami esigevano la liberazione dall'oppressivo peso deidebiti e la mitigazione della procedura, la quale, quandoi debiti superavano di fatto la sostanza netta, traeva secoancora legalmente la perdita della libertà del debitore.Sembrava quasi che il popolaccio della capitale, sorgen-do come il legittimo successore dell'antica classe rurale

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sopra di lui, il grande partito senza capo di fronte al pic-colo diretto da meschini, non mancherebbe più a lungod'un capitano.Non essendovi però le prove dirette del complotto nonsi potè ottenere altro dal timido senato che desse pre-ventivamente la sua sanzione alle misure eccezionaligiudicate opportune dai magistrati (21 ottobre).Così andava avvicinandosi la battaglia elettorale, questavolta più battaglia che elezione; poichè anche Ciceronesi era costituito una guardia del corpo formata partico-larmente da giovani della classe dei commercianti; e isuoi armati erano quelli che il 28 ottobre, giorno al qua-le erano state protratte le elezioni dal senato, coprivanoe dominavano il campo di Marte. Non potevano quindi icongiurati nè ammazzare il console che dirigeva le ele-zioni, nè condurre le elezioni nel loro senso.Frattanto però era incominciata la guerra civile. CaioManlio il 27 ottobre aveva piantata l'insegna in Fiesoleattorno alla quale doveva raccogliersi l'esercitodell'insurrezione – era una delle aquile dell'epoca dellaguerra cimbrica di Mario – e aveva fatto appello ai la-droni dei monti ed ai paesani di unirsi a lui. Riferendosialle antiche tradizioni del partito del popolo, i suoi pro-clami esigevano la liberazione dall'oppressivo peso deidebiti e la mitigazione della procedura, la quale, quandoi debiti superavano di fatto la sostanza netta, traeva secoancora legalmente la perdita della libertà del debitore.Sembrava quasi che il popolaccio della capitale, sorgen-do come il legittimo successore dell'antica classe rurale

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plebea e combattendo le sue battaglie sotto le glorioseaquile della guerra cimbrica, volesse macchiare non soloil presente ma anche il passato di Roma. Questa insurre-zione rimase però isolata; negli altri luoghi di raccolta lacongiura si limitò ad accumulare armi ed a tenere adu-nanze segrete, giacchè fra i congiurati mancavano capirisoluti.

14. Misure repressive del governo.

Era questa una fortuna per il governo, poichè, perquanto già da lungo tempo fosse stata apertamenteannunziata l'incombente guerra civile, la propriairresoluzione e l'arrugginita macchina amministrativanon gli avevano concesso di iniziare nessun preparativomilitare.Ora soltanto si pensò a bandire la leva in massa ed amandare ufficiali superiori nelle singole province d'Ita-lia, affinchè ciascuno nel suo distretto sopprimessel'insurrezione; nello stesso tempo furono allontanati dal-la capitale i gladiatori, e ordinate delle pattuglie per as-sicurarsi contro gli incendiari.Catilina si trovava in una penosa posizione. Era statasua intenzione che l'insurrezione scoppiasse in occasio-ne delle elezioni contemporaneamente tanto nella capi-tale quanto nell'Etruria; la cattiva riuscita della prima elo scoppio avvenuto nella seconda lo compromise per-sonalmente e compromise tutto il successo della sua im-presa.

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plebea e combattendo le sue battaglie sotto le glorioseaquile della guerra cimbrica, volesse macchiare non soloil presente ma anche il passato di Roma. Questa insurre-zione rimase però isolata; negli altri luoghi di raccolta lacongiura si limitò ad accumulare armi ed a tenere adu-nanze segrete, giacchè fra i congiurati mancavano capirisoluti.

14. Misure repressive del governo.

Era questa una fortuna per il governo, poichè, perquanto già da lungo tempo fosse stata apertamenteannunziata l'incombente guerra civile, la propriairresoluzione e l'arrugginita macchina amministrativanon gli avevano concesso di iniziare nessun preparativomilitare.Ora soltanto si pensò a bandire la leva in massa ed amandare ufficiali superiori nelle singole province d'Ita-lia, affinchè ciascuno nel suo distretto sopprimessel'insurrezione; nello stesso tempo furono allontanati dal-la capitale i gladiatori, e ordinate delle pattuglie per as-sicurarsi contro gli incendiari.Catilina si trovava in una penosa posizione. Era statasua intenzione che l'insurrezione scoppiasse in occasio-ne delle elezioni contemporaneamente tanto nella capi-tale quanto nell'Etruria; la cattiva riuscita della prima elo scoppio avvenuto nella seconda lo compromise per-sonalmente e compromise tutto il successo della sua im-presa.

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Dopo che i suoi avevano impugnato le armi contro il go-verno, egli non poteva più rimanere in Roma; e tuttavianon solo gli importava che la congiura nella capitalescoppiasse senza indugio, ma che avvenisse prima cheegli abbandonasse Roma: egli conosceva troppo bene isuoi soci per potersene fidare.I più ragguardevoli fra i congiurati, Publio Lentulo Sura,console nel 683 = 71, più tardi cacciato dal senato e oradi nuovo pretore per rientrare in senato, e i due ex-pre-tori Publio Autronio e Lucio Cassio, erano uomini inet-ti; Lentulo un aristocratico triviale, gran parolaio e digrandi pretese, ma di lenta intelligenza e irresolutonell'agire, Autronio notevole solo per la sua voce stridu-la e quanto a Lucio Cassio nessuno comprendeva comeun uomo così enormemente grasso e stupido si fosse as-sociato ai congiurati.Catilina non poteva poi mettere alla testa i più abili fra icongiurati, come sarebbero stati il giovine senatore CaioCetego ed i cavalieri Lucio Statilio e Publio GabinioCapitone, perchè persino fra i congiurati si conservavaancora la gerarchia tradizionale delle classi, e anche glianarchici ritenevano di non poter vincere se non si met-teva alla testa un consolare o per lo meno un pretore.Per quanto l'esercito degli insorti richiedesse perciò insi-stentemente il suo generale e per quanto rischioso fosseper lui il rimanere più a lungo presso la sede del gover-no dopo lo scoppio dell'insurrezione, tuttavia Catilina sidecise di fermarsi ancora a Roma. Abituato ad imporsiai suoi vili avversari colla sfacciata sua arroganza, egli

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Dopo che i suoi avevano impugnato le armi contro il go-verno, egli non poteva più rimanere in Roma; e tuttavianon solo gli importava che la congiura nella capitalescoppiasse senza indugio, ma che avvenisse prima cheegli abbandonasse Roma: egli conosceva troppo bene isuoi soci per potersene fidare.I più ragguardevoli fra i congiurati, Publio Lentulo Sura,console nel 683 = 71, più tardi cacciato dal senato e oradi nuovo pretore per rientrare in senato, e i due ex-pre-tori Publio Autronio e Lucio Cassio, erano uomini inet-ti; Lentulo un aristocratico triviale, gran parolaio e digrandi pretese, ma di lenta intelligenza e irresolutonell'agire, Autronio notevole solo per la sua voce stridu-la e quanto a Lucio Cassio nessuno comprendeva comeun uomo così enormemente grasso e stupido si fosse as-sociato ai congiurati.Catilina non poteva poi mettere alla testa i più abili fra icongiurati, come sarebbero stati il giovine senatore CaioCetego ed i cavalieri Lucio Statilio e Publio GabinioCapitone, perchè persino fra i congiurati si conservavaancora la gerarchia tradizionale delle classi, e anche glianarchici ritenevano di non poter vincere se non si met-teva alla testa un consolare o per lo meno un pretore.Per quanto l'esercito degli insorti richiedesse perciò insi-stentemente il suo generale e per quanto rischioso fosseper lui il rimanere più a lungo presso la sede del gover-no dopo lo scoppio dell'insurrezione, tuttavia Catilina sidecise di fermarsi ancora a Roma. Abituato ad imporsiai suoi vili avversari colla sfacciata sua arroganza, egli

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si mostrava nel foro e al senato; e alle minaccie, che glifacevano, rispondeva che si guardassero bene dallospingerlo agli estremi, perchè colui al quale si incendiala casa è obbligato a spegnere l'incendio sotto le mace-rie.E difatti nessuno fra i privati nè fra i pubblici funzionariosò di metter le mani sull'uomo fatale; era inutile che ungiovane nobile lo citasse dinanzi al tribunale per un attoqualsiasi di violenza, giacchè prima che il processo fos-se portato a fine lo stato delle cose doveva da moltotempo essere deciso in altro modo.Senonchè anche i piani di Catilina fallirono principal-mente perchè gli agenti del governo si erano introdottiin mezzo ai congiurati e lo tenevano costantemente alcorrente di tutti i particolari del complotto.Allorchè, ad esempio, i congiurati comparvero sotto lemura dell'importante fortezza di Fiesole (1 novembre)che credevano di prendere con un colpo di mano, essi vitrovarono il presidio in guardia e rafforzato, e nello stes-so modo andarono falliti tutti i piani.Malgrado la sua temerarietà, Catilina riconobbe la ne-cessità di abbandonare Roma sollecitamente; ma, primadi partire, nell'ultima adunanza dei congiurati tenutasinella notte dal 6 al 7 novembre, dietro sua stringenteesortazione, fu deciso di assassinare, ancor prima dellapartenza del capo, il console Cicerone che dirigeva par-ticolarmente la contro-mina, e di eseguire immediata-mente questa decisione, per prevenire ogni tradimento.Infatti il giorno 7 di buon mattino gli assalitori prescelti

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si mostrava nel foro e al senato; e alle minaccie, che glifacevano, rispondeva che si guardassero bene dallospingerlo agli estremi, perchè colui al quale si incendiala casa è obbligato a spegnere l'incendio sotto le mace-rie.E difatti nessuno fra i privati nè fra i pubblici funzionariosò di metter le mani sull'uomo fatale; era inutile che ungiovane nobile lo citasse dinanzi al tribunale per un attoqualsiasi di violenza, giacchè prima che il processo fos-se portato a fine lo stato delle cose doveva da moltotempo essere deciso in altro modo.Senonchè anche i piani di Catilina fallirono principal-mente perchè gli agenti del governo si erano introdottiin mezzo ai congiurati e lo tenevano costantemente alcorrente di tutti i particolari del complotto.Allorchè, ad esempio, i congiurati comparvero sotto lemura dell'importante fortezza di Fiesole (1 novembre)che credevano di prendere con un colpo di mano, essi vitrovarono il presidio in guardia e rafforzato, e nello stes-so modo andarono falliti tutti i piani.Malgrado la sua temerarietà, Catilina riconobbe la ne-cessità di abbandonare Roma sollecitamente; ma, primadi partire, nell'ultima adunanza dei congiurati tenutasinella notte dal 6 al 7 novembre, dietro sua stringenteesortazione, fu deciso di assassinare, ancor prima dellapartenza del capo, il console Cicerone che dirigeva par-ticolarmente la contro-mina, e di eseguire immediata-mente questa decisione, per prevenire ogni tradimento.Infatti il giorno 7 di buon mattino gli assalitori prescelti

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bussarono alla porta di casa del console, ma essi trova-rono aumentato il numero delle guardie e furono respin-ti; anche questa volta gli informatori del governo aveva-no prevenuto il piano dei congiurati.Il giorno seguente (8 novembre) Cicerone convocò il se-nato. E a Catilina bastò ancora l'animo di lasciarvisi ve-dere e di tentare una difesa contro i violenti attacchi delconsole, il quale gli rinfacciò gli avvenimenti degli ulti-mi giorni; ma nessuno più l'ascoltava e vicino a lui i se-dili si vuotavano.

15. Catilina in Etruria.

Catilina lasciò la seduta e si recò in Etruria, ciò cheavrebbe fatto certamente anche senza quell'incidente.Qui si proclamò console da se stesso e si tenne prontoper far marciare le truppe al primo annunzio delloscoppio dell'insurrezione nella capitale.Il governo pronunciò il bando contro i due capi, Catilinae Manlio, e contro quei loro associati che entro un ter-mine stabilito non avessero deposte le armi, e chiamònuove milizie; senonchè alla testa dell'esercito destinatoad agire contro Catilina fu posto il console Caio Anto-nio, il quale era notoriamente implicato nella congiura,e, considerato il carattere di costui, dipendeva assoluta-mente dal caso se egli condurrebbe le sue truppe controCatilina o se le metterebbe a sua disposizione.Pareva che il governo si fosse proprio studiato di fare diquesto Antonio un altro Lepido. E così non si procedette

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bussarono alla porta di casa del console, ma essi trova-rono aumentato il numero delle guardie e furono respin-ti; anche questa volta gli informatori del governo aveva-no prevenuto il piano dei congiurati.Il giorno seguente (8 novembre) Cicerone convocò il se-nato. E a Catilina bastò ancora l'animo di lasciarvisi ve-dere e di tentare una difesa contro i violenti attacchi delconsole, il quale gli rinfacciò gli avvenimenti degli ulti-mi giorni; ma nessuno più l'ascoltava e vicino a lui i se-dili si vuotavano.

15. Catilina in Etruria.

Catilina lasciò la seduta e si recò in Etruria, ciò cheavrebbe fatto certamente anche senza quell'incidente.Qui si proclamò console da se stesso e si tenne prontoper far marciare le truppe al primo annunzio delloscoppio dell'insurrezione nella capitale.Il governo pronunciò il bando contro i due capi, Catilinae Manlio, e contro quei loro associati che entro un ter-mine stabilito non avessero deposte le armi, e chiamònuove milizie; senonchè alla testa dell'esercito destinatoad agire contro Catilina fu posto il console Caio Anto-nio, il quale era notoriamente implicato nella congiura,e, considerato il carattere di costui, dipendeva assoluta-mente dal caso se egli condurrebbe le sue truppe controCatilina o se le metterebbe a sua disposizione.Pareva che il governo si fosse proprio studiato di fare diquesto Antonio un altro Lepido. E così non si procedette

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menomamente contro i promotori della congiura rimastinella capitale, benchè fossero da tutti mostrati a dito, ebenchè dai congiurati si fosse tutt'altro che rinunciatoall'insurrezione nella capitale essendone anzi stato stabi-lito il piano da Catilina stesso prima della sua partenzada Roma.Un tribuno doveva darne il segnale colla convocazionedel popolo; nella notte seguente il console Cicerone do-veva essere spacciato da Cetego; Gabinio e Statilio do-vevano appiccare nel tempo stesso in dodici località ilfuoco alla città e colla maggior possibile destrezza assi-curare le comunicazioni con l'esercito di Catilina.Se le stringenti insinuazioni di Cetego fossero state frut-tuose e se Lentulo, il quale dopo la partenza di Catilinaera stato messo alla testa dei congiurati, si fosse decisoad insorgere senza indugio, la congiura avrebbe potutoancora riuscire. Ma i cospiratori erano appunto cosìinetti e così vili come i loro avversari; trascorsero dellesettimane e non si venne a nessuna decisione.

16. Arresto dei congiurati di Roma.

Vi si venne finalmente col mezzo della contro-mina.Giustificando volentieri il suo ritardo nel dare corso agliaffari prossimi e lontani con progetti vasti e necessari,Lentulo si era abboccato con i deputati di un cantoneceltico degli Allobrogi, allora in Roma, e siccome essirappresentavano una comunità radicalmente rovinatanelle finanze ed essi stessi erano profondamente

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menomamente contro i promotori della congiura rimastinella capitale, benchè fossero da tutti mostrati a dito, ebenchè dai congiurati si fosse tutt'altro che rinunciatoall'insurrezione nella capitale essendone anzi stato stabi-lito il piano da Catilina stesso prima della sua partenzada Roma.Un tribuno doveva darne il segnale colla convocazionedel popolo; nella notte seguente il console Cicerone do-veva essere spacciato da Cetego; Gabinio e Statilio do-vevano appiccare nel tempo stesso in dodici località ilfuoco alla città e colla maggior possibile destrezza assi-curare le comunicazioni con l'esercito di Catilina.Se le stringenti insinuazioni di Cetego fossero state frut-tuose e se Lentulo, il quale dopo la partenza di Catilinaera stato messo alla testa dei congiurati, si fosse decisoad insorgere senza indugio, la congiura avrebbe potutoancora riuscire. Ma i cospiratori erano appunto cosìinetti e così vili come i loro avversari; trascorsero dellesettimane e non si venne a nessuna decisione.

16. Arresto dei congiurati di Roma.

Vi si venne finalmente col mezzo della contro-mina.Giustificando volentieri il suo ritardo nel dare corso agliaffari prossimi e lontani con progetti vasti e necessari,Lentulo si era abboccato con i deputati di un cantoneceltico degli Allobrogi, allora in Roma, e siccome essirappresentavano una comunità radicalmente rovinatanelle finanze ed essi stessi erano profondamente

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indebitati, aveva cercato di farli entrare nella congiura, ealla loro partenza da Roma li aveva incaricati dimessaggi e lettere per i suoi confidenti. Gli Allobrogilasciarono Roma ma nella notte dal 2 al 3 dicembrefurono fermati dalle autorità romane e vennero loro toltele carte.Si venne a sapere così che i deputati Allobrogi si eranoprestati come spie del governo romano e che avevanoaderito alle trattative soltanto per procurare al governole desiderate prove contro i capi della congiura. La mat-tina seguente Cicerone ordinò colla maggior possibilesegretezza l'arresto dei più pericolosi esponenti del com-plotto, Lentulo, Cetego, Gabinio e Statilio, mentre alcu-ni altri si salvavano colla fuga. La reità degli arrestati edei fuggitivi era evidentissima. Immediatamente dopol'arresto furono presentati al senato gli scritti sequestrati;alla vista dei suggelli e dei propri caratteri gli arrestati,sottoposti ad un interrogatorio in presenza dei testimoni,furono costretti a confessare la loro colpa, e da altri fattiche ne emersero, dai depositi d'armi nelle case dei con-giurati, da espressioni minacciose da essi pronunciate,l'esistenza della congiura fu provata pienamente e legal-mente e gli atti più importanti furono per ordine di Cice-rone resi subito di pubblica ragione con fogli volanti.L'irritazione contro la congiura anarchica fu generale. Ilpartito oligarchico si sarebbe volentieri servito di questescoperte per fare i conti con la democrazia in generale eparticolarmente con Cesare, ma esso era troppo radical-mente sbaragliato per riuscire a questa meta e per poter

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indebitati, aveva cercato di farli entrare nella congiura, ealla loro partenza da Roma li aveva incaricati dimessaggi e lettere per i suoi confidenti. Gli Allobrogilasciarono Roma ma nella notte dal 2 al 3 dicembrefurono fermati dalle autorità romane e vennero loro toltele carte.Si venne a sapere così che i deputati Allobrogi si eranoprestati come spie del governo romano e che avevanoaderito alle trattative soltanto per procurare al governole desiderate prove contro i capi della congiura. La mat-tina seguente Cicerone ordinò colla maggior possibilesegretezza l'arresto dei più pericolosi esponenti del com-plotto, Lentulo, Cetego, Gabinio e Statilio, mentre alcu-ni altri si salvavano colla fuga. La reità degli arrestati edei fuggitivi era evidentissima. Immediatamente dopol'arresto furono presentati al senato gli scritti sequestrati;alla vista dei suggelli e dei propri caratteri gli arrestati,sottoposti ad un interrogatorio in presenza dei testimoni,furono costretti a confessare la loro colpa, e da altri fattiche ne emersero, dai depositi d'armi nelle case dei con-giurati, da espressioni minacciose da essi pronunciate,l'esistenza della congiura fu provata pienamente e legal-mente e gli atti più importanti furono per ordine di Cice-rone resi subito di pubblica ragione con fogli volanti.L'irritazione contro la congiura anarchica fu generale. Ilpartito oligarchico si sarebbe volentieri servito di questescoperte per fare i conti con la democrazia in generale eparticolarmente con Cesare, ma esso era troppo radical-mente sbaragliato per riuscire a questa meta e per poter

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preparare a Cesare la fine che aveva preparato in passa-to ai due Gracchi ed a Saturnino; dovette dunque accon-tentarsi della sola buona volontà.La moltitudine della capitale era irritata particolarmenteper il piano incendiario dei congiurati. I commercianti etutto il partito degli interessi materiali vide in questaguerra dei debitori contro i creditori, come era ben natu-rale, una lotta da cui dipendeva la sua esistenza; con im-petuoso slancio i giovani commercianti e i capitalisti siaffollavano intorno al senato coi brandi impugnati, al-zandoli contro i complici manifesti e nascosti di Catili-na. La congiura era difatti per il momento paralizzata;sebbene i suoi capi fossero ancora liberi, tuttavia tutto lostato maggiore della congiura era preso o in fuga, e laschiera raccolta presso Fiesole poteva ben poco senzal'aiuto d'un'insurrezione della capitale.

17. Condanna capitale degli insorti.

In una repubblica discretamente bene ordinata la cosasarebbe stata considerata finita dal lato politico; la forzamilitare ed i tribunali avrebbero fatto il resto. Ma inRoma si era giunti al punto, che il governo non eranemmeno in grado di tenere in sicura custodia un paiodi nobili di qualche distinzione.Gli schiavi ed i liberti di Lentulo e degli altri arrestati simovevano; si parlava di piani per liberarli colla forzadalle case in cui si trovavano prigionieri; in grazia dellemene anarchiche degli ultimi anni in Roma non si man-

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preparare a Cesare la fine che aveva preparato in passa-to ai due Gracchi ed a Saturnino; dovette dunque accon-tentarsi della sola buona volontà.La moltitudine della capitale era irritata particolarmenteper il piano incendiario dei congiurati. I commercianti etutto il partito degli interessi materiali vide in questaguerra dei debitori contro i creditori, come era ben natu-rale, una lotta da cui dipendeva la sua esistenza; con im-petuoso slancio i giovani commercianti e i capitalisti siaffollavano intorno al senato coi brandi impugnati, al-zandoli contro i complici manifesti e nascosti di Catili-na. La congiura era difatti per il momento paralizzata;sebbene i suoi capi fossero ancora liberi, tuttavia tutto lostato maggiore della congiura era preso o in fuga, e laschiera raccolta presso Fiesole poteva ben poco senzal'aiuto d'un'insurrezione della capitale.

17. Condanna capitale degli insorti.

In una repubblica discretamente bene ordinata la cosasarebbe stata considerata finita dal lato politico; la forzamilitare ed i tribunali avrebbero fatto il resto. Ma inRoma si era giunti al punto, che il governo non eranemmeno in grado di tenere in sicura custodia un paiodi nobili di qualche distinzione.Gli schiavi ed i liberti di Lentulo e degli altri arrestati simovevano; si parlava di piani per liberarli colla forzadalle case in cui si trovavano prigionieri; in grazia dellemene anarchiche degli ultimi anni in Roma non si man-

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cava di capibanda, i quali verso una certa corrispostaprendevano in appalto tumulti ed atti di violenza; Catili-na finalmente era informato dell'accaduto e si trovavaabbastanza vicino per tentare colle sue schiere un arditocolpo di mano.Quanto vi fosse di vero in tutte queste ciarle non lo sisaprebbe dire; i timori però erano fondati, poichè, a ter-mini della costituzione, il governo non poteva disporrenella capitale nè di truppe nè di una rispettabile forza dipolizia, ed era di fatti in balìa di qualsiasi schiera di ban-diti. Si riseppe il proposito di impedire ogni tentativo diliberazione col giustiziare immediatamente gli arrestati.Ciò non era possibile secondo la costituzione.Secondo l'antico sacro diritto di provocazione la pena dimorte contro il cittadino della repubblica non poteva es-sere pronunciata che da tutta la borghesia e da nes-sun'altra autorità; e da quando i giudizi della borghesiaerano divenuti una anticaglia, non si era pronunciata piùalcuna sentenza di morte.Cicerone avrebbe volentieri respinta la scabrosa posizio-ne; per quanto la questione di diritto dovesse essere persè indifferente all'avvocato, egli sapeva benissimo quan-to profittevole sia appunto all'avvocato l'essere ritenutoliberale e si sentiva poca voglia di separarsi per sempredal partito democratico con lo spargimento di questosangue.Senonchè coloro che lo contornavano, e particolarmentesua moglie, di nobile schiatta, lo spingevano a coronarecon questo atto ardito i suoi meriti verso la patria; il

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cava di capibanda, i quali verso una certa corrispostaprendevano in appalto tumulti ed atti di violenza; Catili-na finalmente era informato dell'accaduto e si trovavaabbastanza vicino per tentare colle sue schiere un arditocolpo di mano.Quanto vi fosse di vero in tutte queste ciarle non lo sisaprebbe dire; i timori però erano fondati, poichè, a ter-mini della costituzione, il governo non poteva disporrenella capitale nè di truppe nè di una rispettabile forza dipolizia, ed era di fatti in balìa di qualsiasi schiera di ban-diti. Si riseppe il proposito di impedire ogni tentativo diliberazione col giustiziare immediatamente gli arrestati.Ciò non era possibile secondo la costituzione.Secondo l'antico sacro diritto di provocazione la pena dimorte contro il cittadino della repubblica non poteva es-sere pronunciata che da tutta la borghesia e da nes-sun'altra autorità; e da quando i giudizi della borghesiaerano divenuti una anticaglia, non si era pronunciata piùalcuna sentenza di morte.Cicerone avrebbe volentieri respinta la scabrosa posizio-ne; per quanto la questione di diritto dovesse essere persè indifferente all'avvocato, egli sapeva benissimo quan-to profittevole sia appunto all'avvocato l'essere ritenutoliberale e si sentiva poca voglia di separarsi per sempredal partito democratico con lo spargimento di questosangue.Senonchè coloro che lo contornavano, e particolarmentesua moglie, di nobile schiatta, lo spingevano a coronarecon questo atto ardito i suoi meriti verso la patria; il

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console, angosciosamente intento come tutti i vigliacchiad evitare l'apparenza della viltà e tremando in pari tem-po dinanzi alla terribile responsabilità, convocò nellasua angustia il senato e gli lasciò la facoltà di pronun-ciarsi sulla vita o sulla morte dei quattro detenuti. Ciò adir vero non aveva senso, poichè il senato, secondo lacostituzione, aveva meno facoltà di pronunciare talesentenza che non il console, mentre poi tutta la respon-sabilità cadeva legalmente ancor sempre su questo; maquando mai fu logica la vigliaccheria? Cesare fece ditutto per salvare i detenuti, e il suo discorso, pieno delleinevitabili minaccie di vendetta della democrazia, fecela più profonda impressione.Sebbene ormai tutti i consolari e la grande maggioranzadel senato si fossero pronunciati per la pena di morte, lamaggior parte però, e Cicerone alla testa, sembravanoinclinare di nuovo a tenersi entro i limiti della legalità.Ma Catone, cavillando, insinuò il sospetto che i propu-gnatori della clemenza fossero al corrente del complottoe parlando dei preparativi d'una sollevazione per libera-re i detenuti seppe far nascere negli animi titubanti unaltro timore ottenendo così la maggioranza per la imme-diata condanna capitale dei rei.L'esecuzione della sentenza incombeva naturalmente alconsole, che l'aveva provocata.A sera inoltrata del 5 dicembre gli arrestati furono toltidalle stanze, ove fino allora erano stati confinati, e attra-verso il Foro, ancora affollatissimo di gente, tradotti nelcarcere in cui si solevano condurre i delinquenti condan-

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console, angosciosamente intento come tutti i vigliacchiad evitare l'apparenza della viltà e tremando in pari tem-po dinanzi alla terribile responsabilità, convocò nellasua angustia il senato e gli lasciò la facoltà di pronun-ciarsi sulla vita o sulla morte dei quattro detenuti. Ciò adir vero non aveva senso, poichè il senato, secondo lacostituzione, aveva meno facoltà di pronunciare talesentenza che non il console, mentre poi tutta la respon-sabilità cadeva legalmente ancor sempre su questo; maquando mai fu logica la vigliaccheria? Cesare fece ditutto per salvare i detenuti, e il suo discorso, pieno delleinevitabili minaccie di vendetta della democrazia, fecela più profonda impressione.Sebbene ormai tutti i consolari e la grande maggioranzadel senato si fossero pronunciati per la pena di morte, lamaggior parte però, e Cicerone alla testa, sembravanoinclinare di nuovo a tenersi entro i limiti della legalità.Ma Catone, cavillando, insinuò il sospetto che i propu-gnatori della clemenza fossero al corrente del complottoe parlando dei preparativi d'una sollevazione per libera-re i detenuti seppe far nascere negli animi titubanti unaltro timore ottenendo così la maggioranza per la imme-diata condanna capitale dei rei.L'esecuzione della sentenza incombeva naturalmente alconsole, che l'aveva provocata.A sera inoltrata del 5 dicembre gli arrestati furono toltidalle stanze, ove fino allora erano stati confinati, e attra-verso il Foro, ancora affollatissimo di gente, tradotti nelcarcere in cui si solevano condurre i delinquenti condan-

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nati a morte.Era questo un sotterraneo a dodici piedi di profonditàposto ai piedi del Campidoglio, e che anticamente era ilpozzo capitolino.Il console stesso conduceva Lentulo, i pretori conduce-vano gli altri, tutti scortati da numerose guardie; il tenta-tivo di liberarli, che si attendeva, non ebbe luogo. Nes-suno sapeva se i detenuti venissero condotti in un luogosicuro o al patibolo. Sulla porta del carcere essi furonoconsegnati a triumviri incaricati di eseguire le sentenzecapitali e nel sotterraneo, al chiaror delle fiaccole, furo-no strozzati.Il console si fermò sulla soglia della porta finchè le ese-cuzioni furono finite, e diresse quindi ad alta voce allamoltitudine, che muta se ne stava stivata nel foro, le se-guenti parole: «sono morti».Sino a notte avanzata la popolazione ondeggiava per levie schiamazzando e inneggiando al console, cui crede-va di essere tenuta della conservazione delle sue case edei suoi averi. Il senato dispose che si facessero feste diringraziamento e i più distinti personaggi della nobiltà,Marco Catone e Quinto Catulo, salutarono l'autore dellacondanna capitale col nome – per la prima volta udito –di padre della patria.Ma fu un atto orribile, e tanto più orribile fu il fatto chea tutto un popolo parve grande e lodevole. Giammai unarepubblica si mostrò più miseramente rovinata di Romacon questa risoluzione dettata a sangue freddo dallamaggioranza del governo e approvata dalla pubblica

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nati a morte.Era questo un sotterraneo a dodici piedi di profonditàposto ai piedi del Campidoglio, e che anticamente era ilpozzo capitolino.Il console stesso conduceva Lentulo, i pretori conduce-vano gli altri, tutti scortati da numerose guardie; il tenta-tivo di liberarli, che si attendeva, non ebbe luogo. Nes-suno sapeva se i detenuti venissero condotti in un luogosicuro o al patibolo. Sulla porta del carcere essi furonoconsegnati a triumviri incaricati di eseguire le sentenzecapitali e nel sotterraneo, al chiaror delle fiaccole, furo-no strozzati.Il console si fermò sulla soglia della porta finchè le ese-cuzioni furono finite, e diresse quindi ad alta voce allamoltitudine, che muta se ne stava stivata nel foro, le se-guenti parole: «sono morti».Sino a notte avanzata la popolazione ondeggiava per levie schiamazzando e inneggiando al console, cui crede-va di essere tenuta della conservazione delle sue case edei suoi averi. Il senato dispose che si facessero feste diringraziamento e i più distinti personaggi della nobiltà,Marco Catone e Quinto Catulo, salutarono l'autore dellacondanna capitale col nome – per la prima volta udito –di padre della patria.Ma fu un atto orribile, e tanto più orribile fu il fatto chea tutto un popolo parve grande e lodevole. Giammai unarepubblica si mostrò più miseramente rovinata di Romacon questa risoluzione dettata a sangue freddo dallamaggioranza del governo e approvata dalla pubblica

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opinione e per la quale alcuni detenuti politici, punibili atenore delle leggi, ma non nella vita, venivano in granfretta immolati perchè le carceri non si credevano sicuree perchè non si disponeva d'una sufficente polizia.Il lato umoristico, che di rado manca in una tragedia sto-rica, fu che per quest'atto della più brutale tirannide,eseguito dal più timido di tutti gli uomini di stato roma-ni, venne prescelto il «primo console democratico» perdistruggere il palladio dell'antica libertà romana, il dirit-to di provocazione.

18. L'insurrezione etrusca vinta.

Soffocata ancor prima che scoppiasse la congiura nellacapitale, rimaneva di farla finita coll'insurrezionenell'Etruria.Il corpo di truppe di circa 2000 uomini, che vi avevatrovato Catilina, si era quasi quintuplicato colle numero-se reclute accorse e se ne erano già formate due buonelegioni, nelle quali però era sufficientemente armata ap-pena la quarta parte degli uomini. Catilina si era gettatocon queste sulle montagne evitando di venire a battagliacolle truppe d'Antonio, e ciò per dare l'ultima manoall'ordinamento delle sue schiere e per attendere lo scop-pio della sollevazione in Roma.Ma la notizia dell'insuccesso mise lo scoraggiamentoanche negli insorti; la massa dei meno compromessi sidisperse. I rimasti, più risoluti, o piuttosto più disperati,fecero un tentativo per aprirsi un passaggio nella Gallia

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opinione e per la quale alcuni detenuti politici, punibili atenore delle leggi, ma non nella vita, venivano in granfretta immolati perchè le carceri non si credevano sicuree perchè non si disponeva d'una sufficente polizia.Il lato umoristico, che di rado manca in una tragedia sto-rica, fu che per quest'atto della più brutale tirannide,eseguito dal più timido di tutti gli uomini di stato roma-ni, venne prescelto il «primo console democratico» perdistruggere il palladio dell'antica libertà romana, il dirit-to di provocazione.

18. L'insurrezione etrusca vinta.

Soffocata ancor prima che scoppiasse la congiura nellacapitale, rimaneva di farla finita coll'insurrezionenell'Etruria.Il corpo di truppe di circa 2000 uomini, che vi avevatrovato Catilina, si era quasi quintuplicato colle numero-se reclute accorse e se ne erano già formate due buonelegioni, nelle quali però era sufficientemente armata ap-pena la quarta parte degli uomini. Catilina si era gettatocon queste sulle montagne evitando di venire a battagliacolle truppe d'Antonio, e ciò per dare l'ultima manoall'ordinamento delle sue schiere e per attendere lo scop-pio della sollevazione in Roma.Ma la notizia dell'insuccesso mise lo scoraggiamentoanche negli insorti; la massa dei meno compromessi sidisperse. I rimasti, più risoluti, o piuttosto più disperati,fecero un tentativo per aprirsi un passaggio nella Gallia

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attraversando gli Appennini, ma arrivata la piccolaschiera ai piedi dei monti presso Pistoia si trovò serratatra due eserciti. Aveva di fronte quello di Quinto Metel-lo, colà giunto da Ravenna e da Rimini con lo scopo dioccupare il versante settentrionale dell'Appennino; allespalle l'armata di Antonio, il quale, arrendendosi final-mente all'insistenza dei suoi ufficiali, si era deciso aduna campagna d'inverno.Catilina era incastrato da ambo le parti ed i viveri eranoalla fine; non gli rimaneva altro da fare che di gettarsisul più prossimo nemico, cioè su Antonio. In una valleangusta, chiusa da monti scoscesi, gli insorti vennero abattaglia colle truppe d'Antonio, il quale quel giorno, al-meno per non essere costretto egli stesso a divenire ilcarnefice degli antichi suoi alleati, aveva con un prete-sto lasciato il comando a Marco Petreio, un valoroso uf-ficiale incanutito in mezzo alle armi. Data la condizionedel campo di battaglia, poco vantaggio derivava alletruppe del governo dall'essere in numero maggiore. Ca-tilina e Petreio collocarono i loro più fidati nelle primefile; non si diede nè si ottenne quartiere. Lungamentedurò la lotta e dalle due parti caddero molti valorosi;Catilina, il quale, prima che cominciasse il combatti-mento aveva rimandato il proprio cavallo e quello deglialtri ufficiali, provò quel giorno, che era stato destinatodalla natura a compiere cose straordinarie e che non erameno valente capitano che valoroso soldato. FinalmentePetreio ruppe colla sua guardia il centro nemico e dopod'averlo sbaragliato die' dentro nelle due ali; la vittoria

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attraversando gli Appennini, ma arrivata la piccolaschiera ai piedi dei monti presso Pistoia si trovò serratatra due eserciti. Aveva di fronte quello di Quinto Metel-lo, colà giunto da Ravenna e da Rimini con lo scopo dioccupare il versante settentrionale dell'Appennino; allespalle l'armata di Antonio, il quale, arrendendosi final-mente all'insistenza dei suoi ufficiali, si era deciso aduna campagna d'inverno.Catilina era incastrato da ambo le parti ed i viveri eranoalla fine; non gli rimaneva altro da fare che di gettarsisul più prossimo nemico, cioè su Antonio. In una valleangusta, chiusa da monti scoscesi, gli insorti vennero abattaglia colle truppe d'Antonio, il quale quel giorno, al-meno per non essere costretto egli stesso a divenire ilcarnefice degli antichi suoi alleati, aveva con un prete-sto lasciato il comando a Marco Petreio, un valoroso uf-ficiale incanutito in mezzo alle armi. Data la condizionedel campo di battaglia, poco vantaggio derivava alletruppe del governo dall'essere in numero maggiore. Ca-tilina e Petreio collocarono i loro più fidati nelle primefile; non si diede nè si ottenne quartiere. Lungamentedurò la lotta e dalle due parti caddero molti valorosi;Catilina, il quale, prima che cominciasse il combatti-mento aveva rimandato il proprio cavallo e quello deglialtri ufficiali, provò quel giorno, che era stato destinatodalla natura a compiere cose straordinarie e che non erameno valente capitano che valoroso soldato. FinalmentePetreio ruppe colla sua guardia il centro nemico e dopod'averlo sbaragliato die' dentro nelle due ali; la vittoria

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fu decisa con quest'atto. I cadaveri dei Catilinari – se necontarono 3000 – coprivano il suolo quasi nella posizio-ne in cui avevano combattuto; gli ufficiali ed il generalestesso, quando videro che tutto era perduto, si gettaronoin mezzo ai nemici cercando e trovando la morte (prin-cipio del 692 = 62).Per questa vittoria Antonio fu insignito dal senato deltitolo d'imperator e le nuove feste di ringraziamentoprovarono che il governo, non meno dei governati,cominciava ad abituarsi alla guerra civile.

19. Crasso e Cesare di fronte agli anarchici.

Il complotto anarchico era dunque stato stroncato tantonella capitale quanto in Italia con sanguinosa violenza;esso fu ricordato ancora soltanto per i processicriminali, i quali diradavano nelle città provincialietrusche e nella capitale le file degli alleati del partitovinto e delle ingrossate bande brigantesche dellapenisola, come ad esempio quella formatasi nel 694 =60 cogli avanzi degli eserciti di Spartaco e di Catilina, edistrutta colla forza delle armi nel territorio di Turio.Ma è importante ritenere che il colpo non era portatosolo contro gli anarchici, i quali si erano congiurati perincendiare la capitale e che avevano combattuto pressoPistoia, ma contro tutto il partito democratico. Che que-sto partito, e particolarmente Crasso e Cesare, avessequi le mani in giuoco non meno che nel complotto del688 = 66, deve essere considerato come un fatto provato

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fu decisa con quest'atto. I cadaveri dei Catilinari – se necontarono 3000 – coprivano il suolo quasi nella posizio-ne in cui avevano combattuto; gli ufficiali ed il generalestesso, quando videro che tutto era perduto, si gettaronoin mezzo ai nemici cercando e trovando la morte (prin-cipio del 692 = 62).Per questa vittoria Antonio fu insignito dal senato deltitolo d'imperator e le nuove feste di ringraziamentoprovarono che il governo, non meno dei governati,cominciava ad abituarsi alla guerra civile.

19. Crasso e Cesare di fronte agli anarchici.

Il complotto anarchico era dunque stato stroncato tantonella capitale quanto in Italia con sanguinosa violenza;esso fu ricordato ancora soltanto per i processicriminali, i quali diradavano nelle città provincialietrusche e nella capitale le file degli alleati del partitovinto e delle ingrossate bande brigantesche dellapenisola, come ad esempio quella formatasi nel 694 =60 cogli avanzi degli eserciti di Spartaco e di Catilina, edistrutta colla forza delle armi nel territorio di Turio.Ma è importante ritenere che il colpo non era portatosolo contro gli anarchici, i quali si erano congiurati perincendiare la capitale e che avevano combattuto pressoPistoia, ma contro tutto il partito democratico. Che que-sto partito, e particolarmente Crasso e Cesare, avessequi le mani in giuoco non meno che nel complotto del688 = 66, deve essere considerato come un fatto provato

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storicamente se non giuridicamente.Che Catulo e gli altri capi del partito senatorio accusas-sero il capo dei democratici di aver avuta conoscenzadel complotto anarchico, e che il medesimo come sena-tore parlasse e votasse contro la brutale sentenza di san-gue meditata dall'oligarchia, poteva essere consideratosolo dai cavillosi del partito come una prova valida dellasua partecipazione ai piani di Catilina. Ma di maggioreimportanza è una serie di altri fatti. Da testimonianzepositive e irrefragabili consta prima di tutto che Crassoe Cesare appoggiarono la candidatura di Catilina al con-solato.Quando Cesare nel 690 = 64 trasse dinanzi al tribunalegli sgherri di Silla, fece condannare gli altri e assolvereCatilina, il più colpevole e il più dannoso. In occasionedelle scoperte fatte il 3 dicembre Cicerone fra i congiu-rati denunciatigli non accennò veramente i nomi di queipersonaggi influenti; ma è noto, che i denuncianti nonindicarono solo quelli contro i quali fu poi apertal'inchiesta, ma anche «parecchi innocenti», che il conso-le Cicerone stimò bene di cancellare dalla lista; e quan-do negli ultimi anni egli non aveva alcun motivo di sfor-mare la verità, nominò appunto Cesare come uno di co-loro che ne erano edotti. Un'accusa indiretta, ma moltoassennata, si vuol trovare in ciò, che dei quattro arresta-ti, ai senatori Cesare e Crasso furono affidati i due menopericolosi, Statilio e Gabinio è evidente che essi dove-vano essere compromessi sia che li lasciassero fuggireapparendo dinanzi alla pubblica opinione come correi,

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storicamente se non giuridicamente.Che Catulo e gli altri capi del partito senatorio accusas-sero il capo dei democratici di aver avuta conoscenzadel complotto anarchico, e che il medesimo come sena-tore parlasse e votasse contro la brutale sentenza di san-gue meditata dall'oligarchia, poteva essere consideratosolo dai cavillosi del partito come una prova valida dellasua partecipazione ai piani di Catilina. Ma di maggioreimportanza è una serie di altri fatti. Da testimonianzepositive e irrefragabili consta prima di tutto che Crassoe Cesare appoggiarono la candidatura di Catilina al con-solato.Quando Cesare nel 690 = 64 trasse dinanzi al tribunalegli sgherri di Silla, fece condannare gli altri e assolvereCatilina, il più colpevole e il più dannoso. In occasionedelle scoperte fatte il 3 dicembre Cicerone fra i congiu-rati denunciatigli non accennò veramente i nomi di queipersonaggi influenti; ma è noto, che i denuncianti nonindicarono solo quelli contro i quali fu poi apertal'inchiesta, ma anche «parecchi innocenti», che il conso-le Cicerone stimò bene di cancellare dalla lista; e quan-do negli ultimi anni egli non aveva alcun motivo di sfor-mare la verità, nominò appunto Cesare come uno di co-loro che ne erano edotti. Un'accusa indiretta, ma moltoassennata, si vuol trovare in ciò, che dei quattro arresta-ti, ai senatori Cesare e Crasso furono affidati i due menopericolosi, Statilio e Gabinio è evidente che essi dove-vano essere compromessi sia che li lasciassero fuggireapparendo dinanzi alla pubblica opinione come correi,

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sia che realmente li custodissero di fronte ai loro com-plici come rinnegati.Significativa per la situazione è la seguente scena avve-nuta in senato. Subito dopo l'arresto di Lentulo e deisuoi compagni, fu arrestato dagli agenti del governo unmessaggero inviato dai congiurati della capitale a Catili-na. Assicuratagli l'impunità, questi fu indotto a fareun'ampia confessione in piena seduta del senato. Ma al-lorchè arrivò alla parte delicata della sua narrazione eindicò Crasso come colui che gli dava gli ordini, fu in-terrotto dai senatori, e su proposta di Cicerone fu decisodi cancellare tutta la denuncia senza ulteriore investiga-zione, e di tenere quell'uomo, malgrado la promessagliamnistia, in custodia fin quando egli non avesse fattauna ritrattazione non solo, ma anche confessato chi loavesse incitato ad una simile falsa deposizione.Si vede chiaramente non solo che quell'uomo conoscevamolto bene le circostanze, perchè, invitato ad attaccareCrasso, rispose di «non aver voglia di aizzare il toro del-la mandria», ma pure che la maggioranza del senato,con Cicerone alla testa, si era messa d'accordo per nonpermettere che le rivelazioni si estendessero oltre unacerta misura.Il pubblico non era tanto delicato; quei giovani che ave-vano impugnato le armi contro gli incendiari, non eranotanto irritati contro nessun altro quanto lo erano controCesare. Quando questi il 5 dicembre uscì dal senato essigli appuntarono le daghe contro il petto, e poco mancòche sin d'allora non perdesse la vita nello stesso luogo

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sia che realmente li custodissero di fronte ai loro com-plici come rinnegati.Significativa per la situazione è la seguente scena avve-nuta in senato. Subito dopo l'arresto di Lentulo e deisuoi compagni, fu arrestato dagli agenti del governo unmessaggero inviato dai congiurati della capitale a Catili-na. Assicuratagli l'impunità, questi fu indotto a fareun'ampia confessione in piena seduta del senato. Ma al-lorchè arrivò alla parte delicata della sua narrazione eindicò Crasso come colui che gli dava gli ordini, fu in-terrotto dai senatori, e su proposta di Cicerone fu decisodi cancellare tutta la denuncia senza ulteriore investiga-zione, e di tenere quell'uomo, malgrado la promessagliamnistia, in custodia fin quando egli non avesse fattauna ritrattazione non solo, ma anche confessato chi loavesse incitato ad una simile falsa deposizione.Si vede chiaramente non solo che quell'uomo conoscevamolto bene le circostanze, perchè, invitato ad attaccareCrasso, rispose di «non aver voglia di aizzare il toro del-la mandria», ma pure che la maggioranza del senato,con Cicerone alla testa, si era messa d'accordo per nonpermettere che le rivelazioni si estendessero oltre unacerta misura.Il pubblico non era tanto delicato; quei giovani che ave-vano impugnato le armi contro gli incendiari, non eranotanto irritati contro nessun altro quanto lo erano controCesare. Quando questi il 5 dicembre uscì dal senato essigli appuntarono le daghe contro il petto, e poco mancòche sin d'allora non perdesse la vita nello stesso luogo

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dove diciassette anni dopo fu colpito dal colpo fatale;per molto tempo egli non ricomparve più in senato.Chiunque spassionatamente rifletta all'andamento dellacongiura, non potrà liberarsi dal sospetto che durantetutto questo tempo dietro Catilina si tenessero celati ipotenti, i quali – facendosi forti della mancanza di qual-siasi prova legale a loro carico, e facendo assegnamentosulla lentezza e sulla vigliaccheria dei semi-indiziati esulla maggioranza del senato pronta a cogliere avida-mente ogni pretesto onde mantenersi nella sua inerzia –sapevano arrestare qualunque misura efficace delle au-torità contro la congiura, procurare libera partenza alcapo degli insorti, ed ordinare persino la dichiarazionedi guerra e l'invio di truppe contro gli insorti in modoche equivalessero quasi all'invio di un esercito ausiliare.Se quindi l'andamento stesso degli avvenimenti dimo-stra che i fili del complotto vanno molto al disopra diLentulo e di Catilina, meriterà considerazione anche lacircostanza, che in un'epoca molto posteriore, quandoCesare ebbe afferrato il timone dello stato, egli si tennein strettissima relazione col solo catilinare che fosse ri-masto, Publio Sittio, già condottiero di volontari dellaMauritania, e l'altra che Cesare modificò la legge sui de-biti come la volevano i proclami di Manlio.Tutti questi incidenti particolari parlano abbastanzachiaro; ma quand'anche ciò non fosse, la posizione di-sperata della democrazia di fronte al potere militare, chedopo le leggi gabinio-manilie si fa più minacciosa chemai elevandosi al suo fianco, chiarisce quasi con certez-

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dove diciassette anni dopo fu colpito dal colpo fatale;per molto tempo egli non ricomparve più in senato.Chiunque spassionatamente rifletta all'andamento dellacongiura, non potrà liberarsi dal sospetto che durantetutto questo tempo dietro Catilina si tenessero celati ipotenti, i quali – facendosi forti della mancanza di qual-siasi prova legale a loro carico, e facendo assegnamentosulla lentezza e sulla vigliaccheria dei semi-indiziati esulla maggioranza del senato pronta a cogliere avida-mente ogni pretesto onde mantenersi nella sua inerzia –sapevano arrestare qualunque misura efficace delle au-torità contro la congiura, procurare libera partenza alcapo degli insorti, ed ordinare persino la dichiarazionedi guerra e l'invio di truppe contro gli insorti in modoche equivalessero quasi all'invio di un esercito ausiliare.Se quindi l'andamento stesso degli avvenimenti dimo-stra che i fili del complotto vanno molto al disopra diLentulo e di Catilina, meriterà considerazione anche lacircostanza, che in un'epoca molto posteriore, quandoCesare ebbe afferrato il timone dello stato, egli si tennein strettissima relazione col solo catilinare che fosse ri-masto, Publio Sittio, già condottiero di volontari dellaMauritania, e l'altra che Cesare modificò la legge sui de-biti come la volevano i proclami di Manlio.Tutti questi incidenti particolari parlano abbastanzachiaro; ma quand'anche ciò non fosse, la posizione di-sperata della democrazia di fronte al potere militare, chedopo le leggi gabinio-manilie si fa più minacciosa chemai elevandosi al suo fianco, chiarisce quasi con certez-

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za, che essa, come in simili casi suole avvenire, cercòun'ultima risorsa nei complotti segreti e nella lega colpartito dell'anarchia. Le circostanze erano molto simili aquelle del tempo di Silla.Se Pompeo prese in oriente una posizione come presso apoco fece Silla a suo tempo, Crasso e Cesare si sforza-rono di contrapporgli in Italia un potere, come l'avevanogià avuto Mario e Cinna, per poi servirsene meglio diloro. La via che vi conduceva era ancora quella del ter-rorismo e dell'anarchia, e Catilina era senza dubbiol'uomo capace di prepararla.Naturalmente i più ragguardevoli capi della democraziasi tennero possibilmente nell'ombra e lasciarono ai socipiù abbietti l'esecuzione dell'abbietto lavoro, sperandopoi di appropriarsene il risultato politico.E quando l'affare andò a male, i soci altolocati impiega-rono con tanta maggior cura tutti i mezzi per nasconderela loro partecipazione.E anche posteriormente, quando l'antico cospiratore eradivenuto egli stesso il bersaglio dei complotti politici, sidistese, appunto perciò, su quei tristi anni della vita delgrand'uomo un velo ancor più fitto, e in questo sensofurono scritte perfino delle apologie in suo favore27.27 Una di queste è la Catilinaria di SALLUSTIO, pubblicata dall'autore, noto

cesariano, dopo l'anno 708 = 46, sotto la dominazione di Cesare, o piùverosimilmente sotto il triunvirato dei suoi eredi; evidentemente è unopuscolo politico tendente a far salire in onore il partito democratico, chefu la base fondamentale della monarchia romana, e a purificare la memoriadi Cesare dalla più nera macchia annessavi; inoltre a riabilitarepossibilmente lo zio del triunviro Marco Antonio (confr. B. c. 59 conDIONE, 37, 39). Nello stesso modo la Giugurtina del medesimo autore

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za, che essa, come in simili casi suole avvenire, cercòun'ultima risorsa nei complotti segreti e nella lega colpartito dell'anarchia. Le circostanze erano molto simili aquelle del tempo di Silla.Se Pompeo prese in oriente una posizione come presso apoco fece Silla a suo tempo, Crasso e Cesare si sforza-rono di contrapporgli in Italia un potere, come l'avevanogià avuto Mario e Cinna, per poi servirsene meglio diloro. La via che vi conduceva era ancora quella del ter-rorismo e dell'anarchia, e Catilina era senza dubbiol'uomo capace di prepararla.Naturalmente i più ragguardevoli capi della democraziasi tennero possibilmente nell'ombra e lasciarono ai socipiù abbietti l'esecuzione dell'abbietto lavoro, sperandopoi di appropriarsene il risultato politico.E quando l'affare andò a male, i soci altolocati impiega-rono con tanta maggior cura tutti i mezzi per nasconderela loro partecipazione.E anche posteriormente, quando l'antico cospiratore eradivenuto egli stesso il bersaglio dei complotti politici, sidistese, appunto perciò, su quei tristi anni della vita delgrand'uomo un velo ancor più fitto, e in questo sensofurono scritte perfino delle apologie in suo favore27.27 Una di queste è la Catilinaria di SALLUSTIO, pubblicata dall'autore, noto

cesariano, dopo l'anno 708 = 46, sotto la dominazione di Cesare, o piùverosimilmente sotto il triunvirato dei suoi eredi; evidentemente è unopuscolo politico tendente a far salire in onore il partito democratico, chefu la base fondamentale della monarchia romana, e a purificare la memoriadi Cesare dalla più nera macchia annessavi; inoltre a riabilitarepossibilmente lo zio del triunviro Marco Antonio (confr. B. c. 59 conDIONE, 37, 39). Nello stesso modo la Giugurtina del medesimo autore

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20. Sconfitta totale del partito democratico.

Pompeo si trovava ormai da cinque anni in Oriente allatesta dei suoi eserciti e delle sue flotte, e da cinque annila democrazia cospirava in patria per abbatterlo. Ilrisultato era scoraggiante. Con indicibili sforzi non solonon si era ottenuto nulla, ma si erano subite immenseperdite morali e materiali.Già la coalizione dell'anno 683 = 71 doveva considerar-si come uno scandalo dei democratici puri, sebbene lademocrazia allora non fosse in lega che con due uominirispettabili del partito opposto obbligatisi al suo pro-gramma. Ma ora il partito democratico aveva fatto causacomune con una banda d'assassini e di falliti, quasi tuttiegualmente disertori del campo dell'aristocrazia, e avevaaccettato almeno provvisoriamente il loro programma,cioè il terrorismo di Cinna.Il partito dei capitalisti, uno dei principali elementi dellacoalizione del 683=71, si staccò perciò dalla democraziaper gettarsi nelle braccia degli ottimati, e in generale poiad ogni regime, che volesse o potesse proteggerlo con-tro l'anarchia. Persino la moltitudine della capitale, laquale non avrebbe trovato nulla a ridire contro un tu-multo di piazza, ma trovava incomodo di vedersi arderela propria casa, era in qualche apprensione. È degno di

doveva servire in parte a scoprire la meschinità del governo oligarchico, inparte a magnificare il capo della democrazia Caio Mario. La circostanza,che l'esperto scrittore non fa conoscere il carattere apologetico eaccusatorio di questi suoi libri, non prova che essi non siano opuscoli dipartito, ma che sono ben compilati.

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20. Sconfitta totale del partito democratico.

Pompeo si trovava ormai da cinque anni in Oriente allatesta dei suoi eserciti e delle sue flotte, e da cinque annila democrazia cospirava in patria per abbatterlo. Ilrisultato era scoraggiante. Con indicibili sforzi non solonon si era ottenuto nulla, ma si erano subite immenseperdite morali e materiali.Già la coalizione dell'anno 683 = 71 doveva considerar-si come uno scandalo dei democratici puri, sebbene lademocrazia allora non fosse in lega che con due uominirispettabili del partito opposto obbligatisi al suo pro-gramma. Ma ora il partito democratico aveva fatto causacomune con una banda d'assassini e di falliti, quasi tuttiegualmente disertori del campo dell'aristocrazia, e avevaaccettato almeno provvisoriamente il loro programma,cioè il terrorismo di Cinna.Il partito dei capitalisti, uno dei principali elementi dellacoalizione del 683=71, si staccò perciò dalla democraziaper gettarsi nelle braccia degli ottimati, e in generale poiad ogni regime, che volesse o potesse proteggerlo con-tro l'anarchia. Persino la moltitudine della capitale, laquale non avrebbe trovato nulla a ridire contro un tu-multo di piazza, ma trovava incomodo di vedersi arderela propria casa, era in qualche apprensione. È degno di

doveva servire in parte a scoprire la meschinità del governo oligarchico, inparte a magnificare il capo della democrazia Caio Mario. La circostanza,che l'esperto scrittore non fa conoscere il carattere apologetico eaccusatorio di questi suoi libri, non prova che essi non siano opuscoli dipartito, ma che sono ben compilati.

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rilievo che appunto in quest'anno (691 = 63) fu piena-mente ristabilita la distribuzione del grano secondo lalegge sempronia, e ciò per parte del senato su propostadi Catone.La lega dei capi della democrazia con l'anarchia avevaevidentemente elevato una barriera fra quelli e la bor-ghesia, e l'oligarchia, con esito momentaneamente feli-ce, si sforzava di aumentare il dissenso e di tirare a sè lemasse.Finalmente se Gneo Pompeo era stato informato di tuttequeste cabale, n'era però anche irritato. La democrazia,dopo quanto era accaduto, e dopo che essa stessa avevaspezzato i legami che la tenevano vincolata a Pompeo,non poteva più decentemente pretendere da lui quelloche nel 684 = 70 una certa equità le dava diritto di pre-tendere e cioè che non distruggesse colla spada quel po-tere democratico, che egli stesso aveva fatto sorgere eche era stato la base della sua elevazione.Tale era l'avvilimento e la debolezza della democrazia;più che tutto poi essa si era resa ridicola per l'assenza diogni pudore nel rivelare la sua impotenza e la sua insi-pienza. Quando si trattava di avvilire il rovesciato go-verno o di simili inutilità essa era grande e potente; maogni suo tentativo di ottenere un successo politico eraandato assolutamente fallito.I suoi rapporti con Pompeo non erano meno falsi chemeschini. Mentre lo ricolmava di lodi e di omaggi, ordi-va contro di lui un intrigo dopo l'altro, e tutti sparivanocome tante bolle di sapone. Il comandante dell'oriente e

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rilievo che appunto in quest'anno (691 = 63) fu piena-mente ristabilita la distribuzione del grano secondo lalegge sempronia, e ciò per parte del senato su propostadi Catone.La lega dei capi della democrazia con l'anarchia avevaevidentemente elevato una barriera fra quelli e la bor-ghesia, e l'oligarchia, con esito momentaneamente feli-ce, si sforzava di aumentare il dissenso e di tirare a sè lemasse.Finalmente se Gneo Pompeo era stato informato di tuttequeste cabale, n'era però anche irritato. La democrazia,dopo quanto era accaduto, e dopo che essa stessa avevaspezzato i legami che la tenevano vincolata a Pompeo,non poteva più decentemente pretendere da lui quelloche nel 684 = 70 una certa equità le dava diritto di pre-tendere e cioè che non distruggesse colla spada quel po-tere democratico, che egli stesso aveva fatto sorgere eche era stato la base della sua elevazione.Tale era l'avvilimento e la debolezza della democrazia;più che tutto poi essa si era resa ridicola per l'assenza diogni pudore nel rivelare la sua impotenza e la sua insi-pienza. Quando si trattava di avvilire il rovesciato go-verno o di simili inutilità essa era grande e potente; maogni suo tentativo di ottenere un successo politico eraandato assolutamente fallito.I suoi rapporti con Pompeo non erano meno falsi chemeschini. Mentre lo ricolmava di lodi e di omaggi, ordi-va contro di lui un intrigo dopo l'altro, e tutti sparivanocome tante bolle di sapone. Il comandante dell'oriente e

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dei mari, lungi dal difendersi contro codeste miserabilimanovre, sembrava persino ignorarle e ne riportava lesue vittorie, al pari di Ercole sui Pigmei, senza nemme-no avvedersene.Il tentativo di suscitare la guerra civile era andato mise-ramente fallito. La frazione anarchica aveva spiegato al-meno una qualche energia; ma la democrazia pura avevaben saputo assoldare le sue masnade, ma non condurle,nè salvarle, nè morire con esse.La vecchia oligarchia, mortalmente sfinita di forze, in-grossata colle masse uscite dalle file della democrazia, especialmente per la manifesta eguaglianza dei suoi inte-ressi con quelli di Pompeo, aveva potuto abbattere que-sto tentativo e riportare così un'ultima vittoria sulla de-mocrazia.Frattanto era morto re Mitridate, l'Asia minore e la Siriaerano organizzate, e da un momento all'altro era da at-tendersi il ritorno di Pompeo. La soluzione non dovevafarsi attendere; ma si poteva di fatto ancora parlare diuna soluzione tra un generale che ritornava in patria piùglorioso e più potente che mai e la democrazia più chemai avvilita e impotente?Crasso si disponeva a far imbarcare la sua famiglia e isuoi tesori e ad andare in cerca di un libero asilo inoriente; e persino una natura così elastica e così energicacome quella di Cesare sembrava essere in procinto diconsiderare la partita come perduta.In quell'anno (691 = 63) si riporta la sua candidatura perla carica di supremo pontefice; nel lasciare, il mattino

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dei mari, lungi dal difendersi contro codeste miserabilimanovre, sembrava persino ignorarle e ne riportava lesue vittorie, al pari di Ercole sui Pigmei, senza nemme-no avvedersene.Il tentativo di suscitare la guerra civile era andato mise-ramente fallito. La frazione anarchica aveva spiegato al-meno una qualche energia; ma la democrazia pura avevaben saputo assoldare le sue masnade, ma non condurle,nè salvarle, nè morire con esse.La vecchia oligarchia, mortalmente sfinita di forze, in-grossata colle masse uscite dalle file della democrazia, especialmente per la manifesta eguaglianza dei suoi inte-ressi con quelli di Pompeo, aveva potuto abbattere que-sto tentativo e riportare così un'ultima vittoria sulla de-mocrazia.Frattanto era morto re Mitridate, l'Asia minore e la Siriaerano organizzate, e da un momento all'altro era da at-tendersi il ritorno di Pompeo. La soluzione non dovevafarsi attendere; ma si poteva di fatto ancora parlare diuna soluzione tra un generale che ritornava in patria piùglorioso e più potente che mai e la democrazia più chemai avvilita e impotente?Crasso si disponeva a far imbarcare la sua famiglia e isuoi tesori e ad andare in cerca di un libero asilo inoriente; e persino una natura così elastica e così energicacome quella di Cesare sembrava essere in procinto diconsiderare la partita come perduta.In quell'anno (691 = 63) si riporta la sua candidatura perla carica di supremo pontefice; nel lasciare, il mattino

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dell'elezione, la sua abitazione, disse che se anche in ciònon fosse riuscito, non avrebbe più oltrepassata la sogliadella sua casa.

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dell'elezione, la sua abitazione, disse che se anche in ciònon fosse riuscito, non avrebbe più oltrepassata la sogliadella sua casa.

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QUINTO CAPITOLORITORNO DI POMPEO E COALIZIONE

DEI PRETENDENTI

1. Pompeo in oriente.Quando Pompeo, compiuta la sua missione, rivolse isuoi sguardi alla patria, trovò per la seconda volta lacorona ai suoi piedi.Già da lungo tempo la soluzione del sistema di governoromano inclinava verso una tale catastrofe; ad ogniuomo spassionato riusciva evidente ciò che era statodetto molte volte, cioè, che caduto il potere dell'aristo-crazia sarebbe stata inevitabile la monarchia. Ora il se-nato era stato rovesciato contemporaneamentedall'opposizione liberale cittadina e dalla forza militare;si trattava solo, per il nuovo ordine di cose, di stabilirele persone, i nomi e le forme, che del resto erano già ab-bastanza chiaramente indicati, parte negli elementi de-mocratici, parte nei militari della rivoluzione.Gli avvenimenti degli ultimi cinque anni avevano, percosì dire, apposto l'ultimo suggello a questa sovrastantetrasformazione della repubblica.Pompeo aveva gettate le basi della sua signoria nelleprovince asiatiche di nuova organizzazione, che nel loroorganizzatore veneravano regalmente il successore delgrande Alessandro, e accoglievano già come principi isuoi liberti favoriti, e colà aveva trovato al tempo stesso

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QUINTO CAPITOLORITORNO DI POMPEO E COALIZIONE

DEI PRETENDENTI

1. Pompeo in oriente.Quando Pompeo, compiuta la sua missione, rivolse isuoi sguardi alla patria, trovò per la seconda volta lacorona ai suoi piedi.Già da lungo tempo la soluzione del sistema di governoromano inclinava verso una tale catastrofe; ad ogniuomo spassionato riusciva evidente ciò che era statodetto molte volte, cioè, che caduto il potere dell'aristo-crazia sarebbe stata inevitabile la monarchia. Ora il se-nato era stato rovesciato contemporaneamentedall'opposizione liberale cittadina e dalla forza militare;si trattava solo, per il nuovo ordine di cose, di stabilirele persone, i nomi e le forme, che del resto erano già ab-bastanza chiaramente indicati, parte negli elementi de-mocratici, parte nei militari della rivoluzione.Gli avvenimenti degli ultimi cinque anni avevano, percosì dire, apposto l'ultimo suggello a questa sovrastantetrasformazione della repubblica.Pompeo aveva gettate le basi della sua signoria nelleprovince asiatiche di nuova organizzazione, che nel loroorganizzatore veneravano regalmente il successore delgrande Alessandro, e accoglievano già come principi isuoi liberti favoriti, e colà aveva trovato al tempo stesso

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i tesori, l'esercito e l'aureola, di cui abbisognava il futuroprincipe dello stato romano.La congiura anarchica della capitale e la guerra cittadi-na, che le aveva tenuto dietro, avevano mostrato consensibile e fiera evidenza a chiunque avesse a cuore gliinteressi politici od anche solo materiali, che un governosenza autorità e senza forza come quello del senato,esponeva lo stato ad una non meno ridicola che terribiletirannide di avventurieri politici, e che una riforma dellacostituzione, la quale unisse più fermamente il poteremilitare col governo, era un'incontestabile necessità per-chè l'ordine sociale potesse ulteriormente esistere.Così era sorto in oriente il sovrano, in Italia era stato ap-prestato il trono; secondo tutte le apparenze l'anno (692= 62) era l'ultimo della repubblica, il primo della monar-chia.

2. Gli avversari del futuro sovrano.

Certamente non era possibile raggiungere questa metasenza una lotta. La costituzione, che aveva duratocinque secoli, e sotto la quale l'insignificante città postasul Tevere era salita a grandezza e magnificenza senzaesempio, aveva gettato profondissime radici nel suolo, enon si poteva assolutamente calcolare quantoprofondamente il tentativo di abbatterla avrebbe dovutominare le fondamenta della società.Parecchi rivali erano stati da Pompeo oltrepassati nellagara verso la grande meta, ma non interamente rimossi.

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i tesori, l'esercito e l'aureola, di cui abbisognava il futuroprincipe dello stato romano.La congiura anarchica della capitale e la guerra cittadi-na, che le aveva tenuto dietro, avevano mostrato consensibile e fiera evidenza a chiunque avesse a cuore gliinteressi politici od anche solo materiali, che un governosenza autorità e senza forza come quello del senato,esponeva lo stato ad una non meno ridicola che terribiletirannide di avventurieri politici, e che una riforma dellacostituzione, la quale unisse più fermamente il poteremilitare col governo, era un'incontestabile necessità per-chè l'ordine sociale potesse ulteriormente esistere.Così era sorto in oriente il sovrano, in Italia era stato ap-prestato il trono; secondo tutte le apparenze l'anno (692= 62) era l'ultimo della repubblica, il primo della monar-chia.

2. Gli avversari del futuro sovrano.

Certamente non era possibile raggiungere questa metasenza una lotta. La costituzione, che aveva duratocinque secoli, e sotto la quale l'insignificante città postasul Tevere era salita a grandezza e magnificenza senzaesempio, aveva gettato profondissime radici nel suolo, enon si poteva assolutamente calcolare quantoprofondamente il tentativo di abbatterla avrebbe dovutominare le fondamenta della società.Parecchi rivali erano stati da Pompeo oltrepassati nellagara verso la grande meta, ma non interamente rimossi.

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Non era assolutamente da escludersi, che tutti questi siunissero per abbattere il nuovo signore, e che Pompeo sitrovasse di fronte Quinto Catulo e Marco Catone riuniticon Marco Crasso, Caio Cesare e Tito Labieno. Ma nonfacilmente si poteva iniziare la grande e inevitabile lottasotto più favorevoli circostanze.Era molto probabile che sotto la fresca impressione del-la sollevazione catilinaria aderissero ad un governo cheprometteva l'ordine e la sicurezza, sebbene al caro prez-zo della libertà, tutto il partito moderato, anzi tutto ilceto mercantile, come quello cui stanno a cuore i propriinteressi materiali, e una gran parte dell'aristocrazia, laquale, in sè stessa rovinata, e dal lato politico senza spe-ranze, avrebbe dovuto essere contenta di assicurarsi ric-chezze, cariche ed influenza con una transazione fattacol principe a tempo opportuno. Forse vi si poteva unireanche quella parte della democrazia che era stata grave-mente travagliata dagli ultimi colpi, nella speranza diveder realizzata una parte delle sue richieste da un capoda essa innalzato.Ma in qualunque modo si mettessero le condizioni deipartiti, che cosa potevano questi, almeno per il momen-to, nell'Italia in generale di fronte a Pompeo ed al suopoderoso esercito? Venti anni prima, dopo conclusa conMitridate una pace di necessità, Silla aveva potuto, collesue cinque legioni, procedere ad una restaurazione con-traria al naturale sviluppo delle cose, malgrado tutto ilpartito liberale che da anni si andava armando, dagli ari-stocratici moderati e dal ceto mercantile liberale sino

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Non era assolutamente da escludersi, che tutti questi siunissero per abbattere il nuovo signore, e che Pompeo sitrovasse di fronte Quinto Catulo e Marco Catone riuniticon Marco Crasso, Caio Cesare e Tito Labieno. Ma nonfacilmente si poteva iniziare la grande e inevitabile lottasotto più favorevoli circostanze.Era molto probabile che sotto la fresca impressione del-la sollevazione catilinaria aderissero ad un governo cheprometteva l'ordine e la sicurezza, sebbene al caro prez-zo della libertà, tutto il partito moderato, anzi tutto ilceto mercantile, come quello cui stanno a cuore i propriinteressi materiali, e una gran parte dell'aristocrazia, laquale, in sè stessa rovinata, e dal lato politico senza spe-ranze, avrebbe dovuto essere contenta di assicurarsi ric-chezze, cariche ed influenza con una transazione fattacol principe a tempo opportuno. Forse vi si poteva unireanche quella parte della democrazia che era stata grave-mente travagliata dagli ultimi colpi, nella speranza diveder realizzata una parte delle sue richieste da un capoda essa innalzato.Ma in qualunque modo si mettessero le condizioni deipartiti, che cosa potevano questi, almeno per il momen-to, nell'Italia in generale di fronte a Pompeo ed al suopoderoso esercito? Venti anni prima, dopo conclusa conMitridate una pace di necessità, Silla aveva potuto, collesue cinque legioni, procedere ad una restaurazione con-traria al naturale sviluppo delle cose, malgrado tutto ilpartito liberale che da anni si andava armando, dagli ari-stocratici moderati e dal ceto mercantile liberale sino

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agli anarchici.L'impresa di Pompeo era molto meno difficile. Egli ri-tornava dopo aver compiuto pienamente e coscienziosa-mente per terra e per mare i suoi diversi incarichi. Eglipoteva lusingarsi di non trovare altra seria opposizionefuorchè quella dei diversi partiti estremi, che isolati nul-la potevano, e uniti non erano altro che una coalizionedi fazioni avverse sordamente le une alle altre.Esse erano del tutto inermi e non avevano nè esercito nècapo, senza organizzazione in Italia, senza appoggionelle province, e, quel che più importa, senza un genera-le; le loro file non contavano un solo militare degno dital nome, tanto meno poi un ufficiale capace di stimola-re i cittadini che avessero tentato di combattere controPompeo. Si doveva anche tener conto che il vulcanodella rivoluzione, il quale ardeva senza tregua da set-tant'anni, andava consumandosi, visibilmente diminuen-do e spegnendosi nel proprio cratere.Era molto dubbio se esso sarebbe riuscito ad armare gliItalici per interesse di parte, come avevano potuto fareCinna e Carbone. Se Pompeo si decideva, come dubitareche non riuscisse a compiere una rivoluzione, che eragià fatalmente designata come una naturale necessitànello sviluppo del sistema repubblicano di Roma?

3. Pompeo di fronte ai partiti.

Pompeo, che aveva scelto bene il momento perassumere la missione dell'oriente, pareva che volesse

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agli anarchici.L'impresa di Pompeo era molto meno difficile. Egli ri-tornava dopo aver compiuto pienamente e coscienziosa-mente per terra e per mare i suoi diversi incarichi. Eglipoteva lusingarsi di non trovare altra seria opposizionefuorchè quella dei diversi partiti estremi, che isolati nul-la potevano, e uniti non erano altro che una coalizionedi fazioni avverse sordamente le une alle altre.Esse erano del tutto inermi e non avevano nè esercito nècapo, senza organizzazione in Italia, senza appoggionelle province, e, quel che più importa, senza un genera-le; le loro file non contavano un solo militare degno dital nome, tanto meno poi un ufficiale capace di stimola-re i cittadini che avessero tentato di combattere controPompeo. Si doveva anche tener conto che il vulcanodella rivoluzione, il quale ardeva senza tregua da set-tant'anni, andava consumandosi, visibilmente diminuen-do e spegnendosi nel proprio cratere.Era molto dubbio se esso sarebbe riuscito ad armare gliItalici per interesse di parte, come avevano potuto fareCinna e Carbone. Se Pompeo si decideva, come dubitareche non riuscisse a compiere una rivoluzione, che eragià fatalmente designata come una naturale necessitànello sviluppo del sistema repubblicano di Roma?

3. Pompeo di fronte ai partiti.

Pompeo, che aveva scelto bene il momento perassumere la missione dell'oriente, pareva che volesse

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proseguire.Nell'autunno del 691 = 63 arrivò nella capitale QuintoMetello Nepote, proveniente dal campo di Pompeo, e sipresentò quale candidato al tribunato colla manifesta in-tenzione di procurare nella sua qualità di tribuno del po-polo il consolato del 693 = 61 a Pompeo e subito dopo,con un plebiscito, il comando della guerra contro Catili-na.Immensa era l'agitazione in Roma. Non era da dubitareche Nepote agisse per ordine diretto od indiretto diPompeo. La richiesta di Pompeo di venire in Italia comesupremo duce alla testa delle sue legioni asiatiche e diassumervi il supremo potere militare e civile venivaconsiderata come un altro passo sulla via per arrivare altrono, e la missione di Nepote come la proclamazionesemi-ufficiale della monarchia.Tutto dipendeva dal modo con cui i due grandi poteripolitici accoglierebbero queste manifestazioni; la lorocondizione futura e l'avvenire della nazione dipendevada ciò. Ma l'accoglienza che fu fatta a Nepote fu sugge-rita dalla condizione molto singolare in cui si trovavanoi partiti di fronte a Pompeo. Pompeo si era recato inoriente come generale della democrazia. Egli aveva suf-ficienti motivi per essere malcontento di Cesare e de'suoi seguaci, ma con questi non era avvenuta un'apertarottura. È probabile che Pompeo, assai lontano da Romae occupato diversamente, e oltre ciò privo del dono diorientarsi politicamente, non s'avvedesse, almeno allora,della estensione e della concentrazione degli intrighi

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proseguire.Nell'autunno del 691 = 63 arrivò nella capitale QuintoMetello Nepote, proveniente dal campo di Pompeo, e sipresentò quale candidato al tribunato colla manifesta in-tenzione di procurare nella sua qualità di tribuno del po-polo il consolato del 693 = 61 a Pompeo e subito dopo,con un plebiscito, il comando della guerra contro Catili-na.Immensa era l'agitazione in Roma. Non era da dubitareche Nepote agisse per ordine diretto od indiretto diPompeo. La richiesta di Pompeo di venire in Italia comesupremo duce alla testa delle sue legioni asiatiche e diassumervi il supremo potere militare e civile venivaconsiderata come un altro passo sulla via per arrivare altrono, e la missione di Nepote come la proclamazionesemi-ufficiale della monarchia.Tutto dipendeva dal modo con cui i due grandi poteripolitici accoglierebbero queste manifestazioni; la lorocondizione futura e l'avvenire della nazione dipendevada ciò. Ma l'accoglienza che fu fatta a Nepote fu sugge-rita dalla condizione molto singolare in cui si trovavanoi partiti di fronte a Pompeo. Pompeo si era recato inoriente come generale della democrazia. Egli aveva suf-ficienti motivi per essere malcontento di Cesare e de'suoi seguaci, ma con questi non era avvenuta un'apertarottura. È probabile che Pompeo, assai lontano da Romae occupato diversamente, e oltre ciò privo del dono diorientarsi politicamente, non s'avvedesse, almeno allora,della estensione e della concentrazione degli intrighi

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tessuti dai democratici contro di lui, e che forse, ancheconoscendoli, con l'altero e disdegnoso suo caratteremettesse un certo orgoglio nell'ignorare questa operositàda talpe. Si aggiunga – ciò che ha un gran peso in un ca-rattere come quello di Pompeo – che la democrazia nonaveva mai mancato di mostrare un esteriore rispetto ver-so il grand'uomo; anzi appunto in questa circostanza(691 = 63) gli aveva conferito spontaneamente con unapposito plebiscito, e come egli lo desiderava, onori edecorazioni inaudite.Però, quando pure tuttociò non fosse avvenuto, Pompeo,badando al proprio interesse, doveva, almeno apparente-mente, attenersi tuttavia al partito popolare; la democra-zia e la monarchia sono così intimamente affini, chePompeo, stendendo la mano alla corona, non poteva ameno di dirsi, come era stato fino allora, il difensore deidiritti del popolo.Mentre per tal modo concorrevano cause personali e po-litiche affinchè, nonostante tutto l'accaduto, fosse man-tenuto il passato legame fra Pompeo ed i corifei dellademocrazia, dalla parte opposta, invece, nulla si facevaper colmare l'abisso che lo separava dai suoi partigianisillani dell'epoca del suo passaggio nel campo della de-mocrazia.La sua personale controversia con Metello e con Lucul-lo si riportava alle estese ed influenti loro consorterie.Una meschina opposizione del senato, che appunto perla sua meschinità, trattandosi di un carattere leggero,

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tessuti dai democratici contro di lui, e che forse, ancheconoscendoli, con l'altero e disdegnoso suo caratteremettesse un certo orgoglio nell'ignorare questa operositàda talpe. Si aggiunga – ciò che ha un gran peso in un ca-rattere come quello di Pompeo – che la democrazia nonaveva mai mancato di mostrare un esteriore rispetto ver-so il grand'uomo; anzi appunto in questa circostanza(691 = 63) gli aveva conferito spontaneamente con unapposito plebiscito, e come egli lo desiderava, onori edecorazioni inaudite.Però, quando pure tuttociò non fosse avvenuto, Pompeo,badando al proprio interesse, doveva, almeno apparente-mente, attenersi tuttavia al partito popolare; la democra-zia e la monarchia sono così intimamente affini, chePompeo, stendendo la mano alla corona, non poteva ameno di dirsi, come era stato fino allora, il difensore deidiritti del popolo.Mentre per tal modo concorrevano cause personali e po-litiche affinchè, nonostante tutto l'accaduto, fosse man-tenuto il passato legame fra Pompeo ed i corifei dellademocrazia, dalla parte opposta, invece, nulla si facevaper colmare l'abisso che lo separava dai suoi partigianisillani dell'epoca del suo passaggio nel campo della de-mocrazia.La sua personale controversia con Metello e con Lucul-lo si riportava alle estese ed influenti loro consorterie.Una meschina opposizione del senato, che appunto perla sua meschinità, trattandosi di un carattere leggero,

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riusciva altrettanto più irritante28, lo aveva annoiato du-rante la sua carriera di generale.Egli era rimasto profondamente addolorato, che il sena-to non avesse fatto assolutamente nulla per onorare me-ritamente e in modo straordinario il grande uomo. Final-mente non si deve dimenticare che l'aristocrazia, appun-to allora era inebriata della sua recente vittoria e la de-mocrazia era profondamente avvilita e che la prima eradiretta dal ridicolo e semi-pazzo Catone e la seconda daCesare, pieghevole maestro di intrighi.

4. Rottura tra Pompeo e l'aristocrazia.

Quando arrivò l'emissario inviato da Pompeo le cosestavano a questo punto.L'aristocrazia non solo considerava le proposte avanzateda Nepote in favore di Pompeo come una dichiarazionedi guerra fatta alla vigente costituzione, ma le trattò an-che pubblicamente come tali e non si diede il minimopensiero di celare i suoi timori ed il suo sdegno. Con lamanifesta intenzione di combattere le accennate propo-ste Marco Catone si fece eleggere tribuno del popolocon Nepote e respinse bruscamente il ripetuto tentativofatto da Pompeo per avvicinarglisi personalmente.È naturale che Nepote dopo ciò non si trovasse spinto arisparmiare l'aristocrazia, e che perciò si accostasse tan-

28 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "riusciva tanto più irritante a un carattereinsicuro come quello di Pompeo" [nota per l'edizione elettronica Manu-zio].

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riusciva altrettanto più irritante28, lo aveva annoiato du-rante la sua carriera di generale.Egli era rimasto profondamente addolorato, che il sena-to non avesse fatto assolutamente nulla per onorare me-ritamente e in modo straordinario il grande uomo. Final-mente non si deve dimenticare che l'aristocrazia, appun-to allora era inebriata della sua recente vittoria e la de-mocrazia era profondamente avvilita e che la prima eradiretta dal ridicolo e semi-pazzo Catone e la seconda daCesare, pieghevole maestro di intrighi.

4. Rottura tra Pompeo e l'aristocrazia.

Quando arrivò l'emissario inviato da Pompeo le cosestavano a questo punto.L'aristocrazia non solo considerava le proposte avanzateda Nepote in favore di Pompeo come una dichiarazionedi guerra fatta alla vigente costituzione, ma le trattò an-che pubblicamente come tali e non si diede il minimopensiero di celare i suoi timori ed il suo sdegno. Con lamanifesta intenzione di combattere le accennate propo-ste Marco Catone si fece eleggere tribuno del popolocon Nepote e respinse bruscamente il ripetuto tentativofatto da Pompeo per avvicinarglisi personalmente.È naturale che Nepote dopo ciò non si trovasse spinto arisparmiare l'aristocrazia, e che perciò si accostasse tan-

28 Nell'edizione Dall'Oglio 1963: "riusciva tanto più irritante a un carattereinsicuro come quello di Pompeo" [nota per l'edizione elettronica Manu-zio].

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topiù volentieri al democratici, inquanto questi, pieghe-voli come sempre, si adattarono alla necessità, accon-sentendo a concedere spontaneamente a Pompeo la cari-ca di console e di supremo duce in Italia piuttosto di la-sciarsela estorcere colla forza delle armi.Non tardò a manifestarsi l'intelligenza cordiale. Nepotedichiarò pubblicamente (dicembre 691 = 63) di apparte-nere al partito democratico, che condannava come as-sassinî illegali, contrari alla costituzione, le ultime ese-cuzioni capitali votate dalla maggioranza del senato, eche anche il suo signore e padrone non le considerassediversamente lo dimostrava il suo significativo silenzioverso la voluminosa difesa scritta inviatagli da Cicero-ne.D'altra parte il primo atto con cui Cesare iniziò la suapretura fu quello d'invitare Quinto Catulo a rendere con-to del denaro che si diceva avesse trafugato nella rico-struzione del tempio capitolino, affidando la curadell'ultimazione del tempio a Pompeo.Questo fu un tratto da maestro. Catulo avea ormai im-piegato sedici anni nella ricostruzione del tempio, esembrava che volesse rimanere tutta la sua vitanell'impiego d'ispettore capo delle costruzioni del capi-tolino; un attacco contro questo abuso di un pubblico in-carico, coperto soltanto dalla considerazione di cui go-deva il nobile incaricato, era in sè perfettamente giustifi-cato, e immensamente popolare. Ma mentre con esso siapriva a Pompeo la prospettiva di fare incidere il suonome al posto di quello di Catulo nel luogo più superbo

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topiù volentieri al democratici, inquanto questi, pieghe-voli come sempre, si adattarono alla necessità, accon-sentendo a concedere spontaneamente a Pompeo la cari-ca di console e di supremo duce in Italia piuttosto di la-sciarsela estorcere colla forza delle armi.Non tardò a manifestarsi l'intelligenza cordiale. Nepotedichiarò pubblicamente (dicembre 691 = 63) di apparte-nere al partito democratico, che condannava come as-sassinî illegali, contrari alla costituzione, le ultime ese-cuzioni capitali votate dalla maggioranza del senato, eche anche il suo signore e padrone non le considerassediversamente lo dimostrava il suo significativo silenzioverso la voluminosa difesa scritta inviatagli da Cicero-ne.D'altra parte il primo atto con cui Cesare iniziò la suapretura fu quello d'invitare Quinto Catulo a rendere con-to del denaro che si diceva avesse trafugato nella rico-struzione del tempio capitolino, affidando la curadell'ultimazione del tempio a Pompeo.Questo fu un tratto da maestro. Catulo avea ormai im-piegato sedici anni nella ricostruzione del tempio, esembrava che volesse rimanere tutta la sua vitanell'impiego d'ispettore capo delle costruzioni del capi-tolino; un attacco contro questo abuso di un pubblico in-carico, coperto soltanto dalla considerazione di cui go-deva il nobile incaricato, era in sè perfettamente giustifi-cato, e immensamente popolare. Ma mentre con esso siapriva a Pompeo la prospettiva di fare incidere il suonome al posto di quello di Catulo nel luogo più superbo

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della prima città della terra, gli veniva offerto ciò chepiù maggiormente lo lusingava e che non era dannosoalla democrazia, cioè splendide benchè vane onorificen-ze e in pari tempo lo si inimicava in sommo grado conl'aristocrazia, la quale non poteva assolutamente lasciarcadere il suo miglior campione.Nepote aveva intanto avanzato presso i cittadini le pro-poste riferibili a Pompeo. Venuto il giorno della votazio-ne Catone ed il suo amico e collega Quinto Minucio in-terposero il loro veto. Siccome Nepote non se ne curavae continuava la sua lettura, si venne addirittura allemani; Catone e Minucio si gettarono sul loro collega elo costrinsero a sospendere la lettura; una schiera armataveramente lo liberò, e cacciò dal foro la frazione aristo-cratica; ma Catone e Minucio ritornarono anche essi ac-compagnati da gente armata e tennero infine il campo dibattaglia per il governo.Incoraggiato dalla vittoria riportata dalla sua banda suquella dell'avversario, il senato sospese dalle loro cari-che il tribuno Nepote ed il pretore Cesare, che aveva ap-poggiato con tutte le sue forze il tribuno nella sua pro-posta; la deposizione, proposta in senato, fu impedita daCatone più perchè contraria alla costituzione che per lasua sconvenienza.Cesare non si curò del decreto del senato e continuònell'esercizio della sua carica finchè il senato impiegò laforza contro di lui. Appena lo si seppe, la moltitudine siaffollò alla sua porta mettendosi a sua disposizione; di-pendeva ora da lui di far cominciare la lotta in strada o

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della prima città della terra, gli veniva offerto ciò chepiù maggiormente lo lusingava e che non era dannosoalla democrazia, cioè splendide benchè vane onorificen-ze e in pari tempo lo si inimicava in sommo grado conl'aristocrazia, la quale non poteva assolutamente lasciarcadere il suo miglior campione.Nepote aveva intanto avanzato presso i cittadini le pro-poste riferibili a Pompeo. Venuto il giorno della votazio-ne Catone ed il suo amico e collega Quinto Minucio in-terposero il loro veto. Siccome Nepote non se ne curavae continuava la sua lettura, si venne addirittura allemani; Catone e Minucio si gettarono sul loro collega elo costrinsero a sospendere la lettura; una schiera armataveramente lo liberò, e cacciò dal foro la frazione aristo-cratica; ma Catone e Minucio ritornarono anche essi ac-compagnati da gente armata e tennero infine il campo dibattaglia per il governo.Incoraggiato dalla vittoria riportata dalla sua banda suquella dell'avversario, il senato sospese dalle loro cari-che il tribuno Nepote ed il pretore Cesare, che aveva ap-poggiato con tutte le sue forze il tribuno nella sua pro-posta; la deposizione, proposta in senato, fu impedita daCatone più perchè contraria alla costituzione che per lasua sconvenienza.Cesare non si curò del decreto del senato e continuònell'esercizio della sua carica finchè il senato impiegò laforza contro di lui. Appena lo si seppe, la moltitudine siaffollò alla sua porta mettendosi a sua disposizione; di-pendeva ora da lui di far cominciare la lotta in strada o

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almeno di far riassumere le proposte di Metello e di pro-curare a Pompeo il desiderato comando militare in Ita-lia; ma ciò non entrava nel suo interesse e quindi indus-se il popolo a disperdersi; in seguito di che il senato riti-rò la punizione inflittagli.Nepote aveva lasciata la città subito dopo la sua sospen-sione, imbarcandosi per l'Asia, per riferire a Pompeol'esito della sua missione.

5. Ritiro di Pompeo.

Pompeo aveva tutte le ragioni per essere contentodell'andamento delle cose. La via al trono doveva ormaipassare necessariamente attraverso la guerra civile; epoterla incominciare con buona ragione egli lo dovevaall'incorreggibile stravaganza di Catone.Dopo l'illegale condanna dei seguaci di Catilina, dopo leinaudite violenze contro il tribuno del popolo Metello,Pompeo la poteva iniziare al tempo stesso come propu-gnatore dei due palladi della libertà repubblicana diRoma, cioè del diritto d'appello e dell'inviolabilità deltribunato del popolo contro l'aristocrazia, e come protet-tore del partito dell'ordine contro la banda catilinaria.Sembrava quasi impossibile che Pompeo non dovessefarlo e si riducesse per la seconda volta nella difficile si-tuazione in cui l'aveva posto il licenziamento del suoesercito nel 684 = 70, e dalla quale lo aveva liberatosolo la legge gabinia. Ma per quanto gli fosse facile or-nare la sua fronte della benda reale, per quanto l'animo

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almeno di far riassumere le proposte di Metello e di pro-curare a Pompeo il desiderato comando militare in Ita-lia; ma ciò non entrava nel suo interesse e quindi indus-se il popolo a disperdersi; in seguito di che il senato riti-rò la punizione inflittagli.Nepote aveva lasciata la città subito dopo la sua sospen-sione, imbarcandosi per l'Asia, per riferire a Pompeol'esito della sua missione.

5. Ritiro di Pompeo.

Pompeo aveva tutte le ragioni per essere contentodell'andamento delle cose. La via al trono doveva ormaipassare necessariamente attraverso la guerra civile; epoterla incominciare con buona ragione egli lo dovevaall'incorreggibile stravaganza di Catone.Dopo l'illegale condanna dei seguaci di Catilina, dopo leinaudite violenze contro il tribuno del popolo Metello,Pompeo la poteva iniziare al tempo stesso come propu-gnatore dei due palladi della libertà repubblicana diRoma, cioè del diritto d'appello e dell'inviolabilità deltribunato del popolo contro l'aristocrazia, e come protet-tore del partito dell'ordine contro la banda catilinaria.Sembrava quasi impossibile che Pompeo non dovessefarlo e si riducesse per la seconda volta nella difficile si-tuazione in cui l'aveva posto il licenziamento del suoesercito nel 684 = 70, e dalla quale lo aveva liberatosolo la legge gabinia. Ma per quanto gli fosse facile or-nare la sua fronte della benda reale, per quanto l'animo

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suo lo desiderasse ardentemente, quando si trattò distendervi la mano gliene mancò ancora il coraggio.Quest'uomo, mediocre in tutto, meno che nelle sue pre-tese, si sarebbe messo volentieri al disopra della legge,purchè lo avesse potuto fare senza uscire dal terreno le-gale. Già le sue situazioni in Asia lo avevano fatto sup-porre. Volendo egli avrebbe potuto entrare facilmentenel porto di Brindisi col suo esercito e con la sua flottanel gennaio del 692 = 62 e qui ricevere Nepote.L'essersi egli fermato in Asia tutto l'inverno del 691-2 =63-2 ebbe per immediata e triste conseguenza, che l'ari-stocrazia, la quale naturalmente accelerava con tutte lesue forze la campagna contro Catilina, la fece finita conle bande di questo e mancò perciò il conveniente prete-sto per tenere sotto le armi in Italia le legioni asiatiche.Per un uomo come Pompeo, che, in mancanza della fedein sè stesso e nella sua stella, nella sua vita pubblica siattaccava ansiosamente al diritto formale e per il quale ilpretesto valeva quasi lo stesso della ragione, questa cir-costanza fu di grave peso. Egli poteva ben pensare che,anche licenziando l'esercito, non lo scioglieva del tutto,e che in caso di bisogno era sicuro di raccoglierne unopronto alla lotta prima di qualunque altro capopartito;che la democrazia si teneva sommessa al suo cenno eche col ricalcitrante senato si poteva farla finita anchesenza soldati, e fare altre simili riflessioni, nelle qualiera appunto tanta verità da sembrare plausibili a coluiche voleva ingannare sè stesso.Fu ancora il carattere speciale di Pompeo che diede il

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suo lo desiderasse ardentemente, quando si trattò distendervi la mano gliene mancò ancora il coraggio.Quest'uomo, mediocre in tutto, meno che nelle sue pre-tese, si sarebbe messo volentieri al disopra della legge,purchè lo avesse potuto fare senza uscire dal terreno le-gale. Già le sue situazioni in Asia lo avevano fatto sup-porre. Volendo egli avrebbe potuto entrare facilmentenel porto di Brindisi col suo esercito e con la sua flottanel gennaio del 692 = 62 e qui ricevere Nepote.L'essersi egli fermato in Asia tutto l'inverno del 691-2 =63-2 ebbe per immediata e triste conseguenza, che l'ari-stocrazia, la quale naturalmente accelerava con tutte lesue forze la campagna contro Catilina, la fece finita conle bande di questo e mancò perciò il conveniente prete-sto per tenere sotto le armi in Italia le legioni asiatiche.Per un uomo come Pompeo, che, in mancanza della fedein sè stesso e nella sua stella, nella sua vita pubblica siattaccava ansiosamente al diritto formale e per il quale ilpretesto valeva quasi lo stesso della ragione, questa cir-costanza fu di grave peso. Egli poteva ben pensare che,anche licenziando l'esercito, non lo scioglieva del tutto,e che in caso di bisogno era sicuro di raccoglierne unopronto alla lotta prima di qualunque altro capopartito;che la democrazia si teneva sommessa al suo cenno eche col ricalcitrante senato si poteva farla finita anchesenza soldati, e fare altre simili riflessioni, nelle qualiera appunto tanta verità da sembrare plausibili a coluiche voleva ingannare sè stesso.Fu ancora il carattere speciale di Pompeo che diede il

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tracollo. Egli apparteneva a quella classe d'uomini, chesono capaci di commettere un delitto, ma non un attod'insubordinazione; egli era tanto nel bene quanto nelmale assolutamente un vero soldato. Gli individui diqualche importanza considerano la legge come una ne-cessità morale, gli uomini comuni come un'abituale re-gola tradizionale; appunto perciò la disciplina militare,in cui più che altro la legge ordinariamente si presentacome un'abitudine, vincola ogni animo non intieramenterisoluto con una specie di magico legame.Si è spesso osservato che il soldato, anche quando hapreso la decisione di negare obbedienza al suo superio-re, se questa obbedienza viene richiesta, ritorna involon-tariamente alla disciplina. Fu questo sentimento che fecevacillare e trattenne Lafayette e Dumouriez all'ultimomomento prima di commettere il tradimento, ed a que-sto sentimento soggiacque anche Pompeo.Nell'autunno del 692 = 62 Pompeo s'imbarcò per l'Italia.Mentre nella capitale tutti si preparavano a ricevere ilnuovo monarca, venne la notizia che, appena arrivato aBrindisi, Pompeo aveva sciolto le sue legioni e che erapartito con poco seguito alla volta di Roma.Se si può considerare una fortuna quella di guadagnareuna corona senza fatica, la fortuna non ha mai fatto tan-to per un mortale quanto fece per Pompeo; ma gli deiprodigano invano i loro favori ai pusillanimi.

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tracollo. Egli apparteneva a quella classe d'uomini, chesono capaci di commettere un delitto, ma non un attod'insubordinazione; egli era tanto nel bene quanto nelmale assolutamente un vero soldato. Gli individui diqualche importanza considerano la legge come una ne-cessità morale, gli uomini comuni come un'abituale re-gola tradizionale; appunto perciò la disciplina militare,in cui più che altro la legge ordinariamente si presentacome un'abitudine, vincola ogni animo non intieramenterisoluto con una specie di magico legame.Si è spesso osservato che il soldato, anche quando hapreso la decisione di negare obbedienza al suo superio-re, se questa obbedienza viene richiesta, ritorna involon-tariamente alla disciplina. Fu questo sentimento che fecevacillare e trattenne Lafayette e Dumouriez all'ultimomomento prima di commettere il tradimento, ed a que-sto sentimento soggiacque anche Pompeo.Nell'autunno del 692 = 62 Pompeo s'imbarcò per l'Italia.Mentre nella capitale tutti si preparavano a ricevere ilnuovo monarca, venne la notizia che, appena arrivato aBrindisi, Pompeo aveva sciolto le sue legioni e che erapartito con poco seguito alla volta di Roma.Se si può considerare una fortuna quella di guadagnareuna corona senza fatica, la fortuna non ha mai fatto tan-to per un mortale quanto fece per Pompeo; ma gli deiprodigano invano i loro favori ai pusillanimi.

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6. Pompeo senza influenza.

I partiti respirarono. Pompeo aveva abdicato per laseconda volta: i già vinti concorrenti potevano ritentarela gara, ma ciò che destò più meraviglia fu che anchePompeo la ritentò.Arrivò a Roma l'anno 693 = 61. La sua posizione erafalsa e vacillava dubbiosa fra i partiti in modo che gli sidiede il soprannome di Gneo Cicerone. Egli l'avevarotta con tutti. Gli anarchici vedevano in lui unavversario, i democratici un amico incomodo. MarcoCrasso riconosceva in lui un rivale, la borghesia unincerto protettore, l'aristocrazia un nemico dichiarato29.Era veramente ancor sempre il più potente uomo nellostato; i suoi aderenti militari sparsi in tutta Italia, la suainfluenza nelle province, specialmente nelle orientali, lasua fama militare, le sue immense ricchezze gli davanoun'importanza quale nessun altro aveva; ma invece delricevimento entusiastico, su cui aveva calcolato,l'accoglienza che gli si fece fu più che fredda e piùfreddamente ancora furono trattate le domande da luifatte.Egli esigeva per sè, come l'aveva già fatto annunciare daNepote, il secondo consolato, la sanzione di quanto ave-va fatto in oriente, e il mantenimento delle promesse fat-29 Cicerone (ad Att., 1, 14) descrive come segue l'impressione prodotta dal

primo discorso tenuto da Pompeo alla borghesia dopo il suo ritorno: Primacontio Pompei non iucunda miseris (alla gentaglia), inanis improbis (allademocrazia), beatis (alla borghesia) non grata, bonis (agli aristocratici)non gravis; itaque frigebat.

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6. Pompeo senza influenza.

I partiti respirarono. Pompeo aveva abdicato per laseconda volta: i già vinti concorrenti potevano ritentarela gara, ma ciò che destò più meraviglia fu che anchePompeo la ritentò.Arrivò a Roma l'anno 693 = 61. La sua posizione erafalsa e vacillava dubbiosa fra i partiti in modo che gli sidiede il soprannome di Gneo Cicerone. Egli l'avevarotta con tutti. Gli anarchici vedevano in lui unavversario, i democratici un amico incomodo. MarcoCrasso riconosceva in lui un rivale, la borghesia unincerto protettore, l'aristocrazia un nemico dichiarato29.Era veramente ancor sempre il più potente uomo nellostato; i suoi aderenti militari sparsi in tutta Italia, la suainfluenza nelle province, specialmente nelle orientali, lasua fama militare, le sue immense ricchezze gli davanoun'importanza quale nessun altro aveva; ma invece delricevimento entusiastico, su cui aveva calcolato,l'accoglienza che gli si fece fu più che fredda e piùfreddamente ancora furono trattate le domande da luifatte.Egli esigeva per sè, come l'aveva già fatto annunciare daNepote, il secondo consolato, la sanzione di quanto ave-va fatto in oriente, e il mantenimento delle promesse fat-29 Cicerone (ad Att., 1, 14) descrive come segue l'impressione prodotta dal

primo discorso tenuto da Pompeo alla borghesia dopo il suo ritorno: Primacontio Pompei non iucunda miseris (alla gentaglia), inanis improbis (allademocrazia), beatis (alla borghesia) non grata, bonis (agli aristocratici)non gravis; itaque frigebat.

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te ai suoi soldati di accordar loro dei terreni. Sorse in se-nato un'opposizione sistematica cui prestavano i princi-pali elementi l'irritazione personale di Lucullo e di Me-tello Cretico, l'antico rancore di Crasso e la coscienziosagoffaggine di Catone.Il secondo consolato desiderato da Pompeo fu subitoapertamente rifiutato. La prima preghiera fatta dal gene-rale rimpatriato al senato, cioè di sospendere l'elezionedei consoli del 693 = 61 sin dopo il suo arrivo nella ca-pitale, gli era stata negata; molto meno poteva aspettarsidal senato la necessaria dispensa dalla legge di Silla sul-la rielezione.Pompeo chiese naturalmente la sanzione complessivadelle disposizioni da lui date nelle province orientali;Lucullo invece ottenne che fosse presa in esame separa-to e messa ai voti ogni disposizione, per cui tutti questidibattimenti diedero luogo a interminabili intrighi e aduna quantità di parziali sconfitte.Fu ratificata dal senato la promessa fatta ai soldatidell'esercito asiatico di una certa misura di terreno, peròal tempo stesso fu estesa alle legioni cretensi di Metelloe, ciò che è peggio, la legge non fu eseguita perchè ilpubblico tesoro era esausto ed il senato non intendeva diintaccare i beni pubblici per questo scopo.Pompeo, disperando di riuscire a vincere la tenace e ma-ligna opposizione del senato, si volse alla borghesia. Masu questo terreno si trovò ancor più imbarazzato. Sebbe-ne i capi della democrazia non gli si mostrassero aperta-mente avversi, essi non avevano nessuna ragione per far

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te ai suoi soldati di accordar loro dei terreni. Sorse in se-nato un'opposizione sistematica cui prestavano i princi-pali elementi l'irritazione personale di Lucullo e di Me-tello Cretico, l'antico rancore di Crasso e la coscienziosagoffaggine di Catone.Il secondo consolato desiderato da Pompeo fu subitoapertamente rifiutato. La prima preghiera fatta dal gene-rale rimpatriato al senato, cioè di sospendere l'elezionedei consoli del 693 = 61 sin dopo il suo arrivo nella ca-pitale, gli era stata negata; molto meno poteva aspettarsidal senato la necessaria dispensa dalla legge di Silla sul-la rielezione.Pompeo chiese naturalmente la sanzione complessivadelle disposizioni da lui date nelle province orientali;Lucullo invece ottenne che fosse presa in esame separa-to e messa ai voti ogni disposizione, per cui tutti questidibattimenti diedero luogo a interminabili intrighi e aduna quantità di parziali sconfitte.Fu ratificata dal senato la promessa fatta ai soldatidell'esercito asiatico di una certa misura di terreno, peròal tempo stesso fu estesa alle legioni cretensi di Metelloe, ciò che è peggio, la legge non fu eseguita perchè ilpubblico tesoro era esausto ed il senato non intendeva diintaccare i beni pubblici per questo scopo.Pompeo, disperando di riuscire a vincere la tenace e ma-ligna opposizione del senato, si volse alla borghesia. Masu questo terreno si trovò ancor più imbarazzato. Sebbe-ne i capi della democrazia non gli si mostrassero aperta-mente avversi, essi non avevano nessuna ragione per far

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propri i suoi interessi, e perciò si tenevano in disparte.Le creature di Pompeo, come ad esempio i consoli Mar-co Pupio Pisone e Lucio Afranio, eletti per la sua in-fluenza e in parte pel suo denaro, il primo per il 693 =61, l'altro per il 694 = 60, si mostrarono dappoco e inet-ti. Quando finalmente il tribuno del popolo Lucio Flaviopropose alla borghesia in forma di legge agraria l'asse-gnazione della terra ai soldati di Pompeo, la proposta,non appoggiata dai democratici e combattuta aperta-mente dagli aristocratici, rimase in minoranza (principiodel 694 = 60). Quasi umilmente ora il gran guerrieromendicava il favore delle masse come quando per suoimpulso il pretore Metello Nepote presentò la legge percui furono soppressi i dazi Italici (694 = 60).Ma egli rappresentava la parte del demagogo senza abi-lità e senza fortuna; ne andava di mezzo la sua dignità enon ne otteneva ciò che voleva.Egli si era completamente isolato. Uno dei suoi avversa-ri riepilogava la sua posizione politica di allora dicendo,che egli era intento «a conservare nel silenzio il suomanto trionfale ricamato». Difatti egli non aveva altroda fare che indispettirsi.

7. L'ascesa di Cesare.

A questo punto si offrì una nuova combinazione. Il capodel partito democratico aveva approfittato della calmapolitica, succeduta al ritiro di colui che aveva avuta sinoallora in mano la somma del potere, per farla servire al

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propri i suoi interessi, e perciò si tenevano in disparte.Le creature di Pompeo, come ad esempio i consoli Mar-co Pupio Pisone e Lucio Afranio, eletti per la sua in-fluenza e in parte pel suo denaro, il primo per il 693 =61, l'altro per il 694 = 60, si mostrarono dappoco e inet-ti. Quando finalmente il tribuno del popolo Lucio Flaviopropose alla borghesia in forma di legge agraria l'asse-gnazione della terra ai soldati di Pompeo, la proposta,non appoggiata dai democratici e combattuta aperta-mente dagli aristocratici, rimase in minoranza (principiodel 694 = 60). Quasi umilmente ora il gran guerrieromendicava il favore delle masse come quando per suoimpulso il pretore Metello Nepote presentò la legge percui furono soppressi i dazi Italici (694 = 60).Ma egli rappresentava la parte del demagogo senza abi-lità e senza fortuna; ne andava di mezzo la sua dignità enon ne otteneva ciò che voleva.Egli si era completamente isolato. Uno dei suoi avversa-ri riepilogava la sua posizione politica di allora dicendo,che egli era intento «a conservare nel silenzio il suomanto trionfale ricamato». Difatti egli non aveva altroda fare che indispettirsi.

7. L'ascesa di Cesare.

A questo punto si offrì una nuova combinazione. Il capodel partito democratico aveva approfittato della calmapolitica, succeduta al ritiro di colui che aveva avuta sinoallora in mano la somma del potere, per farla servire al

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proprio interesse.Quando Pompeo ritornò dall'Asia, Cesare era stato pocopiù di quello che era stato anche Catilina: il capo di unpartito politico molto ristretto e un uomo fallito. Dopo lagestione della pretura (692 = 62) egli aveva assunta laluogotenenza della Spagna ulteriore e con questa caricaaveva trovato il mezzo di pagare i suoi debiti e di farsile basi per una posizione e per una reputazione militare.Il suo antico amico e collega Crasso, nella speranza ditrovare in Cesare quell'appoggio contro Pompeo cheaveva perduto in Pisone, s'era lasciato indurre a pagarela parte più forte dei suoi debiti ancora prima che partis-se per la sua provincia. Egli stesso aveva poi profittatolargamente del breve suo soggiorno in questa regione.Ritornato dalla Spagna nel 694 = 60 colle casse piene econ fondate pretese agli onori del trionfo comeimperator, si presentò candidato al consolato per ilprossimo anno; e poichè il senato rifiutava di ammetterela sua candidatura mentre era assente, egli senza esitare,rinunciò agli onori del trionfo.La democrazia si era affaticata da anni per vedere unodei suoi in possesso della suprema magistratura, pergiungere con tal mezzo ad afferrare il potere militare.Gli uomini avveduti, a qualsiasi colore appartenessero,sapevano benissimo da lungo tempo, che la contesa deipartiti non poteva essere decisa con la lotta civile, macon una forza militare; però il seguito della coalizionetra la democrazia ed i potenti capi militari, col mezzodella quale fu posto fine alla signoria del senato, mostrò

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proprio interesse.Quando Pompeo ritornò dall'Asia, Cesare era stato pocopiù di quello che era stato anche Catilina: il capo di unpartito politico molto ristretto e un uomo fallito. Dopo lagestione della pretura (692 = 62) egli aveva assunta laluogotenenza della Spagna ulteriore e con questa caricaaveva trovato il mezzo di pagare i suoi debiti e di farsile basi per una posizione e per una reputazione militare.Il suo antico amico e collega Crasso, nella speranza ditrovare in Cesare quell'appoggio contro Pompeo cheaveva perduto in Pisone, s'era lasciato indurre a pagarela parte più forte dei suoi debiti ancora prima che partis-se per la sua provincia. Egli stesso aveva poi profittatolargamente del breve suo soggiorno in questa regione.Ritornato dalla Spagna nel 694 = 60 colle casse piene econ fondate pretese agli onori del trionfo comeimperator, si presentò candidato al consolato per ilprossimo anno; e poichè il senato rifiutava di ammetterela sua candidatura mentre era assente, egli senza esitare,rinunciò agli onori del trionfo.La democrazia si era affaticata da anni per vedere unodei suoi in possesso della suprema magistratura, pergiungere con tal mezzo ad afferrare il potere militare.Gli uomini avveduti, a qualsiasi colore appartenessero,sapevano benissimo da lungo tempo, che la contesa deipartiti non poteva essere decisa con la lotta civile, macon una forza militare; però il seguito della coalizionetra la democrazia ed i potenti capi militari, col mezzodella quale fu posto fine alla signoria del senato, mostrò

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con inesorabile rigore, che una simile alleanza conducefatalmente alla subordinazione dell'elemento civile almilitare, e che il partito del popolo, volendo dominareeffettivamente, non deve far lega con generali ad essoestranei od avversi ma promuovere a generali i suoi pro-pri capi.I tentativi per ottenere l'elezione di Catilina al consolatoe di procurargli un appoggio militare nella Spagna od inEgitto erano andati a vuoto; ora alla democrazia si offri-va la possibilità di procurare coll'ordinaria via costitu-zionale al suo più importante campione il consolato e laprovincia consolare, e, fondando, per così dire, un pote-re democratico domestico, rendersi indipendentedall'incerto e pericoloso alleato, Pompeo.

8. Pompeo, Cesare e Crasso.

Ma quanto più doveva importare alla democrazia diaprirsi questa via, che le offriva non tanto la piùfavorevole quanto la sola speranza di buoni successi,tanto più essa doveva aspettarsi una risoluta resistenzadei suoi avversari politici.Si trattava di sapere chi fossero questi avversari. L'ari-stocrazia isolata non era da temersi; ma nella congiuracatilinaria aveva mostrato che poteva qualche cosa,quando fosse più o meno apertamente appoggiata daicapitalisti e dagli aderenti di Pompeo.Essa aveva resa vana più d'una volta la candidatura diCatilina per il consolato e si poteva essere sicuri che al-

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con inesorabile rigore, che una simile alleanza conducefatalmente alla subordinazione dell'elemento civile almilitare, e che il partito del popolo, volendo dominareeffettivamente, non deve far lega con generali ad essoestranei od avversi ma promuovere a generali i suoi pro-pri capi.I tentativi per ottenere l'elezione di Catilina al consolatoe di procurargli un appoggio militare nella Spagna od inEgitto erano andati a vuoto; ora alla democrazia si offri-va la possibilità di procurare coll'ordinaria via costitu-zionale al suo più importante campione il consolato e laprovincia consolare, e, fondando, per così dire, un pote-re democratico domestico, rendersi indipendentedall'incerto e pericoloso alleato, Pompeo.

8. Pompeo, Cesare e Crasso.

Ma quanto più doveva importare alla democrazia diaprirsi questa via, che le offriva non tanto la piùfavorevole quanto la sola speranza di buoni successi,tanto più essa doveva aspettarsi una risoluta resistenzadei suoi avversari politici.Si trattava di sapere chi fossero questi avversari. L'ari-stocrazia isolata non era da temersi; ma nella congiuracatilinaria aveva mostrato che poteva qualche cosa,quando fosse più o meno apertamente appoggiata daicapitalisti e dagli aderenti di Pompeo.Essa aveva resa vana più d'una volta la candidatura diCatilina per il consolato e si poteva essere sicuri che al-

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trettanto avrebbe tentato contro Cesare. Ma quand'ancheCesare fosse stato eletto, malgrado l'aristocrazia, l'ele-zione sola non bastava. Egli aveva bisogno di rimanerealmeno alcuni anni fuori d'Italia in una non turbata ope-rosità per farsi una forte posizione militare; e non v'eradubbio che la nobiltà non lasciasse intentato alcun mez-zo per attraversare i suoi piani durante questo periodopreparatorio.Era naturale che nascesse l'idea di tentare di nuovo,come si era fatto nel 683-4 = 71-70, l'isolamentodell'aristocrazia e di stringere una lega a comune van-taggio tra la democrazia ed il suo alleato Crasso da unaparte e Pompeo e gli uomini dell'alta finanza dall'altra.Una simile lega era certamente per Pompeo un suicidiopolitico. L'importanza che egli aveva avuto fino alloranello stato era dovuta alla circostanza di essere l'unicocapoparte che potesse disporre sempre delle legioni,sebbene per il momento fossero sciolte. A questa circo-stanza era appunto diretto il piano della democrazia,cioè di togliergli quella preponderanza e di porgli difronte, nel proprio campione, un rivale militare.Mai egli vi si sarebbe adattato, e molto meno avrebbeacconsentito ad aiutare, perchè ottenesse il supremo co-mando, un uomo come Cesare, il quale già come sem-plice agitatore politico gli aveva dato abbastanza dafare, e recentemente nella Spagna aveva dato le più lu-minose prove anche della sua capacità militare.Ma dall'altro lato la posizione di Pompeo, per la cavillo-sa opposizione del senato e per l'indifferenza delle mas-

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trettanto avrebbe tentato contro Cesare. Ma quand'ancheCesare fosse stato eletto, malgrado l'aristocrazia, l'ele-zione sola non bastava. Egli aveva bisogno di rimanerealmeno alcuni anni fuori d'Italia in una non turbata ope-rosità per farsi una forte posizione militare; e non v'eradubbio che la nobiltà non lasciasse intentato alcun mez-zo per attraversare i suoi piani durante questo periodopreparatorio.Era naturale che nascesse l'idea di tentare di nuovo,come si era fatto nel 683-4 = 71-70, l'isolamentodell'aristocrazia e di stringere una lega a comune van-taggio tra la democrazia ed il suo alleato Crasso da unaparte e Pompeo e gli uomini dell'alta finanza dall'altra.Una simile lega era certamente per Pompeo un suicidiopolitico. L'importanza che egli aveva avuto fino alloranello stato era dovuta alla circostanza di essere l'unicocapoparte che potesse disporre sempre delle legioni,sebbene per il momento fossero sciolte. A questa circo-stanza era appunto diretto il piano della democrazia,cioè di togliergli quella preponderanza e di porgli difronte, nel proprio campione, un rivale militare.Mai egli vi si sarebbe adattato, e molto meno avrebbeacconsentito ad aiutare, perchè ottenesse il supremo co-mando, un uomo come Cesare, il quale già come sem-plice agitatore politico gli aveva dato abbastanza dafare, e recentemente nella Spagna aveva dato le più lu-minose prove anche della sua capacità militare.Ma dall'altro lato la posizione di Pompeo, per la cavillo-sa opposizione del senato e per l'indifferenza delle mas-

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se per lui e per i suoi desideri, si era fatta, specialmentedi fronte ai suoi veterani, così penosa ed umiliante, che,considerato il suo carattere, si poteva ben attendere, cheper essere tolto da tale spiacevole condizione, egli si sa-rebbe unito a tale coalizione.Riguardo al così detto partito dei cavalieri, esso si trova-va sempre d'accordo con il più forte; e già si capiva chenon si sarebbe fatto aspettare a lungo, quando avesse ve-duto la democrazia legata di nuovo, e seriamente, conPompeo.A ciò si aggiungeva che per la severità, del resto lodevo-lissima, di Catone contro gli appaltatori delle gabelle,l'aristocrazia della finanza si trovava appunto allora dinuovo in una seria discordia col senato.

9. Nuova posizione di Cesare.

Così nell'estate del 694 = 60 fu conchiusa la secondacoalizione. Cesare si fece assicurare il consolato perl'anno seguente e subito dopo la luogotenenza; aPompeo fu promessa la ratifica delle disposizioni da luidate in oriente e l'assegno delle terre promesse ai soldatidell'esercito asiatico; ai cavalieri Cesare promise diprocurare col mezzo della borghesia ciò che il senatoaveva rifiutato; Crasso finalmente, l'inevitabile, dovevaalmeno associarsi alla coalizione, benchè per la suaadesione, che non poteva rifiutare, non ottenesse lapromessa di un'indennità fissa.Erano precisamente gli stessi elementi, anzi le stesse

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se per lui e per i suoi desideri, si era fatta, specialmentedi fronte ai suoi veterani, così penosa ed umiliante, che,considerato il suo carattere, si poteva ben attendere, cheper essere tolto da tale spiacevole condizione, egli si sa-rebbe unito a tale coalizione.Riguardo al così detto partito dei cavalieri, esso si trova-va sempre d'accordo con il più forte; e già si capiva chenon si sarebbe fatto aspettare a lungo, quando avesse ve-duto la democrazia legata di nuovo, e seriamente, conPompeo.A ciò si aggiungeva che per la severità, del resto lodevo-lissima, di Catone contro gli appaltatori delle gabelle,l'aristocrazia della finanza si trovava appunto allora dinuovo in una seria discordia col senato.

9. Nuova posizione di Cesare.

Così nell'estate del 694 = 60 fu conchiusa la secondacoalizione. Cesare si fece assicurare il consolato perl'anno seguente e subito dopo la luogotenenza; aPompeo fu promessa la ratifica delle disposizioni da luidate in oriente e l'assegno delle terre promesse ai soldatidell'esercito asiatico; ai cavalieri Cesare promise diprocurare col mezzo della borghesia ciò che il senatoaveva rifiutato; Crasso finalmente, l'inevitabile, dovevaalmeno associarsi alla coalizione, benchè per la suaadesione, che non poteva rifiutare, non ottenesse lapromessa di un'indennità fissa.Erano precisamente gli stessi elementi, anzi le stesse

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persone quelle che conchiusero la lega nell'autunno del683 = 71 e nell'estate del 694 = 60; ma quale differenzanella condizione dei partiti d'allora e di quelli di oggi!Allora la democrazia non era altro che un partito politi-co, i suoi alleati erano generali vittoriosi posti alla testadei loro eserciti; ora il campione stesso dei democraticiera un imperatore coronato di vittoria, pieno dei piùgrandiosi progetti militari, gli alleati erano degli ex ge-nerali senza esercito.Allora la democrazia vinceva nelle questioni di princi-pio e conferiva a prezzo le più alte cariche dello stato aisuoi due alleati; ora essa si era fatta più pratica e volevaper sè il supremo potere civile e militare, facendo con-cessioni agli alleati solo in cose secondarie, e, ciò chemerita d'esser notato, non si tenne nemmeno in conside-razione l'antica richiesta fatta da Pompeo per il secondoconsolato.Allora la democrazia si abbandonava ai suoi alleati; oraquesti dovevano abbandonarsi ad essa. Tutte le condi-zioni erano assolutamente cambiate, ma più di tutto eracambiato lo stesso carattere della democrazia.Essa, da quando aveva cominciato ad esistere, avevasempre nel suo contenuto, nel suo nocciolo un elementomonarchico; ma l'ideale della costituzione, come erasentita dalle migliori sue teste più o meno chiaramente,rimaneva però sempre una repubblica cittadina, un ordi-namento secondo il sistema politico di Pericle, in cui ilpotere del principe consisteva in ciò che egli stesso rap-presentava la borghesia nel modo più nobile e perfetto, e

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persone quelle che conchiusero la lega nell'autunno del683 = 71 e nell'estate del 694 = 60; ma quale differenzanella condizione dei partiti d'allora e di quelli di oggi!Allora la democrazia non era altro che un partito politi-co, i suoi alleati erano generali vittoriosi posti alla testadei loro eserciti; ora il campione stesso dei democraticiera un imperatore coronato di vittoria, pieno dei piùgrandiosi progetti militari, gli alleati erano degli ex ge-nerali senza esercito.Allora la democrazia vinceva nelle questioni di princi-pio e conferiva a prezzo le più alte cariche dello stato aisuoi due alleati; ora essa si era fatta più pratica e volevaper sè il supremo potere civile e militare, facendo con-cessioni agli alleati solo in cose secondarie, e, ciò chemerita d'esser notato, non si tenne nemmeno in conside-razione l'antica richiesta fatta da Pompeo per il secondoconsolato.Allora la democrazia si abbandonava ai suoi alleati; oraquesti dovevano abbandonarsi ad essa. Tutte le condi-zioni erano assolutamente cambiate, ma più di tutto eracambiato lo stesso carattere della democrazia.Essa, da quando aveva cominciato ad esistere, avevasempre nel suo contenuto, nel suo nocciolo un elementomonarchico; ma l'ideale della costituzione, come erasentita dalle migliori sue teste più o meno chiaramente,rimaneva però sempre una repubblica cittadina, un ordi-namento secondo il sistema politico di Pericle, in cui ilpotere del principe consisteva in ciò che egli stesso rap-presentava la borghesia nel modo più nobile e perfetto, e

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che la più perfetta e nobile parte della cittadinanza rico-nosceva in lui il suo vero uomo di fiducia.Anche Cesare partì da tali idee; ma erano ideali, che po-tevano avere influenza sulla realtà, ma che non poteva-no realizzarsi affatto.Nè il semplice potere cittadino, come l'aveva possedutoCaio Gracco, nè l'armamento del partito democratico,come l'aveva tentato Cinna, naturalmente in un modoaffatto insufficente, potevano mantenersi nella repubbli-ca romana come durevole forza di gravità; il meccani-smo dell'esercito che non combatteva per un partito, maper un generale, la forza brutale dei condottieri, dopoessere scesa in campo al servizio della restaurazione, simostrò ben presto assolutamente superiore a tutti i parti-ti politici.Anche Cesare se ne dovette persuadere nella pratica de-gli intrighi del partito, e così maturò nella sua mente lafatale risoluzione di assoggettare questo meccanismodell'esercito ai suoi stessi ideali e di sorreggere la repub-blica, quale doveva essere secondo la sua mente, con laforza dei condottieri. Con questa intenzione, nel 683 =71 egli conchiuse coi generali della parte avversariaquella lega, che, malgrado essi avessero accettato il pro-gramma democratico, condusse però la democrazia eCesare stesso sull'orlo del precipizio.Colla medesima intenzione undici anni dopo si fece eglistesso condottiero. Ciò avvenne in entrambi i casi conuna certa ingenuità; con la buona fede nella possibilitàdi poter fondare una libera repubblica, se non con armi

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che la più perfetta e nobile parte della cittadinanza rico-nosceva in lui il suo vero uomo di fiducia.Anche Cesare partì da tali idee; ma erano ideali, che po-tevano avere influenza sulla realtà, ma che non poteva-no realizzarsi affatto.Nè il semplice potere cittadino, come l'aveva possedutoCaio Gracco, nè l'armamento del partito democratico,come l'aveva tentato Cinna, naturalmente in un modoaffatto insufficente, potevano mantenersi nella repubbli-ca romana come durevole forza di gravità; il meccani-smo dell'esercito che non combatteva per un partito, maper un generale, la forza brutale dei condottieri, dopoessere scesa in campo al servizio della restaurazione, simostrò ben presto assolutamente superiore a tutti i parti-ti politici.Anche Cesare se ne dovette persuadere nella pratica de-gli intrighi del partito, e così maturò nella sua mente lafatale risoluzione di assoggettare questo meccanismodell'esercito ai suoi stessi ideali e di sorreggere la repub-blica, quale doveva essere secondo la sua mente, con laforza dei condottieri. Con questa intenzione, nel 683 =71 egli conchiuse coi generali della parte avversariaquella lega, che, malgrado essi avessero accettato il pro-gramma democratico, condusse però la democrazia eCesare stesso sull'orlo del precipizio.Colla medesima intenzione undici anni dopo si fece eglistesso condottiero. Ciò avvenne in entrambi i casi conuna certa ingenuità; con la buona fede nella possibilitàdi poter fondare una libera repubblica, se non con armi

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straniere, pure ad ogni modo con la propria spada.Si comprende facilmente che era un errore e che nessu-no si fa servire dal diavolo senza divenire suo schiavo;ma non sono i più grandi uomini quelli che meno si in-gannano.Se dopo migliaia d'anni noi chiniamo rispettosamente latesta dinanzi a ciò che Cesare volle e fece, la causa nonsta nell'avere egli voluto ottenere una corona, ma in ciò,che il grandioso suo ideale – una repubblica libera sottoun monarca – non l'abbandonò mai e anche come sovra-no l'ha preservato dal cadere nel comune modo di regna-re dei re.

10. Cesare console.

L'elezione di Cesare al consolato per il 695 = 59 passòsenza alcuna difficoltà, per l'unione dei partiti.L'aristocrazia dovette essere contenta, che per mezzo diuna compera di voti, che fece impressione perfino inquell'epoca di sfacciatissima corruzione, e per la qualetutto il ceto della nobiltà fornì i mezzi, gli fosse associa-to nella persona di Marco Bibulo un collega, la cui limi-tata ostinatezza passava nei circoli aristocratici per ener-gia conservatrice, e non fu per sua colpa, se i signorinon furono indennizzati delle loro patriottiche spese.Quando Cesare pervenne al consolato fece tosto metterein deliberazione le richieste dei suoi alleati, fra le qualila più importante era quella che assegnava terreni ai ve-terani dell'esercito asiatico.

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straniere, pure ad ogni modo con la propria spada.Si comprende facilmente che era un errore e che nessu-no si fa servire dal diavolo senza divenire suo schiavo;ma non sono i più grandi uomini quelli che meno si in-gannano.Se dopo migliaia d'anni noi chiniamo rispettosamente latesta dinanzi a ciò che Cesare volle e fece, la causa nonsta nell'avere egli voluto ottenere una corona, ma in ciò,che il grandioso suo ideale – una repubblica libera sottoun monarca – non l'abbandonò mai e anche come sovra-no l'ha preservato dal cadere nel comune modo di regna-re dei re.

10. Cesare console.

L'elezione di Cesare al consolato per il 695 = 59 passòsenza alcuna difficoltà, per l'unione dei partiti.L'aristocrazia dovette essere contenta, che per mezzo diuna compera di voti, che fece impressione perfino inquell'epoca di sfacciatissima corruzione, e per la qualetutto il ceto della nobiltà fornì i mezzi, gli fosse associa-to nella persona di Marco Bibulo un collega, la cui limi-tata ostinatezza passava nei circoli aristocratici per ener-gia conservatrice, e non fu per sua colpa, se i signorinon furono indennizzati delle loro patriottiche spese.Quando Cesare pervenne al consolato fece tosto metterein deliberazione le richieste dei suoi alleati, fra le qualila più importante era quella che assegnava terreni ai ve-terani dell'esercito asiatico.

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La legge agraria progettata a questo scopo da Cesare sifondava in generale sul progetto di legge propostol'anno prima per ordine di Pompeo e che era andato avuoto.Per la distribuzione fu destinato solo il territorio dema-niale italico, cioè specialmente quello di Capua, e quan-do questo non fosse bastato, si dovevano acquistare altriterritori italici col prodotto delle nuove province orien-tali al prezzo stabilito nelle liste censorie; perciò rimase-ro intatti tutti i diritti di proprietà e di eredità.Le singole parcelle erano limitate. I ricevitori della terradovevano essere cittadini poveri, padri di tre figli alme-no; la spinosa massima, che il servizio militare desse di-ritto ad un assegnamento di terreno, non fu ammessa,ma furono raccomandati alla considerazione degli inca-ricati della distribuzione, come era giusto e come si erafatto in tutti i tempi, i vecchi soldati e gli affittuari.Dell'esecuzione fu incaricata una commissione di ventimembri, alla quale Cesare dichiarò fermamente di nonvoler prendere parte.

11. Opposizioni dell'aristocrazia.

Di fronte a questa proposta la opposizione si trovava inuna difficile situazione. Non si poteva ragionevolmentenegare che le finanze dello stato, dopo l'ordinamentodelle province del Ponto e della Siria, dovessero trovarsiin grado di rinunciare al prodotto delle tasse dellaCampania; che era cosa ingiustificabile di togliere

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La legge agraria progettata a questo scopo da Cesare sifondava in generale sul progetto di legge propostol'anno prima per ordine di Pompeo e che era andato avuoto.Per la distribuzione fu destinato solo il territorio dema-niale italico, cioè specialmente quello di Capua, e quan-do questo non fosse bastato, si dovevano acquistare altriterritori italici col prodotto delle nuove province orien-tali al prezzo stabilito nelle liste censorie; perciò rimase-ro intatti tutti i diritti di proprietà e di eredità.Le singole parcelle erano limitate. I ricevitori della terradovevano essere cittadini poveri, padri di tre figli alme-no; la spinosa massima, che il servizio militare desse di-ritto ad un assegnamento di terreno, non fu ammessa,ma furono raccomandati alla considerazione degli inca-ricati della distribuzione, come era giusto e come si erafatto in tutti i tempi, i vecchi soldati e gli affittuari.Dell'esecuzione fu incaricata una commissione di ventimembri, alla quale Cesare dichiarò fermamente di nonvoler prendere parte.

11. Opposizioni dell'aristocrazia.

Di fronte a questa proposta la opposizione si trovava inuna difficile situazione. Non si poteva ragionevolmentenegare che le finanze dello stato, dopo l'ordinamentodelle province del Ponto e della Siria, dovessero trovarsiin grado di rinunciare al prodotto delle tasse dellaCampania; che era cosa ingiustificabile di togliere

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all'industria privata uno dei più bei distretti d'Italia, eappunto uno dei più adatti alla suddivisione dellaproprietà; che infine era non meno ingiusto che ridicolo,dopo avere esteso il diritto di cittadinanza a tutta l'Italia,dover privare dei diritti municipali la sola località diCapua.L'intera proposta nel suo complesso portava l'improntadella moderazione, dell'onestà e della solidità, doti allequali molto destramente si univa il carattere del partitodemocratico; poichè in sostanza essa tendeva al ripristi-no della colonia capuana fondata ai tempi di Mario esoppressa da Silla. Anche nella forma Cesare osservòogni possibile riguardo.Egli sottomise prima al dibattimento del senato il pro-getto di legge agraria e al tempo stesso la proposta disanzionare nell'insieme le disposizioni prese da Pompeoin oriente e così la petizione degli appaltatori delle im-poste pel ribasso di una terza parte della somma stabili-ta, e si dichiarò pronto ad accogliere proposte di emen-damenti e a metterle in discussione.Il senato ebbe ora occasione di persuadersi quanto stol-tamente avesse agito gettando, col rifiuto di queste pro-poste, nelle braccia del suo avversario tanto Pompeoquanto il partito dei cavalieri. Forse gli alti signori sisentirono indotti da questa interna persuasione al granbaccano che mal si confaceva colla riservatezza di Cesa-re?La legge fu da essi respinta senza discussione di sorta.Nè trovò maggiore grazia ai loro occhi la deliberazione

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all'industria privata uno dei più bei distretti d'Italia, eappunto uno dei più adatti alla suddivisione dellaproprietà; che infine era non meno ingiusto che ridicolo,dopo avere esteso il diritto di cittadinanza a tutta l'Italia,dover privare dei diritti municipali la sola località diCapua.L'intera proposta nel suo complesso portava l'improntadella moderazione, dell'onestà e della solidità, doti allequali molto destramente si univa il carattere del partitodemocratico; poichè in sostanza essa tendeva al ripristi-no della colonia capuana fondata ai tempi di Mario esoppressa da Silla. Anche nella forma Cesare osservòogni possibile riguardo.Egli sottomise prima al dibattimento del senato il pro-getto di legge agraria e al tempo stesso la proposta disanzionare nell'insieme le disposizioni prese da Pompeoin oriente e così la petizione degli appaltatori delle im-poste pel ribasso di una terza parte della somma stabili-ta, e si dichiarò pronto ad accogliere proposte di emen-damenti e a metterle in discussione.Il senato ebbe ora occasione di persuadersi quanto stol-tamente avesse agito gettando, col rifiuto di queste pro-poste, nelle braccia del suo avversario tanto Pompeoquanto il partito dei cavalieri. Forse gli alti signori sisentirono indotti da questa interna persuasione al granbaccano che mal si confaceva colla riservatezza di Cesa-re?La legge fu da essi respinta senza discussione di sorta.Nè trovò maggiore grazia ai loro occhi la deliberazione

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sulle disposizioni di Pompeo in Asia. Quanto alla peti-zione degli appaltatori delle imposte, Catone si sforzòsecondo il malaugurato costume parlamentare romano,di farla decadere, cioè di protrarre il suo discorso sinoall'ultimo momento legale della seduta; quando Cesarefece mostra di far arrestare quest'uomo ostinato, fu fi-nalmente respinta anche questa proposta.Naturalmente tutte queste proposte passarono alla bor-ghesia. Senza scostarsi troppo dal vero, Cesare potè direalla moltitudine, che il senato aveva sdegnosamente re-spinto tutte le più assennate e necessarie disposizionifattegli con le più rispettose forme, solamente perchèprovenienti dal console democratico. Se aggiungeva aquesto il fatto che gli aristocratici avevano formato uncomplotto per far respingere le accennate proposte, e sesi rivolse alla borghesia e specialmente a Pompeo stessoe ai suoi veterani, invitandoli a sostenerlo contro l'astu-zia e la forza; tuttociò non era però assolutamente ingiu-stificato.

12. Approvazione della legge agraria.

L'aristocrazia, avendo alla testa Bibulo, povero di spiritoe testardo, e Catone, irremovibile e pazzo sistematico, siera realmente prefissa di spingere le cose agli estremi.Pompeo, indotto da Cesare a pronunciarsi sul suoatteggiamento di fronte alla presente questione, dichiaròliberamente, ciò che non era suo costume, che sequalcuno osasse impugnare la spada, egli pure avrebbe

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sulle disposizioni di Pompeo in Asia. Quanto alla peti-zione degli appaltatori delle imposte, Catone si sforzòsecondo il malaugurato costume parlamentare romano,di farla decadere, cioè di protrarre il suo discorso sinoall'ultimo momento legale della seduta; quando Cesarefece mostra di far arrestare quest'uomo ostinato, fu fi-nalmente respinta anche questa proposta.Naturalmente tutte queste proposte passarono alla bor-ghesia. Senza scostarsi troppo dal vero, Cesare potè direalla moltitudine, che il senato aveva sdegnosamente re-spinto tutte le più assennate e necessarie disposizionifattegli con le più rispettose forme, solamente perchèprovenienti dal console democratico. Se aggiungeva aquesto il fatto che gli aristocratici avevano formato uncomplotto per far respingere le accennate proposte, e sesi rivolse alla borghesia e specialmente a Pompeo stessoe ai suoi veterani, invitandoli a sostenerlo contro l'astu-zia e la forza; tuttociò non era però assolutamente ingiu-stificato.

12. Approvazione della legge agraria.

L'aristocrazia, avendo alla testa Bibulo, povero di spiritoe testardo, e Catone, irremovibile e pazzo sistematico, siera realmente prefissa di spingere le cose agli estremi.Pompeo, indotto da Cesare a pronunciarsi sul suoatteggiamento di fronte alla presente questione, dichiaròliberamente, ciò che non era suo costume, che sequalcuno osasse impugnare la spada, egli pure avrebbe

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brandito la sua e che non avrebbe poi dimenticato a casail suo scudo; egualmente si espresse Crasso.I veterani di Pompeo furono invitati ad intervenire ilgiorno del suffragio, essendo essi i primi interessati, ingran numero e con le armi nascoste, nella piazza dellavotazione. Tuttavia la nobiltà non tralasciò alcun mezzoper rendere vane le proposte di Cesare. Ogni giorno incui Cesare si presentava al popolo, il suo collega Bibuloricorreva alle notorie osservazioni di meteorologia poli-tica, che interrompevano tutti gli affari pubblici; Cesarenon si curava del cielo e continuava a trattare i suoi affa-ri terrestri.Si oppose il veto tribunizio; Cesare si limitò a non cu-rarsene. Bibulo e Catone saltarono sulla tribuna, arrin-garono la moltitudine e produssero il solito tumulto: Ce-sare li fece condurre via dai littori coll'ordine che nonvenisse loro fatto alcun male; era pure nel suo interesseche questa commedia politica restasse quale era.Non ostante tutti i cavilli e tutto lo strepito della nobiltà,la borghesia adottò la legge agraria, sanzionò l'organiz-zazione delle province asiatiche e decretò il ribasso ri-chiesto dagli appaltatori delle imposte; venne eletta emessa al suo posto la commissione dei venti con Pom-peo e Crasso alla testa; con tutti i suoi sforzi l'aristocra-zia non era riuscita ad altro che a provocare la coalizio-ne colla cieca ed odiosa opposizione a stringere più sal-di i suoi legami e ad esaurire l'energia in cose indiffe-renti, mentre essa doveva ben presto aver bisogno dellaborghesia per faccende di grave peso.

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brandito la sua e che non avrebbe poi dimenticato a casail suo scudo; egualmente si espresse Crasso.I veterani di Pompeo furono invitati ad intervenire ilgiorno del suffragio, essendo essi i primi interessati, ingran numero e con le armi nascoste, nella piazza dellavotazione. Tuttavia la nobiltà non tralasciò alcun mezzoper rendere vane le proposte di Cesare. Ogni giorno incui Cesare si presentava al popolo, il suo collega Bibuloricorreva alle notorie osservazioni di meteorologia poli-tica, che interrompevano tutti gli affari pubblici; Cesarenon si curava del cielo e continuava a trattare i suoi affa-ri terrestri.Si oppose il veto tribunizio; Cesare si limitò a non cu-rarsene. Bibulo e Catone saltarono sulla tribuna, arrin-garono la moltitudine e produssero il solito tumulto: Ce-sare li fece condurre via dai littori coll'ordine che nonvenisse loro fatto alcun male; era pure nel suo interesseche questa commedia politica restasse quale era.Non ostante tutti i cavilli e tutto lo strepito della nobiltà,la borghesia adottò la legge agraria, sanzionò l'organiz-zazione delle province asiatiche e decretò il ribasso ri-chiesto dagli appaltatori delle imposte; venne eletta emessa al suo posto la commissione dei venti con Pom-peo e Crasso alla testa; con tutti i suoi sforzi l'aristocra-zia non era riuscita ad altro che a provocare la coalizio-ne colla cieca ed odiosa opposizione a stringere più sal-di i suoi legami e ad esaurire l'energia in cose indiffe-renti, mentre essa doveva ben presto aver bisogno dellaborghesia per faccende di grave peso.

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Si felicitavano reciprocamente del loro eroismo; l'avereBibulo dichiarato di voler piuttosto morire che cedere, el'aver Catone mentre era in potere degli sgherri conti-nuato a perorare, erano gloriose gesta patriottiche; delresto essi si abbandonarono al loro destino.Il console Bibulo si chiuse in casa durante tutto il restodel suo consolato, facendo conoscere, con un pubblicoavviso, di avere egli la pia intenzione di scrutare i segnicelesti in tutti i giorni destinati durante quell'anno alleadunanze popolari. I suoi colleghi ammirarono nuova-mente il grand'uomo, il quale, come disse Ennio delvecchio Fabio, «temporeggiando salvava lo stato» e loimitarono: la maggior parte di essi, fra i quali Catone,non comparve più in senato, e così circoscritti entro leloro quattro pareti contribuirono ad accrescere l'ira delproprio console, poichè non ostante l'astronomia politi-ca, la storia del mondo non s'arrestava.Il pubblico considerava giustamente questo contegnopassivo del console e in generale dell'aristocrazia comeun'abdicazione politica; e la coalizione ne era natural-mente contenta, poichè così poteva procedere per la pro-pria via quasi senza trovare ostacoli.

13. Cesare luogotenente delle Gallie.

Il passo più importante era quello di stabilire la futuraposizione di Cesare. La costituzione assegnava al senatoil diritto di stabilire le competenze del secondo annodella carica consolare anche prima della elezione dei

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Si felicitavano reciprocamente del loro eroismo; l'avereBibulo dichiarato di voler piuttosto morire che cedere, el'aver Catone mentre era in potere degli sgherri conti-nuato a perorare, erano gloriose gesta patriottiche; delresto essi si abbandonarono al loro destino.Il console Bibulo si chiuse in casa durante tutto il restodel suo consolato, facendo conoscere, con un pubblicoavviso, di avere egli la pia intenzione di scrutare i segnicelesti in tutti i giorni destinati durante quell'anno alleadunanze popolari. I suoi colleghi ammirarono nuova-mente il grand'uomo, il quale, come disse Ennio delvecchio Fabio, «temporeggiando salvava lo stato» e loimitarono: la maggior parte di essi, fra i quali Catone,non comparve più in senato, e così circoscritti entro leloro quattro pareti contribuirono ad accrescere l'ira delproprio console, poichè non ostante l'astronomia politi-ca, la storia del mondo non s'arrestava.Il pubblico considerava giustamente questo contegnopassivo del console e in generale dell'aristocrazia comeun'abdicazione politica; e la coalizione ne era natural-mente contenta, poichè così poteva procedere per la pro-pria via quasi senza trovare ostacoli.

13. Cesare luogotenente delle Gallie.

Il passo più importante era quello di stabilire la futuraposizione di Cesare. La costituzione assegnava al senatoil diritto di stabilire le competenze del secondo annodella carica consolare anche prima della elezione dei

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consoli; in conformità di ciò, prevedendo l'elezione diCesare, il senato aveva scelto a questo fine pel 696 = 58due province, nelle quali il luogotenente non avesse dafare altro che costruzioni stradali e simili utili cose.Naturalmente la cosa non poteva limitarsi così; era statocombinato fra gli alleati che Cesare ottenesse, con unplebiscito, un comando straordinario formulato sul mo-dello delle leggi gabinio-manilie. Ma siccome Cesareaveva dichiarato pubblicamente di non voler fare alcunaproposta in proprio favore, il tribuno del popolo PublioVatinio assunse di fare la relativa proposta dinanzi allaborghesia, la quale, naturalmente, vi acconsentì senzaalcuna condizione.Cesare ebbe così la luogotenenza della Gallia cisalpina eil supremo comando delle tre legioni colà stanziate e giàsperimentate nella guerra di confine sotto Lucio Afra-nio, inoltre grado pretorio pei suoi aiutanti, come l'ave-vano avuto quelli di Pompeo. Questa carica gli fu assi-curata per cinque anni, termine maggiore di quello chefosse mai stato stabilito a nessun altro generale nomina-to a tempo limitato.I transpadani, che già da anni avevano la speranza di ot-tenere il diritto di cittadinanza e che erano i clienti delpartito democratico in Roma, e specialmente di Cesare,formavano il nocciolo della sua luogotenenza. La suagiurisdizione si estendeva verso mezzodì sino all'Arno eal Rubicone e comprendeva Lucca e Ravenna; vi fu ag-giunta poi anche la provincia di Narbona colla legioneivi stanziata, e ciò fu fatto dal senato su proposta di

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consoli; in conformità di ciò, prevedendo l'elezione diCesare, il senato aveva scelto a questo fine pel 696 = 58due province, nelle quali il luogotenente non avesse dafare altro che costruzioni stradali e simili utili cose.Naturalmente la cosa non poteva limitarsi così; era statocombinato fra gli alleati che Cesare ottenesse, con unplebiscito, un comando straordinario formulato sul mo-dello delle leggi gabinio-manilie. Ma siccome Cesareaveva dichiarato pubblicamente di non voler fare alcunaproposta in proprio favore, il tribuno del popolo PublioVatinio assunse di fare la relativa proposta dinanzi allaborghesia, la quale, naturalmente, vi acconsentì senzaalcuna condizione.Cesare ebbe così la luogotenenza della Gallia cisalpina eil supremo comando delle tre legioni colà stanziate e giàsperimentate nella guerra di confine sotto Lucio Afra-nio, inoltre grado pretorio pei suoi aiutanti, come l'ave-vano avuto quelli di Pompeo. Questa carica gli fu assi-curata per cinque anni, termine maggiore di quello chefosse mai stato stabilito a nessun altro generale nomina-to a tempo limitato.I transpadani, che già da anni avevano la speranza di ot-tenere il diritto di cittadinanza e che erano i clienti delpartito democratico in Roma, e specialmente di Cesare,formavano il nocciolo della sua luogotenenza. La suagiurisdizione si estendeva verso mezzodì sino all'Arno eal Rubicone e comprendeva Lucca e Ravenna; vi fu ag-giunta poi anche la provincia di Narbona colla legioneivi stanziata, e ciò fu fatto dal senato su proposta di

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Pompeo, affinchè anche questo comando non fosse as-segnato a Cesare con un plebiscito straordinario.Così si raggiunse lo scopo prefisso. Non potendo, se-condo la costituzione, stanziare alcun esercito nell'Italiapropriamente detta, il supremo comandante delle legionidell'alta Italia e della Gallia dominava per i prossimicinque anni al tempo stesso anche sull'Italia e su Roma echi domina per cinque anni domina anche a vita.Il consolato di Cesare aveva raggiunto il suo scopo.S'intende, che i nuovi autocrati non mancavano di tenereal tempo stesso di buon umore la moltitudine con giuo-chi e divertimenti di ogni genere, e che profittavanod'ogni occasione per riempire la loro cassa; come adesempio la coalizione fece pagare al re d'Egittoun'ingente somma pel plebiscito che lo riconosceva le-gittimo sovrano e concesse in questa occasione a parec-chi altri sovrani ed a molti comuni lettere patenti e privi-legi.

14. Misure di sicurezza dei collegati.

Sembrava sufficientemente assicurata anche la duratadelle istituzioni introdotte. Il consolato era affidato amani sicure almeno pel prossimo anno.Il pubblico credeva sulle prime che fosse destinato an-cora a Pompeo ed a Crasso; ma questi preferirono di far-vi eleggere pel 696 = 58 due uomini del loro partito, in-feriori, ma sicuri: Aulo Gabinio, il migliore fra gli aiu-tanti di Pompeo, e Lucio Pisone, meno importante, ma

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Pompeo, affinchè anche questo comando non fosse as-segnato a Cesare con un plebiscito straordinario.Così si raggiunse lo scopo prefisso. Non potendo, se-condo la costituzione, stanziare alcun esercito nell'Italiapropriamente detta, il supremo comandante delle legionidell'alta Italia e della Gallia dominava per i prossimicinque anni al tempo stesso anche sull'Italia e su Roma echi domina per cinque anni domina anche a vita.Il consolato di Cesare aveva raggiunto il suo scopo.S'intende, che i nuovi autocrati non mancavano di tenereal tempo stesso di buon umore la moltitudine con giuo-chi e divertimenti di ogni genere, e che profittavanod'ogni occasione per riempire la loro cassa; come adesempio la coalizione fece pagare al re d'Egittoun'ingente somma pel plebiscito che lo riconosceva le-gittimo sovrano e concesse in questa occasione a parec-chi altri sovrani ed a molti comuni lettere patenti e privi-legi.

14. Misure di sicurezza dei collegati.

Sembrava sufficientemente assicurata anche la duratadelle istituzioni introdotte. Il consolato era affidato amani sicure almeno pel prossimo anno.Il pubblico credeva sulle prime che fosse destinato an-cora a Pompeo ed a Crasso; ma questi preferirono di far-vi eleggere pel 696 = 58 due uomini del loro partito, in-feriori, ma sicuri: Aulo Gabinio, il migliore fra gli aiu-tanti di Pompeo, e Lucio Pisone, meno importante, ma

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che era suocero di Cesare.Pompeo assunse l'incarico di sorvegliare personalmentel'Italia, dove egli alla testa della commissione dei ventiaccudiva alla esecuzione della legge agraria e dava sta-bile dimora nel territorio di Capua a 20.000 cittadini,per la maggior parte veterani del suo esercito. Quale ap-poggio contro l'opposizione della capitale servivano aPompeo le legioni di Cesare nell'alta Italia.Almeno per il momento nessuna rottura era in vista tracoloro che avevano il potere. Le leggi emanate da Cesa-re durante il suo consolato, al cui mantenimento Pom-peo era almeno altrettanto interessato quanto Cesare, ga-rantivano la continuazione della scissione esistente fraPompeo e l'aristocrazia, i capi della quale, specialmenteCatone, continuavano a non volerle riconoscere, e cosìfacendo assicuravano la continuazione della coalizione.Anzi avvenne che fra i capi di essa si stringessero mag-giormente i vincoli personali. Cesare aveva mantenutaai suoi alleati onestamente e fedelmente la sua parola in-tegralmente e senza riserve e aveva specialmente propu-gnato con destrezza e con energia, come fosse stata cosapropria, la legge agraria proposta nell'interesse di Pom-peo. Questi non era insensibile dinanzi ad un contegnoleale ed alla fede serbata, e si affezionò a colui il qualed'un colpo l'aveva tolto dalla misera situazione di postu-lante nella quale da tre anni si andava struggendo.I frequenti e confidenziali rapporti con un uomo d'irresi-stibile amabilità come era Cesare, fecero il resto percambiare l'unione d'interessi in una unione d'amicizia.

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che era suocero di Cesare.Pompeo assunse l'incarico di sorvegliare personalmentel'Italia, dove egli alla testa della commissione dei ventiaccudiva alla esecuzione della legge agraria e dava sta-bile dimora nel territorio di Capua a 20.000 cittadini,per la maggior parte veterani del suo esercito. Quale ap-poggio contro l'opposizione della capitale servivano aPompeo le legioni di Cesare nell'alta Italia.Almeno per il momento nessuna rottura era in vista tracoloro che avevano il potere. Le leggi emanate da Cesa-re durante il suo consolato, al cui mantenimento Pom-peo era almeno altrettanto interessato quanto Cesare, ga-rantivano la continuazione della scissione esistente fraPompeo e l'aristocrazia, i capi della quale, specialmenteCatone, continuavano a non volerle riconoscere, e cosìfacendo assicuravano la continuazione della coalizione.Anzi avvenne che fra i capi di essa si stringessero mag-giormente i vincoli personali. Cesare aveva mantenutaai suoi alleati onestamente e fedelmente la sua parola in-tegralmente e senza riserve e aveva specialmente propu-gnato con destrezza e con energia, come fosse stata cosapropria, la legge agraria proposta nell'interesse di Pom-peo. Questi non era insensibile dinanzi ad un contegnoleale ed alla fede serbata, e si affezionò a colui il qualed'un colpo l'aveva tolto dalla misera situazione di postu-lante nella quale da tre anni si andava struggendo.I frequenti e confidenziali rapporti con un uomo d'irresi-stibile amabilità come era Cesare, fecero il resto percambiare l'unione d'interessi in una unione d'amicizia.

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Risultato e pegno di questa amicizia e naturalmente altempo stesso anche un pubblico indubbio annunzio dellanuova comune signoria, fu il matrimonio di Pompeo conl'unica figlia di Cesare che aveva ventitrè anni.Giulia, che aveva ereditato l'amabilità del padre, vissecon suo marito, che aveva il doppio della sua età, la piùfelice vita domestica, e la borghesia, che dopo tante mi-serie e tante crisi anelava alla quiete e all'ordine, vedevain questa unione la garanzia d'un avvenire pacifico eprospero.

15. Condizioni dell'aristocrazia.

Quanto più fermo e stretto si faceva il buon accordo fraPompeo e Cesare, tanto più diveniva disperata la causadell'aristocrazia. Essa vedeva balenare la spada sulproprio capo e conosceva abbastanza Cesare perdubitare che all'occorrenza egli se ne sarebbe servitosenza esitare.Uno di essi scriveva: «noi siamo tenuti in scacco daogni parte; già per timore della morte o del bando abbia-mo rinunciato alla «libertà»; tutti cospirano, nessuno osaparlare».I collegati non potevano esigere di più ma per quanto lamaggioranza dell'aristocrazia fosse dominata da questadesiderabile condizione d'animo naturalmente non man-cavano anche in questo partito le teste calde.Cesare aveva appena deposto il consolato, che già alcu-ni dei più accesi aristocratici, Lucio Domizio e Caio

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Risultato e pegno di questa amicizia e naturalmente altempo stesso anche un pubblico indubbio annunzio dellanuova comune signoria, fu il matrimonio di Pompeo conl'unica figlia di Cesare che aveva ventitrè anni.Giulia, che aveva ereditato l'amabilità del padre, vissecon suo marito, che aveva il doppio della sua età, la piùfelice vita domestica, e la borghesia, che dopo tante mi-serie e tante crisi anelava alla quiete e all'ordine, vedevain questa unione la garanzia d'un avvenire pacifico eprospero.

15. Condizioni dell'aristocrazia.

Quanto più fermo e stretto si faceva il buon accordo fraPompeo e Cesare, tanto più diveniva disperata la causadell'aristocrazia. Essa vedeva balenare la spada sulproprio capo e conosceva abbastanza Cesare perdubitare che all'occorrenza egli se ne sarebbe servitosenza esitare.Uno di essi scriveva: «noi siamo tenuti in scacco daogni parte; già per timore della morte o del bando abbia-mo rinunciato alla «libertà»; tutti cospirano, nessuno osaparlare».I collegati non potevano esigere di più ma per quanto lamaggioranza dell'aristocrazia fosse dominata da questadesiderabile condizione d'animo naturalmente non man-cavano anche in questo partito le teste calde.Cesare aveva appena deposto il consolato, che già alcu-ni dei più accesi aristocratici, Lucio Domizio e Caio

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Memmio, proponevano in pieno senato di cassare le leg-gi giulie. Questa proposta non era certamente che unastoltezza, la quale riusciva a tutto vantaggio della coali-zione; poichè insistendo ora Cesare stesso, affinchè ilsenato esaminasse la validità delle leggi contestate, que-sto non potè che riconoscerne formalmente la legalità.Ma coloro che avevano in mano il potere, come è facilecomprendere, trovarono in questo modo di procedere unnuovo stimolo a costituire un esempio, procedendo con-tro alcuni dei più ragguardevoli e più sfacciati opposito-ri e assicurandosi così che gli altri si attenessero ad unsalutare silenzio.Sulle prime si sperava che le clausole della legge agra-ria, la quale, come era uso, voleva che tutti i senatori,pena la perdita dei loro diritti politici, sanzionassero colgiuramento la nuova legge, avrebbe indotto gli opposi-tori più accesi, sullo esempio di Metello Numidico, abandirsi da sè stessi col rifiuto del giuramento. Ma essinon vollero mostrarsi così compiacenti; persino il seve-ro Catone si adattò a giurare, e lo imitarono i suoi San-cio-Pancia. Un altro poco onorevole tentativo, diretto aminacciare di un processo criminale e conseguentemen-te del bando i capi dell'aristocrazia per un supposto at-tentato contro la vita di Pompeo, fu reso vano per l'inca-pacità degli istrumenti adoperati; il denunciante, un taleVezio, esagerò e si contraddisse tanto che il tribuno Va-tinio, che dirigeva questo sozzo intrigo, mostrò con tan-ta evidenza la sua complicità col denunciante che si giu-dicò senz'altro conveniente di far strozzare il Vezio in

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Memmio, proponevano in pieno senato di cassare le leg-gi giulie. Questa proposta non era certamente che unastoltezza, la quale riusciva a tutto vantaggio della coali-zione; poichè insistendo ora Cesare stesso, affinchè ilsenato esaminasse la validità delle leggi contestate, que-sto non potè che riconoscerne formalmente la legalità.Ma coloro che avevano in mano il potere, come è facilecomprendere, trovarono in questo modo di procedere unnuovo stimolo a costituire un esempio, procedendo con-tro alcuni dei più ragguardevoli e più sfacciati opposito-ri e assicurandosi così che gli altri si attenessero ad unsalutare silenzio.Sulle prime si sperava che le clausole della legge agra-ria, la quale, come era uso, voleva che tutti i senatori,pena la perdita dei loro diritti politici, sanzionassero colgiuramento la nuova legge, avrebbe indotto gli opposi-tori più accesi, sullo esempio di Metello Numidico, abandirsi da sè stessi col rifiuto del giuramento. Ma essinon vollero mostrarsi così compiacenti; persino il seve-ro Catone si adattò a giurare, e lo imitarono i suoi San-cio-Pancia. Un altro poco onorevole tentativo, diretto aminacciare di un processo criminale e conseguentemen-te del bando i capi dell'aristocrazia per un supposto at-tentato contro la vita di Pompeo, fu reso vano per l'inca-pacità degli istrumenti adoperati; il denunciante, un taleVezio, esagerò e si contraddisse tanto che il tribuno Va-tinio, che dirigeva questo sozzo intrigo, mostrò con tan-ta evidenza la sua complicità col denunciante che si giu-dicò senz'altro conveniente di far strozzare il Vezio in

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carcere e di lasciar cadere la cosa.Intanto in quest'occasione si era potuto persuadersi a sa-zietà della completa dissoluzione della aristocrazia edell'angoscia in cui vivevano quei nobili signori; persinoun uomo come Lucio Lucullo si era gettato ai piedi diCesare e aveva dichiarato pubblicamente che per l'avan-zata sua età egli si vedeva costretto a ritirarsi dalla vitapubblica. Occorsero infine poche vittime.

16. Allontamento di Cicerone e di Catone.

Si trattava specialmente di allontanare Catone, che nonnascondeva la sua convinzione della nullità di tutte leleggi giulie, e che era uomo da agire come pensava.Simile a lui non era certo Marco Cicerone, e nessuno sidava la pena di temerlo.Ma il partito democratico che nella coalizione aveva laprima parte, non poteva assolutamente, dopo la sua vit-toria, lasciare impunito il legale assassinio del 5 dicem-bre 691 = 63 dopo di averlo così altamente e con ragio-ne condannato.Se si fossero voluti chiamare a rispondere i veri autoridel fatale giudizio, non si doveva certamente attenersi aldebole console, ma a quella frazione dell'ultra-aristocra-zia, che aveva spinto quest'uomo timido ad ordinarequell'esecuzione. Senonchè, stando al diritto formale,non i consiglieri ma il console stesso, era responsabiledi una tale esecuzione, e si scelse perciò il modo piùmite di procedere solo contro il console, lasciando del

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carcere e di lasciar cadere la cosa.Intanto in quest'occasione si era potuto persuadersi a sa-zietà della completa dissoluzione della aristocrazia edell'angoscia in cui vivevano quei nobili signori; persinoun uomo come Lucio Lucullo si era gettato ai piedi diCesare e aveva dichiarato pubblicamente che per l'avan-zata sua età egli si vedeva costretto a ritirarsi dalla vitapubblica. Occorsero infine poche vittime.

16. Allontamento di Cicerone e di Catone.

Si trattava specialmente di allontanare Catone, che nonnascondeva la sua convinzione della nullità di tutte leleggi giulie, e che era uomo da agire come pensava.Simile a lui non era certo Marco Cicerone, e nessuno sidava la pena di temerlo.Ma il partito democratico che nella coalizione aveva laprima parte, non poteva assolutamente, dopo la sua vit-toria, lasciare impunito il legale assassinio del 5 dicem-bre 691 = 63 dopo di averlo così altamente e con ragio-ne condannato.Se si fossero voluti chiamare a rispondere i veri autoridel fatale giudizio, non si doveva certamente attenersi aldebole console, ma a quella frazione dell'ultra-aristocra-zia, che aveva spinto quest'uomo timido ad ordinarequell'esecuzione. Senonchè, stando al diritto formale,non i consiglieri ma il console stesso, era responsabiledi una tale esecuzione, e si scelse perciò il modo piùmite di procedere solo contro il console, lasciando del

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tutto fuori di questione il senato, per cui anche nei moti-vi della proposta avanzata contro Cicerone, il senatoconsulto, in forza del quale egli ordinò l'esecuzione, vie-ne addirittura indicato come supposto.I governanti avrebbero voluto volentieri evitare persinocontro Cicerone i passi che facevano suscitare lo scan-dalo; ma questi non potè indursi nè a dare ad essi le ri-chieste garanzie, nè ad esiliarsi spontaneamente daRoma sotto uno dei tanti pretesti plausibili accennatiglie nemmeno soltanto a tacere.Con tutta la buona volontà di evitare ogni urto, e mal-grado la più sincera angoscia, egli non aveva abbastanzacontegno per essere previdente. Quando un'arguzia pe-tulante solleticava la sua lingua, o quando il suo amorproprio stimolato fino alla pazzia dalle lodi di tanti no-bili signori, gonfiava i ben cadenzati periodi dell'avvo-cato plebeo, gli era impossibile tacere.L'esecuzione delle misure adottate contro Catone e Ci-cerone fu demandata al leggero e dissoluto, ma destro eardito, Publio Clodio, il quale da parecchi anni era acer-rimo nemico di Cicerone, e che per potersi sfogare con-tro di lui e distinguere come demagogo si era fatto eleg-gere tribuno per l'anno 696 = 58 sotto il consolato di Ce-sare, e che con una affrettata adozione si era tramutatoda patrizio in plebeo. In appoggio di Clodio il proconso-le Cesare si tenne in immediata prossimità della città,finchè non fosse portato il colpo contro le due vittime.Conforme agli ordini avuti, Clodio propose alla borghe-sia di incaricare Catone dell'ordinamento delle intricate

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tutto fuori di questione il senato, per cui anche nei moti-vi della proposta avanzata contro Cicerone, il senatoconsulto, in forza del quale egli ordinò l'esecuzione, vie-ne addirittura indicato come supposto.I governanti avrebbero voluto volentieri evitare persinocontro Cicerone i passi che facevano suscitare lo scan-dalo; ma questi non potè indursi nè a dare ad essi le ri-chieste garanzie, nè ad esiliarsi spontaneamente daRoma sotto uno dei tanti pretesti plausibili accennatiglie nemmeno soltanto a tacere.Con tutta la buona volontà di evitare ogni urto, e mal-grado la più sincera angoscia, egli non aveva abbastanzacontegno per essere previdente. Quando un'arguzia pe-tulante solleticava la sua lingua, o quando il suo amorproprio stimolato fino alla pazzia dalle lodi di tanti no-bili signori, gonfiava i ben cadenzati periodi dell'avvo-cato plebeo, gli era impossibile tacere.L'esecuzione delle misure adottate contro Catone e Ci-cerone fu demandata al leggero e dissoluto, ma destro eardito, Publio Clodio, il quale da parecchi anni era acer-rimo nemico di Cicerone, e che per potersi sfogare con-tro di lui e distinguere come demagogo si era fatto eleg-gere tribuno per l'anno 696 = 58 sotto il consolato di Ce-sare, e che con una affrettata adozione si era tramutatoda patrizio in plebeo. In appoggio di Clodio il proconso-le Cesare si tenne in immediata prossimità della città,finchè non fosse portato il colpo contro le due vittime.Conforme agli ordini avuti, Clodio propose alla borghe-sia di incaricare Catone dell'ordinamento delle intricate

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condizioni comunali dei bizantini e della confisca deiregno di Cipro, che appunto, come l'Egitto, era venutoin potere dei Romani per testamento di Alessandro II,ma che non si era riscattato con denaro come aveva fattoquello, e il cui re aveva poi offeso alcuni anni primaClodio personalmente.Quanto a Cicerone, Clodio presentò un progetto di leggeche qualificava la condanna capitale di un cittadino sen-za sentenza e senza diritto come un delitto da punirsi colbando. Catone fu dunque allontanato con un'onorevolemissione, Cicerone fu colpito ma colla pena più mite;d'altronde il suo nome non venne pronunciato nella rela-tiva proposta.Ma non si volle rinunciare al piacere di punire da unlato un uomo notoriamente timido e per l'energia con-servativa da lui manifestata appartenente alla classe del-le banderuole politiche, e dall'altro a quello di nominarel'arrabbiato oppositore di ogni ingerenza della borghesianel governo e il nemico di tutti i comandi straordinari adun simile comando appunto col mezzo di un decretodella borghesia. Nello stesso modo la proposta relativa aCatone fu motivata dalle straordinarie virtù diquest'uomo che lo qualificavano a preferenza di qualun-que altro adatto ad eseguire onestamente un così delica-to incarico, come era quello dell'incameramentodell'importante tesoro della corona di Cipro.Tutte e due le proposte rivestono in generale lo stessocarattere di quella deferenza piena di riguardi e di quellafredda ironia, che si trovano in tutto il contegno di Cesa-

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condizioni comunali dei bizantini e della confisca deiregno di Cipro, che appunto, come l'Egitto, era venutoin potere dei Romani per testamento di Alessandro II,ma che non si era riscattato con denaro come aveva fattoquello, e il cui re aveva poi offeso alcuni anni primaClodio personalmente.Quanto a Cicerone, Clodio presentò un progetto di leggeche qualificava la condanna capitale di un cittadino sen-za sentenza e senza diritto come un delitto da punirsi colbando. Catone fu dunque allontanato con un'onorevolemissione, Cicerone fu colpito ma colla pena più mite;d'altronde il suo nome non venne pronunciato nella rela-tiva proposta.Ma non si volle rinunciare al piacere di punire da unlato un uomo notoriamente timido e per l'energia con-servativa da lui manifestata appartenente alla classe del-le banderuole politiche, e dall'altro a quello di nominarel'arrabbiato oppositore di ogni ingerenza della borghesianel governo e il nemico di tutti i comandi straordinari adun simile comando appunto col mezzo di un decretodella borghesia. Nello stesso modo la proposta relativa aCatone fu motivata dalle straordinarie virtù diquest'uomo che lo qualificavano a preferenza di qualun-que altro adatto ad eseguire onestamente un così delica-to incarico, come era quello dell'incameramentodell'importante tesoro della corona di Cipro.Tutte e due le proposte rivestono in generale lo stessocarattere di quella deferenza piena di riguardi e di quellafredda ironia, che si trovano in tutto il contegno di Cesa-

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re verso il senato. Naturalmente a nulla valse che lamaggioranza del senato, per protestare in qualche modocontro lo scherno ed il marchio impresso alla sua delibe-razione nella questione catilinaria, vestisse a bruno, eche Cicerone stesso, ora che era troppo tardi, domandas-se grazia, genuflesso avanti a Pompeo; egli dovette ban-dirsi ancor prima che passasse la legge che lo escludevadalla sua patria (aprile 696 = 58).Catone stesso non volle provocare più severe misure coldeclinare l'incarico avuto, ma l'accettò e s'imbarcò perl'oriente.Il più urgente era fatto; anche Cesare poteva ora lasciarel'Italia per darsi a più serie occupazioni.

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re verso il senato. Naturalmente a nulla valse che lamaggioranza del senato, per protestare in qualche modocontro lo scherno ed il marchio impresso alla sua delibe-razione nella questione catilinaria, vestisse a bruno, eche Cicerone stesso, ora che era troppo tardi, domandas-se grazia, genuflesso avanti a Pompeo; egli dovette ban-dirsi ancor prima che passasse la legge che lo escludevadalla sua patria (aprile 696 = 58).Catone stesso non volle provocare più severe misure coldeclinare l'incarico avuto, ma l'accettò e s'imbarcò perl'oriente.Il più urgente era fatto; anche Cesare poteva ora lasciarel'Italia per darsi a più serie occupazioni.

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SESTO CAPITOLOASSOGGETTAMENTO

DELL'OCCIDENTE

1. Romanizzazione dell'occidente.Se dalla meschina monotonia dell'egoismo politico, checombatteva le sue battaglie nel senato e nelle vie dellacapitale, il filo della storia riprende a trattare di cose piùimportanti di quello che non sia di sapere se il primomonarca di Roma si chiamerà Gneo, Caio o Marco, saràben permesso, giunti alla vigilia di un avvenimento, lecui conseguenze dominano ancora oggi i destini delmondo, di dare per un momento uno sguardo attorno edi notare la connessione, nella quale nel concettostorico-universale si devono considerare la conquistadella Francia attuale fatta dai Romani e i primi rapportidi costoro cogli abitanti della Germania e della GranBretagna.In forza della legge, per la quale un popolo sviluppato aforma di stato assorbe i vicini che sono ancora minoren-ni, ed il popolo incivilito quei popoli che si trovano an-cora nell'infanzia intellettuale, legge che è universale enaturale come la legge di gravità, la nazione italica,l'unica fra le antiche che seppe combinare insieme unosvolgimento politico superiore ed una civiltà superiorebenchè questa ultima imperfetta e solo esteriore, avevail diritto di assoggettarsi gli stati greci dell'oriente pros-

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SESTO CAPITOLOASSOGGETTAMENTO

DELL'OCCIDENTE

1. Romanizzazione dell'occidente.Se dalla meschina monotonia dell'egoismo politico, checombatteva le sue battaglie nel senato e nelle vie dellacapitale, il filo della storia riprende a trattare di cose piùimportanti di quello che non sia di sapere se il primomonarca di Roma si chiamerà Gneo, Caio o Marco, saràben permesso, giunti alla vigilia di un avvenimento, lecui conseguenze dominano ancora oggi i destini delmondo, di dare per un momento uno sguardo attorno edi notare la connessione, nella quale nel concettostorico-universale si devono considerare la conquistadella Francia attuale fatta dai Romani e i primi rapportidi costoro cogli abitanti della Germania e della GranBretagna.In forza della legge, per la quale un popolo sviluppato aforma di stato assorbe i vicini che sono ancora minoren-ni, ed il popolo incivilito quei popoli che si trovano an-cora nell'infanzia intellettuale, legge che è universale enaturale come la legge di gravità, la nazione italica,l'unica fra le antiche che seppe combinare insieme unosvolgimento politico superiore ed una civiltà superiorebenchè questa ultima imperfetta e solo esteriore, avevail diritto di assoggettarsi gli stati greci dell'oriente pros-

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simi alla rovina e di soppiantare coi coloni le popolazio-ni di coltura inferiore in occidente, i Libii, gli Iberi, iCelti e i Germani.L'aristocrazia romana aveva portato a buon fine le con-dizioni preliminari di questo còmpito: l'unificazioned'Italia; essa non assolse il còmpito stesso, ma consideròsempre le conquiste fuori d'Italia, o soltanto come unmale necessario, od anche come possedimenti da renditaposti fuori dello stato.È una gloria imperitura della democrazia ossia della mo-narchia romana – poichè formano una cosa sola – cheessa abbia ben compreso questo supremo scopo e chel'abbia messo in pratica con energia.Ciò che l'irresistibile forza delle circostanze aveva pre-disposto col mezzo del senato, il quale suo malgradoaveva gettato le fondamenta della futura signoria roma-na in occidente e in oriente – e ciò comprese poi comeper istinto l'emigrazione romana nelle province, consi-derata come una calamità, ma che nelle province occi-dentali si presentava però anche come foriera di una col-tura più elevata – ha riconosciuto con chiarezza ed hacon sicurezza da vero uomo di stato cominciato a mette-re in pratica il creatore della democrazia romana, CaioGracco.I due pensieri capitali della nuova politica – annettere ilterritorio su cui si estendeva il potere di Roma in quantoera ellenico, e colonizzarlo in quanto non era ellenico –erano stati praticamente riconosciuti colla riunione delregno di Attalo e colle conquiste transalpine di Flacco

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simi alla rovina e di soppiantare coi coloni le popolazio-ni di coltura inferiore in occidente, i Libii, gli Iberi, iCelti e i Germani.L'aristocrazia romana aveva portato a buon fine le con-dizioni preliminari di questo còmpito: l'unificazioned'Italia; essa non assolse il còmpito stesso, ma consideròsempre le conquiste fuori d'Italia, o soltanto come unmale necessario, od anche come possedimenti da renditaposti fuori dello stato.È una gloria imperitura della democrazia ossia della mo-narchia romana – poichè formano una cosa sola – cheessa abbia ben compreso questo supremo scopo e chel'abbia messo in pratica con energia.Ciò che l'irresistibile forza delle circostanze aveva pre-disposto col mezzo del senato, il quale suo malgradoaveva gettato le fondamenta della futura signoria roma-na in occidente e in oriente – e ciò comprese poi comeper istinto l'emigrazione romana nelle province, consi-derata come una calamità, ma che nelle province occi-dentali si presentava però anche come foriera di una col-tura più elevata – ha riconosciuto con chiarezza ed hacon sicurezza da vero uomo di stato cominciato a mette-re in pratica il creatore della democrazia romana, CaioGracco.I due pensieri capitali della nuova politica – annettere ilterritorio su cui si estendeva il potere di Roma in quantoera ellenico, e colonizzarlo in quanto non era ellenico –erano stati praticamente riconosciuti colla riunione delregno di Attalo e colle conquiste transalpine di Flacco

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sino dai tempi di Gracco; ma la vittoriosa reazione liaveva lasciati di nuovo intristire.Lo stato romano rimase una massa di paesi malmenatisenza una compatta occupazione e senza convenienticonfini; la Spagna ed i possedimenti greco-asiatici eranopaesi separati dalla madre patria da territori soggetti aiRomani appena nei contorni del loro litorale; nelle costesettentrionali dell'Africa erano occupati come isole sol-tanto i territori di Cartagine e Cirene, e persino ragguar-devoli tratti del territorio soggetti, specialmente dellaSpagna, dipendevano da Roma solo di nome; dal gover-no poi non si faceva assolutamente nulla per centralizza-re il dominio e finalmente l'abbandono in cui si lasciavala flotta, sembrava sciogliere l'ultimo legame coi posse-dimenti lontani.La democrazia tentò, appena potè rialzare la testa,d'informare anche la politica estera allo spirito di Grac-co, e specialmente Mario ebbe tali idee; ma non essendorimasta a lungo al potere, la cosa rimase allo stato diprogetto. Solo quando, colla caduta della costituzione diSilla nel 684 = 70, la democrazia afferrò di fatto il timo-ne del governo, avvenne anche sotto questo aspetto unrivolgimento.Anzitutto fu ripristinata la signoria sul Mediterraneo,prima questione vitale per uno stato come il romano.Verso oriente fu assicurato il confine dell'Eufratecoll'assorbimento delle province pontiche e siriache.

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sino dai tempi di Gracco; ma la vittoriosa reazione liaveva lasciati di nuovo intristire.Lo stato romano rimase una massa di paesi malmenatisenza una compatta occupazione e senza convenienticonfini; la Spagna ed i possedimenti greco-asiatici eranopaesi separati dalla madre patria da territori soggetti aiRomani appena nei contorni del loro litorale; nelle costesettentrionali dell'Africa erano occupati come isole sol-tanto i territori di Cartagine e Cirene, e persino ragguar-devoli tratti del territorio soggetti, specialmente dellaSpagna, dipendevano da Roma solo di nome; dal gover-no poi non si faceva assolutamente nulla per centralizza-re il dominio e finalmente l'abbandono in cui si lasciavala flotta, sembrava sciogliere l'ultimo legame coi posse-dimenti lontani.La democrazia tentò, appena potè rialzare la testa,d'informare anche la politica estera allo spirito di Grac-co, e specialmente Mario ebbe tali idee; ma non essendorimasta a lungo al potere, la cosa rimase allo stato diprogetto. Solo quando, colla caduta della costituzione diSilla nel 684 = 70, la democrazia afferrò di fatto il timo-ne del governo, avvenne anche sotto questo aspetto unrivolgimento.Anzitutto fu ripristinata la signoria sul Mediterraneo,prima questione vitale per uno stato come il romano.Verso oriente fu assicurato il confine dell'Eufratecoll'assorbimento delle province pontiche e siriache.

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2. Importanza delle conquiste di Cesare.

Ma restava ancora da garantire oltre le Alpi il territorioromano tanto verso settentrione, quanto verso occidentee di procurare alla civiltà ellenica ed all'energia nonancora spenta della schiatta italica in quelle regioni unnuovo terreno vergine.Questo còmpito fu assunto da Caio Cesare. Più che unerrore, è un delitto contro lo spirito sacro della storia, ilconsiderare la Gallia solo l'arena nella quale Cesare e lesue legioni si esercitarono per combattere l'imminenteguerra civile. Quando anche il soggiogamento dell'occi-dente sia stato per Cesare un mezzo per arrivare alloscopo in quanto egli nelle guerre transalpine ha formatola sua potenza successiva, il privilegio del genio politicoconsiste appunto in ciò, che i suoi mezzi sono essi stessialtrettanti scopi.Cesare aveva bisogno senza dubbio di una forza militareper i suoi scopi di partito; ma egli non conquistò la Gal-lia come uomo di parte. Era anzitutto per Roma una ne-cessità politica di opporsi addirittura al di là delle Alpiall'invasione dei Germani, che minacciava continuamen-te, e di porre un argine oltre le Alpi per assicurare lapace al mondo romano.Ma neppure questo importante scopo era ancora il piùimportante e l'ultimo per cui le Gallie furono conquista-te da Cesare. Essendo l'antica patria divenuta troppo an-gusta per contenere la borghesia romana e correndo que-sta pericolo d'intristire, la politica conquistatrice italica

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2. Importanza delle conquiste di Cesare.

Ma restava ancora da garantire oltre le Alpi il territorioromano tanto verso settentrione, quanto verso occidentee di procurare alla civiltà ellenica ed all'energia nonancora spenta della schiatta italica in quelle regioni unnuovo terreno vergine.Questo còmpito fu assunto da Caio Cesare. Più che unerrore, è un delitto contro lo spirito sacro della storia, ilconsiderare la Gallia solo l'arena nella quale Cesare e lesue legioni si esercitarono per combattere l'imminenteguerra civile. Quando anche il soggiogamento dell'occi-dente sia stato per Cesare un mezzo per arrivare alloscopo in quanto egli nelle guerre transalpine ha formatola sua potenza successiva, il privilegio del genio politicoconsiste appunto in ciò, che i suoi mezzi sono essi stessialtrettanti scopi.Cesare aveva bisogno senza dubbio di una forza militareper i suoi scopi di partito; ma egli non conquistò la Gal-lia come uomo di parte. Era anzitutto per Roma una ne-cessità politica di opporsi addirittura al di là delle Alpiall'invasione dei Germani, che minacciava continuamen-te, e di porre un argine oltre le Alpi per assicurare lapace al mondo romano.Ma neppure questo importante scopo era ancora il piùimportante e l'ultimo per cui le Gallie furono conquista-te da Cesare. Essendo l'antica patria divenuta troppo an-gusta per contenere la borghesia romana e correndo que-sta pericolo d'intristire, la politica conquistatrice italica

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del senato la salvò dalla rovina. Ora s'era fatta troppoangusta anche l'Italia; lo stato languiva per gli stessi im-barazzi sociali, che si rinnovavano soltanto in maggioriproporzioni. Fu un pensiero geniale, una grandiosa spe-ranza, che condusse Cesare oltre le Alpi: il pensiero e laconvinzione di trovare colà per i suoi concittadini unanuova immensa patria e al tempo stesso di rigenerare lostato una seconda volta col porlo su una base più vasta.

3. Cesare in Spagna.

Si può in certo qual modo annoverare fra le impreseaventi per scopo il soggiogamento dell'occidente anchela campagna intrapresa da Cesare nel 693 = 61 nellaSpagna ulteriore. Per quanto la Spagna ubbidisse già dalungo tempo ai Romani, il litorale occidentale, anchedopo la spedizione di Decimo Bruto contro i Galati, erarimasto assolutamente indipendente dai Romani e lacosta settentrionale non era stata da essi visitata; e lescorrerie dei predoni, a cui si vedevano da questa partecontinuamente esposte le province soggette, recavanoun danno sensibile all'incivilimento e allaromanizzazione della Spagna.Contro questo stato di cose era diretta la spedizione diCesare lungo la costa occidentale. Egli varcò la catenadei monti Erminici (Sierra de Estrella) confinante alnord col Tago; dopo d'averne battuti e in partetrasportati gli abitanti nel piano, assoggettò il paesedalle due parti del Duero e pervenne sino all'estremità

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del senato la salvò dalla rovina. Ora s'era fatta troppoangusta anche l'Italia; lo stato languiva per gli stessi im-barazzi sociali, che si rinnovavano soltanto in maggioriproporzioni. Fu un pensiero geniale, una grandiosa spe-ranza, che condusse Cesare oltre le Alpi: il pensiero e laconvinzione di trovare colà per i suoi concittadini unanuova immensa patria e al tempo stesso di rigenerare lostato una seconda volta col porlo su una base più vasta.

3. Cesare in Spagna.

Si può in certo qual modo annoverare fra le impreseaventi per scopo il soggiogamento dell'occidente anchela campagna intrapresa da Cesare nel 693 = 61 nellaSpagna ulteriore. Per quanto la Spagna ubbidisse già dalungo tempo ai Romani, il litorale occidentale, anchedopo la spedizione di Decimo Bruto contro i Galati, erarimasto assolutamente indipendente dai Romani e lacosta settentrionale non era stata da essi visitata; e lescorrerie dei predoni, a cui si vedevano da questa partecontinuamente esposte le province soggette, recavanoun danno sensibile all'incivilimento e allaromanizzazione della Spagna.Contro questo stato di cose era diretta la spedizione diCesare lungo la costa occidentale. Egli varcò la catenadei monti Erminici (Sierra de Estrella) confinante alnord col Tago; dopo d'averne battuti e in partetrasportati gli abitanti nel piano, assoggettò il paesedalle due parti del Duero e pervenne sino all'estremità

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nord-est della penisola, dove coll'aiuto d'una squadrafatta venire da Cadice occupò Brigantium (Coruña). Inconseguenza di che gli abitanti vicini all'oceanoAtlantico, Lusitani e Galiziani, furono costretti ariconoscere la supremazia romana, mentre il vincitoreera intento a migliorare possibilmente le condizioni deisudditi in generale colla diminuzione dei tributi che sidovevano versare a Roma, e colla sistemazione dellecondizioni economiche dei comuni.Però, sebbene anche in questo esordio militare e ammi-nistrativo del grande capitano e del grande uomo di sta-to risaltino quegli stessi talenti e quegli stessi pensieridirettivi che poi egli convalidò su campi più vasti, la suaoperosità nella penisola iberica fu troppo passeggera perporvi profonde radici, tanto più che, avuto riguardo alleparticolari condizioni fisiche e nazionali del paese, sipoteva qui attendere un effetto durevole solo da una atti-vità continuata con perseveranza.

4. Il paese dei Celti.

Una parte più importante nello sviluppo romanodell'occidente era serbata al paese che si estende fra iPirenei ed il Reno, tra il Mediterraneo e l'oceanoAtlantico, paese che dal tempo di Augusto porta il nomedi paese dei Celti, o in particolare quello di Gallia,benchè osservando più precisamente, il paese dei Celtisi presenti in parte più angusto, in parte molto piùampio, e benchè esso non abbia mai formato un'unità

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nord-est della penisola, dove coll'aiuto d'una squadrafatta venire da Cadice occupò Brigantium (Coruña). Inconseguenza di che gli abitanti vicini all'oceanoAtlantico, Lusitani e Galiziani, furono costretti ariconoscere la supremazia romana, mentre il vincitoreera intento a migliorare possibilmente le condizioni deisudditi in generale colla diminuzione dei tributi che sidovevano versare a Roma, e colla sistemazione dellecondizioni economiche dei comuni.Però, sebbene anche in questo esordio militare e ammi-nistrativo del grande capitano e del grande uomo di sta-to risaltino quegli stessi talenti e quegli stessi pensieridirettivi che poi egli convalidò su campi più vasti, la suaoperosità nella penisola iberica fu troppo passeggera perporvi profonde radici, tanto più che, avuto riguardo alleparticolari condizioni fisiche e nazionali del paese, sipoteva qui attendere un effetto durevole solo da una atti-vità continuata con perseveranza.

4. Il paese dei Celti.

Una parte più importante nello sviluppo romanodell'occidente era serbata al paese che si estende fra iPirenei ed il Reno, tra il Mediterraneo e l'oceanoAtlantico, paese che dal tempo di Augusto porta il nomedi paese dei Celti, o in particolare quello di Gallia,benchè osservando più precisamente, il paese dei Celtisi presenti in parte più angusto, in parte molto piùampio, e benchè esso non abbia mai formato un'unità

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nazionale, e prima d'Augusto neppure un'unità politica.Ed è appunto perciò difficile formare un quadro eviden-te delle condizioni in sè molto disparate, che Cesare nel696 = 58 vi trovò all'atto del suo arrivo. Nel paese ba-gnato dal Mediterraneo, il quale comprendendo presso apoco all'occidente del Rodano la Linguadoca, all'orienteil Delfinato e la Provenza, era da sessant'anni provinciaromana, le armi romane di rado avevano riposatodall'epoca dell'invasione cimbrica in poi, invasione chesi era riversata anche su quella.Nel 664 = 90 Caio Celio aveva combattuto coi Sali peril possesso di Aquae Sextiae, nel 674 = 80 Caio Flacco,durante la sua marcia verso la Spagna, contro altricantoni celti. Quando nella guerra di Sertorio illuogotenente Lucio Manlio, costretto a portare soccorsoal suo collega oltre i Pirenei, ritornò ad Ilerda (Lerida)sconfitto, e nella sua ritirata fu dagli Aquitani, vicinioccidentali della provincia romana, vinto una secondavolta (verso il 676 = 78), pare che questi avvenimentiavessero prodotto una generale sollevazione deiprovinciali, abitanti tra i Pirenei ed il Rodano, efors'anche di quelli stanziati tra il Rodano e le Alpi.Pompeo recandosi in Spagna dovette aprirsi una via col-la spada attraverso la Gallia ribellata, e a punizione dellaribellione fece dono delle marche abitate dai VolchiArecomici e dagli Elviri (dip. Gard e Ardèche) ai Mas-salioti; il luogotenente Marco Fonteio (678-680 = 76-74) eseguì queste disposizioni e ricondusse l'ordine nelpaese sconfiggendo i Voconzi (dip. Drôme), proteggen-

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nazionale, e prima d'Augusto neppure un'unità politica.Ed è appunto perciò difficile formare un quadro eviden-te delle condizioni in sè molto disparate, che Cesare nel696 = 58 vi trovò all'atto del suo arrivo. Nel paese ba-gnato dal Mediterraneo, il quale comprendendo presso apoco all'occidente del Rodano la Linguadoca, all'orienteil Delfinato e la Provenza, era da sessant'anni provinciaromana, le armi romane di rado avevano riposatodall'epoca dell'invasione cimbrica in poi, invasione chesi era riversata anche su quella.Nel 664 = 90 Caio Celio aveva combattuto coi Sali peril possesso di Aquae Sextiae, nel 674 = 80 Caio Flacco,durante la sua marcia verso la Spagna, contro altricantoni celti. Quando nella guerra di Sertorio illuogotenente Lucio Manlio, costretto a portare soccorsoal suo collega oltre i Pirenei, ritornò ad Ilerda (Lerida)sconfitto, e nella sua ritirata fu dagli Aquitani, vicinioccidentali della provincia romana, vinto una secondavolta (verso il 676 = 78), pare che questi avvenimentiavessero prodotto una generale sollevazione deiprovinciali, abitanti tra i Pirenei ed il Rodano, efors'anche di quelli stanziati tra il Rodano e le Alpi.Pompeo recandosi in Spagna dovette aprirsi una via col-la spada attraverso la Gallia ribellata, e a punizione dellaribellione fece dono delle marche abitate dai VolchiArecomici e dagli Elviri (dip. Gard e Ardèche) ai Mas-salioti; il luogotenente Marco Fonteio (678-680 = 76-74) eseguì queste disposizioni e ricondusse l'ordine nelpaese sconfiggendo i Voconzi (dip. Drôme), proteggen-

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do Massalia dagli insorti e liberando la città capitale ro-mana Narbona dai ribelli che l'investivano.Senonchè la disperazione e il disagio economico, a cuierano ridotti i possedimenti gallici per le conseguenzedella guerra spagnuola, e in generale delle concussioniufficiali e non ufficiali dei Romani, impedivano che essistessero tranquilli, ed era in un continuo sommovimentospecialmente il cantone degli Allobrogi, più distante daNarbona, sommovimento provato dalla «pacificazione»impresa colà da Caio Pisone nell'anno 688 = 66 e dalcontegno dell'ambasciata allobroga in Roma nel 691 =63 in occasione del complotto degli anarchici, e che su-bito dopo irruppe in un'aperta rivoluzione (693 = 61).Catugnato, condottiero degli Allobrogi in questa guerradisperata, dopo avere da principio combattuto conqualche successo, fu, dopo una valorosa difesa, vintopresso Solonium dal luogotenente Caio Pomptino.Nonostante tutti questi combattimenti, i confini dellostato romano non furono molto dilatati: LugudunumConvenarum, dove Pompeo aveva fondato una coloniacoi resti dell'esercito di Sertorio, Tolosa, Vienna eGinevra, erano sempre gli estremi confini dei Romaniverso occidente e verso settentrione. Ma l'importanza diquesti possedimenti gallici andava sempre piùaumentando per la madre patria; il clima delizioso,affine allo italico, le favorevoli condizioni del suolo, ilgrande, ricco paese interno, così opportuno alcommercio con le sue vie commerciali che siestendevano sino nella Brettagna, il comodo traffico per

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do Massalia dagli insorti e liberando la città capitale ro-mana Narbona dai ribelli che l'investivano.Senonchè la disperazione e il disagio economico, a cuierano ridotti i possedimenti gallici per le conseguenzedella guerra spagnuola, e in generale delle concussioniufficiali e non ufficiali dei Romani, impedivano che essistessero tranquilli, ed era in un continuo sommovimentospecialmente il cantone degli Allobrogi, più distante daNarbona, sommovimento provato dalla «pacificazione»impresa colà da Caio Pisone nell'anno 688 = 66 e dalcontegno dell'ambasciata allobroga in Roma nel 691 =63 in occasione del complotto degli anarchici, e che su-bito dopo irruppe in un'aperta rivoluzione (693 = 61).Catugnato, condottiero degli Allobrogi in questa guerradisperata, dopo avere da principio combattuto conqualche successo, fu, dopo una valorosa difesa, vintopresso Solonium dal luogotenente Caio Pomptino.Nonostante tutti questi combattimenti, i confini dellostato romano non furono molto dilatati: LugudunumConvenarum, dove Pompeo aveva fondato una coloniacoi resti dell'esercito di Sertorio, Tolosa, Vienna eGinevra, erano sempre gli estremi confini dei Romaniverso occidente e verso settentrione. Ma l'importanza diquesti possedimenti gallici andava sempre piùaumentando per la madre patria; il clima delizioso,affine allo italico, le favorevoli condizioni del suolo, ilgrande, ricco paese interno, così opportuno alcommercio con le sue vie commerciali che siestendevano sino nella Brettagna, il comodo traffico per

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terra e per mare colla madre patria procurarono benpresto al paese gallico meridionale un'importanzaeconomica per l'Italia quali possedimenti molto piùantichi, come ad esempio gli spagnuoli, non avevanoprocurato in secoli.Siccome in questo tempo i Romani compromessi politi-camente cercavano un luogo di rifugio di preferenza inMassalia, ove ritrovavano coltura e lusso italico, cosìanche quelli, i quali emigravano volontariamentedall'Italia, affluivano sempre più sul Rodano e sulla Ga-ronna.In una narrazione scritta dieci anni prima dell'arrivo diCesare in questo paese è detto: «la provincia della Gal-lia è piena di commercianti; essa formicola di cittadiniromani. Nessun Gallo intraprende un affare senza me-diazione di un Romano: ogni quattrino che in Galliapassa da una all'altra mano, è registrato nei libri dei con-ti dei cittadini romani».Dalla stessa descrizione si rileva che nella Gallia, oltre icoloni narbonensi, v'erano in gran parte anche agricolto-ri ed allevatori di bestiame romani. Si deve però osser-vare, che la maggior parte del terreno provinciale posse-duto dai Romani apparteneva, appunto come nei tempipassati la maggior parte dei possedimenti inglesinell'America settentrionale, all'alta nobiltà che risiedevain Italia, e che quegli agricoltori e quegli allevatori dibestiame nella maggior parte non erano altro che i suoiamministratori schiavi o liberti.

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terra e per mare colla madre patria procurarono benpresto al paese gallico meridionale un'importanzaeconomica per l'Italia quali possedimenti molto piùantichi, come ad esempio gli spagnuoli, non avevanoprocurato in secoli.Siccome in questo tempo i Romani compromessi politi-camente cercavano un luogo di rifugio di preferenza inMassalia, ove ritrovavano coltura e lusso italico, cosìanche quelli, i quali emigravano volontariamentedall'Italia, affluivano sempre più sul Rodano e sulla Ga-ronna.In una narrazione scritta dieci anni prima dell'arrivo diCesare in questo paese è detto: «la provincia della Gal-lia è piena di commercianti; essa formicola di cittadiniromani. Nessun Gallo intraprende un affare senza me-diazione di un Romano: ogni quattrino che in Galliapassa da una all'altra mano, è registrato nei libri dei con-ti dei cittadini romani».Dalla stessa descrizione si rileva che nella Gallia, oltre icoloni narbonensi, v'erano in gran parte anche agricolto-ri ed allevatori di bestiame romani. Si deve però osser-vare, che la maggior parte del terreno provinciale posse-duto dai Romani apparteneva, appunto come nei tempipassati la maggior parte dei possedimenti inglesinell'America settentrionale, all'alta nobiltà che risiedevain Italia, e che quegli agricoltori e quegli allevatori dibestiame nella maggior parte non erano altro che i suoiamministratori schiavi o liberti.

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5. Incipiente romanizzazione.

Non deve quindi destar sorpresa se, date questecondizioni, la coltura e la romanizzazione facesserorapidi progressi fra gli indigeni.Questi Celti non amavano l'agricoltura, ma i loro signorili obbligavano a cambiar la spada coll'aratro, ed è moltoprobabile che l'ostinata resistenza degli Allobrogi deri-vasse in parte da queste ordinanze.In tempi più antichi, l'ellenismo aveva dominato fino aun certo grado anche in queste province; gli elementi dimaggiore civiltà, gli eccitamenti alla coltivazione delvino e dell'olio, all'uso della scrittura30 e dellamonetazione, vennero loro da Massalia.Anche dai Romani qui fu tutt'altro che impedita la coltu-ra ellenica; con essa la città di Massalia acquistò piutto-sto che perdere d'influenza e ancora ai tempi dei Roma-ni si mandavano d'ufficio medici e retori greci nei can-toni gallici. Ma è naturale che l'ellenismo assumesse colmezzo dei Romani, nel paese celtico meridionale, lostesso carattere assunto in Italia; la civiltà ellenica pro-priamente detta cedette alla coltura mista latino-greca, laquale fece qui ben presto gran numero di proseliti.I «Galli bracati», come erano detti gli abitanti del paeseceltico meridionale, non erano perfettamente romanizza-ti, ma si distinguevano già molto sensibilmente dai30 Così ad esempio fu trovata in Vaison, nel cantone dei Voconzi,

un'iscrizione in lingua celtica, scritta col solito alfabeto greco. Essa dice:σεγοµαρος ουιλλονεος τοουτιους ναµαυσατις ε ωρου βηλησαµισοσιννεµητον; l'ultima parola significa «santo».

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5. Incipiente romanizzazione.

Non deve quindi destar sorpresa se, date questecondizioni, la coltura e la romanizzazione facesserorapidi progressi fra gli indigeni.Questi Celti non amavano l'agricoltura, ma i loro signorili obbligavano a cambiar la spada coll'aratro, ed è moltoprobabile che l'ostinata resistenza degli Allobrogi deri-vasse in parte da queste ordinanze.In tempi più antichi, l'ellenismo aveva dominato fino aun certo grado anche in queste province; gli elementi dimaggiore civiltà, gli eccitamenti alla coltivazione delvino e dell'olio, all'uso della scrittura30 e dellamonetazione, vennero loro da Massalia.Anche dai Romani qui fu tutt'altro che impedita la coltu-ra ellenica; con essa la città di Massalia acquistò piutto-sto che perdere d'influenza e ancora ai tempi dei Roma-ni si mandavano d'ufficio medici e retori greci nei can-toni gallici. Ma è naturale che l'ellenismo assumesse colmezzo dei Romani, nel paese celtico meridionale, lostesso carattere assunto in Italia; la civiltà ellenica pro-priamente detta cedette alla coltura mista latino-greca, laquale fece qui ben presto gran numero di proseliti.I «Galli bracati», come erano detti gli abitanti del paeseceltico meridionale, non erano perfettamente romanizza-ti, ma si distinguevano già molto sensibilmente dai30 Così ad esempio fu trovata in Vaison, nel cantone dei Voconzi,

un'iscrizione in lingua celtica, scritta col solito alfabeto greco. Essa dice:σεγοµαρος ουιλλονεος τοουτιους ναµαυσατις ε ωρου βηλησαµισοσιννεµητον; l'ultima parola significa «santo».

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«Galli lungochiomati» abitanti i paesi nordici ancora in-dipendenti. La semicoltura che si andava introducendofra essi forniva veramente abbastanza argomenti a dileg-gi sul loro barbaro latino e non si mancava di far ricor-dare la sua «parentela bracata» a colui che era sospettodi discendenza celtica; ma questo cattivo latino bastava,perchè sino i più lontani Allobrogi potessero tenersi inrelazione colle autorità romane e persino presentarsicome testimoni nei tribunali romani senza bisognodell'interprete.Se così la popolazione celtica e ligure di queste regioniera avviata a perdere la sua nazionalità e nel tempo stes-so languiva ed intristiva sotto una pressione politica edeconomica della cui intolleranza sono prova sufficientele disperate sollevazioni, la distruzione della popolazio-ne indigena procedeva qui di pari passo coll'introduzio-ne di quella più squisita coltura, che noi troviamo oggiin Italia.Aquae Sextiae e più ancora Narbona erano cittàimportanti, che potevano ben figurare accanto aBenevento e a Capua; e Massalia, la meglio ordinata, lapiù libera, la più forte e la più potente di tutte le cittàgreche dipendenti dai Romani, col suo governorigorosamente aristocratico, che i conservatori romaniconsideravano come il modello di una costituzioneurbana, con un ragguardevole territorio molto ampliatoancora dai Romani e con un esteso traffico, stavaaccanto alle suaccennate città latine come in Italiavicino a Capua e a Benevento stavano Reggio e Napoli.

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«Galli lungochiomati» abitanti i paesi nordici ancora in-dipendenti. La semicoltura che si andava introducendofra essi forniva veramente abbastanza argomenti a dileg-gi sul loro barbaro latino e non si mancava di far ricor-dare la sua «parentela bracata» a colui che era sospettodi discendenza celtica; ma questo cattivo latino bastava,perchè sino i più lontani Allobrogi potessero tenersi inrelazione colle autorità romane e persino presentarsicome testimoni nei tribunali romani senza bisognodell'interprete.Se così la popolazione celtica e ligure di queste regioniera avviata a perdere la sua nazionalità e nel tempo stes-so languiva ed intristiva sotto una pressione politica edeconomica della cui intolleranza sono prova sufficientele disperate sollevazioni, la distruzione della popolazio-ne indigena procedeva qui di pari passo coll'introduzio-ne di quella più squisita coltura, che noi troviamo oggiin Italia.Aquae Sextiae e più ancora Narbona erano cittàimportanti, che potevano ben figurare accanto aBenevento e a Capua; e Massalia, la meglio ordinata, lapiù libera, la più forte e la più potente di tutte le cittàgreche dipendenti dai Romani, col suo governorigorosamente aristocratico, che i conservatori romaniconsideravano come il modello di una costituzioneurbana, con un ragguardevole territorio molto ampliatoancora dai Romani e con un esteso traffico, stavaaccanto alle suaccennate città latine come in Italiavicino a Capua e a Benevento stavano Reggio e Napoli.

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6. La libera Gallia.

Tutt'altro aspetto avevano le cose al di là dei confiniromani.La grande nazione celtica, che cominciava già ad essereoppressa nei paesi meridionali dall'immigrazione italica,viveva ancora a settentrione delle Cevenne nell'anticasua libertà. Non è questa la prima volta che noi ci incon-triamo con essa; gli Italici avevano già combattuto conle sentinelle perdute e coll'avanguardia di questa im-mensa schiatta sul Tevere e sul Po, nelle montagne dellaCastiglia ed in quelle della Carinzia e perfino molto ad-dentro nell'Asia minore, ma solo nella Gallia fu da essiaffrontato il fulcro della schiatta principale.La stirpe celtica prendendo la sua dimora nell'Europacentrale si era riversata specialmente nelle ricche valliirrigate dai fiumi e nel paese sparso di deliziose collinedell'odierna Francia, coi distretti occidentali dellaGermania e della Svizzera, e partendo dalla Franciaaveva occupato almeno la parte meridionaledell'Inghilterra e forse fin d'allora tutta la Gran Bretagnae l'Irlanda31.Più che in qualunque altro luogo essa formò qui una

31 I nomi di popolazioni inglesi stabilite sulle rive del Tamigi, come quellidegli Atrebati, dei Belgi e persino quello dei Bretoni (che sembra sia statotrasmesso dai Bretoni stabiliti sulle rive della Somma, al disotto diAmiens, prima ad un cantone inglese e poi a tutta l'isola tolta dai cantonibelgi), indicano un'immigrazione di Celti belgi nella Bretagna, continuatada lungo tempo. Anche la coniazione inglese delle monete d'oro è derivatadalla belga e in origine è identica a quella.

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6. La libera Gallia.

Tutt'altro aspetto avevano le cose al di là dei confiniromani.La grande nazione celtica, che cominciava già ad essereoppressa nei paesi meridionali dall'immigrazione italica,viveva ancora a settentrione delle Cevenne nell'anticasua libertà. Non è questa la prima volta che noi ci incon-triamo con essa; gli Italici avevano già combattuto conle sentinelle perdute e coll'avanguardia di questa im-mensa schiatta sul Tevere e sul Po, nelle montagne dellaCastiglia ed in quelle della Carinzia e perfino molto ad-dentro nell'Asia minore, ma solo nella Gallia fu da essiaffrontato il fulcro della schiatta principale.La stirpe celtica prendendo la sua dimora nell'Europacentrale si era riversata specialmente nelle ricche valliirrigate dai fiumi e nel paese sparso di deliziose collinedell'odierna Francia, coi distretti occidentali dellaGermania e della Svizzera, e partendo dalla Franciaaveva occupato almeno la parte meridionaledell'Inghilterra e forse fin d'allora tutta la Gran Bretagnae l'Irlanda31.Più che in qualunque altro luogo essa formò qui una

31 I nomi di popolazioni inglesi stabilite sulle rive del Tamigi, come quellidegli Atrebati, dei Belgi e persino quello dei Bretoni (che sembra sia statotrasmesso dai Bretoni stabiliti sulle rive della Somma, al disotto diAmiens, prima ad un cantone inglese e poi a tutta l'isola tolta dai cantonibelgi), indicano un'immigrazione di Celti belgi nella Bretagna, continuatada lungo tempo. Anche la coniazione inglese delle monete d'oro è derivatadalla belga e in origine è identica a quella.

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gran massa di popoli geograficamente compatta. Nono-stante le diversità di lingua e di costumi, che natural-mente non mancavano in questo esteso territorio, paretuttavia che le popolazioni stabilite sulle rive del Roda-no e della Garonna sino al Reno ed al Tamigi sieno statetenute unite da rapporti scambievoli molto attivi e da unsentimento morale comune; invece esse si tenevano incerto modo localmente unite coi Celti stabiliti nella Spa-gna e nell'Austria d'oggi ma i rapporti ed i legami intel-lettuali di quelle stirpi sorelle, in parte dalle colossali ca-tene dei Pirenei e delle Alpi, in parte dall'invasione deiRomani e dei Germani, che qui esercitavano grande in-fluenza, erano ben più diversamente interrotti, che nonlo fossero quelli dei Celti stabiliti sul continente e deiCelti della Britannia dall'angusto braccio di mare.Purtroppo non ci è dato di seguire passo passo la storiainterna dello sviluppo di questo popolo singolare nellesue sedi principali e dobbiamo accontentarci di descri-vere solo nelle linee generali la sua condizione civile epolitica come la troviamo ai tempi di Cesare.

7. Popolazione - agricoltura - pastorizia.

La Gallia, secondo le relazioni degli antichi, erarelativamente molto abitata. Alcuni dati fanno credereche nei distretti belgi si calcolassero circa 900 abitantiper ogni lega quadrata – una proporzione che oggi valeforse per il paese di Galles e per la Livonia – nel

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gran massa di popoli geograficamente compatta. Nono-stante le diversità di lingua e di costumi, che natural-mente non mancavano in questo esteso territorio, paretuttavia che le popolazioni stabilite sulle rive del Roda-no e della Garonna sino al Reno ed al Tamigi sieno statetenute unite da rapporti scambievoli molto attivi e da unsentimento morale comune; invece esse si tenevano incerto modo localmente unite coi Celti stabiliti nella Spa-gna e nell'Austria d'oggi ma i rapporti ed i legami intel-lettuali di quelle stirpi sorelle, in parte dalle colossali ca-tene dei Pirenei e delle Alpi, in parte dall'invasione deiRomani e dei Germani, che qui esercitavano grande in-fluenza, erano ben più diversamente interrotti, che nonlo fossero quelli dei Celti stabiliti sul continente e deiCelti della Britannia dall'angusto braccio di mare.Purtroppo non ci è dato di seguire passo passo la storiainterna dello sviluppo di questo popolo singolare nellesue sedi principali e dobbiamo accontentarci di descri-vere solo nelle linee generali la sua condizione civile epolitica come la troviamo ai tempi di Cesare.

7. Popolazione - agricoltura - pastorizia.

La Gallia, secondo le relazioni degli antichi, erarelativamente molto abitata. Alcuni dati fanno credereche nei distretti belgi si calcolassero circa 900 abitantiper ogni lega quadrata – una proporzione che oggi valeforse per il paese di Galles e per la Livonia – nel

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cantone elvetico circa 110032; è verosimile che lapopolazione fosse ancor più fitta nei distretti i qualierano più coltivati che non i belgi, e meno montuosi chel'elvetico, come presso i Biturigi, gli Alverni, gli Edui.Nella Gallia l'agricoltura era bene sviluppata; già icontemporanei di Cesare parlano del modo di concimarecolla marna nella provincia renana33 e l'antichissimocostume celtico di fabbricare la birra (cervesia) coll'orzoè una nuova prova della grande estensione che vi avevala coltivazione dei cereali; ma essa non era tenuta in

32 La prima leva dei cantoni belgi, esclusi i Remi, quindi del paese tra laSenna e la Schelda e all'oriente sin verso Reims e Andernach, su unasuperficie di 2000-2200 leghe quadrate, è calcolata a circa 300.000uomini, per cui ammettendo per i Bellovaci la data proporzione dellaprima leva di fronte a tutti gli abili a portar le armi, risulta il numero deiBelgi atti alle armi di 500.000 e quindi la totale popolazione almeno a duemilioni. Gli Elvezi coi popoli vicini prima della loro emigrazioneammontavano a 360.000 individui; ammettendo che essi erano stati sind'allora respinti dalla riva destra del Reno, si può valutare a circa 300leghe quadrate il loro territorio. Non possiamo dire se vi fossero compresigli schiavi, perchè non sappiamo quale forma avesse preso la schiavitùpresso i Celti; ciò che CESARE, I, 4, dice degli schiavi, dei servi e deidebitori di Orgetorige, fa supporre che vi fossero compresi. Del resto ogniassennato lettore non vorrà disconoscere, nè assolutamente rigettare ilprincipio, che ogni tentativo di supplire con combinazioni fatte a base distatistica, ciò che anzi tutto manca nella storia antica, deve essere accettatocon giustificata prudenza.

33 Scrofa in VARRONE, De r. r., I, 7, 8 così racconta: «Quando io comandavonella Gallia oltre le Alpi, nel paese interno sul Reno, ho visitati alcunitratti, dove non cresce nè la vite nè l'ulivo, nè alberi fruttiferi, doves'ingrassa il terreno con la creta minerale bianca, dove non v'è nè saleminerale nè marino, ma invece di sale si usa il carbone salino di certilegnami bruciati». Questa narrazione si riferisce probabilmente al tempianteriori a Cesare e alle parti orientali dell'antica provincia, come adesempio il paese degli Allobrogi: più tardi PLINIO descrive minutamente(H. n., 17, 6, 42 e seg.) il modo gallo-britannico di concimare colla marna.

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cantone elvetico circa 110032; è verosimile che lapopolazione fosse ancor più fitta nei distretti i qualierano più coltivati che non i belgi, e meno montuosi chel'elvetico, come presso i Biturigi, gli Alverni, gli Edui.Nella Gallia l'agricoltura era bene sviluppata; già icontemporanei di Cesare parlano del modo di concimarecolla marna nella provincia renana33 e l'antichissimocostume celtico di fabbricare la birra (cervesia) coll'orzoè una nuova prova della grande estensione che vi avevala coltivazione dei cereali; ma essa non era tenuta in

32 La prima leva dei cantoni belgi, esclusi i Remi, quindi del paese tra laSenna e la Schelda e all'oriente sin verso Reims e Andernach, su unasuperficie di 2000-2200 leghe quadrate, è calcolata a circa 300.000uomini, per cui ammettendo per i Bellovaci la data proporzione dellaprima leva di fronte a tutti gli abili a portar le armi, risulta il numero deiBelgi atti alle armi di 500.000 e quindi la totale popolazione almeno a duemilioni. Gli Elvezi coi popoli vicini prima della loro emigrazioneammontavano a 360.000 individui; ammettendo che essi erano stati sind'allora respinti dalla riva destra del Reno, si può valutare a circa 300leghe quadrate il loro territorio. Non possiamo dire se vi fossero compresigli schiavi, perchè non sappiamo quale forma avesse preso la schiavitùpresso i Celti; ciò che CESARE, I, 4, dice degli schiavi, dei servi e deidebitori di Orgetorige, fa supporre che vi fossero compresi. Del resto ogniassennato lettore non vorrà disconoscere, nè assolutamente rigettare ilprincipio, che ogni tentativo di supplire con combinazioni fatte a base distatistica, ciò che anzi tutto manca nella storia antica, deve essere accettatocon giustificata prudenza.

33 Scrofa in VARRONE, De r. r., I, 7, 8 così racconta: «Quando io comandavonella Gallia oltre le Alpi, nel paese interno sul Reno, ho visitati alcunitratti, dove non cresce nè la vite nè l'ulivo, nè alberi fruttiferi, doves'ingrassa il terreno con la creta minerale bianca, dove non v'è nè saleminerale nè marino, ma invece di sale si usa il carbone salino di certilegnami bruciati». Questa narrazione si riferisce probabilmente al tempianteriori a Cesare e alle parti orientali dell'antica provincia, come adesempio il paese degli Allobrogi: più tardi PLINIO descrive minutamente(H. n., 17, 6, 42 e seg.) il modo gallo-britannico di concimare colla marna.

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nessuna considerazione. Persino nel più incivilitomezzodì il condurre l'aratro era considerato ancoracome cosa indecorosa per un Celto libero.In maggior conto era tenuta dai Celti la pastorizia, per laquale i possidenti romani dell'epoca si servivano dipreferenza tanto delle razze celtiche quanto dei valorosischiavi celti, esperti nel cavalcare e nel governare ilbestiame34. L'arte di allevare il bestiame prevalevaspecialmente nelle province celtiche settentrionali. LaBretagna, al tempo di Cesare, era un paese povero dicereali.Al nord-est, partendo dal cuore delle Ardenne, si stende-vano folte foreste dal mare del nord quasi senza interru-zione sino al Reno e sui territori oggi così fiorenti delleFiandre e della Lorena, i pastori menapî e treviriani pa-scevano allora negli impenetrabili querceti i loro maiali.Appunto come i Romani nella valle padana sostituironoall'allevamento dei suini il prodotto della lana e la coltu-ra dei cereali, così l'allevamento delle pecore e l'agricol-tura nei piani della Schelda e della Mosa debbono farsirisalire ai tempi dei Romani.Nella Bretagna non era nemmeno in uso la trebbiatura

34 «In Italia per i lavori di campagna riescono specialmente i buoi dellaGallia, mentre quelli della Liguria non valgano niente» (VARR., De r. r., 2,5, 9). Qui si tratta veramente della Gallia cisalpina, ma l'arte di allevarecolà il bestiame si riporta senza dubbio all'epoca celtica. Persino PLAUTO

(Aul., 3, 5, 21) parla delle bestie da soma galliche (Gallici canterii). «Nonogni razza conviene per la pastorizia; non è conveniente nè la razza deiBastuli nè quella dei Turdulli (entrambe nell'Andalusia); le migliori sonoquelle dei Celti, specialmente per le bestie da sella e da soma (iumenta)»VARRONE, De r. r., 2, 10, 4).

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nessuna considerazione. Persino nel più incivilitomezzodì il condurre l'aratro era considerato ancoracome cosa indecorosa per un Celto libero.In maggior conto era tenuta dai Celti la pastorizia, per laquale i possidenti romani dell'epoca si servivano dipreferenza tanto delle razze celtiche quanto dei valorosischiavi celti, esperti nel cavalcare e nel governare ilbestiame34. L'arte di allevare il bestiame prevalevaspecialmente nelle province celtiche settentrionali. LaBretagna, al tempo di Cesare, era un paese povero dicereali.Al nord-est, partendo dal cuore delle Ardenne, si stende-vano folte foreste dal mare del nord quasi senza interru-zione sino al Reno e sui territori oggi così fiorenti delleFiandre e della Lorena, i pastori menapî e treviriani pa-scevano allora negli impenetrabili querceti i loro maiali.Appunto come i Romani nella valle padana sostituironoall'allevamento dei suini il prodotto della lana e la coltu-ra dei cereali, così l'allevamento delle pecore e l'agricol-tura nei piani della Schelda e della Mosa debbono farsirisalire ai tempi dei Romani.Nella Bretagna non era nemmeno in uso la trebbiatura

34 «In Italia per i lavori di campagna riescono specialmente i buoi dellaGallia, mentre quelli della Liguria non valgano niente» (VARR., De r. r., 2,5, 9). Qui si tratta veramente della Gallia cisalpina, ma l'arte di allevarecolà il bestiame si riporta senza dubbio all'epoca celtica. Persino PLAUTO

(Aul., 3, 5, 21) parla delle bestie da soma galliche (Gallici canterii). «Nonogni razza conviene per la pastorizia; non è conveniente nè la razza deiBastuli nè quella dei Turdulli (entrambe nell'Andalusia); le migliori sonoquelle dei Celti, specialmente per le bestie da sella e da soma (iumenta)»VARRONE, De r. r., 2, 10, 4).

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del grano, e nei luoghi più settentrionali non v'era piùtraccia di agricoltura ed il suolo serviva unicamente adallevare bestiame. La coltivazione dell'olio e della vite,così proficua ai Massalioti, ai tempi di Cesare non siestendeva oltre le Cevenne.I Galli inclinavano naturalmente a vivere in comunione:vi erano dappertutto dei villaggi non murati, il solo can-tone elvetico ne contava nel 696 = 58 quattrocento, oltreuna quantità di fattorie isolate. Ma non mancavano nem-meno città murate e le mura colle ossature di travi desta-vano le meraviglie dei Romani, tanto per la loro oppor-tunità quanto per la bella intrecciatura delle travi e dellepietre; mentre persino nelle città degli Allobrogi gli edi-fici erano tutti di legno.Gli Elvezi avevano dodici città simili ed altrettante neavevano i Suessoni; invece nei distretti più settentriona-li, ad esempio presso i Nervi, erano anche delle città, mala popolazione in tempo di guerra anzichè dietro lemura, cercava riparo piuttosto nelle paludi, nei boschi eoltre il Tamigi; invece di città formavano generalmentela primitiva difesa le trincee formate coll'abbattimentodi alberi delle foreste, e queste erano in tempo di guerragli unici asili per gli uomini e per il bestiame.

8. Traffico e commercio.

Con lo sviluppo relativamente importante della vitacittadina va strettamente associata l'attività commercialeper mare e per terra. Dappertutto erano strade e ponti.

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del grano, e nei luoghi più settentrionali non v'era piùtraccia di agricoltura ed il suolo serviva unicamente adallevare bestiame. La coltivazione dell'olio e della vite,così proficua ai Massalioti, ai tempi di Cesare non siestendeva oltre le Cevenne.I Galli inclinavano naturalmente a vivere in comunione:vi erano dappertutto dei villaggi non murati, il solo can-tone elvetico ne contava nel 696 = 58 quattrocento, oltreuna quantità di fattorie isolate. Ma non mancavano nem-meno città murate e le mura colle ossature di travi desta-vano le meraviglie dei Romani, tanto per la loro oppor-tunità quanto per la bella intrecciatura delle travi e dellepietre; mentre persino nelle città degli Allobrogi gli edi-fici erano tutti di legno.Gli Elvezi avevano dodici città simili ed altrettante neavevano i Suessoni; invece nei distretti più settentriona-li, ad esempio presso i Nervi, erano anche delle città, mala popolazione in tempo di guerra anzichè dietro lemura, cercava riparo piuttosto nelle paludi, nei boschi eoltre il Tamigi; invece di città formavano generalmentela primitiva difesa le trincee formate coll'abbattimentodi alberi delle foreste, e queste erano in tempo di guerragli unici asili per gli uomini e per il bestiame.

8. Traffico e commercio.

Con lo sviluppo relativamente importante della vitacittadina va strettamente associata l'attività commercialeper mare e per terra. Dappertutto erano strade e ponti.

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La navigazione fluviale, a cui invitavano naturalmente ilRodano, la Garonna, la Loira e la Senna, era importantee produttiva.Ma ancor più notevole era la navigazione marittima deiCelti. Questi, secondo tutte le apparenze, non solo furo-no i primi a percorrere regolarmente l'oceano Atlantico,ma noi troviamo presso di loro anche l'arte della costru-zione navale e quella del pilotaggio giunte ad un impor-tante grado di perfezione.La navigazione dei popoli del Mediterraneo, come sirileva dalla natura delle acque da essi percorse, èrimasta per lungo tempo quasi stazionaria e limitata alremo; le navi da guerra dei Fenici, dei Greci e deiRomani furono in tutti i tempi le galere a remi, alle qualisi aggiungeva la vela solo per un eventuale rinforzo deiremi; soltanto le navi commerciali furono vere navi avela all'epoca dell'antica civiltà sviluppata35.I Galli invece si servivano ai tempi di Cesare e moltotempo dopo nella Manica di una specie di battelli porta-tili, fatti di cuoio, i quali pare che in sostanza sieno statibattelli comuni a remi; ma sulla costa occidentale dellaGallia i Santoni, i Pictoni e anzitutto i Veneti si serviva-no di grosse navi costruite rozzamente, che però non

35 Perciò il nome di vascello mercantile o «tondo» a confronto del «lungo» oda guerra, e il contrapposto simile delle «navi a remi» (ἐπίκωποι νῆες) edei «vascelli mercantili» (ὁλκάδες) (DIONIS., 3, 44); inoltre lo scarsoequipaggio dei vascelli commerciali, sul più grande dei quali non potevanostare che 200 uomini (Rhein. Mus., 11, 625), mentre su una comune galeraa tre ponti occorrevano 170 rematori. (Cfr. MOVERS, Phön., 2, 2, 167, eseg).

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La navigazione fluviale, a cui invitavano naturalmente ilRodano, la Garonna, la Loira e la Senna, era importantee produttiva.Ma ancor più notevole era la navigazione marittima deiCelti. Questi, secondo tutte le apparenze, non solo furo-no i primi a percorrere regolarmente l'oceano Atlantico,ma noi troviamo presso di loro anche l'arte della costru-zione navale e quella del pilotaggio giunte ad un impor-tante grado di perfezione.La navigazione dei popoli del Mediterraneo, come sirileva dalla natura delle acque da essi percorse, èrimasta per lungo tempo quasi stazionaria e limitata alremo; le navi da guerra dei Fenici, dei Greci e deiRomani furono in tutti i tempi le galere a remi, alle qualisi aggiungeva la vela solo per un eventuale rinforzo deiremi; soltanto le navi commerciali furono vere navi avela all'epoca dell'antica civiltà sviluppata35.I Galli invece si servivano ai tempi di Cesare e moltotempo dopo nella Manica di una specie di battelli porta-tili, fatti di cuoio, i quali pare che in sostanza sieno statibattelli comuni a remi; ma sulla costa occidentale dellaGallia i Santoni, i Pictoni e anzitutto i Veneti si serviva-no di grosse navi costruite rozzamente, che però non

35 Perciò il nome di vascello mercantile o «tondo» a confronto del «lungo» oda guerra, e il contrapposto simile delle «navi a remi» (ἐπίκωποι νῆες) edei «vascelli mercantili» (ὁλκάδες) (DIONIS., 3, 44); inoltre lo scarsoequipaggio dei vascelli commerciali, sul più grande dei quali non potevanostare che 200 uomini (Rhein. Mus., 11, 625), mentre su una comune galeraa tre ponti occorrevano 170 rematori. (Cfr. MOVERS, Phön., 2, 2, 167, eseg).

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erano mosse a forza di remi ma da vele fatte di pelli efornite di ancore con catene di ferro, e queste navi nonerano usate solo per il loro traffico colla Bretagna, maanche per i combattimenti navali.Qui dunque noi troviamo per la prima volta non solo lanavigazione esercitata liberamente sull'oceano, ma lanave a vela sostituita ai battelli a remi; progresso di cuila cadente attività del vecchio mondo non seppe appro-fittare e di cui solo la nostra ringiovanita civiltà è intentaa trarre sempre maggior profitto.Considerato questo regolare traffico marittimo, tra la co-sta britannica e la gallica, si dimostrano le intime rela-zioni politiche fra gli abitanti dei due litorali della Mani-ca non meno che l'incremento del commercio oltremari-no e della pesca. Erano i Celti, specialmente quelli dellaBretagna, che andavano in Inghilterra a comperare lostagno proveniente dalle miniere di Cornovaglia e lo tra-sportavano attraverso i fiumi e le strade del paese celti-co a Narbona e a Massalia.L'asserzione che ai tempi di Cesare esistessero delle po-polazioni alla foce del Reno, che vivevano della pesca edi uova di uccelli, può trovare una spiegazione nel fatto,che in questo paese si esercitava in un grado altissimo lapesca e la raccolta delle uova di uccelli marini.Raccogliendo gli scarsi dati che ci sono rimasti sul com-mercio e sul traffico celtico, e completandoli col pensie-ro, si comprende come i dazi dei porti fluviali e maritti-mi avessero un'importanza così grande nei bilanci di al-cuni cantoni, come ad esempio in quelli degli Edui e dei

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erano mosse a forza di remi ma da vele fatte di pelli efornite di ancore con catene di ferro, e queste navi nonerano usate solo per il loro traffico colla Bretagna, maanche per i combattimenti navali.Qui dunque noi troviamo per la prima volta non solo lanavigazione esercitata liberamente sull'oceano, ma lanave a vela sostituita ai battelli a remi; progresso di cuila cadente attività del vecchio mondo non seppe appro-fittare e di cui solo la nostra ringiovanita civiltà è intentaa trarre sempre maggior profitto.Considerato questo regolare traffico marittimo, tra la co-sta britannica e la gallica, si dimostrano le intime rela-zioni politiche fra gli abitanti dei due litorali della Mani-ca non meno che l'incremento del commercio oltremari-no e della pesca. Erano i Celti, specialmente quelli dellaBretagna, che andavano in Inghilterra a comperare lostagno proveniente dalle miniere di Cornovaglia e lo tra-sportavano attraverso i fiumi e le strade del paese celti-co a Narbona e a Massalia.L'asserzione che ai tempi di Cesare esistessero delle po-polazioni alla foce del Reno, che vivevano della pesca edi uova di uccelli, può trovare una spiegazione nel fatto,che in questo paese si esercitava in un grado altissimo lapesca e la raccolta delle uova di uccelli marini.Raccogliendo gli scarsi dati che ci sono rimasti sul com-mercio e sul traffico celtico, e completandoli col pensie-ro, si comprende come i dazi dei porti fluviali e maritti-mi avessero un'importanza così grande nei bilanci di al-cuni cantoni, come ad esempio in quelli degli Edui e dei

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Veneti, e come il nume principale della nazione fosseconsiderato come protettore delle vie e del commercio enel tempo stesso inventore dell'industria.

9. Industria - Miniere.

L'industria celtica non può per conseguenza essere statainteramente nulla; Cesare stesso non ha mancato diencomiare la straordinaria sveltezza dei Celti e laspeciale destrezza nell'imitare qualsiasi modello enell'eseguire qualsiasi lavoro.Ma pare che nella maggior parte dei rami la loro indu-stria non abbia oltrepassato i limiti comuni; la fabbrica-zione di pannilini e di stoffe di lana, che divenne poi im-portante nella Gallia media e settentrionale, vi fu intro-dotta certamente solo dai Romani. Un'eccezione, ed è,per quanto sappiamo, la sola, è rappresentata dalla lavo-razione dei metalli.Le suppellettili di rame, artisticamente lavorate e tutta-via duttili, che si trovano tuttora nel sepolcri del paeseceltico, e le monete d'oro dell'Alvernia accuratamenteconiate, sono ancora oggi altrettante prove dell'abilitàdei battirame e degli orefici celti. Con questo collimanoi racconti degli antichi che i Romani appresero dai Bitu-rigi l'arte di stagnare e dagli Alesini quella d'inargentare,scoperte che probabilmente furono fatte già nei tempidell'indipendenza celtica, e la prima delle quali venivanaturalmente suggerita dal commercio dello stagno.Di pari passo con la destrezza nella lavorazione proce-

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Veneti, e come il nume principale della nazione fosseconsiderato come protettore delle vie e del commercio enel tempo stesso inventore dell'industria.

9. Industria - Miniere.

L'industria celtica non può per conseguenza essere statainteramente nulla; Cesare stesso non ha mancato diencomiare la straordinaria sveltezza dei Celti e laspeciale destrezza nell'imitare qualsiasi modello enell'eseguire qualsiasi lavoro.Ma pare che nella maggior parte dei rami la loro indu-stria non abbia oltrepassato i limiti comuni; la fabbrica-zione di pannilini e di stoffe di lana, che divenne poi im-portante nella Gallia media e settentrionale, vi fu intro-dotta certamente solo dai Romani. Un'eccezione, ed è,per quanto sappiamo, la sola, è rappresentata dalla lavo-razione dei metalli.Le suppellettili di rame, artisticamente lavorate e tutta-via duttili, che si trovano tuttora nel sepolcri del paeseceltico, e le monete d'oro dell'Alvernia accuratamenteconiate, sono ancora oggi altrettante prove dell'abilitàdei battirame e degli orefici celti. Con questo collimanoi racconti degli antichi che i Romani appresero dai Bitu-rigi l'arte di stagnare e dagli Alesini quella d'inargentare,scoperte che probabilmente furono fatte già nei tempidell'indipendenza celtica, e la prima delle quali venivanaturalmente suggerita dal commercio dello stagno.Di pari passo con la destrezza nella lavorazione proce-

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deva l'arte della escavazione dei metalli; l'arte del mina-tore, specialmente nelle miniere di ferro in riva alla Loi-ra, era portata a tale grado, che i minatori avevano unaparte importante negli assedi delle fortezze.L'opinione che avevano i Romani di allora, che la Galliafosse il paese più abbondante d'oro, è certamente con-traddetta dalle notorie condizioni del suolo e dagli og-getti trovati nei sepolcri celtici, in cui l'oro è ben scarsoe molto più scarso che tra gli oggetti trovati nei veripaesi dell'oro. Anche questa opinione avrà avuto originedai racconti, senza dubbio molto esagerati, fatti daiviaggiatori greci e dai soldati romani ai rispettivi lorocompatriotti sulla magnificenza dei re dell'Alvernia esui tesori dei templi di Tolosa.Ma quanto essi narrarono non era tutta invenzione. Èanzi molto credibile che nei tempi più barbari e coll'aiu-to degli schiavi si fossero istituite, con profitto e sugrande scala, ricerche e lavature d'oro nei fiumi chesgorgano dalle Alpi e dai Pirenei, imprese che oggi peril costo della mano d'opera non convengono; del resto lecondizioni commerciali della Gallia, come non di radoavviene nei popoli semi-inciviliti, avranno favoritol'accumulamento di un capitale morto in metalli nobili.

10. Arti e scienze.

È notevole la bassa condizione delle arti plastiche cheappare tanto più evidente col confronto della destrezzameccanica nella lavorazione dei metalli. La predilezione

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deva l'arte della escavazione dei metalli; l'arte del mina-tore, specialmente nelle miniere di ferro in riva alla Loi-ra, era portata a tale grado, che i minatori avevano unaparte importante negli assedi delle fortezze.L'opinione che avevano i Romani di allora, che la Galliafosse il paese più abbondante d'oro, è certamente con-traddetta dalle notorie condizioni del suolo e dagli og-getti trovati nei sepolcri celtici, in cui l'oro è ben scarsoe molto più scarso che tra gli oggetti trovati nei veripaesi dell'oro. Anche questa opinione avrà avuto originedai racconti, senza dubbio molto esagerati, fatti daiviaggiatori greci e dai soldati romani ai rispettivi lorocompatriotti sulla magnificenza dei re dell'Alvernia esui tesori dei templi di Tolosa.Ma quanto essi narrarono non era tutta invenzione. Èanzi molto credibile che nei tempi più barbari e coll'aiu-to degli schiavi si fossero istituite, con profitto e sugrande scala, ricerche e lavature d'oro nei fiumi chesgorgano dalle Alpi e dai Pirenei, imprese che oggi peril costo della mano d'opera non convengono; del resto lecondizioni commerciali della Gallia, come non di radoavviene nei popoli semi-inciviliti, avranno favoritol'accumulamento di un capitale morto in metalli nobili.

10. Arti e scienze.

È notevole la bassa condizione delle arti plastiche cheappare tanto più evidente col confronto della destrezzameccanica nella lavorazione dei metalli. La predilezione

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per gli ornamenti variopinti e brillanti prova il difetto disenso artistico e le monete galliche con le loro impronteideate ora con eccessiva semplicità, ora bizzarramente,ma sempre in modo infantile, ed eseguite quasi senzaeccezione con incomparabile rozzezza, ne fanno unatriste conferma.Non vi è forse esempio che un'officina esercitata da se-coli con una certa destrezza tecnica si sia limitata a co-piare sempre più sfiguratamente due o tre impronte gre-che. Invece l'arte poetica era tenuta in grande stima daiCelti e s'innestava intimamente alle istituzioni religiosee persino alla politica della nazione; noi troviamo in fio-re tanto la poesia religiosa quanto la poesia cortigiana equella dei cantori girovaghi. Anche le scienze naturali ela filosofia erano in certo qual modo coltivate dai Celti,sebbene nelle forme e coi vincoli della teologia naziona-le; e l'umanesimo ellenico trovava buona accoglienzadove ed in qualunque modo si insinuasse.La scrittura era conosciuta generalmente almeno dai sa-cerdoti. Ai tempi di Cesare nella Gallia libera si serviva-no per lo più dei caratteri greci, come, fra gli altri, face-vano gli Elvezi; soltanto nei distretti più meridionalierano sin d'allora prevalenti, per i rapporti dei Celti ro-manizzati, i caratteri latini, che noi troviamo per esem-pio, nelle monete alverniche di quei tempi.

11. Ordinamento politico.

Anche lo sviluppo politico della nazione celtica ci offre

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per gli ornamenti variopinti e brillanti prova il difetto disenso artistico e le monete galliche con le loro impronteideate ora con eccessiva semplicità, ora bizzarramente,ma sempre in modo infantile, ed eseguite quasi senzaeccezione con incomparabile rozzezza, ne fanno unatriste conferma.Non vi è forse esempio che un'officina esercitata da se-coli con una certa destrezza tecnica si sia limitata a co-piare sempre più sfiguratamente due o tre impronte gre-che. Invece l'arte poetica era tenuta in grande stima daiCelti e s'innestava intimamente alle istituzioni religiosee persino alla politica della nazione; noi troviamo in fio-re tanto la poesia religiosa quanto la poesia cortigiana equella dei cantori girovaghi. Anche le scienze naturali ela filosofia erano in certo qual modo coltivate dai Celti,sebbene nelle forme e coi vincoli della teologia naziona-le; e l'umanesimo ellenico trovava buona accoglienzadove ed in qualunque modo si insinuasse.La scrittura era conosciuta generalmente almeno dai sa-cerdoti. Ai tempi di Cesare nella Gallia libera si serviva-no per lo più dei caratteri greci, come, fra gli altri, face-vano gli Elvezi; soltanto nei distretti più meridionalierano sin d'allora prevalenti, per i rapporti dei Celti ro-manizzati, i caratteri latini, che noi troviamo per esem-pio, nelle monete alverniche di quei tempi.

11. Ordinamento politico.

Anche lo sviluppo politico della nazione celtica ci offre

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dei fenomeni notevoli. La costituzione politica si fondapresso di essa, come dappertutto, sulla tribù, colprincipe, col consiglio dei seniori e la comunità degliuomini liberi atti alle armi; ma ciò che questa nazioneha di caratteristico è che essa non uscì mai da questacostituzione distrettuale.Presso i Greci e presso i Romani fu ben presto posta lacerchia delle città come base dell'unità politica in sosti-tuzione del distretto: dove si trovavano due distretti, en-tro le stesse mura, essi si fondevano in un comune, doveuna borghesia assegnava ad una parte dei suoi concitta-dini una nuova cerchia si formava di solito anche unnuovo stato, unito alla città madre solo per i vincoli del-la reverenza o tutt'al più della clientela.Presso i Celti invece «la borghesia» rimane sempre il di-stretto; il principe ed il consiglio stanno a capo non diqualche città, ma del distretto, e l'assemblea generale deldistretto è l'ultima istanza dello stato. La città, come inoriente, non ha politicamente alcuna importanza, masolo pel commercio o per motivi strategici, per cui le lo-calità dei Galli e quelle murate importantissime, comeVienna e Ginevra, non erano dai Greci e dai Romaniconsiderate altrimenti che come villaggi.Ai tempi di Cesare esisteva l'originaria costituzione di-strettuale ancora essenzialmente intatta presso i Celtidelle isole e dei distretti settentrionali di terraferma:l'assemblea generale aveva la suprema autorità e nellequestioni di grande importanza il principe era vincolatodalle deliberazioni di essa; il consiglio del distretto era

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dei fenomeni notevoli. La costituzione politica si fondapresso di essa, come dappertutto, sulla tribù, colprincipe, col consiglio dei seniori e la comunità degliuomini liberi atti alle armi; ma ciò che questa nazioneha di caratteristico è che essa non uscì mai da questacostituzione distrettuale.Presso i Greci e presso i Romani fu ben presto posta lacerchia delle città come base dell'unità politica in sosti-tuzione del distretto: dove si trovavano due distretti, en-tro le stesse mura, essi si fondevano in un comune, doveuna borghesia assegnava ad una parte dei suoi concitta-dini una nuova cerchia si formava di solito anche unnuovo stato, unito alla città madre solo per i vincoli del-la reverenza o tutt'al più della clientela.Presso i Celti invece «la borghesia» rimane sempre il di-stretto; il principe ed il consiglio stanno a capo non diqualche città, ma del distretto, e l'assemblea generale deldistretto è l'ultima istanza dello stato. La città, come inoriente, non ha politicamente alcuna importanza, masolo pel commercio o per motivi strategici, per cui le lo-calità dei Galli e quelle murate importantissime, comeVienna e Ginevra, non erano dai Greci e dai Romaniconsiderate altrimenti che come villaggi.Ai tempi di Cesare esisteva l'originaria costituzione di-strettuale ancora essenzialmente intatta presso i Celtidelle isole e dei distretti settentrionali di terraferma:l'assemblea generale aveva la suprema autorità e nellequestioni di grande importanza il principe era vincolatodalle deliberazioni di essa; il consiglio del distretto era

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numeroso – in alcuni luoghi ammontava sino a seicentomembri – ma pare che esso non avesse maggiore impor-tanza del senato sotto i re romani.Invece nelle più attive province del mezzogiorno, una odue generazioni prima di Cesare – poichè ai suoi tempierano ancora in vita i figli degli ultimi re – era scoppiatauna rivoluzione, almeno nei distretti più importanti degliAlvergnati, degli Edui, dei Sequani, degli Elvezi, la qua-le tolse di mezzo il dominio dei re e diede il potere inmano alla nobiltà.

12. Origine della cavalleria.

A formare il rovescio della completa mancanza dicomuni urbani presso i Celti il polo contrario dellosviluppo politico, cioè la cavalleria, prevaleva nella lorocostituzione distrettuale in modo assoluto.A quanto pare l'aristocrazia celtica era un'alta nobiltà,formata forse per la maggior parte di membri di fami-glie reali o già reali; ed è egualmente notevole che assaispesso i capi dei partiti opposti nello stesso distretto ap-partenevano alla stessa dinastia.Queste grandi famiglie riunivano nelle loro mani lasupremazia economica, guerresca e politica. Essemonopolizzavano gli appalti dei diritti lucrativi dellostato; obbligavano i liberi di bassa condizione, oppressidalle imposte, a rivolgersi a loro per avere dellesovvenzioni facendoli divenire perciò prima lorodebitori di fatto, poi loro servi di diritto; introdussero la

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numeroso – in alcuni luoghi ammontava sino a seicentomembri – ma pare che esso non avesse maggiore impor-tanza del senato sotto i re romani.Invece nelle più attive province del mezzogiorno, una odue generazioni prima di Cesare – poichè ai suoi tempierano ancora in vita i figli degli ultimi re – era scoppiatauna rivoluzione, almeno nei distretti più importanti degliAlvergnati, degli Edui, dei Sequani, degli Elvezi, la qua-le tolse di mezzo il dominio dei re e diede il potere inmano alla nobiltà.

12. Origine della cavalleria.

A formare il rovescio della completa mancanza dicomuni urbani presso i Celti il polo contrario dellosviluppo politico, cioè la cavalleria, prevaleva nella lorocostituzione distrettuale in modo assoluto.A quanto pare l'aristocrazia celtica era un'alta nobiltà,formata forse per la maggior parte di membri di fami-glie reali o già reali; ed è egualmente notevole che assaispesso i capi dei partiti opposti nello stesso distretto ap-partenevano alla stessa dinastia.Queste grandi famiglie riunivano nelle loro mani lasupremazia economica, guerresca e politica. Essemonopolizzavano gli appalti dei diritti lucrativi dellostato; obbligavano i liberi di bassa condizione, oppressidalle imposte, a rivolgersi a loro per avere dellesovvenzioni facendoli divenire perciò prima lorodebitori di fatto, poi loro servi di diritto; introdussero la

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comitiva, cioè il privilegio della nobiltà di circondarsi diun certo numero di soldati a cavallo, i così detti Ambatti36,formando così uno stato nello stato; e facendoassegnamento su questi loro addetti bravavano leautorità legalmente costituite e le milizie del comunemettendo di fatto in scompiglio il comune stesso.

36 Questo vocabolo singolare deve essere stato in uso presso i Celti stabilitinella valle padana sin dal sesto secolo di Roma; poichè Ennio lo conosce esolo da questa parte può essere così presto pervenuto agli Italici. Ma essonon è soltanto celtico, è anche tedesco, è la radice del tedesco «Amt»; cosìè comune ai Celti ed ai Tedeschi la comitiva stessa. Sarebbe di grandeimportanza storica il poter stabilire se il vocabolo, e quindi anche la cosa,sia pervenuta ai Celti dai Tedeschi o sia passata da questi a quelli. Se,come comunemente si ritiene, la parola è originariamente tedesca e indicaprincipalmente il servo che in battaglia sta «dietro la schiena» del padrone(and = a verso dietro, bak = schiena), ciò non sarebbe assolutamenteinconciliabile coll'apparizione singolarmente precoce di questa parolapresso i Celti. Secondo tutte le analogie il diritto di tenere Ambatti, cioèδοῦλοι µισϑωροί, non può essere stato concesso da principio alla nobiltàceltica, ma si sarà sviluppato a poco a poco in opposizione alla più anticaautorità regale e all'eguaglianza dei liberi di qualsiasi rango. Se quindi gliAmbatti non sono presso i Celti un'antica istituzione nazionale, ma unaistituzione relativamente recente, così in considerazione dei rapporti cheesistevano da secoli tra i Celti ed i Tedeschi e che si potrebberoampiamente sviluppare, non solo è possibile, ma persino verosimile che iCelti in Italia e nella Gallia assoldassero specialmente Tedeschi per dettoservizio. Gli «Svizzeri» sarebbero perciò in questo caso alcune migliaia dianni più antichi di quello che si crede. Se il nome con cui i Romani, forsead imitazione dei Celti, designano la nazione dei Tedeschi, cioè diGermani, fosse proprio di origine celtica, combinerebbe perfettamente conquanto si disse. Queste supposizioni saranno certo di nessun valore se siriesce a spiegare in modo più soddisfacente da una radice celtica la parolaambactus; ZEUSS (Gramm., pag. 761) la farebbe derivare, peròdubbiosamente, da ambi = in giro, e aig = agere, e cioè movente in giro omosso in giro, quindi accompagnatore, servitore. Che la detta parola sitrovi anche come nome proprio celtico (ZEUSS, pag. 77) e si sia conservataforse anche nel cambrico amaeth = paesano, lavoratore (ZEUSS, pag. 179)

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comitiva, cioè il privilegio della nobiltà di circondarsi diun certo numero di soldati a cavallo, i così detti Ambatti36,formando così uno stato nello stato; e facendoassegnamento su questi loro addetti bravavano leautorità legalmente costituite e le milizie del comunemettendo di fatto in scompiglio il comune stesso.

36 Questo vocabolo singolare deve essere stato in uso presso i Celti stabilitinella valle padana sin dal sesto secolo di Roma; poichè Ennio lo conosce esolo da questa parte può essere così presto pervenuto agli Italici. Ma essonon è soltanto celtico, è anche tedesco, è la radice del tedesco «Amt»; cosìè comune ai Celti ed ai Tedeschi la comitiva stessa. Sarebbe di grandeimportanza storica il poter stabilire se il vocabolo, e quindi anche la cosa,sia pervenuta ai Celti dai Tedeschi o sia passata da questi a quelli. Se,come comunemente si ritiene, la parola è originariamente tedesca e indicaprincipalmente il servo che in battaglia sta «dietro la schiena» del padrone(and = a verso dietro, bak = schiena), ciò non sarebbe assolutamenteinconciliabile coll'apparizione singolarmente precoce di questa parolapresso i Celti. Secondo tutte le analogie il diritto di tenere Ambatti, cioèδοῦλοι µισϑωροί, non può essere stato concesso da principio alla nobiltàceltica, ma si sarà sviluppato a poco a poco in opposizione alla più anticaautorità regale e all'eguaglianza dei liberi di qualsiasi rango. Se quindi gliAmbatti non sono presso i Celti un'antica istituzione nazionale, ma unaistituzione relativamente recente, così in considerazione dei rapporti cheesistevano da secoli tra i Celti ed i Tedeschi e che si potrebberoampiamente sviluppare, non solo è possibile, ma persino verosimile che iCelti in Italia e nella Gallia assoldassero specialmente Tedeschi per dettoservizio. Gli «Svizzeri» sarebbero perciò in questo caso alcune migliaia dianni più antichi di quello che si crede. Se il nome con cui i Romani, forsead imitazione dei Celti, designano la nazione dei Tedeschi, cioè diGermani, fosse proprio di origine celtica, combinerebbe perfettamente conquanto si disse. Queste supposizioni saranno certo di nessun valore se siriesce a spiegare in modo più soddisfacente da una radice celtica la parolaambactus; ZEUSS (Gramm., pag. 761) la farebbe derivare, peròdubbiosamente, da ambi = in giro, e aig = agere, e cioè movente in giro omosso in giro, quindi accompagnatore, servitore. Che la detta parola sitrovi anche come nome proprio celtico (ZEUSS, pag. 77) e si sia conservataforse anche nel cambrico amaeth = paesano, lavoratore (ZEUSS, pag. 179)

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Se in un distretto nel quale si contavano circa 80.000uomini atti alle armi, un solo nobile poteva presentarsialla dieta con 10.000 assoldati senza contare i servi e idebitori, è evidente che quegli era più un sovrano indi-pendente che un cittadino del suo distretto.Si aggiunga che le famiglie distinte dei diversi distrettierano tra loro intimamente legate e che col mezzo dimatrimoni e di particolari trattati formavano quasi unalega compatta, di fronte alla quale il distretto isolato nonaveva alcuna forza.Perciò i comuni non potevano mantenere la pace internae valeva generalmente il diritto del più forte. Le solepersone addette trovavano ancora protezione presso illoro padrone, obbligato dal dovere e dall'interesse a pu-nire i torti fatti ai suoi clienti; i liberi non potevanoaspettarsi protezione da un governo che non aveva alcu-na forza, per cui essi si davano in gran numero in servitùai potenti.

13. Abolizione della monarchia.

L'assemblea distrettuale perdette la sua importanzapolitica; e anche il sovrano che avrebbe dovuto impediregli eccessi della nobiltà, soggiacque a questa presso iCelti così come nel Lazio. Al posto del re venne«l'uomo della legge» giusdiscente o Vergobreto37, ilquale, come il console romano, era nominato per un

non può far decidere la cosa nè in un senso nè in un altro.37 Dalle parole celtiche guerg = operatore e breth = giudizio.

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Se in un distretto nel quale si contavano circa 80.000uomini atti alle armi, un solo nobile poteva presentarsialla dieta con 10.000 assoldati senza contare i servi e idebitori, è evidente che quegli era più un sovrano indi-pendente che un cittadino del suo distretto.Si aggiunga che le famiglie distinte dei diversi distrettierano tra loro intimamente legate e che col mezzo dimatrimoni e di particolari trattati formavano quasi unalega compatta, di fronte alla quale il distretto isolato nonaveva alcuna forza.Perciò i comuni non potevano mantenere la pace internae valeva generalmente il diritto del più forte. Le solepersone addette trovavano ancora protezione presso illoro padrone, obbligato dal dovere e dall'interesse a pu-nire i torti fatti ai suoi clienti; i liberi non potevanoaspettarsi protezione da un governo che non aveva alcu-na forza, per cui essi si davano in gran numero in servitùai potenti.

13. Abolizione della monarchia.

L'assemblea distrettuale perdette la sua importanzapolitica; e anche il sovrano che avrebbe dovuto impediregli eccessi della nobiltà, soggiacque a questa presso iCelti così come nel Lazio. Al posto del re venne«l'uomo della legge» giusdiscente o Vergobreto37, ilquale, come il console romano, era nominato per un

non può far decidere la cosa nè in un senso nè in un altro.37 Dalle parole celtiche guerg = operatore e breth = giudizio.

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anno.Per quanto il distretto si tenesse ancora unito, esso eraretto dal suo consiglio, nel quale naturalmente i capidell'aristocrazia avevano la preponderanza. Non occorredire come in queste condizioni nei singoli distretti domi-nasse un fermento simile a quello che aveva dominatoper secoli nel Lazio dopo l'espulsione dei re: mentre inobili dei diversi distretti si univano in una lega separa-ta, nemica del potere del comune, il popolo non cessavadi chiedere la restaurazione della monarchia, e non dirado qualche distinto nobile, come Spurio Cassio avevafatto a Roma, tentava d'infrangere con l'appoggio dellamassa degli abitanti del distretto la forza della sua castae di rimettere, a proprio vantaggio, la corona nei suoi di-ritti.Mentre così i singoli distretti andavano irremissibilmen-te declinando, sorgeva invece potente nella nazione ilsentimento dell'unità tentandosi in diversi modi di darleforma e consistenza.È vero che quelle associazioni di tutta la nobiltà celtica,in opposizione alla comunità dei distretti, scotevanol'esistente ordine di cose, ma esse risvegliavano e au-mentavano nello stesso tempo l'idea dell'unità nazionale.A ciò contribuivano gli attacchi diretti dagli straniericontro la nazione e la continua diminuzione del suo ter-ritorio a causa delle guerre con i vicini.Come gli Elleni nelle guerre contro i Persiani, e gli Itali-ci nelle guerre contro i Celti, così parve che anche i Gal-li transalpini nelle guerre contro Roma si erano accorti

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anno.Per quanto il distretto si tenesse ancora unito, esso eraretto dal suo consiglio, nel quale naturalmente i capidell'aristocrazia avevano la preponderanza. Non occorredire come in queste condizioni nei singoli distretti domi-nasse un fermento simile a quello che aveva dominatoper secoli nel Lazio dopo l'espulsione dei re: mentre inobili dei diversi distretti si univano in una lega separa-ta, nemica del potere del comune, il popolo non cessavadi chiedere la restaurazione della monarchia, e non dirado qualche distinto nobile, come Spurio Cassio avevafatto a Roma, tentava d'infrangere con l'appoggio dellamassa degli abitanti del distretto la forza della sua castae di rimettere, a proprio vantaggio, la corona nei suoi di-ritti.Mentre così i singoli distretti andavano irremissibilmen-te declinando, sorgeva invece potente nella nazione ilsentimento dell'unità tentandosi in diversi modi di darleforma e consistenza.È vero che quelle associazioni di tutta la nobiltà celtica,in opposizione alla comunità dei distretti, scotevanol'esistente ordine di cose, ma esse risvegliavano e au-mentavano nello stesso tempo l'idea dell'unità nazionale.A ciò contribuivano gli attacchi diretti dagli straniericontro la nazione e la continua diminuzione del suo ter-ritorio a causa delle guerre con i vicini.Come gli Elleni nelle guerre contro i Persiani, e gli Itali-ci nelle guerre contro i Celti, così parve che anche i Gal-li transalpini nelle guerre contro Roma si erano accorti

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dell'esistenza e della potenza dell'unità nazionale. Tra leostilità dei distretti rivaleggianti e tutti quei litigi feudalisi fece sentire la voce di coloro che erano pronti a sacri-ficare per l'indipendenza della nazione l'indipendenzadei singoli distretti e persino i privilegi cavallereschi.Come fosse dappertutto popolare l'opposizione al domi-nio straniero lo provarono le guerre di Cesare, contro ilquale i patriotti celti si erano pronunciati appunto comei patriotti tedeschi contro Napoleone: una prova dellasua estensione e della sua organizzazione è la celerità te-legrafica colla quale essa si trasmetteva le notizie.

14. Unione religiosa - Druidi.

La universalità e la potenza del sentimento nazionale deiCelti sarebbero inesplicabili, se essi nel massimodissolvimento politico non fossero stati da lungo tempouniti ad un centro comune coi vincoli della religione epersino della teologia.Il sacerdozio celtico, o, col nome indigeno, la corpora-zione dei druidi, abbracciava certamente le isole britan-niche e tutta la Gallia, e forse anche altri paesi celti, conun comune vincolo religioso nazionale. Essa era retta daun proprio capo, che i sacerdoti stessi si eleggevano,aveva le proprie scuole nelle quali si propagaval'amplissima tradizione, aveva i propri privilegi, special-mente l'esonero dalle imposte e dal servizio militare,che ogni distretto rispettava, teneva annui concili, che siraccoglievano presso Chartres nel «centro della terra

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dell'esistenza e della potenza dell'unità nazionale. Tra leostilità dei distretti rivaleggianti e tutti quei litigi feudalisi fece sentire la voce di coloro che erano pronti a sacri-ficare per l'indipendenza della nazione l'indipendenzadei singoli distretti e persino i privilegi cavallereschi.Come fosse dappertutto popolare l'opposizione al domi-nio straniero lo provarono le guerre di Cesare, contro ilquale i patriotti celti si erano pronunciati appunto comei patriotti tedeschi contro Napoleone: una prova dellasua estensione e della sua organizzazione è la celerità te-legrafica colla quale essa si trasmetteva le notizie.

14. Unione religiosa - Druidi.

La universalità e la potenza del sentimento nazionale deiCelti sarebbero inesplicabili, se essi nel massimodissolvimento politico non fossero stati da lungo tempouniti ad un centro comune coi vincoli della religione epersino della teologia.Il sacerdozio celtico, o, col nome indigeno, la corpora-zione dei druidi, abbracciava certamente le isole britan-niche e tutta la Gallia, e forse anche altri paesi celti, conun comune vincolo religioso nazionale. Essa era retta daun proprio capo, che i sacerdoti stessi si eleggevano,aveva le proprie scuole nelle quali si propagaval'amplissima tradizione, aveva i propri privilegi, special-mente l'esonero dalle imposte e dal servizio militare,che ogni distretto rispettava, teneva annui concili, che siraccoglievano presso Chartres nel «centro della terra

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celtica», e anzitutto un'assemblea di credenti che non lacedeva in nulla per modesta pietà e per cieca ubbidienzaverso i suoi sacerdoti agli Irlandesi dei giorni nostri.Non deve sorprendere che un simile sacerdozio tentassedi usurpare anche il potere temporale, come di fatti inparte l'usurpò. Dove esisteva una monarchia annua essodirigeva le elezioni in caso di interregno; si arrogò consuccesso il diritto di escludere singoli individui ed intericomuni dalla comunità religiosa ed in conseguenza an-che dalla comunità civile; seppe trarre a sè i più impor-tanti affari civili, specialmente i processi per delimita-zione di confini ed eredità, e, appoggiato, come pare, alsuo diritto di escludere dal comune e fors'anche all'abi-tudine del paese di scegliere pei sagrifici umani di pre-ferenza i delinquenti, sviluppò un'estesa giurisdizionecriminale e sacerdotale, che faceva concorrenza a quelladei re e dei vergobreti, e si arrogò persino il diritto didecidere della pace e della guerra.Era quasi uno stato pontificio col papa e coi concilî, conimmunità, interdizioni e censure ecclesiastiche; colla di-versità che questo stato ecclesiastico non si staccavacome quello dei nostri giorni, dalla nazione, ma era an-zitutto nazionale.Ma se così fra le tribù celtiche si era destato con pienovigore il sentimento dell'unità, non era dato ancora allanazione di avere un punto fisso di centralizzazione poli-tica, come l'ebbe l'Italia nella borghesia romana e comelo trovarono i Greci ed i Germani nei re macedoni efranchi.

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celtica», e anzitutto un'assemblea di credenti che non lacedeva in nulla per modesta pietà e per cieca ubbidienzaverso i suoi sacerdoti agli Irlandesi dei giorni nostri.Non deve sorprendere che un simile sacerdozio tentassedi usurpare anche il potere temporale, come di fatti inparte l'usurpò. Dove esisteva una monarchia annua essodirigeva le elezioni in caso di interregno; si arrogò consuccesso il diritto di escludere singoli individui ed intericomuni dalla comunità religiosa ed in conseguenza an-che dalla comunità civile; seppe trarre a sè i più impor-tanti affari civili, specialmente i processi per delimita-zione di confini ed eredità, e, appoggiato, come pare, alsuo diritto di escludere dal comune e fors'anche all'abi-tudine del paese di scegliere pei sagrifici umani di pre-ferenza i delinquenti, sviluppò un'estesa giurisdizionecriminale e sacerdotale, che faceva concorrenza a quelladei re e dei vergobreti, e si arrogò persino il diritto didecidere della pace e della guerra.Era quasi uno stato pontificio col papa e coi concilî, conimmunità, interdizioni e censure ecclesiastiche; colla di-versità che questo stato ecclesiastico non si staccavacome quello dei nostri giorni, dalla nazione, ma era an-zitutto nazionale.Ma se così fra le tribù celtiche si era destato con pienovigore il sentimento dell'unità, non era dato ancora allanazione di avere un punto fisso di centralizzazione poli-tica, come l'ebbe l'Italia nella borghesia romana e comelo trovarono i Greci ed i Germani nei re macedoni efranchi.

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Sebbene il sacerdozio e la nobiltà dei Celti tenessero le-gata e rappresentassero in un certo senso la nazione,quei due corpi erano però da un lato per i loro particola-ri interessi di casta incapaci di unificarla, dall'altro abba-stanza forti per non permettere tale unificazione ad al-cun re o ad alcun distretto. Non mancarono tentativi ten-denti, come portava la costituzione distrettuale, al siste-ma dell'egemonia.

15. Leghe distrettuali.

Il cantone più potente costringeva il più debole adassoggettarglisi in modo che il cantone dirigenterappresentasse l'altro all'estero e stipulasse per lui itrattati pubblici; invece il cantone cliente si obbligava asomministrare un contingente ed anche a pagare untributo. In questo modo sorsero moltissime legheseparate; non vi era però un cantone che dirigesse tuttoil paese celtico e mancava assolutamente un legame, perdebole che fosse, fra tutta la nazione.Si è già osservato come i Romani nei primordi delle loroconquiste transalpine trovassero a settentrione una legabritannico-belga sotto la direzione dei Suessoni, nellaGallia media e meridionale la confederazione degli Al-vergnati, colla quale gli Edui rivaleggiavano colla piùdebole loro clientela.Al tempo di Cesare troviamo i Belgi nel nord-est dellaGallia tra la Senna ed il Reno ancora in lega, che pareperò non si estendesse più alla Bretagna; accanto ad

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Sebbene il sacerdozio e la nobiltà dei Celti tenessero le-gata e rappresentassero in un certo senso la nazione,quei due corpi erano però da un lato per i loro particola-ri interessi di casta incapaci di unificarla, dall'altro abba-stanza forti per non permettere tale unificazione ad al-cun re o ad alcun distretto. Non mancarono tentativi ten-denti, come portava la costituzione distrettuale, al siste-ma dell'egemonia.

15. Leghe distrettuali.

Il cantone più potente costringeva il più debole adassoggettarglisi in modo che il cantone dirigenterappresentasse l'altro all'estero e stipulasse per lui itrattati pubblici; invece il cantone cliente si obbligava asomministrare un contingente ed anche a pagare untributo. In questo modo sorsero moltissime legheseparate; non vi era però un cantone che dirigesse tuttoil paese celtico e mancava assolutamente un legame, perdebole che fosse, fra tutta la nazione.Si è già osservato come i Romani nei primordi delle loroconquiste transalpine trovassero a settentrione una legabritannico-belga sotto la direzione dei Suessoni, nellaGallia media e meridionale la confederazione degli Al-vergnati, colla quale gli Edui rivaleggiavano colla piùdebole loro clientela.Al tempo di Cesare troviamo i Belgi nel nord-est dellaGallia tra la Senna ed il Reno ancora in lega, che pareperò non si estendesse più alla Bretagna; accanto ad

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essa troviamo nell'attuale Normandia e nella Bretagna lalega dei distretti armoricani, cioè dei distretti marittimi;nella Gallia media o Gallia propriamente detta, conten-devano come una volta, due partiti per l'egemonia: allatesta di uno stavano gli Edui, alla testa dell'altro, i Se-quani, dopo che gli Alvergnati, indeboliti con le guerrecon Roma, si erano ritirati.Queste diverse confederazioni vivevano indipendentil'una vicina all'altra; pare che i cantoni dominanti laGallia media non abbiano mai esteso la loro clientelanella parte nord-est della Gallia e seriamente nemmenonella parte nord-ovest.L'impulso unitario della nazione trovò in queste leghedei distretti un certo appagamento; ma esse erano sottoogni rapporto insufficienti.Il legame era tutt'altro che solido e sempre vacillante fral'alleanza e l'egemonia, la rappresentanza dell'unione, intempo di pace a causa delle diete, in tempo di guerra acausa del duce (Herzog)38 era estremamente debole. Lasola confederazione belga pare sia stata alquanto solida;lo slancio nazionale per cui avvenne la felice difesa deiCimbri, forse le avrà giovato.Le rivalità per l'egemonia facevano una breccia in ognisingola lega che il tempo non chiudeva, ma anzi allarga-va, poichè persino la vittoria del rivale non toglievaall'avversario l'esistenza politica, per cui, quando anchesi fosse adattato alla clientela, gli rimaneva sempre la38 Quale fosse la posizione di simile comandante federale di fronte

all'esercito, lo prova l'accusa di alto tradimento elevata controVercingetorige (CES., B. g. 7, 20).

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essa troviamo nell'attuale Normandia e nella Bretagna lalega dei distretti armoricani, cioè dei distretti marittimi;nella Gallia media o Gallia propriamente detta, conten-devano come una volta, due partiti per l'egemonia: allatesta di uno stavano gli Edui, alla testa dell'altro, i Se-quani, dopo che gli Alvergnati, indeboliti con le guerrecon Roma, si erano ritirati.Queste diverse confederazioni vivevano indipendentil'una vicina all'altra; pare che i cantoni dominanti laGallia media non abbiano mai esteso la loro clientelanella parte nord-est della Gallia e seriamente nemmenonella parte nord-ovest.L'impulso unitario della nazione trovò in queste leghedei distretti un certo appagamento; ma esse erano sottoogni rapporto insufficienti.Il legame era tutt'altro che solido e sempre vacillante fral'alleanza e l'egemonia, la rappresentanza dell'unione, intempo di pace a causa delle diete, in tempo di guerra acausa del duce (Herzog)38 era estremamente debole. Lasola confederazione belga pare sia stata alquanto solida;lo slancio nazionale per cui avvenne la felice difesa deiCimbri, forse le avrà giovato.Le rivalità per l'egemonia facevano una breccia in ognisingola lega che il tempo non chiudeva, ma anzi allarga-va, poichè persino la vittoria del rivale non toglievaall'avversario l'esistenza politica, per cui, quando anchesi fosse adattato alla clientela, gli rimaneva sempre la38 Quale fosse la posizione di simile comandante federale di fronte

all'esercito, lo prova l'accusa di alto tradimento elevata controVercingetorige (CES., B. g. 7, 20).

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possibilità di rinnovare la lotta più tardi.La lotta dei distretti più potenti non solo causava la divi-sione fra essi, ma la suscitava in ogni distretto vassallo,in ogni villaggio e non di rado in ogni casa, mentreognuno in particolare prendeva quel partito che gli sug-gerivano le sue personali condizioni.Come l'Ellade si logorò non tanto nella lotta d'Atenecontro Sparta, quanto negli interni dissensi delle fazioniateniesi e lacedemoni in ogni comune vassallo ed inAtene stesso; così la rivalità degli Alverniati e degliEdui ha distrutto il popolo celtico.

16. L'esercito celtico.

La parte militare della nazione sentiva il contraccolpo diqueste condizioni politiche e sociali. La cavalleria eraassolutamente l'arma preponderante; a questa siaggiungano presso i Belgi e più ancora nelle isolebritanniche gli antichi carri falcati nazionali, portati aduna grande perfezione.Queste schiere, non meno valenti che numerose, di ar-mati combattenti a cavallo e sui carri, si componevanodei nobili e del loro vassalli, che, da veri cavalieri, face-vano consistere il loro sfarzo nei cani e nei cavalli,spendendo grosse somme per l'acquisto di cavalli di raz-za straniera.Merita di essere notato, quanto allo spirito ed al modo dicombattere di questi nobili, che ogni qualvolta eranochiamati sotto le armi, tutti quelli che potevano stare in

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possibilità di rinnovare la lotta più tardi.La lotta dei distretti più potenti non solo causava la divi-sione fra essi, ma la suscitava in ogni distretto vassallo,in ogni villaggio e non di rado in ogni casa, mentreognuno in particolare prendeva quel partito che gli sug-gerivano le sue personali condizioni.Come l'Ellade si logorò non tanto nella lotta d'Atenecontro Sparta, quanto negli interni dissensi delle fazioniateniesi e lacedemoni in ogni comune vassallo ed inAtene stesso; così la rivalità degli Alverniati e degliEdui ha distrutto il popolo celtico.

16. L'esercito celtico.

La parte militare della nazione sentiva il contraccolpo diqueste condizioni politiche e sociali. La cavalleria eraassolutamente l'arma preponderante; a questa siaggiungano presso i Belgi e più ancora nelle isolebritanniche gli antichi carri falcati nazionali, portati aduna grande perfezione.Queste schiere, non meno valenti che numerose, di ar-mati combattenti a cavallo e sui carri, si componevanodei nobili e del loro vassalli, che, da veri cavalieri, face-vano consistere il loro sfarzo nei cani e nei cavalli,spendendo grosse somme per l'acquisto di cavalli di raz-za straniera.Merita di essere notato, quanto allo spirito ed al modo dicombattere di questi nobili, che ogni qualvolta eranochiamati sotto le armi, tutti quelli che potevano stare in

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sella, non esclusi i più vecchi, montavano a cavallo, eche, in procinto di cominciare la lotta con un nemico te-nuto in basso concetto, giuravano di non rientrare nelleproprie case, finchè la loro schiera non fosse passata al-meno due volte attraverso la linea nemica.Fra le truppe mercenarie prevaleva una specie di lanzi-chenecchi con tutta l'immorale indifferenza per la pro-pria e l'altrui vita, caratteristica di questo genere di mili-zia. Ciò risulta, per quanto essi rechino l'impronta favo-losa, dai racconti sul costume dei Celti di tirare di scher-ma per scherzo e di combattere, all'occasione, all'ultimosangue durante i pranzi e dall'uso di vendersi per unadeterminata somma di denaro, o per un certo numero dibotti di vino, per farsi ammazzare – ciò che superava inbarbarie perfino i combattimenti dei gladiatori –; cosic-chè il paziente, disteso sullo scudo, dinanzi alla folla, ri-ceveva volontariamente il colpo mortale.In confronto di questi cavalieri, la fanteria avevaun'importanza secondaria. Essa rassomigliava nella so-stanza ancora alle schiere celtiche contro le quali i Ro-mani avevano combattuto in Italia e nella Spagna.La loro principale difesa era il grande scudo; fra le armiprimeggiava, invece della spada, una lunga lancia. Dovefacevano la guerra più distretti alleati, ciascuno si ac-campava e combatteva naturalmente contro un altro;non si trova traccia che il contingente del singolo di-stretto fosse ordinato militarmente e che secondo la tat-tica se ne formassero delle più piccole e regolari divisio-ni.

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sella, non esclusi i più vecchi, montavano a cavallo, eche, in procinto di cominciare la lotta con un nemico te-nuto in basso concetto, giuravano di non rientrare nelleproprie case, finchè la loro schiera non fosse passata al-meno due volte attraverso la linea nemica.Fra le truppe mercenarie prevaleva una specie di lanzi-chenecchi con tutta l'immorale indifferenza per la pro-pria e l'altrui vita, caratteristica di questo genere di mili-zia. Ciò risulta, per quanto essi rechino l'impronta favo-losa, dai racconti sul costume dei Celti di tirare di scher-ma per scherzo e di combattere, all'occasione, all'ultimosangue durante i pranzi e dall'uso di vendersi per unadeterminata somma di denaro, o per un certo numero dibotti di vino, per farsi ammazzare – ciò che superava inbarbarie perfino i combattimenti dei gladiatori –; cosic-chè il paziente, disteso sullo scudo, dinanzi alla folla, ri-ceveva volontariamente il colpo mortale.In confronto di questi cavalieri, la fanteria avevaun'importanza secondaria. Essa rassomigliava nella so-stanza ancora alle schiere celtiche contro le quali i Ro-mani avevano combattuto in Italia e nella Spagna.La loro principale difesa era il grande scudo; fra le armiprimeggiava, invece della spada, una lunga lancia. Dovefacevano la guerra più distretti alleati, ciascuno si ac-campava e combatteva naturalmente contro un altro;non si trova traccia che il contingente del singolo di-stretto fosse ordinato militarmente e che secondo la tat-tica se ne formassero delle più piccole e regolari divisio-ni.

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L'esercito celtico era sempre seguìto da una lunga fila dicarri, che trasportavano il bagaglio; invece del campotrincerato, come lo ponevano tutte le sere i Romani, siricorreva sempre al meschino surrogato di fortificarlocoi carri. Di alcuni cantoni, come ad esempio di quellodei Nervi, si loda la bravura eccezionale della loro fan-teria: è singolare però che appunto questi non avesserocavalleria e forse la loro non era nemmeno una tribù cel-tica, ma una tribù tedesca immigrata.Ma in generale la fanteria celtica sembra piuttosto unaleva in massa imbelle e pesante, e specialmente quelladelle province più meridionali, dove colla rozzezza erascomparso anche il valore. Il Celta, dice Cesare, sulcampo di battaglia, non osa star di fronte al Germano; eancora più severamente Cesare giudicava la fanteria cel-tica, dicendo che, dopo avere imparato a conoscerla nel-la sua prima campagna, egli non se ne era più servito inunione con la romana.

17. Sviluppo della civiltà celtica.

Se gettiamo uno sguardo sulla condizione generale deiCelti come Cesare la trovò nelle province transalpine,non possiamo che riconoscere un progresso nella lorociviltà paragonata col grado di coltura, in cui noi litrovammo nella val padana un secolo e mezzo prima.Allora negli eserciti prevaleva generalmente la miliziache, alla propria maniera, era eccellente; ora occupa ilprimo posto la cavalleria. Allora i Celti abitavano in

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L'esercito celtico era sempre seguìto da una lunga fila dicarri, che trasportavano il bagaglio; invece del campotrincerato, come lo ponevano tutte le sere i Romani, siricorreva sempre al meschino surrogato di fortificarlocoi carri. Di alcuni cantoni, come ad esempio di quellodei Nervi, si loda la bravura eccezionale della loro fan-teria: è singolare però che appunto questi non avesserocavalleria e forse la loro non era nemmeno una tribù cel-tica, ma una tribù tedesca immigrata.Ma in generale la fanteria celtica sembra piuttosto unaleva in massa imbelle e pesante, e specialmente quelladelle province più meridionali, dove colla rozzezza erascomparso anche il valore. Il Celta, dice Cesare, sulcampo di battaglia, non osa star di fronte al Germano; eancora più severamente Cesare giudicava la fanteria cel-tica, dicendo che, dopo avere imparato a conoscerla nel-la sua prima campagna, egli non se ne era più servito inunione con la romana.

17. Sviluppo della civiltà celtica.

Se gettiamo uno sguardo sulla condizione generale deiCelti come Cesare la trovò nelle province transalpine,non possiamo che riconoscere un progresso nella lorociviltà paragonata col grado di coltura, in cui noi litrovammo nella val padana un secolo e mezzo prima.Allora negli eserciti prevaleva generalmente la miliziache, alla propria maniera, era eccellente; ora occupa ilprimo posto la cavalleria. Allora i Celti abitavano in

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borgate aperte, ora le loro località sono cinte di ben co-strutte mura. Anche gli oggetti ritrovati nelle tombelombarde, specialmente le suppellettili di rame e di ve-tro, sono molto inferiori a quelli del paese celtico setten-trionale. Forse il più giusto misuratore del progressodella civiltà è il sentimento unitario della nazione; quan-to scarso appare questo sentimento nelle lotte celtichecombattute sul suolo dell'odierna Lombardia, altrettantopiù vivo si manifesta nelle lotte contro Cesare.A quel che sembra la nazione celtica era ormai giuntaall'apogeo della civiltà assegnatale e già allora comin-ciava a decadere. La civiltà dei Celti transalpini ai tempidi Cesare offre persino a noi, che non ne siamo che mol-to imperfettamente informati, parecchie preziose e inte-ressanti pagine; sotto più d'un rapporto essa si accostapiù alla civiltà moderna che alla elleno-romana con lesue navi a vela, coi suoi cavalieri, con la sua costituzio-ne religiosa e anzitutto coi suoi tentativi, benchè imper-fetti, di erigere lo stato non sulla città, ma sulla schiattae con un'idea più elevata sulla nazione.Ma appunto perchè noi troviamo qui la nazione celticagiunta all'apogeo del suo sviluppo, emerge più recisa-mente la sua inferiorità morale, o, il che vale lo stesso,la sua minore suscettibilità di coltura. Essa non fu ingrado di formare da sè nè un'arte nazionale, nè uno statonazionale, e riuscì tutt'al più a formare una teologia na-zionale ed una propria nobiltà.Non vi esisteva più il primitivo ingenuo valore; il corag-gio militare fondato su di una morale superiore e sopra

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borgate aperte, ora le loro località sono cinte di ben co-strutte mura. Anche gli oggetti ritrovati nelle tombelombarde, specialmente le suppellettili di rame e di ve-tro, sono molto inferiori a quelli del paese celtico setten-trionale. Forse il più giusto misuratore del progressodella civiltà è il sentimento unitario della nazione; quan-to scarso appare questo sentimento nelle lotte celtichecombattute sul suolo dell'odierna Lombardia, altrettantopiù vivo si manifesta nelle lotte contro Cesare.A quel che sembra la nazione celtica era ormai giuntaall'apogeo della civiltà assegnatale e già allora comin-ciava a decadere. La civiltà dei Celti transalpini ai tempidi Cesare offre persino a noi, che non ne siamo che mol-to imperfettamente informati, parecchie preziose e inte-ressanti pagine; sotto più d'un rapporto essa si accostapiù alla civiltà moderna che alla elleno-romana con lesue navi a vela, coi suoi cavalieri, con la sua costituzio-ne religiosa e anzitutto coi suoi tentativi, benchè imper-fetti, di erigere lo stato non sulla città, ma sulla schiattae con un'idea più elevata sulla nazione.Ma appunto perchè noi troviamo qui la nazione celticagiunta all'apogeo del suo sviluppo, emerge più recisa-mente la sua inferiorità morale, o, il che vale lo stesso,la sua minore suscettibilità di coltura. Essa non fu ingrado di formare da sè nè un'arte nazionale, nè uno statonazionale, e riuscì tutt'al più a formare una teologia na-zionale ed una propria nobiltà.Non vi esisteva più il primitivo ingenuo valore; il corag-gio militare fondato su di una morale superiore e sopra

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convenienti istituzioni, quale si manifesta in seguito del-la progredita civiltà, si era insinuato con forme assaimeschine solo nella classe dei cavalieri.La barbarie propriamente detta era bensì vinta; non era-no più i tempi in cui nel paese dei Celti si offriva al piùvaloroso degli ospiti il miglior pezzo di bue, mentreogni convitato, che se ne trovasse offeso, poteva sfidarea duello colui che lo aveva ricevuto; e il tempo in cui siabbruciavano insieme con lo spento capitano i più fedelidel suo seguito. Ma gli olocausti umani continuavano, ela legge che non ammetteva la tortura dell'uomo libero,ma permetteva quella della donna libera e dello schiavo,getta una luce sinistra sulla posizione in cui si trovava ilsesso femminile presso i Celti anche nel tempo dellaloro civiltà.I Celti avevano perduto i vantaggi che sono propri delleepoche primitive delle nazioni, ma non avevano acqui-stato quelli che portano civiltà, quando essa penetra inti-mamente e completamente un popolo.

18. Condizioni esterne.

Erano queste le condizioni interne della nazione celtica.Resta ancora da esaminare le sue relazioni coi vicini, equale parte essi assumessero in questo momento nellagrande gara e nella lotta delle nazioni in cui ilconservare si dimostra dappertutto ancor più difficileche l'acquistare.Le condizioni dei popoli stabiliti ai piedi dei Pirenei era-

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convenienti istituzioni, quale si manifesta in seguito del-la progredita civiltà, si era insinuato con forme assaimeschine solo nella classe dei cavalieri.La barbarie propriamente detta era bensì vinta; non era-no più i tempi in cui nel paese dei Celti si offriva al piùvaloroso degli ospiti il miglior pezzo di bue, mentreogni convitato, che se ne trovasse offeso, poteva sfidarea duello colui che lo aveva ricevuto; e il tempo in cui siabbruciavano insieme con lo spento capitano i più fedelidel suo seguito. Ma gli olocausti umani continuavano, ela legge che non ammetteva la tortura dell'uomo libero,ma permetteva quella della donna libera e dello schiavo,getta una luce sinistra sulla posizione in cui si trovava ilsesso femminile presso i Celti anche nel tempo dellaloro civiltà.I Celti avevano perduto i vantaggi che sono propri delleepoche primitive delle nazioni, ma non avevano acqui-stato quelli che portano civiltà, quando essa penetra inti-mamente e completamente un popolo.

18. Condizioni esterne.

Erano queste le condizioni interne della nazione celtica.Resta ancora da esaminare le sue relazioni coi vicini, equale parte essi assumessero in questo momento nellagrande gara e nella lotta delle nazioni in cui ilconservare si dimostra dappertutto ancor più difficileche l'acquistare.Le condizioni dei popoli stabiliti ai piedi dei Pirenei era-

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no state da lungo tempo ordinate pacificamente ed eranodi molto passati i tempi, in cui i Celti vi opprimevano laprimitiva popolazione iberica, cioè basca, e in parte nela scacciavano.Le valli dei Pirenei e le montagne del Bearnese e dellaGuascogna, come pure le steppe litorali a mezzodì dellaGaronna si trovavano ai tempi di Cesare in potereincontestato degli Aquitani, un gruppo importante dipiccole popolazioni di origine iberica con pochi rapportifra di loro e meno ancora con l'estero; la sola foce dellaGaronna con l'importante porto di Burdigala (Bordeaux)si trovava in possesso di una tribù attiva, quella deiBiturigi-Vivischi.Di molto maggiore importanza erano i rapporti della na-zione celtica col popolo romano e coi Germani. Noi nonripeteremo qui ciò che fu già prima narrato come cioè iRomani avanzando lentamente avessero respinto a pocoa poco i Celti, e si fossero finalmente impossessati an-che del litorale fra le Alpi ed i Pirenei, e come in talmodo li avessero esclusi interamente dall'Italia, dallaSpagna e dal Mediterraneo, catastrofe che era stata pre-parata alcuni secoli prima con la costruzione di una for-tezza ellenica alla foce del Rodano; ma dobbiamo qui ri-cordare che non la sola superiorità delle armi romaneopprimeva i Celti, ma lo faceva almeno altrettanto la su-periorità della civiltà romana, avvantaggiata anche dagliimportanti principî della civiltà ellenica, esistente nelpaese dei Celti.Anche qui, come tante altre volte, il commercio e il con-

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no state da lungo tempo ordinate pacificamente ed eranodi molto passati i tempi, in cui i Celti vi opprimevano laprimitiva popolazione iberica, cioè basca, e in parte nela scacciavano.Le valli dei Pirenei e le montagne del Bearnese e dellaGuascogna, come pure le steppe litorali a mezzodì dellaGaronna si trovavano ai tempi di Cesare in potereincontestato degli Aquitani, un gruppo importante dipiccole popolazioni di origine iberica con pochi rapportifra di loro e meno ancora con l'estero; la sola foce dellaGaronna con l'importante porto di Burdigala (Bordeaux)si trovava in possesso di una tribù attiva, quella deiBiturigi-Vivischi.Di molto maggiore importanza erano i rapporti della na-zione celtica col popolo romano e coi Germani. Noi nonripeteremo qui ciò che fu già prima narrato come cioè iRomani avanzando lentamente avessero respinto a pocoa poco i Celti, e si fossero finalmente impossessati an-che del litorale fra le Alpi ed i Pirenei, e come in talmodo li avessero esclusi interamente dall'Italia, dallaSpagna e dal Mediterraneo, catastrofe che era stata pre-parata alcuni secoli prima con la costruzione di una for-tezza ellenica alla foce del Rodano; ma dobbiamo qui ri-cordare che non la sola superiorità delle armi romaneopprimeva i Celti, ma lo faceva almeno altrettanto la su-periorità della civiltà romana, avvantaggiata anche dagliimportanti principî della civiltà ellenica, esistente nelpaese dei Celti.Anche qui, come tante altre volte, il commercio e il con-

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tatto spianarono la via alle conquiste. Il Celta, come ècostume dei settentrionali, amava le bevande spiritose;che egli bevesse come gli Sciti vino squisito e non me-scolato con acqua e ne bevesse fino all'ubriachezza, de-stava la meraviglia e la nausea del sobrio abitatore delmezzodì; ma il commerciante tratta volontieri con similiavventori.Non andò molto che il commercio del vino col paeseceltico divenne una miniera d'oro per il commercianteitalico; non fu raro il caso che il Celto barattasse unoschiavo con un boccale di vino. Anche altri articoli dilusso, ad esempio i cavalli italici, si vendevano con van-taggio nel paese celtico. E già si verificava persino ilcaso che cittadini romani acquistassero dei feudi oltre iconfini romani e li coltivassero secondo il sistema itali-co; così si parla di tenute romane nel cantone dei Segu-siavi (presso Lione) verso il 673 = 81.Senza dubbio fu una conseguenza di ciò il fatto che,come abbiam già notato, persino nella Gallia libera, peresempio presso gli Alvergnati, la lingua romana, già pri-ma della conquista, non era ignorata, benchè pochi pro-babilmente fossero quelli che la conoscessero e anchecogli uomini più distinti del distretto alleato degli Eduisi dovesse parlare col mezzo degli interpreti.Appunto come i negozianti di acquavite e gli Squattersiniziarono l'occupazione dell'America settentrionale,così questi mercanti di vino e questi possidenti romanifurono i precursori del futuro conquistatore della Gallia.Quanto vivamente ciò fosse sentito anche dalla parte

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tatto spianarono la via alle conquiste. Il Celta, come ècostume dei settentrionali, amava le bevande spiritose;che egli bevesse come gli Sciti vino squisito e non me-scolato con acqua e ne bevesse fino all'ubriachezza, de-stava la meraviglia e la nausea del sobrio abitatore delmezzodì; ma il commerciante tratta volontieri con similiavventori.Non andò molto che il commercio del vino col paeseceltico divenne una miniera d'oro per il commercianteitalico; non fu raro il caso che il Celto barattasse unoschiavo con un boccale di vino. Anche altri articoli dilusso, ad esempio i cavalli italici, si vendevano con van-taggio nel paese celtico. E già si verificava persino ilcaso che cittadini romani acquistassero dei feudi oltre iconfini romani e li coltivassero secondo il sistema itali-co; così si parla di tenute romane nel cantone dei Segu-siavi (presso Lione) verso il 673 = 81.Senza dubbio fu una conseguenza di ciò il fatto che,come abbiam già notato, persino nella Gallia libera, peresempio presso gli Alvergnati, la lingua romana, già pri-ma della conquista, non era ignorata, benchè pochi pro-babilmente fossero quelli che la conoscessero e anchecogli uomini più distinti del distretto alleato degli Eduisi dovesse parlare col mezzo degli interpreti.Appunto come i negozianti di acquavite e gli Squattersiniziarono l'occupazione dell'America settentrionale,così questi mercanti di vino e questi possidenti romanifurono i precursori del futuro conquistatore della Gallia.Quanto vivamente ciò fosse sentito anche dalla parte

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opposta, lo prova il divieto emanato da una delle piùimportanti tribù del paese celtico, quella dei Nervi –come pure da singole popolazioni germaniche – ditrafficare coi Romani.

19. Celti e Germani.

Con impeto maggiore che quello dei Romani dalMediterraneo, si avanzavano dal Baltico e dal mare delnord i Germani, una nuova e vigorosa schiatta, uscitadalla grande culla dei popoli orientali, che con forzegiovanili, sebbene anche con giovanile rozzezza, sifaceva posto vicino ai suoi maggiori fratelli.Benchè le popolazioni appartenenti a questa famigliache stanziavano vicino al Reno, gli Usipeti, i Tencteri, iSugambri, gli Ubi, avessero incominciato ad incivilirsi oalmeno smesso il nomadismo, tutte le notizie concorda-no però in ciò, che nell'interno del paese l'agricoltura eratenuta in poco conto e che le singole tribù si erano stabi-lite in sedi fisse.Sotto questo rapporto, è notevole, come i vicinioccidentali di quell'epoca non sapessero nominarenemmeno uno dei popoli dell'interna Germania secondoil nome del distretto a cui apparteneva, nonconoscendoli che sotto la generica designazione diSvevi, cioè di nomadi, gente errante, e di Marcomanni,cioè di uomini che difendono la frontiera39 nomi, che ai

39 Così gli Svevi di Cesare sono probabilmente i Celti; ma lo stesso nome fuattribuito senza dubbio, ai tempi di Cesare e anche molto tempo dopo, pure

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opposta, lo prova il divieto emanato da una delle piùimportanti tribù del paese celtico, quella dei Nervi –come pure da singole popolazioni germaniche – ditrafficare coi Romani.

19. Celti e Germani.

Con impeto maggiore che quello dei Romani dalMediterraneo, si avanzavano dal Baltico e dal mare delnord i Germani, una nuova e vigorosa schiatta, uscitadalla grande culla dei popoli orientali, che con forzegiovanili, sebbene anche con giovanile rozzezza, sifaceva posto vicino ai suoi maggiori fratelli.Benchè le popolazioni appartenenti a questa famigliache stanziavano vicino al Reno, gli Usipeti, i Tencteri, iSugambri, gli Ubi, avessero incominciato ad incivilirsi oalmeno smesso il nomadismo, tutte le notizie concorda-no però in ciò, che nell'interno del paese l'agricoltura eratenuta in poco conto e che le singole tribù si erano stabi-lite in sedi fisse.Sotto questo rapporto, è notevole, come i vicinioccidentali di quell'epoca non sapessero nominarenemmeno uno dei popoli dell'interna Germania secondoil nome del distretto a cui apparteneva, nonconoscendoli che sotto la generica designazione diSvevi, cioè di nomadi, gente errante, e di Marcomanni,cioè di uomini che difendono la frontiera39 nomi, che ai

39 Così gli Svevi di Cesare sono probabilmente i Celti; ma lo stesso nome fuattribuito senza dubbio, ai tempi di Cesare e anche molto tempo dopo, pure

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tempi di Cesare erano difficilmente già riguardati comenomi di distretti, benchè ai Romani sembrassero tali emolti lo divenissero più tardi.L'urto più formidabile di questa grande nazione toccò aiCelti. Siamo però completamente all'oscuro sulle lotteche i Germani dovettero sostenere coi Celti, pel posses-so del paese all'oriente del Reno.Noi troviamo soltanto che sulla fine del settimo secolodi Roma i Celti avevano già perduto tutto il paese sinoal Reno; che i Boi, i quali avevano avuto stanza in Ba-viera e in Boemia, andavano errando senza patria, e chepersino la Selva nera, già posseduta dagli Elvezi, se nonfu occupata dalle più vicine tribù germaniche, divennealmeno un paese incolto di confine disputato e probabil-mente sin da allora ciò che fu poi detto «il deserto elve-tico».Pare che qui si sia messa in pratica in vastissime propor-zioni la barbara strategia dei Germani di mettersi in sal-vo dalle invasioni nemiche, devastando il paese alla di-stanza di parecchie leghe. Ma i Germani non s'erano fer-mati sul Reno. La moltitudine dei Cimbri e dei Teutoni,il cui nerbo si componeva di tribù germaniche, che cin-

ad ogni tribù germanica che potesse essere designata tribù errante. Sequindi secondo MELA (3, 1) e PLINIO (H. n., 2, 67, 170) e come non si devedubitare, Ariovisto era il «re degli Svevi», non si deve da ciò dedurre cheAriovisto fosse un Catto. Prima di Marbodo non si conoscono iMarcomanni come popolo distinto; è molto probabile, che questa parolasino allora non significasse altro che ciò che indica etimologicamente, cioèuomini che guardano la frontiera. Se CESARE, I, 51 fa cenno deiMarcomanni tra i popoli che combattono nell'esercito di Ariovisto, saràincorso in errore anche in questo caso servendosi di un nome generico,come lo fu certamente in quello degli Svevi.

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tempi di Cesare erano difficilmente già riguardati comenomi di distretti, benchè ai Romani sembrassero tali emolti lo divenissero più tardi.L'urto più formidabile di questa grande nazione toccò aiCelti. Siamo però completamente all'oscuro sulle lotteche i Germani dovettero sostenere coi Celti, pel posses-so del paese all'oriente del Reno.Noi troviamo soltanto che sulla fine del settimo secolodi Roma i Celti avevano già perduto tutto il paese sinoal Reno; che i Boi, i quali avevano avuto stanza in Ba-viera e in Boemia, andavano errando senza patria, e chepersino la Selva nera, già posseduta dagli Elvezi, se nonfu occupata dalle più vicine tribù germaniche, divennealmeno un paese incolto di confine disputato e probabil-mente sin da allora ciò che fu poi detto «il deserto elve-tico».Pare che qui si sia messa in pratica in vastissime propor-zioni la barbara strategia dei Germani di mettersi in sal-vo dalle invasioni nemiche, devastando il paese alla di-stanza di parecchie leghe. Ma i Germani non s'erano fer-mati sul Reno. La moltitudine dei Cimbri e dei Teutoni,il cui nerbo si componeva di tribù germaniche, che cin-

ad ogni tribù germanica che potesse essere designata tribù errante. Sequindi secondo MELA (3, 1) e PLINIO (H. n., 2, 67, 170) e come non si devedubitare, Ariovisto era il «re degli Svevi», non si deve da ciò dedurre cheAriovisto fosse un Catto. Prima di Marbodo non si conoscono iMarcomanni come popolo distinto; è molto probabile, che questa parolasino allora non significasse altro che ciò che indica etimologicamente, cioèuomini che guardano la frontiera. Se CESARE, I, 51 fa cenno deiMarcomanni tra i popoli che combattono nell'esercito di Ariovisto, saràincorso in errore anche in questo caso servendosi di un nome generico,come lo fu certamente in quello degli Svevi.

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quant'anni prima era passata con tanto impeto attraversola Pannonia, la Gallia, l'Italia e la Spagna, pareva nonfosse stata che una grande ricognizione. Parecchie tribùgermaniche avevano già trovato sedi stabili all'occidentedel Reno e specialmente sul basso Reno; questi nuoviabitanti, considerandosi quasi come conquistatori, conti-nuavano ad esigere ostaggi dagli abitanti gallici in mez-zo a cui vivevano, e ad imporre loro un annuo tributo,come se si trattasse di sudditi.Appartenevano ai medesimi gli Aduatuci, i quali da unafrazione della massa dei Cimbri erano cresciuti sino aformare un importante distretto, e una serie di altre po-polazioni stanziate sulle rive della Mosa vicino a Liegi,conosciute più tardi sotto il nome di Tungri; persino iTreviriani (presso Treviri) e i Nervi (nell'Ennegavia),due delle più potenti popolazioni di questa regione, sonodesignati da rispettabili autorità appunto come Germani.La veridicità di queste narrazioni, può, naturalmente, es-sere messa in dubbio, poichè, come osserva Tacito piùtardi parlando delle accennate popolazioni, perlomenoin quelle regioni, si considerava un onore discendere dasangue germanico e non appartenere alla poco stimatanazione dei Celti: pare però che la popolazione stanziatanelle valli bagnate dalla Schelda, dalla Mosa e dallaMosella, in uno o nell'altro modo si sia confusa con ele-menti germanici, o almeno che abbia subìta l'influenzagermanica.Le colonie germaniche erano per sè stesse forse pocoimportanti; non erano però insignificanti, poichè nelle

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quant'anni prima era passata con tanto impeto attraversola Pannonia, la Gallia, l'Italia e la Spagna, pareva nonfosse stata che una grande ricognizione. Parecchie tribùgermaniche avevano già trovato sedi stabili all'occidentedel Reno e specialmente sul basso Reno; questi nuoviabitanti, considerandosi quasi come conquistatori, conti-nuavano ad esigere ostaggi dagli abitanti gallici in mez-zo a cui vivevano, e ad imporre loro un annuo tributo,come se si trattasse di sudditi.Appartenevano ai medesimi gli Aduatuci, i quali da unafrazione della massa dei Cimbri erano cresciuti sino aformare un importante distretto, e una serie di altre po-polazioni stanziate sulle rive della Mosa vicino a Liegi,conosciute più tardi sotto il nome di Tungri; persino iTreviriani (presso Treviri) e i Nervi (nell'Ennegavia),due delle più potenti popolazioni di questa regione, sonodesignati da rispettabili autorità appunto come Germani.La veridicità di queste narrazioni, può, naturalmente, es-sere messa in dubbio, poichè, come osserva Tacito piùtardi parlando delle accennate popolazioni, perlomenoin quelle regioni, si considerava un onore discendere dasangue germanico e non appartenere alla poco stimatanazione dei Celti: pare però che la popolazione stanziatanelle valli bagnate dalla Schelda, dalla Mosa e dallaMosella, in uno o nell'altro modo si sia confusa con ele-menti germanici, o almeno che abbia subìta l'influenzagermanica.Le colonie germaniche erano per sè stesse forse pocoimportanti; non erano però insignificanti, poichè nelle

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tenebre caotiche in cui vediamo in quell'epoca agitarsi lapopolazione sulla riva destra del Reno, si riconosce chesulle tracce di questi avamposti, masse maggiori di ger-mani si disponevano a passare il Reno.Minacciata da due lati dalla dominazione straniera e la-cerata nel proprio seno, l'infelice nazione celtica non po-teva più reggersi e salvarsi con le proprie forze. Una se-rie di divisioni e la rovina derivata da queste costituiva-no fino allora la sua storia; una nazione che non annove-ra nessuna giornata simile a quelle di Maratona e di Sa-lamina, d'Aricia e dei Campi Raudii; una nazione chepersino nei tempi in cui era in fiore non aveva fatto al-cun tentativo per distruggere Massalia, con le sue forzeriunite, come poteva ora, giunta al tramonto, difendersida così terribili nemici?

20. I Romani e l'invasione germanica.

Quanto meno i Celti abbandonati a sè stessi potevanotener testa ai Germani, tanto a maggior ragione iRomani dovevano sorvegliare accuratamente gliintricati rapporti esistenti tra le due nazioni. Sebbeneanche le convulsioni che ne nacquero non li avesserofino allora toccati direttamente, tuttavia i loro piùimportanti interessi risentivano dell'esito di esse.Il contegno interno della nazione celtica, come facil-mente si vede, si era in breve e durevolmente intrecciatocon i suoi rapporti esteri. Come in Grecia il partito lace-demone si era unito colla Persia contro Atene, così i Ro-

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tenebre caotiche in cui vediamo in quell'epoca agitarsi lapopolazione sulla riva destra del Reno, si riconosce chesulle tracce di questi avamposti, masse maggiori di ger-mani si disponevano a passare il Reno.Minacciata da due lati dalla dominazione straniera e la-cerata nel proprio seno, l'infelice nazione celtica non po-teva più reggersi e salvarsi con le proprie forze. Una se-rie di divisioni e la rovina derivata da queste costituiva-no fino allora la sua storia; una nazione che non annove-ra nessuna giornata simile a quelle di Maratona e di Sa-lamina, d'Aricia e dei Campi Raudii; una nazione chepersino nei tempi in cui era in fiore non aveva fatto al-cun tentativo per distruggere Massalia, con le sue forzeriunite, come poteva ora, giunta al tramonto, difendersida così terribili nemici?

20. I Romani e l'invasione germanica.

Quanto meno i Celti abbandonati a sè stessi potevanotener testa ai Germani, tanto a maggior ragione iRomani dovevano sorvegliare accuratamente gliintricati rapporti esistenti tra le due nazioni. Sebbeneanche le convulsioni che ne nacquero non li avesserofino allora toccati direttamente, tuttavia i loro piùimportanti interessi risentivano dell'esito di esse.Il contegno interno della nazione celtica, come facil-mente si vede, si era in breve e durevolmente intrecciatocon i suoi rapporti esteri. Come in Grecia il partito lace-demone si era unito colla Persia contro Atene, così i Ro-

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mani, appena fatti i primi passi oltre le Alpi, avevanotrovato un appoggio negli Edui rivali degli Alvergnati, iquali erano allora a capo dei Celti meridionali per l'ege-monia, e coll'aiuto di questi nuovi «fratelli della nazioneromana», essi assoggettarono non solo gli Allobrogi euna gran parte del territorio immediato degli Alvergnati,ma ottennero anche colla loro influenza nella Gallia ri-masta libera, che l'egemonia passasse dagli Alvergnatiagli Edui.Che se i Greci vedevano minacciata la loro nazionalitàsolo da un lato, i Celti erano continuamente travagliatida due nemici, ed era naturale che cercassero aiuto pres-so l'uno per servirsene contro l'altro, e che, se un partitoceltico si alleava coi Romani, i suoi avversari invecestringessero lega coi Germani.Ciò interessava specialmente i Belgi, i quali per la vici-nanza e i molti rapporti si trovavano ad essere in contat-to coi Germani oltre Reno, e per la loro meno sviluppataciviltà si saranno trovati con gli stranieri svevi almenoaltrettanto affini quanto coi più colti compatriotti allo-brogi od elvetici.Ma anche i Celti meridionali – presso i quali, come ab-biam già detto, l'importante distretto dei Sequani (intor-no a Besançon) era alla testa del partito avverso ai Ro-mani – avevano tutte le ragioni di chiamare ora i Ger-mani contro i Romani, dai quali essi erano più da vicinominacciati; il governo inerte del senato e gli indizidell'imminente rivoluzione in Roma, che non erano ri-masti ignoti ai Celti, li determinarono a cogliere appun-

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mani, appena fatti i primi passi oltre le Alpi, avevanotrovato un appoggio negli Edui rivali degli Alvergnati, iquali erano allora a capo dei Celti meridionali per l'ege-monia, e coll'aiuto di questi nuovi «fratelli della nazioneromana», essi assoggettarono non solo gli Allobrogi euna gran parte del territorio immediato degli Alvergnati,ma ottennero anche colla loro influenza nella Gallia ri-masta libera, che l'egemonia passasse dagli Alvergnatiagli Edui.Che se i Greci vedevano minacciata la loro nazionalitàsolo da un lato, i Celti erano continuamente travagliatida due nemici, ed era naturale che cercassero aiuto pres-so l'uno per servirsene contro l'altro, e che, se un partitoceltico si alleava coi Romani, i suoi avversari invecestringessero lega coi Germani.Ciò interessava specialmente i Belgi, i quali per la vici-nanza e i molti rapporti si trovavano ad essere in contat-to coi Germani oltre Reno, e per la loro meno sviluppataciviltà si saranno trovati con gli stranieri svevi almenoaltrettanto affini quanto coi più colti compatriotti allo-brogi od elvetici.Ma anche i Celti meridionali – presso i quali, come ab-biam già detto, l'importante distretto dei Sequani (intor-no a Besançon) era alla testa del partito avverso ai Ro-mani – avevano tutte le ragioni di chiamare ora i Ger-mani contro i Romani, dai quali essi erano più da vicinominacciati; il governo inerte del senato e gli indizidell'imminente rivoluzione in Roma, che non erano ri-masti ignoti ai Celti, li determinarono a cogliere appun-

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to questo momento per liberarsi dall'influenza dei Ro-mani ed umiliare anzitutto gli Edui clienti di questi.

21. Ariovisto sul Reno.

Per i dazi prelevati dalla Saona, che divideva il territoriodegli Edui da quello dei Sequani, i due distretti eranovenuti a contesa tra loro, e verso il 683 = 71, il principegermanico Ariovisto, come condottiero dei Sequani,aveva passato il Reno alla testa di 15.000 armati. Laguerra si protrasse parecchi anni con successi alterni,ma i risultati erano in massima sfavorevoli agli Edui. Illoro condottiero, Eporedorice, chiamò finalmente tuttala clientela sotto le armi e marciò con immense forzecontro i Germani.Questi rifiutarono costantemente la battaglia e si tenneroal coperto dietro paludi e foreste. Ma quando, stanche diattendere, le tribù edue incominciarono a ritirarsi ed asciogliersi, i Germani si mostrarono in aperta campagnae Ariovisto vinse presso Admagetobriga una battaglia incui perì il fiore della cavalleria degli Edui. Costretti daquesta sconfitta ad accettare le condizioni dettate dalvincitore ed a fare la pace, gli Edui dovettero rinunciareall'egemonia e passare con tutti i loro aderenti nellaclientela dei Sequani, obbligarsi anche a pagare un tri-buto a questi o per meglio dire ad Ariovisto, a conse-gnare come ostaggi i figli delle più distinte famiglie e fi-nalmente a promettere con giuramento di non reclamaremai la restituzione degli ostaggi e di non implorare

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to questo momento per liberarsi dall'influenza dei Ro-mani ed umiliare anzitutto gli Edui clienti di questi.

21. Ariovisto sul Reno.

Per i dazi prelevati dalla Saona, che divideva il territoriodegli Edui da quello dei Sequani, i due distretti eranovenuti a contesa tra loro, e verso il 683 = 71, il principegermanico Ariovisto, come condottiero dei Sequani,aveva passato il Reno alla testa di 15.000 armati. Laguerra si protrasse parecchi anni con successi alterni,ma i risultati erano in massima sfavorevoli agli Edui. Illoro condottiero, Eporedorice, chiamò finalmente tuttala clientela sotto le armi e marciò con immense forzecontro i Germani.Questi rifiutarono costantemente la battaglia e si tenneroal coperto dietro paludi e foreste. Ma quando, stanche diattendere, le tribù edue incominciarono a ritirarsi ed asciogliersi, i Germani si mostrarono in aperta campagnae Ariovisto vinse presso Admagetobriga una battaglia incui perì il fiore della cavalleria degli Edui. Costretti daquesta sconfitta ad accettare le condizioni dettate dalvincitore ed a fare la pace, gli Edui dovettero rinunciareall'egemonia e passare con tutti i loro aderenti nellaclientela dei Sequani, obbligarsi anche a pagare un tri-buto a questi o per meglio dire ad Ariovisto, a conse-gnare come ostaggi i figli delle più distinte famiglie e fi-nalmente a promettere con giuramento di non reclamaremai la restituzione degli ostaggi e di non implorare

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l'intervento dei Romani.Questa pace, come pare, fu conchiusa verso l'anno 693= 6140. L'onore e l'interesse imponevano ai Romani diopporsi; il nobile eduo Diviziaco, capo del partitoromano nel suo distretto, e perciò bandito ora dai suoiconcittadini, si recò personalmente a Roma per ottenerel'intervento dei Romani. Un'ammonizione ancora piùseria fu, nel 693 = 61, la sollevazione degli Allobrogivicini dei Sequani, la quale era certamente connessa conquesti avvenimenti.Infatti i luogotenenti gallici ebbero ordine di soccorreregli Edui; si parlò di inviare dei consoli e degli eserciticonsolari oltre le Alpi; ma il senato, a cui spettava ladecisione di questi affari, fece seguire anche questavolta a parole grandi fatti meschini; la sollevazionedegli Allobrogi fu vinta con le armi, e per gli Edui nonsolo non si fece nulla, ma Ariovisto fu persino registratonel 695 = 59 nell'elenco dei re amici dei Romani41. Ilprincipe germanico considerò quest'atto naturalmentecome una rinuncia dei Romani al paese celtico da loronon occupato; perciò egli vi si stabilì e cominciò afondare un regno germanico sul suolo gallico.Era suo pensiero di stabilirvi definitivamente le numero-40 Secondo CESARE, I, 36, l'arrivo d'Ariovisto nella Gallia risale al 683 = 71,

e la battaglia di Admagetobriga (si chiama così il luogo che per una falsaiscrizione ora comunemente è detto Magetobriga), secondo CESARE, 135 eCICERONE, Ad Att., I, 19, al 693 = 61.

41 Per non trovare incredibile questo andamento delle cose, o per nonassegnarvi altri motivi che la inettitudine e l'inerzia dei magistrati, bastaricordare la leggerezza con cui un rinomato senatore come Cicerone siesprime nella sua corrispondenza su questi importanti affari transalpini.

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l'intervento dei Romani.Questa pace, come pare, fu conchiusa verso l'anno 693= 6140. L'onore e l'interesse imponevano ai Romani diopporsi; il nobile eduo Diviziaco, capo del partitoromano nel suo distretto, e perciò bandito ora dai suoiconcittadini, si recò personalmente a Roma per ottenerel'intervento dei Romani. Un'ammonizione ancora piùseria fu, nel 693 = 61, la sollevazione degli Allobrogivicini dei Sequani, la quale era certamente connessa conquesti avvenimenti.Infatti i luogotenenti gallici ebbero ordine di soccorreregli Edui; si parlò di inviare dei consoli e degli eserciticonsolari oltre le Alpi; ma il senato, a cui spettava ladecisione di questi affari, fece seguire anche questavolta a parole grandi fatti meschini; la sollevazionedegli Allobrogi fu vinta con le armi, e per gli Edui nonsolo non si fece nulla, ma Ariovisto fu persino registratonel 695 = 59 nell'elenco dei re amici dei Romani41. Ilprincipe germanico considerò quest'atto naturalmentecome una rinuncia dei Romani al paese celtico da loronon occupato; perciò egli vi si stabilì e cominciò afondare un regno germanico sul suolo gallico.Era suo pensiero di stabilirvi definitivamente le numero-40 Secondo CESARE, I, 36, l'arrivo d'Ariovisto nella Gallia risale al 683 = 71,

e la battaglia di Admagetobriga (si chiama così il luogo che per una falsaiscrizione ora comunemente è detto Magetobriga), secondo CESARE, 135 eCICERONE, Ad Att., I, 19, al 693 = 61.

41 Per non trovare incredibile questo andamento delle cose, o per nonassegnarvi altri motivi che la inettitudine e l'inerzia dei magistrati, bastaricordare la leggerezza con cui un rinomato senatore come Cicerone siesprime nella sua corrispondenza su questi importanti affari transalpini.

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se schiere che aveva condotto con sè e quelle ancora piùnumerose, che alla sua chiamata erano venute dal loropaese natio – si calcolavano a circa 120.000 i Germaniche sino all'anno 696 = 58 avevano passato il Reno iquali, una volta aperte le chiuse, si versarono a torrentisul bell'occidente – e di fondare su queste basi la sua si-gnoria nel paese dei Celti.Non si saprebbe indicare con precisione l'estensione del-le colonie germaniche da lui fondate sulla sinistra delReno; senza dubbio furono molte e i suoi progetti piùgrandi ancora. I Celti erano da lui trattati come una na-zione del tutto soggiogata, non facendosi alcuna diffe-renza fra i singoli distretti.Gli stessi Sequani, per conto dei quali egli, come lorocapitano assoldato, aveva passato il Reno, dovettero tut-tavia cedergli, come se fossero essi pure nemici vinti, laterza parte del loro territorio da distribuirsi tra le suegenti, probabilmente l'Alsazia superiore abitata poi daiTriboci, dove Ariovisto si stabilì coi suoi durevolmente;e come se questo sagrificio non bastasse, fu ai Sequanitolto un altro terzo per essere dato ai sopravvenuti Aru-di.Sembrava che Ariovisto volesse assumere nel paese cel-tico la parte di Filippo il Macedone e dominare sui Celtidel partito germanico come su quelli del partito romano.

22. I Germani nel basso Reno.

L'apparizione del potente principe germanico in una

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se schiere che aveva condotto con sè e quelle ancora piùnumerose, che alla sua chiamata erano venute dal loropaese natio – si calcolavano a circa 120.000 i Germaniche sino all'anno 696 = 58 avevano passato il Reno iquali, una volta aperte le chiuse, si versarono a torrentisul bell'occidente – e di fondare su queste basi la sua si-gnoria nel paese dei Celti.Non si saprebbe indicare con precisione l'estensione del-le colonie germaniche da lui fondate sulla sinistra delReno; senza dubbio furono molte e i suoi progetti piùgrandi ancora. I Celti erano da lui trattati come una na-zione del tutto soggiogata, non facendosi alcuna diffe-renza fra i singoli distretti.Gli stessi Sequani, per conto dei quali egli, come lorocapitano assoldato, aveva passato il Reno, dovettero tut-tavia cedergli, come se fossero essi pure nemici vinti, laterza parte del loro territorio da distribuirsi tra le suegenti, probabilmente l'Alsazia superiore abitata poi daiTriboci, dove Ariovisto si stabilì coi suoi durevolmente;e come se questo sagrificio non bastasse, fu ai Sequanitolto un altro terzo per essere dato ai sopravvenuti Aru-di.Sembrava che Ariovisto volesse assumere nel paese cel-tico la parte di Filippo il Macedone e dominare sui Celtidel partito germanico come su quelli del partito romano.

22. I Germani nel basso Reno.

L'apparizione del potente principe germanico in una

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vicinanza così pericolosa, che già per sè stessa dovevafar sorgere nei Romani le più serie inquietudini, divenneancora più preoccupante in quanto esso non era solo.Gli Usipeti e i Tencteri, abitanti della destra del Reno,stanchi delle continue devastazioni del loro territorio peropera delle prepotenti tribù sveve, avevano essi pure unanno prima dell'arrivo di Cesare nella Gallia (695 = 59),abbandonato le sedi che avevano occupato sino allora,per andare in cerca di altri luoghi alla foce del Reno.Essi si erano già impossessati della parte di territorioche apparteneva ai Menapî sulla riva destra, ed era daprevedersi che avrebbero fatto il tentativo di stabilirsianche sulla riva sinistra.Inoltre tra Colonia e Magonza si andavano raccogliendodelle schiere sveve che minacciavano di invadere il di-stretto celtico dei Treviriani che stava loro di fronte.Finalmente, con sempre maggiore energia era dai Ger-mani assalito anche il territorio della tribù orientale deiCelti, quello dei bellicosi e numerosi Elvezi, così chequesti, che forse pel rigurgito dei loro coloni dal perdutoterritorio a settentrione del Reno già soffrivano per lasoverchia popolazione, e che inoltre per essersi Ariovi-sto stabilito nel territorio dei Sequani, erano minacciatida un completo isolamento dai loro connazionali, prese-ro la disperata risoluzione di abbandonare spontanea-mente ai Germani il territorio fino allora da essi occupa-to, per procurarsene all'occidente del Giura uno più va-sto e più fertile e al tempo stesso per ottenere l'egemonianella Gallia interna, piano concepito e tentato già duran-

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vicinanza così pericolosa, che già per sè stessa dovevafar sorgere nei Romani le più serie inquietudini, divenneancora più preoccupante in quanto esso non era solo.Gli Usipeti e i Tencteri, abitanti della destra del Reno,stanchi delle continue devastazioni del loro territorio peropera delle prepotenti tribù sveve, avevano essi pure unanno prima dell'arrivo di Cesare nella Gallia (695 = 59),abbandonato le sedi che avevano occupato sino allora,per andare in cerca di altri luoghi alla foce del Reno.Essi si erano già impossessati della parte di territorioche apparteneva ai Menapî sulla riva destra, ed era daprevedersi che avrebbero fatto il tentativo di stabilirsianche sulla riva sinistra.Inoltre tra Colonia e Magonza si andavano raccogliendodelle schiere sveve che minacciavano di invadere il di-stretto celtico dei Treviriani che stava loro di fronte.Finalmente, con sempre maggiore energia era dai Ger-mani assalito anche il territorio della tribù orientale deiCelti, quello dei bellicosi e numerosi Elvezi, così chequesti, che forse pel rigurgito dei loro coloni dal perdutoterritorio a settentrione del Reno già soffrivano per lasoverchia popolazione, e che inoltre per essersi Ariovi-sto stabilito nel territorio dei Sequani, erano minacciatida un completo isolamento dai loro connazionali, prese-ro la disperata risoluzione di abbandonare spontanea-mente ai Germani il territorio fino allora da essi occupa-to, per procurarsene all'occidente del Giura uno più va-sto e più fertile e al tempo stesso per ottenere l'egemonianella Gallia interna, piano concepito e tentato già duran-

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te l'invasione cimbrica da alcuni dei loro distretti.I Rauraci, il cui territorio (Basilea e l'Alsazia meridiona-le) era allo stesso modo minacciato, e quindi i superstitiBoi, i quali erano già stati prima obbligati dai Germani avoltare le spalle alla loro patria e ora andavano errandosenza fissa dimora, ed altre tribù minori fecero causa co-mune cogli Elvezi.Sin dal 693 = 61 essi avevano fatto delle scorrerie attra-versando il Giura, spingendosi persino nella provinciaromana; la partenza non poteva essere a lungo ritardata;allora i coloni germanici si sarebbero avanzati inevita-bilmente nell'importante provincia tra il lago di Costan-za e il lago di Ginevra.Le tribù germaniche erano in movimento dalle sorgentidel Reno sino all'oceano Atlantico, tutta la linea delReno era da essi minacciata; fu un momento eguale aquello in cui gli Alamanni e i Franchi si gettarono sullacadente monarchia dei Cesari, ed ora sembrava che sivolesse mettere in opera contro i Celti appunto ciò checinque secoli più tardi riuscì contro i Romani.

23. Cesare nella Gallia.

In queste condizioni arrivò il luogotenente Caio Cesarenella primavera del 696 = 58 nella Gallia narbonense,che era stata aggiunta con un decreto del senato allaluogotenenza originaria, comprendente la Galliacisalpina, l'Istria e la Dalmazia.La sua carica, assegnatagli prima per cinque anni (sino

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te l'invasione cimbrica da alcuni dei loro distretti.I Rauraci, il cui territorio (Basilea e l'Alsazia meridiona-le) era allo stesso modo minacciato, e quindi i superstitiBoi, i quali erano già stati prima obbligati dai Germani avoltare le spalle alla loro patria e ora andavano errandosenza fissa dimora, ed altre tribù minori fecero causa co-mune cogli Elvezi.Sin dal 693 = 61 essi avevano fatto delle scorrerie attra-versando il Giura, spingendosi persino nella provinciaromana; la partenza non poteva essere a lungo ritardata;allora i coloni germanici si sarebbero avanzati inevita-bilmente nell'importante provincia tra il lago di Costan-za e il lago di Ginevra.Le tribù germaniche erano in movimento dalle sorgentidel Reno sino all'oceano Atlantico, tutta la linea delReno era da essi minacciata; fu un momento eguale aquello in cui gli Alamanni e i Franchi si gettarono sullacadente monarchia dei Cesari, ed ora sembrava che sivolesse mettere in opera contro i Celti appunto ciò checinque secoli più tardi riuscì contro i Romani.

23. Cesare nella Gallia.

In queste condizioni arrivò il luogotenente Caio Cesarenella primavera del 696 = 58 nella Gallia narbonense,che era stata aggiunta con un decreto del senato allaluogotenenza originaria, comprendente la Galliacisalpina, l'Istria e la Dalmazia.La sua carica, assegnatagli prima per cinque anni (sino

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alla fine del 700 = 54), poi nel 699 = 55 prolungata peraltri cinque anni (sino alla fine del 705 = 49), gli dava ildiritto di nominare dieci comandanti inferiori col gradopropretoriale, e – almeno secondo la sua interpretazione– di completare a suo talento le sue legioni, e di crearnedelle nuove prendendo gli uomini dalla numerosa popo-lazione cittadina della Gallia cisalpina da lui dipendente.L'esercito assegnatogli nelle due province consisteva inquattro disciplinate e agguerrite legioni di fanteria di li-nea, la settima, l'ottava, la nona e la decima, ossia tutt'alpiù 24.000 uomini, a cui, come si usava, si aggiungeva-no i contingenti dei vassalli. La cavalleria e la truppa ar-mata alla leggera erano rimpiazzate da cavalieri spa-gnuoli e da tiratori e frombolieri numidi, cretensi e ba-learici.Lo stato maggiore di Cesare, il fiore della democraziadella capitale, comprendeva insieme a non pochi inettigiovani di famiglie distinte, alcuni ufficiali capaci, comePublio Crasso, il figlio più giovane del vecchio alleatopolitico di Cesare, e Tito Labieno, che dal foro avevaseguìto sul campo di battaglia come aiutante fedele ilcapo della democrazia.Cesare non aveva ricevuto ordini precisi; per l'uomo co-raggioso e perspicace gli ordini dipendono dalle circo-stanze. Anche qui bisognava rimediare all'inerzia del se-nato ed anzitutto porre un freno al torrente dell'invasio-ne germanica.

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alla fine del 700 = 54), poi nel 699 = 55 prolungata peraltri cinque anni (sino alla fine del 705 = 49), gli dava ildiritto di nominare dieci comandanti inferiori col gradopropretoriale, e – almeno secondo la sua interpretazione– di completare a suo talento le sue legioni, e di crearnedelle nuove prendendo gli uomini dalla numerosa popo-lazione cittadina della Gallia cisalpina da lui dipendente.L'esercito assegnatogli nelle due province consisteva inquattro disciplinate e agguerrite legioni di fanteria di li-nea, la settima, l'ottava, la nona e la decima, ossia tutt'alpiù 24.000 uomini, a cui, come si usava, si aggiungeva-no i contingenti dei vassalli. La cavalleria e la truppa ar-mata alla leggera erano rimpiazzate da cavalieri spa-gnuoli e da tiratori e frombolieri numidi, cretensi e ba-learici.Lo stato maggiore di Cesare, il fiore della democraziadella capitale, comprendeva insieme a non pochi inettigiovani di famiglie distinte, alcuni ufficiali capaci, comePublio Crasso, il figlio più giovane del vecchio alleatopolitico di Cesare, e Tito Labieno, che dal foro avevaseguìto sul campo di battaglia come aiutante fedele ilcapo della democrazia.Cesare non aveva ricevuto ordini precisi; per l'uomo co-raggioso e perspicace gli ordini dipendono dalle circo-stanze. Anche qui bisognava rimediare all'inerzia del se-nato ed anzitutto porre un freno al torrente dell'invasio-ne germanica.

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24. Difesa degli Elvezi.

Appunto ora cominciava l'invasione elvetica preparatada molti anni e in stretta connessione con quellagermanica. Per non lasciare le abbandonate capanne aiGermani e per mettersi essi stessi nell'impossibilità diritornare, gli Elvezi avevano incendiate le loro città e iloro casali, e caricati sugli innumerevoli loro carri lemogli, i fanciulli e le migliori masserizie; si diressero datutte le parti alle sponde del Lemano non lungi daGenava (Ginevra), ove i loro compagni avevano fissatoloro il convegno per il 28 marzo di quell'anno42.Stando ai loro calcoli tutta la massa comprendeva368.000 individui, di cui appena la quarta parte era attaalle armi. Considerate le gravi difficoltà che sorgevanopel passaggio d'una simile carovana attraverso il Giura,che estendendosi dal Reno al Rodano chiudeva quasicompletamente l'Elvezia verso occidente, le cui strette sipotevano difendere con tanta facilità, i condottieriavevano risoluto di girare il Giura e, dirigendosi versomezzodì, aprirsi una via ad occidente, là dove il Rodanoha rotto la montagna tra la parte sud-ovest e la piùelevata del Giura e le montagne della Savoia pressol'odierno forte de l'Ecluse.Ma sulla riva destra rocce e precipizi sporgono così vici-no al fiume, che non vi era praticabile che un piccolo

42 Secondo il calendario non riformato. Secondo la rettifica corrente, cheperò non è basata su dati abbastanza attendibili, questo giorno corrispondeal 16 aprile del calendario giuliano.

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24. Difesa degli Elvezi.

Appunto ora cominciava l'invasione elvetica preparatada molti anni e in stretta connessione con quellagermanica. Per non lasciare le abbandonate capanne aiGermani e per mettersi essi stessi nell'impossibilità diritornare, gli Elvezi avevano incendiate le loro città e iloro casali, e caricati sugli innumerevoli loro carri lemogli, i fanciulli e le migliori masserizie; si diressero datutte le parti alle sponde del Lemano non lungi daGenava (Ginevra), ove i loro compagni avevano fissatoloro il convegno per il 28 marzo di quell'anno42.Stando ai loro calcoli tutta la massa comprendeva368.000 individui, di cui appena la quarta parte era attaalle armi. Considerate le gravi difficoltà che sorgevanopel passaggio d'una simile carovana attraverso il Giura,che estendendosi dal Reno al Rodano chiudeva quasicompletamente l'Elvezia verso occidente, le cui strette sipotevano difendere con tanta facilità, i condottieriavevano risoluto di girare il Giura e, dirigendosi versomezzodì, aprirsi una via ad occidente, là dove il Rodanoha rotto la montagna tra la parte sud-ovest e la piùelevata del Giura e le montagne della Savoia pressol'odierno forte de l'Ecluse.Ma sulla riva destra rocce e precipizi sporgono così vici-no al fiume, che non vi era praticabile che un piccolo

42 Secondo il calendario non riformato. Secondo la rettifica corrente, cheperò non è basata su dati abbastanza attendibili, questo giorno corrispondeal 16 aprile del calendario giuliano.

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sentiero facile a chiudersi, e i Sequani, ai quali apparte-neva questa sponda, potevano con tutta facilità sbarrarequesto passo agli Elvezi. Questi però preferirono passa-re al di sopra della frattura del Rodano sulla sponda sini-stra appartenente agli Allobrogi, per ritornare sulla de-stra, seguendo la corrente, là dove il fiume scorre dinuovo nella pianura; continuare la loro via verso il pia-no occidentale della Gallia, nel fertile cantone dei San-toni (Saintonge, la valle della Charente) sulla rivadell'oceano Atlantico, che gli emigranti avevano sceltoper loro nuova sede. Questa marcia conduceva sul terri-torio romano percorrendo la linea sinistra del Rodano; eCesare, che non era incline a tollerare la sede degli El-vezii nella Gallia occidentale, era fermamente deciso dinon permettere loro il passaggio.Ma tre delle sue quattro legioni si trovavano assai lonta-no presso Aquileia, e sebbene egli avesse in tutta frettachiamate sotto le armi le milizie della provincia transal-pina, sembrava assolutamente impossibile impedire conun così limitato numero di forze ad uno sciame così nu-meroso di Celti il passaggio del Rodano lungo il corsodi questo, che era di oltre tre leghe dal Lemano pressoGinevra sino all'anzidetta frattura.Però mediante trattative intavolate cogli Elvezi, che de-sideravano effettuare pacificamente il passaggio del fiu-me e continuare la marcia attraverso il territorio allobro-go, Cesare aveva guadagnato quindici giorni di tempo,durante i quali fece rompere il ponte sul Rodano pressoGenava (Ginevra) e chiudere al nemico la riva meridio-

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sentiero facile a chiudersi, e i Sequani, ai quali apparte-neva questa sponda, potevano con tutta facilità sbarrarequesto passo agli Elvezi. Questi però preferirono passa-re al di sopra della frattura del Rodano sulla sponda sini-stra appartenente agli Allobrogi, per ritornare sulla de-stra, seguendo la corrente, là dove il fiume scorre dinuovo nella pianura; continuare la loro via verso il pia-no occidentale della Gallia, nel fertile cantone dei San-toni (Saintonge, la valle della Charente) sulla rivadell'oceano Atlantico, che gli emigranti avevano sceltoper loro nuova sede. Questa marcia conduceva sul terri-torio romano percorrendo la linea sinistra del Rodano; eCesare, che non era incline a tollerare la sede degli El-vezii nella Gallia occidentale, era fermamente deciso dinon permettere loro il passaggio.Ma tre delle sue quattro legioni si trovavano assai lonta-no presso Aquileia, e sebbene egli avesse in tutta frettachiamate sotto le armi le milizie della provincia transal-pina, sembrava assolutamente impossibile impedire conun così limitato numero di forze ad uno sciame così nu-meroso di Celti il passaggio del Rodano lungo il corsodi questo, che era di oltre tre leghe dal Lemano pressoGinevra sino all'anzidetta frattura.Però mediante trattative intavolate cogli Elvezi, che de-sideravano effettuare pacificamente il passaggio del fiu-me e continuare la marcia attraverso il territorio allobro-go, Cesare aveva guadagnato quindici giorni di tempo,durante i quali fece rompere il ponte sul Rodano pressoGenava (Ginevra) e chiudere al nemico la riva meridio-

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nale con una trincea lunga quasi quattro leghe.Fu questa la prima applicazione del sistema, messo poiin pratica dai Romani in grandi proporzioni, per garanti-re militarmente i confini dello stato con una catena ditrincee legate le une alle altre per mezzo di ripari e fos-sati.I tentativi fatti dagli Elvezi in molti luoghi per portarsiall'altra sponda con battelli o a guado furono mandati fe-licemente a vuoto dai Romani su tutta questa linea, e gliElvezi furono costretti a rinunciare al passaggio del Ro-dano. Invece il partito che nella Gallia era avverso aiRomani e sperava di procurarsi negli Elvezi un potenterinforzo, e specialmente l'eduo Dummorige, fratello diDiviziaco, mentre questi si trovava nel suo distretto allatesta del partito nazionale, procurò loro il passaggio at-traverso i gioghi del Giura e il territorio dei Sequani.

25. Gli Elvezi nella Gallia.

I Romani non avevano alcun diritto di impedirlo; macon questa marcia degli Elvezi si intrecciavano ben altrie maggiori interessi di quello che fosse la formaleintegrità del territorio romano, interessi che nonpotevano essere garantiti se non quando Cesare, invecedi fare come avevano fatto tutti i luogotenenti del senatoe Mario stesso, i quali si erano limitati al modestocòmpito di mantenere l'inviolabilità dei confini, avessepassata la frontiera del regno alla testa di un rispettabileesercito.

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nale con una trincea lunga quasi quattro leghe.Fu questa la prima applicazione del sistema, messo poiin pratica dai Romani in grandi proporzioni, per garanti-re militarmente i confini dello stato con una catena ditrincee legate le une alle altre per mezzo di ripari e fos-sati.I tentativi fatti dagli Elvezi in molti luoghi per portarsiall'altra sponda con battelli o a guado furono mandati fe-licemente a vuoto dai Romani su tutta questa linea, e gliElvezi furono costretti a rinunciare al passaggio del Ro-dano. Invece il partito che nella Gallia era avverso aiRomani e sperava di procurarsi negli Elvezi un potenterinforzo, e specialmente l'eduo Dummorige, fratello diDiviziaco, mentre questi si trovava nel suo distretto allatesta del partito nazionale, procurò loro il passaggio at-traverso i gioghi del Giura e il territorio dei Sequani.

25. Gli Elvezi nella Gallia.

I Romani non avevano alcun diritto di impedirlo; macon questa marcia degli Elvezi si intrecciavano ben altrie maggiori interessi di quello che fosse la formaleintegrità del territorio romano, interessi che nonpotevano essere garantiti se non quando Cesare, invecedi fare come avevano fatto tutti i luogotenenti del senatoe Mario stesso, i quali si erano limitati al modestocòmpito di mantenere l'inviolabilità dei confini, avessepassata la frontiera del regno alla testa di un rispettabileesercito.

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Cesare non era il generale del senato ma dello stato; per-ciò non tentennò. Egli partì immediatamente da Ginevraalla volta d'Italia, e colla celerità che gli era propria con-dusse oltre le Alpi le tre legioni stanziate presso Aqui-leia e due nuove composte di reclute. Riunite questetruppe con quelle stanziate presso Ginevra passò il Ro-dano.L'inattesa sua apparizione nel territorio degli Edui ricon-dusse naturalmente il partito romano alla testa del go-verno, il che non era indifferente per i necessari approv-vigionamenti. Egli trovò gli Elvezi intenti a passare laSaona e a portarsi dal paese dei Sequani in quello degliEdui. Quegli Elvezi che si trovavano ancora sulla sini-stra della Saona, specialmente il corpo dei Tigorini, fu-rono assaliti e distrutti dai Romani avanzatisi rapida-mente.Il grosso era però già sulla destra del fiume; Cesare liinseguì ed in ventiquattr'ore compì il passaggio che irozzi Elvezi non avevano saputo effettuare in venti gior-ni.Impediti da questa mossa dell'esercito romano di conti-nuare la loro marcia verso occidente, gli Elvezi si volse-ro verso settentrione, supponendo senza dubbio che Ce-sare non avrebbe osato di inseguirli nell'interno dellaGallia e con l'intenzione di riprendere la meta prefissasiverso occidente, appena Cesare avesse desistitodall'inseguirli.Alla distanza di circa quattro miglia, l'esercito romanotenne loro dietro quasi alle calcagna per quindici giorni

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Cesare non era il generale del senato ma dello stato; per-ciò non tentennò. Egli partì immediatamente da Ginevraalla volta d'Italia, e colla celerità che gli era propria con-dusse oltre le Alpi le tre legioni stanziate presso Aqui-leia e due nuove composte di reclute. Riunite questetruppe con quelle stanziate presso Ginevra passò il Ro-dano.L'inattesa sua apparizione nel territorio degli Edui ricon-dusse naturalmente il partito romano alla testa del go-verno, il che non era indifferente per i necessari approv-vigionamenti. Egli trovò gli Elvezi intenti a passare laSaona e a portarsi dal paese dei Sequani in quello degliEdui. Quegli Elvezi che si trovavano ancora sulla sini-stra della Saona, specialmente il corpo dei Tigorini, fu-rono assaliti e distrutti dai Romani avanzatisi rapida-mente.Il grosso era però già sulla destra del fiume; Cesare liinseguì ed in ventiquattr'ore compì il passaggio che irozzi Elvezi non avevano saputo effettuare in venti gior-ni.Impediti da questa mossa dell'esercito romano di conti-nuare la loro marcia verso occidente, gli Elvezi si volse-ro verso settentrione, supponendo senza dubbio che Ce-sare non avrebbe osato di inseguirli nell'interno dellaGallia e con l'intenzione di riprendere la meta prefissasiverso occidente, appena Cesare avesse desistitodall'inseguirli.Alla distanza di circa quattro miglia, l'esercito romanotenne loro dietro quasi alle calcagna per quindici giorni

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attendendo un favorevole momento per attaccarli conprobabilità di vittoria e distruggerli. Ma questo momen-to non veniva; per quanto pesantemente procedesse lacarovana elvetica, i suoi condottieri seppero garantirlada ogni sorpresa, ed essi erano non solo sufficientemen-te provvisti di mezzi di sussistenza, ma per mezzo delleloro spie minutamente informati di tuttociò che avveni-va nel campo dei Romani.Invece questi incominciarono a mancare delle cose piùnecessarie, specialmente quando gli Elvezi si scostaronodalla Saona e non era più possibile il trasporto dei viveriper acqua. Il ritardo dei convogli promesso dagli Edui,da cui nasceva principalmente quest'imbarazzo, destavatanto più sospetto, perchè i due eserciti si muovevanoancora sul loro territorio. Si aggiunga che la cavalleriaromana nell'imponente massa di circa 4000 uomini eraassolutamente mal sicura, e ciò non doveva sorprendere,perchè si componeva quasi tutta di cavalieri celti e spe-cialmente di Edui comandati dal noto nemico dei Roma-ni Dummorige che Cesare aveva accettati piuttostocome ostaggi che come soldati.Si aveva ragione di credere che una sconfitta loro tocca-ta dalla cavalleria elvetica, molto ad essi inferiore, fossevoluta e che il nemico fosse da essi ragguagliato di tuttigli avvenimenti che succedevano nel campo romano.La situazione di Cesare si faceva difficile. Apparve evi-dente quanto fosse potente il partito patriottico celticopersino presso gli Edui, nonostante la lega ufficiale conRoma e gli interessi particolari di questo distretto, che

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attendendo un favorevole momento per attaccarli conprobabilità di vittoria e distruggerli. Ma questo momen-to non veniva; per quanto pesantemente procedesse lacarovana elvetica, i suoi condottieri seppero garantirlada ogni sorpresa, ed essi erano non solo sufficientemen-te provvisti di mezzi di sussistenza, ma per mezzo delleloro spie minutamente informati di tuttociò che avveni-va nel campo dei Romani.Invece questi incominciarono a mancare delle cose piùnecessarie, specialmente quando gli Elvezi si scostaronodalla Saona e non era più possibile il trasporto dei viveriper acqua. Il ritardo dei convogli promesso dagli Edui,da cui nasceva principalmente quest'imbarazzo, destavatanto più sospetto, perchè i due eserciti si muovevanoancora sul loro territorio. Si aggiunga che la cavalleriaromana nell'imponente massa di circa 4000 uomini eraassolutamente mal sicura, e ciò non doveva sorprendere,perchè si componeva quasi tutta di cavalieri celti e spe-cialmente di Edui comandati dal noto nemico dei Roma-ni Dummorige che Cesare aveva accettati piuttostocome ostaggi che come soldati.Si aveva ragione di credere che una sconfitta loro tocca-ta dalla cavalleria elvetica, molto ad essi inferiore, fossevoluta e che il nemico fosse da essi ragguagliato di tuttigli avvenimenti che succedevano nel campo romano.La situazione di Cesare si faceva difficile. Apparve evi-dente quanto fosse potente il partito patriottico celticopersino presso gli Edui, nonostante la lega ufficiale conRoma e gli interessi particolari di questo distretto, che

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inclinavano verso Roma.Che cosa poteva avvenire quando si fosse arrischiato apenetrare più addentro nel paese nemico, allontanandosisempre più dalle comunicazioni? Gli eserciti passavanoappunto a poca distanza da Bibracte (Autun) capitaledegli Edui; Cesare si decise di occupare a mano armataquest'importante piazza prima di iniziare la sua marcianell'interno del paese, ed è anche possibile che egli pen-sasse di desistere dall'ulteriore inseguimento e di fer-marsi in Bibracte. Ma gli Elvezi, vedendo che egli trala-sciava di seguirli per volgere verso Bibracte, credetteroche i Romani si disponessero alla fuga e li attaccarono.

26. Battaglia di Bibracte.

Cesare non poteva desiderare di meglio. I due eserciti sischierarono su due catene di colline parallele; i Celticominciarono il combattimento, sbaragliarono lacavalleria romana avanzatasi nel piano e di corsaattaccarono le legioni romane nella loro posizione e sulpendio della collina; ma qui furono respinti dai veteranidi Cesare.Quando poi i Romani, approfittando del vantaggio otte-nuto, discesero alla loro volta nel piano, i Celti assaliro-no di nuovo ed un corpo delle loro truppe tenute in ri-serva li prese al tempo stesso di fianco. Contro questo fuspinta la riserva della colonna d'attacco romana; la qua-le, separandolo dal grosso dell'esercito, lo sospinse con-tro le salmerie e contro la trincea dei carri, dove lo scon-

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inclinavano verso Roma.Che cosa poteva avvenire quando si fosse arrischiato apenetrare più addentro nel paese nemico, allontanandosisempre più dalle comunicazioni? Gli eserciti passavanoappunto a poca distanza da Bibracte (Autun) capitaledegli Edui; Cesare si decise di occupare a mano armataquest'importante piazza prima di iniziare la sua marcianell'interno del paese, ed è anche possibile che egli pen-sasse di desistere dall'ulteriore inseguimento e di fer-marsi in Bibracte. Ma gli Elvezi, vedendo che egli trala-sciava di seguirli per volgere verso Bibracte, credetteroche i Romani si disponessero alla fuga e li attaccarono.

26. Battaglia di Bibracte.

Cesare non poteva desiderare di meglio. I due eserciti sischierarono su due catene di colline parallele; i Celticominciarono il combattimento, sbaragliarono lacavalleria romana avanzatasi nel piano e di corsaattaccarono le legioni romane nella loro posizione e sulpendio della collina; ma qui furono respinti dai veteranidi Cesare.Quando poi i Romani, approfittando del vantaggio otte-nuto, discesero alla loro volta nel piano, i Celti assaliro-no di nuovo ed un corpo delle loro truppe tenute in ri-serva li prese al tempo stesso di fianco. Contro questo fuspinta la riserva della colonna d'attacco romana; la qua-le, separandolo dal grosso dell'esercito, lo sospinse con-tro le salmerie e contro la trincea dei carri, dove lo scon-

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fisse.Anche il grosso dell'esercito elvetico fu costretto a ripie-gare e battere in ritirata volgendosi verso oriente, dire-zione opposta a quella cui aveva mirato.Questa giornata aveva fatto fallire il piano di trovareuna nuova patria sul litorale dell'Atlantico e li aveva po-sti alla mercè del vincitore; ma questa fu una giornatacalda anche per il vincitore.Cesare, che aveva motivo di non fidarsi indistintamentedei suoi ufficiali, aveva subito rimandati tutti i loro ca-valli, per far capire chiaramente ai suoi la necessità diperdurare nell'impresa; infatti, se i Romani avessero per-duta questa battaglia, si poteva ritenere che tutto il loroesercito sarebbe stato distrutto.Le truppe romane erano troppo spossate per inseguireenergicamente i vinti; ma in seguito al proclama di Ce-sare, che diceva che sarebbero stati trattati come nemicidei Romani tutti coloro che avessero prestato assistenzaagli Elvezi, fu rifiutato a questi ogni soccorso ovunquepassavano e prima di tutto nel distretto dei Lingoni(presso Langres), cosicchè vedendosi esposti alle piùdure privazioni, spogliati dei loro bagagli e col peso del-la massa imbelle, essi dovettero sottomettersi al duce ro-mano.La sorte dei vinti fu relativamente mite.Gli Edui dovettero accogliere nel loro territorio i Boiche non avevano patria; e questo domicilio dei vinti ne-mici in mezzo ai più potenti distretti celtici equivalevaquasi ad una colonia romana. Gli Elvezi ed i Rauraci so-

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fisse.Anche il grosso dell'esercito elvetico fu costretto a ripie-gare e battere in ritirata volgendosi verso oriente, dire-zione opposta a quella cui aveva mirato.Questa giornata aveva fatto fallire il piano di trovareuna nuova patria sul litorale dell'Atlantico e li aveva po-sti alla mercè del vincitore; ma questa fu una giornatacalda anche per il vincitore.Cesare, che aveva motivo di non fidarsi indistintamentedei suoi ufficiali, aveva subito rimandati tutti i loro ca-valli, per far capire chiaramente ai suoi la necessità diperdurare nell'impresa; infatti, se i Romani avessero per-duta questa battaglia, si poteva ritenere che tutto il loroesercito sarebbe stato distrutto.Le truppe romane erano troppo spossate per inseguireenergicamente i vinti; ma in seguito al proclama di Ce-sare, che diceva che sarebbero stati trattati come nemicidei Romani tutti coloro che avessero prestato assistenzaagli Elvezi, fu rifiutato a questi ogni soccorso ovunquepassavano e prima di tutto nel distretto dei Lingoni(presso Langres), cosicchè vedendosi esposti alle piùdure privazioni, spogliati dei loro bagagli e col peso del-la massa imbelle, essi dovettero sottomettersi al duce ro-mano.La sorte dei vinti fu relativamente mite.Gli Edui dovettero accogliere nel loro territorio i Boiche non avevano patria; e questo domicilio dei vinti ne-mici in mezzo ai più potenti distretti celtici equivalevaquasi ad una colonia romana. Gli Elvezi ed i Rauraci so-

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pravvissuti, circa un terzo degli emigranti, furono natu-ralmente rimandati nel loro antico territorio. Questo fuincorporato nella provincia romana ma gli abitanti ven-nero accolti con favorevoli condizioni nella lega conRoma per difendere sotto la supremazia romana i confi-ni del Reno superiore contro i Germani.I Romani occuparono soltanto l'estremo lembo sud-ovest dei distretto elvetico, ove più tardi l'antica cittàceltica di Novioduno (ora Nyon), posta sulla deliziosariva del Lemano, fu trasformata in una fortezza romanadi frontiera, detta Giulia Equestre43.

27. Cesare e Ariovisto.

Sull'alto Reno si era così provveduto contro laminacciante invasione dei Germani e al tempo stesso erastata rintuzzata l'arroganza del partito celtico avverso aiRomani.Una dimostrazione simile era necessaria nel medioReno, dove i Germani si erano fissati già da parecchianni e dove il potere di Ariovisto, che gareggiava nellaGallia con quello di Roma, andava sempre più aumen-tando e non era difficile trovare un pretesto per veniread una rottura.Di fronte al giogo loro minacciato o già imposto da

43 Iulia Equestris, il cui secondo nome è da spiegarsi come i nomisextanorum, decimanorum e molti altri in altre colonie di Cesare. Eranocavalieri celti o germani di Cesare, che colla concessione del diritto dicittadinanza romana o almeno latina ricevevano in quel paese delle tenuteagricole.

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pravvissuti, circa un terzo degli emigranti, furono natu-ralmente rimandati nel loro antico territorio. Questo fuincorporato nella provincia romana ma gli abitanti ven-nero accolti con favorevoli condizioni nella lega conRoma per difendere sotto la supremazia romana i confi-ni del Reno superiore contro i Germani.I Romani occuparono soltanto l'estremo lembo sud-ovest dei distretto elvetico, ove più tardi l'antica cittàceltica di Novioduno (ora Nyon), posta sulla deliziosariva del Lemano, fu trasformata in una fortezza romanadi frontiera, detta Giulia Equestre43.

27. Cesare e Ariovisto.

Sull'alto Reno si era così provveduto contro laminacciante invasione dei Germani e al tempo stesso erastata rintuzzata l'arroganza del partito celtico avverso aiRomani.Una dimostrazione simile era necessaria nel medioReno, dove i Germani si erano fissati già da parecchianni e dove il potere di Ariovisto, che gareggiava nellaGallia con quello di Roma, andava sempre più aumen-tando e non era difficile trovare un pretesto per veniread una rottura.Di fronte al giogo loro minacciato o già imposto da

43 Iulia Equestris, il cui secondo nome è da spiegarsi come i nomisextanorum, decimanorum e molti altri in altre colonie di Cesare. Eranocavalieri celti o germani di Cesare, che colla concessione del diritto dicittadinanza romana o almeno latina ricevevano in quel paese delle tenuteagricole.

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Ariovisto, la supremazia romana doveva sembrare allamaggior parte dei Celti il male minore; la minoranza,che si manteneva tenace nel suo odio contro i Romani,doveva almeno ammutolire. Una dieta delle tribù celti-che della Gallia media, tenuta sotto l'influenza dei Ro-mani, chiese a nome della nazione celtica l'aiuto delduce romano contro i Germani.Cesare vi acconsentì. Dietro sua insinuazione gli Eduisospesero il pagamento del pattuito tributo ad Ariovistoe chiesero la restituzione degli ostaggi, e siccome Ario-visto attaccò i clienti di Roma, Cesare colse l'occasioneper entrare con lui direttamente in trattative e per impor-gli oltre la restituzione degli ostaggi e la promessa dimantenere la pace con gli Edui, anche l'obbligo di nontrarre più nessun Germano d'oltre il Reno.Il duce tedesco rispose al duce romano da pari a pari:che a lui obbediva la Gallia settentrionale per diritto diguerra, appunto come la meridionale obbediva ai Roma-ni; che come egli non frapponeva ostacoli alla riscossio-ne del tributo imposto dai Romani agli Allobrogi, essidovevano fare altrettanto circa l'imposizione ch'egli fa-cesse dei tributi ai suoi sudditi.Dalle ulteriori comunicazioni riservate si conobbe chequesto principe conosceva benissimo le condizioni incui erano i Romani: egli accennò ad inviti pervenutiglida Roma di sopprimere Cesare, ma si dichiarò pronto adaiutarlo nell'impresa di ottenere la signoria sull'Italiaquand'egli in cambio volesse lasciargli la Gallia setten-trionale; che, come i dissensi fra i Celti gli avevano

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Ariovisto, la supremazia romana doveva sembrare allamaggior parte dei Celti il male minore; la minoranza,che si manteneva tenace nel suo odio contro i Romani,doveva almeno ammutolire. Una dieta delle tribù celti-che della Gallia media, tenuta sotto l'influenza dei Ro-mani, chiese a nome della nazione celtica l'aiuto delduce romano contro i Germani.Cesare vi acconsentì. Dietro sua insinuazione gli Eduisospesero il pagamento del pattuito tributo ad Ariovistoe chiesero la restituzione degli ostaggi, e siccome Ario-visto attaccò i clienti di Roma, Cesare colse l'occasioneper entrare con lui direttamente in trattative e per impor-gli oltre la restituzione degli ostaggi e la promessa dimantenere la pace con gli Edui, anche l'obbligo di nontrarre più nessun Germano d'oltre il Reno.Il duce tedesco rispose al duce romano da pari a pari:che a lui obbediva la Gallia settentrionale per diritto diguerra, appunto come la meridionale obbediva ai Roma-ni; che come egli non frapponeva ostacoli alla riscossio-ne del tributo imposto dai Romani agli Allobrogi, essidovevano fare altrettanto circa l'imposizione ch'egli fa-cesse dei tributi ai suoi sudditi.Dalle ulteriori comunicazioni riservate si conobbe chequesto principe conosceva benissimo le condizioni incui erano i Romani: egli accennò ad inviti pervenutiglida Roma di sopprimere Cesare, ma si dichiarò pronto adaiutarlo nell'impresa di ottenere la signoria sull'Italiaquand'egli in cambio volesse lasciargli la Gallia setten-trionale; che, come i dissensi fra i Celti gli avevano

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aperto l'accesso nella Gallia, così egli se ne attendeva lostabile possesso dai dissensi Italici.Da secoli i Romani non avevano inteso un linguaggiosimile da potenza che si considera uguale e che fa mo-stra della sua indipendenza in modo aspro e senza alcunriguardo, come ora da questo re guerriero; e quando ilduce romano, conforme l'uso praticatosi con i principiclienti, lo invitò a presentarglisi in persona, egli vi si ri-fiutò.

28. Ariovisto battuto.

Perciò era tanto più necessario di agire prontamente;Cesare marciò subito contro Ariovisto. Un timor panicoassalì però le sue truppe, e soprattutto i suoi ufficiali,trattandosi di scendere in campo contro le schiere deiveterani tedeschi, che da quattordici anni non avevanoveduto letto di sorta; nello stesso campo di Cesaresembrava introdursi l'immoralità e l'indisciplinatezzaprovocandovi diserzioni e sollevazioni.Ma il supremo duce, dichiarando che all'occorrenza sa-prebbe affrontare il nemico colla sola decima legione,seppe con tale eccitamento all'onore avvincere alle aqui-le romane non solo quella legione ma anche le altre, sti-molando l'emulazione guerresca, e tanto fece che riuscìad infondere nelle truppe una parte della sua energia.Senza lasciar loro tempo a riflettere, le condusse innanzia marce rapide e prevenne felicemente Ariovistonell'occupazione della città di Vesonzio (Besançon), ca-

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aperto l'accesso nella Gallia, così egli se ne attendeva lostabile possesso dai dissensi Italici.Da secoli i Romani non avevano inteso un linguaggiosimile da potenza che si considera uguale e che fa mo-stra della sua indipendenza in modo aspro e senza alcunriguardo, come ora da questo re guerriero; e quando ilduce romano, conforme l'uso praticatosi con i principiclienti, lo invitò a presentarglisi in persona, egli vi si ri-fiutò.

28. Ariovisto battuto.

Perciò era tanto più necessario di agire prontamente;Cesare marciò subito contro Ariovisto. Un timor panicoassalì però le sue truppe, e soprattutto i suoi ufficiali,trattandosi di scendere in campo contro le schiere deiveterani tedeschi, che da quattordici anni non avevanoveduto letto di sorta; nello stesso campo di Cesaresembrava introdursi l'immoralità e l'indisciplinatezzaprovocandovi diserzioni e sollevazioni.Ma il supremo duce, dichiarando che all'occorrenza sa-prebbe affrontare il nemico colla sola decima legione,seppe con tale eccitamento all'onore avvincere alle aqui-le romane non solo quella legione ma anche le altre, sti-molando l'emulazione guerresca, e tanto fece che riuscìad infondere nelle truppe una parte della sua energia.Senza lasciar loro tempo a riflettere, le condusse innanzia marce rapide e prevenne felicemente Ariovistonell'occupazione della città di Vesonzio (Besançon), ca-

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pitale dei Sequani. Un convegno dei due duci, ch'ebbeluogo dietro richiesta di Ariovisto, pare sia stato concer-tato solo per nascondere un attentato contro Cesare; tra idue conquistatori della Gallia non potevano decidereche le armi.La guerra sostò momentaneamente.Nell'Alsazia inferiore, presso a poco nella regione diMulhouse, un miglio circa dal Reno44 i due esercitirimasero accampati a poca distanza l'uno dall'altrofinchè Ariovisto, lambendo con le sue truppe assai piùnumerose il campo dei Romani, potè prendere posizionealle spalle dei medesimi, intercettando così le

44 GÖLER (Guerra gallica di Cesare, pag. 45 e seg.) crede di aver trovato ilcampo di battaglia presso Cernay vicino a Mulhouse, il che collima colparere di Napoleone (Précis, pag. 351, il quale vuole che il campo dibattaglia sia stato nelle vicinanze di Belfort. Veramente questa indicazionenon è certa, ma conveniente alle circostanze; poichè Cesare stessodimostra l'impiego di sette tappe per una sì breve distanza da Besançonsino a questo luogo colla osservazione (I, 41) che per evitare le viemontane fece un giro di oltre dieci leghe, e che la battaglia sia statacombattuta a cinque non a cinquanta miglia dal Reno lo prova, essendouguale l'autorità della tradizione, tutto il racconto dell'inseguimento sino alReno eseguito evidentemente nel giorno stesso della battaglia e nondurante parecchi giorni. La proposta di RÜSTOW (Introduzione al comm. diCesare, pag. 117) di portare il campo di battaglia sull'alta Saar si fondasopra un malinteso. Il frumento che si attendeva dai Sequani, dai Leuci edai Lingoni, non doveva pervenire all'esercito romano mentre era inmarcia contro Ariovisto, ma esser consegnato in Besançon prima dellapartenza e portato seco dall'esercito; ciò risulta evidentemente dallacircostanza, che Cesare, mentre indica alle sue truppe quellesomministrazioni, le conforta al tempo stesso coll'annuncio delleprovvigioni che dovevano ricevere durante la marcia. Da Besançon Cesaredominava la regione di Langres e d'Epinal e ordinò, come si capisce, che sifacessero le necessarie requisizioni piuttosto in questi paesi che non neidistretti spogliati da cui proveniva.

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pitale dei Sequani. Un convegno dei due duci, ch'ebbeluogo dietro richiesta di Ariovisto, pare sia stato concer-tato solo per nascondere un attentato contro Cesare; tra idue conquistatori della Gallia non potevano decidereche le armi.La guerra sostò momentaneamente.Nell'Alsazia inferiore, presso a poco nella regione diMulhouse, un miglio circa dal Reno44 i due esercitirimasero accampati a poca distanza l'uno dall'altrofinchè Ariovisto, lambendo con le sue truppe assai piùnumerose il campo dei Romani, potè prendere posizionealle spalle dei medesimi, intercettando così le

44 GÖLER (Guerra gallica di Cesare, pag. 45 e seg.) crede di aver trovato ilcampo di battaglia presso Cernay vicino a Mulhouse, il che collima colparere di Napoleone (Précis, pag. 351, il quale vuole che il campo dibattaglia sia stato nelle vicinanze di Belfort. Veramente questa indicazionenon è certa, ma conveniente alle circostanze; poichè Cesare stessodimostra l'impiego di sette tappe per una sì breve distanza da Besançonsino a questo luogo colla osservazione (I, 41) che per evitare le viemontane fece un giro di oltre dieci leghe, e che la battaglia sia statacombattuta a cinque non a cinquanta miglia dal Reno lo prova, essendouguale l'autorità della tradizione, tutto il racconto dell'inseguimento sino alReno eseguito evidentemente nel giorno stesso della battaglia e nondurante parecchi giorni. La proposta di RÜSTOW (Introduzione al comm. diCesare, pag. 117) di portare il campo di battaglia sull'alta Saar si fondasopra un malinteso. Il frumento che si attendeva dai Sequani, dai Leuci edai Lingoni, non doveva pervenire all'esercito romano mentre era inmarcia contro Ariovisto, ma esser consegnato in Besançon prima dellapartenza e portato seco dall'esercito; ciò risulta evidentemente dallacircostanza, che Cesare, mentre indica alle sue truppe quellesomministrazioni, le conforta al tempo stesso coll'annuncio delleprovvigioni che dovevano ricevere durante la marcia. Da Besançon Cesaredominava la regione di Langres e d'Epinal e ordinò, come si capisce, che sifacessero le necessarie requisizioni piuttosto in questi paesi che non neidistretti spogliati da cui proveniva.

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comunicazioni ed i rifornimenti al nemico.Cesare tentò di trarsi dalla sua angusta posizione conuna battaglia; ma Ariovisto non l'accettò. Al duce roma-no, malgrado le sue poche forze, non rimaneva altro dafare che seguire il movimento del nemico e cercare diriacquistare le proprie comunicazioni facendo in modoche due legioni sfilassero vicino al nemico e prendesse-ro posizioni al di là del campo dei Germani, mentrequattro rimanevano nel campo tenuto fino allora.Ariovisto, viste le forze dei Romani divise, tentò un as-salto ai loro campo minore; ma i Romani lo respinsero.Sotto l'impressione di questo successo tutto l'esercito ro-mano fu fatto avanzare in ordine di battaglia; anche iGermani si disposero in ordine di battaglia in lunga li-nea, divisi per tribù, e per impedire possibilmente lafuga posero dietro alla linea i carri dell'esercito con lesalmerie e con le donne.L'ala destra dei Romani, condotta da Cesare in persona,si gettò impetuosa sul nemico e lo fece indietreggiare; lostesso riuscì all'ala destra dei Germani. La bilancia stavaancora in bilico; ma la tattica delle riserve decise, comein tanti altri combattimenti contro i barbari, così anchein questo contro i Germani, in favore dei Romani. Laloro terza linea, fatta avanzare a tempo in aiuto da Pu-blio Crasso, ristabilì il combattimento sull'ala sinistra, econ essa fu decisa la vittoria.I Romani inseguirono i nemici sino al Reno, e soltanto apochi, e fra questi al re, riuscì di raggiungere l'altra riva(696 = 58). Con questo brillante fatto ebbe inizio il do-

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comunicazioni ed i rifornimenti al nemico.Cesare tentò di trarsi dalla sua angusta posizione conuna battaglia; ma Ariovisto non l'accettò. Al duce roma-no, malgrado le sue poche forze, non rimaneva altro dafare che seguire il movimento del nemico e cercare diriacquistare le proprie comunicazioni facendo in modoche due legioni sfilassero vicino al nemico e prendesse-ro posizioni al di là del campo dei Germani, mentrequattro rimanevano nel campo tenuto fino allora.Ariovisto, viste le forze dei Romani divise, tentò un as-salto ai loro campo minore; ma i Romani lo respinsero.Sotto l'impressione di questo successo tutto l'esercito ro-mano fu fatto avanzare in ordine di battaglia; anche iGermani si disposero in ordine di battaglia in lunga li-nea, divisi per tribù, e per impedire possibilmente lafuga posero dietro alla linea i carri dell'esercito con lesalmerie e con le donne.L'ala destra dei Romani, condotta da Cesare in persona,si gettò impetuosa sul nemico e lo fece indietreggiare; lostesso riuscì all'ala destra dei Germani. La bilancia stavaancora in bilico; ma la tattica delle riserve decise, comein tanti altri combattimenti contro i barbari, così anchein questo contro i Germani, in favore dei Romani. Laloro terza linea, fatta avanzare a tempo in aiuto da Pu-blio Crasso, ristabilì il combattimento sull'ala sinistra, econ essa fu decisa la vittoria.I Romani inseguirono i nemici sino al Reno, e soltanto apochi, e fra questi al re, riuscì di raggiungere l'altra riva(696 = 58). Con questo brillante fatto ebbe inizio il do-

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minio romano sul gran fiume, nelle cui acque i soldatiitaliani si specchiavano ora per la prima volta; una solafortunata battaglia dette in potere dei Romani la lineadel Reno.La sorte delle colonie germaniche sulla sinistra del Renoera nelle mani di Cesare; il vincitore poteva distruggerlema non lo fece.

29. Il confine del Reno.

I vicini distretti celtici dei Sequani, dei Leuci e deiMediomatrici non erano nè abili a portare le armi, nèfidati; i coloni germanici promettevano di diventare nonsolo valorosi guardiani di frontiera, ma ancora migliorisudditi romani, poichè la nazionalità li separava daiCelti, il proprio interesse di conservare le nuove lorosedi li separava dai compatriotti oltre Reno, ed essi nelloro isolamento non potevano a meno di tenersivincolati al potere centrale.Cesare predilesse anche qui come dappertutto i nemicivinti agli amici dubbi; egli lasciò ai Germani stanziatida Ariovisto lungo la sinistra del Reno, ai Tribociintorno a Strasburgo, ai Nemeti intorno a Spira, aiVangioni intorno a Worms le loro nuove sedi conl'incarico di guardare i confini del Reno contro i lorocompatriotti45.45 Questa sembra la più semplice supposizione sull'origine di queste colonie

germaniche. Che Ariovisto stabilisse quei popoli sulle sponde del Renomedio è verosimile, perchè combattevano nei suoi eserciti (CESARE, 1, 51)e prima non se ne fa cenno; è verosimile che Cesare li lasciasse sussistere

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minio romano sul gran fiume, nelle cui acque i soldatiitaliani si specchiavano ora per la prima volta; una solafortunata battaglia dette in potere dei Romani la lineadel Reno.La sorte delle colonie germaniche sulla sinistra del Renoera nelle mani di Cesare; il vincitore poteva distruggerlema non lo fece.

29. Il confine del Reno.

I vicini distretti celtici dei Sequani, dei Leuci e deiMediomatrici non erano nè abili a portare le armi, nèfidati; i coloni germanici promettevano di diventare nonsolo valorosi guardiani di frontiera, ma ancora migliorisudditi romani, poichè la nazionalità li separava daiCelti, il proprio interesse di conservare le nuove lorosedi li separava dai compatriotti oltre Reno, ed essi nelloro isolamento non potevano a meno di tenersivincolati al potere centrale.Cesare predilesse anche qui come dappertutto i nemicivinti agli amici dubbi; egli lasciò ai Germani stanziatida Ariovisto lungo la sinistra del Reno, ai Tribociintorno a Strasburgo, ai Nemeti intorno a Spira, aiVangioni intorno a Worms le loro nuove sedi conl'incarico di guardare i confini del Reno contro i lorocompatriotti45.45 Questa sembra la più semplice supposizione sull'origine di queste colonie

germaniche. Che Ariovisto stabilisse quei popoli sulle sponde del Renomedio è verosimile, perchè combattevano nei suoi eserciti (CESARE, 1, 51)e prima non se ne fa cenno; è verosimile che Cesare li lasciasse sussistere

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Gli Svevi però, che minacciavano sul Reno medio il ter-ritorio di Treviri, alla notizia della sconfitta toccata adAriovisto, si ritirarono nell'interno della Germania sof-frendo nel cammino gravi danni dalle popolazioni inter-ne.Le conseguenze di questa sola campagna furono im-mense; esse furono sentite ancora migliaia d'anni dopo.Il Reno era divenuto il confine dello stato romano versoi Germani. Nella Gallia, che non poteva più reggersi dasè, i Romani avevano sino ad ora dominato nelle regionimeridionali e solo da poco tempo i Germani avevanotentato di stabilirvisi alquanto più verso settentrione. Gliultimi avvenimenti avevano deciso che non solo unaparte, ma tutta la Gallia doveva sottomettersi alla supre-mazia romana e che la frontiera naturale del gran fiumeera destinata ad essere anche la frontiera politica.Nei suoi tempi migliori il senato non rimase tranquillofinchè la signoria di Roma non ebbe ottenuto le frontie-re naturali d'Italia, le Alpi e il mare Mediterraneo collesue isole più vicine. L'estensione dello stato esigeva oraun tale arrotondamento militare; ma il governo d'alloralo abbandonò al caso e tutt'al più si diede pensiero, nonche i confini potessero essere garantiti, ma solo che nonavessero bisogno di esserlo da lui direttamente.Si sentiva ora che un altro spirito ed un altro braccio co-

perchè egli dichiarò ad Ariovisto di voler tollerare i coloni germanici giàesistenti nella Gallia (CES., 35, 43) e perchè noi ve li troviamo più tardi.Cesare non parla delle disposizioni date dopo la battaglia riguardo a questecolonie germaniche, perchè egli per massima osserva uno scrupolososilenzio su tutte le istituzioni organiche da lui fatte nella Gallia.

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Gli Svevi però, che minacciavano sul Reno medio il ter-ritorio di Treviri, alla notizia della sconfitta toccata adAriovisto, si ritirarono nell'interno della Germania sof-frendo nel cammino gravi danni dalle popolazioni inter-ne.Le conseguenze di questa sola campagna furono im-mense; esse furono sentite ancora migliaia d'anni dopo.Il Reno era divenuto il confine dello stato romano versoi Germani. Nella Gallia, che non poteva più reggersi dasè, i Romani avevano sino ad ora dominato nelle regionimeridionali e solo da poco tempo i Germani avevanotentato di stabilirvisi alquanto più verso settentrione. Gliultimi avvenimenti avevano deciso che non solo unaparte, ma tutta la Gallia doveva sottomettersi alla supre-mazia romana e che la frontiera naturale del gran fiumeera destinata ad essere anche la frontiera politica.Nei suoi tempi migliori il senato non rimase tranquillofinchè la signoria di Roma non ebbe ottenuto le frontie-re naturali d'Italia, le Alpi e il mare Mediterraneo collesue isole più vicine. L'estensione dello stato esigeva oraun tale arrotondamento militare; ma il governo d'alloralo abbandonò al caso e tutt'al più si diede pensiero, nonche i confini potessero essere garantiti, ma solo che nonavessero bisogno di esserlo da lui direttamente.Si sentiva ora che un altro spirito ed un altro braccio co-

perchè egli dichiarò ad Ariovisto di voler tollerare i coloni germanici giàesistenti nella Gallia (CES., 35, 43) e perchè noi ve li troviamo più tardi.Cesare non parla delle disposizioni date dopo la battaglia riguardo a questecolonie germaniche, perchè egli per massima osserva uno scrupolososilenzio su tutte le istituzioni organiche da lui fatte nella Gallia.

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minciavano a reggere i destini di Roma.

30. Assoggettamento della Gallia.

Le fondamenta del futuro edificio erano gettate; ma perfinirlo e per far riconoscere in modo assoluto ai Galli lasignoria romana e ai Germani la frontiera renana,mancava però ancora molto. Tutta la Gallia centrale, daiconfini romani fino a Chartres e a Treviri, si sottomiseveramente senza resistenza di sorta al nuovo padrone, esull'alto Reno e sul medio non era a temersi, almeno perallora, alcun attacco da parte dei Germani.Ma le province settentrionali, tanto i distretti armoricaninella Bretagna e nella Normandia, quanto la possentelega belga, non erano stati toccati dai colpi vibrati con-tro la Gallia centrale e non si trovavano nella necessitàdi sottomettersi al vincitore d'Ariovisto.A questa, come fu già osservato, bisogna aggiungerel'altra circostanza che, tra i Belgi ed i Germani d'oltreReno esistevano strettissimi rapporti e che anche allafoce del Reno v'erano tribù germaniche che si dispone-vano a passare il fiume. In conseguenza di ciò Cesare,nella primavera del 697 = 57, si mise in marcia contro idistretti belgi col suo esercito cresciuto ora ad otto le-gioni.Memore della valorosa e fortunata resistenza oppostacinquant'anni prima con tutte le sue forze ai Cimbri espronata dai numerosi patriotti rifugiatisi sotto le sue in-segne dalla Gallia centrale, la lega belga inviò al confini

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minciavano a reggere i destini di Roma.

30. Assoggettamento della Gallia.

Le fondamenta del futuro edificio erano gettate; ma perfinirlo e per far riconoscere in modo assoluto ai Galli lasignoria romana e ai Germani la frontiera renana,mancava però ancora molto. Tutta la Gallia centrale, daiconfini romani fino a Chartres e a Treviri, si sottomiseveramente senza resistenza di sorta al nuovo padrone, esull'alto Reno e sul medio non era a temersi, almeno perallora, alcun attacco da parte dei Germani.Ma le province settentrionali, tanto i distretti armoricaninella Bretagna e nella Normandia, quanto la possentelega belga, non erano stati toccati dai colpi vibrati con-tro la Gallia centrale e non si trovavano nella necessitàdi sottomettersi al vincitore d'Ariovisto.A questa, come fu già osservato, bisogna aggiungerel'altra circostanza che, tra i Belgi ed i Germani d'oltreReno esistevano strettissimi rapporti e che anche allafoce del Reno v'erano tribù germaniche che si dispone-vano a passare il fiume. In conseguenza di ciò Cesare,nella primavera del 697 = 57, si mise in marcia contro idistretti belgi col suo esercito cresciuto ora ad otto le-gioni.Memore della valorosa e fortunata resistenza oppostacinquant'anni prima con tutte le sue forze ai Cimbri espronata dai numerosi patriotti rifugiatisi sotto le sue in-segne dalla Gallia centrale, la lega belga inviò al confini

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meridionali tutta la prima leva di 300.000 armati capita-nati da Galba, re dei Suessoni, per incontrarvi Cesare.Un solo distretto, quello dei potenti Remi (intorno aRheims), vide in questa invasione straniera l'occasionepropizia per scuotere il dominio che i Suessoni suoi vi-cini esercitavano su di lui, e si dispose ad assumere alsettentrione la parte che gli Edui avevano esercitato nel-la Gallia centrale.Quasi al tempo stesso giunsero sul loro territorio l'eser-cito romano ed il belga. Cesare si guardò bene dall'offrirbattaglia ad un nemico valoroso e sei volte più forte dinumero; egli si accampò al nord dell'Aisne, non lungidall'odierno Pontavert, tra Rheims e Laon, su un altipia-no reso inattaccabile in parte dal fiume e dalle paludi, inparte da fossati e da trincee, limitandosi con misure didifesa a mandare a vuoto i tentativi dei Belgi di passarel'Aisne e di tagliargli così le sue comunicazioni.Se egli calcolò che la lega fra non molto si sarebbe sfa-sciata sotto il proprio peso, non calcolò male. Il re Galbaera un onesto uomo, generalmente stimato, ma non erafatto per comandare in un paese nemico un esercito di300.000 uomini. Le sue operazioni non progredivano e iviveri erano presso alla fine; nel campo degli alleati in-cominciava a nascere il malcontento e la discordia. An-zitutto i Bellovaci, eguali in forze ai Suessoni e già dimalumore per non esser stato assegnato a loro il supre-mo comando dell'esercito federale, non si potevano piùcontenere dacchè si sparse la notizia che gli Edui, comefederati dei Romani, si disponevano ad invadere il loro

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meridionali tutta la prima leva di 300.000 armati capita-nati da Galba, re dei Suessoni, per incontrarvi Cesare.Un solo distretto, quello dei potenti Remi (intorno aRheims), vide in questa invasione straniera l'occasionepropizia per scuotere il dominio che i Suessoni suoi vi-cini esercitavano su di lui, e si dispose ad assumere alsettentrione la parte che gli Edui avevano esercitato nel-la Gallia centrale.Quasi al tempo stesso giunsero sul loro territorio l'eser-cito romano ed il belga. Cesare si guardò bene dall'offrirbattaglia ad un nemico valoroso e sei volte più forte dinumero; egli si accampò al nord dell'Aisne, non lungidall'odierno Pontavert, tra Rheims e Laon, su un altipia-no reso inattaccabile in parte dal fiume e dalle paludi, inparte da fossati e da trincee, limitandosi con misure didifesa a mandare a vuoto i tentativi dei Belgi di passarel'Aisne e di tagliargli così le sue comunicazioni.Se egli calcolò che la lega fra non molto si sarebbe sfa-sciata sotto il proprio peso, non calcolò male. Il re Galbaera un onesto uomo, generalmente stimato, ma non erafatto per comandare in un paese nemico un esercito di300.000 uomini. Le sue operazioni non progredivano e iviveri erano presso alla fine; nel campo degli alleati in-cominciava a nascere il malcontento e la discordia. An-zitutto i Bellovaci, eguali in forze ai Suessoni e già dimalumore per non esser stato assegnato a loro il supre-mo comando dell'esercito federale, non si potevano piùcontenere dacchè si sparse la notizia che gli Edui, comefederati dei Romani, si disponevano ad invadere il loro

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territorio.Fu deciso di sciogliersi e di ritornare a casa; e se pervergogna tutti i distretti si obbligarono contemporanea-mente di venire in aiuto del primo che fosse attaccato,questi patti ineseguibili non furono che una meschinafinzione.Fu questa una catastrofe che ricorda vivamente quellache avvenne nel 1792 quasi sul medesimo suolo e comenella campagna della Champagne, la sconfitta, fu solotanto più grave, in quanto era avvenuta senza battaglia.La cattiva direzione dell'esercito che si ritirava permiseal duce romano di inseguirlo come se fosse stato scon-fitto e di distruggere una parte dei contingenti rimastisotto le armi fino alla fine. Ma le conseguenze della vit-toria non si limitarono a ciò.A mano a mano che Cesare entrava nei cantoni occiden-tali dei Belgi, questi l'uno dopo l'altro si davano per vin-ti quasi senza opporre resistenza: i potenti Suessoni (in-torno a Soissons) non meno dei loro rivali, i Bellovaci(intorno a Beauvais) e gli Ambiani (intorno ad Amiens).Le città quando vedevano le strane macchine d'assedio,le torri che su ruote vengono portate contro le mura,aprivano le porte e quelli che non vollero darsi al signo-re straniero cercarono un asilo al di là del mare di Breta-gna.

31. Battaglia contro i Nervi.

Ma nei cantoni orientali il sentimento nazionale si

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territorio.Fu deciso di sciogliersi e di ritornare a casa; e se pervergogna tutti i distretti si obbligarono contemporanea-mente di venire in aiuto del primo che fosse attaccato,questi patti ineseguibili non furono che una meschinafinzione.Fu questa una catastrofe che ricorda vivamente quellache avvenne nel 1792 quasi sul medesimo suolo e comenella campagna della Champagne, la sconfitta, fu solotanto più grave, in quanto era avvenuta senza battaglia.La cattiva direzione dell'esercito che si ritirava permiseal duce romano di inseguirlo come se fosse stato scon-fitto e di distruggere una parte dei contingenti rimastisotto le armi fino alla fine. Ma le conseguenze della vit-toria non si limitarono a ciò.A mano a mano che Cesare entrava nei cantoni occiden-tali dei Belgi, questi l'uno dopo l'altro si davano per vin-ti quasi senza opporre resistenza: i potenti Suessoni (in-torno a Soissons) non meno dei loro rivali, i Bellovaci(intorno a Beauvais) e gli Ambiani (intorno ad Amiens).Le città quando vedevano le strane macchine d'assedio,le torri che su ruote vengono portate contro le mura,aprivano le porte e quelli che non vollero darsi al signo-re straniero cercarono un asilo al di là del mare di Breta-gna.

31. Battaglia contro i Nervi.

Ma nei cantoni orientali il sentimento nazionale si

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mostrò con maggiore energia. I Viromandui (intorno adArras), gli Atrebati (intorno a S. Quintino), i tedeschiAduatuci (intorno a Namur) e anzitutto i Nervi(nell'Ennegavia) colla considerevole loro clientela, innumero di poco inferiore ai Suessoni ed ai Bellovaci emolto superiori per valore ed amor di patria, formaronouna seconda e ben più solida lega e raccolsero le loroforze sull'alta Sambre.Essi erano informati con tutta esattezza da spie celtichedei movimenti dell'esercito romano; la loro conoscenzadel paese e le alte abbattute46, che erano state fatte perdifendere il paese dalle frequenti scorrerie dei ladroni acavallo, venivano in aiuto agli alleati per celare alla vi-sta dei Romani le loro operazioni.Quando questi giunsero alla Sambre, non lungi da Ba-vay, e mentre le legioni erano appunto occupate nel di-sporre il campo sull'argine sinistro del fiume e la caval-leria e la fanteria leggere nel riconoscere le alture postedall'altra parte, questi due corpi furono improvvisamen-te attaccati da tutta la massa delle schiere nemiche, edalla collina spinti nel fiume.In un momento il nemico aveva guadato anche questo, edisprezzando arditamente la morte, dava l'assalto allepianure della sponda sinistra.I legionari occupati nei trinceramenti ebbero appena il

46 L'edizione Dall'Oglio 1963 riporta la seguente nota: «Il termine indicaesattamente un insieme di alberi abbattuti come apprestamento difensivomilitare. Gli alberi erano disposti con i rami rivolti verso il nemico perrompere gli assalti della cavalleria. (N. d. T.)» [nota per l'edizione elettro-nica Manuzio]

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mostrò con maggiore energia. I Viromandui (intorno adArras), gli Atrebati (intorno a S. Quintino), i tedeschiAduatuci (intorno a Namur) e anzitutto i Nervi(nell'Ennegavia) colla considerevole loro clientela, innumero di poco inferiore ai Suessoni ed ai Bellovaci emolto superiori per valore ed amor di patria, formaronouna seconda e ben più solida lega e raccolsero le loroforze sull'alta Sambre.Essi erano informati con tutta esattezza da spie celtichedei movimenti dell'esercito romano; la loro conoscenzadel paese e le alte abbattute46, che erano state fatte perdifendere il paese dalle frequenti scorrerie dei ladroni acavallo, venivano in aiuto agli alleati per celare alla vi-sta dei Romani le loro operazioni.Quando questi giunsero alla Sambre, non lungi da Ba-vay, e mentre le legioni erano appunto occupate nel di-sporre il campo sull'argine sinistro del fiume e la caval-leria e la fanteria leggere nel riconoscere le alture postedall'altra parte, questi due corpi furono improvvisamen-te attaccati da tutta la massa delle schiere nemiche, edalla collina spinti nel fiume.In un momento il nemico aveva guadato anche questo, edisprezzando arditamente la morte, dava l'assalto allepianure della sponda sinistra.I legionari occupati nei trinceramenti ebbero appena il

46 L'edizione Dall'Oglio 1963 riporta la seguente nota: «Il termine indicaesattamente un insieme di alberi abbattuti come apprestamento difensivomilitare. Gli alberi erano disposti con i rami rivolti verso il nemico perrompere gli assalti della cavalleria. (N. d. T.)» [nota per l'edizione elettro-nica Manuzio]

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tempo di cambiare la scure col brando. I soldati, moltisenza elmo, furono costretti a combattere dove si trova-vano, senza ordine di battaglia, senza un piano, senza unvero comando; poichè per l'improvvisa sorpresa e per ilterreno attraversato dalle alte abbattute le singole divi-sioni erano rimaste interamente isolate.Invece di una battaglia vi furono molti combattimentiseparati. Labieno, alla testa dell'ala sinistra, respinse gliAtrebati e li inseguì al di là del fiume. Il centro dei Ro-mani respinse i Viromandui giù dal pendio. Ma l'ala de-stra, nella quale si trovava il supremo duce, fu dal nu-mero molto superiore dei Nervi tanto più facilmente sor-passata, che la linea di mezzo, trascinata dal successoavuto, vi aveva lasciato un grande vuoto e perfino ilcampo non finito fu occupato dai nemici; le due legioni,di cui questo era composto, ciascuna accerchiata e attac-cata di fronte e sui lati, perduto il maggior numero deiloro ufficiali ed i migliori soldati, pareva che dovesseroessere, da un momento all'altro, sbaragliate e fatte a pez-zi.Già fuggivano da ogni lato le salmerie dei Romani e letruppe loro alleate; già intere divisioni della cavalleriaceltica ed il contingente di Treviri abbandonavano ilcampo ed a briglia sciolta si affrettavano a recare neiloro paesi la fausta notizia della sconfitta sofferta. Tuttoera nel massimo pericolo. Lo stesso supremo duce, af-ferrato lo scudo, combatteva fra i primi; il suo esempio,la sua voce, la quale anche in quel momento eccitaval'entusiasmo, fecero sostare le file vacillanti.

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tempo di cambiare la scure col brando. I soldati, moltisenza elmo, furono costretti a combattere dove si trova-vano, senza ordine di battaglia, senza un piano, senza unvero comando; poichè per l'improvvisa sorpresa e per ilterreno attraversato dalle alte abbattute le singole divi-sioni erano rimaste interamente isolate.Invece di una battaglia vi furono molti combattimentiseparati. Labieno, alla testa dell'ala sinistra, respinse gliAtrebati e li inseguì al di là del fiume. Il centro dei Ro-mani respinse i Viromandui giù dal pendio. Ma l'ala de-stra, nella quale si trovava il supremo duce, fu dal nu-mero molto superiore dei Nervi tanto più facilmente sor-passata, che la linea di mezzo, trascinata dal successoavuto, vi aveva lasciato un grande vuoto e perfino ilcampo non finito fu occupato dai nemici; le due legioni,di cui questo era composto, ciascuna accerchiata e attac-cata di fronte e sui lati, perduto il maggior numero deiloro ufficiali ed i migliori soldati, pareva che dovesseroessere, da un momento all'altro, sbaragliate e fatte a pez-zi.Già fuggivano da ogni lato le salmerie dei Romani e letruppe loro alleate; già intere divisioni della cavalleriaceltica ed il contingente di Treviri abbandonavano ilcampo ed a briglia sciolta si affrettavano a recare neiloro paesi la fausta notizia della sconfitta sofferta. Tuttoera nel massimo pericolo. Lo stesso supremo duce, af-ferrato lo scudo, combatteva fra i primi; il suo esempio,la sua voce, la quale anche in quel momento eccitaval'entusiasmo, fecero sostare le file vacillanti.

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Già i Romani avevano ripreso coraggio o almeno aveva-no ripristinata l'unione delle due legioni di cui si compo-neva quest'ala, quando giunse un soccorso in partedall'argine del fiume, dove intanto insieme con le salme-rie era giunta la retroguardia romana, in parte dall'altrariva del fiume, dove Labieno si era portato innanzi sinoal campo nemico, del quale si era impossessato, e ve-dendo il pericolo in cui versava l'ala destra, inviava lavittoriosa decima legione in aiuto del suo comandante.Separati dai loro alleati, e attaccati contemporaneamenteda due lati, i Nervi, ai quali la fortuna si mostrava av-versa, spiegarono lo stesso valore come quando si cre-devano vincitori; e dall'alto dei mucchi di cadaveri deiloro connazionali essi continuarono a combattere sinoall'ultimo uomo.Per propria confessione tre soli dei seicento anziani so-pravvissero a questa battaglia. Dopo questa terribilesconfitta i Nervi, gli Atrebati e i Viromandui furono co-stretti a riconoscere la supremazia romana. Gli Aduatu-ci, arrivati troppo tardi per prendere parte al combatti-mento sulle rive della Sambre, tentarono veramente dimantenersi nella più forte delle loro città (sul monte Fa-lhize vicino alla Mosa, non lungi da Huy), ma non andòmolto che essi pure si sottomisero.Una sorpresa notturna al campo romano sotto le muradella città, che gli abitanti tentarono dopo la resa, andòfallita e fu dai Romani fatta espiare con terribile severi-tà. La clientela degli Aduatuci, composta degli Eburoni,stanziati tra la Mosa ed il Reno, e di altre piccole tribù

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Già i Romani avevano ripreso coraggio o almeno aveva-no ripristinata l'unione delle due legioni di cui si compo-neva quest'ala, quando giunse un soccorso in partedall'argine del fiume, dove intanto insieme con le salme-rie era giunta la retroguardia romana, in parte dall'altrariva del fiume, dove Labieno si era portato innanzi sinoal campo nemico, del quale si era impossessato, e ve-dendo il pericolo in cui versava l'ala destra, inviava lavittoriosa decima legione in aiuto del suo comandante.Separati dai loro alleati, e attaccati contemporaneamenteda due lati, i Nervi, ai quali la fortuna si mostrava av-versa, spiegarono lo stesso valore come quando si cre-devano vincitori; e dall'alto dei mucchi di cadaveri deiloro connazionali essi continuarono a combattere sinoall'ultimo uomo.Per propria confessione tre soli dei seicento anziani so-pravvissero a questa battaglia. Dopo questa terribilesconfitta i Nervi, gli Atrebati e i Viromandui furono co-stretti a riconoscere la supremazia romana. Gli Aduatu-ci, arrivati troppo tardi per prendere parte al combatti-mento sulle rive della Sambre, tentarono veramente dimantenersi nella più forte delle loro città (sul monte Fa-lhize vicino alla Mosa, non lungi da Huy), ma non andòmolto che essi pure si sottomisero.Una sorpresa notturna al campo romano sotto le muradella città, che gli abitanti tentarono dopo la resa, andòfallita e fu dai Romani fatta espiare con terribile severi-tà. La clientela degli Aduatuci, composta degli Eburoni,stanziati tra la Mosa ed il Reno, e di altre piccole tribù

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vicine, fu dai Romani dichiarata indipendente; gli Adua-tuci, fatti prigionieri, furono in massa venduti schiavi almaggiore offerente a vantaggio del tesoro romano.Sembrava che la sorte fatale toccata ai Cimbri persegui-tasse anche quest'ultimo loro ramo. Cesare si limitò adordinare che le altre tribù soggiogate fossero completa-mente disarmate e obbligate a dare degli ostaggi. I Remiottennero la supremazia nella Gallia belgica, come gliEdui nella Gallia centrale; anzi in quest'ultima parecchidistretti ostili agli Edui entrarono piuttosto nella cliente-la dei Remi. Soltanto i lontani cantoni dei Morini (Ar-tois) e dei Menapii (Fiandra e Brabante), e la provinciafra la Schelda ed il Reno, abitata per la maggior partedai Germani, furono per allora risparmiati dall'invasioneromana, e rimasero in possesso dell'avita loro libertà.

32. Guerra contro Veneti, Morini e Menapii.

Venne la volta dei distretti armoricani. Publio Crasso viera stato mandato con un corpo di truppe romane sindall'autunno del 697 = 57; egli ottenne che i Veneti,padroni dei porti dell'odierno Morbihan e diun'importante flotta, occupassero, tanto nellanavigazione quanto nel commercio, il primo posto tratutti i distretti celtici, e che in generale tutti i distrettimarittimi fra la Loira e la Senna si sottomettessero aiRomani e loro somministrassero degli ostaggi.Ma essi ebbero ben presto a pentirsene. Quando nel se-guente inverno (697-8 = 57-6), arrivarono in questi pae-

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vicine, fu dai Romani dichiarata indipendente; gli Adua-tuci, fatti prigionieri, furono in massa venduti schiavi almaggiore offerente a vantaggio del tesoro romano.Sembrava che la sorte fatale toccata ai Cimbri persegui-tasse anche quest'ultimo loro ramo. Cesare si limitò adordinare che le altre tribù soggiogate fossero completa-mente disarmate e obbligate a dare degli ostaggi. I Remiottennero la supremazia nella Gallia belgica, come gliEdui nella Gallia centrale; anzi in quest'ultima parecchidistretti ostili agli Edui entrarono piuttosto nella cliente-la dei Remi. Soltanto i lontani cantoni dei Morini (Ar-tois) e dei Menapii (Fiandra e Brabante), e la provinciafra la Schelda ed il Reno, abitata per la maggior partedai Germani, furono per allora risparmiati dall'invasioneromana, e rimasero in possesso dell'avita loro libertà.

32. Guerra contro Veneti, Morini e Menapii.

Venne la volta dei distretti armoricani. Publio Crasso viera stato mandato con un corpo di truppe romane sindall'autunno del 697 = 57; egli ottenne che i Veneti,padroni dei porti dell'odierno Morbihan e diun'importante flotta, occupassero, tanto nellanavigazione quanto nel commercio, il primo posto tratutti i distretti celtici, e che in generale tutti i distrettimarittimi fra la Loira e la Senna si sottomettessero aiRomani e loro somministrassero degli ostaggi.Ma essi ebbero ben presto a pentirsene. Quando nel se-guente inverno (697-8 = 57-6), arrivarono in questi pae-

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si degli ufficiali romani, per farvi delle requisizioni difrumento, furono trattenuti come contro-ostaggi. Questoesempio fu subito seguìto non solo dai distretti armori-cani, ma anche dai cantoni marittimi belgi che erano an-cora rimasti liberi; dove, come avvenne in alcuni distret-ti della Normandia, il consiglio comunale si rifiutò diprendere parte alla insurrezione, e la moltitudine loscacciò e si unì con tanto maggiore zelo alla causa na-zionale.Tutta la costa dalla foce della Loira sino a quella delReno insorse contro Roma; i patriotti più risoluti giun-gevano da tutti i distretti celtici per concorrere alla gran-de opera della liberazione; già si faceva assegnamentosulla sollevazione della intera lega belga, sull'assistenzadella Bretagna, sul concorso dei Germani d'oltre Reno.Cesare inviò Labieno con tutta la cavalleria sul Renoper tenere in freno l'agitata provincia belgica, e occor-rendo, per impedire ai Germani il passaggio del fiume;un altro dei suoi comandanti subalterni, Quinto TiturioSabino, marciò alla testa di tre legioni alla volta dellaNormandia dove si raccoglieva la massa principale degliinsorti.Ma il vero focolare dell'insurrezione era tra i forti ed in-telligenti Veneti; contro questi fu diretto il principale at-tacco per mare e per terra.La flotta composta dalle navi dei distretti vassalli celticie dalle galere costruite in tutta fretta nei cantieri dellaLoira ed equipaggiate con rematori della provincia nar-bonense, fu affidata al comandante subalterno Decimo

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si degli ufficiali romani, per farvi delle requisizioni difrumento, furono trattenuti come contro-ostaggi. Questoesempio fu subito seguìto non solo dai distretti armori-cani, ma anche dai cantoni marittimi belgi che erano an-cora rimasti liberi; dove, come avvenne in alcuni distret-ti della Normandia, il consiglio comunale si rifiutò diprendere parte alla insurrezione, e la moltitudine loscacciò e si unì con tanto maggiore zelo alla causa na-zionale.Tutta la costa dalla foce della Loira sino a quella delReno insorse contro Roma; i patriotti più risoluti giun-gevano da tutti i distretti celtici per concorrere alla gran-de opera della liberazione; già si faceva assegnamentosulla sollevazione della intera lega belga, sull'assistenzadella Bretagna, sul concorso dei Germani d'oltre Reno.Cesare inviò Labieno con tutta la cavalleria sul Renoper tenere in freno l'agitata provincia belgica, e occor-rendo, per impedire ai Germani il passaggio del fiume;un altro dei suoi comandanti subalterni, Quinto TiturioSabino, marciò alla testa di tre legioni alla volta dellaNormandia dove si raccoglieva la massa principale degliinsorti.Ma il vero focolare dell'insurrezione era tra i forti ed in-telligenti Veneti; contro questi fu diretto il principale at-tacco per mare e per terra.La flotta composta dalle navi dei distretti vassalli celticie dalle galere costruite in tutta fretta nei cantieri dellaLoira ed equipaggiate con rematori della provincia nar-bonense, fu affidata al comandante subalterno Decimo

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Bruto; Cesare stesso, col grosso della sua fanteria, entrònel territorio dei Veneti. Ma questi erano preparati edavevano approfittato con destrezza e con fermezza dellefavorevoli condizioni topografiche e dei vantaggi diun'importante forza navale.La campagna era spoglia e scarsa di frumento, le cittàquasi tutte poste sopra rocce o sopra lingue di terra ederano di difficile accesso dalla parte del continente; gra-vi difficoltà si presentavano per le sussistenze e per gliassedi ad un esercito che si approssimasse dalla parte diterra per attaccarle, mentre i Celti con le loro navi le po-tevano a loro agio provvedere di quanto occorreva e allapeggio effettuarne lo sgombro. Le legioni sprecavanonegli assedi delle città dei Veneti tempo e forze per ve-der alla fine sfumare sulle navi nemiche gli sperati fruttidella vittoria.Quando il naviglio romano, dopo essere stato a lungotrattenuto dalle tempeste alla foce della Loira, ebbe fi-nalmente raggiunte le coste della Bretagna, fu lasciata alsuo comandante la facoltà di decidere la lotta con unabattaglia navale.I Celti, consci della loro superiorità per mare, si avanza-rono colla flotta contro quella dei Romani comandata daBruto. Non solo la celtica contava duecentoventi navi,numero molto superiore a quello che i Romani avevanopotuto raccogliere, ma le sue navi a vela, costruite soli-damente con alti bordi e col fondo piatto, erano anchepiù adatte per resistere alle gigantesche onde dell'oceanoAtlantico, che non le basse galere a remi dei Romani,

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Bruto; Cesare stesso, col grosso della sua fanteria, entrònel territorio dei Veneti. Ma questi erano preparati edavevano approfittato con destrezza e con fermezza dellefavorevoli condizioni topografiche e dei vantaggi diun'importante forza navale.La campagna era spoglia e scarsa di frumento, le cittàquasi tutte poste sopra rocce o sopra lingue di terra ederano di difficile accesso dalla parte del continente; gra-vi difficoltà si presentavano per le sussistenze e per gliassedi ad un esercito che si approssimasse dalla parte diterra per attaccarle, mentre i Celti con le loro navi le po-tevano a loro agio provvedere di quanto occorreva e allapeggio effettuarne lo sgombro. Le legioni sprecavanonegli assedi delle città dei Veneti tempo e forze per ve-der alla fine sfumare sulle navi nemiche gli sperati fruttidella vittoria.Quando il naviglio romano, dopo essere stato a lungotrattenuto dalle tempeste alla foce della Loira, ebbe fi-nalmente raggiunte le coste della Bretagna, fu lasciata alsuo comandante la facoltà di decidere la lotta con unabattaglia navale.I Celti, consci della loro superiorità per mare, si avanza-rono colla flotta contro quella dei Romani comandata daBruto. Non solo la celtica contava duecentoventi navi,numero molto superiore a quello che i Romani avevanopotuto raccogliere, ma le sue navi a vela, costruite soli-damente con alti bordi e col fondo piatto, erano anchepiù adatte per resistere alle gigantesche onde dell'oceanoAtlantico, che non le basse galere a remi dei Romani,

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leggermente connesse e con chiglie acuminate.Nè i proiettili, nè i ponti d'arrembaggio dei Romani po-tevano arrivare alla coperta tanto elevata delle navi ne-miche e contro i forti tavoloni di quercia riuscivano inu-tili i cozzi dei rostri di ferro. Ma i marinai romani con leroncole assicurate a lunghe pertiche tagliavano i cavi coiquali i pennoni erano assicurati agli alberi; pennoni evele cadevano, e, non potendo subito rimediare ai danni,la nave diveniva inservibile; e allora con un attaccocombinato riusciva facilmente alle galere romane di im-padronirsi della impotente nave nemica.Quando i Galli si accorsero di questa manovra, tentaro-no di scostarsi dalla riva, dove avevano incominciato lalotta coi Romani, e di portarsi in alto mare, dove nonpotevano seguirli le galere romane; ma per loro malasorte, sopravvenne improvvisamente un'assoluta bonac-cia e la formidabile flotta, apparecchiata con tanti sacri-fici dai distretti marittimi, fu dai Romani quasi intera-mente distrutta.Questa battaglia navale – per quanto lo ricordi la storia,la più antica combattuta sull'oceano Atlantico – riuscìappunto, come duecento anni prima quella presso Mi-lazzo, non ostante le più avverse condizioni, in favoredei Romani per una fortunata trovata suggerita dalla ne-cessità. La conseguenza della vittoria riportata da Brutofu l'assoggettamento dei Veneti e di tutta la Bretagna.Dopo aver dato tante prove di clemenza a quelli che sierano sottomessi, Cesare, più per imporsi alla nazioneceltica con un esempio d'inesorabile severità contro

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leggermente connesse e con chiglie acuminate.Nè i proiettili, nè i ponti d'arrembaggio dei Romani po-tevano arrivare alla coperta tanto elevata delle navi ne-miche e contro i forti tavoloni di quercia riuscivano inu-tili i cozzi dei rostri di ferro. Ma i marinai romani con leroncole assicurate a lunghe pertiche tagliavano i cavi coiquali i pennoni erano assicurati agli alberi; pennoni evele cadevano, e, non potendo subito rimediare ai danni,la nave diveniva inservibile; e allora con un attaccocombinato riusciva facilmente alle galere romane di im-padronirsi della impotente nave nemica.Quando i Galli si accorsero di questa manovra, tentaro-no di scostarsi dalla riva, dove avevano incominciato lalotta coi Romani, e di portarsi in alto mare, dove nonpotevano seguirli le galere romane; ma per loro malasorte, sopravvenne improvvisamente un'assoluta bonac-cia e la formidabile flotta, apparecchiata con tanti sacri-fici dai distretti marittimi, fu dai Romani quasi intera-mente distrutta.Questa battaglia navale – per quanto lo ricordi la storia,la più antica combattuta sull'oceano Atlantico – riuscìappunto, come duecento anni prima quella presso Mi-lazzo, non ostante le più avverse condizioni, in favoredei Romani per una fortunata trovata suggerita dalla ne-cessità. La conseguenza della vittoria riportata da Brutofu l'assoggettamento dei Veneti e di tutta la Bretagna.Dopo aver dato tante prove di clemenza a quelli che sierano sottomessi, Cesare, più per imporsi alla nazioneceltica con un esempio d'inesorabile severità contro

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quelli che si ostinavano nella resistenza, che per punirela rottura del trattato e l'arresto degli ufficiali romani,fece mettere a morte tutto il consiglio comunale e ven-dere in schiavitù tutti i cittadini del distretto dei Veneti.Per questa tremenda sorte e per la loro intelligenza ed illoro patriottismo, i Veneti più di qualsiasi altro distrettodei Celti, si sono acquistati un titolo all'interessamentodella posterità.All'esercito degli stati del litorale raccolto sul canale,Sabino oppose la stessa tattica colla quale Cesare avevavinto l'esercito belga sull'Aisne; egli si tenne sulla difen-siva finchè nelle file dei nemici sopraggiunse l'impa-zienza e la fame, e seppe poi, ingannandole sullo spiritoe sulla forza delle proprie truppe e anzitutto per la loroimpazienza, attirarle a dare uno sconsiderato assalto alcampo romano e qui batterle; dopo di che le milizie sisparpagliarono e il paese sino alla Senna si sottomise.Solo i Morini e i Menapî perseveravano a non voler ri-conoscere la supremazia di Roma. Per costringerveliCesare comparve ai loro confini; ma edotti dall'espe-rienza dei loro compatriotti, essi evitarono la battagliasui confini e si ritirarono nelle foreste che allora dalleArdenne si estendevano quasi senza interruzione sino almare del nord.I Romani tentarono di aprirsi una via colla scure attra-verso queste foreste facendo servire le piante abbattute,accatastate dalle due parti della via, come barricate con-tro le eventuali sorprese nemiche; ma Cesare stesso, perquanto fosse temerario, dopo parecchi giorni di fatico-

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quelli che si ostinavano nella resistenza, che per punirela rottura del trattato e l'arresto degli ufficiali romani,fece mettere a morte tutto il consiglio comunale e ven-dere in schiavitù tutti i cittadini del distretto dei Veneti.Per questa tremenda sorte e per la loro intelligenza ed illoro patriottismo, i Veneti più di qualsiasi altro distrettodei Celti, si sono acquistati un titolo all'interessamentodella posterità.All'esercito degli stati del litorale raccolto sul canale,Sabino oppose la stessa tattica colla quale Cesare avevavinto l'esercito belga sull'Aisne; egli si tenne sulla difen-siva finchè nelle file dei nemici sopraggiunse l'impa-zienza e la fame, e seppe poi, ingannandole sullo spiritoe sulla forza delle proprie truppe e anzitutto per la loroimpazienza, attirarle a dare uno sconsiderato assalto alcampo romano e qui batterle; dopo di che le milizie sisparpagliarono e il paese sino alla Senna si sottomise.Solo i Morini e i Menapî perseveravano a non voler ri-conoscere la supremazia di Roma. Per costringerveliCesare comparve ai loro confini; ma edotti dall'espe-rienza dei loro compatriotti, essi evitarono la battagliasui confini e si ritirarono nelle foreste che allora dalleArdenne si estendevano quasi senza interruzione sino almare del nord.I Romani tentarono di aprirsi una via colla scure attra-verso queste foreste facendo servire le piante abbattute,accatastate dalle due parti della via, come barricate con-tro le eventuali sorprese nemiche; ma Cesare stesso, perquanto fosse temerario, dopo parecchi giorni di fatico-

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sissima marcia, meglio consigliato e anche perchè si an-dava approssimando l'inverno ordinò la ritirata nono-stante che fosse stata sottomessa solo una piccola partedei Morini e non si fossero potuti raggiungere i più for-midabili Menapî.L'anno dopo (699 = 55), mentre Cesare era occupatonella Bretagna, fu fatta di nuovo marciare contro questepopolazioni la maggior parte dell'esercito; ma anchequesta volta la spedizione non raggiunse il suo scopo.Tuttavia il risultato delle ultime campagne fu la quasitotale sottomissione della Gallia sotto il dominio dei Ro-mani.Se la Gallia centrale si era assoggettata senza difendersi,i distretti belgi furono obbligati a riconoscere la signoriaromana in seguito alla campagna del 697 = 57 e dopoquella dell'anno seguente lo furono i distretti marittimi.Le luminose speranze colle quali i patriotti celti avevanoiniziata l'ultima campagna, non si erano verificate in al-cun luogo. Nè Germani nè Bretoni erano venuti in loroaiuto, e nel Belgio bastò la presenza di Labieno per im-pedire che si rinnovassero le lotta dell'anno precedente.

33. Comunicazioni con l'Italia e la Spagna.

Mentre Cesare con la forza delle armi andavaestendendo lo stato romano in occidente coll'intento diformarne un tutto unito, pensava anche di aprire lecomunicazioni fra il territorio di nuova conquista,destinato a colmare la lacuna esistente tra l'Italia e la

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sissima marcia, meglio consigliato e anche perchè si an-dava approssimando l'inverno ordinò la ritirata nono-stante che fosse stata sottomessa solo una piccola partedei Morini e non si fossero potuti raggiungere i più for-midabili Menapî.L'anno dopo (699 = 55), mentre Cesare era occupatonella Bretagna, fu fatta di nuovo marciare contro questepopolazioni la maggior parte dell'esercito; ma anchequesta volta la spedizione non raggiunse il suo scopo.Tuttavia il risultato delle ultime campagne fu la quasitotale sottomissione della Gallia sotto il dominio dei Ro-mani.Se la Gallia centrale si era assoggettata senza difendersi,i distretti belgi furono obbligati a riconoscere la signoriaromana in seguito alla campagna del 697 = 57 e dopoquella dell'anno seguente lo furono i distretti marittimi.Le luminose speranze colle quali i patriotti celti avevanoiniziata l'ultima campagna, non si erano verificate in al-cun luogo. Nè Germani nè Bretoni erano venuti in loroaiuto, e nel Belgio bastò la presenza di Labieno per im-pedire che si rinnovassero le lotta dell'anno precedente.

33. Comunicazioni con l'Italia e la Spagna.

Mentre Cesare con la forza delle armi andavaestendendo lo stato romano in occidente coll'intento diformarne un tutto unito, pensava anche di aprire lecomunicazioni fra il territorio di nuova conquista,destinato a colmare la lacuna esistente tra l'Italia e la

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Spagna, e fra queste e quel territorio.Le comunicazioni tra l'Italia e la Gallia erano state gran-demente facilitate colla strada militare costrutta da Pom-peo nel 677 = 77 attraverso il Monginevro; ma ora chetutta la Gallia era soggetta ai Romani, occorreva unastrada che dalla val padana passasse attraverso la catenadelle Alpi in direzione nord e non verso occidente, unacomunicazione più corta tra l'Italia e la Gallia centrale.Il commercio si serviva da lungo tempo della via cheper il San Gottardo mette nel Vallese e al lago di Gine-vra. Per impadronirsi di questa via Cesare aveva sindall'autunno del 697 = 57 fatto occupare Ottoduro (Mar-tigny) da Servio Galba e ridurre gli abitanti del Vallesealla sottomissione, che per la valorosa difesa di questimontanari fu ritardata ma non impedita.Per ottenere poi le comunicazioni colla Spagna, l'annodopo fu mandato (698 = 56) nell'Aquitania Publio Cras-so coll'incarico di costringere le tribù iberiche colà stan-ziate a riconoscere la signoria romana.Il compito non era facile; gli Iberi si tenevano più unitidei Celti e sapevano meglio di costoro apprendere dailoro nemici. Le tribù d'oltre i Pirenei, specialmente i for-midabili Cantabri, inviarono delle truppe ai minacciatiloro compatriotti, accompagnate da ufficiali educati allascuola di Sertorio, i quali, per quanto fu possibile, inse-gnarono all'esercito aquitano, già rispettabile per nume-ro e valore, le massime fondamentali della tattica deiRomani, e specialmente l'arte di mettere il campo. Ma ildistinto ufficiale che comandava i Romani seppe vincere

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Spagna, e fra queste e quel territorio.Le comunicazioni tra l'Italia e la Gallia erano state gran-demente facilitate colla strada militare costrutta da Pom-peo nel 677 = 77 attraverso il Monginevro; ma ora chetutta la Gallia era soggetta ai Romani, occorreva unastrada che dalla val padana passasse attraverso la catenadelle Alpi in direzione nord e non verso occidente, unacomunicazione più corta tra l'Italia e la Gallia centrale.Il commercio si serviva da lungo tempo della via cheper il San Gottardo mette nel Vallese e al lago di Gine-vra. Per impadronirsi di questa via Cesare aveva sindall'autunno del 697 = 57 fatto occupare Ottoduro (Mar-tigny) da Servio Galba e ridurre gli abitanti del Vallesealla sottomissione, che per la valorosa difesa di questimontanari fu ritardata ma non impedita.Per ottenere poi le comunicazioni colla Spagna, l'annodopo fu mandato (698 = 56) nell'Aquitania Publio Cras-so coll'incarico di costringere le tribù iberiche colà stan-ziate a riconoscere la signoria romana.Il compito non era facile; gli Iberi si tenevano più unitidei Celti e sapevano meglio di costoro apprendere dailoro nemici. Le tribù d'oltre i Pirenei, specialmente i for-midabili Cantabri, inviarono delle truppe ai minacciatiloro compatriotti, accompagnate da ufficiali educati allascuola di Sertorio, i quali, per quanto fu possibile, inse-gnarono all'esercito aquitano, già rispettabile per nume-ro e valore, le massime fondamentali della tattica deiRomani, e specialmente l'arte di mettere il campo. Ma ildistinto ufficiale che comandava i Romani seppe vincere

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tutte le difficoltà e dopo alcune battaglie campali, forte-mente contese e felicemente vinte, ridusse alla obbe-dienza dei nuovi signori le popolazioni della Garonnasin presso i Pirenei.Uno degli scopi che Cesare si era prefisso, cioè la sotto-missione della Gallia, era stato raggiunto, forse conqualche piccolissima eccezione, per quanto si poteva ingenerale raggiungere colla spada. Ma l'altra metàdell'opera da lui incominciata era ben lontana dall'essereportata a fine, poichè non da per tutto i Germani eranostati obbligati a riconoscere il Reno come frontiera.

34. Cesare sulla destra del Reno.

Appunto nell'inverno del 698-9 = 56-55, si era fattaun'altra violazione di confini nel corso inferiore delfiume, là dove i Romani non erano ancora pervenuti. Letribù tedesche degli Usipeti e dei Tencteri, dei cuitentativi per passare il Reno nel paese dei Menapî già siparlò, avendo sorpresa la vigilanza dei loro avversaricon una finta ritirata, l'avevano passato colle barche deiMenapî; era un'immensa massa, che si vuole fareascendere, comprese le donne e i fanciulli, a 430.000persone.Essi erano ancora accampati nelle vicinanze di Nimegae di Clèves; ma correva voce che seguendo le esortazio-ni del partito patriottico dei Celti, pensassero di recarsinella Gallia interna, e questa voce venne accreditata dal-la notizia divulgatasi che le loro schiere a cavallo scor-

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tutte le difficoltà e dopo alcune battaglie campali, forte-mente contese e felicemente vinte, ridusse alla obbe-dienza dei nuovi signori le popolazioni della Garonnasin presso i Pirenei.Uno degli scopi che Cesare si era prefisso, cioè la sotto-missione della Gallia, era stato raggiunto, forse conqualche piccolissima eccezione, per quanto si poteva ingenerale raggiungere colla spada. Ma l'altra metàdell'opera da lui incominciata era ben lontana dall'essereportata a fine, poichè non da per tutto i Germani eranostati obbligati a riconoscere il Reno come frontiera.

34. Cesare sulla destra del Reno.

Appunto nell'inverno del 698-9 = 56-55, si era fattaun'altra violazione di confini nel corso inferiore delfiume, là dove i Romani non erano ancora pervenuti. Letribù tedesche degli Usipeti e dei Tencteri, dei cuitentativi per passare il Reno nel paese dei Menapî già siparlò, avendo sorpresa la vigilanza dei loro avversaricon una finta ritirata, l'avevano passato colle barche deiMenapî; era un'immensa massa, che si vuole fareascendere, comprese le donne e i fanciulli, a 430.000persone.Essi erano ancora accampati nelle vicinanze di Nimegae di Clèves; ma correva voce che seguendo le esortazio-ni del partito patriottico dei Celti, pensassero di recarsinella Gallia interna, e questa voce venne accreditata dal-la notizia divulgatasi che le loro schiere a cavallo scor-

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ressero già fino ai confini dei Treviriani.Ma quando Cesare alla testa delle sue legioni si feceloro innanzi, i tribolati emigrati non apparvero desidero-si di nuovi combattimenti, ma disposti ad accettare vo-lentieri il terreno che i Romani avrebbero loro assegnatoper lavorare pacificamente sotto la loro supremazia.Mentre si facevano le relative trattative, nacque nel su-premo duce romano il sospetto che i Germani volesserosolo guadagnar tempo sino al ritorno delle schiere di ca-valleria da essi allontanate.Se questo sospetto fosse fondato o no, non lo si puòdire; ma confermato in quell'idea da una aggressionefatta, nonostante l'armistizio, da una schiera nemicacontro l'avanguardia, e irritato da una sensibile perditasubìta, Cesare si credette autorizzato a passare sopra aqualsiasi riguardo del diritto delle genti. Quando il gior-no dopo i principi ed i seniori dei Germani vennero nelcampo dei Romani per chiedere scusa dell'aggressionefatta a loro insaputa, essi furono arrestati e la massa, ri-masta senza i suoi capi, senza alcun avviso fu repentina-mente attaccata dall'esercito romano. Fu più un macelloche una battaglia; quelli che non perirono sotto il ferrodei Romani furono inghiottiti dal Reno; le sole divisio-ni, che si trovavano staccate dal luogo del combattimen-to quando questo incominciò, si sottrassero al bagno disangue e riuscirono a ripassare il Reno, ottenendo daiSicambri un asilo nel loro territorio, forse sulle rive del-la Lippe.Il procedimento di Cesare contro questi immigrati ger-

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ressero già fino ai confini dei Treviriani.Ma quando Cesare alla testa delle sue legioni si feceloro innanzi, i tribolati emigrati non apparvero desidero-si di nuovi combattimenti, ma disposti ad accettare vo-lentieri il terreno che i Romani avrebbero loro assegnatoper lavorare pacificamente sotto la loro supremazia.Mentre si facevano le relative trattative, nacque nel su-premo duce romano il sospetto che i Germani volesserosolo guadagnar tempo sino al ritorno delle schiere di ca-valleria da essi allontanate.Se questo sospetto fosse fondato o no, non lo si puòdire; ma confermato in quell'idea da una aggressionefatta, nonostante l'armistizio, da una schiera nemicacontro l'avanguardia, e irritato da una sensibile perditasubìta, Cesare si credette autorizzato a passare sopra aqualsiasi riguardo del diritto delle genti. Quando il gior-no dopo i principi ed i seniori dei Germani vennero nelcampo dei Romani per chiedere scusa dell'aggressionefatta a loro insaputa, essi furono arrestati e la massa, ri-masta senza i suoi capi, senza alcun avviso fu repentina-mente attaccata dall'esercito romano. Fu più un macelloche una battaglia; quelli che non perirono sotto il ferrodei Romani furono inghiottiti dal Reno; le sole divisio-ni, che si trovavano staccate dal luogo del combattimen-to quando questo incominciò, si sottrassero al bagno disangue e riuscirono a ripassare il Reno, ottenendo daiSicambri un asilo nel loro territorio, forse sulle rive del-la Lippe.Il procedimento di Cesare contro questi immigrati ger-

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manici fu dal senato severamente e giustamente biasi-mato; ma sebbene non lo si possa scusare, esso miseuno spaventoso freno ai tentativi dei Germani.Tuttavia Cesare giudicò necessario fare un altro passo econdurre le legioni oltre il Reno. Là, egli, non mancavadi relazioni. Nel grado di civiltà in cui allora si trovava-no i Tedeschi, mancava loro ancora ogni compattezzanazionale; non erano affatto inferiori ai Celti nelle divi-sioni politiche, sebbene ciò avvenisse per cause diverse.Gli Ubi (stanziati sul Sieg e sul Lahn) la più civile fra letribù germaniche, erano stati da poco vinti e resi tributa-ri da un potente distretto svevo dell'interno, e sin dal697 = 57 avevano mandato ambasciatori a Cesare pre-gandolo anch'essi, come i Galli, di liberarli dalla signo-ria sveva.Non era intenzione di Cesare di aderire seriamente aquesta richiesta, che l'avrebbe trascinato in imprese sen-za fine; ma gli sembrò conveniente, per impedire che learmi tedesche passassero il Reno, almeno di mostrare leromane oltre di esso. L'aiuto che avevano trovato pressoi Sicambri gli Usipeti ed i Tencteri, offrì un'occasioneopportuna.Cesare fece gettare un ponte, su palafitte, come pare, nelterritorio fra Coblenza e Andernach e condusse le suelegioni dal territorio dei Treviriani in quello degli Ubi.Alcuni distretti minori si sottomisero; ma i Sicambri,contro i quali era diretta specialmente la spedizione, siritrassero all'avvicinarsi dell'esercito romano nell'internodel paese conducendovi i loro protetti. Nello stesso

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manici fu dal senato severamente e giustamente biasi-mato; ma sebbene non lo si possa scusare, esso miseuno spaventoso freno ai tentativi dei Germani.Tuttavia Cesare giudicò necessario fare un altro passo econdurre le legioni oltre il Reno. Là, egli, non mancavadi relazioni. Nel grado di civiltà in cui allora si trovava-no i Tedeschi, mancava loro ancora ogni compattezzanazionale; non erano affatto inferiori ai Celti nelle divi-sioni politiche, sebbene ciò avvenisse per cause diverse.Gli Ubi (stanziati sul Sieg e sul Lahn) la più civile fra letribù germaniche, erano stati da poco vinti e resi tributa-ri da un potente distretto svevo dell'interno, e sin dal697 = 57 avevano mandato ambasciatori a Cesare pre-gandolo anch'essi, come i Galli, di liberarli dalla signo-ria sveva.Non era intenzione di Cesare di aderire seriamente aquesta richiesta, che l'avrebbe trascinato in imprese sen-za fine; ma gli sembrò conveniente, per impedire che learmi tedesche passassero il Reno, almeno di mostrare leromane oltre di esso. L'aiuto che avevano trovato pressoi Sicambri gli Usipeti ed i Tencteri, offrì un'occasioneopportuna.Cesare fece gettare un ponte, su palafitte, come pare, nelterritorio fra Coblenza e Andernach e condusse le suelegioni dal territorio dei Treviriani in quello degli Ubi.Alcuni distretti minori si sottomisero; ma i Sicambri,contro i quali era diretta specialmente la spedizione, siritrassero all'avvicinarsi dell'esercito romano nell'internodel paese conducendovi i loro protetti. Nello stesso

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modo il potente distretto svevo che opprimeva gli Ubi,probabilmente quello che compare sotto il nome di Cat-ti, fece sgombrare i distretti confinanti col territorio de-gli Ubi e mettere al sicuro tutta la popolazione imbelle,mentre dispose che tutti i capaci di portare armi si adu-nassero nel centro del distretto.Il duce romano non aveva nè motivo nè voglia di racco-gliere questa sfida; il suo scopo di fare una ricognizione,e col passaggio del Reno di imporsi possibilmente aiGermani, e almeno ai Celti ed agli abitanti di quellecontrade, era in massima raggiunto; dopo diciotto giornidi permanenza sulla destra del Reno ritornò nella Galliae ruppe il ponte sul Reno dietro di sè (699 = 55).

35. Spedizione nella Bretagna.

Rimanevano i Celti isolani. Dati gli intimi rapporti,esistenti tra costoro ed i Celti di terraferma, especialmente quelli dei distretti marittimi, è facilecomprendere come essi, almeno colle loro simpatie,avessero preso parte alla resistenza nazionale, e come,non potendo venire in aiuto dei compatrioti con le armi,avessero accordato a chi non trovava più sicurezza inpatria, un onorevole asilo nella loro isola protetta dalmare.Questo tratto di pietà, se non pel momento, almeno perl'avvenire, aveva certo dei pericoli; sembrava conve-niente, se non l'imprendere il soggiogamento dell'isolastessa, di sostenere anche qui la difesa passando

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modo il potente distretto svevo che opprimeva gli Ubi,probabilmente quello che compare sotto il nome di Cat-ti, fece sgombrare i distretti confinanti col territorio de-gli Ubi e mettere al sicuro tutta la popolazione imbelle,mentre dispose che tutti i capaci di portare armi si adu-nassero nel centro del distretto.Il duce romano non aveva nè motivo nè voglia di racco-gliere questa sfida; il suo scopo di fare una ricognizione,e col passaggio del Reno di imporsi possibilmente aiGermani, e almeno ai Celti ed agli abitanti di quellecontrade, era in massima raggiunto; dopo diciotto giornidi permanenza sulla destra del Reno ritornò nella Galliae ruppe il ponte sul Reno dietro di sè (699 = 55).

35. Spedizione nella Bretagna.

Rimanevano i Celti isolani. Dati gli intimi rapporti,esistenti tra costoro ed i Celti di terraferma, especialmente quelli dei distretti marittimi, è facilecomprendere come essi, almeno colle loro simpatie,avessero preso parte alla resistenza nazionale, e come,non potendo venire in aiuto dei compatrioti con le armi,avessero accordato a chi non trovava più sicurezza inpatria, un onorevole asilo nella loro isola protetta dalmare.Questo tratto di pietà, se non pel momento, almeno perl'avvenire, aveva certo dei pericoli; sembrava conve-niente, se non l'imprendere il soggiogamento dell'isolastessa, di sostenere anche qui la difesa passando

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all'offensiva e di far sentire agli isolani, con uno sbarcosulle loro coste, che il braccio dei Romani arrivava an-che oltre la Manica.Il primo ufficiale romano che aveva messo il piede sulsuolo della Bretagna, Publio Crasso, si era già recato(697 = 57) alle «isole dello stagno», che sorgonoall'estremità sud-ovest dell'Inghilterra (isole Scilly);nell'estate del 699 = 55 Cesare stesso passò con duelegioni la Manica dove è più breve il tragitto47. Egli

47 Che i traghetti di Cesare nella Britannia avvenissero dai portiposti sulla costa da Calais a Boulogne, approdando sulla costa delKent, è naturale e Cesare stesso lo dice. Fu spesso tentato diindicare i luoghi con maggiore precisione, ma sempre invano. Latradizione dice soltanto che nel primo traghetto la fanteria siimbarcò in un porto, la cavalleria in un altro ad otto miglia didistanza dal primo verso oriente e che la seconda spedizione partìda quello fra questi due porti, che Cesare aveva trovato piùcomodo, dal porto Itico (del quale non si parla altrove) distantedalla costa britannica (secondo gli scritti di CESARE, 5, 2) 30 o 40miglia (=320 stadii, secondo STRABONE, 4, 5, 2, che attinsecertamente da Cesare).Dalle parole di CESARE (4, 21), che egli aveva scelto «il tragitto più corto», si

può ragionevolmente credere, che egli non abbia attraversato la Manica,ma il passo di Calais, ma non su questo abbia tracciata la lineamatematicamente più corta. Ci vuole la fede ispirata dai topografi locali,per tentare di fissare i luoghi coll'aiuto di simili indicazioni, nelle quali ciòche vi era di meglio riesce quasi inservibile per incerta tradizione dellecifre; ma fra le molte possibilità pare che debba prevalere quella, che ilporto Itico (che già Strabone altrove, probabilmente con esattezza,identifica con quello donde, nella prima spedizione, partì la fanteria) fossesituato presso Ambleteuse, all'occidente del capo di Gris Nez, il porto ovefu imbarcata la cavalleria presso Ecale (Wissant) all'oriente del primocapo, e che l'approdo abbia avuto luogo all'oriente di Douvres pressoWalmercastle.

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all'offensiva e di far sentire agli isolani, con uno sbarcosulle loro coste, che il braccio dei Romani arrivava an-che oltre la Manica.Il primo ufficiale romano che aveva messo il piede sulsuolo della Bretagna, Publio Crasso, si era già recato(697 = 57) alle «isole dello stagno», che sorgonoall'estremità sud-ovest dell'Inghilterra (isole Scilly);nell'estate del 699 = 55 Cesare stesso passò con duelegioni la Manica dove è più breve il tragitto47. Egli

47 Che i traghetti di Cesare nella Britannia avvenissero dai portiposti sulla costa da Calais a Boulogne, approdando sulla costa delKent, è naturale e Cesare stesso lo dice. Fu spesso tentato diindicare i luoghi con maggiore precisione, ma sempre invano. Latradizione dice soltanto che nel primo traghetto la fanteria siimbarcò in un porto, la cavalleria in un altro ad otto miglia didistanza dal primo verso oriente e che la seconda spedizione partìda quello fra questi due porti, che Cesare aveva trovato piùcomodo, dal porto Itico (del quale non si parla altrove) distantedalla costa britannica (secondo gli scritti di CESARE, 5, 2) 30 o 40miglia (=320 stadii, secondo STRABONE, 4, 5, 2, che attinsecertamente da Cesare).Dalle parole di CESARE (4, 21), che egli aveva scelto «il tragitto più corto», si

può ragionevolmente credere, che egli non abbia attraversato la Manica,ma il passo di Calais, ma non su questo abbia tracciata la lineamatematicamente più corta. Ci vuole la fede ispirata dai topografi locali,per tentare di fissare i luoghi coll'aiuto di simili indicazioni, nelle quali ciòche vi era di meglio riesce quasi inservibile per incerta tradizione dellecifre; ma fra le molte possibilità pare che debba prevalere quella, che ilporto Itico (che già Strabone altrove, probabilmente con esattezza,identifica con quello donde, nella prima spedizione, partì la fanteria) fossesituato presso Ambleteuse, all'occidente del capo di Gris Nez, il porto ovefu imbarcata la cavalleria presso Ecale (Wissant) all'oriente del primocapo, e che l'approdo abbia avuto luogo all'oriente di Douvres pressoWalmercastle.

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trovò la riva guarnita di truppe nemiche e veleggiò oltre;ma i carri di guerra britannici correvano veloci per terracome le galere romane sul mare e ai soldati romani nonriuscì che colla massima difficoltà e sotto la protezionedelle navi da guerra che tenevano sgombra la costa collebaliste e colle fionde, di guadagnare la riva sotto gliocchi dei nemici, parte a guado parte in battelli.Al primo spavento i più prossimi villaggi si sottomisero;ma subito gli isolani si accorsero come il nemico fossedebole e come non osasse spostarsi dalla riva. Gli indi-geni scomparvero ritirandosi nell'interno e non ritorna-rono che per minacciare il campo dei Romani; la flottapoi, che questi avevano lasciato nella rada aperta, avevasofferto gravissime avarie dalla prima procella soprag-giunta.I Romani dovettero dirsi fortunati di respingere gli at-tacchi dei barbari finchè le navi non fossero alla meglioriparate e di raggiungere con esse di nuovo la costa gal-lica ancor prima che cominciasse la cattiva stagione.Cesare stesso era così malcontento dei risultati di questaspedizione intrapresa con tanta leggerezza e con mezzicosì insufficienti, che fece subito (inverno 699-700 =55-4) allestire una flotta da trasporto di 800 vele, e nellaprimavera del 700 = 54 alla testa di cinque legioni e di2000 cavalieri salpò una seconda volta verso le coste delKent.Alla vista di questa grande flotta, anche questa volta laforza armata dei Britanni, radunata sulla costa senzaosare di cimentarsi in una battaglia si ritrasse; Cesare si

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trovò la riva guarnita di truppe nemiche e veleggiò oltre;ma i carri di guerra britannici correvano veloci per terracome le galere romane sul mare e ai soldati romani nonriuscì che colla massima difficoltà e sotto la protezionedelle navi da guerra che tenevano sgombra la costa collebaliste e colle fionde, di guadagnare la riva sotto gliocchi dei nemici, parte a guado parte in battelli.Al primo spavento i più prossimi villaggi si sottomisero;ma subito gli isolani si accorsero come il nemico fossedebole e come non osasse spostarsi dalla riva. Gli indi-geni scomparvero ritirandosi nell'interno e non ritorna-rono che per minacciare il campo dei Romani; la flottapoi, che questi avevano lasciato nella rada aperta, avevasofferto gravissime avarie dalla prima procella soprag-giunta.I Romani dovettero dirsi fortunati di respingere gli at-tacchi dei barbari finchè le navi non fossero alla meglioriparate e di raggiungere con esse di nuovo la costa gal-lica ancor prima che cominciasse la cattiva stagione.Cesare stesso era così malcontento dei risultati di questaspedizione intrapresa con tanta leggerezza e con mezzicosì insufficienti, che fece subito (inverno 699-700 =55-4) allestire una flotta da trasporto di 800 vele, e nellaprimavera del 700 = 54 alla testa di cinque legioni e di2000 cavalieri salpò una seconda volta verso le coste delKent.Alla vista di questa grande flotta, anche questa volta laforza armata dei Britanni, radunata sulla costa senzaosare di cimentarsi in una battaglia si ritrasse; Cesare si

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mise subito in marcia per l'interno dell'isola e dopo alcu-ni felici combattimenti passò il fiume Stour; ma dovettecon suo grandissimo dispiacere sospendere la marcia,perchè la flotta lasciata nella rada aperta era stata dinuovo mezzo distrutta dalle tempeste sopraggiunte nellaManica.Prima che le navi fossero tirate a secco e che fosserodate le necessarie disposizioni per le riparazioni passòun tempo prezioso, del quale i Celti seppero saviamentetrarre partito.Il valoroso ed avveduto principe Cassivellauno, che si-gnoreggiava nell'odierna contea del Middlesex e paesivicini – in passato terrore dei Celti, al mezzodì del Ta-migi, ora rifugio e sostegno di tutta la nazione – si eramesso alla testa di tutte le forze armate per la difesa delpaese.Egli si avvide presto che la fanteria celtica era assoluta-mente nulla di fronte alla romana, e che la leva in mas-sa, oltre la grave spesa del mantenimento e la difficoltàdi tenerla in freno, non riusciva che d'impedimento perla difesa; perciò la licenziò e conservò solo i carri daguerra che raccolse in numero di 4000 e i relativi com-battenti, i quali, addestrati a scendere d'un salto dai carrie a battersi anche a piedi come la cavalleria cittadinadell'antica Roma, potevano servire in due modi.Quando Cesare fu in grado di continuare la sua marcia,non trovò in nessun luogo degli ostacoli; ma i carri daguerra dei Britanni precedevano e passavano continua-mente a fianco dell'esercito romano, tenevano sgombra-

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mise subito in marcia per l'interno dell'isola e dopo alcu-ni felici combattimenti passò il fiume Stour; ma dovettecon suo grandissimo dispiacere sospendere la marcia,perchè la flotta lasciata nella rada aperta era stata dinuovo mezzo distrutta dalle tempeste sopraggiunte nellaManica.Prima che le navi fossero tirate a secco e che fosserodate le necessarie disposizioni per le riparazioni passòun tempo prezioso, del quale i Celti seppero saviamentetrarre partito.Il valoroso ed avveduto principe Cassivellauno, che si-gnoreggiava nell'odierna contea del Middlesex e paesivicini – in passato terrore dei Celti, al mezzodì del Ta-migi, ora rifugio e sostegno di tutta la nazione – si eramesso alla testa di tutte le forze armate per la difesa delpaese.Egli si avvide presto che la fanteria celtica era assoluta-mente nulla di fronte alla romana, e che la leva in mas-sa, oltre la grave spesa del mantenimento e la difficoltàdi tenerla in freno, non riusciva che d'impedimento perla difesa; perciò la licenziò e conservò solo i carri daguerra che raccolse in numero di 4000 e i relativi com-battenti, i quali, addestrati a scendere d'un salto dai carrie a battersi anche a piedi come la cavalleria cittadinadell'antica Roma, potevano servire in due modi.Quando Cesare fu in grado di continuare la sua marcia,non trovò in nessun luogo degli ostacoli; ma i carri daguerra dei Britanni precedevano e passavano continua-mente a fianco dell'esercito romano, tenevano sgombra-

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to il paese – il che per la mancanza di città non era diffi-cile ad ottenersi – impedivano che venissero dai Romanidistaccate le truppe e minacciavano le comunicazioni.I Romani passarono il Tamigi – pare tra Kingston eBrentford –; si andava innanzi ma non si facevano veriprogressi; il generale non vinceva alcuna battaglia, ilsoldato non faceva bottino, e l'unico vero risultato, lasottomissione dei Trinobanti nell'odierno Essex, era pro-dotto meno, dalla loro paura di fronte al Romani, chedal profondo odio di questo distretto verso Cassivellau-no.Ad ogni passo il pericolo si faceva maggiore e l'attaccofatto dai principi del Kent per disposizione di Cassivel-launo contro la stazione della flotta romana, sebbenefosse stato respinto, ammoniva seriamente alla ritirata.La presa d'assalto di una trincea di piante abbattute, cheprocurò ai Romani una quantità di bestiame, fornì perl'inutile avanzata una meta soddisfacente, e un discretopretesto per tornare indietro. Ed anche Cassivellauno eraabbastanza avveduto per non spingere agli estremi il pe-ricoloso nemico e promise, su richiesta di Cesare, di nonmolestare i Trinobanti, di pagare un tributo e di dareostaggi; non si parlò di consegna d'armi, nè di presidîromani, ed anche le promesse fatte per l'avvenire, nonfurono probabilmente nè date nè ricevute seriamente.Dopo ricevuti gli ostaggi Cesare fece ritorno alla stazio-ne navale e salpò per la Gallia. Se ad ogni modo egli,come sembra, aveva sperato di soggiogare questa voltala Britannia, questo piano era andato del tutto fallito, sia

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to il paese – il che per la mancanza di città non era diffi-cile ad ottenersi – impedivano che venissero dai Romanidistaccate le truppe e minacciavano le comunicazioni.I Romani passarono il Tamigi – pare tra Kingston eBrentford –; si andava innanzi ma non si facevano veriprogressi; il generale non vinceva alcuna battaglia, ilsoldato non faceva bottino, e l'unico vero risultato, lasottomissione dei Trinobanti nell'odierno Essex, era pro-dotto meno, dalla loro paura di fronte al Romani, chedal profondo odio di questo distretto verso Cassivellau-no.Ad ogni passo il pericolo si faceva maggiore e l'attaccofatto dai principi del Kent per disposizione di Cassivel-launo contro la stazione della flotta romana, sebbenefosse stato respinto, ammoniva seriamente alla ritirata.La presa d'assalto di una trincea di piante abbattute, cheprocurò ai Romani una quantità di bestiame, fornì perl'inutile avanzata una meta soddisfacente, e un discretopretesto per tornare indietro. Ed anche Cassivellauno eraabbastanza avveduto per non spingere agli estremi il pe-ricoloso nemico e promise, su richiesta di Cesare, di nonmolestare i Trinobanti, di pagare un tributo e di dareostaggi; non si parlò di consegna d'armi, nè di presidîromani, ed anche le promesse fatte per l'avvenire, nonfurono probabilmente nè date nè ricevute seriamente.Dopo ricevuti gli ostaggi Cesare fece ritorno alla stazio-ne navale e salpò per la Gallia. Se ad ogni modo egli,come sembra, aveva sperato di soggiogare questa voltala Britannia, questo piano era andato del tutto fallito, sia

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per l'accorto sistema di difesa di Cassivellauno, sia, eanzitutto, per l'inservibilità delle navi a remi dei Romaninel mare del nord; è poi certo che in quanto al tributopattuito, esso non fu mai pagato. Ma pare che fosse rag-giunto lo scopo immediato, quello di togliere i Celti iso-lani dall'arrogante loro sicurezza e di indurli, nel propriointeresse, a non tollerare più a lungo che la loro isolaservisse di focolare all'emigrazione della terra ferma; al-meno d'allora in poi non si udirono più lamenti per talepatrocinio.

36. Congiure e insurrezioni.

L'invasione germanica era stata respinta e i Celticontinentali erano stati soggiogati. Ma avviene spessoche sia più facile sottomettere una nazione libera chenon tenerne in ubbidienza una soggiogata.La rivalità per l'egemonia, per la quale, più che per learmi romane, soccombette la nazione celtica, era statatolta di mezzo colla conquista, perchè il conquistatorepretendeva l'egemonia per proprio conto.Gli interessi particolari tacevano; sotto la pressione co-mune i Celti si sentivano ancora un popolo, e il pregioimmenso che si era posseduto ed era stato perduto conindifferenza, la libertà e la nazionalità, veniva adesso,benchè troppo tardi, manifestato dalla immensa bramadi riacquistarlo. Ma era forse troppo tardi! Pieni d'ira edi vergogna essi dovevano confessare che una nazione,che contava almeno un milione di uomini atti a portare

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per l'accorto sistema di difesa di Cassivellauno, sia, eanzitutto, per l'inservibilità delle navi a remi dei Romaninel mare del nord; è poi certo che in quanto al tributopattuito, esso non fu mai pagato. Ma pare che fosse rag-giunto lo scopo immediato, quello di togliere i Celti iso-lani dall'arrogante loro sicurezza e di indurli, nel propriointeresse, a non tollerare più a lungo che la loro isolaservisse di focolare all'emigrazione della terra ferma; al-meno d'allora in poi non si udirono più lamenti per talepatrocinio.

36. Congiure e insurrezioni.

L'invasione germanica era stata respinta e i Celticontinentali erano stati soggiogati. Ma avviene spessoche sia più facile sottomettere una nazione libera chenon tenerne in ubbidienza una soggiogata.La rivalità per l'egemonia, per la quale, più che per learmi romane, soccombette la nazione celtica, era statatolta di mezzo colla conquista, perchè il conquistatorepretendeva l'egemonia per proprio conto.Gli interessi particolari tacevano; sotto la pressione co-mune i Celti si sentivano ancora un popolo, e il pregioimmenso che si era posseduto ed era stato perduto conindifferenza, la libertà e la nazionalità, veniva adesso,benchè troppo tardi, manifestato dalla immensa bramadi riacquistarlo. Ma era forse troppo tardi! Pieni d'ira edi vergogna essi dovevano confessare che una nazione,che contava almeno un milione di uomini atti a portare

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le armi, una nazione di antica e ben meritata fama mili-tare si era lasciato imporre il giogo da 50.000 Romani alpiù.L'assoggettamento della federazione della media Galliasenza che essa avesse tentata la minima opposizione,quello della lega belga che non aveva fatto di più chemostrare la volontà di combattere; e all'opposto l'eroicacaduta dei Nervi e dei Veneti, la prudente e felice resi-stenza dei Morini e dei Britanni sotto Cassivellauno, tut-to ciò che isolatamente si era trascurato e si era fatto, ciòche era andato a male, e ciò che era stato raggiunto,spronava gli animi dei patriotti a fare dei nuovi tentativipossibilmente con maggior armonia e con maggior ef-fetto.Regnava specialmente fra la nobiltà celtica un fermentoche minacciava di voler prorompere ad ogni istante inuna grande sollevazione generale. Già prima della se-conda discesa nella Britannia, avvenuta nella primaveradel 700 = 54, Cesare aveva creduto necessario recarsi inpersona presso i Treviriani, i quali dopo essersi compro-messi nella battaglia dei Nervi nel 697 = 57 non eranopiù comparsi alle diete generali ed avevano contratto coiGermani d'oltre Reno relazioni più che sospette.Allora Cesare s'era contentato di condurre con sè nellaBritannia, col contingente di cavalleria dei Treviriani, ipiù ragguardevoli uomini del partito patriottico e spe-cialmente Induziomaro; egli fece quanto era possibileper non accorgersi della congiura perchè le misure di ri-gore non la facessero volgere in insurrezione.

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le armi, una nazione di antica e ben meritata fama mili-tare si era lasciato imporre il giogo da 50.000 Romani alpiù.L'assoggettamento della federazione della media Galliasenza che essa avesse tentata la minima opposizione,quello della lega belga che non aveva fatto di più chemostrare la volontà di combattere; e all'opposto l'eroicacaduta dei Nervi e dei Veneti, la prudente e felice resi-stenza dei Morini e dei Britanni sotto Cassivellauno, tut-to ciò che isolatamente si era trascurato e si era fatto, ciòche era andato a male, e ciò che era stato raggiunto,spronava gli animi dei patriotti a fare dei nuovi tentativipossibilmente con maggior armonia e con maggior ef-fetto.Regnava specialmente fra la nobiltà celtica un fermentoche minacciava di voler prorompere ad ogni istante inuna grande sollevazione generale. Già prima della se-conda discesa nella Britannia, avvenuta nella primaveradel 700 = 54, Cesare aveva creduto necessario recarsi inpersona presso i Treviriani, i quali dopo essersi compro-messi nella battaglia dei Nervi nel 697 = 57 non eranopiù comparsi alle diete generali ed avevano contratto coiGermani d'oltre Reno relazioni più che sospette.Allora Cesare s'era contentato di condurre con sè nellaBritannia, col contingente di cavalleria dei Treviriani, ipiù ragguardevoli uomini del partito patriottico e spe-cialmente Induziomaro; egli fece quanto era possibileper non accorgersi della congiura perchè le misure di ri-gore non la facessero volgere in insurrezione.

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Ma quando l'eduo Dumnorige, che di nome era addettoall'esercito destinato a far vela per la Britannia come uf-ficiale di cavalleria, ma che in sostanza vi era comeostaggio, rifiutò assolutamente d'imbarcarsi e invece sene andò a casa, Cesare non potè fare a meno di dichia-rarlo disertore. Lo fece inseguire da un distaccamento,ed essendosi egli difeso, fu fatto a pezzi (700 = 54).La notizia che il più valoroso cavaliere del più potente emeno dipendente distretto celtico era stato ucciso daiRomani, fu come un colpo di fulmine per tutta la nobiltàceltica; tutti quelli che erano animati dagli stessi senti-menti – e di questi si componeva la immensa maggio-ranza – vedevano in quella catastrofe l'immagine diquanto loro sovrastava.Se il patriottismo e la disperazione avevano spinto i capidella nobiltà celtica a congiurare, ora il timore e la ne-cessità della propria difesa decisero i congiurati ad in-sorgere.Nell'inverno del 700-701 = 54-53 ad eccezione di unalegione che stanziava nella Bretagna e d'un'altra inviatanell'irrequietissimo distretto dei Carnuti (presso Char-tres), tutto l'esercito romano composto di sei legioni sitrovava accampato sul territorio belga.La scarsezza delle provvigioni di frumento avevasuggerito a Cesare, contro la sua abitudine, di separarele sue truppe e di accamparle nei sei distretti deiBellovaci, degli Ambiani, dei Morini, dei Nervi, deiRemi e degli Eburoni. Il campo più distante di tutti,posto verso oriente nel territorio degli Eburoni,

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Ma quando l'eduo Dumnorige, che di nome era addettoall'esercito destinato a far vela per la Britannia come uf-ficiale di cavalleria, ma che in sostanza vi era comeostaggio, rifiutò assolutamente d'imbarcarsi e invece sene andò a casa, Cesare non potè fare a meno di dichia-rarlo disertore. Lo fece inseguire da un distaccamento,ed essendosi egli difeso, fu fatto a pezzi (700 = 54).La notizia che il più valoroso cavaliere del più potente emeno dipendente distretto celtico era stato ucciso daiRomani, fu come un colpo di fulmine per tutta la nobiltàceltica; tutti quelli che erano animati dagli stessi senti-menti – e di questi si componeva la immensa maggio-ranza – vedevano in quella catastrofe l'immagine diquanto loro sovrastava.Se il patriottismo e la disperazione avevano spinto i capidella nobiltà celtica a congiurare, ora il timore e la ne-cessità della propria difesa decisero i congiurati ad in-sorgere.Nell'inverno del 700-701 = 54-53 ad eccezione di unalegione che stanziava nella Bretagna e d'un'altra inviatanell'irrequietissimo distretto dei Carnuti (presso Char-tres), tutto l'esercito romano composto di sei legioni sitrovava accampato sul territorio belga.La scarsezza delle provvigioni di frumento avevasuggerito a Cesare, contro la sua abitudine, di separarele sue truppe e di accamparle nei sei distretti deiBellovaci, degli Ambiani, dei Morini, dei Nervi, deiRemi e degli Eburoni. Il campo più distante di tutti,posto verso oriente nel territorio degli Eburoni,

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probabilmente non lungi dall'Aduatuca interna (l'odiernaTongres), il più forte, formato da una legione comandatada uno dei più distinti aiutanti di Cesare, Quinto TiturioSabino, e da molti distaccamenti capitanati dal valorosoLucio Aurunculeio Cotta48, della complessiva forza diuna mezza legione, si vide repentinamente circondatodalla leva in massa degli Eburoni comandati dai reAmbiorige e Catuvolco.L'assalto fu così inaspettato che i soldati, che in quelmomento erano assenti dal campo, non poterono essererichiamati e furono presi dai nemici. Però il pericolonon era così grave, poichè vi erano provviste sufficientie l'attacco tentato dagli Eburoni era rimasto senza effet-to e si era infranto impotente contro le trincee romane.Ma il re Ambiorige fece dire al comandante romano chetutti i campi dei Romani nella Gallia dovevano esserenello stesso giorno assaliti e che i Romani erano irre-missibilmente perduti, se i corpi staccati non si concen-travano con tutta celerità; che Sabino dovesse tanto più

48 Che Cotta, benchè luogotenente di Sabino ma legato come lui, fossetuttavia generale di più recente data e meno ragguardevole, e che nel casodi una divergenza egli dovesse cedere all'altro, risulta tanto dalleprecedenti prestazioni di Sabino, quanto dalla circostanza che dove si parladi tutti e due (4, 22; 37; 5, 24; 26; 52; 6, 32; diversamente 6, 37,), Sabino èsempre nominato prima e così anche dalla narrazione della catastrofestessa. Del resto non pare possibile che Cesare avesse nominato duegenerali con eguali facoltà per comandare uno stesso campo e che nonavesse provveduto pel caso di una divergenza di opinione tra l'uno e l'altro.Anche poi le cinque coorti non contavano nella legione (cfr. 6, 32; 33),così non contavano le tredici coorti sul ponte del Reno (6, 29, cfr. 32; 33),e pare che fossero distaccamenti di altre parti dell'esercito, assegnati comerinforzo questo campo, il più prossimo ai germanici.

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probabilmente non lungi dall'Aduatuca interna (l'odiernaTongres), il più forte, formato da una legione comandatada uno dei più distinti aiutanti di Cesare, Quinto TiturioSabino, e da molti distaccamenti capitanati dal valorosoLucio Aurunculeio Cotta48, della complessiva forza diuna mezza legione, si vide repentinamente circondatodalla leva in massa degli Eburoni comandati dai reAmbiorige e Catuvolco.L'assalto fu così inaspettato che i soldati, che in quelmomento erano assenti dal campo, non poterono essererichiamati e furono presi dai nemici. Però il pericolonon era così grave, poichè vi erano provviste sufficientie l'attacco tentato dagli Eburoni era rimasto senza effet-to e si era infranto impotente contro le trincee romane.Ma il re Ambiorige fece dire al comandante romano chetutti i campi dei Romani nella Gallia dovevano esserenello stesso giorno assaliti e che i Romani erano irre-missibilmente perduti, se i corpi staccati non si concen-travano con tutta celerità; che Sabino dovesse tanto più

48 Che Cotta, benchè luogotenente di Sabino ma legato come lui, fossetuttavia generale di più recente data e meno ragguardevole, e che nel casodi una divergenza egli dovesse cedere all'altro, risulta tanto dalleprecedenti prestazioni di Sabino, quanto dalla circostanza che dove si parladi tutti e due (4, 22; 37; 5, 24; 26; 52; 6, 32; diversamente 6, 37,), Sabino èsempre nominato prima e così anche dalla narrazione della catastrofestessa. Del resto non pare possibile che Cesare avesse nominato duegenerali con eguali facoltà per comandare uno stesso campo e che nonavesse provveduto pel caso di una divergenza di opinione tra l'uno e l'altro.Anche poi le cinque coorti non contavano nella legione (cfr. 6, 32; 33),così non contavano le tredici coorti sul ponte del Reno (6, 29, cfr. 32; 33),e pare che fossero distaccamenti di altre parti dell'esercito, assegnati comerinforzo questo campo, il più prossimo ai germanici.

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affrettarsi a partire, in quanto anche i Germani d'oltreReno erano già in marcia; ch'egli mosso dall'amiciziaper i Romani, gli assicurava la libera partenza sino alpiù vicino campo romano distante solo due giornate dimarcia.Queste notizie sembravano contenere qualche cosa divero; che il piccolo distretto degli Eburoni particolar-mente favorito dai Romani avesse da solo osato d'intra-prendere l'attacco era infatti incredibile, e considerata ladifficoltà di mettersi in comunicazione con gli altri cam-pi posti a notevole distanza, il pericolo di vedersi assalitie distrutti alla spicciolata da tutta la massa degli insortiera troppo grave per essere assolutamente disprezzato;tuttavia non si poteva menomamente dubitare, che tantol'onore quanto la politica imponessero di respingere lacapitolazione offerta dal nemico e di rimanere al postoassegnato.Anche nel consiglio di guerra parecchie voci si elevaro-no in favore di tale opinione e specialmente quella ri-spettabile di Lucio Aurunculeio Cotta. Ciò malgrado ilcomandante decise di accettare la proposta di Ambiori-ge.Le truppe romane partirono quindi il giorno dopo; maalla distanza di una mezza lega dal campo si trovaronoin una angusta valle circondate dagli Eburoni, sbarrataogni via d'uscita. Esse tentarono di aprirsi il passaggiocolle armi; ma gli Eburoni non vollero cimentarsi in unamischia e si accontentarono di saettare gli ammassatiRomani dalle inattaccabili loro posizioni.

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affrettarsi a partire, in quanto anche i Germani d'oltreReno erano già in marcia; ch'egli mosso dall'amiciziaper i Romani, gli assicurava la libera partenza sino alpiù vicino campo romano distante solo due giornate dimarcia.Queste notizie sembravano contenere qualche cosa divero; che il piccolo distretto degli Eburoni particolar-mente favorito dai Romani avesse da solo osato d'intra-prendere l'attacco era infatti incredibile, e considerata ladifficoltà di mettersi in comunicazione con gli altri cam-pi posti a notevole distanza, il pericolo di vedersi assalitie distrutti alla spicciolata da tutta la massa degli insortiera troppo grave per essere assolutamente disprezzato;tuttavia non si poteva menomamente dubitare, che tantol'onore quanto la politica imponessero di respingere lacapitolazione offerta dal nemico e di rimanere al postoassegnato.Anche nel consiglio di guerra parecchie voci si elevaro-no in favore di tale opinione e specialmente quella ri-spettabile di Lucio Aurunculeio Cotta. Ciò malgrado ilcomandante decise di accettare la proposta di Ambiori-ge.Le truppe romane partirono quindi il giorno dopo; maalla distanza di una mezza lega dal campo si trovaronoin una angusta valle circondate dagli Eburoni, sbarrataogni via d'uscita. Esse tentarono di aprirsi il passaggiocolle armi; ma gli Eburoni non vollero cimentarsi in unamischia e si accontentarono di saettare gli ammassatiRomani dalle inattaccabili loro posizioni.

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Fuori di sè, cercando salvezza contro il tradimento pres-so il traditore, Sabino chiese un abboccamento con Am-biorige; gli fu accordato, ed egli e gli ufficiali del suoseguito furono dapprima disarmati e poscia uccisi. Dopola morte del comandante gli Eburoni si gettarono daogni parte sugli spossati e disperati Romani e ruppero leloro fila; i più, e fra questi Cotta, che era già stato feritoprima, trovarono la morte in questo assalto; una piccolaparte, che riuscì a tornare nel campo abbandonato, sidiede spontaneamente la morte nella notte seguente. Lacolonna dell'esercito romano fu distrutta.

37. Cesare libera Q. Cicerone.

Questo successo, quale gli stessi insorti non avevanosperato, accrebbe tanto il fermento fra i patriotti celtici,che essendo l'insurrezione scoppiata nei punti piùdisparati, i Romani non erano sicuri di nessun distretto,eccettuati quelli degli Edui e dei Remi.Anzitutto gli Eburoni approfittarono della riportata vit-toria. Rinforzati dalle bande degli Aduatici, che colserovolentieri l'occasione di ricambiare il male loro arrecatoda Cesare, e dai forti e ancora indipendenti Menapî, essientrarono nel suolo dei Nervi, che si unirono subito aloro, e tutta la massa, che ascendeva così a 60.000 com-battenti, si mise in marcia verso il campo dei Romaniposto nel distretto dei Nervi.Quinto Cicerone, che ne aveva il comando, si trovavacol debole corpo di truppe in grande imbarazzo special-

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Fuori di sè, cercando salvezza contro il tradimento pres-so il traditore, Sabino chiese un abboccamento con Am-biorige; gli fu accordato, ed egli e gli ufficiali del suoseguito furono dapprima disarmati e poscia uccisi. Dopola morte del comandante gli Eburoni si gettarono daogni parte sugli spossati e disperati Romani e ruppero leloro fila; i più, e fra questi Cotta, che era già stato feritoprima, trovarono la morte in questo assalto; una piccolaparte, che riuscì a tornare nel campo abbandonato, sidiede spontaneamente la morte nella notte seguente. Lacolonna dell'esercito romano fu distrutta.

37. Cesare libera Q. Cicerone.

Questo successo, quale gli stessi insorti non avevanosperato, accrebbe tanto il fermento fra i patriotti celtici,che essendo l'insurrezione scoppiata nei punti piùdisparati, i Romani non erano sicuri di nessun distretto,eccettuati quelli degli Edui e dei Remi.Anzitutto gli Eburoni approfittarono della riportata vit-toria. Rinforzati dalle bande degli Aduatici, che colserovolentieri l'occasione di ricambiare il male loro arrecatoda Cesare, e dai forti e ancora indipendenti Menapî, essientrarono nel suolo dei Nervi, che si unirono subito aloro, e tutta la massa, che ascendeva così a 60.000 com-battenti, si mise in marcia verso il campo dei Romaniposto nel distretto dei Nervi.Quinto Cicerone, che ne aveva il comando, si trovavacol debole corpo di truppe in grande imbarazzo special-

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mente dacchè gli assedianti, imitando i nemici, elevaro-no anch'essi i ripari, scavarono fossi, costruirono testug-gini e torri mobili al modo dei Romani e incendiaronocon proiettili ardenti i tetti di paglia delle baracche mili-tari.Gli assediati riponevano l'unica speranza in Cesare, ilquale con tre legioni svernava a non molta distanza, vi-cino ad Amiens. Ma – e questa è una prova caratteristicadello spirito pubblico che regnava nel paese dei Celti –per un tempo notevole il supremo duce non ebbe alcunsentore nè della catastrofe toccata a Sabino, nè della pe-ricolosa posizione di Cicerone. Finalmente un cavalliereceltico del campo di Cicerone riuscì ad aprirsi una viaattraverso i nemici e giungere fino a Cesare.Udita la triste notizia Cesare partì immediatamente, ben-chè solo con due deboli legioni, circa 7000 uomini e400 cavalieri; ma bastò l'annuncio della sua venuta perdecidere gl'insorti a levare l'assedio.Era ormai tempo; nemmeno un uomo su dieci nel cam-po di Cicerone era incolume. Cesare, contro cui si eravolto l'esercito insurrezionale, ingannò i nemici sullesue forze, come aveva fatto spesse volte con successo;così essi tentarono un assalto contro il campo romanonelle condizioni più sfavorevoli e ne ebbero una sconfit-ta.È una cosa strana, ma caratteristica per la nazione celti-ca, che in seguito a quest'unica battaglia, o per dir me-glio, in seguito alla presenza personale di Cesare nelcampo della lotta, gli insorti, iniziata così vittoriosamen-

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mente dacchè gli assedianti, imitando i nemici, elevaro-no anch'essi i ripari, scavarono fossi, costruirono testug-gini e torri mobili al modo dei Romani e incendiaronocon proiettili ardenti i tetti di paglia delle baracche mili-tari.Gli assediati riponevano l'unica speranza in Cesare, ilquale con tre legioni svernava a non molta distanza, vi-cino ad Amiens. Ma – e questa è una prova caratteristicadello spirito pubblico che regnava nel paese dei Celti –per un tempo notevole il supremo duce non ebbe alcunsentore nè della catastrofe toccata a Sabino, nè della pe-ricolosa posizione di Cicerone. Finalmente un cavalliereceltico del campo di Cicerone riuscì ad aprirsi una viaattraverso i nemici e giungere fino a Cesare.Udita la triste notizia Cesare partì immediatamente, ben-chè solo con due deboli legioni, circa 7000 uomini e400 cavalieri; ma bastò l'annuncio della sua venuta perdecidere gl'insorti a levare l'assedio.Era ormai tempo; nemmeno un uomo su dieci nel cam-po di Cicerone era incolume. Cesare, contro cui si eravolto l'esercito insurrezionale, ingannò i nemici sullesue forze, come aveva fatto spesse volte con successo;così essi tentarono un assalto contro il campo romanonelle condizioni più sfavorevoli e ne ebbero una sconfit-ta.È una cosa strana, ma caratteristica per la nazione celti-ca, che in seguito a quest'unica battaglia, o per dir me-glio, in seguito alla presenza personale di Cesare nelcampo della lotta, gli insorti, iniziata così vittoriosamen-

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te e tanto estesamente l'insurrezione, interrompessero laguerra così subitamente e meschinamente.I Nervi, i Menapî, gli Aduatuci, gli Eburoni, si ritirarononelle loro case. Fecero lo stesso quelli dei distretti marit-timi, che avevano minacciato di aggredire la legionestanziata nella Bretagna. I Treviriani, dal condottiero deiquali, Induziomaro, gli Eburoni, clienti del potente di-stretto limitrofo, erano stati specialmente indotti a que-sto efficacissimo attacco, informati della catastrofe diAduatuca, avevano dato di piglio alle armi ed erano en-trati nel territorio dei Remi per attaccare la legione stan-ziatavi sotto il comando di Labieno; essi pure sospeserola continuazione della lotta.Per non esporre le sue estenuate truppe al rigoredell'inverno nella Gallia e scendere invece di nuovo incampo con imponenti forze, quando le distrutte quindicicoorti fossero rimpiazzate in modo imponente dalletrenta nuove richiamate sotto le armi, Cesare rinviò vo-lentieri alla primavera le misure contro i distretti insorti.Ma sebbene le armi facessero sosta, l'insurrezione anda-va invece estendendo le sue file. Le sue sedi principalinella Gallia media erano in parte i distretti dei Carnuti edei vicini Senoni (intorno a Sens) – che avevano scac-ciato il re messovi da Cesare – in parte la provincia deiTreviriani, i quali eccitavano tutta l'emigrazione celticae i Germani d'oltre Reno a prendere parte alla imminen-te guerra nazionale e chiamavano sotto le armi tutta laloro gente per invadere per la seconda volta in primave-ra il territorio dei Romani, far prigioniero il corpo di

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te e tanto estesamente l'insurrezione, interrompessero laguerra così subitamente e meschinamente.I Nervi, i Menapî, gli Aduatuci, gli Eburoni, si ritirarononelle loro case. Fecero lo stesso quelli dei distretti marit-timi, che avevano minacciato di aggredire la legionestanziata nella Bretagna. I Treviriani, dal condottiero deiquali, Induziomaro, gli Eburoni, clienti del potente di-stretto limitrofo, erano stati specialmente indotti a que-sto efficacissimo attacco, informati della catastrofe diAduatuca, avevano dato di piglio alle armi ed erano en-trati nel territorio dei Remi per attaccare la legione stan-ziatavi sotto il comando di Labieno; essi pure sospeserola continuazione della lotta.Per non esporre le sue estenuate truppe al rigoredell'inverno nella Gallia e scendere invece di nuovo incampo con imponenti forze, quando le distrutte quindicicoorti fossero rimpiazzate in modo imponente dalletrenta nuove richiamate sotto le armi, Cesare rinviò vo-lentieri alla primavera le misure contro i distretti insorti.Ma sebbene le armi facessero sosta, l'insurrezione anda-va invece estendendo le sue file. Le sue sedi principalinella Gallia media erano in parte i distretti dei Carnuti edei vicini Senoni (intorno a Sens) – che avevano scac-ciato il re messovi da Cesare – in parte la provincia deiTreviriani, i quali eccitavano tutta l'emigrazione celticae i Germani d'oltre Reno a prendere parte alla imminen-te guerra nazionale e chiamavano sotto le armi tutta laloro gente per invadere per la seconda volta in primave-ra il territorio dei Romani, far prigioniero il corpo di

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truppe comandate da Labieno e mettersi in relazione co-gli insorti sulla Senna e sulla Loira.I deputati di questi tre distretti non comparvero alla die-ta convocata da Cesare nella Gallia media e dichiararo-no così la guerra non meno apertamente di quello cheavesse fatto una parte dei distretti belgi attaccando Sabi-no e Cicerone. L'inverno volgeva alla fine quando Cesa-re, dopo avere in questo frattempo rinforzato ragguarde-volmente il suo esercito, si mosse contro gli insorti.

38. L'insurrezione domata.

I tentativi fatti dai Treviriani di concentrare lasollevazione non furono fortunati; le province agitatefurono tenute in freno dalla presenza delle trupperomane, quelle in aperta ribellione furono attaccate unadopo l'altra. I primi ridotti da Cesare all'obbedienzafurono i Nervi.La stessa sorte ebbero i Senoni ed i Carnuti. Lo stessoaccadde anche al distretto dei Menapî, il solo che non sifosse mai sottomesso ai Romani; esso fu attaccato altempo stesso da tre lati, e costretto a rinunciare alla li-bertà lungamente conservata.Labieno frattanto preparava la stessa sorte ai Treviriani.Il primo loro attacco era stato paralizzato in parte dal ri-fiuto delle più vicine tribù germaniche di somministrareloro dei mercenari, in parte dalla circostanza che Indu-ziomaro, l'anima di tutto il movimento, era rimasto ucci-so in una scaramuccia contro la cavalleria di Labieno.

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truppe comandate da Labieno e mettersi in relazione co-gli insorti sulla Senna e sulla Loira.I deputati di questi tre distretti non comparvero alla die-ta convocata da Cesare nella Gallia media e dichiararo-no così la guerra non meno apertamente di quello cheavesse fatto una parte dei distretti belgi attaccando Sabi-no e Cicerone. L'inverno volgeva alla fine quando Cesa-re, dopo avere in questo frattempo rinforzato ragguarde-volmente il suo esercito, si mosse contro gli insorti.

38. L'insurrezione domata.

I tentativi fatti dai Treviriani di concentrare lasollevazione non furono fortunati; le province agitatefurono tenute in freno dalla presenza delle trupperomane, quelle in aperta ribellione furono attaccate unadopo l'altra. I primi ridotti da Cesare all'obbedienzafurono i Nervi.La stessa sorte ebbero i Senoni ed i Carnuti. Lo stessoaccadde anche al distretto dei Menapî, il solo che non sifosse mai sottomesso ai Romani; esso fu attaccato altempo stesso da tre lati, e costretto a rinunciare alla li-bertà lungamente conservata.Labieno frattanto preparava la stessa sorte ai Treviriani.Il primo loro attacco era stato paralizzato in parte dal ri-fiuto delle più vicine tribù germaniche di somministrareloro dei mercenari, in parte dalla circostanza che Indu-ziomaro, l'anima di tutto il movimento, era rimasto ucci-so in una scaramuccia contro la cavalleria di Labieno.

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Ma essi non rinunciarono perciò ai loro progetti. I loroarruolatori trovarono migliore accoglienza presso le piùbellicose popolazioni della Germania interna, che nonpresso gli abitanti delle sponde del Reno, e specialmen-te, come pare, presso i Catti.Ma siccome Labieno faceva le viste di evitare l'arrivo dicostoro e di voler partire precipitosamente, i Trevirianiattaccarono i Romani ancora prima che arrivassero iGermani, in una posizione sfavorevolissima e furonocompletamente battuti. Ai Germani, arrivati troppo tar-di, non rimase altro da fare che riprendere la via percor-sa e al distretto dei Treviriani null'altro che sottometter-si. Il governo di questo distretto pervenne di nuovo alcapo del partito romano, a Cingetorige, genero d'Indu-ziomaro.Dopo queste spedizioni di Cesare contro i Menapî e diLabieno contro i Treviriani, tutto l'esercito romano siconcentrò di nuovo sul territorio di Treviri. Per far pas-sare ai Germani la voglia di tornare, Cesare ripassòun'altra volta il Reno, per portare possibilmente un col-po vigoroso contro quei molesti vicini; ma siccome iCatti erano fedeli alla sperimentata loro tattica di nonraccogliersi sul loro confine occidentale per difendersi,ma molto nell'interno, e come pare, sulle falde dei montiErcini, Cesare ritornò subito indietro e si limitò a lascia-re un presidio al passo del Reno.Si erano dunque pareggiate le partite con tutte le popo-lazioni che avevano preso parte all'insurrezione, solo sierano lasciati in disparte gli Eburoni, ma non si erano

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Ma essi non rinunciarono perciò ai loro progetti. I loroarruolatori trovarono migliore accoglienza presso le piùbellicose popolazioni della Germania interna, che nonpresso gli abitanti delle sponde del Reno, e specialmen-te, come pare, presso i Catti.Ma siccome Labieno faceva le viste di evitare l'arrivo dicostoro e di voler partire precipitosamente, i Trevirianiattaccarono i Romani ancora prima che arrivassero iGermani, in una posizione sfavorevolissima e furonocompletamente battuti. Ai Germani, arrivati troppo tar-di, non rimase altro da fare che riprendere la via percor-sa e al distretto dei Treviriani null'altro che sottometter-si. Il governo di questo distretto pervenne di nuovo alcapo del partito romano, a Cingetorige, genero d'Indu-ziomaro.Dopo queste spedizioni di Cesare contro i Menapî e diLabieno contro i Treviriani, tutto l'esercito romano siconcentrò di nuovo sul territorio di Treviri. Per far pas-sare ai Germani la voglia di tornare, Cesare ripassòun'altra volta il Reno, per portare possibilmente un col-po vigoroso contro quei molesti vicini; ma siccome iCatti erano fedeli alla sperimentata loro tattica di nonraccogliersi sul loro confine occidentale per difendersi,ma molto nell'interno, e come pare, sulle falde dei montiErcini, Cesare ritornò subito indietro e si limitò a lascia-re un presidio al passo del Reno.Si erano dunque pareggiate le partite con tutte le popo-lazioni che avevano preso parte all'insurrezione, solo sierano lasciati in disparte gli Eburoni, ma non si erano

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dimenticati. Da quando Cesare aveva udita la catastrofedi Aduatuca, egli vestiva l'abito da lutto e aveva giuratodi non deporlo se non dopo aver vendicato i suoi soldatinon periti in una guerra combattuta lealmente, ma sgoz-zati a tradimento.Stupefatti e inerti gli Eburoni stavano nelle loro capannementre i vicini distretti andavano l'un dopo l'altro sotto-mettendosi ai Romani, sino a che, varcate le Ardenne, lacavalleria romana invase il loro paese. Essi erano tantomeno preparati ad un simile attacco, che mancò pocoche i cavalieri romani non facessero prigioniero il reAmbiorige nella propria casa; con grave stento egli potèmettersi in salvo nella vicina foresta mentre il suo segui-to si sacrificava per lui.Non tardò molto che la cavalleria romana fu seguita dadieci legioni romane. Al tempo stesso furono invitate levicine popolazioni di comune accordo coi soldati roma-ni a dare la caccia agli Eburoni dichiarati fuori della leg-ge e a mettere a sacco il loro paese; non pochi seguironol'invito, e perfino una schiera audace di cavalieri sigam-bri d'oltre Reno, la quale del resto non se la faceva me-glio coi Romani che cogli Eburoni, fu lì lì per prendered'assalto con un ardito colpo di mano il campo romanopresso Aduatuca.La sorte degli Eburoni fu tremenda. Benchè si nascon-dessero nelle foreste e in mezzo alle paludi, il numerodei cacciatori superava quello della selvaggina. Parecchisi diedero spontaneamente la morte, come il vecchioprincipe Catuvolco: pochi salvarono la vita e la libertà,

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dimenticati. Da quando Cesare aveva udita la catastrofedi Aduatuca, egli vestiva l'abito da lutto e aveva giuratodi non deporlo se non dopo aver vendicato i suoi soldatinon periti in una guerra combattuta lealmente, ma sgoz-zati a tradimento.Stupefatti e inerti gli Eburoni stavano nelle loro capannementre i vicini distretti andavano l'un dopo l'altro sotto-mettendosi ai Romani, sino a che, varcate le Ardenne, lacavalleria romana invase il loro paese. Essi erano tantomeno preparati ad un simile attacco, che mancò pocoche i cavalieri romani non facessero prigioniero il reAmbiorige nella propria casa; con grave stento egli potèmettersi in salvo nella vicina foresta mentre il suo segui-to si sacrificava per lui.Non tardò molto che la cavalleria romana fu seguita dadieci legioni romane. Al tempo stesso furono invitate levicine popolazioni di comune accordo coi soldati roma-ni a dare la caccia agli Eburoni dichiarati fuori della leg-ge e a mettere a sacco il loro paese; non pochi seguironol'invito, e perfino una schiera audace di cavalieri sigam-bri d'oltre Reno, la quale del resto non se la faceva me-glio coi Romani che cogli Eburoni, fu lì lì per prendered'assalto con un ardito colpo di mano il campo romanopresso Aduatuca.La sorte degli Eburoni fu tremenda. Benchè si nascon-dessero nelle foreste e in mezzo alle paludi, il numerodei cacciatori superava quello della selvaggina. Parecchisi diedero spontaneamente la morte, come il vecchioprincipe Catuvolco: pochi salvarono la vita e la libertà,

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ma fra questi pochi l'uomo che i Romani sopra tuttiavrebbero voluto avere nelle loro mani, il principe Am-biorige, che con soli quattro cavalieri si mise in salvooltre il Reno.Dopo questa punizione contro il distretto che fra tutti siera mostrato il più colpevole, seguirono nelle altre pro-vincie i processi d'alto tradimento contro i singoli indi-vidui.Era passato il tempo della moderazione. Per sentenzapronunciata dal proconsole romano il distinto cavaliereAcco, appartenente ai Carnuti, fu decapitato dai littoriromani (701 = 53) e con questa esecuzione fu formal-mente consacrato il dominio delle verghe e della scure.L'opposizione ammutolì; dappertutto regnò la quiete.Verso la fine del 701 = 53 Cesare, come al solito, varcòle Alpi per osservare da vicino durante l'inverno le con-dizioni della capitale che si andava sempre più svilup-pando.

39. Seconda insurrezione.

L'abile calcolatore aveva questa volta fatto male i suoiconti. Il fuoco era stato domato ma non spento. Il colposotto il quale cadde la testa di Acco fu sentito da tutta lanobiltà celtica. Lo stato delle cose offriva appunto allorapiù speranze che mai. L'insurrezione dello scorsoinverno era andata male evidentemente per la comparsapersonale di Cesare sul campo di battaglia; ora egli eralontano, trattenuto sulle rive del Po dalla imminente

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ma fra questi pochi l'uomo che i Romani sopra tuttiavrebbero voluto avere nelle loro mani, il principe Am-biorige, che con soli quattro cavalieri si mise in salvooltre il Reno.Dopo questa punizione contro il distretto che fra tutti siera mostrato il più colpevole, seguirono nelle altre pro-vincie i processi d'alto tradimento contro i singoli indi-vidui.Era passato il tempo della moderazione. Per sentenzapronunciata dal proconsole romano il distinto cavaliereAcco, appartenente ai Carnuti, fu decapitato dai littoriromani (701 = 53) e con questa esecuzione fu formal-mente consacrato il dominio delle verghe e della scure.L'opposizione ammutolì; dappertutto regnò la quiete.Verso la fine del 701 = 53 Cesare, come al solito, varcòle Alpi per osservare da vicino durante l'inverno le con-dizioni della capitale che si andava sempre più svilup-pando.

39. Seconda insurrezione.

L'abile calcolatore aveva questa volta fatto male i suoiconti. Il fuoco era stato domato ma non spento. Il colposotto il quale cadde la testa di Acco fu sentito da tutta lanobiltà celtica. Lo stato delle cose offriva appunto allorapiù speranze che mai. L'insurrezione dello scorsoinverno era andata male evidentemente per la comparsapersonale di Cesare sul campo di battaglia; ora egli eralontano, trattenuto sulle rive del Po dalla imminente

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guerra cittadina, e l'esercito gallico, concentrato sull'altaSenna, era a molta distanza dal temuto generale.Se divampava ora una sollevazione generale nella Galliamedia, l'esercito romano poteva essere preso in mezzo el'antica provincia romana, ch'era quasi senza difesa, po-teva essere invasa prima che Cesare passasse le Alpi,anche se, in generale, le complicazioni italiche non lotrattenessero dal prendersi ancora pensiero per la Gallia.I congiurati accorrevano da tutti i distretti della Galliamedia; i Carnuti, come quelli che per l'esecuzione diAcco erano stati colpiti per i primi, si offrirono di porsialla testa. I cavalieri carnuti Gutruato eConconnetodumno diedero nel giorno fissatodell'inverno 701-2 = 53-2 il segnale della sollevazionein Genabum (Orleans) e misero a morte tutti i Romaniche là si trovavano.Una grandissima commozione agitava tutta la Gallia;dappertutto insorgevano i patriotti. Ma nulla fece tantaimpressione sulla nazione quanto la sollevazione degliAlvergnati. Il governo di questa comunità, che una voltasotto i suoi re era stata la più importante della Galliameridionale, e che dopo la caduta del suo principato,causata dalle infelici guerre contro Roma, era rimastauna delle più ricche, delle più incivilite e delle più pos-senti di tutta la Gallia, aveva fino allora tenuto sempreper Roma.Anche adesso il partito patriottico era in minoranza nelconsiglio comunale; un tentativo fatto, per ottenere cheil consiglio desse l'adesione all'insurrezione, fallì. I pa-

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guerra cittadina, e l'esercito gallico, concentrato sull'altaSenna, era a molta distanza dal temuto generale.Se divampava ora una sollevazione generale nella Galliamedia, l'esercito romano poteva essere preso in mezzo el'antica provincia romana, ch'era quasi senza difesa, po-teva essere invasa prima che Cesare passasse le Alpi,anche se, in generale, le complicazioni italiche non lotrattenessero dal prendersi ancora pensiero per la Gallia.I congiurati accorrevano da tutti i distretti della Galliamedia; i Carnuti, come quelli che per l'esecuzione diAcco erano stati colpiti per i primi, si offrirono di porsialla testa. I cavalieri carnuti Gutruato eConconnetodumno diedero nel giorno fissatodell'inverno 701-2 = 53-2 il segnale della sollevazionein Genabum (Orleans) e misero a morte tutti i Romaniche là si trovavano.Una grandissima commozione agitava tutta la Gallia;dappertutto insorgevano i patriotti. Ma nulla fece tantaimpressione sulla nazione quanto la sollevazione degliAlvergnati. Il governo di questa comunità, che una voltasotto i suoi re era stata la più importante della Galliameridionale, e che dopo la caduta del suo principato,causata dalle infelici guerre contro Roma, era rimastauna delle più ricche, delle più incivilite e delle più pos-senti di tutta la Gallia, aveva fino allora tenuto sempreper Roma.Anche adesso il partito patriottico era in minoranza nelconsiglio comunale; un tentativo fatto, per ottenere cheil consiglio desse l'adesione all'insurrezione, fallì. I pa-

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triotti rivolsero perciò i loro attacchi contro il consigliocomunale e contro la vigente costituzione, tanto più chela riforma della costituzione, che presso gli Alvergnatiaveva surrogato al principe il consiglio comunale, eraavvenuta dopo le vittorie dei Romani e probabilmentesotto l'influenza di esse.Il condottiero dei patriotti alvergnati, Vercingetorige,uno di quei nobili d'autorità quasi regale, tanto nel suodistretto, quanto al di fuori, quali si trovavano presso iCelti, uomo abile, valoroso ed assennato, lasciò la capi-tale e fece appello ai contadini, i quali non erano menoavversi all'oligarchia dominante che ai Romani, e ciòcol duplice scopo della restaurazione del regno alver-gnate e della guerra contro Roma.Le masse subito si volsero a lui; la restaurazione del tro-no di Luerio e di Betuito era al tempo stesso la dichiara-zione della guerra nazionale contro Roma. La nazionedivenne ora, nel nuovo re degli Alvergnati elettosi da sè,il punto di unione, per la mancanza del quale tutti i ten-tativi fino allora da essi fatti per scuotere il giogo stra-niero erano andati a vuoto. Vercingetorige fu per i Celtidel continente quello che Cassivellauno fu pei Celti iso-lani; le masse furono profondamente persuase che egli enessun altro fosse l'uomo capace di salvare la nazione.Fulmineamente l'insurrezione si estese nell'occidentedalla foce della Garonna sino a quella della Senna, eVercingetorige fu riconosciuto supremo duce da tuttiquesti distretti. Dove i consigli comunali elevavano dif-ficoltà, la massa delle popolazioni li obbligava ad aderi-

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triotti rivolsero perciò i loro attacchi contro il consigliocomunale e contro la vigente costituzione, tanto più chela riforma della costituzione, che presso gli Alvergnatiaveva surrogato al principe il consiglio comunale, eraavvenuta dopo le vittorie dei Romani e probabilmentesotto l'influenza di esse.Il condottiero dei patriotti alvergnati, Vercingetorige,uno di quei nobili d'autorità quasi regale, tanto nel suodistretto, quanto al di fuori, quali si trovavano presso iCelti, uomo abile, valoroso ed assennato, lasciò la capi-tale e fece appello ai contadini, i quali non erano menoavversi all'oligarchia dominante che ai Romani, e ciòcol duplice scopo della restaurazione del regno alver-gnate e della guerra contro Roma.Le masse subito si volsero a lui; la restaurazione del tro-no di Luerio e di Betuito era al tempo stesso la dichiara-zione della guerra nazionale contro Roma. La nazionedivenne ora, nel nuovo re degli Alvergnati elettosi da sè,il punto di unione, per la mancanza del quale tutti i ten-tativi fino allora da essi fatti per scuotere il giogo stra-niero erano andati a vuoto. Vercingetorige fu per i Celtidel continente quello che Cassivellauno fu pei Celti iso-lani; le masse furono profondamente persuase che egli enessun altro fosse l'uomo capace di salvare la nazione.Fulmineamente l'insurrezione si estese nell'occidentedalla foce della Garonna sino a quella della Senna, eVercingetorige fu riconosciuto supremo duce da tuttiquesti distretti. Dove i consigli comunali elevavano dif-ficoltà, la massa delle popolazioni li obbligava ad aderi-

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re al movimento; soltanto pochi distretti, come ad esem-pio quello dei Biturigi, si fecero costringere ad aderirvie anche questi forse solo in apparenza.Meno favorevoli all'insurrezione erano le popolazionidei paesi all'oriente dell'alta Loira. Qui tutto dipendevadagli Edui; e questi erano titubanti.Il partito patriottico era fortissimo in questo distretto,ma l'antico antagonismo contro la supremazia degli Al-vergnati faceva fronte alla loro influenza, con sensibilis-simo danno dell'insurrezione, poichè l'adesione dei can-toni orientali, specialmente di quelli dei Sequani e degliElvezi, era condizionata a quella degli Edui, ed in gene-rale in questa parte della Gallia dipendeva da essi la lorodecisione. Così mentre gl'insorti lavoravano, sia a deci-dere i cantoni ancora vacillanti, e specialmente gli Edui,perchè si stringessero con loro, sia per impossessarsi diNarbona; mentre uno dei loro condottieri, il temerarioLucterio, si era già fatto vedere sul Tarn entro i confinidell'antica provincia, improvvisamente e nel cuoredell'inverno il supremo duce romano comparve al di làdelle Alpi, inatteso tanto dagli amici quanto dai nemici.Egli non solo diede immediatamente le necessarie di-sposizioni per garantire l'antica provincia, ma fece an-che varcare le Cevenne coperte di neve ad una divisioneinviandola nel territorio alvergnate; ma egli non potevarimanere lì, dove ogni momento l'adesione degli Eduialla lega gallica poteva tagliargli le comunicazioni colsuo esercito accampato nei dintorni di Sens e di Lan-gres. Si recò quindi segretamente a Vienna e di là, ac-

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re al movimento; soltanto pochi distretti, come ad esem-pio quello dei Biturigi, si fecero costringere ad aderirvie anche questi forse solo in apparenza.Meno favorevoli all'insurrezione erano le popolazionidei paesi all'oriente dell'alta Loira. Qui tutto dipendevadagli Edui; e questi erano titubanti.Il partito patriottico era fortissimo in questo distretto,ma l'antico antagonismo contro la supremazia degli Al-vergnati faceva fronte alla loro influenza, con sensibilis-simo danno dell'insurrezione, poichè l'adesione dei can-toni orientali, specialmente di quelli dei Sequani e degliElvezi, era condizionata a quella degli Edui, ed in gene-rale in questa parte della Gallia dipendeva da essi la lorodecisione. Così mentre gl'insorti lavoravano, sia a deci-dere i cantoni ancora vacillanti, e specialmente gli Edui,perchè si stringessero con loro, sia per impossessarsi diNarbona; mentre uno dei loro condottieri, il temerarioLucterio, si era già fatto vedere sul Tarn entro i confinidell'antica provincia, improvvisamente e nel cuoredell'inverno il supremo duce romano comparve al di làdelle Alpi, inatteso tanto dagli amici quanto dai nemici.Egli non solo diede immediatamente le necessarie di-sposizioni per garantire l'antica provincia, ma fece an-che varcare le Cevenne coperte di neve ad una divisioneinviandola nel territorio alvergnate; ma egli non potevarimanere lì, dove ogni momento l'adesione degli Eduialla lega gallica poteva tagliargli le comunicazioni colsuo esercito accampato nei dintorni di Sens e di Lan-gres. Si recò quindi segretamente a Vienna e di là, ac-

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compagnato da pochi cavalieri, attraversando il territo-rio degli Edui, ricomparve in mezzo alle sue truppe.Svanirono allora le speranze dalle quali i congiurati era-no stati spinti a far scoppiare l'insurrezione; in Italia re-gnava la pace, e Cesare era ritornato alla testa del suoesercito.

40. Piano di guerra dei Galli.

Che cosa dovevano fare? Era pazzia, stando così lecose, di lasciare che le armi decidessero; poichè questeavevano già irrevocabilmente deciso. Voler affrontare lelegioni romane colle schiere celtiche, fossero esseraccolte in masse immense, o suddivise e sagrificate inun distretto dopo l'altro, era lo stesso che voler scuoterele Alpi con sassate. Vercingetorige desistette perciò dalpensiero di battere i Romani, ed adottò il sistema concui Cassivellauno aveva salvato i Celti isolani. Eraimpossibile vincere la fanteria romana; ma la cavalleriadi Cesare consisteva quasi esclusivamente delcontingente della nobiltà celtica e si poteva consideraresciolta di fatto per la defezione generale. L'insurrezione,che si componeva essenzialmente della nobiltà celtica,seppe sviluppare quest'arma ad una tale superiorità, daridurre a deserto le campagne, incendiare città evillaggi, distruggere le provvigioni, intercettare i mezzidi sussistenza e tagliare le comunicazioni del nemicosenza che questi lo potesse impedire con successo.Vercingetorige dedicò quasi tutte le sue cure ad accre-

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compagnato da pochi cavalieri, attraversando il territo-rio degli Edui, ricomparve in mezzo alle sue truppe.Svanirono allora le speranze dalle quali i congiurati era-no stati spinti a far scoppiare l'insurrezione; in Italia re-gnava la pace, e Cesare era ritornato alla testa del suoesercito.

40. Piano di guerra dei Galli.

Che cosa dovevano fare? Era pazzia, stando così lecose, di lasciare che le armi decidessero; poichè questeavevano già irrevocabilmente deciso. Voler affrontare lelegioni romane colle schiere celtiche, fossero esseraccolte in masse immense, o suddivise e sagrificate inun distretto dopo l'altro, era lo stesso che voler scuoterele Alpi con sassate. Vercingetorige desistette perciò dalpensiero di battere i Romani, ed adottò il sistema concui Cassivellauno aveva salvato i Celti isolani. Eraimpossibile vincere la fanteria romana; ma la cavalleriadi Cesare consisteva quasi esclusivamente delcontingente della nobiltà celtica e si poteva consideraresciolta di fatto per la defezione generale. L'insurrezione,che si componeva essenzialmente della nobiltà celtica,seppe sviluppare quest'arma ad una tale superiorità, daridurre a deserto le campagne, incendiare città evillaggi, distruggere le provvigioni, intercettare i mezzidi sussistenza e tagliare le comunicazioni del nemicosenza che questi lo potesse impedire con successo.Vercingetorige dedicò quasi tutte le sue cure ad accre-

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scere la cavalleria ed il numero degli arcieri a piedi, che,secondo la maniera di combattere d'allora, erano parteintegrante della cavalleria. Egli non rinviò l'immensamassa della milizia di linea che era a sè stessa d'imba-razzo, ma non la lasciò venire a contatto col nemico, el'occupò invece nei lavori delle trincee, l'addestrò allafatica con le marce e con le manovre, facendole a poco apoco comprendere che il soldato non è solamente desti-nato a combattere.Dai nemici egli aveva imparato specialmente il sistemaromano di porre il campo, sul quale si appoggiava tuttoil segreto della superiorità tattica dei Romani; poichè inconseguenza di essa ogni corpo di truppe romaneaccoppiava i vantaggi del presidio di una fortezza aquelli dell'esercito che prende l'offensiva49.È vero che questo sistema, molto adatto alla Britannia,scarsa di città, ed ai suoi abitanti rozzi, risoluti ed in ge-nerale concordi, non era applicabile in un modo assolutoalle ubertose province bagnate dalla Loira ed a quegliabitanti indolenti e ridotti quasi ad una completa disso-luzione politica.Vercingetorige ottenne almeno che non si tentasse di te-nere tutte le città, come si era praticato fino allora, percui nessuna aveva potuto sostenersi; ma si convenne di

49 Ciò era possibile soltanto finchè le armi offensive erano fatteprincipalmente per colpi fendenti e di punta. Nel modo di guerreggiared'oggi questo sistema, come lo spiegò egregiamente Napoleone, è resoinapplicabile, giacchè per le nostre armi offensive a grande distanza è piùconfacente la posizione sparsa, che la concentrata. Ai tempi di Cesare erail contrario.

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scere la cavalleria ed il numero degli arcieri a piedi, che,secondo la maniera di combattere d'allora, erano parteintegrante della cavalleria. Egli non rinviò l'immensamassa della milizia di linea che era a sè stessa d'imba-razzo, ma non la lasciò venire a contatto col nemico, el'occupò invece nei lavori delle trincee, l'addestrò allafatica con le marce e con le manovre, facendole a poco apoco comprendere che il soldato non è solamente desti-nato a combattere.Dai nemici egli aveva imparato specialmente il sistemaromano di porre il campo, sul quale si appoggiava tuttoil segreto della superiorità tattica dei Romani; poichè inconseguenza di essa ogni corpo di truppe romaneaccoppiava i vantaggi del presidio di una fortezza aquelli dell'esercito che prende l'offensiva49.È vero che questo sistema, molto adatto alla Britannia,scarsa di città, ed ai suoi abitanti rozzi, risoluti ed in ge-nerale concordi, non era applicabile in un modo assolutoalle ubertose province bagnate dalla Loira ed a quegliabitanti indolenti e ridotti quasi ad una completa disso-luzione politica.Vercingetorige ottenne almeno che non si tentasse di te-nere tutte le città, come si era praticato fino allora, percui nessuna aveva potuto sostenersi; ma si convenne di

49 Ciò era possibile soltanto finchè le armi offensive erano fatteprincipalmente per colpi fendenti e di punta. Nel modo di guerreggiared'oggi questo sistema, come lo spiegò egregiamente Napoleone, è resoinapplicabile, giacchè per le nostre armi offensive a grande distanza è piùconfacente la posizione sparsa, che la concentrata. Ai tempi di Cesare erail contrario.

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distruggere, prima che fossero attaccati, tutti i luoghinon atti alla difesa, e di difendere con tutte le forze solole fortezze più importanti.Il re degli Alvergnati fece inoltre quanto potè per inte-ressare alla causa della patria i vili ed i renitenti con se-verità inesorabile, i titubanti con preghiere e con rimo-stranze, gli avidi col denaro, gli avversari palesi con laforza, imponendo o carpendo qualche briciola di patriot-tismo persino all'alta e bassa canaglia.

41. Principio della lotta.

Ancor prima che incominciasse l'inverno Vercingetorigeassalì i Boi stanziati da Cesare nel territorio degli Edui,per distruggere prima dell'arrivo del generale romano,questi unici alleati, sui quali i Romani potessero contare.L'annuncio di questo attacco decise Cesare a mettersisubito in marcia contro gli insorti, prima di quantoaltrimenti avrebbe fatto, così che lasciò dietro di sè lesalmerie e due legioni nei quartieri d'inverno inAgedincum (Sens). Egli provvide in qualche modo alsensibile difetto di cavalleria e fanteria leggeraarruolando mercenari tedeschi, i quali, invece dei loropiccoli e deboli ronzini, furono forniti di cavalli italianie spagnoli in parte comprati, in parte requisiti dagliufficiali.Cesare, dopo aver lungo la strada saccheggiato e ridottoin cenere Cenabum, capitale dei Carnuti, che aveva datoil segnale della sollevazione, passò la Loira ed entrò nel

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distruggere, prima che fossero attaccati, tutti i luoghinon atti alla difesa, e di difendere con tutte le forze solole fortezze più importanti.Il re degli Alvergnati fece inoltre quanto potè per inte-ressare alla causa della patria i vili ed i renitenti con se-verità inesorabile, i titubanti con preghiere e con rimo-stranze, gli avidi col denaro, gli avversari palesi con laforza, imponendo o carpendo qualche briciola di patriot-tismo persino all'alta e bassa canaglia.

41. Principio della lotta.

Ancor prima che incominciasse l'inverno Vercingetorigeassalì i Boi stanziati da Cesare nel territorio degli Edui,per distruggere prima dell'arrivo del generale romano,questi unici alleati, sui quali i Romani potessero contare.L'annuncio di questo attacco decise Cesare a mettersisubito in marcia contro gli insorti, prima di quantoaltrimenti avrebbe fatto, così che lasciò dietro di sè lesalmerie e due legioni nei quartieri d'inverno inAgedincum (Sens). Egli provvide in qualche modo alsensibile difetto di cavalleria e fanteria leggeraarruolando mercenari tedeschi, i quali, invece dei loropiccoli e deboli ronzini, furono forniti di cavalli italianie spagnoli in parte comprati, in parte requisiti dagliufficiali.Cesare, dopo aver lungo la strada saccheggiato e ridottoin cenere Cenabum, capitale dei Carnuti, che aveva datoil segnale della sollevazione, passò la Loira ed entrò nel

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paese dei Biturigi. La sua apparizione deciseVercingetorige a rinunciare all'assedio della città dei Boied a recarsi anch'egli presso i Biturigi. In questo paese sidoveva incominciare a mettere in pratica il nuovo mododi guerreggiare.Per ordine di Vercingetorige furono in un giorno datialle fiamme venti villaggi biturigi; il generale decretò lastessa distruzione contro i vicini distretti nel caso chefossero minacciati di invasione da scorridori romani.Era sua intenzione di far toccare la stessa sorte ad Avari-co (Bourges), ricca e forte città dei Biturigi; ma la mag-gioranza del consiglio di guerra cedette alle istanze dellegenuflesse autorità dei Biturigi e decise di metterla inve-ce con grande sollecitudine in istato di difesa.Così la guerra si concentrò subito sotto Avarico. Vercin-getorige fece schierare la sua fanteria in mezzo alle pa-ludi vicino alla città in una posizione così inaccessibile,che, anche non spalleggiata dalla cavalleria, non dovevatemere l'attacco delle legioni. La cavalleria celtica copri-va tutte le vie e interrompeva ogni comunicazione fraessa e l'esercito schierato fuori delle mura.La posizione di Cesare era difficilissima. Il tentativo fat-to di costringere al combattimento la fanteria celticaandò a vuoto; essa non si mosse dall'inattaccabile suaposizione. Per quanto i suoi soldati si mostrassero valo-rosi nell'aprir trincee e combattere dinanzi alla città, gliassediati gareggiavano con loro per coraggio e per inge-gno inventivo e poco mancò che non incendiassero lemacchine d'assedio dei Romani.

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paese dei Biturigi. La sua apparizione deciseVercingetorige a rinunciare all'assedio della città dei Boied a recarsi anch'egli presso i Biturigi. In questo paese sidoveva incominciare a mettere in pratica il nuovo mododi guerreggiare.Per ordine di Vercingetorige furono in un giorno datialle fiamme venti villaggi biturigi; il generale decretò lastessa distruzione contro i vicini distretti nel caso chefossero minacciati di invasione da scorridori romani.Era sua intenzione di far toccare la stessa sorte ad Avari-co (Bourges), ricca e forte città dei Biturigi; ma la mag-gioranza del consiglio di guerra cedette alle istanze dellegenuflesse autorità dei Biturigi e decise di metterla inve-ce con grande sollecitudine in istato di difesa.Così la guerra si concentrò subito sotto Avarico. Vercin-getorige fece schierare la sua fanteria in mezzo alle pa-ludi vicino alla città in una posizione così inaccessibile,che, anche non spalleggiata dalla cavalleria, non dovevatemere l'attacco delle legioni. La cavalleria celtica copri-va tutte le vie e interrompeva ogni comunicazione fraessa e l'esercito schierato fuori delle mura.La posizione di Cesare era difficilissima. Il tentativo fat-to di costringere al combattimento la fanteria celticaandò a vuoto; essa non si mosse dall'inattaccabile suaposizione. Per quanto i suoi soldati si mostrassero valo-rosi nell'aprir trincee e combattere dinanzi alla città, gliassediati gareggiavano con loro per coraggio e per inge-gno inventivo e poco mancò che non incendiassero lemacchine d'assedio dei Romani.

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La difficoltà di provvedere al mantenimento di un eser-cito di circa 60.000 uomini in un paese ridotto quasi adeserto e percorso da notevoli masse di cavalieri si face-va sempre maggiore. Le poche provvigioni dei Boi furo-no ben presto consumate; quelle promesse dagli Eduinon arrivarono; non v'era più frumento ed i soldati eranoridotti esclusivamente alle razioni di carne. Intanto siavvicinava il momento in cui la città, per quanto laguarnigione combattesse con disperato valore, non si sa-rebbe più potuta difendere. Non era ancora impossibilefare uscire segretamente di notte le truppe e distruggerela città prima che i Romani se ne impossessassero.Vercingetorige ne diede le disposizioni, ma i lamentiche al momento della partenza levarono le mogli e i fan-ciulli abbandonati, destarono l'attenzione dei Romani; ilpiano fallì. Il giorno dopo, con un tempo piovoso e fo-sco, i Romani diedero l'assalto alle mura, e penetrati incittà, non rispettarono nè sesso nè età. Delle abbondantiprovvigioni che vi erano state ammassate dai Celti, ap-profittarono gli affamati soldati di Cesare. Colla presa diAvarico (primavera 702 = 52) si era ottenuto un primosuccesso sulla insurrezione e, per le esperienze fatte,Cesare poteva calcolare che essa si sarebbe dissipata, eche oramai non vi sarebbe bisogno di ridurre all'obbe-dienza che qualche distretto isolato.Dopo essersi quindi mostrato alla testa di tutta la suaarmata nel distretto degli Edui, e dopo aver con questadimostrazione costretto l'agitato partito patriottico astarsene tranquillo almeno per il momento, Cesare

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La difficoltà di provvedere al mantenimento di un eser-cito di circa 60.000 uomini in un paese ridotto quasi adeserto e percorso da notevoli masse di cavalieri si face-va sempre maggiore. Le poche provvigioni dei Boi furo-no ben presto consumate; quelle promesse dagli Eduinon arrivarono; non v'era più frumento ed i soldati eranoridotti esclusivamente alle razioni di carne. Intanto siavvicinava il momento in cui la città, per quanto laguarnigione combattesse con disperato valore, non si sa-rebbe più potuta difendere. Non era ancora impossibilefare uscire segretamente di notte le truppe e distruggerela città prima che i Romani se ne impossessassero.Vercingetorige ne diede le disposizioni, ma i lamentiche al momento della partenza levarono le mogli e i fan-ciulli abbandonati, destarono l'attenzione dei Romani; ilpiano fallì. Il giorno dopo, con un tempo piovoso e fo-sco, i Romani diedero l'assalto alle mura, e penetrati incittà, non rispettarono nè sesso nè età. Delle abbondantiprovvigioni che vi erano state ammassate dai Celti, ap-profittarono gli affamati soldati di Cesare. Colla presa diAvarico (primavera 702 = 52) si era ottenuto un primosuccesso sulla insurrezione e, per le esperienze fatte,Cesare poteva calcolare che essa si sarebbe dissipata, eche oramai non vi sarebbe bisogno di ridurre all'obbe-dienza che qualche distretto isolato.Dopo essersi quindi mostrato alla testa di tutta la suaarmata nel distretto degli Edui, e dopo aver con questadimostrazione costretto l'agitato partito patriottico astarsene tranquillo almeno per il momento, Cesare

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divise il suo esercito e rinviò Labieno ad Agedincum,per soffocare subito con la forza riunita di quattrolegioni il movimento nel paese dei Carnuti e dei Senoni,i quali anche questa volta vi stavano a capo, mentre eglicon le altre sei legioni si volgeva verso mezzodì e sidisponeva a portare la guerra nelle montagnedell'Alvernia sul territorio proprio di Vercingetorige.

42. Cesare fermato.

Labieno partendo da Agedincum risalì la sinistra dellaSenna per occupare la città dei Parisi, Lutetia (Parigi),posta nell'isola, in mezzo a quel fiume, e, operando daquesta favorevole posizione nel seno della provinciainsorta, ridurla nuovamente all'obbedienza. Ma dietroMelodunum (Melun) egli si trovò sbarrata la via da tuttol'esercito degli insorti, che, capitanato dal vecchioCamulogeno, si era schierato dietro paludiimpenetrabili. Labieno retrocesse un poco, passò laSenna presso Melodunum e marciando sulla destra delfiume arrivò a Lutetia senza trovare alcun ostacolo;Camulogeno fece incendiare la città, rompere i pontiche mettevano alla riva sinistra e prese di fronte aLabieno una posizione nella quale questi nè potevaobbligarlo ad accettare battaglia, nè operare il passaggiosotto gli occhi dell'esercito nemico.L'esercito principale dei Romani intanto marciava lungol'Allier verso l'Alvernia. Vercingetorige fece il tentativod'impedirgli il passaggio sulla sinistra dell'Allier, ma

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divise il suo esercito e rinviò Labieno ad Agedincum,per soffocare subito con la forza riunita di quattrolegioni il movimento nel paese dei Carnuti e dei Senoni,i quali anche questa volta vi stavano a capo, mentre eglicon le altre sei legioni si volgeva verso mezzodì e sidisponeva a portare la guerra nelle montagnedell'Alvernia sul territorio proprio di Vercingetorige.

42. Cesare fermato.

Labieno partendo da Agedincum risalì la sinistra dellaSenna per occupare la città dei Parisi, Lutetia (Parigi),posta nell'isola, in mezzo a quel fiume, e, operando daquesta favorevole posizione nel seno della provinciainsorta, ridurla nuovamente all'obbedienza. Ma dietroMelodunum (Melun) egli si trovò sbarrata la via da tuttol'esercito degli insorti, che, capitanato dal vecchioCamulogeno, si era schierato dietro paludiimpenetrabili. Labieno retrocesse un poco, passò laSenna presso Melodunum e marciando sulla destra delfiume arrivò a Lutetia senza trovare alcun ostacolo;Camulogeno fece incendiare la città, rompere i pontiche mettevano alla riva sinistra e prese di fronte aLabieno una posizione nella quale questi nè potevaobbligarlo ad accettare battaglia, nè operare il passaggiosotto gli occhi dell'esercito nemico.L'esercito principale dei Romani intanto marciava lungol'Allier verso l'Alvernia. Vercingetorige fece il tentativod'impedirgli il passaggio sulla sinistra dell'Allier, ma

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Cesare lo vinse in astuzia e dopo alcuni giorni comparvesotto le mura di Gergovia capitale degli Alvergnati50.Intanto Vercingetorige aveva raccolte, senza dubbio sinda quando egli si trovava sull'Allier di fronte a Cesare,sufficenti provvigioni in Gergovia e fatto disporre per lesue truppe un campo stabile munito di ripari di pietra di-nanzi alle mura della città piantata sul culmine di unacollina piuttosto scoscesa; ed essendosi messo subito inmarcia, arrivò a Gergovia prima di Cesare, dove atteseche questi lo attaccasse nel campo fortificato sotto lemura della fortezza.Col suo esercito relativamente debole, per le difficoltàda superare Cesare non poteva nè porre un regolare as-sedio, nè bloccare sufficentemente questa piazza; egli siaccampò al disotto dell'altura occupata da Vercingetori-ge, e, stretto dalla necessità, si tenne nell'inazione comeil suo avversario.Per gli insorti equivalse ad una vittoria che Cesare nellasua corsa trionfale si arrestasse improvvisamente sullaSenna e sull'Allier. Infatti le conseguenze di questa fer-mata rassomigliarono per Cesare quasi ad una sconfitta.Gli Edui, che erano stati finora vacillanti, si disponeva-50 Si dice che questa città sorgesse su di un'altura ad un'ora di distanza verso

mezzodì dalla capitale degli Alvergnati, Nemetum, l'odierna Clermont, cheancora oggidì si chiama Gergoie; e tanto gli avanzi delle grossolane murascoperte nelle escavazioni fattevi, quanto la tradizione del nome, che risalecon documenti sino al decimo secolo, non lasciano alcun dubbiosull'esattezza di questa ubicazione. Questa collima anche, come colle altreindicazioni di Cesare, specialmente colla circostanza che egli indicaabbastanza chiaramente Gergovia quale capuologo degli Alvergnati (7, 4).Si dovrà quindi ritenere, che gli Alvergnati sieno stati costretti a traslocare,dopo la riportata sconfitta, da Gergovia nella vicina, meno forte, Nemetum.

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Cesare lo vinse in astuzia e dopo alcuni giorni comparvesotto le mura di Gergovia capitale degli Alvergnati50.Intanto Vercingetorige aveva raccolte, senza dubbio sinda quando egli si trovava sull'Allier di fronte a Cesare,sufficenti provvigioni in Gergovia e fatto disporre per lesue truppe un campo stabile munito di ripari di pietra di-nanzi alle mura della città piantata sul culmine di unacollina piuttosto scoscesa; ed essendosi messo subito inmarcia, arrivò a Gergovia prima di Cesare, dove atteseche questi lo attaccasse nel campo fortificato sotto lemura della fortezza.Col suo esercito relativamente debole, per le difficoltàda superare Cesare non poteva nè porre un regolare as-sedio, nè bloccare sufficentemente questa piazza; egli siaccampò al disotto dell'altura occupata da Vercingetori-ge, e, stretto dalla necessità, si tenne nell'inazione comeil suo avversario.Per gli insorti equivalse ad una vittoria che Cesare nellasua corsa trionfale si arrestasse improvvisamente sullaSenna e sull'Allier. Infatti le conseguenze di questa fer-mata rassomigliarono per Cesare quasi ad una sconfitta.Gli Edui, che erano stati finora vacillanti, si disponeva-50 Si dice che questa città sorgesse su di un'altura ad un'ora di distanza verso

mezzodì dalla capitale degli Alvergnati, Nemetum, l'odierna Clermont, cheancora oggidì si chiama Gergoie; e tanto gli avanzi delle grossolane murascoperte nelle escavazioni fattevi, quanto la tradizione del nome, che risalecon documenti sino al decimo secolo, non lasciano alcun dubbiosull'esattezza di questa ubicazione. Questa collima anche, come colle altreindicazioni di Cesare, specialmente colla circostanza che egli indicaabbastanza chiaramente Gergovia quale capuologo degli Alvergnati (7, 4).Si dovrà quindi ritenere, che gli Alvergnati sieno stati costretti a traslocare,dopo la riportata sconfitta, da Gergovia nella vicina, meno forte, Nemetum.

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no ad unirsi seriamente al partito patriottico; le schiereche per ordine di Cesare essi avevano inviato a Gergo-via, erano già state indotte lungo la strada dai loro uffi-ciali a dichiararsi per gli insorti; nel loro distretto altempo stesso già avevano incominciato a spogliare e aduccidere i Romani ivi stabiliti. Essendo però Cesare, allatesta di due terzi del suo esercito che stringeva Gergo-via, andato ad incontrare il corpo di truppe degli Edui,lo ricondusse colla pronta sua apparizione all'obbedien-za nominale; ma questa era una condizione di cose piùche mai vana e fragile, la cui durata sarebbe costatatroppo esponendo a grave pericolo le due legioni dinan-zi a Gergovia. Vercingetorige profittando subito e conrisolutezza della partenza di Cesare, durante la sua as-senza, aveva fatto un attacco contro di esse che per poconon finiva col loro esterminio e colla presa del camporomano.Soltanto l'impareggiabile rapidità di Cesare impedì inquesto frangente una seconda catastrofe come quellad'Aduatuca. Sebbene anche gli Edui mostrassero ora dinuovo buone disposizioni, era da prevedersi che essi, seil blocco si protraesse a lungo senza un successo, si da-rebbero francamente agli insorti e costringerebbero Ce-sare a togliere l'assedio poichè la loro adesione avrebbetagliato le comunicazioni tra lui e Labieno, ed espostospecialmente questi al massimo pericolo nel suo isola-mento.Cesare era deciso di non permettere che le cose venisse-ro a tal punto, ma per quanto spiacevole e pericoloso

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no ad unirsi seriamente al partito patriottico; le schiereche per ordine di Cesare essi avevano inviato a Gergo-via, erano già state indotte lungo la strada dai loro uffi-ciali a dichiararsi per gli insorti; nel loro distretto altempo stesso già avevano incominciato a spogliare e aduccidere i Romani ivi stabiliti. Essendo però Cesare, allatesta di due terzi del suo esercito che stringeva Gergo-via, andato ad incontrare il corpo di truppe degli Edui,lo ricondusse colla pronta sua apparizione all'obbedien-za nominale; ma questa era una condizione di cose piùche mai vana e fragile, la cui durata sarebbe costatatroppo esponendo a grave pericolo le due legioni dinan-zi a Gergovia. Vercingetorige profittando subito e conrisolutezza della partenza di Cesare, durante la sua as-senza, aveva fatto un attacco contro di esse che per poconon finiva col loro esterminio e colla presa del camporomano.Soltanto l'impareggiabile rapidità di Cesare impedì inquesto frangente una seconda catastrofe come quellad'Aduatuca. Sebbene anche gli Edui mostrassero ora dinuovo buone disposizioni, era da prevedersi che essi, seil blocco si protraesse a lungo senza un successo, si da-rebbero francamente agli insorti e costringerebbero Ce-sare a togliere l'assedio poichè la loro adesione avrebbetagliato le comunicazioni tra lui e Labieno, ed espostospecialmente questi al massimo pericolo nel suo isola-mento.Cesare era deciso di non permettere che le cose venisse-ro a tal punto, ma per quanto spiacevole e pericoloso

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fosse l'abbandonare l'impresa di Gergovia, era meglio,una volta presa la decisione, partire immediatamente edentrare nel distretto degli Edui per impedire a qualunquecosto la formale loro unione cogli insorti. Ma prima dirisolversi ad una tale ritirata, così poco confacente alsuo pronto ed energico carattere, egli volle fare un ulti-mo tentativo per togliersi con un brillante successo daquesta imbarazzante posizione.Mentre la massa della guarnigione di Gergovia era in-tenta a trincerare la parte che si supponeva fosse assali-ta, il generale romano colse l'occasione per sorprendereun altro accesso meno comodo ma momentaneamentepiù sguarnito. Le colonne romane scalarono infatti lemura del campo nemico e ne occuparono i più prossimiquartieri; ma già era stato dato l'allarme a tutta la guar-nigione; e Cesare, vista la breve distanza, non credetteconsigliabile arrischiare un secondo assalto alle muradelle città.Egli diede il segnale della ritirata; ma le prime legioni,trasportate dall'impeto della vittoria, non lo udirono onon lo vollero udire, e si portarono senza poter esseretrattenute fin sotto le mura della città stessa. Ma semprepiù dense masse si avventarono contro gli invasori; i piùgenerosi caddero, le colonne si fermarono; invano com-batterono col più segnalato eroismo centurioni e legio-nari; gli aggressori furono con gravissime perdite cac-ciati dalla città e giù dal monte e giunti al piano furonoaccolti dalle truppe di Cesare ivi schierate, le quali im-pedirono così maggiori disgrazie.

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fosse l'abbandonare l'impresa di Gergovia, era meglio,una volta presa la decisione, partire immediatamente edentrare nel distretto degli Edui per impedire a qualunquecosto la formale loro unione cogli insorti. Ma prima dirisolversi ad una tale ritirata, così poco confacente alsuo pronto ed energico carattere, egli volle fare un ulti-mo tentativo per togliersi con un brillante successo daquesta imbarazzante posizione.Mentre la massa della guarnigione di Gergovia era in-tenta a trincerare la parte che si supponeva fosse assali-ta, il generale romano colse l'occasione per sorprendereun altro accesso meno comodo ma momentaneamentepiù sguarnito. Le colonne romane scalarono infatti lemura del campo nemico e ne occuparono i più prossimiquartieri; ma già era stato dato l'allarme a tutta la guar-nigione; e Cesare, vista la breve distanza, non credetteconsigliabile arrischiare un secondo assalto alle muradelle città.Egli diede il segnale della ritirata; ma le prime legioni,trasportate dall'impeto della vittoria, non lo udirono onon lo vollero udire, e si portarono senza poter esseretrattenute fin sotto le mura della città stessa. Ma semprepiù dense masse si avventarono contro gli invasori; i piùgenerosi caddero, le colonne si fermarono; invano com-batterono col più segnalato eroismo centurioni e legio-nari; gli aggressori furono con gravissime perdite cac-ciati dalla città e giù dal monte e giunti al piano furonoaccolti dalle truppe di Cesare ivi schierate, le quali im-pedirono così maggiori disgrazie.

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43. Piano di guerra di Cesare.

La sperata espugnazione di Gergovia si cambiò in unasconfitta e la grave perdita tra morti e feriti – 700 mortifra i quali 46 centurioni – era la parte minore delladisgrazia avvenuta.La imponente posizione di Cesare nelle Gallie si fonda-va essenzialmente sull'aureola delle sue vittorie; e que-sta incominciava ad impallidire. Già i combattimenti in-torno ad Avarico, gli inutili tentativi di Cesare per obbli-gare il nemico ad accettare battaglia, la valorosa difesadella città e la sua espugnazione quasi accidentale porta-vano un'impronta ben diversa dalle guerre celtiche ante-riori, e avevano accresciuta anzi che tolta ai Celti la fi-ducia nelle proprie forze e nel proprio duce.Il nuovo sistema di guerreggiare, affrontando il nemicoal coperto delle fortezze e tenendosi in campi trincerati,tanto presso Lutetia quanto presso Gergovia, era stato ri-tenuto profittevole. Finalmente questa sconfitta, la pri-ma toccata a Cesare stesso per parte dei Celti, coronòl'opera e fu quasi il segnale per lo scoppio di una nuovainsurrezione. Gli Edui ruppero ora apertamente con Ce-sare e si accostarono a Vercingetorige.Il loro contingente, che si trovava ancora nell'esercito diCesare, non solo se ne staccò, ma portò seco anche leprovvigioni dell'esercito che si trovavano inNoviodunum sulla Loira, per cui caddero nelle manidegli insorti le casse ed i magazzini, una quantità dicavalli di rimonta e tutti gli ostaggi dati a Cesare.

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43. Piano di guerra di Cesare.

La sperata espugnazione di Gergovia si cambiò in unasconfitta e la grave perdita tra morti e feriti – 700 mortifra i quali 46 centurioni – era la parte minore delladisgrazia avvenuta.La imponente posizione di Cesare nelle Gallie si fonda-va essenzialmente sull'aureola delle sue vittorie; e que-sta incominciava ad impallidire. Già i combattimenti in-torno ad Avarico, gli inutili tentativi di Cesare per obbli-gare il nemico ad accettare battaglia, la valorosa difesadella città e la sua espugnazione quasi accidentale porta-vano un'impronta ben diversa dalle guerre celtiche ante-riori, e avevano accresciuta anzi che tolta ai Celti la fi-ducia nelle proprie forze e nel proprio duce.Il nuovo sistema di guerreggiare, affrontando il nemicoal coperto delle fortezze e tenendosi in campi trincerati,tanto presso Lutetia quanto presso Gergovia, era stato ri-tenuto profittevole. Finalmente questa sconfitta, la pri-ma toccata a Cesare stesso per parte dei Celti, coronòl'opera e fu quasi il segnale per lo scoppio di una nuovainsurrezione. Gli Edui ruppero ora apertamente con Ce-sare e si accostarono a Vercingetorige.Il loro contingente, che si trovava ancora nell'esercito diCesare, non solo se ne staccò, ma portò seco anche leprovvigioni dell'esercito che si trovavano inNoviodunum sulla Loira, per cui caddero nelle manidegli insorti le casse ed i magazzini, una quantità dicavalli di rimonta e tutti gli ostaggi dati a Cesare.

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Almeno di uguale importanza fu l'agitazione destatasi inseguito a queste notizie anche presso i Belgi, i quali sinoallora si erano tenuti estranei a tutto il movimento. Il po-tente distretto dei Bellovaci si tenne pronto per attaccarealle spalle il corpo di truppe di Labieno mentre si trova-va presso Lutetia di fronte alla leva in massa dei circo-stanti distretti della Gallia mediana.Dappertutto si correva alle armi; la forza del sentimentopatriottico scuoteva perfino i più decisi e favoriti parti-giani di Roma, come ad esempio Commio, re degliAtrebati, che in premio dei suoi fedeli servigi aveva ot-tenuto dai Romani importanti privilegi per il suo comu-ne e l'egemonia sui Morini. Le file dell'insurrezione siestendevano sino all'antica provincia romana: gli insortinutrivano la speranza, e non senza fondamento, di deci-dere gli stessi Allobrogi a rivolgere le armi contro i Ro-mani. Coll'unica eccezione dei Remi e dei distretti deiSuessoni, dei Leuci e dei Lingoni dipendenti da essi, ilcui spirito di municipalismo non fu vinto nemmeno sot-to l'influenza di questo entusiasmo universale, l'interanazione celtica si trovava ora di fatto per la prima volta,dai Pirenei sino al Reno, sotto le armi per la sua libertà eper la sua nazionalità. Invece fu assai singolare che tuttii comuni germanici, che nelle battaglie sino allora com-battute avevano sempre pugnato in prima fila, se nestessero fuori e che i Treviriani, e a quanto pare anche iMenapî, fossero perfino ridotti per le loro guerre controi Germani all'impossibilità di prendere parte attiva allaguerra nazionale.

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Almeno di uguale importanza fu l'agitazione destatasi inseguito a queste notizie anche presso i Belgi, i quali sinoallora si erano tenuti estranei a tutto il movimento. Il po-tente distretto dei Bellovaci si tenne pronto per attaccarealle spalle il corpo di truppe di Labieno mentre si trova-va presso Lutetia di fronte alla leva in massa dei circo-stanti distretti della Gallia mediana.Dappertutto si correva alle armi; la forza del sentimentopatriottico scuoteva perfino i più decisi e favoriti parti-giani di Roma, come ad esempio Commio, re degliAtrebati, che in premio dei suoi fedeli servigi aveva ot-tenuto dai Romani importanti privilegi per il suo comu-ne e l'egemonia sui Morini. Le file dell'insurrezione siestendevano sino all'antica provincia romana: gli insortinutrivano la speranza, e non senza fondamento, di deci-dere gli stessi Allobrogi a rivolgere le armi contro i Ro-mani. Coll'unica eccezione dei Remi e dei distretti deiSuessoni, dei Leuci e dei Lingoni dipendenti da essi, ilcui spirito di municipalismo non fu vinto nemmeno sot-to l'influenza di questo entusiasmo universale, l'interanazione celtica si trovava ora di fatto per la prima volta,dai Pirenei sino al Reno, sotto le armi per la sua libertà eper la sua nazionalità. Invece fu assai singolare che tuttii comuni germanici, che nelle battaglie sino allora com-battute avevano sempre pugnato in prima fila, se nestessero fuori e che i Treviriani, e a quanto pare anche iMenapî, fossero perfino ridotti per le loro guerre controi Germani all'impossibilità di prendere parte attiva allaguerra nazionale.

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Fu un momento grave e decisivo quando dopo la ritiratadi Gergovia e dopo la perdita di Noviodunum fu tenutoun consiglio di guerra nel quartier generale di Cesareper decidere delle misure da prendersi. Parecchie voci sipronunciarono per la ritirata al di là delle Cevenne nellaantica provincia romana, aperta allora da ogni parte agliinsorti, e la quale per sua difesa aveva bisognourgentemente delle legioni appena inviate da Roma.Ma Cesare respinse questa timida strategia, non impostadalle circostanze, ma da istruzioni del governo e daltimore della responsabilità. Egli si limitò a chiamaresotto le armi tutti i Romani residenti in questa provinciae con questi fece occupare la provincia meglio che potè,mentr'egli in direzione opposta si avviò a marce forzatead Agedincum, dove Labieno per ordine suo dovevagiungere colla massima celerità.Era naturale che i Celti tentassero d'impedire l'unionedei due eserciti romani. Labieno avrebbe potuto,passando la Marna e seguendo la Senna sulla destra,arrivare ad Agedincum dove aveva lasciato la sua riservae le sue salmerie; ma preferì non dare una seconda voltaai Celti lo spettacolo di una ritirata delle truppe romane.Invece di ripassare la Marna, egli passò sotto gli occhidel deluso nemico la Senna e diede sulla sua spondasinistra una battaglia alle masse nemiche,sconfiggendole, e fra tanti altri rimase morto sul campolo stesso generale celtico, il vecchio Camulogeno.Gli insorti non poterono neppure trattenere Cesare sullaLoira, giacchè questi non lasciò loro il tempo di racco-

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Fu un momento grave e decisivo quando dopo la ritiratadi Gergovia e dopo la perdita di Noviodunum fu tenutoun consiglio di guerra nel quartier generale di Cesareper decidere delle misure da prendersi. Parecchie voci sipronunciarono per la ritirata al di là delle Cevenne nellaantica provincia romana, aperta allora da ogni parte agliinsorti, e la quale per sua difesa aveva bisognourgentemente delle legioni appena inviate da Roma.Ma Cesare respinse questa timida strategia, non impostadalle circostanze, ma da istruzioni del governo e daltimore della responsabilità. Egli si limitò a chiamaresotto le armi tutti i Romani residenti in questa provinciae con questi fece occupare la provincia meglio che potè,mentr'egli in direzione opposta si avviò a marce forzatead Agedincum, dove Labieno per ordine suo dovevagiungere colla massima celerità.Era naturale che i Celti tentassero d'impedire l'unionedei due eserciti romani. Labieno avrebbe potuto,passando la Marna e seguendo la Senna sulla destra,arrivare ad Agedincum dove aveva lasciato la sua riservae le sue salmerie; ma preferì non dare una seconda voltaai Celti lo spettacolo di una ritirata delle truppe romane.Invece di ripassare la Marna, egli passò sotto gli occhidel deluso nemico la Senna e diede sulla sua spondasinistra una battaglia alle masse nemiche,sconfiggendole, e fra tanti altri rimase morto sul campolo stesso generale celtico, il vecchio Camulogeno.Gli insorti non poterono neppure trattenere Cesare sullaLoira, giacchè questi non lasciò loro il tempo di racco-

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gliervi maggiori masse e sbaragliò senza fatica la mili-zia degli Edui che vi si trovava. Così fu felicemente ef-fettuato il congiungimento dei due eserciti.

44. Battaglia di Alesia.

Intanto gli insorti avevano tenuto consiglio in Bibracte(Autun), capitale degli Edui, sulla ulteriore condottadella guerra e l'anima di questo convegno fu ancoraVercingetorige, pel quale dopo la vittoria di Gergoviatutta la nazione era entusiasmata.Veramente anche ora non tacevano gli interessi privati;gli Edui facevano valere anche in questa solenne lottadella nazione le loro pretese alla egemonia e proponeva-no all'assemblea di nominare uno dei loro al posto diVercingetorige. Ma i rappresentanti del paese non solosi rifiutarono a ciò e confermarono Vercingetorige nellacarica di supremo duce, ma approvarono anchesenz'altro il suo piano di guerra.Era in sostanza quello stesso che gli aveva servito dinorma presso Avarico e presso Gergovia. Come puntostrategico della nuova posizione fu scelta la città deiMandubî, Alesia (Alise Sainte Reine presso Semur neldip. della Costa d'oro)51 e sotto le sue mura vennepiantato un campo trincerato. Vi si ammassaronoimmense provvigioni, e vi fu inoltre chiamato l'esercito

51 La questione recentemente sollevatasi, se Alesia non fosse piuttostoAlaise (25 Km. al sud di Besançon, dip. Doubs), fu con ragione negata datutti gli assennati investigatori.

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gliervi maggiori masse e sbaragliò senza fatica la mili-zia degli Edui che vi si trovava. Così fu felicemente ef-fettuato il congiungimento dei due eserciti.

44. Battaglia di Alesia.

Intanto gli insorti avevano tenuto consiglio in Bibracte(Autun), capitale degli Edui, sulla ulteriore condottadella guerra e l'anima di questo convegno fu ancoraVercingetorige, pel quale dopo la vittoria di Gergoviatutta la nazione era entusiasmata.Veramente anche ora non tacevano gli interessi privati;gli Edui facevano valere anche in questa solenne lottadella nazione le loro pretese alla egemonia e proponeva-no all'assemblea di nominare uno dei loro al posto diVercingetorige. Ma i rappresentanti del paese non solosi rifiutarono a ciò e confermarono Vercingetorige nellacarica di supremo duce, ma approvarono anchesenz'altro il suo piano di guerra.Era in sostanza quello stesso che gli aveva servito dinorma presso Avarico e presso Gergovia. Come puntostrategico della nuova posizione fu scelta la città deiMandubî, Alesia (Alise Sainte Reine presso Semur neldip. della Costa d'oro)51 e sotto le sue mura vennepiantato un campo trincerato. Vi si ammassaronoimmense provvigioni, e vi fu inoltre chiamato l'esercito

51 La questione recentemente sollevatasi, se Alesia non fosse piuttostoAlaise (25 Km. al sud di Besançon, dip. Doubs), fu con ragione negata datutti gli assennati investigatori.

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di Gergovia, la cui cavalleria, per disposizionidell'assemblea, era stata aumentata fino a 15.000 cavalli.Operata la riunione delle sue forze presso Agedincum,Cesare si volse verso Besançon per approssimarsiall'angustiata provincia e impedirne l'invasione, poichèqualche schiera d'insorti si era lasciata vedere nelterritorio degli Elvî sul versante meridionale delleCevenne.Alesia si trovava quasi sulla sua via; la cavalleria deiCelti, l'unica arma di cui Vercingetorige poteva servirsi,l'attaccò durante la marcia, ma con sorpresa di tutti furespinta dai nuovi squadroni germanici di Cesare, e dal-la fanteria romana pronta per appoggiarli. Vercingetori-ge s'affrettò a rinchiudersi in Alesia; e se Cesare non vo-leva rinunziare all'offensiva, non gli rimaneva da farealtro che continuare, per la terza volta in questa campa-gna, a procedere offensivamente contro un esercito sus-sidiato da una immensa massa di cavalleria ed accampa-to sotto le mura d'una fortezza ben munita e approvvi-gionata, con un esercito molto più debole.Ma se i Celti fino allora avevano avuto da combatteresolo con una parte delle legioni romane, essi ora aveva-no di fronte tutte le forze di Cesare, che stringevanod'assedio questa città e di più questa volta non potè Ver-cingetorige, come in Avarico ed in Gergovia, schierarela fanteria sotto la protezione delle mura della fortezza emantenere colla sola cavalleria le sue comunicazioni li-bere al di fuori, mentre avrebbe interrotto quelle del ne-mico.

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di Gergovia, la cui cavalleria, per disposizionidell'assemblea, era stata aumentata fino a 15.000 cavalli.Operata la riunione delle sue forze presso Agedincum,Cesare si volse verso Besançon per approssimarsiall'angustiata provincia e impedirne l'invasione, poichèqualche schiera d'insorti si era lasciata vedere nelterritorio degli Elvî sul versante meridionale delleCevenne.Alesia si trovava quasi sulla sua via; la cavalleria deiCelti, l'unica arma di cui Vercingetorige poteva servirsi,l'attaccò durante la marcia, ma con sorpresa di tutti furespinta dai nuovi squadroni germanici di Cesare, e dal-la fanteria romana pronta per appoggiarli. Vercingetori-ge s'affrettò a rinchiudersi in Alesia; e se Cesare non vo-leva rinunziare all'offensiva, non gli rimaneva da farealtro che continuare, per la terza volta in questa campa-gna, a procedere offensivamente contro un esercito sus-sidiato da una immensa massa di cavalleria ed accampa-to sotto le mura d'una fortezza ben munita e approvvi-gionata, con un esercito molto più debole.Ma se i Celti fino allora avevano avuto da combatteresolo con una parte delle legioni romane, essi ora aveva-no di fronte tutte le forze di Cesare, che stringevanod'assedio questa città e di più questa volta non potè Ver-cingetorige, come in Avarico ed in Gergovia, schierarela fanteria sotto la protezione delle mura della fortezza emantenere colla sola cavalleria le sue comunicazioni li-bere al di fuori, mentre avrebbe interrotto quelle del ne-mico.

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La cavalleria celtica, già scoraggiata dalla sconfitta toc-catale da nemici da essa stessa tenuti in poco conto, fubattuta dai cavalieri tedeschi di Cesare in ogni scontro.La linea di circonvallazione degli assedianti, compresoil campo trincerato, aveva un'estensione di due leghe in-torno alla città.Vercingetorige aveva calcolato di combattere sotto lemura della città, ma non di essere assediato in Alesia; inquesto caso le provvigioni, per quanto fossero abbon-danti, non bastavano affatto al bisogno del suo esercitocomposto di circa 80.000 fanti e 15.000 cavalieri, oltrealla numerosa popolazione. Egli dovette quindi persua-dersi che questa volta il suo piano di guerra lo conduce-va alla rovina, e che egli era perduto se tutta la nazionenon veniva in aiuto per liberare il suo assediato capita-no.Quando dai Romani fu finito il vallo che circondava lacittà, le sue provvigioni erano sufficenti per un mese opoco più; venuto agli estremi Vercingetorige licenziò,dove la via, almeno pei cavalieri, era ancora libera, tuttala sua cavalleria, facendo contemporaneamente appelloai capi della nazione perchè raccogliessero tutti gli uo-mini atti alle armi e li conducessero alla liberazione diAlesia. Deciso di assumere personalmente la responsa-bilità del suo piano di guerra, egli rimase nella fortezzaper dividere con i suoi la sorte o in bene o in male.Cesare si preparò quindi ad assediare e ad essere asse-diato. Egli dispose che la linea di circonvallazione ser-visse anche alla difesa dalla parte esterna e fece ammas-

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La cavalleria celtica, già scoraggiata dalla sconfitta toc-catale da nemici da essa stessa tenuti in poco conto, fubattuta dai cavalieri tedeschi di Cesare in ogni scontro.La linea di circonvallazione degli assedianti, compresoil campo trincerato, aveva un'estensione di due leghe in-torno alla città.Vercingetorige aveva calcolato di combattere sotto lemura della città, ma non di essere assediato in Alesia; inquesto caso le provvigioni, per quanto fossero abbon-danti, non bastavano affatto al bisogno del suo esercitocomposto di circa 80.000 fanti e 15.000 cavalieri, oltrealla numerosa popolazione. Egli dovette quindi persua-dersi che questa volta il suo piano di guerra lo conduce-va alla rovina, e che egli era perduto se tutta la nazionenon veniva in aiuto per liberare il suo assediato capita-no.Quando dai Romani fu finito il vallo che circondava lacittà, le sue provvigioni erano sufficenti per un mese opoco più; venuto agli estremi Vercingetorige licenziò,dove la via, almeno pei cavalieri, era ancora libera, tuttala sua cavalleria, facendo contemporaneamente appelloai capi della nazione perchè raccogliessero tutti gli uo-mini atti alle armi e li conducessero alla liberazione diAlesia. Deciso di assumere personalmente la responsa-bilità del suo piano di guerra, egli rimase nella fortezzaper dividere con i suoi la sorte o in bene o in male.Cesare si preparò quindi ad assediare e ad essere asse-diato. Egli dispose che la linea di circonvallazione ser-visse anche alla difesa dalla parte esterna e fece ammas-

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sare le necessarie provvigioni per un lungo tempo.Scorrevano i giorni; già nella fortezza non v'era un mog-gio di frumento, già gli infelici abitanti della città neerano stati cacciati fuori per cadere miseramente fra letrincee dei Celti e dei Romani, dagli uni e dagli altri inu-manamente respinti: quando ad un tratto, proprionell'ultim'ora, scoprirono dietro le linee di Cesare le im-mense schiere dell'esercito celtico-belga di liberazione,composto probabilmente di 250.000 fanti e di 8000 ca-valieri.Dalla Manica fino alle Cevenne i distretti insorti aveva-no fatto ogni sforzo per liberare il nerbo dei loro patriot-ti e il generale da essi eletto; i soli Bellovaci avevano ri-sposto che intendevano combattere i Romani, ma nonfuori dai propri confini.Il primo assalto che gli assediati d'Alesia e le truppe diliberazione al di fuori diedero alle doppie linee romane,fu respinto; ma essendosi esso ripetuto dopo un giornodi riposo, gli assediati riuscirono a colmare i fossi in unluogo dove la linea di circonvallazione si estendeva sulpendio di un'altura, dalla cui sommità si poteva procede-re all'attacco, ed a respingere i difensori giù dal riparo.Allora Labieno, mandatovi da Cesare, raccolte le più vi-cine coorti, assalì il nemico con quattro legioni. Sottogli occhi del generale, che comparve personalmente nelmomento più pericoloso, gli impetuosi avversari furonoricacciati dopo una disperata mischia corpo a corpo, egli squadroni sopraggiunti con Cesare, cogliendo i fug-gitivi alle spalle, compirono la disfatta.

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sare le necessarie provvigioni per un lungo tempo.Scorrevano i giorni; già nella fortezza non v'era un mog-gio di frumento, già gli infelici abitanti della città neerano stati cacciati fuori per cadere miseramente fra letrincee dei Celti e dei Romani, dagli uni e dagli altri inu-manamente respinti: quando ad un tratto, proprionell'ultim'ora, scoprirono dietro le linee di Cesare le im-mense schiere dell'esercito celtico-belga di liberazione,composto probabilmente di 250.000 fanti e di 8000 ca-valieri.Dalla Manica fino alle Cevenne i distretti insorti aveva-no fatto ogni sforzo per liberare il nerbo dei loro patriot-ti e il generale da essi eletto; i soli Bellovaci avevano ri-sposto che intendevano combattere i Romani, ma nonfuori dai propri confini.Il primo assalto che gli assediati d'Alesia e le truppe diliberazione al di fuori diedero alle doppie linee romane,fu respinto; ma essendosi esso ripetuto dopo un giornodi riposo, gli assediati riuscirono a colmare i fossi in unluogo dove la linea di circonvallazione si estendeva sulpendio di un'altura, dalla cui sommità si poteva procede-re all'attacco, ed a respingere i difensori giù dal riparo.Allora Labieno, mandatovi da Cesare, raccolte le più vi-cine coorti, assalì il nemico con quattro legioni. Sottogli occhi del generale, che comparve personalmente nelmomento più pericoloso, gli impetuosi avversari furonoricacciati dopo una disperata mischia corpo a corpo, egli squadroni sopraggiunti con Cesare, cogliendo i fug-gitivi alle spalle, compirono la disfatta.

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Questo fatto fu più che una grande vittoria; con esso fudecisa irrevocabilmente la sorte di Alesia, anzi di tuttala nazione celtica. L'esercito dei Celti, completamentescoraggiato, si disperse immediatamente. Vercingetorigeavrebbe ancora potuto fuggire o almeno salvarsicoll'ultimo mezzo dell'uomo libero; egli non lo fece, madichiarò nel consiglio di guerra, che non essendogli riu-scito di liberare il paese dal dominio straniero, egli erapronto a sagrificarsi e a prendere per quanto fosse possi-bile sul suo capo il male riservato alla nazione.

45. Vercingetorige decapitato.

Così avvenne. Gli ufficiali celti consegnarono al nemicoper la conveniente punizione il loro generale elettosolennemente da tutta la nazione. Dritto in sella ed intutto lo splendore delle armi, il re degli Alvergnaticomparve dinanzi al proconsole romano e giròcavalcando d'intorno al suo tribunale; consegnò poicavallo ed armi, e silenzioso piegò le sue ginocchiadinanzi a Cesare (702 = 52).Cinque anni più tardi egli fu condotto in trionfo per levie della capitale d'Italia, e mentre il suo vincitore por-geva agli dei solenni ringraziamenti sull'alto del Campi-doglio, egli ai piedi della rocca veniva decapitato comereo di alto tradimento verso la nazione romana.Come dopo una fosca giornata il sole tramontando è di-spensatore alla terra d'un suo raggio, così il destino con-cede ai popoli che tramontano ancora un ultimo uomo

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Questo fatto fu più che una grande vittoria; con esso fudecisa irrevocabilmente la sorte di Alesia, anzi di tuttala nazione celtica. L'esercito dei Celti, completamentescoraggiato, si disperse immediatamente. Vercingetorigeavrebbe ancora potuto fuggire o almeno salvarsicoll'ultimo mezzo dell'uomo libero; egli non lo fece, madichiarò nel consiglio di guerra, che non essendogli riu-scito di liberare il paese dal dominio straniero, egli erapronto a sagrificarsi e a prendere per quanto fosse possi-bile sul suo capo il male riservato alla nazione.

45. Vercingetorige decapitato.

Così avvenne. Gli ufficiali celti consegnarono al nemicoper la conveniente punizione il loro generale elettosolennemente da tutta la nazione. Dritto in sella ed intutto lo splendore delle armi, il re degli Alvergnaticomparve dinanzi al proconsole romano e giròcavalcando d'intorno al suo tribunale; consegnò poicavallo ed armi, e silenzioso piegò le sue ginocchiadinanzi a Cesare (702 = 52).Cinque anni più tardi egli fu condotto in trionfo per levie della capitale d'Italia, e mentre il suo vincitore por-geva agli dei solenni ringraziamenti sull'alto del Campi-doglio, egli ai piedi della rocca veniva decapitato comereo di alto tradimento verso la nazione romana.Come dopo una fosca giornata il sole tramontando è di-spensatore alla terra d'un suo raggio, così il destino con-cede ai popoli che tramontano ancora un ultimo uomo

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grande. Così alla fine della storia fenicia vediamo Anni-bale, alla fine di quella celtica Vercingetorige. Nè l'unonè l'altro poterono liberare la loro nazione dalla signoriastraniera, ma essi seppero risparmiarle l'ultima vergo-gna: una caduta ingloriosa.Anche Vercingetorige, come appunto il Cartaginese, fucostretto a combattere non solo il nemico del paese, maanzitutto l'opposizione antinazionale di egoisti offesi edi vili, turbati nella loro quiete, i quali accompagnanoregolarmente una degenerata civiltà; anch'egli ha un po-sto nella storia, non per le sue battaglie e per i suoi asse-di, ma perchè seppe dare nella sua persona un puntod'unione ad una nazione sminuzzata e che periva percolpa del suo campanilismo.Eppure non vi è forse un più reciso contrapposto di que-sto, tra il semplice cittadino della città commerciale fe-nicia, con i suoi piani diretti con immutabile energia percinquant'anni ad un unico grande scopo, e l'audace prin-cipe celtico, le cui valorose gesta col suo generoso sa-grificio sono comprese entro il breve spazio di una esta-te.L'antichità non vanta un uomo più cavalleresco di lui,tanto nell'animo che nella figura esteriore. Ma l'uomonon deve essere cavaliere e meno di tutti l'uomo di stato.Fu il cavaliere, non l'eroe che disdegnò di uscire da Ale-sia, mentre alla nazione importava più di lui che di cen-tomila uomini di comune valore. Fu il cavaliere, nonl'eroe che si offrì in olocausto, mentre con questo sagri-ficio non si otteneva altro, se non che la nazione si diso-

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grande. Così alla fine della storia fenicia vediamo Anni-bale, alla fine di quella celtica Vercingetorige. Nè l'unonè l'altro poterono liberare la loro nazione dalla signoriastraniera, ma essi seppero risparmiarle l'ultima vergo-gna: una caduta ingloriosa.Anche Vercingetorige, come appunto il Cartaginese, fucostretto a combattere non solo il nemico del paese, maanzitutto l'opposizione antinazionale di egoisti offesi edi vili, turbati nella loro quiete, i quali accompagnanoregolarmente una degenerata civiltà; anch'egli ha un po-sto nella storia, non per le sue battaglie e per i suoi asse-di, ma perchè seppe dare nella sua persona un puntod'unione ad una nazione sminuzzata e che periva percolpa del suo campanilismo.Eppure non vi è forse un più reciso contrapposto di que-sto, tra il semplice cittadino della città commerciale fe-nicia, con i suoi piani diretti con immutabile energia percinquant'anni ad un unico grande scopo, e l'audace prin-cipe celtico, le cui valorose gesta col suo generoso sa-grificio sono comprese entro il breve spazio di una esta-te.L'antichità non vanta un uomo più cavalleresco di lui,tanto nell'animo che nella figura esteriore. Ma l'uomonon deve essere cavaliere e meno di tutti l'uomo di stato.Fu il cavaliere, non l'eroe che disdegnò di uscire da Ale-sia, mentre alla nazione importava più di lui che di cen-tomila uomini di comune valore. Fu il cavaliere, nonl'eroe che si offrì in olocausto, mentre con questo sagri-ficio non si otteneva altro, se non che la nazione si diso-

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norasse in faccia al mondo, e codarda non meno che in-coerente, riconoscesse coll'ultimo suo respiro la sua sto-rica lotta di vita o di morte come un delitto verso i suoioppressori.Come aveva agito diversamente Annibale in eguali con-dizioni! Non è possibile separarsi dal nobile re degli Al-vergnati senza interessarsi di lui dal punto di vista stori-co e umano; ma è caratteristico della nazione celtica cheil suo più grande uomo non fosse altro che un cavaliere.

46. Le ultime battaglie.

L'espugnazione di Alesia e la capitolazione dell'esercitoche vi si trovava chiuso, furono un terribile colpoportato all'insurrezione celtica; ma alla nazione ne eranotoccati altri egualmente gravi, eppure la lotta era statasempre rinnovata.Però la perdita di Vercingetorige era irreparabile. Conlui si era raggiunta l'unità nella nazione; sembrava checon lui fosse di nuovo scomparsa. Non troviamo tracciache l'insurrezione avesse fatto un tentativo per continua-re la difesa generale del paese ed eleggere un nuovo su-premo duce; la lega patriottica si sciolse da sè; e tutti idistretti rimasero liberi di combattere o di trattare con iRomani.Naturalmente prevaleva in generale la tendenza per lapace. Anche Cesare era interessato a vederla ripristinata.Dei dieci anni della sua luogotenenza sette erano già tra-scorsi, l'ultimo gli era stato conteso dai suoi avversari

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norasse in faccia al mondo, e codarda non meno che in-coerente, riconoscesse coll'ultimo suo respiro la sua sto-rica lotta di vita o di morte come un delitto verso i suoioppressori.Come aveva agito diversamente Annibale in eguali con-dizioni! Non è possibile separarsi dal nobile re degli Al-vergnati senza interessarsi di lui dal punto di vista stori-co e umano; ma è caratteristico della nazione celtica cheil suo più grande uomo non fosse altro che un cavaliere.

46. Le ultime battaglie.

L'espugnazione di Alesia e la capitolazione dell'esercitoche vi si trovava chiuso, furono un terribile colpoportato all'insurrezione celtica; ma alla nazione ne eranotoccati altri egualmente gravi, eppure la lotta era statasempre rinnovata.Però la perdita di Vercingetorige era irreparabile. Conlui si era raggiunta l'unità nella nazione; sembrava checon lui fosse di nuovo scomparsa. Non troviamo tracciache l'insurrezione avesse fatto un tentativo per continua-re la difesa generale del paese ed eleggere un nuovo su-premo duce; la lega patriottica si sciolse da sè; e tutti idistretti rimasero liberi di combattere o di trattare con iRomani.Naturalmente prevaleva in generale la tendenza per lapace. Anche Cesare era interessato a vederla ripristinata.Dei dieci anni della sua luogotenenza sette erano già tra-scorsi, l'ultimo gli era stato conteso dai suoi avversari

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politici nella capitale; egli poteva calcolare con qualchesicurezza ancora su due estati, e se il suo interesse ed ilsuo onore volevano che egli rimettesse al suo successorele province nuovamente conquistate in una passabilecondizione di pace e sufficentemente tranquille, bisognaconvenire che per raggiungere una simile meta il tempoera davvero troppo scarso.L'usare clemenza era in questo caso un maggior bisognoper il vincitore che per i vinti; ed egli poteva ringraziarela sua stella, che l'interna dissoluzione e la leggerezzanaturale dei Celti venissero in suo aiuto. Là dove esiste-va un forte partito favorevole ai Romani, come nei duepiù importanti cantoni della Gallia media, quello degliEdui e quello degli Alvergnati, subito dopo l'espugna-zione di Alesia fu accordato alle province il pieno rista-bilimento dei loro primitivi rapporti con Roma, e furonopersino restituiti senza riscatto i loro prigionieri, chesommavano a 20.000, mentre quelli degli altri cantonipassarono nella misera condizione di schiavi dei vitto-riosi legionari.Come gli Edui e gli Alvergnati, così si sottomise allasua sorte la maggior parte dei distretti gallici, chesoffrirono senz'altra difesa tutte le inevitabili punizioni.Ma non pochi durarono anche fedeli alla causa perduta,o per stolta leggerezza o per cupa disperazione, finchènon arrivarono entro i loro confini le truppe romane diesecuzione. Simili spedizioni furono fatte nell'invernodel 702-3 = 52-1 contro i Biturigi ed i Carnuti.Più seria resistenza opposero i Bellovaci, i quali l'anno

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politici nella capitale; egli poteva calcolare con qualchesicurezza ancora su due estati, e se il suo interesse ed ilsuo onore volevano che egli rimettesse al suo successorele province nuovamente conquistate in una passabilecondizione di pace e sufficentemente tranquille, bisognaconvenire che per raggiungere una simile meta il tempoera davvero troppo scarso.L'usare clemenza era in questo caso un maggior bisognoper il vincitore che per i vinti; ed egli poteva ringraziarela sua stella, che l'interna dissoluzione e la leggerezzanaturale dei Celti venissero in suo aiuto. Là dove esiste-va un forte partito favorevole ai Romani, come nei duepiù importanti cantoni della Gallia media, quello degliEdui e quello degli Alvergnati, subito dopo l'espugna-zione di Alesia fu accordato alle province il pieno rista-bilimento dei loro primitivi rapporti con Roma, e furonopersino restituiti senza riscatto i loro prigionieri, chesommavano a 20.000, mentre quelli degli altri cantonipassarono nella misera condizione di schiavi dei vitto-riosi legionari.Come gli Edui e gli Alvergnati, così si sottomise allasua sorte la maggior parte dei distretti gallici, chesoffrirono senz'altra difesa tutte le inevitabili punizioni.Ma non pochi durarono anche fedeli alla causa perduta,o per stolta leggerezza o per cupa disperazione, finchènon arrivarono entro i loro confini le truppe romane diesecuzione. Simili spedizioni furono fatte nell'invernodel 702-3 = 52-1 contro i Biturigi ed i Carnuti.Più seria resistenza opposero i Bellovaci, i quali l'anno

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prima non avevano preso parte alla liberazione di Ale-sia; sembrava volessero provare ch'essi in quella decisi-va giornata non avevano mancato almeno di coraggio edi amore per la libertà. A questa lotta concorsero gliAtrebati, gli Ambiani, i Caleti ed altri distretti belgi; ilvaloroso re degli Atrebati, Commio, al quale i Romanimeno che ad altri perdonavano la sua adesione all'insur-rezione, e contro cui Labieno non molto prima aveva or-dito un tentativo d'assassinio, condusse ai Bellovaci unaschiera di 500 cavalieri germanici, il cui pregio era statoriconosciuto nella campagna dell'anno precedente.Il risoluto e valente bellovaco, Correo, a cui era toccatain sorte la direzione della guerra, la conduceva come giàl'aveva condotta Vercingetorige, e con non minoresuccesso; benchè Cesare andasse raccogliendo a poco apoco la massima parte del suo esercito, non poteva perònè decidere la fanteria dei Bellovaci ad accettarebattaglia, e nemmeno impedire che essa occupasse delleposizioni che meglio la mettessero al sicuro contro lesuperiori forze di Cesare. La cavalleria romana, especialmente i contingenti celti, ebbero a soffrire inparecchi combattimenti sensibili perdite dalla cavallerianemica e specialmente da quella germanica di Commio.Ma dopo che Correo rimase ucciso in una scaramucciacoi foraggiatori romani, cessò anche qui la resistenza; ilvincitore pose delle condizioni sopportabili, che furonoaccettate dai Bellovaci e dai loro alleati. I Treviriani fu-rono ricondotti da Labieno all'obbedienza e il territoriodegli Eburoni, posti al bando, fu un'altra volta corso e

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prima non avevano preso parte alla liberazione di Ale-sia; sembrava volessero provare ch'essi in quella decisi-va giornata non avevano mancato almeno di coraggio edi amore per la libertà. A questa lotta concorsero gliAtrebati, gli Ambiani, i Caleti ed altri distretti belgi; ilvaloroso re degli Atrebati, Commio, al quale i Romanimeno che ad altri perdonavano la sua adesione all'insur-rezione, e contro cui Labieno non molto prima aveva or-dito un tentativo d'assassinio, condusse ai Bellovaci unaschiera di 500 cavalieri germanici, il cui pregio era statoriconosciuto nella campagna dell'anno precedente.Il risoluto e valente bellovaco, Correo, a cui era toccatain sorte la direzione della guerra, la conduceva come giàl'aveva condotta Vercingetorige, e con non minoresuccesso; benchè Cesare andasse raccogliendo a poco apoco la massima parte del suo esercito, non poteva perònè decidere la fanteria dei Bellovaci ad accettarebattaglia, e nemmeno impedire che essa occupasse delleposizioni che meglio la mettessero al sicuro contro lesuperiori forze di Cesare. La cavalleria romana, especialmente i contingenti celti, ebbero a soffrire inparecchi combattimenti sensibili perdite dalla cavallerianemica e specialmente da quella germanica di Commio.Ma dopo che Correo rimase ucciso in una scaramucciacoi foraggiatori romani, cessò anche qui la resistenza; ilvincitore pose delle condizioni sopportabili, che furonoaccettate dai Bellovaci e dai loro alleati. I Treviriani fu-rono ricondotti da Labieno all'obbedienza e il territoriodegli Eburoni, posti al bando, fu un'altra volta corso e

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devastato.Così fu vinta l'ultima resistenza della lega belga. Ancoraun tentativo di scuotere la signoria dei Romani fu fattodai distretti marittimi d'accordo coi loro vicini stanziatisulla Loira. Sulla bassa Loira si adunarono schiered'insorti dei distretti degli Andi, dei Carnuti e di altrivicini e assediarono in Lemonum (Poitiers), il principedei Pittoni partigiano dei Romani. Ma anche contro diessi sorse ben presto un'importante armata romana;allora gli insorti rinunciarono all'assedio e partirono perporsi al sicuro dietro la Loira. Furono raggiunti e battuti;in conseguenza di che i Carnuti e gli altri distretti insortie persino i marittimi fecero atto di sottomissione.La resistenza aveva toccato la sua fine; a stento sitrovava ancora qualche condottiero di bande che tenessealto il vessillo nazionale. Il temerario Drappe ed ilfedele compagno d'arme di Vercingetorige, Lucterio,raccolsero, dopo lo scioglimento dell'esercito, che sitrovava sulla Loira, i più risoluti campioni e si gettarononella forte città montana di Uxellodunum sul Lot52 chepoterono approvvigionare sufficentemente dopo gravi emicidiali combattimenti.Nonostante la perdita dei suoi capi, dei quali Drappe erastato fatto prigioniero e Lucterio si era allontanato dallacittà, il presidio si difese valorosamente fino agli estre-mi; soltanto dopo l'arrivo di Cesare e dopo che per suoordine era stata tolta agli assediati l'acqua deviandone il52 Si cerca questo luogo per lo più presso Capdenac, non lungi da Figeac;

Göler propugnò nuovamente l'opinione già sostenuta, cioè che Luzech eraall'ovest di Cahors.

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devastato.Così fu vinta l'ultima resistenza della lega belga. Ancoraun tentativo di scuotere la signoria dei Romani fu fattodai distretti marittimi d'accordo coi loro vicini stanziatisulla Loira. Sulla bassa Loira si adunarono schiered'insorti dei distretti degli Andi, dei Carnuti e di altrivicini e assediarono in Lemonum (Poitiers), il principedei Pittoni partigiano dei Romani. Ma anche contro diessi sorse ben presto un'importante armata romana;allora gli insorti rinunciarono all'assedio e partirono perporsi al sicuro dietro la Loira. Furono raggiunti e battuti;in conseguenza di che i Carnuti e gli altri distretti insortie persino i marittimi fecero atto di sottomissione.La resistenza aveva toccato la sua fine; a stento sitrovava ancora qualche condottiero di bande che tenessealto il vessillo nazionale. Il temerario Drappe ed ilfedele compagno d'arme di Vercingetorige, Lucterio,raccolsero, dopo lo scioglimento dell'esercito, che sitrovava sulla Loira, i più risoluti campioni e si gettarononella forte città montana di Uxellodunum sul Lot52 chepoterono approvvigionare sufficentemente dopo gravi emicidiali combattimenti.Nonostante la perdita dei suoi capi, dei quali Drappe erastato fatto prigioniero e Lucterio si era allontanato dallacittà, il presidio si difese valorosamente fino agli estre-mi; soltanto dopo l'arrivo di Cesare e dopo che per suoordine era stata tolta agli assediati l'acqua deviandone il52 Si cerca questo luogo per lo più presso Capdenac, non lungi da Figeac;

Göler propugnò nuovamente l'opinione già sostenuta, cioè che Luzech eraall'ovest di Cahors.

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corso per mezzo di condotti sotterranei, la fortezza,quest'ultima rocca della nazione celtica, cadde in poteredei Romani.Per contrassegnare gli ultimi propugnatori della causadell'indipendenza Cesare ordinò di tagliare le mani a tut-to il presidio e di lasciare poi che ognuno tornasse al suofocolare.Cesare, al quale anzitutto stava a cuore di farla finita intutta la Gallia almeno colla resistenza aperta, concesseal re Commio, che si manteneva ancora nella regioned'Arras e continuava a battersi sin nell'inverno del 703-4= 51-50 colle truppe romane, di far la pace, e lasciò per-fino che quest'uomo irritato e non a torto diffidente si ri-fiutasse arrogantemente di comparire in persona nelcampo romano.È molto probabile che Cesare si accontentasseegualmente, tanto nei distretti del nord-ovest come inquelli del nord-est della Gallia che erano di difficileaccesso, di una sottomissione di nome e forse anche diun armistizio di fatto53.

47. La Gallia sottomessa.

Così la Gallia, cioè il paese all'occidente del Reno e alsettentrione dei Pirenei, era venuta in potere dei Romanisolo dopo otto anni di guerra (696-703 = 58-51).

53 Presso Cesare, come ben si capisce, non è scritto; ma ne dà un cennoSallustio, da cui ciò risulta (Hist., 1, 9 KRITZ), benchè egli pure scrivessecome partigiano di Cesare. Nuove prove ce ne dànno le monete.

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corso per mezzo di condotti sotterranei, la fortezza,quest'ultima rocca della nazione celtica, cadde in poteredei Romani.Per contrassegnare gli ultimi propugnatori della causadell'indipendenza Cesare ordinò di tagliare le mani a tut-to il presidio e di lasciare poi che ognuno tornasse al suofocolare.Cesare, al quale anzitutto stava a cuore di farla finita intutta la Gallia almeno colla resistenza aperta, concesseal re Commio, che si manteneva ancora nella regioned'Arras e continuava a battersi sin nell'inverno del 703-4= 51-50 colle truppe romane, di far la pace, e lasciò per-fino che quest'uomo irritato e non a torto diffidente si ri-fiutasse arrogantemente di comparire in persona nelcampo romano.È molto probabile che Cesare si accontentasseegualmente, tanto nei distretti del nord-ovest come inquelli del nord-est della Gallia che erano di difficileaccesso, di una sottomissione di nome e forse anche diun armistizio di fatto53.

47. La Gallia sottomessa.

Così la Gallia, cioè il paese all'occidente del Reno e alsettentrione dei Pirenei, era venuta in potere dei Romanisolo dopo otto anni di guerra (696-703 = 58-51).

53 Presso Cesare, come ben si capisce, non è scritto; ma ne dà un cennoSallustio, da cui ciò risulta (Hist., 1, 9 KRITZ), benchè egli pure scrivessecome partigiano di Cesare. Nuove prove ce ne dànno le monete.

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Un anno appena dopo la prima pacificazione del paese,al principio del 705 = 49 le truppe romane dovettero es-sere richiamate a ripassare le Alpi a cagione della guerracivile scoppiata finalmente in Italia, e rimasero nel pae-se dei Celti tutt'al più alcune deboli divisioni di reclute.Tuttavia i Celti non insorsero più contro il dominio stra-niero; e mentre in tutte le antiche province del regno sicombatteva contro Cesare, il solo paese di nuovo acqui-sto si mantenne sottomesso al suo vincitore.Anche i tedeschi non fecero durante questi anni altri de-cisivi tentativi per stabilirsi come conquistatori sulla si-nistra del Reno. E così non avvenne durante le seguenticrisi nella Gallia alcuna nuova insurrezione nazionale oinvasione germanica, benchè se ne presentassero le piùfavorevoli occasioni.Se pure in qualche luogo avvenivano dei disordini,come ad esempio nel 708 = 46 presso i Bellovaci, che sisollevarono contro i Romani, quelle insurrezioni eranocosì isolate, e senza connessione cogli affari d'Italia, chesenza gravi difficoltà venivano sedate dai luogotenentiromani.È vero che questo stato pacifico, come lo fu per moltisecoli quello in Spagna, si era ottenuto lasciando che lepiù lontane province, più vivamente invase dal senti-mento nazionale, come la Bretagna, i distretti dellaSchelda, i paesi dei Pirenei, si sottraessero pel momentoin modo più o meno reciso alla sottomissione romana.Ma ciò non toglie che, per quanto scarso fosse il tempolasciato a Cesare per la costruzione del suo edificio e

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Un anno appena dopo la prima pacificazione del paese,al principio del 705 = 49 le truppe romane dovettero es-sere richiamate a ripassare le Alpi a cagione della guerracivile scoppiata finalmente in Italia, e rimasero nel pae-se dei Celti tutt'al più alcune deboli divisioni di reclute.Tuttavia i Celti non insorsero più contro il dominio stra-niero; e mentre in tutte le antiche province del regno sicombatteva contro Cesare, il solo paese di nuovo acqui-sto si mantenne sottomesso al suo vincitore.Anche i tedeschi non fecero durante questi anni altri de-cisivi tentativi per stabilirsi come conquistatori sulla si-nistra del Reno. E così non avvenne durante le seguenticrisi nella Gallia alcuna nuova insurrezione nazionale oinvasione germanica, benchè se ne presentassero le piùfavorevoli occasioni.Se pure in qualche luogo avvenivano dei disordini,come ad esempio nel 708 = 46 presso i Bellovaci, che sisollevarono contro i Romani, quelle insurrezioni eranocosì isolate, e senza connessione cogli affari d'Italia, chesenza gravi difficoltà venivano sedate dai luogotenentiromani.È vero che questo stato pacifico, come lo fu per moltisecoli quello in Spagna, si era ottenuto lasciando che lepiù lontane province, più vivamente invase dal senti-mento nazionale, come la Bretagna, i distretti dellaSchelda, i paesi dei Pirenei, si sottraessero pel momentoin modo più o meno reciso alla sottomissione romana.Ma ciò non toglie che, per quanto scarso fosse il tempolasciato a Cesare per la costruzione del suo edificio e

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questo stesso tempo fosse stato impiegato anche per af-fari di maggiore urgenza, e per quanto egli l'abbia la-sciato non finito e appena abbastanza rassicurato, tutta-via, tanto nel fatto di respingere i Germani, comenell'assoggettare i Celti, egli, in questa prova del fuoco,si mostrò resistente.I territori conquistati dal luogotenente della Gallia nar-bonense rimasero provvisoriamente uniti colla provinciadi Narbona per ciò che concerne l'amministrazione su-periore; soltanto quando Cesare lasciò questa carica(710 = 44) si formarono due luogotenenze del paese dalui conquistato: la Gallia propriamente detta ed il Bel-gio. Che i singoli distretti perdessero la loro indipenden-za era conforme allo spirito della conquista. Essi diven-nero tutti soggetti a pagare le imposte alla provincia ro-mana.Il sistema delle imposte non era quello di cui l'aristocra-zia del sangue e quella del danaro si serviva per smun-gere l'Asia, ma come succedeva nella Spagna, fu fissataper ogni singolo comune una somma una volta per sem-pre, lasciandone ad esso stesso la riscossione.In questo modo affluivano annualmente dalla Gallia 40milioni di sesterzi (L. 10.725.000) nelle casse del gover-no romano, il quale in cambio s'era assunto il pagamen-to delle spese occorrenti per la difesa dei confini renani.Non occorre poi qui osservare che in conseguenza dellaguerra le grandi masse d'oro, accumulate nei templi de-gli dei e nelle tesorerie dei grandi, trovarono la loro viaverso Roma; se Cesare sparse per tutto lo stato romano

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questo stesso tempo fosse stato impiegato anche per af-fari di maggiore urgenza, e per quanto egli l'abbia la-sciato non finito e appena abbastanza rassicurato, tutta-via, tanto nel fatto di respingere i Germani, comenell'assoggettare i Celti, egli, in questa prova del fuoco,si mostrò resistente.I territori conquistati dal luogotenente della Gallia nar-bonense rimasero provvisoriamente uniti colla provinciadi Narbona per ciò che concerne l'amministrazione su-periore; soltanto quando Cesare lasciò questa carica(710 = 44) si formarono due luogotenenze del paese dalui conquistato: la Gallia propriamente detta ed il Bel-gio. Che i singoli distretti perdessero la loro indipenden-za era conforme allo spirito della conquista. Essi diven-nero tutti soggetti a pagare le imposte alla provincia ro-mana.Il sistema delle imposte non era quello di cui l'aristocra-zia del sangue e quella del danaro si serviva per smun-gere l'Asia, ma come succedeva nella Spagna, fu fissataper ogni singolo comune una somma una volta per sem-pre, lasciandone ad esso stesso la riscossione.In questo modo affluivano annualmente dalla Gallia 40milioni di sesterzi (L. 10.725.000) nelle casse del gover-no romano, il quale in cambio s'era assunto il pagamen-to delle spese occorrenti per la difesa dei confini renani.Non occorre poi qui osservare che in conseguenza dellaguerra le grandi masse d'oro, accumulate nei templi de-gli dei e nelle tesorerie dei grandi, trovarono la loro viaverso Roma; se Cesare sparse per tutto lo stato romano

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il suo oro raccolto nella Gallia e se ne mandò sul merca-to in una sola volta tanto da far scadere l'oro del 25% difronte all'argento, si può immaginare quali somme laGallia abbia perduto con questa guerra.Le costituzioni dei distretti continuarono essenzialmentead essere in vigore coi re ereditari e coi loro capi feu-dali-oligarchici anche dopo la conquista, e non fu tocca-to nemmeno il sistema della clientela, in forza del qualealcuni cantoni dipendevano da altri più potenti, quantun-que questo sistema, colla perdita dell'indipendenza poli-tica, avesse anche perduto la sua forza. Il pensiero diCesare era tutto intento ad ordinare i rapporti nell'inte-resse di Roma, approfittando dei dissensi dinastici, feu-dali ed egemonici e di porre dappertutto alla testa degliaffari gli uomini favorevoli al governo di Roma.Cesare non trascurava nulla per formare nelle Gallie unpartito romano; egli ricolmava i suoi partigiani con doniin oro e specialmente in beni stabili, provenienti dalleconquiste e colla sua influenza essi venivano ammessinel consiglio comunale e occupavano i primi posti mu-nicipali nel loro distretti.Quei distretti nei quali esisteva un partito romano suffi-centemente forte e abbastanza sicuro, come erano quellidei Remi, dei Lingoni e degli Edui, furono distinti collaconcessione di una costituzione comunale più liberale –col cosidetto diritto d'alleanza – e con privilegi nell'ordi-namento della egemonia.Pare che Cesare fin da principio, avesse per quanto gliera possibile, ogni riguardo per il culto nazionale e pei

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il suo oro raccolto nella Gallia e se ne mandò sul merca-to in una sola volta tanto da far scadere l'oro del 25% difronte all'argento, si può immaginare quali somme laGallia abbia perduto con questa guerra.Le costituzioni dei distretti continuarono essenzialmentead essere in vigore coi re ereditari e coi loro capi feu-dali-oligarchici anche dopo la conquista, e non fu tocca-to nemmeno il sistema della clientela, in forza del qualealcuni cantoni dipendevano da altri più potenti, quantun-que questo sistema, colla perdita dell'indipendenza poli-tica, avesse anche perduto la sua forza. Il pensiero diCesare era tutto intento ad ordinare i rapporti nell'inte-resse di Roma, approfittando dei dissensi dinastici, feu-dali ed egemonici e di porre dappertutto alla testa degliaffari gli uomini favorevoli al governo di Roma.Cesare non trascurava nulla per formare nelle Gallie unpartito romano; egli ricolmava i suoi partigiani con doniin oro e specialmente in beni stabili, provenienti dalleconquiste e colla sua influenza essi venivano ammessinel consiglio comunale e occupavano i primi posti mu-nicipali nel loro distretti.Quei distretti nei quali esisteva un partito romano suffi-centemente forte e abbastanza sicuro, come erano quellidei Remi, dei Lingoni e degli Edui, furono distinti collaconcessione di una costituzione comunale più liberale –col cosidetto diritto d'alleanza – e con privilegi nell'ordi-namento della egemonia.Pare che Cesare fin da principio, avesse per quanto gliera possibile, ogni riguardo per il culto nazionale e pei

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sacerdoti; almeno durante il suo governo non si trova al-cuna traccia di quelle misure prese poi dai governatoriromani contro la religione dei druidi, e perciò forse, al-meno da quanto ci consta, le sue guerre combattute nelleGallie non hanno assolutamente quel carattere di guerredi religione come l'ebbero più tardi così evidentementequelle combattute nella Britannia.

48. La romanizzazione delle Gallie.

Se Cesare ebbe così per la vinta nazione ogni possibileriguardo e se rispettò le sue istituzioni nazionali,politiche e religiose, per quanto lo comportava lasottomissione a Roma, ciò non avveniva rinunciando alprecipuo pensiero della sua conquista, laromanizzazione cioè delle Gallie, ma solo per mandarload effetto nel modo più mite possibile.E così egli non si accontentò che nel settentrioneoperassero il loro effetto le stesse condizioni cheavevano per la maggior parte romanizzato la provinciameridionale, ma promosse, da vero uomo di stato, ilnaturale sviluppo dall'alto adoprandosi di abbreviarepossibilmente il tempo di transizione sempre penoso.Per tacere dell'ammissione di un gran numero di nobilicelti alla cittadinanza romana e di alcuni forse già nelsenato romano, fu probabilmente Cesare quello cheintrodusse nella Gallia, e anche nei singoli distretti,sebbene con certe restrizioni, la lingua latina invecedell'indigena e il sistema monetario romano invece del

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sacerdoti; almeno durante il suo governo non si trova al-cuna traccia di quelle misure prese poi dai governatoriromani contro la religione dei druidi, e perciò forse, al-meno da quanto ci consta, le sue guerre combattute nelleGallie non hanno assolutamente quel carattere di guerredi religione come l'ebbero più tardi così evidentementequelle combattute nella Britannia.

48. La romanizzazione delle Gallie.

Se Cesare ebbe così per la vinta nazione ogni possibileriguardo e se rispettò le sue istituzioni nazionali,politiche e religiose, per quanto lo comportava lasottomissione a Roma, ciò non avveniva rinunciando alprecipuo pensiero della sua conquista, laromanizzazione cioè delle Gallie, ma solo per mandarload effetto nel modo più mite possibile.E così egli non si accontentò che nel settentrioneoperassero il loro effetto le stesse condizioni cheavevano per la maggior parte romanizzato la provinciameridionale, ma promosse, da vero uomo di stato, ilnaturale sviluppo dall'alto adoprandosi di abbreviarepossibilmente il tempo di transizione sempre penoso.Per tacere dell'ammissione di un gran numero di nobilicelti alla cittadinanza romana e di alcuni forse già nelsenato romano, fu probabilmente Cesare quello cheintrodusse nella Gallia, e anche nei singoli distretti,sebbene con certe restrizioni, la lingua latina invecedell'indigena e il sistema monetario romano invece del

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nazionale, in modo tale che fosse conservata alleautorità romane la coniatura delle monete d'oro ed'argento, che la moneta spicciola invece dovesse essereconiata dai singoli distretti e soltanto per la circolazioneentro i limiti del distretto, ma sempre sul piede romano.Si sarà sorriso udendo il barbaro latino che gli abitatoridella riva della Loira e della Senna di allora siindustriavano di parlare54, ma in questi errori linguisticisi celava un più grande avvenire che nel terso latinodella capitale.E forse si deve anche a Cesare se la costituzione nei di-stretti delle Gallie risulta in appresso simile alla costitu-zione urbana italica, e se i capoluoghi dei distretti e iconsigli comunali vi hanno maggiore importanza chenon avessero probabilmente sotto l'originario governoceltico.Nessuno meglio dell'erede politico di Caio Gracco e diMario poteva sentire quanto desiderabile sarebbe statadal lato militare non meno che dal politico l'istituzionedi una serie di colonie transalpine che servissero di baseal nuovo dominio e di punto di partenza alla nuovaciviltà. Se tuttavia egli si limitò alla colonizzazione deisuoi cavalieri celti o germanici in Noviodunum e aquella dei Boi nel distretto degli Edui, la qualecolonizzazione nella guerra combattuta contro

54 Su di un semis, che fece coniare un vergobreto dei Lessovi (Lisieuz, dip.Calvados), si legge la seguente iscrizione: Cisiambos Cattos vercobreto;simissos (così) publicos Lixovio. I caratteri spesso illeggibili ed ilbruttissimo conio di queste monete collimano perfettamente colla lorobalbettante lingua latina.

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nazionale, in modo tale che fosse conservata alleautorità romane la coniatura delle monete d'oro ed'argento, che la moneta spicciola invece dovesse essereconiata dai singoli distretti e soltanto per la circolazioneentro i limiti del distretto, ma sempre sul piede romano.Si sarà sorriso udendo il barbaro latino che gli abitatoridella riva della Loira e della Senna di allora siindustriavano di parlare54, ma in questi errori linguisticisi celava un più grande avvenire che nel terso latinodella capitale.E forse si deve anche a Cesare se la costituzione nei di-stretti delle Gallie risulta in appresso simile alla costitu-zione urbana italica, e se i capoluoghi dei distretti e iconsigli comunali vi hanno maggiore importanza chenon avessero probabilmente sotto l'originario governoceltico.Nessuno meglio dell'erede politico di Caio Gracco e diMario poteva sentire quanto desiderabile sarebbe statadal lato militare non meno che dal politico l'istituzionedi una serie di colonie transalpine che servissero di baseal nuovo dominio e di punto di partenza alla nuovaciviltà. Se tuttavia egli si limitò alla colonizzazione deisuoi cavalieri celti o germanici in Noviodunum e aquella dei Boi nel distretto degli Edui, la qualecolonizzazione nella guerra combattuta contro

54 Su di un semis, che fece coniare un vergobreto dei Lessovi (Lisieuz, dip.Calvados), si legge la seguente iscrizione: Cisiambos Cattos vercobreto;simissos (così) publicos Lixovio. I caratteri spesso illeggibili ed ilbruttissimo conio di queste monete collimano perfettamente colla lorobalbettante lingua latina.

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Vercingetorige rese perfettamente gli stessi servigi dellecolonie romane, la cagione di ciò sta nel fatto che gliulteriori suoi piani non gli permettevano ancora di darein mano al suoi legionari l'aratro invece della spada.Diremo a suo tempo ciò che egli fece sotto questo rap-porto per l'antica provincia romana negli anni che segui-rono; è verosimile che la sola mancanza di tempo gliimpedisse di fare altrettanto anche per il paese nuova-mente conquistato.

49. Il dramma della nazione celtica.

La nazione celtica non esisteva più. La sua distruzionepolitica era divenuta un fatto compiuto per opera diCesare, la distruzione nazionale incominciata andavaregolarmente progredendo. Non era questa una rovinaaccidentale, come la fatalità ne prepara talvolta anche apopoli suscettibili di sviluppo, ma una catastrofeprovocata per propria colpa e in certo modo unacatastrofe storicamente necessaria.Già l'andamento dell'ultima guerra lo prova, si vogliaconsiderarla nell'insieme o nei suoi particolari. Quandostava per fondarsi il dominio straniero, poche provincesoltanto, e queste per lo più germaniche o semigermani-che, vi si pronunciavano energicamente avverse. Quan-do il dominio straniero fu fondato i tentativi per scuoter-lo furono fatti senza senno o furono l'opera di alcuni no-bili eminenti e perciò subito e interamente finiti collamorte o coll'immediato arresto di un Induziomaro, di un

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Vercingetorige rese perfettamente gli stessi servigi dellecolonie romane, la cagione di ciò sta nel fatto che gliulteriori suoi piani non gli permettevano ancora di darein mano al suoi legionari l'aratro invece della spada.Diremo a suo tempo ciò che egli fece sotto questo rap-porto per l'antica provincia romana negli anni che segui-rono; è verosimile che la sola mancanza di tempo gliimpedisse di fare altrettanto anche per il paese nuova-mente conquistato.

49. Il dramma della nazione celtica.

La nazione celtica non esisteva più. La sua distruzionepolitica era divenuta un fatto compiuto per opera diCesare, la distruzione nazionale incominciata andavaregolarmente progredendo. Non era questa una rovinaaccidentale, come la fatalità ne prepara talvolta anche apopoli suscettibili di sviluppo, ma una catastrofeprovocata per propria colpa e in certo modo unacatastrofe storicamente necessaria.Già l'andamento dell'ultima guerra lo prova, si vogliaconsiderarla nell'insieme o nei suoi particolari. Quandostava per fondarsi il dominio straniero, poche provincesoltanto, e queste per lo più germaniche o semigermani-che, vi si pronunciavano energicamente avverse. Quan-do il dominio straniero fu fondato i tentativi per scuoter-lo furono fatti senza senno o furono l'opera di alcuni no-bili eminenti e perciò subito e interamente finiti collamorte o coll'immediato arresto di un Induziomaro, di un

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Camulogeno, di un Vercingetorige, di un Correo.La guerra degli assedi e la guerra alla spicciolata, nellaquale di solito si sviluppa tutta la morale portata dalleguerre popolari, erano e rimasero in questa lotta celticauna caratteristica meschinità. In ogni pagina della storiaceltica si legge confermata la severa sentenza pronun-ciata da uno dei pochi Romani che sapevano non dover-si disprezzare i così detti barbari, che i Celti arditamentesfidavano il futuro pericolo, ma che dinanzi al pericolopresente mancava loro il coraggio.Nell'impetuoso vortice della storia del mondo che triturainesorabilmente tutti i popoli che non hanno la durezzae la flessibilità dell'acciaio, una simile azione non pote-va durare lungamente; era giusto che i Celti di terrafer-ma patissero per opera dei Romani la stessa sorte che iloro compatriotti nell'Irlanda soffrono ancora ai giorninostri per opera dei Sassoni: la sorte di essere assorbiticome fermento di futuro sviluppo da una nazionalità po-liticamente superiore.Sul punto di congedarci da questa memorabile azione cisi conceda di ricordare che nelle relazioni degli antichisui Celti stabiliti sulle rive della Loira e della Senna nonmanca nemmeno uno di quei tratti caratteristici, neiquali noi siamo abituati di riconoscere il Paddy55. Viritroviamo ogni cosa: la trascuratezza nella coltivazionedei campi; la mania di banchettare e di duellare; lamillanteria – qui ricorderemo quella spada di Cesare

55 Abbreviatura di Patrick, soprannome derivato agli Irlandesi da SanPatrizio loro patrono.

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Camulogeno, di un Vercingetorige, di un Correo.La guerra degli assedi e la guerra alla spicciolata, nellaquale di solito si sviluppa tutta la morale portata dalleguerre popolari, erano e rimasero in questa lotta celticauna caratteristica meschinità. In ogni pagina della storiaceltica si legge confermata la severa sentenza pronun-ciata da uno dei pochi Romani che sapevano non dover-si disprezzare i così detti barbari, che i Celti arditamentesfidavano il futuro pericolo, ma che dinanzi al pericolopresente mancava loro il coraggio.Nell'impetuoso vortice della storia del mondo che triturainesorabilmente tutti i popoli che non hanno la durezzae la flessibilità dell'acciaio, una simile azione non pote-va durare lungamente; era giusto che i Celti di terrafer-ma patissero per opera dei Romani la stessa sorte che iloro compatriotti nell'Irlanda soffrono ancora ai giorninostri per opera dei Sassoni: la sorte di essere assorbiticome fermento di futuro sviluppo da una nazionalità po-liticamente superiore.Sul punto di congedarci da questa memorabile azione cisi conceda di ricordare che nelle relazioni degli antichisui Celti stabiliti sulle rive della Loira e della Senna nonmanca nemmeno uno di quei tratti caratteristici, neiquali noi siamo abituati di riconoscere il Paddy55. Viritroviamo ogni cosa: la trascuratezza nella coltivazionedei campi; la mania di banchettare e di duellare; lamillanteria – qui ricorderemo quella spada di Cesare

55 Abbreviatura di Patrick, soprannome derivato agli Irlandesi da SanPatrizio loro patrono.

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appesa nel sacro bosco degli Alvergnati, dopo la vittoriapresso Gergovia, che il già supposto suo padroneconsiderò sorridendo in quel luogo consacrato,ordinando di rispettare con ogni cura il sacro podere; illoro discorso pieno di similitudini e di iperboli, diallusioni e di barocchi giuochi di parole; l'umore faceto– e ne abbiamo un esempio nella disposizione che seuno interrompeva un altro che parlasse in pubblico, aquesto perturbatore veniva fatto per ordine della poliziaun grosso buco ben visibile nel vestito; il grande piacereche trovavano nel canto e nel racconto delle gesta deitempi passati e il più deciso talento oratorio e poetico; lacuriosità a tal segno che non si lasciava passare nessuncommerciante prima che egli nella pubblica via nonavesse raccontato ciò che sapesse o non sapesse dinuovo e la folle credulità che agiva dietro simili notizieper cui nei cantoni meglio ordinati veniva ingiunto conrigore ai viandanti di comunicare ai soli impiegatimunicipali le notizie non sicure; la pietà filiale, chevedeva un padre nel sacerdote e che in tutto con questisi consigliava; l'insuperabile tenerezza nel sentimentonazionale e l'unione quasi di famiglia degli indigenicontro lo straniero; l'inclinazione a sottomettersi alprimo condottiero che incontravano e a formare dellebande, ma insieme una assoluta incapacità di mantenerequel vero coraggio che è scevro egualmente di soverchiabaldanza e di pusillanimità; un'assoluta incapacità nelriconoscere il momento giusto nell'attendere onell'irrompere, di giungere ad una qualsiasi

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appesa nel sacro bosco degli Alvergnati, dopo la vittoriapresso Gergovia, che il già supposto suo padroneconsiderò sorridendo in quel luogo consacrato,ordinando di rispettare con ogni cura il sacro podere; illoro discorso pieno di similitudini e di iperboli, diallusioni e di barocchi giuochi di parole; l'umore faceto– e ne abbiamo un esempio nella disposizione che seuno interrompeva un altro che parlasse in pubblico, aquesto perturbatore veniva fatto per ordine della poliziaun grosso buco ben visibile nel vestito; il grande piacereche trovavano nel canto e nel racconto delle gesta deitempi passati e il più deciso talento oratorio e poetico; lacuriosità a tal segno che non si lasciava passare nessuncommerciante prima che egli nella pubblica via nonavesse raccontato ciò che sapesse o non sapesse dinuovo e la folle credulità che agiva dietro simili notizieper cui nei cantoni meglio ordinati veniva ingiunto conrigore ai viandanti di comunicare ai soli impiegatimunicipali le notizie non sicure; la pietà filiale, chevedeva un padre nel sacerdote e che in tutto con questisi consigliava; l'insuperabile tenerezza nel sentimentonazionale e l'unione quasi di famiglia degli indigenicontro lo straniero; l'inclinazione a sottomettersi alprimo condottiero che incontravano e a formare dellebande, ma insieme una assoluta incapacità di mantenerequel vero coraggio che è scevro egualmente di soverchiabaldanza e di pusillanimità; un'assoluta incapacità nelriconoscere il momento giusto nell'attendere onell'irrompere, di giungere ad una qualsiasi

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organizzazione, ad una qualsiasi ferma disciplinamilitare o politica, o anche soltanto di sopportarla.Sarà in tutti i tempi e in tutti i luoghi la stessa nazioneinfingarda e poetica, debole e cordiale, curiosa, crudele,amabile, destra, ma assolutamente incapace politica-mente e perciò la sua sorte è anche stata sempre e ovun-que la stessa.

50. Principî dello sviluppo romano.

Ma il più importante risultato di questa grandiosaimpresa non fu quello della rovina di questo grandepopolo per mezzo delle guerre transalpine di Cesare;molto più importante per le sue conseguenze fu ilrisultato positivo anzichè il negativo. Non si potrebbemettere in dubbio, che se il governo del senato si fosseconservato nella sua vita apparente ancora per alcunegenerazioni, la cosidetta immigrazione dei popoli sisarebbe verificata quattro secoli prima di quello che siverificò e sarebbe avvenuta in un'epoca in cui la civiltàitalica non aveva gettate profonde radici nè nelle Gallie,nè sulle rive del Danubio, nè in Africa, nè in Spagna.Il grande capitano e uomo di stato dei Romani, col rico-noscere nelle tribù tedesche un degno nemico del mon-do romano-greco, col fondare egli stesso con fermamano e persino nei più minuti particolari il nuovo siste-ma di difesa offensiva, coll'introdurre il sistema di di-fendere i confini dello stato con fiumi e con ripari artifi-ciali, col ridurre a colonie lungo i confini le più prossi-

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organizzazione, ad una qualsiasi ferma disciplinamilitare o politica, o anche soltanto di sopportarla.Sarà in tutti i tempi e in tutti i luoghi la stessa nazioneinfingarda e poetica, debole e cordiale, curiosa, crudele,amabile, destra, ma assolutamente incapace politica-mente e perciò la sua sorte è anche stata sempre e ovun-que la stessa.

50. Principî dello sviluppo romano.

Ma il più importante risultato di questa grandiosaimpresa non fu quello della rovina di questo grandepopolo per mezzo delle guerre transalpine di Cesare;molto più importante per le sue conseguenze fu ilrisultato positivo anzichè il negativo. Non si potrebbemettere in dubbio, che se il governo del senato si fosseconservato nella sua vita apparente ancora per alcunegenerazioni, la cosidetta immigrazione dei popoli sisarebbe verificata quattro secoli prima di quello che siverificò e sarebbe avvenuta in un'epoca in cui la civiltàitalica non aveva gettate profonde radici nè nelle Gallie,nè sulle rive del Danubio, nè in Africa, nè in Spagna.Il grande capitano e uomo di stato dei Romani, col rico-noscere nelle tribù tedesche un degno nemico del mon-do romano-greco, col fondare egli stesso con fermamano e persino nei più minuti particolari il nuovo siste-ma di difesa offensiva, coll'introdurre il sistema di di-fendere i confini dello stato con fiumi e con ripari artifi-ciali, col ridurre a colonie lungo i confini le più prossi-

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me tribù barbare per la difesa contro le più lontane, ecompletare l'esercito romano con soldati arruolati neipaesi nemici, procurò alla coltura elleno-italica il temponecessario per incivilire l'occidente appunto come daessa era stato incivilito l'oriente.Gli uomini comuni vogliono vedere i frutti della loroopera; il seme sparso dagli uomini di genio cresce, inve-ce, lentamente. Passarono secoli prima che si compren-desse che Alessandro non aveva soltanto creato un re-gno effimero in oriente, ma che aveva introdotto in Asial'ellenismo; altri secoli passarono prima di comprendereche Cesare non aveva soltanto acquistato per i Romaniuna nuova provincia, ma che aveva fondata la romaniz-zazione delle province occidentali.E così, solo i lontani posteri hanno conosciuto il signifi-cato delle spedizioni che sotto il punto di vista militaresi potevano giudicare come inconsiderate, e che non eb-bero immediato successo nell'Inghilterra e nella Germa-nia. Un enorme ciclo di popoli la cui esistenza e le cuicondizioni erano fino allora state narrate con qualcheverità e con molta poesia solo da navigatori e da com-mercianti, fu aperto per esse al mondo.In uno scritto greco-romano del 698 = 56 si legge: «lelettere e le relazioni che vengono dalla Gallia annuncia-no ogni giorno nomi di popoli, di distretti e di paesi chefinora erano a noi ignoti». Questo ampliamentodell'orizzonte storico ottenuto colle spedizioni di Cesareoltre le Alpi, fu un avvenimento della stessa importanzastorico-universale come l'esplorazione dell'America col

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me tribù barbare per la difesa contro le più lontane, ecompletare l'esercito romano con soldati arruolati neipaesi nemici, procurò alla coltura elleno-italica il temponecessario per incivilire l'occidente appunto come daessa era stato incivilito l'oriente.Gli uomini comuni vogliono vedere i frutti della loroopera; il seme sparso dagli uomini di genio cresce, inve-ce, lentamente. Passarono secoli prima che si compren-desse che Alessandro non aveva soltanto creato un re-gno effimero in oriente, ma che aveva introdotto in Asial'ellenismo; altri secoli passarono prima di comprendereche Cesare non aveva soltanto acquistato per i Romaniuna nuova provincia, ma che aveva fondata la romaniz-zazione delle province occidentali.E così, solo i lontani posteri hanno conosciuto il signifi-cato delle spedizioni che sotto il punto di vista militaresi potevano giudicare come inconsiderate, e che non eb-bero immediato successo nell'Inghilterra e nella Germa-nia. Un enorme ciclo di popoli la cui esistenza e le cuicondizioni erano fino allora state narrate con qualcheverità e con molta poesia solo da navigatori e da com-mercianti, fu aperto per esse al mondo.In uno scritto greco-romano del 698 = 56 si legge: «lelettere e le relazioni che vengono dalla Gallia annuncia-no ogni giorno nomi di popoli, di distretti e di paesi chefinora erano a noi ignoti». Questo ampliamentodell'orizzonte storico ottenuto colle spedizioni di Cesareoltre le Alpi, fu un avvenimento della stessa importanzastorico-universale come l'esplorazione dell'America col

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mezzo di schiere europee. Al circolo ristretto degli statibagnati dal Mediterraneo si aggiunsero i popolidell'Europa centrale e settentrionale, gli abitanti dellerive del Baltico e del mare del nord; al vecchio mondose ne aggiunse uno nuovo, ed il vecchio e il nuovo daallora in poi entrarono a formare un corpo solo eserci-tando l'uno sull'altro un'intima influenza.Poco mancò che da Ariovisto non si facesse quanto piùtardi riuscì di fare al goto Teodorico. Se ciò fosseavvenuto, la nostra civiltà si troverebbe di fronte allaciviltà romano-greca difficilmente in rapporti più intimidi quello che lo sia colla civiltà assira ed indiana. Èopera di Cesare quindi se, dalla passata grandezzadell'Ellade e dell'Italia un ponte conduce all'edificio piùmagnifico della moderna storia del mondo, se l'Europaoccidentale è diventata romana, se l'Europa germanica èdivenuta classica, se i nomi di Temistocle e di Scipione,mandano alle nostre orecchie un suono diverso da quellidi Asoca e di Salmanassarre, se Omero e Sofocle non silimitano, come fanno i Veda e i Calidasa, ad attirare ildotto botanico, ma fioriscono per noi nel propriogiardino.E se la creazione del suo grande predecessore in orientefu quasi interamente distrutta dall'infuriare delle tempe-ste del medio evo, quella di Cesare è durata oltre le mi-gliaia di anni che cambiarono religione e stato al genereumano e che hanno mutato persino il centro di gravitàdella civiltà, e continuerà ad esistere per tutta quella chenoi chiamiamo eternità.

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mezzo di schiere europee. Al circolo ristretto degli statibagnati dal Mediterraneo si aggiunsero i popolidell'Europa centrale e settentrionale, gli abitanti dellerive del Baltico e del mare del nord; al vecchio mondose ne aggiunse uno nuovo, ed il vecchio e il nuovo daallora in poi entrarono a formare un corpo solo eserci-tando l'uno sull'altro un'intima influenza.Poco mancò che da Ariovisto non si facesse quanto piùtardi riuscì di fare al goto Teodorico. Se ciò fosseavvenuto, la nostra civiltà si troverebbe di fronte allaciviltà romano-greca difficilmente in rapporti più intimidi quello che lo sia colla civiltà assira ed indiana. Èopera di Cesare quindi se, dalla passata grandezzadell'Ellade e dell'Italia un ponte conduce all'edificio piùmagnifico della moderna storia del mondo, se l'Europaoccidentale è diventata romana, se l'Europa germanica èdivenuta classica, se i nomi di Temistocle e di Scipione,mandano alle nostre orecchie un suono diverso da quellidi Asoca e di Salmanassarre, se Omero e Sofocle non silimitano, come fanno i Veda e i Calidasa, ad attirare ildotto botanico, ma fioriscono per noi nel propriogiardino.E se la creazione del suo grande predecessore in orientefu quasi interamente distrutta dall'infuriare delle tempe-ste del medio evo, quella di Cesare è durata oltre le mi-gliaia di anni che cambiarono religione e stato al genereumano e che hanno mutato persino il centro di gravitàdella civiltà, e continuerà ad esistere per tutta quella chenoi chiamiamo eternità.

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51. Le province danubiane.

Per compiere il quadro dei rapporti di Roma coi popolidel settentrione in quest'epoca, dobbiamo gettare unosguardo sui paesi che a settentrione delle penisole italicae greca si estendono dalle province del Reno sino al MarNero.È vero che nel grande rimescolìo dei popoli, che deveessersi allora agitato anche là, non giunge la face dellastoria, e gli scarsi spiragli di luce, che cadono in quelleregioni sono come il debole barlume nelle tenebreprofonde, più atte a confondere che a chiarire. Correperò l'obbligo allo storiografo di notare nel libro dellastoria dei popoli anche le lacune; egli non devedisdegnare dopo aver narrato del grandioso sistema diCesare, di accennare anche alle meschine misure, collequali i generali del senato intendevano di assicurare daquesta parte i confini dello stato.L'alta Italia verso il nord-est continuò come in passatoad essere esposta alle aggressioni dei popoli alpini. Ildislocamento del forte esercito romano nel 695 = 59presso Aquileia ed il trionfo dei luogotenente dellaGallia cisalpina, Lucio Afranio, fanno ritenere che inquell'epoca si sia fatta una spedizione nelle Alpi; unaprova sarebbero i rapporti più intimi in cui subito doponoi troviamo i Romani con un re dei Norici.Che l'Italia anche dopo non fosse assolutamente sicurada questa parte, lo prova la calata che i barbari alpini fe-cero nel 702 = 52 nella fiorente città di Tergeste, quando

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51. Le province danubiane.

Per compiere il quadro dei rapporti di Roma coi popolidel settentrione in quest'epoca, dobbiamo gettare unosguardo sui paesi che a settentrione delle penisole italicae greca si estendono dalle province del Reno sino al MarNero.È vero che nel grande rimescolìo dei popoli, che deveessersi allora agitato anche là, non giunge la face dellastoria, e gli scarsi spiragli di luce, che cadono in quelleregioni sono come il debole barlume nelle tenebreprofonde, più atte a confondere che a chiarire. Correperò l'obbligo allo storiografo di notare nel libro dellastoria dei popoli anche le lacune; egli non devedisdegnare dopo aver narrato del grandioso sistema diCesare, di accennare anche alle meschine misure, collequali i generali del senato intendevano di assicurare daquesta parte i confini dello stato.L'alta Italia verso il nord-est continuò come in passatoad essere esposta alle aggressioni dei popoli alpini. Ildislocamento del forte esercito romano nel 695 = 59presso Aquileia ed il trionfo dei luogotenente dellaGallia cisalpina, Lucio Afranio, fanno ritenere che inquell'epoca si sia fatta una spedizione nelle Alpi; unaprova sarebbero i rapporti più intimi in cui subito doponoi troviamo i Romani con un re dei Norici.Che l'Italia anche dopo non fosse assolutamente sicurada questa parte, lo prova la calata che i barbari alpini fe-cero nel 702 = 52 nella fiorente città di Tergeste, quando

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l'insurrezione transalpina costrinse Cesare a lasciarel'alta Italia interamente sguarnita di truppe. Anche i po-poli irrequieti che abitavano il litorale illirico, davanocontinuamente da pensare ai loro padroni romani.I Dalmati, che prima erano la popolazione piùragguardevole di questa regione, aumentarono conl'assunzione dei vicini nella loro lega al punto che ilnumero delle loro città e villaggi crebbe da venti aottanta. Essi vennero a contesa coi Romani per averricusato di restituire ai Liburni la città di Promona (nonlungi dal fiume Kerka), che avevano loro tolta con laforza e batterono le milizie che Cesare aveva raccoltecontro di essi; ma lo scoppio della guerra civile impedìdi punirli come si meritavano e a ciò si deve attribuirese la Dalmazia durante l'accennata guerra divenne ilfocolare del partito avverso a Cesare, e se i generali diCesare vi trovarono energica resistenza tanto per terraquanto per mare per opera degli abitanti uniti al partitodi Pompeo e dei pirati.Finalmente la Macedonia coll'Epiro e coll'Ellade eranoridotte a tale rovina da non trovarsi un'eguale provinciain tutto lo stato romano. Durazzo, Tessalonica eBisanzio avevano conservato qualche po' di commercio;Atene attirava i viaggiatori e la gioventù studiosa per ilsuo nome e per la sua scuola di filosofia; ma nellepiccole città dell'Ellade, già così popolate, nei suoi giàanimatissimi porti di mare, regnava ora il silenzio dellatomba.Se però i Greci non davano alcun segno di vita, gli abi-

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l'insurrezione transalpina costrinse Cesare a lasciarel'alta Italia interamente sguarnita di truppe. Anche i po-poli irrequieti che abitavano il litorale illirico, davanocontinuamente da pensare ai loro padroni romani.I Dalmati, che prima erano la popolazione piùragguardevole di questa regione, aumentarono conl'assunzione dei vicini nella loro lega al punto che ilnumero delle loro città e villaggi crebbe da venti aottanta. Essi vennero a contesa coi Romani per averricusato di restituire ai Liburni la città di Promona (nonlungi dal fiume Kerka), che avevano loro tolta con laforza e batterono le milizie che Cesare aveva raccoltecontro di essi; ma lo scoppio della guerra civile impedìdi punirli come si meritavano e a ciò si deve attribuirese la Dalmazia durante l'accennata guerra divenne ilfocolare del partito avverso a Cesare, e se i generali diCesare vi trovarono energica resistenza tanto per terraquanto per mare per opera degli abitanti uniti al partitodi Pompeo e dei pirati.Finalmente la Macedonia coll'Epiro e coll'Ellade eranoridotte a tale rovina da non trovarsi un'eguale provinciain tutto lo stato romano. Durazzo, Tessalonica eBisanzio avevano conservato qualche po' di commercio;Atene attirava i viaggiatori e la gioventù studiosa per ilsuo nome e per la sua scuola di filosofia; ma nellepiccole città dell'Ellade, già così popolate, nei suoi giàanimatissimi porti di mare, regnava ora il silenzio dellatomba.Se però i Greci non davano alcun segno di vita, gli abi-

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tanti delle aspre e inaccessibili montagne della Macedo-nia continuavano, come erano usi di fare da antichi tem-pi, le loro scorrerie e le loro piccole guerre; così adesempio, nel 697-8 = 57-6 gli Agrei ed i Dolopi invase-ro le città dell'Etolia; nell'anno 700 = 54 i Pirusti, abi-tanti le valli bagnate dalla Drina, invasero l'Illiria meri-dionale.Lo stesso facevano i popoli vicini. I Dardani del confinesettentrionale e i Traci dell'orientale erano stati vera-mente umiliati dai Romani nelle lotte che durarono ottoanni, dal 676 al 683 = 78-71; Coti, il più potente fra iprincipi traci, re dell'antico paese degli Odrisii, fu da al-lora in poi annoverato tra i re clienti dei Romani. Tutta-via questo paese benchè pacificato andava tuttora sog-getto ad invasioni dal settentrione e dallo oriente comeper il passato.Il luogotenente Caio Antonio fu respinto in malo modotanto dai Dardani quanto dalle tribù che si trovavanostabilite nell'odierna Dobrugia, le quali, aiutate daiformidabili Bastarni, venuti dalla sinistra del Danubio,gli diedero presso Istropoli (Istere non lungi daKustendsche) una considerevole sconfitta (692-693 =62-61).Fu più fortunato Caio Ottavio contro i Bessi ed i Traci(694 = 60). Marco Pisone (697-698 = 57-56) fece inve-ce un'altra volta come supremo duce pessimi affari enon era da meravigliarsene, poichè egli nulla sapeva ne-gare per danaro nè agli amici nè ai nemici. I Denteletitraci (sullo Strimone) saccheggiarono sotto la sua luogo-

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tanti delle aspre e inaccessibili montagne della Macedo-nia continuavano, come erano usi di fare da antichi tem-pi, le loro scorrerie e le loro piccole guerre; così adesempio, nel 697-8 = 57-6 gli Agrei ed i Dolopi invase-ro le città dell'Etolia; nell'anno 700 = 54 i Pirusti, abi-tanti le valli bagnate dalla Drina, invasero l'Illiria meri-dionale.Lo stesso facevano i popoli vicini. I Dardani del confinesettentrionale e i Traci dell'orientale erano stati vera-mente umiliati dai Romani nelle lotte che durarono ottoanni, dal 676 al 683 = 78-71; Coti, il più potente fra iprincipi traci, re dell'antico paese degli Odrisii, fu da al-lora in poi annoverato tra i re clienti dei Romani. Tutta-via questo paese benchè pacificato andava tuttora sog-getto ad invasioni dal settentrione e dallo oriente comeper il passato.Il luogotenente Caio Antonio fu respinto in malo modotanto dai Dardani quanto dalle tribù che si trovavanostabilite nell'odierna Dobrugia, le quali, aiutate daiformidabili Bastarni, venuti dalla sinistra del Danubio,gli diedero presso Istropoli (Istere non lungi daKustendsche) una considerevole sconfitta (692-693 =62-61).Fu più fortunato Caio Ottavio contro i Bessi ed i Traci(694 = 60). Marco Pisone (697-698 = 57-56) fece inve-ce un'altra volta come supremo duce pessimi affari enon era da meravigliarsene, poichè egli nulla sapeva ne-gare per danaro nè agli amici nè ai nemici. I Denteletitraci (sullo Strimone) saccheggiarono sotto la sua luogo-

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tenenza la Macedonia in tutti i sensi e misero persino iloro presidî sulla grande strada militare romana che daDurazzo conduceva a Tessalonica; questa città era rasse-gnata a sostenere un assedio, mentre il forte esercito ro-mano sembrava starsene nella provincia come semplicespettatore degli eccessi che questi montanari ed i popolivicini commettevano contro i pacifici sudditi di Roma.Aggressioni simili non potevano certamente non riusciredi pregiudizio alla potenza romana, e da lungo temponon si badava più ad una vergogna di più o di meno.Ma appunto a quest'epoca cominciò a consolidarsi poli-ticamente nelle vastissime steppe daciche oltre il Danu-bio un popolo che sembrava destinato ad occupare nellastoria un posto ben diverso da quello dei Bessi e deiDenteleti. Presso i Geti o Daci in antichissimi tempi siera accostato al re di quella nazione un sant'uomo chia-mato Zamolsi, il quale, dopo aver nei suoi lunghi viaggiall'estero investigato la mente e le opere degli dei e fattasua specialmente la sapienza dei sacerdoti egizi e dei pi-tagorici greci, era ritornato in patria, per finire la suavita come un pio eremita in una caverna del «MonteSanto».Egli rimase accessibile solo al re ed ai suoi servi e di-spensava al re e col mezzo del re al popolo i suoi oracoliper ogni importante impresa. Presso i suoi compatriottiegli passava dapprima per sacerdote del dio supremo,poi per una divinità, appunto come sta scritto di Mosè edi Aronne, che il Signore pose Aronne come profeta eMosè come il nume del profeta. Ne derivò una istituzio-

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tenenza la Macedonia in tutti i sensi e misero persino iloro presidî sulla grande strada militare romana che daDurazzo conduceva a Tessalonica; questa città era rasse-gnata a sostenere un assedio, mentre il forte esercito ro-mano sembrava starsene nella provincia come semplicespettatore degli eccessi che questi montanari ed i popolivicini commettevano contro i pacifici sudditi di Roma.Aggressioni simili non potevano certamente non riusciredi pregiudizio alla potenza romana, e da lungo temponon si badava più ad una vergogna di più o di meno.Ma appunto a quest'epoca cominciò a consolidarsi poli-ticamente nelle vastissime steppe daciche oltre il Danu-bio un popolo che sembrava destinato ad occupare nellastoria un posto ben diverso da quello dei Bessi e deiDenteleti. Presso i Geti o Daci in antichissimi tempi siera accostato al re di quella nazione un sant'uomo chia-mato Zamolsi, il quale, dopo aver nei suoi lunghi viaggiall'estero investigato la mente e le opere degli dei e fattasua specialmente la sapienza dei sacerdoti egizi e dei pi-tagorici greci, era ritornato in patria, per finire la suavita come un pio eremita in una caverna del «MonteSanto».Egli rimase accessibile solo al re ed ai suoi servi e di-spensava al re e col mezzo del re al popolo i suoi oracoliper ogni importante impresa. Presso i suoi compatriottiegli passava dapprima per sacerdote del dio supremo,poi per una divinità, appunto come sta scritto di Mosè edi Aronne, che il Signore pose Aronne come profeta eMosè come il nume del profeta. Ne derivò una istituzio-

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ne permanente. Vicino al re dei Geti sorse di diritto unaspecie di Iddio, dalle cui labbra usciva o pareva uscissetutto ciò che il re ordinava. Questa costituzione singola-re, in cui l'idea teocratica si era, come sembra, assogget-tata al potere assoluto del re, avrà procurato ai monarchidei Geti di fronte ai loro sudditi una posizione, come aun di presso l'avevano i Califfi di fronte agli Arabi; euna conseguenza ne fu la miracolosa riforma politico-religiosa della nazione, introdotta in quest'epoca dal redei Geti, Burebista, e dal dio Dekeneo.Il popolo decaduto interamente dal lato morale e politi-co, specialmente a causa di stravizi senza esempio, fucome rigenerato dal nuovo evangelo di temperanza e divalore. Colle sue schiere organizzate ed entusiasmatecome i puritani, re Burebista fondò in pochi anni un re-gno potentissimo, che si estendeva sulle due rive delDanubio e verso mezzogiorno sin nell'interno della Tra-cia, dell'Illiria e del paese norico.I Geti non erano venuti ancora in immediato contattocoi Romani e nessuno poteva dire ciò che avverrebbe diquesto stato singolare, che ricorda i principii dell'islami-smo; ma si poteva predire anche senza essere profeti,che proconsoli come Antonio e Pisone non erano fattiper combattere contro dei.

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ne permanente. Vicino al re dei Geti sorse di diritto unaspecie di Iddio, dalle cui labbra usciva o pareva uscissetutto ciò che il re ordinava. Questa costituzione singola-re, in cui l'idea teocratica si era, come sembra, assogget-tata al potere assoluto del re, avrà procurato ai monarchidei Geti di fronte ai loro sudditi una posizione, come aun di presso l'avevano i Califfi di fronte agli Arabi; euna conseguenza ne fu la miracolosa riforma politico-religiosa della nazione, introdotta in quest'epoca dal redei Geti, Burebista, e dal dio Dekeneo.Il popolo decaduto interamente dal lato morale e politi-co, specialmente a causa di stravizi senza esempio, fucome rigenerato dal nuovo evangelo di temperanza e divalore. Colle sue schiere organizzate ed entusiasmatecome i puritani, re Burebista fondò in pochi anni un re-gno potentissimo, che si estendeva sulle due rive delDanubio e verso mezzogiorno sin nell'interno della Tra-cia, dell'Illiria e del paese norico.I Geti non erano venuti ancora in immediato contattocoi Romani e nessuno poteva dire ciò che avverrebbe diquesto stato singolare, che ricorda i principii dell'islami-smo; ma si poteva predire anche senza essere profeti,che proconsoli come Antonio e Pisone non erano fattiper combattere contro dei.

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SETTIMO CAPITOLOPOMPEO E CESARE

1. Pompeo e Cesare.Fra i capi democratici, che dal tempo del consolato diCesare erano riconosciuti per così dire ufficialmentecome i comuni signori della repubblica, per i regnanti«triumviri», il primo posto spettava, secondo la pubblicaopinione, assolutamente a Pompeo.Egli era colui che gli ottimati chiamavano «dittatore pri-vato»; dinanzi a lui Cicerone fece la sua vana genufles-sione; contro di lui erano rivolti i più pungenti sarcasminegli affissi murali di Bibulo, i dardi più velenosi nellesale di conversazione del partito dell'opposizione. E tut-tociò era naturale.A giudicare dai fatti che si avevano sott'occhio, Pompeoera incontestabilmente il primo capitano del suo tempo.Cesare un abile capoparte ed un disinvolto oratore, diinnegabile talento ma notoriamente di un naturale nonbellicoso, anzi effeminato. Questi giudizi erano da lungotempo in corso; non si poteva aspettare dalla nobile ple-be, che essa si curasse dell'essenza delle cose e che ri-nunziasse alle sciocche opinioni, una volta stabilite, inseguito a qualche oscuro fatto eroico, avvenuto sullerive del Tago.È evidente che Cesare non rappresentava nella lega altraparte che quella d'aiutante, il quale eseguiva per il suosuperiore ciò che Flavio, Afranio ed altri meno abili

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SETTIMO CAPITOLOPOMPEO E CESARE

1. Pompeo e Cesare.Fra i capi democratici, che dal tempo del consolato diCesare erano riconosciuti per così dire ufficialmentecome i comuni signori della repubblica, per i regnanti«triumviri», il primo posto spettava, secondo la pubblicaopinione, assolutamente a Pompeo.Egli era colui che gli ottimati chiamavano «dittatore pri-vato»; dinanzi a lui Cicerone fece la sua vana genufles-sione; contro di lui erano rivolti i più pungenti sarcasminegli affissi murali di Bibulo, i dardi più velenosi nellesale di conversazione del partito dell'opposizione. E tut-tociò era naturale.A giudicare dai fatti che si avevano sott'occhio, Pompeoera incontestabilmente il primo capitano del suo tempo.Cesare un abile capoparte ed un disinvolto oratore, diinnegabile talento ma notoriamente di un naturale nonbellicoso, anzi effeminato. Questi giudizi erano da lungotempo in corso; non si poteva aspettare dalla nobile ple-be, che essa si curasse dell'essenza delle cose e che ri-nunziasse alle sciocche opinioni, una volta stabilite, inseguito a qualche oscuro fatto eroico, avvenuto sullerive del Tago.È evidente che Cesare non rappresentava nella lega altraparte che quella d'aiutante, il quale eseguiva per il suosuperiore ciò che Flavio, Afranio ed altri meno abili

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strumenti avevano tentato e non fatto. Perfino la sualuogotenenza parve non cambiasse questa situazione.Afranio aveva preso posizione uguale, senza avere per-ciò ottenuta una particolare importanza; parecchie pro-vince erano state negli ultimi anni ripetutamente assog-gettate ad un luogotenente, e spesso erano state postesotto il comando di uno solo più di quattro legioni;quando oltre le Alpi subentrò la tranquillità e il principeAriovisto fu riconosciuto dai Romani come amico ebuon vicino, non vi era più alcuna prospettiva d'unaguerra di qualche importanza. Era naturale che si faces-se il confronto delle posizioni che aveva ottenuto Pom-peo dalla legge gabinio-manilia e Cesare dalla legge va-tinia; ma il confronto non era a vantaggio di Cesare.Pompeo imperava su quasi tutto lo stato romano, Cesaresu due province. Pompeo disponeva quasi senza limitidei soldati e delle casse dello stato, Cesare soltanto dellesomme che gli erano state assegnate e di un esercito di24.000 uomini. Pompeo aveva la facoltà di fissare eglistesso l'epoca del suo ritiro; Cesare era stato investitodel comando per lungo tempo, ma sempre per un tempolimitato. A Pompeo finalmente erano state affidate le piùimportanti imprese per mare e per terra, Cesare era statoinviato nel settentrione per tener d'occhio dall'alt'Italia lacapitale e fare in modo che Pompeo la potesse dominareindisturbato.Ma quando Pompeo fu destinato dalla coalizione a do-minare la capitale, egli assunse un mandato che supera-va di molto le sue forze. Pompeo non conosceva altro

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strumenti avevano tentato e non fatto. Perfino la sualuogotenenza parve non cambiasse questa situazione.Afranio aveva preso posizione uguale, senza avere per-ciò ottenuta una particolare importanza; parecchie pro-vince erano state negli ultimi anni ripetutamente assog-gettate ad un luogotenente, e spesso erano state postesotto il comando di uno solo più di quattro legioni;quando oltre le Alpi subentrò la tranquillità e il principeAriovisto fu riconosciuto dai Romani come amico ebuon vicino, non vi era più alcuna prospettiva d'unaguerra di qualche importanza. Era naturale che si faces-se il confronto delle posizioni che aveva ottenuto Pom-peo dalla legge gabinio-manilia e Cesare dalla legge va-tinia; ma il confronto non era a vantaggio di Cesare.Pompeo imperava su quasi tutto lo stato romano, Cesaresu due province. Pompeo disponeva quasi senza limitidei soldati e delle casse dello stato, Cesare soltanto dellesomme che gli erano state assegnate e di un esercito di24.000 uomini. Pompeo aveva la facoltà di fissare eglistesso l'epoca del suo ritiro; Cesare era stato investitodel comando per lungo tempo, ma sempre per un tempolimitato. A Pompeo finalmente erano state affidate le piùimportanti imprese per mare e per terra, Cesare era statoinviato nel settentrione per tener d'occhio dall'alt'Italia lacapitale e fare in modo che Pompeo la potesse dominareindisturbato.Ma quando Pompeo fu destinato dalla coalizione a do-minare la capitale, egli assunse un mandato che supera-va di molto le sue forze. Pompeo non conosceva altro

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del dominio che quanto si può comprendere nella parolad'ordine e nel comando. Le ondate d'agitazione nella ca-pitale, conseguenza delle passate e foriere di future rivo-luzioni, erano fortissime; il problema di governare senzauna forza armata questa città, che sotto ogni rapporto sipuò paragonare alla città di Parigi nel secolo decimono-no, era immensamente difficile; per quell'impacciato no-bile soldato modello era poi assolutamente impossibile.Non andò molto che, quanto a lui, gli amici ed i nemicisuoi, gli uni non meno degli altri a lui molesti, potevanofare ciò che a loro piacesse: dopo la partenza di Cesareda Roma la coalizione dominava ancora sui destini delmondo, ma non sulle vie della capitale.Anche il senato, a cui pure spettava sempre una speciedi autorità nominale nel governo, lasciava che le cosedella capitale andassero come potevano, in parte perchèla frazione dominata dalla coalizione mancava di istru-zioni dagli autocrati, in parte perchè l'astiosa opposizio-ne per indifferenza o per pessimismo si teneva in dispar-te, ma specialmente perchè l'intero nobilissimo corpocominciava a sentire, se non a comprendere, la totalesua impotenza.Momentaneamente non v'era quindi in Roma ombra diopposizione ad un qualsiasi governo, non v'era nessunaeffettiva autorità. Era un interregno tra il governoaristocratico rovesciato ed il governo militare che siandava formando; e se la repubblica romana ha mostratoin modo semplice e normale, come non fece nessun'altranei tempi antichi e recenti, tutte le più variate funzioni

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del dominio che quanto si può comprendere nella parolad'ordine e nel comando. Le ondate d'agitazione nella ca-pitale, conseguenza delle passate e foriere di future rivo-luzioni, erano fortissime; il problema di governare senzauna forza armata questa città, che sotto ogni rapporto sipuò paragonare alla città di Parigi nel secolo decimono-no, era immensamente difficile; per quell'impacciato no-bile soldato modello era poi assolutamente impossibile.Non andò molto che, quanto a lui, gli amici ed i nemicisuoi, gli uni non meno degli altri a lui molesti, potevanofare ciò che a loro piacesse: dopo la partenza di Cesareda Roma la coalizione dominava ancora sui destini delmondo, ma non sulle vie della capitale.Anche il senato, a cui pure spettava sempre una speciedi autorità nominale nel governo, lasciava che le cosedella capitale andassero come potevano, in parte perchèla frazione dominata dalla coalizione mancava di istru-zioni dagli autocrati, in parte perchè l'astiosa opposizio-ne per indifferenza o per pessimismo si teneva in dispar-te, ma specialmente perchè l'intero nobilissimo corpocominciava a sentire, se non a comprendere, la totalesua impotenza.Momentaneamente non v'era quindi in Roma ombra diopposizione ad un qualsiasi governo, non v'era nessunaeffettiva autorità. Era un interregno tra il governoaristocratico rovesciato ed il governo militare che siandava formando; e se la repubblica romana ha mostratoin modo semplice e normale, come non fece nessun'altranei tempi antichi e recenti, tutte le più variate funzioni

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ed organizzazioni politiche, scorgiamo in essa anche ladisorganizzazione politica e l'anarchia in una misuranon invidiabile.È una strana coincidenza che negli anni in cui Cesare aldi là delle Alpi creava un'opera per l'eternità, a Roma sirappresentasse una delle più bizzarre farse politiche chesi sieno vedute sulle scene del mondo. Il nuovo reggentedella repubblica non regnava, ma si teneva chiuso incasa facendo silenziosamente il broncio.Nemmeno regnava il passato governo, che era stato qua-si sbalzato, ma sospirava, ora isolatamente nei circoli fa-migliari delle ville, ora in coro nella curia. Quella partedella borghesia, a cui stava ancora a cuore la libertà el'ordine, era più che stanca di questa folle agitazione; mapriva di capi e di consiglio, continuava a rimanere passi-va, evitando non solo ogni attività politica, ma, perquanto lo poteva, quella stessa Sodoma politica.

2. Gli anarchici e Clodio.

Invece la canaglia d'ogni specie non aveva avuto maigiorni migliori, mai più gioconde arene per le sue gesta.Il numero dei piccoli grandi uomini era legione. Lademagogia era divenuta un vero mestiere a cui nonmancavano i mezzi per esercitarlo: il mantello sdrucito,la barba incolta, i lunghi capelli ondeggianti al vento, lavoce stentorea; e non di rado era un mestiere d'oro.Per le grida obbligate, servivano magnificamente le

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ed organizzazioni politiche, scorgiamo in essa anche ladisorganizzazione politica e l'anarchia in una misuranon invidiabile.È una strana coincidenza che negli anni in cui Cesare aldi là delle Alpi creava un'opera per l'eternità, a Roma sirappresentasse una delle più bizzarre farse politiche chesi sieno vedute sulle scene del mondo. Il nuovo reggentedella repubblica non regnava, ma si teneva chiuso incasa facendo silenziosamente il broncio.Nemmeno regnava il passato governo, che era stato qua-si sbalzato, ma sospirava, ora isolatamente nei circoli fa-migliari delle ville, ora in coro nella curia. Quella partedella borghesia, a cui stava ancora a cuore la libertà el'ordine, era più che stanca di questa folle agitazione; mapriva di capi e di consiglio, continuava a rimanere passi-va, evitando non solo ogni attività politica, ma, perquanto lo poteva, quella stessa Sodoma politica.

2. Gli anarchici e Clodio.

Invece la canaglia d'ogni specie non aveva avuto maigiorni migliori, mai più gioconde arene per le sue gesta.Il numero dei piccoli grandi uomini era legione. Lademagogia era divenuta un vero mestiere a cui nonmancavano i mezzi per esercitarlo: il mantello sdrucito,la barba incolta, i lunghi capelli ondeggianti al vento, lavoce stentorea; e non di rado era un mestiere d'oro.Per le grida obbligate, servivano magnificamente le

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sperimentate gole delle persone da teatro56; quelli che ingran numero intervenivano alle pubbliche assemblee eche erano i più famosi berciatori erano i Greci ed iGiudei, i liberti e gli schiavi; persino quando si trattavadi venire alla votazione i cittadini autorizzati dalla leggea dare il voto erano spesso in scarsissimo numero. Silegge in una lettera di quei tempi: «Non andrà molto chevedremo i nostri servi votare la legge sulla tassad'emancipazione».Le vere autorità del giorno erano le bande organizzateed armate, i battaglioni dell'anarchia organizzati da no-bili avventurieri e composti di schiavi addestrati nel ma-neggio delle armi e di mascalzoni. I loro comandantiavevano in origine appartenuto quasi tutti al partito delpopolo; ma dopo la partenza di Cesare – il solo che sisapesse imporre alla democrazia e il solo che conosces-se il modo di condurla – era scomparsa da essa ogni di-sciplina e ogni partigiano seguiva la propria politica.Questi uomini preferivano certamente anche ora dicombattere sotto il vessillo della libertà; ma veramentenon erano nè democratici nè antidemocratici, quindiscrissero sulla inevitabile bandiera, ora il nome delpopolo ora quello del senato, o quello di un capoparte,come conveniva meglio; così, ad esempio, fece Clodiocombattendo o facendo credere di combattere prima perla dominante democrazia, poi per il senato e per Crasso.I condottieri delle bande rimanevano fedeli al lorocolore solo in quanto essi perseguitavano56 Cioè cantorum convicio contiones celebrare (CIC., pro Sest., 55, 118).

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sperimentate gole delle persone da teatro56; quelli che ingran numero intervenivano alle pubbliche assemblee eche erano i più famosi berciatori erano i Greci ed iGiudei, i liberti e gli schiavi; persino quando si trattavadi venire alla votazione i cittadini autorizzati dalla leggea dare il voto erano spesso in scarsissimo numero. Silegge in una lettera di quei tempi: «Non andrà molto chevedremo i nostri servi votare la legge sulla tassad'emancipazione».Le vere autorità del giorno erano le bande organizzateed armate, i battaglioni dell'anarchia organizzati da no-bili avventurieri e composti di schiavi addestrati nel ma-neggio delle armi e di mascalzoni. I loro comandantiavevano in origine appartenuto quasi tutti al partito delpopolo; ma dopo la partenza di Cesare – il solo che sisapesse imporre alla democrazia e il solo che conosces-se il modo di condurla – era scomparsa da essa ogni di-sciplina e ogni partigiano seguiva la propria politica.Questi uomini preferivano certamente anche ora dicombattere sotto il vessillo della libertà; ma veramentenon erano nè democratici nè antidemocratici, quindiscrissero sulla inevitabile bandiera, ora il nome delpopolo ora quello del senato, o quello di un capoparte,come conveniva meglio; così, ad esempio, fece Clodiocombattendo o facendo credere di combattere prima perla dominante democrazia, poi per il senato e per Crasso.I condottieri delle bande rimanevano fedeli al lorocolore solo in quanto essi perseguitavano56 Cioè cantorum convicio contiones celebrare (CIC., pro Sest., 55, 118).

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inesorabilmente i loro nemici personali, così Clodioperseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, percui la loro posizione partigiana in queste guerre privateserviva come una mossa scacchistica. Voler scrivere lastoria di questa tregenda politica sarebbe lo stesso chevoler musicare un charivari; non importa nemmenonarrare tutti gli assassini, assedi di case, incendi ed altresimili scene brigantesche, avvenute in piena luce in unacittà mondiale e di calcolare le volte in cui si passò dallozittire e dallo strillare agli sputi ed al menar le mani, equindi alle sassate e al balenar delle spade.Il protagonista in questo teatro politico di mascalzoniera quel Publio Clodio di cui, come abbiam già detto,coloro che avevano in mano il potere si servivanocontro Catone e Cicerone. Abbandonato a sè stesso,questo partigiano influente, capace, energico e, nel suomestiere veramente insuperabile, seguì, durante il suotribunato del popolo (696 = 58), una politicaultrademocratica; distribuì ai cittadini il frumentogratuitamente, limitò il diritto che avevano i censori diredarguire i cittadini scostumati, vietò alle autorità diarrestare con formalità religiose l'andamento degli affarinei comizi, tolse di mezzo le restrizioni che, poco prima(690 = 64), erano state poste al diritto di associazionedelle classi inferiori, per mettere un limite allaformazione delle bande, e ripristinò le «adunanzecompitali» (collegia compitalicia), appena soppresse, lequali non erano altro se non una formale organizzazionedi tutto il proletariato libero e schiavo della capitale,

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inesorabilmente i loro nemici personali, così Clodioperseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, percui la loro posizione partigiana in queste guerre privateserviva come una mossa scacchistica. Voler scrivere lastoria di questa tregenda politica sarebbe lo stesso chevoler musicare un charivari; non importa nemmenonarrare tutti gli assassini, assedi di case, incendi ed altresimili scene brigantesche, avvenute in piena luce in unacittà mondiale e di calcolare le volte in cui si passò dallozittire e dallo strillare agli sputi ed al menar le mani, equindi alle sassate e al balenar delle spade.Il protagonista in questo teatro politico di mascalzoniera quel Publio Clodio di cui, come abbiam già detto,coloro che avevano in mano il potere si servivanocontro Catone e Cicerone. Abbandonato a sè stesso,questo partigiano influente, capace, energico e, nel suomestiere veramente insuperabile, seguì, durante il suotribunato del popolo (696 = 58), una politicaultrademocratica; distribuì ai cittadini il frumentogratuitamente, limitò il diritto che avevano i censori diredarguire i cittadini scostumati, vietò alle autorità diarrestare con formalità religiose l'andamento degli affarinei comizi, tolse di mezzo le restrizioni che, poco prima(690 = 64), erano state poste al diritto di associazionedelle classi inferiori, per mettere un limite allaformazione delle bande, e ripristinò le «adunanzecompitali» (collegia compitalicia), appena soppresse, lequali non erano altro se non una formale organizzazionedi tutto il proletariato libero e schiavo della capitale,

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diviso per contrade e regolato quasi militarmente.Se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e checome pretore nel 702 = 52 pensava di far adottare, ac-cordava ai liberi ed agli schiavi, che erano liberi di fatto,gli stessi diritti politici dei nati liberi, l'autore di questeenergiche riforme costituzionali poteva ben dire di averportato al colmo la sua opera, e, come novello Numadella libertà e dell'uguaglianza, invitare la dolce plebedella capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tem-pio della libertà, eretto sul Palatino sul suolo di qualcheedificio da lui incendiato, per inaugurare gli alboridell'era democratica.Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico chenaturalmente si faceva coi plebisciti; come Cesare, cosìanche la scimmia di Cesare concedeva per danaro ancheai suoi concittadini luogotenenze ed altri posti e postici-ni, ai re vassalli ed alle città suddite i diritti sovrani del-lo stato.

3. Contesa tra Pompeo e Clodio.

Pompeo rimaneva spettatore di tuttociò senza dar segnodi vita.Ma se egli non s'accorgeva di quanto con ciò si compro-mettesse, se ne accorgeva però il suo avversario.Clodio si fece così petulante da attaccar brighe colsignore di Roma per una questione indifferente, pelrinvio di un principe armeno fatto prigioniero; e lacontesa divenne una vera guerra, nella quale si fece

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diviso per contrade e regolato quasi militarmente.Se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e checome pretore nel 702 = 52 pensava di far adottare, ac-cordava ai liberi ed agli schiavi, che erano liberi di fatto,gli stessi diritti politici dei nati liberi, l'autore di questeenergiche riforme costituzionali poteva ben dire di averportato al colmo la sua opera, e, come novello Numadella libertà e dell'uguaglianza, invitare la dolce plebedella capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tem-pio della libertà, eretto sul Palatino sul suolo di qualcheedificio da lui incendiato, per inaugurare gli alboridell'era democratica.Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico chenaturalmente si faceva coi plebisciti; come Cesare, cosìanche la scimmia di Cesare concedeva per danaro ancheai suoi concittadini luogotenenze ed altri posti e postici-ni, ai re vassalli ed alle città suddite i diritti sovrani del-lo stato.

3. Contesa tra Pompeo e Clodio.

Pompeo rimaneva spettatore di tuttociò senza dar segnodi vita.Ma se egli non s'accorgeva di quanto con ciò si compro-mettesse, se ne accorgeva però il suo avversario.Clodio si fece così petulante da attaccar brighe colsignore di Roma per una questione indifferente, pelrinvio di un principe armeno fatto prigioniero; e lacontesa divenne una vera guerra, nella quale si fece

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manifesta la completa inettitudine di Pompeo.Il capo dello stato non seppe combattere il capo parteche colle stesse armi, maneggiate però molto più inabil-mente. Pompeo era stato inquietato dal principe armeno,ed egli provocò lo sdegno di Clodio liberando l'odiatoCicerone dall'esilio, al quale era stato condannato dallostesso Clodio e raggiunse il suo scopo così pienamenteda cambiare il suo avversario in un implacabile nemico.Se Clodio colle sue bande rendeva malsicure le vie, ilvittorioso generale faceva anch'egli marciare schiavi egladiatori e in questi azzuffamenti il generale rimanevanaturalmente soccombente di fronte al demagogo; erabattuto nelle vie, e quasi costantemente assediato nelproprio giardino da Clodio e dal suo compagno CaioCatone.Non è il tratto meno singolare di questo memorabilespettacolo quello che tanto il reggente quanto il raggira-tore, facendo a gara nell'avversarsi, ambissero entrambiil favore del governo caduto; che Pompeo acconsentisseal ritorno di Cicerone anche per mostrarsi compiacenteverso il senato, che Clodio invece dichiarasse nulle leleggi giulie invitando Marco Bibulo a far constare pub-blicamente come incostituzionale la loro adozione!Naturalmente da questo postribolo di oscure passioni,non poteva uscire un risultato positivo; il suo caratterepiù spiccato era appunto la sua inutilità orribilmenteridicola. Persino un uomo della genialità di Cesaredovette riconoscere che gli intrighi democratici avevanofatto completamente il loro tempo, e che la via per il

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manifesta la completa inettitudine di Pompeo.Il capo dello stato non seppe combattere il capo parteche colle stesse armi, maneggiate però molto più inabil-mente. Pompeo era stato inquietato dal principe armeno,ed egli provocò lo sdegno di Clodio liberando l'odiatoCicerone dall'esilio, al quale era stato condannato dallostesso Clodio e raggiunse il suo scopo così pienamenteda cambiare il suo avversario in un implacabile nemico.Se Clodio colle sue bande rendeva malsicure le vie, ilvittorioso generale faceva anch'egli marciare schiavi egladiatori e in questi azzuffamenti il generale rimanevanaturalmente soccombente di fronte al demagogo; erabattuto nelle vie, e quasi costantemente assediato nelproprio giardino da Clodio e dal suo compagno CaioCatone.Non è il tratto meno singolare di questo memorabilespettacolo quello che tanto il reggente quanto il raggira-tore, facendo a gara nell'avversarsi, ambissero entrambiil favore del governo caduto; che Pompeo acconsentisseal ritorno di Cicerone anche per mostrarsi compiacenteverso il senato, che Clodio invece dichiarasse nulle leleggi giulie invitando Marco Bibulo a far constare pub-blicamente come incostituzionale la loro adozione!Naturalmente da questo postribolo di oscure passioni,non poteva uscire un risultato positivo; il suo caratterepiù spiccato era appunto la sua inutilità orribilmenteridicola. Persino un uomo della genialità di Cesaredovette riconoscere che gli intrighi democratici avevanofatto completamente il loro tempo, e che la via per il

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trono non era più quella della demagogia.Se qualche pazzo si presentava ancora durante l'interre-gno tra la repubblica e la monarchia col mantello e collaverga del profeta, che Cesare aveva smessi già da lungotempo, riproducendo sulla scena la parodia del grandeideale di Caio Gracco, esso non poteva essere altro cheun ciarlatano della storia. Il cosiddetto partito, da cuiaveva origine questa agitazione democratica era cosìpoco un partito, che nella posteriore lotta decisiva, nongli fu assegnata alcuna parte. E non si può nemmeno so-stenere che per effetto di questa condizione anarchicasia stato vivamente risvegliato negli animi dei politiciapatici un governo forte basato sulla forza militare.Anche fatta astrazione dalla circostanza che questaborghesia neutrale si trovava principalmente fuori diRoma, e che quindi non subiva le immediateconseguenze degli schiamazzi della capitale, queglianimi, che in generale si sarebbero lasciati decidere datali motivi, edotti dalle esperienze fatte e specialmentedalla congiura di Catilina, erano già stati radicalmenteconvertiti al principio di autorità; sugli animi poiveramente pavidi il timore di una terribile crisi, che ilrovesciamento di una costituzione dovevainevitabilmente portare con sè, agiva assai piùfortemente che non quello della prolungata anarchiadella capitale, che in realtà era molto superficiale. Ilsolo risultato di cui si deve storicamente tener conto, èla dolorosa posizione in cui fu posto Pompeo per leaggressioni dei partigiani di Clodio, dalle quali furono

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trono non era più quella della demagogia.Se qualche pazzo si presentava ancora durante l'interre-gno tra la repubblica e la monarchia col mantello e collaverga del profeta, che Cesare aveva smessi già da lungotempo, riproducendo sulla scena la parodia del grandeideale di Caio Gracco, esso non poteva essere altro cheun ciarlatano della storia. Il cosiddetto partito, da cuiaveva origine questa agitazione democratica era cosìpoco un partito, che nella posteriore lotta decisiva, nongli fu assegnata alcuna parte. E non si può nemmeno so-stenere che per effetto di questa condizione anarchicasia stato vivamente risvegliato negli animi dei politiciapatici un governo forte basato sulla forza militare.Anche fatta astrazione dalla circostanza che questaborghesia neutrale si trovava principalmente fuori diRoma, e che quindi non subiva le immediateconseguenze degli schiamazzi della capitale, queglianimi, che in generale si sarebbero lasciati decidere datali motivi, edotti dalle esperienze fatte e specialmentedalla congiura di Catilina, erano già stati radicalmenteconvertiti al principio di autorità; sugli animi poiveramente pavidi il timore di una terribile crisi, che ilrovesciamento di una costituzione dovevainevitabilmente portare con sè, agiva assai piùfortemente che non quello della prolungata anarchiadella capitale, che in realtà era molto superficiale. Ilsolo risultato di cui si deve storicamente tener conto, èla dolorosa posizione in cui fu posto Pompeo per leaggressioni dei partigiani di Clodio, dalle quali furono

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essenzialmente paralizzati gli ulteriori suoi passi.

4. Pompeo e le vittorie di Cesare.

Per quanto poco Pompeo amasse e comprendessel'iniziativa questa volta fu costretto ad uscire dalla suapassività per la sua mutata situazione di fronte a Clodioed a Cesare. La fastidiosa e vergognosa situazione in cuiClodio l'aveva ridotto, doveva a lungo andare eccitareall'odio ed all'ira persino la sua pigra natura. Ma moltopiù importante fu il cambiamento avvenuto ne' suoirapporti con Cesare.Se nell'autorità assuntasi, uno dei due autocrati, Pom-peo, aveva interamente fallita la sua missione, Cesareaveva saputo adoperare la sua al di sopra di tutte le pre-visioni, e di tutti i timori. Senza darsi pena di chiedere ilpermesso, Cesare aveva raddoppiato il suo esercito colleleve ordinate nella sua provincia meridionale abitata perla maggior parte da cittadini romani; con esso avevavarcato le Alpi invece di tener d'occhio Roma dall'altaItalia, aveva soffocata un'incipiente nuova invasionecimbrica e nello spazio di due anni (696-697 = 58-57)aveva spinto le armi romane fino al Reno e al canaledella Manica.Di fronte a questi fatti doveva cessare persino la tatticadegli aristocratici di tutto ignorare e di tutto impiccioli-re. L'uomo schernito così spesso come un effeminatoera divenuto l'idolo dell'esercito, il festeggiato e vitto-rioso eroe, i cui giovani allori ecclissavano quegli ap-

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essenzialmente paralizzati gli ulteriori suoi passi.

4. Pompeo e le vittorie di Cesare.

Per quanto poco Pompeo amasse e comprendessel'iniziativa questa volta fu costretto ad uscire dalla suapassività per la sua mutata situazione di fronte a Clodioed a Cesare. La fastidiosa e vergognosa situazione in cuiClodio l'aveva ridotto, doveva a lungo andare eccitareall'odio ed all'ira persino la sua pigra natura. Ma moltopiù importante fu il cambiamento avvenuto ne' suoirapporti con Cesare.Se nell'autorità assuntasi, uno dei due autocrati, Pom-peo, aveva interamente fallita la sua missione, Cesareaveva saputo adoperare la sua al di sopra di tutte le pre-visioni, e di tutti i timori. Senza darsi pena di chiedere ilpermesso, Cesare aveva raddoppiato il suo esercito colleleve ordinate nella sua provincia meridionale abitata perla maggior parte da cittadini romani; con esso avevavarcato le Alpi invece di tener d'occhio Roma dall'altaItalia, aveva soffocata un'incipiente nuova invasionecimbrica e nello spazio di due anni (696-697 = 58-57)aveva spinto le armi romane fino al Reno e al canaledella Manica.Di fronte a questi fatti doveva cessare persino la tatticadegli aristocratici di tutto ignorare e di tutto impiccioli-re. L'uomo schernito così spesso come un effeminatoera divenuto l'idolo dell'esercito, il festeggiato e vitto-rioso eroe, i cui giovani allori ecclissavano quegli ap-

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passiti di Pompeo, e al quale persino il senato concede-va fin dal 697 = 57 gli onori che si solevano accordaredopo le guerre felicemente combattute, ed in maggiorcopia di quello che mai avesse fatto per Pompeo.Di fronte all'antico suo aiutante Pompeo si trovava ap-punto come questi si era trovato di fronte a lui dopo leleggi gabinio-manilie. Ora Cesare era l'eroe del giornoed il padrone del più forte esercito romano; Pompeo unex-generale altre volte famoso.Veramente tra suocero e genero non si era ancora verifi-cata alcuna collisione ed i loro rapporti esterni non era-no stati turbati; ma ogni unione politica è sciolta inter-namente se si scompone essenzialmente la proporzionedelle forze degli interessati. Se la controversia con Clo-dio non era che noiosa, esisteva nella cambiata posizio-ne di Cesare un gravissimo pericolo per Pompeo: ap-punto come una volta Cesare ed i suoi alleati erano statiobbligati di cercare un appoggio militare contro Pom-peo, così questi era ora obbligato di cercarne uno controCesare, e abbandonando la sua inerzia presentarsi candi-dato per una carica straordinaria che lo mettesse in gra-do di stare vicino al luogotenente delle due Gallie coneguali e possibilmente maggiori poteri. Come la sua po-sizione, così la sua tattica fu appunto quella seguìta daCesare durante la guerra mitridatica. Per pareggiare ilpotere militare dell'avversario, superiore, ma ancora lon-tano, ottenendo un eguale comando, Pompeo aveva bi-sogno anzitutto della macchina del governo ufficiale.Un anno e mezzo prima questo era stato senza limiti a

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passiti di Pompeo, e al quale persino il senato concede-va fin dal 697 = 57 gli onori che si solevano accordaredopo le guerre felicemente combattute, ed in maggiorcopia di quello che mai avesse fatto per Pompeo.Di fronte all'antico suo aiutante Pompeo si trovava ap-punto come questi si era trovato di fronte a lui dopo leleggi gabinio-manilie. Ora Cesare era l'eroe del giornoed il padrone del più forte esercito romano; Pompeo unex-generale altre volte famoso.Veramente tra suocero e genero non si era ancora verifi-cata alcuna collisione ed i loro rapporti esterni non era-no stati turbati; ma ogni unione politica è sciolta inter-namente se si scompone essenzialmente la proporzionedelle forze degli interessati. Se la controversia con Clo-dio non era che noiosa, esisteva nella cambiata posizio-ne di Cesare un gravissimo pericolo per Pompeo: ap-punto come una volta Cesare ed i suoi alleati erano statiobbligati di cercare un appoggio militare contro Pom-peo, così questi era ora obbligato di cercarne uno controCesare, e abbandonando la sua inerzia presentarsi candi-dato per una carica straordinaria che lo mettesse in gra-do di stare vicino al luogotenente delle due Gallie coneguali e possibilmente maggiori poteri. Come la sua po-sizione, così la sua tattica fu appunto quella seguìta daCesare durante la guerra mitridatica. Per pareggiare ilpotere militare dell'avversario, superiore, ma ancora lon-tano, ottenendo un eguale comando, Pompeo aveva bi-sogno anzitutto della macchina del governo ufficiale.Un anno e mezzo prima questo era stato senza limiti a

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sua disposizione. Gli autocrati dominavano ancora lostato, tanto per mezzo dei comizi, che obbedivano lorociecamente, come ai padroni delle piazze, quanto permezzo del senato da Cesare energicamente dominato colterrore; quale rappresentante della coalizione in Roma ecapo riconosciuto di essa, Pompeo avrebbe indubitata-mente ottenuto tanto dal senato come dalla borghesia,qualunque soluzione avesse desiderato, fosse anche sta-ta contro l'interesse di Cesare. Ma la poco abile contesaavuta con Clodio aveva fatto perdere a Pompeo la su-premazia della piazza, e non doveva quindi nemmenopensare di vedere appoggiata dall'assemblea popolareuna proposta in suo favore.Non così sfavorevoli erano le sue faccende in senato;ma qui ancora era cosa dubbia, se dopo questa lunga efatale inerzia Pompeo tenesse abbastanza ferme le redinidella maggioranza da ottenerne un senato-consulto con-forme al suo desiderio.

5. Opposizione repubblicana.

Anche la posizione del senato, o per dir meglio dellanobiltà in genere, si era intanto cambiata: dalla suacompleta umiliazione essa aveva acquistato nuovovigore. In occasione della coalizione del 694 = 60 sierano scoperte delle cose che non erano ancora giunte aquel grado di maturità per essere messe alla luce.L'esilio di Catone e di Cicerone, per quanto gli autocratisi tenessero in disparte e avessero persino l'aria di com-

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sua disposizione. Gli autocrati dominavano ancora lostato, tanto per mezzo dei comizi, che obbedivano lorociecamente, come ai padroni delle piazze, quanto permezzo del senato da Cesare energicamente dominato colterrore; quale rappresentante della coalizione in Roma ecapo riconosciuto di essa, Pompeo avrebbe indubitata-mente ottenuto tanto dal senato come dalla borghesia,qualunque soluzione avesse desiderato, fosse anche sta-ta contro l'interesse di Cesare. Ma la poco abile contesaavuta con Clodio aveva fatto perdere a Pompeo la su-premazia della piazza, e non doveva quindi nemmenopensare di vedere appoggiata dall'assemblea popolareuna proposta in suo favore.Non così sfavorevoli erano le sue faccende in senato;ma qui ancora era cosa dubbia, se dopo questa lunga efatale inerzia Pompeo tenesse abbastanza ferme le redinidella maggioranza da ottenerne un senato-consulto con-forme al suo desiderio.

5. Opposizione repubblicana.

Anche la posizione del senato, o per dir meglio dellanobiltà in genere, si era intanto cambiata: dalla suacompleta umiliazione essa aveva acquistato nuovovigore. In occasione della coalizione del 694 = 60 sierano scoperte delle cose che non erano ancora giunte aquel grado di maturità per essere messe alla luce.L'esilio di Catone e di Cicerone, per quanto gli autocratisi tenessero in disparte e avessero persino l'aria di com-

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piangerli, dalla pubblica opinione era ad essi attribuito;come pure il parentado fra Cesare e Pompeo ricordavacon sgradita evidenza i decreti monarchici di proscrizio-ne e le alleanze di famiglie.Anche la parte più numerosa del pubblico, che si tenevain disparte dagli avvenimenti politici, si accorse che siandavano sempre più rinforzando le basi per una futuramonarchia. Dal momento che questo pubblico compresecome gli sforzi di Cesare non tendevano ad una modifi-cazione della costituzione repubblicana, ma che si tratta-va addirittura della vita o della morte della repubblica,una quantità dei migliori uomini, che sino allora appar-tenevano al partito del popolo e riconoscevano in Cesareil loro capo, sarà senza dubbio passata dal lato opposto.Allora non si udivano più soltanto nelle sale di conver-sazione e nelle ville della dominante nobiltà i discorsisui «tre dinasti», o sul «mostro dalle tre teste». I discorsiconsolari di Cesare erano uditi dall'affollata popolazionesenza che desse segno di vita, nè con applausi nè conacclamazioni; quando il console democratico comparivain teatro non una mano si levava all'applauso. Ma ben sifischiava, quando uno dei satelliti degli autocrati si la-sciava vedere in pubblico, e persino uomini seri applau-divano quando un comico pronunciava una sentenza an-timonarchica o faceva un'allusione contro Pompeo.Che più? Quando Cicerone dovette andare in esilio, ungran numero di cittadini – si dice ventimila – per lamaggior parte della classe media, vestì il bruno adesempio del senato. In una lettera di quei tempi si legge:

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piangerli, dalla pubblica opinione era ad essi attribuito;come pure il parentado fra Cesare e Pompeo ricordavacon sgradita evidenza i decreti monarchici di proscrizio-ne e le alleanze di famiglie.Anche la parte più numerosa del pubblico, che si tenevain disparte dagli avvenimenti politici, si accorse che siandavano sempre più rinforzando le basi per una futuramonarchia. Dal momento che questo pubblico compresecome gli sforzi di Cesare non tendevano ad una modifi-cazione della costituzione repubblicana, ma che si tratta-va addirittura della vita o della morte della repubblica,una quantità dei migliori uomini, che sino allora appar-tenevano al partito del popolo e riconoscevano in Cesareil loro capo, sarà senza dubbio passata dal lato opposto.Allora non si udivano più soltanto nelle sale di conver-sazione e nelle ville della dominante nobiltà i discorsisui «tre dinasti», o sul «mostro dalle tre teste». I discorsiconsolari di Cesare erano uditi dall'affollata popolazionesenza che desse segno di vita, nè con applausi nè conacclamazioni; quando il console democratico comparivain teatro non una mano si levava all'applauso. Ma ben sifischiava, quando uno dei satelliti degli autocrati si la-sciava vedere in pubblico, e persino uomini seri applau-divano quando un comico pronunciava una sentenza an-timonarchica o faceva un'allusione contro Pompeo.Che più? Quando Cicerone dovette andare in esilio, ungran numero di cittadini – si dice ventimila – per lamaggior parte della classe media, vestì il bruno adesempio del senato. In una lettera di quei tempi si legge:

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«Nulla è ora più popolare che l'odio del partitopopolare».Gli autocrati fecero spargere la voce che tale opposizio-ne potrebbe facilmente far perdere ai cavalieri i posti di-stinti ultimamente ottenuti in teatro, ed al plebeo il gra-no pel suo pane; forse allora si limitarono un po' più leespressioni di malcontento, ma lo spirito pubblico rima-se quello di prima.Con migliore successo si ricorse alla molla degli interes-si materiali. L'oro di Cesare venne profuso con larghez-za. Gli apparentemente ricchi colle finanze scosse, ledame influenti bisognose di denaro, i nobilucci carichidi debiti, i commercianti, i banchieri ridotti a cattivopartito, si recavano in persona nelle Gallie per attingerealla sorgente, o si volgevano agli agenti di Cesare nellacapitale; e un uomo d'un esteriore decente – poichè Ce-sare evitava di mettersi addirittura in relazione colla ca-naglia – non era facilmente respinto nè qua nè là.Si aggiungano gli immensi edifizi che Cesare faceva co-struire nella capitale per proprio conto e che sommini-stravano mezzi di guadagno a un gran numero di perso-ne d'ogni classe, dal consolare all'ultimo facchino, e cosìpure le immense somme impiegate pei divertimenti pub-blici. Pompeo faceva altrettanto, ma in misura più limi-tata: la capitale gli andava debitrice del primo teatro co-struito in pietra ed egli ne festeggiò l'inaugurazione conuna magnificenza mai vista.Non occorre dire come simili elargizioni riconciliasserosino ad un certo punto moltissimi del partito

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«Nulla è ora più popolare che l'odio del partitopopolare».Gli autocrati fecero spargere la voce che tale opposizio-ne potrebbe facilmente far perdere ai cavalieri i posti di-stinti ultimamente ottenuti in teatro, ed al plebeo il gra-no pel suo pane; forse allora si limitarono un po' più leespressioni di malcontento, ma lo spirito pubblico rima-se quello di prima.Con migliore successo si ricorse alla molla degli interes-si materiali. L'oro di Cesare venne profuso con larghez-za. Gli apparentemente ricchi colle finanze scosse, ledame influenti bisognose di denaro, i nobilucci carichidi debiti, i commercianti, i banchieri ridotti a cattivopartito, si recavano in persona nelle Gallie per attingerealla sorgente, o si volgevano agli agenti di Cesare nellacapitale; e un uomo d'un esteriore decente – poichè Ce-sare evitava di mettersi addirittura in relazione colla ca-naglia – non era facilmente respinto nè qua nè là.Si aggiungano gli immensi edifizi che Cesare faceva co-struire nella capitale per proprio conto e che sommini-stravano mezzi di guadagno a un gran numero di perso-ne d'ogni classe, dal consolare all'ultimo facchino, e cosìpure le immense somme impiegate pei divertimenti pub-blici. Pompeo faceva altrettanto, ma in misura più limi-tata: la capitale gli andava debitrice del primo teatro co-struito in pietra ed egli ne festeggiò l'inaugurazione conuna magnificenza mai vista.Non occorre dire come simili elargizioni riconciliasserosino ad un certo punto moltissimi del partito

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dell'opposizione, specialmente nella capitale, col nuovoordine di cose e così pure si capisce facilmente comequesto sistema di corruzione non raggiungesse il nerbodell'opposizione. Sempre più chiaramente si andavamanifestando quanto profondamente fossero penetratenel popolo le radici della vigente costituzione, e quantopoco si inclinasse per la monarchia o si fosse dispostianche solo a tollerarla, specialmente nei circoli, che sitrovavano più lontani dagli immediati intrighi dei partitie in modo particolare nelle città di provincia.Se Roma avesse avuto una costituzione rappresentativa,il malcontento della borghesia avrebbe trovata la natura-le sua espressione nelle elezioni, e, manifestandosi, sisarebbe accresciuto; nelle condizioni esistenti, coloroche erano fedeli alla costituzione non ebbero altro dafare che schierarsi sotto il vessillo del senato, il quale,decaduto com'era, si mostrava però ancor sempre comepropugnatore e difensore della legittima repubblica.

6. Crescente importanza del senato.

Avvenne pertanto che il senato, mentre era cosìprofondamente decaduto, trovò ad un tratto a suadisposizione un esercito molto più considerevole e piùdevoto che non quando esso, in tutta la pienezza delpotere e della gloria, aveva abbattuto i Gracchi, e,protetto dalla spada di Silla, aveva restaurato lo stato.L'aristocrazia se ne accorse e ricominciò ad agitarsi. Fuappunto allora che Cicerone, dopo essersi impegnato di

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dell'opposizione, specialmente nella capitale, col nuovoordine di cose e così pure si capisce facilmente comequesto sistema di corruzione non raggiungesse il nerbodell'opposizione. Sempre più chiaramente si andavamanifestando quanto profondamente fossero penetratenel popolo le radici della vigente costituzione, e quantopoco si inclinasse per la monarchia o si fosse dispostianche solo a tollerarla, specialmente nei circoli, che sitrovavano più lontani dagli immediati intrighi dei partitie in modo particolare nelle città di provincia.Se Roma avesse avuto una costituzione rappresentativa,il malcontento della borghesia avrebbe trovata la natura-le sua espressione nelle elezioni, e, manifestandosi, sisarebbe accresciuto; nelle condizioni esistenti, coloroche erano fedeli alla costituzione non ebbero altro dafare che schierarsi sotto il vessillo del senato, il quale,decaduto com'era, si mostrava però ancor sempre comepropugnatore e difensore della legittima repubblica.

6. Crescente importanza del senato.

Avvenne pertanto che il senato, mentre era cosìprofondamente decaduto, trovò ad un tratto a suadisposizione un esercito molto più considerevole e piùdevoto che non quando esso, in tutta la pienezza delpotere e della gloria, aveva abbattuto i Gracchi, e,protetto dalla spada di Silla, aveva restaurato lo stato.L'aristocrazia se ne accorse e ricominciò ad agitarsi. Fuappunto allora che Cicerone, dopo essersi impegnato di

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associarsi alla classe dei sottomessi nel senato, e nonsolo di non fare alcuna opposizione, ma di agire secon-do le sue forze in favore degli autocrati, ebbe da costoroil permesso di ritornare a Roma.Sebbene Pompeo con tale permesso facesse all'oligar-chia solo una lieve concessione e anzitutto un tiro a Clo-dio, procacciandosi nell'eloquente consolare pel prossi-mo avvenire uno strumento reso maneggevole dalle pa-tite sofferenze, si colse però l'occasione di servirsi delritorno di Cicerone per fare delle dimostrazioni in sensorepubblicano, come il suo esilio era stato una dimostra-zione in odio al senato.Colla maggiore solennità possibile, del resto protettidalle bande di Tito Annio Milone contro i clodiani, i dueconsoli fecero, dopo un senatoconsulto preliminare, laproposta alla cittadinanza di concedere al consolare ilpermesso di far ritorno a Roma, ed il senato fece appelloa tutti i cittadini fedeli alla costituzione di non mancarealla votazione.Il giorno della votazione (4 agosto 697 = 57) si raccolseeffettivamente in Roma un numero straordinario diuomini ragguardevoli, venuti specialmente dalle città diprovincia. Il viaggio del consolare da Brindisi allacapitale offrì l'occasione ad una serie di non menobrillanti manifestazioni della pubblica opinione. Ilnuovo patto tra il senato ed i cittadini fedeli allacostituzione fu in questa occasione quasi pubblicamenteproclamato e si tenne una specie di rivista di questiultimi, il cui risultato, meravigliosamente favorevole,

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associarsi alla classe dei sottomessi nel senato, e nonsolo di non fare alcuna opposizione, ma di agire secon-do le sue forze in favore degli autocrati, ebbe da costoroil permesso di ritornare a Roma.Sebbene Pompeo con tale permesso facesse all'oligar-chia solo una lieve concessione e anzitutto un tiro a Clo-dio, procacciandosi nell'eloquente consolare pel prossi-mo avvenire uno strumento reso maneggevole dalle pa-tite sofferenze, si colse però l'occasione di servirsi delritorno di Cicerone per fare delle dimostrazioni in sensorepubblicano, come il suo esilio era stato una dimostra-zione in odio al senato.Colla maggiore solennità possibile, del resto protettidalle bande di Tito Annio Milone contro i clodiani, i dueconsoli fecero, dopo un senatoconsulto preliminare, laproposta alla cittadinanza di concedere al consolare ilpermesso di far ritorno a Roma, ed il senato fece appelloa tutti i cittadini fedeli alla costituzione di non mancarealla votazione.Il giorno della votazione (4 agosto 697 = 57) si raccolseeffettivamente in Roma un numero straordinario diuomini ragguardevoli, venuti specialmente dalle città diprovincia. Il viaggio del consolare da Brindisi allacapitale offrì l'occasione ad una serie di non menobrillanti manifestazioni della pubblica opinione. Ilnuovo patto tra il senato ed i cittadini fedeli allacostituzione fu in questa occasione quasi pubblicamenteproclamato e si tenne una specie di rivista di questiultimi, il cui risultato, meravigliosamente favorevole,

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contribuì non poco a risollevare l'animo avvilitodell'aristocrazia.L'inettitudine di Pompeo di fronte a queste arroganti di-mostrazioni e l'indegna e quasi ridicola situazione a cuiera stato ridotto di fronte a Clodio, fecero perdere il cre-dito a lui e alla coalizione; e la frazione del senato cheparteggiava per essa, demoralizzata dalla singolare ina-bilità di Pompeo, e abbandonata a sè stessa, non potèimpedire che il partito repubblicano-aristocratico riac-quistasse tutta la supremazia in senato.La sorte di questo partito tuttavia non era ancora dispe-rata (697 = 57), per un uomo coraggioso e destro. Que-sto partito possedeva ora ciò che non aveva avuto da unsecolo, un forte appoggio nel popolo; se si fosse affidatoa questo e a sè stesso avrebbe potuto giungere alla metaper la via più breve ed onorevole. Perchè non attaccaregli autocrati a viso scoperto? Perchè un uomo risoluto edabbene alla testa del senato non annullò, come contrarialla vigente costituzione, i poteri straordinari e non chia-mò sotto le armi tutti i repubblicani d'Italia contro i ti-ranni ed il loro partito?Così facendo era possibile restaurare un'altra volta la si-gnoria del senato. È vero che i repubblicani correvanoun gran rischio; ma forse anche allora, come accadespesso, la più temeraria impresa sarebbe stata nel tempostesso la più assennata. Senonchè la debole aristocrazianon era capace di prendere una così semplice e corag-giosa risoluzione. Ma vi era un'altra via per ottenerequesto scopo, forse più sicura, in ogni modo più adatta

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contribuì non poco a risollevare l'animo avvilitodell'aristocrazia.L'inettitudine di Pompeo di fronte a queste arroganti di-mostrazioni e l'indegna e quasi ridicola situazione a cuiera stato ridotto di fronte a Clodio, fecero perdere il cre-dito a lui e alla coalizione; e la frazione del senato cheparteggiava per essa, demoralizzata dalla singolare ina-bilità di Pompeo, e abbandonata a sè stessa, non potèimpedire che il partito repubblicano-aristocratico riac-quistasse tutta la supremazia in senato.La sorte di questo partito tuttavia non era ancora dispe-rata (697 = 57), per un uomo coraggioso e destro. Que-sto partito possedeva ora ciò che non aveva avuto da unsecolo, un forte appoggio nel popolo; se si fosse affidatoa questo e a sè stesso avrebbe potuto giungere alla metaper la via più breve ed onorevole. Perchè non attaccaregli autocrati a viso scoperto? Perchè un uomo risoluto edabbene alla testa del senato non annullò, come contrarialla vigente costituzione, i poteri straordinari e non chia-mò sotto le armi tutti i repubblicani d'Italia contro i ti-ranni ed il loro partito?Così facendo era possibile restaurare un'altra volta la si-gnoria del senato. È vero che i repubblicani correvanoun gran rischio; ma forse anche allora, come accadespesso, la più temeraria impresa sarebbe stata nel tempostesso la più assennata. Senonchè la debole aristocrazianon era capace di prendere una così semplice e corag-giosa risoluzione. Ma vi era un'altra via per ottenerequesto scopo, forse più sicura, in ogni modo più adatta

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alla natura di questi fedeli della costituzione: si potevatentare di mettere la discordia fra i due autocrati, e perquesta scissione giungere infine al timone dello stato.Le relazioni fra i due uomini dominanti lo stato si eranorallentate e mutate da quando Cesare era giunto al piùalto grado di potenza in confronto a Pompeo, così chequesti era stato obbligato ad aspirare ad un nuovo pote-re; era quindi verisimile che, ottenutolo in un modo onell'altro, la sarebbe stata finita tra loro, e sarebbero pre-sto venuti alle armi. Ma se nella lotta Pompeo fosse ri-masto solo, la sua sconfitta era quasi certa ed il partitodella costituzione si sarebbe trovato in questo caso,dopo la lotta, sotto il dominio d'uno invece di trovarsisotto quello di due padroni.Se la nobiltà avesse impiegato contro Cesare lo stessomezzo, col quale questi aveva riportate sino allora le suevittorie, e si fosse alleata al più debole rivale, allora conun generale com'era Pompeo, con un esercito comequello dei costituzionali, la vittoria sarebbe probabil-mente rimasta ad essa; farla poi finita con Pompeo dopola vittoria riportata non sarebbe stata cosa molto difficilea giudicare dalle prove d'incapacità politica da lui date.

7. Pompeo mendica al senato un comando.

Le cose erano giunte al punto da indurre Pompeo ed ilpartito repubblicano ad una intesa; se un taleavvicinamento dovesse verificarsi e come in generale lasituazione dei due autocrati e dell'aristocrazia, resasi

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alla natura di questi fedeli della costituzione: si potevatentare di mettere la discordia fra i due autocrati, e perquesta scissione giungere infine al timone dello stato.Le relazioni fra i due uomini dominanti lo stato si eranorallentate e mutate da quando Cesare era giunto al piùalto grado di potenza in confronto a Pompeo, così chequesti era stato obbligato ad aspirare ad un nuovo pote-re; era quindi verisimile che, ottenutolo in un modo onell'altro, la sarebbe stata finita tra loro, e sarebbero pre-sto venuti alle armi. Ma se nella lotta Pompeo fosse ri-masto solo, la sua sconfitta era quasi certa ed il partitodella costituzione si sarebbe trovato in questo caso,dopo la lotta, sotto il dominio d'uno invece di trovarsisotto quello di due padroni.Se la nobiltà avesse impiegato contro Cesare lo stessomezzo, col quale questi aveva riportate sino allora le suevittorie, e si fosse alleata al più debole rivale, allora conun generale com'era Pompeo, con un esercito comequello dei costituzionali, la vittoria sarebbe probabil-mente rimasta ad essa; farla poi finita con Pompeo dopola vittoria riportata non sarebbe stata cosa molto difficilea giudicare dalle prove d'incapacità politica da lui date.

7. Pompeo mendica al senato un comando.

Le cose erano giunte al punto da indurre Pompeo ed ilpartito repubblicano ad una intesa; se un taleavvicinamento dovesse verificarsi e come in generale lasituazione dei due autocrati e dell'aristocrazia, resasi

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assolutamente fosca, dovesse stabilirsi d'allora in avanti,tuttociò doveva decidersi nell'autunno del 697 = 57,quando Pompeo fece la richiesta al senato di affidargliuna carica straordinaria.Egli si riallacciò a ciò che undici anni prima aveva fon-dato il suo potere: al prezzo del pane nella capitale, cheappunto allora aveva raggiunto come prima della leggegabinia una misura oppressiva. Se questa fosse stata ot-tenuta dietro un'astuta macchinazione, che Clodio attri-buiva ora a Pompeo, ora a Cicerone, mentre essi allaloro volta ne incolpavano Clodio, non si saprebbe preci-sare. La pirateria, che non era cessata, il pubblico tesoroesausto e la trascurata e irregolare sorveglianza del tra-sporto dei cereali per parte del governo bastavano giàper produrre la carestia del pane in questa popolatissimacittà, ridotta quasi interamente all'importazione di cerea-li d'oltre mare, anche senza ricorrere alle incette di gra-no per scopi politici.Pompeo voleva che il senato gli affidasse la sovrainten-denza sulle provvigioni dei cereali di tutto lo stato ro-mano, e a questo scopo la facoltà illimitata di disporredel pubblico tesoro, come pure dell'esercito di terra edella flotta, e al tempo stesso un potere che si estendessea tutto lo stato romano non solo, ma innanzi al qualecessasse anche quello di cui erano investiti i governatoridelle province; in una parola, egli pensava di organizza-re un'edizione migliorata della legge gabinia, alla qualepoi si sarebbe naturalmente aggiunta la direzione dellaimminente guerra egiziana, appunto come era avvenuto

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assolutamente fosca, dovesse stabilirsi d'allora in avanti,tuttociò doveva decidersi nell'autunno del 697 = 57,quando Pompeo fece la richiesta al senato di affidargliuna carica straordinaria.Egli si riallacciò a ciò che undici anni prima aveva fon-dato il suo potere: al prezzo del pane nella capitale, cheappunto allora aveva raggiunto come prima della leggegabinia una misura oppressiva. Se questa fosse stata ot-tenuta dietro un'astuta macchinazione, che Clodio attri-buiva ora a Pompeo, ora a Cicerone, mentre essi allaloro volta ne incolpavano Clodio, non si saprebbe preci-sare. La pirateria, che non era cessata, il pubblico tesoroesausto e la trascurata e irregolare sorveglianza del tra-sporto dei cereali per parte del governo bastavano giàper produrre la carestia del pane in questa popolatissimacittà, ridotta quasi interamente all'importazione di cerea-li d'oltre mare, anche senza ricorrere alle incette di gra-no per scopi politici.Pompeo voleva che il senato gli affidasse la sovrainten-denza sulle provvigioni dei cereali di tutto lo stato ro-mano, e a questo scopo la facoltà illimitata di disporredel pubblico tesoro, come pure dell'esercito di terra edella flotta, e al tempo stesso un potere che si estendessea tutto lo stato romano non solo, ma innanzi al qualecessasse anche quello di cui erano investiti i governatoridelle province; in una parola, egli pensava di organizza-re un'edizione migliorata della legge gabinia, alla qualepoi si sarebbe naturalmente aggiunta la direzione dellaimminente guerra egiziana, appunto come era avvenuto

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per la guerra mitridatica in seguito alla spedizione con-tro i pirati.Per quanto il partito dell'opposizione contro i nuovidinasti avesse guadagnato terreno negli ultimi anni,quando quest'affare fu messo in discussione in senatonel mese di settembre 697 = 57, la maggioranza delsenato era però ancora sotto l'incubo dello spaventocausatole da Cesare. Essa adottò in massima,docilmente la proposta, e ciò dietro suggerimento diCicerone, che in questo frangente doveva dare, e diededi fatto, la prima prova della pieghevolezza appresanell'esilio.Ma nello stabilire le modalità, il progetto originale pro-posto dal tribuno del popolo Caio Messio subì notevo-lissimi emendamenti. Pompeo non ottenne nè la facoltàdi disporre liberamente delle casse dello stato, nè gli fu-rono assegnate apposite legioni e navi, nè un potere su-periore a quello dei governatori, ma furono solo messe asua disposizione importanti somme allo scopo di ordina-re degli approvvigionamenti per la capitale, assegnando-gli quindici aiutanti, e concedendogli pieno potere pro-consolare per cinque anni in tutti gli affari di approvvi-gionamento per tutto il territorio dello stato romano, e sifece sanzionare questo decreto dalla borghesia.Non pochi motivi suggerirono questi emendamenti, chesomigliavano a un rigetto del piano propostooriginariamente: un riguardo verso Cesare, vicino alquale appunto i più timidi esitavano a porre nella Galliaun collega non solo pari, ma a lui superiore; la celata

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per la guerra mitridatica in seguito alla spedizione con-tro i pirati.Per quanto il partito dell'opposizione contro i nuovidinasti avesse guadagnato terreno negli ultimi anni,quando quest'affare fu messo in discussione in senatonel mese di settembre 697 = 57, la maggioranza delsenato era però ancora sotto l'incubo dello spaventocausatole da Cesare. Essa adottò in massima,docilmente la proposta, e ciò dietro suggerimento diCicerone, che in questo frangente doveva dare, e diededi fatto, la prima prova della pieghevolezza appresanell'esilio.Ma nello stabilire le modalità, il progetto originale pro-posto dal tribuno del popolo Caio Messio subì notevo-lissimi emendamenti. Pompeo non ottenne nè la facoltàdi disporre liberamente delle casse dello stato, nè gli fu-rono assegnate apposite legioni e navi, nè un potere su-periore a quello dei governatori, ma furono solo messe asua disposizione importanti somme allo scopo di ordina-re degli approvvigionamenti per la capitale, assegnando-gli quindici aiutanti, e concedendogli pieno potere pro-consolare per cinque anni in tutti gli affari di approvvi-gionamento per tutto il territorio dello stato romano, e sifece sanzionare questo decreto dalla borghesia.Non pochi motivi suggerirono questi emendamenti, chesomigliavano a un rigetto del piano propostooriginariamente: un riguardo verso Cesare, vicino alquale appunto i più timidi esitavano a porre nella Galliaun collega non solo pari, ma a lui superiore; la celata

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opposizione di Crasso, nemico ereditario di Pompeo esuo collega a malincuore, a cui Pompeo stesso attribuì ovolle far credere di attribuire specialmente il naufragiodel suo progetto; l'antipatia dell'opposizionerepubblicana nel senato per qualsiasi decisione tendentead accrescere di fatto o soltanto di nome il potere degliautocrati; infine e specialmente l'inettitudine di Pompeo,il quale dopo essere stato costretto ad agire, non potevarisolversi da sè stesso, ma come al solito facevapropalare la vera sua intenzione dai suoi amici quasi inincognito, dichiarando poi colla notoria sua modestia,che si sarebbe accontentato anche di meno.Non deve perciò destare meraviglia se lo si prese in pa-rola e se gli si concesse il meno che si potè. Pompeo eratuttavia felice di avere trovato una seria occupazione eanzitutto un buon pretesto per allontanarsi dalla capita-le; e gli venne anche fatto, certamente non senza che leprovince ne risentissero un grave contraccolpo, di pro-curare ad essa provvigioni abbondanti ed a prezzi con-venienti.Ma non aveva raggiunto il suo vero intento; il titolo diproconsole, che aveva diritto di portare in tutte le pro-vince, non aveva alcun significato sinchè egli non di-sponesse di truppe proprie. Con tale intento egli fecepervenire subito dopo al senato la seconda proposta,perchè gli fosse dato incarico di ricondurre il re d'Egittonel proprio paese, da cui era stato scacciato, servendosi,all'occorrenza, della forza delle armi.Ma quanto più manifesto si faceva che egli aveva

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opposizione di Crasso, nemico ereditario di Pompeo esuo collega a malincuore, a cui Pompeo stesso attribuì ovolle far credere di attribuire specialmente il naufragiodel suo progetto; l'antipatia dell'opposizionerepubblicana nel senato per qualsiasi decisione tendentead accrescere di fatto o soltanto di nome il potere degliautocrati; infine e specialmente l'inettitudine di Pompeo,il quale dopo essere stato costretto ad agire, non potevarisolversi da sè stesso, ma come al solito facevapropalare la vera sua intenzione dai suoi amici quasi inincognito, dichiarando poi colla notoria sua modestia,che si sarebbe accontentato anche di meno.Non deve perciò destare meraviglia se lo si prese in pa-rola e se gli si concesse il meno che si potè. Pompeo eratuttavia felice di avere trovato una seria occupazione eanzitutto un buon pretesto per allontanarsi dalla capita-le; e gli venne anche fatto, certamente non senza che leprovince ne risentissero un grave contraccolpo, di pro-curare ad essa provvigioni abbondanti ed a prezzi con-venienti.Ma non aveva raggiunto il suo vero intento; il titolo diproconsole, che aveva diritto di portare in tutte le pro-vince, non aveva alcun significato sinchè egli non di-sponesse di truppe proprie. Con tale intento egli fecepervenire subito dopo al senato la seconda proposta,perchè gli fosse dato incarico di ricondurre il re d'Egittonel proprio paese, da cui era stato scacciato, servendosi,all'occorrenza, della forza delle armi.Ma quanto più manifesto si faceva che egli aveva

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urgente bisogno del senato, tanto minor riguardo econdiscendenza mostravano i senatori per le suerichieste.Anzitutto fu scoperto negli oracoli sibillini che era cosaempia inviare un esercito armato in Egitto; per cui il piosenato decise quasi concordemente di astenersidall'intervento armato. Pompeo era ormai così mortifi-cato che avrebbe assunto la sua missione anche senzaesercito; ma nella incorreggibile sua riservatezza eglifece fare anche questa dichiarazione soltanto dai suoiamici e parlò e votò per l'invio di un altro senatore insua vece.Naturalmente il senato respinse quella proposta chemetteva sacrilegamente a repentaglio una vita così pre-ziosa alla patria, e la fine di quelle eterne trattative fuche il senato risolvette di non intervenire negli affaridell'Egitto (gennaio 698 = 56).

8. Attacco alle leggi di Cesare.

Queste replicate sconfitte toccate a Pompeo in senato, e,ciò che era peggio, il doverle tollerare senza potersenevendicare, da qualsiasi parte venissero, apparivanonaturalmente presso il gran pubblico come altrettantevittorie dei repubblicani e altrettante sconfitte degliautocrati in generale; in conseguenza di ciò la mareadell'opposizione repubblicana andava sempre piùingrossando.Già le elezioni pel 698 = 56 non erano riuscite che in

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urgente bisogno del senato, tanto minor riguardo econdiscendenza mostravano i senatori per le suerichieste.Anzitutto fu scoperto negli oracoli sibillini che era cosaempia inviare un esercito armato in Egitto; per cui il piosenato decise quasi concordemente di astenersidall'intervento armato. Pompeo era ormai così mortifi-cato che avrebbe assunto la sua missione anche senzaesercito; ma nella incorreggibile sua riservatezza eglifece fare anche questa dichiarazione soltanto dai suoiamici e parlò e votò per l'invio di un altro senatore insua vece.Naturalmente il senato respinse quella proposta chemetteva sacrilegamente a repentaglio una vita così pre-ziosa alla patria, e la fine di quelle eterne trattative fuche il senato risolvette di non intervenire negli affaridell'Egitto (gennaio 698 = 56).

8. Attacco alle leggi di Cesare.

Queste replicate sconfitte toccate a Pompeo in senato, e,ciò che era peggio, il doverle tollerare senza potersenevendicare, da qualsiasi parte venissero, apparivanonaturalmente presso il gran pubblico come altrettantevittorie dei repubblicani e altrettante sconfitte degliautocrati in generale; in conseguenza di ciò la mareadell'opposizione repubblicana andava sempre piùingrossando.Già le elezioni pel 698 = 56 non erano riuscite che in

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parte nel senso dei dinasti: i candidati di Cesare per lapretura, Publio Vatinio e Caio Alfio, erano caduti;invece due decisi aderenti al rovesciato governo, GneoLentulo Marcellino e Gneo Domizio Calvino, erano statieletti, quegli al consolato, questi alla pretura.Candidato al consolato pel 699 = 55 si era presentatopersino Lucio Domizio Enobarbo, l'elezione del quale,vista la sua influenza nella capitale e la colossale sua so-stanza, era difficile d'impedire tanto più che si sapevache egli non si sarebbe accontentato di fare una opposi-zione velata.I comizi dunque si ribellavano; e il senato era di accordocon loro. Fu messo solennemente in discussione unparere dato, dietro domanda del senato, da indovinietruschi di nota sapienza sopra certi segni e miracoli. Laceleste rivelazione annunciava che a cagione dellecontese tra le classi più elevate, tutto il poteresull'esercito e sul tesoro minacciava di passare ad unsolo padrone, e che lo stato era minacciato di perdere lasua libertà; sembrava che gli dei mirassero specialmentealla proposta di Caio Messio.Non passò molto che i repubblicani scesero dal cielo interra. La legge intorno al territorio capuano e le altreleggi emanate da Cesare console erano state da lorosempre considerate come nulle, e nel dicembre 697 = 57già si era detto in senato che era necessario annullarleperchè viziate nella forma.Il 6 aprile 698 = 56 il console Cicerone fece in pienosenato la proposta di mettere per il 15 maggio all'ordine

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parte nel senso dei dinasti: i candidati di Cesare per lapretura, Publio Vatinio e Caio Alfio, erano caduti;invece due decisi aderenti al rovesciato governo, GneoLentulo Marcellino e Gneo Domizio Calvino, erano statieletti, quegli al consolato, questi alla pretura.Candidato al consolato pel 699 = 55 si era presentatopersino Lucio Domizio Enobarbo, l'elezione del quale,vista la sua influenza nella capitale e la colossale sua so-stanza, era difficile d'impedire tanto più che si sapevache egli non si sarebbe accontentato di fare una opposi-zione velata.I comizi dunque si ribellavano; e il senato era di accordocon loro. Fu messo solennemente in discussione unparere dato, dietro domanda del senato, da indovinietruschi di nota sapienza sopra certi segni e miracoli. Laceleste rivelazione annunciava che a cagione dellecontese tra le classi più elevate, tutto il poteresull'esercito e sul tesoro minacciava di passare ad unsolo padrone, e che lo stato era minacciato di perdere lasua libertà; sembrava che gli dei mirassero specialmentealla proposta di Caio Messio.Non passò molto che i repubblicani scesero dal cielo interra. La legge intorno al territorio capuano e le altreleggi emanate da Cesare console erano state da lorosempre considerate come nulle, e nel dicembre 697 = 57già si era detto in senato che era necessario annullarleperchè viziate nella forma.Il 6 aprile 698 = 56 il console Cicerone fece in pienosenato la proposta di mettere per il 15 maggio all'ordine

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del giorno la discussione della legge per la suddivisionedelle terre della Campania. Era la formale dichiarazionedi guerra, ed essa era tanto più significativa in quantousciva dalle labbra di uno di quegli uomini chemostrano il loro colore soltanto quando sanno di poterlofare con sicurezza.L'aristocrazia riteneva evidentemente giunto il momentodi mettersi in campo non con Pompeo contro Cesare, macontro la tirannide in generale. Ciò che doveva avvenireera facile prevedere. Domizio non dissimulava che eglicome console intendeva proporre nei comizi il richiamodi Cesare dalle Gallie. Una restaurazione aristocraticaera iniziata, e colpendo la colonia di Capua la nobiltàaveva gettato il guanto agli autocrati.

9. Convegno di Lucca.

Sebbene Cesare ricevesse giornalmente rapportidettagliati sugli avvenimenti della capitale, e,permettendolo i riguardi militari, li seguisse nellamaggiore possibile vicinanza dalla sua provinciameridionale, egli fino allora, almeno apparentemente,non vi si era immischiato.Ma adesso era stata dichiarata la guerra a lui ed al suocollega, e specialmente a lui; doveva agire ed agì conprontezza.Egli si trovava appunto vicino; l'aristocrazia non avevacreduto nemmeno di attendere a romperla sino almomento che egli avesse ripassato le Alpi. Ai primi di

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del giorno la discussione della legge per la suddivisionedelle terre della Campania. Era la formale dichiarazionedi guerra, ed essa era tanto più significativa in quantousciva dalle labbra di uno di quegli uomini chemostrano il loro colore soltanto quando sanno di poterlofare con sicurezza.L'aristocrazia riteneva evidentemente giunto il momentodi mettersi in campo non con Pompeo contro Cesare, macontro la tirannide in generale. Ciò che doveva avvenireera facile prevedere. Domizio non dissimulava che eglicome console intendeva proporre nei comizi il richiamodi Cesare dalle Gallie. Una restaurazione aristocraticaera iniziata, e colpendo la colonia di Capua la nobiltàaveva gettato il guanto agli autocrati.

9. Convegno di Lucca.

Sebbene Cesare ricevesse giornalmente rapportidettagliati sugli avvenimenti della capitale, e,permettendolo i riguardi militari, li seguisse nellamaggiore possibile vicinanza dalla sua provinciameridionale, egli fino allora, almeno apparentemente,non vi si era immischiato.Ma adesso era stata dichiarata la guerra a lui ed al suocollega, e specialmente a lui; doveva agire ed agì conprontezza.Egli si trovava appunto vicino; l'aristocrazia non avevacreduto nemmeno di attendere a romperla sino almomento che egli avesse ripassato le Alpi. Ai primi di

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aprile del 698 = 56 Crasso lasciò la capitale perconsigliarsi col più potente suo collega sul da farsi; eglitrovò Cesare in Ravenna. Di là si recarono entrambi aLucca ove giunse anche Pompeo, il quale aveva lasciatoRoma subito dopo Crasso (11 aprile) apparentementeper sollecitare le spedizioni dei cereali dalla Sardegna edall'Africa.Là li seguirono i principali loro aderenti, il proconsoledella Spagna citeriore, Metello Nepote, il pretore dellaSardegna, Appio Claudio e parecchi altri. A questa con-ferenza, dove per antitesi col senato repubblicano erarappresentato il nuovo senato monarchico, si contavanocentoventi littori ed oltre duecento senatori. Sotto ognirapporto la parola decisiva apparteneva a Cesare. Egli sene servì per ristabilire e meglio consolidare l'esistentecondominio sulla nuova base di una più proporzionatadivisione del potere.Le luogotenenze militarmente più importanti, oltre quel-la delle due Gallie, furono assegnate ai due colleghi: aPompeo quella delle due Spagne, a Crasso quella dellaSiria, cariche che dovevano essere loro assicurate percinque anni (700-704 = 54-50) con un plebiscito, prov-vedendoli convenientemente sotto l'aspetto militare e fi-nanziario. Invece Cesare chiese la proroga del suo co-mando, che doveva scadere col 700 = 54, sino a tutto il705 = 49; l'autorizzazione di aumentare fino a dieci lesue legioni e di caricare sul pubblico tesoro il soldo dapagarsi alle truppe da lui arbitrariamente levate.Fu inoltre promesso a Pompeo e a Crasso il secondo

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aprile del 698 = 56 Crasso lasciò la capitale perconsigliarsi col più potente suo collega sul da farsi; eglitrovò Cesare in Ravenna. Di là si recarono entrambi aLucca ove giunse anche Pompeo, il quale aveva lasciatoRoma subito dopo Crasso (11 aprile) apparentementeper sollecitare le spedizioni dei cereali dalla Sardegna edall'Africa.Là li seguirono i principali loro aderenti, il proconsoledella Spagna citeriore, Metello Nepote, il pretore dellaSardegna, Appio Claudio e parecchi altri. A questa con-ferenza, dove per antitesi col senato repubblicano erarappresentato il nuovo senato monarchico, si contavanocentoventi littori ed oltre duecento senatori. Sotto ognirapporto la parola decisiva apparteneva a Cesare. Egli sene servì per ristabilire e meglio consolidare l'esistentecondominio sulla nuova base di una più proporzionatadivisione del potere.Le luogotenenze militarmente più importanti, oltre quel-la delle due Gallie, furono assegnate ai due colleghi: aPompeo quella delle due Spagne, a Crasso quella dellaSiria, cariche che dovevano essere loro assicurate percinque anni (700-704 = 54-50) con un plebiscito, prov-vedendoli convenientemente sotto l'aspetto militare e fi-nanziario. Invece Cesare chiese la proroga del suo co-mando, che doveva scadere col 700 = 54, sino a tutto il705 = 49; l'autorizzazione di aumentare fino a dieci lesue legioni e di caricare sul pubblico tesoro il soldo dapagarsi alle truppe da lui arbitrariamente levate.Fu inoltre promesso a Pompeo e a Crasso il secondo

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consolato pel prossimo anno (699 = 55), ancora primache si recassero nelle rispettive loro luogotenenze,mentre Crasso si riservava di esercitare per la secondavolta la suprema carica consolare subito dopo spiratonel 706 = 48 il tempo della sua luogotenenza e con essoil termine decennale stabilito dalla legge fra unconsolato e l'altro.Poichè le legioni di Cesare, destinate già ad appoggiarel'ordinamento delle condizioni della capitale, non pote-vano allora essere rimosse dalla Gallia transalpina,Pompeo e Crasso trovarono le necessarie forze militarinelle legioni che essi dovevano organizzare per gli eser-citi di Spagna e della Siria, e per le quali era lasciata adessi la facoltà di stabilire il momento opportuno per far-le marciare ai diversi luoghi di loro destinazione.Definite le questioni principali, le secondarie, come ilconcretare la tattica da seguire di fronte agli avversaridell'opposizione nella capitale, il regolare le candidaturepei prossimi anni e simili, non diedero molto da fare. Ilgran maestro della mediazione compose colla solita fa-cilità le liti personali che formavano ostacolo alla con-venzione e costrinse gli elementi più ricalcitranti a ri-conciliarsi. Tra Pompeo e Crasso fu ripristinata, almenoin apparenza, una buona intelligenza di colleghi. Lostesso Publio Clodio fu costretto a tenersi tranquillo in-sieme alla sua banda, e a non più importunare Pompeo;questo non fu uno dei minori miracoli dell'ammaliatore.

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consolato pel prossimo anno (699 = 55), ancora primache si recassero nelle rispettive loro luogotenenze,mentre Crasso si riservava di esercitare per la secondavolta la suprema carica consolare subito dopo spiratonel 706 = 48 il tempo della sua luogotenenza e con essoil termine decennale stabilito dalla legge fra unconsolato e l'altro.Poichè le legioni di Cesare, destinate già ad appoggiarel'ordinamento delle condizioni della capitale, non pote-vano allora essere rimosse dalla Gallia transalpina,Pompeo e Crasso trovarono le necessarie forze militarinelle legioni che essi dovevano organizzare per gli eser-citi di Spagna e della Siria, e per le quali era lasciata adessi la facoltà di stabilire il momento opportuno per far-le marciare ai diversi luoghi di loro destinazione.Definite le questioni principali, le secondarie, come ilconcretare la tattica da seguire di fronte agli avversaridell'opposizione nella capitale, il regolare le candidaturepei prossimi anni e simili, non diedero molto da fare. Ilgran maestro della mediazione compose colla solita fa-cilità le liti personali che formavano ostacolo alla con-venzione e costrinse gli elementi più ricalcitranti a ri-conciliarsi. Tra Pompeo e Crasso fu ripristinata, almenoin apparenza, una buona intelligenza di colleghi. Lostesso Publio Clodio fu costretto a tenersi tranquillo in-sieme alla sua banda, e a non più importunare Pompeo;questo non fu uno dei minori miracoli dell'ammaliatore.

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10. Intenzioni di Cesare.

Che il componimento di tutte queste questioni non fossedovuto ad un compromesso di autocrati indipendenti edegualmente potenti nella loro rivalità, ma solo al buonvolere di Cesare, è provato dalle circostanze. Pompeo sitrovava a Lucca nella critica posizione di un impotentefuggiasco, il quale viene a chiedere aiuto al suoavversario. Tanto se Cesare lo respingeva da sè, edichiarava sciolta la coalizione, quanto se l'accoglievalasciando sussistere la lega così com'era, Pompeo erapoliticamente annientato.Se in questo caso egli non la rompeva con Cesare, dive-niva l'impotente cliente del suo alleato. Se invece larompeva, e, ciò che non era molto probabile, fosse anco-ra riuscito a comporre una lega coll'aristocrazia, una talelega imposta dalla necessità e conchiusa dagli avversarinell'ultimo momento era così poco pericolosa, che Cesa-re non rinnovò certamente la coalizione per evitarla.Una seria rivalità di Crasso contro Cesare era assoluta-mente impossibile.Non è facile indovinare quali motivi inducessero Cesarea rinunciare, senza bisogno, e alla sua posizione privile-giata e a concedere spontaneamente al suo rivale ciò cheall'epoca della conclusione della lega nel 694 = 60 gliaveva rifiutato, e ciò che questi da allora in poi collamanifesta intenzione di premunirsi contro Cesare, avevatentato invano di ottenere in parecchi modi senza edanzi contro il volere dello stesso Cesare, cioè il secondo

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10. Intenzioni di Cesare.

Che il componimento di tutte queste questioni non fossedovuto ad un compromesso di autocrati indipendenti edegualmente potenti nella loro rivalità, ma solo al buonvolere di Cesare, è provato dalle circostanze. Pompeo sitrovava a Lucca nella critica posizione di un impotentefuggiasco, il quale viene a chiedere aiuto al suoavversario. Tanto se Cesare lo respingeva da sè, edichiarava sciolta la coalizione, quanto se l'accoglievalasciando sussistere la lega così com'era, Pompeo erapoliticamente annientato.Se in questo caso egli non la rompeva con Cesare, dive-niva l'impotente cliente del suo alleato. Se invece larompeva, e, ciò che non era molto probabile, fosse anco-ra riuscito a comporre una lega coll'aristocrazia, una talelega imposta dalla necessità e conchiusa dagli avversarinell'ultimo momento era così poco pericolosa, che Cesa-re non rinnovò certamente la coalizione per evitarla.Una seria rivalità di Crasso contro Cesare era assoluta-mente impossibile.Non è facile indovinare quali motivi inducessero Cesarea rinunciare, senza bisogno, e alla sua posizione privile-giata e a concedere spontaneamente al suo rivale ciò cheall'epoca della conclusione della lega nel 694 = 60 gliaveva rifiutato, e ciò che questi da allora in poi collamanifesta intenzione di premunirsi contro Cesare, avevatentato invano di ottenere in parecchi modi senza edanzi contro il volere dello stesso Cesare, cioè il secondo

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consolato ed il potere militare.Tuttavia non solo Pompeo fu posto alla testa d'un eserci-to, ma anche il suo antico nemico e il vecchio alleato diCesare, Marco Crasso. Ma indubbiamente Crasso otten-ne la sua brillante posizione militare unicamente percontrobilanciare il nuovo potere di Pompeo. Ciò nonostante Cesare perdette immensamente, giacchè il suorivale cambiò la sua lunga impotenza con un importantecomando.È possibile che Cesare non si credesse ancora padronedei suoi soldati per impegnarli con tutta sicurezza nellaguerra contro le formali autorità del paese, e che perciògli importasse di non essere spinto alla guerra civile colsuo richiamo dalle Gallie; ma la guerra civile dipendevaallora molto più dall'aristocrazia della capitale che daPompeo, e questo sarebbe stato tutto al più un motivoper Cesare di non romperla apertamente con Pompeo,per non incoraggiare l'opposizione con tale rottura; manon di concedergli ciò che gli concesse.Vi saranno stati dei motivi puramente personali: è possi-bile che Cesare ricordasse di essersi trovato una volta ineguale impotenza di fronte a Pompeo e di dovere la suasalvezza al ritiro di questi, ritiro avvenuto veramente piùper debolezza che per magnanimità; è probabile che Ce-sare temesse di lacerare il cuore dell'amata sua figlia cheamava sinceramente suo marito. Nella sua anima c'eraposto pure per altri sentimenti oltre che per quellidell'uomo di stato, ma la causa principale era senza dub-bio il riguardo per la Gallia. Cesare – diversamente dai

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consolato ed il potere militare.Tuttavia non solo Pompeo fu posto alla testa d'un eserci-to, ma anche il suo antico nemico e il vecchio alleato diCesare, Marco Crasso. Ma indubbiamente Crasso otten-ne la sua brillante posizione militare unicamente percontrobilanciare il nuovo potere di Pompeo. Ciò nonostante Cesare perdette immensamente, giacchè il suorivale cambiò la sua lunga impotenza con un importantecomando.È possibile che Cesare non si credesse ancora padronedei suoi soldati per impegnarli con tutta sicurezza nellaguerra contro le formali autorità del paese, e che perciògli importasse di non essere spinto alla guerra civile colsuo richiamo dalle Gallie; ma la guerra civile dipendevaallora molto più dall'aristocrazia della capitale che daPompeo, e questo sarebbe stato tutto al più un motivoper Cesare di non romperla apertamente con Pompeo,per non incoraggiare l'opposizione con tale rottura; manon di concedergli ciò che gli concesse.Vi saranno stati dei motivi puramente personali: è possi-bile che Cesare ricordasse di essersi trovato una volta ineguale impotenza di fronte a Pompeo e di dovere la suasalvezza al ritiro di questi, ritiro avvenuto veramente piùper debolezza che per magnanimità; è probabile che Ce-sare temesse di lacerare il cuore dell'amata sua figlia cheamava sinceramente suo marito. Nella sua anima c'eraposto pure per altri sentimenti oltre che per quellidell'uomo di stato, ma la causa principale era senza dub-bio il riguardo per la Gallia. Cesare – diversamente dai

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suoi biografi – non considerava il soggiogamento dellaGallia come un'impresa in certo modo giovevole a pro-curargli la corona, ma egli ne faceva dipendere la sicu-rezza esterna ed il riordinamento interno, e, per dirlacon una parola, l'avvenire della patria.Per poter portare a fine indisturbato questa conquista, eper non essere costretto a por mano sin d'allora asbrigare le faccende italiche, egli rinunciò senza esitarealla superiorità sul suo rivale concedendo a Pompeoabbastanza potere per farla finita col senato e col suopartito.Questo sarebbe stato un grave errore politico, se Cesarenon avesse voluto altro che diventare al più presto pos-sibile re di Roma; ma l'ambizione di quest'uomo singo-lare non si limitava al basso scopo di una corona. Egli sicredeva capace d'intraprendere e recare a termine le dueopere egualmente colossali: ordinare le interne condi-zioni d'Italia e trovare ed assicurare alla civiltà italica unsuolo nuovo e vergine.Naturalmente questi còmpiti s'incrociavano: le sue con-quiste galliche gli furono d'intoppo piuttosto che diavanzamento sulla via del trono. Egli raccolse frutti benamari per avere procrastinato il compimento della rivo-luzione italica dal 698 = 56 sino al 706 = 48, ma Cesarecome uomo di stato e come generale era un giocatorepiù che temerario, il quale, confidando nel proprio talen-to e disprezzando i suoi avversari, accordava loro moltivantaggi e qualche volta oltre misura.

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suoi biografi – non considerava il soggiogamento dellaGallia come un'impresa in certo modo giovevole a pro-curargli la corona, ma egli ne faceva dipendere la sicu-rezza esterna ed il riordinamento interno, e, per dirlacon una parola, l'avvenire della patria.Per poter portare a fine indisturbato questa conquista, eper non essere costretto a por mano sin d'allora asbrigare le faccende italiche, egli rinunciò senza esitarealla superiorità sul suo rivale concedendo a Pompeoabbastanza potere per farla finita col senato e col suopartito.Questo sarebbe stato un grave errore politico, se Cesarenon avesse voluto altro che diventare al più presto pos-sibile re di Roma; ma l'ambizione di quest'uomo singo-lare non si limitava al basso scopo di una corona. Egli sicredeva capace d'intraprendere e recare a termine le dueopere egualmente colossali: ordinare le interne condi-zioni d'Italia e trovare ed assicurare alla civiltà italica unsuolo nuovo e vergine.Naturalmente questi còmpiti s'incrociavano: le sue con-quiste galliche gli furono d'intoppo piuttosto che diavanzamento sulla via del trono. Egli raccolse frutti benamari per avere procrastinato il compimento della rivo-luzione italica dal 698 = 56 sino al 706 = 48, ma Cesarecome uomo di stato e come generale era un giocatorepiù che temerario, il quale, confidando nel proprio talen-to e disprezzando i suoi avversari, accordava loro moltivantaggi e qualche volta oltre misura.

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11. L'aristocrazia si adatta.

Toccava ora all'aristocrazia di far fruttare la sua grossaposta e di condurre la guerra con quella temerità, collaquale essa l'aveva dichiarata. Ma non v'è spettacolo piùdeplorevole, che quando dei vigliacchi hanno ladisgrazia di prendere una coraggiosa risoluzione.Il senato non aveva preveduto nulla affatto. Pare che anessuno sia venuto in mente che Cesare potesse pensarea far resistenza e che perfino Pompeo e Crasso sisarebbero stretti con lui di nuovo e con più forti vincolidi prima. Ciò pare incredibile; lo si comprende soloquando si conoscono gli uomini che allora guidavano insenato l'opposizione in favore della costituzione.Catone era ancora assente57; il più influente uomo insenato era in quel momento Marco Bibulo, il campionedell'opposizione passiva, il più ostinato e il più stupidodi tutti i consolari.Si erano tosto impugnate le armi solo per deporleappena il nemico mettesse mano all'elsa; la semplicenotizia delle conferenze di Lucca bastò per farrinunciare ad ogni pensiero di seria opposizione e perricondurre la massa dei paurosi, cioè l'immensa57 Catone non era ancora a Roma quando Cicerone l'11 marzo 698 = 56

parlò per Sestio (Pro Sest., 28, 60) nè quando in senato, in seguito alledeliberazioni di Lucca, si trattò delle legioni di Cesare (PLUT., Caes. 21);noi lo troviamo di nuovo operoso soltanto nei dibattimenti in principio del699 = 55 e siccome egli nell'inverno viaggiò (PLUT., Cato min., 38), ritornòa Roma sul finire del 698 = 56. Egli non può dunque aver difeso Milonenel febbraio del 698 = 56 come erroneamente lo si è dedotto da ASCONIO

(pag. 35, 53).462

11. L'aristocrazia si adatta.

Toccava ora all'aristocrazia di far fruttare la sua grossaposta e di condurre la guerra con quella temerità, collaquale essa l'aveva dichiarata. Ma non v'è spettacolo piùdeplorevole, che quando dei vigliacchi hanno ladisgrazia di prendere una coraggiosa risoluzione.Il senato non aveva preveduto nulla affatto. Pare che anessuno sia venuto in mente che Cesare potesse pensarea far resistenza e che perfino Pompeo e Crasso sisarebbero stretti con lui di nuovo e con più forti vincolidi prima. Ciò pare incredibile; lo si comprende soloquando si conoscono gli uomini che allora guidavano insenato l'opposizione in favore della costituzione.Catone era ancora assente57; il più influente uomo insenato era in quel momento Marco Bibulo, il campionedell'opposizione passiva, il più ostinato e il più stupidodi tutti i consolari.Si erano tosto impugnate le armi solo per deporleappena il nemico mettesse mano all'elsa; la semplicenotizia delle conferenze di Lucca bastò per farrinunciare ad ogni pensiero di seria opposizione e perricondurre la massa dei paurosi, cioè l'immensa57 Catone non era ancora a Roma quando Cicerone l'11 marzo 698 = 56

parlò per Sestio (Pro Sest., 28, 60) nè quando in senato, in seguito alledeliberazioni di Lucca, si trattò delle legioni di Cesare (PLUT., Caes. 21);noi lo troviamo di nuovo operoso soltanto nei dibattimenti in principio del699 = 55 e siccome egli nell'inverno viaggiò (PLUT., Cato min., 38), ritornòa Roma sul finire del 698 = 56. Egli non può dunque aver difeso Milonenel febbraio del 698 = 56 come erroneamente lo si è dedotto da ASCONIO

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maggioranza del senato, al dovere di sudditi, dal qualesi erano scostati in un momento di follia. Non si parlòpiù del deliberato dibattimento per esaminare la validitàdelle leggi giulie; le legioni organizzate da Cesare dipropria iniziativa furono con un senatoconsulto assuntea spese dello stato; i tentativi di togliere a Cesarenell'ordinamento delle più vicine province consolari ledue Gallie, o una di esse, furono respinti dallamaggioranza (fine del maggio 698 = 56). Così il senatofece pubblica ammenda.Spaventati a morte della propria baldanza i senatorivennero segretamente l'uno dopo l'altro per far pace eper promettere assoluta obbedienza; e nessuno fu piùsollecito di Cicerone che si pentiva troppo tardi dellapropria slealtà, e in quanto al suo prossimo passato siregalava degli epiteti onorifici che erano veramente piùincisivi che lusinghieri58. Naturalmente gli autocrati silasciarono piegare; a nessuno fu negato il perdono,giacchè per nessuno valeva la pena che se ne facesseun'eccezione. Per conoscere come ad un tratto dopo lapropalazione delle deliberazioni di Lucca si cambiasse iltono dei discorsi nei circoli aristocratici, vale la pena diconfrontare gli opuscoli pubblicati da Cicerone pocoprima colla palinodia ch'egli fece circolare, per provarein pubblico il suo pentimento ed i suoi buoni propositi59.

58 Me asinum germanum fuisse (Ad Att., 4, 5, 3).59 Questa palinodia si trova nella orazione, tuttora esistente, sulla provincia

da assegnarsi ai consoli del 699 = 55. Essa fu pronunciata alla fine delmaggio 698 = 56; le stanno di fronte le orazioni a prò di Sestio e controVatinio, e così pure quelle sul parere degli indovini etruschi dei mesi di

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maggioranza del senato, al dovere di sudditi, dal qualesi erano scostati in un momento di follia. Non si parlòpiù del deliberato dibattimento per esaminare la validitàdelle leggi giulie; le legioni organizzate da Cesare dipropria iniziativa furono con un senatoconsulto assuntea spese dello stato; i tentativi di togliere a Cesarenell'ordinamento delle più vicine province consolari ledue Gallie, o una di esse, furono respinti dallamaggioranza (fine del maggio 698 = 56). Così il senatofece pubblica ammenda.Spaventati a morte della propria baldanza i senatorivennero segretamente l'uno dopo l'altro per far pace eper promettere assoluta obbedienza; e nessuno fu piùsollecito di Cicerone che si pentiva troppo tardi dellapropria slealtà, e in quanto al suo prossimo passato siregalava degli epiteti onorifici che erano veramente piùincisivi che lusinghieri58. Naturalmente gli autocrati silasciarono piegare; a nessuno fu negato il perdono,giacchè per nessuno valeva la pena che se ne facesseun'eccezione. Per conoscere come ad un tratto dopo lapropalazione delle deliberazioni di Lucca si cambiasse iltono dei discorsi nei circoli aristocratici, vale la pena diconfrontare gli opuscoli pubblicati da Cicerone pocoprima colla palinodia ch'egli fece circolare, per provarein pubblico il suo pentimento ed i suoi buoni propositi59.

58 Me asinum germanum fuisse (Ad Att., 4, 5, 3).59 Questa palinodia si trova nella orazione, tuttora esistente, sulla provincia

da assegnarsi ai consoli del 699 = 55. Essa fu pronunciata alla fine delmaggio 698 = 56; le stanno di fronte le orazioni a prò di Sestio e controVatinio, e così pure quelle sul parere degli indovini etruschi dei mesi di

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12. Il nuovo governo monarchico.

Gli autocrati potevano per ciò riordinare l'Italia a loromodo e più radicalmente di prima. L'Italia e la capitalericevettero in fatti un presidio, sebbene non sotto learmi, al comando di uno degli autocrati. Delle truppelevate da Crasso e da Pompeo per la Siria e per laSpagna, le prime furono veramente incamminate perl'oriente, ma Pompeo fece governare le due provincespagnuole dai suoi comandanti in seconda collaguarnigione fino allora colà stanziata, mentre mandavain licenza gli ufficiali ed i soldati delle nuove legionidestinate apparentemente a marciare alla volta dellaSpagna rimanendo con esse in Italia.Naturalmente crebbe la tacita opposizione dell'opinionepubblica, quanto più chiaramente si andava compren-dendo che gli autocrati si affaticavano per farla finitacoll'antica costituzione e per ridurre con i possibili ri-guardi le condizioni del governo e dell'amministrazionealle forme della monarchia; ma si ubbidiva perchè nonsi poteva fare altrimenti.Anzitutto furono portati a fine gli affari di maggioreimportanza e specialmente quelli che si riferivano allecose militari e all'estero, e ciò senza l'intervento delsenato, ma o per mezzo di plebisciti, o di autorità degli

marzo e aprile, nelle quali vien fatto grandissimo elogio del regimearistocratico e nelle quali specialmente Cesare è trattato in termini moltocavallereschi. Non si può a meno di approvare che Cicerone, come neconviene egli stesso (Ad Att., 4, 5, 1) si vergognasse di trasmettere queldocumento del suo ritorno all'obbedienza persino ai suoi intimi amici.

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12. Il nuovo governo monarchico.

Gli autocrati potevano per ciò riordinare l'Italia a loromodo e più radicalmente di prima. L'Italia e la capitalericevettero in fatti un presidio, sebbene non sotto learmi, al comando di uno degli autocrati. Delle truppelevate da Crasso e da Pompeo per la Siria e per laSpagna, le prime furono veramente incamminate perl'oriente, ma Pompeo fece governare le due provincespagnuole dai suoi comandanti in seconda collaguarnigione fino allora colà stanziata, mentre mandavain licenza gli ufficiali ed i soldati delle nuove legionidestinate apparentemente a marciare alla volta dellaSpagna rimanendo con esse in Italia.Naturalmente crebbe la tacita opposizione dell'opinionepubblica, quanto più chiaramente si andava compren-dendo che gli autocrati si affaticavano per farla finitacoll'antica costituzione e per ridurre con i possibili ri-guardi le condizioni del governo e dell'amministrazionealle forme della monarchia; ma si ubbidiva perchè nonsi poteva fare altrimenti.Anzitutto furono portati a fine gli affari di maggioreimportanza e specialmente quelli che si riferivano allecose militari e all'estero, e ciò senza l'intervento delsenato, ma o per mezzo di plebisciti, o di autorità degli

marzo e aprile, nelle quali vien fatto grandissimo elogio del regimearistocratico e nelle quali specialmente Cesare è trattato in termini moltocavallereschi. Non si può a meno di approvare che Cicerone, come neconviene egli stesso (Ad Att., 4, 5, 1) si vergognasse di trasmettere queldocumento del suo ritorno all'obbedienza persino ai suoi intimi amici.

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stessi autocrati. Le decisioni prese in Luccarelativamente al comando militare della Gallia furonoportate a conoscenza dei cittadini da Crasso e daPompeo, quelle concernenti la Spagna e la Siriadirettamente dal tribuno del popolo Caio Trebonio, ecosì fu spesso provveduto con plebisciti alla nomina dialtre più importanti luogotenenze.Cesare aveva già sufficentemente provato che gliautocrati non abbisognavano del consenso dell'autoritàper accrescere a loro talento il numero delle loro truppe;e così non esitarono a prestarsi reciprocamente le loroschiere, così Cesare ebbe aiuti dal collega Pompeo perla guerra contro i Galli, Crasso da Cesare per quellacontro i Parti. I transpadani, ai quali secondo la vigentecostituzione spettava il solo diritto latino, furono trattatida Cesare durante il suo governo come cittadini romanidi pieno diritto60.60 La tradizione non ne parla. Ma è assolutamente incredibile che Cesare

abbia levato soldati dai comuni latini, cioè dalla parte maggiore della suaprovincia, e ciò viene addirittura contraddetto dalla circostanza, che ilpartito avverso trattava in modo sprezzante i soldati prelevati da Cesareperchè «per la maggior parte nativi delle colonie transpadane» (CESARE, B.c., 3, 87) e qui si sottintendono le colonie latine di Strabone (ASCON. inPison. p: 3; SVET., Caes. 8). Nell'esercito gallico di Cesare non vi eranessuna traccia di coorti latine; anzi come egli esplicitamente osserva,tutte le reclute levate da lui nella Gallia cisalpina, furono distribuite nellelegioni o divise in legioni. È possibile che Cesare colla leva comprendessele concessioni della cittadinanza, ma è più verosimile che in questorapporto egli tenesse fermo al punto di vista del suo partito, il quale noncercava di procacciare ai transpadani il diritto di cittadini romani, ma loconsiderava come appartenente loro per legge. In questo modo soltanto sipotè spargere la voce, che Cesare avesse introdotto di propria autorità lacostituzione municipale romana nei comuni transpadani (CIC., Ad Att., 5, 3,2, Ad fam., 8, 1, 2). E così si spiega come anche Irzio chiamasse le città

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stessi autocrati. Le decisioni prese in Luccarelativamente al comando militare della Gallia furonoportate a conoscenza dei cittadini da Crasso e daPompeo, quelle concernenti la Spagna e la Siriadirettamente dal tribuno del popolo Caio Trebonio, ecosì fu spesso provveduto con plebisciti alla nomina dialtre più importanti luogotenenze.Cesare aveva già sufficentemente provato che gliautocrati non abbisognavano del consenso dell'autoritàper accrescere a loro talento il numero delle loro truppe;e così non esitarono a prestarsi reciprocamente le loroschiere, così Cesare ebbe aiuti dal collega Pompeo perla guerra contro i Galli, Crasso da Cesare per quellacontro i Parti. I transpadani, ai quali secondo la vigentecostituzione spettava il solo diritto latino, furono trattatida Cesare durante il suo governo come cittadini romanidi pieno diritto60.60 La tradizione non ne parla. Ma è assolutamente incredibile che Cesare

abbia levato soldati dai comuni latini, cioè dalla parte maggiore della suaprovincia, e ciò viene addirittura contraddetto dalla circostanza, che ilpartito avverso trattava in modo sprezzante i soldati prelevati da Cesareperchè «per la maggior parte nativi delle colonie transpadane» (CESARE, B.c., 3, 87) e qui si sottintendono le colonie latine di Strabone (ASCON. inPison. p: 3; SVET., Caes. 8). Nell'esercito gallico di Cesare non vi eranessuna traccia di coorti latine; anzi come egli esplicitamente osserva,tutte le reclute levate da lui nella Gallia cisalpina, furono distribuite nellelegioni o divise in legioni. È possibile che Cesare colla leva comprendessele concessioni della cittadinanza, ma è più verosimile che in questorapporto egli tenesse fermo al punto di vista del suo partito, il quale noncercava di procacciare ai transpadani il diritto di cittadini romani, ma loconsiderava come appartenente loro per legge. In questo modo soltanto sipotè spargere la voce, che Cesare avesse introdotto di propria autorità lacostituzione municipale romana nei comuni transpadani (CIC., Ad Att., 5, 3,2, Ad fam., 8, 1, 2). E così si spiega come anche Irzio chiamasse le città

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Se in altri tempi all'ordinamento dei territori di nuovoacquisto si era proceduto per mezzo di commissionisenatorie, Cesare organizzava ora le estese conquistegalliche assolutamente come meglio credeva e fondavadelle colonie cittadine senza alcuna autorizzazione,specialmente Novum-Comum (Como) con cinquemilacoloni.Così Pisone fece la guerra tracica, Gabinio l'egizia,Crasso la partica senza chiedere il permesso al senato,anzi trascurando persino la pratica tradizionale di riferir-ne allo stesso; così furono concessi ed eseguiti trionfi edaltre dimostrazioni onorifiche senza che il senato ne fos-se stato officiato.È evidente che in tutto ciò non si può vedere unasemplice trascuratezza di forma, trascuratezza che nonsi saprebbe spiegare, perchè nella maggior parte dei casinon si poteva temere assolutamente un'opposizione delsenato. Vi si poteva piuttosto scorgere una ben calcolataintenzione di escludere il senato da tutti gli affarimilitari e d'alta politica, e di limitare la suapartecipazione al governo alle questioni finanziarie edagli affari interni; e anche gli avversari riconobberoquesta mira e protestarono come poterono per mezzo di

transpadane, «colonie di cittadini romani» (b. g., 8, 24) e perchè Cesaretrattasse come colonia cittadina quella da lui fondata di Comum (SVETONIO,Caes., 28; STRABONE, 5, 1, 213; PLUTARCO, Caes., 29) mentre il partito dellaaristocrazia le accordava solo il diritto concesso agli altri comunitranspadani, cioè il diritto latino, e quelli del partito avanzato dichiaravanopersino nullo in generale il diritto urbano accordato ai coloni, e quindi nonconcedevano ai comensi i privilegi annessi alle cariche municipali latine(CIC., Ad Att., 5, 11, 2; APPIANO, b. c., 2 26.) Cfr. Hermes, 16, 30.

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Se in altri tempi all'ordinamento dei territori di nuovoacquisto si era proceduto per mezzo di commissionisenatorie, Cesare organizzava ora le estese conquistegalliche assolutamente come meglio credeva e fondavadelle colonie cittadine senza alcuna autorizzazione,specialmente Novum-Comum (Como) con cinquemilacoloni.Così Pisone fece la guerra tracica, Gabinio l'egizia,Crasso la partica senza chiedere il permesso al senato,anzi trascurando persino la pratica tradizionale di riferir-ne allo stesso; così furono concessi ed eseguiti trionfi edaltre dimostrazioni onorifiche senza che il senato ne fos-se stato officiato.È evidente che in tutto ciò non si può vedere unasemplice trascuratezza di forma, trascuratezza che nonsi saprebbe spiegare, perchè nella maggior parte dei casinon si poteva temere assolutamente un'opposizione delsenato. Vi si poteva piuttosto scorgere una ben calcolataintenzione di escludere il senato da tutti gli affarimilitari e d'alta politica, e di limitare la suapartecipazione al governo alle questioni finanziarie edagli affari interni; e anche gli avversari riconobberoquesta mira e protestarono come poterono per mezzo di

transpadane, «colonie di cittadini romani» (b. g., 8, 24) e perchè Cesaretrattasse come colonia cittadina quella da lui fondata di Comum (SVETONIO,Caes., 28; STRABONE, 5, 1, 213; PLUTARCO, Caes., 29) mentre il partito dellaaristocrazia le accordava solo il diritto concesso agli altri comunitranspadani, cioè il diritto latino, e quelli del partito avanzato dichiaravanopersino nullo in generale il diritto urbano accordato ai coloni, e quindi nonconcedevano ai comensi i privilegi annessi alle cariche municipali latine(CIC., Ad Att., 5, 11, 2; APPIANO, b. c., 2 26.) Cfr. Hermes, 16, 30.

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senatoconsulti e di accuse criminali contro questo mododi procedere degli autocrati.Mentre questi mettevano il senato da parte nelle cosepiù importanti, gli avversari si servivano sempre dellemeno pericolose assemblee popolari – si era provvedutoaffinchè i padroni delle piazze non sollevassero alcunadifficoltà ai padroni dello stato; – però in molti casi si ri-nunziò anche a questo ozioso fantasma e si usaronoapertamente forme autocratiche.

13. Cicerone e la maggioranza.

L'umiliato senato dovette, di buona o cattiva voglia,adattarsi alla sua posizione. Il capo dell'ossequiosamaggioranza continuò ad essere Cicerone. Egli eracapace per il suo talento d'avvocato di trovare delleragioni o almeno delle parole per ogni causa; e vi erauna vera ironia in Cesare nel far sì che l'uomo permezzo del quale l'aristocrazia aveva fatto le suedimostrazioni contro gli autocrati, servisse ora comesostenitore del servilismo.Perciò gli si accordò il perdono della sua breve voglia direcalcitrare, ma non senza prima essersi assicurati intutti i modi della sua sottomissione. Suo fratello, quasicome un ostaggio, aveva dovuto accettare un posto diufficiale nell'esercito gallico ed egli stesso era statoobbligato da Pompeo ad accettare un posto daluogotenente sotto di lui, il che forniva l'opportunità dipoterlo ad ogni momento mandare con un certo riguardo

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senatoconsulti e di accuse criminali contro questo mododi procedere degli autocrati.Mentre questi mettevano il senato da parte nelle cosepiù importanti, gli avversari si servivano sempre dellemeno pericolose assemblee popolari – si era provvedutoaffinchè i padroni delle piazze non sollevassero alcunadifficoltà ai padroni dello stato; – però in molti casi si ri-nunziò anche a questo ozioso fantasma e si usaronoapertamente forme autocratiche.

13. Cicerone e la maggioranza.

L'umiliato senato dovette, di buona o cattiva voglia,adattarsi alla sua posizione. Il capo dell'ossequiosamaggioranza continuò ad essere Cicerone. Egli eracapace per il suo talento d'avvocato di trovare delleragioni o almeno delle parole per ogni causa; e vi erauna vera ironia in Cesare nel far sì che l'uomo permezzo del quale l'aristocrazia aveva fatto le suedimostrazioni contro gli autocrati, servisse ora comesostenitore del servilismo.Perciò gli si accordò il perdono della sua breve voglia direcalcitrare, ma non senza prima essersi assicurati intutti i modi della sua sottomissione. Suo fratello, quasicome un ostaggio, aveva dovuto accettare un posto diufficiale nell'esercito gallico ed egli stesso era statoobbligato da Pompeo ad accettare un posto daluogotenente sotto di lui, il che forniva l'opportunità dipoterlo ad ogni momento mandare con un certo riguardo

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in esilio.Clodio aveva avuto disposizione di lasciarlo tranquillosino a nuovo ordine, ma Cesare era ben lungidall'abbandonare Clodio per Cicerone, come Ciceroneper Clodio, e il grande salvatore della patria, e il suonon meno grande eroe della libertà, si facevano nelquartier generale di Samarobriva una concorrenzad'anticamera, per l'illustrazione della quale mancavapurtroppo un Aristofane romano.Ma non solo fu tenuta sospesa sul capo di Cicerone lastessa spada che già un'altra volta lo aveva così doloro-samente colpito; gli furono posti anche dei ceppi d'oro.Considerate le sue intricate finanze gli riuscirono som-mamente graditi i prestiti gratuiti di Cesare e la carica dicoispettore sugli edifici ordinati da Cesare, pei quali simettevano in circolazione immense somme di danaro epiù d'una imperitura orazione del senato venne cosìstrozzata dal pensiero del procuratore di Cesare, il qualedopo la seduta poteva presentargli la cambiale ed esiger-ne il pagamento. Così egli fece voto «di non curarsi inappresso della giustizia e dell'onore, ma di badare al fa-vore degli autocrati» e «di essere arrendevole come unlobo d'orecchio».Lo si adoperò per quel che valeva: come avvocato, nellaquale funzione egli doveva per ordine superioredifendere appunto i suoi acerrimi nemici, e anzitutto insenato dove egli quasi sempre doveva servire di organoai dinasti e fare le proposte «che altri approvavano, manon egli stesso»; e quale notorio capo della maggioranza

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in esilio.Clodio aveva avuto disposizione di lasciarlo tranquillosino a nuovo ordine, ma Cesare era ben lungidall'abbandonare Clodio per Cicerone, come Ciceroneper Clodio, e il grande salvatore della patria, e il suonon meno grande eroe della libertà, si facevano nelquartier generale di Samarobriva una concorrenzad'anticamera, per l'illustrazione della quale mancavapurtroppo un Aristofane romano.Ma non solo fu tenuta sospesa sul capo di Cicerone lastessa spada che già un'altra volta lo aveva così doloro-samente colpito; gli furono posti anche dei ceppi d'oro.Considerate le sue intricate finanze gli riuscirono som-mamente graditi i prestiti gratuiti di Cesare e la carica dicoispettore sugli edifici ordinati da Cesare, pei quali simettevano in circolazione immense somme di danaro epiù d'una imperitura orazione del senato venne cosìstrozzata dal pensiero del procuratore di Cesare, il qualedopo la seduta poteva presentargli la cambiale ed esiger-ne il pagamento. Così egli fece voto «di non curarsi inappresso della giustizia e dell'onore, ma di badare al fa-vore degli autocrati» e «di essere arrendevole come unlobo d'orecchio».Lo si adoperò per quel che valeva: come avvocato, nellaquale funzione egli doveva per ordine superioredifendere appunto i suoi acerrimi nemici, e anzitutto insenato dove egli quasi sempre doveva servire di organoai dinasti e fare le proposte «che altri approvavano, manon egli stesso»; e quale notorio capo della maggioranza

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degli ossequiosi egli si procurò persino una certaimportanza politica.Come Cicerone, così furono trattati gli altri membri delsenato accessibili al timore, alle lusinghe o all'oro; e sipotè ridurlo così in massa all'obbedienza.

14. Catone e la minoranza.

Rimaneva una frazione di oppositori, i qualiconservavano almeno il loro colore e non si lasciavanonè vincere nè guadagnare. Gli autocrati si erano persuasiche le misure eccezionali, come quelle impiegate controCatone, avrebbero danneggiato la loro causa anzichègiovarle; e che era un male minore quello di sopportarel'incomoda opposizione repubblicana, di quello ditrasformare gli oppositori in martiri della repubblica.Perciò si permise il ritorno di Catone (fine del 698 = 56)e che d'ora in avanti egli facesse di nuovo nel senato enel foro, non di rado con pericolo della vita, l'opposizio-ne agli autocrati, la quale, se era onorevole, era purtrop-po al tempo stesso ridicola. Si permise che in occasionedelle proposte di Trebonio egli spingesse le cose nelforo sino alla zuffa, e che in senato facesse la propostadi arrestare il proconsole Cesare per la sleale condottaverso gli Usipeti ed i Tencteri e di consegnarlo a questibarbari.Si tollerò che Marco Favonio, il Sancio di Catone, dopoche il senato ebbe presa la decisione di assumere lelegioni di Cesare sulla cassa dello stato, si avventasse

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degli ossequiosi egli si procurò persino una certaimportanza politica.Come Cicerone, così furono trattati gli altri membri delsenato accessibili al timore, alle lusinghe o all'oro; e sipotè ridurlo così in massa all'obbedienza.

14. Catone e la minoranza.

Rimaneva una frazione di oppositori, i qualiconservavano almeno il loro colore e non si lasciavanonè vincere nè guadagnare. Gli autocrati si erano persuasiche le misure eccezionali, come quelle impiegate controCatone, avrebbero danneggiato la loro causa anzichègiovarle; e che era un male minore quello di sopportarel'incomoda opposizione repubblicana, di quello ditrasformare gli oppositori in martiri della repubblica.Perciò si permise il ritorno di Catone (fine del 698 = 56)e che d'ora in avanti egli facesse di nuovo nel senato enel foro, non di rado con pericolo della vita, l'opposizio-ne agli autocrati, la quale, se era onorevole, era purtrop-po al tempo stesso ridicola. Si permise che in occasionedelle proposte di Trebonio egli spingesse le cose nelforo sino alla zuffa, e che in senato facesse la propostadi arrestare il proconsole Cesare per la sleale condottaverso gli Usipeti ed i Tencteri e di consegnarlo a questibarbari.Si tollerò che Marco Favonio, il Sancio di Catone, dopoche il senato ebbe presa la decisione di assumere lelegioni di Cesare sulla cassa dello stato, si avventasse

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sulla porta del senato e gridasse in istrada che la patriaera in pericolo; si tollerò che egli coi suoi modi scurrilichiamasse un diadema fuori di posto la benda biancacon cui Pompeo si teneva fasciata la sua gamba malata;che il consolare Lentulo Marcellino, mentre lo siapplaudiva, gridasse al popolo di servirsi diligentementedi questo diritto d'esprimere la propria opinione finchèera permesso di farlo; che il tribuno del popolo CaioAteio Capitone dannasse Crasso, alla sua partenza per laSiria, agli spiriti infernali, pubblicamente e con tutte leforme della teologia di quel tempo.In massima queste non erano che vane dimostrazionid'una irritata minoranza; il piccolo partito da cui usciva-no era però d'importanza, in quanto che forniva alimen-to e dava il segnale all'opposizione repubblicana che fer-mentava nel silenzio ed eccitava in parte anche la mag-gioranza del senato, la quale in sostanza nutriva i mede-simi sentimenti contro gli autocrati, a prendere contro diloro delle isolate risoluzioni.Giacchè anche la maggioranza sentiva il bisogno disfogare almeno di tanto in tanto, in cose secondarie, ilcontenuto rancore, scatenandosi contro i servili, amalincuore contro i nemici deboli in odio ai potenti.Quando lo poteva essa dava delle leggere pedate allecreature degli autocrati; così fu negata a Gabinio lachiesta festa di rendimento di grazie (698 = 56); cosìPisone venne richiamato dalla provincia; così fu vestitoil bruno dal senato quando il tribuno del popolo CaioCatone tenne sospese le elezioni pel 699 = 55 sin che si

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sulla porta del senato e gridasse in istrada che la patriaera in pericolo; si tollerò che egli coi suoi modi scurrilichiamasse un diadema fuori di posto la benda biancacon cui Pompeo si teneva fasciata la sua gamba malata;che il consolare Lentulo Marcellino, mentre lo siapplaudiva, gridasse al popolo di servirsi diligentementedi questo diritto d'esprimere la propria opinione finchèera permesso di farlo; che il tribuno del popolo CaioAteio Capitone dannasse Crasso, alla sua partenza per laSiria, agli spiriti infernali, pubblicamente e con tutte leforme della teologia di quel tempo.In massima queste non erano che vane dimostrazionid'una irritata minoranza; il piccolo partito da cui usciva-no era però d'importanza, in quanto che forniva alimen-to e dava il segnale all'opposizione repubblicana che fer-mentava nel silenzio ed eccitava in parte anche la mag-gioranza del senato, la quale in sostanza nutriva i mede-simi sentimenti contro gli autocrati, a prendere contro diloro delle isolate risoluzioni.Giacchè anche la maggioranza sentiva il bisogno disfogare almeno di tanto in tanto, in cose secondarie, ilcontenuto rancore, scatenandosi contro i servili, amalincuore contro i nemici deboli in odio ai potenti.Quando lo poteva essa dava delle leggere pedate allecreature degli autocrati; così fu negata a Gabinio lachiesta festa di rendimento di grazie (698 = 56); cosìPisone venne richiamato dalla provincia; così fu vestitoil bruno dal senato quando il tribuno del popolo CaioCatone tenne sospese le elezioni pel 699 = 55 sin che si

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mantenesse in carica il console Marcellino appartenenteal partito della costituzione.Perciò Cicerone, per quanto si mostrasse umile verso gliautocrati, pubblicò un libello non meno velenoso chescipito contro il suocero di Cesare.Ma tutte queste ostili velleità della maggioranza del se-nato e l'oziosa opposizione della minoranza non eranoche prove evidenti che come una volta il governo erapassato dalla borghesia al senato, ora da questo era pas-sato nelle mani degli autocrati, e che il senato non eraormai più che un consiglio di stato monarchico destinatoad assorbire gli elementi antimonarchici.I seguaci del rovesciato governo andavano lamentando:«Nessun uomo all'infuori dei tre vale uno zero; i domi-natori sono onnipotenti ed è loro cura che nessunol'ignori; tutto il senato è come trasformato, ubbidisce aipadroni; la nostra generazione non vedrà un migliora-mento di cose».Ormai non si viveva più nella repubblica, ma nella mo-narchia.

15. Opposizione nelle elezioni e nei tribunali.

Ma se gli autocrati disponevano del governoillimitatamente, rimaneva tuttavia un campo politicoseparato dal governo propriamente detto, più facile adifendersi e più difficile a conquistarsi: quello delleelezioni alle cariche ordinarie e quello dei tribunali deigiurati. Che questi non cadano direttamente sotto la

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mantenesse in carica il console Marcellino appartenenteal partito della costituzione.Perciò Cicerone, per quanto si mostrasse umile verso gliautocrati, pubblicò un libello non meno velenoso chescipito contro il suocero di Cesare.Ma tutte queste ostili velleità della maggioranza del se-nato e l'oziosa opposizione della minoranza non eranoche prove evidenti che come una volta il governo erapassato dalla borghesia al senato, ora da questo era pas-sato nelle mani degli autocrati, e che il senato non eraormai più che un consiglio di stato monarchico destinatoad assorbire gli elementi antimonarchici.I seguaci del rovesciato governo andavano lamentando:«Nessun uomo all'infuori dei tre vale uno zero; i domi-natori sono onnipotenti ed è loro cura che nessunol'ignori; tutto il senato è come trasformato, ubbidisce aipadroni; la nostra generazione non vedrà un migliora-mento di cose».Ormai non si viveva più nella repubblica, ma nella mo-narchia.

15. Opposizione nelle elezioni e nei tribunali.

Ma se gli autocrati disponevano del governoillimitatamente, rimaneva tuttavia un campo politicoseparato dal governo propriamente detto, più facile adifendersi e più difficile a conquistarsi: quello delleelezioni alle cariche ordinarie e quello dei tribunali deigiurati. Che questi non cadano direttamente sotto la

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politica ma dappertutto, e anzitutto a Roma, sianodominati dallo spirito che informa il governo, è cosa chesi spiega da sè.Le elezioni dei magistrati appartenevano di diritto al go-verno propriamente detto, ma siccome lo stato era so-stanzialmente amministrato da magistrati straordinari, oda uomini senza alcun titolo e gli stessi supremi magi-strati ordinari, quando appartenevano al partito antimo-narchico non potevano avere alcuna sensibile influenzasulla macchina dello stato, così i magistrati ordinari an-davano sempre più scadendo per divenire semplici com-parse, e infatti i maggiori oppositori fra di essi si qualifi-cavano addirittura come altrettante impotenti nullità edesignavano quindi le loro elezioni come altrettante di-mostrazioni.In tal modo, respinta completamente l'opposizione dalvero campo di battaglia, la lotta potè continuarsi ancoracon le elezioni e con i processi. Gli autocrati non rispar-miavano nulla per rimanere vincitori anche in questocampo. Quanto alle elezioni essi avevano già combinatoin Lucca, fra di loro, le liste dei candidati per i prossimianni, e nessun mezzo lasciarono intentato per far passa-re i candidati designati in quel convegno.Prima di tutto, essi impiegavano il loro oro per la lottaelettorale. Ogni anno si mandavano in congedo gran nu-mero di soldati degli eserciti di Cesare e di Pompeo,perchè prendessero parte alle votazioni. Cesare solevadirigere e sorvegliare egli stesso dall'alta Italia il movi-mento elettorale. Tuttavia lo scopo non fu raggiunto che

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politica ma dappertutto, e anzitutto a Roma, sianodominati dallo spirito che informa il governo, è cosa chesi spiega da sè.Le elezioni dei magistrati appartenevano di diritto al go-verno propriamente detto, ma siccome lo stato era so-stanzialmente amministrato da magistrati straordinari, oda uomini senza alcun titolo e gli stessi supremi magi-strati ordinari, quando appartenevano al partito antimo-narchico non potevano avere alcuna sensibile influenzasulla macchina dello stato, così i magistrati ordinari an-davano sempre più scadendo per divenire semplici com-parse, e infatti i maggiori oppositori fra di essi si qualifi-cavano addirittura come altrettante impotenti nullità edesignavano quindi le loro elezioni come altrettante di-mostrazioni.In tal modo, respinta completamente l'opposizione dalvero campo di battaglia, la lotta potè continuarsi ancoracon le elezioni e con i processi. Gli autocrati non rispar-miavano nulla per rimanere vincitori anche in questocampo. Quanto alle elezioni essi avevano già combinatoin Lucca, fra di loro, le liste dei candidati per i prossimianni, e nessun mezzo lasciarono intentato per far passa-re i candidati designati in quel convegno.Prima di tutto, essi impiegavano il loro oro per la lottaelettorale. Ogni anno si mandavano in congedo gran nu-mero di soldati degli eserciti di Cesare e di Pompeo,perchè prendessero parte alle votazioni. Cesare solevadirigere e sorvegliare egli stesso dall'alta Italia il movi-mento elettorale. Tuttavia lo scopo non fu raggiunto che

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assai imperfettamente.Per il 699 = 55, conforme agli accordi presi a Lucca,furono eletti a consoli Pompeo e Crasso, e fu eliminatoil solo perseverante candidato dell'opposizione, LucioDomizio; ma questo si era già ottenuto con la violenza,e nella lotta Catone aveva riportato una ferita ed eranoaccadute altre scene molto scandalose.Nelle seguenti elezioni pel 700 = 54 fu eletto Domiziononostante tutti gli sforzi degli autocrati, e Catone purela vinse allora come candidato per la pretura, dalla qualel'anno prima con scandalo di tutta la borghesia era statoeliminato da Vatinio, cliente di Cesare. Nelle elezionipel 701 = 53 l'opposizione riuscì a provare così inconte-stabilmente i più scandalosi intrighi elettorali di parec-chi candidati e degli autocrati, che questi, su cui si riper-cuoteva l'onta, non poterono fare altro che abbandonarei loro candidati.Queste ripetute e gravi sconfitte toccate ai dinasti nelcampo elettorale possono in parte attribuirsi all'ingover-nabilità dell'arrugginita macchina dello stato, alle incal-colabili eventualità delle operazioni elettorali, ai senti-menti di opposizione della classe media, ai tanti riguardiprivati che si inseriscono nella posizione dei partiti, mala causa principale si deve cercare altrove.Le elezioni dipendevano essenzialmente dai diversicircoli nei quali si divideva l'aristocrazia; il sistemadella corruzione era da essi organizzato su vastissimascala e col massimo ordine. La stessa aristocrazia,rappresentata in senato, dominava anche le elezioni;

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assai imperfettamente.Per il 699 = 55, conforme agli accordi presi a Lucca,furono eletti a consoli Pompeo e Crasso, e fu eliminatoil solo perseverante candidato dell'opposizione, LucioDomizio; ma questo si era già ottenuto con la violenza,e nella lotta Catone aveva riportato una ferita ed eranoaccadute altre scene molto scandalose.Nelle seguenti elezioni pel 700 = 54 fu eletto Domiziononostante tutti gli sforzi degli autocrati, e Catone purela vinse allora come candidato per la pretura, dalla qualel'anno prima con scandalo di tutta la borghesia era statoeliminato da Vatinio, cliente di Cesare. Nelle elezionipel 701 = 53 l'opposizione riuscì a provare così inconte-stabilmente i più scandalosi intrighi elettorali di parec-chi candidati e degli autocrati, che questi, su cui si riper-cuoteva l'onta, non poterono fare altro che abbandonarei loro candidati.Queste ripetute e gravi sconfitte toccate ai dinasti nelcampo elettorale possono in parte attribuirsi all'ingover-nabilità dell'arrugginita macchina dello stato, alle incal-colabili eventualità delle operazioni elettorali, ai senti-menti di opposizione della classe media, ai tanti riguardiprivati che si inseriscono nella posizione dei partiti, mala causa principale si deve cercare altrove.Le elezioni dipendevano essenzialmente dai diversicircoli nei quali si divideva l'aristocrazia; il sistemadella corruzione era da essi organizzato su vastissimascala e col massimo ordine. La stessa aristocrazia,rappresentata in senato, dominava anche le elezioni;

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poichè se in senato cedeva con rancore, nei collegielettorali operava in segreto e sicura di ogniresponsabilità di fronte agli autocrati.Si comprende, e le elezioni degli anni seguenti loprovarono, che la severa legge penale contro gli intrighielettorali dei circoli, che Crasso essendo console avevafatto sanzionare dal popolo nel 699 = 55, non avevafatto cessare su questo campo l'influenza della nobiltà.E così non minori difficoltà, cagionavano agli autocrati itribunali dei giurati. Dato il sistema secondo il qualeerano composti, in essi oltre l'influente nobiltà senatoriadecideva specialmente la classe media. La fissazione diun alto censo per la nomina a giurato, proposta da Pom-peo nel 699 = 55, è una notevole prova che l'opposizio-ne contro gli autocrati aveva la sua sede principale nelvero ceto medio, e che i grossi capitalisti qui, come dap-pertutto, si mostravano più flessibili di quello. Ciò nonpertanto il partito repubblicano non aveva perduto tuttoil terreno e non si stancava di perseguitare con accusecriminali e politiche, se non gli autocrati stessi, almenole più autorevoli loro creature. Questa guerra di processiera condotta con tanto più vigore, in quanto, spettandosecondo l'usanza gli atti d'accusa alla gioventù senato-ria, fra questa si trovava maggior passione repubblicana,più vigoroso talento e maggior desiderio combattivo,che non fra i loro più attempati colleghi.I tribunali non erano certo indipendenti; se gli autocratili prendevano sul serio, i giudici appunto come isenatori, non osavano rifiutare l'obbedienza. Nessuno

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poichè se in senato cedeva con rancore, nei collegielettorali operava in segreto e sicura di ogniresponsabilità di fronte agli autocrati.Si comprende, e le elezioni degli anni seguenti loprovarono, che la severa legge penale contro gli intrighielettorali dei circoli, che Crasso essendo console avevafatto sanzionare dal popolo nel 699 = 55, non avevafatto cessare su questo campo l'influenza della nobiltà.E così non minori difficoltà, cagionavano agli autocrati itribunali dei giurati. Dato il sistema secondo il qualeerano composti, in essi oltre l'influente nobiltà senatoriadecideva specialmente la classe media. La fissazione diun alto censo per la nomina a giurato, proposta da Pom-peo nel 699 = 55, è una notevole prova che l'opposizio-ne contro gli autocrati aveva la sua sede principale nelvero ceto medio, e che i grossi capitalisti qui, come dap-pertutto, si mostravano più flessibili di quello. Ciò nonpertanto il partito repubblicano non aveva perduto tuttoil terreno e non si stancava di perseguitare con accusecriminali e politiche, se non gli autocrati stessi, almenole più autorevoli loro creature. Questa guerra di processiera condotta con tanto più vigore, in quanto, spettandosecondo l'usanza gli atti d'accusa alla gioventù senato-ria, fra questa si trovava maggior passione repubblicana,più vigoroso talento e maggior desiderio combattivo,che non fra i loro più attempati colleghi.I tribunali non erano certo indipendenti; se gli autocratili prendevano sul serio, i giudici appunto come isenatori, non osavano rifiutare l'obbedienza. Nessuno

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degli avversari fu dall'opposizione perseguitato con odiocosì grande e divenuto quasi proverbiale quanto Vatinio,molto più temerario e irriflessivo di tutti i più intimiaderenti di Cesare; ma il suo padrone ordinava ed egliveniva assolto in tutti i processi che gli erano intentati.Però le accuse lanciate da uomini, che come Caio Lici-nio Calvo e Caio Asinio Pollione, sapevano brandire laspada della dialettica e la sferza dello scherno, non man-cavano di raggiungere la meta anche quando i loro sfor-zi andavano a vuoto; e si ottennero anche dei singolisuccessi. Questi veramente si riportavano per lo più so-pra individui di una classe subordinata, ma anche unodei più altolocati e più odiati aderenti dei dinasti, il con-solare Gabinio, fu rovesciato in questo modo.È vero che all'irriconciliabile odio dell'aristocrazia – laquale non gli aveva perdonato la legge per la guerracontro i pirati, e il modo schernevole con cui aveva trat-tato il senato durante la sua luogotenenza nella Siria – siassociava contro Gabinio il furore dei capitalisti, difronte ai quali egli come luogotenente della Siria avevaosato fare gli interessi dei provinciali, e persino il ranco-re di Crasso, al quale egli nella consegna della provinciaaveva sollevato delle difficoltà.L'unica sua difesa contro tutti questi nemici fu Pompeo,e questi aveva tutte le ragioni per difendere ad ognicosto il più capace, il più temerario ed il più fedele deisuoi aiutanti; ma, in questo frangente, come in ognialtro, egli non seppe usare della sua autorità e difenderei suoi clienti come Cesare difendeva i propri; alla fine

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degli avversari fu dall'opposizione perseguitato con odiocosì grande e divenuto quasi proverbiale quanto Vatinio,molto più temerario e irriflessivo di tutti i più intimiaderenti di Cesare; ma il suo padrone ordinava ed egliveniva assolto in tutti i processi che gli erano intentati.Però le accuse lanciate da uomini, che come Caio Lici-nio Calvo e Caio Asinio Pollione, sapevano brandire laspada della dialettica e la sferza dello scherno, non man-cavano di raggiungere la meta anche quando i loro sfor-zi andavano a vuoto; e si ottennero anche dei singolisuccessi. Questi veramente si riportavano per lo più so-pra individui di una classe subordinata, ma anche unodei più altolocati e più odiati aderenti dei dinasti, il con-solare Gabinio, fu rovesciato in questo modo.È vero che all'irriconciliabile odio dell'aristocrazia – laquale non gli aveva perdonato la legge per la guerracontro i pirati, e il modo schernevole con cui aveva trat-tato il senato durante la sua luogotenenza nella Siria – siassociava contro Gabinio il furore dei capitalisti, difronte ai quali egli come luogotenente della Siria avevaosato fare gli interessi dei provinciali, e persino il ranco-re di Crasso, al quale egli nella consegna della provinciaaveva sollevato delle difficoltà.L'unica sua difesa contro tutti questi nemici fu Pompeo,e questi aveva tutte le ragioni per difendere ad ognicosto il più capace, il più temerario ed il più fedele deisuoi aiutanti; ma, in questo frangente, come in ognialtro, egli non seppe usare della sua autorità e difenderei suoi clienti come Cesare difendeva i propri; alla fine

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del 700 = 54 i giurati trovarono Gabinio reo diconcussioni e lo mandarono in esilio. Sul campo delleelezioni popolari e dei tribunali dei giurati furono inmassa gli autocrati quelli che soggiacquero.Gli agenti che vi dominavano erano meno facili a col-pirsi, (e perciò era più difficile spaventarli o corromper-li) che non gli ordini immediati del governo edell'amministrazione. Gli autocrati incontravano in que-sto campo e specialmente nelle elezioni popolari, la for-za tenace dell'oligarchia compatta ed aggruppata nelleconsorterie, colla quale non si può dire di averla assolu-tamente finita quando si è rovesciato il suo governo, e laquale è tanto più difficile a spezzare quanto più coperta-mente essa opera.Essi si urtarono inoltre, specialmente nei tribunali deigiurati, nell'avversione delle classi medie pel nuovo go-verno monarchico, avversione che essi, con tutti gli im-barazzi che ne derivarono, non erano in grado di rimuo-vere. Ebbero nei due campi una serie di sconfitte. Levittorie riportate dall'opposizione nelle elezioni non ave-vano veramente che il valore di dimostrazioni, poichègli autocrati avevano i mezzi, e se ne servivano, per an-nichilire di fatto ogni magistrato malveduto; ma le con-danne criminali pronunciate contro i loro aderenti dalpartito dell'opposizione, li privava in modo sensibile diabili ausiliari.Stando così le cose gli autocrati non potevano nèsopprimere nè sufficentemente dominare le elezionipopolari e i tribunali dei giurati, e per quanto

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del 700 = 54 i giurati trovarono Gabinio reo diconcussioni e lo mandarono in esilio. Sul campo delleelezioni popolari e dei tribunali dei giurati furono inmassa gli autocrati quelli che soggiacquero.Gli agenti che vi dominavano erano meno facili a col-pirsi, (e perciò era più difficile spaventarli o corromper-li) che non gli ordini immediati del governo edell'amministrazione. Gli autocrati incontravano in que-sto campo e specialmente nelle elezioni popolari, la for-za tenace dell'oligarchia compatta ed aggruppata nelleconsorterie, colla quale non si può dire di averla assolu-tamente finita quando si è rovesciato il suo governo, e laquale è tanto più difficile a spezzare quanto più coperta-mente essa opera.Essi si urtarono inoltre, specialmente nei tribunali deigiurati, nell'avversione delle classi medie pel nuovo go-verno monarchico, avversione che essi, con tutti gli im-barazzi che ne derivarono, non erano in grado di rimuo-vere. Ebbero nei due campi una serie di sconfitte. Levittorie riportate dall'opposizione nelle elezioni non ave-vano veramente che il valore di dimostrazioni, poichègli autocrati avevano i mezzi, e se ne servivano, per an-nichilire di fatto ogni magistrato malveduto; ma le con-danne criminali pronunciate contro i loro aderenti dalpartito dell'opposizione, li privava in modo sensibile diabili ausiliari.Stando così le cose gli autocrati non potevano nèsopprimere nè sufficentemente dominare le elezionipopolari e i tribunali dei giurati, e per quanto

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l'opposizione si trovasse ridotta ai minimi termini, pureseppe sino ad un certo grado tenere il campo dibattaglia.

16. Letteratura di opposizione.

Ma fu ancora più malagevole il combatterel'opposizione su un terreno, a cui essa si volgeva contanto maggior ardore quanto più era respinta dallaimmediata attività politica. Era il terreno dellaletteratura.Già l'opposizione forense era allo stesso tempo, anzi pri-ma di tutto, una opposizione letteraria, giacchè le ora-zioni venivano regolarmente pubblicate e servivanocome opuscoli politici. Ancora più prontamente e sicu-ramente colpivano i dardi della poesia. La vivace gio-ventù dell'alta aristocrazia, e forse con maggior energiail colto ceto medio delle città provinciali italiche condu-cevano con zelo e con successo una guerra di libelli e diepigrammi.Su questo campo combattevano uno vicino all'altro ilnobile Caio Licinio Calvo, figlio del senatore (672-706= 82-48), temuto come oratore e libellista non meno checome valente poeta, e i municipali di Verona Marco Fu-rio Bibaculo (652-691 = 102-63) e Quinto Valerio Ca-tullo (667-700 = 87-54), i cui eleganti e mordaci epi-grammi si spandevano per l'Italia colla velocità del lam-po e colpivano sicuramente nel segno.In tutta la letteratura di questi anni domina lo spirito

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l'opposizione si trovasse ridotta ai minimi termini, pureseppe sino ad un certo grado tenere il campo dibattaglia.

16. Letteratura di opposizione.

Ma fu ancora più malagevole il combatterel'opposizione su un terreno, a cui essa si volgeva contanto maggior ardore quanto più era respinta dallaimmediata attività politica. Era il terreno dellaletteratura.Già l'opposizione forense era allo stesso tempo, anzi pri-ma di tutto, una opposizione letteraria, giacchè le ora-zioni venivano regolarmente pubblicate e servivanocome opuscoli politici. Ancora più prontamente e sicu-ramente colpivano i dardi della poesia. La vivace gio-ventù dell'alta aristocrazia, e forse con maggior energiail colto ceto medio delle città provinciali italiche condu-cevano con zelo e con successo una guerra di libelli e diepigrammi.Su questo campo combattevano uno vicino all'altro ilnobile Caio Licinio Calvo, figlio del senatore (672-706= 82-48), temuto come oratore e libellista non meno checome valente poeta, e i municipali di Verona Marco Fu-rio Bibaculo (652-691 = 102-63) e Quinto Valerio Ca-tullo (667-700 = 87-54), i cui eleganti e mordaci epi-grammi si spandevano per l'Italia colla velocità del lam-po e colpivano sicuramente nel segno.In tutta la letteratura di questi anni domina lo spirito

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dell'opposizione. Essa è piena di rabbioso schernocontro il «grande Cesare» «l'unico generale», control'amoroso suocero e genero, i quali mettono tutto ilmondo a soqquadro, per procurare l'occasione ai lorocorrotti favoriti di far mostra delle spoglie dei Celticapelluti per le vie di Roma, di ordinare banchetti realicol bottino raccolto nella più lontana isola d'occidente e,usando con prodigalità l'abbondante oro, di soppiantarenei patri lari gli onesti giovani presso le loro amanti.Nelle poesie di Catullo61 e in altri frammenti dellaletteratura di quest'epoca vi è qualche cosa di quellagenialità dell'odio personale-politico, di quell'agoniarepubblicana traboccante di passione furente o di cupadisperazione, che vediamo espressi con maggioreenergia in Aristofane e in Demostene.Almeno il più avveduto dei tre autocrati riconosceva cheera altrettanto impossibile disprezzare questa opposizio-ne, quanto sopprimerla dispoticamente. Cesare anzi ten-tò, per quanto gli era possibile, di guadagnar personal-mente i più rinomati scrittori. Già Cicerone andava in

61 La collezione giunta sino a noi è piena di rapporti sugli avvenimenti deglianni 699-700 = 55-54 e fu senza dubbio pubblicata quest'anno; l'ultimoavvenimento di cui parla è il processo di Vatinio (agosto 700 = 54)L'asserzione di Geronimo, che Catullo morisse nel 697-8 = 57-6 non devequindi venir corretta che di pochi anni. Dalla circostanza che Vatinio«abbia congiurato durante il suo consolato» si è dedotto a torto, che lacollezione sia stata pubblicata soltanto dopo il consolato di Vatinio (707 =47); ne segue soltanto che quando essa comparve, Vatinio poteva calcolaredi ottenere il consolato in un anno prestabilito, per cui egli aveva tutte leragioni di conseguirlo nel 700 = 54; poichè il suo nome era certamenteregistrato nella lista dei candidati combinata a Lucca (CIC., Ad Att., 4, 8 b,2).

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dell'opposizione. Essa è piena di rabbioso schernocontro il «grande Cesare» «l'unico generale», control'amoroso suocero e genero, i quali mettono tutto ilmondo a soqquadro, per procurare l'occasione ai lorocorrotti favoriti di far mostra delle spoglie dei Celticapelluti per le vie di Roma, di ordinare banchetti realicol bottino raccolto nella più lontana isola d'occidente e,usando con prodigalità l'abbondante oro, di soppiantarenei patri lari gli onesti giovani presso le loro amanti.Nelle poesie di Catullo61 e in altri frammenti dellaletteratura di quest'epoca vi è qualche cosa di quellagenialità dell'odio personale-politico, di quell'agoniarepubblicana traboccante di passione furente o di cupadisperazione, che vediamo espressi con maggioreenergia in Aristofane e in Demostene.Almeno il più avveduto dei tre autocrati riconosceva cheera altrettanto impossibile disprezzare questa opposizio-ne, quanto sopprimerla dispoticamente. Cesare anzi ten-tò, per quanto gli era possibile, di guadagnar personal-mente i più rinomati scrittori. Già Cicerone andava in

61 La collezione giunta sino a noi è piena di rapporti sugli avvenimenti deglianni 699-700 = 55-54 e fu senza dubbio pubblicata quest'anno; l'ultimoavvenimento di cui parla è il processo di Vatinio (agosto 700 = 54)L'asserzione di Geronimo, che Catullo morisse nel 697-8 = 57-6 non devequindi venir corretta che di pochi anni. Dalla circostanza che Vatinio«abbia congiurato durante il suo consolato» si è dedotto a torto, che lacollezione sia stata pubblicata soltanto dopo il consolato di Vatinio (707 =47); ne segue soltanto che quando essa comparve, Vatinio poteva calcolaredi ottenere il consolato in un anno prestabilito, per cui egli aveva tutte leragioni di conseguirlo nel 700 = 54; poichè il suo nome era certamenteregistrato nella lista dei candidati combinata a Lucca (CIC., Ad Att., 4, 8 b,2).

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gran parte debitore della sua fama letteraria al distintotrattamento avuto specialmente da Cesare; ma il luogo-tenente della Gallia non disdegnò la pace persino conCatullo, servendosi a tale scopo di suo padre che avevaconosciuto personalmente in Verona, ed il giovine poe-ta, che aveva prima svillaneggiato il più potente genera-le coi più amari sarcasmi, fu da questi trattato colle piùlusinghiere distinzioni.Cesare aveva anzi abbastanza talento per seguire i suoiavversari letterati sul proprio terreno, per difendersi daimolteplici attacchi, e pubblicò una circostanziata rela-zione generale sulle guerre galliche, relazione che svol-geva dinanzi al pubblico con una simpatica ingenuità lanecessità e lo spirito costituzionale del suo modo diguerreggiare.Ma creatrice di poesia è però assolutamente ed esclusi-vamente la libertà; essa ed essa soltanto può, anche nellapiù meschina caricatura, anche coll'ultimo suo respiro,infondere l'entusiasmo nelle creature vigorose. Tutti imigliori elementi della letteratura erano e rimasero anti-monarchici, e se persino Cesare osò inoltrarsi su questoterreno senza sdrucciolare, ciò avvenne perchè egli an-cora adesso pensava al grandioso sogno d'una repubbli-ca libera, ch'egli però non poteva rivelare nè ai suoi av-versari nè ai suoi partigiani.La politica ordinaria non era dominata in modo piùassoluto dagli autocrati di quanto la letteratura lo era dairepubblicani.62

62 La seguente poesia di Catullo (XXIX) fu scritta nel 699 o 700479

gran parte debitore della sua fama letteraria al distintotrattamento avuto specialmente da Cesare; ma il luogo-tenente della Gallia non disdegnò la pace persino conCatullo, servendosi a tale scopo di suo padre che avevaconosciuto personalmente in Verona, ed il giovine poe-ta, che aveva prima svillaneggiato il più potente genera-le coi più amari sarcasmi, fu da questi trattato colle piùlusinghiere distinzioni.Cesare aveva anzi abbastanza talento per seguire i suoiavversari letterati sul proprio terreno, per difendersi daimolteplici attacchi, e pubblicò una circostanziata rela-zione generale sulle guerre galliche, relazione che svol-geva dinanzi al pubblico con una simpatica ingenuità lanecessità e lo spirito costituzionale del suo modo diguerreggiare.Ma creatrice di poesia è però assolutamente ed esclusi-vamente la libertà; essa ed essa soltanto può, anche nellapiù meschina caricatura, anche coll'ultimo suo respiro,infondere l'entusiasmo nelle creature vigorose. Tutti imigliori elementi della letteratura erano e rimasero anti-monarchici, e se persino Cesare osò inoltrarsi su questoterreno senza sdrucciolare, ciò avvenne perchè egli an-cora adesso pensava al grandioso sogno d'una repubbli-ca libera, ch'egli però non poteva rivelare nè ai suoi av-versari nè ai suoi partigiani.La politica ordinaria non era dominata in modo piùassoluto dagli autocrati di quanto la letteratura lo era dairepubblicani.62

62 La seguente poesia di Catullo (XXIX) fu scritta nel 699 o 700479

17. Nuove misure eccezionali.

Era necessario procedere seriamente contro questaopposizione impotente, ma tuttavia molesta e audace.La spinta a quel che pare fu data dalla condanna diGabinio (fine del 700 = 54). Gli autocrati convennero

= 55-54, dopo la spedizione di Cesare nella Bretagna e primadella morte di Giulia:«Chi mai, se non uno spudorato, un ingordo o un giocatore, puòtollerare che Mamurra sia ricco quanto la chiomata Gallia e lalontana Britannia lo erano fino a poco fa? O rammollito Romolo,tu vedi ciò, e lo sopporti? E ora egli, superbo e ben pasciuto, se laspasserà sui cubili di tutti come un bianco colombo o un Adone?O rammollito Romolo, tu vedi ciò, e lo sopporti? E allora seianche tu spudorato, ingordo e giocatore!È per questo, o generale unico, che arrivasti all'ultima isolad'occidente? perchè questo sfinito vostro minchione si pappassedue o tre milioni? Non è questa una colpevole liberalità? Non haegli dissipato abbastanza, divorato abbastanza? Prima scialacquòi beni paterni; poi fu sua preda il Ponto, e terza l'Iberia, nota perl'aurifero Tago. Tremino le Gallie, tremi la Britannia. Perchèfavorite questo furfante? che altro può far egli che divorare grassipatrimonî?Ed è per questo che voi, suocero e genero, i più onesti dell'urbe,avete mandato tutto in rovina?».Mamurra da Formia, favorito di Cesare e durante le guerregalliche per qualche tempo ufficiale nel suo esercito, era ritornatoalla capitale probabilmente poco prima della composizione diquesta poesia ed era allora probabilmente occupato nellacostruzione del suo palazzo sul monte Celio, di cui tanto siparlava e per cui si spendevano somme enormi. Il bottino ibericosi riferiva al governo di Cesare nella Spagna ulteriore, mentre

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17. Nuove misure eccezionali.

Era necessario procedere seriamente contro questaopposizione impotente, ma tuttavia molesta e audace.La spinta a quel che pare fu data dalla condanna diGabinio (fine del 700 = 54). Gli autocrati convennero

= 55-54, dopo la spedizione di Cesare nella Bretagna e primadella morte di Giulia:«Chi mai, se non uno spudorato, un ingordo o un giocatore, puòtollerare che Mamurra sia ricco quanto la chiomata Gallia e lalontana Britannia lo erano fino a poco fa? O rammollito Romolo,tu vedi ciò, e lo sopporti? E ora egli, superbo e ben pasciuto, se laspasserà sui cubili di tutti come un bianco colombo o un Adone?O rammollito Romolo, tu vedi ciò, e lo sopporti? E allora seianche tu spudorato, ingordo e giocatore!È per questo, o generale unico, che arrivasti all'ultima isolad'occidente? perchè questo sfinito vostro minchione si pappassedue o tre milioni? Non è questa una colpevole liberalità? Non haegli dissipato abbastanza, divorato abbastanza? Prima scialacquòi beni paterni; poi fu sua preda il Ponto, e terza l'Iberia, nota perl'aurifero Tago. Tremino le Gallie, tremi la Britannia. Perchèfavorite questo furfante? che altro può far egli che divorare grassipatrimonî?Ed è per questo che voi, suocero e genero, i più onesti dell'urbe,avete mandato tutto in rovina?».Mamurra da Formia, favorito di Cesare e durante le guerregalliche per qualche tempo ufficiale nel suo esercito, era ritornatoalla capitale probabilmente poco prima della composizione diquesta poesia ed era allora probabilmente occupato nellacostruzione del suo palazzo sul monte Celio, di cui tanto siparlava e per cui si spendevano somme enormi. Il bottino ibericosi riferiva al governo di Cesare nella Spagna ulteriore, mentre

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d'introdurre una dittatura, fosse anche temporanea, e conessa ottenere nuove misure coercitive, specialmente perle elezioni e per i tribunali dei giurati.Come quegli al quale incombeva il governo di Roma edi Italia, fu Pompeo che assunse l'incarico di mandaread effetto questa decisione, ma anche in quest'occasione

Mamurra si sarà trovato nel suo quartiere generale, come più tardicertamente nella Gallia; quello pontico si riferisce probabilmentealla guerra di Pompeo contro Mitridate, poichè secondol'allusione del poeta, non soltanto Cesare arricchì Mamurra. Menomaliziosa di questa velenosa invettiva (SVET., Caes., 73) sentita daCesare amaramente è un'altra poesia di questo poeta scrittapress'a poco nello stesso tempo, che può trovare qui il suo posto,perchè colla patetica sua prefazione ad una tutt'altro che pateticacommissione si prende a motteggiare con molto garbo lo statomaggiore dei nuovi autocrati Gabinio, Antonio ed altri, i quali dalnulla si erano avanzati rapidamente nel quartier generale. Siponga mente che fu scritta quando Cesare combatteva sul Reno esul Tamigi e quando si stava disponendo per le spedizioni diCrasso nel paese dei Parti, di Gabinio nell'Egitto. Il poeta, quasinella speranza di ottenere da uno degli autocrati uno dei postivacanti, dà a due dei suoi clienti i suoi ultimi ordini prima dellapartenza«Furio ed Aurelio, che sareste compagni di Catullo quand'ancheegli si spingesse fino all'estremo dell'India alle cui spiagge batte ilrisonante mare d'oriente, o nell'Ircania o nella molle Arabia, o tragli Sciti ed i Parti lancianti frecce, o al mare che il Nilo coloracon sette foci, o quand'anche varcasse egli le Alpi per vedere itrofei del gran Cesare, il gallico Reno e gli orribili lontanissimiBritanni – voi che dovunque mi spinga la volontà degli dei sietepronti a seguirmi, recate queste brevi non dolci parole alla miafanciulla:

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d'introdurre una dittatura, fosse anche temporanea, e conessa ottenere nuove misure coercitive, specialmente perle elezioni e per i tribunali dei giurati.Come quegli al quale incombeva il governo di Roma edi Italia, fu Pompeo che assunse l'incarico di mandaread effetto questa decisione, ma anche in quest'occasione

Mamurra si sarà trovato nel suo quartiere generale, come più tardicertamente nella Gallia; quello pontico si riferisce probabilmentealla guerra di Pompeo contro Mitridate, poichè secondol'allusione del poeta, non soltanto Cesare arricchì Mamurra. Menomaliziosa di questa velenosa invettiva (SVET., Caes., 73) sentita daCesare amaramente è un'altra poesia di questo poeta scrittapress'a poco nello stesso tempo, che può trovare qui il suo posto,perchè colla patetica sua prefazione ad una tutt'altro che pateticacommissione si prende a motteggiare con molto garbo lo statomaggiore dei nuovi autocrati Gabinio, Antonio ed altri, i quali dalnulla si erano avanzati rapidamente nel quartier generale. Siponga mente che fu scritta quando Cesare combatteva sul Reno esul Tamigi e quando si stava disponendo per le spedizioni diCrasso nel paese dei Parti, di Gabinio nell'Egitto. Il poeta, quasinella speranza di ottenere da uno degli autocrati uno dei postivacanti, dà a due dei suoi clienti i suoi ultimi ordini prima dellapartenza«Furio ed Aurelio, che sareste compagni di Catullo quand'ancheegli si spingesse fino all'estremo dell'India alle cui spiagge batte ilrisonante mare d'oriente, o nell'Ircania o nella molle Arabia, o tragli Sciti ed i Parti lancianti frecce, o al mare che il Nilo coloracon sette foci, o quand'anche varcasse egli le Alpi per vedere itrofei del gran Cesare, il gallico Reno e gli orribili lontanissimiBritanni – voi che dovunque mi spinga la volontà degli dei sietepronti a seguirmi, recate queste brevi non dolci parole alla miafanciulla:

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egli non smentì il suo carattere titubante nel decidere enell'agire, e la strana sua incapacità di pronunciarsi fran-camente persino quando egli voleva e poteva comanda-re.Già alla fine del 700 = 54 fu proposta in senato, e nonda Pompeo stesso, l'istituzione della dittatura. Il motivoostensibile erano gli eterni scandali dei circoli e dellebande nella capitale, le quali esercitavano senza dubbioper mezzo del danaro e colla violenza una perniciosissi-ma influenza sulle elezioni e sui tribunali dei giurati e vitenevano i loro baccanali in permanenza; bisogna con-venire che questi scandali facilitavano agli autocrati lagiustificazione delle misure eccezionali da loro adottate.Ma come ben si comprende, persino la servile maggio-ranza sentiva ribrezzo a concedere ciò che lo stesso fu-turo dittatore pareva temesse di chiedere francamente.Quando per la straordinaria agitazione per le elezionidel 701 = 53 avvennero le più scandalose scene e perciòle elezioni furono protratte di un anno intero oltre l'epo-ca stabilita, e non si effettuarono che nel mese di luglio701 = 53, dopo un interregno di sette mesi, Pompeo tro-vò in questo ritardo l'opportunità desiderata di indicareal senato con sempre maggior insistenza la dittaturacome l'unico mezzo se non di sciogliere il nodo, almenodi tagliarlo; ma il senato non si sapeva risolvere a pro-nunciare la parola decisiva.

«Viva ella felice coi suoi trecento amanti che tutti accoglie fra le braccia senzaamarne veramente nessuno, pur fiaccando a tutti le reni; sull'amor mio nonconti più come un tempo, chè cadde per sua colpa, come un fiore chel'aratro troncò sull'orlo del prato».

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egli non smentì il suo carattere titubante nel decidere enell'agire, e la strana sua incapacità di pronunciarsi fran-camente persino quando egli voleva e poteva comanda-re.Già alla fine del 700 = 54 fu proposta in senato, e nonda Pompeo stesso, l'istituzione della dittatura. Il motivoostensibile erano gli eterni scandali dei circoli e dellebande nella capitale, le quali esercitavano senza dubbioper mezzo del danaro e colla violenza una perniciosissi-ma influenza sulle elezioni e sui tribunali dei giurati e vitenevano i loro baccanali in permanenza; bisogna con-venire che questi scandali facilitavano agli autocrati lagiustificazione delle misure eccezionali da loro adottate.Ma come ben si comprende, persino la servile maggio-ranza sentiva ribrezzo a concedere ciò che lo stesso fu-turo dittatore pareva temesse di chiedere francamente.Quando per la straordinaria agitazione per le elezionidel 701 = 53 avvennero le più scandalose scene e perciòle elezioni furono protratte di un anno intero oltre l'epo-ca stabilita, e non si effettuarono che nel mese di luglio701 = 53, dopo un interregno di sette mesi, Pompeo tro-vò in questo ritardo l'opportunità desiderata di indicareal senato con sempre maggior insistenza la dittaturacome l'unico mezzo se non di sciogliere il nodo, almenodi tagliarlo; ma il senato non si sapeva risolvere a pro-nunciare la parola decisiva.

«Viva ella felice coi suoi trecento amanti che tutti accoglie fra le braccia senzaamarne veramente nessuno, pur fiaccando a tutti le reni; sull'amor mio nonconti più come un tempo, chè cadde per sua colpa, come un fiore chel'aratro troncò sull'orlo del prato».

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Questa parola non sarebbe forse stata pronunciata perlungo tempo se nelle elezioni consolari pel 702 = 52, difronte ai candidati degli autocrati, ch'erano QuintoMetello Scipione e Publio Plauzio Ipseo, ambedueaffezionati a Pompeo, non si fosse presentato comecandidato il più temerario partigiano dell'opposizionerepubblicana, Tito Annio Milone.Dotato di coraggio fisico, d'una certa abilità per l'intrigoe per contrarre debiti, e anzitutto di un'innata sfrontatez-za, Milone si era fatto una reputazione fra i cavalierid'industria politici di quel tempo e nella sua professioneera, vicino a Clodio, l'uomo più famoso e per conse-guenza anche suo mortale nemico per concorrenza.E questo Achille da piazza, essendo stato guadagnatodagli autocrati e rappresentando egli col loro assenso laparte di ultra-democratico, l'Ettore da piazza era divenu-to naturalmente un aristocratico, e l'opposizione repub-blicana, la quale avrebbe ora fatto alleanza con Catilinastesso se questi le si fosse offerto, riconobbe Milonecome il legittimo suo propugnatore in tutti i tumulti distrada.Difatti i pochi risultati che l'opposizione otteneva suquesto terreno, erano opera di Milone e della ben am-maestrata sua banda. Così Catone e i suoi appoggiaronoalla loro volta la candidatura di Milone per il consolato;lo stesso Cicerone non potè fare a meno di raccomanda-re il nemico del suo nemico, l'antico suo protettore; esiccome Milone non risparmiava nè danaro nè violenzaper la sua elezione, questa sembrava assicurata.

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Questa parola non sarebbe forse stata pronunciata perlungo tempo se nelle elezioni consolari pel 702 = 52, difronte ai candidati degli autocrati, ch'erano QuintoMetello Scipione e Publio Plauzio Ipseo, ambedueaffezionati a Pompeo, non si fosse presentato comecandidato il più temerario partigiano dell'opposizionerepubblicana, Tito Annio Milone.Dotato di coraggio fisico, d'una certa abilità per l'intrigoe per contrarre debiti, e anzitutto di un'innata sfrontatez-za, Milone si era fatto una reputazione fra i cavalierid'industria politici di quel tempo e nella sua professioneera, vicino a Clodio, l'uomo più famoso e per conse-guenza anche suo mortale nemico per concorrenza.E questo Achille da piazza, essendo stato guadagnatodagli autocrati e rappresentando egli col loro assenso laparte di ultra-democratico, l'Ettore da piazza era divenu-to naturalmente un aristocratico, e l'opposizione repub-blicana, la quale avrebbe ora fatto alleanza con Catilinastesso se questi le si fosse offerto, riconobbe Milonecome il legittimo suo propugnatore in tutti i tumulti distrada.Difatti i pochi risultati che l'opposizione otteneva suquesto terreno, erano opera di Milone e della ben am-maestrata sua banda. Così Catone e i suoi appoggiaronoalla loro volta la candidatura di Milone per il consolato;lo stesso Cicerone non potè fare a meno di raccomanda-re il nemico del suo nemico, l'antico suo protettore; esiccome Milone non risparmiava nè danaro nè violenzaper la sua elezione, questa sembrava assicurata.

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Per gli autocrati sarebbe stata non solo una nuova sensi-bile sconfitta, ma anche un minaccioso pericolo; giacchèera da prevedersi, che il temerario partigiano divenutoconsole non si sarebbe lasciato paralizzare così facil-mente come Domizio ed altri uomini di riguardodell'opposizione.

18. Uccisione di Clodio.

Ora accadde che non lungi dalla capitale, sulla viaAppia, si scontrassero per caso Achille ed Ettore e chefra le due bande succedesse una mischia in cui Clodioriceveva un colpo di spada in una spalla, per cui fucostretto a rifugiarsi in una casa vicina. Ciò eraavvenuto senz'ordine di Milone; essendo però la cosaarrivata al punto da doversi sostenere l'attacco, Milonegiudicò che il delitto intero valesse meglio e che fosseanzi meno pericoloso che il mezzo delitto: ordinò quindialla sua gente di strappare Clodio dal suo nascondiglio edi finirlo (13 gennaio 702 = 52).I capi-popolo del partito degli autocrati, i tribuni del po-polo Tito Munazio Planco, Quinto Pompeo Rufo e CaioSallustio Crispo scorsero in questo avvenimento unplausibile pretesto per mandare a vuoto, nell'interessedei loro padroni, la candidatura di Milone ed ottenere lacandidatura per Pompeo.La feccia del popolo, e specialmente i liberti e gli schia-vi, avevano perduto in Clodio il loro protettore ed il fu-turo loro salvatore; non fu perciò difficile suscitare la

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Per gli autocrati sarebbe stata non solo una nuova sensi-bile sconfitta, ma anche un minaccioso pericolo; giacchèera da prevedersi, che il temerario partigiano divenutoconsole non si sarebbe lasciato paralizzare così facil-mente come Domizio ed altri uomini di riguardodell'opposizione.

18. Uccisione di Clodio.

Ora accadde che non lungi dalla capitale, sulla viaAppia, si scontrassero per caso Achille ed Ettore e chefra le due bande succedesse una mischia in cui Clodioriceveva un colpo di spada in una spalla, per cui fucostretto a rifugiarsi in una casa vicina. Ciò eraavvenuto senz'ordine di Milone; essendo però la cosaarrivata al punto da doversi sostenere l'attacco, Milonegiudicò che il delitto intero valesse meglio e che fosseanzi meno pericoloso che il mezzo delitto: ordinò quindialla sua gente di strappare Clodio dal suo nascondiglio edi finirlo (13 gennaio 702 = 52).I capi-popolo del partito degli autocrati, i tribuni del po-polo Tito Munazio Planco, Quinto Pompeo Rufo e CaioSallustio Crispo scorsero in questo avvenimento unplausibile pretesto per mandare a vuoto, nell'interessedei loro padroni, la candidatura di Milone ed ottenere lacandidatura per Pompeo.La feccia del popolo, e specialmente i liberti e gli schia-vi, avevano perduto in Clodio il loro protettore ed il fu-turo loro salvatore; non fu perciò difficile suscitare la

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desiderata reazione.Dopo che l'insanguinato cadavere era stato esposto conpompa sulla tribuna del foro e che erano statepronunciate le orazioni di prammatica, il tumultoscoppiò. Per il rogo del grande liberatore era statadestinata la sede della perfida aristocrazia; la turba portòil cadavere nel senato ed incendiò il palazzo. Lamoltitudine si recò quindi dinanzi alla casa di Milone ela tenne assediata fintantochè la sua banda non scacciògli assedianti a colpi di freccia. Poi andò dinanzi la casadi Pompeo e dei suoi candidati consolari, salutandoquello come dittatore e questi come consoli, e di làinnanzi all'abitazione dell'interré Marco Lepido, al qualeincombeva la direzione delle elezioni consolari.Siccome questi, com'era suo dovere, si rifiutava di farleeseguire immediatamente come esigevano le urlantimasse, fu anch'egli tenuto assediato per cinque giorninella sua abitazione.

19. Dittatura di Pompeo.

Ma gli impresari di queste scene scandalose avevanofinito le loro rappresentazioni. Non è da porsi in dubbioche il loro padrone fosse deciso di approfittare di questofavorevole intermezzo, non solo per liberarsi di Milone,ma anche per afferrare la dittatura; non voleva però chegli venisse offerta da una turba di mascalzoni, ma dalsenato.Pompeo fece venire delle truppe per far cessare nella ca-

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desiderata reazione.Dopo che l'insanguinato cadavere era stato esposto conpompa sulla tribuna del foro e che erano statepronunciate le orazioni di prammatica, il tumultoscoppiò. Per il rogo del grande liberatore era statadestinata la sede della perfida aristocrazia; la turba portòil cadavere nel senato ed incendiò il palazzo. Lamoltitudine si recò quindi dinanzi alla casa di Milone ela tenne assediata fintantochè la sua banda non scacciògli assedianti a colpi di freccia. Poi andò dinanzi la casadi Pompeo e dei suoi candidati consolari, salutandoquello come dittatore e questi come consoli, e di làinnanzi all'abitazione dell'interré Marco Lepido, al qualeincombeva la direzione delle elezioni consolari.Siccome questi, com'era suo dovere, si rifiutava di farleeseguire immediatamente come esigevano le urlantimasse, fu anch'egli tenuto assediato per cinque giorninella sua abitazione.

19. Dittatura di Pompeo.

Ma gli impresari di queste scene scandalose avevanofinito le loro rappresentazioni. Non è da porsi in dubbioche il loro padrone fosse deciso di approfittare di questofavorevole intermezzo, non solo per liberarsi di Milone,ma anche per afferrare la dittatura; non voleva però chegli venisse offerta da una turba di mascalzoni, ma dalsenato.Pompeo fece venire delle truppe per far cessare nella ca-

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pitale l'anarchia, resa effettivamente a tutti insopportabi-le, e in pari tempo ordinò ciò che prima aveva chiesto,ed il senato cedette.Non fu che un vano raggiro quello per cui, dietroproposta di Catone e di Bibulo, lasciate al proconsolePompeo le cariche di cui era investito, fu nomitato«console senza colleghi» invece di dittatore (25 delmese intercalare63 702 = 52), raggiro che ammetteva unadominazione con una doppia interna contraddizione64,solo per evitare quella che indicava semplicemente lacosa e che ricorda vivamente la sapiente risoluzionedella scomparsa aristocrazia di non concedere ai plebeiil consolato, ma solo il potere consolare.Così ottenuti legalmente i pieni poteri Pompeo si miseall'opera e procedette energicamente contro il partitorepubblicano, potente nei circoli e nei tribunali deigiurati. Con la nuova legge fu severamente inculcatal'osservanza delle vigenti prescrizioni elettorali, e conun'altra contro le mene elettorali, che ebbe forzaretroattiva per tutti i delitti di simil genere dal 684 = 70in poi, furono inasprite le pene relative.Di maggiore importanza fu la disposizione, che leluogotenenze, quindi la più importante e la più lucrosametà delle cariche, non fossero concesse ai consoli ed aipretori appena usciti dal consolato, o dalla pretura, masolo dopo la decorrenza di altri cinque anni, la quale63 In quest'anno dopo il gennaio con 29 e il febbraio con 23 giorni, successe

il mese intercalare con 28 giorni e poi il marzo.64 Consul significa collega, e un console, il quale è al tempo stesso pro-

console, è insieme un console effettivo e facente funzione di console.486

pitale l'anarchia, resa effettivamente a tutti insopportabi-le, e in pari tempo ordinò ciò che prima aveva chiesto,ed il senato cedette.Non fu che un vano raggiro quello per cui, dietroproposta di Catone e di Bibulo, lasciate al proconsolePompeo le cariche di cui era investito, fu nomitato«console senza colleghi» invece di dittatore (25 delmese intercalare63 702 = 52), raggiro che ammetteva unadominazione con una doppia interna contraddizione64,solo per evitare quella che indicava semplicemente lacosa e che ricorda vivamente la sapiente risoluzionedella scomparsa aristocrazia di non concedere ai plebeiil consolato, ma solo il potere consolare.Così ottenuti legalmente i pieni poteri Pompeo si miseall'opera e procedette energicamente contro il partitorepubblicano, potente nei circoli e nei tribunali deigiurati. Con la nuova legge fu severamente inculcatal'osservanza delle vigenti prescrizioni elettorali, e conun'altra contro le mene elettorali, che ebbe forzaretroattiva per tutti i delitti di simil genere dal 684 = 70in poi, furono inasprite le pene relative.Di maggiore importanza fu la disposizione, che leluogotenenze, quindi la più importante e la più lucrosametà delle cariche, non fossero concesse ai consoli ed aipretori appena usciti dal consolato, o dalla pretura, masolo dopo la decorrenza di altri cinque anni, la quale63 In quest'anno dopo il gennaio con 29 e il febbraio con 23 giorni, successe

il mese intercalare con 28 giorni e poi il marzo.64 Consul significa collega, e un console, il quale è al tempo stesso pro-

console, è insieme un console effettivo e facente funzione di console.486

disposizione non doveva naturalmente avere effetto chedopo quattro anni, e perciò durante questo tempo ilconferimento della luogotenenza doveva dipendereessenzialmente da senatoconsulti da emanarsi perregolare questo interim, quindi di fatto dalla persona odalla frazione dominante in quell'epoca il senato.Le commissioni dei giurati rimasero, ma fu limitato ildiritto di rifiuto e, il che era forse più importante, fuabolita nei tribunali la libertà di parola, limitando tantoil numero degli avvocati, quanto il tempo concesso adognuno di parlare, e così fu abolito l'inveterato inconve-niente d'introdurre accanto ai testimoni del fatto anchetestimoni morali, o così detti «panegiristi», in favoredell'accusato. Ad un cenno di Pompeo, l'obbediente se-nato decretò inoltre che per il tumulto avvenuto sulla viaAppia la patria era in pericolo; quindi per giudicare ditutti coloro che vi avevano preso parte, fu nominata conuna legge eccezionale una commissione speciale, i cuimembri furono scelti addirittura da Pompeo.Fu anche fatto un tentativo per restituire alla censurauna seria importanza accordandole la facoltà di purgaredella vile canaglia la borghesia profondamentesconcertata. Tutte queste misure furono prese sotto lapressione delle armi. In conseguenza della dichiarazionedel senato che la patria era in pericolo, Pompeo chiamòsotto le armi i coscritti di tutta Italia e a buon conto feceloro prestare il giuramento; egli stabilì preventivamenteun sufficente numero di truppe fedeli in Campidoglio, ead ogni movimento dell'opposizione Pompeo

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disposizione non doveva naturalmente avere effetto chedopo quattro anni, e perciò durante questo tempo ilconferimento della luogotenenza doveva dipendereessenzialmente da senatoconsulti da emanarsi perregolare questo interim, quindi di fatto dalla persona odalla frazione dominante in quell'epoca il senato.Le commissioni dei giurati rimasero, ma fu limitato ildiritto di rifiuto e, il che era forse più importante, fuabolita nei tribunali la libertà di parola, limitando tantoil numero degli avvocati, quanto il tempo concesso adognuno di parlare, e così fu abolito l'inveterato inconve-niente d'introdurre accanto ai testimoni del fatto anchetestimoni morali, o così detti «panegiristi», in favoredell'accusato. Ad un cenno di Pompeo, l'obbediente se-nato decretò inoltre che per il tumulto avvenuto sulla viaAppia la patria era in pericolo; quindi per giudicare ditutti coloro che vi avevano preso parte, fu nominata conuna legge eccezionale una commissione speciale, i cuimembri furono scelti addirittura da Pompeo.Fu anche fatto un tentativo per restituire alla censurauna seria importanza accordandole la facoltà di purgaredella vile canaglia la borghesia profondamentesconcertata. Tutte queste misure furono prese sotto lapressione delle armi. In conseguenza della dichiarazionedel senato che la patria era in pericolo, Pompeo chiamòsotto le armi i coscritti di tutta Italia e a buon conto feceloro prestare il giuramento; egli stabilì preventivamenteun sufficente numero di truppe fedeli in Campidoglio, ead ogni movimento dell'opposizione Pompeo

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minacciava di usare le armi e, contro tradizione, eglifece munire d'armati persino il tribunale durante idibattimenti del processo contro gli assassini di Clodio.

20. Umiliazione dei repubblicani.

Il piano per dar vita alla censura andò a vuoto perchè frala servile maggioranza del senato non v'era nemmenouno che avesse abbastanza coraggio morale e autoritàanche solo per chiedere una simile carica. InveceMilone fu condannato dai giurati (8 aprile 702 = 52), ela candidatura di Catone pel 703 = 51 fu mandata infumo.L'opposizione che si faceva coi discorsi e coi libelli, fucolpita dalla nuova procedura processuale in modo chepiù non si riebbe; la temuta eloquenza giudiziale fu cosìrespinta dal campo politico, e d'allora in avanti sentì ilfreno della monarchia.L'opposizione, come si comprende, non era scomparsanè dagli animi della grande maggioranza della nazione,nè interamente dalla vita pubblica, perciò si sarebberodovute non solo limitare, ma sopprimere completamentele elezioni popolari, i tribunali dei giurati e la letteratu-ra. Anzi, appunto in occasione di questi avvenimenti,Pompeo colla sua inettitudine e bizzarria contribuì aprocurare ai repubblicani, durante la sua dittatura, alcunitrionfi per lui sensibili.Le misure di partito che gli autocrati prendevano per as-sicurare il loro potere, furono naturalmente caratterizza-

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minacciava di usare le armi e, contro tradizione, eglifece munire d'armati persino il tribunale durante idibattimenti del processo contro gli assassini di Clodio.

20. Umiliazione dei repubblicani.

Il piano per dar vita alla censura andò a vuoto perchè frala servile maggioranza del senato non v'era nemmenouno che avesse abbastanza coraggio morale e autoritàanche solo per chiedere una simile carica. InveceMilone fu condannato dai giurati (8 aprile 702 = 52), ela candidatura di Catone pel 703 = 51 fu mandata infumo.L'opposizione che si faceva coi discorsi e coi libelli, fucolpita dalla nuova procedura processuale in modo chepiù non si riebbe; la temuta eloquenza giudiziale fu cosìrespinta dal campo politico, e d'allora in avanti sentì ilfreno della monarchia.L'opposizione, come si comprende, non era scomparsanè dagli animi della grande maggioranza della nazione,nè interamente dalla vita pubblica, perciò si sarebberodovute non solo limitare, ma sopprimere completamentele elezioni popolari, i tribunali dei giurati e la letteratu-ra. Anzi, appunto in occasione di questi avvenimenti,Pompeo colla sua inettitudine e bizzarria contribuì aprocurare ai repubblicani, durante la sua dittatura, alcunitrionfi per lui sensibili.Le misure di partito che gli autocrati prendevano per as-sicurare il loro potere, furono naturalmente caratterizza-

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te in via ufficiale come disposizioni prese nell'interessedell'ordine pubblico e della pubblica tranquillità, ed ognicittadino, che non volesse l'anarchia, era consideratocome pienamente d'accordo con esse.Con questa trasparente finzione Pompeo spinse le coseal punto che nella commissione speciale per l'inchiestasull'ultimo tumulto, invece di strumenti sicuri elesse ipiù rispettabili uomini di tutti i partiti e persino Catone,impiegando la sua influenza in tribunale essenzialmenteper mantenere l'ordine e per rendere impossibile tanto aisuoi aderenti, quanto ai suoi avversari, le tradizionaliscene di schiamazzo che avvenivano in quei tempi neitribunali.Questa neutralità del reggente si riconosce nelle senten-ze della corte speciale. I giurati veramente non osaronoassolvere Milone; ma la maggior parte dei subalterni ac-cusati dal partito dell'opposizione repubblicana, andòassolta; mentre furono condannati irremissibilmentequelli che nell'ultimo tumulto avevano preso parte perClodio, cioè per gli autocrati fra i quali non pochi deipiù intimi amici di Cesare e dello stesso Pompeo, persi-no il loro candidato consolare Ipseo e i tribuni del popo-lo Planco e Rufo, i quali avevano diretto il tumulto nelloro interesse.Se Pompeo per mostrarsi imparziale non impedì la lorocondanna, questa fu una scempiaggine, ed un'altra fuquella che in cose affatto indifferenti egli ledesse leproprie leggi in favore de' suoi amici, come ad esempionel processo di Planco egli si presentò come testimonio

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te in via ufficiale come disposizioni prese nell'interessedell'ordine pubblico e della pubblica tranquillità, ed ognicittadino, che non volesse l'anarchia, era consideratocome pienamente d'accordo con esse.Con questa trasparente finzione Pompeo spinse le coseal punto che nella commissione speciale per l'inchiestasull'ultimo tumulto, invece di strumenti sicuri elesse ipiù rispettabili uomini di tutti i partiti e persino Catone,impiegando la sua influenza in tribunale essenzialmenteper mantenere l'ordine e per rendere impossibile tanto aisuoi aderenti, quanto ai suoi avversari, le tradizionaliscene di schiamazzo che avvenivano in quei tempi neitribunali.Questa neutralità del reggente si riconosce nelle senten-ze della corte speciale. I giurati veramente non osaronoassolvere Milone; ma la maggior parte dei subalterni ac-cusati dal partito dell'opposizione repubblicana, andòassolta; mentre furono condannati irremissibilmentequelli che nell'ultimo tumulto avevano preso parte perClodio, cioè per gli autocrati fra i quali non pochi deipiù intimi amici di Cesare e dello stesso Pompeo, persi-no il loro candidato consolare Ipseo e i tribuni del popo-lo Planco e Rufo, i quali avevano diretto il tumulto nelloro interesse.Se Pompeo per mostrarsi imparziale non impedì la lorocondanna, questa fu una scempiaggine, ed un'altra fuquella che in cose affatto indifferenti egli ledesse leproprie leggi in favore de' suoi amici, come ad esempionel processo di Planco egli si presentò come testimonio

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morale e salvò infatti alcuni suoi intimi, uno dei quali fuMetello Scipione.In questi casi cadeva come al solito in contraddizionecon sè stesso: mentre si sforzava di adempiere neltempo stesso ai doveri del reggente imparziale e delcapo-parte, non adempiva nè a questi nè a quelli e simostrava di fronte alla pubblica opinione giustamentecome un reggente dispotico e di fronte ai suoi aderenticon eguale ragione come un capo-parte che non potevao non voleva proteggere i suoi.Però benchè i repubblicani si agitassero ancora, e persi-no, aiutandoli Pompeo coi suoi errori, si sentissero rin-vigoriti ogni ora con qualche successo, lo scopo prefis-sosi dagli autocrati con questa dittatura veniva in gene-rale raggiunto, le redini erano tese più fortemente, ilpartito repubblicano avvilito e la nuova monarchia assi-curata.Il pubblico incominciava ad abituarvisi. Quando Pom-peo poco dopo guarì da una grave malattia, il suo rista-bilimento fu salutato da tutta Italia cogli obbligati segnidi gioia usati in simili occorrenze nelle monarchie. Gliautocrati si mostrarono soddisfatti.Dal 1° agosto 702 = 52 Pompeo depose la dittatura e di-vise il suo consolato col suo cliente Metello Scipione.

FINE DEL VII VOLUME

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morale e salvò infatti alcuni suoi intimi, uno dei quali fuMetello Scipione.In questi casi cadeva come al solito in contraddizionecon sè stesso: mentre si sforzava di adempiere neltempo stesso ai doveri del reggente imparziale e delcapo-parte, non adempiva nè a questi nè a quelli e simostrava di fronte alla pubblica opinione giustamentecome un reggente dispotico e di fronte ai suoi aderenticon eguale ragione come un capo-parte che non potevao non voleva proteggere i suoi.Però benchè i repubblicani si agitassero ancora, e persi-no, aiutandoli Pompeo coi suoi errori, si sentissero rin-vigoriti ogni ora con qualche successo, lo scopo prefis-sosi dagli autocrati con questa dittatura veniva in gene-rale raggiunto, le redini erano tese più fortemente, ilpartito repubblicano avvilito e la nuova monarchia assi-curata.Il pubblico incominciava ad abituarvisi. Quando Pom-peo poco dopo guarì da una grave malattia, il suo rista-bilimento fu salutato da tutta Italia cogli obbligati segnidi gioia usati in simili occorrenze nelle monarchie. Gliautocrati si mostrarono soddisfatti.Dal 1° agosto 702 = 52 Pompeo depose la dittatura e di-vise il suo consolato col suo cliente Metello Scipione.

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