Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav.Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 8. – Parte 2:Dall'anno MDC. fino all’anno MDCC.AUTORE: Tiraboschi, GirolamoTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).Alcuni errori sono stati verificati e corretti sullabase dell'edizione di Milano, Società tipograficade' classici italiani, 1823, presente sul sito OPALdell'Università di Torino(http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101451

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] “Apollo e Daphne” -Jean-Étienne Liotard – 1736 – Rijksmuseum Amsterdam-

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TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav.Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 8. – Parte 2:Dall'anno MDC. fino all’anno MDCC.AUTORE: Tiraboschi, GirolamoTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).Alcuni errori sono stati verificati e corretti sullabase dell'edizione di Milano, Società tipograficade' classici italiani, 1823, presente sul sito OPALdell'Università di Torino(http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101451

DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA: [elaborazione da] “Apollo e Daphne” -Jean-Étienne Liotard – 1736 – Rijksmuseum Amsterdam-

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https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1c/Jean-%C3%89tienne_Liotard_-_Apollo_en_Daphne%2C_naar_het_beeld_van_Gianlorenzo_Bernini_in_de_Borghese_verzameling_te_Rome.jpg - pubblico dominio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi... Tomo 1. [-9. ]: 8:Dall'anno 1600. fino al 1700. 2. - Firenze: pressoMolini, Landi, e C. o, 1812. - xviii, [1] p., p.370-668

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 1 ottobre 2015

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:LIT004200 CRITICA LETTERARIA / Europea / Italiana

DIGITALIZZAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected]

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected] (ODT)Carlo F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1c/Jean-%C3%89tienne_Liotard_-_Apollo_en_Daphne%2C_naar_het_beeld_van_Gianlorenzo_Bernini_in_de_Borghese_verzameling_te_Rome.jpg - pubblico dominio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi... Tomo 1. [-9. ]: 8:Dall'anno 1600. fino al 1700. 2. - Firenze: pressoMolini, Landi, e C. o, 1812. - xviii, [1] p., p.370-668

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 1 ottobre 2015

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:LIT004200 CRITICA LETTERARIA / Europea / Italiana

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Page 5: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

Indice generale

Liber Liber......................................................................4Parte prima......................................................................6

Capitolo I....................................................................7Capitolo II...................................................................8

Parte seconda..................................................................9Capitolo I..................................................................10

Sottosezione A......................................................10Sottosezione B......................................................10

Capitolo II.................................................................11

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Parte prima......................................................................6

Capitolo I....................................................................7Capitolo II...................................................................8

Parte seconda..................................................................9Capitolo I..................................................................10

Sottosezione A......................................................10Sottosezione B......................................................10

Capitolo II.................................................................11

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO VIII. - PARTE II. DALL'ANNO MDC. FINO ALL'ANNO MDCC.

FIRENZE PRESSO MOLINI LANDI, E C.°

MDCCCXII.

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO VIII. - PARTE II. DALL'ANNO MDC. FINO ALL'ANNO MDCC.

FIRENZE PRESSO MOLINI LANDI, E C.°

MDCCCXII.

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PREFAZIONE AL TOMO IX DELLA PRIMA EDIZIONE 1.

Quali ragioni mi abbiano determinato a non entrar nellaStoria della Letteratura del nostro corrente secolo, già siè per me accennato nella prefazione al tomo VIII di que-sta mia opera, nè fa bisogno di qui ripeterle, o di svol-gerle più lungamente. Ampio e luminoso argomentosarà al certo, per chi vorrà a tempo opportuno trattarlo,lo stato della letteratura italiana ne' primi cinquant'annidi questo secolo, per accennar questi soltanto, senza in-noltrarsi negli altri a noi troppo vicini. Se altri nel corsodi quegli anni non avesse ad additare l'Italia che un Mu-ratori e un Maffei, non potrebb'ella di essi soli andar lie-ta e superba? Se la storia di tante città italiane ha comin-ciato ad uscir dalle tenebre, fra le quali era stata in ad-dietro involta, per mezzo di antiche Cronache rozzequanto allo stile, ma schiette e veridiche ne' lor racconti,disotterrate dalla polvere in cui giaceano; se una innu-merabil serie di autentici documenti, racchiusi primainutilmente e condannati a imputridir negli archivj, haveduta la luce; se le rivoluzioni, i costumi, le leggi de'bassi tempi si son finalmente conosciuti per modo che

1 Il tomo IX della prima edizione, a cui questa Prefazione fu premessa, con-teneva le Giunte e le Correzioni a tutti i tomi precedenti. Queste insiemecon più altre sono state ora inserite a' loro luoghi opportuni; e per ciò si dàqui questa Prefazione, perchè nulla manchi a questa edizione di ciò ch'eranella prima.

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PREFAZIONE AL TOMO IX DELLA PRIMA EDIZIONE 1.

Quali ragioni mi abbiano determinato a non entrar nellaStoria della Letteratura del nostro corrente secolo, già siè per me accennato nella prefazione al tomo VIII di que-sta mia opera, nè fa bisogno di qui ripeterle, o di svol-gerle più lungamente. Ampio e luminoso argomentosarà al certo, per chi vorrà a tempo opportuno trattarlo,lo stato della letteratura italiana ne' primi cinquant'annidi questo secolo, per accennar questi soltanto, senza in-noltrarsi negli altri a noi troppo vicini. Se altri nel corsodi quegli anni non avesse ad additare l'Italia che un Mu-ratori e un Maffei, non potrebb'ella di essi soli andar lie-ta e superba? Se la storia di tante città italiane ha comin-ciato ad uscir dalle tenebre, fra le quali era stata in ad-dietro involta, per mezzo di antiche Cronache rozzequanto allo stile, ma schiette e veridiche ne' lor racconti,disotterrate dalla polvere in cui giaceano; se una innu-merabil serie di autentici documenti, racchiusi primainutilmente e condannati a imputridir negli archivj, haveduta la luce; se le rivoluzioni, i costumi, le leggi de'bassi tempi si son finalmente conosciuti per modo che

1 Il tomo IX della prima edizione, a cui questa Prefazione fu premessa, con-teneva le Giunte e le Correzioni a tutti i tomi precedenti. Queste insiemecon più altre sono state ora inserite a' loro luoghi opportuni; e per ciò si dàqui questa Prefazione, perchè nulla manchi a questa edizione di ciò ch'eranella prima.

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poco più resta a scoprirne; se la Storia della più anticafra le famiglie regnanti d'Italia, libera dalle favole da cuil'ignoranza e la credulità de' secoli precedenti l'avea in-gombrata, è stata posta nel vero suo lume, per tacere ditante altre opere di tanti diversi argomenti da lui pubbli-cate, non ne siam noi, e non ne saranno i nostri posteridebitori all'immortal Muratori? E se tanti pregevoli mo-numenti d'antichità, ritolti alle tenebre sono stati dotta-mente illustrati; se Verona ha avuto un rischiaratore del-la sua storia degno della sua grandezza e del suo nome,e se ha veduto nelle sue mura raccolto uno de' più ricchimusei che si offrano all'occhio di un erudito ricercatore;se l'Italia può agli stranieri additare una tragedia chedalle stesse critiche ad essa fatte trae argomento a pro-vare l'invidia che in essi ha destata; e se possiamo van-tarci di avere in un uom solo avuto un antiquario, unostorico, un filosofo, un poeta, un bibliografo, in ciasche-duno di questi generi di erudizione superiore a molti, apochi inferiore, non deesene per avventura la gloria almarch. Maffei, degno perciò della statua che a lui ancorvivo la riconoscente sua patria volle innalzare?

Ho detto che questi due uomini soli basterebbono arender gloriosa l'Italia di averli prodotti. Ma aggiungoancora, che, quando ella pur non gli avesse, potrebbetanti altri additarne che non avesse che invidiare ad al-cun'altra nazione. E a qual sorta infatti di studj si potran-no rivolgere i nostri posteri, di cui non trovino egregicoltivatori ne' lor maggiori che nel detto tempo fioriro-

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poco più resta a scoprirne; se la Storia della più anticafra le famiglie regnanti d'Italia, libera dalle favole da cuil'ignoranza e la credulità de' secoli precedenti l'avea in-gombrata, è stata posta nel vero suo lume, per tacere ditante altre opere di tanti diversi argomenti da lui pubbli-cate, non ne siam noi, e non ne saranno i nostri posteridebitori all'immortal Muratori? E se tanti pregevoli mo-numenti d'antichità, ritolti alle tenebre sono stati dotta-mente illustrati; se Verona ha avuto un rischiaratore del-la sua storia degno della sua grandezza e del suo nome,e se ha veduto nelle sue mura raccolto uno de' più ricchimusei che si offrano all'occhio di un erudito ricercatore;se l'Italia può agli stranieri additare una tragedia chedalle stesse critiche ad essa fatte trae argomento a pro-vare l'invidia che in essi ha destata; e se possiamo van-tarci di avere in un uom solo avuto un antiquario, unostorico, un filosofo, un poeta, un bibliografo, in ciasche-duno di questi generi di erudizione superiore a molti, apochi inferiore, non deesene per avventura la gloria almarch. Maffei, degno perciò della statua che a lui ancorvivo la riconoscente sua patria volle innalzare?

Ho detto che questi due uomini soli basterebbono arender gloriosa l'Italia di averli prodotti. Ma aggiungoancora, che, quando ella pur non gli avesse, potrebbetanti altri additarne che non avesse che invidiare ad al-cun'altra nazione. E a qual sorta infatti di studj si potran-no rivolgere i nostri posteri, di cui non trovino egregicoltivatori ne' lor maggiori che nel detto tempo fioriro-

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Page 10: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

no? Qual era lo stato della storia letteraria prima cheApostolo Zeno si accingesse ad illustrarla? Quante favo-le nelle Vite de' dotti! Qual superficiale ampollosità ne-gli Elogi ad essi tessuti! Quanta negligenza nell'indicarel'epoche della lor vita, l'edizioni delle lor opere, le con-tese per esse insorte! E qual sorgente inesausta di notiziein tal genere pregevolissime sono e le Lettere, e le Dis-sertazioni vossiane, e le Note alla Biblioteca di monsig.Fontanini, e il Giornale de' Letterati d'Italia, in cui egliebbe sì gran parte, e più altre opere di quell'indefessoscrittore, a cui non so se debbasi maggior lode per la va-stissima erudizione di cui fu adorno, o per le amabili edolci maniere, e per le belle virtù che ne renderon piùammirabile l'erudizione. E a lui ancora deesi il vanto diaver riformata la drammatica poesia, tanto corrotta dalreo gusto del secolo precedente, riconducendola allagravità e al decoro che debb'esserle proprio, e, aprendocosì la via al più felice e più tenero suo successore, persollevarla a tal perfezione, che omai si debba temere divederla decader nuovamente. E poichè si è qui fattamenzione della poesia, essa può certo gloriarsi di averriparato interamente il torto che il capriccio e l'irregolarfantasia di molti poeti del secolo precedente le avean re-cato. E quando si ricorderanno i nomi de' Manfredi, de'Rolli, degli Ercolani, de' Zanotti, de' Ceva, de' Lazzari-ni, de' Martelli, de' Lorenzini, de' Conti, de' Frugoni, sidovrà confessare per avventura che, se questa età nonpuò contrapporre un numero di poeti uguali a quello chefiorì nel secolo XVI, essa ne ha avuti non pochi che in

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no? Qual era lo stato della storia letteraria prima cheApostolo Zeno si accingesse ad illustrarla? Quante favo-le nelle Vite de' dotti! Qual superficiale ampollosità ne-gli Elogi ad essi tessuti! Quanta negligenza nell'indicarel'epoche della lor vita, l'edizioni delle lor opere, le con-tese per esse insorte! E qual sorgente inesausta di notiziein tal genere pregevolissime sono e le Lettere, e le Dis-sertazioni vossiane, e le Note alla Biblioteca di monsig.Fontanini, e il Giornale de' Letterati d'Italia, in cui egliebbe sì gran parte, e più altre opere di quell'indefessoscrittore, a cui non so se debbasi maggior lode per la va-stissima erudizione di cui fu adorno, o per le amabili edolci maniere, e per le belle virtù che ne renderon piùammirabile l'erudizione. E a lui ancora deesi il vanto diaver riformata la drammatica poesia, tanto corrotta dalreo gusto del secolo precedente, riconducendola allagravità e al decoro che debb'esserle proprio, e, aprendocosì la via al più felice e più tenero suo successore, persollevarla a tal perfezione, che omai si debba temere divederla decader nuovamente. E poichè si è qui fattamenzione della poesia, essa può certo gloriarsi di averriparato interamente il torto che il capriccio e l'irregolarfantasia di molti poeti del secolo precedente le avean re-cato. E quando si ricorderanno i nomi de' Manfredi, de'Rolli, degli Ercolani, de' Zanotti, de' Ceva, de' Lazzari-ni, de' Martelli, de' Lorenzini, de' Conti, de' Frugoni, sidovrà confessare per avventura che, se questa età nonpuò contrapporre un numero di poeti uguali a quello chefiorì nel secolo XVI, essa ne ha avuti non pochi che in

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vivacità d'immagini, in forza di sentimenti e in robustez-za di stile non soffrono di rimanersi addietro ad alcuno.Lo studio della lingua greca, quello delle antichità, equel della storia, e tutte le parti dell'amena letteratura,quanto hanno acquistato di ornamento e di luce dalleopere di Anton Maria Salvini, uomo nella lingua enell'erudizion greca dottissimo, del p. Odoardo Corsini,uno de' più benemeriti e de' più giudiziosi illustratoridelle antichità greche e delle latine, di monsig. Filippodella Torre, a cui pur tanto dee questa classe d'erudizio-ne, di monsig. Gianvincenzo Lucchesini elegante Scrit-tore di storia latina e non meno elegante traduttor di De-mostene, dei card. Corradini e del p. Rocco GiuseppeVolpi, da' quali abbiamo avuta la tanto pregiata operasulle Antichità del Lazio, di monsignor Fontanini, deican. Giovanni Checcozzi, di Giammario Crescimbeni,dell'arcipr. Baruffaldi, del march. Orsini e di tanti altriscrittori, i cui nomi soli potrebbonci occupare non poco.

Che se da questi piacevoli studj facciam passeggio aipiù gravi, qual nuovo e vasto campo ci si aprirebbe acorrere, e quali oggetti gloriosi all'Italia ci si offrirebbe-ro agli occhi! I due pontefici che hanno aperta e chiusala prima metà del secolo, Clemente XI io dico e Bene-detto XIV, con quali elogi dovrebbon esser esaltati! Ilprimo uomo dottissimo nella lingua greca, coltivatoreindefesso degli studj d'ogni maniera, anche fra le gravis-sime occupazioni de' ministeri prima del pontificato af-fidatigli, autore di un gran numero di trattati e di opere,

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vivacità d'immagini, in forza di sentimenti e in robustez-za di stile non soffrono di rimanersi addietro ad alcuno.Lo studio della lingua greca, quello delle antichità, equel della storia, e tutte le parti dell'amena letteratura,quanto hanno acquistato di ornamento e di luce dalleopere di Anton Maria Salvini, uomo nella lingua enell'erudizion greca dottissimo, del p. Odoardo Corsini,uno de' più benemeriti e de' più giudiziosi illustratoridelle antichità greche e delle latine, di monsig. Filippodella Torre, a cui pur tanto dee questa classe d'erudizio-ne, di monsig. Gianvincenzo Lucchesini elegante Scrit-tore di storia latina e non meno elegante traduttor di De-mostene, dei card. Corradini e del p. Rocco GiuseppeVolpi, da' quali abbiamo avuta la tanto pregiata operasulle Antichità del Lazio, di monsignor Fontanini, deican. Giovanni Checcozzi, di Giammario Crescimbeni,dell'arcipr. Baruffaldi, del march. Orsini e di tanti altriscrittori, i cui nomi soli potrebbonci occupare non poco.

Che se da questi piacevoli studj facciam passeggio aipiù gravi, qual nuovo e vasto campo ci si aprirebbe acorrere, e quali oggetti gloriosi all'Italia ci si offrirebbe-ro agli occhi! I due pontefici che hanno aperta e chiusala prima metà del secolo, Clemente XI io dico e Bene-detto XIV, con quali elogi dovrebbon esser esaltati! Ilprimo uomo dottissimo nella lingua greca, coltivatoreindefesso degli studj d'ogni maniera, anche fra le gravis-sime occupazioni de' ministeri prima del pontificato af-fidatigli, autore di un gran numero di trattati e di opere,

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poche delle quali si hanno alla luce, le altre si conserva-no presso la nobilissima sua famiglia, ristoratore diquella sacra, grave e maestosa eloquenza che rendetteuna volta sì celebri i Grisostomi e i Leoni, splendido emagnifico protettore delle belle arti e delle scienzed'ogni maniera; il secondo dotto per modo nella scienzade' sacri canoni, nella storia ecclesiastica, nella liturgia ein tutti quanti sono i rami della sacra erudizione, che po-chi a lui si possono paragonare, e le cui opere, finché laReligione avrà coltivatori e seguaci, saranno sempreconsiderate come feconde pure sorgenti a cui attinger lapiù profonda dottrina. Nè poco ci occuperebbono leopere del card. Angelo Quirini, che tanti e sì diversi ge-neri d'erudizione sacra e profana abbracciò nelle sueopere, del card. Gotti uno de' più valorosi apologisti del-la Chiesa cattolica, di monsig. Alessandro Borgia arci-vescovo di Ferrara uno dei più dotti prelati di questo se-colo, e che ha in certo modo segnata la via al viventecard. Stefano suo nipote, a cui tanto dee ogni genere dierudizione, di monsig. Francesco Bianchini illustratorbenemerito della cronologia, dell'antichità, della storia,del p. Gio: Lorenzo Lucchesini, del dott. Giuseppanto-nio Sassi e di più altri scrittori, da cui tanti punti di sto-ria ecclesiastica e di sacro e di profana erudizione sonostati sì dottamente illustrati.

Quai nomi poi dovremmo noi rammentare, quandodovessimo far passaggio allo studio della fisica e dellamatematica, o a quelli della storia naturale, della medi-

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poche delle quali si hanno alla luce, le altre si conserva-no presso la nobilissima sua famiglia, ristoratore diquella sacra, grave e maestosa eloquenza che rendetteuna volta sì celebri i Grisostomi e i Leoni, splendido emagnifico protettore delle belle arti e delle scienzed'ogni maniera; il secondo dotto per modo nella scienzade' sacri canoni, nella storia ecclesiastica, nella liturgia ein tutti quanti sono i rami della sacra erudizione, che po-chi a lui si possono paragonare, e le cui opere, finché laReligione avrà coltivatori e seguaci, saranno sempreconsiderate come feconde pure sorgenti a cui attinger lapiù profonda dottrina. Nè poco ci occuperebbono leopere del card. Angelo Quirini, che tanti e sì diversi ge-neri d'erudizione sacra e profana abbracciò nelle sueopere, del card. Gotti uno de' più valorosi apologisti del-la Chiesa cattolica, di monsig. Alessandro Borgia arci-vescovo di Ferrara uno dei più dotti prelati di questo se-colo, e che ha in certo modo segnata la via al viventecard. Stefano suo nipote, a cui tanto dee ogni genere dierudizione, di monsig. Francesco Bianchini illustratorbenemerito della cronologia, dell'antichità, della storia,del p. Gio: Lorenzo Lucchesini, del dott. Giuseppanto-nio Sassi e di più altri scrittori, da cui tanti punti di sto-ria ecclesiastica e di sacro e di profana erudizione sonostati sì dottamente illustrati.

Quai nomi poi dovremmo noi rammentare, quandodovessimo far passaggio allo studio della fisica e dellamatematica, o a quelli della storia naturale, della medi-

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Page 13: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

cina, dell'anatomia! Un marchese Poleni, un co. JacopoRiccati a cui rimarrà incerta la posterità se debba esserpiù grata o per le opere date alla luce, o pe' figli da luilasciatici, un p. Grandi, un Zendrini ne' primi: un Lanci-si, un Lanzoni, un Valsalva, un Morgagni, un Vallisnieri,un Torri, un Pacchioni, un Tilli, un Micheli ne' secondi,e l'Istituto di Bologna col suo autore e padre il celebreco. Marsigli, di quali elogi sarebbon degni, e quanto or-namento riceverebbe da essi la storia! Questi e più altriillustri scrittori, che potrebbonsi con ugual ragione quiricordare, e ch'io non pretendo di posporre ai sinor no-minati col non farne menzione, daranno un giorno aqualche penna miglior della mia copioso argomento discrivere.

Io frattanto, pago di aver condotto il mio qualunquelavoro fino al termine che mi sono prefisso, prendo oraa ritoccarlo e a toglierne quegli errori e quelle mancanzeche in parte vi ho io stesso scoperte, in parte mi sonostate additate da' cortesi e dotti amici. Una Storia di sìvasto argomento, qual è quella ch'io ho presa a tessere,avesse ella pure avuta la sorte di cader sotto la penna delpiù erudito e del più esatto scrittore che mai sia vissuto,non avrebbe potuto andare esente da molti difetti. Inquanto più gravi errori dovea cader io troppo lontanodall'aver quel corredo di erudizione, che sarebbe a ciònecessario! Io ho sempre temuto di me medesimo; con-fesso che più volte, dopo avere messo la mano al lavoro,mi ha atterrito la immensa estensione del campo ch'io

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cina, dell'anatomia! Un marchese Poleni, un co. JacopoRiccati a cui rimarrà incerta la posterità se debba esserpiù grata o per le opere date alla luce, o pe' figli da luilasciatici, un p. Grandi, un Zendrini ne' primi: un Lanci-si, un Lanzoni, un Valsalva, un Morgagni, un Vallisnieri,un Torri, un Pacchioni, un Tilli, un Micheli ne' secondi,e l'Istituto di Bologna col suo autore e padre il celebreco. Marsigli, di quali elogi sarebbon degni, e quanto or-namento riceverebbe da essi la storia! Questi e più altriillustri scrittori, che potrebbonsi con ugual ragione quiricordare, e ch'io non pretendo di posporre ai sinor no-minati col non farne menzione, daranno un giorno aqualche penna miglior della mia copioso argomento discrivere.

Io frattanto, pago di aver condotto il mio qualunquelavoro fino al termine che mi sono prefisso, prendo oraa ritoccarlo e a toglierne quegli errori e quelle mancanzeche in parte vi ho io stesso scoperte, in parte mi sonostate additate da' cortesi e dotti amici. Una Storia di sìvasto argomento, qual è quella ch'io ho presa a tessere,avesse ella pure avuta la sorte di cader sotto la penna delpiù erudito e del più esatto scrittore che mai sia vissuto,non avrebbe potuto andare esente da molti difetti. Inquanto più gravi errori dovea cader io troppo lontanodall'aver quel corredo di erudizione, che sarebbe a ciònecessario! Io ho sempre temuto di me medesimo; con-fesso che più volte, dopo avere messo la mano al lavoro,mi ha atterrito la immensa estensione del campo ch'io

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dovea correre, e la incredibile moltitudine degli oggettiche mi si offrivano ad esaminare. Perciò e nelle Prefa-zioni a' primi tomi della mia storia, e con replicate mielettere ha implorato l'aiuto di dottissimi uomini, perchècoll'esattezza delle loro ricerche riparassero i falli ne'quali io ben conosceva di dover necessariamente cadere.Le mie preghiere non sono state inutili; e io ho avuto ilpiacere di veder molti de' più eruditi uomini che abbiaora l'Italia, adoperarsi con non lieve loro fatica nel sug-gerirmi i passi ne' quali la mia Storia abbisognava dicorrezioni e di supplementi. Essi possono fare testimo-nianza con qual riconoscenza io abbia ricevuti i loro av-visi, e come me ne sia lor dichiarato tenuto non altri-mente che di un singolar beneficio. Io gli anderò indi-cando di mano in mano che se, ne offrirà l'occasione.Ma mi si permetta il ricordare fin d'ora i nomi di alcuni,a' quali singolarmente mi protesto perciò debitore; cioèdi monsignor Giuseppe Garampi nunzio apostolico allacorte di Vienna (poi cardinale), di monsig. Onorato Gae-tani de' duchi di Sermoneta, del sig. ab. Pierantonio Se-rassi, del sig. ab. Francesco Cancellieri, del p. LettorTommaso Verani agostiniano della Congregazione diLombardia, del sig. Annibale degli Abati Olivieri, del n.n. Sig. Roberto Pappafava, del sig. ab. Jacopo Morellicustode della libreria di s. Marco, del sig. co. GiovanniFantuzzi, del p. ab. d. Giovanni Grisostomo Trombellican. reg. del Salvatore, del p. ab. d. Andrea Mazza mo-naco casinese, del p. Ireneo Affò, minor osservante re-gio bibliotecario in Parma, di monsig. Rambaldo degli

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dovea correre, e la incredibile moltitudine degli oggettiche mi si offrivano ad esaminare. Perciò e nelle Prefa-zioni a' primi tomi della mia storia, e con replicate mielettere ha implorato l'aiuto di dottissimi uomini, perchècoll'esattezza delle loro ricerche riparassero i falli ne'quali io ben conosceva di dover necessariamente cadere.Le mie preghiere non sono state inutili; e io ho avuto ilpiacere di veder molti de' più eruditi uomini che abbiaora l'Italia, adoperarsi con non lieve loro fatica nel sug-gerirmi i passi ne' quali la mia Storia abbisognava dicorrezioni e di supplementi. Essi possono fare testimo-nianza con qual riconoscenza io abbia ricevuti i loro av-visi, e come me ne sia lor dichiarato tenuto non altri-mente che di un singolar beneficio. Io gli anderò indi-cando di mano in mano che se, ne offrirà l'occasione.Ma mi si permetta il ricordare fin d'ora i nomi di alcuni,a' quali singolarmente mi protesto perciò debitore; cioèdi monsignor Giuseppe Garampi nunzio apostolico allacorte di Vienna (poi cardinale), di monsig. Onorato Gae-tani de' duchi di Sermoneta, del sig. ab. Pierantonio Se-rassi, del sig. ab. Francesco Cancellieri, del p. LettorTommaso Verani agostiniano della Congregazione diLombardia, del sig. Annibale degli Abati Olivieri, del n.n. Sig. Roberto Pappafava, del sig. ab. Jacopo Morellicustode della libreria di s. Marco, del sig. co. GiovanniFantuzzi, del p. ab. d. Giovanni Grisostomo Trombellican. reg. del Salvatore, del p. ab. d. Andrea Mazza mo-naco casinese, del p. Ireneo Affò, minor osservante re-gio bibliotecario in Parma, di monsig. Rambaldo degli

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Azzoni conte Avogaro e di monsig. Giovanni conteTrieste amendue canonici in Trevigi, di monsig. France-sco Scipione Dondi dall'Orologio canonico di Padova,del sig. march. Carlo Valenti Gonzaga, del sig. ab. Save-rio Bettinelli, del sig. ab. d. Giovanni Andres, del p. Eu-stachio Michele d'Afflitto dell'Ord. dei Predicatori, delsig. d. Domenico Diodati, del signor d. Baldassare Po-padia, del sig. Giuseppe Bencivenni già Pelli custodedella real galleria in Firenze, del sig. d. Baldassare Ol-trocchi prefetto della biblioteca ambrosiana, del sig. ab.Giuseppe Antonio Cantova, di monsiglior Mario Lupiprimicerio della cattedrale di Bergamo, del sig. baroneGiuseppe Vernazza segretario di Stato di s. m. il re diSardegna, e fuor dell'Italia del sig. Pierantonio Crevennad'Amsterdam, del sig. ab. Mercier abate di S. Leger, delsig. Cristoforo Teofilo de Murr patrizio, di Norimberga,oltre più altri che a suo luogo dovrem rammentare 2.Qual sorte per me, anzi qual sorte per l'italiana letteratu-ra, è stata che tanti valentuomini siensi uniti in correg-gere que' difetti de' quali io avea sparsa questa mia Sto-ria!

L'uso che io ho fatto delle erudite lor riflessioni, darà,io spero, a conoscere quanto io sia lungi dall'ostinarmiin ciò che una volta ho asserito, e quanto volentieri io2 Dopo la prima edizione, molti altri mi hanno gentilmente comunicati i lor

lumi; e tra essi debbo rammentare singolarmente il sig. ab. Gaetano Mariniarchivista vaticano, il sig. Vincenzo Malacarne professore nella reale uni-versità di Pavia, il p. ab. d. Angelo Fumagalli cistercense, il sig. ab. Giu-seppe Gennari, il sig. Giuseppe Beltramelli ad altri che in più luoghi sonostati nominati.

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Azzoni conte Avogaro e di monsig. Giovanni conteTrieste amendue canonici in Trevigi, di monsig. France-sco Scipione Dondi dall'Orologio canonico di Padova,del sig. march. Carlo Valenti Gonzaga, del sig. ab. Save-rio Bettinelli, del sig. ab. d. Giovanni Andres, del p. Eu-stachio Michele d'Afflitto dell'Ord. dei Predicatori, delsig. d. Domenico Diodati, del signor d. Baldassare Po-padia, del sig. Giuseppe Bencivenni già Pelli custodedella real galleria in Firenze, del sig. d. Baldassare Ol-trocchi prefetto della biblioteca ambrosiana, del sig. ab.Giuseppe Antonio Cantova, di monsiglior Mario Lupiprimicerio della cattedrale di Bergamo, del sig. baroneGiuseppe Vernazza segretario di Stato di s. m. il re diSardegna, e fuor dell'Italia del sig. Pierantonio Crevennad'Amsterdam, del sig. ab. Mercier abate di S. Leger, delsig. Cristoforo Teofilo de Murr patrizio, di Norimberga,oltre più altri che a suo luogo dovrem rammentare 2.Qual sorte per me, anzi qual sorte per l'italiana letteratu-ra, è stata che tanti valentuomini siensi uniti in correg-gere que' difetti de' quali io avea sparsa questa mia Sto-ria!

L'uso che io ho fatto delle erudite lor riflessioni, darà,io spero, a conoscere quanto io sia lungi dall'ostinarmiin ciò che una volta ho asserito, e quanto volentieri io2 Dopo la prima edizione, molti altri mi hanno gentilmente comunicati i lor

lumi; e tra essi debbo rammentare singolarmente il sig. ab. Gaetano Mariniarchivista vaticano, il sig. Vincenzo Malacarne professore nella reale uni-versità di Pavia, il p. ab. d. Angelo Fumagalli cistercense, il sig. ab. Giu-seppe Gennari, il sig. Giuseppe Beltramelli ad altri che in più luoghi sonostati nominati.

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cambi opinione, quando mi si recan monumenti e ragio-ni che mi persuadono. Parrà forse ad alcuno che da que-sta legge mi sia dispensato solo in riguardo al Saggiodel sig. ab. d. Saverio Lampillas che ne' quattro tomi diesso da me finora veduti si è impiegato singolarmente inribattere le calunnie colle quali egli pretende ch'io abbiacercato di oscurare la fama della letteratura spagnuola.Ho creduto di dover rispondere a diversi capi d'accusa,co' quali ei mi ha voluto spacciare come dichiarato ni-mico della sua nazione; e confesso che nel rispondereho forse secondata alquanto quella vivacità da cui guar-dasi difficilmente chi si sente oltraggiato in ciò di chedee esser più sollecito, cioè nell'onore. Perchè non haegli il sig. ab. Lampillas, uomo, com'egli è certamente,di acuto ingegno, di molto studio, di vasta erudizione,tenuta una via alquanto diversa nell'illustrare la gloriadella sua Spagna? Perchè invece di fingersi in me un ne-mico de' suoi concittadini, e invece di credere, o almendi affermare ch'io avea diretta, per quanto pareva, la miaStoria a disonorar gli Spagnuoli, non ha egli impiegatoil suo felice talento a far conoscere all'Italia quanto lasua nazione sia degna della stima de' dotti, e quanti uo-mini in ogni genere di sapere chiarissimi abbia prodotti?Io sarei stato il primo a far plauso al suo amor patriotti-co, e mi sarei unito con lui a celebrare que' celebri geniche la Spagna ci ha dati. Quelli che ho l'onore di avereper corrispondenti ed amici, sanno quale stima io facciadella Biblioteca spagnuola di Niccolò Antonio, ch'io so-glio rimirare come una delle più belle opere in genere di

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cambi opinione, quando mi si recan monumenti e ragio-ni che mi persuadono. Parrà forse ad alcuno che da que-sta legge mi sia dispensato solo in riguardo al Saggiodel sig. ab. d. Saverio Lampillas che ne' quattro tomi diesso da me finora veduti si è impiegato singolarmente inribattere le calunnie colle quali egli pretende ch'io abbiacercato di oscurare la fama della letteratura spagnuola.Ho creduto di dover rispondere a diversi capi d'accusa,co' quali ei mi ha voluto spacciare come dichiarato ni-mico della sua nazione; e confesso che nel rispondereho forse secondata alquanto quella vivacità da cui guar-dasi difficilmente chi si sente oltraggiato in ciò di chedee esser più sollecito, cioè nell'onore. Perchè non haegli il sig. ab. Lampillas, uomo, com'egli è certamente,di acuto ingegno, di molto studio, di vasta erudizione,tenuta una via alquanto diversa nell'illustrare la gloriadella sua Spagna? Perchè invece di fingersi in me un ne-mico de' suoi concittadini, e invece di credere, o almendi affermare ch'io avea diretta, per quanto pareva, la miaStoria a disonorar gli Spagnuoli, non ha egli impiegatoil suo felice talento a far conoscere all'Italia quanto lasua nazione sia degna della stima de' dotti, e quanti uo-mini in ogni genere di sapere chiarissimi abbia prodotti?Io sarei stato il primo a far plauso al suo amor patriotti-co, e mi sarei unito con lui a celebrare que' celebri geniche la Spagna ci ha dati. Quelli che ho l'onore di avereper corrispondenti ed amici, sanno quale stima io facciadella Biblioteca spagnuola di Niccolò Antonio, ch'io so-glio rimirare come una delle più belle opere in genere di

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storia letteraria, che abbia veduta la luce. Sanno che ioho proccurato che a questa ducal biblioteca non mancas-sero i Cataloghi de' MSS. arabici e greci delle regie Bi-blioteche pieni di esatte e profonde ricerche per operade' signori Casiri ed Iriarte, che con somma diligenza glihan compilati, la bellissima edizione del Sallustio spa-gnuolo, a cui aggiungono sì gran pregio e la eccelsamano impiegatasi nel tradurlo, e le dottissime Disserta-zioni del sig. can. Bayero, a cui pochi si uguagliano nel-la cognizione delle antichità fenicie e greche, la conti-nuazione della España Sacrada, e della Raccolta delleMedaglie spagnuole, la Raccolta delle Poesie spagnuoleanteriori al secolo XV, dottamente illustrate da donTommaso Sanchez, ed altre opere piene di reconditaerudizione, che in questi ultimi anni singolarmente ci hadate la Spagna. Sanno finalmente in qual pregio io abbiale opere de' Perpiniani, degli Agostini, de' Mariana, de'Martini, de' Majansi e di più altri colti ed eleganti scrit-tori spagnuoli, ai quali renderò sempre quella giustiziache al loro raro talento è dovuta. Ma che io non dovessiperciò parlare di Seneca, di Lucano, e di Marziale, comehan finora parlato quanti hanno avuta idea del buon gu-sto; che non dovessi dire ciò che tanti anche fra gli stra-nieri hanno detto, che dall'Italia si è sparso nelle altreprovincie d'Europa quel germe della buona letteratura, ilquale sì copiosi frutti ha prodotto; che dovessi intornoalla patria di alcuni scrittori seguir quella opinione che ame paresse o falsa, o dubbiosa; che mi si dovesse impu-tare di delitto se io ripetessi ciò che della decadenza del-

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storia letteraria, che abbia veduta la luce. Sanno che ioho proccurato che a questa ducal biblioteca non mancas-sero i Cataloghi de' MSS. arabici e greci delle regie Bi-blioteche pieni di esatte e profonde ricerche per operade' signori Casiri ed Iriarte, che con somma diligenza glihan compilati, la bellissima edizione del Sallustio spa-gnuolo, a cui aggiungono sì gran pregio e la eccelsamano impiegatasi nel tradurlo, e le dottissime Disserta-zioni del sig. can. Bayero, a cui pochi si uguagliano nel-la cognizione delle antichità fenicie e greche, la conti-nuazione della España Sacrada, e della Raccolta delleMedaglie spagnuole, la Raccolta delle Poesie spagnuoleanteriori al secolo XV, dottamente illustrate da donTommaso Sanchez, ed altre opere piene di reconditaerudizione, che in questi ultimi anni singolarmente ci hadate la Spagna. Sanno finalmente in qual pregio io abbiale opere de' Perpiniani, degli Agostini, de' Mariana, de'Martini, de' Majansi e di più altri colti ed eleganti scrit-tori spagnuoli, ai quali renderò sempre quella giustiziache al loro raro talento è dovuta. Ma che io non dovessiperciò parlare di Seneca, di Lucano, e di Marziale, comehan finora parlato quanti hanno avuta idea del buon gu-sto; che non dovessi dire ciò che tanti anche fra gli stra-nieri hanno detto, che dall'Italia si è sparso nelle altreprovincie d'Europa quel germe della buona letteratura, ilquale sì copiosi frutti ha prodotto; che dovessi intornoalla patria di alcuni scrittori seguir quella opinione che ame paresse o falsa, o dubbiosa; che mi si dovesse impu-tare di delitto se io ripetessi ciò che della decadenza del-

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la letteratura e della corruzion del buon gusto avean pri-ma di me affermato cent'altri scrittori; ch'io dovessi nel-la Storia della Letteratura italiana far l'elogio del card.Torquemada, del Tostato e del p. Cassafages; come po-tea io crederlo, come potea sospettare che io dovessiperciò essere tratto quasi in giudizio innanzi al tribunaledella nazione spagnuola, ed accusato come autore diun'opera diretta principalmente a screditarla? Io però hoavuto un troppo dolce e onorevol conforto al dispiacereche mi ha recato il soverchio amor patriottico del sig.ab. Lampillas, e ne' sentimenti co' quali alcuni de' piùdotti spagnuoli si son dichiarati intorno al merito di que-sta contesa, e nella per me troppo onorevole accoglienzache la reale Accademia di Storia di Madrid si è degnatadi fare alla mia Storia da me trasmessale, perchè in ciòella avesse una testimonianza della mia stima per quellasì illustre adunanza, e per tutta quella nazione, della cuiletteratura essa è in certo modo arbitra e legislatrice.

Io desidero adunque che nel leggere le risposte ch'ioanderò di mano in mano facendo alle accuse del sig. ab.Lampillas, si abbian sempre presenti que' sentimenti distima ch'io mi son protestato di avere per la nazione spa-gnuola, e che si troveranno ancor ripetuti nel decorso diqueste Giunte. Che sia per giudicare di esse l'ab. Lam-pillas, chi può saperlo? Forse ei ne trarrà materia di piùvolumi: forse troverà in esse altri delitti di cui accusar-mi, e prendendo le mie parole in quel senso che più glitornerà in grado, mi rimprovererà infedeltà, alterazioni,

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la letteratura e della corruzion del buon gusto avean pri-ma di me affermato cent'altri scrittori; ch'io dovessi nel-la Storia della Letteratura italiana far l'elogio del card.Torquemada, del Tostato e del p. Cassafages; come po-tea io crederlo, come potea sospettare che io dovessiperciò essere tratto quasi in giudizio innanzi al tribunaledella nazione spagnuola, ed accusato come autore diun'opera diretta principalmente a screditarla? Io però hoavuto un troppo dolce e onorevol conforto al dispiacereche mi ha recato il soverchio amor patriottico del sig.ab. Lampillas, e ne' sentimenti co' quali alcuni de' piùdotti spagnuoli si son dichiarati intorno al merito di que-sta contesa, e nella per me troppo onorevole accoglienzache la reale Accademia di Storia di Madrid si è degnatadi fare alla mia Storia da me trasmessale, perchè in ciòella avesse una testimonianza della mia stima per quellasì illustre adunanza, e per tutta quella nazione, della cuiletteratura essa è in certo modo arbitra e legislatrice.

Io desidero adunque che nel leggere le risposte ch'ioanderò di mano in mano facendo alle accuse del sig. ab.Lampillas, si abbian sempre presenti que' sentimenti distima ch'io mi son protestato di avere per la nazione spa-gnuola, e che si troveranno ancor ripetuti nel decorso diqueste Giunte. Che sia per giudicare di esse l'ab. Lam-pillas, chi può saperlo? Forse ei ne trarrà materia di piùvolumi: forse troverà in esse altri delitti di cui accusar-mi, e prendendo le mie parole in quel senso che più glitornerà in grado, mi rimprovererà infedeltà, alterazioni,

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troncamenti, ec., e io mi aspetto, fra l'altre cose, ch'eimeni un alto rumore perchè al principio delle Giunte hoasserito che dopo la pubblicazione della mia lettera, nel-la quale mi protestava di non aver mai avute le ree in-tenzioni da lui attribuitemi, egli ha voluto sostenerech'io aveale avute veramente, e che a lui più che a me inciò doveasi fede; e che citerà contro di me la sua stessarisposta, nella quale vorrebbe far credere che non miavesse mai attribuite cotali intenzioni. Ma chi leggerà larisposta medesima, vedrà che significhino tali parole, ecome in esse ancora ei continuamente mi rimprovera learti da me usate e gli occulti miei fini da lui accortamen-te scoperti. Qualunque cosa però egli dica, con qualun-que numero di volumi mi assalti, sia egli pur certo ch'ionon riprendo la penna in mano per fargli altra risposta.Io sono sempre stato nimico delle battaglie; e mi sareivolentieri da questa ancora astenuto, s'ei non mi avesseassalito da tal fianco, che mi rendesse necessario il di-fendermi, per isfuggir quei disgusti che dal mio silenziopotean nascere, ove esso si considerasse come una con-fession del reato da lui appostomi.

Or tornando alle Giunte, io le ho distribuite secondol'ordine de' volumi della mia Storia. Ma mi è avvenutociò che in tai lavori suole spesso accadere. Mentre leGiunte si andavano stampando, altre osservazioni o mivenivano da' miei amici comunicate, o per esse medesi-me mi si offrivano. Quindi alle prime Giunte mi è con-venuto l'aggiugnere le seconde, e alle seconde le terze.

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troncamenti, ec., e io mi aspetto, fra l'altre cose, ch'eimeni un alto rumore perchè al principio delle Giunte hoasserito che dopo la pubblicazione della mia lettera, nel-la quale mi protestava di non aver mai avute le ree in-tenzioni da lui attribuitemi, egli ha voluto sostenerech'io aveale avute veramente, e che a lui più che a me inciò doveasi fede; e che citerà contro di me la sua stessarisposta, nella quale vorrebbe far credere che non miavesse mai attribuite cotali intenzioni. Ma chi leggerà larisposta medesima, vedrà che significhino tali parole, ecome in esse ancora ei continuamente mi rimprovera learti da me usate e gli occulti miei fini da lui accortamen-te scoperti. Qualunque cosa però egli dica, con qualun-que numero di volumi mi assalti, sia egli pur certo ch'ionon riprendo la penna in mano per fargli altra risposta.Io sono sempre stato nimico delle battaglie; e mi sareivolentieri da questa ancora astenuto, s'ei non mi avesseassalito da tal fianco, che mi rendesse necessario il di-fendermi, per isfuggir quei disgusti che dal mio silenziopotean nascere, ove esso si considerasse come una con-fession del reato da lui appostomi.

Or tornando alle Giunte, io le ho distribuite secondol'ordine de' volumi della mia Storia. Ma mi è avvenutociò che in tai lavori suole spesso accadere. Mentre leGiunte si andavano stampando, altre osservazioni o mivenivano da' miei amici comunicate, o per esse medesi-me mi si offrivano. Quindi alle prime Giunte mi è con-venuto l'aggiugnere le seconde, e alle seconde le terze.

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Nelle opere di questo genere ogni giorno si vanno sco-prendo monumenti e notizie che giovano a correggerle,o a migliorarle. Fra qualche anno, ove a Dio piaccia diconcedermi tanto di vita, io penso di fare una nuova edi-zione della mia Storia, in cui queste Giunte saranno a'loro luoghi più opportunamente inserite. E quando frat-tanto, com'è probabile, si vengano a trovar altre cose daaggiugnersi, o da cambiarsi, ad esse ancora si darà luo-go, coll'avvertenza però di stamparle anche a parte aduso di quelli che hanno questa edizione 3.

Un pregevole monumento della letteratura italiana delsecolo XVI ho pubblicato in questo tomo. Il celebrePaolo Giovio, allor quando dopo il famoso sacco diRoma nel 1527 ritirossi per qualche tempo nell'isolad'Ischia, detta latinamente Aenaria, scrisse a sollievodelle disgrazie da lui sofferte tre dialoghi, uno su' famo-si generali, l'altro su gli uomini dotti, il terzo sulle ma-trone più celebri de' suoi tempi. Questi insieme con altreopere di esso conservansi in Como presso il sig. co.Giambattista Giovio, che in età giovanile ha già fatto inpiù opere conoscere al mondo il suo ingegno e la suaerudizione. Egli mi ha cortesemente trasmessa copia delsecondo, benchè mancante del suo principio, come cosaadattata all'argomento di questa mia Storia. E io ho cre-duto di far cosa grata agli amanti della letteratura colrenderlo pubblico per le belle notizie che in essos'incontrano di molti di quegli uomini dotti, de' quali nel

3 Così si è fatto in questa nuova edizione.

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Nelle opere di questo genere ogni giorno si vanno sco-prendo monumenti e notizie che giovano a correggerle,o a migliorarle. Fra qualche anno, ove a Dio piaccia diconcedermi tanto di vita, io penso di fare una nuova edi-zione della mia Storia, in cui queste Giunte saranno a'loro luoghi più opportunamente inserite. E quando frat-tanto, com'è probabile, si vengano a trovar altre cose daaggiugnersi, o da cambiarsi, ad esse ancora si darà luo-go, coll'avvertenza però di stamparle anche a parte aduso di quelli che hanno questa edizione 3.

Un pregevole monumento della letteratura italiana delsecolo XVI ho pubblicato in questo tomo. Il celebrePaolo Giovio, allor quando dopo il famoso sacco diRoma nel 1527 ritirossi per qualche tempo nell'isolad'Ischia, detta latinamente Aenaria, scrisse a sollievodelle disgrazie da lui sofferte tre dialoghi, uno su' famo-si generali, l'altro su gli uomini dotti, il terzo sulle ma-trone più celebri de' suoi tempi. Questi insieme con altreopere di esso conservansi in Como presso il sig. co.Giambattista Giovio, che in età giovanile ha già fatto inpiù opere conoscere al mondo il suo ingegno e la suaerudizione. Egli mi ha cortesemente trasmessa copia delsecondo, benchè mancante del suo principio, come cosaadattata all'argomento di questa mia Storia. E io ho cre-duto di far cosa grata agli amanti della letteratura colrenderlo pubblico per le belle notizie che in essos'incontrano di molti di quegli uomini dotti, de' quali nel

3 Così si è fatto in questa nuova edizione.

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decorso della Storia si è favellato 4.Io avea per ultimo disegnato di unire alle Giunte

l'Indice generale formandone un sol volume. Ma le pri-me sono a tal segno cresciute, e il secondo è di taleestensione, ch'è stato necessario il formarne due tomiciaschedun de' quali sarà uguale a un di presso di moleai precedenti.

4 Questo frammento in questa nuova edizione è stato aggiunto alla fine del-la Storia del secolo XVI, a cui appartiene.

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decorso della Storia si è favellato 4.Io avea per ultimo disegnato di unire alle Giunte

l'Indice generale formandone un sol volume. Ma le pri-me sono a tal segno cresciute, e il secondo è di taleestensione, ch'è stato necessario il formarne due tomiciaschedun de' quali sarà uguale a un di presso di moleai precedenti.

4 Questo frammento in questa nuova edizione è stato aggiunto alla fine del-la Storia del secolo XVI, a cui appartiene.

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AVVISO A CHI LEGGE

Per compimento dell'opera mi è sembrato opportunol'aggiugnere al fine di questo tomo alcuni opuscoli chead essa appartengono. Essi sono:

I. La Lettera da me pubblicata nel 1778 in risposta alSig. ab. d. Saverio Lampillas, il quale nel suo Saggiostorico apologetico della Letteratura spagnuola avea in-trapreso non tanto a difender le glorie della sua nazione,nel che io gli avrei fatto plauso, quanto a rappresentarmicome nimico della nazione medesima, e a cercar di per-suadere che nella mia Storia io avessi singolarmentepensato a screditarla. Quali ragioni m'obbligassero apubblicarla, si vedrà dalla lettera stessa.

II. La Risposta che il sig. ab. Lampillas fece alla miaLettera, con alcune brevi annotazioni ad essa da me ag-giunte, le quali possono, se mal non avviso, tener luogodi Replica a mostrare da qual parte sia la ragione.

III. La Lettera al reverendissimo padre N. N. autoredelle Annotazioni aggiunte alla edizione romana di que-sta Storia. L'an. 1782. s'intraprese in Roma una nuovaedizione della mia Storia, e mi fu scritto che chi sopra-stava allora alla censura de' Libri, andava correggendo-ne a suo capriccio quà e là qualche passo. Ciò mi co-strinse a far qui pubblicare dalla Società tipografica ilseguente manifesto.

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AVVISO A CHI LEGGE

Per compimento dell'opera mi è sembrato opportunol'aggiugnere al fine di questo tomo alcuni opuscoli chead essa appartengono. Essi sono:

I. La Lettera da me pubblicata nel 1778 in risposta alSig. ab. d. Saverio Lampillas, il quale nel suo Saggiostorico apologetico della Letteratura spagnuola avea in-trapreso non tanto a difender le glorie della sua nazione,nel che io gli avrei fatto plauso, quanto a rappresentarmicome nimico della nazione medesima, e a cercar di per-suadere che nella mia Storia io avessi singolarmentepensato a screditarla. Quali ragioni m'obbligassero apubblicarla, si vedrà dalla lettera stessa.

II. La Risposta che il sig. ab. Lampillas fece alla miaLettera, con alcune brevi annotazioni ad essa da me ag-giunte, le quali possono, se mal non avviso, tener luogodi Replica a mostrare da qual parte sia la ragione.

III. La Lettera al reverendissimo padre N. N. autoredelle Annotazioni aggiunte alla edizione romana di que-sta Storia. L'an. 1782. s'intraprese in Roma una nuovaedizione della mia Storia, e mi fu scritto che chi sopra-stava allora alla censura de' Libri, andava correggendo-ne a suo capriccio quà e là qualche passo. Ciò mi co-strinse a far qui pubblicare dalla Società tipografica ilseguente manifesto.

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Agli eruditi italiani la Società tipografica di Modena.

Mentre sta per uscire l'ultimo tomo della Storia dellaLetteratura italiana, che comprende l'indice generalecon alcune altre Giunte e Correzioni all'opera tutta,veggiamo annunciarsi una nuova edizione della Storiamedesima, che dopo le ristampe di Firenze e di Napoliintraprendesi nella stamperia Salvioni in Roma. La no-stra Società si compiacerebbe nel vedere onorata dalfavore de' dotti un'opera uscita la prima volta dai suoitorchi, se potesse lusingarsi che l'edizione romana nonsi discostasse dall'originale se non nell'aggiugnere inpiè di pagina a' luoghi loro le Correzioni e le Giunteche l'autore in questa prima edizione ha dovute neces-sariamente collocare insieme unite al fin dell'opera. Maci vien fatto sapere che taluno, abusando dell'autoritàconferitagli, ha il coraggio di cambiare, di correggere,di troncare a capriccio ciò che gli sembra meglio. Que-sto, a dir vero, è un nuovo genere di dispotismo non piùveduto. La legittima autorità può e dee provvedere chenon si pubblichin libri, i quali contengano massime pe-ricolose ed erronee in ciò che appartiene alla Religio-ne, al governo, al costume. Se si soggetta alla revisioneun libro che contenga alcuna di tali massime, deesi av-vertire l'autore, acciocchè la tolga, o la corregga. S'ei

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Agli eruditi italiani la Società tipografica di Modena.

Mentre sta per uscire l'ultimo tomo della Storia dellaLetteratura italiana, che comprende l'indice generalecon alcune altre Giunte e Correzioni all'opera tutta,veggiamo annunciarsi una nuova edizione della Storiamedesima, che dopo le ristampe di Firenze e di Napoliintraprendesi nella stamperia Salvioni in Roma. La no-stra Società si compiacerebbe nel vedere onorata dalfavore de' dotti un'opera uscita la prima volta dai suoitorchi, se potesse lusingarsi che l'edizione romana nonsi discostasse dall'originale se non nell'aggiugnere inpiè di pagina a' luoghi loro le Correzioni e le Giunteche l'autore in questa prima edizione ha dovute neces-sariamente collocare insieme unite al fin dell'opera. Maci vien fatto sapere che taluno, abusando dell'autoritàconferitagli, ha il coraggio di cambiare, di correggere,di troncare a capriccio ciò che gli sembra meglio. Que-sto, a dir vero, è un nuovo genere di dispotismo non piùveduto. La legittima autorità può e dee provvedere chenon si pubblichin libri, i quali contengano massime pe-ricolose ed erronee in ciò che appartiene alla Religio-ne, al governo, al costume. Se si soggetta alla revisioneun libro che contenga alcuna di tali massime, deesi av-vertire l'autore, acciocchè la tolga, o la corregga. S'ei

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ricusa di fare alcun cambiamento, si può vietarne lastampa. Se non ostante il divieto, si stampa il libro, sipuò proibirne la lettura e lo smercio. Ma niuno ha maipensato che sia lecito ad alcuno, senza consultar primal'autore, il correggere e il cambiare ciò ch'egli ha scrit-to, e il fargli dire ciò ch'egli non ha mai avuta intenzio-ne di dire. Se si fosse fatto sapere all'autor della Storiadella Letteratura italiana, che bramavasi da lui la cor-rezione di tale e di tal altro passo, egli, quando avessetrovata la correzion ragionevole, ben volentieri l'avreb-be fatto. Che se non gli fosse sembrata tale, avrebbeesposte le sue ragioni; e quando queste non fosser cre-dute abbastanza valevoli, non avrebbe avuta difficoltà apermettere che si aggiugnesse qualche nota in piè dipagina, con cui si confutasse il preteso suo errore. Poi-ché dunque si è voluto usar con lui di questo nuovo ge-nere di dispotismo, ei protesta e ci ordina di far saperea tutti in suo nome, ch'egli non riconosce, nè riconosce-rà mai come sua l'edizione romana, che anzi la disap-pruova e condanna; e prega chiunque onora di un cor-tese compatimento la sua Storia ad usare di qualunquealtra edizione, fuorché di quella della stamperia Salvio-ni. Egli frattanto, quando abbia condotta a fine qualchealtra opera che ora ha tra le mani, penserà egli stesso auna nuova edizione; in cui oltre l'inserire a' lor proprjluoghi le Correzioni e le Giunte, ritoccherà e miglioreràin gran parte la Storia. E questa nostra edizione, chesupererà in bellezza la prima, e non sarà inferiore aquella che da' torchi del Salvioni si va promulgando,

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ricusa di fare alcun cambiamento, si può vietarne lastampa. Se non ostante il divieto, si stampa il libro, sipuò proibirne la lettura e lo smercio. Ma niuno ha maipensato che sia lecito ad alcuno, senza consultar primal'autore, il correggere e il cambiare ciò ch'egli ha scrit-to, e il fargli dire ciò ch'egli non ha mai avuta intenzio-ne di dire. Se si fosse fatto sapere all'autor della Storiadella Letteratura italiana, che bramavasi da lui la cor-rezione di tale e di tal altro passo, egli, quando avessetrovata la correzion ragionevole, ben volentieri l'avreb-be fatto. Che se non gli fosse sembrata tale, avrebbeesposte le sue ragioni; e quando queste non fosser cre-dute abbastanza valevoli, non avrebbe avuta difficoltà apermettere che si aggiugnesse qualche nota in piè dipagina, con cui si confutasse il preteso suo errore. Poi-ché dunque si è voluto usar con lui di questo nuovo ge-nere di dispotismo, ei protesta e ci ordina di far saperea tutti in suo nome, ch'egli non riconosce, nè riconosce-rà mai come sua l'edizione romana, che anzi la disap-pruova e condanna; e prega chiunque onora di un cor-tese compatimento la sua Storia ad usare di qualunquealtra edizione, fuorché di quella della stamperia Salvio-ni. Egli frattanto, quando abbia condotta a fine qualchealtra opera che ora ha tra le mani, penserà egli stesso auna nuova edizione; in cui oltre l'inserire a' lor proprjluoghi le Correzioni e le Giunte, ritoccherà e miglioreràin gran parte la Storia. E questa nostra edizione, chesupererà in bellezza la prima, e non sarà inferiore aquella che da' torchi del Salvioni si va promulgando,

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speriamo che sarà di buon animo preferita a una edi-zione alterata e guasta, e dall'autor medesimo solenne-mente riprovata.25 Maggio 1782.

Questo manifesto sparso per Roma, destò gran rumo-re. Molti degli associati ritirarono le loro sottoscrizioni,e lo stampatore si vide al pericolo di restare abbandona-to. Quindi, o fosse, come taluno credette, per superiorecomando, o fosse per qualunque altra ragione, il severoaristarco piegossi, e permise che l'opera si stampassequal era uscita dalle mani del suo autore. Ma parendogliche in più luoghi io avessi gravemente errato in puntiche alla Religione appartengono, e temendo che gravescandalo potesse nascerne e grande danno, aggiunse allaStoria alcune note, nelle quali ei prese a riprendermi e acorreggermi dolcemente. Perciò allor quando vidi l'edi-zion romana condotta al suo compimento, mi credetti inobbligo di rendere all'amorevol mio correttore i dovutiringraziamenti, e il feci colla detta Lettera, la quale puòancor giovare a rischiarare qualche passo della Storiamedesima.

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speriamo che sarà di buon animo preferita a una edi-zione alterata e guasta, e dall'autor medesimo solenne-mente riprovata.25 Maggio 1782.

Questo manifesto sparso per Roma, destò gran rumo-re. Molti degli associati ritirarono le loro sottoscrizioni,e lo stampatore si vide al pericolo di restare abbandona-to. Quindi, o fosse, come taluno credette, per superiorecomando, o fosse per qualunque altra ragione, il severoaristarco piegossi, e permise che l'opera si stampassequal era uscita dalle mani del suo autore. Ma parendogliche in più luoghi io avessi gravemente errato in puntiche alla Religione appartengono, e temendo che gravescandalo potesse nascerne e grande danno, aggiunse allaStoria alcune note, nelle quali ei prese a riprendermi e acorreggermi dolcemente. Perciò allor quando vidi l'edi-zion romana condotta al suo compimento, mi credetti inobbligo di rendere all'amorevol mio correttore i dovutiringraziamenti, e il feci colla detta Lettera, la quale puòancor giovare a rischiarare qualche passo della Storiamedesima.

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INDICE, E SOMMARIO

DEL TOMO OTTAVO PARTE SECONDA.

LIBRO TERZO.Belle Lettere ed Arti.

CAPO I.Storia.

I. Moltitudine e caratteri degli storici di questo secolo. II. Scrittoridi cronologia. III. Scrittori di geografia. IV. Scrittori intorno alleantichità. V. Raccoglitori e illustratori di medaglie. VI Illustratoridelle antichità siciliane. VII. Raccoglitori e illustratori di anticheiscrizioni. VIII. Elogio di Raffaello Fabretti. IX. Altri antiquarj.X. Continuazion de' medesimi. XI. Elogio di Ottavio Ferrari. XII.Scrittori della Storia de' tempi loro. XIII. Scrittori della Storia ge-nerale d'Italia. XIV. Scrittori della Storia d'Italia di questo secolo.XV. Storici delle città particolari dallo Stato pontificio. XVI. Delregno di Napoli. XVII. Della Toscana. XVIII. Della Repubblicadi Venezia. XIX. Delle città dello Stato veneto. XX. Storici mila-nesi: elogio del Puricelli. XXI. Delle altre città dello Stato di Mi-lano e di Mantova. XXII. Delle altre provincie d'Italia. XXIII. Ita-liani scrittori della Storia di Allemagna. XXIV. Della Storia diFrancia: elogio del Davila. XXV. Delle Guerre di Fiandra; notiziedel card. Bentivoglio e del p. Strada. XXVI. Loro Storie e lorocarattere. XXVII. Altri scrittori di Storia straniera. XXVIII. Scrit-tori della Storia generale delle Belle Arti. XXIX. Storie particola-ri degli artisti. XXX. Scrittori di Storia letteraria. XXXI. Notiziedi Gianvittorio Rossi. XXXII. Del dott. Giovanni Cinelli. XX-XIII. Cominciamento de' Giornali letterarj. XXXIV. Scrittori ge-nealogici. XXXV. Notizie di Traiano Boccalini. XXXVI. Scrittori

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INDICE, E SOMMARIO

DEL TOMO OTTAVO PARTE SECONDA.

LIBRO TERZO.Belle Lettere ed Arti.

CAPO I.Storia.

I. Moltitudine e caratteri degli storici di questo secolo. II. Scrittoridi cronologia. III. Scrittori di geografia. IV. Scrittori intorno alleantichità. V. Raccoglitori e illustratori di medaglie. VI Illustratoridelle antichità siciliane. VII. Raccoglitori e illustratori di anticheiscrizioni. VIII. Elogio di Raffaello Fabretti. IX. Altri antiquarj.X. Continuazion de' medesimi. XI. Elogio di Ottavio Ferrari. XII.Scrittori della Storia de' tempi loro. XIII. Scrittori della Storia ge-nerale d'Italia. XIV. Scrittori della Storia d'Italia di questo secolo.XV. Storici delle città particolari dallo Stato pontificio. XVI. Delregno di Napoli. XVII. Della Toscana. XVIII. Della Repubblicadi Venezia. XIX. Delle città dello Stato veneto. XX. Storici mila-nesi: elogio del Puricelli. XXI. Delle altre città dello Stato di Mi-lano e di Mantova. XXII. Delle altre provincie d'Italia. XXIII. Ita-liani scrittori della Storia di Allemagna. XXIV. Della Storia diFrancia: elogio del Davila. XXV. Delle Guerre di Fiandra; notiziedel card. Bentivoglio e del p. Strada. XXVI. Loro Storie e lorocarattere. XXVII. Altri scrittori di Storia straniera. XXVIII. Scrit-tori della Storia generale delle Belle Arti. XXIX. Storie particola-ri degli artisti. XXX. Scrittori di Storia letteraria. XXXI. Notiziedi Gianvittorio Rossi. XXXII. Del dott. Giovanni Cinelli. XX-XIII. Cominciamento de' Giornali letterarj. XXXIV. Scrittori ge-nealogici. XXXV. Notizie di Traiano Boccalini. XXXVI. Scrittori

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dell'Arte storica.

CAPO II.Lingue straniere.

I. Studio delle lingue orientali fomentato da'papi. II. Dal card.Federigo Borromeo. III. E dal card. Barbarigo. IV. Coltivatori ditale studio. V. Lo studio della lingua greca illanguidisce alquantoin Italia: notizie di alcuni grecisti. VI. Se ne annoverano alcuni al-tri. VII. Studio di altre lingue.

CAPO III.Poesia italiana.

I. Cattivo gusto comunemente in essa introdotto. II. Notizie diGabriello Chiabrera. III. Sue Poesie e loro carattere. IV. Notiziedi Giambattista Marini e delle sue Poesie. V. Di Tommaso Stiglia-ni: sue contese col Marini. VI. Decisione ridicola di un Francesesulla poesia italiana. VII. Notizie di Claudio Achillini e di Girola-mo Preti. VIII. S'indicano altri poeti migliori: Fulvio Testi. IX. Sinominano più altri poeti. X. Continuazion de' medesimi. XI. I To-scani sono comunemente i migliori poeti di questo secolo. XII.Elogio del senator Filicaia. XIII. Di Benedetto Menzini. XIV.Poeti protetti dalla reina Cristina: Alessandro Guidi. XV. L'avvo-cato Zeppi. XVI. Poeti in Lombardia. XVII. Elogio di alcunePoetesse. XVII. Poeti satirici: due bifolchi divenuti poeti. XIX.Scrittori di poemi eroici. XX. Notizie di Alessandro Tassoni.XXI. Continuazione delle medesime. XXII. Suo poema eroico-comico, e contesa per esso col Bracciolini. XXIII. Notizie delBracciolini. XXIV. Altri scrittori di poemi burleschi. XXV. Scrit-tori di poesie tragiche. XXVI. Se ne annoverano alcuni tra' mi-gliori. XXVII. Scrittori di commedie. XXVIII. Scrittori di dram-

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dell'Arte storica.

CAPO II.Lingue straniere.

I. Studio delle lingue orientali fomentato da'papi. II. Dal card.Federigo Borromeo. III. E dal card. Barbarigo. IV. Coltivatori ditale studio. V. Lo studio della lingua greca illanguidisce alquantoin Italia: notizie di alcuni grecisti. VI. Se ne annoverano alcuni al-tri. VII. Studio di altre lingue.

CAPO III.Poesia italiana.

I. Cattivo gusto comunemente in essa introdotto. II. Notizie diGabriello Chiabrera. III. Sue Poesie e loro carattere. IV. Notiziedi Giambattista Marini e delle sue Poesie. V. Di Tommaso Stiglia-ni: sue contese col Marini. VI. Decisione ridicola di un Francesesulla poesia italiana. VII. Notizie di Claudio Achillini e di Girola-mo Preti. VIII. S'indicano altri poeti migliori: Fulvio Testi. IX. Sinominano più altri poeti. X. Continuazion de' medesimi. XI. I To-scani sono comunemente i migliori poeti di questo secolo. XII.Elogio del senator Filicaia. XIII. Di Benedetto Menzini. XIV.Poeti protetti dalla reina Cristina: Alessandro Guidi. XV. L'avvo-cato Zeppi. XVI. Poeti in Lombardia. XVII. Elogio di alcunePoetesse. XVII. Poeti satirici: due bifolchi divenuti poeti. XIX.Scrittori di poemi eroici. XX. Notizie di Alessandro Tassoni.XXI. Continuazione delle medesime. XXII. Suo poema eroico-comico, e contesa per esso col Bracciolini. XXIII. Notizie delBracciolini. XXIV. Altri scrittori di poemi burleschi. XXV. Scrit-tori di poesie tragiche. XXVI. Se ne annoverano alcuni tra' mi-gliori. XXVII. Scrittori di commedie. XXVIII. Scrittori di dram-

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mi pastorali. XXIX. Scrittori di drammi per musica. XXX. Mono-logo da chi prima ideato. XXXI. Gio. Ambrogio Marini scrittor diromanzi.

CAPO IV.Poesia latina.

I. Il cattivo gusto si sparge anche nella poesia latina. II. Si nomi-nano alcuni de' migliori poeti: Antonio Querengo. III. VirginioCesarini. IV. Altri poeti. V. Alcuni Gesuiti eleganti poeti. VI.Scrittori di Satire. VII. Scrittori dell'Arte poetica.

CAPO V.Gramatica, Retorica, Eloquenza.

I. Gramatiche latine in questo secolo usate. II. Gramatiche italia-ne: Benedetto Buommattei. III. Celso Cittadini. IV. PP. Mambellie Bertoli. V. Carlo Dati. VI. Raccolta di autori del ben parlare.VII. Vocabolario della Crusca. VIII. Carattere dell'eloquenza diquesto secolo. IX. Carattere degli oratori sacri. X. Notizie del p.Giulio Mazzarino. XI. Riforma dell'eloquenza sacra fatta dal p.Segneri. XII. Notizie del card. Casini.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Decadimento dell'architettura: notizie d'alcuni più celebri archi-tetti. II. Si annoverano alcuni più illustri scultori. III. Incisori inrame. IV. Pittori della scuola bolognese: elogio de' Caracci. V.Loro discepoli. VI. Pittori dalle altre scuole italiane.

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mi pastorali. XXIX. Scrittori di drammi per musica. XXX. Mono-logo da chi prima ideato. XXXI. Gio. Ambrogio Marini scrittor diromanzi.

CAPO IV.Poesia latina.

I. Il cattivo gusto si sparge anche nella poesia latina. II. Si nomi-nano alcuni de' migliori poeti: Antonio Querengo. III. VirginioCesarini. IV. Altri poeti. V. Alcuni Gesuiti eleganti poeti. VI.Scrittori di Satire. VII. Scrittori dell'Arte poetica.

CAPO V.Gramatica, Retorica, Eloquenza.

I. Gramatiche latine in questo secolo usate. II. Gramatiche italia-ne: Benedetto Buommattei. III. Celso Cittadini. IV. PP. Mambellie Bertoli. V. Carlo Dati. VI. Raccolta di autori del ben parlare.VII. Vocabolario della Crusca. VIII. Carattere dell'eloquenza diquesto secolo. IX. Carattere degli oratori sacri. X. Notizie del p.Giulio Mazzarino. XI. Riforma dell'eloquenza sacra fatta dal p.Segneri. XII. Notizie del card. Casini.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Decadimento dell'architettura: notizie d'alcuni più celebri archi-tetti. II. Si annoverano alcuni più illustri scultori. III. Incisori inrame. IV. Pittori della scuola bolognese: elogio de' Caracci. V.Loro discepoli. VI. Pittori dalle altre scuole italiane.

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADALL'ANNO MDC. FINO AL MDCC.

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STORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANADALL'ANNO MDC. FINO AL MDCC.

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LIBRO TERZO.Belle Lettere ed Arti.

CAPO I.Storia.

I. Se il numero degli scrittori è pruova delfiorir che faccian gli studj presso una nazio-ne, in niun secolo e in niun paese direbbesiche fosse mai tanto coltivata la storia, quan-to in Italia nel secolo XVII, sì grande è il

numero degli storici che da ogni parte ci si offre. Appe-na v'ha alcuna delle nostre città che non abbia lo scritto-re della sua origine e delle sue vicende, e molte ancorane han molti. Nè minore la copia di scrittori di Storiegenerali, o particolari di diversi argomenti. Ma, a dirvero, al lor numero non è uguale in tutti il valore. LeStorie di questo secolo si risentono quasi tutte del reogusto che infettò la maggior parte d'Italia, e il guasto eampolloso loro stile non ce ne rende sofferibile la lettu-ra. La critica e l'esattezza non è per lo più miglior dellostile; e le favole Anniane e le popolari tradizioni vi siveggono a piena mano sparse pressochè ad ogni pagina.Nondimeno di mezzo a molti cattivi storici, alcuni si of-friranno degni di molta lode, e anche dalla letteratura de'più infelici si trae talvolta non lieve vantaggio, percioc-chè alcune notizie invano si cercherebbono altrove, e

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Moltitudinee carattere degli storicidi questo secolo.

LIBRO TERZO.Belle Lettere ed Arti.

CAPO I.Storia.

I. Se il numero degli scrittori è pruova delfiorir che faccian gli studj presso una nazio-ne, in niun secolo e in niun paese direbbesiche fosse mai tanto coltivata la storia, quan-to in Italia nel secolo XVII, sì grande è il

numero degli storici che da ogni parte ci si offre. Appe-na v'ha alcuna delle nostre città che non abbia lo scritto-re della sua origine e delle sue vicende, e molte ancorane han molti. Nè minore la copia di scrittori di Storiegenerali, o particolari di diversi argomenti. Ma, a dirvero, al lor numero non è uguale in tutti il valore. LeStorie di questo secolo si risentono quasi tutte del reogusto che infettò la maggior parte d'Italia, e il guasto eampolloso loro stile non ce ne rende sofferibile la lettu-ra. La critica e l'esattezza non è per lo più miglior dellostile; e le favole Anniane e le popolari tradizioni vi siveggono a piena mano sparse pressochè ad ogni pagina.Nondimeno di mezzo a molti cattivi storici, alcuni si of-friranno degni di molta lode, e anche dalla letteratura de'più infelici si trae talvolta non lieve vantaggio, percioc-chè alcune notizie invano si cercherebbono altrove, e

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Moltitudinee carattere degli storicidi questo secolo.

Page 31: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

anche fra le sozzure nascondesi talor qualche gemma.Noi dunque andremo scorrendo su' diversi capi di Sto-ria, in cui gl'Italiani in questo secolo s'esercitarono, epassando di volo su quelli a' quali rendesi un onore forsenon meritato col nominarli, ci tratterremo in ragionaredi quelli al cui merito deesi maggior riguardo. E nel far-lo noi seguiremo quell'ordine stesso che nella Storia delsecolo precedente si è tenuto ragionando prima di quegliscrittori che illustraron le scienze, le quali servon di gui-da, o di fondamento alla storia, e poscia di quelli che di-rettamente presero a rischiararla.

II. La cronologia non ebbe in Italia nè unPetavio nè uno Scaligero; e noi confessere-mo sinceramente che non abbiamo autore

che possa contrapporsi a tai nomi. Nondimeno l'opera diLeone Allacci, Italiano se non di nascita, almen di lungosoggiorno, De mensura temporum antiquorum, la Cro-nologia riformata del p. Riccioli, di cui si è detto altro-ve, e l'opera De anno primitivo di Girolamo Vecchietti,del qual si è parlato tra' viaggiatori, si possono annove-rare tra quelle che a questa scienza han recato qualchevantaggio. Maggior lume arrecarono a questa scienza al-cune opere del dottissimo card. Noris, come i Fasti con-solari tratti dalla Biblioteca di Vienna, le Dissertazionidel Ciclo pasquale de' Latini, e su quel di Ravenna,l'Epistole consolari, e alcuni altri opuscoli pieni di scel-tissima erudizione. Ma di lui abbiamo parlato altrove. E

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Scrittori dicronologia.

anche fra le sozzure nascondesi talor qualche gemma.Noi dunque andremo scorrendo su' diversi capi di Sto-ria, in cui gl'Italiani in questo secolo s'esercitarono, epassando di volo su quelli a' quali rendesi un onore forsenon meritato col nominarli, ci tratterremo in ragionaredi quelli al cui merito deesi maggior riguardo. E nel far-lo noi seguiremo quell'ordine stesso che nella Storia delsecolo precedente si è tenuto ragionando prima di quegliscrittori che illustraron le scienze, le quali servon di gui-da, o di fondamento alla storia, e poscia di quelli che di-rettamente presero a rischiararla.

II. La cronologia non ebbe in Italia nè unPetavio nè uno Scaligero; e noi confessere-mo sinceramente che non abbiamo autore

che possa contrapporsi a tai nomi. Nondimeno l'opera diLeone Allacci, Italiano se non di nascita, almen di lungosoggiorno, De mensura temporum antiquorum, la Cro-nologia riformata del p. Riccioli, di cui si è detto altro-ve, e l'opera De anno primitivo di Girolamo Vecchietti,del qual si è parlato tra' viaggiatori, si possono annove-rare tra quelle che a questa scienza han recato qualchevantaggio. Maggior lume arrecarono a questa scienza al-cune opere del dottissimo card. Noris, come i Fasti con-solari tratti dalla Biblioteca di Vienna, le Dissertazionidel Ciclo pasquale de' Latini, e su quel di Ravenna,l'Epistole consolari, e alcuni altri opuscoli pieni di scel-tissima erudizione. Ma di lui abbiamo parlato altrove. E

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Scrittori dicronologia.

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noi potremo ancora con nostro onore indicare la StoriaUniversale provata con monumenti, stampata nel 1697,le Dissertazioni sul Calendario e sul Ciclo di Cesare, ealtre opere dell'eruditissimo monsig. Francesco Bianchi-ni veronese, se questo illustre prelato, vissuto fino al1729, non avesse più diritto ad entrare nella Storia delsecol presente, che in quella del trapassato.

III. Maggior numero e più scelta serie discrittori ebbe tra noi la geografia. Già abbia-mo accennata l'opera su questo argomento

del poc'anzi nominato p. Riccioli, ch'è assai più pregiatadella Cronologia, per la molta erudizione con cui è scrit-ta. La guida allo studio geografico di Giambattista Nic-colosi stampata in Roma nel 1662, e gli Elementi dellaGeografia scritti in latino dal p. Niccolò Partenio Gian-netasio gesuita, e stampati in Napoli nel 1692, sono ope-re nel lor genere elementare pregevoli, e utili al tempoin cui furono scritte. Il Dizionario geografico latino delp. Filippo Ferrari dell'Ordine de' Servi di Maria, la cuiprima edizione fu fatta in Milano nel 1627, un annodopo la morte dell'autore, fu ricevuto con molto applau-so; e benchè, come doveva avvenire, vi si notasseromancanze ed errori, fu nondimeno creduto degno di es-sere accresciuto e perfezionato, anzi che intraprendereuna nuova fatica, e quindi venne la nuova edizione, ri-petuta poscia più volte, che ne diede in Parigi il Bou-drand. Io veggo ancora citarsi il Portolano del mare me-

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Scrittori digeografia.

noi potremo ancora con nostro onore indicare la StoriaUniversale provata con monumenti, stampata nel 1697,le Dissertazioni sul Calendario e sul Ciclo di Cesare, ealtre opere dell'eruditissimo monsig. Francesco Bianchi-ni veronese, se questo illustre prelato, vissuto fino al1729, non avesse più diritto ad entrare nella Storia delsecol presente, che in quella del trapassato.

III. Maggior numero e più scelta serie discrittori ebbe tra noi la geografia. Già abbia-mo accennata l'opera su questo argomento

del poc'anzi nominato p. Riccioli, ch'è assai più pregiatadella Cronologia, per la molta erudizione con cui è scrit-ta. La guida allo studio geografico di Giambattista Nic-colosi stampata in Roma nel 1662, e gli Elementi dellaGeografia scritti in latino dal p. Niccolò Partenio Gian-netasio gesuita, e stampati in Napoli nel 1692, sono ope-re nel lor genere elementare pregevoli, e utili al tempoin cui furono scritte. Il Dizionario geografico latino delp. Filippo Ferrari dell'Ordine de' Servi di Maria, la cuiprima edizione fu fatta in Milano nel 1627, un annodopo la morte dell'autore, fu ricevuto con molto applau-so; e benchè, come doveva avvenire, vi si notasseromancanze ed errori, fu nondimeno creduto degno di es-sere accresciuto e perfezionato, anzi che intraprendereuna nuova fatica, e quindi venne la nuova edizione, ri-petuta poscia più volte, che ne diede in Parigi il Bou-drand. Io veggo ancora citarsi il Portolano del mare me-

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Scrittori digeografia.

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diterraneo di Sebastiano Gorgoglione genovese, stam-pato in Napoli nel 1682, e certe Riflessioni geografichesopra le terre incognite del p. Vitale Terrarossa parmi-giano e monaco casinese, e già maestro del principe epoi duca di Modena Rinaldo I (V. Armellin. Bibl. Casi-nens.), pubblicate in Padova nel 1686, delle quali nonposso dare più minuta contezza. Ma niuno tanto adope-rossi nel rischiarare la Geografia, quanto il p. VincenzoCoronelli minor conventuale, di patria veneziano, chedopo essere stato nominato cosmografo della Repubbli-ca veneta nel 1685, e indi pubblico professore di geo-grafia, fu anche eletto nel 1702 general del suo Ordine,e finì di vivere in Venezia nel dicembre del 1718. Nonvi è mai forse stato scrittore sì fecondo nè sì veloce. Eicomponeva un gran tomo in foglio con quella facilitàcon cui altri scriverebbe una pagina. Ma egli ancora erauomo; e perciò avveniva che scrivendo in gran fretta, eabbracciando mille cose ad un tempo, non conduceva aperfezion le sue opere, le quali perciò sono ora comune-mente dimenticate. Avea egli intrapresa fra le altre coseuna Biblioteca universale, la quale, come scrive egli me-desimo nel 1700 al Magliabecchi (Epist. Cl. Venet. adMagliab. t. 1, p. 337), dovea giungere a 40 tomi in fo-glio, anzi ei dice d'averla fin d'allora finita. Ma settetomi soli ne uscirono, co' quali non compiesi pure la ter-za lettera dell'alfabeto, e veramente questo saggio non cirende troppo spiacevole la perdita del rimanente, per-ciocchè essa è un miscuglio di cose buone e cattive am-mucchiato insieme alla rinfusa e senza molto discerni-

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diterraneo di Sebastiano Gorgoglione genovese, stam-pato in Napoli nel 1682, e certe Riflessioni geografichesopra le terre incognite del p. Vitale Terrarossa parmi-giano e monaco casinese, e già maestro del principe epoi duca di Modena Rinaldo I (V. Armellin. Bibl. Casi-nens.), pubblicate in Padova nel 1686, delle quali nonposso dare più minuta contezza. Ma niuno tanto adope-rossi nel rischiarare la Geografia, quanto il p. VincenzoCoronelli minor conventuale, di patria veneziano, chedopo essere stato nominato cosmografo della Repubbli-ca veneta nel 1685, e indi pubblico professore di geo-grafia, fu anche eletto nel 1702 general del suo Ordine,e finì di vivere in Venezia nel dicembre del 1718. Nonvi è mai forse stato scrittore sì fecondo nè sì veloce. Eicomponeva un gran tomo in foglio con quella facilitàcon cui altri scriverebbe una pagina. Ma egli ancora erauomo; e perciò avveniva che scrivendo in gran fretta, eabbracciando mille cose ad un tempo, non conduceva aperfezion le sue opere, le quali perciò sono ora comune-mente dimenticate. Avea egli intrapresa fra le altre coseuna Biblioteca universale, la quale, come scrive egli me-desimo nel 1700 al Magliabecchi (Epist. Cl. Venet. adMagliab. t. 1, p. 337), dovea giungere a 40 tomi in fo-glio, anzi ei dice d'averla fin d'allora finita. Ma settetomi soli ne uscirono, co' quali non compiesi pure la ter-za lettera dell'alfabeto, e veramente questo saggio non cirende troppo spiacevole la perdita del rimanente, per-ciocchè essa è un miscuglio di cose buone e cattive am-mucchiato insieme alla rinfusa e senza molto discerni-

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mento, e che pruova che l'autore aveva una infinita let-tura, ma che mancavagli quel buon criterio, senza cui laletteratura invece di ornare confonde lo spirito. Moltissi-me ancora sono le carte geografiche da lui disegnate,moltissimi i tomi ad illustrazione di esse pubblicati, efra gli altri son celebri pel lor numero e per lor molel'atlante veneto e il Teatro della Guerra. Ma più che ognialtra cosa rendetter famoso il p. Coronelli i molti globida lui medesimo lavorati, fra' quali risvegliaronol'ammirazione i due più grandi che mai si fosser veduti,da lui fabbricati per ordine del cardinal d'Etrées, e dona-ti da questo al re Luigi XIV, i quali or sono nella biblio-teca del re in Parigi. Per lavorarli, fu chiamato egli stes-so colà, e condusse a fine il lavoro nel 1683. La vaghez-za di essi, gli ornamenti e le iscrizioni ch'egli v'aggiunseallusive all'imprese di quel monarca, renderonli oggettodi maraviglia alla corte e a tutta la Francia. M. de laHire ne pubblicò la descrizione nel 1704, e da essa ap-prendiamo che il lor diametro è di undici piedi, undicipollici e sei linee, e dee perciò rimirarsi come un'iperbo-le gigantesca quella del p. Franchini, ove afferma (Bi-bliosof. di Scritt. Convent. p. 564) che ognun di que'globi era capace di ben sessanta persone.

IV. Niuno però tra gli studj che servono difondamento e di pruova alla storia, fu tranoi coltivato con tanto ardore, quanto quellodelle antichità, o si riguardino le raccolte e

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Scrittori in-torno alleantichità.

mento, e che pruova che l'autore aveva una infinita let-tura, ma che mancavagli quel buon criterio, senza cui laletteratura invece di ornare confonde lo spirito. Moltissi-me ancora sono le carte geografiche da lui disegnate,moltissimi i tomi ad illustrazione di esse pubblicati, efra gli altri son celebri pel lor numero e per lor molel'atlante veneto e il Teatro della Guerra. Ma più che ognialtra cosa rendetter famoso il p. Coronelli i molti globida lui medesimo lavorati, fra' quali risvegliaronol'ammirazione i due più grandi che mai si fosser veduti,da lui fabbricati per ordine del cardinal d'Etrées, e dona-ti da questo al re Luigi XIV, i quali or sono nella biblio-teca del re in Parigi. Per lavorarli, fu chiamato egli stes-so colà, e condusse a fine il lavoro nel 1683. La vaghez-za di essi, gli ornamenti e le iscrizioni ch'egli v'aggiunseallusive all'imprese di quel monarca, renderonli oggettodi maraviglia alla corte e a tutta la Francia. M. de laHire ne pubblicò la descrizione nel 1704, e da essa ap-prendiamo che il lor diametro è di undici piedi, undicipollici e sei linee, e dee perciò rimirarsi come un'iperbo-le gigantesca quella del p. Franchini, ove afferma (Bi-bliosof. di Scritt. Convent. p. 564) che ognun di que'globi era capace di ben sessanta persone.

IV. Niuno però tra gli studj che servono difondamento e di pruova alla storia, fu tranoi coltivato con tanto ardore, quanto quellodelle antichità, o si riguardino le raccolte e

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Scrittori in-torno alleantichità.

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le dichiarazioni delle medaglie e di altri antichi monu-menti, ovver si riguardino le dissertazioni dirette a ri-schiarare i costumi e le leggi della romana Repubblica, edi altre antiche nazioni. E per cominciare dalle meda-glie, Francesco Angeloni da Terni segretario del card.Ippolito Aldobrandini, protonotario apostolico, e mortoin Roma nel 1652, oltre alcune opere di diversi argo-menti, che si annoverano dal co. Mazzucchelli (Scritt.ital. t. 1, par. 1, p. 768, ec.), diè in luce nel 1641 l'Isto-ria Augusta da Giulio Cesare a Costantino il Magno il-lustrata con la verità delle antiche medaglie. Il Tristanoantiquario francese, in una sua vasta ed erudita operasullo stesso argomento, scrisse più volte con molto di-sprezzo dell'Angeloni, biasimandone principalmentel'infelicità nelle spiegazioni de' rovesci. Nè può negarsiche in molte cose nol cogliesse in errore. Parve nondi-meno a Giampiero Bellori romano, nipote per madredell'Angeloni, che troppo oltre il giusto fosse stato criti-cato suo zio, e perciò, oltre a una nuova edizione che eidiede dell'opera stessa nel 1685 colle annotazioni postu-me dell'Angeloni e co' suoi proprj supplementi, pubbli-cò molti anni prima, cioè nel 1649, un libro intitolato ilBonino, ovvero Avvertimenti storici al Tristano, ove di-fende il zio contro le accuse dell'antiquario francese,opera da alcuni attribuita all'Angeloni medesimo, mache dal co. Mazzucchelli si pruova esser del Bellori (l.c. t. 2, par. 2, p. 703). Questi in fatti fu uno de' più dottie de' più faticosi antiquarj che avesse in questo secoloRoma, ov'egli, dopo essere stato alcuni anni col zio in

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le dichiarazioni delle medaglie e di altri antichi monu-menti, ovver si riguardino le dissertazioni dirette a ri-schiarare i costumi e le leggi della romana Repubblica, edi altre antiche nazioni. E per cominciare dalle meda-glie, Francesco Angeloni da Terni segretario del card.Ippolito Aldobrandini, protonotario apostolico, e mortoin Roma nel 1652, oltre alcune opere di diversi argo-menti, che si annoverano dal co. Mazzucchelli (Scritt.ital. t. 1, par. 1, p. 768, ec.), diè in luce nel 1641 l'Isto-ria Augusta da Giulio Cesare a Costantino il Magno il-lustrata con la verità delle antiche medaglie. Il Tristanoantiquario francese, in una sua vasta ed erudita operasullo stesso argomento, scrisse più volte con molto di-sprezzo dell'Angeloni, biasimandone principalmentel'infelicità nelle spiegazioni de' rovesci. Nè può negarsiche in molte cose nol cogliesse in errore. Parve nondi-meno a Giampiero Bellori romano, nipote per madredell'Angeloni, che troppo oltre il giusto fosse stato criti-cato suo zio, e perciò, oltre a una nuova edizione che eidiede dell'opera stessa nel 1685 colle annotazioni postu-me dell'Angeloni e co' suoi proprj supplementi, pubbli-cò molti anni prima, cioè nel 1649, un libro intitolato ilBonino, ovvero Avvertimenti storici al Tristano, ove di-fende il zio contro le accuse dell'antiquario francese,opera da alcuni attribuita all'Angeloni medesimo, mache dal co. Mazzucchelli si pruova esser del Bellori (l.c. t. 2, par. 2, p. 703). Questi in fatti fu uno de' più dottie de' più faticosi antiquarj che avesse in questo secoloRoma, ov'egli, dopo essere stato alcuni anni col zio in

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corte del card. Aldobrandini, fu poi bibliotecario e anti-quario della reina Cristina, e fu anche dal pontef. Cle-mente X fatto antiquario di Roma, e morì in età di 80anni nel 1696. Dell'ardente amore che per le antichità einutriva, è pruova la bella raccolta che di esse e di dise-gni e di vaghissimi rami egli avea fatta, la qual posciacon poco onor dell'Italia passò nel Museo dell'Elettoredi Brandeburgo. Ma più certa pruova ancora ne sono lemolte ed erudite opere da lui pubblicate, delle quali siha il catalogo presso il soprallodato co. Mazzucchelli.Altre di esse appartengono allo studio delle medagliecome le Annotazioni sulle medaglie di Efeso e di altripaesi, in cui veggonsi scolpite le api, la Dissertazione sudue Medaglie degli Antonini, la Scelta de' Medaglionipiù rari del card. Carpegna, e le Note sulle Medaglie de'Cesari di Enea Vico. Altre versano su diversi argomentid'antichità, e tali sono le Note sull'Arco di Tito e la De-scrizione di tutti gli Archi degli Imperatori romani, chesi son conservati a Roma, le Note sulle gemme antichefigurate di Leonardo Agostini sanese 5, Antiquario valo-roso esso pure, i frammenti di alcune antichità romaneillustrati, le Giunte alla Spiegazione della Colonna traia-na, fatta già dal Ciacconio, le Pitture antiche del sepol-cro de' Nasoni, le Immagini de' Filosofi, de' Poeti, e

5 A Leonardo Agostini si dee la lode di essere stato uno de' primi ad illustra-re le antiche gemme figurate; e non è perciò maraviglia che l'opera di essofosse più volte stampata, e fosse poi anche notabilmente accresciuta dal ca-valiere Paolo Alessandro Maffei, che in quattro tomi divisa ripublicolla inRoma l'an 1707. Intorno a quest'opera veggansi le Istruzioni glittografichedel ch. sig. avv. Gioseffantonio Aldini, stampate in Cesena l'anno 1785.

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corte del card. Aldobrandini, fu poi bibliotecario e anti-quario della reina Cristina, e fu anche dal pontef. Cle-mente X fatto antiquario di Roma, e morì in età di 80anni nel 1696. Dell'ardente amore che per le antichità einutriva, è pruova la bella raccolta che di esse e di dise-gni e di vaghissimi rami egli avea fatta, la qual posciacon poco onor dell'Italia passò nel Museo dell'Elettoredi Brandeburgo. Ma più certa pruova ancora ne sono lemolte ed erudite opere da lui pubblicate, delle quali siha il catalogo presso il soprallodato co. Mazzucchelli.Altre di esse appartengono allo studio delle medagliecome le Annotazioni sulle medaglie di Efeso e di altripaesi, in cui veggonsi scolpite le api, la Dissertazione sudue Medaglie degli Antonini, la Scelta de' Medaglionipiù rari del card. Carpegna, e le Note sulle Medaglie de'Cesari di Enea Vico. Altre versano su diversi argomentid'antichità, e tali sono le Note sull'Arco di Tito e la De-scrizione di tutti gli Archi degli Imperatori romani, chesi son conservati a Roma, le Note sulle gemme antichefigurate di Leonardo Agostini sanese 5, Antiquario valo-roso esso pure, i frammenti di alcune antichità romaneillustrati, le Giunte alla Spiegazione della Colonna traia-na, fatta già dal Ciacconio, le Pitture antiche del sepol-cro de' Nasoni, le Immagini de' Filosofi, de' Poeti, e

5 A Leonardo Agostini si dee la lode di essere stato uno de' primi ad illustra-re le antiche gemme figurate; e non è perciò maraviglia che l'opera di essofosse più volte stampata, e fosse poi anche notabilmente accresciuta dal ca-valiere Paolo Alessandro Maffei, che in quattro tomi divisa ripublicolla inRoma l'an 1707. Intorno a quest'opera veggansi le Istruzioni glittografichedel ch. sig. avv. Gioseffantonio Aldini, stampate in Cesena l'anno 1785.

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d'altri dotti dell'antichità tratte da monumenti, la Spiega-zione di una statua della dea Siria, le antiche Lucernesepolcrali, gli antichi Sepolcri o Mausolei romani edetruschi, ed altre somiglianti opere. Altre finalmente ap-partengono ad altri argomenti, e fra esse dovrem ram-mentare in questo capo medesimo le Vite de' Pittori,Scultori ed Architetti moderni. Le quali presso che tuttefurono più volte stampate, anche oltremonti, e rimiratecome utilissime allo studio delle antichità e onorate per-ciò d'elogi da molti eruditi, le testimonianze de' quali siposson vedere presso il suddetto scrittore.

V. Una seguita serie di Medaglie imperialida Pompeo fino all'imp. Eraclio avea pub-blicata in Augusta nel 1600 Adolfo Occo-ne. Parve nondimeno al co. Francesco

Mezzabarba pavese, fiscale imperiale in Milano ch'essaabbisognasse di giunte e di spiegazioni. Egli intrapresequest'opera e coll'aiuto di una assai copiosa serie di me-daglie, e di una scelta biblioteca da lui formata la con-dusse a fine, e la pubblicò in Milano nel 1683. E forsepiù altre pruove ci avrebbe egli date di questo suo stu-dio, se la morte non l'avesse sorpreso in Milano nell'etàdi soli 52 anni nel 1697. Di lui e di qualche altra operadi esso parla l'Argelati (Bibl. Script. mediol. t. 2, pars 2,p. 2127, ec.). Pare che alcune giunte pensasse di farvi ilp. Giannantonio Mezzabarba somasco di lui figliuoloche nel più bel fior dell'età, e nelle più liete speranze che

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Raccoglitorie illustratoridi medaglie.

d'altri dotti dell'antichità tratte da monumenti, la Spiega-zione di una statua della dea Siria, le antiche Lucernesepolcrali, gli antichi Sepolcri o Mausolei romani edetruschi, ed altre somiglianti opere. Altre finalmente ap-partengono ad altri argomenti, e fra esse dovrem ram-mentare in questo capo medesimo le Vite de' Pittori,Scultori ed Architetti moderni. Le quali presso che tuttefurono più volte stampate, anche oltremonti, e rimiratecome utilissime allo studio delle antichità e onorate per-ciò d'elogi da molti eruditi, le testimonianze de' quali siposson vedere presso il suddetto scrittore.

V. Una seguita serie di Medaglie imperialida Pompeo fino all'imp. Eraclio avea pub-blicata in Augusta nel 1600 Adolfo Occo-ne. Parve nondimeno al co. Francesco

Mezzabarba pavese, fiscale imperiale in Milano ch'essaabbisognasse di giunte e di spiegazioni. Egli intrapresequest'opera e coll'aiuto di una assai copiosa serie di me-daglie, e di una scelta biblioteca da lui formata la con-dusse a fine, e la pubblicò in Milano nel 1683. E forsepiù altre pruove ci avrebbe egli date di questo suo stu-dio, se la morte non l'avesse sorpreso in Milano nell'etàdi soli 52 anni nel 1697. Di lui e di qualche altra operadi esso parla l'Argelati (Bibl. Script. mediol. t. 2, pars 2,p. 2127, ec.). Pare che alcune giunte pensasse di farvi ilp. Giannantonio Mezzabarba somasco di lui figliuoloche nel più bel fior dell'età, e nelle più liete speranze che

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Raccoglitorie illustratoridi medaglie.

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dava de' più felici successi nella letteratura e nell'anti-quaria singolarmente, fu rapito dalla morte in Milano inetà di 35 anni nel 1705 (V. ib. t. 2, pars 1, p. 912).L'Argelati parla di qualche opuscolo che se ne ha allestampe, e il ch. sig. Crevenna ha pubblicate alcune lette-re a lui scritte dal Muratori, le quali pruovan la stima incui egli lo avea (Catal. rais. t. 6, p. 223, ec.). Una diesse però ci muove qualche sospetto che l'opera soprac-citata dal co. Francesco, in ciò che appartiene alla cro-nologia ed ad altre osservazioni, sia in gran parte faticadel card. Noris, il quale in fatti anche nelle antichità eraversatissimo, e ce ne fanno fede le sue Dissertazioni sudue Medaglie di Diocleziano e di Licinio, i Cenotafj pi-sani da lui illustrati 6, l'Epoche de' Siro-Macedoni, i Fa-sti consolari, la Confutazione di alcune opinioni del p.Arduino, ed altre opere somiglianti alle quali poche altredi altri scrittori si possono paragonare 7. Checchè sia diciò, l'opera del co. Mezzabarba fu sempre in somma sti-

6 Negli Elogi degl'illustri Pisani (t. 3, p. 357) si è mostrato insussistente il so-spetto, che il cardinale si fosse in quest'opera giovato di quella che pocoprima avea scritta sullo stesso argomento Giovanni Pagni pisano, ch'è ine-dita.

7 Egli è verissimo che il card. Noris giovò co' i suoi lumi al co. Mezzabarbaper formar la sua opera sulle antiche medaglie, come spesso accade tra glistessi uomini più eruditi, che a vicenda si comunicano le lor cognizioni. Malungi dal potersi per ciò apporre alcuna taccia al detto conte, deesegli anzinon picciola lode per la sincerità colla quale e nella prefazione al suo Occo-ne, e assai più diffusamente nell'indice de' fonti da' quali avea tratte le sueillustrazioni, rende al Noris la dovuta giustizia: sincerità che suol essere piùfrequente e maggiore negli uomini veramente dotti, che negli scioli e negliimpostori, i quali volentieri, ma occultamente, si adornano delle altrui pen-ne.

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dava de' più felici successi nella letteratura e nell'anti-quaria singolarmente, fu rapito dalla morte in Milano inetà di 35 anni nel 1705 (V. ib. t. 2, pars 1, p. 912).L'Argelati parla di qualche opuscolo che se ne ha allestampe, e il ch. sig. Crevenna ha pubblicate alcune lette-re a lui scritte dal Muratori, le quali pruovan la stima incui egli lo avea (Catal. rais. t. 6, p. 223, ec.). Una diesse però ci muove qualche sospetto che l'opera soprac-citata dal co. Francesco, in ciò che appartiene alla cro-nologia ed ad altre osservazioni, sia in gran parte faticadel card. Noris, il quale in fatti anche nelle antichità eraversatissimo, e ce ne fanno fede le sue Dissertazioni sudue Medaglie di Diocleziano e di Licinio, i Cenotafj pi-sani da lui illustrati 6, l'Epoche de' Siro-Macedoni, i Fa-sti consolari, la Confutazione di alcune opinioni del p.Arduino, ed altre opere somiglianti alle quali poche altredi altri scrittori si possono paragonare 7. Checchè sia diciò, l'opera del co. Mezzabarba fu sempre in somma sti-

6 Negli Elogi degl'illustri Pisani (t. 3, p. 357) si è mostrato insussistente il so-spetto, che il cardinale si fosse in quest'opera giovato di quella che pocoprima avea scritta sullo stesso argomento Giovanni Pagni pisano, ch'è ine-dita.

7 Egli è verissimo che il card. Noris giovò co' i suoi lumi al co. Mezzabarbaper formar la sua opera sulle antiche medaglie, come spesso accade tra glistessi uomini più eruditi, che a vicenda si comunicano le lor cognizioni. Malungi dal potersi per ciò apporre alcuna taccia al detto conte, deesegli anzinon picciola lode per la sincerità colla quale e nella prefazione al suo Occo-ne, e assai più diffusamente nell'indice de' fonti da' quali avea tratte le sueillustrazioni, rende al Noris la dovuta giustizia: sincerità che suol essere piùfrequente e maggiore negli uomini veramente dotti, che negli scioli e negliimpostori, i quali volentieri, ma occultamente, si adornano delle altrui pen-ne.

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ma fra i dotti, e perciò ottimo è stato il consiglio del so-praddetto Argelati che una nuova edizione ne ha datanel 1730. Alla serie pure de' Cesari appartiene la troppovoluminosa opera del museo farnesiano de' pp. Pedrusie Piovene gesuiti, della quale si è fatta altrove menzio-ne. Una Raccolta di Medaglie imperiali da sè per privatogenio formata pubblicò in Modena nel 1677 PellegrinoAscani pittor modenese, la quale è assai pregiata daglieruditi. Benchè non fosse che disegnatore, o incisore,vuolsi però qui nominare con lode Pietro Sante Bartoliromano, perchè all'esattezza di esso nell'osservare e nelrappresentare le antichità dobbiamo la bella Descrizionedel Museo della reina Cristina dell'Havercamp, miglioredi quella che fin dal 1692 avea pubblicata FrancescoCamelli, e a lui inoltre dobbiam le figure pressochè tutteaggiunte alle opere del Bellori da noi mentovatepoc'anzi. Abbiam già accennate le Medaglie de' romaniPontefici illustrate dal p. Buonanni, e non fa perciòd'uopo il dirne qui nuovamente.

VI. Mentre questi valorosi antiquarj prende-vano ad illustrare le antiche medaglie gene-ralmente, e quelle in particolar modo de'Cesari, altri volgevansi a esaminar quelleche alla storia della lor patria potean recar

giovamento. E la prima a darne esempio fu la Sicilia;ove Filippo Paruta nobile palermitano segretario del se-nato della sua patria e in essa morto nel 1629, diè alla

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Illustratoridelle anti-chità sici-liane.

ma fra i dotti, e perciò ottimo è stato il consiglio del so-praddetto Argelati che una nuova edizione ne ha datanel 1730. Alla serie pure de' Cesari appartiene la troppovoluminosa opera del museo farnesiano de' pp. Pedrusie Piovene gesuiti, della quale si è fatta altrove menzio-ne. Una Raccolta di Medaglie imperiali da sè per privatogenio formata pubblicò in Modena nel 1677 PellegrinoAscani pittor modenese, la quale è assai pregiata daglieruditi. Benchè non fosse che disegnatore, o incisore,vuolsi però qui nominare con lode Pietro Sante Bartoliromano, perchè all'esattezza di esso nell'osservare e nelrappresentare le antichità dobbiamo la bella Descrizionedel Museo della reina Cristina dell'Havercamp, miglioredi quella che fin dal 1692 avea pubblicata FrancescoCamelli, e a lui inoltre dobbiam le figure pressochè tutteaggiunte alle opere del Bellori da noi mentovatepoc'anzi. Abbiam già accennate le Medaglie de' romaniPontefici illustrate dal p. Buonanni, e non fa perciòd'uopo il dirne qui nuovamente.

VI. Mentre questi valorosi antiquarj prende-vano ad illustrare le antiche medaglie gene-ralmente, e quelle in particolar modo de'Cesari, altri volgevansi a esaminar quelleche alla storia della lor patria potean recar

giovamento. E la prima a darne esempio fu la Sicilia;ove Filippo Paruta nobile palermitano segretario del se-nato della sua patria e in essa morto nel 1629, diè alla

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Illustratoridelle anti-chità sici-liane.

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luce nella stessa città l'anno 1612 la parte prima dellaSicilia descritta con Medaglie, la quale poscia ancor piùaccresciuta per opera di Leonardo Agostini, poc'anzi danoi nominato, fu stampata di nuovo in Roma nel 1649poscia in Lion nel 1697, e finalmente nel 1723 operadell'Havercamp. Poteansi nondimeno far molte giunte aquest'opera, e fin dal principio del nostro secolo il p.Giovanni Amato gesuita siciliano più di 300 medagliesiciliane inedite avea in pronto per pubblicarle (Racc.d'Opusc. sicil. t. 8, p. 191), la quale idea è poi stata difresco felicemente eseguita dall'eruditissimo principe diTorremuzza, a cui tanto debbono le antichità diquell'isola (ivi. t. 11, 12, 13, 14, 15, 16). Di più altreopere del Paruta si ha il catalogo presso il Mongitore(Bibl. sicula t. 2, p. 173, ec.). Quasi al tempo medesimole medaglie della città di Siracusa furono pubblicate edottamente illustrate da Vincenzo Mirabella nobile sira-cusano morto nel 1624 nella sua opera intitolata Dichia-razione della pianta delle antiche Siracuse, stampata inNapoli nel 1613 (ib. p. 290), per tacer di altre opere nel-le quali altri scrittori siciliani incidentemente trattaronolo stesso argomento. Le provincie del regno di Napolicomprese già sotto il nome di Magna Grecia erano statela sede di popoli in guerra e in pace troppo famosi, per-chè le loro medaglie non dovessero attentamente cercar-si e illustrarsi. E questo fu l'argomento dell'opera di Pro-spero Parisio, stampata in Napoli nel 1683 intitolata Ra-riora Magnae Graeciae Numismata, ec. nella quale egliraccolse e spiegò tutte quelle che gli venne fatto di os-

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luce nella stessa città l'anno 1612 la parte prima dellaSicilia descritta con Medaglie, la quale poscia ancor piùaccresciuta per opera di Leonardo Agostini, poc'anzi danoi nominato, fu stampata di nuovo in Roma nel 1649poscia in Lion nel 1697, e finalmente nel 1723 operadell'Havercamp. Poteansi nondimeno far molte giunte aquest'opera, e fin dal principio del nostro secolo il p.Giovanni Amato gesuita siciliano più di 300 medagliesiciliane inedite avea in pronto per pubblicarle (Racc.d'Opusc. sicil. t. 8, p. 191), la quale idea è poi stata difresco felicemente eseguita dall'eruditissimo principe diTorremuzza, a cui tanto debbono le antichità diquell'isola (ivi. t. 11, 12, 13, 14, 15, 16). Di più altreopere del Paruta si ha il catalogo presso il Mongitore(Bibl. sicula t. 2, p. 173, ec.). Quasi al tempo medesimole medaglie della città di Siracusa furono pubblicate edottamente illustrate da Vincenzo Mirabella nobile sira-cusano morto nel 1624 nella sua opera intitolata Dichia-razione della pianta delle antiche Siracuse, stampata inNapoli nel 1613 (ib. p. 290), per tacer di altre opere nel-le quali altri scrittori siciliani incidentemente trattaronolo stesso argomento. Le provincie del regno di Napolicomprese già sotto il nome di Magna Grecia erano statela sede di popoli in guerra e in pace troppo famosi, per-chè le loro medaglie non dovessero attentamente cercar-si e illustrarsi. E questo fu l'argomento dell'opera di Pro-spero Parisio, stampata in Napoli nel 1683 intitolata Ra-riora Magnae Graeciae Numismata, ec. nella quale egliraccolse e spiegò tutte quelle che gli venne fatto di os-

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servare.

VII. Le raccolte di antiche iscrizioni nonfurono in Italia meno frequenti, nè men co-piose di quelle delle antiche medaglie. Giàabbiamo altrove parlato della bella Colle-zione di esse fatta dal dottissimo Giambat-

tista Doni, ma pubblicata solo nel corso del nostro seco-lo; abbiam pure accennate le opere del card. Noris, diGiampietro Bellori e di altri che qua possono appartene-re. Alcuni presero a raccogliere e ad illustrar con co-menti le iscrizioni della lor patria. Tra essi il co. SertorioOrsato nobile padovano, nato nel 1617, e nel 1670 di-chiarato professore delle meteore nell'università dellasua patria, e ivi morto otto anni appresso, due opere cidiede su questo argomento, la prima intitolata Monu-menta patavina, la seconda scritta in italiano e pubblica-ta più anni dopo la sua morte dal p. d. Giannantonio Or-sato monaco casinese di lui nipote col titolo Marmi eru-diti, innanzi alla quale il ch. sig. Giannantonio Volpi hapremessa la Vita del dotto autore 8. Ambedue sono operele quali, benchè non sieno senza errori, spargon peròmolto lume sull'antica storia. È ancor più pregevolel'opera dello stesso scrittore De Notis Romanorum, chedal Grevio è stata inserita nella sua gran Raccolta de'

8 Il co. Sertorio Orsato pubblicò egli stesso nel 1699 il primo tomo de'Marmi eruditi, la qual opera fu poi continuata con un altro tomo dal p. d.Giannantonio di lui nipote.

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Raccoglitorie illustratori di antiche iscrizioni.

servare.

VII. Le raccolte di antiche iscrizioni nonfurono in Italia meno frequenti, nè men co-piose di quelle delle antiche medaglie. Giàabbiamo altrove parlato della bella Colle-zione di esse fatta dal dottissimo Giambat-

tista Doni, ma pubblicata solo nel corso del nostro seco-lo; abbiam pure accennate le opere del card. Noris, diGiampietro Bellori e di altri che qua possono appartene-re. Alcuni presero a raccogliere e ad illustrar con co-menti le iscrizioni della lor patria. Tra essi il co. SertorioOrsato nobile padovano, nato nel 1617, e nel 1670 di-chiarato professore delle meteore nell'università dellasua patria, e ivi morto otto anni appresso, due opere cidiede su questo argomento, la prima intitolata Monu-menta patavina, la seconda scritta in italiano e pubblica-ta più anni dopo la sua morte dal p. d. Giannantonio Or-sato monaco casinese di lui nipote col titolo Marmi eru-diti, innanzi alla quale il ch. sig. Giannantonio Volpi hapremessa la Vita del dotto autore 8. Ambedue sono operele quali, benchè non sieno senza errori, spargon peròmolto lume sull'antica storia. È ancor più pregevolel'opera dello stesso scrittore De Notis Romanorum, chedal Grevio è stata inserita nella sua gran Raccolta de'

8 Il co. Sertorio Orsato pubblicò egli stesso nel 1699 il primo tomo de'Marmi eruditi, la qual opera fu poi continuata con un altro tomo dal p. d.Giannantonio di lui nipote.

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Raccoglitorie illustratori di antiche iscrizioni.

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Trattati sull'Antichità romane (t. 11). Una Apologia del-le Opere dell'Orsato contro le accuse ad esse date dalmarch. Maffei ha pubblicata nel 1752 il signor Giando-menico Polcastro pronipote dell'autore. Prima ancordell'Orsato, avea pubblicata una Raccolta delle Iscrizio-ni della città e del territorio di Padova sacre e profaneJacopo Filippo Tommasini canonico di s. Giorgio inAlga, e poscia vescovo di Cittanuova dell'Istria, ove finìdi vivere nel 1654, di cui e di più altri libri da esso datialla luce si posson vedere il Papadopoli (Hist. Gymn.patav. t. 2, p. 134) il p. Niceron (Mém. t. 29) e una breveDissertazione inserita nelle Nuove Miscellanee di Lipsia(t. 1, p. 148). L'opera del Tommasini fu pubblicata nel1649, e fu indi assai accresciuta dal p. Jacopo Salomonidomenicano, di patria candiotto, ma vissuto lungamentein Padova. La stessa fatica riguardo alle iscrizioni dellasua patria intraprese Ottavio Rossi nelle sue Memoriebresciane, stampate in Brescia nel 1616. Bologna dovet-te la pubblicazione delle sue iscrizioni al co. Carlo Mal-vasia, che fu poi canonico della metropolitana, e finì divivere in età di 77 anni nel 1693. L'opera da lui data allaluce nel 1690 col titolo Marmora felsinea abbraccia tut-te le iscrizioni finallora scoperte in quella città, e l'auto-re nell'illustrarla fa pompa di molta erudizione. GiulioCesare Capacio segretario della città di Napoli, e scrittorfecondissimo di molte opere di diversi argomenti, mortonel 1631 9, ci diede le Antichità e la Storia di Napoli,9 Del Capacio e delle molte opere da lui composte si posson vedere copiose

notizie negli Storici napolitani del Soria (t. 1, p. 128, ec.) il qual crede

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Trattati sull'Antichità romane (t. 11). Una Apologia del-le Opere dell'Orsato contro le accuse ad esse date dalmarch. Maffei ha pubblicata nel 1752 il signor Giando-menico Polcastro pronipote dell'autore. Prima ancordell'Orsato, avea pubblicata una Raccolta delle Iscrizio-ni della città e del territorio di Padova sacre e profaneJacopo Filippo Tommasini canonico di s. Giorgio inAlga, e poscia vescovo di Cittanuova dell'Istria, ove finìdi vivere nel 1654, di cui e di più altri libri da esso datialla luce si posson vedere il Papadopoli (Hist. Gymn.patav. t. 2, p. 134) il p. Niceron (Mém. t. 29) e una breveDissertazione inserita nelle Nuove Miscellanee di Lipsia(t. 1, p. 148). L'opera del Tommasini fu pubblicata nel1649, e fu indi assai accresciuta dal p. Jacopo Salomonidomenicano, di patria candiotto, ma vissuto lungamentein Padova. La stessa fatica riguardo alle iscrizioni dellasua patria intraprese Ottavio Rossi nelle sue Memoriebresciane, stampate in Brescia nel 1616. Bologna dovet-te la pubblicazione delle sue iscrizioni al co. Carlo Mal-vasia, che fu poi canonico della metropolitana, e finì divivere in età di 77 anni nel 1693. L'opera da lui data allaluce nel 1690 col titolo Marmora felsinea abbraccia tut-te le iscrizioni finallora scoperte in quella città, e l'auto-re nell'illustrarla fa pompa di molta erudizione. GiulioCesare Capacio segretario della città di Napoli, e scrittorfecondissimo di molte opere di diversi argomenti, mortonel 1631 9, ci diede le Antichità e la Storia di Napoli,9 Del Capacio e delle molte opere da lui composte si posson vedere copiose

notizie negli Storici napolitani del Soria (t. 1, p. 128, ec.) il qual crede

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della Campagna felice e di Pozzuoli. In questa però enella maggior parte delle altre opere da noi indicate ve-desi il difetto del secolo, in cui per una parte la critica ela scienza delle antichità non era ancora stata condotta aquella perfezione che poscia colle fatiche di tanti valen-tuomini ella ha ottenuta; e per altra una coral ambizionedi mostrarsi uom dotto traeva spesso fuor di sentiero glieruditi scrittori e gli occupava in lunghe e per lo più inu-tili digressioni.

VIII. Nome ancor più illustre in questo ge-nere di erudizione è quello di Rafaello Fa-bretti di cui abbiamo la Vita scritta dal giàlodato ab. Giuseppe Mariotti, e da monsig.

Fabbroni tra le sue inserita (dec. 3, p. 149, ec.). Era eglinato in Urbino nel 1619, e dopo essere stato istruito ne-gli studj dell'amena letteratura in Cagli, e nella giuri-sprudenza in patria, ove anche in età di diciotto annin'ebbe la laurea, passò a Roma. Ivi egli presto rivolse asè gli occhi di tutti non solo pel felice ingegno e per lamolteplice erudizione che in lui si vide, ma anche per laprudenza e per la destrezza nel maneggio de' pubbliciaffari. Perciò mandato in Ispagna per trattare a quellacorte di negozj assai rilevanti, adempiè sì bene l'ufficioimpostogli, che da Alessandro VII fu nominato primotesoriere, poscia assessore della nunziatura di Spagna, etornato dopo 13 anni a Roma, ebbe l'impiego di giudice

ch'ei morisse almeno due anni dopo.

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Elogio diRafaelloFabretti.

della Campagna felice e di Pozzuoli. In questa però enella maggior parte delle altre opere da noi indicate ve-desi il difetto del secolo, in cui per una parte la critica ela scienza delle antichità non era ancora stata condotta aquella perfezione che poscia colle fatiche di tanti valen-tuomini ella ha ottenuta; e per altra una coral ambizionedi mostrarsi uom dotto traeva spesso fuor di sentiero glieruditi scrittori e gli occupava in lunghe e per lo più inu-tili digressioni.

VIII. Nome ancor più illustre in questo ge-nere di erudizione è quello di Rafaello Fa-bretti di cui abbiamo la Vita scritta dal giàlodato ab. Giuseppe Mariotti, e da monsig.

Fabbroni tra le sue inserita (dec. 3, p. 149, ec.). Era eglinato in Urbino nel 1619, e dopo essere stato istruito ne-gli studj dell'amena letteratura in Cagli, e nella giuri-sprudenza in patria, ove anche in età di diciotto annin'ebbe la laurea, passò a Roma. Ivi egli presto rivolse asè gli occhi di tutti non solo pel felice ingegno e per lamolteplice erudizione che in lui si vide, ma anche per laprudenza e per la destrezza nel maneggio de' pubbliciaffari. Perciò mandato in Ispagna per trattare a quellacorte di negozj assai rilevanti, adempiè sì bene l'ufficioimpostogli, che da Alessandro VII fu nominato primotesoriere, poscia assessore della nunziatura di Spagna, etornato dopo 13 anni a Roma, ebbe l'impiego di giudice

ch'ei morisse almeno due anni dopo.

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Elogio diRafaelloFabretti.

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delle appellazioni da lui sostenuto con tal integrità e contal vigilanza, che non ebbe chi di lui si dolesse. Fu indiuditore della legazione di Urbino per tre anni, e poichèda essa fu rimesso a Roma, ebbe successivamentegl'impieghi e le dignità di esaminatore del clero, di se-gretario de' memoriali, di canonico della basilica vatica-na, di prefetto de' sacri cimiteri di Roma e dell'archiviodi Castel S. Angelo. Fra le occupazioni che questi suoiimpieghi gli davano, ei trovò tempo di coltivare permodo lo studio dell'antichità, che non v'era forse in queltempo chi gli si potesse paragonare; e lo studio da luiposto su' greci e su' latini scrittori, e le diligenti osserva-zioni su tutto ciò ch'erane meritevole, da lui fatte inRoma e ne' diversi suoi viaggi, lo arricchirono di quellecognizioni ch'erano a ciò opportune. Si accinse fra le al-tre cose a esaminare e a raccogliere tutte le iscrizioni etutti gli antichi monumenti sparsi nel Lazio, e tutta per-ciò corse quella provincia solo a cavallo, internandosifino nelle spelonche, e salendo sulle più erte cime de'monti, per non lasciarne inosservata alcuna benchè pic-ciola parte. Ed avea egli per tal modo avvezzo il cavalload arrestarsi, ove incontravasi cosa degna di osservazio-ne, che divenuto esso pure antiquario, si fermava talvol-ta benchè dal padrone avvisato, e lo avvertiva cosìch'era ivi cosa che doveasi esaminare. Ma il frutto ditante fatiche rimase inedito; e solo una Dissertazione nefu poi pubblicata, in cui egli emenda alcuni errori ne'quali è caduto il p. Kircher nella sua descrizione del La-zio (Diss. dell'Accad. di Cortona t. 3, p. 221). L'insigne

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delle appellazioni da lui sostenuto con tal integrità e contal vigilanza, che non ebbe chi di lui si dolesse. Fu indiuditore della legazione di Urbino per tre anni, e poichèda essa fu rimesso a Roma, ebbe successivamentegl'impieghi e le dignità di esaminatore del clero, di se-gretario de' memoriali, di canonico della basilica vatica-na, di prefetto de' sacri cimiteri di Roma e dell'archiviodi Castel S. Angelo. Fra le occupazioni che questi suoiimpieghi gli davano, ei trovò tempo di coltivare permodo lo studio dell'antichità, che non v'era forse in queltempo chi gli si potesse paragonare; e lo studio da luiposto su' greci e su' latini scrittori, e le diligenti osserva-zioni su tutto ciò ch'erane meritevole, da lui fatte inRoma e ne' diversi suoi viaggi, lo arricchirono di quellecognizioni ch'erano a ciò opportune. Si accinse fra le al-tre cose a esaminare e a raccogliere tutte le iscrizioni etutti gli antichi monumenti sparsi nel Lazio, e tutta per-ciò corse quella provincia solo a cavallo, internandosifino nelle spelonche, e salendo sulle più erte cime de'monti, per non lasciarne inosservata alcuna benchè pic-ciola parte. Ed avea egli per tal modo avvezzo il cavalload arrestarsi, ove incontravasi cosa degna di osservazio-ne, che divenuto esso pure antiquario, si fermava talvol-ta benchè dal padrone avvisato, e lo avvertiva cosìch'era ivi cosa che doveasi esaminare. Ma il frutto ditante fatiche rimase inedito; e solo una Dissertazione nefu poi pubblicata, in cui egli emenda alcuni errori ne'quali è caduto il p. Kircher nella sua descrizione del La-zio (Diss. dell'Accad. di Cortona t. 3, p. 221). L'insigne

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opera del Fabretti De Aquis et Aquaeductibus veterisRomae, stampata la prima volta nel 1680, fu essa purfrutto delle ricerche da lui fatte nel Lazio; e perchè fu laprima ch'ei dasse in luce ne fece tosto rimirar da tuttil'autore come un de' più dotti antiquarj che allor vivesse-ro. Il solo Jacopo Gronovio veggendosi in qualche passodal Fabretti impugnato, scrisse e pubblicò contro di essouna poco rispettosa risposta; ma anche il Fabretti sotto ilnome di Jasiteo gli replicò con un libro intitolato Apolo-gema ad Grunovium, in cui sarebbe a bramare che allamolta erudizione con cui confuta il suo avversario, aves-se congiunta una maggior moderazione nell'impugnarlo.La colonna di Traiano diede essa pure al Fabretti l'argo-mento di una dottissima Dissertazione, in cui delle navidegli antichi, della milizia, de' sacrifizj e di altre somi-glianti materie ci dà rare e pellegrine notizie. L'ultimaopera, colla quale il Fabretti segnalò il suo nome, fu lagran Raccolta delle Iscrizioni da lui pubblicata, cioè diquelle ch'egli avea adunate in sua casa, e di quelle assaipiù ch'egli avea altronde copiate: raccolta che e perl'esattezza con cui sono espresse, e per l'eruditissime di-chiarazioni con cui egli le accompagna, fu da tutti accol-ta come la migliore che si fosse veduta, e che è la prima,come osserva il march. Maffei (De Arte crit. lapid.), chenon sia piena d'iscrizioni finte e supposte, benchè purealcune pochissime vi siano corse. Egli finì di vivere inRoma a' 19 di gennaio del 1700, in età di 81 anni, e fupianto da tutti i dotti, da' quali egli era non meno stimatoche amato. Il bel tesoro di antichi monumenti da lui rac-

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opera del Fabretti De Aquis et Aquaeductibus veterisRomae, stampata la prima volta nel 1680, fu essa purfrutto delle ricerche da lui fatte nel Lazio; e perchè fu laprima ch'ei dasse in luce ne fece tosto rimirar da tuttil'autore come un de' più dotti antiquarj che allor vivesse-ro. Il solo Jacopo Gronovio veggendosi in qualche passodal Fabretti impugnato, scrisse e pubblicò contro di essouna poco rispettosa risposta; ma anche il Fabretti sotto ilnome di Jasiteo gli replicò con un libro intitolato Apolo-gema ad Grunovium, in cui sarebbe a bramare che allamolta erudizione con cui confuta il suo avversario, aves-se congiunta una maggior moderazione nell'impugnarlo.La colonna di Traiano diede essa pure al Fabretti l'argo-mento di una dottissima Dissertazione, in cui delle navidegli antichi, della milizia, de' sacrifizj e di altre somi-glianti materie ci dà rare e pellegrine notizie. L'ultimaopera, colla quale il Fabretti segnalò il suo nome, fu lagran Raccolta delle Iscrizioni da lui pubblicata, cioè diquelle ch'egli avea adunate in sua casa, e di quelle assaipiù ch'egli avea altronde copiate: raccolta che e perl'esattezza con cui sono espresse, e per l'eruditissime di-chiarazioni con cui egli le accompagna, fu da tutti accol-ta come la migliore che si fosse veduta, e che è la prima,come osserva il march. Maffei (De Arte crit. lapid.), chenon sia piena d'iscrizioni finte e supposte, benchè purealcune pochissime vi siano corse. Egli finì di vivere inRoma a' 19 di gennaio del 1700, in età di 81 anni, e fupianto da tutti i dotti, da' quali egli era non meno stimatoche amato. Il bel tesoro di antichi monumenti da lui rac-

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colti, che fu poi trasportato ad Urbino, dal card. Gian-francesco Stoppani nel 1756 insieme con altri monu-menti d'antichità in quel ducato raccolti fu posto ed or-dinato nell'antico palazzo de' duchi.

IX. Ebbe innoltre fama di dotto antiquarioOttavio Falconieri prelato romano di cui sihanno alle stampe diverse Dissertazioni ap-

partenenti alle antichità nelle Raccolte del Grevio e delGronovio (Rom. Antiq. t. 4; Graec. Antiq. t. 8), e a cuidobbiamo ancora la pubblicazione della Roma antica diFamiano Nardini fatta con qualche sua giunta in Romanel 1666. Avverte però Apostolo Zeno (Note al Fontan.t. 2, p. 252) che un grave errore egli prese nell'interpre-tare una medaglia degli Apameesi, in cui gli parve diraffigurare l'arca e l'universale diluvio col nome di Noè,mentre altro non vi era che le tre ultime lettere della gre-ca voce Apameon, che da lui lette all'orientale indicava-no appunto Noè. Monsig. Fabbroni ne ha pubblicate duelettere al principe Leopoldo de' Medici (Lett. ined. t. 1,p. 248), nella prima delle quali, ch'è assai lunga ed elo-quente, a istanza del card. Pallavicino lo prega a fareche le Opere di Torquato Tasso sien citate nel Vocabola-rio della Crusca, nella seconda gli spone il riconciliarch'egli avea fatto l'animo dell'ab. Michelangiolo Ricci,che fu poi cardinale con Alfonso Borelli. Molte altre let-tere del Falconieri si trovano sparse tra le lettere fami-gliari del co. Magalotti, di cui era amicissimo, e da una

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Altri anti-quarj.

colti, che fu poi trasportato ad Urbino, dal card. Gian-francesco Stoppani nel 1756 insieme con altri monu-menti d'antichità in quel ducato raccolti fu posto ed or-dinato nell'antico palazzo de' duchi.

IX. Ebbe innoltre fama di dotto antiquarioOttavio Falconieri prelato romano di cui sihanno alle stampe diverse Dissertazioni ap-

partenenti alle antichità nelle Raccolte del Grevio e delGronovio (Rom. Antiq. t. 4; Graec. Antiq. t. 8), e a cuidobbiamo ancora la pubblicazione della Roma antica diFamiano Nardini fatta con qualche sua giunta in Romanel 1666. Avverte però Apostolo Zeno (Note al Fontan.t. 2, p. 252) che un grave errore egli prese nell'interpre-tare una medaglia degli Apameesi, in cui gli parve diraffigurare l'arca e l'universale diluvio col nome di Noè,mentre altro non vi era che le tre ultime lettere della gre-ca voce Apameon, che da lui lette all'orientale indicava-no appunto Noè. Monsig. Fabbroni ne ha pubblicate duelettere al principe Leopoldo de' Medici (Lett. ined. t. 1,p. 248), nella prima delle quali, ch'è assai lunga ed elo-quente, a istanza del card. Pallavicino lo prega a fareche le Opere di Torquato Tasso sien citate nel Vocabola-rio della Crusca, nella seconda gli spone il riconciliarch'egli avea fatto l'animo dell'ab. Michelangiolo Ricci,che fu poi cardinale con Alfonso Borelli. Molte altre let-tere del Falconieri si trovano sparse tra le lettere fami-gliari del co. Magalotti, di cui era amicissimo, e da una

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Altri anti-quarj.

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di quelle del Magalotti raccogliesi ch'ei può aver dirittoad essere annoverato tra gli Accademici del Cimento. "Èintenzione del Serenissimo Principe, scriv'egli a Miche-langiolo Ricci (Lett. famigl. t. 2, p. 4), che il Sig. Otta-vio Falconieri, come nostro Accademico, sia anch'egli aparte d'ogni speculazione, purchè si mantenga in fede,senza più ritornare, come suol dirsi, al vomito del Peri-pateticismo, dopo esserne così felicemente risanato persua testimonianza, mercè dei frequenti discorsi avuticon esso lei nell'ultima villeggiatura di Frascati". Un al-tro illustre Antiquario produsse il Friuli in Filippo delTorre nato in Cividale di antica e nobil famiglia nel1657, di cui ha scritta lungamente la Vita Girolamo Lio-ni (Giorn. de' Letter. d'Ital. t. 28, par. 1, p. 309, ec.).Egli dopo essere stato in Padova scolaro del famoso Ot-tavio Ferrari, e dopo essersi ben istruito non solonell'amena letteratura, ma ancora nella giurisprudenza,nella matematica e nell'anatomia, passò a Roma nel1687, e ammesso nel collegio detto de Propaganda, tut-to si diè agli studj sacri, e si rendette in essi sì noto, cheil card. Giuseppe Renato Imperiali andando legato aFerrara seco il condusse suo uditore. Tornato dopo seianni a Roma, si applicò a scrivere la sua grand'operasulle antichità di Anzio, e la pubblicò nel 1700 col titoloMonumenta veteris Antii, ec., ed ebbe il piacer di veder-la ricevuta con sommo applauso dagli eruditi e onoratadi quegli elogi che ben le eran dovuti. Clemente XI nel1702 il nominò vescovo d'Adria, ed egli trasferitosi allasua chiesa, la resse con sommo zelo, senza però inter-

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di quelle del Magalotti raccogliesi ch'ei può aver dirittoad essere annoverato tra gli Accademici del Cimento. "Èintenzione del Serenissimo Principe, scriv'egli a Miche-langiolo Ricci (Lett. famigl. t. 2, p. 4), che il Sig. Otta-vio Falconieri, come nostro Accademico, sia anch'egli aparte d'ogni speculazione, purchè si mantenga in fede,senza più ritornare, come suol dirsi, al vomito del Peri-pateticismo, dopo esserne così felicemente risanato persua testimonianza, mercè dei frequenti discorsi avuticon esso lei nell'ultima villeggiatura di Frascati". Un al-tro illustre Antiquario produsse il Friuli in Filippo delTorre nato in Cividale di antica e nobil famiglia nel1657, di cui ha scritta lungamente la Vita Girolamo Lio-ni (Giorn. de' Letter. d'Ital. t. 28, par. 1, p. 309, ec.).Egli dopo essere stato in Padova scolaro del famoso Ot-tavio Ferrari, e dopo essersi ben istruito non solonell'amena letteratura, ma ancora nella giurisprudenza,nella matematica e nell'anatomia, passò a Roma nel1687, e ammesso nel collegio detto de Propaganda, tut-to si diè agli studj sacri, e si rendette in essi sì noto, cheil card. Giuseppe Renato Imperiali andando legato aFerrara seco il condusse suo uditore. Tornato dopo seianni a Roma, si applicò a scrivere la sua grand'operasulle antichità di Anzio, e la pubblicò nel 1700 col titoloMonumenta veteris Antii, ec., ed ebbe il piacer di veder-la ricevuta con sommo applauso dagli eruditi e onoratadi quegli elogi che ben le eran dovuti. Clemente XI nel1702 il nominò vescovo d'Adria, ed egli trasferitosi allasua chiesa, la resse con sommo zelo, senza però inter-

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mettere gli usati suoi studj, fino all'an. 1717 che fu l'ulti-mo della sua vita. Più altre dissertazioni e più altri opu-scoli appartenenti all'antichità, alla storia naturale e adaltre materie diede egli alle stampe, e più altri rimaseroinediti, de' quali si può vedere il catalogo nelle sue so-praccitate Vite, ove anche ragionasi delle contese cheper alcuni di essi ei sostenne. Io aggiungerò qui ancoraGirolamo Aleandro il giovane, pronipote dell'altro Giro-lamo di cui abbiamo parlato nella Storia del secolo pre-cedente, perciocchè tra le opere di esso abbiamo la spie-gazione di un'antica tavola di marmo, in cui vedesi scol-pito il Sole con altri simboli, e la spiegazione de' sigillidi una zona che cinge un'antica statua, opera di molta erara erudizione, la qual pur si vede nella confutazion dalui fatta dell'opinione di Jacopo Goffredo sulle Regionisuburbicarie. Ma di lui e delle altre opere da lui pubbli-cate io non dirò più oltre, perchè a lungo ne han ragio-nato il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 414,ec.), e più ampiamente ancora il sig. Giangiuseppe Liru-ti (Notizie dei Letter. del Friuli t. 1, p. 198, ec.). Delleopere di monsig. Giovanni Ciampini che a questo luogoappartengono, si è già detto nel ragionare degli scrittorisacri, ove anche si è parlato di alcuni altri, da' qualil'ecclesiastiche antichità furono illustrate. E io perciòaggiungerò sol un cenno sui famosi Frammenti delleAntichità etrusche, pubblicati nel 1637 da Curzio Inghi-rami, che affermò di avergli dissotterrati presso Volterrasua patria. Negli Elogi degl'illustri Toscani, ove è statoinserito quello di questo scrittore morto nella fresca età

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mettere gli usati suoi studj, fino all'an. 1717 che fu l'ulti-mo della sua vita. Più altre dissertazioni e più altri opu-scoli appartenenti all'antichità, alla storia naturale e adaltre materie diede egli alle stampe, e più altri rimaseroinediti, de' quali si può vedere il catalogo nelle sue so-praccitate Vite, ove anche ragionasi delle contese cheper alcuni di essi ei sostenne. Io aggiungerò qui ancoraGirolamo Aleandro il giovane, pronipote dell'altro Giro-lamo di cui abbiamo parlato nella Storia del secolo pre-cedente, perciocchè tra le opere di esso abbiamo la spie-gazione di un'antica tavola di marmo, in cui vedesi scol-pito il Sole con altri simboli, e la spiegazione de' sigillidi una zona che cinge un'antica statua, opera di molta erara erudizione, la qual pur si vede nella confutazion dalui fatta dell'opinione di Jacopo Goffredo sulle Regionisuburbicarie. Ma di lui e delle altre opere da lui pubbli-cate io non dirò più oltre, perchè a lungo ne han ragio-nato il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 414,ec.), e più ampiamente ancora il sig. Giangiuseppe Liru-ti (Notizie dei Letter. del Friuli t. 1, p. 198, ec.). Delleopere di monsig. Giovanni Ciampini che a questo luogoappartengono, si è già detto nel ragionare degli scrittorisacri, ove anche si è parlato di alcuni altri, da' qualil'ecclesiastiche antichità furono illustrate. E io perciòaggiungerò sol un cenno sui famosi Frammenti delleAntichità etrusche, pubblicati nel 1637 da Curzio Inghi-rami, che affermò di avergli dissotterrati presso Volterrasua patria. Negli Elogi degl'illustri Toscani, ove è statoinserito quello di questo scrittore morto nella fresca età

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di 31 anni nel 1655, si confessa (t. 3) ciò che da niunomediocremente erudito si osa ormai di negare, che taimonumenti su' quali da alcuni menossi allora tanto ru-more, sono falsi e supposti; ma si adducono insieme di-verse ragioni per dimostrare che all'Inghirami non deesiperciò la taccia d'impostore, ma che anzi dee credersich'ei veramente li ritrovasse, e che fosse ingannatodall'impostura altrui chiunque questi si fosse. Il più forteargomento sembra a prima vista quello che si fecer pro-cessi per riconoscer la verità degli scavamenti ch'ei di-ceva di aver fatti che si trovarono di fatto alcuni di cotaimonumenti nascosti profondamente sotterra. Ma poichèsi confessa ch'essi sono supposti, convien confessareche alcuno ivi a bella posta gli ascose, poichè certo essinon vi nacquero come funghi, nè germogliarono dalleradici. Or perchè non poteva avergli ivi occultati lo stes-so Inghirami? Se alcun altro fu l'autor dell'inganno, per-chè non si accinse egli allo scavo? Gli autori di cotaiburle non hanno altro fine che di godere il piacere di ve-der molti delusi; e io non so se vi sia mai stato uno chedopo aver sostenuta la pena di fingere monumenti, e oc-cultarli sotterra, non siasi curato di veder l'effetto di co-tale impostura. Nè io perciò voglio dare all'Inghirami lataccia d'impostore. Fors'egli volle soltanto prendersigiuoco d'altrui. Ma ei non l'ottenne se non presso quellicui poca gloria era l'ingannare.

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di 31 anni nel 1655, si confessa (t. 3) ciò che da niunomediocremente erudito si osa ormai di negare, che taimonumenti su' quali da alcuni menossi allora tanto ru-more, sono falsi e supposti; ma si adducono insieme di-verse ragioni per dimostrare che all'Inghirami non deesiperciò la taccia d'impostore, ma che anzi dee credersich'ei veramente li ritrovasse, e che fosse ingannatodall'impostura altrui chiunque questi si fosse. Il più forteargomento sembra a prima vista quello che si fecer pro-cessi per riconoscer la verità degli scavamenti ch'ei di-ceva di aver fatti che si trovarono di fatto alcuni di cotaimonumenti nascosti profondamente sotterra. Ma poichèsi confessa ch'essi sono supposti, convien confessareche alcuno ivi a bella posta gli ascose, poichè certo essinon vi nacquero come funghi, nè germogliarono dalleradici. Or perchè non poteva avergli ivi occultati lo stes-so Inghirami? Se alcun altro fu l'autor dell'inganno, per-chè non si accinse egli allo scavo? Gli autori di cotaiburle non hanno altro fine che di godere il piacere di ve-der molti delusi; e io non so se vi sia mai stato uno chedopo aver sostenuta la pena di fingere monumenti, e oc-cultarli sotterra, non siasi curato di veder l'effetto di co-tale impostura. Nè io perciò voglio dare all'Inghirami lataccia d'impostore. Fors'egli volle soltanto prendersigiuoco d'altrui. Ma ei non l'ottenne se non presso quellicui poca gloria era l'ingannare.

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X. Tanti e sì pregevoli monumenti scopertie dottamente illustrati giovaron non poco arischiarar l'altro ramo delle antichità, cioè

gli usi e i costumi delle antiche nazioni e de' Romanisingolarmente. E io nominerò dapprima la raccolta didissertazioni di diversi autori su diversi punti di antichi-tà singolarmente romane col titolo di Miscellanea itali-ca erudita, pubblicata dal p. Gaudenzio Roberti carmeli-tano in Parma in quattro tomi nel 1960, in cui si conten-gono molti trattati su tale argomento, benchè non tutti diugual valore. Le fabbriche e la forma dell'antica Roma,benchè avessero occupate le penne di molti valorosiscrittori del secolo precedente, furono nondimenol'oggetto delle ricerche di più altri autori a' tempi di cuiscriviamo; e abbiam su ciò molte opere di GiannangeloRuffinelli, di Jacopo Lauro, di Giovanni Maggi, di Filip-po Rossi, di Giambattista Casali, di Jacopo Marucci, diFioravante Martinelli e di più altri scrittori. Ma in que-sto genere le più pregiate sono la Roma in ogni stato diGasparo Alveri pubblicata nel 1654 10 e nel 1664 in duetomi in folio, la Roma antica di Famiano Nardini, che,come si è detto poc'anzi, fu data in luce dal Falconieri, ela Roma vetus et recens del p. Alessandro Donati gesuitasanese, più volte stampata, e inserita ancora dal Grevionel suo Tesoro (t. 3). Le opere del Bellori, del Fabretti,

10 Benchè nel Catalogo della Capponiana dicasi il primo tomo dell'Alveristampato nel 1654, par veramente ch'esso pure fosse stampato nel 1664,col qual anno veggonsi segnate le copie che se ne hanno in diverse biblio-teche.

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Continuazionde' medesimi.

X. Tanti e sì pregevoli monumenti scopertie dottamente illustrati giovaron non poco arischiarar l'altro ramo delle antichità, cioè

gli usi e i costumi delle antiche nazioni e de' Romanisingolarmente. E io nominerò dapprima la raccolta didissertazioni di diversi autori su diversi punti di antichi-tà singolarmente romane col titolo di Miscellanea itali-ca erudita, pubblicata dal p. Gaudenzio Roberti carmeli-tano in Parma in quattro tomi nel 1960, in cui si conten-gono molti trattati su tale argomento, benchè non tutti diugual valore. Le fabbriche e la forma dell'antica Roma,benchè avessero occupate le penne di molti valorosiscrittori del secolo precedente, furono nondimenol'oggetto delle ricerche di più altri autori a' tempi di cuiscriviamo; e abbiam su ciò molte opere di GiannangeloRuffinelli, di Jacopo Lauro, di Giovanni Maggi, di Filip-po Rossi, di Giambattista Casali, di Jacopo Marucci, diFioravante Martinelli e di più altri scrittori. Ma in que-sto genere le più pregiate sono la Roma in ogni stato diGasparo Alveri pubblicata nel 1654 10 e nel 1664 in duetomi in folio, la Roma antica di Famiano Nardini, che,come si è detto poc'anzi, fu data in luce dal Falconieri, ela Roma vetus et recens del p. Alessandro Donati gesuitasanese, più volte stampata, e inserita ancora dal Grevionel suo Tesoro (t. 3). Le opere del Bellori, del Fabretti,

10 Benchè nel Catalogo della Capponiana dicasi il primo tomo dell'Alveristampato nel 1654, par veramente ch'esso pure fosse stampato nel 1664,col qual anno veggonsi segnate le copie che se ne hanno in diverse biblio-teche.

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Continuazionde' medesimi.

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del Falconieri, e di altri che a questo argomento appar-tengono, sono state già da noi accennate poc'anzi. Lo-renzo Pignoria padovano fu uno dei più faticosi illustra-tori di ogni genere d'antichità, e tanto più ammirabile nefu l'erudizione, quanto pareva essa men propria del ge-nere di vita da lui intrapreso. Perciocchè dopo fatti i pri-mi studi alle scuole dei Gesuiti di Padova, e poscia aquelle dell'università, e dopo essersi ordinato sacerdote,andò a Roma col vescovo di Padova Marco Cornaro, evi stette due anni, e tornato poi a Padova, fu confessoredi monache, e parroco della chiesa di s. Lorenzo, e finìdi vivere nel 1631 in età di 60 anni 11. Nondimeno lemonache e i suoi parrocchiani gli permisero non solo diradunarsi in casa un bel museo d'antichità, ma ancor discrivere molti trattati. Quello de' Servi è un de' miglioriin tal genere, benchè secondo il costume del secolo siamolto diffuso. Le antichità egiziane ancor furono da luirischiarate così nella sua opera su' Geroglifici, comenella spiegazione della famosa Tavola isiaca. Nè eglitrascurò quelle della sua patria, delle quali trattò in trelettere latine al senator Domenico Molino, nelle sueOrigini di Padova, e nel suo Antenore, opere nelle qualiei diede a conoscere la buona critica di cui era fornito,rigettando come supposti e favolosi parecchi scrittori, econfutando certe tradizioni popolari prive di fondamen-to. Ma la sua critica diè occasione, come spesso avvie-

11 Il Pignoria quando finì di vivere, non era più parroco di s. Lorenzo in Pa-dova, ma canonico e penitenziere di Trevigi, onore ottenutogli dal card.Francesco Barberini il vecchio, splendido protettor de' dotti.

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del Falconieri, e di altri che a questo argomento appar-tengono, sono state già da noi accennate poc'anzi. Lo-renzo Pignoria padovano fu uno dei più faticosi illustra-tori di ogni genere d'antichità, e tanto più ammirabile nefu l'erudizione, quanto pareva essa men propria del ge-nere di vita da lui intrapreso. Perciocchè dopo fatti i pri-mi studi alle scuole dei Gesuiti di Padova, e poscia aquelle dell'università, e dopo essersi ordinato sacerdote,andò a Roma col vescovo di Padova Marco Cornaro, evi stette due anni, e tornato poi a Padova, fu confessoredi monache, e parroco della chiesa di s. Lorenzo, e finìdi vivere nel 1631 in età di 60 anni 11. Nondimeno lemonache e i suoi parrocchiani gli permisero non solo diradunarsi in casa un bel museo d'antichità, ma ancor discrivere molti trattati. Quello de' Servi è un de' miglioriin tal genere, benchè secondo il costume del secolo siamolto diffuso. Le antichità egiziane ancor furono da luirischiarate così nella sua opera su' Geroglifici, comenella spiegazione della famosa Tavola isiaca. Nè eglitrascurò quelle della sua patria, delle quali trattò in trelettere latine al senator Domenico Molino, nelle sueOrigini di Padova, e nel suo Antenore, opere nelle qualiei diede a conoscere la buona critica di cui era fornito,rigettando come supposti e favolosi parecchi scrittori, econfutando certe tradizioni popolari prive di fondamen-to. Ma la sua critica diè occasione, come spesso avvie-

11 Il Pignoria quando finì di vivere, non era più parroco di s. Lorenzo in Pa-dova, ma canonico e penitenziere di Trevigi, onore ottenutogli dal card.Francesco Barberini il vecchio, splendido protettor de' dotti.

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ne, al Pignoria di sostener lunga contesa, singolarmenteper cagion della patria di Giulio Paolo celebre giurecon-sulto, di cui egli ardì di porre in dubbio se fosse padova-no, com'erasi finallora creduto; e il principale dei suoinemici fu il Portenari, di cui diremo più sotto. La seriedegli opuscoli dell'una parte e dell'altra pubblicati pertal contesa, si può vedere presso Apostolo Zeno (Noteal Fontan. t. 2, p. 133). Il catalogo di più altre opere delPignoria si ha presso il Tomasini (Athen. Patav.), il Pa-padopoli (Histor. Gymn. Patav. t. 2, p. 286) e presso il p.Niceron (Mém. des Homm. ill. t. 2), presso i quali scrit-tori più minute notizie si potran ritrovare di questo scrit-tore. Ad essi però deesi agiugnere che molte lettere delPignoria sono state poi pubblicate nella Raccolta di Let-tere inedite, stampato in Venezia nel 1744, le quali a chivolesse scrivere diffusamente la Vita di questo dottoscrittore potrebbon dar molto lume. Il trattato De Legeregia di Giambattista Castelli padovano, e professore inquella università, stampato nel 1685, quelli sulla Toga esul Lato Clavo de' Romani, e sul Sistro egiziano di Gi-rolamo Bossi pavese, professore nell'università di Pavia,di cui e delle cui opere copiose notizie ci somministra ilco. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1856), il trat-tato De Caligis veterum del p. Giulio Negroni gesuitagenovese, e quel di Fortunio Liceto sugli anelli degli an-tichi, la Dissertazione del p. Bacchini su' Sistri, l'operadi Vincenzo Contarini De frumentario Romanorum lar-gitione, et de militari Romanorum stipendio, alcune del-le opere sì stampate che inedite di Giambattista Capponi

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ne, al Pignoria di sostener lunga contesa, singolarmenteper cagion della patria di Giulio Paolo celebre giurecon-sulto, di cui egli ardì di porre in dubbio se fosse padova-no, com'erasi finallora creduto; e il principale dei suoinemici fu il Portenari, di cui diremo più sotto. La seriedegli opuscoli dell'una parte e dell'altra pubblicati pertal contesa, si può vedere presso Apostolo Zeno (Noteal Fontan. t. 2, p. 133). Il catalogo di più altre opere delPignoria si ha presso il Tomasini (Athen. Patav.), il Pa-padopoli (Histor. Gymn. Patav. t. 2, p. 286) e presso il p.Niceron (Mém. des Homm. ill. t. 2), presso i quali scrit-tori più minute notizie si potran ritrovare di questo scrit-tore. Ad essi però deesi agiugnere che molte lettere delPignoria sono state poi pubblicate nella Raccolta di Let-tere inedite, stampato in Venezia nel 1744, le quali a chivolesse scrivere diffusamente la Vita di questo dottoscrittore potrebbon dar molto lume. Il trattato De Legeregia di Giambattista Castelli padovano, e professore inquella università, stampato nel 1685, quelli sulla Toga esul Lato Clavo de' Romani, e sul Sistro egiziano di Gi-rolamo Bossi pavese, professore nell'università di Pavia,di cui e delle cui opere copiose notizie ci somministra ilco. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1856), il trat-tato De Caligis veterum del p. Giulio Negroni gesuitagenovese, e quel di Fortunio Liceto sugli anelli degli an-tichi, la Dissertazione del p. Bacchini su' Sistri, l'operadi Vincenzo Contarini De frumentario Romanorum lar-gitione, et de militari Romanorum stipendio, alcune del-le opere sì stampate che inedite di Giambattista Capponi

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bolognese, che si annoverano nell'elogio di esso inseritonelle Memorie de' Gelati (p. 256, ec.), sono opere cheallo studio della antichità recarono molta luce, benchè inesse comunemente manchi una certa precisione e uncerto ordine che ne renda utile insieme e piacevole lalettura. Uomo ancora dottissimo nelle antichità sacre eprofane e insieme nella giurisprudenza, nella filosofia,nella matematica, nell'architettura militare e nelle lingueorientali fu Domenico Aulisio napoletano, che per moltianni sostenne in Napoli la cattedra del Diritto civile, eivi morì nel 1717, in età di 78, o, secondo altri, 68 anni.Oltre alcune opere legali e filosofiche, ne abbiamo i duelibri delle Scuole sacre, stampati dopo la sua morte nel1729, opera molto erudita, ma non ugualmente felice nelmetodo e nello stile, e ne abbiamo ancora alcune Disser-tazioni latine sulla costruzion del Ginnasio, sull'architet-tura de' Mausolei, ec., delle quali ci dà il catalogo insie-me colle notizie dell'autore il co. Mazzucchelli (Scritt.it. t. 1, par. 2, p. 1261, ec.) 12.

12 Dell'Aulisio parlano più lungamente il p. d'Afflitto (Mem. degli Scritt. na-pol. t. 1, p. 474) e il Giustiniani (Scritt. legali napol. t. 1, p. 91). A lui puòcongiungersi Pietro Lasena, oriondo dalla Normandia, ma nato in Napolinel 1590, e morto in Roma nel 1636. Egli veggendo che alcuni scrittorinapoletani eransi, secondo la critica di que' tempi, impegnati a sostenereche fin da' tempi di Ulisse erano in Napoli pubbliche scuole, e che Ulissemedesimo, dopo avere distrutta Troia, era stato in esse scolaro, prese aimpugnare sì sciocca opinione, e il fece col suo trattato Dell'antico Gin-nasio napoletano, stampato in Roma nel 1641, e poi ristampato nel 1688nel quale ei mostra che gli antichi ginnasj non erano istituiti che agli eser-cizj del corpo, e combatte singolarmente Francesco de Petris, che nellasua infelice Storia di Napoli, stampata nel 1634, avea voluto sostenerequella popolar tradizione. Ma anche l'opera del Lasena pel disordine con

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bolognese, che si annoverano nell'elogio di esso inseritonelle Memorie de' Gelati (p. 256, ec.), sono opere cheallo studio della antichità recarono molta luce, benchè inesse comunemente manchi una certa precisione e uncerto ordine che ne renda utile insieme e piacevole lalettura. Uomo ancora dottissimo nelle antichità sacre eprofane e insieme nella giurisprudenza, nella filosofia,nella matematica, nell'architettura militare e nelle lingueorientali fu Domenico Aulisio napoletano, che per moltianni sostenne in Napoli la cattedra del Diritto civile, eivi morì nel 1717, in età di 78, o, secondo altri, 68 anni.Oltre alcune opere legali e filosofiche, ne abbiamo i duelibri delle Scuole sacre, stampati dopo la sua morte nel1729, opera molto erudita, ma non ugualmente felice nelmetodo e nello stile, e ne abbiamo ancora alcune Disser-tazioni latine sulla costruzion del Ginnasio, sull'architet-tura de' Mausolei, ec., delle quali ci dà il catalogo insie-me colle notizie dell'autore il co. Mazzucchelli (Scritt.it. t. 1, par. 2, p. 1261, ec.) 12.

12 Dell'Aulisio parlano più lungamente il p. d'Afflitto (Mem. degli Scritt. na-pol. t. 1, p. 474) e il Giustiniani (Scritt. legali napol. t. 1, p. 91). A lui puòcongiungersi Pietro Lasena, oriondo dalla Normandia, ma nato in Napolinel 1590, e morto in Roma nel 1636. Egli veggendo che alcuni scrittorinapoletani eransi, secondo la critica di que' tempi, impegnati a sostenereche fin da' tempi di Ulisse erano in Napoli pubbliche scuole, e che Ulissemedesimo, dopo avere distrutta Troia, era stato in esse scolaro, prese aimpugnare sì sciocca opinione, e il fece col suo trattato Dell'antico Gin-nasio napoletano, stampato in Roma nel 1641, e poi ristampato nel 1688nel quale ei mostra che gli antichi ginnasj non erano istituiti che agli eser-cizj del corpo, e combatte singolarmente Francesco de Petris, che nellasua infelice Storia di Napoli, stampata nel 1634, avea voluto sostenerequella popolar tradizione. Ma anche l'opera del Lasena pel disordine con

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XI. Fra tutti però gli scrittori d'antichità, senon il più dotto, certo fu il più felice OttavioFerrari milanese, e nipote di quel FrancescoBernardino Ferrari, di cui altrove si è fatta

menzione. L'opera da lui pubblicata De re vestiaria, acui aggiunse poi l'Analecta sullo stesso argomento con-tro Alberto Rubenio, e le dissertazioni De Lucernis se-pulchralibus Veterum, De Pantomimis et Mimis, DeBalneis et Gladiatoribus, i due libri intitolati Electorum,furono più volte stampate anche oltremonti, e ammiratecome piene di erudizione. Nacque però presso alcuni so-spetto che Ottavio le avesse trovate tra gli scritti delsuddetto suo zio, che nelle antichità era uomo dottissi-mo, e che come sue le avesse francamente spacciate. Ot-tavio era nato in Milano nel 1607, e aveva dati sì prestosaggi di vivo e fertile ingegno, che in età poco oltre i 20anni fu dal card. Federigo Borromeo destinato professord'eloquenza nel suo collegio ambrosiano. Nel 1634 fuchiamato all'università di Padova ad occupare la stessacattedra, e vi si aggiunse poscia ancor quella della lin-gua greca. Gli storici di quella università confessano(Papad. t. 1, pag. 374; Facciol. pars 1, p. 60) che parvech'essa per opera del Ferrari risorgesse all'antica suafama; tanto era l'applauso, e sì numeroso il concorso concui egli leggeva. Lo stipendio ch'ei giunse ad avere, ne èchiara pruova; perciocchè, con esempio per tal cattedra

cui è scritta, e pe' molti errori di cui è ingombra, non è in molto pregiopresso degli eruditi. Di lui e di altre opere da lui pubblicate veggasi il So-ria (Degli Stor. napol. t. 2, p. 339, ec.).

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Elogio diOttavioFerrari.

XI. Fra tutti però gli scrittori d'antichità, senon il più dotto, certo fu il più felice OttavioFerrari milanese, e nipote di quel FrancescoBernardino Ferrari, di cui altrove si è fatta

menzione. L'opera da lui pubblicata De re vestiaria, acui aggiunse poi l'Analecta sullo stesso argomento con-tro Alberto Rubenio, e le dissertazioni De Lucernis se-pulchralibus Veterum, De Pantomimis et Mimis, DeBalneis et Gladiatoribus, i due libri intitolati Electorum,furono più volte stampate anche oltremonti, e ammiratecome piene di erudizione. Nacque però presso alcuni so-spetto che Ottavio le avesse trovate tra gli scritti delsuddetto suo zio, che nelle antichità era uomo dottissi-mo, e che come sue le avesse francamente spacciate. Ot-tavio era nato in Milano nel 1607, e aveva dati sì prestosaggi di vivo e fertile ingegno, che in età poco oltre i 20anni fu dal card. Federigo Borromeo destinato professord'eloquenza nel suo collegio ambrosiano. Nel 1634 fuchiamato all'università di Padova ad occupare la stessacattedra, e vi si aggiunse poscia ancor quella della lin-gua greca. Gli storici di quella università confessano(Papad. t. 1, pag. 374; Facciol. pars 1, p. 60) che parvech'essa per opera del Ferrari risorgesse all'antica suafama; tanto era l'applauso, e sì numeroso il concorso concui egli leggeva. Lo stipendio ch'ei giunse ad avere, ne èchiara pruova; perciocchè, con esempio per tal cattedra

cui è scritta, e pe' molti errori di cui è ingombra, non è in molto pregiopresso degli eruditi. Di lui e di altre opere da lui pubblicate veggasi il So-ria (Degli Stor. napol. t. 2, p. 339, ec.).

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Elogio diOttavioFerrari.

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non mai veduto, egli ebbe fino a duemila annui fiorini.E inoltre, avendo agli recitato un Panegirico in lode del-la reina Cristina, n'ebbe da lei in premio, come altrove siè detto, una collana d'oro del valor di mille ducati, e unaltro Panegirico pubblicato avendo in onore del re LuigiXIV, questi per cinque anni, secondo il Papadopoli (l.c.), per sette, secondo l'Argelati (Bibl. Script. mediol. t.1, pars 2, p. 612), gli fece annualmente pagare 500 scu-di. La città di Milano ancora, dopo la morte di Ripa-monti, dichiarollo suo storiografo coll'annuo stipendiodi 300 scudi, ed egli avea già composti otto libri di Sto-ria; ma veggendo che non gli venivano somministrati idocumenti perciò necessarj, e temendo innoltre di offen-der con essi o la Casa di Austria, di cui era suddito, o ilre di Francia, da cui era stato beneficiato, cessò dal la-voro, e vietò che ciò che avea scritto, venisse mai pub-blicato. Nè io credo che molto abbiano in ciò perduto lelettere; perciocchè gli onori e i premj conceduti al Ferra-ri ci mostran più il reo gusto del secolo, che il meritodello scrittore. Se le opere di esso, che spettano alle an-tichità, sono erudite, quelle che appartengono all'amenaletteratura, hanno in sommo grado tutti i difetti del tem-po a cui egli vivea. Il lor catalogo si può vedere pressol'Argelati. Ad esse però se ne possono aggiugner più al-tre che, come mi ha avvertito l'eruditissimo sig. d. Jaco-po Morelli, si conservan originali nella libreria di s.Giustina in Padova; e sono De funere Christianorum li-bri IV, opera non finita, le Lezioni da lui fatte dalla suacattedra su Apuleio, su Tacito, su Giovenale. su Virgilio,

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non mai veduto, egli ebbe fino a duemila annui fiorini.E inoltre, avendo agli recitato un Panegirico in lode del-la reina Cristina, n'ebbe da lei in premio, come altrove siè detto, una collana d'oro del valor di mille ducati, e unaltro Panegirico pubblicato avendo in onore del re LuigiXIV, questi per cinque anni, secondo il Papadopoli (l.c.), per sette, secondo l'Argelati (Bibl. Script. mediol. t.1, pars 2, p. 612), gli fece annualmente pagare 500 scu-di. La città di Milano ancora, dopo la morte di Ripa-monti, dichiarollo suo storiografo coll'annuo stipendiodi 300 scudi, ed egli avea già composti otto libri di Sto-ria; ma veggendo che non gli venivano somministrati idocumenti perciò necessarj, e temendo innoltre di offen-der con essi o la Casa di Austria, di cui era suddito, o ilre di Francia, da cui era stato beneficiato, cessò dal la-voro, e vietò che ciò che avea scritto, venisse mai pub-blicato. Nè io credo che molto abbiano in ciò perduto lelettere; perciocchè gli onori e i premj conceduti al Ferra-ri ci mostran più il reo gusto del secolo, che il meritodello scrittore. Se le opere di esso, che spettano alle an-tichità, sono erudite, quelle che appartengono all'amenaletteratura, hanno in sommo grado tutti i difetti del tem-po a cui egli vivea. Il lor catalogo si può vedere pressol'Argelati. Ad esse però se ne possono aggiugner più al-tre che, come mi ha avvertito l'eruditissimo sig. d. Jaco-po Morelli, si conservan originali nella libreria di s.Giustina in Padova; e sono De funere Christianorum li-bri IV, opera non finita, le Lezioni da lui fatte dalla suacattedra su Apuleio, su Tacito, su Giovenale. su Virgilio,

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alcune Dissertazioni su Tertulliano, e un'opera in settelibri intitolata Gymnastica sacra, seu duriores veterumChristianorum ad corpus edomandum artes 13.

13 Il Ferrari scrisse anche una Centuria di elogi d'uomini illustri per lettere, ese ne conserva l'originale ms. presso il suddetto ab. Morelli. L'opera èscritta in istile più semplice e più elegante; e io ne recherò qui un saggioda lui trasmessomi, anche perchè ci dà notizia di erudito Tedesco vissutolungamente fra noi, e di cui io non so che altri abbia fatta menzione.

Quirinus Cnoglerus Austriacus. Ingrati amici nota piane sabeunda esset, si eruditissimum virum hisce

honoris ac gloria fastis non adscriberem, a quo ingenii cultum accepimus, cu-jusque monitis ab hac vulgari ingrataque discendi consuetudine ad plenam so-lidamque studioram rationem excitati sumus.Jactatus diu incertis sedibus perPoloniam ac Germaniam tandem in atque cum arte medica, quam ad miracu-lum callebat. Graecas litteras omneque antiquitatis studium conjunxerat. Eratilli mite ingenium, nisi illud naturale gentis suspicacissimæ vitium senecta etperegrinatio tum cruris debilitas asperasset; ut semper suspicionibusindulgens, anxie trepidus, sibique mele metuens, nonnisi rixat et jurgia cumdoctis et quandoque amicissimis sereret. Quæ illi causa potissimaperegrinatiorum fuit, cum vel fastidiret ipse, vel taedio hospitibus esset,quorum patientissimi morosum ferre ingenium non possent; atque itaScytharum more vagus et exul mutare subinde loca cogeretur. CumMediolanum venisset, quo famem propulsaret, devovit Cenobio operam,variasque disciplinas inter Monachos professus est, sola cibariorum mercede;neque est passus diutius latere inglorium Cardinalis Federicus, liberaliquestipendio attributo, in Mediolanensi Seminario constituit, ut Græcas Litterasprofiteretur. sub quo nos etiam primis Græcæ eruditionis stipendiis meruimus.Cum assuetis uni velalteri Codici adolescentibus Latinos GræcosqueScriptores proponeret, viamque ad sapientiam studentibus aperiret, tenerisqueanimis instillaret mirificos eruditionis amores, vir, cum bilis subsidisset,festivissimus, ac memoriæ prodigiosæ, qua fere latinos omnes Poetas rarafelicitate redderet. Neque tam ingenio, quod non ita ut Italis vividumprofitebatur, quam labore improbo, jungendoque noctes diebus profecerat.Inibi eum quoque domesticus morbus invasit, et quicquid a studiis vacabat,

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alcune Dissertazioni su Tertulliano, e un'opera in settelibri intitolata Gymnastica sacra, seu duriores veterumChristianorum ad corpus edomandum artes 13.

13 Il Ferrari scrisse anche una Centuria di elogi d'uomini illustri per lettere, ese ne conserva l'originale ms. presso il suddetto ab. Morelli. L'opera èscritta in istile più semplice e più elegante; e io ne recherò qui un saggioda lui trasmessomi, anche perchè ci dà notizia di erudito Tedesco vissutolungamente fra noi, e di cui io non so che altri abbia fatta menzione.

Quirinus Cnoglerus Austriacus. Ingrati amici nota piane sabeunda esset, si eruditissimum virum hisce

honoris ac gloria fastis non adscriberem, a quo ingenii cultum accepimus, cu-jusque monitis ab hac vulgari ingrataque discendi consuetudine ad plenam so-lidamque studioram rationem excitati sumus.Jactatus diu incertis sedibus perPoloniam ac Germaniam tandem in atque cum arte medica, quam ad miracu-lum callebat. Graecas litteras omneque antiquitatis studium conjunxerat. Eratilli mite ingenium, nisi illud naturale gentis suspicacissimæ vitium senecta etperegrinatio tum cruris debilitas asperasset; ut semper suspicionibusindulgens, anxie trepidus, sibique mele metuens, nonnisi rixat et jurgia cumdoctis et quandoque amicissimis sereret. Quæ illi causa potissimaperegrinatiorum fuit, cum vel fastidiret ipse, vel taedio hospitibus esset,quorum patientissimi morosum ferre ingenium non possent; atque itaScytharum more vagus et exul mutare subinde loca cogeretur. CumMediolanum venisset, quo famem propulsaret, devovit Cenobio operam,variasque disciplinas inter Monachos professus est, sola cibariorum mercede;neque est passus diutius latere inglorium Cardinalis Federicus, liberaliquestipendio attributo, in Mediolanensi Seminario constituit, ut Græcas Litterasprofiteretur. sub quo nos etiam primis Græcæ eruditionis stipendiis meruimus.Cum assuetis uni velalteri Codici adolescentibus Latinos GræcosqueScriptores proponeret, viamque ad sapientiam studentibus aperiret, tenerisqueanimis instillaret mirificos eruditionis amores, vir, cum bilis subsidisset,festivissimus, ac memoriæ prodigiosæ, qua fere latinos omnes Poetas rarafelicitate redderet. Neque tam ingenio, quod non ita ut Italis vividumprofitebatur, quam labore improbo, jungendoque noctes diebus profecerat.Inibi eum quoque domesticus morbus invasit, et quicquid a studiis vacabat,

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XII. Or venendo più da vicino agli scrittoridi Storia, pochi ne abbiamo che a tutti itempi e a tutte le nazioni stendessero le lororicerche. E oltre i Compendj storici del co.

Alfonso Loschi, che non sono in gran pregio, appenav'ha libro che qui possa essere mentovato; perciocchè ilMappamondo storico del p. Antonio Foresti della Com-pagnia di Gesù carpigiano di patria non venne a luce chesul principio del nostro secolo. Molti bensì furono gli

altercando semper et mussando, et cum vilissimæ familiæ parte transigebat.Nec tulere querulum senem ae cura erat, sed data venia dimisere; cui prorsusquicquid apud nos Litteraraturæ politiori est debemus. Cum illum revocarenon multo post et condonare tantæ virtuti molestos magis quam noxios moresprecibus nostris animum induxisset Princeps, nusquam reperiri potuit; donecnuncius venit, eum Parmæ cum medicam factitaret, populari morbo extinctum;idque majori detrimento, quod nullus scripta ejus perlegere possit: tam rudi etconfuso charactere utebatur. Libri, quos non editos, sed absolutos legimus deSacris Eleusiniis, ac de Talis et Tesseris; tum Loci Ethici et Politici, GræcamLatinamque eruditionem in unum mirabili ordine contraxerant. Jam quiGaspari Aselii nomine circumfertur, licet lactearum venarum inventumejusdem sit, liber ipse sub oculis nostris ad verbum a Quirino conscriptus est.

In altra maniera si volse ad illustrare le antichità uno scrittore poco finorconosciuto, e degno nondimeno di andar del pari co' più rinomati, cioè Giaco-mo Grimaldi, bolognese di nascita, ma vissuto quasi sempre in Roma, ove fucherico beneficato di s. Pietro, e ove morì nel 1623. Il sig. co. Fantuzzi è statoil primo a rischiararne la memoria, valendosi de' documenti trasmessigli dalsig. ab. Marini (Scritt. bologn. t. 4, p. 306, ec.). Con immensa fatica ei trascris-se e transuntò tutti i documenti del copiosissimo ed antico archivio de' Canoni-ci di s. Pietro di Roma, e lo rendette ancora più utile con opportuni ed esattissi-mi Indici. Formò diligenti cataloghi di tutti gli arcipreti, e canonici e beneficia-ti della stessa basilica. Copiò tutti i papiri da Paolo V acquistati per la bibliote-ca vaticana, aggiungendovi gli argomenti, le note, e le spiegazioni delle abbre-viature; la qual opera fu poi dal Doni copiata, senza renderne al Grimaldi tuttaquella giustizia che gli era dovuta, e pubblicata dal Gori senza pur nominare ilGrimaldi. Di queste e di altre opere dello scrittore, niuna però delle quali haveduta la luce, veggasi il soprallodato co. Fantuzzi.

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Scrittori della Storiade' tempi loro.

XII. Or venendo più da vicino agli scrittoridi Storia, pochi ne abbiamo che a tutti itempi e a tutte le nazioni stendessero le lororicerche. E oltre i Compendj storici del co.

Alfonso Loschi, che non sono in gran pregio, appenav'ha libro che qui possa essere mentovato; perciocchè ilMappamondo storico del p. Antonio Foresti della Com-pagnia di Gesù carpigiano di patria non venne a luce chesul principio del nostro secolo. Molti bensì furono gli

altercando semper et mussando, et cum vilissimæ familiæ parte transigebat.Nec tulere querulum senem ae cura erat, sed data venia dimisere; cui prorsusquicquid apud nos Litteraraturæ politiori est debemus. Cum illum revocarenon multo post et condonare tantæ virtuti molestos magis quam noxios moresprecibus nostris animum induxisset Princeps, nusquam reperiri potuit; donecnuncius venit, eum Parmæ cum medicam factitaret, populari morbo extinctum;idque majori detrimento, quod nullus scripta ejus perlegere possit: tam rudi etconfuso charactere utebatur. Libri, quos non editos, sed absolutos legimus deSacris Eleusiniis, ac de Talis et Tesseris; tum Loci Ethici et Politici, GræcamLatinamque eruditionem in unum mirabili ordine contraxerant. Jam quiGaspari Aselii nomine circumfertur, licet lactearum venarum inventumejusdem sit, liber ipse sub oculis nostris ad verbum a Quirino conscriptus est.

In altra maniera si volse ad illustrare le antichità uno scrittore poco finorconosciuto, e degno nondimeno di andar del pari co' più rinomati, cioè Giaco-mo Grimaldi, bolognese di nascita, ma vissuto quasi sempre in Roma, ove fucherico beneficato di s. Pietro, e ove morì nel 1623. Il sig. co. Fantuzzi è statoil primo a rischiararne la memoria, valendosi de' documenti trasmessigli dalsig. ab. Marini (Scritt. bologn. t. 4, p. 306, ec.). Con immensa fatica ei trascris-se e transuntò tutti i documenti del copiosissimo ed antico archivio de' Canoni-ci di s. Pietro di Roma, e lo rendette ancora più utile con opportuni ed esattissi-mi Indici. Formò diligenti cataloghi di tutti gli arcipreti, e canonici e beneficia-ti della stessa basilica. Copiò tutti i papiri da Paolo V acquistati per la bibliote-ca vaticana, aggiungendovi gli argomenti, le note, e le spiegazioni delle abbre-viature; la qual opera fu poi dal Doni copiata, senza renderne al Grimaldi tuttaquella giustizia che gli era dovuta, e pubblicata dal Gori senza pur nominare ilGrimaldi. Di queste e di altre opere dello scrittore, niuna però delle quali haveduta la luce, veggasi il soprallodato co. Fantuzzi.

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Scrittori della Storiade' tempi loro.

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scrittori delle cose memorabili de' tempi loro, e abbiamtra essi Giorgio Piloni, Giambattista Birago, AlessandroZiliolo, Vincenzo Forti, il co. Maiolino Biscaccioni piùcelebre per le sue avventure che per le sue, benchè mol-tissime, opere (V. Mazzucch. Scritt. it. t. 2, par. 2, p.1264), Pietro Gazzotti, Girolamo Brusoni da Legnago,le cui vicende pure potrebbon qui occuparci, se il co.Mazzucchelli non ci avesse già dato intorno a questoscrittore un bellissimo articolo (ivi par. 4, p. 2241, ec.).E lo stesso io dirò di Ferrante Pallavicino, tra le cui ope-re, che presso alcuni hanno il merito d'esser ricercate perla loro oscenità e per la lor maledicenza, abbiamo anco-ra la Storia delle cose avvenute nel 1636. Il Bayle, ilChaufepiè, il Marchand ne' lor Dizionarj hanno a garaparlato di questo scrittore, che fu decapitato nel fior de-gli anni in Avignone nel 1644 per gli scritti satirici dalui pubblicati contro il pontef. Urbano VIII in occasiondella guerra di Parma, e in generale contro la chiesa. Male opere di esso non son tali, che possano rammentarsicon lode dell'italiana letteratura 14. Molte pure son leopere storiche su gli avvenimenti di questi tempi del co.Galeazzo Gualdo vicentino. Ma esse ancora non sono ormolto curate; e chi pur voglia vederne un esatto catalo-go può consultarne la Vita scritta da Michelangiolo Zor-zi (Calog. Racc. d'Opusc. t. 1) e dal p. Angiolgabrielloda S. Maria (Scritt. vicent. t. 6, p. 175, ec.). In maggior

14 Delle vicende di questo infelice scrittore ha parlato a lungo ed esattamen-te il ch. sig. proposto Poggiali nelle sue Memorie per la Storia letteraria diPiacenza (t. 2, p. 170, ec.).

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scrittori delle cose memorabili de' tempi loro, e abbiamtra essi Giorgio Piloni, Giambattista Birago, AlessandroZiliolo, Vincenzo Forti, il co. Maiolino Biscaccioni piùcelebre per le sue avventure che per le sue, benchè mol-tissime, opere (V. Mazzucch. Scritt. it. t. 2, par. 2, p.1264), Pietro Gazzotti, Girolamo Brusoni da Legnago,le cui vicende pure potrebbon qui occuparci, se il co.Mazzucchelli non ci avesse già dato intorno a questoscrittore un bellissimo articolo (ivi par. 4, p. 2241, ec.).E lo stesso io dirò di Ferrante Pallavicino, tra le cui ope-re, che presso alcuni hanno il merito d'esser ricercate perla loro oscenità e per la lor maledicenza, abbiamo anco-ra la Storia delle cose avvenute nel 1636. Il Bayle, ilChaufepiè, il Marchand ne' lor Dizionarj hanno a garaparlato di questo scrittore, che fu decapitato nel fior de-gli anni in Avignone nel 1644 per gli scritti satirici dalui pubblicati contro il pontef. Urbano VIII in occasiondella guerra di Parma, e in generale contro la chiesa. Male opere di esso non son tali, che possano rammentarsicon lode dell'italiana letteratura 14. Molte pure son leopere storiche su gli avvenimenti di questi tempi del co.Galeazzo Gualdo vicentino. Ma esse ancora non sono ormolto curate; e chi pur voglia vederne un esatto catalo-go può consultarne la Vita scritta da Michelangiolo Zor-zi (Calog. Racc. d'Opusc. t. 1) e dal p. Angiolgabrielloda S. Maria (Scritt. vicent. t. 6, p. 175, ec.). In maggior

14 Delle vicende di questo infelice scrittore ha parlato a lungo ed esattamen-te il ch. sig. proposto Poggiali nelle sue Memorie per la Storia letteraria diPiacenza (t. 2, p. 170, ec.).

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credito sono le Storie di Pier Giovanni Capriata, di cuiegli pubblicò le due prime parti dal 1613 fino al 1644, ela terza, che giunge al 1660, fu pubblicata da Giambatti-sta figliuol dell'autore, e dedicata a Francesco Maria Im-periali Lercari patrizio genovese a que' tempi splendidoprotettore de letterati. Ma il più celebre fra tutti gli scrit-tori della Storia di questi tempi fu Vittorio Siri, su cuiperciò ci conviene trattenerci alquanto più a lungo. Egliera parmigiano di patria, e agli 8 dicembre del 1625, inetà di circa 18 anni, avea preso l'abito di s. Benedetto inquel monastero di s. Giovanni. Così narra il p. Armellini(Bibl. casin. t. 2), il quale per altro scarse notizie ci dàdella vita da lui condotta nel chiostro; e accenna solo,senza indicarne il tempo precisamente, che avendo eglico' primi tomi del suo Mercurio ottenuta fama d'illustrestorico, il re Luigi XIV chiamollo a Parigi, ov'egli po-scia passò i suoi giorni; anzi dalla testimonianza di An-drea Raineri, da lui addotta, raccogliesi che avendo ilSiri avuta in Francia dal re una badia secolare, deposel'abito religioso, e cambiollo in quello di ecclesiastico,cui tenne fino all'anno 1685, nel qual anno, contandoneegli 78 di età, a' 6 di ottobre chiuse i suoi giorni. In fattiegli nelle ultime sue opere si intitola D. Vittorio SiriConsigliere, Elemosinario, et Historiografo della Mae-stà Christianissima. Il Mercurio politico fu la primaopera che ne rendette celebre il nome. È diviso in quin-dici tomi, i quali abbraccian la Storia dal 1635 al 165515.15 Due altri tomi inediti del Mercurio del Siri conservansi nella Magliabec-

chiana, come mi ha avvertito il ch. p. ab. d. Andrea Mazza, a cui debbo

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credito sono le Storie di Pier Giovanni Capriata, di cuiegli pubblicò le due prime parti dal 1613 fino al 1644, ela terza, che giunge al 1660, fu pubblicata da Giambatti-sta figliuol dell'autore, e dedicata a Francesco Maria Im-periali Lercari patrizio genovese a que' tempi splendidoprotettore de letterati. Ma il più celebre fra tutti gli scrit-tori della Storia di questi tempi fu Vittorio Siri, su cuiperciò ci conviene trattenerci alquanto più a lungo. Egliera parmigiano di patria, e agli 8 dicembre del 1625, inetà di circa 18 anni, avea preso l'abito di s. Benedetto inquel monastero di s. Giovanni. Così narra il p. Armellini(Bibl. casin. t. 2), il quale per altro scarse notizie ci dàdella vita da lui condotta nel chiostro; e accenna solo,senza indicarne il tempo precisamente, che avendo eglico' primi tomi del suo Mercurio ottenuta fama d'illustrestorico, il re Luigi XIV chiamollo a Parigi, ov'egli po-scia passò i suoi giorni; anzi dalla testimonianza di An-drea Raineri, da lui addotta, raccogliesi che avendo ilSiri avuta in Francia dal re una badia secolare, deposel'abito religioso, e cambiollo in quello di ecclesiastico,cui tenne fino all'anno 1685, nel qual anno, contandoneegli 78 di età, a' 6 di ottobre chiuse i suoi giorni. In fattiegli nelle ultime sue opere si intitola D. Vittorio SiriConsigliere, Elemosinario, et Historiografo della Mae-stà Christianissima. Il Mercurio politico fu la primaopera che ne rendette celebre il nome. È diviso in quin-dici tomi, i quali abbraccian la Storia dal 1635 al 165515.15 Due altri tomi inediti del Mercurio del Siri conservansi nella Magliabec-

chiana, come mi ha avvertito il ch. p. ab. d. Andrea Mazza, a cui debbo

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Ed egli poscia vi aggiunse le Memorie recondite in ottotomi, colle quali ripigliando la Storia più addietro, laconduce dal 1601 al 1640. L'idea del Siri in quest'operanon è solamente di narrare i fatti avvenuti, ma d'indagar-ne le origini e di raccontare perciò le negoziazioni de'gabinetti e le lor conseguenze, e di pubblicare i docu-menti che comprovano i suoi racconti. Gran copia diessi in fatti si vede nella Storia del Siri, ch'egli ebbe daalcuni nunzj del papa e da altri ambasciadori di diversecorone, e dai ministri del re Luigi XIV, da cui per operadel card. Mazzarino avea avuti i suddetti titoli con unaonorevol pensione; e per esser meglio informato de' fat-ti, avea egli un vasto carteggio co' ministri di molte cor-ti, come ben raccogliesi e dalla gran copia di lettere adesso scritte, che si conserva nel monastero di s. Giovan-ni in Parma, e da molte scritte da lui medesimo a questacorte di Modena, da cui fu molto favorito a' tempi delduca Francesco I, le quali si conservano in questo duca-le archivio segreto. Quindi è che le dette Storie nonsono a leggersi molto piacevoli, perchè sono anzi un tes-suto di documenti che un seguito racconto; e l'autore sumolti fatti passa assai leggermente, ove non ne ha distin-te memorie; e su molti altri è estremamente diffuso. M.le Clerc, che ci ha dato un breve estratto di queste operedel Siri (Bibl. choisie t. 4, p. 138, ec.), avverte ch'essen-do egli italiano, e scrivendo tomi voluminosi che pocoleggevansi in Francia, ha parlato di Luigi XIII e del

molte notizie di questo scrittore.

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Ed egli poscia vi aggiunse le Memorie recondite in ottotomi, colle quali ripigliando la Storia più addietro, laconduce dal 1601 al 1640. L'idea del Siri in quest'operanon è solamente di narrare i fatti avvenuti, ma d'indagar-ne le origini e di raccontare perciò le negoziazioni de'gabinetti e le lor conseguenze, e di pubblicare i docu-menti che comprovano i suoi racconti. Gran copia diessi in fatti si vede nella Storia del Siri, ch'egli ebbe daalcuni nunzj del papa e da altri ambasciadori di diversecorone, e dai ministri del re Luigi XIV, da cui per operadel card. Mazzarino avea avuti i suddetti titoli con unaonorevol pensione; e per esser meglio informato de' fat-ti, avea egli un vasto carteggio co' ministri di molte cor-ti, come ben raccogliesi e dalla gran copia di lettere adesso scritte, che si conserva nel monastero di s. Giovan-ni in Parma, e da molte scritte da lui medesimo a questacorte di Modena, da cui fu molto favorito a' tempi delduca Francesco I, le quali si conservano in questo duca-le archivio segreto. Quindi è che le dette Storie nonsono a leggersi molto piacevoli, perchè sono anzi un tes-suto di documenti che un seguito racconto; e l'autore sumolti fatti passa assai leggermente, ove non ne ha distin-te memorie; e su molti altri è estremamente diffuso. M.le Clerc, che ci ha dato un breve estratto di queste operedel Siri (Bibl. choisie t. 4, p. 138, ec.), avverte ch'essen-do egli italiano, e scrivendo tomi voluminosi che pocoleggevansi in Francia, ha parlato di Luigi XIII e del

molte notizie di questo scrittore.

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duca d'Orleans di lui fratello e de' loro ministri più libe-ramente che non abbian fatto gli scrittori francesi. Non èperò egli ancora esente dall'ordinario difetto degli scrit-tori pensionati, cioè di ricompensare gli stipendj e i do-nativi cogli elogi de' lor mecenati, e coll'esporre inaspetto favorevole e glorioso le loro azioni. Benchè que-ste Storie pel soverchio numero de' volumi e per la loroprolissità siano or poco lette, ne è stata però intrapresadi fresco una traduzione francese col titolo: Mémoriessecrets des Archives des Souverains d'Europe. Qualchealtro opuscolo del Seri, scritto in occasion delle guerredel Monferrato si ha alle stampe, ma sotto finti nomi,cioè Il Politico Soldato Monferrino, e lo Scudo e l'Astadel Soldato Monferrino, il qual secondo libro fu da luiscritto contro il sopraccennato Giambattista Birago cheavea pubblicato Il Soldato Politico Indifferente, e controlo stesso Birago ei diè in luce un altro libro che ha pertitolo Il Bollo del Mercurio veridico del Birago. Il p.abate Armellini avverte che nel suddetto monastero di s.Giovanni in Parma conservansi diciotto tomi mss. delSiri, che contengono una raccolta di scritture, di raccon-ti, di discorsi politici, ch'erano probabilmente i materialida lui raccolti per le sue Storie, e che fra essi vi haun'altr'opera contro il Birago intitolata: Mitridate di D.Vittorio Siri per l'Istoria di Portogallo, e Mercurio veri-dico del Dottor Birago.

XIII. Anche la Storia generale d'Italia non ha nè tal nu-

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duca d'Orleans di lui fratello e de' loro ministri più libe-ramente che non abbian fatto gli scrittori francesi. Non èperò egli ancora esente dall'ordinario difetto degli scrit-tori pensionati, cioè di ricompensare gli stipendj e i do-nativi cogli elogi de' lor mecenati, e coll'esporre inaspetto favorevole e glorioso le loro azioni. Benchè que-ste Storie pel soverchio numero de' volumi e per la loroprolissità siano or poco lette, ne è stata però intrapresadi fresco una traduzione francese col titolo: Mémoriessecrets des Archives des Souverains d'Europe. Qualchealtro opuscolo del Seri, scritto in occasion delle guerredel Monferrato si ha alle stampe, ma sotto finti nomi,cioè Il Politico Soldato Monferrino, e lo Scudo e l'Astadel Soldato Monferrino, il qual secondo libro fu da luiscritto contro il sopraccennato Giambattista Birago cheavea pubblicato Il Soldato Politico Indifferente, e controlo stesso Birago ei diè in luce un altro libro che ha pertitolo Il Bollo del Mercurio veridico del Birago. Il p.abate Armellini avverte che nel suddetto monastero di s.Giovanni in Parma conservansi diciotto tomi mss. delSiri, che contengono una raccolta di scritture, di raccon-ti, di discorsi politici, ch'erano probabilmente i materialida lui raccolti per le sue Storie, e che fra essi vi haun'altr'opera contro il Birago intitolata: Mitridate di D.Vittorio Siri per l'Istoria di Portogallo, e Mercurio veri-dico del Dottor Birago.

XIII. Anche la Storia generale d'Italia non ha nè tal nu-

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mero nè tal celebrità di scrittori, che possafarne gran vanto. E niuno ne abbiamo chesi accingesse a scriverne una compita Sto-ria delle più antiche memorie fino a' suoi

giorni, trattone Girolamo Briani modenese, che nel 1623pubblicò in Venezia la sua Istoria d'Italia dalla venutadi Annibale sino all'anno di Cristo 1527, in due tomi in4°, ne' quali vuolsi che avesse parte anche Giovanni dilui fratello (Mazzucch. Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2082,ec.), opera la quale, per riguardo a' tempi ne' quali fuscritta, può annoverarsi tra quelle di cui non è inutile lalettura 16. Alcuni, seguendo le vestigie del gran Sigonio,presero a rischiararne la Storia de' bassi tempi, l'originede' diversi dominj, e le vicende de' popoli che se ne im-padronirono. Io veggo citarsi un'opera di Lodovico Ro-dolfini di Sabbioneta De origine, dignitate, ac potestateDucum Italiæ, stampata in Argentina nel 1624 (Mèth.pour. l'Hist. t. 40, p. 403); ma non avendola veduta, nonposso darne più esatta contezza. Il co. Emanuel Tesauropatrizio torinese e cavalier gran croce dell'ordine de' ss.Maurizio e Lazzaro, fra le moltissime opere di ogni ar-gomento, che circa la metà del secolo diè alla luce, pub-blicò ancora in Torino nel 1664 Il Regno d'Italia sotto iBarbari, opera in cui, come in tutte le altre, si scorge unautore dotato di vivo ingegno, e che avrebbe potuto ave-re nella repubblica delle lettere onorevol luogo, se nonsi fosse del tutto abbandonato a' pregiudizj del secolo. Il16 Il Briani scrisse ancora la Storia di Modena, che non è mai stata stampata.

Di esso ho parlato più a lungo nella biblioteca modenese (t. 1, p. 345).

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Scrittori dellaStoria gene-rale d'Italia.

mero nè tal celebrità di scrittori, che possafarne gran vanto. E niuno ne abbiamo chesi accingesse a scriverne una compita Sto-ria delle più antiche memorie fino a' suoi

giorni, trattone Girolamo Briani modenese, che nel 1623pubblicò in Venezia la sua Istoria d'Italia dalla venutadi Annibale sino all'anno di Cristo 1527, in due tomi in4°, ne' quali vuolsi che avesse parte anche Giovanni dilui fratello (Mazzucch. Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2082,ec.), opera la quale, per riguardo a' tempi ne' quali fuscritta, può annoverarsi tra quelle di cui non è inutile lalettura 16. Alcuni, seguendo le vestigie del gran Sigonio,presero a rischiararne la Storia de' bassi tempi, l'originede' diversi dominj, e le vicende de' popoli che se ne im-padronirono. Io veggo citarsi un'opera di Lodovico Ro-dolfini di Sabbioneta De origine, dignitate, ac potestateDucum Italiæ, stampata in Argentina nel 1624 (Mèth.pour. l'Hist. t. 40, p. 403); ma non avendola veduta, nonposso darne più esatta contezza. Il co. Emanuel Tesauropatrizio torinese e cavalier gran croce dell'ordine de' ss.Maurizio e Lazzaro, fra le moltissime opere di ogni ar-gomento, che circa la metà del secolo diè alla luce, pub-blicò ancora in Torino nel 1664 Il Regno d'Italia sotto iBarbari, opera in cui, come in tutte le altre, si scorge unautore dotato di vivo ingegno, e che avrebbe potuto ave-re nella repubblica delle lettere onorevol luogo, se nonsi fosse del tutto abbandonato a' pregiudizj del secolo. Il16 Il Briani scrisse ancora la Storia di Modena, che non è mai stata stampata.

Di esso ho parlato più a lungo nella biblioteca modenese (t. 1, p. 345).

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Scrittori dellaStoria gene-rale d'Italia.

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p. Tommaso Mazza domenicano, sotto il nome di Didi-mo Rapaligero, pubblicò in Verona nel 1683 una Storiade' Goti, ma a fine principalmente di farvi l'apologia diAnnio da Viterbo. Ma Francesco Sparavieri veronese nescrisse un'erudita confutazione, di cui ragiona a lungoApostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 191). Molto ancorsiam tenuti a Felice Osio milanese e professore nell'uni-versità di Padova, il quale si accinse a dare in luce leStorie di Albertino Mussato, di Rolandino de' Cortusi edi altri storici de' bassi tempi, e a illustrarle con note. Lamorte non gli permise di compire il suo lavoro, toglien-dol dal mondo nella sua peste del 1631, quando egli nonera giunto colle sue note che alla metà del libro primodella Storia del Mussato. E per vero dire fu buona sortedelle borse degli eruditi ch'ei non potesse compiere untal lavoro, che, se ciò accadeva, la Storia sola del Mus-sato, che pur non è lunghissima, avrebbe occupati piùtomi in folio, tanto è fecondo questo commentatore, etante cose va egli unendo insieme sotto il pretesto di farnote al Mussato, e tanto si perde in lunghissime e per lopiù inutili digressioni. In questo lavoro ebbe a compa-gno Lorenzo Pignoria (V. sopra il n. X), e così furonoquegli storici pubblicati in Padova nel 1636, e poscia in-seriti dal Muratori nella sua Raccolta degli Storici italia-ni (t. 6). Avea già l'Osio nel 1629 pubblicata ancora laStoria di Lodi di Ottone e di Acerbo Morena, da lui pureillustrata con note, ma più discrete, e questa pure, dopoaltre edizioni, è stata di nuovo pubblicata dal Muratori.Utili parimente alla storia dei bassi tempi furon le fati-

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p. Tommaso Mazza domenicano, sotto il nome di Didi-mo Rapaligero, pubblicò in Verona nel 1683 una Storiade' Goti, ma a fine principalmente di farvi l'apologia diAnnio da Viterbo. Ma Francesco Sparavieri veronese nescrisse un'erudita confutazione, di cui ragiona a lungoApostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 191). Molto ancorsiam tenuti a Felice Osio milanese e professore nell'uni-versità di Padova, il quale si accinse a dare in luce leStorie di Albertino Mussato, di Rolandino de' Cortusi edi altri storici de' bassi tempi, e a illustrarle con note. Lamorte non gli permise di compire il suo lavoro, toglien-dol dal mondo nella sua peste del 1631, quando egli nonera giunto colle sue note che alla metà del libro primodella Storia del Mussato. E per vero dire fu buona sortedelle borse degli eruditi ch'ei non potesse compiere untal lavoro, che, se ciò accadeva, la Storia sola del Mus-sato, che pur non è lunghissima, avrebbe occupati piùtomi in folio, tanto è fecondo questo commentatore, etante cose va egli unendo insieme sotto il pretesto di farnote al Mussato, e tanto si perde in lunghissime e per lopiù inutili digressioni. In questo lavoro ebbe a compa-gno Lorenzo Pignoria (V. sopra il n. X), e così furonoquegli storici pubblicati in Padova nel 1636, e poscia in-seriti dal Muratori nella sua Raccolta degli Storici italia-ni (t. 6). Avea già l'Osio nel 1629 pubblicata ancora laStoria di Lodi di Ottone e di Acerbo Morena, da lui pureillustrata con note, ma più discrete, e questa pure, dopoaltre edizioni, è stata di nuovo pubblicata dal Muratori.Utili parimente alla storia dei bassi tempi furon le fati-

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che e le opere di Camillo Pellegrini, uomo degnissimodi esser posto nel numero de' più benemeriti di questistudj, e il cui nome nondimeno non è sì celebre, comeesser dovrebbe tra' dotti. Perciocchè egli fu il primo che,non pago di ricercare gli archivi e le biblioteche, comealtri aveano già fatto, per trarne lumi alle loro Storie op-portuni, prendesse ancora a far pubblica una bella rac-colta di antiche Cronache, e a dar con ciò la prima ideadella grand'opera eseguita poi dall'immortal Muratoricolla sua collezione degli Scrittori delle cose italiane.Era egli nato in Capova nel 1598, e dopo i primi studjdell'età fanciullesca, mandato a Napoli alle scuole deiGesuiti, vi apprese la filosofia, la matematica, la linguagreca, e arrolatosi poscia nel clero, aggiunse a questistudj que' della civile e dell'ecclesiastica giurisprudenzae della teologia; e formatasi in casa una privata accade-mia, venivasi spesso co' suoi accademici esercitando nelragionare or di uno, or di altro argomento. Fu poscia in-viato a Roma, ove conversando co' dotti che ivi erano, evisitando diligentemente gli archivj e le biblioteche, for-mò l'idea di raccoglier quante più potesse Cronache emonumenti, che concernessero la storia de' bassi tempi,e quella singolarmente della sua patria e di tutto il Re-gno di Napoli. Grandi furono le fatiche che perciò ilPellegrini sostenne ne' molti viaggi ch'ei fece, e grandispese ancora convennegli fare per copiare cotai monu-menti, e per formarsi innoltre, com'egli fece nella pro-pria sua casa, una pregevol raccolta di antichità d'ognigenere, che poscia, lui morto, andarono miseramente di-

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che e le opere di Camillo Pellegrini, uomo degnissimodi esser posto nel numero de' più benemeriti di questistudj, e il cui nome nondimeno non è sì celebre, comeesser dovrebbe tra' dotti. Perciocchè egli fu il primo che,non pago di ricercare gli archivi e le biblioteche, comealtri aveano già fatto, per trarne lumi alle loro Storie op-portuni, prendesse ancora a far pubblica una bella rac-colta di antiche Cronache, e a dar con ciò la prima ideadella grand'opera eseguita poi dall'immortal Muratoricolla sua collezione degli Scrittori delle cose italiane.Era egli nato in Capova nel 1598, e dopo i primi studjdell'età fanciullesca, mandato a Napoli alle scuole deiGesuiti, vi apprese la filosofia, la matematica, la linguagreca, e arrolatosi poscia nel clero, aggiunse a questistudj que' della civile e dell'ecclesiastica giurisprudenzae della teologia; e formatasi in casa una privata accade-mia, venivasi spesso co' suoi accademici esercitando nelragionare or di uno, or di altro argomento. Fu poscia in-viato a Roma, ove conversando co' dotti che ivi erano, evisitando diligentemente gli archivj e le biblioteche, for-mò l'idea di raccoglier quante più potesse Cronache emonumenti, che concernessero la storia de' bassi tempi,e quella singolarmente della sua patria e di tutto il Re-gno di Napoli. Grandi furono le fatiche che perciò ilPellegrini sostenne ne' molti viaggi ch'ei fece, e grandispese ancora convennegli fare per copiare cotai monu-menti, e per formarsi innoltre, com'egli fece nella pro-pria sua casa, una pregevol raccolta di antichità d'ognigenere, che poscia, lui morto, andarono miseramente di-

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sperse. Frutto di tante fatiche del Pellegrini fu primiera-mente l'Apparato alle antichità di Capua da lui dato allestampe nel 1651, in cui minutamente ed eruditamentedescrive le parti della Campagna Felice, e ne ricerca lastoria e le più antiche vicende. Con quest'opera mostròegli il suo affetto per la sua patria. Ma maggior vantag-gio ei rendette all'Italia coll'altra intitolata HistoriaPrincipum Longobardorum, nella quale ei pubblicò laCronaca dell'anonimo salernitano e parecchi altri monu-menti storici che non avevano ancor veduta la luce, illu-strò con erudite annotazioni, con dissertazioni, congiunte, quattro altri antichi cronologi pubblicati alcunianni avanti dal p. d. Antonio Caraccioli teatino, e sparsecon ciò gran luce non solo sulla storia delle provinciedel regno di Napoli, già da que' principi signoreggiate,ma ancor su quella di tutta l'Italia. Quindi l'opera delPellegrini, dopo essere stata pubblicata di nuovo e inse-rita nelle lor collezioni dal Burmanno e dal Muratori, èstata poscia un'altra volta prodotta al pubblico, e con piùaltre giunte e con diverse Dissertazioni accresciuta e il-lustrata nel 1749 in Napoli per opera del sig. FrancescoMaria Pratilli, a cui parimente dobbiamo la Vita del Pel-legrini, ch'ei vi ha premessa. In essa ei ci ragguagliad'alcune altre opere di diversi argomenti da questo dottoscrittor pubblicate, e ci narra insieme in quai modi lagran copia de' manoscritti da lui raccolti, e delle opereda lui o cominciate, o anche finite, con gran danno dellastoria venisse a perire. Perciocchè egli veggendosi assaimal condotto di sanità, ordinò a una sua serva che quan-

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sperse. Frutto di tante fatiche del Pellegrini fu primiera-mente l'Apparato alle antichità di Capua da lui dato allestampe nel 1651, in cui minutamente ed eruditamentedescrive le parti della Campagna Felice, e ne ricerca lastoria e le più antiche vicende. Con quest'opera mostròegli il suo affetto per la sua patria. Ma maggior vantag-gio ei rendette all'Italia coll'altra intitolata HistoriaPrincipum Longobardorum, nella quale ei pubblicò laCronaca dell'anonimo salernitano e parecchi altri monu-menti storici che non avevano ancor veduta la luce, illu-strò con erudite annotazioni, con dissertazioni, congiunte, quattro altri antichi cronologi pubblicati alcunianni avanti dal p. d. Antonio Caraccioli teatino, e sparsecon ciò gran luce non solo sulla storia delle provinciedel regno di Napoli, già da que' principi signoreggiate,ma ancor su quella di tutta l'Italia. Quindi l'opera delPellegrini, dopo essere stata pubblicata di nuovo e inse-rita nelle lor collezioni dal Burmanno e dal Muratori, èstata poscia un'altra volta prodotta al pubblico, e con piùaltre giunte e con diverse Dissertazioni accresciuta e il-lustrata nel 1749 in Napoli per opera del sig. FrancescoMaria Pratilli, a cui parimente dobbiamo la Vita del Pel-legrini, ch'ei vi ha premessa. In essa ei ci ragguagliad'alcune altre opere di diversi argomenti da questo dottoscrittor pubblicate, e ci narra insieme in quai modi lagran copia de' manoscritti da lui raccolti, e delle opereda lui o cominciate, o anche finite, con gran danno dellastoria venisse a perire. Perciocchè egli veggendosi assaimal condotto di sanità, ordinò a una sua serva che quan-

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do ei fosse vicino a morte gittasse alle fiamme tutto quelgran fascio di carte; ed ella udendo un giorno che i me-dici prediceano sol poche ore di vita, eseguì troppo fe-delmente il ricevuto comando con gran dolore del Pelle-grini, che essendosi allora alquanto ristabilito, si dolsedi avere una serva più del dovere ubbidiente. Poco peròei sopravvisse al fatale incendio, ed essendosi trasferitoa Napoli, per cercar da quel clima qualche vantaggio, ivia' 9 di novembre del 1663 finì di vivere 17.

XIV. Per ciò che appartiene alla Storia parti-colare d'Italia di questo secolo, abbiam lastoria delle Guerre d'Italia dal 1613 al 1630di Luca Assarino genovese, ma nato in Sivi-glia, di cui di più altre opere poco felici da

lui pubblicate ragiona il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1,par. 2, p. 1170), la Storia d'Italia di Girolamo Brusoni danoi nominato poc'anzi, che fu aspramente criticata,come opera di scrittor mercenario e bugiardo (V. Maz-

17 Merita ancor di esser letto ciò che del Pellegrini e delle opere da lui com-poste ha scritto più recentemente il sig. Francescantonio Soria (Storici na-pol. t. 2, p. 477, ec.). Il sig. Cammillo Pellegrini da lui discendente, a ren-der più durevole la memoria di questo grand'uomo, ha fatta ristorare e ab-bellire la casa da lui abitata, e vi ha posto la seguente iscrizione, che èopera del celebre sig. d. Fracesco Daniele: Quas. Aedes. CAMlLLUS.PEREGRINUS. Alexandri. Filius. Illud. Sæculi. Sui. Lumen. Ut. Ab. Ur-bano. Strepita. Procul. Animo. Quandoque. Vocaret. Ab. Inchoato. Excita-verat. Et. Prisci. Aevi. Monumentis. Vudique. Conquisitis. Ornaverat.Temporum. Iniquitate. Situ et Squalore. Obsitas. Camillus. Peregrinus.Gasparis. Filius. In. Elegantiorem. Formam. Restituendas. Aere. Suo. Cu-ravit. Anno MDCCLXXXIX.

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Scrittori della Storiad'Italia di questo se-colo.

do ei fosse vicino a morte gittasse alle fiamme tutto quelgran fascio di carte; ed ella udendo un giorno che i me-dici prediceano sol poche ore di vita, eseguì troppo fe-delmente il ricevuto comando con gran dolore del Pelle-grini, che essendosi allora alquanto ristabilito, si dolsedi avere una serva più del dovere ubbidiente. Poco peròei sopravvisse al fatale incendio, ed essendosi trasferitoa Napoli, per cercar da quel clima qualche vantaggio, ivia' 9 di novembre del 1663 finì di vivere 17.

XIV. Per ciò che appartiene alla Storia parti-colare d'Italia di questo secolo, abbiam lastoria delle Guerre d'Italia dal 1613 al 1630di Luca Assarino genovese, ma nato in Sivi-glia, di cui di più altre opere poco felici da

lui pubblicate ragiona il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1,par. 2, p. 1170), la Storia d'Italia di Girolamo Brusoni danoi nominato poc'anzi, che fu aspramente criticata,come opera di scrittor mercenario e bugiardo (V. Maz-

17 Merita ancor di esser letto ciò che del Pellegrini e delle opere da lui com-poste ha scritto più recentemente il sig. Francescantonio Soria (Storici na-pol. t. 2, p. 477, ec.). Il sig. Cammillo Pellegrini da lui discendente, a ren-der più durevole la memoria di questo grand'uomo, ha fatta ristorare e ab-bellire la casa da lui abitata, e vi ha posto la seguente iscrizione, che èopera del celebre sig. d. Fracesco Daniele: Quas. Aedes. CAMlLLUS.PEREGRINUS. Alexandri. Filius. Illud. Sæculi. Sui. Lumen. Ut. Ab. Ur-bano. Strepita. Procul. Animo. Quandoque. Vocaret. Ab. Inchoato. Excita-verat. Et. Prisci. Aevi. Monumentis. Vudique. Conquisitis. Ornaverat.Temporum. Iniquitate. Situ et Squalore. Obsitas. Camillus. Peregrinus.Gasparis. Filius. In. Elegantiorem. Formam. Restituendas. Aere. Suo. Cu-ravit. Anno MDCCLXXXIX.

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Scrittori della Storiad'Italia di questo se-colo.

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zucch. l. c. t. 2, par. 4, p. 2243), le Memorie istorichedelle Guerre d'Italia di Gianfrancesco Fossati, che poi fuvescovo di Tortona, e morì nel 1653 (Argel. Bibl. Script.mediol. t. 1, pars 2, p. 643), e due scrittori latini, Giu-seppe Ricci, che scrisse le cose avvenute in Italia dal1613 al 1653, oltre un'altra Storia delle Guerre germani-che dal 1618 al 1648, e Paolo Maccio modenese che siristrinse alle vicende del 1635. Ma l'autore più celebreche a questo luogo appartiene, e di cui quasi ad ognipasso di questo capo potremmo fare menzione se ne ve-nisse onore all'Italia, è Gregorio Leti, fra le cui infiniteopere, quasi tutte in genere storico, abbiamo ancoral'Italia regnante, in cui egli ci dà l'idea dello stato diqueste provincie ne' tempi in cui egli scrivea. Pochi au-tori sono stati fecondi di opere al par di lui. Quaranta neannovera l'Argelati (ib. t. 2, pars 1, p. 800, ec.), e lamaggior parte di esse divise in più tomi, che tutti insie-me giungono quasi a cento. Oltre l'Italia, la Francia an-cora, la Fiandra, la gran Brettagna, l'Impero, la città diGinevra, le reali case di Brandeburgo e di Sassonia, eb-ber da esso le loro Storie, e nondimeno non crederono diesser molto onorate da un tale scrittore, il quale volendoscriver moltissimo dovea necessariamente scrivere congran fretta, e volendo piacere a quelli a onor de' qualiscriveva, poco curavasi di dire il vero, ma sol ciò chepotesse renderlo ad essi caro e gradito. Quindi in vano sicerca nelle Storie del Leti la sincerità e l'esattezza; e ol-tre ciò lo stile ne è sì prolisso e diffuso, che non vi hapiù efficace rimedio a conciliare il sonno. La mordacità

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zucch. l. c. t. 2, par. 4, p. 2243), le Memorie istorichedelle Guerre d'Italia di Gianfrancesco Fossati, che poi fuvescovo di Tortona, e morì nel 1653 (Argel. Bibl. Script.mediol. t. 1, pars 2, p. 643), e due scrittori latini, Giu-seppe Ricci, che scrisse le cose avvenute in Italia dal1613 al 1653, oltre un'altra Storia delle Guerre germani-che dal 1618 al 1648, e Paolo Maccio modenese che siristrinse alle vicende del 1635. Ma l'autore più celebreche a questo luogo appartiene, e di cui quasi ad ognipasso di questo capo potremmo fare menzione se ne ve-nisse onore all'Italia, è Gregorio Leti, fra le cui infiniteopere, quasi tutte in genere storico, abbiamo ancoral'Italia regnante, in cui egli ci dà l'idea dello stato diqueste provincie ne' tempi in cui egli scrivea. Pochi au-tori sono stati fecondi di opere al par di lui. Quaranta neannovera l'Argelati (ib. t. 2, pars 1, p. 800, ec.), e lamaggior parte di esse divise in più tomi, che tutti insie-me giungono quasi a cento. Oltre l'Italia, la Francia an-cora, la Fiandra, la gran Brettagna, l'Impero, la città diGinevra, le reali case di Brandeburgo e di Sassonia, eb-ber da esso le loro Storie, e nondimeno non crederono diesser molto onorate da un tale scrittore, il quale volendoscriver moltissimo dovea necessariamente scrivere congran fretta, e volendo piacere a quelli a onor de' qualiscriveva, poco curavasi di dire il vero, ma sol ciò chepotesse renderlo ad essi caro e gradito. Quindi in vano sicerca nelle Storie del Leti la sincerità e l'esattezza; e ol-tre ciò lo stile ne è sì prolisso e diffuso, che non vi hapiù efficace rimedio a conciliare il sonno. La mordacità

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e la satira singolarmente contro la corte di Roma e con-tro la Religione cattolica è il solo pregio che ne rendecare ad alcuni le opere, le quali senza questo bell'orna-mento rimarrebbero affatto dimenticate. Vuolsi ch'eimedesimo si vantasse di scrivere ciò che gli parea piùopportuno a ricreare i lettori, e che avesse l'impudenzadi dire alla delfina di Francia, la quale chiedevagli severo fosse tutto ciò che egli avea scritto nella Vita di Si-sto V, che una cosa ben immaginaria era migliore e piùpiacevole che la verità. Egli era nato in Milano di fami-glia per origine bolognese nel 1630; e nel 1657, avendofatta in Genova conoscenza con un Calvinista, si lasciòda esso sedurre, e passato a Losanna, e presavi in suamoglie la figlia di un medico calvinista, passò nel 1660a Ginevra, e vi soggiornò per 20 anni. Navigò poscia inInghilterra, ove dal re Carlo II fu dapprima onorevol-mente accolto e splendidamente premiato. Ma il Teatrobritannico da lui pubblicato, avendo irritato lo sdegno diquel monarca, ebbe comando d'uscir dall'isola, e ritirato-si in Amsterdam, vi visse fino al 1701, nel quale anno, a'9 di giugno, un colpo d'apoplessia il tolse di vita.

XV. Assai più spazioso è il campo che ci sioffre, se prendiamo a ricercare partitamentegli scrittori della Storia di ciascheduna dellecittà italiane. Ma debbo io affaticare chi leg-ge aggirandolo dall'una all'altra, e additan-

dogli gli storici di ognuna? Noi ne abbiam già molti ca-

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Storici del-le città par-ticolari del-lo Stato pontificio.

e la satira singolarmente contro la corte di Roma e con-tro la Religione cattolica è il solo pregio che ne rendecare ad alcuni le opere, le quali senza questo bell'orna-mento rimarrebbero affatto dimenticate. Vuolsi ch'eimedesimo si vantasse di scrivere ciò che gli parea piùopportuno a ricreare i lettori, e che avesse l'impudenzadi dire alla delfina di Francia, la quale chiedevagli severo fosse tutto ciò che egli avea scritto nella Vita di Si-sto V, che una cosa ben immaginaria era migliore e piùpiacevole che la verità. Egli era nato in Milano di fami-glia per origine bolognese nel 1630; e nel 1657, avendofatta in Genova conoscenza con un Calvinista, si lasciòda esso sedurre, e passato a Losanna, e presavi in suamoglie la figlia di un medico calvinista, passò nel 1660a Ginevra, e vi soggiornò per 20 anni. Navigò poscia inInghilterra, ove dal re Carlo II fu dapprima onorevol-mente accolto e splendidamente premiato. Ma il Teatrobritannico da lui pubblicato, avendo irritato lo sdegno diquel monarca, ebbe comando d'uscir dall'isola, e ritirato-si in Amsterdam, vi visse fino al 1701, nel quale anno, a'9 di giugno, un colpo d'apoplessia il tolse di vita.

XV. Assai più spazioso è il campo che ci sioffre, se prendiamo a ricercare partitamentegli scrittori della Storia di ciascheduna dellecittà italiane. Ma debbo io affaticare chi leg-ge aggirandolo dall'una all'altra, e additan-

dogli gli storici di ognuna? Noi ne abbiam già molti ca-

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Storici del-le città par-ticolari del-lo Stato pontificio.

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taloghi, e i più copiosi tra essi sono quelli dell'Haim (t.1, p. 48, ec.) quanto a quelli che scrissero in lingua ita-liana, della recente edizion di Milano, e quello più gene-rale di m. Drouet nella nuova edizione Del metodo dellaStoria di m. Lenglet (t. 11, p. 439, ec.), e i più recentidel Coleti e del balì Farsetti. Poco utile e molta noia re-cherei io dunque con un distinto novero di tutti questistorici; e molto più che molti di essi e per le favole dicui hanno ripiene le loro opere, e per l'infelice stile concui sono scritte, appena hanno alcun merito per esser ri-cordati ne' fasti della letteratura. Basterà quindi il nomi-nare alcuni de' più illustri, e il dare solo una generaleidea del gran numero degli scrittori di tale argomento,ch'ebbe in questo secol l'Italia. Lo Stato ecclesiastico nefu forse il più copioso fra le altre provincie. Non parlodegli scrittori della Storia di Roma, perchè essendo essaconnessa colla Storia de' Papi, noi ne abbiamo altrovedetto quel poco che era a dirsene. Ma delle altre città,comprese ancor le castella, appena alcuna ve n'ebbe chenon avesse il suo storico. Tivoli, Terracina, Sezze, Terni,Rieti, Todi, Nocera nell'Umbria, Ascoli, Foligno, Came-rino, Recanati, Cingoli, Fermo, Ancona, Urbino, Cese-na, Osimo, Ravenna, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, e an-che Monte Alboddo, Verucchio, Spello, e Carbognano, eCesi, ed altri luoghi ancora parvero gareggiare tra loronell'avere le proprie loro Storie, e alcune anche n'ebberpiù d'una. Fra esse però sono singolarmente pregiate ilRacconto istorico della fondazione di Rimino, e dell'ori-gine e Vite de' Malatesti di Cesare Clementini, l'Istoria

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taloghi, e i più copiosi tra essi sono quelli dell'Haim (t.1, p. 48, ec.) quanto a quelli che scrissero in lingua ita-liana, della recente edizion di Milano, e quello più gene-rale di m. Drouet nella nuova edizione Del metodo dellaStoria di m. Lenglet (t. 11, p. 439, ec.), e i più recentidel Coleti e del balì Farsetti. Poco utile e molta noia re-cherei io dunque con un distinto novero di tutti questistorici; e molto più che molti di essi e per le favole dicui hanno ripiene le loro opere, e per l'infelice stile concui sono scritte, appena hanno alcun merito per esser ri-cordati ne' fasti della letteratura. Basterà quindi il nomi-nare alcuni de' più illustri, e il dare solo una generaleidea del gran numero degli scrittori di tale argomento,ch'ebbe in questo secol l'Italia. Lo Stato ecclesiastico nefu forse il più copioso fra le altre provincie. Non parlodegli scrittori della Storia di Roma, perchè essendo essaconnessa colla Storia de' Papi, noi ne abbiamo altrovedetto quel poco che era a dirsene. Ma delle altre città,comprese ancor le castella, appena alcuna ve n'ebbe chenon avesse il suo storico. Tivoli, Terracina, Sezze, Terni,Rieti, Todi, Nocera nell'Umbria, Ascoli, Foligno, Came-rino, Recanati, Cingoli, Fermo, Ancona, Urbino, Cese-na, Osimo, Ravenna, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, e an-che Monte Alboddo, Verucchio, Spello, e Carbognano, eCesi, ed altri luoghi ancora parvero gareggiare tra loronell'avere le proprie loro Storie, e alcune anche n'ebberpiù d'una. Fra esse però sono singolarmente pregiate ilRacconto istorico della fondazione di Rimino, e dell'ori-gine e Vite de' Malatesti di Cesare Clementini, l'Istoria

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tiburtina di Francesco Marzio, la Storia di Spoleti diBernardino Campelli, quella di Perugia di Pompeo Pelli-ni, quella di Faenza di Giulio Cesare Tonducci illustratada Pier Maria Cavina, di cui pure abbiamo un'altr'operaassai erudita intitolata Faventia rediviva. Molti storiciebbe Bologna, e per lasciare in disparte le molte operet-te di Gianniccolò Pasquali Alidosi, che sono anzi Cata-loghi e Indici, che vere Storie, io nominerò solo la Sto-ria di Gaspero Bombaci nobile bolognese che contieneparecchie notizie che invano si cercano presso altri scrit-tori. Di questo storico e di più altre opere da lui compo-ste, molte delle quali sono parimente dirette a rischiara-re la storia della sua patria, ragiona esattamente il co.Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1504) 18. Ferrara,divenuta pure essa città dello Stato ecclesiastico, nonebbe più nè un Giraldi, nè un Pigna. Pregevole è nondi-meno, per le notizie che ci somministra, il Compendio18 Tra gli storici bolognesi deve anche nominarsi con lode monsignor Giam-

battista Agocchi bolognese, il quale, dopo diverse onorevoli commissioniavute da' romani pontefici, nel 1624 mandato nuncio apostolico a Vene-zia, e fatto arcivescovo di Amasia, in quella carica finì di vivere l'anno1632 alla Motta nel Friuli, ov'egli erasi ritirato per sottrarsi alla peste. Egliè degno d'elogio singolarmente, perchè in un tempo in cui quasi tutti glistorici andavano follemente perduti dietro gli scrittori di Annio da Viter-bo, egli ardì di mostrarne l'impostura nella sua lettera sull'antica fonda-zione e dominio della Città di Bologna, stampata in quella città e poi tra-dotta in latino, e inserita nella collezione del Burmanno (Thesaur. Antiq. t.7). Ei fu ancora coltivatore dell'astronomia e della fisica, come ci mostra-no alcune sue opere inedite sulle Comete e sulle Meteore; e come ancorameglio raccogliesi da alcune Lettere da lui scritte al Galilei, pubblicate daldott. Gio. Targioni Tozzetti (Aggrandim. t. 2, par. 1, p. 87). Del Bombacee dell'Agocchi si posson vedere più distinte notizie negli Scrittori bolo-gnesi del co. Fantuzzi.

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tiburtina di Francesco Marzio, la Storia di Spoleti diBernardino Campelli, quella di Perugia di Pompeo Pelli-ni, quella di Faenza di Giulio Cesare Tonducci illustratada Pier Maria Cavina, di cui pure abbiamo un'altr'operaassai erudita intitolata Faventia rediviva. Molti storiciebbe Bologna, e per lasciare in disparte le molte operet-te di Gianniccolò Pasquali Alidosi, che sono anzi Cata-loghi e Indici, che vere Storie, io nominerò solo la Sto-ria di Gaspero Bombaci nobile bolognese che contieneparecchie notizie che invano si cercano presso altri scrit-tori. Di questo storico e di più altre opere da lui compo-ste, molte delle quali sono parimente dirette a rischiara-re la storia della sua patria, ragiona esattamente il co.Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1504) 18. Ferrara,divenuta pure essa città dello Stato ecclesiastico, nonebbe più nè un Giraldi, nè un Pigna. Pregevole è nondi-meno, per le notizie che ci somministra, il Compendio18 Tra gli storici bolognesi deve anche nominarsi con lode monsignor Giam-

battista Agocchi bolognese, il quale, dopo diverse onorevoli commissioniavute da' romani pontefici, nel 1624 mandato nuncio apostolico a Vene-zia, e fatto arcivescovo di Amasia, in quella carica finì di vivere l'anno1632 alla Motta nel Friuli, ov'egli erasi ritirato per sottrarsi alla peste. Egliè degno d'elogio singolarmente, perchè in un tempo in cui quasi tutti glistorici andavano follemente perduti dietro gli scrittori di Annio da Viter-bo, egli ardì di mostrarne l'impostura nella sua lettera sull'antica fonda-zione e dominio della Città di Bologna, stampata in quella città e poi tra-dotta in latino, e inserita nella collezione del Burmanno (Thesaur. Antiq. t.7). Ei fu ancora coltivatore dell'astronomia e della fisica, come ci mostra-no alcune sue opere inedite sulle Comete e sulle Meteore; e come ancorameglio raccogliesi da alcune Lettere da lui scritte al Galilei, pubblicate daldott. Gio. Targioni Tozzetti (Aggrandim. t. 2, par. 1, p. 87). Del Bombacee dell'Agocchi si posson vedere più distinte notizie negli Scrittori bolo-gnesi del co. Fantuzzi.

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istorico delle Chiese di Ferrara di Marcantonio Guari-ni; nè sono inutili le Memorie degli Eroi di Casa d'Estedel co. Francesco Berni, del quale autore e di molte altreopere da lui pubblicate ragiona il suddetto co. Mazzuc-chelli (l. c. par. 2, p. 995. ec.), e la Cronologia e l'Isto-ria de' Savi di Ferrara di Alfonso Maresti, autore peròmolto sospetto, ove si tratta di notizie genealogiche.

XVI. Anche i regni di Napoli e di Siciliaebber non iscarsa copia di storici. Ma po-chi ve ne ha che possan proporsi a modello

degno d'imitazione. Già abbiamo accennate le opere diquesto argomento pubblicate da Giulio Cesare Capac-cio. Le due Storie di Napoli di Giannantonio Summontee di Francesco Capecelatro furono accolte con plauso, ela prima ebbe l'onore di molte edizioni. L'eleganza dellostile latino rendette pregevole quella che ne pubblicò ilp. Giannetasio da noi nominato al principio di questocapo. Il p. d. Antonio Caraccioli teatino da noi nominatopoc'anzi, oltre la pubblicazione delle antiche Cronachegià accennate, raccolse ancora con molta erudizione iMonumenti sacri della chiesa di Napoli, e ne formòun'ampia opera in latino, che però non fu pubblicata chenel 1645 dopo la morte dell'autore 19. Riguardo alle altre

19 A questo argomento appartiene ancora la Napoli sacra di Cesare Eugenio,dal cognome della madre detto anche Caracciolo, stampata in Napoli nel1623, e in cui tratta dell'origine delle chiese, degli spedali, ec. di quellacittà. Carlo de Lellis vi aggiunse la parte II, stampata ivi nel 1654. di luiparla il più volte lodato Soria (Degli Stor. napol. par. 1, p. 225). Presso lui

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Del regno diNapoli.

istorico delle Chiese di Ferrara di Marcantonio Guari-ni; nè sono inutili le Memorie degli Eroi di Casa d'Estedel co. Francesco Berni, del quale autore e di molte altreopere da lui pubblicate ragiona il suddetto co. Mazzuc-chelli (l. c. par. 2, p. 995. ec.), e la Cronologia e l'Isto-ria de' Savi di Ferrara di Alfonso Maresti, autore peròmolto sospetto, ove si tratta di notizie genealogiche.

XVI. Anche i regni di Napoli e di Siciliaebber non iscarsa copia di storici. Ma po-chi ve ne ha che possan proporsi a modello

degno d'imitazione. Già abbiamo accennate le opere diquesto argomento pubblicate da Giulio Cesare Capac-cio. Le due Storie di Napoli di Giannantonio Summontee di Francesco Capecelatro furono accolte con plauso, ela prima ebbe l'onore di molte edizioni. L'eleganza dellostile latino rendette pregevole quella che ne pubblicò ilp. Giannetasio da noi nominato al principio di questocapo. Il p. d. Antonio Caraccioli teatino da noi nominatopoc'anzi, oltre la pubblicazione delle antiche Cronachegià accennate, raccolse ancora con molta erudizione iMonumenti sacri della chiesa di Napoli, e ne formòun'ampia opera in latino, che però non fu pubblicata chenel 1645 dopo la morte dell'autore 19. Riguardo alle altre

19 A questo argomento appartiene ancora la Napoli sacra di Cesare Eugenio,dal cognome della madre detto anche Caracciolo, stampata in Napoli nel1623, e in cui tratta dell'origine delle chiese, degli spedali, ec. di quellacittà. Carlo de Lellis vi aggiunse la parte II, stampata ivi nel 1654. di luiparla il più volte lodato Soria (Degli Stor. napol. par. 1, p. 225). Presso lui

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Del regno diNapoli.

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città del regno, le Antichità di Capova di Cammillo Pel-legrino da noi già mentovato con qualche altra disserta-zione dello stesso dotto scrittore, le Memorie di Bise-glia, e la Cronologia de' Vescovi di Siponto di PompeoSarnelli vescovo della prima città e ancor più noto per lesue Lettere ecclesiastiche, son le migliori che si possanorammentare, benchè moltissime sieno le Storie delle al-tre particolari città di quel regno. Più felice, a mio cre-dere, nella sceltezza e nel valor de' suoi storici fu in que-sto secolo la Sicilia. Rocco Pirro natio di Neto, che,dopo essere stato onorato con diversi cospicui impieghiecclesiastici, morì in Palermo nel 1651 in età di 74 anni,gran luce sparse sulla storia ecclesiastica di quell'isolacolla sua Sicilia sacra, in cui pubblicò tanti pregevolimonumenti raccolti dalle chiese tutte del regno, e da luieruditamente illustrati (V. Mongit. Bibl. sicula t. 2, p.201). E circa il tempo medesimo il p. Ottavio Gaetano

si potranno vedere più diffuse notizie intorno a tutti gli storici che illustra-rono le vicende del medesimo regno. E belle singolarmente son quellech'egli ci ha date intorno al Summonte (t. 2, p. 570). Il pover'uomo, appe-na pubblicati i primi due tomi della sua Storia nel 1601, si vide arrestato echiuso in prigione, o perchè i magistrati vi avesser trovato di che punirlo,o perchè le private passioni si coprissero coll'autorità de' magistrati. Tuttele copie del primo tomo furon date alle fiamme, benchè pur dicasi che al-cune ne fosser sottratte; ed ei dovette, stando in prigione, rifarlo a talentode' revisori; e fu costretto a diffondere il secondo con frapporre qua e làdiverse cartucce. Allora ei riebbe la libertà; ma morì poco appresso a' 29di marzo del 1602. Ei lasciò due altri tomi della sua Storia, che furono po-scia stampati non senza molte contraddizioni nel 1640 e nel 1643. Ne fuposcia fatta una nuova edizione nel 1675. Benchè quest'opera superi permolti riguardi le altre che l'avevano preceduta, egli ancora però vi ha inse-rite favole e novelle in buon numero.

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città del regno, le Antichità di Capova di Cammillo Pel-legrino da noi già mentovato con qualche altra disserta-zione dello stesso dotto scrittore, le Memorie di Bise-glia, e la Cronologia de' Vescovi di Siponto di PompeoSarnelli vescovo della prima città e ancor più noto per lesue Lettere ecclesiastiche, son le migliori che si possanorammentare, benchè moltissime sieno le Storie delle al-tre particolari città di quel regno. Più felice, a mio cre-dere, nella sceltezza e nel valor de' suoi storici fu in que-sto secolo la Sicilia. Rocco Pirro natio di Neto, che,dopo essere stato onorato con diversi cospicui impieghiecclesiastici, morì in Palermo nel 1651 in età di 74 anni,gran luce sparse sulla storia ecclesiastica di quell'isolacolla sua Sicilia sacra, in cui pubblicò tanti pregevolimonumenti raccolti dalle chiese tutte del regno, e da luieruditamente illustrati (V. Mongit. Bibl. sicula t. 2, p.201). E circa il tempo medesimo il p. Ottavio Gaetano

si potranno vedere più diffuse notizie intorno a tutti gli storici che illustra-rono le vicende del medesimo regno. E belle singolarmente son quellech'egli ci ha date intorno al Summonte (t. 2, p. 570). Il pover'uomo, appe-na pubblicati i primi due tomi della sua Storia nel 1601, si vide arrestato echiuso in prigione, o perchè i magistrati vi avesser trovato di che punirlo,o perchè le private passioni si coprissero coll'autorità de' magistrati. Tuttele copie del primo tomo furon date alle fiamme, benchè pur dicasi che al-cune ne fosser sottratte; ed ei dovette, stando in prigione, rifarlo a talentode' revisori; e fu costretto a diffondere il secondo con frapporre qua e làdiverse cartucce. Allora ei riebbe la libertà; ma morì poco appresso a' 29di marzo del 1602. Ei lasciò due altri tomi della sua Storia, che furono po-scia stampati non senza molte contraddizioni nel 1640 e nel 1643. Ne fuposcia fatta una nuova edizione nel 1675. Benchè quest'opera superi permolti riguardi le altre che l'avevano preceduta, egli ancora però vi ha inse-rite favole e novelle in buon numero.

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siracusano gesuita, che alla nobiltà congiunse lo splen-dore delle più rare virtù, andava raccogliendo dagli ar-chivj e da' codici antichi le più sicure memorie per gliAtti de' Santi di quest'isola. Egli però non ebbe tempo dipubblicarli, ed essi non vennero a luce che nel 1657 indue tomi in foglio, cioè trentasette anni dappoichè egliera morto; e assai più tardi ancora, cioè nel 1707, ne fudato al pubblico un'erudita introduzione, da lui intitolataIsagoge, alla Storia ecclesiastica dell'isola stessa. Diquesto autore e di altre opere da lui composte più distin-te notizie somministrerà a chi le brami il suddetto Mon-gitore (ib. p. 110, ec.). Riguardo alla Storia profanadell'isola abbiamo quella di Giuseppe Buonfigli Costan-zo divisa in tre parti, che da' tempi più antichi scendefino alla morte di Filippo II, e che fu stampata nel 1613in Messina, patria dell'autore che di essa ancora ci diedela descrizione in otto libri (ib. t. 1, p. 375; Mazzucch.Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2383). Sono anche in pregio tragli eruditi gli Annali di Palermo di Agostino Inveges sa-cerdote siciliano, morto nel 1677, e autore di più altreopere quasi tutte dirette a illustrar la storia della Sicilia,molte delle quali però sono inedite (Mongit. l. c. p. 87).Il Discorso dell'origine ed antichità di Palermo, e de'primi abitatori della Sicilia e dell'Italia di d. MarianoValguarnera nobilissimo palermitano, stampato in Paler-mo nel 1614, è uno de' più eruditi libri che su questo ar-gomento in quel secolo si pubblicassero. E fu veramenteil Valguarnera uomo e nelle scienze e nelle lingue dot-tissimo, e avuto perciò in altissima stima così dalla corte

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siracusano gesuita, che alla nobiltà congiunse lo splen-dore delle più rare virtù, andava raccogliendo dagli ar-chivj e da' codici antichi le più sicure memorie per gliAtti de' Santi di quest'isola. Egli però non ebbe tempo dipubblicarli, ed essi non vennero a luce che nel 1657 indue tomi in foglio, cioè trentasette anni dappoichè egliera morto; e assai più tardi ancora, cioè nel 1707, ne fudato al pubblico un'erudita introduzione, da lui intitolataIsagoge, alla Storia ecclesiastica dell'isola stessa. Diquesto autore e di altre opere da lui composte più distin-te notizie somministrerà a chi le brami il suddetto Mon-gitore (ib. p. 110, ec.). Riguardo alla Storia profanadell'isola abbiamo quella di Giuseppe Buonfigli Costan-zo divisa in tre parti, che da' tempi più antichi scendefino alla morte di Filippo II, e che fu stampata nel 1613in Messina, patria dell'autore che di essa ancora ci diedela descrizione in otto libri (ib. t. 1, p. 375; Mazzucch.Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2383). Sono anche in pregio tragli eruditi gli Annali di Palermo di Agostino Inveges sa-cerdote siciliano, morto nel 1677, e autore di più altreopere quasi tutte dirette a illustrar la storia della Sicilia,molte delle quali però sono inedite (Mongit. l. c. p. 87).Il Discorso dell'origine ed antichità di Palermo, e de'primi abitatori della Sicilia e dell'Italia di d. MarianoValguarnera nobilissimo palermitano, stampato in Paler-mo nel 1614, è uno de' più eruditi libri che su questo ar-gomento in quel secolo si pubblicassero. E fu veramenteil Valguarnera uomo e nelle scienze e nelle lingue dot-tissimo, e avuto perciò in altissima stima così dalla corte

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di Spagna, ove fu per alcuni anni, come dal pontef. Ur-bano VIII, e da più eruditi uomini di quell'età (ib. t. 2, p.44, ec.). Anche le Memorie istoriche di Catania di d.Pietro Carrera, L'antica Siracusa illustrata di d. Giaco-mo Buonanni duca di Montalbano, le Notizie istorichedi Messina di Placido Reina, e altre particolari Storiedelle città di quell'isola, per gli antichi monumenti chein esse s'illustrano, possono aver luogo tra le opere utilialla storia. E forse non vi ebbe regno e provincia, in cuitanto s'impegnassero i dotti in ricercare e in illustrare leloro antichità e le Storie quanto in quell'isola.

XVII. La Toscana, sede in questo secolo ecentro della grave non meno che della pia-cevole letteratura pare che della storia sola

non fosse molto sollecita; e forse ciò avvenne, perchètanto si erano in ciò adoperati gli scrittori del secolo pre-cedente, che poco avean lasciato a' lor posteri in che oc-cuparsi. Abbiam nondimeno le Serie degli antichi Du-chi di Toscana di Cosimo della Rena, uomo nelle anti-chità e nelle etrusche singolarmente assai dotto, di cui siposson veder notizie ne' Fasti dell'Accademia fiorentina(p. 624), della quale fu console nel 1673, e la Firenze il-lustrata di Ferdinando Leopoldo del Migliore, di cuiperò vuolsi da alcuni che il vero autore fosse Pietro An-tonio dell'Ancisa, che molto si adoperò nel raccoglieredagli archivj scritture e documenti per la Storia delle Fa-miglie fiorentine (V. Mazzucch. Scritt. it. t. 1, par. 2, p.

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Della To-scana.

di Spagna, ove fu per alcuni anni, come dal pontef. Ur-bano VIII, e da più eruditi uomini di quell'età (ib. t. 2, p.44, ec.). Anche le Memorie istoriche di Catania di d.Pietro Carrera, L'antica Siracusa illustrata di d. Giaco-mo Buonanni duca di Montalbano, le Notizie istorichedi Messina di Placido Reina, e altre particolari Storiedelle città di quell'isola, per gli antichi monumenti chein esse s'illustrano, possono aver luogo tra le opere utilialla storia. E forse non vi ebbe regno e provincia, in cuitanto s'impegnassero i dotti in ricercare e in illustrare leloro antichità e le Storie quanto in quell'isola.

XVII. La Toscana, sede in questo secolo ecentro della grave non meno che della pia-cevole letteratura pare che della storia sola

non fosse molto sollecita; e forse ciò avvenne, perchètanto si erano in ciò adoperati gli scrittori del secolo pre-cedente, che poco avean lasciato a' lor posteri in che oc-cuparsi. Abbiam nondimeno le Serie degli antichi Du-chi di Toscana di Cosimo della Rena, uomo nelle anti-chità e nelle etrusche singolarmente assai dotto, di cui siposson veder notizie ne' Fasti dell'Accademia fiorentina(p. 624), della quale fu console nel 1673, e la Firenze il-lustrata di Ferdinando Leopoldo del Migliore, di cuiperò vuolsi da alcuni che il vero autore fosse Pietro An-tonio dell'Ancisa, che molto si adoperò nel raccoglieredagli archivj scritture e documenti per la Storia delle Fa-miglie fiorentine (V. Mazzucch. Scritt. it. t. 1, par. 2, p.

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Della To-scana.

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682). Nel che pure affaticossi molto Bernardo Benvenu-ti natio di Empoli, maestro de' principi figli del granduca Cosimo II, priore di s. Felicita nella sua patria, emorto l'ultimo giorno del 1699, in età di 66 anni. Aven-do egli fatte grandi ricerche negli archivj di Firenze,compilò l'opera intitolata il Priorista, divisa in più tomi,in cui delle più illustri famiglie di quella città dà minuteed esatte notizie. Ma essa non ha mai veduta la luce (ivit. 2, par. 2, p. 885, ec.). Il Discorso cronologico dell'ori-gine di Livorno del p. Niccolò Magri agostiniano, lePompe sanesi del p. Isidoro Ugurgieri domenicano, leMemorie di Pisa di Paolo Tronci, le Storie di Pistoia diMichelangelo Salvi, son le migliori tra le opere che ap-partengono alla storia delle altre città della Toscana;benchè niuna di esse sia tale che non abbisogni di corre-zioni e di giunte in bon numero.

XVIII. Più felice nel numero e nel valor de'suoi storici fu la Repubblica di Venezia, e ilcostume di commettere un tal lavoro perpubblica autorità a chi si credesse a ciò più

opportuno, giovò non poco a mantenere e ad avviar que-sto studio fra' Veneziani. Dopo il Paruta, di cui abbiamdetto nella Storia del secolo precedente, fu trasceltoall'incarico di scriver la Storia veneta Andrea Morosini,uomo, dice il ch. Foscarini (Letterat. venez. p. 257), dilunga esperienza nel governo, e consumato negli studidella più colta erudizione. Egli volle scriverla in lingua

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Della Re-pubblica diVenezia.

682). Nel che pure affaticossi molto Bernardo Benvenu-ti natio di Empoli, maestro de' principi figli del granduca Cosimo II, priore di s. Felicita nella sua patria, emorto l'ultimo giorno del 1699, in età di 66 anni. Aven-do egli fatte grandi ricerche negli archivj di Firenze,compilò l'opera intitolata il Priorista, divisa in più tomi,in cui delle più illustri famiglie di quella città dà minuteed esatte notizie. Ma essa non ha mai veduta la luce (ivit. 2, par. 2, p. 885, ec.). Il Discorso cronologico dell'ori-gine di Livorno del p. Niccolò Magri agostiniano, lePompe sanesi del p. Isidoro Ugurgieri domenicano, leMemorie di Pisa di Paolo Tronci, le Storie di Pistoia diMichelangelo Salvi, son le migliori tra le opere che ap-partengono alla storia delle altre città della Toscana;benchè niuna di esse sia tale che non abbisogni di corre-zioni e di giunte in bon numero.

XVIII. Più felice nel numero e nel valor de'suoi storici fu la Repubblica di Venezia, e ilcostume di commettere un tal lavoro perpubblica autorità a chi si credesse a ciò più

opportuno, giovò non poco a mantenere e ad avviar que-sto studio fra' Veneziani. Dopo il Paruta, di cui abbiamdetto nella Storia del secolo precedente, fu trasceltoall'incarico di scriver la Storia veneta Andrea Morosini,uomo, dice il ch. Foscarini (Letterat. venez. p. 257), dilunga esperienza nel governo, e consumato negli studidella più colta erudizione. Egli volle scriverla in lingua

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Della Re-pubblica diVenezia.

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latina, e prese perciò a continuare quella del Bembo, ecolla fatica di oltre a vent'anni la condusse dal 1521 finoal 1615. Non potè però darle l'ultima mano; ed essendovenuto a morte nel 1618, fu dato l'incarico a Lorenzo Pi-gnoria di porla in istato di uscire alla pubblica luce; maegli ancora si duole di non aver potuto prestarlequell'opera di cui avrebbe abbisognato. Qual ella uscìnondimeno nel 1623, fu ricevuta con grande applauso, ela sincerità, l'eloquenza e l'eleganza con cui è scritta, lafecero annoverare tra le migliori che questo secol vedes-se. Tre altri furon poi destinati al medesimo impiego,Niccolò Contarini, eletto indi doge nel 1630, e mortol'anno seguente, Paolo Morosini fratello dell'Andrea, eJacopo Marcello. Ma la Storia del primo si giace tuttorainedita, il secondo invece di proseguire l'altrui lavoro,volle scrivere una Storia generale della città dalla fonda-zione di essa fino al 1487 in cui si desidera una maggioresattezza nell'indicare i fonti e le pruove delle sue asser-zioni, ed il terzo gittò al fuoco ciò che avea scritto (ivip. 259, 277, ec.). Succedette ad essi Giambattista Nanichiarissimo senator veneziano impiegato dalla repubbli-ca nelle più onorevoli ambasciate, e morto in età di 63anni nel 1678. La Storia della Repubblica da lui scrittain lingua italiana, e divisa in due parti, che abbraccia lospazio corso tra 'l 1613 e 'l 1671, si ha in concetto diopera per la veracità de' racconti e per la sodezza dellepolitiche riflessioni pregevolissima, a cui manchi solouno stile alquanto più semplice e più elegante. E delplauso con cui fu accolta, son pruova le traduzioni fatte-

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latina, e prese perciò a continuare quella del Bembo, ecolla fatica di oltre a vent'anni la condusse dal 1521 finoal 1615. Non potè però darle l'ultima mano; ed essendovenuto a morte nel 1618, fu dato l'incarico a Lorenzo Pi-gnoria di porla in istato di uscire alla pubblica luce; maegli ancora si duole di non aver potuto prestarlequell'opera di cui avrebbe abbisognato. Qual ella uscìnondimeno nel 1623, fu ricevuta con grande applauso, ela sincerità, l'eloquenza e l'eleganza con cui è scritta, lafecero annoverare tra le migliori che questo secol vedes-se. Tre altri furon poi destinati al medesimo impiego,Niccolò Contarini, eletto indi doge nel 1630, e mortol'anno seguente, Paolo Morosini fratello dell'Andrea, eJacopo Marcello. Ma la Storia del primo si giace tuttorainedita, il secondo invece di proseguire l'altrui lavoro,volle scrivere una Storia generale della città dalla fonda-zione di essa fino al 1487 in cui si desidera una maggioresattezza nell'indicare i fonti e le pruove delle sue asser-zioni, ed il terzo gittò al fuoco ciò che avea scritto (ivip. 259, 277, ec.). Succedette ad essi Giambattista Nanichiarissimo senator veneziano impiegato dalla repubbli-ca nelle più onorevoli ambasciate, e morto in età di 63anni nel 1678. La Storia della Repubblica da lui scrittain lingua italiana, e divisa in due parti, che abbraccia lospazio corso tra 'l 1613 e 'l 1671, si ha in concetto diopera per la veracità de' racconti e per la sodezza dellepolitiche riflessioni pregevolissima, a cui manchi solouno stile alquanto più semplice e più elegante. E delplauso con cui fu accolta, son pruova le traduzioni fatte-

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ne nelle lingue francese ed inglese. Innanzi alla nuovaedizione fattane in Venezia nella Raccolta degli Storiciveneziani, si è premessa la Vita di questo celebre stori-co, scritta dal p. d. Pier Caterino Zeno somasco. L'ulti-mo che in questo secolo si accingesse per pubblica auto-rità alla stessa fatica, fu Michel Foscarini, la cui Storia,stampata nel 1696, non ebbe plauso uguale a quello cheavuto avea quella del Nani, e ch'ebbe poi quella di Pie-tro Garzoni, stampata sul principio di questo secolo, dicui non è di questo luogo parlarne. Io lascio in dispartealtre men celebri Storie della stessa Repubblica, diGiambattista Contarini, di Francesco Verdizzotti, di Gia-como Carusio, di Giambattista Veri scrittor latino ele-gante, di Alessandro Maria Vianoli, e di quelle delleguerre da' Veneziani avute co' Turchi di Andrea Valiero,di Girolamo Brusoni, e di Alessandro Locatelli, e i libriscritti all'occasione del famoso Squittinio della libertàveneta, e diverse opere sul dominio del Mare adriatico,perchè non vi ha cosa che meriti grandi elogi.

XIX. Alcune fra le città suddite alla Repub-blica venete ebbero storici, se non moltoeleganti, almen diligenti abbastanza, riguar-do al secolo in cui viveano. Le opere già da

noi mentovate sulle antichità di Padova dell'Orsato, delTommasini, del Salomoni, del Pignoria, illustraronomolto la storia di quella città; il che pure studiossi difare, come meglio potè, Angelo Portenari religioso ago-

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Delle città dello Stato veneto.

ne nelle lingue francese ed inglese. Innanzi alla nuovaedizione fattane in Venezia nella Raccolta degli Storiciveneziani, si è premessa la Vita di questo celebre stori-co, scritta dal p. d. Pier Caterino Zeno somasco. L'ulti-mo che in questo secolo si accingesse per pubblica auto-rità alla stessa fatica, fu Michel Foscarini, la cui Storia,stampata nel 1696, non ebbe plauso uguale a quello cheavuto avea quella del Nani, e ch'ebbe poi quella di Pie-tro Garzoni, stampata sul principio di questo secolo, dicui non è di questo luogo parlarne. Io lascio in dispartealtre men celebri Storie della stessa Repubblica, diGiambattista Contarini, di Francesco Verdizzotti, di Gia-como Carusio, di Giambattista Veri scrittor latino ele-gante, di Alessandro Maria Vianoli, e di quelle delleguerre da' Veneziani avute co' Turchi di Andrea Valiero,di Girolamo Brusoni, e di Alessandro Locatelli, e i libriscritti all'occasione del famoso Squittinio della libertàveneta, e diverse opere sul dominio del Mare adriatico,perchè non vi ha cosa che meriti grandi elogi.

XIX. Alcune fra le città suddite alla Repub-blica venete ebbero storici, se non moltoeleganti, almen diligenti abbastanza, riguar-do al secolo in cui viveano. Le opere già da

noi mentovate sulle antichità di Padova dell'Orsato, delTommasini, del Salomoni, del Pignoria, illustraronomolto la storia di quella città; il che pure studiossi difare, come meglio potè, Angelo Portenari religioso ago-

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Delle città dello Stato veneto.

Page 78: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

stiniano ne' suoi nove libri Della felicità di Padova,stampati nel 1623. La Storia di Vicenza di Jacopo Mar-zari, e la Storia ecclesiastica della stessa città di f. Fran-cesco Barbarano de' Mironi cappuccino, posson giovarea dar qualche lume finchè non se ne abbia una miglio-re20. Quella di Verona scritta dal co. Lodovico Moscardoè lodata dal march. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 471);ed ei si rendette ancora utile alla patria per l'insigne mu-seo da lui raccolto e da noi altrove citato. Già abbiamparlato delle Memorie bresciane di Ottavio Rossi, di cuiabbiamo gli Elogi storici de' Bresciani illustri, e si puòad essi aggiugnere il Ristretto della Storia bresciana diLeonardo Cozzando. L'Istoria quadripartita di Bergamodi f. Celestino cappuccino, e l'Efemeride sacro-profanadel p. Donato Calvi agostiniano mostrano il desiderioch'ebbero questi scrittori di illustrare la loro patria, e alprimo deesi anche lode maggiore pel pubblicar ch'eifece parecchie carte de' bassi tempi. Due buoni storiciebbe Trivigi in Bartolommeo Burchellati e in GiovanniBonifacio. Per le notizie della vita di questi due storiciio rimanderò i lettori a' diligenti articoli che ce ne hadati il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2426,ec.; par. 3, p. 1652, ec.), il quale ancora annovera minu-tamente tutte le opere da essi composte, poichè questidue scrittori parevano gareggiare tra loro a chi fosse più20 Miglior di queste è l'opera di Silvestro Castellini, che circa il 1620 scrisse

gli annali della sua patria, e li corredò di diplomi e di altri autentici monu-menti. Quest'opera non ha veduta la luce che pochi anni addietro. DelMarzari e del Barbarano veggansi gli Scrittori vicentini del p. Angiolga-briello da S. Maria (t. 5, p. 215; t. 6, p. 135).

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stiniano ne' suoi nove libri Della felicità di Padova,stampati nel 1623. La Storia di Vicenza di Jacopo Mar-zari, e la Storia ecclesiastica della stessa città di f. Fran-cesco Barbarano de' Mironi cappuccino, posson giovarea dar qualche lume finchè non se ne abbia una miglio-re20. Quella di Verona scritta dal co. Lodovico Moscardoè lodata dal march. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 471);ed ei si rendette ancora utile alla patria per l'insigne mu-seo da lui raccolto e da noi altrove citato. Già abbiamparlato delle Memorie bresciane di Ottavio Rossi, di cuiabbiamo gli Elogi storici de' Bresciani illustri, e si puòad essi aggiugnere il Ristretto della Storia bresciana diLeonardo Cozzando. L'Istoria quadripartita di Bergamodi f. Celestino cappuccino, e l'Efemeride sacro-profanadel p. Donato Calvi agostiniano mostrano il desiderioch'ebbero questi scrittori di illustrare la loro patria, e alprimo deesi anche lode maggiore pel pubblicar ch'eifece parecchie carte de' bassi tempi. Due buoni storiciebbe Trivigi in Bartolommeo Burchellati e in GiovanniBonifacio. Per le notizie della vita di questi due storiciio rimanderò i lettori a' diligenti articoli che ce ne hadati il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2426,ec.; par. 3, p. 1652, ec.), il quale ancora annovera minu-tamente tutte le opere da essi composte, poichè questidue scrittori parevano gareggiare tra loro a chi fosse più20 Miglior di queste è l'opera di Silvestro Castellini, che circa il 1620 scrisse

gli annali della sua patria, e li corredò di diplomi e di altri autentici monu-menti. Quest'opera non ha veduta la luce che pochi anni addietro. DelMarzari e del Barbarano veggansi gli Scrittori vicentini del p. Angiolga-briello da S. Maria (t. 5, p. 215; t. 6, p. 135).

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fecondo ne' parti del loro ingegno. Il Burchellati scrissein latino, e avendo radunata gran copia di monumenti edi notizie concernenti la storia della patria, li pubblicònel 1616 col titolo Commentariorum Memorabiliummultiplicis Historiae tarvisinae locuples Promptuarium,titolo che corrisponde appunto all'opera che si può con-siderare come un magazzino pieno di merci, non tutteperò di ugual valore, e a sceglier le quali fa d'uopo difino discernimento. Il Bonifacio, ch'era natio di Rovigo,e che visse fino al 1635, scrisse in italiano una seguitaed esatta Storia di Trevigi, e fin dal 1591 la diè in luce.Quindi rifacendosi sul suo lavoro, l'ampliò, la corresse ela continuò fino al 1623, valendosi anche dell'operapubblicata frattanto dal Burchellati. Ma questa Storiacosì migliorata, fu da lui lasciata inedita, e non venne aluce che nel 1744, ed è degna di aver luogo tra le mi-gliori Storie delle città italiane. L'antica Storia del Friuli,scritta in latino da Arrigo Palladio, è più degna di lodeper l'eleganza dello stile che per l'esattezza delle ricer-che, ed essa fu poi continuata in italiano da GiovanniPalladio di lui nipote. Non ugualmente pregiate sonquelle di Feltre di Girolamo Bertondelli, di Belluno diGiorgio Piloni 21 e l'Udine illustrata di Giangiuseppe

21 La città di Feltre ebbe un altro storico nel p. Benedetto Bovio domenicanonatio di nobil famiglia nella stessa città, che nel 1682 pubblicò in Trevigiun'opera intitolata: La Città di Feltre compendiosamente descritta quantoalla sua antichità, ec. Di lui e delle molte altre opere da lui pubblicate, edi tre altri uomini illustri della famiglia medesima, si può vedere un'erudi-ta Dissertazione del sig. co. Giovanni Trieste canonico della cattedral diTrevigi (Nuova Racc. d'Opusc. t. 17, p. 15, ec.).

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fecondo ne' parti del loro ingegno. Il Burchellati scrissein latino, e avendo radunata gran copia di monumenti edi notizie concernenti la storia della patria, li pubblicònel 1616 col titolo Commentariorum Memorabiliummultiplicis Historiae tarvisinae locuples Promptuarium,titolo che corrisponde appunto all'opera che si può con-siderare come un magazzino pieno di merci, non tutteperò di ugual valore, e a sceglier le quali fa d'uopo difino discernimento. Il Bonifacio, ch'era natio di Rovigo,e che visse fino al 1635, scrisse in italiano una seguitaed esatta Storia di Trevigi, e fin dal 1591 la diè in luce.Quindi rifacendosi sul suo lavoro, l'ampliò, la corresse ela continuò fino al 1623, valendosi anche dell'operapubblicata frattanto dal Burchellati. Ma questa Storiacosì migliorata, fu da lui lasciata inedita, e non venne aluce che nel 1744, ed è degna di aver luogo tra le mi-gliori Storie delle città italiane. L'antica Storia del Friuli,scritta in latino da Arrigo Palladio, è più degna di lodeper l'eleganza dello stile che per l'esattezza delle ricer-che, ed essa fu poi continuata in italiano da GiovanniPalladio di lui nipote. Non ugualmente pregiate sonquelle di Feltre di Girolamo Bertondelli, di Belluno diGiorgio Piloni 21 e l'Udine illustrata di Giangiuseppe

21 La città di Feltre ebbe un altro storico nel p. Benedetto Bovio domenicanonatio di nobil famiglia nella stessa città, che nel 1682 pubblicò in Trevigiun'opera intitolata: La Città di Feltre compendiosamente descritta quantoalla sua antichità, ec. Di lui e delle molte altre opere da lui pubblicate, edi tre altri uomini illustri della famiglia medesima, si può vedere un'erudi-ta Dissertazione del sig. co. Giovanni Trieste canonico della cattedral diTrevigi (Nuova Racc. d'Opusc. t. 17, p. 15, ec.).

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Capodagli. Io aggiugnerò qui per ultimo, benchè questacittà sia di dominio austriaco, la Storia di Trieste del p.Ireneo dalla Croce carmelitano scalzo, stampata in Ve-nezia nel 1698, che per le antichità in essa pubblicate fuonorata di molti encomi, e leggesi tuttora con frutto.

XX. Molte ancora sono le opere colle qualifu in questo secolo illustrata la città di Mila-no. Io però non farò che accennare quelle did. Placido Puccinelli monaco casinese, diGirolamo Borsieri, di Carlo Torre, per tacer

d'altri anche men buoni scrittori. Le Storie latine di Giu-seppe Ripamonti canonico della Scala furono applauditefinchè lo stil gonfio e ampolloso ebbe plauso. Ma al ri-sorgere del buon gusto, se ne sminuì di molto il pregio;e a' lumi della critica innoltre vi si scoprirono molti er-rori. Bella ed erudita è la dissertazione De metropolimediolanensi del p. Eustachio da S. Ubaldo agostinianoscalzo per le diligenti ricerche che vi s'incontranosull'ecclesiastiche antichità. Giannantonio Castiglionesacerdote milanese, morto in occasion della peste del1630, fu attento ricercatore degli antichi monumenti ec-clesiastici della sua patria, e altre più altre opere sì stam-pate che inedite, le quali si annoverano dall'Argelati(Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 370, ec.), molte egline pubblicò nella sua opera stampata in Milano nel1625, e intitolata Mediolanenses Antiquitates, libro cherappresenta l'immagine e dà la descrizione di molti di

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Storici mi-lanesi: elo-gio del Pu-ricelli.

Capodagli. Io aggiugnerò qui per ultimo, benchè questacittà sia di dominio austriaco, la Storia di Trieste del p.Ireneo dalla Croce carmelitano scalzo, stampata in Ve-nezia nel 1698, che per le antichità in essa pubblicate fuonorata di molti encomi, e leggesi tuttora con frutto.

XX. Molte ancora sono le opere colle qualifu in questo secolo illustrata la città di Mila-no. Io però non farò che accennare quelle did. Placido Puccinelli monaco casinese, diGirolamo Borsieri, di Carlo Torre, per tacer

d'altri anche men buoni scrittori. Le Storie latine di Giu-seppe Ripamonti canonico della Scala furono applauditefinchè lo stil gonfio e ampolloso ebbe plauso. Ma al ri-sorgere del buon gusto, se ne sminuì di molto il pregio;e a' lumi della critica innoltre vi si scoprirono molti er-rori. Bella ed erudita è la dissertazione De metropolimediolanensi del p. Eustachio da S. Ubaldo agostinianoscalzo per le diligenti ricerche che vi s'incontranosull'ecclesiastiche antichità. Giannantonio Castiglionesacerdote milanese, morto in occasion della peste del1630, fu attento ricercatore degli antichi monumenti ec-clesiastici della sua patria, e altre più altre opere sì stam-pate che inedite, le quali si annoverano dall'Argelati(Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 370, ec.), molte egline pubblicò nella sua opera stampata in Milano nel1625, e intitolata Mediolanenses Antiquitates, libro cherappresenta l'immagine e dà la descrizione di molti di

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Storici mi-lanesi: elo-gio del Pu-ricelli.

Page 81: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

cotai monumenti da lui veduti in diverse chiese di Mila-no, e in quella singolarmente di s. Vincenzo, all'occa-sion dei quali egli dottamente ragiona su molti puntid'ecclesiastica erudizione. A niuno però tanto debbon lestorie e le antichità milanesi quanto a Giampietro Puri-celli, uomo veramente dottissimo, e dotato di una criticaa que' tempi maravigliosa. Nato in Gallarate nella dioce-si di Milano a' 23 di novembre del 1589, prima allescuole de' Gesuiti nella detta città, poscia in quel semi-nario, coltivò non solo gli studj proprj dell'età giovanile,ma anche i più gravi, applicandosi fra le altre cose allostudio delle lingue greca ed ebraica, e dando segni divivo ingegno e di una instancabile avidità di apprenderecose nuove. Un uomo tale non poteva fuggire aglisguardi del gran cardinale Federigo Borromeo. Ei gli fuinfatti carissimo, e venne da lui adoperato ne' più onore-voli impieghi che affidar si possano ad un ecclesiastico,e dopo altre dignità, fu sollevato a quella di arcipretenella basilica di s. Lorenzo nel 1629. L'anno seguente,mentre in Milano infieriva la peste, consecrossi consommo zelo al servigio degl'infermi, e fu il solo tra' ca-nonici di quella chiesa, che ne campasse. E io mi ricor-do di aver letto tra' codici della biblioteca ambrosiana illagrimevol Diario da lui scritto di giorno in giorno dellestragi che la peste menava nel suo capitolo. In mezzoalle fatiche del sacro suo mistero, ei trovò tempo di oc-cuparsi in dotte ricerche, quanto potesse fare l'uomo piùlibero ed ozioso. Ei diessi principalmente a ricercare gliantichi diplomi e le carte che si stavano dimenticate ne'

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cotai monumenti da lui veduti in diverse chiese di Mila-no, e in quella singolarmente di s. Vincenzo, all'occa-sion dei quali egli dottamente ragiona su molti puntid'ecclesiastica erudizione. A niuno però tanto debbon lestorie e le antichità milanesi quanto a Giampietro Puri-celli, uomo veramente dottissimo, e dotato di una criticaa que' tempi maravigliosa. Nato in Gallarate nella dioce-si di Milano a' 23 di novembre del 1589, prima allescuole de' Gesuiti nella detta città, poscia in quel semi-nario, coltivò non solo gli studj proprj dell'età giovanile,ma anche i più gravi, applicandosi fra le altre cose allostudio delle lingue greca ed ebraica, e dando segni divivo ingegno e di una instancabile avidità di apprenderecose nuove. Un uomo tale non poteva fuggire aglisguardi del gran cardinale Federigo Borromeo. Ei gli fuinfatti carissimo, e venne da lui adoperato ne' più onore-voli impieghi che affidar si possano ad un ecclesiastico,e dopo altre dignità, fu sollevato a quella di arcipretenella basilica di s. Lorenzo nel 1629. L'anno seguente,mentre in Milano infieriva la peste, consecrossi consommo zelo al servigio degl'infermi, e fu il solo tra' ca-nonici di quella chiesa, che ne campasse. E io mi ricor-do di aver letto tra' codici della biblioteca ambrosiana illagrimevol Diario da lui scritto di giorno in giorno dellestragi che la peste menava nel suo capitolo. In mezzoalle fatiche del sacro suo mistero, ei trovò tempo di oc-cuparsi in dotte ricerche, quanto potesse fare l'uomo piùlibero ed ozioso. Ei diessi principalmente a ricercare gliantichi diplomi e le carte che si stavano dimenticate ne'

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polverosi archivj, e fu un de' primi a far saggio uso deilumi che la diplomatica ci somministra. L'archivio sin-golarmente dell'imperial basilica di s. Ambrogio fu dalui esaminato diligentemente, e raccoltene moltissimecarte, se ne valse a scrivere la sua opera intitolata Am-brosianae Basilicae Monumenta, una delle più dotte edelle più critiche che in questo secolo si vedessero, incui la storia ecclesiastica generale, e quella in particola-re della chiesa di Milano, vengon mirabilmente illustra-te. Le Dissertazioni su' ss. martiri Gervaso e Protaso,Nazzario e Celso, Arialdo ed Erembaldo, e quella su' se-polcri de' ss. Ambrogio, Satiro e Marcellina loro sorella,e la Vita dell'arcivescovo Lorenzo primo di questonome, son piene anch'esse di scelta erudizione, benchènon sieno esenti da qualche errore. Ma le opere stampa-te del Puricelli sono la menoma parte di quelle che dalui furon composte. Si vegga il lungo e minuto catalogodatocene dall'Argelati (ib. t. 2, pars 1, p. 1135), e si fa-ranno le maraviglie com'ei potesse scrivere su tanti e sìdiversi argomenti, principalmente di storie ecclesiasti-che. Io ho avuta la sorte più anni addietro, per singolargentilezza del ch. sig. dottore Baldassarre Oltrocchi pre-fetto della biblioteca ambrosiana, di vederne e di legger-ne un gran numero, e confesso ch'io non finiva allora diammirare e l'instancabile pazienza del Puricelli nel rac-cogliere sì gran copia di monumenti, e l'erudizione va-stissima nel farne uso. Ei si era applicato principalmentea radunare gli antichi monumenti degli Umiliati, deiquali anzi si dice comunemente, e affermalo ancor

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polverosi archivj, e fu un de' primi a far saggio uso deilumi che la diplomatica ci somministra. L'archivio sin-golarmente dell'imperial basilica di s. Ambrogio fu dalui esaminato diligentemente, e raccoltene moltissimecarte, se ne valse a scrivere la sua opera intitolata Am-brosianae Basilicae Monumenta, una delle più dotte edelle più critiche che in questo secolo si vedessero, incui la storia ecclesiastica generale, e quella in particola-re della chiesa di Milano, vengon mirabilmente illustra-te. Le Dissertazioni su' ss. martiri Gervaso e Protaso,Nazzario e Celso, Arialdo ed Erembaldo, e quella su' se-polcri de' ss. Ambrogio, Satiro e Marcellina loro sorella,e la Vita dell'arcivescovo Lorenzo primo di questonome, son piene anch'esse di scelta erudizione, benchènon sieno esenti da qualche errore. Ma le opere stampa-te del Puricelli sono la menoma parte di quelle che dalui furon composte. Si vegga il lungo e minuto catalogodatocene dall'Argelati (ib. t. 2, pars 1, p. 1135), e si fa-ranno le maraviglie com'ei potesse scrivere su tanti e sìdiversi argomenti, principalmente di storie ecclesiasti-che. Io ho avuta la sorte più anni addietro, per singolargentilezza del ch. sig. dottore Baldassarre Oltrocchi pre-fetto della biblioteca ambrosiana, di vederne e di legger-ne un gran numero, e confesso ch'io non finiva allora diammirare e l'instancabile pazienza del Puricelli nel rac-cogliere sì gran copia di monumenti, e l'erudizione va-stissima nel farne uso. Ei si era applicato principalmentea radunare gli antichi monumenti degli Umiliati, deiquali anzi si dice comunemente, e affermalo ancor

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l'Argelati, ch'egli scrivesse la Storia. Ma, a dir vero, einon la scrisse. Egli adunò bensì una rara copia di perga-mene, e ne fece copia, e non solo dagli archivj milanesi,ma li trasse ancora da molte altre città d'Italia per mezzodi eruditi amici; e raccolse quante potè trovare notiziesu questo argomento, le quali veggonsi sparse in diversicodici dell'Ambrosiana. Scrisse ancor qualche cosa sugliuomini di quell'Ordine celebri per santità, e sull'estin-zion del medesimo. Ma o non ebbe agio a compir l'ope-ra meditata, o gli parve di non avere ancora raccolta ba-stevol copia di monumenti. Delle fatiche di questogrand'uomo io mi son poscia giovato nel comporre lamia opera sullo stesso argomento, e benchè le moltissi-me carte da lui non vedute, e da me fortunatamente sco-perte, mi abbian recato gran lume, io però forse nonl'avrei potuta condurre a fine, se il Puricelli non miavesse aperta e segnata la via. Egli finì di vivere nel1659 in età di 70 anni; e il nome ne rimarrà immortale eglorioso presso i saggi estimatori della vera erudizione.

XXI. Qualche storico ci additano ancora lealtre città che or compongono lo Stato diMilano. Alcune opere di Giuseppe Brescia-ni, le quali però son Cataloghi anzi che Sto-rie, e che si annoverano dal co. Mazzucchel-

li (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2075, ec.), dan qualche lumeper la storia di Cremona, la qual città meriterebbe peraltro di avere una migliore Storia. Pavia che alcune Sto-

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Delle altre città dello Stato di Milano e diMantova.

l'Argelati, ch'egli scrivesse la Storia. Ma, a dir vero, einon la scrisse. Egli adunò bensì una rara copia di perga-mene, e ne fece copia, e non solo dagli archivj milanesi,ma li trasse ancora da molte altre città d'Italia per mezzodi eruditi amici; e raccolse quante potè trovare notiziesu questo argomento, le quali veggonsi sparse in diversicodici dell'Ambrosiana. Scrisse ancor qualche cosa sugliuomini di quell'Ordine celebri per santità, e sull'estin-zion del medesimo. Ma o non ebbe agio a compir l'ope-ra meditata, o gli parve di non avere ancora raccolta ba-stevol copia di monumenti. Delle fatiche di questogrand'uomo io mi son poscia giovato nel comporre lamia opera sullo stesso argomento, e benchè le moltissi-me carte da lui non vedute, e da me fortunatamente sco-perte, mi abbian recato gran lume, io però forse nonl'avrei potuta condurre a fine, se il Puricelli non miavesse aperta e segnata la via. Egli finì di vivere nel1659 in età di 70 anni; e il nome ne rimarrà immortale eglorioso presso i saggi estimatori della vera erudizione.

XXI. Qualche storico ci additano ancora lealtre città che or compongono lo Stato diMilano. Alcune opere di Giuseppe Brescia-ni, le quali però son Cataloghi anzi che Sto-rie, e che si annoverano dal co. Mazzucchel-

li (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2075, ec.), dan qualche lumeper la storia di Cremona, la qual città meriterebbe peraltro di avere una migliore Storia. Pavia che alcune Sto-

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Delle altre città dello Stato di Milano e diMantova.

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rie avea avute nel secolo precedente, niuna n'ebbe inquesto. Ad essa però è utile l'opera del p. Romoaldo daS. Maria agostiniano scalzo intitolata Flavia Papia sa-cra, per le notizie, benchè non tutte sicure nè sempreesatte, che vi si trovano sparse entro. Miglior sorte ebbeComo, perciocchè, oltre il Compendio delle Cronache diquella città di Francesco Ballerini, che non è cosa dimolto pregio, abbiamo gli Annali sacri di essa, scrittidal p. d. Primo Luigi Tatti cherico regolare somasco,che le prime due decadi ne stampò nel 1675 e nel 1683,e ne fu poi pubblicata la terza deca con alcune giunte indue tomi dal p. d. Giuseppe Maria Stampa dell'Ordinestesso nel 1734 e nel seguente; ed è opera che, benchèforse più del dovere diffuso, pe' documenti però, che visi contengono, è assai utile alla storia. Anche la città diLodi, oltre la Storia scrittane da Giambattista Villanova,ha i Discorsi istorici di Difendente Lodi, in cui si trova-no su varj punti della storia de' bassi secoli assai eruditericerche. Io non parlo delle Storie di alcune particolaricastella, o borghi, come di Treviglio, di Meda, di Cam-pione, di Castellone, perchè esse non possono sollecitarmolto la curiosità degli eruditi. Alle Storie dello Stato diMilano voglionsi aggiugnere quelle di Mantova, che trestorici di qualche nome ebbe in questo secol medesimo.Il primo è il p. Ippolito Donesmondi minor osservante,che ce ne diede la Storia ecclesiastica; il secondo è An-tonio Possevino il giovane, nipote del celebre gesuita,che in latino scrisse la Storia de' Gonzaghi signori diquella città, e innoltre quella della guerra del Monferra-

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rie avea avute nel secolo precedente, niuna n'ebbe inquesto. Ad essa però è utile l'opera del p. Romoaldo daS. Maria agostiniano scalzo intitolata Flavia Papia sa-cra, per le notizie, benchè non tutte sicure nè sempreesatte, che vi si trovano sparse entro. Miglior sorte ebbeComo, perciocchè, oltre il Compendio delle Cronache diquella città di Francesco Ballerini, che non è cosa dimolto pregio, abbiamo gli Annali sacri di essa, scrittidal p. d. Primo Luigi Tatti cherico regolare somasco,che le prime due decadi ne stampò nel 1675 e nel 1683,e ne fu poi pubblicata la terza deca con alcune giunte indue tomi dal p. d. Giuseppe Maria Stampa dell'Ordinestesso nel 1734 e nel seguente; ed è opera che, benchèforse più del dovere diffuso, pe' documenti però, che visi contengono, è assai utile alla storia. Anche la città diLodi, oltre la Storia scrittane da Giambattista Villanova,ha i Discorsi istorici di Difendente Lodi, in cui si trova-no su varj punti della storia de' bassi secoli assai eruditericerche. Io non parlo delle Storie di alcune particolaricastella, o borghi, come di Treviglio, di Meda, di Cam-pione, di Castellone, perchè esse non possono sollecitarmolto la curiosità degli eruditi. Alle Storie dello Stato diMilano voglionsi aggiugnere quelle di Mantova, che trestorici di qualche nome ebbe in questo secol medesimo.Il primo è il p. Ippolito Donesmondi minor osservante,che ce ne diede la Storia ecclesiastica; il secondo è An-tonio Possevino il giovane, nipote del celebre gesuita,che in latino scrisse la Storia de' Gonzaghi signori diquella città, e innoltre quella della guerra del Monferra-

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to dal 1612 al 1618; il terzo è Scipione Agnelli Maffeivescovo di Casale, che una voluminosa Storia di quellacittà pubblicò nel 1675. Ma niuna di queste Storie è taleche corrisponda al merito di quella città, e soddisfacciaalle brame de' dotti.

XXII. Più scarse furono di storici le altreprovincie d'Italia. Modena ebbe dal suo Lo-dovico Vedriani due tomi di Storia, e parec-chi altri volumi di Vite de' suoi Vescovi, de'

suoi Cardinali, de' suoi Santi, de' suoi Artisti, de' suoiDottori; ed essa gli debb'esser grata del buon desiderioch'egli ebbe d'illustrar la sua patria, e delle molte faticheche perciò sostenne. Ma dee ancora bramare che vengaun giorno chi con ordin migliore e con maggior esattez-za ne scriva la Storia. Il Compendio storico di Reggio diFulvio Azzari è troppo picciola cosa per esser qui ram-mentata, e la Storia diffusa ch'egli ne scrisse, si giaceinedita, e ne ha copia l'Estense 22. Qualche opera di Ra-nuccio Pico intorno alla Storia di Parma non ha pregiomolto maggiore. Assai più dotto scrittore ebbe Piacenza,che nella Storia ecclesiastica di essa, scritta dal can. PierMaria Campi, e stampata in tre tomi nel 1659 e neglianni seguenti, ci mostra un'opera piena di autentici e fi-nallora inediti monumenti, e in cui solo sarebbe talvolta

22 Il Compendio della Storia di Reggio non è opera dello stesso Fulvio Az-zari, di cui è l'ampia Storia ms., come qui sembra indicarsi, ma di Ottaviodi lui fratello (Bibl. moden. t. 1, p. 113).

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Delle altre provincie d'Italia.

to dal 1612 al 1618; il terzo è Scipione Agnelli Maffeivescovo di Casale, che una voluminosa Storia di quellacittà pubblicò nel 1675. Ma niuna di queste Storie è taleche corrisponda al merito di quella città, e soddisfacciaalle brame de' dotti.

XXII. Più scarse furono di storici le altreprovincie d'Italia. Modena ebbe dal suo Lo-dovico Vedriani due tomi di Storia, e parec-chi altri volumi di Vite de' suoi Vescovi, de'

suoi Cardinali, de' suoi Santi, de' suoi Artisti, de' suoiDottori; ed essa gli debb'esser grata del buon desiderioch'egli ebbe d'illustrar la sua patria, e delle molte faticheche perciò sostenne. Ma dee ancora bramare che vengaun giorno chi con ordin migliore e con maggior esattez-za ne scriva la Storia. Il Compendio storico di Reggio diFulvio Azzari è troppo picciola cosa per esser qui ram-mentata, e la Storia diffusa ch'egli ne scrisse, si giaceinedita, e ne ha copia l'Estense 22. Qualche opera di Ra-nuccio Pico intorno alla Storia di Parma non ha pregiomolto maggiore. Assai più dotto scrittore ebbe Piacenza,che nella Storia ecclesiastica di essa, scritta dal can. PierMaria Campi, e stampata in tre tomi nel 1659 e neglianni seguenti, ci mostra un'opera piena di autentici e fi-nallora inediti monumenti, e in cui solo sarebbe talvolta

22 Il Compendio della Storia di Reggio non è opera dello stesso Fulvio Az-zari, di cui è l'ampia Storia ms., come qui sembra indicarsi, ma di Ottaviodi lui fratello (Bibl. moden. t. 1, p. 113).

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Delle altre provincie d'Italia.

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a bramare che l'autore di più rigorosa critica avesse usa-to nel discernere i veri da' falsi, e nel dedurne le conse-guenze. Genova, paga di aver avuto nel secolo prece-dente un Foglietta e un Bonfadio, parve che si sdegnassedi avere altri storici 23. Non così il Piemonte, che moltine ebbe; e lasciando in disparte la grand'opera del Gui-chenon, che non appartiene all'Italia, due indefessi ricer-catori delle notizie storiche del Piemonte diede in questosecolo la nobilissima famiglia Della Chiesa di Saluzzo,Lodovico senatore e consigliere del duca Carlo Ema-nuele I, e Francesco Agostino di lui nipote vescovo diSaluzzo 24. Del primo abbiamo la Storia del Piemonte,

23 Un altro storico ebbe Genova, il quale però, più che per opere storiche,debb'esser rammentato per un nuovo genere di componimento che ideòegli il primo, e che poscia è stato da tanti altri eseguito e perfezionato.Parlo di Giampaolo Marana nobile genovese, il quale essendosi lasciatoavvolgere nella trama ordita, ma inutilmente, l'anno 1672 da Rafaello del-la Torre per far cadere Savona nelle mani del duca di Savoia, e costrettoperciò a fuggire, ritirossi a Monaco, e indi a Lione, ove nel 1682 pubblicòla Storia di quella congiura. Passato indi a Parigi, compose ivi nel 1684l'altra opera, per cui è meritevole di maggior nome, intitolata l'EspionTurc in sei volumi, in cui finge che una spia mandata perciò dal sultano inFrancia, faccia la relazione di ciò che vi è accaduto dopo il 1637, libro cheper la novità dell'idea, e per l'arte del racconto, fu assai applaudito, alme-no ne' primi tre volumi, e fu perciò imitato poscia da molti. Egli pubblicòancora nel 1690 un Compendio de' più memorabili avvenimenti del regnodi Luigi XIV. Dicesi ch'egli tornato poscia in Italia, e rinchiusosi in unasolitudine, vi morisse l'anno 1693 (Dict. des Homm. Ill. ed. de Caen,1779, t. 4, p. 346).

24 Di Lodovico e di Francesco Agostino Della Chiesa e delle opere loro, e dipiù altri di questa nobil famiglia, si troveranno più distinte notizienell'Elogio ad essi tessuto dal sig. collaterale Gaetano Giacinto Loya(Piemontesi ill. t. 4, p. 19, ec.), ove anche molti altri lumi s'incontrano allastoria letteraria del Piemonte opportuni.

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a bramare che l'autore di più rigorosa critica avesse usa-to nel discernere i veri da' falsi, e nel dedurne le conse-guenze. Genova, paga di aver avuto nel secolo prece-dente un Foglietta e un Bonfadio, parve che si sdegnassedi avere altri storici 23. Non così il Piemonte, che moltine ebbe; e lasciando in disparte la grand'opera del Gui-chenon, che non appartiene all'Italia, due indefessi ricer-catori delle notizie storiche del Piemonte diede in questosecolo la nobilissima famiglia Della Chiesa di Saluzzo,Lodovico senatore e consigliere del duca Carlo Ema-nuele I, e Francesco Agostino di lui nipote vescovo diSaluzzo 24. Del primo abbiamo la Storia del Piemonte,

23 Un altro storico ebbe Genova, il quale però, più che per opere storiche,debb'esser rammentato per un nuovo genere di componimento che ideòegli il primo, e che poscia è stato da tanti altri eseguito e perfezionato.Parlo di Giampaolo Marana nobile genovese, il quale essendosi lasciatoavvolgere nella trama ordita, ma inutilmente, l'anno 1672 da Rafaello del-la Torre per far cadere Savona nelle mani del duca di Savoia, e costrettoperciò a fuggire, ritirossi a Monaco, e indi a Lione, ove nel 1682 pubblicòla Storia di quella congiura. Passato indi a Parigi, compose ivi nel 1684l'altra opera, per cui è meritevole di maggior nome, intitolata l'EspionTurc in sei volumi, in cui finge che una spia mandata perciò dal sultano inFrancia, faccia la relazione di ciò che vi è accaduto dopo il 1637, libro cheper la novità dell'idea, e per l'arte del racconto, fu assai applaudito, alme-no ne' primi tre volumi, e fu perciò imitato poscia da molti. Egli pubblicòancora nel 1690 un Compendio de' più memorabili avvenimenti del regnodi Luigi XIV. Dicesi ch'egli tornato poscia in Italia, e rinchiusosi in unasolitudine, vi morisse l'anno 1693 (Dict. des Homm. Ill. ed. de Caen,1779, t. 4, p. 346).

24 Di Lodovico e di Francesco Agostino Della Chiesa e delle opere loro, e dipiù altri di questa nobil famiglia, si troveranno più distinte notizienell'Elogio ad essi tessuto dal sig. collaterale Gaetano Giacinto Loya(Piemontesi ill. t. 4, p. 19, ec.), ove anche molti altri lumi s'incontrano allastoria letteraria del Piemonte opportuni.

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quella dell'origine del real Casato di Savoia, e quelladella sua patria Saluzzo, scritta in italiano; e in latino leVite de' Marchesi di Saluzzo, e alcune osservazioni sto-riche, oltre altre opere che non sono di questo luogo.Del secondo abbiamo la Serie de' Cardinali, de' Vescovi,degli Abati del Piemonte, la Corona reale di Savoia, ilCatalogo degli Scrittori piemontesi e savoiardi, oltremoltissime altre opere in gran parte inedite, delle qualisi può vedere il catalogo presso il Rossotti (Syllab.Script. Pedem. p. 199). Anche il co. Emanuel Tesauro,da noi nominato poc'anzi, ci diè le Storie del Piemonte edella città di Torino. Ma tutte queste opere sanno troppoil gusto del secolo de' loro autori, e oltre i difetti dellostile, manca loro quell'esattezza e quel giusto discerni-mento, senza il quale le opere storiche, in vece di recarlume alle vicende de' secoli trapassati, le confondono eoscurano maggiormente. Il che pure vuol dirsi di alcuneStorie delle città del Piemonte e degli altri Stati soggettiora alla real casa di Savoia, come degli Annali d'Ales-sandria di Girolamo Ghilini, della Storia di Tortona diNiccolò Montemerlo, di quella d'Asti del co. Guid'Anto-nio Malabaila, dell'opera del p. ab. Malabaila cistercien-se, intitolata Clypeus Civitatis Astensis, delle opere in-torno alla Storia di Vercelli di Carlo Amedeo Bellini, delp. Aurelio Corbellini agostiniano, e del can. Marco Au-relio Cusano, e delle Storie di alcune altre città di quelleprovincie, di cui non giova il far distinta menzione 25.25 Uno de' migliori storici che in questo secolo avessero i dominj della real

corte di Savoia, fu Pietro Gioffredo nato in Nizza a' 16 d'agosto del 1629.

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quella dell'origine del real Casato di Savoia, e quelladella sua patria Saluzzo, scritta in italiano; e in latino leVite de' Marchesi di Saluzzo, e alcune osservazioni sto-riche, oltre altre opere che non sono di questo luogo.Del secondo abbiamo la Serie de' Cardinali, de' Vescovi,degli Abati del Piemonte, la Corona reale di Savoia, ilCatalogo degli Scrittori piemontesi e savoiardi, oltremoltissime altre opere in gran parte inedite, delle qualisi può vedere il catalogo presso il Rossotti (Syllab.Script. Pedem. p. 199). Anche il co. Emanuel Tesauro,da noi nominato poc'anzi, ci diè le Storie del Piemonte edella città di Torino. Ma tutte queste opere sanno troppoil gusto del secolo de' loro autori, e oltre i difetti dellostile, manca loro quell'esattezza e quel giusto discerni-mento, senza il quale le opere storiche, in vece di recarlume alle vicende de' secoli trapassati, le confondono eoscurano maggiormente. Il che pure vuol dirsi di alcuneStorie delle città del Piemonte e degli altri Stati soggettiora alla real casa di Savoia, come degli Annali d'Ales-sandria di Girolamo Ghilini, della Storia di Tortona diNiccolò Montemerlo, di quella d'Asti del co. Guid'Anto-nio Malabaila, dell'opera del p. ab. Malabaila cistercien-se, intitolata Clypeus Civitatis Astensis, delle opere in-torno alla Storia di Vercelli di Carlo Amedeo Bellini, delp. Aurelio Corbellini agostiniano, e del can. Marco Au-relio Cusano, e delle Storie di alcune altre città di quelleprovincie, di cui non giova il far distinta menzione 25.25 Uno de' migliori storici che in questo secolo avessero i dominj della real

corte di Savoia, fu Pietro Gioffredo nato in Nizza a' 16 d'agosto del 1629.

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XXIII. Come ne' secoli precedenti, così inquesto ancora, oltre gli scrittori delle cosed'Italia, molti altri n'ebbe, che si occuparo-no nella Storia degli altri regni. Anzi dob-biam confessare che i più illustri storici

che produsse in questo secol l'Italia, più che delle vicen-de della lor patria, furon solleciti di tramandare a' poste-ri la memoria delle straniere, forse perchè parve loro chepiù luminoso argomento di storia esse somministrassero.Ciò però non dee intendersi riguardo all'Impero germa-nico, i cui avvenimenti ebber tra noi alcuni storici, manon di molto valore. Se la magnificenza della edizionefosse pruova dell'eccellenza di un'opera, appena vi sa-

Nel 1663 ebbe il titolo d'istorico di Savoia, e a' titoli si aggiunser presto lesovrane beneficenze, perciocchè, oltre l'esser stato nominato nel 1665 ret-tore della parrocchia di s. Eusebio in Torino, e oltre alcuni altri beneficjecclesiastici poscia ottenuti, nel 1673 fu nominato limosiniere, precettoree consigliere del principe del Piemonte, che fu il re Vittorio Amedeo,coll'annuo trattenimento di lire 2250 oltre lire 500 di stipendio e la tavolaper lui e per un servidore; l'anno seguente fu ancor nominato bibliotecariocollo stipendio di lire 300. Nel 1677 fu ascritto alla cittadinanza, e nel1679 fu fatto cavaliere dell'Ordine de' ss. Maurizio e Lazzaro. Egli finì divivere in Nizza agli 11 di dicembre del 1692. Il Rossotti (Syllab. Script.Pedemont. p. 489) ne accenna le opere sì stampate che inedite. Fra le pri-me, la più pregevole è quella che ha per titolo Nicæa Civitas sacris monu-mentis illustrata, stampata in Torino nel 1658, e inserita poi dal Burman-no nella sua raccolta (Thes. Hist. Ital. t. 9, pars 6). Fra le inedite son de-gne di particolar menzione la Corografia e Storia delle Alpi marittime, ilcui originale conservasi in Torino negli archivj di corte, e la Storiadell'Ordine de' ss. Maurizio e Lazzaro, il cui originale è parimente in To-rino. Tutte queste opere per la esatta critica, per la chiarezza dell'ordine,per la sobrietà dello stile e per l'ampiezza dell'erudizione, son tanto piùdegne di stima, quanto più rari erano allora tai pregi negli scrittori di sto-ria. Di queste notizie io son debitore al ch. sig. baron Giuseppe Vernazza.

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Italiani scrit-tori della Sto-ria d'Allema-gna.

XXIII. Come ne' secoli precedenti, così inquesto ancora, oltre gli scrittori delle cosed'Italia, molti altri n'ebbe, che si occuparo-no nella Storia degli altri regni. Anzi dob-biam confessare che i più illustri storici

che produsse in questo secol l'Italia, più che delle vicen-de della lor patria, furon solleciti di tramandare a' poste-ri la memoria delle straniere, forse perchè parve loro chepiù luminoso argomento di storia esse somministrassero.Ciò però non dee intendersi riguardo all'Impero germa-nico, i cui avvenimenti ebber tra noi alcuni storici, manon di molto valore. Se la magnificenza della edizionefosse pruova dell'eccellenza di un'opera, appena vi sa-

Nel 1663 ebbe il titolo d'istorico di Savoia, e a' titoli si aggiunser presto lesovrane beneficenze, perciocchè, oltre l'esser stato nominato nel 1665 ret-tore della parrocchia di s. Eusebio in Torino, e oltre alcuni altri beneficjecclesiastici poscia ottenuti, nel 1673 fu nominato limosiniere, precettoree consigliere del principe del Piemonte, che fu il re Vittorio Amedeo,coll'annuo trattenimento di lire 2250 oltre lire 500 di stipendio e la tavolaper lui e per un servidore; l'anno seguente fu ancor nominato bibliotecariocollo stipendio di lire 300. Nel 1677 fu ascritto alla cittadinanza, e nel1679 fu fatto cavaliere dell'Ordine de' ss. Maurizio e Lazzaro. Egli finì divivere in Nizza agli 11 di dicembre del 1692. Il Rossotti (Syllab. Script.Pedemont. p. 489) ne accenna le opere sì stampate che inedite. Fra le pri-me, la più pregevole è quella che ha per titolo Nicæa Civitas sacris monu-mentis illustrata, stampata in Torino nel 1658, e inserita poi dal Burman-no nella sua raccolta (Thes. Hist. Ital. t. 9, pars 6). Fra le inedite son de-gne di particolar menzione la Corografia e Storia delle Alpi marittime, ilcui originale conservasi in Torino negli archivj di corte, e la Storiadell'Ordine de' ss. Maurizio e Lazzaro, il cui originale è parimente in To-rino. Tutte queste opere per la esatta critica, per la chiarezza dell'ordine,per la sobrietà dello stile e per l'ampiezza dell'erudizione, son tanto piùdegne di stima, quanto più rari erano allora tai pregi negli scrittori di sto-ria. Di queste notizie io son debitore al ch. sig. baron Giuseppe Vernazza.

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Italiani scrit-tori della Sto-ria d'Allema-gna.

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rebbe storico che potesse paragonarsi a Giovanni Palaz-zi veneziano, di cui abbiamo otto gran tomi, co' titoliAquila inter Lilia, Aquila Saxonica, ec., e un altro italia-no intitolato Aquila romana, stampati in Venezia dal1671 al 1679, ne' quali abbraccia la Storia di tuttigl'Imperadori da Carlo Magno fino ai suoi tempi, stam-pati con lusso non ordinario. Ma benchè egli fossedall'imp. Leopoldo onorato di regali, di onori e di cari-ca di suo istoriografo (Cl. Venet. Epist. ad Maliab. t. 2,p. 179), essi però si giacciono ora dimenticati, e nonv'ha a chi spiaccia di esserne privo. Migliore è la Storiadella guerra dal re Gustavo Adolfo fatta nell'Allemagna,scritta in latino da Pier Battista Borgo genovese (V.Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1761), sul qual ar-gomento abbiamo ancora un'altra Storia parimente in la-tino di Giuseppe Ricci, e in italiano di Maiolino Bisac-cioni e del co. Galeazzo Gualdo, autori già da noi ram-mentati, e de' quali abbiam veduto qual conto si debbafare. Anche le Vite dell'imp. Leopoldo, scritte da Giam-battista Comazzi e da Carlo Giuseppe Reina, non sonotali che il mentovarle torni a grande onor dell'Italia 26.

XXIV. Alcuni degli autori più volte in questo capo già

26 A questo luogo appartiene parimente una pregevole operetta di monsig.Carlo Caraffa vescovo di Aversa, e già nuncio del papa all'imperador Fe-derico II, intitolata: Commentaria de Germania Sacra restaurata subSummis Pontificibus Gregorio XV et Urbano VIII regnante Ferdinando II,stampata in Colonia nel 1639 in 8, in cui s'espone tutto ciò che di più me-morabile era in quelle provincie avvenuto dal 1620 sino al 1629.

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rebbe storico che potesse paragonarsi a Giovanni Palaz-zi veneziano, di cui abbiamo otto gran tomi, co' titoliAquila inter Lilia, Aquila Saxonica, ec., e un altro italia-no intitolato Aquila romana, stampati in Venezia dal1671 al 1679, ne' quali abbraccia la Storia di tuttigl'Imperadori da Carlo Magno fino ai suoi tempi, stam-pati con lusso non ordinario. Ma benchè egli fossedall'imp. Leopoldo onorato di regali, di onori e di cari-ca di suo istoriografo (Cl. Venet. Epist. ad Maliab. t. 2,p. 179), essi però si giacciono ora dimenticati, e nonv'ha a chi spiaccia di esserne privo. Migliore è la Storiadella guerra dal re Gustavo Adolfo fatta nell'Allemagna,scritta in latino da Pier Battista Borgo genovese (V.Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1761), sul qual ar-gomento abbiamo ancora un'altra Storia parimente in la-tino di Giuseppe Ricci, e in italiano di Maiolino Bisac-cioni e del co. Galeazzo Gualdo, autori già da noi ram-mentati, e de' quali abbiam veduto qual conto si debbafare. Anche le Vite dell'imp. Leopoldo, scritte da Giam-battista Comazzi e da Carlo Giuseppe Reina, non sonotali che il mentovarle torni a grande onor dell'Italia 26.

XXIV. Alcuni degli autori più volte in questo capo già

26 A questo luogo appartiene parimente una pregevole operetta di monsig.Carlo Caraffa vescovo di Aversa, e già nuncio del papa all'imperador Fe-derico II, intitolata: Commentaria de Germania Sacra restaurata subSummis Pontificibus Gregorio XV et Urbano VIII regnante Ferdinando II,stampata in Colonia nel 1639 in 8, in cui s'espone tutto ciò che di più me-morabile era in quelle provincie avvenuto dal 1620 sino al 1629.

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mentovati, presero anche ad argomento del-le lor opere la Storia di Francia, come ilGualdo, il Leti ed altri. Ad essi si può ag-giugnere il co. Alessandro Roncoveri pia-

centino che ci ha data una Storia del regno di Luigi XIII,e Beniamino Priuli, che in latino descrisse le turbolenzedi quel regno dopo la morte del detto monarca, del qualstorico si posson vedere esatte notizie presso il ch. Fo-scarini (Letterat. venez. p. 401) e presso il p. Niceron(Mém. t. 39, p. 298). Sopra tutto però le guerre civili chenel secolo precedente aveano sconvolto quel regno, die-dero argomento di storia a molti scrittori italiani. Ci ba-sti accennare quelle del p. Stefano Cosmi somasco e ge-nerale della sua religione, di Omero Tortora pesarese, edi Alessandro Campiglia; le quali non mancano de' loropregi, ma che cedon molto a quella di Arrigo CaterinoDavila, uno de' più illustri storici che questo secolo ab-bia prodotti. Il diligentissimo Apostolo Zeno innanzialla magnifica edizione di questa Storia, fatta in Venezianel 1733, ha premessa la Vita di questo rinomato scritto-re, ripurgandola dalle favole di cui molti e il Papadopolisingolarmente (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 126), l'aveanoingombra. Il p. Niceron ce ne ha poi dato un compendio(Mém. des Homm. ill. t. 39, p. 126), un più breve epilo-go ne darem qui noi pure. La Pieve del Sacco nel territo-rio di Padova fu la patria del Davila che ivi nacque a' 30di ottobre del 1576 da Antonio Davila, già contestabiledel regno di Cipro, che, perduti in quell'isola tutti i suoibeni, quando i Turchi la presero nel 1570, fu costretto a

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Della Storiadi Francia: elogio del Davila.

mentovati, presero anche ad argomento del-le lor opere la Storia di Francia, come ilGualdo, il Leti ed altri. Ad essi si può ag-giugnere il co. Alessandro Roncoveri pia-

centino che ci ha data una Storia del regno di Luigi XIII,e Beniamino Priuli, che in latino descrisse le turbolenzedi quel regno dopo la morte del detto monarca, del qualstorico si posson vedere esatte notizie presso il ch. Fo-scarini (Letterat. venez. p. 401) e presso il p. Niceron(Mém. t. 39, p. 298). Sopra tutto però le guerre civili chenel secolo precedente aveano sconvolto quel regno, die-dero argomento di storia a molti scrittori italiani. Ci ba-sti accennare quelle del p. Stefano Cosmi somasco e ge-nerale della sua religione, di Omero Tortora pesarese, edi Alessandro Campiglia; le quali non mancano de' loropregi, ma che cedon molto a quella di Arrigo CaterinoDavila, uno de' più illustri storici che questo secolo ab-bia prodotti. Il diligentissimo Apostolo Zeno innanzialla magnifica edizione di questa Storia, fatta in Venezianel 1733, ha premessa la Vita di questo rinomato scritto-re, ripurgandola dalle favole di cui molti e il Papadopolisingolarmente (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 126), l'aveanoingombra. Il p. Niceron ce ne ha poi dato un compendio(Mém. des Homm. ill. t. 39, p. 126), un più breve epilo-go ne darem qui noi pure. La Pieve del Sacco nel territo-rio di Padova fu la patria del Davila che ivi nacque a' 30di ottobre del 1576 da Antonio Davila, già contestabiledel regno di Cipro, che, perduti in quell'isola tutti i suoibeni, quando i Turchi la presero nel 1570, fu costretto a

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Della Storiadi Francia: elogio del Davila.

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partirne. Gli furon posti i nomi di Arrigo Caterino ingrazia di Arrigo III re di Francia e della reina Caterinade' Medici, da' quali era stato il padre beneficato nelsoggiorno che per alcuni anni avea fatto in quel regno.Quindi volendo egli porre il figlio sotto la lor protezio-ne, prima ch'ei giungesse al settimo anno, il condusse inFrancia, ove in Villars nella Normandia fu allevato pres-so il maresciallo Giovanni d'Hemery, marito di una so-rella di suo padre. Passò poi a Parigi, e fu per qualchetempo alla corte, forse come paggio del re, o della reinamadre. Indi giunto all'età di 18 anni, entrò nelle truppe,e per lo spazio di circa quattro anni vi diè molte pruovedel suo valore, e fu più volte in pericolo di vita. Nel1599 tornò a Padova, richiamatovi dal padre, che dopola morte della reina, accaduta nel 1589, avea lasciata laFrancia; ma appena giuntovi, perdette sventuratamenteil padre che gittossi da un'alta finestra, poche ore dopomorì. Entrò allora al servigio della repubblica, e fu daessa impiegato in onorevoli cariche militari. Trovandosiegli in Parma nel 1606, prese a frequentare l'Accademiadegl'Innominati, ove Tommaso Stigliani, uomo gonfioquant'altri mai fosse del suo sapere, che pur non eragrandissimo, pretendeva di avere il primato. Una dispu-ta letteraria che tra essi si accese, per poco non fu fataleallo Stigliani, perciocchè il Davila, da lui offeso con pa-role, sfidollo, e colla spada il passò da parte a parte, ri-portandone egli solo una ferita in una gamba. La feritanondimeno non fu mortale, e lo Stigliani ne guarì. IlZeno annovera i diversi impieghi militari e i diversi go-

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partirne. Gli furon posti i nomi di Arrigo Caterino ingrazia di Arrigo III re di Francia e della reina Caterinade' Medici, da' quali era stato il padre beneficato nelsoggiorno che per alcuni anni avea fatto in quel regno.Quindi volendo egli porre il figlio sotto la lor protezio-ne, prima ch'ei giungesse al settimo anno, il condusse inFrancia, ove in Villars nella Normandia fu allevato pres-so il maresciallo Giovanni d'Hemery, marito di una so-rella di suo padre. Passò poi a Parigi, e fu per qualchetempo alla corte, forse come paggio del re, o della reinamadre. Indi giunto all'età di 18 anni, entrò nelle truppe,e per lo spazio di circa quattro anni vi diè molte pruovedel suo valore, e fu più volte in pericolo di vita. Nel1599 tornò a Padova, richiamatovi dal padre, che dopola morte della reina, accaduta nel 1589, avea lasciata laFrancia; ma appena giuntovi, perdette sventuratamenteil padre che gittossi da un'alta finestra, poche ore dopomorì. Entrò allora al servigio della repubblica, e fu daessa impiegato in onorevoli cariche militari. Trovandosiegli in Parma nel 1606, prese a frequentare l'Accademiadegl'Innominati, ove Tommaso Stigliani, uomo gonfioquant'altri mai fosse del suo sapere, che pur non eragrandissimo, pretendeva di avere il primato. Una dispu-ta letteraria che tra essi si accese, per poco non fu fataleallo Stigliani, perciocchè il Davila, da lui offeso con pa-role, sfidollo, e colla spada il passò da parte a parte, ri-portandone egli solo una ferita in una gamba. La feritanondimeno non fu mortale, e lo Stigliani ne guarì. IlZeno annovera i diversi impieghi militari e i diversi go-

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verni che affidati furono al Davila in Candia, nel Friuli,nella Dalmazia e altrove e, rammenta l'onorevole gui-derdone dei suoi servigi ch'ebbe dalla repubblica, nonsolo colle pensioni che gli furono assegnate, ma con undecreto ancora con cui si ordinò che, quando egli inter-venisse al senato, stesse presso il doge, come avean fat-to i suoi antenati, quando eran contestabili del regno diCipro. Così egli visse fino al 1631, quando un impensa-to accidente il tolse miseramente di vita. Andava egli daVenezia a Crema, per avere il comodo di quella guari-gione, e la repubblica avea ordinato che gli fossero inogni luogo somministrati i carriaggi al suo viaggio op-portuni. Ma giunto a un luogo sul veronese detto s. Mi-chele, un uom brutale ricusando di dargli ciò che il Da-vila richiedeva, contro di lui avventossi, e con un colpodi pistola gittollo morto a terra in presenza dalla mogliee de' figli dell'infelice storico, uno de' quali poco appres-so uccise l'uccisore del padre, e in quel tumulto altri an-cora furon feriti, e il cappellano del Davila rimase mor-to. Solo l'anno innanzi avea egli pubblicata la sua Storiadelle Guerre civili di Francia, la qual poscia fu tante etante volte di nuovo stampata e tradotta in quasi tutte lelingue straniere, fra le quali edizioni, le più magnifichesono quelle della stamperia reale di Parigi nel 1644 el'accennata veneta del 1733. In fatti, per confessione de-gli stessi francesi, essa è una delle migliori Storie chequelle guerre abbiano avuto. Il lungo soggiorno da luifatto in Francia, le amicizie da lui ivi formate, la cogni-zione de' luoghi da lui stesso veduti, e de' fatti a' quali si

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verni che affidati furono al Davila in Candia, nel Friuli,nella Dalmazia e altrove e, rammenta l'onorevole gui-derdone dei suoi servigi ch'ebbe dalla repubblica, nonsolo colle pensioni che gli furono assegnate, ma con undecreto ancora con cui si ordinò che, quando egli inter-venisse al senato, stesse presso il doge, come avean fat-to i suoi antenati, quando eran contestabili del regno diCipro. Così egli visse fino al 1631, quando un impensa-to accidente il tolse miseramente di vita. Andava egli daVenezia a Crema, per avere il comodo di quella guari-gione, e la repubblica avea ordinato che gli fossero inogni luogo somministrati i carriaggi al suo viaggio op-portuni. Ma giunto a un luogo sul veronese detto s. Mi-chele, un uom brutale ricusando di dargli ciò che il Da-vila richiedeva, contro di lui avventossi, e con un colpodi pistola gittollo morto a terra in presenza dalla mogliee de' figli dell'infelice storico, uno de' quali poco appres-so uccise l'uccisore del padre, e in quel tumulto altri an-cora furon feriti, e il cappellano del Davila rimase mor-to. Solo l'anno innanzi avea egli pubblicata la sua Storiadelle Guerre civili di Francia, la qual poscia fu tante etante volte di nuovo stampata e tradotta in quasi tutte lelingue straniere, fra le quali edizioni, le più magnifichesono quelle della stamperia reale di Parigi nel 1644 el'accennata veneta del 1733. In fatti, per confessione de-gli stessi francesi, essa è una delle migliori Storie chequelle guerre abbiano avuto. Il lungo soggiorno da luifatto in Francia, le amicizie da lui ivi formate, la cogni-zione de' luoghi da lui stesso veduti, e de' fatti a' quali si

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era trovato presente, l'avean posto in istato di scriverecomunemente con sicuri ed ottimi fondamenti. Lo stilfacile e chiaro, l'ordine e la connessione degli avveni-menti, le riflessioni sull'origine e sulle conseguenze del-le rivoluzioni, l'esattezza delle descrizioni e la verità de'racconti rendono la letteratura di questa Storia non soloutile ma dilettevole ancora. S'egli ha voluto talvolta pe-netrar troppo avanti nel cuor de' principi e d'altri granpersonaggi, e indovinarne gli affetti e i pensieri, se hainserite nella sua Storia orazioni da lui stesso immagina-te e composte, se ha errato talvolta nella geografia, o seha travisati i nomi francesi (nel che però egli ha peccatomeno, che non facciano comunemente i Francesi ne'nomi italiani), se in alcune circostanze de' fatti ha presoerrore, ciò pruova che la Storia del Davila non è in ogniparte perfetta; ma ella non lascia perciò di esser tale chepoche tra le italiane e tra le francesi ancor di que' tempile possano stare al confronto. Cinque lettere latine, main uno stile poco felice, scritte dal Davila a Luigi Lolli-no vescovo di Belluno si leggon tra quelle di questo ve-scovo, e un'italiana è inserita ne' Discorsi morali di Fla-vio Querenghi (p. 347).

XXV. Nulla meno delle guerre civili di Francia furon fa-mose in Europa quelle di Fiandra, che diedero occasioneed origine alla nuova Repubblica delle Provincie unite,e in cui tanti celebri condottieri d'armata dall'una edall'altra parte segnalarono il loro valore e il lor senno.

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era trovato presente, l'avean posto in istato di scriverecomunemente con sicuri ed ottimi fondamenti. Lo stilfacile e chiaro, l'ordine e la connessione degli avveni-menti, le riflessioni sull'origine e sulle conseguenze del-le rivoluzioni, l'esattezza delle descrizioni e la verità de'racconti rendono la letteratura di questa Storia non soloutile ma dilettevole ancora. S'egli ha voluto talvolta pe-netrar troppo avanti nel cuor de' principi e d'altri granpersonaggi, e indovinarne gli affetti e i pensieri, se hainserite nella sua Storia orazioni da lui stesso immagina-te e composte, se ha errato talvolta nella geografia, o seha travisati i nomi francesi (nel che però egli ha peccatomeno, che non facciano comunemente i Francesi ne'nomi italiani), se in alcune circostanze de' fatti ha presoerrore, ciò pruova che la Storia del Davila non è in ogniparte perfetta; ma ella non lascia perciò di esser tale chepoche tra le italiane e tra le francesi ancor di que' tempile possano stare al confronto. Cinque lettere latine, main uno stile poco felice, scritte dal Davila a Luigi Lolli-no vescovo di Belluno si leggon tra quelle di questo ve-scovo, e un'italiana è inserita ne' Discorsi morali di Fla-vio Querenghi (p. 347).

XXV. Nulla meno delle guerre civili di Francia furon fa-mose in Europa quelle di Fiandra, che diedero occasioneed origine alla nuova Repubblica delle Provincie unite,e in cui tanti celebri condottieri d'armata dall'una edall'altra parte segnalarono il loro valore e il lor senno.

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Esse perciò ebbero molti scrittori in Italia; ealcuni ne abbiamo accennati fin dal secoloprecedente. In questo io non farò menzionedi quelle di Pompeo Giustiniani, di Gabriel-lo Niccoletti, di Pier Francesco Pieri e di al-cuni altri meno illustri scrittori. Due sono

quelli che quasi a gara l'uno dell'altro avendo preso atrattare questo argomento, l'han maneggiato per modo,che le lor Storie, dopo replicate edizioni, sono ancoraavidamente cercate, e ancor si leggon con frutto, il card.Guido Bentivoglio e il p. Famiano Strada della Compa-gnia di Gesù. Facciam prima conoscere questi due scrit-tori, e direm poscia delle Storie da essi composte. Il pri-mo ha parlato abbastanza di se medesimo nelle sue Me-morie o Diario e nelle sue Lettere, perchè ci sia neces-sario di molta fatica per raccoglierne le notizie. Egli erafiglio del march. Cornelio Bentivoglio e d'ElisabettaBendedei, ed era nato in Ferrara nel 1579. Fatti in patriai primi studj, passò nell'an. 1593 a Padova per coltivarele scienze; e fece conoscere quanto felice ingegno aves-se per ciò sortito. Dopo la morte del duca Alfonso II, se-guita nell'anno 1597, egli ripatriò, e molto colla sua de-strezza adoperossi, sì per riconciliare col card. Aldo-brandini il march. Ippolito suo fratello, che si era mo-strato favorevole al duca Cesare, sì per conchiuder lapace tra questo sovrano e il pontef. Clemente VIII. Ve-nuto questi a Ferrara, diè al Bentivoglio molti contrasse-gni di stima, e il nominò suo cameriere segreto, permet-tendogli però di tornarsene pel compimento de' suoi stu-

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Delle Guer-re di Fian-dra: notizie del card. Bentivoglioe del p. Strada.

Esse perciò ebbero molti scrittori in Italia; ealcuni ne abbiamo accennati fin dal secoloprecedente. In questo io non farò menzionedi quelle di Pompeo Giustiniani, di Gabriel-lo Niccoletti, di Pier Francesco Pieri e di al-cuni altri meno illustri scrittori. Due sono

quelli che quasi a gara l'uno dell'altro avendo preso atrattare questo argomento, l'han maneggiato per modo,che le lor Storie, dopo replicate edizioni, sono ancoraavidamente cercate, e ancor si leggon con frutto, il card.Guido Bentivoglio e il p. Famiano Strada della Compa-gnia di Gesù. Facciam prima conoscere questi due scrit-tori, e direm poscia delle Storie da essi composte. Il pri-mo ha parlato abbastanza di se medesimo nelle sue Me-morie o Diario e nelle sue Lettere, perchè ci sia neces-sario di molta fatica per raccoglierne le notizie. Egli erafiglio del march. Cornelio Bentivoglio e d'ElisabettaBendedei, ed era nato in Ferrara nel 1579. Fatti in patriai primi studj, passò nell'an. 1593 a Padova per coltivarele scienze; e fece conoscere quanto felice ingegno aves-se per ciò sortito. Dopo la morte del duca Alfonso II, se-guita nell'anno 1597, egli ripatriò, e molto colla sua de-strezza adoperossi, sì per riconciliare col card. Aldo-brandini il march. Ippolito suo fratello, che si era mo-strato favorevole al duca Cesare, sì per conchiuder lapace tra questo sovrano e il pontef. Clemente VIII. Ve-nuto questi a Ferrara, diè al Bentivoglio molti contrasse-gni di stima, e il nominò suo cameriere segreto, permet-tendogli però di tornarsene pel compimento de' suoi stu-

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Delle Guer-re di Fian-dra: notizie del card. Bentivoglioe del p. Strada.

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dj a Padova, ove poi ebbe la laurea. Passato a Roma, vistrinse amicizia co' dotti che ivi erano, e de' quali egliparla nelle sue Memorie e fu poi adoperato nella nunzia-tura delle Fiandre dal 1607 fino al 1616, e indi in quelladi Francia fino al 1621, nel qual anno sollevato all'onordella porpora, fu ancora dal re Luigi XIII nominato pro-tettor della Francia in Roma. Egli ottenne poi di deporrequesto onorevole incarico, e nel 1641 fu fatto vescovodi Terracina. La stima in cui egli era presso ogni ordinedi persone, faceva credere a molti ch'ei fosse per succe-dere al pontef. Urbano VIII a cui era stato carissimo,morto nel 1644. Ma appena ei fu entrato in conclave, fusorpreso da mortal malattia, che il condusse al fin de'suoi giorni a' 7 settembre dell'anno stesso. Le Relazionida lui distese in tempo delle sue nunziature di Fiandra edi Francia, e le Memorie ossia Diario della sua Vita,sono, oltre la Storia delle Guerre di Fiandra, di cui po-scia diremo, i monumenti non tanto del suo sapere,quanto della sua prudenza e del suo saggio discernimen-to, che il card. Bentivoglio ci ha lasciati. E se altre pruo-ve non ne avessimo, le molte edizioni e le traduzioni inpiù altre lingue, che ne sono state fatte, ci mostrano ab-bastanza quanto le prime due opere singolarmente fos-sero e sien tuttora applaudite. Egli di fatto si scuopre inesse uomo di maturo ingegno, osservator diligente, av-veduto politico, e fornito di tutti que' pregi che proprjson di un ministro; e l'onor ch'egli ebbe di essere accet-tissimo a que' sovrani da' quali fu impiegato, o presso iquali egli visse ci fa vedere che, quale il mostran le sue

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dj a Padova, ove poi ebbe la laurea. Passato a Roma, vistrinse amicizia co' dotti che ivi erano, e de' quali egliparla nelle sue Memorie e fu poi adoperato nella nunzia-tura delle Fiandre dal 1607 fino al 1616, e indi in quelladi Francia fino al 1621, nel qual anno sollevato all'onordella porpora, fu ancora dal re Luigi XIII nominato pro-tettor della Francia in Roma. Egli ottenne poi di deporrequesto onorevole incarico, e nel 1641 fu fatto vescovodi Terracina. La stima in cui egli era presso ogni ordinedi persone, faceva credere a molti ch'ei fosse per succe-dere al pontef. Urbano VIII a cui era stato carissimo,morto nel 1644. Ma appena ei fu entrato in conclave, fusorpreso da mortal malattia, che il condusse al fin de'suoi giorni a' 7 settembre dell'anno stesso. Le Relazionida lui distese in tempo delle sue nunziature di Fiandra edi Francia, e le Memorie ossia Diario della sua Vita,sono, oltre la Storia delle Guerre di Fiandra, di cui po-scia diremo, i monumenti non tanto del suo sapere,quanto della sua prudenza e del suo saggio discernimen-to, che il card. Bentivoglio ci ha lasciati. E se altre pruo-ve non ne avessimo, le molte edizioni e le traduzioni inpiù altre lingue, che ne sono state fatte, ci mostrano ab-bastanza quanto le prime due opere singolarmente fos-sero e sien tuttora applaudite. Egli di fatto si scuopre inesse uomo di maturo ingegno, osservator diligente, av-veduto politico, e fornito di tutti que' pregi che proprjson di un ministro; e l'onor ch'egli ebbe di essere accet-tissimo a que' sovrani da' quali fu impiegato, o presso iquali egli visse ci fa vedere che, quale il mostran le sue

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opere, tale era veramente. Più tranquilla, come ad unuom religioso si conveniva, fu la vita dell'altro storicodelle Guerre di Fiandra, cioè del p. Famiano Strada ro-mano, nato nel 1572 e entrato nella Compagnia di Gesùnel 1591. Il collegio romano ne fu l'ordinario soggiorno,e l'impiego di professor d'eloquenza fu quello in cuiesercitossi comunemente, finchè a' 6 di settembre del1649, in età di 58 anni finì di vivere, lasciando di sestesso onorevol memoria presso i suoi non meno chepresso gli stranieri non solo pel suo sapere, ma ancheper le religiose virtù che in lui risplendevano mirabil-mente (V. Sotuell. Bibl. Script. S. J. p. 200). Benchè laStoria di cui ora diremo, sia quella che lo ha renduto piùcelebre, io credo che nondimeno che uguale, o forse an-che maggior lode egli meriti per le sue prolusioni acca-demiche su diversi argomenti dell'amena Letteratura,nelle quali e le riflessioni ch'egli propone, e lo stile concui egli scrive, mi sembra proprio di un uomo di ottimogusto. E quella fra le altre in cui egli ci offre diversicomponimenti poetici da sè composti a imitazion dellostile de' più celebri poeti latini eroici, cioè di Lucano, diLucrezio, di Claudiano, di Ovidio, di Stazio, di Virgilio,a me par tale che niuno abbia mai sì felicemente esegui-to una varia e sì difficile imitazione di sì diverse manie-re di stile. Ma vegniam ormai alle due Storie.

XXVI. Esse cominciarono ad uscir in pub-blico quasi al tempo medesimo, perciocchè

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Loro Storiee loro ca-rattere.

opere, tale era veramente. Più tranquilla, come ad unuom religioso si conveniva, fu la vita dell'altro storicodelle Guerre di Fiandra, cioè del p. Famiano Strada ro-mano, nato nel 1572 e entrato nella Compagnia di Gesùnel 1591. Il collegio romano ne fu l'ordinario soggiorno,e l'impiego di professor d'eloquenza fu quello in cuiesercitossi comunemente, finchè a' 6 di settembre del1649, in età di 58 anni finì di vivere, lasciando di sestesso onorevol memoria presso i suoi non meno chepresso gli stranieri non solo pel suo sapere, ma ancheper le religiose virtù che in lui risplendevano mirabil-mente (V. Sotuell. Bibl. Script. S. J. p. 200). Benchè laStoria di cui ora diremo, sia quella che lo ha renduto piùcelebre, io credo che nondimeno che uguale, o forse an-che maggior lode egli meriti per le sue prolusioni acca-demiche su diversi argomenti dell'amena Letteratura,nelle quali e le riflessioni ch'egli propone, e lo stile concui egli scrive, mi sembra proprio di un uomo di ottimogusto. E quella fra le altre in cui egli ci offre diversicomponimenti poetici da sè composti a imitazion dellostile de' più celebri poeti latini eroici, cioè di Lucano, diLucrezio, di Claudiano, di Ovidio, di Stazio, di Virgilio,a me par tale che niuno abbia mai sì felicemente esegui-to una varia e sì difficile imitazione di sì diverse manie-re di stile. Ma vegniam ormai alle due Storie.

XXVI. Esse cominciarono ad uscir in pub-blico quasi al tempo medesimo, perciocchè

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Loro Storiee loro ca-rattere.

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la prima decade del p. Strada, con cui conduce la Storiadalla morte di Carlo V fino all'anno 1575, fu stampata inRoma nel 1632, ma la seconda, con cui arriva sino al1590, non venne a luce che nel 1647, nè più oltre ei siavanzò; e il lavoro di esso fu poscia continuato, ma consuccesso non ugualmente felice, dal p. Guglielmo Don-dini bolognese e dal p. Angiolo Galluzzi maceratese,ambedue gesuiti, il primo de' quali descrisse le impresedi Alessandro Farnese fatte in Francia, il secondo lacontinuazione della guerra di Fiandra dalla morte delFarnese fino al 1609. La parte I di quella del card. Ben-tivoglio, che dal 1559 si avanza fino al 1578, fu pubbli-cata nello stesso anno 1632. Quattro anni appresso uscìla seconda che giunse al 1593, e poscia nel 1639 la ter-za, con cui s'innoltra sino alla tregua del 1609. Frattantotra 'l pubblicarsi della prima e della seconda decade delp. Strada, il card. Bentivoglio nel 1642 prese a scriverele sue Memorie, facendo in esse menzione degli uominidotti da sè conosciuti in Roma, ricorda il p. Strada (l. 1,c. 9) e la Storia della guerra di Fiandra da esso compo-sta, ed entra a farne lungo e minuto esame; nè può ne-garsi che il cardinale non si mostri in questo passo nondel tutto libero dalle umane passioni; e il pregiudizioche ei dà della Storia del suo emulo, benchè per lo piùsia giusto, piacerebbe più nondimeno, se fosse opera al-trui: Dopo un'affettazione lunghissima, dic'egli, ch'ègiunta ormai a trent'anni, non si è veduto uscire se nonla prima Deca di quest'opera sino al presente, e confes-so, che se bene l'Autore è mio amico, e da me viene

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la prima decade del p. Strada, con cui conduce la Storiadalla morte di Carlo V fino all'anno 1575, fu stampata inRoma nel 1632, ma la seconda, con cui arriva sino al1590, non venne a luce che nel 1647, nè più oltre ei siavanzò; e il lavoro di esso fu poscia continuato, ma consuccesso non ugualmente felice, dal p. Guglielmo Don-dini bolognese e dal p. Angiolo Galluzzi maceratese,ambedue gesuiti, il primo de' quali descrisse le impresedi Alessandro Farnese fatte in Francia, il secondo lacontinuazione della guerra di Fiandra dalla morte delFarnese fino al 1609. La parte I di quella del card. Ben-tivoglio, che dal 1559 si avanza fino al 1578, fu pubbli-cata nello stesso anno 1632. Quattro anni appresso uscìla seconda che giunse al 1593, e poscia nel 1639 la ter-za, con cui s'innoltra sino alla tregua del 1609. Frattantotra 'l pubblicarsi della prima e della seconda decade delp. Strada, il card. Bentivoglio nel 1642 prese a scriverele sue Memorie, facendo in esse menzione degli uominidotti da sè conosciuti in Roma, ricorda il p. Strada (l. 1,c. 9) e la Storia della guerra di Fiandra da esso compo-sta, ed entra a farne lungo e minuto esame; nè può ne-garsi che il cardinale non si mostri in questo passo nondel tutto libero dalle umane passioni; e il pregiudizioche ei dà della Storia del suo emulo, benchè per lo piùsia giusto, piacerebbe più nondimeno, se fosse opera al-trui: Dopo un'affettazione lunghissima, dic'egli, ch'ègiunta ormai a trent'anni, non si è veduto uscire se nonla prima Deca di quest'opera sino al presente, e confes-so, che se bene l'Autore è mio amico, e da me viene

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grandemente stimato, non posso far di meno ch'io nonconcorra sopra di ciò nel comune giudizio delle piùerudite e più gravi persone, dalle quali vien giudicato,che un tal componimento serva alle scuole molto più diquello che insegni, e che in tutto il resto eziandiol'Autore di gran lunga non osservi, come dovrebbe, iprecetti storici. E veramente sopra questa materia toc-cante i precetti move maraviglia anche al vedersi, cheprima l'Autore nelle sue Prolusioni ricevute con tantoapplauso gli abbia così bene insegnati, e che poi nellasua istoria gli abbia così imperfettamente eseguiti. Pas-sa indi il cardinale a fare una minuta analisi de' difettidel p. Strada. Quanto all'arte storica, riprende le fre-quenti e lunghe digressioni con cui interrompe la seriede' fatti, e gli elogi e le quasi distinte vite de' grandi per-sonaggi ch'ei v'inserisce; biasima ancora le minutezze acui talvolta discende, la soverchia brevità con cui si spe-disce da alcuni più memorabili avvenimenti, la parziali-tà ch'egli mostra per la Casa Farnese, per ordine dellaquale di fatto egli scrisse la sua Storia, il troppo fre-quente uso delle comparazioni e delle sentenze, e lescarse e superficiali notizie ch'ei dà delle negoziazionide' gabinetti, le quali nelle vicende della guerra soglionoaver sì gran parte. Venendo poi allo stile, ei confessa,che in questa parte può meritar lodi così vantaggiose loStrada, che gli servano come per un contraccambio del-le soprannotate opposizioni, che alla sua Istoria si fan-no. E siegue annoverandone i pregi, ma aggiunge insie-me, e con ragione, che più terso è lo stile delle sue Pro-

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grandemente stimato, non posso far di meno ch'io nonconcorra sopra di ciò nel comune giudizio delle piùerudite e più gravi persone, dalle quali vien giudicato,che un tal componimento serva alle scuole molto più diquello che insegni, e che in tutto il resto eziandiol'Autore di gran lunga non osservi, come dovrebbe, iprecetti storici. E veramente sopra questa materia toc-cante i precetti move maraviglia anche al vedersi, cheprima l'Autore nelle sue Prolusioni ricevute con tantoapplauso gli abbia così bene insegnati, e che poi nellasua istoria gli abbia così imperfettamente eseguiti. Pas-sa indi il cardinale a fare una minuta analisi de' difettidel p. Strada. Quanto all'arte storica, riprende le fre-quenti e lunghe digressioni con cui interrompe la seriede' fatti, e gli elogi e le quasi distinte vite de' grandi per-sonaggi ch'ei v'inserisce; biasima ancora le minutezze acui talvolta discende, la soverchia brevità con cui si spe-disce da alcuni più memorabili avvenimenti, la parziali-tà ch'egli mostra per la Casa Farnese, per ordine dellaquale di fatto egli scrisse la sua Storia, il troppo fre-quente uso delle comparazioni e delle sentenze, e lescarse e superficiali notizie ch'ei dà delle negoziazionide' gabinetti, le quali nelle vicende della guerra soglionoaver sì gran parte. Venendo poi allo stile, ei confessa,che in questa parte può meritar lodi così vantaggiose loStrada, che gli servano come per un contraccambio del-le soprannotate opposizioni, che alla sua Istoria si fan-no. E siegue annoverandone i pregi, ma aggiunge insie-me, e con ragione, che più terso è lo stile delle sue Pro-

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lusioni che quello della sua Storia. Fa poscia un con-fronto fra lo stil dello Strada e quello del p. GiampietroMaffei, e, com'era giusto, antipone il secondo al primo,benchè anche dello stile del p. Strada faccia di nuovograndi elogi, e così conchiude per ultimo il suo esame:"Nè io sono così vano, che avendo composta la mia(Storia di Fiandra) nel tempo stesso che lo Strada va se-guendo la sua, mi possa credere pensiero, che non sog-giaccia forse a maggiori difetti. Ma si deve considerarefra lui e me questa differenza, ch'egli ha scritto per pro-fessione, ed io per trattenimento; egli alla Casa Farnese,ed io a me medesimo; egli con ogni comodità e di tem-po e di luogo e di quiete; laddove io quasi sempre hoscritto di furto, essendomi bisognato rubare me stessocontinuamente alla violenza, che a tutte l'ore mi hannofatta nel divertirmi dall'intrapreso lavoro e le cure priva-te, e gli affari pubblici, e lo strepito inquietissimo dellaCorte, e l'impedimento della mia languida sanità, che èstato il maggiore e più modesto di tutti gli altri". S'iodebbo dire liberamente ciò che a me sembra di questogiudizio del card. Bentivoglio, io stimo ch'egli abbiatroppo biasimato insieme e troppo lodato. I difettich'egli appone allo Strada quanto all'arte storica, misembrano esagerati, benchè pur sia vero che questoscrittore non sia talvolta esente da quelli che il cardinalein lui biasima. Ma esagerate ancor mi sembran le lodicon cui n'esalta lo stile, il quale a me par non poco lon-tano da quella facile eleganza che forma il pregio princi-pal di uno storico, e da quella purezza che si ammira in

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lusioni che quello della sua Storia. Fa poscia un con-fronto fra lo stil dello Strada e quello del p. GiampietroMaffei, e, com'era giusto, antipone il secondo al primo,benchè anche dello stile del p. Strada faccia di nuovograndi elogi, e così conchiude per ultimo il suo esame:"Nè io sono così vano, che avendo composta la mia(Storia di Fiandra) nel tempo stesso che lo Strada va se-guendo la sua, mi possa credere pensiero, che non sog-giaccia forse a maggiori difetti. Ma si deve considerarefra lui e me questa differenza, ch'egli ha scritto per pro-fessione, ed io per trattenimento; egli alla Casa Farnese,ed io a me medesimo; egli con ogni comodità e di tem-po e di luogo e di quiete; laddove io quasi sempre hoscritto di furto, essendomi bisognato rubare me stessocontinuamente alla violenza, che a tutte l'ore mi hannofatta nel divertirmi dall'intrapreso lavoro e le cure priva-te, e gli affari pubblici, e lo strepito inquietissimo dellaCorte, e l'impedimento della mia languida sanità, che èstato il maggiore e più modesto di tutti gli altri". S'iodebbo dire liberamente ciò che a me sembra di questogiudizio del card. Bentivoglio, io stimo ch'egli abbiatroppo biasimato insieme e troppo lodato. I difettich'egli appone allo Strada quanto all'arte storica, misembrano esagerati, benchè pur sia vero che questoscrittore non sia talvolta esente da quelli che il cardinalein lui biasima. Ma esagerate ancor mi sembran le lodicon cui n'esalta lo stile, il quale a me par non poco lon-tano da quella facile eleganza che forma il pregio princi-pal di uno storico, e da quella purezza che si ammira in

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un Bonfadio, in un Maffei e in altri scrittori del secoloprecedente. Nè io dirò che perciò il p. Strada si meritas-se di essere villanamente ripreso dallo Scioppio, il qualeprese a criticarne, per così dire, ogni sillaba, con un li-bro intitolato Infamia Famiani, titolo che basta esso soloa mostrare il buon gusto di sì severo censore. Anzi a mesembra che, malgrado i difetti che incontransi in questaStoria, essa meriti un distinto luogo tra le più celebri chesono uscite in Italia. Quella del card. Bentivoglio non èstata essa pure senza accusatori e senza critica; e il fa-moso Gravina fra gli altri lo dice "Scrittor leggiadro, mapovero di sentimenti e parco nel palesare gli ascosi con-sigli da lui forse più per prudenza taciuti, che per impe-rizia tralasciati" (Calogerà Racc. d'Opusc. t. 20, p. 158).Io confesso che al legger questo giudizio mi è nato dub-bio che il Gravina non avesse letta la Storia del Bentivo-glio, e che troppo si fidasse dell'altrui relazione. A mepar certo ch'ei sia ben lungi dall'esser povero di senti-menti; e che anzi il difetto di questo celebre storico siaquello di affettare ingegno scrivendo, e l'usare troppofrequentemente le antitesi e i contrapposti, senza peròcadere in quella gonfiezza di stile sì comune agli scritto-ri di que' tempi. Riguardo poi agli ascosi consigli, a mepar che ne dica quanto a un saggio storico si conviene, eche nulla egli ommetta di ciò che a conoscere le segreteorigini de' più memorabili avvenimenti può essere op-portuno. Rimarrebbe ora a decidere quale di queste Sto-rie sia più da pregiarsi; decisione malagevole, ove sitratta di cosa che dipende dal gusto, e di opere che han-

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un Bonfadio, in un Maffei e in altri scrittori del secoloprecedente. Nè io dirò che perciò il p. Strada si meritas-se di essere villanamente ripreso dallo Scioppio, il qualeprese a criticarne, per così dire, ogni sillaba, con un li-bro intitolato Infamia Famiani, titolo che basta esso soloa mostrare il buon gusto di sì severo censore. Anzi a mesembra che, malgrado i difetti che incontransi in questaStoria, essa meriti un distinto luogo tra le più celebri chesono uscite in Italia. Quella del card. Bentivoglio non èstata essa pure senza accusatori e senza critica; e il fa-moso Gravina fra gli altri lo dice "Scrittor leggiadro, mapovero di sentimenti e parco nel palesare gli ascosi con-sigli da lui forse più per prudenza taciuti, che per impe-rizia tralasciati" (Calogerà Racc. d'Opusc. t. 20, p. 158).Io confesso che al legger questo giudizio mi è nato dub-bio che il Gravina non avesse letta la Storia del Bentivo-glio, e che troppo si fidasse dell'altrui relazione. A mepar certo ch'ei sia ben lungi dall'esser povero di senti-menti; e che anzi il difetto di questo celebre storico siaquello di affettare ingegno scrivendo, e l'usare troppofrequentemente le antitesi e i contrapposti, senza peròcadere in quella gonfiezza di stile sì comune agli scritto-ri di que' tempi. Riguardo poi agli ascosi consigli, a mepar che ne dica quanto a un saggio storico si conviene, eche nulla egli ommetta di ciò che a conoscere le segreteorigini de' più memorabili avvenimenti può essere op-portuno. Rimarrebbe ora a decidere quale di queste Sto-rie sia più da pregiarsi; decisione malagevole, ove sitratta di cosa che dipende dal gusto, e di opere che han-

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no amendue molti pregi, benchè non sieno senza difetti.Io credo però, che sarà sempre letta più volentieri quelladel card. Bentivoglio che quella del p. Strada, perchè ilprimo scorre più velocemente sulla serie dei fatti nètroppo si arresta in certe descrizioni più oratorie che sto-riche. E benchè egli pure talvolta, come già ho osserva-to, voglia parer ingegnoso, è però assai meno prodigo disentenze, le quali nel p. Strada son troppo frequenti, emolte volte si veggon venir da lungi, e avvertir quasi chilegge che si disponga a riceverle. Finalmente la cogni-zione de' luoghi, che avea il card. Bentivoglio, vissutopiù anni nelle Fiandre, dà alle sue Storie una certa evi-denza e chiarezza che le rende più interessanti e piace-voli a leggersi.

XXVII. Dopo aver ragionato del Davila, delcard. Bentivoglio, del p. Strada, io non osodi ragionare di alcuni altri storici di minornome, che qualche opera non molto prege-vole ci diedero sulla storia di altre provin-

cie, come della Storia delle sollevazioni e delle guerrecivili della Polonia di Alessandro Cilli e di Alberto Vi-mina, della Storia del Regno de' Goti in Ispagna del p.Bartolommeo de Rogatis gesuita, della Monarchia diSpagna di Giampietro Crescenzi, della Storia d'Inghil-terra di Gianfrancesco Bondi, e d'altre opere somiglian-ti, delle quali senza suo gran danno avrebbe potuto ri-maner priva l'Italia. Migliore quanto allo stile, benchè

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Altri scrit-tori di sto-ria stranie-ra.

no amendue molti pregi, benchè non sieno senza difetti.Io credo però, che sarà sempre letta più volentieri quelladel card. Bentivoglio che quella del p. Strada, perchè ilprimo scorre più velocemente sulla serie dei fatti nètroppo si arresta in certe descrizioni più oratorie che sto-riche. E benchè egli pure talvolta, come già ho osserva-to, voglia parer ingegnoso, è però assai meno prodigo disentenze, le quali nel p. Strada son troppo frequenti, emolte volte si veggon venir da lungi, e avvertir quasi chilegge che si disponga a riceverle. Finalmente la cogni-zione de' luoghi, che avea il card. Bentivoglio, vissutopiù anni nelle Fiandre, dà alle sue Storie una certa evi-denza e chiarezza che le rende più interessanti e piace-voli a leggersi.

XXVII. Dopo aver ragionato del Davila, delcard. Bentivoglio, del p. Strada, io non osodi ragionare di alcuni altri storici di minornome, che qualche opera non molto prege-vole ci diedero sulla storia di altre provin-

cie, come della Storia delle sollevazioni e delle guerrecivili della Polonia di Alessandro Cilli e di Alberto Vi-mina, della Storia del Regno de' Goti in Ispagna del p.Bartolommeo de Rogatis gesuita, della Monarchia diSpagna di Giampietro Crescenzi, della Storia d'Inghil-terra di Gianfrancesco Bondi, e d'altre opere somiglian-ti, delle quali senza suo gran danno avrebbe potuto ri-maner priva l'Italia. Migliore quanto allo stile, benchè

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Altri scrit-tori di sto-ria stranie-ra.

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pure abbia alquanto del gonfio, è il Compendio dellaStoria di Spagna del p. Paolo Bombino cosentino, primagesuita, poi chierico regolare somasco, scrittore di moltealtre opere, quasi tutte in latino, delle quali e della Vitadel loro autore si hanno diffuse notizie presso il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1511) e gli altriscrittori da lui citati. Passerò in vece più volentieri allastoria delle arti, dico sol delle arti, perchè le scienze nonebbero ancor tra noi storico alcuni di qualche nome, sese ne tragga la musica, la quale, oltre le opere di Giam-battista Doni, che colle sue dottissime dissertazioni nerischiarò molto l'origine e lo stato antico, ebbe ancora laStoria della Musica di Giovanni Andrea Angelini Buon-tempi perugino, stampata in Perugia nel 1695, la qualperò non è tale che possa bastare a chi vuole esser suquesto argomento ben istruito. Di questo autore, e di al-tre opere da lui pubblicate, ragiona il co. Mazzucchelli(ivi t. 2, p. 2417). Ma le belle arti, e la pittura principal-mente ebber molti tra gl'Italiani, che seguendo le vesti-gia segnate già dal Vasari e da altri scrittori da noi ram-mentati nella Storia del secolo precedente, tramandaro-no a' posteri la memoria de' più celebri professori.

XXVIII. Il primo a darci una continuaziondel Vasari fu Giovani Baglioni romano, chea' tempi di Sisto V, di Clemente VIII e diPaolo V esercitò la pittura in Roma, e daquest'ultimo papa ebbe in dono una collana

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Scrittori della Storiagenerale delle Belle Arti.

pure abbia alquanto del gonfio, è il Compendio dellaStoria di Spagna del p. Paolo Bombino cosentino, primagesuita, poi chierico regolare somasco, scrittore di moltealtre opere, quasi tutte in latino, delle quali e della Vitadel loro autore si hanno diffuse notizie presso il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1511) e gli altriscrittori da lui citati. Passerò in vece più volentieri allastoria delle arti, dico sol delle arti, perchè le scienze nonebbero ancor tra noi storico alcuni di qualche nome, sese ne tragga la musica, la quale, oltre le opere di Giam-battista Doni, che colle sue dottissime dissertazioni nerischiarò molto l'origine e lo stato antico, ebbe ancora laStoria della Musica di Giovanni Andrea Angelini Buon-tempi perugino, stampata in Perugia nel 1695, la qualperò non è tale che possa bastare a chi vuole esser suquesto argomento ben istruito. Di questo autore, e di al-tre opere da lui pubblicate, ragiona il co. Mazzucchelli(ivi t. 2, p. 2417). Ma le belle arti, e la pittura principal-mente ebber molti tra gl'Italiani, che seguendo le vesti-gia segnate già dal Vasari e da altri scrittori da noi ram-mentati nella Storia del secolo precedente, tramandaro-no a' posteri la memoria de' più celebri professori.

XXVIII. Il primo a darci una continuaziondel Vasari fu Giovani Baglioni romano, chea' tempi di Sisto V, di Clemente VIII e diPaolo V esercitò la pittura in Roma, e daquest'ultimo papa ebbe in dono una collana

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Scrittori della Storiagenerale delle Belle Arti.

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d'oro e la divisa dell'Ordin di Cristo (ivi t. 2, par. 1, p.47). Di lui abbiamo le Vite de' Pittori, Scultori, ed Ar-chitetti dal 1572 fino al 1642, stampata in Roma nellostesso anno 1642. Ma quest'opera non ebbe la sorte diquella del Vasari, e non è ugualmente pregiatadagl'intendenti dell'arte. Migliore è quella che sulle Vitede' Pittori moderni fino al 1665 pubblicò in Roma nel1672 Giampiero Bellori, autore già da noi rammentatoal principio di questo capo. Noi però non ne abbiamoche la prima parte; e la seconda, ch'ei lasciò manoscrit-ta, non ha mai veduta la luce (ivi par. 3, p. 704). A quat-tro soli pittori antichi, cioè a Zeusi, a Parrasio, ad Apellee a Protogene, ristrinse le sue ricerche Carlo Dati, di cuisarà d'altro luogo il parlare più a lungo. Opera di più va-sto argomento intraprese circa il tempo medesimo Filip-po Baldinucci fiorentino che, benchè non fosse profes-sore delle belle arti, ne fu nondimeno intendentissimo, eperciò dal card. Leopoldo de' Medici fu inviato in Lom-bardia ad osservare la maniera e lo stile dei più illustripittori di queste provincie, e da lui e da Cosimo III di luinipote fu adoperato in commissioni e in affari ad essespettanti. La reina Cristina a lui diede l'incarico di scri-ver la Vita del celebre cav. Bernino, ed egli perciò nel1681 andossene a Roma per rendergliene grazie; e pub-blicò poi l'anno seguente la detta Vita. Egli dunque, pa-rendogli, e non senza ragione, che il Vasari avesse nellasua opera commessi non pochi falli, e ommesse più coseche non erano da tacersi, volle rifarne il lavoro, e darciuna nuova Storia de' più valorosi Professori del disegno

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d'oro e la divisa dell'Ordin di Cristo (ivi t. 2, par. 1, p.47). Di lui abbiamo le Vite de' Pittori, Scultori, ed Ar-chitetti dal 1572 fino al 1642, stampata in Roma nellostesso anno 1642. Ma quest'opera non ebbe la sorte diquella del Vasari, e non è ugualmente pregiatadagl'intendenti dell'arte. Migliore è quella che sulle Vitede' Pittori moderni fino al 1665 pubblicò in Roma nel1672 Giampiero Bellori, autore già da noi rammentatoal principio di questo capo. Noi però non ne abbiamoche la prima parte; e la seconda, ch'ei lasciò manoscrit-ta, non ha mai veduta la luce (ivi par. 3, p. 704). A quat-tro soli pittori antichi, cioè a Zeusi, a Parrasio, ad Apellee a Protogene, ristrinse le sue ricerche Carlo Dati, di cuisarà d'altro luogo il parlare più a lungo. Opera di più va-sto argomento intraprese circa il tempo medesimo Filip-po Baldinucci fiorentino che, benchè non fosse profes-sore delle belle arti, ne fu nondimeno intendentissimo, eperciò dal card. Leopoldo de' Medici fu inviato in Lom-bardia ad osservare la maniera e lo stile dei più illustripittori di queste provincie, e da lui e da Cosimo III di luinipote fu adoperato in commissioni e in affari ad essespettanti. La reina Cristina a lui diede l'incarico di scri-ver la Vita del celebre cav. Bernino, ed egli perciò nel1681 andossene a Roma per rendergliene grazie; e pub-blicò poi l'anno seguente la detta Vita. Egli dunque, pa-rendogli, e non senza ragione, che il Vasari avesse nellasua opera commessi non pochi falli, e ommesse più coseche non erano da tacersi, volle rifarne il lavoro, e darciuna nuova Storia de' più valorosi Professori del disegno

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da' tempi di Cimabue fino a' suoi. Sei tomi egli ne scris-se, dividendo la Storia in secoli, e ogni secolo in più de-cennali. I primi due e il quarto furono da lui medesimopubblicati. Il terzo e gli ultimi due dopo la morte diesso, avvenuta nel 1696 in età di 72 anni, rimasti inmano dell'avv. Francesco di lui figliuolo, furon poi daquesto in diversi anni dati alla luce, e in questi ultimianni due altre edizioni se ne son fatte, una in Firenze,l'altra, che non è ancor compita, in Torino con copiosenote e giunte del sig. ingegnere Piacenza. E veramentequest'opera oltre l'essere scritta in uno stil colto e corret-to, contiene molte notizie sfuggite al Vasari, il quale in-noltre spesso è emendato dal Baldinucci. Questi ancoraperò non è esente da errori, e noi ne abbiamo rilevati tal-volta alcuni; e innoltre ci sembra a molti troppo diffuso,talchè le cose da lui narrate si potesser ristringere in as-sai minor numero di volumi. Oltre quest'opera pubblicòil Baldinucci il Vocabolario del Disegno, per cui eglimeritò di essere ascritto all'Accademia della Crusca, eche è opera in fatti utilissima per l'insegnarci che fa adesprimere co' proprj vocaboli le cose tutte dell'arte. IlCominciamento e progresso dell'Arte d'intagliatore inrame è libro esso pure ripieno di pregevoli cognizioni suquesto argomento, che da lui prima che da niun altro furischiarato. Di altre minori opere da lui date alla luce, edell'ingiusta e fiera guerra che per alcune di esse glimosse il Cinelli, si posson veder le notizie che collaconsueta sua esattezza ci dà il co. Mazzucchelli (l. c. t.2, par. 1, p. 142, ec.).

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da' tempi di Cimabue fino a' suoi. Sei tomi egli ne scris-se, dividendo la Storia in secoli, e ogni secolo in più de-cennali. I primi due e il quarto furono da lui medesimopubblicati. Il terzo e gli ultimi due dopo la morte diesso, avvenuta nel 1696 in età di 72 anni, rimasti inmano dell'avv. Francesco di lui figliuolo, furon poi daquesto in diversi anni dati alla luce, e in questi ultimianni due altre edizioni se ne son fatte, una in Firenze,l'altra, che non è ancor compita, in Torino con copiosenote e giunte del sig. ingegnere Piacenza. E veramentequest'opera oltre l'essere scritta in uno stil colto e corret-to, contiene molte notizie sfuggite al Vasari, il quale in-noltre spesso è emendato dal Baldinucci. Questi ancoraperò non è esente da errori, e noi ne abbiamo rilevati tal-volta alcuni; e innoltre ci sembra a molti troppo diffuso,talchè le cose da lui narrate si potesser ristringere in as-sai minor numero di volumi. Oltre quest'opera pubblicòil Baldinucci il Vocabolario del Disegno, per cui eglimeritò di essere ascritto all'Accademia della Crusca, eche è opera in fatti utilissima per l'insegnarci che fa adesprimere co' proprj vocaboli le cose tutte dell'arte. IlCominciamento e progresso dell'Arte d'intagliatore inrame è libro esso pure ripieno di pregevoli cognizioni suquesto argomento, che da lui prima che da niun altro furischiarato. Di altre minori opere da lui date alla luce, edell'ingiusta e fiera guerra che per alcune di esse glimosse il Cinelli, si posson veder le notizie che collaconsueta sua esattezza ci dà il co. Mazzucchelli (l. c. t.2, par. 1, p. 142, ec.).

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XXIX. Altri al tempo medesimo si diederoa illustrar le memorie de' celebri artisti di al-cune particolari città, e a darci la descrizion

delle opere che di essi ci son rimaste. Io non farò qui ilcatalogo di quegli scrittori de' quali abbiam il ragguagliodelle pitture, delle sculture e delle architetture di qual-che città d'Italia, nè quelli che di qualche pittore scrisse-ro separatamente la Vita. Ma accennerò quelli soltantoche scrisser le Vite e le Storie de' Professori di alcune diesse. Al qual lavoro furon essi singolarmente indottidall'osservare che il Vasari, quasi unicamente sollecitodella gloria de' suoi Toscani, poco avea scritto deglistranieri. Venezia fu la prima a darne l'esempio coll'ope-ra di Carlo Ridolfi vicentino intitolata, Le Maravigliedell'Arte, ovvero le Vite degl'illustri Pittori veneti e del-lo Stato, stampata in due tomi nel 1648. Il Vedriani trale opere che divolgò a onor di Modena sua patria, ci dièancora la Raccolta de' Pittori, Scultori ed Architetti mo-denesi, stampata nel 1662. Nell'anno 1674 si viderouscire in luce le Vite de' Pittori napoletani e de' genove-si, scritte le prime da Giambattista Bongiovanni, le se-conde da Raffaello Soprani. Tutti questi libri però, secontengon notizie alla storia dell'arte assai utili, sonoscritti con sì infelice stile, con sì poco ordine, e spessoancora con sì poca esattezza, che perciò si è creduto op-portuno o il far nuove e più corrette edizioni della mag-

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Storie parti-colari degliartisti.

XXIX. Altri al tempo medesimo si diederoa illustrar le memorie de' celebri artisti di al-cune particolari città, e a darci la descrizion

delle opere che di essi ci son rimaste. Io non farò qui ilcatalogo di quegli scrittori de' quali abbiam il ragguagliodelle pitture, delle sculture e delle architetture di qual-che città d'Italia, nè quelli che di qualche pittore scrisse-ro separatamente la Vita. Ma accennerò quelli soltantoche scrisser le Vite e le Storie de' Professori di alcune diesse. Al qual lavoro furon essi singolarmente indottidall'osservare che il Vasari, quasi unicamente sollecitodella gloria de' suoi Toscani, poco avea scritto deglistranieri. Venezia fu la prima a darne l'esempio coll'ope-ra di Carlo Ridolfi vicentino intitolata, Le Maravigliedell'Arte, ovvero le Vite degl'illustri Pittori veneti e del-lo Stato, stampata in due tomi nel 1648. Il Vedriani trale opere che divolgò a onor di Modena sua patria, ci dièancora la Raccolta de' Pittori, Scultori ed Architetti mo-denesi, stampata nel 1662. Nell'anno 1674 si viderouscire in luce le Vite de' Pittori napoletani e de' genove-si, scritte le prime da Giambattista Bongiovanni, le se-conde da Raffaello Soprani. Tutti questi libri però, secontengon notizie alla storia dell'arte assai utili, sonoscritti con sì infelice stile, con sì poco ordine, e spessoancora con sì poca esattezza, che perciò si è creduto op-portuno o il far nuove e più corrette edizioni della mag-

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Storie parti-colari degliartisti.

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gior parte di tali opere, o lo scrivere altre opere più esat-te e più erudite sullo stesso argomento. Lo stesse deedirsi della Felsina pittrice del co. Carlo Cesare Malva-sia, divisa in due tomi, e stampata in Bologna nel 1678.Fu questi il più dichiarato impugnator del Vasari, controdel quale spesso si volge pel poco conto che a lui sem-bra ch'egli abbia fatto de' pittori bolognesi. Ma il Vasaritrovò difensori nella sua patria, e il Baldinucci princi-palmente sì nelle sue Notizie de' Professori, come nelDialogo intitolato la Veglia si studiò di difenderlo, rile-vando insieme gli errori del Malvasia, che certo non neè esente. Nè sol da Firenze, ma ancor da Roma levossiun avversario contro questo scrittore, quando però egliera già morto. Fu questi d. Vincenzo Vittoria patrizio ve-neziano che in Roma nel 1703 pubblicò alcune letterecol titolo: Osservazioni sopra il libro della Felsina pit-trice per difesa di Rafaello da Urbino; de' Caracci, edella loro Scuola, a cui fece risposta nel 1705 Giampie-tro Cavazzoni Zannotti colle Lettere famigliari scrittead un amico in difesa del co. Carlo Malvasia autoredella Felsina pittrice. Fra le altre accuse che al co. Mal-vasia si opposero, una fu quella di avere con intollerabildisprezzo dato al divino Rafaello l'ingiurioso sopranno-me di boccalaio urbinate. Il Zanotti difeselo coll'osser-vare che il Malvasia, pentito del suo grave trascorso, aquante copie potè aver nelle mani fece toglier quel fo-glio, e un altro ne sostituì, sicchè pochi esemplari rima-sero guasti da quella pittoresca bestemmia. Venne poifatto al Zanotti di aver tra le mani la copia della sua ope-

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gior parte di tali opere, o lo scrivere altre opere più esat-te e più erudite sullo stesso argomento. Lo stesse deedirsi della Felsina pittrice del co. Carlo Cesare Malva-sia, divisa in due tomi, e stampata in Bologna nel 1678.Fu questi il più dichiarato impugnator del Vasari, controdel quale spesso si volge pel poco conto che a lui sem-bra ch'egli abbia fatto de' pittori bolognesi. Ma il Vasaritrovò difensori nella sua patria, e il Baldinucci princi-palmente sì nelle sue Notizie de' Professori, come nelDialogo intitolato la Veglia si studiò di difenderlo, rile-vando insieme gli errori del Malvasia, che certo non neè esente. Nè sol da Firenze, ma ancor da Roma levossiun avversario contro questo scrittore, quando però egliera già morto. Fu questi d. Vincenzo Vittoria patrizio ve-neziano che in Roma nel 1703 pubblicò alcune letterecol titolo: Osservazioni sopra il libro della Felsina pit-trice per difesa di Rafaello da Urbino; de' Caracci, edella loro Scuola, a cui fece risposta nel 1705 Giampie-tro Cavazzoni Zannotti colle Lettere famigliari scrittead un amico in difesa del co. Carlo Malvasia autoredella Felsina pittrice. Fra le altre accuse che al co. Mal-vasia si opposero, una fu quella di avere con intollerabildisprezzo dato al divino Rafaello l'ingiurioso sopranno-me di boccalaio urbinate. Il Zanotti difeselo coll'osser-vare che il Malvasia, pentito del suo grave trascorso, aquante copie potè aver nelle mani fece toglier quel fo-glio, e un altro ne sostituì, sicchè pochi esemplari rima-sero guasti da quella pittoresca bestemmia. Venne poifatto al Zanotti di aver tra le mani la copia della sua ope-

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ra, che il Malvasia avea presso di sè riserbata, e tuttaavea postillata di sua mano, e in essa nel t. 1, p. 471 oveè quel passo, trovò inserita questa cartuccia: "Io non somai, come mi sia uscito dalla penna arditezza ed inso-lenza tale di chiamar boccalaio Rafaello, da me tanto ri-verito e stimato. Io giurerei, che nell'originale non ècosì, o sarà cassato o corretto. Come poss'io averlo dettoboccalaio, se so di certo essere una falsità, ch'ei dise-gnasse mai vasi in Urbino, e s'io so di certo, che Gio.suo padre fu ben Pittore mediocre, ma non mai boccala-io?". Questo passo vien riferito dal suddetto Zannotti inuna sua lettera a monsig. Bottari (Lettere pittor. t. 3, p.370), ove poscia aggiugne: "Io tengo presso di me il pri-mo manoscritto della Felsina, e questo boccalaio urbina-te non v'è. Come andasse la faccenda, io non so dire, nèso credere intorno a questo, se non se, ch'egli vi diede,quanto prima potè, debito e pronto rimedio, ed ha la-sciato segno di esserne stato molto fra sè dolente". Lacopia che della Felsina pittrice ha la biblioteca estense,è una delle poche in cui l'autor non fu a tempo a toglierelo scandaloso foglio. L'ultima opera di questo argomen-to, che vuolsi qui rammentare, sono le Vite de' Pittori,Scultori ed Architetti, che hanno lavorato in Roma mor-ti dal 1641 fino al 1673, scritte da Giambattista Passerimorto in Roma nel 1679 in età di circa 70 anni, le qualie per lo stile meno incolto e per la copia e l'esattezzadelle notizie sono la miglior opera di tal natura, che al-lor si scrivesse, e che nondimeno non sono state pubbli-cate che nel 1772.

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ra, che il Malvasia avea presso di sè riserbata, e tuttaavea postillata di sua mano, e in essa nel t. 1, p. 471 oveè quel passo, trovò inserita questa cartuccia: "Io non somai, come mi sia uscito dalla penna arditezza ed inso-lenza tale di chiamar boccalaio Rafaello, da me tanto ri-verito e stimato. Io giurerei, che nell'originale non ècosì, o sarà cassato o corretto. Come poss'io averlo dettoboccalaio, se so di certo essere una falsità, ch'ei dise-gnasse mai vasi in Urbino, e s'io so di certo, che Gio.suo padre fu ben Pittore mediocre, ma non mai boccala-io?". Questo passo vien riferito dal suddetto Zannotti inuna sua lettera a monsig. Bottari (Lettere pittor. t. 3, p.370), ove poscia aggiugne: "Io tengo presso di me il pri-mo manoscritto della Felsina, e questo boccalaio urbina-te non v'è. Come andasse la faccenda, io non so dire, nèso credere intorno a questo, se non se, ch'egli vi diede,quanto prima potè, debito e pronto rimedio, ed ha la-sciato segno di esserne stato molto fra sè dolente". Lacopia che della Felsina pittrice ha la biblioteca estense,è una delle poche in cui l'autor non fu a tempo a toglierelo scandaloso foglio. L'ultima opera di questo argomen-to, che vuolsi qui rammentare, sono le Vite de' Pittori,Scultori ed Architetti, che hanno lavorato in Roma mor-ti dal 1641 fino al 1673, scritte da Giambattista Passerimorto in Roma nel 1679 in età di circa 70 anni, le qualie per lo stile meno incolto e per la copia e l'esattezzadelle notizie sono la miglior opera di tal natura, che al-lor si scrivesse, e che nondimeno non sono state pubbli-cate che nel 1772.

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XXX. Alla Storia de' Professori delle BelleArti succede la Storia de' Letterati, a cuipure molti si volsero tra gli Italiani, ma po-

chi il fecero in modo che le lor opere possan servire amodello di tali Storie. Il Teatro d'Uomini letterati di Gi-rolamo Ghilini, di cui due tomi si hanno alle stampe, glioriginali degli altri due inediti si conservano in Veneziapresso il ch. sig. Jacopo Morelli, e un'altra opera ms. in-titolata Tempio di Letterati e Letterate per santità illu-stri si conserva in Alessandria presso il sig. d. GiuseppeBolla da me nominato altre volte, gli Elogi d'Uominiletterati di Lorenzo Crasso, di cui abbiamo ancora laStoria de' Poeti greci, e gli Elogi de' Capitani illustri; egli Elogi degli Uomini e delle Donne celebri per saperedi Giulio Cesare Capaccio, sono opere, le quali deludo-no comunemente l'erudita curiosità; perciocchè, ove sispera di trovare presso loro sicure ed esatte notizie de'dotti a' loro tempi vissuti, altro non vi si legge che voti epomposi elogi che invece d'istruire stancano e annoianoi leggitori. Lo stesso difetto vedesi in quegli scrittori checi diedero le Biblioteche degli Autori della lor patria, de'quali parimente abbiamo non picciol numero. Ma essipaghi d'indicare i nomi di tali autori, di dar qualche su-perficiale notizia delle lor vite, e di accennare con pocaesattezza le loro opere credon di aver soddisfatto abba-stanza al dovere di storico. Perciò invano presso loro si

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Scrittori diStoria lette-raria.

XXX. Alla Storia de' Professori delle BelleArti succede la Storia de' Letterati, a cuipure molti si volsero tra gli Italiani, ma po-

chi il fecero in modo che le lor opere possan servire amodello di tali Storie. Il Teatro d'Uomini letterati di Gi-rolamo Ghilini, di cui due tomi si hanno alle stampe, glioriginali degli altri due inediti si conservano in Veneziapresso il ch. sig. Jacopo Morelli, e un'altra opera ms. in-titolata Tempio di Letterati e Letterate per santità illu-stri si conserva in Alessandria presso il sig. d. GiuseppeBolla da me nominato altre volte, gli Elogi d'Uominiletterati di Lorenzo Crasso, di cui abbiamo ancora laStoria de' Poeti greci, e gli Elogi de' Capitani illustri; egli Elogi degli Uomini e delle Donne celebri per saperedi Giulio Cesare Capaccio, sono opere, le quali deludo-no comunemente l'erudita curiosità; perciocchè, ove sispera di trovare presso loro sicure ed esatte notizie de'dotti a' loro tempi vissuti, altro non vi si legge che voti epomposi elogi che invece d'istruire stancano e annoianoi leggitori. Lo stesso difetto vedesi in quegli scrittori checi diedero le Biblioteche degli Autori della lor patria, de'quali parimente abbiamo non picciol numero. Ma essipaghi d'indicare i nomi di tali autori, di dar qualche su-perficiale notizia delle lor vite, e di accennare con pocaesattezza le loro opere credon di aver soddisfatto abba-stanza al dovere di storico. Perciò invano presso loro si

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Scrittori diStoria lette-raria.

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cercano il carattere e l'indole degli scrittori, il metodo daessi tenuto ne' loro studj, le contese letterarie da essi so-stenute, le diverse edizioni delle opere loro, ed altre so-miglianti notizie, che renderebbono più interessante epiù utile la lettura di tali libri. Le opere di Jacopo Albe-rici e di Pietro Angelo Zeno intorno agli scrittori vene-ziani, quelle di Agostino Superbi e di Antonio Libanoripe' ferraresi, quelle del Vedriani, del Rossi, del Pico, delCalvi, del Porta, del Piccinelli, di Prospero Mandosioper gli scrittori modenesi, bresciani, parmigiani, berga-maschi, alessandrini, milanesi, romani; le Bibliotechedegli Scrittori genovesi di Michele Giustiniani, di Ra-faello Soprani, del p. Oldoini, gesuita di cui pure si haquella degli Scrittori perugini, quella degli Scrittori Papie Cardinali, e le Biblioteche degli Scrittori piemontesi dimonsig. Dalla Chiesa e del Rossotti, la Storia de' Poetisiciliani di Giovanni Ventimiglia, le Glorie degl'inco-gniti di Venezia, e le Memorie de' Gelati di Bologna,son tutte opere di tal natura, che abbisognerebbono diesser rifatte, o almeno corrette di molto e condotte amaggior perfezione. E lo stesso potrebbe dirsi della Bi-blioteca napolitana del Toppi, stampata nel 1678, se cin-que anni appresso Lionardo Nicodemo 27 colle copioseed erudite giunte ad essa fatte non l'avesse resa molto

27 Vuolsi da alcuni, che le giunte al Toppi siano non di Lionardo, ma di Gio-vanni Nicodemo di lui fratello e a lui premorto. Intorno a ciò e al pregiodi queste giunte veggasi la più volte citata opera del Soria (Storici napol.t. 2, p. 421).

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cercano il carattere e l'indole degli scrittori, il metodo daessi tenuto ne' loro studj, le contese letterarie da essi so-stenute, le diverse edizioni delle opere loro, ed altre so-miglianti notizie, che renderebbono più interessante epiù utile la lettura di tali libri. Le opere di Jacopo Albe-rici e di Pietro Angelo Zeno intorno agli scrittori vene-ziani, quelle di Agostino Superbi e di Antonio Libanoripe' ferraresi, quelle del Vedriani, del Rossi, del Pico, delCalvi, del Porta, del Piccinelli, di Prospero Mandosioper gli scrittori modenesi, bresciani, parmigiani, berga-maschi, alessandrini, milanesi, romani; le Bibliotechedegli Scrittori genovesi di Michele Giustiniani, di Ra-faello Soprani, del p. Oldoini, gesuita di cui pure si haquella degli Scrittori perugini, quella degli Scrittori Papie Cardinali, e le Biblioteche degli Scrittori piemontesi dimonsig. Dalla Chiesa e del Rossotti, la Storia de' Poetisiciliani di Giovanni Ventimiglia, le Glorie degl'inco-gniti di Venezia, e le Memorie de' Gelati di Bologna,son tutte opere di tal natura, che abbisognerebbono diesser rifatte, o almeno corrette di molto e condotte amaggior perfezione. E lo stesso potrebbe dirsi della Bi-blioteca napolitana del Toppi, stampata nel 1678, se cin-que anni appresso Lionardo Nicodemo 27 colle copioseed erudite giunte ad essa fatte non l'avesse resa molto

27 Vuolsi da alcuni, che le giunte al Toppi siano non di Lionardo, ma di Gio-vanni Nicodemo di lui fratello e a lui premorto. Intorno a ciò e al pregiodi queste giunte veggasi la più volte citata opera del Soria (Storici napol.t. 2, p. 421).

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migliore 28. La Storia de' Poeti di Alessandro Zilioli, dicui si hanno copie in diverse biblioteche non è mai usci-ta alla luce; nè sarebbe bene che uscisse se non purgatada molte favole ch'ei v'ha inserite. Del Zilioli e della suaStoria si posson vedere buone notizie nel Catalogo de'mss. della Libreria Farsetti (p. 365). Anche gli Ordinireligiosi non ci possono additare in questo secolo Bi-blioteche molto esatte de' loro scrittori, perciocchè nèquella de' Domenicani del p. Ambrogio Altamura, emolto men quella della lor provincia di Lombardia delp. Andrea Rovetta, nè quella dei Canonici Lateranensidel p. d. Celso Rosini, nè la Bibliosofia de' Minori Con-ventuali del p. Giovanni Franchini modenese, nè alcunealtre che abbiamo accennato nel ragionare degli scrittoridi storia ecclesiastica, sono tali che corrispondano almerito di quelle religioni, a onor delle quali furon diret-te. La miglior opera di questo genere, che si vedesse sul-la fine del secolo, fu quella che venne a luce nell'ultimoanno di esso, cioè le Notizie degli Uomini illustridell'Accademia fiorentina, pubblicata da Jacopo Rilli28 Prima del Toppi e del Niccodemo avea scritta in latino un'opera somi-

gliante Bartolommeo Chioccarelli napoletano morto circa la metà delloscorso secolo e intitolata: De' Illustribus Scriptoribus, qui in Civitate etregno Neapolis ab Orbe condito ad annum usque 1646. floruerunt. L'ope-ra era giaciuta sinora inedita, e solo nel 1780 ne fu pubblicato il primotomo dal ch. signor abate D. Gianvincenzo Meola che vi premise un'ele-gante ed esatta Vita dell'autore. Il secondo tomo non si è finor pubblicato.Questa Biblioteca non è spregevole attesa l'età in cui fu scritta, ma è mol-to lungi da quella esattezza che ora in tali opere si richiede. Dell'autore diquesta e di altre opere da lui composte parlano anche copiosamente i piùvolte lodati Soria (Storici napol. t. 1, p. 162, ec. ) e Giustiniani (Scritt. le-gali t. 1, p. 245, ec.).

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migliore 28. La Storia de' Poeti di Alessandro Zilioli, dicui si hanno copie in diverse biblioteche non è mai usci-ta alla luce; nè sarebbe bene che uscisse se non purgatada molte favole ch'ei v'ha inserite. Del Zilioli e della suaStoria si posson vedere buone notizie nel Catalogo de'mss. della Libreria Farsetti (p. 365). Anche gli Ordinireligiosi non ci possono additare in questo secolo Bi-blioteche molto esatte de' loro scrittori, perciocchè nèquella de' Domenicani del p. Ambrogio Altamura, emolto men quella della lor provincia di Lombardia delp. Andrea Rovetta, nè quella dei Canonici Lateranensidel p. d. Celso Rosini, nè la Bibliosofia de' Minori Con-ventuali del p. Giovanni Franchini modenese, nè alcunealtre che abbiamo accennato nel ragionare degli scrittoridi storia ecclesiastica, sono tali che corrispondano almerito di quelle religioni, a onor delle quali furon diret-te. La miglior opera di questo genere, che si vedesse sul-la fine del secolo, fu quella che venne a luce nell'ultimoanno di esso, cioè le Notizie degli Uomini illustridell'Accademia fiorentina, pubblicata da Jacopo Rilli28 Prima del Toppi e del Niccodemo avea scritta in latino un'opera somi-

gliante Bartolommeo Chioccarelli napoletano morto circa la metà delloscorso secolo e intitolata: De' Illustribus Scriptoribus, qui in Civitate etregno Neapolis ab Orbe condito ad annum usque 1646. floruerunt. L'ope-ra era giaciuta sinora inedita, e solo nel 1780 ne fu pubblicato il primotomo dal ch. signor abate D. Gianvincenzo Meola che vi premise un'ele-gante ed esatta Vita dell'autore. Il secondo tomo non si è finor pubblicato.Questa Biblioteca non è spregevole attesa l'età in cui fu scritta, ma è mol-to lungi da quella esattezza che ora in tali opere si richiede. Dell'autore diquesta e di altre opere da lui composte parlano anche copiosamente i piùvolte lodati Soria (Storici napol. t. 1, p. 162, ec. ) e Giustiniani (Scritt. le-gali t. 1, p. 245, ec.).

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che ne era console in quell'anno, il qual nella prefazionedice che quell'opera era lavoro di Lorenzo Gherardinicanonico della metropolitana di Firenze, dell'ab. Ferdi-nando Baliotti, di Neri Scarlatti e di Roberto Marucelli;ma vuolsi che gran parte vi avesse il celebre Magliabec-chi, e ce lo rende probabile la minutezza con cui quellenotizie sono distese, ove trattasi singolarmente di piccoliopuscoli, di diverse edizioni e delle testimonianze di al-tri scrittori, nel che consisteva la forza dell'erudizionedel Magliabecchi. Di qualche pregio sono ancora le Os-servazioni della Letteratura de' Turchi di GiambattistaDonato, stato già bailo in Costantinopoli, stampate inVenezia nel 1688, e il Leibnizio, scrivendo al Maglia-becchi da Venezia nel 1690, dice ch'era quello l'unico li-bro nuovo degno d'esser letto, che egli avesse trovato inVenezia (Cl. German. Epist. ad Magliab. t. 1, p. 10) 29.

XXXI. Fra tanti scrittori di Storia lettera-ria, ch'io ho accennati, e che potrei ancoranominare, se a più minute particolarità vo-lessi discendere, di due soli dirò alquanto

più stesamente, perchè il numero e la natura delle loroopere mi sembra richiedere più distinta menzione. Il pri-mo è Gian Vittorio Rossi, che latinamente volle dirsi

29 Agli scrittori di Storia letteraria deesi aggiugnere Jacopo Gaddi fiorentino,di cui abbiamo l'opere De Scriptoribus non Ecclesiasticis, Græcis, Lati-nis, Italcis in due tomi in folio, stampati il primo in Firenze nel 1648, ilsecondo nell'anno seguente in Lione, che è una delle migliori che in que-sto secolo si pubblicassero.

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Notizie di Gianvittorio Rossi.

che ne era console in quell'anno, il qual nella prefazionedice che quell'opera era lavoro di Lorenzo Gherardinicanonico della metropolitana di Firenze, dell'ab. Ferdi-nando Baliotti, di Neri Scarlatti e di Roberto Marucelli;ma vuolsi che gran parte vi avesse il celebre Magliabec-chi, e ce lo rende probabile la minutezza con cui quellenotizie sono distese, ove trattasi singolarmente di piccoliopuscoli, di diverse edizioni e delle testimonianze di al-tri scrittori, nel che consisteva la forza dell'erudizionedel Magliabecchi. Di qualche pregio sono ancora le Os-servazioni della Letteratura de' Turchi di GiambattistaDonato, stato già bailo in Costantinopoli, stampate inVenezia nel 1688, e il Leibnizio, scrivendo al Maglia-becchi da Venezia nel 1690, dice ch'era quello l'unico li-bro nuovo degno d'esser letto, che egli avesse trovato inVenezia (Cl. German. Epist. ad Magliab. t. 1, p. 10) 29.

XXXI. Fra tanti scrittori di Storia lettera-ria, ch'io ho accennati, e che potrei ancoranominare, se a più minute particolarità vo-lessi discendere, di due soli dirò alquanto

più stesamente, perchè il numero e la natura delle loroopere mi sembra richiedere più distinta menzione. Il pri-mo è Gian Vittorio Rossi, che latinamente volle dirsi

29 Agli scrittori di Storia letteraria deesi aggiugnere Jacopo Gaddi fiorentino,di cui abbiamo l'opere De Scriptoribus non Ecclesiasticis, Græcis, Lati-nis, Italcis in due tomi in folio, stampati il primo in Firenze nel 1648, ilsecondo nell'anno seguente in Lione, che è una delle migliori che in que-sto secolo si pubblicassero.

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Notizie di Gianvittorio Rossi.

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Janus Nicius Erythraeus. Gian Cristiano Fischer ne hascritta diligentemente la Vita, e l'ha premessa per la nuo-va edizione che delle Lettere di esse ci ha data in Colo-nia nel 1739, e noi non avremo perciò ad affaticarcimolto in rintracciarne le notizie. Ei nacque in Roma nel1577, e mandato alle scuole de' Gesuiti del collegio ro-mano, vi ebbe a maestri tre dottissimi uomini, i pp.Francesco Benzi e Orazio Torselino, da noi nominatinella Storia del secolo precedente, e il p. Girolamo Bru-nelli professore delle lingue greca ed ebraica, e di cuiabbiamo alcune traduzioni dal greco (V. Mazzucch.Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2171), a' quali egli si mostròposcia sempre gratissimo. Ne' primi anni però ei non futroppo sollecito di avanzar negli studj. Ma mortogli po-scia il padre, e trovandosi assai ristretto di beni di fortu-na, si volse a coltivarli con più ardore, e agli studjdell'amena letteratura congiunse quelli della filosofia edella giurisprudenza. I primi però piacevano sopra tuttigli altri al Rossi, e poichè vide venirgli meno qualchesperanza che nello studio delle leggi avea riposta, tuttoad essi si dedicò. Entrò nell'Accademia degli Umoristi,di cui si è detto a suo luogo, e ne fu uno de' più fervidipromotori. In essa ei diede tali pruove d'ingegno, cheMarcello Vestri, uno degli scrittori delle lettere pontifi-cie a' tempi di Paolo V, già avea disegnato di farlo sce-gliere a suo collega e successore, e venivalo perciòistruendo. Ma morto frattanto il Vestri, anche in questasperanza fu il Rossi deluso. Nel 1608 il card. Melliniavealo scelto a suo segretario nella legazion d'Allema-

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Janus Nicius Erythraeus. Gian Cristiano Fischer ne hascritta diligentemente la Vita, e l'ha premessa per la nuo-va edizione che delle Lettere di esse ci ha data in Colo-nia nel 1739, e noi non avremo perciò ad affaticarcimolto in rintracciarne le notizie. Ei nacque in Roma nel1577, e mandato alle scuole de' Gesuiti del collegio ro-mano, vi ebbe a maestri tre dottissimi uomini, i pp.Francesco Benzi e Orazio Torselino, da noi nominatinella Storia del secolo precedente, e il p. Girolamo Bru-nelli professore delle lingue greca ed ebraica, e di cuiabbiamo alcune traduzioni dal greco (V. Mazzucch.Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2171), a' quali egli si mostròposcia sempre gratissimo. Ne' primi anni però ei non futroppo sollecito di avanzar negli studj. Ma mortogli po-scia il padre, e trovandosi assai ristretto di beni di fortu-na, si volse a coltivarli con più ardore, e agli studjdell'amena letteratura congiunse quelli della filosofia edella giurisprudenza. I primi però piacevano sopra tuttigli altri al Rossi, e poichè vide venirgli meno qualchesperanza che nello studio delle leggi avea riposta, tuttoad essi si dedicò. Entrò nell'Accademia degli Umoristi,di cui si è detto a suo luogo, e ne fu uno de' più fervidipromotori. In essa ei diede tali pruove d'ingegno, cheMarcello Vestri, uno degli scrittori delle lettere pontifi-cie a' tempi di Paolo V, già avea disegnato di farlo sce-gliere a suo collega e successore, e venivalo perciòistruendo. Ma morto frattanto il Vestri, anche in questasperanza fu il Rossi deluso. Nel 1608 il card. Melliniavealo scelto a suo segretario nella legazion d'Allema-

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gna, ma appena uscito di Roma, fu il Rossi sorpreso dafebbre che il costrinse a tornarvi. Trovò finalmente sta-bile impiego presso il card. Andrea Peretti, di cui per lospazio di 20 anni fu segretario. Ma poichè questi fumorto nel 1538, ritirossi in una solitaria villa sul colle diSant'Onofrio, ove lungi dallo strepito degli affari vissetranquillamente a se stesso e a' suoi studj, finchè in etàdi 70 anni, a' 13 di novembre del 1647, venne a morte,pianto da' dotti che ne amavano gli aurei costumi nonmeno che il molto sapere, e da' grandi ancora, a moltidei quali fu accettissimo, e singolarmente al card. FabioChigi, che fu poi papa Alessandro VII. Le opere da luicomposte sono non poche e di diversi argomenti. Unagraziosa satira in prosa latina contro i costumi de' suoitempi, intitolata Eudemia, fu la prima ch'ei pubblicasse,o che anzi senza saputa di esso venisse a luce. Ne abbia-mo ancora due tometti di Lettere a Tirreno, sotto il qualnome egli intende il suddetto card. Chigi, due altri a di-versi, parecchi Dialoghi per lo più su materie morali, al-cuni Opuscoli ascetici, libri tutti scritti in latino. Se nehanno ancora alle stampe alcune Rime spirituali, oltrepiù opere inedite che si annoverano dall'autor della Vita.Ma noi dobbiamo esaminare singolarmente la Pinaco-theca, opera divisa in tre parti, nella quale egli fa glielogi di molti uomini dotti vissuti a' suoi tempi. L'usoche di quest'opera abbiam fatto sovente nel decorso diquesta Storia, può bastare a provarne l'utilità, ed è certoche di molte notizie siamo ad assai tenuti, le quali inva-no si cercherebbono altrove. Ella è nondimeno assai

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gna, ma appena uscito di Roma, fu il Rossi sorpreso dafebbre che il costrinse a tornarvi. Trovò finalmente sta-bile impiego presso il card. Andrea Peretti, di cui per lospazio di 20 anni fu segretario. Ma poichè questi fumorto nel 1538, ritirossi in una solitaria villa sul colle diSant'Onofrio, ove lungi dallo strepito degli affari vissetranquillamente a se stesso e a' suoi studj, finchè in etàdi 70 anni, a' 13 di novembre del 1647, venne a morte,pianto da' dotti che ne amavano gli aurei costumi nonmeno che il molto sapere, e da' grandi ancora, a moltidei quali fu accettissimo, e singolarmente al card. FabioChigi, che fu poi papa Alessandro VII. Le opere da luicomposte sono non poche e di diversi argomenti. Unagraziosa satira in prosa latina contro i costumi de' suoitempi, intitolata Eudemia, fu la prima ch'ei pubblicasse,o che anzi senza saputa di esso venisse a luce. Ne abbia-mo ancora due tometti di Lettere a Tirreno, sotto il qualnome egli intende il suddetto card. Chigi, due altri a di-versi, parecchi Dialoghi per lo più su materie morali, al-cuni Opuscoli ascetici, libri tutti scritti in latino. Se nehanno ancora alle stampe alcune Rime spirituali, oltrepiù opere inedite che si annoverano dall'autor della Vita.Ma noi dobbiamo esaminare singolarmente la Pinaco-theca, opera divisa in tre parti, nella quale egli fa glielogi di molti uomini dotti vissuti a' suoi tempi. L'usoche di quest'opera abbiam fatto sovente nel decorso diquesta Storia, può bastare a provarne l'utilità, ed è certoche di molte notizie siamo ad assai tenuti, le quali inva-no si cercherebbono altrove. Ella è nondimeno assai

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lungi dal potersi dire perfetta. Perciocchè scarseggia as-sai nelle date, e si trattiene spesso in troppo generaliespressioni che dopo molte parole non dicon nulla. Leopere degli scrittori vi sono semplicemente accennate, enon si distinguon sovente le inedite da quelle che hanveduta la luce. Pare innoltre che troppo abbia egli con-ceduto all'amicizia, esaltando con somme lodi alcunisuoi amici, a cui forse doveansi più moderate. Con altrial contrario ei si dimostra troppo severo; e si può diredel Rossi ciò che abbiam detto del Giovio, che alcuninon son già elogi, ma satire. Nel che però ei non èugualmente degno di riprensione, perciocchè egli pro-priamente non si prefisse di scrivere elogi, come il Gio-vo, ma di fare ritratti, così indicando la voce Pinacothe-ca. Lo stile del Rossi da alcuni è sollevato fino alle stel-le; e il Fischer reca il detto di certi scrittori che afferma-no essere lui stato il più felice imitatore di Cicerone, chevivesse a que' tempi. La quale lode però sembrerà esa-gerata non poco, a chi essendo capace di rilevare i pregie i difetti dello stile, si ponga a leggere e ad esaminarele opere di questo scrittore.

XXXII. L'altro scrittore di Storia Letteraria,che vuolsi qui nominare, è il dott. GiovanniCinelli Calvoli fiorentino, nato a' 26 di feb-braio del 1625, di cui abbiamo la Vita scritta

dal dott. Dionigi Sancassiani sassolese, che gli fu ami-cissimo. Ei fece i suoi studj all'università di Pisa, ove

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Del dott. Giovanni Cinelli.

lungi dal potersi dire perfetta. Perciocchè scarseggia as-sai nelle date, e si trattiene spesso in troppo generaliespressioni che dopo molte parole non dicon nulla. Leopere degli scrittori vi sono semplicemente accennate, enon si distinguon sovente le inedite da quelle che hanveduta la luce. Pare innoltre che troppo abbia egli con-ceduto all'amicizia, esaltando con somme lodi alcunisuoi amici, a cui forse doveansi più moderate. Con altrial contrario ei si dimostra troppo severo; e si può diredel Rossi ciò che abbiam detto del Giovio, che alcuninon son già elogi, ma satire. Nel che però ei non èugualmente degno di riprensione, perciocchè egli pro-priamente non si prefisse di scrivere elogi, come il Gio-vo, ma di fare ritratti, così indicando la voce Pinacothe-ca. Lo stile del Rossi da alcuni è sollevato fino alle stel-le; e il Fischer reca il detto di certi scrittori che afferma-no essere lui stato il più felice imitatore di Cicerone, chevivesse a que' tempi. La quale lode però sembrerà esa-gerata non poco, a chi essendo capace di rilevare i pregie i difetti dello stile, si ponga a leggere e ad esaminarele opere di questo scrittore.

XXXII. L'altro scrittore di Storia Letteraria,che vuolsi qui nominare, è il dott. GiovanniCinelli Calvoli fiorentino, nato a' 26 di feb-braio del 1625, di cui abbiamo la Vita scritta

dal dott. Dionigi Sancassiani sassolese, che gli fu ami-cissimo. Ei fece i suoi studj all'università di Pisa, ove

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Del dott. Giovanni Cinelli.

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anche nel 1659 fu laureato in medicina. Fra i dotti uomi-ni co' quali egli potè ivi conversare, uno fu il celebrescrittor di satire Salvator Rosa, da cui per suo danno ap-prese quel costume di mordere gli altrui difetti, che glifu più volte fatale. Fu prima medico in Porto Longone,indi in Borgo S. Sepolcro, e di là passò a Firenze, ove sistrinse in grande amicizia col celebre Magliabecchi, permezzo del quale ebbe facile accesso alla biblioteca pala-tina. Ivi formò egli il disegno della sua Biblioteca vo-lante, cioè di un catalogo di piccioli opuscoli, che facil-mente sfuggono all'occhio anche de' più diligenti ricer-catori. Ei prese a distenderla a parte a parte, secondol'ordine con cui essi gli venivano alle mani, e dividendo-la in molte scansie, cominciò a pubblicarne in Firenze laprima e la seconda nel 1677. Quattro anni appresso fupubblicata la terza, e poscia l'anno seguente 1682 laquarta in Napoli. Ma quest'ultima fu origine al Cinelli digravi sciagure. Avea già egli date più pruove della suasoverchia inclinazione alla satira in una prefazione pre-messa al Malmantile da lui pubblicato nel 1672, che poidovette sopprimere, e sostituirne un'altra, e nelle giunteda lui fatte alle Bellezze di Firenze di Francesco Bocchil'anno 1677. Ma nella detta quarta scansia avendo eglidistesamente narrata la controversia da noi pure a suolungo indicata, ch'era insorta tra 'l dott. Ramazzini e 'ldott. Giannandrea Moneglia, e essendosi mostrato tuttofavorevole al primo, e poco rispettoso verso il secondo,questi, che presso il gran duca Cosimo III di cui era me-dico, poteva assai, ne menò tal rumore che il Cinelli lo

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anche nel 1659 fu laureato in medicina. Fra i dotti uomi-ni co' quali egli potè ivi conversare, uno fu il celebrescrittor di satire Salvator Rosa, da cui per suo danno ap-prese quel costume di mordere gli altrui difetti, che glifu più volte fatale. Fu prima medico in Porto Longone,indi in Borgo S. Sepolcro, e di là passò a Firenze, ove sistrinse in grande amicizia col celebre Magliabecchi, permezzo del quale ebbe facile accesso alla biblioteca pala-tina. Ivi formò egli il disegno della sua Biblioteca vo-lante, cioè di un catalogo di piccioli opuscoli, che facil-mente sfuggono all'occhio anche de' più diligenti ricer-catori. Ei prese a distenderla a parte a parte, secondol'ordine con cui essi gli venivano alle mani, e dividendo-la in molte scansie, cominciò a pubblicarne in Firenze laprima e la seconda nel 1677. Quattro anni appresso fupubblicata la terza, e poscia l'anno seguente 1682 laquarta in Napoli. Ma quest'ultima fu origine al Cinelli digravi sciagure. Avea già egli date più pruove della suasoverchia inclinazione alla satira in una prefazione pre-messa al Malmantile da lui pubblicato nel 1672, che poidovette sopprimere, e sostituirne un'altra, e nelle giunteda lui fatte alle Bellezze di Firenze di Francesco Bocchil'anno 1677. Ma nella detta quarta scansia avendo eglidistesamente narrata la controversia da noi pure a suolungo indicata, ch'era insorta tra 'l dott. Ramazzini e 'ldott. Giannandrea Moneglia, e essendosi mostrato tuttofavorevole al primo, e poco rispettoso verso il secondo,questi, che presso il gran duca Cosimo III di cui era me-dico, poteva assai, ne menò tal rumore che il Cinelli lo

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stesso anno 1682, come autore di un libello infamatorio,fu chiuso in carcere, e costretto a promettere di ritiraretutte le copie della quarta scansia, che fu anche bruciataper man del carnefice, e di stampare un'altra relazione diquella contesa colla ritrattazione di tutto ciò che avessescritto d'ingiurioso contro al Moneglia. Poichè tutto ciòebbe promesso Cinelli, fu tratto di carcere, ma a pattoche non potesse uscir di Firenze. Egli però, che ardevadi voglia di dir sue ragioni, e che non voleva mantenerle promesse, amò meglio di prendersi un volontario esi-lio; e ritiratosi nel 1683 a Venezia, ivi colla data di Cra-covia pubblicò le sue Giustificazioni, in cui ognuno puòimmaginarsi come fosse trattato il Moneglia. Ma poscia,poichè fu morto il Moneglia, le ritoccò e ne tolse le in-giurie e le troppo mordaci punture, e così corrette si leg-gono innanzi al tomo II della nuova edizione della Bi-blioteca volante. Da Venezia passò il Cinelli nello stessoanno a Bologna, ove dagli Accademici Gelati ebbe ono-revoli distinzioni. Indi per opera del suo amico dott. Ra-mazzini venne a Modena a occupare una cattedra in gra-zia di esso in questa università istituita, cioè quella dellatoscana favella; e nel 1684 diè qui alle stampe una intro-duzione a questo studio, dedicata al duca Francesco II.Ma la tenuità dello stipendio, e fors'anche i maneggi de'suoi avversarj, il costrinsero a lasciare la cattedra, e adarsi all'esercizio della medicina. Fu dunque medicocondotto prima in Gualtieri, poscia a Fanano sull'Alpi diModena, indi a Montese, e lasciate poi le montagne mo-denesi, passò nella Marca. Uscì frattanto alla luce la

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stesso anno 1682, come autore di un libello infamatorio,fu chiuso in carcere, e costretto a promettere di ritiraretutte le copie della quarta scansia, che fu anche bruciataper man del carnefice, e di stampare un'altra relazione diquella contesa colla ritrattazione di tutto ciò che avessescritto d'ingiurioso contro al Moneglia. Poichè tutto ciòebbe promesso Cinelli, fu tratto di carcere, ma a pattoche non potesse uscir di Firenze. Egli però, che ardevadi voglia di dir sue ragioni, e che non voleva mantenerle promesse, amò meglio di prendersi un volontario esi-lio; e ritiratosi nel 1683 a Venezia, ivi colla data di Cra-covia pubblicò le sue Giustificazioni, in cui ognuno puòimmaginarsi come fosse trattato il Moneglia. Ma poscia,poichè fu morto il Moneglia, le ritoccò e ne tolse le in-giurie e le troppo mordaci punture, e così corrette si leg-gono innanzi al tomo II della nuova edizione della Bi-blioteca volante. Da Venezia passò il Cinelli nello stessoanno a Bologna, ove dagli Accademici Gelati ebbe ono-revoli distinzioni. Indi per opera del suo amico dott. Ra-mazzini venne a Modena a occupare una cattedra in gra-zia di esso in questa università istituita, cioè quella dellatoscana favella; e nel 1684 diè qui alle stampe una intro-duzione a questo studio, dedicata al duca Francesco II.Ma la tenuità dello stipendio, e fors'anche i maneggi de'suoi avversarj, il costrinsero a lasciare la cattedra, e adarsi all'esercizio della medicina. Fu dunque medicocondotto prima in Gualtieri, poscia a Fanano sull'Alpi diModena, indi a Montese, e lasciate poi le montagne mo-denesi, passò nella Marca. Uscì frattanto alla luce la

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Vita del Cinelli e del Magliabecchi, libello infame, dicui abbiamo parlato nel ragionare del Magliabecchi, e ilCinelli che non meno di lui risentissene, non lasciò invari passi delle sue nuove scansie ch'ei continuava apubblicare, di rispondere alle ingiurie e alle accuse chein essa veniagli date. Anzi egli all'occasion che credette,ma forse a torto, di esser stato preso di mira in certe sueSatire dal Menzini, risolvette di scriver la sua propriaVita, e la scrisse di fatto, ma con tale mordacità contro isuoi avversarj, che avendola mandata a suo figlio mona-co vallombrosano, questi si credette obbligato a gittarla,come fece, alle fiamme. Il Cinelli frattanto andavasi ag-girando in diverse castella e città della Marca, esercitan-do la medicina, e continuando a pubblicare altre scansìedella sua Biblioteca. Ei fu in S. Ginesio, in S. Anatolia,in Osimo, in Ancona, ove fu medico del card. AntonioBichi, donde morto quel cardinale, passò medico dallaS. Casa a Loreto, ove in età di 81 anni, dopo aver datepiù pruove di pentimento de' suoi trasporti nelle letterecontese, a' 16 di agosto del 1706 finì di vivere. Il dott.Sancassiani alla Vita del Cinelli, da noi finor compen-diata, aggiugne il catalogo delle opere di esso da lui me-desimo scritto, molte delle quali sono anzi opere altruipubblicate, che fatiche dello stesso Cinelli, molte altreson rimaste inedite. Fra queste è la Biblioteca degliScrittori fiorentini, per la quale egli avea raccolta grancopia di materiali, che poi passarono alle mani del can.Antonmaria Biscioni, il quale vi fece non poche giunte,e la ridusse a XII tomi in foglio. Essi or si conservano

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Vita del Cinelli e del Magliabecchi, libello infame, dicui abbiamo parlato nel ragionare del Magliabecchi, e ilCinelli che non meno di lui risentissene, non lasciò invari passi delle sue nuove scansie ch'ei continuava apubblicare, di rispondere alle ingiurie e alle accuse chein essa veniagli date. Anzi egli all'occasion che credette,ma forse a torto, di esser stato preso di mira in certe sueSatire dal Menzini, risolvette di scriver la sua propriaVita, e la scrisse di fatto, ma con tale mordacità contro isuoi avversarj, che avendola mandata a suo figlio mona-co vallombrosano, questi si credette obbligato a gittarla,come fece, alle fiamme. Il Cinelli frattanto andavasi ag-girando in diverse castella e città della Marca, esercitan-do la medicina, e continuando a pubblicare altre scansìedella sua Biblioteca. Ei fu in S. Ginesio, in S. Anatolia,in Osimo, in Ancona, ove fu medico del card. AntonioBichi, donde morto quel cardinale, passò medico dallaS. Casa a Loreto, ove in età di 81 anni, dopo aver datepiù pruove di pentimento de' suoi trasporti nelle letterecontese, a' 16 di agosto del 1706 finì di vivere. Il dott.Sancassiani alla Vita del Cinelli, da noi finor compen-diata, aggiugne il catalogo delle opere di esso da lui me-desimo scritto, molte delle quali sono anzi opere altruipubblicate, che fatiche dello stesso Cinelli, molte altreson rimaste inedite. Fra queste è la Biblioteca degliScrittori fiorentini, per la quale egli avea raccolta grancopia di materiali, che poi passarono alle mani del can.Antonmaria Biscioni, il quale vi fece non poche giunte,e la ridusse a XII tomi in foglio. Essi or si conservano

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nella libreria magliabecchiana, e aspettano qualchemano benefica e saggia che, troncando ciò ch'esser vipossa d'inutile e riducendoli a quella esattezza che ilbuon gusto richiede, li dia in luce. Della sua Bibliotecavolante ei pubblicò sedici scansie, e lasciò i materialiper quattro altre che furon poi pubblicate dal dott. San-cassiani; e poscia nel 1734 una nuova più opportunaedizione se ne fece in Venezia, ove tutte le opere nelleventi scansie indicate furon disposte in ordine alfabeti-co. Ella è questa opera alla storia letteraria non poco uti-le pe' molti libri di cui ci ha serbata la notizia e pe' lumiche su diversi punti ci somministra. Ed ella sarebbe an-cora migliore, se l'autore ne' suoi elogi e nelle sue criti-che non avesse seguita più la sua passione, che un giu-sto discernimento.

XXXIII. Un altro nuovo genere di opereconcernenti la storia letteraria ebbe co-minciamento nel secolo di cui scriviamo,cioè i Giornali letterarj, ne' quali si dà

l'avviso e l'estratto de' nuovi libri che vanno uscendoalla luce; opere che quando sieno affidate a persone inogni genere di erudizione versate, libere dallo spirito dipartito, nè facili a soggettarsi alle lusinghe del favore edell'oro, sono di tal vantaggio alla letteraria repubblica,che poche altre possono loro paragonarsi. L'Italia nonpuò, a dir vero, arrogarsi il vanto di averne dato alle al-tre nazioni l'esempio; perciocchè nè la Libreria del

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Cominciamen-to de' Giornaliletterarj.

nella libreria magliabecchiana, e aspettano qualchemano benefica e saggia che, troncando ciò ch'esser vipossa d'inutile e riducendoli a quella esattezza che ilbuon gusto richiede, li dia in luce. Della sua Bibliotecavolante ei pubblicò sedici scansie, e lasciò i materialiper quattro altre che furon poi pubblicate dal dott. San-cassiani; e poscia nel 1734 una nuova più opportunaedizione se ne fece in Venezia, ove tutte le opere nelleventi scansie indicate furon disposte in ordine alfabeti-co. Ella è questa opera alla storia letteraria non poco uti-le pe' molti libri di cui ci ha serbata la notizia e pe' lumiche su diversi punti ci somministra. Ed ella sarebbe an-cora migliore, se l'autore ne' suoi elogi e nelle sue criti-che non avesse seguita più la sua passione, che un giu-sto discernimento.

XXXIII. Un altro nuovo genere di opereconcernenti la storia letteraria ebbe co-minciamento nel secolo di cui scriviamo,cioè i Giornali letterarj, ne' quali si dà

l'avviso e l'estratto de' nuovi libri che vanno uscendoalla luce; opere che quando sieno affidate a persone inogni genere di erudizione versate, libere dallo spirito dipartito, nè facili a soggettarsi alle lusinghe del favore edell'oro, sono di tal vantaggio alla letteraria repubblica,che poche altre possono loro paragonarsi. L'Italia nonpuò, a dir vero, arrogarsi il vanto di averne dato alle al-tre nazioni l'esempio; perciocchè nè la Libreria del

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Cominciamen-to de' Giornaliletterarj.

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Doni, nè certe Gazzette politiche pubblicate fin dal se-colo XVI non possono aversi in conto di giornali. LaFrancia fu la prima ad averlo; e il Journal des Savans,cominciato nel 1665 da Dionigi de Sallo, continuato po-scia dall'ab. Gallois e da altri, è veramente il primoGiornale che uscisse alla luce, e a cui questo nome con-viene con più rigore che alle Transazioni filosofiche co-minciatesi a pubblicare in Londra lo stesso anno 1665.Non fu però lenta l'Italia a imitare sì bell'esempio. L'ab.Francesco Nazzari bergamasco colla direzione e colconsiglio dell'ab. Michelangelo Ricci poi cardinale, co-minciò nel 1668 a dare alle stampe in Roma un Giorna-le, e continuollo felicemente fino al marzo del 1675, nelqual tempo avendo egli voluto cambiare lo stampatoreTinassi nel libraio Benedetto Carrara, il primo per nonperdere l'usato guadagno raccomandossi a monsig.Ciampini, col cui aiuto potè continuare il Giornale finoal marzo del 1681, mentre frattanto il Nazzari prosegui-va a stampare separatamente il suo, che però non giunseche a tutto il 1679. Un altro, ma infelice e scipito, Gior-nale cominciossi in Venezia nel 1671 e durò fino al1689. In Ferrara ancora uno se ne intraprese che nondurò che due anni cioè l'88 e l'89, e un altro che ivi rico-minciò nel 1691, ebbe esso pure fine assai presto. Assaimigliore fu quello che nel 1686 prese a pubblicare inParma il celebre p. ab. Bacchini a istanza e coll'aiuto delp. Gaudenzio Roberti carmelitano che il provvedeva de'libri perciò necessarj. Egli continuò con cinque tomifino a tutto il 1690. Nel 1691 fu interrotto, e ripigliato

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Doni, nè certe Gazzette politiche pubblicate fin dal se-colo XVI non possono aversi in conto di giornali. LaFrancia fu la prima ad averlo; e il Journal des Savans,cominciato nel 1665 da Dionigi de Sallo, continuato po-scia dall'ab. Gallois e da altri, è veramente il primoGiornale che uscisse alla luce, e a cui questo nome con-viene con più rigore che alle Transazioni filosofiche co-minciatesi a pubblicare in Londra lo stesso anno 1665.Non fu però lenta l'Italia a imitare sì bell'esempio. L'ab.Francesco Nazzari bergamasco colla direzione e colconsiglio dell'ab. Michelangelo Ricci poi cardinale, co-minciò nel 1668 a dare alle stampe in Roma un Giorna-le, e continuollo felicemente fino al marzo del 1675, nelqual tempo avendo egli voluto cambiare lo stampatoreTinassi nel libraio Benedetto Carrara, il primo per nonperdere l'usato guadagno raccomandossi a monsig.Ciampini, col cui aiuto potè continuare il Giornale finoal marzo del 1681, mentre frattanto il Nazzari prosegui-va a stampare separatamente il suo, che però non giunseche a tutto il 1679. Un altro, ma infelice e scipito, Gior-nale cominciossi in Venezia nel 1671 e durò fino al1689. In Ferrara ancora uno se ne intraprese che nondurò che due anni cioè l'88 e l'89, e un altro che ivi rico-minciò nel 1691, ebbe esso pure fine assai presto. Assaimigliore fu quello che nel 1686 prese a pubblicare inParma il celebre p. ab. Bacchini a istanza e coll'aiuto delp. Gaudenzio Roberti carmelitano che il provvedeva de'libri perciò necessarj. Egli continuò con cinque tomifino a tutto il 1690. Nel 1691 fu interrotto, e ripigliato

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poscia ne' due anni seguenti in Modena. Nel 1692 il p.Bacchini si associò alcuni altri per render migliore e piùuniversale il suo lavoro, cioè il Guglielmini per la mate-matica, il Ramazzini per la fisica, la medicina, l'anato-mia e la botanica, il padre Giovanni Franchini conven-tuale per la teologia, Jacopo Cantelli (non Cancelli,come ivi si legge) per la geografia e pe' viaggi; e perqualche parte il provinciale de' Minori Osservanti. Nel94 e nel 95 fu di nuovo interrotto il Giornale, e fu ripi-gliato di nuovo nel 96, in cui ne uscì un altro tomo, e unaltro l'anno seguente, in cui fu del tutto sospeso. Final-mente nel 1696 ebbe principio in Venezia la Galleria diMinerva, ne' cui primi tomi ebbe qualche parte ApostoloZeno, e che venne poscia continuandosi per alcuni annidel nostro secolo, finchè all'apparire nel 1710 del Gior-nale de' Letterati essa e qualunque altro Giornale cadderdi pregio, e furon dimenticati. La storia di questi Gior-nali da me in breve accennata si può vedere più a lungoesposta nella prefazione del suddetto Giornale de' Lette-rati. Nè io negherò già che queste prime opere periodi-che non siano assai lungi da quella perfezione a cui po-scia sono state condotte. Ma ella è questa la sorte di tut-te le nuove intraprese, singolarmente nel genere lettera-rio, che non possano al principio andare esenti da difettie da errori. E lo stesso Journal des Savans non fu essoancora ne' suoi cominciamenti troppo diverso da quelloche poscia veggiamo? Basta leggere le riflessioni e lecritiche su alcuni de' primi tomi di quel Giornale fa ilch. Magalotti (Lettere famigl. t. 1, p. 74, 127, 167), per

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poscia ne' due anni seguenti in Modena. Nel 1692 il p.Bacchini si associò alcuni altri per render migliore e piùuniversale il suo lavoro, cioè il Guglielmini per la mate-matica, il Ramazzini per la fisica, la medicina, l'anato-mia e la botanica, il padre Giovanni Franchini conven-tuale per la teologia, Jacopo Cantelli (non Cancelli,come ivi si legge) per la geografia e pe' viaggi; e perqualche parte il provinciale de' Minori Osservanti. Nel94 e nel 95 fu di nuovo interrotto il Giornale, e fu ripi-gliato di nuovo nel 96, in cui ne uscì un altro tomo, e unaltro l'anno seguente, in cui fu del tutto sospeso. Final-mente nel 1696 ebbe principio in Venezia la Galleria diMinerva, ne' cui primi tomi ebbe qualche parte ApostoloZeno, e che venne poscia continuandosi per alcuni annidel nostro secolo, finchè all'apparire nel 1710 del Gior-nale de' Letterati essa e qualunque altro Giornale cadderdi pregio, e furon dimenticati. La storia di questi Gior-nali da me in breve accennata si può vedere più a lungoesposta nella prefazione del suddetto Giornale de' Lette-rati. Nè io negherò già che queste prime opere periodi-che non siano assai lungi da quella perfezione a cui po-scia sono state condotte. Ma ella è questa la sorte di tut-te le nuove intraprese, singolarmente nel genere lettera-rio, che non possano al principio andare esenti da difettie da errori. E lo stesso Journal des Savans non fu essoancora ne' suoi cominciamenti troppo diverso da quelloche poscia veggiamo? Basta leggere le riflessioni e lecritiche su alcuni de' primi tomi di quel Giornale fa ilch. Magalotti (Lettere famigl. t. 1, p. 74, 127, 167), per

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riconoscere quanto esso fosse ne' suoi principj mancan-te.

XXXIV. Gli scrittori genealogici formanl'ultima classe degli scrittori di storia, de'quali dobbiam qui ragionare. Io accennerò

prima il trattato di Celso Cittadini Dell'antichitàdell'armi gentilizie, del qual autore dovrem ad altro luo-go trattar più a lungo, e l'opera del p. Silvestro Pietra-santa gesuita, che ha per titolo Tesserae gentilitiae, dellaquale abbiam fatta altrove menzione. Quindi tra quelliche scrissero propriamente Genealogie lasciando in di-sparte per amore di brevità coloro che scrisser la Storiadi qualche particolare famiglia 30, indicherò solo alcunidi quelli che o a più grande, o a più vasto argomento ri-volsero le loro fatiche. Nè io proporrò, come opera scrit-ta con buona critica, l'Austria Anicia di d. Cipriano de'Conti Boselli monaco olivetano (Mazzucch. Scritt. it. t.2, par. 3, p. 1828), nè alcune opere che generalmentetrattano delle famiglie nobili italiane, e che non sono co-30 Fra gli scrittori di particolari genealogie io accennerò quella soltanto della

nobile e antica famiglia Taccoli di Reggio, formata dal celeb. ab. Bacchi-ni, perchè nè il co. Mazzucchelli, nè monsig. Fabbroni, nè alcun altro diquelli che di lui hanno scritto, ne ha fatta menzione: essa ha per titolo:Pruove del Giuspatronato della Chiesa Parrocchiale o Priorato di S.Giacomo Maggiore della Città di Reggio spettante alla Casa Taccoli, edella discendenza de' Compadroni della medesima Chiesa, disposte e di-gerite dal fu Reverendissimo Padre D. Benedetto Bacchini, ec. in Modenapel Soliani, 1725, fol. Non è però che tutto questo voluminoso tomo siaopera del p. Bacchini, perciocchè più cose vi aggiunse il co. Niccolò Tac-coli, da cui l'opera fu poscia continuata. Ma egli ne raccolse in gran partei documenti, e ne formò gli alberi, come si raccoglie da alcune sue letterepremesse all'opera stessa.

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Scrittori ge-nealogici.

riconoscere quanto esso fosse ne' suoi principj mancan-te.

XXXIV. Gli scrittori genealogici formanl'ultima classe degli scrittori di storia, de'quali dobbiam qui ragionare. Io accennerò

prima il trattato di Celso Cittadini Dell'antichitàdell'armi gentilizie, del qual autore dovrem ad altro luo-go trattar più a lungo, e l'opera del p. Silvestro Pietra-santa gesuita, che ha per titolo Tesserae gentilitiae, dellaquale abbiam fatta altrove menzione. Quindi tra quelliche scrissero propriamente Genealogie lasciando in di-sparte per amore di brevità coloro che scrisser la Storiadi qualche particolare famiglia 30, indicherò solo alcunidi quelli che o a più grande, o a più vasto argomento ri-volsero le loro fatiche. Nè io proporrò, come opera scrit-ta con buona critica, l'Austria Anicia di d. Cipriano de'Conti Boselli monaco olivetano (Mazzucch. Scritt. it. t.2, par. 3, p. 1828), nè alcune opere che generalmentetrattano delle famiglie nobili italiane, e che non sono co-30 Fra gli scrittori di particolari genealogie io accennerò quella soltanto della

nobile e antica famiglia Taccoli di Reggio, formata dal celeb. ab. Bacchi-ni, perchè nè il co. Mazzucchelli, nè monsig. Fabbroni, nè alcun altro diquelli che di lui hanno scritto, ne ha fatta menzione: essa ha per titolo:Pruove del Giuspatronato della Chiesa Parrocchiale o Priorato di S.Giacomo Maggiore della Città di Reggio spettante alla Casa Taccoli, edella discendenza de' Compadroni della medesima Chiesa, disposte e di-gerite dal fu Reverendissimo Padre D. Benedetto Bacchini, ec. in Modenapel Soliani, 1725, fol. Non è però che tutto questo voluminoso tomo siaopera del p. Bacchini, perciocchè più cose vi aggiunse il co. Niccolò Tac-coli, da cui l'opera fu poscia continuata. Ma egli ne raccolse in gran partei documenti, e ne formò gli alberi, come si raccoglie da alcune sue letterepremesse all'opera stessa.

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Scrittori ge-nealogici.

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munemente nè molto esatte, nè molto erudite, quali sonquelle di Flaminio Rossi, di Lattanzio Bianchi, di Fran-cesco Zazzera, di Giampietro de' Crescenzi. Migliorisono le Storie genealogiche delle famiglie di alcune par-ticolari città. Quelle della città e del regno di Napoli fu-rono assai bene illustrate da Carlo de Lellis, la cui operain tre tomi fu stampata nella stessa città dal 1654 al1671. E benchè in essa si veggan talvolta adottate alcu-ne di quelle antichissime genealogie che ora eccitan lerisa de' critici, l'uso nondimeno ch'ei fa de' privati e de'pubblici documenti, molti de' quali ancora egli ha dati inluce, rende quest'opera pregevolissima. Più compendio-sa e meno ricca di cotai documenti è quella di BiagioAldimari, o Altomare, che ha per titolo: Memorie istori-che di diverse famiglie nobili così napoletane, come fo-restiere, stampata in Napoli nel 1691, ma egli in veceparlando di ciascheduna famiglia indica più altri scritto-ri, che di essa ragionano. Più celebre e più piena di eru-dizion diplomatica è la Storia genealogica della fami-glia Carrafa, da lui pubblicata nell'anno stesso in tretomi, e stampata con molta magnificenza, opera che fuperciò altamente applaudita, come ci mostran gli elogiad essa fatti da molti che si accennano dal co. Mazzuc-chelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 542), il quale parla a lun-go di questo scrittore, che fu insieme celebre giurecon-sulto, autor di molte opere legali, e impiegato in più ca-riche luminose 31. Intorno alle famiglie del medesimo re-31 Intorno all'Aldimari veggasi anche l'opera più volte citata del p. di Afflit-

to, che ce ne dà più minute e più esatte notizie (Scritt. napol. t. 1, p. 32,

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munemente nè molto esatte, nè molto erudite, quali sonquelle di Flaminio Rossi, di Lattanzio Bianchi, di Fran-cesco Zazzera, di Giampietro de' Crescenzi. Migliorisono le Storie genealogiche delle famiglie di alcune par-ticolari città. Quelle della città e del regno di Napoli fu-rono assai bene illustrate da Carlo de Lellis, la cui operain tre tomi fu stampata nella stessa città dal 1654 al1671. E benchè in essa si veggan talvolta adottate alcu-ne di quelle antichissime genealogie che ora eccitan lerisa de' critici, l'uso nondimeno ch'ei fa de' privati e de'pubblici documenti, molti de' quali ancora egli ha dati inluce, rende quest'opera pregevolissima. Più compendio-sa e meno ricca di cotai documenti è quella di BiagioAldimari, o Altomare, che ha per titolo: Memorie istori-che di diverse famiglie nobili così napoletane, come fo-restiere, stampata in Napoli nel 1691, ma egli in veceparlando di ciascheduna famiglia indica più altri scritto-ri, che di essa ragionano. Più celebre e più piena di eru-dizion diplomatica è la Storia genealogica della fami-glia Carrafa, da lui pubblicata nell'anno stesso in tretomi, e stampata con molta magnificenza, opera che fuperciò altamente applaudita, come ci mostran gli elogiad essa fatti da molti che si accennano dal co. Mazzuc-chelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 542), il quale parla a lun-go di questo scrittore, che fu insieme celebre giurecon-sulto, autor di molte opere legali, e impiegato in più ca-riche luminose 31. Intorno alle famiglie del medesimo re-31 Intorno all'Aldimari veggasi anche l'opera più volte citata del p. di Afflit-

to, che ce ne dà più minute e più esatte notizie (Scritt. napol. t. 1, p. 32,

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gno abbiamo più altre opere di Ferrante della Marcaduca delle Guardie, di Filiberto Campanile, di France-sco Elio Marchesi, di Carlo Borello, di Giuseppe Reccoe di altri, di cui non giova il far distinta menzione. Leopere di Pompeo Scipione Dolfi sulle famiglie nobili diBologna, del Libanori e del Maresti su quelle di Ferrara,di Eugenio Gamurrini su quelle della Toscana edell'Umbria, benchè contengano molte pregevoli notizienon sono però tali, alla cui autorità convenga ciecamen-te fidarsi. Intorno alle famiglie di Genova, io non trovonotizia che dell'Armi delle Casate nobili di essa di Ago-stino Franzone. Moltissime opere genealogiche e singo-larmente intorno alle famiglie di Padova e di Venezia,pubblicò il co. Jacopo Zabarella nobile padovano, dellequali diffusamente ragiona Gregorio Leti (Italia regn.par. 3, p. 265). Ma troppo sono esse sprovvedute di buo-na critica, perchè possano ora piacere agli eruditi. Dellefamiglie fiorentine abbiam già accennato qualche scrit-tore parlando della Storia di quella città. Niuno n'ebbeMilano, che venisse alla luce. Ma un'opera assai vastasulle famiglie di quella città, e corredata di gran copia diautentici documenti scrisse Rafaello Fagnani, morto nel1627, la qual conservasi manoscritta in otto gran tomi infolio nell'archivio del collegio de' nobili giureconsultidella stessa città (V. Argel. Bibl. Script. mediol. t. 1,

ec.), e osserva che alla magnificenza dell'edizione nella Storia della fami-glia Carrafa non corrisponde l'esattezza e la critica delle ricerche. Di luiparla ancora, e ne dà un giudizio ugualmente svantaggioso il sig. d. Lo-renzo Giustiniani.

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gno abbiamo più altre opere di Ferrante della Marcaduca delle Guardie, di Filiberto Campanile, di France-sco Elio Marchesi, di Carlo Borello, di Giuseppe Reccoe di altri, di cui non giova il far distinta menzione. Leopere di Pompeo Scipione Dolfi sulle famiglie nobili diBologna, del Libanori e del Maresti su quelle di Ferrara,di Eugenio Gamurrini su quelle della Toscana edell'Umbria, benchè contengano molte pregevoli notizienon sono però tali, alla cui autorità convenga ciecamen-te fidarsi. Intorno alle famiglie di Genova, io non trovonotizia che dell'Armi delle Casate nobili di essa di Ago-stino Franzone. Moltissime opere genealogiche e singo-larmente intorno alle famiglie di Padova e di Venezia,pubblicò il co. Jacopo Zabarella nobile padovano, dellequali diffusamente ragiona Gregorio Leti (Italia regn.par. 3, p. 265). Ma troppo sono esse sprovvedute di buo-na critica, perchè possano ora piacere agli eruditi. Dellefamiglie fiorentine abbiam già accennato qualche scrit-tore parlando della Storia di quella città. Niuno n'ebbeMilano, che venisse alla luce. Ma un'opera assai vastasulle famiglie di quella città, e corredata di gran copia diautentici documenti scrisse Rafaello Fagnani, morto nel1627, la qual conservasi manoscritta in otto gran tomi infolio nell'archivio del collegio de' nobili giureconsultidella stessa città (V. Argel. Bibl. Script. mediol. t. 1,

ec.), e osserva che alla magnificenza dell'edizione nella Storia della fami-glia Carrafa non corrisponde l'esattezza e la critica delle ricerche. Di luiparla ancora, e ne dà un giudizio ugualmente svantaggioso il sig. d. Lo-renzo Giustiniani.

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pars 2, p. 589, ec.). E certo a quegli scrittori che nel tes-ser le genealogie delle famiglie fecer molto uso de' mo-numenti conservati negli archivj, e gli trassero alla pub-blica luce, noi dobbiamo esser molto tenuti, perchè intal modo non solo alla Storia di quelle famiglie, ma an-che delle città e delle provincie recarono molto vantag-gio; poichè questo studio non ha più sodo e più autore-vole fondamento di quelle carte, e da esse principalmen-te si dee riconoscere lo scoprimento di tante interessantinotizie che i moderni scrittori ci han date, e la confuta-zione ch'essi hanno fatta di tanti errori per l'addietro in-cautamente adottati.

XXXV. Io darò l'ultimo luogo fra gli scritto-ri di Storia al celebre Traiano Boccalini,perchè comunque egli niun'opera veramenteci desse, a cui convenga il nome di Storia,

tutte però quelle da lui pubblicate spargon non pocolume su' tempi a' quali egli visse. Di esse e del loro au-tore ha parlato sì esattamente il co. Mazzucchelli (Scritt.it. t. 2, par. 3, p. 1375, ec.), che invano io mi sforzerei didir cose nuove. Solo intorno alla patria del Boccaliniparmi di poter dir qualche cosa da altri non osservata. Ilsuddetto autore dice ch'ei fu di patria romano, ma nativodi Loreto, e che suo padre era di professione architetto.Ma io aggiungo che il Boccalini, benchè nato in Loreto,fu di origine carpigiano, della qual città era natio Gio-vanni di lui padre, che fu architetto della S. Casa di Lo-

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Notizie di Traiano Boccalini.

pars 2, p. 589, ec.). E certo a quegli scrittori che nel tes-ser le genealogie delle famiglie fecer molto uso de' mo-numenti conservati negli archivj, e gli trassero alla pub-blica luce, noi dobbiamo esser molto tenuti, perchè intal modo non solo alla Storia di quelle famiglie, ma an-che delle città e delle provincie recarono molto vantag-gio; poichè questo studio non ha più sodo e più autore-vole fondamento di quelle carte, e da esse principalmen-te si dee riconoscere lo scoprimento di tante interessantinotizie che i moderni scrittori ci han date, e la confuta-zione ch'essi hanno fatta di tanti errori per l'addietro in-cautamente adottati.

XXXV. Io darò l'ultimo luogo fra gli scritto-ri di Storia al celebre Traiano Boccalini,perchè comunque egli niun'opera veramenteci desse, a cui convenga il nome di Storia,

tutte però quelle da lui pubblicate spargon non pocolume su' tempi a' quali egli visse. Di esse e del loro au-tore ha parlato sì esattamente il co. Mazzucchelli (Scritt.it. t. 2, par. 3, p. 1375, ec.), che invano io mi sforzerei didir cose nuove. Solo intorno alla patria del Boccaliniparmi di poter dir qualche cosa da altri non osservata. Ilsuddetto autore dice ch'ei fu di patria romano, ma nativodi Loreto, e che suo padre era di professione architetto.Ma io aggiungo che il Boccalini, benchè nato in Loreto,fu di origine carpigiano, della qual città era natio Gio-vanni di lui padre, che fu architetto della S. Casa di Lo-

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Notizie di Traiano Boccalini.

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reto. Noi ne abbiamo la testimonianza primieramente diSilvio Serragli, il qual parlando della cupola di quellachiesa la dice non poco illustrata da Giovanni Boccalinida Carpi Architetto di essa Casa sedente Pio IV (La S.Casa abbellita, Ancona 1675, par. 2, c. 4). Innoltrel'ornatissimo sig. avv. Eustachio Cabassi da me altrevolte lodato, e a cui io debbo questa scoperta, mi ha av-vertito che in Carpi nell'archivio della nobilissima fami-glia de' Pii in una carta del 1501 trovasi nominato Gio-vanni Boccalini habitante nel Borgo di S. Antonio. E lostesso Traiano, benchè chiami Loreto sua patria (Bilan-cia polit. l. 4, p. 360), dice nondimeno che suo padre erastato al servigio di Rodolfo Pio (ivi l. 2, p. 193). Pardunque indubitabile ch'ei fosse di origine carpigiano, manato in Loreto ov'ei venne a luce nel 1556 32. Visse mol-to in Roma, ove il suo ingegno pronto e vivace rendette-lo caro a molti de' più illustri personaggi di quella città,ove fu maestro di geografia al card. Bentivoglio che nelasciò ne' suoi scritti grata memoria (Mem. l. 1, c. 9). Peropera di essi fu impiegato in diversi governi nello Statoecclesiastico, e in quello tra gli altri di Benevento. Ma eifece conoscere che egli era più abile a dar buoni precettidi sana politica, che a porgli in esecuzione, e Roma ebbenon poche doglianze della condotta dal Boccalini in que'governi tenuta. Forse la poca speranza di avanzarsi piùoltre, ma più probabilmente la brama di stampar le sueopere in paese libero, il trasse nel 1612 da Roma a Ve-32 Posson vedersi anche più manifeste pruove della patria del Boccalini nella

Biblioteca modenese (t. 1, p. 282).

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reto. Noi ne abbiamo la testimonianza primieramente diSilvio Serragli, il qual parlando della cupola di quellachiesa la dice non poco illustrata da Giovanni Boccalinida Carpi Architetto di essa Casa sedente Pio IV (La S.Casa abbellita, Ancona 1675, par. 2, c. 4). Innoltrel'ornatissimo sig. avv. Eustachio Cabassi da me altrevolte lodato, e a cui io debbo questa scoperta, mi ha av-vertito che in Carpi nell'archivio della nobilissima fami-glia de' Pii in una carta del 1501 trovasi nominato Gio-vanni Boccalini habitante nel Borgo di S. Antonio. E lostesso Traiano, benchè chiami Loreto sua patria (Bilan-cia polit. l. 4, p. 360), dice nondimeno che suo padre erastato al servigio di Rodolfo Pio (ivi l. 2, p. 193). Pardunque indubitabile ch'ei fosse di origine carpigiano, manato in Loreto ov'ei venne a luce nel 1556 32. Visse mol-to in Roma, ove il suo ingegno pronto e vivace rendette-lo caro a molti de' più illustri personaggi di quella città,ove fu maestro di geografia al card. Bentivoglio che nelasciò ne' suoi scritti grata memoria (Mem. l. 1, c. 9). Peropera di essi fu impiegato in diversi governi nello Statoecclesiastico, e in quello tra gli altri di Benevento. Ma eifece conoscere che egli era più abile a dar buoni precettidi sana politica, che a porgli in esecuzione, e Roma ebbenon poche doglianze della condotta dal Boccalini in que'governi tenuta. Forse la poca speranza di avanzarsi piùoltre, ma più probabilmente la brama di stampar le sueopere in paese libero, il trasse nel 1612 da Roma a Ve-32 Posson vedersi anche più manifeste pruove della patria del Boccalini nella

Biblioteca modenese (t. 1, p. 282).

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nezia, ove l'anno medesimo pubblicò la prima centuriade' suoi Ragguagli di Parnaso, a cui l'anno seguentefece succedere la seconda. Ma non potè lungo tempogoder degli applausi con cui quell'opera fu ricevuta, per-ciocchè a' 16 di novembre del 1613 finì di vivere. La co-mune opinione, fondata principalmente sul dettodell'Eritreo (Pinacoth. pars 1, p. 272; pars 3, n. 59), èch'egli avendo colle sue opere incorso lo sdegno di alcu-ni potenti, assalito una notte in casa nel suo proprio lettoda alcuni armati, fosse così fieramente battuto e pestocon sacchetti pieni d'arena, che poco appresso se ne mo-risse. Ma le ragioni per dubitar di tal fatto, prodotte pri-ma da Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 139), epoi dal co. Mazzucchelli, mi sembrano di tal peso,ch'esso debba considerarsi almeno come molto incerto.Vuolsi però avvertire che agli scrittori da' quali si narratal cosa, accennati dal co. Mazzucchelli, deesi aggiunge-re ancora il suddetto card. Bentivoglio, il qual però neparla soltanto come di opinione ricevuta comunemente.E potè forse avvenire che il Boccalini avesse veramentequell'efficace avviso di scrivere più cautamente, ma chenon dovesse ad esso la morte. La più celebre opera delBoccalini sono i sopraccennati Ragguagli di Parnaso,ne' quali egli fingendo che innanzi ad Apolline si rechi-no relazioni, doglianze ed accuse, acciocchè egli ne giu-dichi, prende occasione or di lodare, or di biasimar piùpersone, e le azioni e le opere loro. Essi non avrebberoforse avuto quel grande applauso che ebbero, se i trattimordaci e satirici che l'autore vi ha sparsi, non ne ren-

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nezia, ove l'anno medesimo pubblicò la prima centuriade' suoi Ragguagli di Parnaso, a cui l'anno seguentefece succedere la seconda. Ma non potè lungo tempogoder degli applausi con cui quell'opera fu ricevuta, per-ciocchè a' 16 di novembre del 1613 finì di vivere. La co-mune opinione, fondata principalmente sul dettodell'Eritreo (Pinacoth. pars 1, p. 272; pars 3, n. 59), èch'egli avendo colle sue opere incorso lo sdegno di alcu-ni potenti, assalito una notte in casa nel suo proprio lettoda alcuni armati, fosse così fieramente battuto e pestocon sacchetti pieni d'arena, che poco appresso se ne mo-risse. Ma le ragioni per dubitar di tal fatto, prodotte pri-ma da Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 139), epoi dal co. Mazzucchelli, mi sembrano di tal peso,ch'esso debba considerarsi almeno come molto incerto.Vuolsi però avvertire che agli scrittori da' quali si narratal cosa, accennati dal co. Mazzucchelli, deesi aggiunge-re ancora il suddetto card. Bentivoglio, il qual però neparla soltanto come di opinione ricevuta comunemente.E potè forse avvenire che il Boccalini avesse veramentequell'efficace avviso di scrivere più cautamente, ma chenon dovesse ad esso la morte. La più celebre opera delBoccalini sono i sopraccennati Ragguagli di Parnaso,ne' quali egli fingendo che innanzi ad Apolline si rechi-no relazioni, doglianze ed accuse, acciocchè egli ne giu-dichi, prende occasione or di lodare, or di biasimar piùpersone, e le azioni e le opere loro. Essi non avrebberoforse avuto quel grande applauso che ebbero, se i trattimordaci e satirici che l'autore vi ha sparsi, non ne ren-

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dessero a molti piacevole la lettura. Certo i giudizj che ilBoccalini dà in questi racconti, non sono sempre i piùesatti e i più conformi al vero. Delle molte edizioni, del-le traduzioni, delle giunte fatte ad essi ragiona a lungo ilsuddetto co. Mazzucchelli, e io temerei di annoiare i let-tori ripetendo di nuovo le minute osservazioni ch'ei fasopra esse 33. Egli parimente ci dà piene ed esatte notiziedella Pietra del Paragone politico, ch'è come una conti-nuazione de' Ragguagli, ma diretta principalmente con-tro la Spagna, delle Lettere politiche ed istoriche, lequali servono di continuazione alla Bilancia politica, mache in gran parte non sono opera del Boccalini, de' Co-mentarj sopra Cornelio Tacito, i quali, anzi che un co-mento su quello storico, sono osservazioni politiche so-pra diversi fatti della storia de' suoi tempi; e di alcunealtre cose al Boccalini attribuite, delle quali non giova ilragionare distintamente.

XXXVI. Rimane finalmente a parlare di alcuni che die-

33 Il co. Mazzucchelli accenna la voce da alcuni, ma senza fondamento,adottata, che il card. Bonifacio Gaetani, più che il Boccalini, fosse l'autorede' Ragguagli di Parnaso, e aggiugne che questa voce nacque per avven-tura dal risapersi che quel cardinale approvava i Ragguagli medesimi. Ècerto però ancora ch'egli non solo approvava i Ragguagli, ma ne favorival'autore con buone somme di denaro. Il ch. monsig. Onorato Gaetani miha trasmessa copia di tre lettere da Pier Capponi scritte al cardinal mede-simo da Ravenna; la prima a' 10 di aprile; la seconda a' 30 di ottobre; laterza a' 21 di dicembre del 1613, nelle quali si parla di alcune somme didenaro, che in nome del cardinale avea fatte pagare al Boccalini, enell'ultima si dice ch'era piaciuto alla Maestà Divina di chiamarlo a séquesti giorni passati in Venezia.

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dessero a molti piacevole la lettura. Certo i giudizj che ilBoccalini dà in questi racconti, non sono sempre i piùesatti e i più conformi al vero. Delle molte edizioni, del-le traduzioni, delle giunte fatte ad essi ragiona a lungo ilsuddetto co. Mazzucchelli, e io temerei di annoiare i let-tori ripetendo di nuovo le minute osservazioni ch'ei fasopra esse 33. Egli parimente ci dà piene ed esatte notiziedella Pietra del Paragone politico, ch'è come una conti-nuazione de' Ragguagli, ma diretta principalmente con-tro la Spagna, delle Lettere politiche ed istoriche, lequali servono di continuazione alla Bilancia politica, mache in gran parte non sono opera del Boccalini, de' Co-mentarj sopra Cornelio Tacito, i quali, anzi che un co-mento su quello storico, sono osservazioni politiche so-pra diversi fatti della storia de' suoi tempi; e di alcunealtre cose al Boccalini attribuite, delle quali non giova ilragionare distintamente.

XXXVI. Rimane finalmente a parlare di alcuni che die-

33 Il co. Mazzucchelli accenna la voce da alcuni, ma senza fondamento,adottata, che il card. Bonifacio Gaetani, più che il Boccalini, fosse l'autorede' Ragguagli di Parnaso, e aggiugne che questa voce nacque per avven-tura dal risapersi che quel cardinale approvava i Ragguagli medesimi. Ècerto però ancora ch'egli non solo approvava i Ragguagli, ma ne favorival'autore con buone somme di denaro. Il ch. monsig. Onorato Gaetani miha trasmessa copia di tre lettere da Pier Capponi scritte al cardinal mede-simo da Ravenna; la prima a' 10 di aprile; la seconda a' 30 di ottobre; laterza a' 21 di dicembre del 1613, nelle quali si parla di alcune somme didenaro, che in nome del cardinale avea fatte pagare al Boccalini, enell'ultima si dice ch'era piaciuto alla Maestà Divina di chiamarlo a séquesti giorni passati in Venezia.

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der precetti a scrivere lodevolmente la Sto-ria, argomento in cui il secolo precedente ciha dati molti scrittori, e quello, di cui trattia-mo, non ci offre che Agostino Mascardi.

Egli era nato in Sarzana nella riviera orientale di Geno-va nel 1591; ed entrato in età giovanile tra' gesuiti, neuscì poscia, e da Urbano VIII, a cui pel suo ingegno ei sirendette assai caro, fu fatto suo cameriere d'onore e di-chiarato professor d'eloquenza nella Sapienza di Romal'anno 1628 collo stipendio di 500 scudi (Carrafa deGymn. rom. t. 2, p. 321). L'Eritreo quanto ne loda l'inge-gno, altrettanto ne biasima la poca saggia condotta (Pi-nacoth. pars 1, p. 112, ec.), per cui visse sempre oppres-so dai debiti, e forse il suo tenore di vivere gli accorciò igiorni; perciocchè divenuto etico e ritiratosi a Sarzana,ivi in età di 49 anni venne a morte nel 1640. L'arte isto-rica da lui pubblicata in Roma nel 1636, e accresciutaposcia in una nuova edizione nel 1646 da Paolo Pirani,fu l'opera che maggior fama gli conciliasse, e con ragio-ne, poichè esso è libro ottimo, e un de' migliori che inquesto genere abbiamo. E basti recarne il giudizio delcard. Bentivoglio, che ben potea conoscerne il pregio:"Con mirabile erudizione, dic'egli (Mem. l. 1, c. 9), edinsieme con singolare eloquenza fra i più moderni com-pose un pieno volume sopra l'Arte Istorica ultimamentein particolare Agostino Mascardi, uno de' primi Letteratid'Italia, e mio strettissimo amico. E certo gli deve resta-re grandemente obbligata l'Istoria, poichè eglinell'accennato componimento non poteva più al vivo ef-

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Scrittoridell'Artestorica.

der precetti a scrivere lodevolmente la Sto-ria, argomento in cui il secolo precedente ciha dati molti scrittori, e quello, di cui trattia-mo, non ci offre che Agostino Mascardi.

Egli era nato in Sarzana nella riviera orientale di Geno-va nel 1591; ed entrato in età giovanile tra' gesuiti, neuscì poscia, e da Urbano VIII, a cui pel suo ingegno ei sirendette assai caro, fu fatto suo cameriere d'onore e di-chiarato professor d'eloquenza nella Sapienza di Romal'anno 1628 collo stipendio di 500 scudi (Carrafa deGymn. rom. t. 2, p. 321). L'Eritreo quanto ne loda l'inge-gno, altrettanto ne biasima la poca saggia condotta (Pi-nacoth. pars 1, p. 112, ec.), per cui visse sempre oppres-so dai debiti, e forse il suo tenore di vivere gli accorciò igiorni; perciocchè divenuto etico e ritiratosi a Sarzana,ivi in età di 49 anni venne a morte nel 1640. L'arte isto-rica da lui pubblicata in Roma nel 1636, e accresciutaposcia in una nuova edizione nel 1646 da Paolo Pirani,fu l'opera che maggior fama gli conciliasse, e con ragio-ne, poichè esso è libro ottimo, e un de' migliori che inquesto genere abbiamo. E basti recarne il giudizio delcard. Bentivoglio, che ben potea conoscerne il pregio:"Con mirabile erudizione, dic'egli (Mem. l. 1, c. 9), edinsieme con singolare eloquenza fra i più moderni com-pose un pieno volume sopra l'Arte Istorica ultimamentein particolare Agostino Mascardi, uno de' primi Letteratid'Italia, e mio strettissimo amico. E certo gli deve resta-re grandemente obbligata l'Istoria, poichè eglinell'accennato componimento non poteva più al vivo ef-

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Scrittoridell'Artestorica.

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figiarne la vera e perfetta Istoria". Egli avea già pubbli-cata fin dal 1629 la Storia della famosa congiura delFieschi. Ma questo saggio, dice Apostolo Zeno (Note alFontan. t. 2, p. 110), che questo maestro dell'Arte ha di-vulgato, ha fatto dire, ch'egli fosse più abile ad inse-gnarla, che a praticarla. Lo stesso Zeno ha rilevati al-cuni errori che nel parlar del Mascardi han commesso ilp. Niceron e il p. Riccardo Simon. Le altre opere delMascardi non sono ugualmente celebri, e se ne può ve-dere 'l catalogo presso il p. Niceron (Mém. des Homm.ill. t. 27).

CAPO II.Lingue straniere.

I. Lo studio delle lingue orientali fu uno diquelli che in questo secolo vennero con piùardore coltivati in Italia, e se ne dee la glo-ria principalmente a' romani pontefici, e aque' gran cardinali Federigo Borromeo e b.

Gregorio Barbarigo. E quanto a' romani pontefici, PaoloV studiossi di eccitare i Regolari al coltivamento dellelingue, ordinando con una sua Bolla de' 28 di settembredel 1610 che in qualunque Studio de' Regolari fosse unmaestro delle lingue ebraica, greca e latina, e negli Studjmaggiori si aggiugnesse quello ancor dell'arabica (Mu-

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Studio dellelingueorientali fo-mentato da'papi.

figiarne la vera e perfetta Istoria". Egli avea già pubbli-cata fin dal 1629 la Storia della famosa congiura delFieschi. Ma questo saggio, dice Apostolo Zeno (Note alFontan. t. 2, p. 110), che questo maestro dell'Arte ha di-vulgato, ha fatto dire, ch'egli fosse più abile ad inse-gnarla, che a praticarla. Lo stesso Zeno ha rilevati al-cuni errori che nel parlar del Mascardi han commesso ilp. Niceron e il p. Riccardo Simon. Le altre opere delMascardi non sono ugualmente celebri, e se ne può ve-dere 'l catalogo presso il p. Niceron (Mém. des Homm.ill. t. 27).

CAPO II.Lingue straniere.

I. Lo studio delle lingue orientali fu uno diquelli che in questo secolo vennero con piùardore coltivati in Italia, e se ne dee la glo-ria principalmente a' romani pontefici, e aque' gran cardinali Federigo Borromeo e b.

Gregorio Barbarigo. E quanto a' romani pontefici, PaoloV studiossi di eccitare i Regolari al coltivamento dellelingue, ordinando con una sua Bolla de' 28 di settembredel 1610 che in qualunque Studio de' Regolari fosse unmaestro delle lingue ebraica, greca e latina, e negli Studjmaggiori si aggiugnesse quello ancor dell'arabica (Mu-

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Studio dellelingueorientali fo-mentato da'papi.

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rat. Ann. d'Ital. ad h. a.). Ma questo provvedimento nonebbe un successo corrispondente al zelo e al desideriodel pontefice. Più ampio e più stabil frutto raccolse Gre-gorio XV, di lui successore, dalla fondazion ch'egli fecenel 1622 della Congregazione detta de PropagandaFide, di cui fosse pensiero il formare zelanti operai chespargendosi fin nelle più lontane provincie del mondo siaffaticassero o in propagare, o in promuovere la Religio-ne. Era perciò necessario ch'essi fossero istruiti nellelingue de' popoli a' quali dovevano recarsi, e faceva bi-sogno di libri scritti in que' medesimi idiomi, affinchèpiù facilmente si diffondesse fra essi il lume del Vange-lo. A tal fine per opera singolarmente di monsig. Fran-cesco Ingoli, che ne fu il primo segretario, fu ad essa ag-giunta una magnifica stamperia, in cui fin dal 1627 con-tavansi di quindici caratteri di diverse lingue che creb-ber poscia fino a ventitrè, e che sono poi stati fino a' dìnostri successivamente accresciuti. Non è perciò a stupi-re se in Roma singolarmente questo studio fiorisse, e setante opere dotte nelle lingue orientali si vedessero iviuscire alla pubblica luce. Ivi il p. Ilarione Rancati mona-co cistercense, di patria milanese, dottissimo nelle lin-gue orientali, arabica, e siriaca, fu ammesso in una con-gregazione destinata da Paolo V all'esame di certi librisacri siriaci, e fu un de' trascelti da Urbano VII a tradur-re la Volgata latina nella lingua arabica, e dopo aver so-stenuti più ragguardevoli impieghi, finì di vivere in etàdi 69 anni nel 1663, senza aver mai pubblicata opera al-cuna, ma lasciandone un grandissimo numero scritte a

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rat. Ann. d'Ital. ad h. a.). Ma questo provvedimento nonebbe un successo corrispondente al zelo e al desideriodel pontefice. Più ampio e più stabil frutto raccolse Gre-gorio XV, di lui successore, dalla fondazion ch'egli fecenel 1622 della Congregazione detta de PropagandaFide, di cui fosse pensiero il formare zelanti operai chespargendosi fin nelle più lontane provincie del mondo siaffaticassero o in propagare, o in promuovere la Religio-ne. Era perciò necessario ch'essi fossero istruiti nellelingue de' popoli a' quali dovevano recarsi, e faceva bi-sogno di libri scritti in que' medesimi idiomi, affinchèpiù facilmente si diffondesse fra essi il lume del Vange-lo. A tal fine per opera singolarmente di monsig. Fran-cesco Ingoli, che ne fu il primo segretario, fu ad essa ag-giunta una magnifica stamperia, in cui fin dal 1627 con-tavansi di quindici caratteri di diverse lingue che creb-ber poscia fino a ventitrè, e che sono poi stati fino a' dìnostri successivamente accresciuti. Non è perciò a stupi-re se in Roma singolarmente questo studio fiorisse, e setante opere dotte nelle lingue orientali si vedessero iviuscire alla pubblica luce. Ivi il p. Ilarione Rancati mona-co cistercense, di patria milanese, dottissimo nelle lin-gue orientali, arabica, e siriaca, fu ammesso in una con-gregazione destinata da Paolo V all'esame di certi librisacri siriaci, e fu un de' trascelti da Urbano VII a tradur-re la Volgata latina nella lingua arabica, e dopo aver so-stenuti più ragguardevoli impieghi, finì di vivere in etàdi 69 anni nel 1663, senza aver mai pubblicata opera al-cuna, ma lasciandone un grandissimo numero scritte a

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mano, che or si conservano nel monastero di s. Ambro-gio in Milano e in quello di Caravaggio, e che si anno-verano dall'Argelati 34 (Bibl. Script. mediol. t. 2, pars 1,p. 1175, ec.). Ivi il p. d. Giulio Bartolocci dello stessoOrdine, ma della Congregazion riformata di s. Bernardo,nato nel 1613 in Cellano nella diocesi di Montefiascone,che per 36 anni fu professore di lingua ebraica nel colle-gio de' neofiti, e scrittore della medesima lingua nellaVaticana, e che morì nel 1687, diè alla luce nella stam-peria della Congregazione de Propaganda la Bibliotecamagna rabinica, in cui per ordine alfabetico si dà noti-zia di tutti gli autori e di tutti gli scritti rabbinici (Maz-zucch. Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 468). Ivi il p. d. CarloGiuseppe Imbonati di patria milanese, scolaro e correli-gioso del Bartolocci, oltre il compiere il quarto tomodella Biblioteca rabbinica dal suo maestro scritto sol permetà, pubblicò ancora nel 1696 la Biblioteca latinoebraica, ossia la notizia di tutti gli scrittori latini chescritto aveano o contro gli Ebrei, o di cose a Religione,o a' costumi loro attinenti (Argel. l. c. t. 1, pars 2, p.737). Ivi il p. d. Clemente Galani teatino, dopo aver perpiù anni soggiornato in Armenia, tornato a Roma, dièalle stampe nel 1650 in due tomi una pregevol raccoltadi Atti scritti in quella lingua, e da lui tradotti il latino, e

34 La Vita del p. d. Ilarione Rancati è stata con molta diligenza ed erudizioneillustrata dal ch. p. ab. d. Angelo Fumagalli cisterciense, e stampata inBrescia nel 1762. E si potranno in essa vedere non solo più ampiamentespiegate le circostanze della vita di questo dottissimo religioso, ma messoancor in miglior luce tutto ciò che da lui fu operato per promuover lo stu-dio delle lingue orientali, e di tutte le scienze sacre.

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mano, che or si conservano nel monastero di s. Ambro-gio in Milano e in quello di Caravaggio, e che si anno-verano dall'Argelati 34 (Bibl. Script. mediol. t. 2, pars 1,p. 1175, ec.). Ivi il p. d. Giulio Bartolocci dello stessoOrdine, ma della Congregazion riformata di s. Bernardo,nato nel 1613 in Cellano nella diocesi di Montefiascone,che per 36 anni fu professore di lingua ebraica nel colle-gio de' neofiti, e scrittore della medesima lingua nellaVaticana, e che morì nel 1687, diè alla luce nella stam-peria della Congregazione de Propaganda la Bibliotecamagna rabinica, in cui per ordine alfabetico si dà noti-zia di tutti gli autori e di tutti gli scritti rabbinici (Maz-zucch. Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 468). Ivi il p. d. CarloGiuseppe Imbonati di patria milanese, scolaro e correli-gioso del Bartolocci, oltre il compiere il quarto tomodella Biblioteca rabbinica dal suo maestro scritto sol permetà, pubblicò ancora nel 1696 la Biblioteca latinoebraica, ossia la notizia di tutti gli scrittori latini chescritto aveano o contro gli Ebrei, o di cose a Religione,o a' costumi loro attinenti (Argel. l. c. t. 1, pars 2, p.737). Ivi il p. d. Clemente Galani teatino, dopo aver perpiù anni soggiornato in Armenia, tornato a Roma, dièalle stampe nel 1650 in due tomi una pregevol raccoltadi Atti scritti in quella lingua, e da lui tradotti il latino, e

34 La Vita del p. d. Ilarione Rancati è stata con molta diligenza ed erudizioneillustrata dal ch. p. ab. d. Angelo Fumagalli cisterciense, e stampata inBrescia nel 1762. E si potranno in essa vedere non solo più ampiamentespiegate le circostanze della vita di questo dottissimo religioso, ma messoancor in miglior luce tutto ciò che da lui fu operato per promuover lo stu-dio delle lingue orientali, e di tutte le scienze sacre.

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illustrati con osservazioni teologiche e storiche intitolataConciliazione della Chiesa d'Armenia colla latina sulletestimonianze de' Padri e de' Dotti Armeni. Ivi FilippoGuadagnolli divolgò nel 1642 la Gramatica della linguaarabica, e Tommaso Obizzino da Novara minor riforma-to il Tesoro siro-arabico-latino nel 1636, e prima unaGramatica arabica nel 1631. I tre maroniti, VittorioScialac, Abramo Echellense e Fausto Nairone, furonoda' romani pontefici mantenuti e premiati, perchè tenes-sero scuola di lingue orientali; e tutti corrisposero a be-nefizj di cui vedeansi onorati, col pubblicare più dotteopere, fra le quali abbiamo de' due primi le Gramatichedella lingua arabica e della siriaca. Ivi il p. GiambattistaFerrarari sanese di patria gesuita, da noi altrove già no-minato, diè in luce nel 1622 un dizionario della siriacaintitolato Nomenclator syriacus. Ivi il f. Mario da Cala-sio (luogo nel regno di Napoli) minore osservante pub-blicò nel 1621 la grand'opera delle Concordanze ebrai-che, avuta sì in gran pregio, che una nuova edizione sen'è fatta in Londra nel 1749, e di lui abbiamo ancora unDizionario ebraico-latino stampato in Roma nel 1617.Ivi finalmente nel 1671, dopo le fatiche e gli studj diben 46 anni in ciò impiegati da' più dotti uomini chefossero in tutta l'Europa, uscì alla luce la famosa edizio-ne della Biblia arabica in tre tomi in folio. I nomi di tuttiquelli che in ciò furono adoperati, e la serie delle faticheda essi perciò sostenute, si posson vedere nel Giornaleromano dell'ab. Nazzari (Giorn. de' Letter.; Roma 1672,29 genn.).

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illustrati con osservazioni teologiche e storiche intitolataConciliazione della Chiesa d'Armenia colla latina sulletestimonianze de' Padri e de' Dotti Armeni. Ivi FilippoGuadagnolli divolgò nel 1642 la Gramatica della linguaarabica, e Tommaso Obizzino da Novara minor riforma-to il Tesoro siro-arabico-latino nel 1636, e prima unaGramatica arabica nel 1631. I tre maroniti, VittorioScialac, Abramo Echellense e Fausto Nairone, furonoda' romani pontefici mantenuti e premiati, perchè tenes-sero scuola di lingue orientali; e tutti corrisposero a be-nefizj di cui vedeansi onorati, col pubblicare più dotteopere, fra le quali abbiamo de' due primi le Gramatichedella lingua arabica e della siriaca. Ivi il p. GiambattistaFerrarari sanese di patria gesuita, da noi altrove già no-minato, diè in luce nel 1622 un dizionario della siriacaintitolato Nomenclator syriacus. Ivi il f. Mario da Cala-sio (luogo nel regno di Napoli) minore osservante pub-blicò nel 1621 la grand'opera delle Concordanze ebrai-che, avuta sì in gran pregio, che una nuova edizione sen'è fatta in Londra nel 1749, e di lui abbiamo ancora unDizionario ebraico-latino stampato in Roma nel 1617.Ivi finalmente nel 1671, dopo le fatiche e gli studj diben 46 anni in ciò impiegati da' più dotti uomini chefossero in tutta l'Europa, uscì alla luce la famosa edizio-ne della Biblia arabica in tre tomi in folio. I nomi di tuttiquelli che in ciò furono adoperati, e la serie delle faticheda essi perciò sostenute, si posson vedere nel Giornaleromano dell'ab. Nazzari (Giorn. de' Letter.; Roma 1672,29 genn.).

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II. Colle grandi e magnifiche idee de' roma-ni pontefici pare che gareggiar volesse ilcard. Federigo Borromeo. Noi abbiam giàveduto che questo gran cardinale nel fonda-

re la biblioteca ambrosiana vi aggiunse una stamperia dilingue orientali, che condusse a Milano maestri dellelingue ebraica, persiana ed armena, e che cercò ancora,ma inutilmente, un maestro della lingua abissina. Ben-chè le premure del card. Federigo non avessero tuttoquell'ampio effetto che alla grandezza del suo animo eracorrispondente, non rimaser però senza frutto, e due de-gli alunni da lui formati, amendue milanesi, promossernon poco lo studio delle lingue orientali. Il primo fu An-tonio Giggeo della Congregazione degli Obblati, e unode' dottori del Collegio ambrosiano. Fin dal 1620 aveaei pubblicati da sè tradotti in latino i Comenti del rabbinSalomone, di Aben Esra, e di Levi Gersom su' proverbjdi Salomone. Ma opera assai più gloriosa al suo autorefu il gran Vocabolario arabico in quattro tomi, stampatoin Milano nel 1632, ch'è il più ampio che abbiasi inquella lingua, e che ben mostra quanto in essa fosse ver-sato il Giggeo. Egli scrisse ancora una Gramatica dellelingue caldaica e targumica, che conservasi ms. in Mila-no (V. Argel. Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 685).La fama sparsa del molto saper del Giggeo nelle lingueorientali, giunse al pontefice Urbano VIII che bramò diavere un uomo sì dotto in Roma per illustrarne il Colle-

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Del card. Federigo Borromeo.

II. Colle grandi e magnifiche idee de' roma-ni pontefici pare che gareggiar volesse ilcard. Federigo Borromeo. Noi abbiam giàveduto che questo gran cardinale nel fonda-

re la biblioteca ambrosiana vi aggiunse una stamperia dilingue orientali, che condusse a Milano maestri dellelingue ebraica, persiana ed armena, e che cercò ancora,ma inutilmente, un maestro della lingua abissina. Ben-chè le premure del card. Federigo non avessero tuttoquell'ampio effetto che alla grandezza del suo animo eracorrispondente, non rimaser però senza frutto, e due de-gli alunni da lui formati, amendue milanesi, promossernon poco lo studio delle lingue orientali. Il primo fu An-tonio Giggeo della Congregazione degli Obblati, e unode' dottori del Collegio ambrosiano. Fin dal 1620 aveaei pubblicati da sè tradotti in latino i Comenti del rabbinSalomone, di Aben Esra, e di Levi Gersom su' proverbjdi Salomone. Ma opera assai più gloriosa al suo autorefu il gran Vocabolario arabico in quattro tomi, stampatoin Milano nel 1632, ch'è il più ampio che abbiasi inquella lingua, e che ben mostra quanto in essa fosse ver-sato il Giggeo. Egli scrisse ancora una Gramatica dellelingue caldaica e targumica, che conservasi ms. in Mila-no (V. Argel. Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 685).La fama sparsa del molto saper del Giggeo nelle lingueorientali, giunse al pontefice Urbano VIII che bramò diavere un uomo sì dotto in Roma per illustrarne il Colle-

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Del card. Federigo Borromeo.

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gio de Propaganda; e il Giggeo chiamato dal papa, giàera sul partir da Milano, quando fu dalla morte rapitonel 1632. L'altro dottor del collegio ambrosiano illustra-tor delle lingue orientali, fu Francesco Rivola, il qualerivoltosi singolarmente alla lingua armena, ne scrisse ilDizionario che fu stampato in Milano nel 1613, e posciaancor la Gramatica ivi pubblicata nel 1624, e nella nuo-va edizione del Dizionario fatta in Parigi nel 1633 adesso unita.

III. Emulatore delle virtù e della munificen-za del card. Federigo Borromeo fu il b. card.Gregorio Barbarigo vescovo di Padova, il

quale, come parlando delle biblioteche abbiamo già os-servato, nel suo seminario fondò una stamperia di lingueorientali, e ne promosse tra quegli alunni lo studio.Quanto ne fosse egli sollecito, cel mostrano alcune dellelettere da lui scritte al celebre Magliabecchi: "Io non socome, gli scriv'egli nel 1681 (Cl. Venet. Epist. ad Ma-gliab. t. 2, p. 8), mi sono posto in pensiere di mettere lelingue Orientali nel Clero, e vado avanzando, ondequando odo tali libri, convengo soddisfare alla curiosità,e però pregola farmi parte della materia, che trattano ilibri venuti dal parente del Turco a S. Altezza: intendo,che vi siano in Costantinopoli libri Arabi di cose ancomorali molto ben aggiustati. Intendo esser stati in cote-sta Stamperia impressi Avicena ed Averroe. Mi sarebbegrazia sapere, se sono soli Arabi, o pure anco tradotti, e

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E dal card.Barbarigo.

gio de Propaganda; e il Giggeo chiamato dal papa, giàera sul partir da Milano, quando fu dalla morte rapitonel 1632. L'altro dottor del collegio ambrosiano illustra-tor delle lingue orientali, fu Francesco Rivola, il qualerivoltosi singolarmente alla lingua armena, ne scrisse ilDizionario che fu stampato in Milano nel 1613, e posciaancor la Gramatica ivi pubblicata nel 1624, e nella nuo-va edizione del Dizionario fatta in Parigi nel 1633 adesso unita.

III. Emulatore delle virtù e della munificen-za del card. Federigo Borromeo fu il b. card.Gregorio Barbarigo vescovo di Padova, il

quale, come parlando delle biblioteche abbiamo già os-servato, nel suo seminario fondò una stamperia di lingueorientali, e ne promosse tra quegli alunni lo studio.Quanto ne fosse egli sollecito, cel mostrano alcune dellelettere da lui scritte al celebre Magliabecchi: "Io non socome, gli scriv'egli nel 1681 (Cl. Venet. Epist. ad Ma-gliab. t. 2, p. 8), mi sono posto in pensiere di mettere lelingue Orientali nel Clero, e vado avanzando, ondequando odo tali libri, convengo soddisfare alla curiosità,e però pregola farmi parte della materia, che trattano ilibri venuti dal parente del Turco a S. Altezza: intendo,che vi siano in Costantinopoli libri Arabi di cose ancomorali molto ben aggiustati. Intendo esser stati in cote-sta Stamperia impressi Avicena ed Averroe. Mi sarebbegrazia sapere, se sono soli Arabi, o pure anco tradotti, e

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E dal card.Barbarigo.

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quanti tomi". E in un'altra dell'anno stesso (ib. p. 9):"Per le cose Arabiche veramente io presi l'esemplare dalSig. Card. Borromeo, e mi dispiace che i suoi successorinon l'abbian seguito, e sarà per me grazia singolarel'averne una copia di questi stampati in Roma dal GranDuca Ferdinando". Il card. Giorgio Cornaro successoredel Barbarigo ne imitò ancora gli esempj, e ne promossei disegni riguardo a questi studj; e frutto delle sollecitu-dini di questi due cardinali fu la bella edizionedell'Arcolano in lingua arabica con traduzione latina, ecolla dotta confutazione del p. Lodovico Marracci dellaCongregazione della Madre di Dio da quella stamperiauscita nel 1698. Ma i lor disegni ancor non ebber la sor-te di esser poscia avvivati e promossi, com'essi avrebberbramato.

IV. Benchè i gran duchi di Toscana di que-sto secolo non fosser tanto solleciti di que-sto studio, quanto Ferdinando I, non trascu-raron per modo, che ad esso ancora non ri-

volgesser talvolta pensiero. Ferdinando II e il principeLeopoldo fecer venire a Firenze quell'Abramo Echellen-se da noi nominato poc'anzi, acciocchè esaminasse i co-dici orientali ch'erano nel palazzo de' Pitti (BianchiniRagionam. p. 107) 35, e poscia il gran duca Cosimo IIItrasse a Firenze il celebre p. Pietro Benedetti di nazion

35 Questi codici orientali sono stati essi ancora per comando del gran ducapoi imperatore Pietro Leopoldo uniti alla Laurenziana.

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Coltivatori di tale stu-dio.

quanti tomi". E in un'altra dell'anno stesso (ib. p. 9):"Per le cose Arabiche veramente io presi l'esemplare dalSig. Card. Borromeo, e mi dispiace che i suoi successorinon l'abbian seguito, e sarà per me grazia singolarel'averne una copia di questi stampati in Roma dal GranDuca Ferdinando". Il card. Giorgio Cornaro successoredel Barbarigo ne imitò ancora gli esempj, e ne promossei disegni riguardo a questi studj; e frutto delle sollecitu-dini di questi due cardinali fu la bella edizionedell'Arcolano in lingua arabica con traduzione latina, ecolla dotta confutazione del p. Lodovico Marracci dellaCongregazione della Madre di Dio da quella stamperiauscita nel 1698. Ma i lor disegni ancor non ebber la sor-te di esser poscia avvivati e promossi, com'essi avrebberbramato.

IV. Benchè i gran duchi di Toscana di que-sto secolo non fosser tanto solleciti di que-sto studio, quanto Ferdinando I, non trascu-raron per modo, che ad esso ancora non ri-

volgesser talvolta pensiero. Ferdinando II e il principeLeopoldo fecer venire a Firenze quell'Abramo Echellen-se da noi nominato poc'anzi, acciocchè esaminasse i co-dici orientali ch'erano nel palazzo de' Pitti (BianchiniRagionam. p. 107) 35, e poscia il gran duca Cosimo IIItrasse a Firenze il celebre p. Pietro Benedetti di nazion

35 Questi codici orientali sono stati essi ancora per comando del gran ducapoi imperatore Pietro Leopoldo uniti alla Laurenziana.

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Coltivatori di tale stu-dio.

Page 136: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

maronita: "Un Regalo, scrivea nel 1698 il co. Magalottial priore del Bene (Magal. Lett. famigl. t. 2, p. 141), pelmio Sig. Priore, e un regalo non piccolo; ma ci vuole unpo' di mancia. Il regalo è tutta l'amicizia e la confidenzadel P. Benedetti Maronita onorato dal Gran Duca nostroSignore della lettura delle lingue Orientali in codestaUniversità. Saranno intorno a sett'anni, che S. A. cavòquesto degnissimo soggetto di Roma per riordinarel'orribil caos, in cui eran ridotti i caratteri non so se didieci lingue Orientali fatti gettare con centotrentamilascudi di spesa dal Gran Duca Ferdinando I. allora Cardi-nale e Protettore del Collegio de propaganda Fide. Fini-to questo laborioso riassortimento S. A. non l'ha mai li-cenziato, mirando verissimilmente, e come ne tengoqualche riscontro, infin d'allora a valersene in questonuovo impiego. Si trova egli in necessità di procacciarsiun quartiere costì, ec.". Alcuni altri Italiani che furondotti nelle lingue orientali, abbiamo ad altre occasioniaccennati nel decorso di questo tomo; e alcuni altri po-tremmo qui rammentare, e fra gli altri quel Filippod'Aquino, da ebreo divenuto cristiano, e professore permolti anni di lingua ebraica in Parigi, di cui si hannoalle stampe non poche opere (V. Mazzucch. Scritt. ital. t.1, par. 2, p. 912). Ma benchè egli fosse originariod'Aquino nel regno di Napoli, nacque nondimeno inCarpentras, e visse sempre in Francia; e noi non possia-mo perciò, senza esporci alla taccia di usurpatori dellealtrui glorie, annoverarlo tra' nostri. Io farò più volentie-ri menzion di Leon da Modena rabbino veneto, ebreo

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maronita: "Un Regalo, scrivea nel 1698 il co. Magalottial priore del Bene (Magal. Lett. famigl. t. 2, p. 141), pelmio Sig. Priore, e un regalo non piccolo; ma ci vuole unpo' di mancia. Il regalo è tutta l'amicizia e la confidenzadel P. Benedetti Maronita onorato dal Gran Duca nostroSignore della lettura delle lingue Orientali in codestaUniversità. Saranno intorno a sett'anni, che S. A. cavòquesto degnissimo soggetto di Roma per riordinarel'orribil caos, in cui eran ridotti i caratteri non so se didieci lingue Orientali fatti gettare con centotrentamilascudi di spesa dal Gran Duca Ferdinando I. allora Cardi-nale e Protettore del Collegio de propaganda Fide. Fini-to questo laborioso riassortimento S. A. non l'ha mai li-cenziato, mirando verissimilmente, e come ne tengoqualche riscontro, infin d'allora a valersene in questonuovo impiego. Si trova egli in necessità di procacciarsiun quartiere costì, ec.". Alcuni altri Italiani che furondotti nelle lingue orientali, abbiamo ad altre occasioniaccennati nel decorso di questo tomo; e alcuni altri po-tremmo qui rammentare, e fra gli altri quel Filippod'Aquino, da ebreo divenuto cristiano, e professore permolti anni di lingua ebraica in Parigi, di cui si hannoalle stampe non poche opere (V. Mazzucch. Scritt. ital. t.1, par. 2, p. 912). Ma benchè egli fosse originariod'Aquino nel regno di Napoli, nacque nondimeno inCarpentras, e visse sempre in Francia; e noi non possia-mo perciò, senza esporci alla taccia di usurpatori dellealtrui glorie, annoverarlo tra' nostri. Io farò più volentie-ri menzion di Leon da Modena rabbino veneto, ebreo

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assai dotto nella lingua e nelle antichità della sua nazio-ne, e autore di alcune opere sui Riti ebraici, che ancheoltramonti furono accolte con applauso, e più voltestampate (V. Le Long. Bibl. sacra t. 2, p. 593, 806) 36.

V. Al fervore degl'Italiani nel coltivar le lin-gue orientali par che avrebbe dovuto esseruguale l'impegno riguardo alla greca. E non-dimeno la cosa andò tutto altrimente. L'uni-versale entusiasmo con cui abbiamo vedutigl'Italiani del secolo precedente volgersiallo studio di questa lingua, talchè allora

sembrava anzi disonor l'ignorarla che onore il saperla, siandò scemando e illanguidendo per modo, che veggiamgli eruditi di questa età altamente lagnarsi ch'essa fossequasi dimenticata. E forse ne fu cagione lo stesso ardoredell'età precedente nel fomentar questo studio. Appenavi fu oratore, o poeta greco che da' nostri non fosse allo-ra tradotto o in latino, o in italiano. Quindi potendosi

36 Ai coltivatori della lingua ebraica deesi aggiugnere il p. Eliseo Pesenticappuccino, morto in Bergamo sua patria, nel 1634, che per trent'anni ten-ne in quel suo convento pubblica scuola di quella lingua. Oltre alcuneopere da lui pubblicate, delle quali si fa menzione nella Biblioteca de'Cappuccini del p. Bernardo da Bologna, conservansi nella libreria del suoconvento un ampio Dizionario ebraico manoscritto, in quattro tomi in fo-lio, e una Gramatica ebraica in un altro tomo. Il sig. ab. Maffeo MariaRocchi, a cui debbo questa notizia, mi avverte ancora che pochi anni sonoalcuni dei Cappuccini francesi, che in Parigi coltivano con molto applausola detta lingua, venuti in Italia, e veduto quel Lessico, volea seco recarloin Francia per pubblicarlo, ma che gli antichi possessori non vollero re-starne privi.

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Lo studio della linguagreca illan-guidisce al-quanto in Italia: noti-zie di alcu-ni grecisti.

assai dotto nella lingua e nelle antichità della sua nazio-ne, e autore di alcune opere sui Riti ebraici, che ancheoltramonti furono accolte con applauso, e più voltestampate (V. Le Long. Bibl. sacra t. 2, p. 593, 806) 36.

V. Al fervore degl'Italiani nel coltivar le lin-gue orientali par che avrebbe dovuto esseruguale l'impegno riguardo alla greca. E non-dimeno la cosa andò tutto altrimente. L'uni-versale entusiasmo con cui abbiamo vedutigl'Italiani del secolo precedente volgersiallo studio di questa lingua, talchè allora

sembrava anzi disonor l'ignorarla che onore il saperla, siandò scemando e illanguidendo per modo, che veggiamgli eruditi di questa età altamente lagnarsi ch'essa fossequasi dimenticata. E forse ne fu cagione lo stesso ardoredell'età precedente nel fomentar questo studio. Appenavi fu oratore, o poeta greco che da' nostri non fosse allo-ra tradotto o in latino, o in italiano. Quindi potendosi

36 Ai coltivatori della lingua ebraica deesi aggiugnere il p. Eliseo Pesenticappuccino, morto in Bergamo sua patria, nel 1634, che per trent'anni ten-ne in quel suo convento pubblica scuola di quella lingua. Oltre alcuneopere da lui pubblicate, delle quali si fa menzione nella Biblioteca de'Cappuccini del p. Bernardo da Bologna, conservansi nella libreria del suoconvento un ampio Dizionario ebraico manoscritto, in quattro tomi in fo-lio, e una Gramatica ebraica in un altro tomo. Il sig. ab. Maffeo MariaRocchi, a cui debbo questa notizia, mi avverte ancora che pochi anni sonoalcuni dei Cappuccini francesi, che in Parigi coltivano con molto applausola detta lingua, venuti in Italia, e veduto quel Lessico, volea seco recarloin Francia per pubblicarlo, ma che gli antichi possessori non vollero re-starne privi.

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Lo studio della linguagreca illan-guidisce al-quanto in Italia: noti-zie di alcu-ni grecisti.

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leggere Omero e Demostene anche da chi ignorava ilgreco, si credette da molti inutile la fatica necessaria adapprenderlo, e quella lingua perciò non fu più molto cu-rata. Luca Olstenio scrivendo da Roma nel 1649 al prin-cipe Leopoldo de' Medici, e proponendogli per la catte-dra d'eloquenza e di lingua greca, vacante in Pisa per lamorte di Paganino Gaudenzi, il dotto Leone Allacci:"Altro soggetto, dice (Lettere ined. t. 1, p. 81), che meri-ti d'esser messo in considerazione a V. A. io non vedo inItalia, e si sa quanto male sieno provviste le Cattedre diPadova e di Bologna in questo genere, dove le LettereGreche, e in conseguenza ogni vero fondamento di sa-pere, sono bandite affatto in modo, che di qua non sipossa sperare che cosa debole e ordinarissima 37". Veg-

37 Par nondimeno che in Roma, donde così scriveva nel 1646 l'Olstenio, do-vesser trovarsi non pochi nella lingua greca ben istruiti. Perciocchè, comeha osservato il ch. can. Bandini (Vita J. B. Donii p. 82), conservasi inRoma nella Biblioteca barberina un codice in cui si contengono i Fasti diun'Accademia detta Basiliana eretta nell'an. 1635 nel monastero de' Basia-liani di rito greco, in quella città per opera del card. Francesco Barberinoil vecchio, scritti da Giuseppe Carpano, ch'era uno degli accademici. Era-ne protettore il suddetto card. Barberino, e principe il card. Francesco Ma-ria Brancacci, e segretario il celebre Giambattista Doni. Nelle loro adu-nanze solevano gli accademici recitar prima un ragionamento su qualchemateria sacra, o morale; indi passavano allo scioglimento di qualche dub-bio intorno alla lingua greca, tratto singolarmente dalla liturgia di quellanazione. Quest'accademia non ebbe però lunga durata, e come pruova ilsuddetto scrittore con una lettera dell'Olstenio de' 15 di febbraio del 1642,al partir che il Doni fece da Roma, si sciolse quasi interamente. Nondime-no circa il tempo medesimo abbiamo un altro documento a provare ch'erain Italia un sufficiente numero di coltivatori della lingua greca. Esso è uncatalogo d'uomini dotti scritto a' tempi di Urbano VIII di mano di GasparoScioppio, e pubblicato dallo stesso canonico Bandini (l. c. p. 21, ec.). Traessi veggiam molti da lui lodati, come dotti nel greco, e sono Girolamo

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leggere Omero e Demostene anche da chi ignorava ilgreco, si credette da molti inutile la fatica necessaria adapprenderlo, e quella lingua perciò non fu più molto cu-rata. Luca Olstenio scrivendo da Roma nel 1649 al prin-cipe Leopoldo de' Medici, e proponendogli per la catte-dra d'eloquenza e di lingua greca, vacante in Pisa per lamorte di Paganino Gaudenzi, il dotto Leone Allacci:"Altro soggetto, dice (Lettere ined. t. 1, p. 81), che meri-ti d'esser messo in considerazione a V. A. io non vedo inItalia, e si sa quanto male sieno provviste le Cattedre diPadova e di Bologna in questo genere, dove le LettereGreche, e in conseguenza ogni vero fondamento di sa-pere, sono bandite affatto in modo, che di qua non sipossa sperare che cosa debole e ordinarissima 37". Veg-

37 Par nondimeno che in Roma, donde così scriveva nel 1646 l'Olstenio, do-vesser trovarsi non pochi nella lingua greca ben istruiti. Perciocchè, comeha osservato il ch. can. Bandini (Vita J. B. Donii p. 82), conservasi inRoma nella Biblioteca barberina un codice in cui si contengono i Fasti diun'Accademia detta Basiliana eretta nell'an. 1635 nel monastero de' Basia-liani di rito greco, in quella città per opera del card. Francesco Barberinoil vecchio, scritti da Giuseppe Carpano, ch'era uno degli accademici. Era-ne protettore il suddetto card. Barberino, e principe il card. Francesco Ma-ria Brancacci, e segretario il celebre Giambattista Doni. Nelle loro adu-nanze solevano gli accademici recitar prima un ragionamento su qualchemateria sacra, o morale; indi passavano allo scioglimento di qualche dub-bio intorno alla lingua greca, tratto singolarmente dalla liturgia di quellanazione. Quest'accademia non ebbe però lunga durata, e come pruova ilsuddetto scrittore con una lettera dell'Olstenio de' 15 di febbraio del 1642,al partir che il Doni fece da Roma, si sciolse quasi interamente. Nondime-no circa il tempo medesimo abbiamo un altro documento a provare ch'erain Italia un sufficiente numero di coltivatori della lingua greca. Esso è uncatalogo d'uomini dotti scritto a' tempi di Urbano VIII di mano di GasparoScioppio, e pubblicato dallo stesso canonico Bandini (l. c. p. 21, ec.). Traessi veggiam molti da lui lodati, come dotti nel greco, e sono Girolamo

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giamo infatti che per occupar quella cattedra fu perqualche tempo trascelto un non so quale Ibernese, cheivi era nel 1673. In Firenze fu quella cattedra sostenutada un uomo nella lingua greca dottissimo, cioè da Giam-battista Doni, di cui abbiamo altrove fatta menzione. Equando questi morì nel 1646, fu proposto a succedergliValerio Chimentelli, del cui sapere abbiamo un'onorevo-le testimonianza nella lettera perciò scritta dal p. Miche-lini al principe Leopoldo (ivi p. 266). Ma egli passò poialla medesima cattedra nella università di Pisa, ove pub-blicò la sua erudita dissertazione intitolata Marmor Pi-sanum de honore Biselii. Ma il più celebre professore dilingua greca, che quell'università in questo secolo aves-se, fu Benedetto Averani. Più di cinque Vite di questoprofessor valoroso annovera il co. Mazzucchelli (Scritt.ital. t. 1, par. 2, p. 1235), e possiamo ad esse aggiugner-ne un'altra che di più fresco ci ha data il ch. monsig. Fa-broni (Vitae Italor. doctr. excell. dec. a. p. 6). Debbo iodunque occuparmi di formarne una nuova? A me basteràl'accennare ch'ei fu di patria fiorentina, e che nacque nel1645; che fin dal tempo in cui cominciò a frequentare lescuole de' Gesuiti, diè saggi di non ordinario ingegno edi maturità superiore agli anni; che a tutte le più nobiliscienze rivolger volle il suo studio, e in tutte fece lietiprogressi; che avvertito dal card. Leopoldo a disporsi ad

Aleandro, Paolo Bombino gesuita, Ignazio Bracci, Agostino Oreggio (poicardinale), Giambattista Lauro, Niccolò Villani, Niccolò Alamanni, Giu-seppe Ripamonti dotto ancor nell'ebraico, Pietro Strozzi, GiambattistaDoni e Lorenzo Pignoria, di molti de' quali abbiam parlato in diversi passidi questo tomo.

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giamo infatti che per occupar quella cattedra fu perqualche tempo trascelto un non so quale Ibernese, cheivi era nel 1673. In Firenze fu quella cattedra sostenutada un uomo nella lingua greca dottissimo, cioè da Giam-battista Doni, di cui abbiamo altrove fatta menzione. Equando questi morì nel 1646, fu proposto a succedergliValerio Chimentelli, del cui sapere abbiamo un'onorevo-le testimonianza nella lettera perciò scritta dal p. Miche-lini al principe Leopoldo (ivi p. 266). Ma egli passò poialla medesima cattedra nella università di Pisa, ove pub-blicò la sua erudita dissertazione intitolata Marmor Pi-sanum de honore Biselii. Ma il più celebre professore dilingua greca, che quell'università in questo secolo aves-se, fu Benedetto Averani. Più di cinque Vite di questoprofessor valoroso annovera il co. Mazzucchelli (Scritt.ital. t. 1, par. 2, p. 1235), e possiamo ad esse aggiugner-ne un'altra che di più fresco ci ha data il ch. monsig. Fa-broni (Vitae Italor. doctr. excell. dec. a. p. 6). Debbo iodunque occuparmi di formarne una nuova? A me basteràl'accennare ch'ei fu di patria fiorentina, e che nacque nel1645; che fin dal tempo in cui cominciò a frequentare lescuole de' Gesuiti, diè saggi di non ordinario ingegno edi maturità superiore agli anni; che a tutte le più nobiliscienze rivolger volle il suo studio, e in tutte fece lietiprogressi; che avvertito dal card. Leopoldo a disporsi ad

Aleandro, Paolo Bombino gesuita, Ignazio Bracci, Agostino Oreggio (poicardinale), Giambattista Lauro, Niccolò Villani, Niccolò Alamanni, Giu-seppe Ripamonti dotto ancor nell'ebraico, Pietro Strozzi, GiambattistaDoni e Lorenzo Pignoria, di molti de' quali abbiam parlato in diversi passidi questo tomo.

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occupare la cattedra di belle lettere in Pisa, solo e senzala scorta d'alcun maestro studiò la lingua greca, e ne ot-tenne pienissima cognizione; che nel 1676 fu nominatoprofessore di lingua greca, dalla qual cattedra passò po-scia a quella d'umanità; che ricusò premurosi inviti a luifatti dall'università di Padova e dal pontefice InnocenzoXI, nè mai volle lasciare il servigio del natural suo so-vrano, finchè in età di 52 anni nel 1707 a' 28 di dicem-bre, passò a miglior vita. Egli fu veramente uom dotto, einsieme colto ed elegante scrittore, e viene annoveratotra quelli che più contribuirono a richiamare in Italia ilbuon gusto. Le Dissertazioni latine da lui dette nell'uni-versità di Pisa, e che raccolte dopo la sua morte furonoin tre tomi in folio stampate in Firenze, contengonospiegazioni e dissertazioni sull'Antologia greca, su Tuci-dide, su Euripide, su Livio, su Cicerone, su Virgilio, epiù altre Orazioni, Poesie, e Lettere dell'Averani, il qua-le in esse discuopre e il profondo studio che fatto aveasugli antichi scrittori, e l'ampio frutto che aveane raccol-to. Di altre opere di esso o stampate, o inedite, o smarri-te si veggano i cataloghi che ne han dato i suddetti scrit-tori. Fratello di Benedetto fu Giuseppe Averani profes-sore egli ancora in Pisa, e autor parimente di molte ope-re. Ma egli visse fino al 1738, e non è perciò di questoluogo il ragionarne.

VI. Io non verrò annoverando gli altri professori di lin-gua greca, che nelle altre università italiane ne tennero

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occupare la cattedra di belle lettere in Pisa, solo e senzala scorta d'alcun maestro studiò la lingua greca, e ne ot-tenne pienissima cognizione; che nel 1676 fu nominatoprofessore di lingua greca, dalla qual cattedra passò po-scia a quella d'umanità; che ricusò premurosi inviti a luifatti dall'università di Padova e dal pontefice InnocenzoXI, nè mai volle lasciare il servigio del natural suo so-vrano, finchè in età di 52 anni nel 1707 a' 28 di dicem-bre, passò a miglior vita. Egli fu veramente uom dotto, einsieme colto ed elegante scrittore, e viene annoveratotra quelli che più contribuirono a richiamare in Italia ilbuon gusto. Le Dissertazioni latine da lui dette nell'uni-versità di Pisa, e che raccolte dopo la sua morte furonoin tre tomi in folio stampate in Firenze, contengonospiegazioni e dissertazioni sull'Antologia greca, su Tuci-dide, su Euripide, su Livio, su Cicerone, su Virgilio, epiù altre Orazioni, Poesie, e Lettere dell'Averani, il qua-le in esse discuopre e il profondo studio che fatto aveasugli antichi scrittori, e l'ampio frutto che aveane raccol-to. Di altre opere di esso o stampate, o inedite, o smarri-te si veggano i cataloghi che ne han dato i suddetti scrit-tori. Fratello di Benedetto fu Giuseppe Averani profes-sore egli ancora in Pisa, e autor parimente di molte ope-re. Ma egli visse fino al 1738, e non è perciò di questoluogo il ragionarne.

VI. Io non verrò annoverando gli altri professori di lin-gua greca, che nelle altre università italiane ne tennero

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scuola; perciocchè, se vi ebbe tra essi qual-che uomo di chiara fama, egli è più noto peropere di erudizione, che per saggi dati digrande perizia in questa lingua, come furo-

no Felice Osio e Ottavio Ferrari nell'università di Pado-va già da noi mentovati, a' quali si può aggiugnere Vin-cenzo Contarini autore di alcuni trattati su diversi puntidi romana antichità e di altri argomenti, di cui più copio-se notizie ci dà il Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 1, p.348). Ma non deesi tacere una nuova cattedra di linguagreca aperta in Napoli verso la fine del secolo dall'amorpatriottico e dalla munificenza di Giuseppe Valletta, delquale abbiam fatta in altro luogo menzione. Di ciò ne halasciata memoria il p. Mabillon, che fu a Napoli nel1686, e che racconta che quel benemerito cittadino aveacol suo proprio denaro assegnato stipendio a GregorioMasserio sacerdote di Brindisi, perchè v'insegnasse pub-blicamente la lingua greca. Più altri Italiani che sepperdi greco, abbiamo indicati ne' capi precedenti, e più altrine indicheremo in quelli che verranno appresso. E quiancora se ne potrebbono rammentare alcuni, come il p.Giambattista Gattini gesuita palermitano, morto inRoma nel 1672, uomo non sol nella greca, ma ancoranelle orientali lingue versato, e a cui dobbiamo il quintoe il sesto libro de' Comenti di s. Cirillo alessandrino dalui trovati in Chio, benchè altri gli togliesse la gloria dipubblicarli (Sotuell. Script. S. J. p. 412), e Simone Por-zio autore di un Dizionario latino, greco-barbaro, e lette-rale, e più altri, de' quali però, per quanto minutamente

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Se ne anno-verano al-cuni altri.

scuola; perciocchè, se vi ebbe tra essi qual-che uomo di chiara fama, egli è più noto peropere di erudizione, che per saggi dati digrande perizia in questa lingua, come furo-

no Felice Osio e Ottavio Ferrari nell'università di Pado-va già da noi mentovati, a' quali si può aggiugnere Vin-cenzo Contarini autore di alcuni trattati su diversi puntidi romana antichità e di altri argomenti, di cui più copio-se notizie ci dà il Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 1, p.348). Ma non deesi tacere una nuova cattedra di linguagreca aperta in Napoli verso la fine del secolo dall'amorpatriottico e dalla munificenza di Giuseppe Valletta, delquale abbiam fatta in altro luogo menzione. Di ciò ne halasciata memoria il p. Mabillon, che fu a Napoli nel1686, e che racconta che quel benemerito cittadino aveacol suo proprio denaro assegnato stipendio a GregorioMasserio sacerdote di Brindisi, perchè v'insegnasse pub-blicamente la lingua greca. Più altri Italiani che sepperdi greco, abbiamo indicati ne' capi precedenti, e più altrine indicheremo in quelli che verranno appresso. E quiancora se ne potrebbono rammentare alcuni, come il p.Giambattista Gattini gesuita palermitano, morto inRoma nel 1672, uomo non sol nella greca, ma ancoranelle orientali lingue versato, e a cui dobbiamo il quintoe il sesto libro de' Comenti di s. Cirillo alessandrino dalui trovati in Chio, benchè altri gli togliesse la gloria dipubblicarli (Sotuell. Script. S. J. p. 412), e Simone Por-zio autore di un Dizionario latino, greco-barbaro, e lette-rale, e più altri, de' quali però, per quanto minutamente

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Se ne anno-verano al-cuni altri.

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noi andassimo in cerca, non potremmo raccoglier tal nu-mero, nè indicare tali opere che la fama da' nostri inquesto secolo ottenuta non fosse di molto inferiore aquella del secolo precedente.

VII. Io potrei qui ancora aggiugnere unanon breve serie di scrittori italiani che cidiedero Gramatiche, o Vocabolarj, o altri li-

bri che giovano a conoscere la lingua turchesca, la cine-se, la giapponese, la messicana e quella di più altre na-zioni dell'Indie orientali e delle occidentali; opere comu-nemente dei missionarj vissuti lungamente in quelleprovincie. Ma poichè esse furon singolarmente dirette alvantaggio delle anime di que' popoli, più che alla lette-raria loro istruzione, perciò io mi astengo dal farne unminuto catalogo, di cui sarebbe la noia maggior che ilfrutto.

CAPO III.Poesia italiana.

I. Eccoci a un argomento di cui par chel'Italia debba anzi andar vergognosa, chelieta e superba. Se alcuni degli scrittori danoi addietro accennati usano d'uno stiltronfio e vizioso, essi almen c'istruiscono

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Studio di altre lingue.

Cattivo gusto comunementein essa intro-dotto.

noi andassimo in cerca, non potremmo raccoglier tal nu-mero, nè indicare tali opere che la fama da' nostri inquesto secolo ottenuta non fosse di molto inferiore aquella del secolo precedente.

VII. Io potrei qui ancora aggiugnere unanon breve serie di scrittori italiani che cidiedero Gramatiche, o Vocabolarj, o altri li-

bri che giovano a conoscere la lingua turchesca, la cine-se, la giapponese, la messicana e quella di più altre na-zioni dell'Indie orientali e delle occidentali; opere comu-nemente dei missionarj vissuti lungamente in quelleprovincie. Ma poichè esse furon singolarmente dirette alvantaggio delle anime di que' popoli, più che alla lette-raria loro istruzione, perciò io mi astengo dal farne unminuto catalogo, di cui sarebbe la noia maggior che ilfrutto.

CAPO III.Poesia italiana.

I. Eccoci a un argomento di cui par chel'Italia debba anzi andar vergognosa, chelieta e superba. Se alcuni degli scrittori danoi addietro accennati usano d'uno stiltronfio e vizioso, essi almen c'istruiscono

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Studio di altre lingue.

Cattivo gusto comunementein essa intro-dotto.

Page 143: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

co' lumi che spargono o sul regno della natura, o sullevicende de' secoli. Ma ora dobbiam parlar di scrittori a'quali se mancan le grazie dello stile, manca il migliore equasi l'unico pregio de' lor lavori. Un teologo, un filoso-fo, un matematico, un medico, uno storico che scrivamale, si legge con dispiacere e con noia, ma pur si leggecon frutto. Ma un poeta incolto e rozzo a che giova eglimai? E nondimeno pur troppo dobbiam confessare chefra' poeti di questo secolo il maggior numero è di quelli,le cui Poesie or non possono aver altr'uso che di servirdi pascolo alle fiamme, o alle tignuole, o d'esser destina-te anche a più ignobil uffizio. Ma dovrò io rinnovare incerto modo la piaga che il reo gusto fece allora all'Italia,col far menzione di tanti inutili poetastri da' quali ella fuinnondata ed oppressa? Nè io ho coraggio a farlo, nèove pure l'avessi, potrei sperarne lode ed applauso da'lettori di questa Storia. Si giaccian essi dunque dimenti-cati fra quella polvere a cui son or condennati. Io invecemi studierò di mostrare che, benchè quasi tutta l'Italiaandasse follemente perduta dietro a quel falso lume chetanti e tanti sedusse, il numero però di coloro che non silasciaron travolgere dalla corrente, non fu sì scarso,come da molti si crede, e che anche nel secolo XVII nonfu del tutto priva l'Italia di leggiadri ed eleganti poeti.Solo perchè le infelici vicende della letteratura ugual-mente che le gloriose da un sincero e imparziale storicodebbono essere rammentate, io parlerò de' primi e deipiù celebri corrompitori del buon gusto in Italia, accioc-chè si conosca a chi debba essa imputare le sue sciagu-

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co' lumi che spargono o sul regno della natura, o sullevicende de' secoli. Ma ora dobbiam parlar di scrittori a'quali se mancan le grazie dello stile, manca il migliore equasi l'unico pregio de' lor lavori. Un teologo, un filoso-fo, un matematico, un medico, uno storico che scrivamale, si legge con dispiacere e con noia, ma pur si leggecon frutto. Ma un poeta incolto e rozzo a che giova eglimai? E nondimeno pur troppo dobbiam confessare chefra' poeti di questo secolo il maggior numero è di quelli,le cui Poesie or non possono aver altr'uso che di servirdi pascolo alle fiamme, o alle tignuole, o d'esser destina-te anche a più ignobil uffizio. Ma dovrò io rinnovare incerto modo la piaga che il reo gusto fece allora all'Italia,col far menzione di tanti inutili poetastri da' quali ella fuinnondata ed oppressa? Nè io ho coraggio a farlo, nèove pure l'avessi, potrei sperarne lode ed applauso da'lettori di questa Storia. Si giaccian essi dunque dimenti-cati fra quella polvere a cui son or condennati. Io invecemi studierò di mostrare che, benchè quasi tutta l'Italiaandasse follemente perduta dietro a quel falso lume chetanti e tanti sedusse, il numero però di coloro che non silasciaron travolgere dalla corrente, non fu sì scarso,come da molti si crede, e che anche nel secolo XVII nonfu del tutto priva l'Italia di leggiadri ed eleganti poeti.Solo perchè le infelici vicende della letteratura ugual-mente che le gloriose da un sincero e imparziale storicodebbono essere rammentate, io parlerò de' primi e deipiù celebri corrompitori del buon gusto in Italia, accioc-chè si conosca a chi debba essa imputare le sue sciagu-

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re.II. Prima però di essi dobbiam dire di unvaloroso poeta, il quale tanto toccò del buonsecolo, che potè raccoglierne in sè tutti ipregi, e tanto s'innoltrò nel cattivo, che per

poco non ne contrasse alquanto i difetti. Parlo del cele-bre Gabriello Chiabrera, onor di Savona sua patria, ovenacque agli 8 di giugno del 1552. Ha scritta egli stessola sua Vita, e di essa noi ci varremo nel ragionarne, fin-chè una più ampia non ne abbiamo; e noi speriamo diaverla nella nuova edizione delle Opere di questo valo-roso poeta già da qualche anno promessa da alcuni lette-rati savonesi, ma che non vedesi ancora venire a luce.Gabriello, rimasto presto privo del padre, fu in età dinove anni inviato a Roma, ove sotto la direzione di unsuo zio paterno cominciò gli studj e fu poscia inviatoalle scuole del collegio romano. L'amicizia da lui ivicontratta con Paolo Manuzio e poi col celebre SperoneSperoni, e le lezioni udite dal famoso Mureto, giovaronnon poco a porlo sul buon sentiero. Fu per qualche tem-po in corte del card. Cornaro camerlingo; ma un incon-tro da lui avuto con un gentiluomo romano, il costrinsead uscire da Roma e a tornare alla patria, ove in tran-quillo riposo tutto si diè agli studj e a quello singolar-mente della poesia italiana. E par veramente che il Chia-brera in età giovanile fosse d'indole vivace e risentita ol-tre il dovere, poichè confessa egli stesso che in patriaincontrò, senza sua colpa, brighe, e rimase ferito: la

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Notizie diGabrielloChiabrera.

re.II. Prima però di essi dobbiam dire di unvaloroso poeta, il quale tanto toccò del buonsecolo, che potè raccoglierne in sè tutti ipregi, e tanto s'innoltrò nel cattivo, che per

poco non ne contrasse alquanto i difetti. Parlo del cele-bre Gabriello Chiabrera, onor di Savona sua patria, ovenacque agli 8 di giugno del 1552. Ha scritta egli stessola sua Vita, e di essa noi ci varremo nel ragionarne, fin-chè una più ampia non ne abbiamo; e noi speriamo diaverla nella nuova edizione delle Opere di questo valo-roso poeta già da qualche anno promessa da alcuni lette-rati savonesi, ma che non vedesi ancora venire a luce.Gabriello, rimasto presto privo del padre, fu in età dinove anni inviato a Roma, ove sotto la direzione di unsuo zio paterno cominciò gli studj e fu poscia inviatoalle scuole del collegio romano. L'amicizia da lui ivicontratta con Paolo Manuzio e poi col celebre SperoneSperoni, e le lezioni udite dal famoso Mureto, giovaronnon poco a porlo sul buon sentiero. Fu per qualche tem-po in corte del card. Cornaro camerlingo; ma un incon-tro da lui avuto con un gentiluomo romano, il costrinsead uscire da Roma e a tornare alla patria, ove in tran-quillo riposo tutto si diè agli studj e a quello singolar-mente della poesia italiana. E par veramente che il Chia-brera in età giovanile fosse d'indole vivace e risentita ol-tre il dovere, poichè confessa egli stesso che in patriaincontrò, senza sua colpa, brighe, e rimase ferito: la

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Notizie diGabrielloChiabrera.

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sua mano fece sue vendette, e molti mesi ebbe a stare inbando: quietossi poi ogni nimistà, ed ei si godette lungoriposo. Ei visse quasi sempre in patria, ove ancora in etàdi 50 anni prese a moglie Lelia pavese, da cui però nonebbe figli. Solo nel trasser talvolta il desiderio di viag-giar per l'Italia, e gli onorevoli inviti fattigli da alcuniprincipi. Fra essi Ferdinando I gran duca di Toscana,avendo saputo che il Chiabrera era venuto a Firenze,chiamollo a sè, e accoltolo con molto onore, gli commi-se alcuni versi per servire sulla scena ad alcune macchi-ne ch'ei volea mandare in dono al principe di Spagna; edavutili, gli fece dono di una catena d'oro con una meda-glia in cui era impressa la sua immagine e quella dellagran duchessa, e di una cassetta di acque stillate e odo-rose. Indi in occasione delle feste che si celebrarono perle nozze della principessa Maria, che fu poi reina diFrancia, gli comandò che avesse cura delle poesie chedoveansi rappresentar sulla scena, e nella pruova che sene faceva innanzi al gran duca e ad altri gran personag-gi, avendo egli veduto che il Chiabrera, come gli altri,stavasi in piedi e a testa scoperta, il fè scoprire e sedere;e ordinò poscia ch'ei fosse notato tra' gentiluomini dallasua corte con onorevole provvisione e senza obbligo al-cuno. Abbiam parimente veduto com'ei fosse ivi onoratoda Cosimo II, che in somigliante occasione chiamatolo,sel fece sedere a lato. Nè meno fu egli accetto a CarloEmanuello duca di Savoia, il quale sapendo ch'egli scri-veva l'Amadeide, chiamollo a Torino, l'invitò a fermarsialla sua corte, e poichè egli non accettò l'invito, gli fè

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sua mano fece sue vendette, e molti mesi ebbe a stare inbando: quietossi poi ogni nimistà, ed ei si godette lungoriposo. Ei visse quasi sempre in patria, ove ancora in etàdi 50 anni prese a moglie Lelia pavese, da cui però nonebbe figli. Solo nel trasser talvolta il desiderio di viag-giar per l'Italia, e gli onorevoli inviti fattigli da alcuniprincipi. Fra essi Ferdinando I gran duca di Toscana,avendo saputo che il Chiabrera era venuto a Firenze,chiamollo a sè, e accoltolo con molto onore, gli commi-se alcuni versi per servire sulla scena ad alcune macchi-ne ch'ei volea mandare in dono al principe di Spagna; edavutili, gli fece dono di una catena d'oro con una meda-glia in cui era impressa la sua immagine e quella dellagran duchessa, e di una cassetta di acque stillate e odo-rose. Indi in occasione delle feste che si celebrarono perle nozze della principessa Maria, che fu poi reina diFrancia, gli comandò che avesse cura delle poesie chedoveansi rappresentar sulla scena, e nella pruova che sene faceva innanzi al gran duca e ad altri gran personag-gi, avendo egli veduto che il Chiabrera, come gli altri,stavasi in piedi e a testa scoperta, il fè scoprire e sedere;e ordinò poscia ch'ei fosse notato tra' gentiluomini dallasua corte con onorevole provvisione e senza obbligo al-cuno. Abbiam parimente veduto com'ei fosse ivi onoratoda Cosimo II, che in somigliante occasione chiamatolo,sel fece sedere a lato. Nè meno fu egli accetto a CarloEmanuello duca di Savoia, il quale sapendo ch'egli scri-veva l'Amadeide, chiamollo a Torino, l'invitò a fermarsialla sua corte, e poichè egli non accettò l'invito, gli fè

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dono di una catena d'oro, e volle che nel partire fosseservito d'una carrozza e di quattro cavalli di corte, eogni qual volta ei fu a Torino, il duca fecegli contar pelviaggio 300 lire, benchè esso non fosse che di 50 miglia.Anche il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga lo ebbeassai caro; volle ch'egli ordinasse le macchine, e compo-nesse i versi per gl'intermedj nelle feste per le nozze delprincipe suo figliuolo, lo alloggiò in corte, e seco il vol-le in carrozza, in barca, alla mensa, e gli assegnòun'annua pensione. Urbano VIII gli diè parimente grancontrassegni di onore e di stima, e fra le altre cosel'ammise una volta ad udire il predicatore apostoliconella sua bussola stessa, e con un Breve pieno di encomjlo invitò a fissare il suo soggiorno in Roma al che perònon condiscese il Chiabrera. Finalmente la Repubblicadi Genova, di cui era suddito, lo ricolmò essa pure dionori e di privilegi, permettendogli fra le altre cose discoprirsi, quando ragionava a' serenissimi collegi. Cosìonorato da tutti, visse il Chiabrera fino all'estrema vec-chiezza, finchè in età di 86 anni nel 1637 diè fine in Sa-vona a' suoi giorni.

III. A dare un'idea del poetare del Chiabre-ra, niuna imagine è più opportuna di quellach'ei medesimo ci somministra nella suaVita, dicendo ch'ei seguia l'esempio di Cri-

stoforo Colombo suo cittadino, ch'egli voleva trovarmondo, o affogare. In fatti, benchè Luigi Alamanni,

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Sue Poesie e loro ca-rattere.

dono di una catena d'oro, e volle che nel partire fosseservito d'una carrozza e di quattro cavalli di corte, eogni qual volta ei fu a Torino, il duca fecegli contar pelviaggio 300 lire, benchè esso non fosse che di 50 miglia.Anche il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga lo ebbeassai caro; volle ch'egli ordinasse le macchine, e compo-nesse i versi per gl'intermedj nelle feste per le nozze delprincipe suo figliuolo, lo alloggiò in corte, e seco il vol-le in carrozza, in barca, alla mensa, e gli assegnòun'annua pensione. Urbano VIII gli diè parimente grancontrassegni di onore e di stima, e fra le altre cosel'ammise una volta ad udire il predicatore apostoliconella sua bussola stessa, e con un Breve pieno di encomjlo invitò a fissare il suo soggiorno in Roma al che perònon condiscese il Chiabrera. Finalmente la Repubblicadi Genova, di cui era suddito, lo ricolmò essa pure dionori e di privilegi, permettendogli fra le altre cose discoprirsi, quando ragionava a' serenissimi collegi. Cosìonorato da tutti, visse il Chiabrera fino all'estrema vec-chiezza, finchè in età di 86 anni nel 1637 diè fine in Sa-vona a' suoi giorni.

III. A dare un'idea del poetare del Chiabre-ra, niuna imagine è più opportuna di quellach'ei medesimo ci somministra nella suaVita, dicendo ch'ei seguia l'esempio di Cri-

stoforo Colombo suo cittadino, ch'egli voleva trovarmondo, o affogare. In fatti, benchè Luigi Alamanni,

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Sue Poesie e loro ca-rattere.

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Bernardo Tasso e alcuni altri poeti del secolo XVI aves-ser felicemente tentato di ornare la poesia italiana colleleggiadre grazie di Anacreonte, e cogli arditi voli di Pin-daro, niuno però sì vivamente espresse la greca poesia,quanto il Chiabrera. O egli scherzi nelle Canzonetteanacreontiche, o si sollevi al cielo colle pindariche, ve-desi in lui quella fervida fantasia e quel vivace estro dicui i Greci ci furono sì gran maestri, e senza cui nonv'ha poesia nè poeta. Se l'espressione non è sempre col-tissima, se ne' traslati e nelle metafore è forse talvoltaardito oltre il dovere, sicchè sembri non del tutto esenteda' difetti del secolo, la nobiltà de' pensieri, la vivacitàdelle immagini, i voli lirici, appena ci lasciano ravvisarecotai piccioli nei; e la molteplice varietà de' metri da luinella poesia introdotti dà un nuovo pregio alle sue Rime.Non v'ebbe genere di poesia italiana, a cui egli non sivolgesse 38. Ma alle canzoni principalmente ei dee la ce-lebrità del suo nome. Ne' sonetti egli è vivo e immagi-noso; ma al leggerli ci spiace quasi ch'egli abbia espostique' sentimenti in un sonetto più tosto che in una canzo-ne. Niun poeta ci ha lasciato sì gran numero di poemi,quanto il Chiabrera. L'Italia liberata, la Firenze, la Go-tiade, o delle Guerre de' Goti, l'Amadeide, il Ruggiero,son tutti di lungo lavoro, oltre molti altri poemetti di mi-nor molte; e in tutti si riconosce il Chiabrera, cioè un38 Il cav. Vannetti nelle sue auree Osservazioni intorno ad Orazio prima di

tutti ha analizzate le rare bellezze e la felice imitazion oraziana de' trentaSermoni del Chiabrera, ne' quali egli ha di gran lunga superato tutto ciòche di Sermoni e di Satire erasi fino a' suoi tempi avuto in poesia italiana(t. 2, p. 35, ec.).

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Bernardo Tasso e alcuni altri poeti del secolo XVI aves-ser felicemente tentato di ornare la poesia italiana colleleggiadre grazie di Anacreonte, e cogli arditi voli di Pin-daro, niuno però sì vivamente espresse la greca poesia,quanto il Chiabrera. O egli scherzi nelle Canzonetteanacreontiche, o si sollevi al cielo colle pindariche, ve-desi in lui quella fervida fantasia e quel vivace estro dicui i Greci ci furono sì gran maestri, e senza cui nonv'ha poesia nè poeta. Se l'espressione non è sempre col-tissima, se ne' traslati e nelle metafore è forse talvoltaardito oltre il dovere, sicchè sembri non del tutto esenteda' difetti del secolo, la nobiltà de' pensieri, la vivacitàdelle immagini, i voli lirici, appena ci lasciano ravvisarecotai piccioli nei; e la molteplice varietà de' metri da luinella poesia introdotti dà un nuovo pregio alle sue Rime.Non v'ebbe genere di poesia italiana, a cui egli non sivolgesse 38. Ma alle canzoni principalmente ei dee la ce-lebrità del suo nome. Ne' sonetti egli è vivo e immagi-noso; ma al leggerli ci spiace quasi ch'egli abbia espostique' sentimenti in un sonetto più tosto che in una canzo-ne. Niun poeta ci ha lasciato sì gran numero di poemi,quanto il Chiabrera. L'Italia liberata, la Firenze, la Go-tiade, o delle Guerre de' Goti, l'Amadeide, il Ruggiero,son tutti di lungo lavoro, oltre molti altri poemetti di mi-nor molte; e in tutti si riconosce il Chiabrera, cioè un38 Il cav. Vannetti nelle sue auree Osservazioni intorno ad Orazio prima di

tutti ha analizzate le rare bellezze e la felice imitazion oraziana de' trentaSermoni del Chiabrera, ne' quali egli ha di gran lunga superato tutto ciòche di Sermoni e di Satire erasi fino a' suoi tempi avuto in poesia italiana(t. 2, p. 35, ec.).

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poeta versatissimo nella mitologia e nella erudizion gre-ca e latina, maestoso, fecondo, eloquente. Ciò nonostante i poemi del Chiabrera non hanno avuta la sortedi essere annoverati tra' più perfetti che abbia l'italianapoesia; e forse sarebbe avvenuto al gran Pindaro, s'ei sifosse accinto a scriver poemi epici. Gl'ingegni fervidi earditi sembran meno opportuni a quei generi di poesia,che richieggono regolare condotta e fatica di lungo tem-po. Noi abbiamo altrove accennata la bella e giudiziosacritica che dell'Amadeide fece il celebre Onorato d'Urfè,e in cui ebbe parte anche il duca di Savoia Carlo Ema-nuello I, in cui si rilevano, e, per quanto a me ne è sem-brato, assai giustamente, parecchi difetti di quel poema,nel quale per altro confessa il censore che ben si vedel'ingegno e lo studio del valoroso poeta. Lo stesso deedirsi dei Drammi per musica e delle Favole boschereccee dell'Erminia tragedia, tutte opere non indegne del loroautore, ma per le quali egli non avea dalla natura sortitaquella felice disposizione che avea per la lirica poesia.Non son molti anni che ne sono state pubblicate le Let-tere familiari, scritte con quella naturale eleganza che neè il maggior pregio. E nella nuova promessa edizione danoi poc'anzi accennata, molte altre opere finora inediteci si fanno sperare di questo illustre scrittore.

IV. Mentre tanti e sì ben meritati onori rendevansi inogni parte al Chiabrera, non eran minori quelli che tri-butavansi a Giambattista Marini, che si dee a ragione

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poeta versatissimo nella mitologia e nella erudizion gre-ca e latina, maestoso, fecondo, eloquente. Ciò nonostante i poemi del Chiabrera non hanno avuta la sortedi essere annoverati tra' più perfetti che abbia l'italianapoesia; e forse sarebbe avvenuto al gran Pindaro, s'ei sifosse accinto a scriver poemi epici. Gl'ingegni fervidi earditi sembran meno opportuni a quei generi di poesia,che richieggono regolare condotta e fatica di lungo tem-po. Noi abbiamo altrove accennata la bella e giudiziosacritica che dell'Amadeide fece il celebre Onorato d'Urfè,e in cui ebbe parte anche il duca di Savoia Carlo Ema-nuello I, in cui si rilevano, e, per quanto a me ne è sem-brato, assai giustamente, parecchi difetti di quel poema,nel quale per altro confessa il censore che ben si vedel'ingegno e lo studio del valoroso poeta. Lo stesso deedirsi dei Drammi per musica e delle Favole boschereccee dell'Erminia tragedia, tutte opere non indegne del loroautore, ma per le quali egli non avea dalla natura sortitaquella felice disposizione che avea per la lirica poesia.Non son molti anni che ne sono state pubblicate le Let-tere familiari, scritte con quella naturale eleganza che neè il maggior pregio. E nella nuova promessa edizione danoi poc'anzi accennata, molte altre opere finora inediteci si fanno sperare di questo illustre scrittore.

IV. Mentre tanti e sì ben meritati onori rendevansi inogni parte al Chiabrera, non eran minori quelli che tri-butavansi a Giambattista Marini, che si dee a ragione

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considerare come il più contagioso corrom-pitor del buon gusto in Italia; e di cui per-ciò dobbiamo or farci a parlare. Giambatti-sta Baiacca comasco ne ha scritta la Vita,stampata lo stesso anno 1625 in cui il Ma-

rini morì e poscia ristampata più altre volte, e di lui in-noltre favellano tanti altri scrittori, che non ci è d'uopodi gran fatica a raccoglierne le notizie. Ei fu di patria na-poletano, ed ivi nacque nel 1569 da padre di professionegiureconsulto, il quale perciò avrebbe voluto che il fi-glio battesse la carriera medesima. E forse sarebbe statospediente all'italiana poesia che così fosse accaduto. Mail Marini fu uno de' molti che volsero dispettosamente lespalle alla giurisprudenza, per seguire le Muse. Sdegna-to il padre, cacciossel di casa, negandogli perfino ilpane. Il duca di Bovino, e poscia il principe di Conca,che ne ammiravano il raro talento, gli dieder ricovero,finchè un delitto giovanile da lui commesso il fece im-prigionare, e poichè ebbe riavuta la libertà, lo persuaseper timore di peggio a lasciare il Regno, e a trasportarsia Roma, ove prima presso Melchiorre Crescenzi, indipresso il card. Pietro Aldobrandini visse alcuni anni, ecol secondo fu ancora a Ravenna e a Torino. In questacittà rendettesi celebre il Marini non solo pel suo talen-to, ma ancora per le ostinate e più che letterarie conteseche vi sostenne. La prima fu quasi una battaglia da giuo-co in confronto delle altre, e nacque all'occasion di unsonetto dal Marini composto in lode di un poemetto diRafaello Rabbia sopra s. Maria egiziaca, in cui egli pre-

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Notizie di GiambattistaMarini e del-le sue Poe-sie.

considerare come il più contagioso corrom-pitor del buon gusto in Italia; e di cui per-ciò dobbiamo or farci a parlare. Giambatti-sta Baiacca comasco ne ha scritta la Vita,stampata lo stesso anno 1625 in cui il Ma-

rini morì e poscia ristampata più altre volte, e di lui in-noltre favellano tanti altri scrittori, che non ci è d'uopodi gran fatica a raccoglierne le notizie. Ei fu di patria na-poletano, ed ivi nacque nel 1569 da padre di professionegiureconsulto, il quale perciò avrebbe voluto che il fi-glio battesse la carriera medesima. E forse sarebbe statospediente all'italiana poesia che così fosse accaduto. Mail Marini fu uno de' molti che volsero dispettosamente lespalle alla giurisprudenza, per seguire le Muse. Sdegna-to il padre, cacciossel di casa, negandogli perfino ilpane. Il duca di Bovino, e poscia il principe di Conca,che ne ammiravano il raro talento, gli dieder ricovero,finchè un delitto giovanile da lui commesso il fece im-prigionare, e poichè ebbe riavuta la libertà, lo persuaseper timore di peggio a lasciare il Regno, e a trasportarsia Roma, ove prima presso Melchiorre Crescenzi, indipresso il card. Pietro Aldobrandini visse alcuni anni, ecol secondo fu ancora a Ravenna e a Torino. In questacittà rendettesi celebre il Marini non solo pel suo talen-to, ma ancora per le ostinate e più che letterarie conteseche vi sostenne. La prima fu quasi una battaglia da giuo-co in confronto delle altre, e nacque all'occasion di unsonetto dal Marini composto in lode di un poemetto diRafaello Rabbia sopra s. Maria egiziaca, in cui egli pre-

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Notizie di GiambattistaMarini e del-le sue Poe-sie.

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se un solenne granchio confondendo il leone da Ercoleucciso coll'Idra lernea; oggetto, a dir vero, di troppo lie-ve momento, perchè si dovesser per esso pubblicar tantilibri, quanti allora ne uscirono, altri contro, altri a favordel Marini, il cui principal difensore fu il co. LodovicoTesauro da noi nominato nella Storia del secolo prece-dente. La serie de' libri in tal occasion pubblicati si puòvedere presso il Crescimbeni (Stor. della volg. poes. p.354 ed. rom. 1698) e presso il Quadrio (Stor. della Poe-sia t. 2, p. 283). Assai più aspra fu la contesa ch'egliebbe in Torino con Gasparo Murtola genovese, segreta-rio del duca Carlo Emanuele. Il Marini recatosi, come siè detto, a Torino col card. Aldobrandini, ottenne tal gra-zia presso quel principe, singolarmente col Panegirico inonor di esso da lui composto, che questi lo ascrisseall'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro, e fermollo allasua corte collo stesso carattere di segretario. Il Murtolache credeva di non aver pari nel poetare, e che allorastava per pubblicare il suo poema del Mondo creato, cheinfatti uscì alla luce in Venezia nel 1608, non potè vedercon buon occhio il favor del Marini. Quindi motti satiri-ci e poscia sonetti dell'uno contro dell'altro, e la Murto-leide e la Marineide, e altri infami libelli dati alle stam-pe, con cui questi due poeti si vennero arrabbiatamentemordendo per lungo tempo nel 1608 e nel 1609, libelline' qual non solo la carità cristiana, ma l'onestà ancora ela decenza vedesi del tutto dimenticata. Alcuni autore-voli personaggi ottennero colla lor mediazione che ces-sassero sì indegne contese. Ma il Murtola, a cui parve di

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se un solenne granchio confondendo il leone da Ercoleucciso coll'Idra lernea; oggetto, a dir vero, di troppo lie-ve momento, perchè si dovesser per esso pubblicar tantilibri, quanti allora ne uscirono, altri contro, altri a favordel Marini, il cui principal difensore fu il co. LodovicoTesauro da noi nominato nella Storia del secolo prece-dente. La serie de' libri in tal occasion pubblicati si puòvedere presso il Crescimbeni (Stor. della volg. poes. p.354 ed. rom. 1698) e presso il Quadrio (Stor. della Poe-sia t. 2, p. 283). Assai più aspra fu la contesa ch'egliebbe in Torino con Gasparo Murtola genovese, segreta-rio del duca Carlo Emanuele. Il Marini recatosi, come siè detto, a Torino col card. Aldobrandini, ottenne tal gra-zia presso quel principe, singolarmente col Panegirico inonor di esso da lui composto, che questi lo ascrisseall'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro, e fermollo allasua corte collo stesso carattere di segretario. Il Murtolache credeva di non aver pari nel poetare, e che allorastava per pubblicare il suo poema del Mondo creato, cheinfatti uscì alla luce in Venezia nel 1608, non potè vedercon buon occhio il favor del Marini. Quindi motti satiri-ci e poscia sonetti dell'uno contro dell'altro, e la Murto-leide e la Marineide, e altri infami libelli dati alle stam-pe, con cui questi due poeti si vennero arrabbiatamentemordendo per lungo tempo nel 1608 e nel 1609, libelline' qual non solo la carità cristiana, ma l'onestà ancora ela decenza vedesi del tutto dimenticata. Alcuni autore-voli personaggi ottennero colla lor mediazione che ces-sassero sì indegne contese. Ma il Murtola, a cui parve di

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non esser sicuro finchè il suo rivale vivesse, attesolo ungiorno a Torino, gli scaricò contro un'archibugiata. Essainvece del Marini colpì un favorito del duca, che stava-gli al fianco, e il Murtola fatto prigione, era già condan-nato a morte, e s'ei ne campò, ne fu debitore al suo riva-le medesimo, che con atto assai generoso gli ottenne lagrazia del duca; ma parve che il Murtola si sdegnasse didover la vita al Marini; perciocchè è troppo probabileche o a lui, o a' protettori di esso si dovesse la calunniacon cui egli fu al duca accusato di avere sparlato di luiin un suo giovanile poema intitolato la Cuccagna. Tantopoteron le voci degli emuli del Marini nell'animo di quelper altro sì saggio principe, che il fece chiudere in car-cere, e vel tenne, finchè la testimonianza inviatagli dalmarch Maso, che il Marini fin da quando era in Napoli,e ancor non conosceva il duca, composto avea quel poe-ma, e l'intercessione di ragguardevoli personaggi, nonl'indussero a rendergli la libertà. Passò allora il Mariniin Francia nel 1615, ove la reina Margherita avealo pre-murosamente invitato. Trovò morta la sua protettrice,ma un'altra n'ebbe nella reina Maria, da cui ebbeun'annua pensione di 1500 scudi, cresciuta poi fino aduemila. In Francia ei pubblicò il suo troppo celebreAdone, che fu ivi stampato la prima volta nel 1623, eche diede occasione a una altra contesa più lunga ancorae più ostinata che le altre finor mentovate.

V. Tommaso Stigliani natio di Matera nella Basilicata,

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non esser sicuro finchè il suo rivale vivesse, attesolo ungiorno a Torino, gli scaricò contro un'archibugiata. Essainvece del Marini colpì un favorito del duca, che stava-gli al fianco, e il Murtola fatto prigione, era già condan-nato a morte, e s'ei ne campò, ne fu debitore al suo riva-le medesimo, che con atto assai generoso gli ottenne lagrazia del duca; ma parve che il Murtola si sdegnasse didover la vita al Marini; perciocchè è troppo probabileche o a lui, o a' protettori di esso si dovesse la calunniacon cui egli fu al duca accusato di avere sparlato di luiin un suo giovanile poema intitolato la Cuccagna. Tantopoteron le voci degli emuli del Marini nell'animo di quelper altro sì saggio principe, che il fece chiudere in car-cere, e vel tenne, finchè la testimonianza inviatagli dalmarch Maso, che il Marini fin da quando era in Napoli,e ancor non conosceva il duca, composto avea quel poe-ma, e l'intercessione di ragguardevoli personaggi, nonl'indussero a rendergli la libertà. Passò allora il Mariniin Francia nel 1615, ove la reina Margherita avealo pre-murosamente invitato. Trovò morta la sua protettrice,ma un'altra n'ebbe nella reina Maria, da cui ebbeun'annua pensione di 1500 scudi, cresciuta poi fino aduemila. In Francia ei pubblicò il suo troppo celebreAdone, che fu ivi stampato la prima volta nel 1623, eche diede occasione a una altra contesa più lunga ancorae più ostinata che le altre finor mentovate.

V. Tommaso Stigliani natio di Matera nella Basilicata,

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nel 1603 era passato al servigio delduca di Parma, come io raccolgo da duelettere inedite, una da lui in quell'annoscritta a Ferrante II Gonzaga duca di

Guastalla, e l'altra a lui inviata in risposta dal duca stes-so. Fu poscia in corte del card. Scipione Borghesi e diGiannantonio Orsini duca di Bracciano, presso il qualemorì dopo il 1625, in età di 80 anni (Crescimbeni l. c. p.153, ec.). Or questi avea nel 1601 pubblicate a Veneziaalcune sue rime, che paren conformi al buon gusto. Mal'applauso ch'ei vide farsi alle Poesie del Marini, lo in-vogliò d'imitarne lo stile, e gli accese in seno un'ardentebrama di superarne la gloria. Nel 1617 ei diede in lucela prima parte del suo poema eroico intitolato Mondonuovo, che or non si legge da alcuno; e descrivendo inesso quel pesce che dicesi uom marino, si fece a descri-vere e a mettere in burla lo stesso Marini. Questi, dopoaver avuto a suo rivale il Murtola, non era uomo che po-tesse temer lo Stigliani. Gli rispose adunque con alcunipungenti sonetti intitolati Le Smorfie, e in alcune sue let-tere ancora il malmenò per modo, che lo Stigliani im-pauritone, gli scrisse a Parigi nel 1619, assicurandoloche in quelle stanze non avea mai avuta intenzione diprenderlo di mira. Vi ha chi dubita che questa letterafosse dallo Stigliani finta solo, poichè il Marini fu mor-to. E certo questi non tralasciò mai di mordere lo Sti-gliani, perciocchè nel canto IX del suo Adone inserì al-cune stanze, in cui quegli veniva beffato e deriso sottol'allegoria di un gufo. Lo Stigliani non ebbe coraggio di

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Di Tommaso Sti-gliani: sue conte-se col Marini.

nel 1603 era passato al servigio delduca di Parma, come io raccolgo da duelettere inedite, una da lui in quell'annoscritta a Ferrante II Gonzaga duca di

Guastalla, e l'altra a lui inviata in risposta dal duca stes-so. Fu poscia in corte del card. Scipione Borghesi e diGiannantonio Orsini duca di Bracciano, presso il qualemorì dopo il 1625, in età di 80 anni (Crescimbeni l. c. p.153, ec.). Or questi avea nel 1601 pubblicate a Veneziaalcune sue rime, che paren conformi al buon gusto. Mal'applauso ch'ei vide farsi alle Poesie del Marini, lo in-vogliò d'imitarne lo stile, e gli accese in seno un'ardentebrama di superarne la gloria. Nel 1617 ei diede in lucela prima parte del suo poema eroico intitolato Mondonuovo, che or non si legge da alcuno; e descrivendo inesso quel pesce che dicesi uom marino, si fece a descri-vere e a mettere in burla lo stesso Marini. Questi, dopoaver avuto a suo rivale il Murtola, non era uomo che po-tesse temer lo Stigliani. Gli rispose adunque con alcunipungenti sonetti intitolati Le Smorfie, e in alcune sue let-tere ancora il malmenò per modo, che lo Stigliani im-pauritone, gli scrisse a Parigi nel 1619, assicurandoloche in quelle stanze non avea mai avuta intenzione diprenderlo di mira. Vi ha chi dubita che questa letterafosse dallo Stigliani finta solo, poichè il Marini fu mor-to. E certo questi non tralasciò mai di mordere lo Sti-gliani, perciocchè nel canto IX del suo Adone inserì al-cune stanze, in cui quegli veniva beffato e deriso sottol'allegoria di un gufo. Lo Stigliani non ebbe coraggio di

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Di Tommaso Sti-gliani: sue conte-se col Marini.

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assaltar di nuovo il Marini; ma scrisse la criticadell'Adone, a cui diè il titolo di Occhiale; e quando ilsuo avversario, morto nel 1625, non potea più risponde-re, ne pubblicò il quarto libro, sopprimendo i tre primiche forse non avea mai composti. L'Occhiale fu come ilsegno di una generale battaglia che si accese control'infelice Stigliani, il quale fu da ogni parte assalito. Gi-rolamo Aleandro, Niccola Villani, Scipione Errico,Agostino Lampugnani, Giovanni Capponi, Andrea Bar-bazza, il p. Angelico Aprosio ed altri, tutti si volserocontro quel misero occhiale, e contro il fabbricator diesso, il quale però non perdendosi d'animo, si apparec-chiava a rispondere. Ma egli non ebbe o coraggio peruscire in campo colla risposta, o tempo per terminarla. Ilgrande impegno di tanti nel difender l'Adone, è pruovadel gusto che allor dominava in Italia. Perciocchè, co-munque in esso si leggano tratti degni di gran poeta, ècerto però, che non solo per l'oscenità, di cui l'autor l'hamacchiato, e di cui il card. Bentivoglio avealo calda-mente pregato a purgarlo, prima che il pubblicasse(Mem. e Lett. del card. Bentiv. p. 243 ed. ven. 1668), maanche pel tronfio stile e per le strane metafore con cui èscritto, non era degno d'esser sì caldamente difeso. Frat-tanto il Marini invitato dal card. Ludovisio nipote diGregorio XV, era tornato in Italia sulla fine del 1622, ebenchè molti in Roma volessero aver l'onor di alloggiar-lo, egli antipose a tutti il fratello del suo antico benefat-tore, cioè Crescenzio Crescenzi. Fu ivi eletto principedell'Accademia degli Umoristi. Ma poco appresso, mor-

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assaltar di nuovo il Marini; ma scrisse la criticadell'Adone, a cui diè il titolo di Occhiale; e quando ilsuo avversario, morto nel 1625, non potea più risponde-re, ne pubblicò il quarto libro, sopprimendo i tre primiche forse non avea mai composti. L'Occhiale fu come ilsegno di una generale battaglia che si accese control'infelice Stigliani, il quale fu da ogni parte assalito. Gi-rolamo Aleandro, Niccola Villani, Scipione Errico,Agostino Lampugnani, Giovanni Capponi, Andrea Bar-bazza, il p. Angelico Aprosio ed altri, tutti si volserocontro quel misero occhiale, e contro il fabbricator diesso, il quale però non perdendosi d'animo, si apparec-chiava a rispondere. Ma egli non ebbe o coraggio peruscire in campo colla risposta, o tempo per terminarla. Ilgrande impegno di tanti nel difender l'Adone, è pruovadel gusto che allor dominava in Italia. Perciocchè, co-munque in esso si leggano tratti degni di gran poeta, ècerto però, che non solo per l'oscenità, di cui l'autor l'hamacchiato, e di cui il card. Bentivoglio avealo calda-mente pregato a purgarlo, prima che il pubblicasse(Mem. e Lett. del card. Bentiv. p. 243 ed. ven. 1668), maanche pel tronfio stile e per le strane metafore con cui èscritto, non era degno d'esser sì caldamente difeso. Frat-tanto il Marini invitato dal card. Ludovisio nipote diGregorio XV, era tornato in Italia sulla fine del 1622, ebenchè molti in Roma volessero aver l'onor di alloggiar-lo, egli antipose a tutti il fratello del suo antico benefat-tore, cioè Crescenzio Crescenzi. Fu ivi eletto principedell'Accademia degli Umoristi. Ma poco appresso, mor-

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to il detto pontefice, ed eletto a succedergli Urbano VIII,fece ritorno a Napoli, ove fu amorevolmente accolto dalvicerè duca d'Alba. Pensava ei nondimeno di ritornare aRoma, ov'era istantemente richiesto, quando sorpreso damortal malattia, in età di 56 anni, venne a morte a' 25 dimarzo del 1625. Quando si vide vicino al fin de' suoigiorni, pianse e detestò le oscenità delle quali avea im-brattate le sue Poesie, e pregò che si usasse ogni possi-bile diligenza affin di sopprimerle. Ma il gusto del seco-lo e il plauso con cui da alcuni si accoglie tutto ciò che èfavorevole al libertinaggio, aveale già troppo moltiplica-te, perchè ei potesse ottenere ciò che bramava. Io nonfarò il catalogo delle Poesie del Marini, nè mi tratterrò aformarne il carattere. Inutile sarebbe il primo, che giàtrovasi presso molti scrittori, nè è molto glorioso all'Ita-lia il serbarne memoria. Il secondo è noto abbastanza achi ha buon gusto nell'italiana poesia, e tutti ormai con-fessano concordemente che pochi ebbero sì felice dispo-sizione dalla natura ad esser poeta, e più pochi tantoabusarono di questa felice disposizione quanto il Marini,che volendo levarsi in alto assai più che non avesser maifatto gli altri poeti, rinnovò i voli d'Icaro, e per farsi piùgrande, divenne mostruoso. E l'esempio di lui fu anchepiù dannoso all'Italia, perchè quasi tutti i poeti il volleroimitare; e non avendo l'ingegno e la fantasia di cui egliera dotato, ne ritrassero tutti i difetti, senza ritrarne que'pregi che in qualche modo rendon minori.

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to il detto pontefice, ed eletto a succedergli Urbano VIII,fece ritorno a Napoli, ove fu amorevolmente accolto dalvicerè duca d'Alba. Pensava ei nondimeno di ritornare aRoma, ov'era istantemente richiesto, quando sorpreso damortal malattia, in età di 56 anni, venne a morte a' 25 dimarzo del 1625. Quando si vide vicino al fin de' suoigiorni, pianse e detestò le oscenità delle quali avea im-brattate le sue Poesie, e pregò che si usasse ogni possi-bile diligenza affin di sopprimerle. Ma il gusto del seco-lo e il plauso con cui da alcuni si accoglie tutto ciò che èfavorevole al libertinaggio, aveale già troppo moltiplica-te, perchè ei potesse ottenere ciò che bramava. Io nonfarò il catalogo delle Poesie del Marini, nè mi tratterrò aformarne il carattere. Inutile sarebbe il primo, che giàtrovasi presso molti scrittori, nè è molto glorioso all'Ita-lia il serbarne memoria. Il secondo è noto abbastanza achi ha buon gusto nell'italiana poesia, e tutti ormai con-fessano concordemente che pochi ebbero sì felice dispo-sizione dalla natura ad esser poeta, e più pochi tantoabusarono di questa felice disposizione quanto il Marini,che volendo levarsi in alto assai più che non avesser maifatto gli altri poeti, rinnovò i voli d'Icaro, e per farsi piùgrande, divenne mostruoso. E l'esempio di lui fu anchepiù dannoso all'Italia, perchè quasi tutti i poeti il volleroimitare; e non avendo l'ingegno e la fantasia di cui egliera dotato, ne ritrassero tutti i difetti, senza ritrarne que'pregi che in qualche modo rendon minori.

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VI. Ma io non posso dissimulare a questoluogo la ridicola riflessione di un recentescrittor francese che, volendo giudicare ge-neralmente della poesia italiana, crede di

dovere prendere esempio dal Marini: "Per avere unagiusta idea, dic'egli (Melanges de m. Michault, Paris1770, t. 1, p. 214, ec.), dell'arditezza de' poeti italiani,basta leggere una traduzione letterale del quarto Idilliodella Sampogna del cav. Marini, intitolato Europa. Il de-lirio che in esso regna, si rende, è vero, più ridicolo nel-la nostra lingua; ma esso è almeno un saggio della poe-sia italiana, da cui si può conoscere il genio di questanazione. Qual entusiasmo, qual focosa immaginazione,qual affettazione avranno i loro grandi poemi, se l'Idilliofra essi può ammettere stravaganze sì grandi?". Quindiprima di darci la traduzione in prosa francese di questoIdillio, aggiugne in una nota che gl'Italiani non osano didifendere il Marini riguardo a' concetti, ma che preten-dono che il cattivo gusto di questo poeta è un frutto delsoggiorno che ei fece in Francia, quando le arguzie vierano in favore. Ma coloro, ecco l'irrevocabil sentenzadel nostro Minosse, che conoscono il genio e le operepoetiche degl'Italiani, troveranno ben ridicola la lorpretensione. Per vero dire se m. Michault avvocato usanel trattare le cause lo stesso metodo che nell'accusarepoeti italiani, io compiango la sorte de' suoi clienti.Dunque perchè il Marini è un pazzo, tutti i poeti italiani

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Decisione ridicola di Francese sulla poesiaitaliana.

VI. Ma io non posso dissimulare a questoluogo la ridicola riflessione di un recentescrittor francese che, volendo giudicare ge-neralmente della poesia italiana, crede di

dovere prendere esempio dal Marini: "Per avere unagiusta idea, dic'egli (Melanges de m. Michault, Paris1770, t. 1, p. 214, ec.), dell'arditezza de' poeti italiani,basta leggere una traduzione letterale del quarto Idilliodella Sampogna del cav. Marini, intitolato Europa. Il de-lirio che in esso regna, si rende, è vero, più ridicolo nel-la nostra lingua; ma esso è almeno un saggio della poe-sia italiana, da cui si può conoscere il genio di questanazione. Qual entusiasmo, qual focosa immaginazione,qual affettazione avranno i loro grandi poemi, se l'Idilliofra essi può ammettere stravaganze sì grandi?". Quindiprima di darci la traduzione in prosa francese di questoIdillio, aggiugne in una nota che gl'Italiani non osano didifendere il Marini riguardo a' concetti, ma che preten-dono che il cattivo gusto di questo poeta è un frutto delsoggiorno che ei fece in Francia, quando le arguzie vierano in favore. Ma coloro, ecco l'irrevocabil sentenzadel nostro Minosse, che conoscono il genio e le operepoetiche degl'Italiani, troveranno ben ridicola la lorpretensione. Per vero dire se m. Michault avvocato usanel trattare le cause lo stesso metodo che nell'accusarepoeti italiani, io compiango la sorte de' suoi clienti.Dunque perchè il Marini è un pazzo, tutti i poeti italiani

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Decisione ridicola di Francese sulla poesiaitaliana.

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son pazzi? Che direbbe egli di grazia, se io prendessi inmano il poema intitolato La Semaine, ou les sept Joursde la Creation di Guglielmo du Bartas francese, mortoin età giovanile nel 1590, in cui il sole vien detto il ducadelle candele, il vento il postiglione d'Eolo, il tuono iltamburo degl'Iddii (V. Les Trois Siecles de la Litterat.franc. t. 1, p. 96), e dicessi: Ecco il genio della poesiafrancese; ecco lo studio di cui i lor poeti si piacciono:non avrei io le fischiate non sol da' Francesi, ma anchedagl'Italiani? E io potrei aggiugnere nondimeno chequesto poema fu tanto applaudito in Francia, che in seianni se ne fecero trenta edizioni (ib.), cosa non certo ac-caduta al Marini. Ma che genere d'argomento sarebbequesto? Du Bartas ha usate le più strane metafore: duBartas ha avuto sì gran numero di edizioni. Dunque co-teste metafore son proprie del genio e della lingua fran-cese. E questo argomento che sarebbe sì ridicolo riguar-do alla Francia potrà avere altra forza riguardo all'Italiase non dimostrare che chi ha voluto farsene bello, avreb-be meglio provveduto al suo onore tacendolo? Ma forsem. Michault è degno di scusa. Fors'egli non sa (nè egli èobbligato a sapere tanto) che l'Italia prima del Mariniavea avuto un Bembo, un Ariosto, un Casa, un Sannaz-zaro, un Moiza, un Alamanni, un Tasso, un Costanzo,mentre la Francia avea un Ronsard, un Marot, un duBartas, e che dopo il Marini ha avuto un Redi, un Mar-chetti, un Magalotti, un Guidi, un Menzini, un Filicaia,un Manfredi, un Zanotti, un Frugoni, per tacer de' viven-ti. Fors'egli ha creduto che noi non avessimo altri poeti

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son pazzi? Che direbbe egli di grazia, se io prendessi inmano il poema intitolato La Semaine, ou les sept Joursde la Creation di Guglielmo du Bartas francese, mortoin età giovanile nel 1590, in cui il sole vien detto il ducadelle candele, il vento il postiglione d'Eolo, il tuono iltamburo degl'Iddii (V. Les Trois Siecles de la Litterat.franc. t. 1, p. 96), e dicessi: Ecco il genio della poesiafrancese; ecco lo studio di cui i lor poeti si piacciono:non avrei io le fischiate non sol da' Francesi, ma anchedagl'Italiani? E io potrei aggiugnere nondimeno chequesto poema fu tanto applaudito in Francia, che in seianni se ne fecero trenta edizioni (ib.), cosa non certo ac-caduta al Marini. Ma che genere d'argomento sarebbequesto? Du Bartas ha usate le più strane metafore: duBartas ha avuto sì gran numero di edizioni. Dunque co-teste metafore son proprie del genio e della lingua fran-cese. E questo argomento che sarebbe sì ridicolo riguar-do alla Francia potrà avere altra forza riguardo all'Italiase non dimostrare che chi ha voluto farsene bello, avreb-be meglio provveduto al suo onore tacendolo? Ma forsem. Michault è degno di scusa. Fors'egli non sa (nè egli èobbligato a sapere tanto) che l'Italia prima del Mariniavea avuto un Bembo, un Ariosto, un Casa, un Sannaz-zaro, un Moiza, un Alamanni, un Tasso, un Costanzo,mentre la Francia avea un Ronsard, un Marot, un duBartas, e che dopo il Marini ha avuto un Redi, un Mar-chetti, un Magalotti, un Guidi, un Menzini, un Filicaia,un Manfredi, un Zanotti, un Frugoni, per tacer de' viven-ti. Fors'egli ha creduto che noi non avessimo altri poeti

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fuorchè il Marini, o che tutti gli altri poeti fosser somi-glianti al Marini. E s'egli ha creduto così, poteva egliscriver altrimente? Quanto poi all'effetto che il soggior-no in Francia produsse in questo poeta, io non dirò cheapprendesse il Marini il vizioso suo stile, perciocchèegli l'avea formato prima di andarvi; ma dirò solo che lepensioni e gli onori che ivi ottenne non solo egli, ma an-cor l'Achillini, come tra poco vedremo, ci pruovanochiaramente che le metafore e i concetti non erano menpregiati in Francia che in Italia. Ma basti così di questanon inutile digressione, e torniamo alla Storia.

VII. Si rendevano nello stesso tempo in Ita-lia onori ed applausi al Chiabrera, si rende-vano onori ed applausi al Marini. E ciò nonostante pochi seguaci ebbe il primo, moltin'ebbe il secondo. Io penso che ciò avvenis-

se per la stessa ragione, per cui più facil riesce a un pit-tore il ritrarre una ridicola caricatura, che una esatta eproporzionata bellezza. A imitare il Chiabrera richiede-vasi vivo ingegno, fervida fantasia, ampia erudizione,forza di sentimenti, maestà d'espressione, sceltezza divoci. A imitare in qualche modo il Marini bastava ab-bandonare le redini alla fantasia, e senza studiar la natu-ra, lasciarsi trasportare dalla immaginazione, ovunqueella sconsigliatamente guidasse. La turba ignorante, ch'èsempre il maggior numero, tanto più leva alte le voci diapplauso, quanto è più gigantesco l'oggetto che le vien

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Notizie di Claudio Achillini e di Girola-mo Preti.

fuorchè il Marini, o che tutti gli altri poeti fosser somi-glianti al Marini. E s'egli ha creduto così, poteva egliscriver altrimente? Quanto poi all'effetto che il soggior-no in Francia produsse in questo poeta, io non dirò cheapprendesse il Marini il vizioso suo stile, perciocchèegli l'avea formato prima di andarvi; ma dirò solo che lepensioni e gli onori che ivi ottenne non solo egli, ma an-cor l'Achillini, come tra poco vedremo, ci pruovanochiaramente che le metafore e i concetti non erano menpregiati in Francia che in Italia. Ma basti così di questanon inutile digressione, e torniamo alla Storia.

VII. Si rendevano nello stesso tempo in Ita-lia onori ed applausi al Chiabrera, si rende-vano onori ed applausi al Marini. E ciò nonostante pochi seguaci ebbe il primo, moltin'ebbe il secondo. Io penso che ciò avvenis-

se per la stessa ragione, per cui più facil riesce a un pit-tore il ritrarre una ridicola caricatura, che una esatta eproporzionata bellezza. A imitare il Chiabrera richiede-vasi vivo ingegno, fervida fantasia, ampia erudizione,forza di sentimenti, maestà d'espressione, sceltezza divoci. A imitare in qualche modo il Marini bastava ab-bandonare le redini alla fantasia, e senza studiar la natu-ra, lasciarsi trasportare dalla immaginazione, ovunqueella sconsigliatamente guidasse. La turba ignorante, ch'èsempre il maggior numero, tanto più leva alte le voci diapplauso, quanto è più gigantesco l'oggetto che le vien

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Notizie di Claudio Achillini e di Girola-mo Preti.

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posto innanzi; nè molto si cura che vi manchi ogni vero-simiglianza e ogni esatta proporzione. Ecco per qual ra-gione s'io non m'inganno, tanti si lasciaron sedurre dallostil marinesco, sì pochi presero a imitare il Chiabrera.Ma fra coloro che il seguirono più d'appresso, e quasigareggiaron con lui nel farsi capi di nuova scuola, didue soli che furono allor rinomati singolarmente, io diròqui in breve, di Claudio Achillini e di Girolamo Preti 39.Amendue bolognesi di patria, amendue furon giurecon-sulti, e il primo per lungo tempo, anzi per quasi tutta lavita, tenne scuola di questa scienza in Bologna, in Ferra-ra, in Parma, nella qual ultima città giunse ad avere1500 scudi d'annuo stipendio, e in ogni luogo ebbe con-corso affollatissimo di scolari. Fu caro al card. Alessan-dro Ludovisi, e il seguì con carattere d'auditore in Pie-monte, e poichè quegli fu eletto pontefice nel 1621 colnome di Gregorio XV, volò a Roma sperandone grandicose. Ma le sue speranza venner deluse, ed egli tornos-sene colle mani vuote a Bologna. Miglior fortuna trovòegli alla corte di Francia. Perciocchè avendo mandato alcard. di Richelieu, non già, come scrivono alcuni, il fa-moso sonetto che incomincia: Sudate, o fuochi, a prepa-rar metalli, ma una canzone sulla nascita del delfino,come pruova il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1,p. 104, ec.) che un esatto articolo ci ha dato intorno aquesto poeta, quel cardinale gl'inviò in dono una collana

39 Notizie ancora più esatte della vita delle opere dell'Achillini e del Preti, ciha poi date il sig. co. Giovanni Fantuzzi ne' suoi Scrittori bolognesi.

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posto innanzi; nè molto si cura che vi manchi ogni vero-simiglianza e ogni esatta proporzione. Ecco per qual ra-gione s'io non m'inganno, tanti si lasciaron sedurre dallostil marinesco, sì pochi presero a imitare il Chiabrera.Ma fra coloro che il seguirono più d'appresso, e quasigareggiaron con lui nel farsi capi di nuova scuola, didue soli che furono allor rinomati singolarmente, io diròqui in breve, di Claudio Achillini e di Girolamo Preti 39.Amendue bolognesi di patria, amendue furon giurecon-sulti, e il primo per lungo tempo, anzi per quasi tutta lavita, tenne scuola di questa scienza in Bologna, in Ferra-ra, in Parma, nella qual ultima città giunse ad avere1500 scudi d'annuo stipendio, e in ogni luogo ebbe con-corso affollatissimo di scolari. Fu caro al card. Alessan-dro Ludovisi, e il seguì con carattere d'auditore in Pie-monte, e poichè quegli fu eletto pontefice nel 1621 colnome di Gregorio XV, volò a Roma sperandone grandicose. Ma le sue speranza venner deluse, ed egli tornos-sene colle mani vuote a Bologna. Miglior fortuna trovòegli alla corte di Francia. Perciocchè avendo mandato alcard. di Richelieu, non già, come scrivono alcuni, il fa-moso sonetto che incomincia: Sudate, o fuochi, a prepa-rar metalli, ma una canzone sulla nascita del delfino,come pruova il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1,p. 104, ec.) che un esatto articolo ci ha dato intorno aquesto poeta, quel cardinale gl'inviò in dono una collana

39 Notizie ancora più esatte della vita delle opere dell'Achillini e del Preti, ciha poi date il sig. co. Giovanni Fantuzzi ne' suoi Scrittori bolognesi.

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d'oro del valor, come dicesi, di mille scudi 40. Gli ultimianni della sua vita passò l'Achillini in una sua villa dettail Sasso, e ivi in età di 66 anni finì di vivere al 1 di otto-bre del 1640. Le lodi con cui il veggiamo onorato daquasi tutti gli scrittori di que' tempi, son pruova del gu-sto che allor regnava; e mi spiace di vedere tra gli am-miratori dell'Achillini anche il card. Bentivoglio, che ilfu ancor del Marini. Ma gli elogi allor ricevuti son bencompensati dall'abbandono in cui or se ne giacciono leopere. Di queste ci dà il catalogo il suddetto scrittore, equasi tutte appartengono alla poesia italiana, niuna ven'ha in cui tratti della giurisprudenza, per cui anche fuapplauditissimo. Girolamo Preti, di cui abbiamo l'elogionelle Memorie de' Gelati (p. 193), e in quelle degl'Inco-gniti (p. 227), figliuol di Alessandro cavaliere di s. Ste-fano, fu, ancor fanciullo, inviato paggio a Ferrara nellacorte del duca Alfonso II, e coltivò singolarmente lo stu-dio della giurisprudenza. Fu poscia in Genova presso ilprincipe Doria, di cui suo padre era cavallerizzo, tornatoindi a Bologna, e annoiatosi presto del severo studiodelle leggi, tutto si diè alla volgar poesia e all'imitazionedel Marini e dell'Achillini. Fu per qualche tempo in cor-

40 Poco esatto è stato il sig. ab. Arteaga nel ragionar di questo fatto, percioc-chè, parlando di Luigi XIV, dice: la munificenza di un Sovrano, che paga-va in quattordici mila scudi un pessimo Sonetto di Claudio Achillini (Ri-voluz. del teatro music. ital. t. 2, p. 16). Non fu Luigi XIV ma il card. diRichelieu a nome di Luigi XIII, che premiò l'Achillini. Non fu un sonetto,ma la canzone da me qui accennata, che gli ottenne quel premio. E il pre-mio non fu del valore di quattordicimila, ma solo, dicesi comunemente, dimille scudi.

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d'oro del valor, come dicesi, di mille scudi 40. Gli ultimianni della sua vita passò l'Achillini in una sua villa dettail Sasso, e ivi in età di 66 anni finì di vivere al 1 di otto-bre del 1640. Le lodi con cui il veggiamo onorato daquasi tutti gli scrittori di que' tempi, son pruova del gu-sto che allor regnava; e mi spiace di vedere tra gli am-miratori dell'Achillini anche il card. Bentivoglio, che ilfu ancor del Marini. Ma gli elogi allor ricevuti son bencompensati dall'abbandono in cui or se ne giacciono leopere. Di queste ci dà il catalogo il suddetto scrittore, equasi tutte appartengono alla poesia italiana, niuna ven'ha in cui tratti della giurisprudenza, per cui anche fuapplauditissimo. Girolamo Preti, di cui abbiamo l'elogionelle Memorie de' Gelati (p. 193), e in quelle degl'Inco-gniti (p. 227), figliuol di Alessandro cavaliere di s. Ste-fano, fu, ancor fanciullo, inviato paggio a Ferrara nellacorte del duca Alfonso II, e coltivò singolarmente lo stu-dio della giurisprudenza. Fu poscia in Genova presso ilprincipe Doria, di cui suo padre era cavallerizzo, tornatoindi a Bologna, e annoiatosi presto del severo studiodelle leggi, tutto si diè alla volgar poesia e all'imitazionedel Marini e dell'Achillini. Fu per qualche tempo in cor-

40 Poco esatto è stato il sig. ab. Arteaga nel ragionar di questo fatto, percioc-chè, parlando di Luigi XIV, dice: la munificenza di un Sovrano, che paga-va in quattordici mila scudi un pessimo Sonetto di Claudio Achillini (Ri-voluz. del teatro music. ital. t. 2, p. 16). Non fu Luigi XIV ma il card. diRichelieu a nome di Luigi XIII, che premiò l'Achillini. Non fu un sonetto,ma la canzone da me qui accennata, che gli ottenne quel premio. E il pre-mio non fu del valore di quattordicimila, ma solo, dicesi comunemente, dimille scudi.

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te del card. Pio Emanuele di Savoia, e passò poscia aquella del card. Francesco Barberini, con cui mentreviaggia per mare in Ispagna, sorpreso da febbre, in etàancor fresca, morì in Barcellona a' 6 di aprile del 1626.Non molte sono le Poesie che se ne hanno alle stampe,perchè non molti furon gli anni ch'ei visse. Ma nullaavrebbe perduto la poesia italiana, se niuna ne fosse finoa noi giunta, così son esse scipite, e piene solo di quellemetafore e que' ghiribizzi che allora si rimiravano comeportenti d'ingegno.

VIII. Benchè la maggior parte degl'italianipoeti andasse follemente perduta dietro lostil del Marini e de' suoi ampollosi seguaci,alcuni nondimeno possiamo indicarne chetenendosi sul buon sentiero, non vollero tra-

viarne, e se non ebber coraggio di opporsi all'uso e allostile comune, il seguiron però assai più parcamente, e sisforzarono di compensare con nuovi pregi quegli stessidifetti ne' quali quasi lor malgrado cadevano. Fra essi èdegno di distinta menzione il co. Fulvio Testi, celebrenon men per gli onori a cui giunse, che per le sventuredalle quali essi furon seguiti. Io non mi tratterò qui aesporre le diverse vicende, delle quali io dovrei dare oun troppo inesatto compendio, o una troppo ampia rela-zione, trattandosi di un uomo che quanto più meritad'essere conosciuto, tanto più sembra che la memoria nesia stata finora dimenticata e negletta. Nella biblioteca

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S'indicano altri poeti migliori: Fulvio Te-sti.

te del card. Pio Emanuele di Savoia, e passò poscia aquella del card. Francesco Barberini, con cui mentreviaggia per mare in Ispagna, sorpreso da febbre, in etàancor fresca, morì in Barcellona a' 6 di aprile del 1626.Non molte sono le Poesie che se ne hanno alle stampe,perchè non molti furon gli anni ch'ei visse. Ma nullaavrebbe perduto la poesia italiana, se niuna ne fosse finoa noi giunta, così son esse scipite, e piene solo di quellemetafore e que' ghiribizzi che allora si rimiravano comeportenti d'ingegno.

VIII. Benchè la maggior parte degl'italianipoeti andasse follemente perduta dietro lostil del Marini e de' suoi ampollosi seguaci,alcuni nondimeno possiamo indicarne chetenendosi sul buon sentiero, non vollero tra-

viarne, e se non ebber coraggio di opporsi all'uso e allostile comune, il seguiron però assai più parcamente, e sisforzarono di compensare con nuovi pregi quegli stessidifetti ne' quali quasi lor malgrado cadevano. Fra essi èdegno di distinta menzione il co. Fulvio Testi, celebrenon men per gli onori a cui giunse, che per le sventuredalle quali essi furon seguiti. Io non mi tratterò qui aesporre le diverse vicende, delle quali io dovrei dare oun troppo inesatto compendio, o una troppo ampia rela-zione, trattandosi di un uomo che quanto più meritad'essere conosciuto, tanto più sembra che la memoria nesia stata finora dimenticata e negletta. Nella biblioteca

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S'indicano altri poeti migliori: Fulvio Te-sti.

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modenese ne parlerò a lungo, e la gran copia de' bei mo-numenti che mi è riuscito di raccoglierne, spero che ren-derà quell'articolo curioso e interessante sopra tutti glialtri 41. Qui basti il dire ch'egli, nato in Ferrara nel 1593in mediocre fortuna, e trasportato a Modena ancor fan-ciullo nel 1598, andò passo passo salendo alle più cospi-cue cariche di questa corte, e fu ancora onorato degli or-dini equestri de' ss. Maurizio e Lazzero e di s. Jago; chela vita del Testi, fu un continuo alternare di prospera e diavversa fortuna, e che finalmente la sua ambizione e lasua incostanza medesima il fece cadere in disgrazia alduca Francesco I, per cui comando, fatto prigione inquesta cittadella di Modena a' 27 di gennaio del 1646,ivi finì di vivere a' 28 d'agosto dell'anno stesso. Egli ne'primi anni e nel bollore della fervida gioventù si lasciòtrasportar dal torrente; e le Poesie da lui allor pubblicatesanno non poco de' difetti del secolo. Conobbe ei posciadi aver traviato dal buon sentiero, e si studiò di tornarvi.Ma parve che non avesse coraggio di opporsi egli soloal gusto che allor dominava, e che poche sono le suecanzoni in cui qualche traccia non se ne veda. Alcune diesse però, per elevatezza di pensieri e per leggiadriad'immagini, possono stare al confronto di quelle de' mi-gliori poeti. E nelle altre ancora, s'egli non è del tuttoesente da' difetti del secolo, ha però comunemente

41 Non solo nella Biblioteca modenese ho parlato più a lungo del co. FulvioTesti (t. 5, p. 245, ec.), ma ne ho anche pubblicata a parte la Vita stampatanel 1780, in cui le cose che a questo celebre poeta e infelice ministro ap-partengono, sono più ampiamente spiegate.

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modenese ne parlerò a lungo, e la gran copia de' bei mo-numenti che mi è riuscito di raccoglierne, spero che ren-derà quell'articolo curioso e interessante sopra tutti glialtri 41. Qui basti il dire ch'egli, nato in Ferrara nel 1593in mediocre fortuna, e trasportato a Modena ancor fan-ciullo nel 1598, andò passo passo salendo alle più cospi-cue cariche di questa corte, e fu ancora onorato degli or-dini equestri de' ss. Maurizio e Lazzero e di s. Jago; chela vita del Testi, fu un continuo alternare di prospera e diavversa fortuna, e che finalmente la sua ambizione e lasua incostanza medesima il fece cadere in disgrazia alduca Francesco I, per cui comando, fatto prigione inquesta cittadella di Modena a' 27 di gennaio del 1646,ivi finì di vivere a' 28 d'agosto dell'anno stesso. Egli ne'primi anni e nel bollore della fervida gioventù si lasciòtrasportar dal torrente; e le Poesie da lui allor pubblicatesanno non poco de' difetti del secolo. Conobbe ei posciadi aver traviato dal buon sentiero, e si studiò di tornarvi.Ma parve che non avesse coraggio di opporsi egli soloal gusto che allor dominava, e che poche sono le suecanzoni in cui qualche traccia non se ne veda. Alcune diesse però, per elevatezza di pensieri e per leggiadriad'immagini, possono stare al confronto di quelle de' mi-gliori poeti. E nelle altre ancora, s'egli non è del tuttoesente da' difetti del secolo, ha però comunemente

41 Non solo nella Biblioteca modenese ho parlato più a lungo del co. FulvioTesti (t. 5, p. 245, ec.), ma ne ho anche pubblicata a parte la Vita stampatanel 1780, in cui le cose che a questo celebre poeta e infelice ministro ap-partengono, sono più ampiamente spiegate.

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un'energia e una forza talmente poetica, che, se ad essefossero uguali quelle di molti altri poeti, essi non giace-rebbero ora del tutto dimenticati. Ei volle, provarsi an-cora nello stil tragico coll'Arsinda e coll'Isola d'Alcina;ma pare ch'ei non sapesse dimenticare lo stil lirico an-che scrivendo tragedie, che pur vogliono avere il lorproprio.

IX. Guido Casoni natio di Serravalle nellaMarca Trivigiana, e uno de' fondatori dellaseconda accademia veneziana, da noi men-tovata nella Storia del secolo precedente,

Lelio Guidiccioni lucchese di cui abbiamo ancora la tra-duzione dell'Eneide di Virgilio in versi sciolti, e di cuiun non breve elogio ci ha lasciato l'Eritreo (Pinacoth.pars 2, n. 11), Porfirio Feliciano da Gualdo di Nocera,lodato dallo stesso scrittore (ib. pars 1, p. 133), sonopoeti che, benchè non poco contraessero delle macchiede' loro tempi, mostrarono nondimeno che in età più fe-lice sarebbono stati tra' più felici. Tra' più illustri ancoraavrebbe potuto aver luogo monsig. Giovanni Ciampolinato in Toscana di bassa famiglia, e pel suo raro ingegnogiunto a ragguardevoli dignità in Roma. Ma un'intollera-bil superbia che gli faceva rimirar con disprezzo quantierano stati innanzi a lui valorosi poeti, senza far grazianè a Virgilio, nè ad Orazio, nè al Petrarca, e per cui gon-fio degli applausi che gli veniano fatti, giunse a sdegnar-si di rendere saluto a che gli pareva non degno di esser

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Si nomina-no più altri poeti.

un'energia e una forza talmente poetica, che, se ad essefossero uguali quelle di molti altri poeti, essi non giace-rebbero ora del tutto dimenticati. Ei volle, provarsi an-cora nello stil tragico coll'Arsinda e coll'Isola d'Alcina;ma pare ch'ei non sapesse dimenticare lo stil lirico an-che scrivendo tragedie, che pur vogliono avere il lorproprio.

IX. Guido Casoni natio di Serravalle nellaMarca Trivigiana, e uno de' fondatori dellaseconda accademia veneziana, da noi men-tovata nella Storia del secolo precedente,

Lelio Guidiccioni lucchese di cui abbiamo ancora la tra-duzione dell'Eneide di Virgilio in versi sciolti, e di cuiun non breve elogio ci ha lasciato l'Eritreo (Pinacoth.pars 2, n. 11), Porfirio Feliciano da Gualdo di Nocera,lodato dallo stesso scrittore (ib. pars 1, p. 133), sonopoeti che, benchè non poco contraessero delle macchiede' loro tempi, mostrarono nondimeno che in età più fe-lice sarebbono stati tra' più felici. Tra' più illustri ancoraavrebbe potuto aver luogo monsig. Giovanni Ciampolinato in Toscana di bassa famiglia, e pel suo raro ingegnogiunto a ragguardevoli dignità in Roma. Ma un'intollera-bil superbia che gli faceva rimirar con disprezzo quantierano stati innanzi a lui valorosi poeti, senza far grazianè a Virgilio, nè ad Orazio, nè al Petrarca, e per cui gon-fio degli applausi che gli veniano fatti, giunse a sdegnar-si di rendere saluto a che gli pareva non degno di esser

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Si nomina-no più altri poeti.

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da lui rimirato, come gli fece poi perder la grazia di Ur-bano VIII, e il costrinse ad uscire di Roma, e ad appa-garsi di Jesi, ove morì nel 1643, così gli fece talmentegonfiar lo stile, che non v'ebbe mai simbolo che più alvivo esprimesse la rana emulatrice del bue. Di lui parla-no più a lungo il suddetto Eritreo (ib. pars 3, n. 19) e ilcard. Bentivoglio (Mem. l. 1, c. 7) 42. Miglior uso delsuo ingegno fece Alessandro Adimari fiorentino, mortoin età di 70 anni nel 1649, perciocchè, comunque egliancora nelle molte sue opere, che si annoverano dal co.Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 139, ec.), seguissel'esempio della maggior parte degli altri poeti, nella tra-duzion di Pindaro nondimeno usò di uno stile molto mi-gliore, e se non potè adeguare perfettamente l'energia ela forza di quel gran poeta, l'espresse nondimeno con lo-devole felicità, e ne illustrò ancora le Poesie con dotteannotazioni, frutto del molto ch'ei sapea nella linguagreca. Anche Lodovico Adimari, che visse alquanto piùtardi fino al 1691, fu colto ed elegante poeta, e ne è pre-gio singolarmente, oltre più altre poesie, la traduzionede' Salmi penitenziali (ivi p. 142). Il gran Galileo nonisdegnossi di toccare la cetra, come a suo luogo si è det-to, e toccolla felicemente, e buon poeta ancora fu Vin-cenzo figliuol di lui naturale (V. Salvini Fasti consol. p.436; Codici mss. della Libr. Nani p. 142). La Sicilia an-

42 Altre più minute notizie intorno a monsig. Ciampoli, a cui lode non deetacersi che fu in Roma uno de' difensori del Galileo, si posson vederenell'opera altre volte citata del dottor Giovanni Targioni Tozzetti (Aggra-dimenti, ec. t. 1, p. 81, ec.; t. 2, par. 1, p. 102).

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da lui rimirato, come gli fece poi perder la grazia di Ur-bano VIII, e il costrinse ad uscire di Roma, e ad appa-garsi di Jesi, ove morì nel 1643, così gli fece talmentegonfiar lo stile, che non v'ebbe mai simbolo che più alvivo esprimesse la rana emulatrice del bue. Di lui parla-no più a lungo il suddetto Eritreo (ib. pars 3, n. 19) e ilcard. Bentivoglio (Mem. l. 1, c. 7) 42. Miglior uso delsuo ingegno fece Alessandro Adimari fiorentino, mortoin età di 70 anni nel 1649, perciocchè, comunque egliancora nelle molte sue opere, che si annoverano dal co.Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 139, ec.), seguissel'esempio della maggior parte degli altri poeti, nella tra-duzion di Pindaro nondimeno usò di uno stile molto mi-gliore, e se non potè adeguare perfettamente l'energia ela forza di quel gran poeta, l'espresse nondimeno con lo-devole felicità, e ne illustrò ancora le Poesie con dotteannotazioni, frutto del molto ch'ei sapea nella linguagreca. Anche Lodovico Adimari, che visse alquanto piùtardi fino al 1691, fu colto ed elegante poeta, e ne è pre-gio singolarmente, oltre più altre poesie, la traduzionede' Salmi penitenziali (ivi p. 142). Il gran Galileo nonisdegnossi di toccare la cetra, come a suo luogo si è det-to, e toccolla felicemente, e buon poeta ancora fu Vin-cenzo figliuol di lui naturale (V. Salvini Fasti consol. p.436; Codici mss. della Libr. Nani p. 142). La Sicilia an-

42 Altre più minute notizie intorno a monsig. Ciampoli, a cui lode non deetacersi che fu in Roma uno de' difensori del Galileo, si posson vederenell'opera altre volte citata del dottor Giovanni Targioni Tozzetti (Aggra-dimenti, ec. t. 1, p. 81, ec.; t. 2, par. 1, p. 102).

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cora produsse un leggiadro scrittore di canzonette ana-creontiche, cioè Francesco Balducci palermitano, il qua-le, se negli altri generi di Poesia non fu punto meno vi-zioso de' suoi coetanei, in questo li superò di modo, cheil Crescimbeni afferma (Stor. della volg. Poes. p. 161)ch'ei non cede ad alcuno de' più accreditati poeti. Le suediverse vicende concorsero a renderlo ancora più rino-mato. Da varie sventure costretto ad abbandonare la pa-tria, passò in Italia, indi arrolatosi nelle truppe, in Alle-magna. Quindi tornato a Roma, ebbe ivi quasi semprestabil soggiorno, nè gli mancaron onori e premj. Ma egliuomo di umor bisbetico e facile all'ira, oltre ciò prodigoscialacquatore, cambiò spesso padrone; nè mai trovòcon chi fosse pienamente contento; si rendette famosoper l'intrudersi che facea alle mense de' gran signori; edi esse ancora annoiato, si diè per compagno di tavolaad un barbiere che non soffrendone la petulanza, cac-ciossel di casa; fu prigione pe' debiti, e fu più volte mal-concio di bastonate per modo, che a gran pena salvonnela vita. Finalmente prese gli ordini sacri, e finì di viverenello spedale della basilica lateranense nel 1642. Intornoalle quali vicende di questo non men capriccioso che in-gegnoso poeta, veggansi il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t.2, par. 1, p. 159) e gli altri scrittori da lui citati. Tre va-lorosi poeti ebbe anche il regno di Napoli. Il primo fuSalvador Pasqualoni, detto per errore Baldassarre dalCrescimbeni (comment. della volg. Poes. t. 2, par. 2, p.292) e dal Quadrio di lui copiatore. Egli era nato inAcumulo città del regno di Napoli nella provincia

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cora produsse un leggiadro scrittore di canzonette ana-creontiche, cioè Francesco Balducci palermitano, il qua-le, se negli altri generi di Poesia non fu punto meno vi-zioso de' suoi coetanei, in questo li superò di modo, cheil Crescimbeni afferma (Stor. della volg. Poes. p. 161)ch'ei non cede ad alcuno de' più accreditati poeti. Le suediverse vicende concorsero a renderlo ancora più rino-mato. Da varie sventure costretto ad abbandonare la pa-tria, passò in Italia, indi arrolatosi nelle truppe, in Alle-magna. Quindi tornato a Roma, ebbe ivi quasi semprestabil soggiorno, nè gli mancaron onori e premj. Ma egliuomo di umor bisbetico e facile all'ira, oltre ciò prodigoscialacquatore, cambiò spesso padrone; nè mai trovòcon chi fosse pienamente contento; si rendette famosoper l'intrudersi che facea alle mense de' gran signori; edi esse ancora annoiato, si diè per compagno di tavolaad un barbiere che non soffrendone la petulanza, cac-ciossel di casa; fu prigione pe' debiti, e fu più volte mal-concio di bastonate per modo, che a gran pena salvonnela vita. Finalmente prese gli ordini sacri, e finì di viverenello spedale della basilica lateranense nel 1642. Intornoalle quali vicende di questo non men capriccioso che in-gegnoso poeta, veggansi il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t.2, par. 1, p. 159) e gli altri scrittori da lui citati. Tre va-lorosi poeti ebbe anche il regno di Napoli. Il primo fuSalvador Pasqualoni, detto per errore Baldassarre dalCrescimbeni (comment. della volg. Poes. t. 2, par. 2, p.292) e dal Quadrio di lui copiatore. Egli era nato inAcumulo città del regno di Napoli nella provincia

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dell'Aquila, e venuto a Roma nel 1602, vi ebbe la citta-dinanza romana, e nel diploma perciò speditogli egli èdetto dottor di leggi. Le Rime da lui pubblicate in Napo-li nel 1620 (nel qual tempo non è possibile ch'egli aves-se soli 30 anni, come ha detto il Crescimbeni, poichè nel1602 era già dottore) son tali che si possono paragonarecon quelle de' più leggiadri scrittori del secolo XVI, edegli stesso protestasi nella prefazione di aver presi a suaguida i migliori maestri, e non già quelli che a suo tem-po tanto si celebravano. Egli è annoverato dal march.Manso tra gli amici ch'ebbe in Napoli il Tasso, e dettoda lui intendentissimo della Poesia non meno che delleLeggi. Delle quali notizie intorno a questo illustre poetae de' monumenti qui accennati, io son debitore all'orna-tissimo sig. Pietro Pasqualoni che cortesemente daRoma me le ha trasmesse. Il secondo fu natio di Casteld'Abrigliano presso Cosenza, cioè Pirro Schettini cano-nico della detta città, e morto nel 1678 in età di 48 anni,il quale, benchè al principio traviasse seguendo il Mari-ni, si rimise poscia felicemente sul buon sentiero (SpiritiScritt. cosent. p. 157). Il terzo era nato in Alghieranell'isola di Sardegna, ma visse lungamente in Napoli,ove anche chiuse i suoi giorni nel 1670 in età di 49 anni,cioè Carlo Buragna, a cui principalmente si attribuisce iltornar che fece in quel regno la volgar poesia all'anticaeleganza, da cui gli adoratori del Marini tanto l'aveanoallontanata (Mazzucch. l. c. t. 2, par. 4, p. 2422) 43.43 A' valorosi poeti usciti dal regno di Napoli nel secolo XVII, dee aggiu-

gnersi Bartolommeo Nappini calabrese, autor poco noto in addietro, per-

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dell'Aquila, e venuto a Roma nel 1602, vi ebbe la citta-dinanza romana, e nel diploma perciò speditogli egli èdetto dottor di leggi. Le Rime da lui pubblicate in Napo-li nel 1620 (nel qual tempo non è possibile ch'egli aves-se soli 30 anni, come ha detto il Crescimbeni, poichè nel1602 era già dottore) son tali che si possono paragonarecon quelle de' più leggiadri scrittori del secolo XVI, edegli stesso protestasi nella prefazione di aver presi a suaguida i migliori maestri, e non già quelli che a suo tem-po tanto si celebravano. Egli è annoverato dal march.Manso tra gli amici ch'ebbe in Napoli il Tasso, e dettoda lui intendentissimo della Poesia non meno che delleLeggi. Delle quali notizie intorno a questo illustre poetae de' monumenti qui accennati, io son debitore all'orna-tissimo sig. Pietro Pasqualoni che cortesemente daRoma me le ha trasmesse. Il secondo fu natio di Casteld'Abrigliano presso Cosenza, cioè Pirro Schettini cano-nico della detta città, e morto nel 1678 in età di 48 anni,il quale, benchè al principio traviasse seguendo il Mari-ni, si rimise poscia felicemente sul buon sentiero (SpiritiScritt. cosent. p. 157). Il terzo era nato in Alghieranell'isola di Sardegna, ma visse lungamente in Napoli,ove anche chiuse i suoi giorni nel 1670 in età di 49 anni,cioè Carlo Buragna, a cui principalmente si attribuisce iltornar che fece in quel regno la volgar poesia all'anticaeleganza, da cui gli adoratori del Marini tanto l'aveanoallontanata (Mazzucch. l. c. t. 2, par. 4, p. 2422) 43.43 A' valorosi poeti usciti dal regno di Napoli nel secolo XVII, dee aggiu-

gnersi Bartolommeo Nappini calabrese, autor poco noto in addietro, per-

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X. Tra' poeti che furono più ritenuti nelseguire il reo gusto dell'età loro, si anno-vera dal Crescimbeni (Comment. t. 2, par.

2, p. 306) e dal Quadrio (t. 2, p. 309) Giambattista Lallinato in Norcia nel 1572. Benchè la poesia italiana nefosse la più dilettevole occupazione, non lasciò nondi-meno di coltivare i più gravi studj, e quello della giuri-sprudenza principalmente, e perciò fu adoperato in di-versi governi dalla corte di Parma e da quella di Roma;e in essi egli ottenne non solo la stima di tutti pel suo sa-pere, ma ancor l'amore per le sue dolci maniere e perl'amabile tratto. Ritirossi poscia in patria, ove venne amorte nel 1637. Le Poesie serie da lui composte, fra lequali abbiamo un poema sulla distruzione di Gerusalem-me, gli han dato luogo tra' buoni poeti di questo secolo.Ma più felice disposizione avea egli sortita dalla naturaalla scherzevole poesia, e le sue Pistole giocose, i suoiburleschi poemi intitolati la Moscheide e la Franceideson tra' migliori di questo genere. Egli volle ancora ri-durre in istile burlesco alcune rime del Petrarca e l'Enei-de di Virgilio; e se è possibile che serj e gravi componi-menti piacciano ancor travestiti in tal modo, niuno pote-va ottenerlo meglio del Lalli, a cui non mancava nè

chè avendo egli in Roma, ove vivea, voluto sostenere l'Accademiadegl'Infecondi contro la nascente Arcadia, il Crescimbeni perciò sdegnatonon volle farne menzione alcuna nella sua Storia; e quindi anche il Qua-drio non ne ha parlato. Le poesie ne furono stampate in Guastalla neglianni 1769 e 1770, e poi riprodotte in Londra dal sig. Baretti nel 1780, edesse sono in istil pedantesco, nel quale egli ha molta grazia e felicità.L'autore morì in Roma in età di oltre ad 80 anni nel 1717.

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Continuazionede' medesimi.

X. Tra' poeti che furono più ritenuti nelseguire il reo gusto dell'età loro, si anno-vera dal Crescimbeni (Comment. t. 2, par.

2, p. 306) e dal Quadrio (t. 2, p. 309) Giambattista Lallinato in Norcia nel 1572. Benchè la poesia italiana nefosse la più dilettevole occupazione, non lasciò nondi-meno di coltivare i più gravi studj, e quello della giuri-sprudenza principalmente, e perciò fu adoperato in di-versi governi dalla corte di Parma e da quella di Roma;e in essi egli ottenne non solo la stima di tutti pel suo sa-pere, ma ancor l'amore per le sue dolci maniere e perl'amabile tratto. Ritirossi poscia in patria, ove venne amorte nel 1637. Le Poesie serie da lui composte, fra lequali abbiamo un poema sulla distruzione di Gerusalem-me, gli han dato luogo tra' buoni poeti di questo secolo.Ma più felice disposizione avea egli sortita dalla naturaalla scherzevole poesia, e le sue Pistole giocose, i suoiburleschi poemi intitolati la Moscheide e la Franceideson tra' migliori di questo genere. Egli volle ancora ri-durre in istile burlesco alcune rime del Petrarca e l'Enei-de di Virgilio; e se è possibile che serj e gravi componi-menti piacciano ancor travestiti in tal modo, niuno pote-va ottenerlo meglio del Lalli, a cui non mancava nè

chè avendo egli in Roma, ove vivea, voluto sostenere l'Accademiadegl'Infecondi contro la nascente Arcadia, il Crescimbeni perciò sdegnatonon volle farne menzione alcuna nella sua Storia; e quindi anche il Qua-drio non ne ha parlato. Le poesie ne furono stampate in Guastalla neglianni 1769 e 1770, e poi riprodotte in Londra dal sig. Baretti nel 1780, edesse sono in istil pedantesco, nel quale egli ha molta grazia e felicità.L'autore morì in Roma in età di oltre ad 80 anni nel 1717.

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Continuazionede' medesimi.

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quella scherzevole fantasia, nè quella facilità di verseg-giare che a ciò principalmente richiedesi, e sol si vorreb-be che alquanto più colta ne fosse la locuzione. Del Lal-li abbiamo un onorevole elogio presso l'Eritreo (Pinaco-th. pars 1, p. 130). Un'altra traduzion dell'Eneide in ot-tava rima, e in uno stile più confacente alla dignitàdell'argomento, pubblicò nel 1680 in Lucca sua patria ilp. Bartolommeo Beverini della congregazione della Ma-dre di Dio, uomo assai dotto, e uno de' più colti scrittoricosì nell'italiana poesia, come nella latina, che avesse ilsecolo di cui parliamo e che sarebbe degno che qui neparlassimo distesamente, se il co. Mazzucchelli, col dar-ci un esatto articolo della vita di esso e un minuto cata-logo di tutte le opere da lui composte (l. c. t. 2, par. 2, p.1103), non ci avesse già prevenuti. E lo stesso poema cidieder tradotto il p. Ignazio Angelucci da Belforte ge-suita, sotto il nome del suo parente Teodoro 44, e PierAntonio Carrara bergamasco 45. Nè deesi qui tacere la

44 Nella Biblioteca Picena (t. 1, p. 152) si nega che la version di Virgilio siadel p. Ignazio Angelucci, e si dice che l'originale che ne avea il Zeno, mo-stra ch'essa fu veramente opera di Teodoro. Ma il Zeno (Note al Fontan. t.1, p. 277) riporta il detto del Sotuello che fa autore della versione il p.Ignazio, e non dice parola per impugnarlo.

45 Il Carrara, ch'è anche autore di un poema ms. in ottava rima intitolato Lamaschera dell'odio, e dell'amore, e di cui più copie conservansi in Berga-mo, era natio di Nese terra poco distante da quella città. Mi si permettaaver rilevato questa minutezza per osservare che non sol le città, ma an-che alcune delle piccole terre del loro distretto esistevano fin da' tempidella Repubblica o dell'Impero romano. Così ci mostra la seguente benchèguasta, l'iscrizione, ch'era già incastrata nel campanile di quella terra, eche or conservasi presso il sig. Giuseppe Beltramelli, e in cui si nominanogli Anesiati, cioè gli abitanti di Anese o Nese. Le parole che ce ne son ri-

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quella scherzevole fantasia, nè quella facilità di verseg-giare che a ciò principalmente richiedesi, e sol si vorreb-be che alquanto più colta ne fosse la locuzione. Del Lal-li abbiamo un onorevole elogio presso l'Eritreo (Pinaco-th. pars 1, p. 130). Un'altra traduzion dell'Eneide in ot-tava rima, e in uno stile più confacente alla dignitàdell'argomento, pubblicò nel 1680 in Lucca sua patria ilp. Bartolommeo Beverini della congregazione della Ma-dre di Dio, uomo assai dotto, e uno de' più colti scrittoricosì nell'italiana poesia, come nella latina, che avesse ilsecolo di cui parliamo e che sarebbe degno che qui neparlassimo distesamente, se il co. Mazzucchelli, col dar-ci un esatto articolo della vita di esso e un minuto cata-logo di tutte le opere da lui composte (l. c. t. 2, par. 2, p.1103), non ci avesse già prevenuti. E lo stesso poema cidieder tradotto il p. Ignazio Angelucci da Belforte ge-suita, sotto il nome del suo parente Teodoro 44, e PierAntonio Carrara bergamasco 45. Nè deesi qui tacere la

44 Nella Biblioteca Picena (t. 1, p. 152) si nega che la version di Virgilio siadel p. Ignazio Angelucci, e si dice che l'originale che ne avea il Zeno, mo-stra ch'essa fu veramente opera di Teodoro. Ma il Zeno (Note al Fontan. t.1, p. 277) riporta il detto del Sotuello che fa autore della versione il p.Ignazio, e non dice parola per impugnarlo.

45 Il Carrara, ch'è anche autore di un poema ms. in ottava rima intitolato Lamaschera dell'odio, e dell'amore, e di cui più copie conservansi in Berga-mo, era natio di Nese terra poco distante da quella città. Mi si permettaaver rilevato questa minutezza per osservare che non sol le città, ma an-che alcune delle piccole terre del loro distretto esistevano fin da' tempidella Repubblica o dell'Impero romano. Così ci mostra la seguente benchèguasta, l'iscrizione, ch'era già incastrata nel campanile di quella terra, eche or conservasi presso il sig. Giuseppe Beltramelli, e in cui si nominanogli Anesiati, cioè gli abitanti di Anese o Nese. Le parole che ce ne son ri-

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traduzione di Orazio di Loreto Mattei natio di Rieti, unode' primi Arcadi, e morto in Roma in età di 83 anni nel1705. Se ne ha la Vita tra quelle degli Arcadi illustri, edegli è ancor noto per la sua versione de' Salmi e per altrePoesie, nelle quali avrebbe anche ottenuto più chiarafama, se più colto e purgato ne fosse lo stile. AncheClaudiano ebbe un traduttore in ottava rima, per questitempi non dispregevole, in Niccolò Biffi nobile berga-masco, la cui traduzione, insieme co' comenti latinich'egli vi aggiunse, fu stampata in Milano nel 1684. Dilui, e di altre cose che se ne hanno alle stampe, parla ilco. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 2, p. 1216). Il piùcelebre tra' traduttori degli antichi poeti fu AlessandroMarchetti, che in età giovanile avea intrapresa un'altraversion dell'Eneide in ottava rima, la quale avrebbe pro-babilmente fatto dimenticare quella del Beverini, maegli non si avanzò oltre al quarto libro, e questa parteancora non è mai stata stampata trattine alcuni fram-menti inseriti nel Giornale de' Letterati d'Italia (t. 21).Più che a questa versione, dee il Marchetti la fama di cuiora gode, e goderà sempre fra' dotti, alla bella sua tradu-zione in versi sciolti del poema di Lucrezio, per cui as-sai più che per le sue opere filosofiche e matematicheegli è rinomato. Di questo illustre scrittore, dopo più al-

maste, son queste: – RAE COI —————QVI VICANIS B. O... ANESIATIBVS PRATV.. NVM. LOSCIAN. VIVV.. DEDIT EX CVIVS. ED.

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traduzione di Orazio di Loreto Mattei natio di Rieti, unode' primi Arcadi, e morto in Roma in età di 83 anni nel1705. Se ne ha la Vita tra quelle degli Arcadi illustri, edegli è ancor noto per la sua versione de' Salmi e per altrePoesie, nelle quali avrebbe anche ottenuto più chiarafama, se più colto e purgato ne fosse lo stile. AncheClaudiano ebbe un traduttore in ottava rima, per questitempi non dispregevole, in Niccolò Biffi nobile berga-masco, la cui traduzione, insieme co' comenti latinich'egli vi aggiunse, fu stampata in Milano nel 1684. Dilui, e di altre cose che se ne hanno alle stampe, parla ilco. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 2, p. 1216). Il piùcelebre tra' traduttori degli antichi poeti fu AlessandroMarchetti, che in età giovanile avea intrapresa un'altraversion dell'Eneide in ottava rima, la quale avrebbe pro-babilmente fatto dimenticare quella del Beverini, maegli non si avanzò oltre al quarto libro, e questa parteancora non è mai stata stampata trattine alcuni fram-menti inseriti nel Giornale de' Letterati d'Italia (t. 21).Più che a questa versione, dee il Marchetti la fama di cuiora gode, e goderà sempre fra' dotti, alla bella sua tradu-zione in versi sciolti del poema di Lucrezio, per cui as-sai più che per le sue opere filosofiche e matematicheegli è rinomato. Di questo illustre scrittore, dopo più al-

maste, son queste: – RAE COI —————QVI VICANIS B. O... ANESIATIBVS PRATV.. NVM. LOSCIAN. VIVV.. DEDIT EX CVIVS. ED.

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tri, ci ha data di fresco la Vita il ch. monsig. Fabbroni(Vita Italor. doct. excell. dec. 4, p. 421), dalla quale trar-remo in breve le più importanti notizie. Pontormo, ca-stello celebre nel territorio fiorentino per altri dotti uo-mini che ne sono usciti, fu la patria di Alessandro, cheivi nacque nel 1632. Fu prima applicato alla mercatura,indi alla giurisprudenza, ma nè l'una nè l'altra piacevanoal giovane Marchetti, che tutto sentivasi trasportar versola poesia. Inviato all'università di Pisa, congiunse aglistudj poetici i filosofici e i matematici sotto la direzioneprincipalmente del famoso Borelli, che facea grande sti-ma dell'ingegno di questo suo scolaro. Fu ivi promossoalla cattedra della logica e della filosofia, e giovò nonpoco a sbandire da quelle scuole gli avanzi della barba-rie peripatetica che tuttora vi dominava. Nel 1669 pub-blicò la sua opera De resistentia solidorum, e parlandodel Viviani, abbiamo accennati i contrasti che perciòsorser tra essi. Avverte monsig. Fabbroni che nacque al-lora sospetto che quell'opera, almeno in gran parte, fossedel Borelli; ma aggiugne che il Marchetti avea abbastan-za di sapere e d'ingegno per esserne egli stesso l'autore,e che non mancano monumenti a provare ch'egli il fuveramente. E tanto solo mi basti aver detto su questacontesa, su cui più ancora che non bisognava si è scrittonegli anni addietro; e perciò anche io lascerò di parlaredelle altre opere matematiche del Marchetti, che non gliottennero ugual nome; e delle altre contese ch'egli ebbecollo stesso Viviani, e poi col p. abate Grandi, e le qualipiù utili sarebbono riuscite alla repubblica letteraria, se

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tri, ci ha data di fresco la Vita il ch. monsig. Fabbroni(Vita Italor. doct. excell. dec. 4, p. 421), dalla quale trar-remo in breve le più importanti notizie. Pontormo, ca-stello celebre nel territorio fiorentino per altri dotti uo-mini che ne sono usciti, fu la patria di Alessandro, cheivi nacque nel 1632. Fu prima applicato alla mercatura,indi alla giurisprudenza, ma nè l'una nè l'altra piacevanoal giovane Marchetti, che tutto sentivasi trasportar versola poesia. Inviato all'università di Pisa, congiunse aglistudj poetici i filosofici e i matematici sotto la direzioneprincipalmente del famoso Borelli, che facea grande sti-ma dell'ingegno di questo suo scolaro. Fu ivi promossoalla cattedra della logica e della filosofia, e giovò nonpoco a sbandire da quelle scuole gli avanzi della barba-rie peripatetica che tuttora vi dominava. Nel 1669 pub-blicò la sua opera De resistentia solidorum, e parlandodel Viviani, abbiamo accennati i contrasti che perciòsorser tra essi. Avverte monsig. Fabbroni che nacque al-lora sospetto che quell'opera, almeno in gran parte, fossedel Borelli; ma aggiugne che il Marchetti avea abbastan-za di sapere e d'ingegno per esserne egli stesso l'autore,e che non mancano monumenti a provare ch'egli il fuveramente. E tanto solo mi basti aver detto su questacontesa, su cui più ancora che non bisognava si è scrittonegli anni addietro; e perciò anche io lascerò di parlaredelle altre opere matematiche del Marchetti, che non gliottennero ugual nome; e delle altre contese ch'egli ebbecollo stesso Viviani, e poi col p. abate Grandi, e le qualipiù utili sarebbono riuscite alla repubblica letteraria, se

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fossero state più pacifiche e più modeste. Mentre il Mar-chetti occupavasi in questi serj argomenti, quasi a sollie-vo delle sue gravi fatiche, si diè a tradurre Lucrezio econdusse felicemente a termine il suo lavoro. Ei vollefarne la dedica al gran duca Cosimo III, ma quel pio so-vrano, avendo in orrore le empie massime di quel poetaepicureo, e mal volentieri veggendo che il Marchetti in-vece di confutarle, sembrasse anzi che le avesse poste inpiù chiara luce, nè volle accettarne la dedica, nè maipermise che quella traduzion si stampasse. Corse elladunque manoscritta per le mani di molti; finchè per ope-ra di Paolo Rolli, fu stampata la prima volta in Londranel 1717. Chiunque ha l'idea del buon gusto, non puònegare che poche opere abbia la volgar poesia, e niunaforse tra le traduzioni degli antichi poeti latini, che aquesta possa paragonarsi; tale ne è la chiarezza, la mae-stà, l'eleganza, e così bene riunisce in sè tutti i pregi chea render perfetti cotai lavori richieggonsi. Abbiamo al-trove accennata (t. 1, p. 163, ec.) la severa critica cheinutilmente ne ha fatta l'ab. Lazzarini, il quale invano hapreteso di combattere il comun sentimento de' dotti. IlMarchetti, forse per far conoscere ch'egli era ben lungidall'adottare come suoi i principj e le massime di Lucre-zio, si accinse a scrivere un altro poema filosofico di piùsana morale, ma presto se ne stancò; e solo qualcheframmento ce n'è rimasto nell'accennato Giornale. Neabbiamo ancora molte altre poesie italiane, e fra esse latraduzione di Anacreonte, che, benchè da lui fatta in etàavanzata, è la migliore che in quel secolo venisse a luce.

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fossero state più pacifiche e più modeste. Mentre il Mar-chetti occupavasi in questi serj argomenti, quasi a sollie-vo delle sue gravi fatiche, si diè a tradurre Lucrezio econdusse felicemente a termine il suo lavoro. Ei vollefarne la dedica al gran duca Cosimo III, ma quel pio so-vrano, avendo in orrore le empie massime di quel poetaepicureo, e mal volentieri veggendo che il Marchetti in-vece di confutarle, sembrasse anzi che le avesse poste inpiù chiara luce, nè volle accettarne la dedica, nè maipermise che quella traduzion si stampasse. Corse elladunque manoscritta per le mani di molti; finchè per ope-ra di Paolo Rolli, fu stampata la prima volta in Londranel 1717. Chiunque ha l'idea del buon gusto, non puònegare che poche opere abbia la volgar poesia, e niunaforse tra le traduzioni degli antichi poeti latini, che aquesta possa paragonarsi; tale ne è la chiarezza, la mae-stà, l'eleganza, e così bene riunisce in sè tutti i pregi chea render perfetti cotai lavori richieggonsi. Abbiamo al-trove accennata (t. 1, p. 163, ec.) la severa critica cheinutilmente ne ha fatta l'ab. Lazzarini, il quale invano hapreteso di combattere il comun sentimento de' dotti. IlMarchetti, forse per far conoscere ch'egli era ben lungidall'adottare come suoi i principj e le massime di Lucre-zio, si accinse a scrivere un altro poema filosofico di piùsana morale, ma presto se ne stancò; e solo qualcheframmento ce n'è rimasto nell'accennato Giornale. Neabbiamo ancora molte altre poesie italiane, e fra esse latraduzione di Anacreonte, che, benchè da lui fatta in etàavanzata, è la migliore che in quel secolo venisse a luce.

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Sul finir della vita ritirossi a Pontormo, e ivi venne a'morte a' 6 di settembre del 1714.

XI. Benchè molti de' poeti da noi finor no-minati non fosser toscani, convien confes-sare nondimeno, che quella fu la provinciain cui l'universale contagio, che sì grandestrage menò nelle altre parti d'Italia, più

lentamente si sparse, e vi fece men funesti progressi. Ol-tre quelli da noi già indicati, ivi fra gli altri fiorirono ilRedi e il Magalotti, dei quali già abbiam parlato trattan-do de' più gravi studj in cui essi occuparonsi principal-mente. Le poesie del Redi son per grazia e per eleganzavaghissime, ma sopra ogni cosa è stimato il suo Baccoin Toscana, ditirambo a cui non si era ancora vedutol'uguale, e forse non sì è poscia ancora veduto 46. Il Ma-galotti seguì dapprima egli pure il più battuto sentiero;ma poscia se ne ritrasse; e benchè a quando a quando sivegga in lui qualche avanzo dell'antico costume, egli èpoeta nondimeno, singolarmente in ciò che è immagina-zione ed energia, da stare a confronto co' più illustri. Nèè perciò a stupire ch'ei tanto pregiasse e lodasse Dante,come fa sovente nelle sue Lettere, dalle quali anzi rac-cogliesi ch'egli avea preso a illustrarlo con un nuovoComento, di cui già avea compiti i primi cinque capidell'Inferno, come egli scrive a' 12 di gennaio del 1665 a

46 Negli Elogi degl'illustri Pisani si è riprodotto il Ditirambo di Bonavita Ca-pezzali, pubblicato un anno prima della nascita del Redi, e si è osservatoche questi si è in più luoghi giovato delle espressioni e delle Immagini delpoeta pisano (Monum. d'ill. Pisani t. 3, p. 313, ec.).

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I Toscani sono comune-mente i mi-gliori poeti di questo secolo.

Sul finir della vita ritirossi a Pontormo, e ivi venne a'morte a' 6 di settembre del 1714.

XI. Benchè molti de' poeti da noi finor no-minati non fosser toscani, convien confes-sare nondimeno, che quella fu la provinciain cui l'universale contagio, che sì grandestrage menò nelle altre parti d'Italia, più

lentamente si sparse, e vi fece men funesti progressi. Ol-tre quelli da noi già indicati, ivi fra gli altri fiorirono ilRedi e il Magalotti, dei quali già abbiam parlato trattan-do de' più gravi studj in cui essi occuparonsi principal-mente. Le poesie del Redi son per grazia e per eleganzavaghissime, ma sopra ogni cosa è stimato il suo Baccoin Toscana, ditirambo a cui non si era ancora vedutol'uguale, e forse non sì è poscia ancora veduto 46. Il Ma-galotti seguì dapprima egli pure il più battuto sentiero;ma poscia se ne ritrasse; e benchè a quando a quando sivegga in lui qualche avanzo dell'antico costume, egli èpoeta nondimeno, singolarmente in ciò che è immagina-zione ed energia, da stare a confronto co' più illustri. Nèè perciò a stupire ch'ei tanto pregiasse e lodasse Dante,come fa sovente nelle sue Lettere, dalle quali anzi rac-cogliesi ch'egli avea preso a illustrarlo con un nuovoComento, di cui già avea compiti i primi cinque capidell'Inferno, come egli scrive a' 12 di gennaio del 1665 a

46 Negli Elogi degl'illustri Pisani si è riprodotto il Ditirambo di Bonavita Ca-pezzali, pubblicato un anno prima della nascita del Redi, e si è osservatoche questi si è in più luoghi giovato delle espressioni e delle Immagini delpoeta pisano (Monum. d'ill. Pisani t. 3, p. 313, ec.).

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I Toscani sono comune-mente i mi-gliori poeti di questo secolo.

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Ottavio Falconieri (Lettere famigl. t. 1, p. 107). In essefa ancor menzione di un altro grande ammiratore diDante, cioè di Francesco Ridolfi, di cui di fatto tra quel-le del Magalotti è una bellissima lettera in lode di quelsommo poeta. Anche Lorenzo Bellini, da noi già lodatoper le sue celebri opere anatomiche e mediche coltivòcon felice successo la poesia, e, oltre più altre Rime, lasua Bucchereide dimostra che se alle Muse ei si fosseinteramente rivolto avrebbe avuto luogo tra' più illustriloro seguaci. Francesco Baldovini sacerdote fiorentino,morto nel 1716 in età di 82 anni, pubblicò nel 1694 ilLamento di Cecco da Varlungo, riprodotto poscia nel1755 colle note di Orazio Marrini, componimento gio-coso contadinesco, e uno de' migliori in tal genere, cheabbia la volgar nostra lingua. Di altre sue Poesie, altrestampate, altre inedite si può vedere il co. Mazzucchelli(Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 157, ec.), e la Vita che del Bal-dovini ha scritta il sig. Domenico Maria Manni, e che èpremessa alla sopraccitata seconda edizione. Anche Gi-rolamo Leopardi fiorentino fin dal principio del secolofu non infelice scrittore di poesie giocose. Antonio Ma-latesti fiorentino, morto nel 1672, oltre diverse rime, fuautore De' Brindisi de' Ciclopi, componimenti in quelgenere pregiatissimi; e leggiadri ancor ne sono gliEnimmi, che volgarmente diconsi indovinelli. Ne' sonet-ti anacreontici esercitossi con molta felicità fin dagli ul-timi anni del secolo precedente il p. Antonio Tommasidella Congregazione della Madre di Dio, che continuòposcia ancor per più anni a darci pruove de' poetici suoi

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Ottavio Falconieri (Lettere famigl. t. 1, p. 107). In essefa ancor menzione di un altro grande ammiratore diDante, cioè di Francesco Ridolfi, di cui di fatto tra quel-le del Magalotti è una bellissima lettera in lode di quelsommo poeta. Anche Lorenzo Bellini, da noi già lodatoper le sue celebri opere anatomiche e mediche coltivòcon felice successo la poesia, e, oltre più altre Rime, lasua Bucchereide dimostra che se alle Muse ei si fosseinteramente rivolto avrebbe avuto luogo tra' più illustriloro seguaci. Francesco Baldovini sacerdote fiorentino,morto nel 1716 in età di 82 anni, pubblicò nel 1694 ilLamento di Cecco da Varlungo, riprodotto poscia nel1755 colle note di Orazio Marrini, componimento gio-coso contadinesco, e uno de' migliori in tal genere, cheabbia la volgar nostra lingua. Di altre sue Poesie, altrestampate, altre inedite si può vedere il co. Mazzucchelli(Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 157, ec.), e la Vita che del Bal-dovini ha scritta il sig. Domenico Maria Manni, e che èpremessa alla sopraccitata seconda edizione. Anche Gi-rolamo Leopardi fiorentino fin dal principio del secolofu non infelice scrittore di poesie giocose. Antonio Ma-latesti fiorentino, morto nel 1672, oltre diverse rime, fuautore De' Brindisi de' Ciclopi, componimenti in quelgenere pregiatissimi; e leggiadri ancor ne sono gliEnimmi, che volgarmente diconsi indovinelli. Ne' sonet-ti anacreontici esercitossi con molta felicità fin dagli ul-timi anni del secolo precedente il p. Antonio Tommasidella Congregazione della Madre di Dio, che continuòposcia ancor per più anni a darci pruove de' poetici suoi

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talenti.XII. Ma fra molti Toscani a' quali la poesiaitaliana dee o l'aver conservata la sua natiaeleganza, o l'averla presto ricuperata, dueprincipalmente son degni di onorata men-

zione, il senator Vincenzo da Filicaia, e il can. Benedet-to Menzini, de' quali amendue abbiam le vite tra quelledegli Arcadi illustri, e tra quelle scritte da monsig. Fab-broni (Vita Italor. t. 7, p. 264, ec., 293, ec.). Vincenzonato in Firenze a' 30 di dicembre del 1642 dal senatorBraccio e da Caterina Spini, fino da' primi anni e allepubbliche scuole della patria e all'università di Pisa diègrandi pruove di un raro talento, di un'insaziabile aviditàdi studiare, e insieme di una fervente pietà, che accom-pagnollo poscia nel decorso tutto della sua vita. In età di31 anni prese a sua moglie Anna Capponi, e continuòciò non ostante a vivere lungamente in un tranquillo riti-ro, dividendo il tempo tra gli studj della poesia, tra' do-veri del padre di famiglia, e tra gli esercizj della Reli-gione. Lontano da ogni jattanza, appena ardiva di mo-strare le sue poesie ad alcuni pochi amici, perchè essi ledisaminassero severamente. Ma le belle canzoni da luicomposte in occasion dell'assedio di Vienna, quasi suomalgrado il renderono famoso al mondo, e le lettere alui scritte dall'imp. Leopoldo, dal re di Polonia, e dalduca di Lorena fanno conoscere qual esse destasseromaraviglia in ogni parte d'Europa. La reina di Svezia nefu ella ancora così rapita, che ne scrisse al Filicaia, con-

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Elogio delsenator Fi-licaia.

talenti.XII. Ma fra molti Toscani a' quali la poesiaitaliana dee o l'aver conservata la sua natiaeleganza, o l'averla presto ricuperata, dueprincipalmente son degni di onorata men-

zione, il senator Vincenzo da Filicaia, e il can. Benedet-to Menzini, de' quali amendue abbiam le vite tra quelledegli Arcadi illustri, e tra quelle scritte da monsig. Fab-broni (Vita Italor. t. 7, p. 264, ec., 293, ec.). Vincenzonato in Firenze a' 30 di dicembre del 1642 dal senatorBraccio e da Caterina Spini, fino da' primi anni e allepubbliche scuole della patria e all'università di Pisa diègrandi pruove di un raro talento, di un'insaziabile aviditàdi studiare, e insieme di una fervente pietà, che accom-pagnollo poscia nel decorso tutto della sua vita. In età di31 anni prese a sua moglie Anna Capponi, e continuòciò non ostante a vivere lungamente in un tranquillo riti-ro, dividendo il tempo tra gli studj della poesia, tra' do-veri del padre di famiglia, e tra gli esercizj della Reli-gione. Lontano da ogni jattanza, appena ardiva di mo-strare le sue poesie ad alcuni pochi amici, perchè essi ledisaminassero severamente. Ma le belle canzoni da luicomposte in occasion dell'assedio di Vienna, quasi suomalgrado il renderono famoso al mondo, e le lettere alui scritte dall'imp. Leopoldo, dal re di Polonia, e dalduca di Lorena fanno conoscere qual esse destasseromaraviglia in ogni parte d'Europa. La reina di Svezia nefu ella ancora così rapita, che ne scrisse al Filicaia, con-

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Elogio delsenator Fi-licaia.

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gratulandosi, e avendo poscia da lui avuta la magnificacanzone in sua lode, il ricolmò di onori, lo ascrisse, ben-chè assente, alla sua Accademia, e volle incaricarsi dimantenerne i figli, come fossero suoi, e il fece, finchèebbe vita, comandando però a Vincenzo di non palesarequesto suo beneficio, perchè, dicea ella, sarebbesi ver-gognata se si fosse saputo che sì poco ella facea per unuomo sì grande. Dal gran duca onorato della carica disenatore, fu anche impiegato ne' governi di Volterra e diPisa, nell'impiego di segretario delle tratte, e in altri co-spicui magistrati, e in tutti ei soddisfece sì esattamente a'suoi doveri, che insiem colla grazia del principe ottennenon solo la stima, ma l'amore ancora e la tenerezza de'popoli che il rimiravano come lor padre, e che nell'amo-re della giustizia, nella soavità del tratto, nella compas-sione verso gl'infelici, e in tutte le altre amabili doti, dicui il senator Vincenzo era mirabilmente adorno, trova-vano il più dolce sollievo ne' lor bisogni. Così amato estimato da' grandi non men che da' piccioli, e caro a Diougualmente che agli uomini, visse il senatore da Filicaiafino all'anno 65 della età sua, e a' 25 di settembre del1707 chiuse co' più sinceri contrassegni di una ferventepietà i suoi giorni, pianto non solo da' suoi concittadini,ma da quanti erano allora in Europa amanti delle buonelettere e della toscana poesia. E ne fu egli infatti uno de'principali ornamenti. Nelle canzoni non meno che ne'sonetti egli è sublime, vivace, energico, maestoso, e inciò che è forza di sentimenti e gravità di stile, non haforse chi il superi. Se ne hanno ancora alle stampe Poe-

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gratulandosi, e avendo poscia da lui avuta la magnificacanzone in sua lode, il ricolmò di onori, lo ascrisse, ben-chè assente, alla sua Accademia, e volle incaricarsi dimantenerne i figli, come fossero suoi, e il fece, finchèebbe vita, comandando però a Vincenzo di non palesarequesto suo beneficio, perchè, dicea ella, sarebbesi ver-gognata se si fosse saputo che sì poco ella facea per unuomo sì grande. Dal gran duca onorato della carica disenatore, fu anche impiegato ne' governi di Volterra e diPisa, nell'impiego di segretario delle tratte, e in altri co-spicui magistrati, e in tutti ei soddisfece sì esattamente a'suoi doveri, che insiem colla grazia del principe ottennenon solo la stima, ma l'amore ancora e la tenerezza de'popoli che il rimiravano come lor padre, e che nell'amo-re della giustizia, nella soavità del tratto, nella compas-sione verso gl'infelici, e in tutte le altre amabili doti, dicui il senator Vincenzo era mirabilmente adorno, trova-vano il più dolce sollievo ne' lor bisogni. Così amato estimato da' grandi non men che da' piccioli, e caro a Diougualmente che agli uomini, visse il senatore da Filicaiafino all'anno 65 della età sua, e a' 25 di settembre del1707 chiuse co' più sinceri contrassegni di una ferventepietà i suoi giorni, pianto non solo da' suoi concittadini,ma da quanti erano allora in Europa amanti delle buonelettere e della toscana poesia. E ne fu egli infatti uno de'principali ornamenti. Nelle canzoni non meno che ne'sonetti egli è sublime, vivace, energico, maestoso, e inciò che è forza di sentimenti e gravità di stile, non haforse chi il superi. Se ne hanno ancora alle stampe Poe-

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sie latine, scritte esse ancora con eleganza, e qualcheOrazione, e alcune Lettere inserite nelle Prose fiorenti-ne.

XIII. Il Menzini ancora ebbe per patria Fi-renze, e vi nacque di poveri genitori a' 29 dimarzo del 1646. A dispetto della sua pover-tà, volle coltivare gli studj, e sì nelle pubbli-

che scuole, come nelle letterarie adunanze, alle qualipresto cominciò a intervenire, fece concepir di se stessosì liete speranze, che il march. Gianvincenzo Salviati selprese amorevolmente in casa, e gli diè agio di coltivare isuoi talenti. Fu poi destinato in età ancor giovanile adessere pubblico professore d'eloquenza in Firenze e inPrato, e in più occasioni ei fece conoscere quanto beneei possedesse quell'arte che agli altri insegnava. Bramòegli di esser promosso a qualche cattedra nell'universitàdi Pisa; ma poichè vide, non ostante la protezione el'amore di molti ragguardevoli personaggi, di cui godea,deluse le sue speranze, sdegnato, abbandonò la patria, esovvenuto di denaro dalla gran duchessa Vittoria dallaRovere, nel 1685 andossene a Roma, ove, per opera delcard. Decio Azolini, la reina di Svezia il prese al suoservigio, e lo ammise alla celebre sua Accademia. Lietoil Menzini della sua sorte, attese più tranquillamente a'suoi studj e furono questi gli anni ne' quali scrisse lamaggior parte delle sue poesie. Ma non durò molto lasua fortuna, e morta nel 1689 quella gran protettrice de'

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Di Bene-detto Men-zini.

sie latine, scritte esse ancora con eleganza, e qualcheOrazione, e alcune Lettere inserite nelle Prose fiorenti-ne.

XIII. Il Menzini ancora ebbe per patria Fi-renze, e vi nacque di poveri genitori a' 29 dimarzo del 1646. A dispetto della sua pover-tà, volle coltivare gli studj, e sì nelle pubbli-

che scuole, come nelle letterarie adunanze, alle qualipresto cominciò a intervenire, fece concepir di se stessosì liete speranze, che il march. Gianvincenzo Salviati selprese amorevolmente in casa, e gli diè agio di coltivare isuoi talenti. Fu poi destinato in età ancor giovanile adessere pubblico professore d'eloquenza in Firenze e inPrato, e in più occasioni ei fece conoscere quanto beneei possedesse quell'arte che agli altri insegnava. Bramòegli di esser promosso a qualche cattedra nell'universitàdi Pisa; ma poichè vide, non ostante la protezione el'amore di molti ragguardevoli personaggi, di cui godea,deluse le sue speranze, sdegnato, abbandonò la patria, esovvenuto di denaro dalla gran duchessa Vittoria dallaRovere, nel 1685 andossene a Roma, ove, per opera delcard. Decio Azolini, la reina di Svezia il prese al suoservigio, e lo ammise alla celebre sua Accademia. Lietoil Menzini della sua sorte, attese più tranquillamente a'suoi studj e furono questi gli anni ne' quali scrisse lamaggior parte delle sue poesie. Ma non durò molto lasua fortuna, e morta nel 1689 quella gran protettrice de'

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Di Bene-detto Men-zini.

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dotti, il Menzini trovossi povero e disagiato. Paolo Fal-conieri splendido cavaliere, che ivi vivea, il card. Corsi-ni e monsig. Alessandro Falconieri, poi cardinale, furo-no i soli da' quali ebbe allora il Manzini qualche soccor-so, ed ei fu costretto per vivere a prestare il suo ingegnoe le sue fatiche ad altri, componendo ciò che gli venivarichiesto; e volsi che giugnesse a dettare un intero Qua-resimale ad uno che volendo comparire eloquente orato-re, non avea altro mezzo per ottenerlo che la sua borsa.Nel 1691 il card. Ragotzchi primate della Polonia invi-tollo ad andar seco in quel regno col carattere di suo se-gretario; ma non avendo ei voluto lasciar l'Italia, trovòfinalmente nel card. Gianfrancesco Albani, che fu poiClemente XI, un amorevole protettore che gli ottennedal pontef. Innocenzo XII un luogo tra' suoi famigliari eun canonicato nella chiesa di s. Angelo in Pescheria, eoltre ciò nel 1701 fu nominato coadiutore nella cattedrad'eloquenza nella Sapienza di Roma del can. MicheleBrugueres, a cui le sue malattie non permettevano più disostener quell'impiego. Ma poco tempo il sostenne an-che il Menzini; che a' 7 di settembre del 1708, in età di59 anni, finì di vivere. Appena vi ebbe genere di poesiaitaliana, in cui Menzini non si esercitasse. Le sue Can-zoni pindariche non hanno quella elevatezza d'idee, nèquella rapidità di voli che si ammira nel Chiabrera e nelFilicaia, ma hanno esse nondimeno e condotta ed estroed eleganza che le rende degne di aver luogo tra le mi-gliori. Nelle Canzoni anacreontiche, ne' Sonetti pastora-li, nelle Elegie, negl'Inni sacri, egli ha pochi che il pa-

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dotti, il Menzini trovossi povero e disagiato. Paolo Fal-conieri splendido cavaliere, che ivi vivea, il card. Corsi-ni e monsig. Alessandro Falconieri, poi cardinale, furo-no i soli da' quali ebbe allora il Manzini qualche soccor-so, ed ei fu costretto per vivere a prestare il suo ingegnoe le sue fatiche ad altri, componendo ciò che gli venivarichiesto; e volsi che giugnesse a dettare un intero Qua-resimale ad uno che volendo comparire eloquente orato-re, non avea altro mezzo per ottenerlo che la sua borsa.Nel 1691 il card. Ragotzchi primate della Polonia invi-tollo ad andar seco in quel regno col carattere di suo se-gretario; ma non avendo ei voluto lasciar l'Italia, trovòfinalmente nel card. Gianfrancesco Albani, che fu poiClemente XI, un amorevole protettore che gli ottennedal pontef. Innocenzo XII un luogo tra' suoi famigliari eun canonicato nella chiesa di s. Angelo in Pescheria, eoltre ciò nel 1701 fu nominato coadiutore nella cattedrad'eloquenza nella Sapienza di Roma del can. MicheleBrugueres, a cui le sue malattie non permettevano più disostener quell'impiego. Ma poco tempo il sostenne an-che il Menzini; che a' 7 di settembre del 1708, in età di59 anni, finì di vivere. Appena vi ebbe genere di poesiaitaliana, in cui Menzini non si esercitasse. Le sue Can-zoni pindariche non hanno quella elevatezza d'idee, nèquella rapidità di voli che si ammira nel Chiabrera e nelFilicaia, ma hanno esse nondimeno e condotta ed estroed eleganza che le rende degne di aver luogo tra le mi-gliori. Nelle Canzoni anacreontiche, ne' Sonetti pastora-li, nelle Elegie, negl'Inni sacri, egli ha pochi che il pa-

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reggino, forse niuno che il superi: così vedesi in questicomponimenti tutto il gusto e tutta le delicatezza de'Greci. La sua Poetica in terza rima, e per l'eleganza del-lo stile e per l'utilità de' precetti, è una delle più prege-voli che abbia la nostra lingua. Nelle Satire italiane einon ha chi gli possa stare a confronto; e solo ad esse siaccostano quelle di Lodovico Adimari, da noi nominatopoc'anzi, e più da lungi quelle di Salvator Rosa poeta epittore napoletano, e più celebre per la pittura che per lapoesia, morto in Roma nel 1675. Ei volle ancora provar-si nel genere epico, e intraprese un poema sul Paradisoterrestre; ma ne scrisse tre libri soli, i quali, benchè ab-bian più tratti degni del loro autore, ci mostran però,ch'egli era più felice ne' brevi componimenti, e in que'che richieggono lungo lavoro. La sua Accademia tusco-lana è un'imitazion dell'Arcadia del Sannazzaro, taleperò, ch'è appunto come una copia, per altro di moltopregio, in confronto al suo originale. Ei fu per ultimoscrittore elegante anche in latino, come ci scuoprono lemolte cose da lui in quella lingua scritte sì in prosa chein verso. Tutte le opere di questo valoroso poeta sonostate insieme riunite, e in quattro tomi stampate in Fi-renze nel 1731.

XIV. Mentre il Menzini faceva ammirare a Roma i poe-tici suoi talenti, più altri valorosi poeti erano ivi raccolti,che sotto la protezione della reina Cristina, e poscia delpontef. Clemente XI, faceano risorgere all'antico suo

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reggino, forse niuno che il superi: così vedesi in questicomponimenti tutto il gusto e tutta le delicatezza de'Greci. La sua Poetica in terza rima, e per l'eleganza del-lo stile e per l'utilità de' precetti, è una delle più prege-voli che abbia la nostra lingua. Nelle Satire italiane einon ha chi gli possa stare a confronto; e solo ad esse siaccostano quelle di Lodovico Adimari, da noi nominatopoc'anzi, e più da lungi quelle di Salvator Rosa poeta epittore napoletano, e più celebre per la pittura che per lapoesia, morto in Roma nel 1675. Ei volle ancora provar-si nel genere epico, e intraprese un poema sul Paradisoterrestre; ma ne scrisse tre libri soli, i quali, benchè ab-bian più tratti degni del loro autore, ci mostran però,ch'egli era più felice ne' brevi componimenti, e in que'che richieggono lungo lavoro. La sua Accademia tusco-lana è un'imitazion dell'Arcadia del Sannazzaro, taleperò, ch'è appunto come una copia, per altro di moltopregio, in confronto al suo originale. Ei fu per ultimoscrittore elegante anche in latino, come ci scuoprono lemolte cose da lui in quella lingua scritte sì in prosa chein verso. Tutte le opere di questo valoroso poeta sonostate insieme riunite, e in quattro tomi stampate in Fi-renze nel 1731.

XIV. Mentre il Menzini faceva ammirare a Roma i poe-tici suoi talenti, più altri valorosi poeti erano ivi raccolti,che sotto la protezione della reina Cristina, e poscia delpontef. Clemente XI, faceano risorgere all'antico suo

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Page 178: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

vanto la volgar poesia, e la vendicavano da-gli oltraggi che il reo gusto di più altri poetile avea recato. Molti potrei io qui indicarne,ma perchè non debbo ragionar di coloro chevissero ancora non pochi anni nel nostro se-colo, a soli due mi ristringo, cioè ad Ales-

sandro Guidi, e all'avv. Giambattista Felice Zappi. Delprimo, oltre agli scrittori, ci ha data la Vita il più voltelodato monsig. Fabbroni (Vit. Italor. ec. dec. 3, p. 223,ec.). Nato in Pavia nel 1650, passò in età ancor fresca aParma, ove dal duca Ranuccio II fu amorevolmente ac-colto e onorato, e ove egli, giovane di 31 anni, pubblicòalcune sue Poesie liriche e un dramma intitolato Amala-sunta in Italia. I quali componimenti però eran nello sti-le conformi al gusto comune. Ma poichè da Parma passòa Roma, e dalla reina Cristina col consenso del duca Ra-nuccio fu alla sua corte fermato nel 1685, egli unitosicon alcuni altri valorosi poeti, cospirò con essi a fare larivoluzione e il cambiamento totale del gusto nella vol-gar poesia; e tutto diessi all'imitazione di Pindaro. Parvea lui che il numero determinato de' versi di ciaschedunastanza nelle canzoni e la stabile collocazion delle rimefosse troppo importuno legame a' voli di un ardito poe-ta; e perciò ebbe coraggio di scuotere il giogo, e di nonastringersi ad altre leggi, se non a quelle che il suo estrogli suggeriva, facendo or più brevi or più lunghe le stan-ze, e cambiando, come parevagli, l'ordine delle rime.Questa novità, come suole accadere, ebbe approvatori econtraddittori; ma i secondi furono in numero maggior

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Poeti pro-tetti dallareina Cristi-na: Ales-sandro Gui-di.

vanto la volgar poesia, e la vendicavano da-gli oltraggi che il reo gusto di più altri poetile avea recato. Molti potrei io qui indicarne,ma perchè non debbo ragionar di coloro chevissero ancora non pochi anni nel nostro se-colo, a soli due mi ristringo, cioè ad Ales-

sandro Guidi, e all'avv. Giambattista Felice Zappi. Delprimo, oltre agli scrittori, ci ha data la Vita il più voltelodato monsig. Fabbroni (Vit. Italor. ec. dec. 3, p. 223,ec.). Nato in Pavia nel 1650, passò in età ancor fresca aParma, ove dal duca Ranuccio II fu amorevolmente ac-colto e onorato, e ove egli, giovane di 31 anni, pubblicòalcune sue Poesie liriche e un dramma intitolato Amala-sunta in Italia. I quali componimenti però eran nello sti-le conformi al gusto comune. Ma poichè da Parma passòa Roma, e dalla reina Cristina col consenso del duca Ra-nuccio fu alla sua corte fermato nel 1685, egli unitosicon alcuni altri valorosi poeti, cospirò con essi a fare larivoluzione e il cambiamento totale del gusto nella vol-gar poesia; e tutto diessi all'imitazione di Pindaro. Parvea lui che il numero determinato de' versi di ciaschedunastanza nelle canzoni e la stabile collocazion delle rimefosse troppo importuno legame a' voli di un ardito poe-ta; e perciò ebbe coraggio di scuotere il giogo, e di nonastringersi ad altre leggi, se non a quelle che il suo estrogli suggeriva, facendo or più brevi or più lunghe le stan-ze, e cambiando, come parevagli, l'ordine delle rime.Questa novità, come suole accadere, ebbe approvatori econtraddittori; ma i secondi furono in numero maggior

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Poeti pro-tetti dallareina Cristi-na: Ales-sandro Gui-di.

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che i primi, e avvenne perciò, che l'esempio del Guidinon avesse seguaci. E forse egli avrebbe in ciò avutosorte migliore, se una certa alterigia pindarica, con cuiegli parlava e scriveva di se medesimo, e che apparivaancor più spiacevole in un uomo, qual egli era di aspettodeforme, non l'avesse renduto odioso e oggetto deglischerzi e delle satire di molti, e fra gli altri del famosoSettano. Ciò non ostante, è certo che le Poesie del Guidison piene di entusiasmo e di forza, e ch'egli è uno de'pochi che felicemente han saputo trasfondere nell'italia-na poesia l'estro e 'l fuoco di Pindaro. Per comando dellareina egli scrisse ancor l'Endimione, dramma pastorale,in cui la stessa Cristina non si sdegnò d'inserire alcunisuoi versi. Volle ancora scrivere una tragedia, prenden-done l'argomento dalle vicende di Sofonisba, ma dissua-so dagli amici a continuar quel lavoro, per cui non parvedisposto dalla natura, si volse invece a tradurre i Salmi.Ma anche questa fatica dovette interrompere, richiamatoa Pavia sua patria, e destinato a trattare presso il princi-pe Eugenio governatore della Lombardia la diminuzionede' pubblici aggravj. Nel che egli fu sì felice, che n'ebbein ricompensa l'onore di esser posto nel numero de' pa-trizj pavesi. Tornato a Roma, diessi a compire la tradu-zione già cominciata delle Omelie di Clemente XI. Que-sta traduzione però non solo non ottenne al Guidi quelfrutto che ne sperava, ma gli fu anche fatale; perciocchèessendo essa stampata e volendone egli offrir copia alpontefice che allora villeggiava in Castel Gandolfo, perviaggio leggendo il suo libro, vi trovò qualche errore di

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che i primi, e avvenne perciò, che l'esempio del Guidinon avesse seguaci. E forse egli avrebbe in ciò avutosorte migliore, se una certa alterigia pindarica, con cuiegli parlava e scriveva di se medesimo, e che apparivaancor più spiacevole in un uomo, qual egli era di aspettodeforme, non l'avesse renduto odioso e oggetto deglischerzi e delle satire di molti, e fra gli altri del famosoSettano. Ciò non ostante, è certo che le Poesie del Guidison piene di entusiasmo e di forza, e ch'egli è uno de'pochi che felicemente han saputo trasfondere nell'italia-na poesia l'estro e 'l fuoco di Pindaro. Per comando dellareina egli scrisse ancor l'Endimione, dramma pastorale,in cui la stessa Cristina non si sdegnò d'inserire alcunisuoi versi. Volle ancora scrivere una tragedia, prenden-done l'argomento dalle vicende di Sofonisba, ma dissua-so dagli amici a continuar quel lavoro, per cui non parvedisposto dalla natura, si volse invece a tradurre i Salmi.Ma anche questa fatica dovette interrompere, richiamatoa Pavia sua patria, e destinato a trattare presso il princi-pe Eugenio governatore della Lombardia la diminuzionede' pubblici aggravj. Nel che egli fu sì felice, che n'ebbein ricompensa l'onore di esser posto nel numero de' pa-trizj pavesi. Tornato a Roma, diessi a compire la tradu-zione già cominciata delle Omelie di Clemente XI. Que-sta traduzione però non solo non ottenne al Guidi quelfrutto che ne sperava, ma gli fu anche fatale; perciocchèessendo essa stampata e volendone egli offrir copia alpontefice che allora villeggiava in Castel Gandolfo, perviaggio leggendo il suo libro, vi trovò qualche errore di

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stampa; di che fu oltremodo afflitto; e giunto a Frascati,mentre ivi si trattiene, fu sorpreso da un colpo d'apople-sa, che a' 12 di giugno del 1712 il tolse di vita.

XV. Il secondo de' due poeti or mentovati,cioè l'avv. Zappi, ebbe a sua patria Imola,ove quella famiglia ha luogo tra le nobili, e

fu allevato in Bologna nel collegio Montalto, ove nellelettere e nelle scienze fece sì rapidi e sì maravigliosiprogressi, che in età di soli 13 anni vi ricevette la laurea.Passò indi a Roma, per esercitarvi la profession di avvo-cato, in cui si occupò, finchè ebbe vita, ed ebbe in pre-mio del suo molto saper nelle leggi le cariche di asses-sore nel tribunale dell'agricoltura, e di fiscale in quellodelle strade. Ma lo studio prediletto del Zappi era quellodella volgar poesia; nella quale sì felicemente scriveva,che i componimenti di esso erano altamente ammirati eapplauditi nelle letterarie adunanze, alle quali egli inter-veniva. Fu uno de' fondatori dell'Arcadia, la quale nonpoco dovette a lui della fama che presto ottenne. Fre-quentò ancora l'Accademia de' Concilj fondata nel colle-gio de Propaganda, e vi lesse più volte erudite disserta-zioni su diversi argomenti di storia e disciplina ecclesia-stica. Prese a sua moglie Faustina figlia del celebre cav.Maratti, la quale, come nelle virtù, così ancor nel talentodi poetare, gareggiò col marito, e più anni poscia gli so-pravvisse. Caro ai più ragguardevol personaggi, e singo-larmente al pontef. Clemente XI, e amato da tutti i dotti

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L'avvocatoZappi.

stampa; di che fu oltremodo afflitto; e giunto a Frascati,mentre ivi si trattiene, fu sorpreso da un colpo d'apople-sa, che a' 12 di giugno del 1712 il tolse di vita.

XV. Il secondo de' due poeti or mentovati,cioè l'avv. Zappi, ebbe a sua patria Imola,ove quella famiglia ha luogo tra le nobili, e

fu allevato in Bologna nel collegio Montalto, ove nellelettere e nelle scienze fece sì rapidi e sì maravigliosiprogressi, che in età di soli 13 anni vi ricevette la laurea.Passò indi a Roma, per esercitarvi la profession di avvo-cato, in cui si occupò, finchè ebbe vita, ed ebbe in pre-mio del suo molto saper nelle leggi le cariche di asses-sore nel tribunale dell'agricoltura, e di fiscale in quellodelle strade. Ma lo studio prediletto del Zappi era quellodella volgar poesia; nella quale sì felicemente scriveva,che i componimenti di esso erano altamente ammirati eapplauditi nelle letterarie adunanze, alle quali egli inter-veniva. Fu uno de' fondatori dell'Arcadia, la quale nonpoco dovette a lui della fama che presto ottenne. Fre-quentò ancora l'Accademia de' Concilj fondata nel colle-gio de Propaganda, e vi lesse più volte erudite disserta-zioni su diversi argomenti di storia e disciplina ecclesia-stica. Prese a sua moglie Faustina figlia del celebre cav.Maratti, la quale, come nelle virtù, così ancor nel talentodi poetare, gareggiò col marito, e più anni poscia gli so-pravvisse. Caro ai più ragguardevol personaggi, e singo-larmente al pontef. Clemente XI, e amato da tutti i dotti

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L'avvocatoZappi.

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non sol di Roma e dell'Italia, ma dagli stranieri ancora,che il conoscevan per fama, godeva il più dolce fruttoche da' suoi studj bramar potesse, quando un'immaturamorte il venne a rapire in età di soli 52 anni, a' 30 di lu-glio del 1719. Non molte sono le Poesie dell'avv. Zappi,che han veduta luce; ma esse son tali che lo agguaglianoa' più illustri poeti. O egli s'innalzi collo stile a' piùgrandi e a' più sublimi oggetti, o scherzi in argomentipiacevoli ed amorosi, egli è ugualmente felice; e comene' primi egli è pien d'estro e di fuoco, così ne' seconditutto è venustà, grazia e naturalezza. Le stesse critichefatte ad alcuni de' suoi più famosi sonetti, son pruovadella loro bellezza, poichè eccellente convien dire chesia un componimento ch'esaminato con tutto il rigore,trovasi avere solo qualche sì picciola macchia, che rima-ne ancor dubbioso se essa sia neo, ovvero ornamento.

XVI. Benchè quasi tutti i poeti finor nomi-nati fiorissero o nella Toscana, o nello Statopontificio, la Lombardia non ne fu priva del

tutto, e due singolarmente n'ebbe sul fine di questo seco-lo, da' quali in gran parte ella dee riconoscere il risorgi-mento del buon gusto da molti anni dimenticato. Il pri-mo è il celebre Carlo Maria Maggi segretario del Senatodi Milano sua patria, professore di lingua greca nellescuole palatine, e morto nel 1699 in età di 69 anni. IlMuratori, che gli fu amicissimo, ne ha scritta la Vita, laqual si legge innanzi al primo de' cinque tomi delle Poe-

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Poeti in Lombardia.

non sol di Roma e dell'Italia, ma dagli stranieri ancora,che il conoscevan per fama, godeva il più dolce fruttoche da' suoi studj bramar potesse, quando un'immaturamorte il venne a rapire in età di soli 52 anni, a' 30 di lu-glio del 1719. Non molte sono le Poesie dell'avv. Zappi,che han veduta luce; ma esse son tali che lo agguaglianoa' più illustri poeti. O egli s'innalzi collo stile a' piùgrandi e a' più sublimi oggetti, o scherzi in argomentipiacevoli ed amorosi, egli è ugualmente felice; e comene' primi egli è pien d'estro e di fuoco, così ne' seconditutto è venustà, grazia e naturalezza. Le stesse critichefatte ad alcuni de' suoi più famosi sonetti, son pruovadella loro bellezza, poichè eccellente convien dire chesia un componimento ch'esaminato con tutto il rigore,trovasi avere solo qualche sì picciola macchia, che rima-ne ancor dubbioso se essa sia neo, ovvero ornamento.

XVI. Benchè quasi tutti i poeti finor nomi-nati fiorissero o nella Toscana, o nello Statopontificio, la Lombardia non ne fu priva del

tutto, e due singolarmente n'ebbe sul fine di questo seco-lo, da' quali in gran parte ella dee riconoscere il risorgi-mento del buon gusto da molti anni dimenticato. Il pri-mo è il celebre Carlo Maria Maggi segretario del Senatodi Milano sua patria, professore di lingua greca nellescuole palatine, e morto nel 1699 in età di 69 anni. IlMuratori, che gli fu amicissimo, ne ha scritta la Vita, laqual si legge innanzi al primo de' cinque tomi delle Poe-

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Poeti in Lombardia.

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sie di esso, stampate in Milano nel 1700. E nella suaopera ancora della Perfetta Poesia ne parla spesso conmolta lode, e spesso reca, come ottimi esemplari, i so-netti e le canzoni di questo poeta. Ma pare che l'amiciziaabbia avuta non picciola parte in tali elogi; perciocchè,comunque sia vero che non manchi loro comunementecomunità di sentimenti e regolarità di condotta, è certoancora, e lo stesso Muratori il confessa (Perf. Poes. t. 1,p. 31), che lo stile non è abbastanza sublime, nè figura-to, nè così vivace la fantasia, come si converrebbe. Piùpregevoli nel loro genere sono le Commedie nel dialettomilanese da lui composte, nelle quali vedesi una natura-lezza e una grazia non ordinaria, e quella piacevol satirade' costumi, che diletta insieme e istruisce. L'altro fu ilco. Francesco de Lemene natio di Lodi, e ivi passato amiglior vita in età di 70 anni, a' 24 di luglio del 1704,uomo che per amabilità di maniere, per probità di costu-mi, per felicità di talento ebbe pochi pari a suo tempo.Le Memorie d'alcune virtù del Sig. Conte Francesco deLemene con alcune riflessioni sulle sue Poesie del p.Tommaso Ceva gesuita, stampate in Milano nel 1706,sono al tempo medesimo un de' più begli elogi che adun poeta si possan fare, e uno de' libri intorno all'artepoetica più vantaggiosi che abbian veduta la luce. Il p.Ceva, che si può dir con ragione il poeta della natura,perchè niuno più felicemente di lui l'ha condotta edespressa nelle sue Poesie latine, e singolarmente nellesue leggiadrissime Selve, nel rilevare i pregi delle Rimedi questo valoroso poeta, vien facendo riflessioni sì fine,

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sie di esso, stampate in Milano nel 1700. E nella suaopera ancora della Perfetta Poesia ne parla spesso conmolta lode, e spesso reca, come ottimi esemplari, i so-netti e le canzoni di questo poeta. Ma pare che l'amiciziaabbia avuta non picciola parte in tali elogi; perciocchè,comunque sia vero che non manchi loro comunementecomunità di sentimenti e regolarità di condotta, è certoancora, e lo stesso Muratori il confessa (Perf. Poes. t. 1,p. 31), che lo stile non è abbastanza sublime, nè figura-to, nè così vivace la fantasia, come si converrebbe. Piùpregevoli nel loro genere sono le Commedie nel dialettomilanese da lui composte, nelle quali vedesi una natura-lezza e una grazia non ordinaria, e quella piacevol satirade' costumi, che diletta insieme e istruisce. L'altro fu ilco. Francesco de Lemene natio di Lodi, e ivi passato amiglior vita in età di 70 anni, a' 24 di luglio del 1704,uomo che per amabilità di maniere, per probità di costu-mi, per felicità di talento ebbe pochi pari a suo tempo.Le Memorie d'alcune virtù del Sig. Conte Francesco deLemene con alcune riflessioni sulle sue Poesie del p.Tommaso Ceva gesuita, stampate in Milano nel 1706,sono al tempo medesimo un de' più begli elogi che adun poeta si possan fare, e uno de' libri intorno all'artepoetica più vantaggiosi che abbian veduta la luce. Il p.Ceva, che si può dir con ragione il poeta della natura,perchè niuno più felicemente di lui l'ha condotta edespressa nelle sue Poesie latine, e singolarmente nellesue leggiadrissime Selve, nel rilevare i pregi delle Rimedi questo valoroso poeta, vien facendo riflessioni sì fine,

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e tratte sì bene dall'indole del cuore umano, che questolibretto è, a mio parere, assai più utile di molte Poetiche,le quali altro non contengono che innutili speculazioni.Il co. De Lemene ardì il primo di esporre in sonetti e incanzoni i più augusti e i più profondi misteri della Reli-gione rivelata, e benchè lo stile non ne sia sempre coltis-simo, e vi si possa bramare un estro più vivo, nondime-no non pochi sono i pregi di queste Rime, attesa singo-larmente la difficoltà dell'argomento. Ma alcuni madri-gali da lui in esse inseriti, e altri somiglianti brevi com-ponimenti, ove descrivonsi piacevoli scherzi di fanciulli,di pastori, di ninfe, sono di una tal grazia e di una taleveramente greca eleganza, ch'io non so se la poesia ita-liana ne abbia altri che a lor si possano contrapporre.

XVII. Come il numero de' poeti non fu inquesto secolo inferiore a quello del prece-dente, ma di molto minore ne fu l'eccellen-za, così ancora non mancò a questi tempi

all'Italia copioso numero di poetesse, ma tra esse piùnon veggiamo una Colonna, una Gambara, una Stampa.Molte ne annovera il Quadrio (t. 2, p. 286), come Lucre-zia Marinella nata in Venezia di padre modenese 47, Luc-chesia Sbarra natia di Conegliano, Veneranda Bragadina

47 Veggasi nella Biblioteca modenese l'articolo della Marinella (t. 3, p. 159)e così pure quello in cui si è a lungo trattato di Veronica Maleguzzi pocoappresso nominata (ivi p. 128), che fu un prodigio d'ingegno, finchè visseal secolo, e che poi venne a nascondere i suoi talenti e a vivere santamen-te in questo monastero della Visitazione.

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Elogio di alcune poe-tesse.

e tratte sì bene dall'indole del cuore umano, che questolibretto è, a mio parere, assai più utile di molte Poetiche,le quali altro non contengono che innutili speculazioni.Il co. De Lemene ardì il primo di esporre in sonetti e incanzoni i più augusti e i più profondi misteri della Reli-gione rivelata, e benchè lo stile non ne sia sempre coltis-simo, e vi si possa bramare un estro più vivo, nondime-no non pochi sono i pregi di queste Rime, attesa singo-larmente la difficoltà dell'argomento. Ma alcuni madri-gali da lui in esse inseriti, e altri somiglianti brevi com-ponimenti, ove descrivonsi piacevoli scherzi di fanciulli,di pastori, di ninfe, sono di una tal grazia e di una taleveramente greca eleganza, ch'io non so se la poesia ita-liana ne abbia altri che a lor si possano contrapporre.

XVII. Come il numero de' poeti non fu inquesto secolo inferiore a quello del prece-dente, ma di molto minore ne fu l'eccellen-za, così ancora non mancò a questi tempi

all'Italia copioso numero di poetesse, ma tra esse piùnon veggiamo una Colonna, una Gambara, una Stampa.Molte ne annovera il Quadrio (t. 2, p. 286), come Lucre-zia Marinella nata in Venezia di padre modenese 47, Luc-chesia Sbarra natia di Conegliano, Veneranda Bragadina

47 Veggasi nella Biblioteca modenese l'articolo della Marinella (t. 3, p. 159)e così pure quello in cui si è a lungo trattato di Veronica Maleguzzi pocoappresso nominata (ivi p. 128), che fu un prodigio d'ingegno, finchè visseal secolo, e che poi venne a nascondere i suoi talenti e a vivere santamen-te in questo monastero della Visitazione.

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Elogio di alcune poe-tesse.

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Cavalli gentildonna veneta, Chiara Fontanella Zobolidama reggiana, Margherita Costa, Caterina Costanza na-poletana, Marta Marchina parimente napoletana conampio elogio lodata dall'Eritreo (Pinacoth. pars 3, n.64), Leonora Gonzaga principessa di Mantova, e poimoglie dell'imp. Ferdinando III, Maria Antonia ScaleraStellini da Acquaviva nella Puglia, Francesca e IsabellaFarnesi romane, Giovanna Geltrude Rubino palermita-na, Maria Porzia Vignoli romana e monaca domenicana,Veronica Maleguzzi Valeri dama reggiana, che oltre lapoesia coltivò ancora le scienze più gravi, e innanzi apiù principi ne sostenne solenni dispute in Reggio, maposcia rinunciando alle pompe e agli onori, si rendettemonaca in questo monastero della Visitazione di Mode-na (V. Guasco Stor. letter. di Regg. p. 353), Maria ElenaLusignani genovese, dotta ancor in greco e in latino, eche meritò gli elogi del p. Montfaucon (Diar. italic. p.25), Margherita Sarrocchi napoletana, di cui non troppoonorevolmente, quanto a' costumi, ragiona l'Eritreo (Pi-nacoth. pars 1, p. 259), e che volendo gareggiar col Ma-rini, si accinse a scrivere un poema epico, intitolato laScanderbeide, stampato in Roma nel 1623, e moltissimealtre, le Rime delle quali si leggono nella Raccolta chedelle illustri Rimatrici d'ogni secolo ha pubblicata nel1726 una di esse, cioè Lovisa Bergalli. Niuna però fra ledonne di questo secolo fu tanto onorata di elogi ed'applausi, quanto Elena Cornaro Piscopia gentildonnanobilissima veneziana, figlia di Giambattista procuratordi s. Marco, e nata in Venezia a' 5 di giugno del 1646.

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Cavalli gentildonna veneta, Chiara Fontanella Zobolidama reggiana, Margherita Costa, Caterina Costanza na-poletana, Marta Marchina parimente napoletana conampio elogio lodata dall'Eritreo (Pinacoth. pars 3, n.64), Leonora Gonzaga principessa di Mantova, e poimoglie dell'imp. Ferdinando III, Maria Antonia ScaleraStellini da Acquaviva nella Puglia, Francesca e IsabellaFarnesi romane, Giovanna Geltrude Rubino palermita-na, Maria Porzia Vignoli romana e monaca domenicana,Veronica Maleguzzi Valeri dama reggiana, che oltre lapoesia coltivò ancora le scienze più gravi, e innanzi apiù principi ne sostenne solenni dispute in Reggio, maposcia rinunciando alle pompe e agli onori, si rendettemonaca in questo monastero della Visitazione di Mode-na (V. Guasco Stor. letter. di Regg. p. 353), Maria ElenaLusignani genovese, dotta ancor in greco e in latino, eche meritò gli elogi del p. Montfaucon (Diar. italic. p.25), Margherita Sarrocchi napoletana, di cui non troppoonorevolmente, quanto a' costumi, ragiona l'Eritreo (Pi-nacoth. pars 1, p. 259), e che volendo gareggiar col Ma-rini, si accinse a scrivere un poema epico, intitolato laScanderbeide, stampato in Roma nel 1623, e moltissimealtre, le Rime delle quali si leggono nella Raccolta chedelle illustri Rimatrici d'ogni secolo ha pubblicata nel1726 una di esse, cioè Lovisa Bergalli. Niuna però fra ledonne di questo secolo fu tanto onorata di elogi ed'applausi, quanto Elena Cornaro Piscopia gentildonnanobilissima veneziana, figlia di Giambattista procuratordi s. Marco, e nata in Venezia a' 5 di giugno del 1646.

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La Vita che ne hanno scritta il p. Massimiliano Dezzadella Congregazione della Madre di Dio e il p. ab. Bac-chini, le Poesie stampate nella morte di essa, le testimo-nianze che del sapere e delle virtù della medesima sileggono presso mille autori sì italiani che stranieri, ci di-spensano dal dirne qui lungamente. E certo era cosa am-mirabile il vedere una giovane damigella possedere nonsolo le lingue italiana, spagnuola, francese e latina, mala greca ancora e l'ebraica, e avere innoltre qualche co-gnizion dell'arabica, comporre poesie, e cantarle ellastessa, accompagnando maestrevolmente il canto colsuono, parlar dottamente delle più astruse questioni del-la filosofia, della matematica, dell'astronomia, della mu-sica e della teologia, e perciò onorata della laurea consolennissima pompa nel duomo di Padova nel 1678.Questa in una donna sì rara e sì ammirabile erudizionericeveva in Elena un più illustre ornamento da una nonmeno rara ed ammirabil pietà, per cui avendo in età disoli undici anni fatto voto di castità, ricusò poscia co-stantemente ogni più onorevol partito che vennele offer-to, nè volle valersi della dispensa suo malgrado ottenu-tale dal suo voto; anzi bramò di rendersi religiosa, edavendo finalmente ceduto alle preghiere dell'amantissi-mo suo genitore, volle almeno nella paterna sua casa ve-stir l'abito delle monache dell'Ordine di s. Benedetto, eosservarne, come meglio poteva, le leggi. Sparsa perciòla fama del sapere e delle virtù di Elena in ogni parted'Europa, non v'era gran personaggio che venisse in Ita-lia, e non cercasse di conoscerla di presenza e grandi fu-

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La Vita che ne hanno scritta il p. Massimiliano Dezzadella Congregazione della Madre di Dio e il p. ab. Bac-chini, le Poesie stampate nella morte di essa, le testimo-nianze che del sapere e delle virtù della medesima sileggono presso mille autori sì italiani che stranieri, ci di-spensano dal dirne qui lungamente. E certo era cosa am-mirabile il vedere una giovane damigella possedere nonsolo le lingue italiana, spagnuola, francese e latina, mala greca ancora e l'ebraica, e avere innoltre qualche co-gnizion dell'arabica, comporre poesie, e cantarle ellastessa, accompagnando maestrevolmente il canto colsuono, parlar dottamente delle più astruse questioni del-la filosofia, della matematica, dell'astronomia, della mu-sica e della teologia, e perciò onorata della laurea consolennissima pompa nel duomo di Padova nel 1678.Questa in una donna sì rara e sì ammirabile erudizionericeveva in Elena un più illustre ornamento da una nonmeno rara ed ammirabil pietà, per cui avendo in età disoli undici anni fatto voto di castità, ricusò poscia co-stantemente ogni più onorevol partito che vennele offer-to, nè volle valersi della dispensa suo malgrado ottenu-tale dal suo voto; anzi bramò di rendersi religiosa, edavendo finalmente ceduto alle preghiere dell'amantissi-mo suo genitore, volle almeno nella paterna sua casa ve-stir l'abito delle monache dell'Ordine di s. Benedetto, eosservarne, come meglio poteva, le leggi. Sparsa perciòla fama del sapere e delle virtù di Elena in ogni parted'Europa, non v'era gran personaggio che venisse in Ita-lia, e non cercasse di conoscerla di presenza e grandi fu-

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rono singolarmente i contrassegni di onore di stimach'ella ricevette nel 1680 dal card. d'Estrèes che vollefar pruova se veri erano i pregi che ad essa si attribuiva-no, e ne partì altamente maravigliato. Ella venne a mor-te nel fior degli anni, cioè a' 26 di luglio del 1648, quan-do contavane soli 38 di età; e come la morte ne fu con-forme alla santa vita da lei condotta, così ancora le ese-quie e gli onori rendutigli furon corrispondenti alla famadi cui essa godeva. Il suddetto p. abate Bacchini ne rac-colse e ne pubblicò le opere, che sono alcuni Discorsiaccademici italiani, gli Elogi latini di alcuni uomini illu-stri, poche Lettere latine, e la traduzione italiana diun'opera del certosino Laspergio a cui deesi aggiugnerequalche componimento poetico inserito nell'accennataRaccolta della Bergalli. Queste opere nondimeno a menon sembra che adeguin la fama di cui ella godè viven-do, e forse la troppa premura di darle alla luce, ha fattoche questa illustre damigella non sembri or così degnadegli onori che le furono conceduti, quanto parve a co-loro ch'ebber la sorte di viver con lei, e di ammirarne levirtù e i talenti.

XVIII. Nella Storia del secolo precedentenoi abbiamo distintamente trattato degliscrittori di satire, di egloghe pastorali, dipoesie bernesche, e d'altri diversi generi dicomponimenti, perciò in ciascheduno di essi

ci si offrivano nomi illustri, e pregevoli opere a ram-

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Poeti satiri-ci: due bi-folchi dive-nuti poeti.

rono singolarmente i contrassegni di onore di stimach'ella ricevette nel 1680 dal card. d'Estrèes che vollefar pruova se veri erano i pregi che ad essa si attribuiva-no, e ne partì altamente maravigliato. Ella venne a mor-te nel fior degli anni, cioè a' 26 di luglio del 1648, quan-do contavane soli 38 di età; e come la morte ne fu con-forme alla santa vita da lei condotta, così ancora le ese-quie e gli onori rendutigli furon corrispondenti alla famadi cui essa godeva. Il suddetto p. abate Bacchini ne rac-colse e ne pubblicò le opere, che sono alcuni Discorsiaccademici italiani, gli Elogi latini di alcuni uomini illu-stri, poche Lettere latine, e la traduzione italiana diun'opera del certosino Laspergio a cui deesi aggiugnerequalche componimento poetico inserito nell'accennataRaccolta della Bergalli. Queste opere nondimeno a menon sembra che adeguin la fama di cui ella godè viven-do, e forse la troppa premura di darle alla luce, ha fattoche questa illustre damigella non sembri or così degnadegli onori che le furono conceduti, quanto parve a co-loro ch'ebber la sorte di viver con lei, e di ammirarne levirtù e i talenti.

XVIII. Nella Storia del secolo precedentenoi abbiamo distintamente trattato degliscrittori di satire, di egloghe pastorali, dipoesie bernesche, e d'altri diversi generi dicomponimenti, perciò in ciascheduno di essi

ci si offrivano nomi illustri, e pregevoli opere a ram-

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Poeti satiri-ci: due bi-folchi dive-nuti poeti.

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mentare. Or che più scarsa e men lodevole serie ci sipresenta, non ci tratterremo a parlarne segnatamente, esarem paghi dell'accennar che abbiam fatto poc'anzi imigliori poeti che anche in questi generi s'esercitarono.Solo per ciò che appartiene alla poesia satirica, faremoun cenno della famosa Cicceide, di cui fu autore Gian-francesco Lazzarelli natio di Gubbio, il quale dopo aversostenute diverse cariche di governo nello Stato pontifi-cio, passò ad essere auditore del principe AlessandroPico duca della Mirandola nel 1661 e nel 1682 fu nomi-nato proposto di quella chiesa, e finì poscia di vivere nel1694. Ei fu un de' pochi poeti che non seguirono il reogusto del secolo, ma presero a batter la via segnata giàda' più eleganti scrittori, e sarebbe stato a bramarech'egli avesse esercitato il suo stile in migliore argomen-to, e non avesse preso a mordere e a dileggiare l'infelicedon Ciccio, cioè Buonaventura Arrighini, già suo colle-ga nella ruota di Macerata. La Vita di questo valorosopoeta è stata di fresco scritta con molta esattezza e conuguale erudizione dal ch. sig. ab. Sebastiano Ranghia-sci, che si apparecchia a darci altre Vite degli uomini il-lustri della sua patria. Ma passiamo ormai a dire degliscrittori de' poemi, qui ancora però ristringendosi a que'soli, la menzione de' quali è all'italiana poesia onorevolee gloriosa. Con molto applauso fu accolto lo Stato rusti-co, poema in versi sciolti di Gianvincenzo Imperiali no-bile genovese, stampato la prima volta in Genova nel1611, il qual però non può stare al confronto colla Colti-vazione dell'Alamanni. Di questo poeta, che morì circa

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mentare. Or che più scarsa e men lodevole serie ci sipresenta, non ci tratterremo a parlarne segnatamente, esarem paghi dell'accennar che abbiam fatto poc'anzi imigliori poeti che anche in questi generi s'esercitarono.Solo per ciò che appartiene alla poesia satirica, faremoun cenno della famosa Cicceide, di cui fu autore Gian-francesco Lazzarelli natio di Gubbio, il quale dopo aversostenute diverse cariche di governo nello Stato pontifi-cio, passò ad essere auditore del principe AlessandroPico duca della Mirandola nel 1661 e nel 1682 fu nomi-nato proposto di quella chiesa, e finì poscia di vivere nel1694. Ei fu un de' pochi poeti che non seguirono il reogusto del secolo, ma presero a batter la via segnata giàda' più eleganti scrittori, e sarebbe stato a bramarech'egli avesse esercitato il suo stile in migliore argomen-to, e non avesse preso a mordere e a dileggiare l'infelicedon Ciccio, cioè Buonaventura Arrighini, già suo colle-ga nella ruota di Macerata. La Vita di questo valorosopoeta è stata di fresco scritta con molta esattezza e conuguale erudizione dal ch. sig. ab. Sebastiano Ranghia-sci, che si apparecchia a darci altre Vite degli uomini il-lustri della sua patria. Ma passiamo ormai a dire degliscrittori de' poemi, qui ancora però ristringendosi a que'soli, la menzione de' quali è all'italiana poesia onorevolee gloriosa. Con molto applauso fu accolto lo Stato rusti-co, poema in versi sciolti di Gianvincenzo Imperiali no-bile genovese, stampato la prima volta in Genova nel1611, il qual però non può stare al confronto colla Colti-vazione dell'Alamanni. Di questo poeta, che morì circa

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il 1645, e di alcune altre opere da esso composte, parla-no gli scrittori delle Biblioteche genovesi. Maggior ru-more destarono co' lor poemi due contadini, che sbucatifuora improvvisamente, uno dalle campagnedell'Abbruzzo, l'altro dalle montagne sanesi, comparve-ro tutto in un colpo poeti, e volsero a loro l'ammirazionedi Roma e di Firenze. Il primo fu Benedetto di Virgilionato nel 1602 in Villa Barbarea nell'Abbruzzo, primapastore, poscia bifolco nelle tenute che nella Pugliaaveano i Gesuiti del collegio romano. Avendo appreso aleggere e a scrivere, nell'ore che gli rimanevano libereda' suoi lavori, cominciò a prendere tra le mani l'Ario-sto, il Sannazzaro, il Tasso ed altri poeti. Al leggerli gliparve che potesse esser poeta egli pure. Cominciò a farversi all'improvviso, e i versi sì felicemente gli venivanofatti, che non pago di brindisi, o di canzonette, si accin-se a scrivere un poema. Avea dai suoi padroni appresa laVita di s. Ignazio, ed ei la prese a soggetto del suo lavo-ro. Questo poema fu pubblicato la prima volta in Traninel 1647, ed egli poscia il ritoccò e corresse più volte, erifattolo quasi di nuovo, il ridusse a XI canti, e così ildiè in luce nel 1660. Il padre Vincenzo Carrafa generaledei Gesuiti il trasse a Roma, perchè avesse più agio dicoltivare gli studj; e il pontef. Alessandro VII, conosciu-tone il raro talento, gli assegnò onorevole provvisione,gli diè stanza nel Vaticano, e creollo ancora cavaliere diCristo. Più altri poemi scrisse e pubblicò egli poscia,cioè il Saverio apostolo delle Indie in XXI canti, la Vitadel beato Luigi Gonzaga in 207 stanze in sesta rima, e

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il 1645, e di alcune altre opere da esso composte, parla-no gli scrittori delle Biblioteche genovesi. Maggior ru-more destarono co' lor poemi due contadini, che sbucatifuora improvvisamente, uno dalle campagnedell'Abbruzzo, l'altro dalle montagne sanesi, comparve-ro tutto in un colpo poeti, e volsero a loro l'ammirazionedi Roma e di Firenze. Il primo fu Benedetto di Virgilionato nel 1602 in Villa Barbarea nell'Abbruzzo, primapastore, poscia bifolco nelle tenute che nella Pugliaaveano i Gesuiti del collegio romano. Avendo appreso aleggere e a scrivere, nell'ore che gli rimanevano libereda' suoi lavori, cominciò a prendere tra le mani l'Ario-sto, il Sannazzaro, il Tasso ed altri poeti. Al leggerli gliparve che potesse esser poeta egli pure. Cominciò a farversi all'improvviso, e i versi sì felicemente gli venivanofatti, che non pago di brindisi, o di canzonette, si accin-se a scrivere un poema. Avea dai suoi padroni appresa laVita di s. Ignazio, ed ei la prese a soggetto del suo lavo-ro. Questo poema fu pubblicato la prima volta in Traninel 1647, ed egli poscia il ritoccò e corresse più volte, erifattolo quasi di nuovo, il ridusse a XI canti, e così ildiè in luce nel 1660. Il padre Vincenzo Carrafa generaledei Gesuiti il trasse a Roma, perchè avesse più agio dicoltivare gli studj; e il pontef. Alessandro VII, conosciu-tone il raro talento, gli assegnò onorevole provvisione,gli diè stanza nel Vaticano, e creollo ancora cavaliere diCristo. Più altri poemi scrisse e pubblicò egli poscia,cioè il Saverio apostolo delle Indie in XXI canti, la Vitadel beato Luigi Gonzaga in 207 stanze in sesta rima, e

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La Grazia trionfante, o l'Immacolata Concezione. Anzil'Eritreo, a cui dobbiamo in gran parte queste notizie(Epist. ad Eutych. t. 2, p. 104; Pinacoth. pars 3, p. 298),accenna ancora la Vita di Gesù Cristo, e quella di s. Bru-no fondatore de' Certosini, che forse non furon date allestampe, oltre alcuni Panegirici in versi, che si annoverandal Quadrio (t. 2, p. 509) e dal Cinelli (Bibl. volante t. 4,p. 362). Uno di questi fu da lui composto nel 1666, eperciò dee correggersi lo stesso Quadrio, ove dice (t. 6,p. 280) ch'ei morì poco dopo il 1660. Lo stile di questopoeta non è certo quello del Petrarca o del Tasso; anzimanca di eleganza, ed è languido e diffuso. Nobili peròne sono i sentimenti; e ciò che li rende più ammirabili,si è che un contadino ha in essi saputo svolgere e spie-gare con felicità insieme e con esattezza maravigliosa ipiù difficili misteri della nostra Religione. Quindi se lostile di questi poemi fosse più colto (benchè pur essonon abbia i difetti del secolo) e più conforme alle regolene fosse la tessitura, il loro autore non avrebbe l'ultimoluogo tra gli scrittori de' poemi; e dee ciò non ostante trai poeti italiani essere annoverato con lode. Il secondo fuGiandomenico Peri nato in Arcidosso nelle montagne diSiena, di cui pure ci ha data la Vita il sopraccitato Eri-treo (Pinacoth. pars 2, n. 27). Da' suoi genitori, benchèbifolchi, mandato il fanciullo Giandomenico a una vici-na terra alla scuola di un pedante, un giorno ch'ei videun suo condiscepolo posto dal maestro sulle spalle di unaltro, e crudelmente battuto, e udì minacciare lo stessopoco onorevol gastigo, prese in tal orrore il maestro e la

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La Grazia trionfante, o l'Immacolata Concezione. Anzil'Eritreo, a cui dobbiamo in gran parte queste notizie(Epist. ad Eutych. t. 2, p. 104; Pinacoth. pars 3, p. 298),accenna ancora la Vita di Gesù Cristo, e quella di s. Bru-no fondatore de' Certosini, che forse non furon date allestampe, oltre alcuni Panegirici in versi, che si annoverandal Quadrio (t. 2, p. 509) e dal Cinelli (Bibl. volante t. 4,p. 362). Uno di questi fu da lui composto nel 1666, eperciò dee correggersi lo stesso Quadrio, ove dice (t. 6,p. 280) ch'ei morì poco dopo il 1660. Lo stile di questopoeta non è certo quello del Petrarca o del Tasso; anzimanca di eleganza, ed è languido e diffuso. Nobili peròne sono i sentimenti; e ciò che li rende più ammirabili,si è che un contadino ha in essi saputo svolgere e spie-gare con felicità insieme e con esattezza maravigliosa ipiù difficili misteri della nostra Religione. Quindi se lostile di questi poemi fosse più colto (benchè pur essonon abbia i difetti del secolo) e più conforme alle regolene fosse la tessitura, il loro autore non avrebbe l'ultimoluogo tra gli scrittori de' poemi; e dee ciò non ostante trai poeti italiani essere annoverato con lode. Il secondo fuGiandomenico Peri nato in Arcidosso nelle montagne diSiena, di cui pure ci ha data la Vita il sopraccitato Eri-treo (Pinacoth. pars 2, n. 27). Da' suoi genitori, benchèbifolchi, mandato il fanciullo Giandomenico a una vici-na terra alla scuola di un pedante, un giorno ch'ei videun suo condiscepolo posto dal maestro sulle spalle di unaltro, e crudelmente battuto, e udì minacciare lo stessopoco onorevol gastigo, prese in tal orrore il maestro e la

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scuola, che tornato a casa, e presi segretamente alcunitozzi di pane, se ne fuggì, e per tre anni andò aggirando-si per solitarie montagne in compagnia delle bestie e de'loro pastori. Un di questi, che dovea esser uom dotto,perchè sapea leggere, godeva talvolta di portar secol'Ariosto, e di farne udir qualche tratto a' suoi colleghi.Il Peri provava a quella lettura incredibil piacere, e piùancora all'udir che fece talvolta la Gerusalemme delTasso. Frattanto, trovato da suo padre, fu ricondotto acasa, e allora che sarebbe stato opportuno mandarlo allascuola, fu destinato ad aver cura dei buoi. Ma mentrequesti fendevano i solchi, il Peri, provvedutosi ingegno-samente de' mezzi a scrivere, facea versi, e di nascostoscriveali. Il talento del Peri non potea star lungamentenascosto. Cominciò a comporre drammi pastorali, e go-deva di recitarli egli stesso co' suoi compagni; e ognunopuò immaginare quanto quel teatro fosse magnifico. Siaccinse poscia a scriver poemi, e avendone compostouno sulla caduta degli Angioli, il fè recitare innanzi algran duca, che venne a passare per quelle montagne nel1613. Così fattosi conoscere il Peri, fu quasi a forza trat-to a Firenze, e da Giambattista Strozzi nel suo abitocontadinesco presentato al gran duca, il quale si presemaraviglioso trastullo della semplicità insieme e del ta-lento di quel rozzo bifolco. Interrogato qual grazia vo-lesse, rimase prima sorpreso a tal nome; poscia, presocoraggio, pregò il gran duca a fargli dare ogni anno tan-to frumento, quanto alla sua famiglia bastasse, e l'otten-ne. Tornato poi alla patria, porse uno scherzevole me-

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scuola, che tornato a casa, e presi segretamente alcunitozzi di pane, se ne fuggì, e per tre anni andò aggirando-si per solitarie montagne in compagnia delle bestie e de'loro pastori. Un di questi, che dovea esser uom dotto,perchè sapea leggere, godeva talvolta di portar secol'Ariosto, e di farne udir qualche tratto a' suoi colleghi.Il Peri provava a quella lettura incredibil piacere, e piùancora all'udir che fece talvolta la Gerusalemme delTasso. Frattanto, trovato da suo padre, fu ricondotto acasa, e allora che sarebbe stato opportuno mandarlo allascuola, fu destinato ad aver cura dei buoi. Ma mentrequesti fendevano i solchi, il Peri, provvedutosi ingegno-samente de' mezzi a scrivere, facea versi, e di nascostoscriveali. Il talento del Peri non potea star lungamentenascosto. Cominciò a comporre drammi pastorali, e go-deva di recitarli egli stesso co' suoi compagni; e ognunopuò immaginare quanto quel teatro fosse magnifico. Siaccinse poscia a scriver poemi, e avendone compostouno sulla caduta degli Angioli, il fè recitare innanzi algran duca, che venne a passare per quelle montagne nel1613. Così fattosi conoscere il Peri, fu quasi a forza trat-to a Firenze, e da Giambattista Strozzi nel suo abitocontadinesco presentato al gran duca, il quale si presemaraviglioso trastullo della semplicità insieme e del ta-lento di quel rozzo bifolco. Interrogato qual grazia vo-lesse, rimase prima sorpreso a tal nome; poscia, presocoraggio, pregò il gran duca a fargli dare ogni anno tan-to frumento, quanto alla sua famiglia bastasse, e l'otten-ne. Tornato poi alla patria, porse uno scherzevole me-

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moriale in versi a un cavaliere, pregandolo che, poichèil gran duca aveagli dato il pane, si compiacesse egli didargli il vino; e il memoriale ebbe l'effetto ch'egli bra-mava. Si tentò ogni via per fermarlo in Firenze e farglicambiar abito e tenore di vita; ma tutto fu inutile; anziavendolo monsignor Ciampoli fatto andare a Roma, e agrande stento avendo ottenuto che a un solenne pranzovenisse in abito alquanto migliore, appena ei vide il lau-to apparecchio di quella mensa, e le dilicate vivande dicui fu essa coperta, che, sdegnato, fuggissene dispetto-samente, e lasciata subito Roma, tornossene alle suemontagne, ove poscia continuò a vivere fino alla morte.Oltre una favola cacciatoria, intitolata il Siringo, ne ab-biam due poemi in ottava rima, uno intitolato Fiesoledistrutta, l'altro il Mondo desolato: i quali, se si consi-derano come opera di un rozzo bifolco, non posson nonrimirarsi come ammirabili; ma se si considerano comeparto di un poeta, non posson aver luogo che tra' medio-cri. E poichè siamo sul parlar di prodigi, a' due contadinipoeti aggiugniamo un fanciullo figliuol di un facchino,filosofo, teologo, medico, giureconsulto, e in tutte lescienze maravigliosamente istruito. Ei fu Jacopo Marti-no modenese, nato agli 11 di novembre del 1639 in Ra-cano nella diocesi d'Adria, di padre oriondo modenese,che poi venuto, per guadagnarsi il pane, a Budrio, colàcondusse anche il figlio. Il p. Giambattista Meiettidell'Ordine de' Servi di Maria, avendo ivi scorto in luiquasi ancora bambino un raro talento, prese ad istruirloa dispetto del padre, il qual diceva di voler formare di

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moriale in versi a un cavaliere, pregandolo che, poichèil gran duca aveagli dato il pane, si compiacesse egli didargli il vino; e il memoriale ebbe l'effetto ch'egli bra-mava. Si tentò ogni via per fermarlo in Firenze e farglicambiar abito e tenore di vita; ma tutto fu inutile; anziavendolo monsignor Ciampoli fatto andare a Roma, e agrande stento avendo ottenuto che a un solenne pranzovenisse in abito alquanto migliore, appena ei vide il lau-to apparecchio di quella mensa, e le dilicate vivande dicui fu essa coperta, che, sdegnato, fuggissene dispetto-samente, e lasciata subito Roma, tornossene alle suemontagne, ove poscia continuò a vivere fino alla morte.Oltre una favola cacciatoria, intitolata il Siringo, ne ab-biam due poemi in ottava rima, uno intitolato Fiesoledistrutta, l'altro il Mondo desolato: i quali, se si consi-derano come opera di un rozzo bifolco, non posson nonrimirarsi come ammirabili; ma se si considerano comeparto di un poeta, non posson aver luogo che tra' medio-cri. E poichè siamo sul parlar di prodigi, a' due contadinipoeti aggiugniamo un fanciullo figliuol di un facchino,filosofo, teologo, medico, giureconsulto, e in tutte lescienze maravigliosamente istruito. Ei fu Jacopo Marti-no modenese, nato agli 11 di novembre del 1639 in Ra-cano nella diocesi d'Adria, di padre oriondo modenese,che poi venuto, per guadagnarsi il pane, a Budrio, colàcondusse anche il figlio. Il p. Giambattista Meiettidell'Ordine de' Servi di Maria, avendo ivi scorto in luiquasi ancora bambino un raro talento, prese ad istruirloa dispetto del padre, il qual diceva di voler formare di

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suo figlio un facchino, non un letterato; e il venne in talmodo istruendo, che in età di sette anni, condottolo aRoma nel 1647, gli fece ivi sostenere in pubblico molteproposizioni su tutte le scienze, le quali furono allorastampate, con tal concorso di cardinali, di prelati ed'altri personaggi d'ogni ordine, e con tal plausoall'ammirabile felicità con cui il fanciullo parlava dellepiù difficili materie, che Roma non vide mai forse il piùstrano spettacolo, e l'Eritreo, pieno perciò di stupore, cene lasciò onorevol memoria (Pinacoth. pars 3, n. 75).Tornò poi il fanciullo col suo maestro a Budrio, e parveche quell'ammirabile ingegno andasse svanendo, e mol-to più dopo la morte del suo maestro avvenuta nel 1648.Fu allora per opera del card. Giambattista Palotta invia-to al collegio di Caldarola nella Marca, ove circa il 1650finì di vivere. Più ampie e più curiose notizie di questoportentoso fanciullo si posson leggere nell'Apologia delp. Meietti, scritta dal p. Paolo Maria Cardi reggiano del-lo stesso Ordine in risposta a chi volea far credere chefossero state opere del Demonio e frutto di stregherie iprodigi d'ingegno dal Modenese mostrati (Miscell. divarie Operette t. 7, p. 1 ed. ven. 1743) 48.

XIX. I poemi finor mentovati, appena possono averquesto nome, perchè le leggi ad essi prescritte non vi si48 Di Jacopo Martino modenese si è parlato più a lungo nella Biblioteca mo-

denese (t. 3, p. 225), ove anche si son recate probabili congetture che ciposson far credere ch'ei fosse oriondo da Fossoli villa del carpigiano nelducato di Modena.

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suo figlio un facchino, non un letterato; e il venne in talmodo istruendo, che in età di sette anni, condottolo aRoma nel 1647, gli fece ivi sostenere in pubblico molteproposizioni su tutte le scienze, le quali furono allorastampate, con tal concorso di cardinali, di prelati ed'altri personaggi d'ogni ordine, e con tal plausoall'ammirabile felicità con cui il fanciullo parlava dellepiù difficili materie, che Roma non vide mai forse il piùstrano spettacolo, e l'Eritreo, pieno perciò di stupore, cene lasciò onorevol memoria (Pinacoth. pars 3, n. 75).Tornò poi il fanciullo col suo maestro a Budrio, e parveche quell'ammirabile ingegno andasse svanendo, e mol-to più dopo la morte del suo maestro avvenuta nel 1648.Fu allora per opera del card. Giambattista Palotta invia-to al collegio di Caldarola nella Marca, ove circa il 1650finì di vivere. Più ampie e più curiose notizie di questoportentoso fanciullo si posson leggere nell'Apologia delp. Meietti, scritta dal p. Paolo Maria Cardi reggiano del-lo stesso Ordine in risposta a chi volea far credere chefossero state opere del Demonio e frutto di stregherie iprodigi d'ingegno dal Modenese mostrati (Miscell. divarie Operette t. 7, p. 1 ed. ven. 1743) 48.

XIX. I poemi finor mentovati, appena possono averquesto nome, perchè le leggi ad essi prescritte non vi si48 Di Jacopo Martino modenese si è parlato più a lungo nella Biblioteca mo-

denese (t. 3, p. 225), ove anche si son recate probabili congetture che ciposson far credere ch'ei fosse oriondo da Fossoli villa del carpigiano nelducato di Modena.

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veggono esattamente osservate. E se noi an-diamo in cerca di poemi epici, o ancor ro-manzeschi, che per una parte sieno scrittisecondo le regole, e abbian per l'altra quella

nobiltà di stile, che lor si conviene, peneremo a trovarnenel corso di questo secolo. Que' del Chiabrera da noi ac-cennati, e la Croce racquistata di Francesco Bracciolini,di cui diremo tra poco, sono i migliori che in questo se-colo si vedessero; ma pure sono ben lungi dal potereuguagliarsi a que' dell'Ariosto e del Tasso. Dell'Adonedel Marini, del Mondo nuovo dello Stigliani, e del Mon-do creato del Murtola si è già detto poc'anzi. AnsaldoCeba genovese, nato nel 1565, e morto nel 1623, fu poe-ta fecondo di molte rime, e anche due poemi eroici di-volgò intitolati l'Ester e il Furio Camillo. Ma come os-serva il Crescimbeni (Stor. della volg. Poes. p. 152, ec.),ei fu più felice nel dare i precetti del poema epico in untrattato che su ciò scrisse, che nell'eseguirli. Di lui sipuò vedere il non breve elogio fattone dall'Eritreo (Pi-nacotech. pars 3, n. 30) 49. Questo autore parla ancora a49 Fra le opere del Ceba merita di essere rammentata la traduzione dei Carat-

teri morali di Teofrasto, da lui ancora con copiose note illustrati, stampatain Genova nel 1620. Di essa ragiona singolarmente il ch. sig. ab. Gio. Cri-stofano Amaduzzi nella erudita prefazione premessa a' due Capi anecdotidi Teofrasto da lui pubblicati, e dal celebre sig. Bodoni con edizione ma-gnifica stampati in Parma nel 1786, ove anche osserva che il Ceba sospettòa ragione che qualche cosa mancasse all'opera di Teofrasto appunto ove sison poi trovati i due suddetti Capi. Il Ceba è uno de' più colti scrittori chevivessero al principio del secolo XVII. E vuolsi che nel suo Dialogo delpoema epico, ch'ei finge tenuto prima che si pubblicasse la Gerusalemmedel Tasso, prendesse di mira, benchè senza nominarlo, questo poema, mo-strando che in più luoghi ei non segue i precetti della Poetica d'Aristotele, i

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Scrittori dipoemi eroi-ci.

veggono esattamente osservate. E se noi an-diamo in cerca di poemi epici, o ancor ro-manzeschi, che per una parte sieno scrittisecondo le regole, e abbian per l'altra quella

nobiltà di stile, che lor si conviene, peneremo a trovarnenel corso di questo secolo. Que' del Chiabrera da noi ac-cennati, e la Croce racquistata di Francesco Bracciolini,di cui diremo tra poco, sono i migliori che in questo se-colo si vedessero; ma pure sono ben lungi dal potereuguagliarsi a que' dell'Ariosto e del Tasso. Dell'Adonedel Marini, del Mondo nuovo dello Stigliani, e del Mon-do creato del Murtola si è già detto poc'anzi. AnsaldoCeba genovese, nato nel 1565, e morto nel 1623, fu poe-ta fecondo di molte rime, e anche due poemi eroici di-volgò intitolati l'Ester e il Furio Camillo. Ma come os-serva il Crescimbeni (Stor. della volg. Poes. p. 152, ec.),ei fu più felice nel dare i precetti del poema epico in untrattato che su ciò scrisse, che nell'eseguirli. Di lui sipuò vedere il non breve elogio fattone dall'Eritreo (Pi-nacotech. pars 3, n. 30) 49. Questo autore parla ancora a49 Fra le opere del Ceba merita di essere rammentata la traduzione dei Carat-

teri morali di Teofrasto, da lui ancora con copiose note illustrati, stampatain Genova nel 1620. Di essa ragiona singolarmente il ch. sig. ab. Gio. Cri-stofano Amaduzzi nella erudita prefazione premessa a' due Capi anecdotidi Teofrasto da lui pubblicati, e dal celebre sig. Bodoni con edizione ma-gnifica stampati in Parma nel 1786, ove anche osserva che il Ceba sospettòa ragione che qualche cosa mancasse all'opera di Teofrasto appunto ove sison poi trovati i due suddetti Capi. Il Ceba è uno de' più colti scrittori chevivessero al principio del secolo XVII. E vuolsi che nel suo Dialogo delpoema epico, ch'ei finge tenuto prima che si pubblicasse la Gerusalemmedel Tasso, prendesse di mira, benchè senza nominarlo, questo poema, mo-strando che in più luoghi ei non segue i precetti della Poetica d'Aristotele, i

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Scrittori dipoemi eroi-ci.

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lungo (ib. pars 1, p. 19, ec.) dell'umor incostante e dellaintollerabil superbia di Belmonte Cagnoli, che colla suaAquileia distrutta, stampata nel 1628, pretese di averfatto un poema miglior di quello del Tasso, ma fu il soloche se ne mostrasse persuaso. Niccolò Villani pistoiese,grande difensor del Marini, autore di alcune Satire latinescritte con molta eleganza e di un pregevole Ragiona-mento sulla poesia giocosa, pubblicato sotto il nomedell'accademico Aldeano, volle provarsi ancora nel ge-nere epico, e prese a scrivere un poema intitolato la Fio-renza difesa; ma egli nol potè finire e avrebbe probabil-mente disapprovato il consiglio di chi dopo sua morte lodiede alla luce. Il co. Girolamo Graziani, natio dellaPergola, ma vissuto quasi sempre in luminosi impieghialla corte di Modena a' tempi del duca Francesco I e de'suoi successori, oltre molte altre poesie di diversi gene-ri, due poemi ancora ci diede, uno in XXVI canti, intito-lato il Conquisto di Granata, l'altro in XIII, intitolato laCleopatra; il primo de' quali si registra dal Quadrio (t.6, p. 688) tra' migliori che questo secol vedesse 50, e lastessa lode egli dà pure al Boemondo o l'Antiochia dife-sa di Giovan Leone Semproni da Urbino. SigismondoBoldoni di patria milanese, e morto in età di 33 anni in

quali ei si vantava di aver seguiti a rigore nella sua Esterre. Ma questa nontrova ormai più chi la legga; e il Tasso, finchè il buon gusto non perirà,avrà sempre lodatori e ammiratori.

50 Del co. Girolamo Graziani, de' diversi impieghi ch'egli ebbe alla corte diModena, delle vicende alle quali fu esposto, della pensione che ottenne daLuigi XIV, e delle sue opere si è lungamente parlato nella Biblioteca mo-denese (t. 3, p. 12, ec.).

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lungo (ib. pars 1, p. 19, ec.) dell'umor incostante e dellaintollerabil superbia di Belmonte Cagnoli, che colla suaAquileia distrutta, stampata nel 1628, pretese di averfatto un poema miglior di quello del Tasso, ma fu il soloche se ne mostrasse persuaso. Niccolò Villani pistoiese,grande difensor del Marini, autore di alcune Satire latinescritte con molta eleganza e di un pregevole Ragiona-mento sulla poesia giocosa, pubblicato sotto il nomedell'accademico Aldeano, volle provarsi ancora nel ge-nere epico, e prese a scrivere un poema intitolato la Fio-renza difesa; ma egli nol potè finire e avrebbe probabil-mente disapprovato il consiglio di chi dopo sua morte lodiede alla luce. Il co. Girolamo Graziani, natio dellaPergola, ma vissuto quasi sempre in luminosi impieghialla corte di Modena a' tempi del duca Francesco I e de'suoi successori, oltre molte altre poesie di diversi gene-ri, due poemi ancora ci diede, uno in XXVI canti, intito-lato il Conquisto di Granata, l'altro in XIII, intitolato laCleopatra; il primo de' quali si registra dal Quadrio (t.6, p. 688) tra' migliori che questo secol vedesse 50, e lastessa lode egli dà pure al Boemondo o l'Antiochia dife-sa di Giovan Leone Semproni da Urbino. SigismondoBoldoni di patria milanese, e morto in età di 33 anni in

quali ei si vantava di aver seguiti a rigore nella sua Esterre. Ma questa nontrova ormai più chi la legga; e il Tasso, finchè il buon gusto non perirà,avrà sempre lodatori e ammiratori.

50 Del co. Girolamo Graziani, de' diversi impieghi ch'egli ebbe alla corte diModena, delle vicende alle quali fu esposto, della pensione che ottenne daLuigi XIV, e delle sue opere si è lungamente parlato nella Biblioteca mo-denese (t. 3, p. 12, ec.).

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Pavia nel 1630, della cui vita ci ha date esatte notizie ilco. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1455, ec.),fra i molti saggi che del suo felice ingegno diede allestampe, scrisse ancora un poema sulla Caduta de' Lon-gobardi in venti canti, che fu poi finito e pubblicato dalp. Gianniccolò di lui fratello barnabita nel 1636. Alcuneopere di questo valoroso poeta sono state di fresco ri-stampate in Avignone per opera di s. e. il sig. card. An-gelo Maria Durini, coll'aggiunta di più cose inedite (V.Gazzetta letter. di Mil. 1776, p. 324). Finalmente il baro-ne Antonio Caraccio sul finire del secolo pubblicò il suoImperio vendicato che, benchè da molti onorato consomme lodi, non ha però avuta sorte migliore di tanti al-tri poemi di cui questo secolo fu fecondo, e de' quali ba-sta l'avere accennati alcuni, lasciando che i titoli de'moltissimi altri, che sono ancora meno conosciuti, sileggano, da chi ne brama notizia, presso il Quadrio 51.

XX. Il genere di poema, in cui l'Italia ci puòin questo secolo additare eccellenti scrittori,è l'eroico-comico. Qualche saggio erasenegià veduto nel secolo precedente in alcune

opere di Betto Arrighi, di Girolamo Amelunghi, di An-tonfrancesco Grazzini e di altri che si accennan dal Qua-

51 Questi però ha ommesso d'indicare un poema ch'io pure posso solo accen-nare, non avendone altronde notizia, che dalle Opere del Redi stampate inNapoli nel 1778 (t. 6, p. 191), ove s'indica la Buda liberata poema eroicodi Federigo Nomi (di cui rammenteremo altrove le Satire), dedicato all'ill.sig. balì Gregorio Redi, in Venezia: presso Girolamo Albrizzi 1703, in 12.

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Notizie diAlessandroTassoni.

Pavia nel 1630, della cui vita ci ha date esatte notizie ilco. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1455, ec.),fra i molti saggi che del suo felice ingegno diede allestampe, scrisse ancora un poema sulla Caduta de' Lon-gobardi in venti canti, che fu poi finito e pubblicato dalp. Gianniccolò di lui fratello barnabita nel 1636. Alcuneopere di questo valoroso poeta sono state di fresco ri-stampate in Avignone per opera di s. e. il sig. card. An-gelo Maria Durini, coll'aggiunta di più cose inedite (V.Gazzetta letter. di Mil. 1776, p. 324). Finalmente il baro-ne Antonio Caraccio sul finire del secolo pubblicò il suoImperio vendicato che, benchè da molti onorato consomme lodi, non ha però avuta sorte migliore di tanti al-tri poemi di cui questo secolo fu fecondo, e de' quali ba-sta l'avere accennati alcuni, lasciando che i titoli de'moltissimi altri, che sono ancora meno conosciuti, sileggano, da chi ne brama notizia, presso il Quadrio 51.

XX. Il genere di poema, in cui l'Italia ci puòin questo secolo additare eccellenti scrittori,è l'eroico-comico. Qualche saggio erasenegià veduto nel secolo precedente in alcune

opere di Betto Arrighi, di Girolamo Amelunghi, di An-tonfrancesco Grazzini e di altri che si accennan dal Qua-

51 Questi però ha ommesso d'indicare un poema ch'io pure posso solo accen-nare, non avendone altronde notizia, che dalle Opere del Redi stampate inNapoli nel 1778 (t. 6, p. 191), ove s'indica la Buda liberata poema eroicodi Federigo Nomi (di cui rammenteremo altrove le Satire), dedicato all'ill.sig. balì Gregorio Redi, in Venezia: presso Girolamo Albrizzi 1703, in 12.

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Notizie diAlessandroTassoni.

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drio (l. c. p. 724) le cui opere nondimeno non possonveramente dirsi poemi di questo genere. La gloria dicondurli a quella perfezione di cui sono capaci, o piùveramente di esserne i primi inventori, era riserbata adue leggiadri e vivaci ingegni di questo secolo, cioè adAlessandro Tassoni modenese e a Francesco Bracciolinipistoiese, i quali conteser tra loro del primato di questainvenzione. La Vita del primo è stata sì ampiamente e sìesattamente illustrata dal Muratori, ch'io posso spedir-mene in breve, accennando solo le più importanti noti-zie da lui comprovate con autorevoli testimonianze econ autentici documenti 52. In Modena di antica e nobilfamiglia nacque a' 28 di settembre del 1565 AlessandroTassoni, figlio di Bernardino e di Gismonda Pelliciari.Privo de' genitori in età fanciullesca, fu ancor travaglia-to da infermità, da disgrazie, da nimicizie pericolose; lequali però non gl'impedirono il coltivare gli studj dellelingue greca e latina sotto la direzione di Lazzaro Laba-dini allora celebre maestro in Modena. Circa il 1585passò a Bologna a istruirsi nelle più gravi scienze,ov'ebbe fra gli altri maestri Claudio Betti e Ulisse Al-drovandi. Fu anche all'università di Ferrara, ove atteseprincipalmente alla giurisprudenza. Così impiegò nellostudio parecchi anni, finchè circa il principio del 1597,recatosi a Roma, entrò al servigio del card. Ascanio Co-lonna, e con lui nel 1600 navigò in Ispagna, e da lui nel

52 Nella biblioteca modenese ho avuta la sorte di dar più altre notizie intornoalla vita e alle opere del Tassoni, che finora si erano ignorate, e di pubbli-carne ancora parecchie Lettere inedite (t. 5, p. 180, ec.).

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drio (l. c. p. 724) le cui opere nondimeno non possonveramente dirsi poemi di questo genere. La gloria dicondurli a quella perfezione di cui sono capaci, o piùveramente di esserne i primi inventori, era riserbata adue leggiadri e vivaci ingegni di questo secolo, cioè adAlessandro Tassoni modenese e a Francesco Bracciolinipistoiese, i quali conteser tra loro del primato di questainvenzione. La Vita del primo è stata sì ampiamente e sìesattamente illustrata dal Muratori, ch'io posso spedir-mene in breve, accennando solo le più importanti noti-zie da lui comprovate con autorevoli testimonianze econ autentici documenti 52. In Modena di antica e nobilfamiglia nacque a' 28 di settembre del 1565 AlessandroTassoni, figlio di Bernardino e di Gismonda Pelliciari.Privo de' genitori in età fanciullesca, fu ancor travaglia-to da infermità, da disgrazie, da nimicizie pericolose; lequali però non gl'impedirono il coltivare gli studj dellelingue greca e latina sotto la direzione di Lazzaro Laba-dini allora celebre maestro in Modena. Circa il 1585passò a Bologna a istruirsi nelle più gravi scienze,ov'ebbe fra gli altri maestri Claudio Betti e Ulisse Al-drovandi. Fu anche all'università di Ferrara, ove atteseprincipalmente alla giurisprudenza. Così impiegò nellostudio parecchi anni, finchè circa il principio del 1597,recatosi a Roma, entrò al servigio del card. Ascanio Co-lonna, e con lui nel 1600 navigò in Ispagna, e da lui nel

52 Nella biblioteca modenese ho avuta la sorte di dar più altre notizie intornoalla vita e alle opere del Tassoni, che finora si erano ignorate, e di pubbli-carne ancora parecchie Lettere inedite (t. 5, p. 180, ec.).

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1602 fu spedito in Italia, per procurargli la facoltà dalpontef. Clemente VIII di accettare la carica di vicerèd'Aragona da quella corte profertagli, e di nuovo nel1603 perchè in Roma avesse cura di tutti i suoi beni,nella qual occasione il cardinal gli assegnò 600 annuiscudi pel suo mantenimento. In occasione di uno di que-sti viaggi, egli scrisse le celebri sue Considerazioni so-pra il Petrarca, che furono poscia stampate alcuni anniappresso. Frattanto egli in Roma fu ascritto alla famosaAccademia degli Umoristi. Frutto del frequentar ch'eifaceva le romane adunanze, furono i dieci libri de' suoiPensieri diversi, de' quali un saggio avea egli stampatosotto il titolo di Quesiti fin dal 1608, e che poi di moltoaccresciuti vider la luce de' letterati che allor viveano, iquali veggendo in essa riprendersi passi di Omero, cen-surarsi più volte Aristotele, e mettersi in dubbio se utilifossero, o dannose le lettere, menarono gran rumore,come se il Tassoni a tutte le scienze e a tutti i dotti mo-vesse guerra. E certo molte delle cose che in quell'operaleggonsi, sono anzi ingegnosi e scherzevoli paradossi,che fondate opinioni. Era l'ingegno del Tassoni somi-gliante a quello del Castelvetro, nimico de' pregiudizj edi quello singolarmente che nasce dalla venerazione pergli antichi scrittori, acuto e sottile in conoscere i più leg-geri difetti, e franco nel palesarli; se non che, dove ilCastelvetro è uno scrittor secco e digiuno, benchè ele-gante, che sempre ragiona con autorità magistrale, ilTassoni è autor faceto e leggiadro che sa volgere ingiuoco i più serj argomenti, e che con una pungente, ma

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1602 fu spedito in Italia, per procurargli la facoltà dalpontef. Clemente VIII di accettare la carica di vicerèd'Aragona da quella corte profertagli, e di nuovo nel1603 perchè in Roma avesse cura di tutti i suoi beni,nella qual occasione il cardinal gli assegnò 600 annuiscudi pel suo mantenimento. In occasione di uno di que-sti viaggi, egli scrisse le celebri sue Considerazioni so-pra il Petrarca, che furono poscia stampate alcuni anniappresso. Frattanto egli in Roma fu ascritto alla famosaAccademia degli Umoristi. Frutto del frequentar ch'eifaceva le romane adunanze, furono i dieci libri de' suoiPensieri diversi, de' quali un saggio avea egli stampatosotto il titolo di Quesiti fin dal 1608, e che poi di moltoaccresciuti vider la luce de' letterati che allor viveano, iquali veggendo in essa riprendersi passi di Omero, cen-surarsi più volte Aristotele, e mettersi in dubbio se utilifossero, o dannose le lettere, menarono gran rumore,come se il Tassoni a tutte le scienze e a tutti i dotti mo-vesse guerra. E certo molte delle cose che in quell'operaleggonsi, sono anzi ingegnosi e scherzevoli paradossi,che fondate opinioni. Era l'ingegno del Tassoni somi-gliante a quello del Castelvetro, nimico de' pregiudizj edi quello singolarmente che nasce dalla venerazione pergli antichi scrittori, acuto e sottile in conoscere i più leg-geri difetti, e franco nel palesarli; se non che, dove ilCastelvetro è uno scrittor secco e digiuno, benchè ele-gante, che sempre ragiona con autorità magistrale, ilTassoni è autor faceto e leggiadro che sa volgere ingiuoco i più serj argomenti, e che con una pungente, ma

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graziosa critica, trattiene piacevolmente i lettori. E pro-babilmente non era persuaso egli stesso di ciò ch'eglitalvolta scrivea. Ma il desiderio di dir cose nuove e difarsi nome coll'impugnare i più rinomati scrittori, lo in-trodusse a sostenere alcune strane e poco probabili opi-nioni, fra mezzo alle quali però s'incontrano riflessioni elumi utilissimi per leggere con frutto gli antichi e mo-derni autori. Maggior rumore ancora destarono le sueConsiderazioni sopra il Petrarca, stampate la prima voltanel 1609. Parve al Tassoni, e forse non senza ragione,che alcuni fossero sì idolatri di quel gran poeta, che qua-lunque cose gli fosse uscita dalla penna, si raccogliesseda loro come gemma d'inestimabil valore; e che perciòavvenisse che alle Rime di esso si rendesse onor troppomaggiore che non era loro dovuto. Ma il Tassoni caddenell'eccesso contrario; e per opporsi alla soverchia am-mirazione che alcuni aveano pel Petrarca, il depresse ditroppo, e non pago di rilevare i difetti che i critici spas-sionati osservano nelle Rime di quel famoso poeta, volleancora, come si dice, vedere il pelo nell'uovo, e trovareerrori, ove niun altro li trova. Levossi dunque in difesadel Petrarca Giuseppe Aromatari da Assisi, giovane al-lora di 25 anni, che ritrovavasi in Padova; e nel 1611pubblicò le sue Risposte alle Considerazioni del Tasso-ni, nelle quali però non passa oltre a' primi dieci sonetti,rispondendo alle accuse colle quali il Tassoni aveali cri-ticati. Il Tassoni nell'anno stesso replicò all'Aromatarico' suoi Avvertimenti, pubblicati sotto il nome di Cre-scenzio Pepe, e perchè due anni appresso replicò ad essi

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graziosa critica, trattiene piacevolmente i lettori. E pro-babilmente non era persuaso egli stesso di ciò ch'eglitalvolta scrivea. Ma il desiderio di dir cose nuove e difarsi nome coll'impugnare i più rinomati scrittori, lo in-trodusse a sostenere alcune strane e poco probabili opi-nioni, fra mezzo alle quali però s'incontrano riflessioni elumi utilissimi per leggere con frutto gli antichi e mo-derni autori. Maggior rumore ancora destarono le sueConsiderazioni sopra il Petrarca, stampate la prima voltanel 1609. Parve al Tassoni, e forse non senza ragione,che alcuni fossero sì idolatri di quel gran poeta, che qua-lunque cose gli fosse uscita dalla penna, si raccogliesseda loro come gemma d'inestimabil valore; e che perciòavvenisse che alle Rime di esso si rendesse onor troppomaggiore che non era loro dovuto. Ma il Tassoni caddenell'eccesso contrario; e per opporsi alla soverchia am-mirazione che alcuni aveano pel Petrarca, il depresse ditroppo, e non pago di rilevare i difetti che i critici spas-sionati osservano nelle Rime di quel famoso poeta, volleancora, come si dice, vedere il pelo nell'uovo, e trovareerrori, ove niun altro li trova. Levossi dunque in difesadel Petrarca Giuseppe Aromatari da Assisi, giovane al-lora di 25 anni, che ritrovavasi in Padova; e nel 1611pubblicò le sue Risposte alle Considerazioni del Tasso-ni, nelle quali però non passa oltre a' primi dieci sonetti,rispondendo alle accuse colle quali il Tassoni aveali cri-ticati. Il Tassoni nell'anno stesso replicò all'Aromatarico' suoi Avvertimenti, pubblicati sotto il nome di Cre-scenzio Pepe, e perchè due anni appresso replicò ad essi

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l'Aromatari co' suoi dialoghi sotto il nome di FalcidioMelampodio, il Tassoni sotto quello di Girolamo Nomi-senti gli controrispose colla sua Tenda rossa; librettopieno di fiele contro il suo avversario, e che non deeprendersi a modello dello stile da tenersi nelle disputetra' letterari. E con esso finì la contesa, della quale, oltreciò che narrane il Muratori, si può vedere il raccontopresso il co. Mazzucchelli, ove dell'Aromatari e di que-ste e di altre opere da lui pubblicate ci dà esatta contez-za (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 1115, ec.).

XXI. Il Tassoni frattanto, che già da al-cuni anni, e forse dopo la morte del card.Colonna avvenuta nel 1608, non avea

avuto altro padrone, e a cui le anguste sue fortune fa-cean bramare il servigio di qualche principe, nel 1613cominciò a introdursi nella servitù del duca di SavoiaCarlo Emanuele. Il Muratori racconta a lungo le diversevicende che in tal servigio ebbe il Tassoni presso quelduca e presso il principe cardinale di lui figliuolo, glionorevoli assegnamenti che più volte gli furon fatti, made' quali appena potè egli mai aver parte, il viaggio dalui fatto a Torino, e i raggiri co' quali gli fu impedito diavanzarsi nella grazia del duca, il vario contegno con luitenuto dal principe cardinale, da cui or venne amorevol-mente raccolto, or costretto perfino ad uscir di Roma. Idiversi maneggi di quella corte con quella di Spagna, dicui il duca Carlo Emanuele spesso ebbe guerra, e spesso

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Continuazionedelle medesime.

l'Aromatari co' suoi dialoghi sotto il nome di FalcidioMelampodio, il Tassoni sotto quello di Girolamo Nomi-senti gli controrispose colla sua Tenda rossa; librettopieno di fiele contro il suo avversario, e che non deeprendersi a modello dello stile da tenersi nelle disputetra' letterari. E con esso finì la contesa, della quale, oltreciò che narrane il Muratori, si può vedere il raccontopresso il co. Mazzucchelli, ove dell'Aromatari e di que-ste e di altre opere da lui pubblicate ci dà esatta contez-za (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 1115, ec.).

XXI. Il Tassoni frattanto, che già da al-cuni anni, e forse dopo la morte del card.Colonna avvenuta nel 1608, non avea

avuto altro padrone, e a cui le anguste sue fortune fa-cean bramare il servigio di qualche principe, nel 1613cominciò a introdursi nella servitù del duca di SavoiaCarlo Emanuele. Il Muratori racconta a lungo le diversevicende che in tal servigio ebbe il Tassoni presso quelduca e presso il principe cardinale di lui figliuolo, glionorevoli assegnamenti che più volte gli furon fatti, made' quali appena potè egli mai aver parte, il viaggio dalui fatto a Torino, e i raggiri co' quali gli fu impedito diavanzarsi nella grazia del duca, il vario contegno con luitenuto dal principe cardinale, da cui or venne amorevol-mente raccolto, or costretto perfino ad uscir di Roma. Idiversi maneggi di quella corte con quella di Spagna, dicui il duca Carlo Emanuele spesso ebbe guerra, e spesso

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Continuazionedelle medesime.

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conchiuse la pace, furon probabilmente origine di talivicende, perciocchè essendo il Tassoni rimirato comenimico della monarchia spagnuola non poteva esser ve-duto collo stesso occhio in tempo di guerra e in tempodi pace. Nè senza fondamento credevasi ch'ei fosse dianimo mal disposto contro la corte di Spagna, percioc-chè a lui furono attribuite alcune Filippiche contro gliSpagnuoli, e un libello intitolato Le Esequie della Mo-narchia di Spagna. Il Muratori non parla delle Filippi-che come di opera uscita alle stampe; ma esse son vera-mente stampate, benchè sieno per avventura un de' piùrari libri che esistano; ed io ne ho pochi anni addietroacquistata copia per questa biblioteca estense. Le ese-quie non so che sieno stampate. Il Tassoni protestò dinon essere autore nè dell'uno, nè dell'altro libro; e delleFilippiche, o almeno delle due prime, afferma che è au-tore quel Fulvio Savojano, che ha composte altre Scrit-ture ancora più pungenti di quelle contra gli stessi Spa-gnuoli, e dell'Esequie dice che fu libro composto daquel Padre Francescano... che fece poi per altri rispettiquella bella riuscita (V. Murat. Vita del Tassoni p. 28).Nondimeno lo stesso Muratori confessa di aver vedutedue di queste Filippiche presso il co. Alfonso Sassi, chesembrano scritte di man del Tassoni, e così ne sembra ame ancora, che pur le ho vedute, e lo stile piccante concui sono stese, può far sospettare ch'ei ne fosse autore.In fatti tra le sette Filippiche che stampate si trovano inquesta ducal biblioteca, le due prime, come ho detto, misembrano opera del Tassoni. Ma lo stile delle altre cin-

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conchiuse la pace, furon probabilmente origine di talivicende, perciocchè essendo il Tassoni rimirato comenimico della monarchia spagnuola non poteva esser ve-duto collo stesso occhio in tempo di guerra e in tempodi pace. Nè senza fondamento credevasi ch'ei fosse dianimo mal disposto contro la corte di Spagna, percioc-chè a lui furono attribuite alcune Filippiche contro gliSpagnuoli, e un libello intitolato Le Esequie della Mo-narchia di Spagna. Il Muratori non parla delle Filippi-che come di opera uscita alle stampe; ma esse son vera-mente stampate, benchè sieno per avventura un de' piùrari libri che esistano; ed io ne ho pochi anni addietroacquistata copia per questa biblioteca estense. Le ese-quie non so che sieno stampate. Il Tassoni protestò dinon essere autore nè dell'uno, nè dell'altro libro; e delleFilippiche, o almeno delle due prime, afferma che è au-tore quel Fulvio Savojano, che ha composte altre Scrit-ture ancora più pungenti di quelle contra gli stessi Spa-gnuoli, e dell'Esequie dice che fu libro composto daquel Padre Francescano... che fece poi per altri rispettiquella bella riuscita (V. Murat. Vita del Tassoni p. 28).Nondimeno lo stesso Muratori confessa di aver vedutedue di queste Filippiche presso il co. Alfonso Sassi, chesembrano scritte di man del Tassoni, e così ne sembra ame ancora, che pur le ho vedute, e lo stile piccante concui sono stese, può far sospettare ch'ei ne fosse autore.In fatti tra le sette Filippiche che stampate si trovano inquesta ducal biblioteca, le due prime, come ho detto, misembrano opera del Tassoni. Ma lo stile delle altre cin-

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que è diverso, e si ravvolgono per lo più sulle cose de'Veneziani, co' quali non avea relazione alcuna il Tasso-ni. Innanzi alle stesse Filippiche precede un altro opu-scolo di somigliante argomento, intitolato Caducatoriaprima, a cui leggesi sottoscritto l'Innominato Accademi-co libero, il qual nome medesimo si legge a' piedi dellaquarta e della settima filippica; nè io so chi abbia volutoascondersi sotto a quel nome. Dopo le Filippiche, seguela Risposta alle Scritture intitolate Filippiche stampatacollo stesso carattere e nella forma medesima, in cui sidifende la corte di Spagna, e si fanno sanguinose invetti-ve contro il duca Carlo Emanuele I. In questi opuscolinon vi ha indicio del luogo ove sieno stampati, o delnome dello stampatore, e solo al fine della filippica IIIsi legge segnato l'anno 1615. Le quali minute riflessioniho io voluto qui fare, trattandosi di un libro da pochissi-mi conosciuto. Ma ritorniamo al Tassoni. Nell'anno1623 lasciò di essere al servigio del detto cardinale evisse tre anni tranquillamente, attendendo insieme a'suoi studj e alla coltura de' fiori, della quale molto si di-lettava. E questo fu il tempo probabilmente nel quale siaffaticò a finire il Compendio del Baronio da lui comin-ciato più anni addietro, e di cui esistono alcune copie apenna in quattro tomi, una delle quali conservasi in que-sta biblioteca estense. Avea egli cominciata quest'operain latino; ma poscia la stese in italiano, e il Muratorimuove qualche sospetto che il Compendio latino de' me-desimi Annali, pubblicato nel 1635 da Lodovico Aureliperugino, fosse quel desso che già scritto avea il Tasso-

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que è diverso, e si ravvolgono per lo più sulle cose de'Veneziani, co' quali non avea relazione alcuna il Tasso-ni. Innanzi alle stesse Filippiche precede un altro opu-scolo di somigliante argomento, intitolato Caducatoriaprima, a cui leggesi sottoscritto l'Innominato Accademi-co libero, il qual nome medesimo si legge a' piedi dellaquarta e della settima filippica; nè io so chi abbia volutoascondersi sotto a quel nome. Dopo le Filippiche, seguela Risposta alle Scritture intitolate Filippiche stampatacollo stesso carattere e nella forma medesima, in cui sidifende la corte di Spagna, e si fanno sanguinose invetti-ve contro il duca Carlo Emanuele I. In questi opuscolinon vi ha indicio del luogo ove sieno stampati, o delnome dello stampatore, e solo al fine della filippica IIIsi legge segnato l'anno 1615. Le quali minute riflessioniho io voluto qui fare, trattandosi di un libro da pochissi-mi conosciuto. Ma ritorniamo al Tassoni. Nell'anno1623 lasciò di essere al servigio del detto cardinale evisse tre anni tranquillamente, attendendo insieme a'suoi studj e alla coltura de' fiori, della quale molto si di-lettava. E questo fu il tempo probabilmente nel quale siaffaticò a finire il Compendio del Baronio da lui comin-ciato più anni addietro, e di cui esistono alcune copie apenna in quattro tomi, una delle quali conservasi in que-sta biblioteca estense. Avea egli cominciata quest'operain latino; ma poscia la stese in italiano, e il Muratorimuove qualche sospetto che il Compendio latino de' me-desimi Annali, pubblicato nel 1635 da Lodovico Aureliperugino, fosse quel desso che già scritto avea il Tasso-

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ni; il qual sospetto però non sembra abbastanza fondato.Nel 1626 cominciò egli a provare sorte alquanto più lie-ta. Dal card. Lodovisio nipote di Gregorio XV fu presoal servigio coll'annuo stipendio di 400 scudi romani ecolla stanza nel suo palazzo. Dopo la morte di quel car-dinale, avvenuta nel 1632, passò il Tassoni alla corte delduca Francesco I, suo natural sovrano, e n'ebbe il titolodi gentiluomo trattenuto e di consigliero con onorevolestipendio e abitazione in corte. Ma tre anni soli godettedel nuovo suo stato, e venuto a morte a' 25 d'aprile del1635, fu sepolto in s. Pietro.

XXII. Io ho accennato la più parte delleopere dal Tassoni composte, lasciando diparlare di alcune altre di minor importanza,e per lo più inedite, delle quali fa menzioneil Muratori, e differendo ad altro luogo iltrattare delle Annotazioni sul Vocabolario

della Crusca a lui attribuite. Ma ora dobbiam dire diquella per cui egli è celebre singolarmente, cioè dellaSecchia rapita. Oltre ciò che intorno alla storia di questopoema racconta il Muratori nella Vita del poeta, più mi-nute notizie ancora ne abbiamo nella prefazione dal ch.dott. Giannandrea Barotti premessa alla magnifica edi-zione fattane in Modena nel 1744, ove diligentementeespone quando il Tassoni si accingesse a comporlo,come per più anni se ne tentasse più volte inutilmente lastampa in Modena, in Padova e altrove; come finalmen-

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Suo poema eroico-comico, e contesa per esso col Bracciolini.

ni; il qual sospetto però non sembra abbastanza fondato.Nel 1626 cominciò egli a provare sorte alquanto più lie-ta. Dal card. Lodovisio nipote di Gregorio XV fu presoal servigio coll'annuo stipendio di 400 scudi romani ecolla stanza nel suo palazzo. Dopo la morte di quel car-dinale, avvenuta nel 1632, passò il Tassoni alla corte delduca Francesco I, suo natural sovrano, e n'ebbe il titolodi gentiluomo trattenuto e di consigliero con onorevolestipendio e abitazione in corte. Ma tre anni soli godettedel nuovo suo stato, e venuto a morte a' 25 d'aprile del1635, fu sepolto in s. Pietro.

XXII. Io ho accennato la più parte delleopere dal Tassoni composte, lasciando diparlare di alcune altre di minor importanza,e per lo più inedite, delle quali fa menzioneil Muratori, e differendo ad altro luogo iltrattare delle Annotazioni sul Vocabolario

della Crusca a lui attribuite. Ma ora dobbiam dire diquella per cui egli è celebre singolarmente, cioè dellaSecchia rapita. Oltre ciò che intorno alla storia di questopoema racconta il Muratori nella Vita del poeta, più mi-nute notizie ancora ne abbiamo nella prefazione dal ch.dott. Giannandrea Barotti premessa alla magnifica edi-zione fattane in Modena nel 1744, ove diligentementeespone quando il Tassoni si accingesse a comporlo,come per più anni se ne tentasse più volte inutilmente lastampa in Modena, in Padova e altrove; come finalmen-

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Suo poema eroico-comico, e contesa per esso col Bracciolini.

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te fosse esso la prima volta stampato in Parigi nel 1622,e ristampato colla medesima data nell'anno stesso a Ve-nezia; come per ordine del pontefice dovesse il Tassonitoglierne e cambiarne qualche espressione, e così corret-to il poema uscisse di nuovo a luce in Roma nel 1624colla data di Ronciglione; e come poscia se ne facesseropiù altre edizioni. Tutto ciò si può vedere nella suddettaprefazione esattamente narrato. Io mi arresterò solo al-quanto sulla gara di precedenza tra La secchia rapita eLo Scherno degli Dei del Bracciolini. Questo fu pubbli-cato la prima volta in Firenze nel 1618, cioè quattroanni prima di quello del Tassoni; ma il Tassoni già damolti anni prima l'avea composto. Gasparo Salviani, cheè nome supposto dello stesso Tassoni, in una lettera dalui scritta a quei tempi, ma pubblicata solo innanziall'accennata edizion modenese, afferma ch'egli lo scris-se tra l'aprile e l'ottobre del 1611, e aggiugne che alcunicavalieri e prelati, che allor viveano, ne posson far fede.Anzi lo stesso Tassoni, in una lettera premessa all'edi-zione di Ronciglione, dice di averlo composto una statenella sua gioventù, il che vorrebbe dire prima nel 1611,nel qual anno ei contava 46 di età. Ma il dottor Barotticrede che così affermasse il Tassoni, perchè temeva chegli si potesse fare un rimprovero di avere in età avanzatascritto un sì scherzevol poema, e crede ancora che nellalettera del Salviani, in vece del 1611 debba leggersi il1614. Checchessia di ciò, è certo che fin dal 1615 aveail Tassoni compiuto il suo poema, benchè poscia vi ag-giugnesse due canti; che nel 1616 cominciò a trattarsi di

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te fosse esso la prima volta stampato in Parigi nel 1622,e ristampato colla medesima data nell'anno stesso a Ve-nezia; come per ordine del pontefice dovesse il Tassonitoglierne e cambiarne qualche espressione, e così corret-to il poema uscisse di nuovo a luce in Roma nel 1624colla data di Ronciglione; e come poscia se ne facesseropiù altre edizioni. Tutto ciò si può vedere nella suddettaprefazione esattamente narrato. Io mi arresterò solo al-quanto sulla gara di precedenza tra La secchia rapita eLo Scherno degli Dei del Bracciolini. Questo fu pubbli-cato la prima volta in Firenze nel 1618, cioè quattroanni prima di quello del Tassoni; ma il Tassoni già damolti anni prima l'avea composto. Gasparo Salviani, cheè nome supposto dello stesso Tassoni, in una lettera dalui scritta a quei tempi, ma pubblicata solo innanziall'accennata edizion modenese, afferma ch'egli lo scris-se tra l'aprile e l'ottobre del 1611, e aggiugne che alcunicavalieri e prelati, che allor viveano, ne posson far fede.Anzi lo stesso Tassoni, in una lettera premessa all'edi-zione di Ronciglione, dice di averlo composto una statenella sua gioventù, il che vorrebbe dire prima nel 1611,nel qual anno ei contava 46 di età. Ma il dottor Barotticrede che così affermasse il Tassoni, perchè temeva chegli si potesse fare un rimprovero di avere in età avanzatascritto un sì scherzevol poema, e crede ancora che nellalettera del Salviani, in vece del 1611 debba leggersi il1614. Checchessia di ciò, è certo che fin dal 1615 aveail Tassoni compiuto il suo poema, benchè poscia vi ag-giugnesse due canti; che nel 1616 cominciò a trattarsi di

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darlo alle stampe, benchè ciò non si eseguisse che nel1622, e che frattanto ne correano per le mani di molticopie a penna. Tutto ciò compruovasi dal Barotti conautentici documenti, e colle lettere del Tassoni medesi-mo e di altri a lui scritte. E una fra le altre ne abbiam delTassoni, scritta a' 28 di aprile del 1618, in cui mostra lasua premura che La secchia rapita venisse presto allaluce, perchè avea udito che 'l Bracciolini da Pistojas'era messo a fare anch'egli un Poema a concorrenza, ilqual di fatto, come si è detto, in quell'anno medesimo fustampato. È certo dunque che il poema del Bracciolinifu stampato quattro anni prima di quel del Tassoni; ma ècerto ancora che il Tassoni avea compiuto il suo noveanni prima che si pubblicasse, e quattro anni prima cheLo Scherno degli Dei vedesse la luce. È certo che le co-pie della Secchia rapita corsero manoscritte per le manidi molti, e che il Bracciolini potè vederla e prenderneesempio; e non è improbabile che così fosse. Al contra-rio non si è ancora prodotta pruova la qual ci mostri cheil Bracciolini assai prima del 1618 avesse intrapreso ilsuo lavoro; e perciò finora il vanto dell'invenzione diquesto genere di poema sembra che sia dovuto al Tasso-ni. Il co. Mazzucchelli, che lascia indecisa questa qui-stione (Scritt. ital. t. 2, par. 4, pag. 1960, not. 30), diceche Lo Scherno degli Dei, se non ha la gloria del prima-to, quanto al tempo in cui fu composto, lo ha quanto aquello della stampa, e che può certamente nel merito an-dar del pari colla Secchia rapita. Io però temo chequest'ultima decisione non sia per essere molto approva-

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darlo alle stampe, benchè ciò non si eseguisse che nel1622, e che frattanto ne correano per le mani di molticopie a penna. Tutto ciò compruovasi dal Barotti conautentici documenti, e colle lettere del Tassoni medesi-mo e di altri a lui scritte. E una fra le altre ne abbiam delTassoni, scritta a' 28 di aprile del 1618, in cui mostra lasua premura che La secchia rapita venisse presto allaluce, perchè avea udito che 'l Bracciolini da Pistojas'era messo a fare anch'egli un Poema a concorrenza, ilqual di fatto, come si è detto, in quell'anno medesimo fustampato. È certo dunque che il poema del Bracciolinifu stampato quattro anni prima di quel del Tassoni; ma ècerto ancora che il Tassoni avea compiuto il suo noveanni prima che si pubblicasse, e quattro anni prima cheLo Scherno degli Dei vedesse la luce. È certo che le co-pie della Secchia rapita corsero manoscritte per le manidi molti, e che il Bracciolini potè vederla e prenderneesempio; e non è improbabile che così fosse. Al contra-rio non si è ancora prodotta pruova la qual ci mostri cheil Bracciolini assai prima del 1618 avesse intrapreso ilsuo lavoro; e perciò finora il vanto dell'invenzione diquesto genere di poema sembra che sia dovuto al Tasso-ni. Il co. Mazzucchelli, che lascia indecisa questa qui-stione (Scritt. ital. t. 2, par. 4, pag. 1960, not. 30), diceche Lo Scherno degli Dei, se non ha la gloria del prima-to, quanto al tempo in cui fu composto, lo ha quanto aquello della stampa, e che può certamente nel merito an-dar del pari colla Secchia rapita. Io però temo chequest'ultima decisione non sia per essere molto approva-

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ta. A me certo sembra che o si riguardi la condotta el'intreccio, o la leggiadria e la varietà delle immagini, ola facilità del verso, il poema del Tassoni sia di moltosuperiore a quello del Bracciolini. E pare ancora, che ilcomune consenso sia favorevole alla mia opinione, per-ciocchè, ove dello Scherno degli Dei non si hanno chesei edizioni 53, e niuna posteriore al 1628, della Secchiarapita se ne hanno poco meno di trenta, ed essa è statastampata anche in Francia e in Inghilterra, e recata anco-ra nelle lingue francese ed inglese, e anche dopo la bellaedizione di Modena del 1744, un'altra vaghissima se n'èfatta in Parigi nel 1766. Alla maggior parte delle edizio-ni di questo poema va aggiunto il primo canto di unpoema eroico sulla scoperta dell'America, dal Tassoniincominciato, e che se fosse stato da lui finito, non sa-rebbe forse divenuto sì celebre come l'altro. Ma è tempoche facciam conoscere il poeta rival del Tassoni, e il fa-remo facilmente, valendoci dell'esatte notizie che ne haraccolte il sopraccitato co. Mazzucchelli.

XXIII. Pistoia fu la patria di FrancescoBracciolini, che ivi nacque a' 26 di novem-bre del 1566. Fu prima in Firenze ove venne

ascritto all'Accademia fiorentina. Indi passato a Roma,entrò al servigio di monsig. Maffeo Barberini, che fu poi

53 Una nuova edizione dello Scherno degli Dei del Bracciolini fu fatta in Fi-renze nel 1772 per opera del ch. sig. Giuseppe Pelli direttore di quella realgalleria delle antichità.

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Notizie delBracciolini.

ta. A me certo sembra che o si riguardi la condotta el'intreccio, o la leggiadria e la varietà delle immagini, ola facilità del verso, il poema del Tassoni sia di moltosuperiore a quello del Bracciolini. E pare ancora, che ilcomune consenso sia favorevole alla mia opinione, per-ciocchè, ove dello Scherno degli Dei non si hanno chesei edizioni 53, e niuna posteriore al 1628, della Secchiarapita se ne hanno poco meno di trenta, ed essa è statastampata anche in Francia e in Inghilterra, e recata anco-ra nelle lingue francese ed inglese, e anche dopo la bellaedizione di Modena del 1744, un'altra vaghissima se n'èfatta in Parigi nel 1766. Alla maggior parte delle edizio-ni di questo poema va aggiunto il primo canto di unpoema eroico sulla scoperta dell'America, dal Tassoniincominciato, e che se fosse stato da lui finito, non sa-rebbe forse divenuto sì celebre come l'altro. Ma è tempoche facciam conoscere il poeta rival del Tassoni, e il fa-remo facilmente, valendoci dell'esatte notizie che ne haraccolte il sopraccitato co. Mazzucchelli.

XXIII. Pistoia fu la patria di FrancescoBracciolini, che ivi nacque a' 26 di novem-bre del 1566. Fu prima in Firenze ove venne

ascritto all'Accademia fiorentina. Indi passato a Roma,entrò al servigio di monsig. Maffeo Barberini, che fu poi

53 Una nuova edizione dello Scherno degli Dei del Bracciolini fu fatta in Fi-renze nel 1772 per opera del ch. sig. Giuseppe Pelli direttore di quella realgalleria delle antichità.

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Notizie delBracciolini.

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cardinale, e finalmente pontefice col nome di UrbanoVIII, e con lui andossene in Francia. Dopo la morte diClemente VIII, il Bracciolini lasciò il servigio del Bar-berini e la Francia, e tornato alla patria, attese tranquil-lamente per più anni a' suoi studj. Ma poichè udì l'ele-zione a pontefice del suo antico padrone, volò a Roma, eda Urbano VIII amorevolmente accolto fu dato per se-gretario al card. Antonio Barberini suo fratello. Visse inRoma tutto il tempo del pontificato di Urbano, vi fre-quentò le più illustri accademie, vi fu udito con plauso,e solo fu in lui notata una sordida avarizia. Dopo la mor-te di quel pontefice, tornò in Pistoia, e ivi egli ancoranon molto dopo, cioè a' 31 agosto nel 1645, chiuse isuoi giorni. Oltre il poema eroico-comico da noi giàrammentato, quattro altri poemi eroici egli compose, fra'quali il più celebre è quello che ha per titolo La Croceracquistata, a cui da alcuni si dà il terzo luogo tra' poe-mi italiani dopo quelli dell'Ariosto e del Tasso; nè io ilcontrasterò, purchè il Bracciolini sia pago di stare nonpochi passi addietro a quei sì valorosi poeti. L'elezionedi Urbano VIII è un altro de' poemi del Bracciolini, edei n'ebbe per premio da quel pontefice l'inserire nellesue armi gentilizie le api de' Barberini, e di prendere daesse il soprannome, con cui di fatto egli si nomina: te-nue premio, a dir vero, ma forse adattato al merito delpoema. Di alcune postille che il Tassoni fece a questopoema, mi riserbo a parlare nella Biblioteca modenese

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cardinale, e finalmente pontefice col nome di UrbanoVIII, e con lui andossene in Francia. Dopo la morte diClemente VIII, il Bracciolini lasciò il servigio del Bar-berini e la Francia, e tornato alla patria, attese tranquil-lamente per più anni a' suoi studj. Ma poichè udì l'ele-zione a pontefice del suo antico padrone, volò a Roma, eda Urbano VIII amorevolmente accolto fu dato per se-gretario al card. Antonio Barberini suo fratello. Visse inRoma tutto il tempo del pontificato di Urbano, vi fre-quentò le più illustri accademie, vi fu udito con plauso,e solo fu in lui notata una sordida avarizia. Dopo la mor-te di quel pontefice, tornò in Pistoia, e ivi egli ancoranon molto dopo, cioè a' 31 agosto nel 1645, chiuse isuoi giorni. Oltre il poema eroico-comico da noi giàrammentato, quattro altri poemi eroici egli compose, fra'quali il più celebre è quello che ha per titolo La Croceracquistata, a cui da alcuni si dà il terzo luogo tra' poe-mi italiani dopo quelli dell'Ariosto e del Tasso; nè io ilcontrasterò, purchè il Bracciolini sia pago di stare nonpochi passi addietro a quei sì valorosi poeti. L'elezionedi Urbano VIII è un altro de' poemi del Bracciolini, edei n'ebbe per premio da quel pontefice l'inserire nellesue armi gentilizie le api de' Barberini, e di prendere daesse il soprannome, con cui di fatto egli si nomina: te-nue premio, a dir vero, ma forse adattato al merito delpoema. Di alcune postille che il Tassoni fece a questopoema, mi riserbo a parlare nella Biblioteca modenese

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54. L'amoroso sdegno, favola pastorale dello stesso auto-re, vien annoverata tra le migliori che questo secol ve-desse, e non sono senza i lor pregi alcune tragedie da luiparimente composte, e singolarmente l'Evandro. Nellepoesie liriche ei non è ugualmente felice; e si risentenon poco de' difetti del secolo. Di queste e di altre operedel Bracciolini si potranno leggere, da chi le brami, piùminute notizie presso il soprallodato scrittore.

XXIV. L'esempio del Tassoni e del Braccio-lini, e il plauso con cui i lor poemi furonoaccolti, invogliò molti altri a seguirne leorme, e a coltivare questo nuovo genere dipoesia. Ma, come suole avvenire, fra molti

che il tentarono, pochi vi riuscirono felicemente. I piùfamosi tra tali poemi sono il Malmantile racquistato e ilTorracchione desolato. Del primo, che fu pubblicato laprima volta in Finaro nel 1676 sotto nome di PerloneZipoli, fu autore Lorenzo Lippi fiorentino, pittore diprofessione, morto in età di 58 anni nel 1664, il cui poe-ma però non si può leggere con piacere, se non da chiintende i proverbj e i riboboli fiorentini, di cui tutto èpieno, e che perciò ha avuto bisogno di essere comenta-to prima da Paolo Minucci sotto il nome di Puccio La-

54 Son queste alcune scherzevoli riflessioni su quel poema trovate in una co-pia che ora se ne conserva presso monsig. Onorato Gaetani, e delle quali ioho pubblicato qualche saggio (Bibl. mod. t. 5, p. 215), avendomene man-data copia il celebre ab. Serassi di gloriosa memoria, da cui quel codiceera stato trovato.

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Altri Scrit-tori di poe-mi burle-schi.

54. L'amoroso sdegno, favola pastorale dello stesso auto-re, vien annoverata tra le migliori che questo secol ve-desse, e non sono senza i lor pregi alcune tragedie da luiparimente composte, e singolarmente l'Evandro. Nellepoesie liriche ei non è ugualmente felice; e si risentenon poco de' difetti del secolo. Di queste e di altre operedel Bracciolini si potranno leggere, da chi le brami, piùminute notizie presso il soprallodato scrittore.

XXIV. L'esempio del Tassoni e del Braccio-lini, e il plauso con cui i lor poemi furonoaccolti, invogliò molti altri a seguirne leorme, e a coltivare questo nuovo genere dipoesia. Ma, come suole avvenire, fra molti

che il tentarono, pochi vi riuscirono felicemente. I piùfamosi tra tali poemi sono il Malmantile racquistato e ilTorracchione desolato. Del primo, che fu pubblicato laprima volta in Finaro nel 1676 sotto nome di PerloneZipoli, fu autore Lorenzo Lippi fiorentino, pittore diprofessione, morto in età di 58 anni nel 1664, il cui poe-ma però non si può leggere con piacere, se non da chiintende i proverbj e i riboboli fiorentini, di cui tutto èpieno, e che perciò ha avuto bisogno di essere comenta-to prima da Paolo Minucci sotto il nome di Puccio La-

54 Son queste alcune scherzevoli riflessioni su quel poema trovate in una co-pia che ora se ne conserva presso monsig. Onorato Gaetani, e delle quali ioho pubblicato qualche saggio (Bibl. mod. t. 5, p. 215), avendomene man-data copia il celebre ab. Serassi di gloriosa memoria, da cui quel codiceera stato trovato.

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Altri Scrit-tori di poe-mi burle-schi.

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moni, poscia dal can. Antonmaria Biscioni e dall'abateAntonmaria Salvini. Del secondo fu autore Bartolom-meo Corsini natio di Barberino in Mugello, e autore an-cora di una traduzion d'Anacreonte. Ma esso non è statostampato che l'anno 1768 in Parigi colla data di Londra,aggiuntevi alcune poche notizie della vita dell'autore. Aquesti possiamo aggiugnere un altro poema che, benchènon mai pubblicato, corre nondimeno per le mani dimolti, ed è riputato un de' più felici in tal genere, cioè ilCapitolo de' Frati del p. Sebastiano Chiesa della Com-pagnia di Gesù, di patria reggiano e morto in Novellaraverso la fine del secolo, di cui più altre opere, singolar-mente drammatiche, accenna il Quadrio (t. 2, p. 328; t.4, p. 91; t. 5, p. 106; t. 6, p. 723), che parimente si giac-ciono inedite.

XXV. Ci resta a dire per ultimo degli scrit-tori di poesie teatrali. E di queste pure noipotremmo qui dare un lungo catalogo, sevolessimo aver riguardo più al numero che

alla sceltezza. Ma pur troppo ci convien confessare chefra molte centinaia di tali poesie, che questo secol pro-dusse, non molte son quelle che si possano rammentarecon lode. E qui è singolarmente dove gli stranieric'insultano, e rimproverandoci le irregolari tragedie e lesciapite commedie italiane, ci van ripetendo fastosa-mente i gran nomi de' Cornelj, de' Racine, de' Moliere.E non negheremo già noi che questi illustri scrittori sie-

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Scrittori dipoesie tra-giche.

moni, poscia dal can. Antonmaria Biscioni e dall'abateAntonmaria Salvini. Del secondo fu autore Bartolom-meo Corsini natio di Barberino in Mugello, e autore an-cora di una traduzion d'Anacreonte. Ma esso non è statostampato che l'anno 1768 in Parigi colla data di Londra,aggiuntevi alcune poche notizie della vita dell'autore. Aquesti possiamo aggiugnere un altro poema che, benchènon mai pubblicato, corre nondimeno per le mani dimolti, ed è riputato un de' più felici in tal genere, cioè ilCapitolo de' Frati del p. Sebastiano Chiesa della Com-pagnia di Gesù, di patria reggiano e morto in Novellaraverso la fine del secolo, di cui più altre opere, singolar-mente drammatiche, accenna il Quadrio (t. 2, p. 328; t.4, p. 91; t. 5, p. 106; t. 6, p. 723), che parimente si giac-ciono inedite.

XXV. Ci resta a dire per ultimo degli scrit-tori di poesie teatrali. E di queste pure noipotremmo qui dare un lungo catalogo, sevolessimo aver riguardo più al numero che

alla sceltezza. Ma pur troppo ci convien confessare chefra molte centinaia di tali poesie, che questo secol pro-dusse, non molte son quelle che si possano rammentarecon lode. E qui è singolarmente dove gli stranieric'insultano, e rimproverandoci le irregolari tragedie e lesciapite commedie italiane, ci van ripetendo fastosa-mente i gran nomi de' Cornelj, de' Racine, de' Moliere.E non negheremo già noi che questi illustri scrittori sie-

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Scrittori dipoesie tra-giche.

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no stati i primi a condurre alla lor perfezione la tragediae la commedia, e che noi non avevamo ancora avuto al-cuno che fosse giunto tant'oltre. Ma se i nostri rivalivorranno usare di un'eguale sincerità, dovrann'essi ancorconfessare che noi nel secolo precedente avevamo avutiscrittori di tragedie e di commedie, se non eccellenti eperfette, come quelle de' mentovati scrittori, certo moltopregevoli, mentre in Francia appena si conoscevan dinome tali componimenti; che le Tragedie dell'Alamanni,del Rucellai, del Trissino, del Martelli, dello Speroni,del Giraldi, dell'Anguillara, del Tasso, del co. di Cam-merano, del co. Torelli, del Cavallerini; che le comme-die del Macchiavelli, dell'Ariosto, del cardin. Bibbiena,del Cecchi, del Gelli; che i Drammi pastorali del Becca-ri, del Tasso, del Guarini, dell'Ongaro, furono i primiesempj di tal genere di poesie, che dopo il risorgimentodelle lettere si vedessero; che i tre gran lumi della teatralpoesia francese nominati poc'anzi non si sdegnarono divalersi più volte delle loro fatiche, e di recare nella lorlingua diversi passi de' tragici e de' comici italiani; e cheil Moliere principalmente ne fece tal uso, che se a lui sitogliesse tutto ciò ch'egli ha tolto ad altri, si verrebbonoa impicciolire di molto i tomi delle sue Commedie; chefinalmente se essi ci andarono innanzi, il fecer seguendole orme de' nostri maggiori, i quali aveano spianato eagevolato il sentiero. Intorno a ciò è degno d'esser lettoil Paragone della Poesia tragica d'Italia con quella diFrancia del sig. co. Pietro de' Conti di Calepio eruditis-simo cavalier bergamasco, morto nel 1762, in cui si

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no stati i primi a condurre alla lor perfezione la tragediae la commedia, e che noi non avevamo ancora avuto al-cuno che fosse giunto tant'oltre. Ma se i nostri rivalivorranno usare di un'eguale sincerità, dovrann'essi ancorconfessare che noi nel secolo precedente avevamo avutiscrittori di tragedie e di commedie, se non eccellenti eperfette, come quelle de' mentovati scrittori, certo moltopregevoli, mentre in Francia appena si conoscevan dinome tali componimenti; che le Tragedie dell'Alamanni,del Rucellai, del Trissino, del Martelli, dello Speroni,del Giraldi, dell'Anguillara, del Tasso, del co. di Cam-merano, del co. Torelli, del Cavallerini; che le comme-die del Macchiavelli, dell'Ariosto, del cardin. Bibbiena,del Cecchi, del Gelli; che i Drammi pastorali del Becca-ri, del Tasso, del Guarini, dell'Ongaro, furono i primiesempj di tal genere di poesie, che dopo il risorgimentodelle lettere si vedessero; che i tre gran lumi della teatralpoesia francese nominati poc'anzi non si sdegnarono divalersi più volte delle loro fatiche, e di recare nella lorlingua diversi passi de' tragici e de' comici italiani; e cheil Moliere principalmente ne fece tal uso, che se a lui sitogliesse tutto ciò ch'egli ha tolto ad altri, si verrebbonoa impicciolire di molto i tomi delle sue Commedie; chefinalmente se essi ci andarono innanzi, il fecer seguendole orme de' nostri maggiori, i quali aveano spianato eagevolato il sentiero. Intorno a ciò è degno d'esser lettoil Paragone della Poesia tragica d'Italia con quella diFrancia del sig. co. Pietro de' Conti di Calepio eruditis-simo cavalier bergamasco, morto nel 1762, in cui si

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pongono a confronto le migliori tragedie francesi collemigliori italiane; e collo scoprire i difetti che son nelleprime, senza dissimulare que' delle seconde, si mostrache gli scrittori italiani hanno servito in più cose di gui-da a' francesi, e che questi sarebbon più degni di lode, senon si fosser più volte discostati da' primi. Nella qualopera, benchè possa sembrare che l'autore sia forse al-quanto prevenuto in favor dell'Italia, contengonsi nondi-meno riflessioni molto utili e critiche assai giudiziose.

XXVI. Benchè però il gusto degl'Italiani diquesto secolo fosse comunemente infelice,possiamo additare alcune tragedie che ancheal presente non meritan di essere dimentica-te. Fra esse sono degne di onorevol menzio-

ne quattro tragedie di Melchiorre Zoppio bolognese,fondatore dell'Accademia de' Gelati, e morto in Bolognain età di 80 anni nel 1634, uomo di molteplice erudizio-ne, e autore di molte altre opere, di cui ci danno più am-pie notizie le Memorie della detta Accademia (p. 323,ec.) e il Crescimbeni (Comment. t. 2, par. 2, p. 273) epiù esattamente di tutti il co. Gio. Fantuzzi (Scritt. bol.t. 8, p. 303, ec.). L'Acripanda di Antonio Decio si nomi-na dal medesimo Crescimbeni tra quelle che furono mensoggette alla critica e alle riprensioni de' dotti (l. c. t. 1,p. 249). Quelle di Giambattista Andreini, figliuolo diIsabella da noi mentovata nella Storia del secolo prece-dente, comico di professione, e ch'ebbe gran nome an-

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Se ne anno-verano al-cuni tra' migliori.

pongono a confronto le migliori tragedie francesi collemigliori italiane; e collo scoprire i difetti che son nelleprime, senza dissimulare que' delle seconde, si mostrache gli scrittori italiani hanno servito in più cose di gui-da a' francesi, e che questi sarebbon più degni di lode, senon si fosser più volte discostati da' primi. Nella qualopera, benchè possa sembrare che l'autore sia forse al-quanto prevenuto in favor dell'Italia, contengonsi nondi-meno riflessioni molto utili e critiche assai giudiziose.

XXVI. Benchè però il gusto degl'Italiani diquesto secolo fosse comunemente infelice,possiamo additare alcune tragedie che ancheal presente non meritan di essere dimentica-te. Fra esse sono degne di onorevol menzio-

ne quattro tragedie di Melchiorre Zoppio bolognese,fondatore dell'Accademia de' Gelati, e morto in Bolognain età di 80 anni nel 1634, uomo di molteplice erudizio-ne, e autore di molte altre opere, di cui ci danno più am-pie notizie le Memorie della detta Accademia (p. 323,ec.) e il Crescimbeni (Comment. t. 2, par. 2, p. 273) epiù esattamente di tutti il co. Gio. Fantuzzi (Scritt. bol.t. 8, p. 303, ec.). L'Acripanda di Antonio Decio si nomi-na dal medesimo Crescimbeni tra quelle che furono mensoggette alla critica e alle riprensioni de' dotti (l. c. t. 1,p. 249). Quelle di Giambattista Andreini, figliuolo diIsabella da noi mentovata nella Storia del secolo prece-dente, comico di professione, e ch'ebbe gran nome an-

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Se ne anno-verano al-cuni tra' migliori.

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che in Francia a' tempi di Luigi XIII, non sono ugual-mente pregevoli; ma ei debb'esser qui ricordato, perchèvuolsi che colla sua rappresentazione sacra intitolatal'Adamo desse occasione al celebre Milton, che udillarecitare in Milano, a comporre il suo Paradiso perduto(V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 708, ec.) 55. Ilco. Ridolfo Campeggi bolognese, morto in età di 59anni nel 1624 fra molte opere, parecchie delle quali ap-partengono al genere drammatico (V. Orlandi Scritt. bo-logn. p. 241), ci diè il Tancredi tragedia che può averluogo tra le migliori di questo secolo. Alcune tragedieabbiamo ancora, che non son prive di qualche pregio, di

55 L'eruditissimo sig. co. Carli (Op. t. 17, p. 42) osserva assai giustamenteche il Milton nato nel 1608, non potè assistere di presenza all'Adamodell'Andreini, rappresentato circa il 1613, e stampato nel 1617. Ma ciò nonbasta a provare che da esso non traesse l'idea del suo poema, perciocchè eipotè ben averlo alle mani, essendo singolarmente quel libro stampato conmolta magnificenza, e ornato con quaranta rami disegnati dal celebre Pro-caccino, e dedicato alla reina di Francia. È certo, benchè l'Adamodell'Andreini sia in confronto del Paradiso perduto ciò che è il poema diEnnio in confronto a quel di Virgilio, nondimeno non può negarsi chel'idee gigantesche, delle quali l'autore inglese ha abbellito il suo poema, diSatana ch'entra nel Paradiso terrestre e arde d'invidia al vedere la felicitàdell'uomo, del congresso de' Demonj, della battaglia degli angioli controLucifero, e più altre somiglianti immagini veggonsi nell'Adamo adombrateper modo, che a me sembra molto credibile che anche il Miltondall'immondezze, se così è lecito dire, dell'Andreini raccogliesse l'oro, dicui adornò il suo poema; come abbiamo altrove veduto ch'è probabile ch'eipur facesse riguardo all'Angeleide del Valvasone. Per altro l'Adamodell'Andreini, benchè abbia alcuni tratti di pessimo gusto, ne ha altri anco-ra che si posson proporre come modello di eccellente poesia. Veggasil'analisi di questo dramma fatta con ingegno e con esattezza dal ch. sig. co.Gianfrancesco Napione Galeani Cocconato di Passerano (Dell'uso e de'pregi della lingua ital. t. 2, p. 274, ec.).

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che in Francia a' tempi di Luigi XIII, non sono ugual-mente pregevoli; ma ei debb'esser qui ricordato, perchèvuolsi che colla sua rappresentazione sacra intitolatal'Adamo desse occasione al celebre Milton, che udillarecitare in Milano, a comporre il suo Paradiso perduto(V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 708, ec.) 55. Ilco. Ridolfo Campeggi bolognese, morto in età di 59anni nel 1624 fra molte opere, parecchie delle quali ap-partengono al genere drammatico (V. Orlandi Scritt. bo-logn. p. 241), ci diè il Tancredi tragedia che può averluogo tra le migliori di questo secolo. Alcune tragedieabbiamo ancora, che non son prive di qualche pregio, di

55 L'eruditissimo sig. co. Carli (Op. t. 17, p. 42) osserva assai giustamenteche il Milton nato nel 1608, non potè assistere di presenza all'Adamodell'Andreini, rappresentato circa il 1613, e stampato nel 1617. Ma ciò nonbasta a provare che da esso non traesse l'idea del suo poema, perciocchè eipotè ben averlo alle mani, essendo singolarmente quel libro stampato conmolta magnificenza, e ornato con quaranta rami disegnati dal celebre Pro-caccino, e dedicato alla reina di Francia. È certo, benchè l'Adamodell'Andreini sia in confronto del Paradiso perduto ciò che è il poema diEnnio in confronto a quel di Virgilio, nondimeno non può negarsi chel'idee gigantesche, delle quali l'autore inglese ha abbellito il suo poema, diSatana ch'entra nel Paradiso terrestre e arde d'invidia al vedere la felicitàdell'uomo, del congresso de' Demonj, della battaglia degli angioli controLucifero, e più altre somiglianti immagini veggonsi nell'Adamo adombrateper modo, che a me sembra molto credibile che anche il Miltondall'immondezze, se così è lecito dire, dell'Andreini raccogliesse l'oro, dicui adornò il suo poema; come abbiamo altrove veduto ch'è probabile ch'eipur facesse riguardo all'Angeleide del Valvasone. Per altro l'Adamodell'Andreini, benchè abbia alcuni tratti di pessimo gusto, ne ha altri anco-ra che si posson proporre come modello di eccellente poesia. Veggasil'analisi di questo dramma fatta con ingegno e con esattezza dal ch. sig. co.Gianfrancesco Napione Galeani Cocconato di Passerano (Dell'uso e de'pregi della lingua ital. t. 2, p. 274, ec.).

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Bartolommeo Tortoletti veronese, di cui si posson vederle notizie presso il march. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p.459, ec.) e presso il Crescimbeni (l. c. p. 304). Più cele-bre è il Solimano del co. Prospero Bonarelli gentiluomoanconitano stampato la prima volta in Venezia nel 1619,e poscia più altre volte. Questa tragedia in fatti, se trop-po non avesse dello stil lirico, e se gli episodj fossero algenere tragico più adattati, avrebbe poche che le potes-sero stare al confronto. L'autore visse fino al 1659, egiunse all'età di circa 70 anni, aggregato a molte accade-mie, e caro a più principi, a' quali ebbe l'onor di servire,e fra gli altri all'arciduca, poi imperador, Leopoldo, percui comando avendo composti alcuni drammi, n'ebbe indono il ritratto gioiellato con un sonetto dallo stesso ar-ciduca composto e scritto (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2,par. 3, p. 1554, ec.). Oltre la detta tragedia, più altreopere ce ne son pervenute, delle quali non giova il diredistintamente. Si possono ancor ricordare non senzalode alcune tragedie di Ansaldo Ceba, di cui abbiamdetto poc'anzi, e singolarmente le Gemelle Capoane el'Alcippo. Ma niuno scrittore fu sì fecondo nel comporretragedie, quando il p. Ortensio Scamacca gesuita di Len-tini in Sicilia, morto in Palermo nel 1648, di cui ne ab-biamo oltre a cinquanta, altre sacre, altre profane; intor-no alle quali si possono vedere gli onorevoli giudizj chene danno il Crescimbeni (Coment. t. 2, par. 2, p. 308), ilQuadrio (t. 4, p. 87) e gli altri autori da essi citati. Moltepure ne abbiamo di Girolamo Bartolommei Smeduccigentiluom fiorentino autore innoltre di diversi drammi

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Bartolommeo Tortoletti veronese, di cui si posson vederle notizie presso il march. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p.459, ec.) e presso il Crescimbeni (l. c. p. 304). Più cele-bre è il Solimano del co. Prospero Bonarelli gentiluomoanconitano stampato la prima volta in Venezia nel 1619,e poscia più altre volte. Questa tragedia in fatti, se trop-po non avesse dello stil lirico, e se gli episodj fossero algenere tragico più adattati, avrebbe poche che le potes-sero stare al confronto. L'autore visse fino al 1659, egiunse all'età di circa 70 anni, aggregato a molte accade-mie, e caro a più principi, a' quali ebbe l'onor di servire,e fra gli altri all'arciduca, poi imperador, Leopoldo, percui comando avendo composti alcuni drammi, n'ebbe indono il ritratto gioiellato con un sonetto dallo stesso ar-ciduca composto e scritto (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2,par. 3, p. 1554, ec.). Oltre la detta tragedia, più altreopere ce ne son pervenute, delle quali non giova il diredistintamente. Si possono ancor ricordare non senzalode alcune tragedie di Ansaldo Ceba, di cui abbiamdetto poc'anzi, e singolarmente le Gemelle Capoane el'Alcippo. Ma niuno scrittore fu sì fecondo nel comporretragedie, quando il p. Ortensio Scamacca gesuita di Len-tini in Sicilia, morto in Palermo nel 1648, di cui ne ab-biamo oltre a cinquanta, altre sacre, altre profane; intor-no alle quali si possono vedere gli onorevoli giudizj chene danno il Crescimbeni (Coment. t. 2, par. 2, p. 308), ilQuadrio (t. 4, p. 87) e gli altri autori da essi citati. Moltepure ne abbiamo di Girolamo Bartolommei Smeduccigentiluom fiorentino autore innoltre di diversi drammi

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musicali, di un poema in XL canti, intitolato l'America,e di altre opere che si annoverano dal co. Mazzucchelli(l. c. t. 2, par. 1, p. 470). Egli fiorì verso la metà del se-colo, e finì di vivere nel 1662. Due Cardinali ci vengonoancora innanzi fra gli scrittori di tragedie. Il primo è ilcard. Sforza Pallavicino, noto per la sua Storia del Con-cilio di Trento, che, essendo tuttor gesuita, nel 1644 dièalla luce l'Ermenegildo, e poscia di nuovo nel 1655 conun Discorso, in cui difende la sua tragedia da alcune ac-cuse che le venivano date. Il Discorso, per le ottime ri-flessioni che in esso contengonsi, è forse più pregevoledella tragedia; ma invano egli in esso si è affaticato aprovare che le tragedie vogliono essere scritte, com'egliavea fatto, in versi rimati. L'altro è il card. GiovanniDelfino, che dopo aver sostenuti onorevoli impieghi nel-la repubblica, nominato nel 1656 da Girolamo Gradeni-go suo coadiutore nel patriarcato di Aquileia, gli succe-dette tra poco, da Alessandro VII nel 1667 fu sollevatoall'onor della porpora, e passò a miglior vita nel 1699.Quattro tragedie egli scrisse, la Cleopatra, la Lucrezia,il Medoro e il Creso, le quali, benchè non sieno del tuttoesenti da' difetti del secolo, per la nobiltà dello stile non-dimeno e per la condotta possono andar del pari collemigliori dell'età precedente. Ma egli non volle mai chesi pubblicassero. La Cleopatra fu la prima volta stampa-ta nel Teatro italiano (t. 3). Quindi tutte quattro venneroa luce, ma assai guaste e malconcie, in Utrecht nel 1730,finchè una assai più corretta e magnifica edizione se nefece dal Comino in Padova nel 1733 insieme con un Di-

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musicali, di un poema in XL canti, intitolato l'America,e di altre opere che si annoverano dal co. Mazzucchelli(l. c. t. 2, par. 1, p. 470). Egli fiorì verso la metà del se-colo, e finì di vivere nel 1662. Due Cardinali ci vengonoancora innanzi fra gli scrittori di tragedie. Il primo è ilcard. Sforza Pallavicino, noto per la sua Storia del Con-cilio di Trento, che, essendo tuttor gesuita, nel 1644 dièalla luce l'Ermenegildo, e poscia di nuovo nel 1655 conun Discorso, in cui difende la sua tragedia da alcune ac-cuse che le venivano date. Il Discorso, per le ottime ri-flessioni che in esso contengonsi, è forse più pregevoledella tragedia; ma invano egli in esso si è affaticato aprovare che le tragedie vogliono essere scritte, com'egliavea fatto, in versi rimati. L'altro è il card. GiovanniDelfino, che dopo aver sostenuti onorevoli impieghi nel-la repubblica, nominato nel 1656 da Girolamo Gradeni-go suo coadiutore nel patriarcato di Aquileia, gli succe-dette tra poco, da Alessandro VII nel 1667 fu sollevatoall'onor della porpora, e passò a miglior vita nel 1699.Quattro tragedie egli scrisse, la Cleopatra, la Lucrezia,il Medoro e il Creso, le quali, benchè non sieno del tuttoesenti da' difetti del secolo, per la nobiltà dello stile non-dimeno e per la condotta possono andar del pari collemigliori dell'età precedente. Ma egli non volle mai chesi pubblicassero. La Cleopatra fu la prima volta stampa-ta nel Teatro italiano (t. 3). Quindi tutte quattro venneroa luce, ma assai guaste e malconcie, in Utrecht nel 1730,finchè una assai più corretta e magnifica edizione se nefece dal Comino in Padova nel 1733 insieme con un Di-

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scorso apologetico del cardinal medesimo in difesa dellesue Tragedie. Sei Dialoghi in versi di questo dottissimocardinale sono poi stampati (Miscell. di varie Op., Ven.1740, t. 1), ne' quali ei si mostra molto versato nella mo-derna filosofia di que' tempi, senza però abbandonaredel tutto i pregiudizj dell'antica. Ma il loro stile non è sìnobile e sostenuto come nelle tragedie. L'Aristodemo delco. Carlo de' Dottori padovano, stampato nel 1657, sa-rebbe una delle più illustri tragedie italiane, se l'autore,seguendo l'uso di quell'età, non l'avesse scritta con unostile troppo lirico, che mal conviene a tal genere di poe-sia. Egli è ancora autore di altre rime, e di un poemaeroico-comico intitolato L'asino, stampato in Venezianel 1652, e diviso in dieci canti 56. Finalmente AntonioMuscettola napoletano ci diede la Rosminda e la Belisa,e della seconda di queste tragedie prese a considerare ipregi il celebre Angelico Aprosio in un suo libro sotto ilnome di Oldauro Scioppio stampato nel 1664. E questetragedie ci basti l'avere accennate fra mille altre che purpotrebbonsi nominare se tale fosse il lor pregio che l'Ita-lia potesse a ragione andarne lieta e gloriosa.

XXVII. Ma se la tragedia italiana nel corsodi questo secolo non fece que' felici pro-

56 Il co. Carlo de' Dottori fu amicissimo e corrispondente del Redi, e moltedelle lettere che questi gli scrisse (Op. t. 4, n. 1, ec. ed. napol. 1778) fannoconoscere in quanta stima ne avesse il talento e le poesie; e certo il Rediera uomo, quant'altri mai fosse, sperto a conoscere il vero merito, e a di-scernere il buon gusto dal reo.

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Scrittori dicommedie.

scorso apologetico del cardinal medesimo in difesa dellesue Tragedie. Sei Dialoghi in versi di questo dottissimocardinale sono poi stampati (Miscell. di varie Op., Ven.1740, t. 1), ne' quali ei si mostra molto versato nella mo-derna filosofia di que' tempi, senza però abbandonaredel tutto i pregiudizj dell'antica. Ma il loro stile non è sìnobile e sostenuto come nelle tragedie. L'Aristodemo delco. Carlo de' Dottori padovano, stampato nel 1657, sa-rebbe una delle più illustri tragedie italiane, se l'autore,seguendo l'uso di quell'età, non l'avesse scritta con unostile troppo lirico, che mal conviene a tal genere di poe-sia. Egli è ancora autore di altre rime, e di un poemaeroico-comico intitolato L'asino, stampato in Venezianel 1652, e diviso in dieci canti 56. Finalmente AntonioMuscettola napoletano ci diede la Rosminda e la Belisa,e della seconda di queste tragedie prese a considerare ipregi il celebre Angelico Aprosio in un suo libro sotto ilnome di Oldauro Scioppio stampato nel 1664. E questetragedie ci basti l'avere accennate fra mille altre che purpotrebbonsi nominare se tale fosse il lor pregio che l'Ita-lia potesse a ragione andarne lieta e gloriosa.

XXVII. Ma se la tragedia italiana nel corsodi questo secolo non fece que' felici pro-

56 Il co. Carlo de' Dottori fu amicissimo e corrispondente del Redi, e moltedelle lettere che questi gli scrisse (Op. t. 4, n. 1, ec. ed. napol. 1778) fannoconoscere in quanta stima ne avesse il talento e le poesie; e certo il Rediera uomo, quant'altri mai fosse, sperto a conoscere il vero merito, e a di-scernere il buon gusto dal reo.

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Scrittori dicommedie.

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gressi che dallo stato a cui essa era giunta nel secoloprecedente, poteansi aspettare, più infelice ancora fu lasorte della commedia, la quale venne talmente degene-rando ch'essa comunemente non fu più che un tessuto diridevoli buffonerie, senza regolarità e senza verosimi-glianza d'intreccio e senza ornamento alcuno di stile, espesso ancora ripiena di oscenità e di lordure, per otte-nere dalla vil plebaglia quel plauso che dalle colte per-sone non poteasi sperare. Quindi fra molte commedieche pur vennero a luce nel corso di questo secolo, io nonoso di far menzione che della Tancia di MichelangeloBuonarroti il giovane, nobile fiorentino e nipote delgran Buonarroti, in cui egli vivamente seppe descrivereil linguaggio non meno che le maniere e i costumi de'contadini fiorentini, e si mostrò imitatore felice di Te-renzio e di Plauto. La Vita di questo colto scrittore è sta-ta dopo altri esattamente descritta dal co. Mazzucchelli(l. c. t. 2, par. 4, p. 2352); ma com'essa altro non contie-ne che la serie degl'impieghi ne' quali egli fu adoperatoda' suoi sovrani, e delle cariche che sostenne in diverseaccademie della sua patria, io non mi arresterò in farneun compendio. Solo non vuolsi tacere che fu il Buonar-roti uno splendido promotore delle belle arti e de' buonistudj, sì col formare colla spesa di ventiduemila scudiuna magnifica galleria, come coll'adunare in sua casa ipiù dotti uomini ch'erano allora in Firenze, e coll'ani-marli a investigare le memorie della comune lor patria;e frutto di queste assemblee fu l'opera da Francesco Se-galoni intrapresa per illustrare le famiglie fiorentine, in-

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gressi che dallo stato a cui essa era giunta nel secoloprecedente, poteansi aspettare, più infelice ancora fu lasorte della commedia, la quale venne talmente degene-rando ch'essa comunemente non fu più che un tessuto diridevoli buffonerie, senza regolarità e senza verosimi-glianza d'intreccio e senza ornamento alcuno di stile, espesso ancora ripiena di oscenità e di lordure, per otte-nere dalla vil plebaglia quel plauso che dalle colte per-sone non poteasi sperare. Quindi fra molte commedieche pur vennero a luce nel corso di questo secolo, io nonoso di far menzione che della Tancia di MichelangeloBuonarroti il giovane, nobile fiorentino e nipote delgran Buonarroti, in cui egli vivamente seppe descrivereil linguaggio non meno che le maniere e i costumi de'contadini fiorentini, e si mostrò imitatore felice di Te-renzio e di Plauto. La Vita di questo colto scrittore è sta-ta dopo altri esattamente descritta dal co. Mazzucchelli(l. c. t. 2, par. 4, p. 2352); ma com'essa altro non contie-ne che la serie degl'impieghi ne' quali egli fu adoperatoda' suoi sovrani, e delle cariche che sostenne in diverseaccademie della sua patria, io non mi arresterò in farneun compendio. Solo non vuolsi tacere che fu il Buonar-roti uno splendido promotore delle belle arti e de' buonistudj, sì col formare colla spesa di ventiduemila scudiuna magnifica galleria, come coll'adunare in sua casa ipiù dotti uomini ch'erano allora in Firenze, e coll'ani-marli a investigare le memorie della comune lor patria;e frutto di queste assemblee fu l'opera da Francesco Se-galoni intrapresa per illustrare le famiglie fiorentine, in-

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titolata Il Priorista, che fu poi corretta e ampliata daBernardo Benvenuti altrove da noi nominato. Egli cessòdi vivere agli 11 di gennaio del 1646, dopo aver pubbli-cate diverse altre operette, come Orazioni, Cicalate,Poesie, Lezioni, e scritta un'altra commedia, intitolataLa Fiera, che non fu stampata che nel 1726.

XXVIII. Non picciolo parimente è il nume-ro de' drammi pastorali che in questo secoloprodusse l'Italia. Ma in essi ancora in vecedi seguir le vestigia de' primi autori di tal

genere di componimento e di toglierne que' difetti chesogliono accompagnare le nuove invenzioni, nuovi epeggiori difetti si vennero introducendo singolarmentequanto allo stile, che quasi in tutti si vede vizioso persoverchio raffinamento e per lo smoderato uso di freddemetafore e di ricercati concetti. Forse eran migliori dellealtre due Favole pastorali inedite di d. Cesare II, duca diGuastalla, che ad imitazione di d. Ferrante II, suo padre,esercitossi in tali studj de' quali compiacevasi assai; ealcune lettere da lui scritte, le quali si conservanonell'archivio di Guastalla, e dal ch. p. Affò mi sono statecomunicate, ci mostrano che avea in essi buon gusto.Una è intitolata la Procri, che leggesi al fine della Storiams. di Guastalla del can. Giuseppe Negri, l'altra La Pia-ga felice, il cui originale è presso il medesimo p. Affò. Eforse maggior saggi ci avrebbe egli lasciati del suo ta-lento poetico, se la morte non l'avesse in età giovanile

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Scrittori didrammi pa-storali.

titolata Il Priorista, che fu poi corretta e ampliata daBernardo Benvenuti altrove da noi nominato. Egli cessòdi vivere agli 11 di gennaio del 1646, dopo aver pubbli-cate diverse altre operette, come Orazioni, Cicalate,Poesie, Lezioni, e scritta un'altra commedia, intitolataLa Fiera, che non fu stampata che nel 1726.

XXVIII. Non picciolo parimente è il nume-ro de' drammi pastorali che in questo secoloprodusse l'Italia. Ma in essi ancora in vecedi seguir le vestigia de' primi autori di tal

genere di componimento e di toglierne que' difetti chesogliono accompagnare le nuove invenzioni, nuovi epeggiori difetti si vennero introducendo singolarmentequanto allo stile, che quasi in tutti si vede vizioso persoverchio raffinamento e per lo smoderato uso di freddemetafore e di ricercati concetti. Forse eran migliori dellealtre due Favole pastorali inedite di d. Cesare II, duca diGuastalla, che ad imitazione di d. Ferrante II, suo padre,esercitossi in tali studj de' quali compiacevasi assai; ealcune lettere da lui scritte, le quali si conservanonell'archivio di Guastalla, e dal ch. p. Affò mi sono statecomunicate, ci mostrano che avea in essi buon gusto.Una è intitolata la Procri, che leggesi al fine della Storiams. di Guastalla del can. Giuseppe Negri, l'altra La Pia-ga felice, il cui originale è presso il medesimo p. Affò. Eforse maggior saggi ci avrebbe egli lasciati del suo ta-lento poetico, se la morte non l'avesse in età giovanile

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rapito l'an. 1632 in Vienna, ove d. Ferrante suo padre,poco prima di morire, l'avea mandato per l'affare dellasuccessione al ducato di Mantova. Fra le pastorali stam-pate, io ne accennerò una soltanto che sopra tutte ebbeplauso, cioè la Filli di Sciro di Guidubaldo Bonarellidella Rovere, fratello del co. Prospero da noi nominatopoc'anzi. Egli era nato in Urbino nel 1563, ove allora erain molta grazia del duca Guidubaldo II il co. Pietro dilui padre. Dopo la morte del detto duca, parendo al gio-vane Bonarelli di non essere ugualmente caro al succes-sore Francesco Maria II, passò col padre alla corte delco. Cammillo Gonzaga in Novellara; e indi fu invitato astudiare in Francia, ove diede tai saggi d'ingegno, che inetà di 19 anni gli venne esibita dal collegio della Sorbo-na una cattedra di filosofia. Ma richiamato dal padre inItalia, fu qualche tempo presso il card. Federigo Borro-meo, indi al servigio di Alfonso II, duca di Ferrara, e poidi Cesare duca di Modena, onorato da essi di ragguarde-voli cariche e di cospicue legazioni. Il cardinale d'Estechiamollo a Roma all'impiego di suo primo maggiordo-mo; ma nel viaggio, sorpreso in Fano da mortal malattiain casa di Federigo da Montevecchio suo zio, finì di vi-vere agli 8 di gennaio del 1608 in età di 45 anni, la-sciando una sola figlia avuta da Laura Coccapani suamoglie. Queste sono le principali circostanze della vitadel co. Guidubaldo, che ci narran gli autori citati dal co.Mazzucchelli (l. c. t. 2, par. 3, p. 1549). Ma altre diversene ho io trovate in una Cronaca ms. di Modena dal 1600al 1637, scritta da Giambattista Spaccini modenese che

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rapito l'an. 1632 in Vienna, ove d. Ferrante suo padre,poco prima di morire, l'avea mandato per l'affare dellasuccessione al ducato di Mantova. Fra le pastorali stam-pate, io ne accennerò una soltanto che sopra tutte ebbeplauso, cioè la Filli di Sciro di Guidubaldo Bonarellidella Rovere, fratello del co. Prospero da noi nominatopoc'anzi. Egli era nato in Urbino nel 1563, ove allora erain molta grazia del duca Guidubaldo II il co. Pietro dilui padre. Dopo la morte del detto duca, parendo al gio-vane Bonarelli di non essere ugualmente caro al succes-sore Francesco Maria II, passò col padre alla corte delco. Cammillo Gonzaga in Novellara; e indi fu invitato astudiare in Francia, ove diede tai saggi d'ingegno, che inetà di 19 anni gli venne esibita dal collegio della Sorbo-na una cattedra di filosofia. Ma richiamato dal padre inItalia, fu qualche tempo presso il card. Federigo Borro-meo, indi al servigio di Alfonso II, duca di Ferrara, e poidi Cesare duca di Modena, onorato da essi di ragguarde-voli cariche e di cospicue legazioni. Il cardinale d'Estechiamollo a Roma all'impiego di suo primo maggiordo-mo; ma nel viaggio, sorpreso in Fano da mortal malattiain casa di Federigo da Montevecchio suo zio, finì di vi-vere agli 8 di gennaio del 1608 in età di 45 anni, la-sciando una sola figlia avuta da Laura Coccapani suamoglie. Queste sono le principali circostanze della vitadel co. Guidubaldo, che ci narran gli autori citati dal co.Mazzucchelli (l. c. t. 2, par. 3, p. 1549). Ma altre diversene ho io trovate in una Cronaca ms. di Modena dal 1600al 1637, scritta da Giambattista Spaccini modenese che

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allora vivea, e che conservasi nell'archivio di questa cit-tà. Ivi ai 22 di agosto del 1600 si legge così: Questasera l'Imola (Segretario di Stato del duca Cesare) a hore22 fece commissione al Sig. Conte Guidubaldo Bonarel-li Anconitano, Cameriero secreto di S. A., che in termi-ni d'hore 24 si debba levare di su il suo Stato: la causanon si sà. Quindi soggiugne che il dì seguente a 12 oreegli partì, rimanendo in Modena i conti Antonio e Pro-spero di lui fratelli con una loro zia. Aggiugne che si di-ceva che la cagione di questa sua disgrazia fosse il ma-trimonio da lui contratto colla suddetta Laura in modo econ circostanze tali, che avevano irritato l'animo delduca, sicchè invece di mandarlo, come avea destinato,suo ministro in Francia, mandollo in esilio. Lo stessostorico fa qui un breve compendio della storia di questafamiglia, e oltre le cose da noi notate, dice che il contePietro padre di Guidubaldo si era renduto odioso nel du-cato di Urbino per le gravezze che avea fatte imporre aque' popoli; che fu poi costretto a fuggire, perchè fu ac-cusato di avere avuta parte in una congiura contro ilduca Francesco Maria, e che tutti i beni gli furono confi-scati; che in Novellara avendo egli tentato di unire unde' suoi figli in matrimonio con una nipote del co. Cam-millo Gonzaga, questi gli ordinò di partire nel termine di24 ore; che allora tutti vennero a Modena, ove poscia ilco. Pietro morì; e i figli passarono a Ferrara al servigiodel duca Alfonso II, e quindi col duca Cesare si eranotrasferiti a Modena; e conchiude ch'era gran danno cheil co. Guidubaldo fosse caduto in tal fallo, per essere

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allora vivea, e che conservasi nell'archivio di questa cit-tà. Ivi ai 22 di agosto del 1600 si legge così: Questasera l'Imola (Segretario di Stato del duca Cesare) a hore22 fece commissione al Sig. Conte Guidubaldo Bonarel-li Anconitano, Cameriero secreto di S. A., che in termi-ni d'hore 24 si debba levare di su il suo Stato: la causanon si sà. Quindi soggiugne che il dì seguente a 12 oreegli partì, rimanendo in Modena i conti Antonio e Pro-spero di lui fratelli con una loro zia. Aggiugne che si di-ceva che la cagione di questa sua disgrazia fosse il ma-trimonio da lui contratto colla suddetta Laura in modo econ circostanze tali, che avevano irritato l'animo delduca, sicchè invece di mandarlo, come avea destinato,suo ministro in Francia, mandollo in esilio. Lo stessostorico fa qui un breve compendio della storia di questafamiglia, e oltre le cose da noi notate, dice che il contePietro padre di Guidubaldo si era renduto odioso nel du-cato di Urbino per le gravezze che avea fatte imporre aque' popoli; che fu poi costretto a fuggire, perchè fu ac-cusato di avere avuta parte in una congiura contro ilduca Francesco Maria, e che tutti i beni gli furono confi-scati; che in Novellara avendo egli tentato di unire unde' suoi figli in matrimonio con una nipote del co. Cam-millo Gonzaga, questi gli ordinò di partire nel termine di24 ore; che allora tutti vennero a Modena, ove poscia ilco. Pietro morì; e i figli passarono a Ferrara al servigiodel duca Alfonso II, e quindi col duca Cesare si eranotrasferiti a Modena; e conchiude ch'era gran danno cheil co. Guidubaldo fosse caduto in tal fallo, per essere

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giovane dottissimo et bellissimo dicitore, portando peròcon lui la sua parte dell'ambizione. Indi sotto a' 30 deldetto mese racconta che il co. Guidubaldo erasi ritirato aFerrara, e narra più stesamente l'accennata origine dellasua disgrazia; e a' 26 di aprile del 1601 racconta che ilBonarelli avea ottenuto di venire a Modena a baciar lamano al duca prima di ritirarsi a' suoi castelli. Il suddet-to dramma fu da lui pubblicato in Ferrara nel 1607, e fuallor fatto solennemente rappresentare dagli AccademiciInterpreti di quella città, de' quali egli era stato uno de'primi fondatori. L'applauso con cui esso fu ricevuto, nefece poscia moltiplicar l'edizioni, e alcune ne ha vedute,il nostro secolo ancora e in Italia e oltremonti, ed è an-che stato tradotto in francese e in inglese. Ed è senti-mento comune de' dotti, che dopo l'Aminta del Tasso eIl Pastor Fido del Guarini debbasi a questo il primo luo-go. Ma se que' primi due drammi venner da alcuni ripre-si, perchè i pastori vi s'introducessero a ragionare consentimenti e con espressioni troppo raffinate, molto piùdeesi questa critica alla Filli di Sciro, in cui, oltre un raf-finamento anche maggiore, si veggon non pochi saggidel guasto stile che allor tanto piaceva. Ne fu ancora inqualche parte biasimato l'intreccio, e singolarmente ildoppio amore, di cui egli fa compresa la sua Celia; equesta accusa diede occasione a' discorsi ch'ei pubblicòin sua difesa. Intorno alle quali, e a più altre notizie chece ne somministra il co. Mazzucchelli.

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giovane dottissimo et bellissimo dicitore, portando peròcon lui la sua parte dell'ambizione. Indi sotto a' 30 deldetto mese racconta che il co. Guidubaldo erasi ritirato aFerrara, e narra più stesamente l'accennata origine dellasua disgrazia; e a' 26 di aprile del 1601 racconta che ilBonarelli avea ottenuto di venire a Modena a baciar lamano al duca prima di ritirarsi a' suoi castelli. Il suddet-to dramma fu da lui pubblicato in Ferrara nel 1607, e fuallor fatto solennemente rappresentare dagli AccademiciInterpreti di quella città, de' quali egli era stato uno de'primi fondatori. L'applauso con cui esso fu ricevuto, nefece poscia moltiplicar l'edizioni, e alcune ne ha vedute,il nostro secolo ancora e in Italia e oltremonti, ed è an-che stato tradotto in francese e in inglese. Ed è senti-mento comune de' dotti, che dopo l'Aminta del Tasso eIl Pastor Fido del Guarini debbasi a questo il primo luo-go. Ma se que' primi due drammi venner da alcuni ripre-si, perchè i pastori vi s'introducessero a ragionare consentimenti e con espressioni troppo raffinate, molto piùdeesi questa critica alla Filli di Sciro, in cui, oltre un raf-finamento anche maggiore, si veggon non pochi saggidel guasto stile che allor tanto piaceva. Ne fu ancora inqualche parte biasimato l'intreccio, e singolarmente ildoppio amore, di cui egli fa compresa la sua Celia; equesta accusa diede occasione a' discorsi ch'ei pubblicòin sua difesa. Intorno alle quali, e a più altre notizie chece ne somministra il co. Mazzucchelli.

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XXIX. Ma a niun genere di poesia teatralefu in questo secolo l'Italia sì ardentementerivolta come a' drammi per musica, i cui co-minciamenti abbiam veduti nella Storia del

secolo precedente. Questi però invece di ricevere dal ge-nerale entusiasmo, che per essi si accese, maggior perfe-zione, furono anzi da esso condotti a una total decaden-za. Pareva che tutto lo studio de' poeti drammaticis'impiegasse nel sorprendere e riempire di stupor gliascoltanti con solenni maravigliose comparse, e purchèl'occhio fosse appagato, sacrificavasi ad esso ogni altracosa 57. La magnificenza de' principi e de' privati in que-57 Il sig. ab. Arteaga, parlando del reo gusto che ne' drammi musicali di que-

sto secolo s'introdusse, dice (Rivoluz. del Teatro music. Ital. t. 1, p. 268,ec.): Ma donde sia venuta in mente a' poeti siffatta idea, per qual istranocangiamento una nazione sì colta se ne sia compiacciuta a tal segno, cheabbia nel Teatro antiposta la mostruosità alla decenza, il dubbio alla ve-rità, l'esclusione d'ogni buon senso alle regole inalterabili di critica la-sciateci dagli antichi, se il male sia venuto dalla poesia ovver dalla musi-ca, o se tutto debba ripetersi dalle circostanze dei tempi, ecco ciò cheniuno Autore Italiano ha finora preso ad investigare, e quello che mi veg-go in necessità di dover eseguire. Veggiamo dunque ciò che questo valo-roso autore osserva. Egli avverte che l'uomo naturalmente ama il maravi-glioso, e gode di tutto ciò che ha dello strano e del sorprendente, che quin-di nacquero le favole mitologiche, gl'incantesimi, i romanzi, ec. Osservaposcia ch'essendo lo stil poetico diverso assai dal prosaico, e il poeticomusicale essendo ancora assai più difficile del poetico ordinario, e riu-scendo esso perciò men gradito al popolo, i poeti si rivolsero a supplire aquesta difficoltà coll'introdurre il maraviglioso, e disperando di soddisfa-re il buon senso, s'ingegnarono di piacere all'immaginazione. Tutto ciòvedesi lungamente ed eloquentemente svolto dall'ingegnoso scrittore. Maè ella sciolta con ciò la proposta quistione? Le suddette ragioni concorre-vano ugualmente a' cominciamenti del dramma musicale verso la fine delsec. XVI e al secol seguente, in cui il dramma medesimo, che avea avutosì felice principio, decadde sì miseramente, e a' tempi nostri, in cui esso

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Scrittori didrammi permusica.

XXIX. Ma a niun genere di poesia teatralefu in questo secolo l'Italia sì ardentementerivolta come a' drammi per musica, i cui co-minciamenti abbiam veduti nella Storia del

secolo precedente. Questi però invece di ricevere dal ge-nerale entusiasmo, che per essi si accese, maggior perfe-zione, furono anzi da esso condotti a una total decaden-za. Pareva che tutto lo studio de' poeti drammaticis'impiegasse nel sorprendere e riempire di stupor gliascoltanti con solenni maravigliose comparse, e purchèl'occhio fosse appagato, sacrificavasi ad esso ogni altracosa 57. La magnificenza de' principi e de' privati in que-57 Il sig. ab. Arteaga, parlando del reo gusto che ne' drammi musicali di que-

sto secolo s'introdusse, dice (Rivoluz. del Teatro music. Ital. t. 1, p. 268,ec.): Ma donde sia venuta in mente a' poeti siffatta idea, per qual istranocangiamento una nazione sì colta se ne sia compiacciuta a tal segno, cheabbia nel Teatro antiposta la mostruosità alla decenza, il dubbio alla ve-rità, l'esclusione d'ogni buon senso alle regole inalterabili di critica la-sciateci dagli antichi, se il male sia venuto dalla poesia ovver dalla musi-ca, o se tutto debba ripetersi dalle circostanze dei tempi, ecco ciò cheniuno Autore Italiano ha finora preso ad investigare, e quello che mi veg-go in necessità di dover eseguire. Veggiamo dunque ciò che questo valo-roso autore osserva. Egli avverte che l'uomo naturalmente ama il maravi-glioso, e gode di tutto ciò che ha dello strano e del sorprendente, che quin-di nacquero le favole mitologiche, gl'incantesimi, i romanzi, ec. Osservaposcia ch'essendo lo stil poetico diverso assai dal prosaico, e il poeticomusicale essendo ancora assai più difficile del poetico ordinario, e riu-scendo esso perciò men gradito al popolo, i poeti si rivolsero a supplire aquesta difficoltà coll'introdurre il maraviglioso, e disperando di soddisfa-re il buon senso, s'ingegnarono di piacere all'immaginazione. Tutto ciòvedesi lungamente ed eloquentemente svolto dall'ingegnoso scrittore. Maè ella sciolta con ciò la proposta quistione? Le suddette ragioni concorre-vano ugualmente a' cominciamenti del dramma musicale verso la fine delsec. XVI e al secol seguente, in cui il dramma medesimo, che avea avutosì felice principio, decadde sì miseramente, e a' tempi nostri, in cui esso

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ste decorazioni contribuì essa ancora a fare ch'esse fos-sero il principale oggetto dell'attenzion de' poeti. Cele-bre per questo genere fu singolarmente il teatro delproccurator Marco Contarini eretto in Piazzola, diecimiglia lungi da Padova, ove nel 1680 e nel 1681 si vide-ro girar sulla scena tirate da superbi destrieri fino a cin-que ricchissime carrozze e carri trionfali, e cento Amaz-zoni e cento Mori, e cinquanta altri a cavallo, e cacce,ed altri solenni spettacoli (V. Quadrio t. 5, p. 455). Lecorti di Modena e di Mantova fecero pompa in ciò versola fine del secolo, quasi a gara l'una dell'altra, di un lus-so veramente reale: "La Musica, dice il Muratori (Ann.d'Ital. ad an. 1690), e quella particolarmente de' Teatri,era salita in alto pregio, attendendosi dappertutto a sun-tuose opere in Musica, con essersi trasferito a decorare iMusici e le Musichesse l'adulterato titolo di Virtuosi eVirtuose. Gareggiavano più dell'altre fra loro le Corti diMantova e di Modena, dove i Duchi, Ferdinando CarloGonzaga e Francesco II d'Este, si studiavano di tenere alloro stipendio i più accreditati Cantanti, e le più rinoma-te Cantatrici, e i Sonatori più cospicui di varii musicalistrumenti. Invalse in questi tempi l'uso di pagare le du-cento, trecento, ed anche più doble a cadauno de' più

sembra decader nuovamente. Il maraviglioso e il mitologico erasi intro-dotto anche dal Rinuccini, ma egli ne usò saggiamente; que' che venneroappresso, ne abusaron di troppo. Ecco dunque ciò che noi vorremmo sa-pere, e che non è ancora spiegato; per qual ragione nel secolo scoso, e nonprima, e non dopo, siasi un sì reo gusto introdotto nel dramma musicale.Veggasi intorno a questo argomento il Giornale di Modena, ove si parladella prima edizione dell'opera dell'ab. Arteaga (t. 28, p. 276, ec.).

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ste decorazioni contribuì essa ancora a fare ch'esse fos-sero il principale oggetto dell'attenzion de' poeti. Cele-bre per questo genere fu singolarmente il teatro delproccurator Marco Contarini eretto in Piazzola, diecimiglia lungi da Padova, ove nel 1680 e nel 1681 si vide-ro girar sulla scena tirate da superbi destrieri fino a cin-que ricchissime carrozze e carri trionfali, e cento Amaz-zoni e cento Mori, e cinquanta altri a cavallo, e cacce,ed altri solenni spettacoli (V. Quadrio t. 5, p. 455). Lecorti di Modena e di Mantova fecero pompa in ciò versola fine del secolo, quasi a gara l'una dell'altra, di un lus-so veramente reale: "La Musica, dice il Muratori (Ann.d'Ital. ad an. 1690), e quella particolarmente de' Teatri,era salita in alto pregio, attendendosi dappertutto a sun-tuose opere in Musica, con essersi trasferito a decorare iMusici e le Musichesse l'adulterato titolo di Virtuosi eVirtuose. Gareggiavano più dell'altre fra loro le Corti diMantova e di Modena, dove i Duchi, Ferdinando CarloGonzaga e Francesco II d'Este, si studiavano di tenere alloro stipendio i più accreditati Cantanti, e le più rinoma-te Cantatrici, e i Sonatori più cospicui di varii musicalistrumenti. Invalse in questi tempi l'uso di pagare le du-cento, trecento, ed anche più doble a cadauno de' più

sembra decader nuovamente. Il maraviglioso e il mitologico erasi intro-dotto anche dal Rinuccini, ma egli ne usò saggiamente; que' che venneroappresso, ne abusaron di troppo. Ecco dunque ciò che noi vorremmo sa-pere, e che non è ancora spiegato; per qual ragione nel secolo scoso, e nonprima, e non dopo, siasi un sì reo gusto introdotto nel dramma musicale.Veggasi intorno a questo argomento il Giornale di Modena, ove si parladella prima edizione dell'opera dell'ab. Arteaga (t. 28, p. 276, ec.).

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melodiosi Attori ne' Teatri, oltre al dispendio grandedell'Orchestra, del Vestiario, delle Scene, delle illumina-zioni. Spezialmente Venezia colla sontuosità delle sueopere in Musica, e con altri divertimenti tirava a sè nelCarnevale un incredibil numero di gente straniera, tuttavogliosa di piaceri, e disposta allo spendere. Roma stes-sa, essendo cessato il rigido contegno di papa InnocenzoXI, cominciò ad assaporare i pubblici solazzi, ne' qualinondimeno mai non mancò la modestia; e videsi posciaPippo Acciajuoli nobile Cavaliere, con tanto ingegno ar-chitettar invenzioni di macchine in un privato Teatro,che si trassero dietro l'ammirazione d'ognuno, e merita-vano ben di passare alla memoria de' posteri". Pocodunque importava che i drammi fossero regolari, verisi-mili gli avvenimenti, ben ideato l'intreccio, purchè ma-gnifica fosse la scena e varie e ammirabili le comparse.E i poeti avendo nel lor comporre riguardo al genio de'lor padroni non meno che degli spettatori, di altro noneran solleciti che di piacere a' loro occhi. Questo è il ca-rattere di quasi tutti i drammi di questo secolo; nè puòesser perciò glorioso all'Italia il far menzione di tantiche nello scriverli si occuparono. Tra essi i più rinomati,se non per l'eccellenza, pel numero almeno de' lorodrammi, furono Andrea Salvadori fiorentino 58, Ottavio

58 Il suddetto sig. ab. Arteaga rende giustizia al Salvadori annoverandolo traun di que' pochi poeti che sepper seguire le vestigia del Rinuccini (Rivo-luz. del Teatro music. Ital. t. 1, p. 341 sec. ed.), della qual lode si concedeancor qualche parte ad alcuni de' drammi del co. Prospero Bonarelli,dell'Adimari, del Moniglia e di Girolamo Preti, e osserva innoltre che nel-le opere buffe il contagio fu minore che nelle serie, e ne reca in pruova il

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melodiosi Attori ne' Teatri, oltre al dispendio grandedell'Orchestra, del Vestiario, delle Scene, delle illumina-zioni. Spezialmente Venezia colla sontuosità delle sueopere in Musica, e con altri divertimenti tirava a sè nelCarnevale un incredibil numero di gente straniera, tuttavogliosa di piaceri, e disposta allo spendere. Roma stes-sa, essendo cessato il rigido contegno di papa InnocenzoXI, cominciò ad assaporare i pubblici solazzi, ne' qualinondimeno mai non mancò la modestia; e videsi posciaPippo Acciajuoli nobile Cavaliere, con tanto ingegno ar-chitettar invenzioni di macchine in un privato Teatro,che si trassero dietro l'ammirazione d'ognuno, e merita-vano ben di passare alla memoria de' posteri". Pocodunque importava che i drammi fossero regolari, verisi-mili gli avvenimenti, ben ideato l'intreccio, purchè ma-gnifica fosse la scena e varie e ammirabili le comparse.E i poeti avendo nel lor comporre riguardo al genio de'lor padroni non meno che degli spettatori, di altro noneran solleciti che di piacere a' loro occhi. Questo è il ca-rattere di quasi tutti i drammi di questo secolo; nè puòesser perciò glorioso all'Italia il far menzione di tantiche nello scriverli si occuparono. Tra essi i più rinomati,se non per l'eccellenza, pel numero almeno de' lorodrammi, furono Andrea Salvadori fiorentino 58, Ottavio

58 Il suddetto sig. ab. Arteaga rende giustizia al Salvadori annoverandolo traun di que' pochi poeti che sepper seguire le vestigia del Rinuccini (Rivo-luz. del Teatro music. Ital. t. 1, p. 341 sec. ed.), della qual lode si concedeancor qualche parte ad alcuni de' drammi del co. Prospero Bonarelli,dell'Adimari, del Moniglia e di Girolamo Preti, e osserva innoltre che nel-le opere buffe il contagio fu minore che nelle serie, e ne reca in pruova il

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Tronsarelli da noi già nominato altrove, Benedetto Fer-rari di patria reggiano, e soprannomato dalla Tiorba,perchè era celebre sonatore dello stromento di questonome 59, Giovanni Faustini veneziano, Giacinto AndreaCicognini fiorentino, di cui dicesi che fosse il primo cheintroducesse le ariette ne' drammi, usandole la primavolta nel suo Giasone (V. Planelli dell'Op. in mus. p.14) 60, Niccolò Minato bergamasco, poeta della corteimperiale di Vienna 61, Giacomo Castoreo veneziano,

transunto della Verità raminga di Francesco Sbarra, che è certamente pia-cevole e grazioso.

59 Di Benedetto Ferrari, che fu insieme scrittor de' drammi, e compositoredella lor musica, celebre ai suoi tempi, e che fu il primo a far rappresenta-re pubblicamente in Venezia i drammi musicali, si è parlato a lungo nellaBiblioteca modenese (t. 2, p. 265; t. 6, p. 110).

60 Abbiamo nel precedente tomo osservato che si è ingannato il sig. ab. Ar-teaga, nel volere additarsi un'aria assai anteriore al Cicognini nella Euri-dice del Rinuccini, giacchè quella nè per riguardo alla musica, nè per ri-guardo alla poesia, non può avere il nome di aria. Il sig. Napoli Signorelli,che troppo docilmente avea in ciò seguita l'opinione dell'Arteaga, avea an-che additata un'altr'aria assai più antica dell'Euridice in una farsa dramma-tica del Notturno, stampata nel 1518 (Vicende della Coltura nelle Sicil. t.3, p. 376). Ma come si è ivi osservato, e come ha provato il signor Giam-battista dall'Olio nella lettera ivi indicata, non si può nè quella, nè al-cun'altr'aria di quel secolo annoverare tra quelle che or diconsi arie dram-matiche. Ad assicurar nondimeno meglio il Cicognini la gloria di essernestato il primo inventore, converrebbe esaminare attentamente la musica dialtre azioni drammatiche circa quel tempo pubblicate, in cui veggonsi al-cune che per riguardo alla poesia debbon certamente dirsi arie.

61 Il teatro di Vienna fu il primo, a mio parere, fuori d'Italia, in cui s'introdu-cesse il dramma per musica; e io credo che la prima idea ne portasse secoda Mantova l'arciduca Leopoldo figlio dell'imp. Ferdinando II, il qualel'anno 1626 venuto a Mantova, vi vide rappresentare per musicanell'Accademia degl'Invaghiti l'Europa di Baldovino di Monte Simoncel-li. I primi poeti cesarei veggonsi alla corte dell'imp. Leopoldo di lui nipo-

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Tronsarelli da noi già nominato altrove, Benedetto Fer-rari di patria reggiano, e soprannomato dalla Tiorba,perchè era celebre sonatore dello stromento di questonome 59, Giovanni Faustini veneziano, Giacinto AndreaCicognini fiorentino, di cui dicesi che fosse il primo cheintroducesse le ariette ne' drammi, usandole la primavolta nel suo Giasone (V. Planelli dell'Op. in mus. p.14) 60, Niccolò Minato bergamasco, poeta della corteimperiale di Vienna 61, Giacomo Castoreo veneziano,

transunto della Verità raminga di Francesco Sbarra, che è certamente pia-cevole e grazioso.

59 Di Benedetto Ferrari, che fu insieme scrittor de' drammi, e compositoredella lor musica, celebre ai suoi tempi, e che fu il primo a far rappresenta-re pubblicamente in Venezia i drammi musicali, si è parlato a lungo nellaBiblioteca modenese (t. 2, p. 265; t. 6, p. 110).

60 Abbiamo nel precedente tomo osservato che si è ingannato il sig. ab. Ar-teaga, nel volere additarsi un'aria assai anteriore al Cicognini nella Euri-dice del Rinuccini, giacchè quella nè per riguardo alla musica, nè per ri-guardo alla poesia, non può avere il nome di aria. Il sig. Napoli Signorelli,che troppo docilmente avea in ciò seguita l'opinione dell'Arteaga, avea an-che additata un'altr'aria assai più antica dell'Euridice in una farsa dramma-tica del Notturno, stampata nel 1518 (Vicende della Coltura nelle Sicil. t.3, p. 376). Ma come si è ivi osservato, e come ha provato il signor Giam-battista dall'Olio nella lettera ivi indicata, non si può nè quella, nè al-cun'altr'aria di quel secolo annoverare tra quelle che or diconsi arie dram-matiche. Ad assicurar nondimeno meglio il Cicognini la gloria di essernestato il primo inventore, converrebbe esaminare attentamente la musica dialtre azioni drammatiche circa quel tempo pubblicate, in cui veggonsi al-cune che per riguardo alla poesia debbon certamente dirsi arie.

61 Il teatro di Vienna fu il primo, a mio parere, fuori d'Italia, in cui s'introdu-cesse il dramma per musica; e io credo che la prima idea ne portasse secoda Mantova l'arciduca Leopoldo figlio dell'imp. Ferdinando II, il qualel'anno 1626 venuto a Mantova, vi vide rappresentare per musicanell'Accademia degl'Invaghiti l'Europa di Baldovino di Monte Simoncel-li. I primi poeti cesarei veggonsi alla corte dell'imp. Leopoldo di lui nipo-

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Francesco Sbarra lucchese, Aurelio Aureli veneziano, ilco. Francesco Berni ferrarese, Giulio Cesare Corradiparmigiano, autore di moltissimi drammi, e di quello fragli altri intitolato La Divisione del Mondo, la cui rappre-sentazione fatta in Venezia, fu una delle più splendideche mai si vedessero, Adriano Morselli e Francesco Sil-vani veneziani, Pietro d'Averara bergamasco, per taceredi mille altri che al par di questi si potrebbono nominare62. Solo verso la fine del secolo e ne' primi anni del no-stro cominciarono i drammi a prender migliore aspetto,e tra quelli a' quali se ne dee la lode, voglionsi annove-rare Silvio Stampiglia romano, che visse fino al 1725, edi cui si ha l'elogio nel Giornale dei Letterati d'Italia (t.38, par. 2), Pietro Antonio Bernardoni natio di Vignola

te; ed essi furono Niccolò Minato bergamasco e Francesco Sbarra lucche-se (Quadrio t. 5, p. 462, 468, 469). Fu anche alla corte medesima col tito-lo di poeta cesareo, benchè non sappiamo che scrivesse drammi per musi-ca, Giovanni Pierelli da Trasilico nella Garfagnana, il quale era anche se-gretario del celebre principe Raimondo Montecuccoli. Una memoria dimano del Vallisnieri conservasi presso il ch. sig. Vincenzo Malacarne, incui curiose notizie contengonsi intorno all'incostante e capriccioso carat-tere del Pierelli, ch'era tanto amato dall'imp. Leopoldo, che questi fu ve-duto stare con lui alla finestra per ben mezz'ora tenendogli il braccio alcollo. Ma il Pierelli invaghitosi di una Olandese, lasciò la corte, e, dopovarie vicende, morì assai povero nella sua patria.

62 Al genere drammatico ridur si possono gli oratorj per musica, genere dicomponimento che a questo secolo dee la sua origine. Il sig. co. commen-dator Carli ne addita il primo scrittore in Domenico Giberto Giberti, di cuiin un libro stampato in Monaco nel 1672, e intitolato Urania Poesie cele-sti, si hanno nove Oratori per musica (Carli Op. t. 17, p. 26). Ma il Qua-drio ne accenna alcuni più antichi esempj (Stor. e Ragione d'ogni Poes. t.3, par. 2, p. 495) e quelli singolarmente di Francesco Balducci morto nel1642.

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Francesco Sbarra lucchese, Aurelio Aureli veneziano, ilco. Francesco Berni ferrarese, Giulio Cesare Corradiparmigiano, autore di moltissimi drammi, e di quello fragli altri intitolato La Divisione del Mondo, la cui rappre-sentazione fatta in Venezia, fu una delle più splendideche mai si vedessero, Adriano Morselli e Francesco Sil-vani veneziani, Pietro d'Averara bergamasco, per taceredi mille altri che al par di questi si potrebbono nominare62. Solo verso la fine del secolo e ne' primi anni del no-stro cominciarono i drammi a prender migliore aspetto,e tra quelli a' quali se ne dee la lode, voglionsi annove-rare Silvio Stampiglia romano, che visse fino al 1725, edi cui si ha l'elogio nel Giornale dei Letterati d'Italia (t.38, par. 2), Pietro Antonio Bernardoni natio di Vignola

te; ed essi furono Niccolò Minato bergamasco e Francesco Sbarra lucche-se (Quadrio t. 5, p. 462, 468, 469). Fu anche alla corte medesima col tito-lo di poeta cesareo, benchè non sappiamo che scrivesse drammi per musi-ca, Giovanni Pierelli da Trasilico nella Garfagnana, il quale era anche se-gretario del celebre principe Raimondo Montecuccoli. Una memoria dimano del Vallisnieri conservasi presso il ch. sig. Vincenzo Malacarne, incui curiose notizie contengonsi intorno all'incostante e capriccioso carat-tere del Pierelli, ch'era tanto amato dall'imp. Leopoldo, che questi fu ve-duto stare con lui alla finestra per ben mezz'ora tenendogli il braccio alcollo. Ma il Pierelli invaghitosi di una Olandese, lasciò la corte, e, dopovarie vicende, morì assai povero nella sua patria.

62 Al genere drammatico ridur si possono gli oratorj per musica, genere dicomponimento che a questo secolo dee la sua origine. Il sig. co. commen-dator Carli ne addita il primo scrittore in Domenico Giberto Giberti, di cuiin un libro stampato in Monaco nel 1672, e intitolato Urania Poesie cele-sti, si hanno nove Oratori per musica (Carli Op. t. 17, p. 26). Ma il Qua-drio ne accenna alcuni più antichi esempj (Stor. e Ragione d'ogni Poes. t.3, par. 2, p. 495) e quelli singolarmente di Francesco Balducci morto nel1642.

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nel ducato di Modena, lodato come valoroso poeta daApostolo Zeno, e intorno al quale più copiose notizie siposson vedere presso il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2,par. 2, p. 977, ec.), e Giannandrea Moneglia, quel dessodi cui abbiamo altrove narrate le controversie ch'ebbecol Magliabecchi, col Cinelli e col Ramazzini. Al sud-detto Zeno era riserbata la gloria di ricondurre il dram-ma alla maestà e al decoro che gli conviene, e al granMetastasio quella tanto maggiore di riunire in esso tuttique' pregi che posson rendere amabile e bella la dram-matica poesia. Ma queste glorie appartengono al nostrosecolo di cui non è questo il luogo di ragionare.

XXX. Nello stesso secolo di cui parliamo,diede l'Italia, come già si è avvertito nellanuova edizione della Drammaturgiadell'Allacci, il primo esempio di un nuovo

genere di dramma, che, condotto poscia alla sua perfe-zione dal celebre Gio. Giacomo Rousseau, si è creduto ecredesi comunemente da lui trovato. Esso è il monolo-go, ossia il dramma a un sol personaggio, e tale è il Ro-drigo di d. Giuseppe Malatesta Garuffi riminese, stam-pato prima in Roma nel 1677, poi ristampato in Parma.In esso s'introduce il suddetto re ch'entra in una sotterra-nea spelonca creduta opera d'arte magica, e i pericoliche v'incontra, i mostri che gli si fanno vedere, i prodigich'egli vi osserva, fanno tutto l'intreccio di questo dram-ma, che quanto allo stile ha tutti i difetti del secolo, e

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Monologo, da chi pri-ma ideato.

nel ducato di Modena, lodato come valoroso poeta daApostolo Zeno, e intorno al quale più copiose notizie siposson vedere presso il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2,par. 2, p. 977, ec.), e Giannandrea Moneglia, quel dessodi cui abbiamo altrove narrate le controversie ch'ebbecol Magliabecchi, col Cinelli e col Ramazzini. Al sud-detto Zeno era riserbata la gloria di ricondurre il dram-ma alla maestà e al decoro che gli conviene, e al granMetastasio quella tanto maggiore di riunire in esso tuttique' pregi che posson rendere amabile e bella la dram-matica poesia. Ma queste glorie appartengono al nostrosecolo di cui non è questo il luogo di ragionare.

XXX. Nello stesso secolo di cui parliamo,diede l'Italia, come già si è avvertito nellanuova edizione della Drammaturgiadell'Allacci, il primo esempio di un nuovo

genere di dramma, che, condotto poscia alla sua perfe-zione dal celebre Gio. Giacomo Rousseau, si è creduto ecredesi comunemente da lui trovato. Esso è il monolo-go, ossia il dramma a un sol personaggio, e tale è il Ro-drigo di d. Giuseppe Malatesta Garuffi riminese, stam-pato prima in Roma nel 1677, poi ristampato in Parma.In esso s'introduce il suddetto re ch'entra in una sotterra-nea spelonca creduta opera d'arte magica, e i pericoliche v'incontra, i mostri che gli si fanno vedere, i prodigich'egli vi osserva, fanno tutto l'intreccio di questo dram-ma, che quanto allo stile ha tutti i difetti del secolo, e

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Monologo, da chi pri-ma ideato.

Page 226: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

quanto alla condotta ancora non ha cosa che lo rendapregevole; e solo merita d'essere rammentato, per essereil primo, benchè informe, saggio di un tale componi-mento. Nè io credo perciò, che da esso ne prendessel'idea il Rousseau; perchè troppo è difficile che questolibercolo passasse le Alpi.

XXXI. Cominciò anche in questo secoll'Italia ad essere innondata da infiniti ro-manzi, ma tutti scritti secondo l'infelice gu-sto che allor regnava. Io perciò non gitterò iltempo nel ragionare, e solo dirò di uno nulla

miglior degli altri, e che nondimeno tra gli stranieri chetalvolta insultano al reo gusto degl'Italiani, fu accoltocon plauso, e anche nel nostro secolo è stato più voltetradotto. Esso è il Caloandro fedele di GiannambrogioMarini nobile genovese. Egli stampollo dapprima col ti-tolo di Caloandro, sotto il nome di Giovanni Mara In-dres boemo, fingendolo tradotto dal tedesco, colla datadi Bracciano nel 1640, e vi aggiunse poi la parte II,stampata in Venezia nel 1641. Ristampollo poscia piùvolte or col titolo di Endimiro creduto Uranio, or conquello di Caloandro sconosciuto, e finalmente con quel-lo di Caloandro fedele. Or questo romanzo fu prima tra-dotto in francese da Giorgio Scudery, e stampato nel1668. Ma ciò non basta. Il celebre conte di Caylus nonisdegnossi di nuovamente tradurlo, e questa traduzionefu stampata in Parigi nel 1760, e poi di nuovo in Lion

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Gio. Am-brogio Ma-rini scrittordi romanzi.

quanto alla condotta ancora non ha cosa che lo rendapregevole; e solo merita d'essere rammentato, per essereil primo, benchè informe, saggio di un tale componi-mento. Nè io credo perciò, che da esso ne prendessel'idea il Rousseau; perchè troppo è difficile che questolibercolo passasse le Alpi.

XXXI. Cominciò anche in questo secoll'Italia ad essere innondata da infiniti ro-manzi, ma tutti scritti secondo l'infelice gu-sto che allor regnava. Io perciò non gitterò iltempo nel ragionare, e solo dirò di uno nulla

miglior degli altri, e che nondimeno tra gli stranieri chetalvolta insultano al reo gusto degl'Italiani, fu accoltocon plauso, e anche nel nostro secolo è stato più voltetradotto. Esso è il Caloandro fedele di GiannambrogioMarini nobile genovese. Egli stampollo dapprima col ti-tolo di Caloandro, sotto il nome di Giovanni Mara In-dres boemo, fingendolo tradotto dal tedesco, colla datadi Bracciano nel 1640, e vi aggiunse poi la parte II,stampata in Venezia nel 1641. Ristampollo poscia piùvolte or col titolo di Endimiro creduto Uranio, or conquello di Caloandro sconosciuto, e finalmente con quel-lo di Caloandro fedele. Or questo romanzo fu prima tra-dotto in francese da Giorgio Scudery, e stampato nel1668. Ma ciò non basta. Il celebre conte di Caylus nonisdegnossi di nuovamente tradurlo, e questa traduzionefu stampata in Parigi nel 1760, e poi di nuovo in Lion

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Gio. Am-brogio Ma-rini scrittordi romanzi.

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nel 1788 coll'aggiunta dell'altro romanzo del Marini in-titolato Le Gare de' Disperati. E nella prefazione a que-sti romanzi, premessa da m. Delandine, essi si esaltanocon somme lodi, e si dice che Tommaso Cornelio hapreso dal Caloandro l'argomento del suo Timocrate, eche il Calprenede nella sua Cleopatra da esso ha trattol'episodio di Alcamene. Così l'Italia si può vantare chegli autori da lei or riprovati, veggonsi nondimeno conpiacere e con onore accolti da altre nazioni. Anche uncerto Vulpius tedesco ha tradotto il Caloandro, cambian-dolo però in gran parte, e l'ha pubblicato nel 1787.

CAPO IV.Poesia Latina.

I. Quell'infelice e pessimo gusto che sì mi-seramente infettò la poesia italiana del seco-lo XVII, si sparse ugualmente sulla latina. Irimatori del secolo precedente parvero votie freddi, e si credette che a render perfetta lapoesia italiana convenisse avvivarla con in-

gegnosi raffinamenti e con ardite metafore, e perciò lapiù parte de' nostri poeti si diè a seguire il Marini, e abattere la nuova via seguita poscia da tanti. Alla stessamaniera la poesie latine del Flaminio, del Navagero, delCastiglione, del Bembo e di tanti valorosi poeti del se-

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Il cattivo gusto si sparge an-che nella poesia lati-na.

nel 1788 coll'aggiunta dell'altro romanzo del Marini in-titolato Le Gare de' Disperati. E nella prefazione a que-sti romanzi, premessa da m. Delandine, essi si esaltanocon somme lodi, e si dice che Tommaso Cornelio hapreso dal Caloandro l'argomento del suo Timocrate, eche il Calprenede nella sua Cleopatra da esso ha trattol'episodio di Alcamene. Così l'Italia si può vantare chegli autori da lei or riprovati, veggonsi nondimeno conpiacere e con onore accolti da altre nazioni. Anche uncerto Vulpius tedesco ha tradotto il Caloandro, cambian-dolo però in gran parte, e l'ha pubblicato nel 1787.

CAPO IV.Poesia Latina.

I. Quell'infelice e pessimo gusto che sì mi-seramente infettò la poesia italiana del seco-lo XVII, si sparse ugualmente sulla latina. Irimatori del secolo precedente parvero votie freddi, e si credette che a render perfetta lapoesia italiana convenisse avvivarla con in-

gegnosi raffinamenti e con ardite metafore, e perciò lapiù parte de' nostri poeti si diè a seguire il Marini, e abattere la nuova via seguita poscia da tanti. Alla stessamaniera la poesie latine del Flaminio, del Navagero, delCastiglione, del Bembo e di tanti valorosi poeti del se-

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Il cattivo gusto si sparge an-che nella poesia lati-na.

Page 228: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

colo XVI parver languire troppo; e si giudicò che nefosse in colpa l'aver essi voluto imitare Catullo, Tibullo,Virgilio, e che fossero migliori guide Marziale, Lucano,Claudiano. Le acutezze del primo, benchè spesso fred-dissime e contrarie al senso comune, e la gonfiezza de'due secondi, parvero a molti migliori, che la schietta esemplice eleganza e la non affettata maestà de' poeti delsecolo d'Augusto. Anzi il Ciampoli, uno de' più arditinovatori nello stile e nel gusto, parlava con alto disprez-zo, come narrasi dall'Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. 19), ditutti gli antichi poeti, non eccettuandone forse che ilsolo Claudiano, a cui di fatto egli studiavasi di rassomi-gliare. Quindi ne venne quella sì gran copia di insulsi escipiti epigrammi, ne' quali tutto lo sforzo dell'ingegno-so poeta era di chiuderli con qualche punta, cioè conqualche freddo equivoco e scherzo ridicolo di parole,senza curarsi se giusto fosse il sentimento, e fondato sulvero. Cotai poeti si giaccian pur fra le tenebre, a cui ilrisorgimento del buon gusto gli ha condannati. Noi piùvolentieri andremo in traccia d'alcuni pochi che fral'universal corruzione si mantennero puri, e lasciandogracchiare al vento i seguaci del comun gusto, si tennersu quella via che da' migliori poeti e della stessa ragioneveniva loro additata.

II. Il primo di cui dobbiamo qui ragionare, non è mara-viglia se fosse colto poeta; perciocchè egli era nato finodal 1546, e appartiene a questo secolo, sol perchè seppe

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colo XVI parver languire troppo; e si giudicò che nefosse in colpa l'aver essi voluto imitare Catullo, Tibullo,Virgilio, e che fossero migliori guide Marziale, Lucano,Claudiano. Le acutezze del primo, benchè spesso fred-dissime e contrarie al senso comune, e la gonfiezza de'due secondi, parvero a molti migliori, che la schietta esemplice eleganza e la non affettata maestà de' poeti delsecolo d'Augusto. Anzi il Ciampoli, uno de' più arditinovatori nello stile e nel gusto, parlava con alto disprez-zo, come narrasi dall'Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. 19), ditutti gli antichi poeti, non eccettuandone forse che ilsolo Claudiano, a cui di fatto egli studiavasi di rassomi-gliare. Quindi ne venne quella sì gran copia di insulsi escipiti epigrammi, ne' quali tutto lo sforzo dell'ingegno-so poeta era di chiuderli con qualche punta, cioè conqualche freddo equivoco e scherzo ridicolo di parole,senza curarsi se giusto fosse il sentimento, e fondato sulvero. Cotai poeti si giaccian pur fra le tenebre, a cui ilrisorgimento del buon gusto gli ha condannati. Noi piùvolentieri andremo in traccia d'alcuni pochi che fral'universal corruzione si mantennero puri, e lasciandogracchiare al vento i seguaci del comun gusto, si tennersu quella via che da' migliori poeti e della stessa ragioneveniva loro additata.

II. Il primo di cui dobbiamo qui ragionare, non è mara-viglia se fosse colto poeta; perciocchè egli era nato finodal 1546, e appartiene a questo secolo, sol perchè seppe

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viverci lungamente, cioè fino al 1633. Ei fuAntonio Querenghi padovano, scolaro delcelebre Sperone Speroni, e che visse grantempo in Roma nell'impiego di segretariodel collegio de' cardinali, e di referendario

delle due segnature, caro a' pontefici sotto i quali visse,e a' cardinali e a' dotti che con lui conversavano, e ono-rato ancora di un canonicato in Padova, ove però eglifece breve soggiorno 63. La fama ch'egli godea, di coltoscrittor latino, fece che a lui fosse dato dapprima l'inca-rico di scriver la Storia di Alessandro Farnese. Ma o eglinon finisse mai quel lavoro, o qualunque altra ragione sene fosse, essa non vide la luce; e quest'opera fu poi com-messa al p. Famiano Strada. Il Papadopoli, che del Que-renghi ragiona a lungo (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 291,ec.), aggiugne che Arrigo IV, re di Francia, chiamollo aParigi, perchè scrivesse la Storia del suo regno; e che ilQuerenghi sì felicemente soddisfece a' desiderj del re,

63 Antonio Querenghi qui nominato, fu al principio del XVII secolo perqualche tempo in Modena alla corte del card. Alessandro d'Este fratellodel duca Cesare. Ridolfo Arlotti in una delle sue Lettere mss. che in que-sta ducal biblioteca conservansi, scrive senza data al sig. Baldassarre Pao-lucci: Mons. Querengo sin qui aspettato di giorno in giorno hormaid'hora in hora si aspetta. Ha quattrocento scudi di pensione (dal card.Alessandro) fondati sopra la Propositura di Pomposa con l'assenso di S.A. S., la tavola, la parte per quattro Servitori, appartamento nobile e no-bilmente apparato, caroccia e cavalli, adito libero al Padrone senza ri-serva di luogo e di tempo, e la spesa di tutto il viaggio. Il medesimo Mon-signore è posto in Prelatura per godersi con più decoro l'honor dellamensa. Un tomo ms. di Lettere originali del Querenghi conservasi in que-sta ducal biblioteca. Di lui parla ancora con lode l'Allacci nel suo opusco-lo intitolato Apes Urbanæ.

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Si nominanoalcuni deimigliori poe-ti. AntonioQuerenghi.

viverci lungamente, cioè fino al 1633. Ei fuAntonio Querenghi padovano, scolaro delcelebre Sperone Speroni, e che visse grantempo in Roma nell'impiego di segretariodel collegio de' cardinali, e di referendario

delle due segnature, caro a' pontefici sotto i quali visse,e a' cardinali e a' dotti che con lui conversavano, e ono-rato ancora di un canonicato in Padova, ove però eglifece breve soggiorno 63. La fama ch'egli godea, di coltoscrittor latino, fece che a lui fosse dato dapprima l'inca-rico di scriver la Storia di Alessandro Farnese. Ma o eglinon finisse mai quel lavoro, o qualunque altra ragione sene fosse, essa non vide la luce; e quest'opera fu poi com-messa al p. Famiano Strada. Il Papadopoli, che del Que-renghi ragiona a lungo (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 291,ec.), aggiugne che Arrigo IV, re di Francia, chiamollo aParigi, perchè scrivesse la Storia del suo regno; e che ilQuerenghi sì felicemente soddisfece a' desiderj del re,

63 Antonio Querenghi qui nominato, fu al principio del XVII secolo perqualche tempo in Modena alla corte del card. Alessandro d'Este fratellodel duca Cesare. Ridolfo Arlotti in una delle sue Lettere mss. che in que-sta ducal biblioteca conservansi, scrive senza data al sig. Baldassarre Pao-lucci: Mons. Querengo sin qui aspettato di giorno in giorno hormaid'hora in hora si aspetta. Ha quattrocento scudi di pensione (dal card.Alessandro) fondati sopra la Propositura di Pomposa con l'assenso di S.A. S., la tavola, la parte per quattro Servitori, appartamento nobile e no-bilmente apparato, caroccia e cavalli, adito libero al Padrone senza ri-serva di luogo e di tempo, e la spesa di tutto il viaggio. Il medesimo Mon-signore è posto in Prelatura per godersi con più decoro l'honor dellamensa. Un tomo ms. di Lettere originali del Querenghi conservasi in que-sta ducal biblioteca. Di lui parla ancora con lode l'Allacci nel suo opusco-lo intitolato Apes Urbanæ.

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Si nominanoalcuni deimigliori poe-ti. AntonioQuerenghi.

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che fu dagli eruditi considerato come un altro Livio. Maio dubito che questo racconto sia uno dei molti sogniche nella sua Storia ha inserito il mentovato scrittore, ilquale di fatto tra le molte opere del Querenghi stampatee inedite che annovera, niuna ne produce che a questamateria appartenga; e l'Eritreo, che un bell'elogio ci hadato dello stesso Querenghi (Pinacoth. pars 1, p. 63,ec.), nulla dice di questo viaggio, nè di questo incaricoaddossatogli. Fu egli uomo di molta e varia letteratura, estretto amico del Tassoni, che perciò leggiadramente lointroduce nella sua Secchia rapita, e così ne dice:

Questi era in varie lingue uom principale,Poeta singolar, Tosco, e Latino,Grand'Orator, Filosofo, Morale,E tutto a mente avea Sant'Agostino (canto 5, st. 26).

Ed ei veramente oltre le gravi scienze, su cui pure scris-se più opere, coltivò ancora la latina e l'italiana poesia, emolte ne abbiamo alle stampe nell'una e nell'altra lin-gua; delle quali Poesie parlando il card. Sforza Pallavi-cino, che del Querenghi ragiona con molta lode, dice(Del Bene l. 1, c. 7) ch'esse sono colte e purgate, ma nonmolto vivaci, e che in esse non vi ha che riprendere,molto vi ha da lodare, ma assai poco da ammirare. E so-migliante è il giudizio che ne dà il card. Bentivoglio, ilqual pure della erudizione e del saper del Querenghi fagrandi elogi (Mem. l. 1, c. 4).

III. Uguale e forse ancora maggior gloria poteva la poe-

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che fu dagli eruditi considerato come un altro Livio. Maio dubito che questo racconto sia uno dei molti sogniche nella sua Storia ha inserito il mentovato scrittore, ilquale di fatto tra le molte opere del Querenghi stampatee inedite che annovera, niuna ne produce che a questamateria appartenga; e l'Eritreo, che un bell'elogio ci hadato dello stesso Querenghi (Pinacoth. pars 1, p. 63,ec.), nulla dice di questo viaggio, nè di questo incaricoaddossatogli. Fu egli uomo di molta e varia letteratura, estretto amico del Tassoni, che perciò leggiadramente lointroduce nella sua Secchia rapita, e così ne dice:

Questi era in varie lingue uom principale,Poeta singolar, Tosco, e Latino,Grand'Orator, Filosofo, Morale,E tutto a mente avea Sant'Agostino (canto 5, st. 26).

Ed ei veramente oltre le gravi scienze, su cui pure scris-se più opere, coltivò ancora la latina e l'italiana poesia, emolte ne abbiamo alle stampe nell'una e nell'altra lin-gua; delle quali Poesie parlando il card. Sforza Pallavi-cino, che del Querenghi ragiona con molta lode, dice(Del Bene l. 1, c. 7) ch'esse sono colte e purgate, ma nonmolto vivaci, e che in esse non vi ha che riprendere,molto vi ha da lodare, ma assai poco da ammirare. E so-migliante è il giudizio che ne dà il card. Bentivoglio, ilqual pure della erudizione e del saper del Querenghi fagrandi elogi (Mem. l. 1, c. 4).

III. Uguale e forse ancora maggior gloria poteva la poe-

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sia latina aspettarsi da Virginio Cesarini dinobilissima famiglia romana, se un'immatu-ra morte non l'avesse rapito nel 1624, in età

di non ancora 30 anni. Magnifici elogi ci han di esso la-sciati l'Eritreo (l. c. p. 59) e il Mandosio (Bibl. rom. t. 1,p. 69), i quali a gara ne lodano la vastissima erudizionenella fresca sua età ammirabile, perciocchè egli era dot-to in greco e in latino, vastissimo nella filosofia, nellaastronomia, nella geografia, nella medicina, nella giuri-sprudenza, oratore al tempo stesso e poeta, e in ogni ge-nere di letteratura ben istruito, paragonato perciò dalcard. Bellarmino e da Lelio Guidiccioni al famoso Gio-vanni Pico della Mirandola, e onorato di una medaglia,in cui il volto di amendue vedesi insieme scolpito (Mus.mazzucchell. t. 2, p. 7). Egli fu uno de' più illustri Acca-demici Lincei, e amicissimo del principe Federigo Cesifondatore di quella celebre adunanza. A persuasione delsuddetto card. Bellarmino avea preso a scrivere un am-pio trattato, per dimostrare l'immortalità dell'animaumana. Ma la morte gl'impedì il compiere e questa e al-tre opere, alle quali egli erasi accinto. Solo alcune Poe-sie sì italiane che latine ne furono pubblicate; e nelle la-tine singolarmente vedesi eleganza e grazia non ordina-ria, tanto maggiormente lodevole, quanto meno egliebbe di tempo a perfezionare il suo stile. Il Mandosio ri-ferisce l'onorevole ma ampollosa iscrizione che gli fuposta nel Campidoglio, ove ne fu scolpita in marmol'effigie. La Vita del Cesarini fu scritta e data in luce daAgostino Favoriti, prelato assai erudito, morto in Roma

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VirginioCesarini.

sia latina aspettarsi da Virginio Cesarini dinobilissima famiglia romana, se un'immatu-ra morte non l'avesse rapito nel 1624, in età

di non ancora 30 anni. Magnifici elogi ci han di esso la-sciati l'Eritreo (l. c. p. 59) e il Mandosio (Bibl. rom. t. 1,p. 69), i quali a gara ne lodano la vastissima erudizionenella fresca sua età ammirabile, perciocchè egli era dot-to in greco e in latino, vastissimo nella filosofia, nellaastronomia, nella geografia, nella medicina, nella giuri-sprudenza, oratore al tempo stesso e poeta, e in ogni ge-nere di letteratura ben istruito, paragonato perciò dalcard. Bellarmino e da Lelio Guidiccioni al famoso Gio-vanni Pico della Mirandola, e onorato di una medaglia,in cui il volto di amendue vedesi insieme scolpito (Mus.mazzucchell. t. 2, p. 7). Egli fu uno de' più illustri Acca-demici Lincei, e amicissimo del principe Federigo Cesifondatore di quella celebre adunanza. A persuasione delsuddetto card. Bellarmino avea preso a scrivere un am-pio trattato, per dimostrare l'immortalità dell'animaumana. Ma la morte gl'impedì il compiere e questa e al-tre opere, alle quali egli erasi accinto. Solo alcune Poe-sie sì italiane che latine ne furono pubblicate; e nelle la-tine singolarmente vedesi eleganza e grazia non ordina-ria, tanto maggiormente lodevole, quanto meno egliebbe di tempo a perfezionare il suo stile. Il Mandosio ri-ferisce l'onorevole ma ampollosa iscrizione che gli fuposta nel Campidoglio, ove ne fu scolpita in marmol'effigie. La Vita del Cesarini fu scritta e data in luce daAgostino Favoriti, prelato assai erudito, morto in Roma

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VirginioCesarini.

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in età di 58 anni nel 1682 (Fontan. Bibl. colle Note delZeno t. 1, p. 463), lodato da monsignor Buonamicicome poeta latino assai celebre (De cl. Pontif. Epist.Script. p. 284, ed. 1770), ma di cui non ho veduta poe-sia alcuna 64.

IV. Nell'Accademia degli Umoristi inRoma, di cui a suo luogo abbiam fatta men-

zione, fu con molto ardor coltivata la poesia latina; el'Eritreo ne annovera alcuni che in ciò ottennero mag-gior lode, come Fabio Leonida (Pinacoth. pars 1, p.49), Arrigo Falconio (ib. p. 53), Gianfrancesco Paoli(ib. p. 54) e Giorgio Porzio (ib. pars 3, n. 32), che fre-quentò quella del card. Deti. Ma questi non son tai nomiche vaglia la pena di parlarne distintamente. Delle Poe-sie de' due sommi pontefici Urbano VIII e AlessandroVII si è già parlato nel ragionar del favore di cui essionoraron gli studj. Tra' poeti di questo secolo, che nondebbon del tutto essere trascurati, possiamo accennareGiammarco Fagnani nobile milanese, autore di un poe-ma latino intitolato De Bello ariano, in cui descrive laguerra che, secondo la popolar tradizione, mosse l'arci-

64 Le poesie latine del Favoriti, che sono fra le migliori di questo secolo,sono inserite in una raccolta che ha per titolo Poemata septem illustriumVirorum, stampata in Anversa nel 1662, ove se ne leggono ancora altredel Cesarini or nominato, di Stefano Gradi, di cui altrove abbiam fattamenzione, e di Natal Rondinino segretario delle lettere a principi di Ales-sandro VII, e canonico della basilica vaticana, morto nella fresca età disoli 30 anni (Buonam. de cl. Pontif. Epist. Script. p. 283).

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Altri poeti.

in età di 58 anni nel 1682 (Fontan. Bibl. colle Note delZeno t. 1, p. 463), lodato da monsignor Buonamicicome poeta latino assai celebre (De cl. Pontif. Epist.Script. p. 284, ed. 1770), ma di cui non ho veduta poe-sia alcuna 64.

IV. Nell'Accademia degli Umoristi inRoma, di cui a suo luogo abbiam fatta men-

zione, fu con molto ardor coltivata la poesia latina; el'Eritreo ne annovera alcuni che in ciò ottennero mag-gior lode, come Fabio Leonida (Pinacoth. pars 1, p.49), Arrigo Falconio (ib. p. 53), Gianfrancesco Paoli(ib. p. 54) e Giorgio Porzio (ib. pars 3, n. 32), che fre-quentò quella del card. Deti. Ma questi non son tai nomiche vaglia la pena di parlarne distintamente. Delle Poe-sie de' due sommi pontefici Urbano VIII e AlessandroVII si è già parlato nel ragionar del favore di cui essionoraron gli studj. Tra' poeti di questo secolo, che nondebbon del tutto essere trascurati, possiamo accennareGiammarco Fagnani nobile milanese, autore di un poe-ma latino intitolato De Bello ariano, in cui descrive laguerra che, secondo la popolar tradizione, mosse l'arci-

64 Le poesie latine del Favoriti, che sono fra le migliori di questo secolo,sono inserite in una raccolta che ha per titolo Poemata septem illustriumVirorum, stampata in Anversa nel 1662, ove se ne leggono ancora altredel Cesarini or nominato, di Stefano Gradi, di cui altrove abbiam fattamenzione, e di Natal Rondinino segretario delle lettere a principi di Ales-sandro VII, e canonico della basilica vaticana, morto nella fresca età disoli 30 anni (Buonam. de cl. Pontif. Epist. Script. p. 283).

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Altri poeti.

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vescovo s. Ambrogio agli Ariani in Milano. Egli per al-tro appartiene con più ragione al secolo precedente, chea questo, perciocchè egli era nato fin dal 1524. Così ioraccolgo da una lettera a lui scritta da Aquilino Coppinia' 10 d'agosto del 1608, in cui afferma ch'egli ha 84anni, nella quale ancor fa menzione di alcune altre poe-sie del Fagnani, che non han veduta la luce (CoppiniEpist. p. 70). Ma il suddetto poema non fu da lui pub-blicato che nel 1604. L'Argelati, che accenna la letteradel Coppini da me pure accennata (Bibl. Script. mediol.t. 1, pars 2, p. 589), un'altra ne indica dal medesimoscritta al Fagnani nel 1612, da cui raccoglie che fino aquell'anno egli visse. Ma essa è scritta non a Giammar-co, ma a Girolamo Fagnani (l. c. p. 189). Ben un'altrave n'ha scritta a' 17 di febbraio del 1609 a FrancescoPozzobonelli, in cui il Coppini gli dice che dovea allorrivedere e correggere l'Orazione fatta dal fratello deldetto Francesco nella morte di questo poeta: Fratis tuoOratio, quam in obitu Jo. Marci Fanniani scriptis, vi-denda et corrigenda, ut habeat (l. c. p. 82). Ed è certoperciò, ch'egli era allor morto di fresco.

V. Molti tra' Gesuiti di questo secolo furonoautori di poesie latine, e benchè nella mag-gior parte di essi non veggasi il gusto sì de-pravato, come alcuni altri, per lo più nondi-

meno si mostrano amatori e seguaci più della soverchiafacilità d'Ovidio, e de' concetti spesso troppo ingegnosi

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Alcuni Ge-suiti ele-ganti poeti.

vescovo s. Ambrogio agli Ariani in Milano. Egli per al-tro appartiene con più ragione al secolo precedente, chea questo, perciocchè egli era nato fin dal 1524. Così ioraccolgo da una lettera a lui scritta da Aquilino Coppinia' 10 d'agosto del 1608, in cui afferma ch'egli ha 84anni, nella quale ancor fa menzione di alcune altre poe-sie del Fagnani, che non han veduta la luce (CoppiniEpist. p. 70). Ma il suddetto poema non fu da lui pub-blicato che nel 1604. L'Argelati, che accenna la letteradel Coppini da me pure accennata (Bibl. Script. mediol.t. 1, pars 2, p. 589), un'altra ne indica dal medesimoscritta al Fagnani nel 1612, da cui raccoglie che fino aquell'anno egli visse. Ma essa è scritta non a Giammar-co, ma a Girolamo Fagnani (l. c. p. 189). Ben un'altrave n'ha scritta a' 17 di febbraio del 1609 a FrancescoPozzobonelli, in cui il Coppini gli dice che dovea allorrivedere e correggere l'Orazione fatta dal fratello deldetto Francesco nella morte di questo poeta: Fratis tuoOratio, quam in obitu Jo. Marci Fanniani scriptis, vi-denda et corrigenda, ut habeat (l. c. p. 82). Ed è certoperciò, ch'egli era allor morto di fresco.

V. Molti tra' Gesuiti di questo secolo furonoautori di poesie latine, e benchè nella mag-gior parte di essi non veggasi il gusto sì de-pravato, come alcuni altri, per lo più nondi-

meno si mostrano amatori e seguaci più della soverchiafacilità d'Ovidio, e de' concetti spesso troppo ingegnosi

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Alcuni Ge-suiti ele-ganti poeti.

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e sottili di Marziale, che della elegante semplicità di Ti-bullo, o di Catullo, o della erudita maestà di Properzio.Tali sono le Poesie del p. Tarquinio Galluzzi e del p.Bernardino Stefonio, di cui un luminoso elogio ci ha la-sciato l'Eritreo che gli fu scolaro (Pinacoth. pars 1, p.158), del p. Vincenzo Guinigi lucchese, del p. MarioBettini. Di gusto alquanto migliore son quelle del p.Gianlorenzo Lucchesini lucchese che, essendo vissutofin verso la fine del secolo, toccò il tempo in cui si rico-minciò a battere il buon sentiero. E perciò ancor piùpregevoli son quelle del p. Tommaso Strozzi napoleta-no, di cui abbiamo un elegante poema in tre libri sullaCioccolata, la traduzione de' Treni di Geremia, con al-cune altre Poesie stampate in Napoli nel 1689. Ma de-gno singolarmente di applausi e di lodi dovea essere unpoema del p. Rodolfo Acquaviva sul rimedio della tra-sfusione del sangue, ch'ei dedicò al co. Lorenzo Maga-lotti. Esso, per quanto io ne sappia, non è mai statostampato, nè il co. Mazzucchelli fa menzione alcuna diquesto scrittore. Noi ne dobbiam la notizia a una letteradel senator Vincenzo da Filicaia, scritta nel 1687 al Ma-galotti, che gli avea mandato quel poemetto. E poichènon sappiamo che sia avvenuto di esso, rechiam qui leparole di questa lettera, ove se ne fa insieme l'elogio, ese ne dà l'idea. "Per ubbidirvi, dic'egli (Magalotti Lett.famigl. t. 2, p. 42), ho letto attentamente il Poemetto delP. Acquaviva. E quanto alla materia non avendo se nonuna superficial cognizione, dirò solo, ch'ella mi pare as-sai bene spiegata, supposta la realtà dell'operazione, in-

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e sottili di Marziale, che della elegante semplicità di Ti-bullo, o di Catullo, o della erudita maestà di Properzio.Tali sono le Poesie del p. Tarquinio Galluzzi e del p.Bernardino Stefonio, di cui un luminoso elogio ci ha la-sciato l'Eritreo che gli fu scolaro (Pinacoth. pars 1, p.158), del p. Vincenzo Guinigi lucchese, del p. MarioBettini. Di gusto alquanto migliore son quelle del p.Gianlorenzo Lucchesini lucchese che, essendo vissutofin verso la fine del secolo, toccò il tempo in cui si rico-minciò a battere il buon sentiero. E perciò ancor piùpregevoli son quelle del p. Tommaso Strozzi napoleta-no, di cui abbiamo un elegante poema in tre libri sullaCioccolata, la traduzione de' Treni di Geremia, con al-cune altre Poesie stampate in Napoli nel 1689. Ma de-gno singolarmente di applausi e di lodi dovea essere unpoema del p. Rodolfo Acquaviva sul rimedio della tra-sfusione del sangue, ch'ei dedicò al co. Lorenzo Maga-lotti. Esso, per quanto io ne sappia, non è mai statostampato, nè il co. Mazzucchelli fa menzione alcuna diquesto scrittore. Noi ne dobbiam la notizia a una letteradel senator Vincenzo da Filicaia, scritta nel 1687 al Ma-galotti, che gli avea mandato quel poemetto. E poichènon sappiamo che sia avvenuto di esso, rechiam qui leparole di questa lettera, ove se ne fa insieme l'elogio, ese ne dà l'idea. "Per ubbidirvi, dic'egli (Magalotti Lett.famigl. t. 2, p. 42), ho letto attentamente il Poemetto delP. Acquaviva. E quanto alla materia non avendo se nonuna superficial cognizione, dirò solo, ch'ella mi pare as-sai bene spiegata, supposta la realtà dell'operazione, in-

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torno alla quale mi rimetto etc. Quanto allo stile vi soben dire ch'egli è terso, puro, e proprio della materia, dicui si tratta, e giurerei, che Lucrezio medesimo lo rico-noscerebbe per suo; nè in questo genere mi par maid'aver letto cosa simile. Molti e molti sono i luoghi os-servabili; ma quello del bracco, a mio giudizio, è mara-viglioso:

Qui latebras latrare, et praedam primus acutaNare solebat odorari, raptareque morsu.

Il modo poi della trasfusione del sangue del becco, me-diante il canal di vetro, con tutte l'altre circostanze, ecol rigettamento dei modi tenui, e praticati da altri, nonmi par che possa essere nè più felicemente, nè più lati-namente espresso. Bella e gentile espressione, che è maiquesta!

Sint justi calami, et pertraetetur canis anteMolli saepe manu, seseque agnoscat amari.

Tutto è bello in somma de primo ad ultimum, e credoche tutto sia chiaro, perchè l'intendo tutto quantunque ame, o per lo corto mio intendimento, o per l'amor gran-de, ch'io porto alla chiarezza, le cose per altro chiare so-gliono parere il più delle volte oscure. Voletene voi più?Coi versi del P. Strozzi e con questi del P. Acquaviva miavete rimesso in grazia i Gesuiti, ec.". Più noto è ilnome del p. Niccolò Giannetasio napoletano, morto nel1715, fecondo al pari che elegante poeta, di cui moltipoemi si hanno alle stampe sulla Pescagione, sulla Nau-tica, sull'Arte della guerra, sulla Vita di s. Francesco Sa-

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torno alla quale mi rimetto etc. Quanto allo stile vi soben dire ch'egli è terso, puro, e proprio della materia, dicui si tratta, e giurerei, che Lucrezio medesimo lo rico-noscerebbe per suo; nè in questo genere mi par maid'aver letto cosa simile. Molti e molti sono i luoghi os-servabili; ma quello del bracco, a mio giudizio, è mara-viglioso:

Qui latebras latrare, et praedam primus acutaNare solebat odorari, raptareque morsu.

Il modo poi della trasfusione del sangue del becco, me-diante il canal di vetro, con tutte l'altre circostanze, ecol rigettamento dei modi tenui, e praticati da altri, nonmi par che possa essere nè più felicemente, nè più lati-namente espresso. Bella e gentile espressione, che è maiquesta!

Sint justi calami, et pertraetetur canis anteMolli saepe manu, seseque agnoscat amari.

Tutto è bello in somma de primo ad ultimum, e credoche tutto sia chiaro, perchè l'intendo tutto quantunque ame, o per lo corto mio intendimento, o per l'amor gran-de, ch'io porto alla chiarezza, le cose per altro chiare so-gliono parere il più delle volte oscure. Voletene voi più?Coi versi del P. Strozzi e con questi del P. Acquaviva miavete rimesso in grazia i Gesuiti, ec.". Più noto è ilnome del p. Niccolò Giannetasio napoletano, morto nel1715, fecondo al pari che elegante poeta, di cui moltipoemi si hanno alle stampe sulla Pescagione, sulla Nau-tica, sull'Arte della guerra, sulla Vita di s. Francesco Sa-

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Page 236: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

verio, e su diversi altri argomenti profani e sacri, oltrepiù altre opere in prosa, fra le quali abbiamo altrove ac-cennata la Storia di Napoli. Nel Giornale de' Letteratid'Italia si parla di lui più volte con somma lode (t. 6, p.519; t. 12, p. 422; t. 23, p. 463), e un bell'elogio se nepuò ancora vedere nelle Memorie di Trevoux (1723,Juin p. 1100, ec.). Io farei qui volentieri ancora menzio-ne delle Poesie del p. Tommaso Ceva, che per una certasua propria innarrivabile espressione della natura, e perla maravigliosa facilità di esprimere qualunque cosa glipiaccia, dee aver luogo tra' più illustri poeti. Ma, benchèparte delle sue Poesie venisse alla luce fin dagli ultimianni del secolo, di cui scriviamo, egli però s'inoltrò ditroppo nel nostro, perchè se ne possa qui ragionare, sen-za uscire da' limiti che ci siamo prefissi.

VI. Per la stessa ragione io non farò qui cheaccennare in ultimo luogo le troppo famoseSatire di monsig. Lodovico Sergardi sanese

sotto il nome di Q. Settano, pubblicate contro il Gravi-na. Egli ancora visse fino al 1726, e perciò non è quiluogo a parlarne. E innoltre ne ha di fresco scritta laVita colla consueta sua eleganza monsig. Fabbroni(Vitæ Italor. ec. 2, p. 365), ove tuttociò che appartieneagl'impieghi e agli studj di questo scrittore, diligente-mente si espone, e si narra insieme l'origine dell'odio dalui conceputo contro il Gravina. Ed è certo che dopo ilrisorgimento delle lettere non si erano ancor vedute Sa-

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Scrittori disatire.

verio, e su diversi altri argomenti profani e sacri, oltrepiù altre opere in prosa, fra le quali abbiamo altrove ac-cennata la Storia di Napoli. Nel Giornale de' Letteratid'Italia si parla di lui più volte con somma lode (t. 6, p.519; t. 12, p. 422; t. 23, p. 463), e un bell'elogio se nepuò ancora vedere nelle Memorie di Trevoux (1723,Juin p. 1100, ec.). Io farei qui volentieri ancora menzio-ne delle Poesie del p. Tommaso Ceva, che per una certasua propria innarrivabile espressione della natura, e perla maravigliosa facilità di esprimere qualunque cosa glipiaccia, dee aver luogo tra' più illustri poeti. Ma, benchèparte delle sue Poesie venisse alla luce fin dagli ultimianni del secolo, di cui scriviamo, egli però s'inoltrò ditroppo nel nostro, perchè se ne possa qui ragionare, sen-za uscire da' limiti che ci siamo prefissi.

VI. Per la stessa ragione io non farò qui cheaccennare in ultimo luogo le troppo famoseSatire di monsig. Lodovico Sergardi sanese

sotto il nome di Q. Settano, pubblicate contro il Gravi-na. Egli ancora visse fino al 1726, e perciò non è quiluogo a parlarne. E innoltre ne ha di fresco scritta laVita colla consueta sua eleganza monsig. Fabbroni(Vitæ Italor. ec. 2, p. 365), ove tuttociò che appartieneagl'impieghi e agli studj di questo scrittore, diligente-mente si espone, e si narra insieme l'origine dell'odio dalui conceputo contro il Gravina. Ed è certo che dopo ilrisorgimento delle lettere non si erano ancor vedute Sa-

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Scrittori disatire.

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tire scritte con tale eleganza e con tal forza, e solo sa-rebbe stato a bramare che il Sergardi le avesse rivolte abiasimare generalmente i vizj degli uomini, non a mor-dere e lasciare la fama di un uomo che, benchè non fos-se del tutto innocente de' vizj oppostigli, pel suo inge-gno nondimeno e pel suo molto sapere dovea essere ri-spettato. Deesi però qui aggiugnere che alcuni feceroautore delle Satire di Settano l'ab. Gennaro Cappellarinapoletano, autore di un elegantissimo componimentopoetico latino sulle Comete del 1664 e del 1665, stam-pato in Venezia nel 1665, di cui io ho avuta copia perfavore dell'ornatissimo monsig. Onorato Gaetani. Ma lepruove che monsig. Fabbroni apporta, per dimostrarneautore il Sergardi, sembra che non ammettan risposta 65.

VII. Qui dobbiam rammentare per ultimo,come si è fatto nel secolo precedente, gliscrittori dell'Arte poetica. Ma in questo ge-nere ancora non abbiamo di che molto oc-

cuparci. L'Arte del verso italiano di Tommaso Stiglianiè una semplice introduzione più adatta a' fanciulli, cheai poeti. Giuseppe Battista natio del regno di Napoli, dicui ci ha date copiose ed esatte il co. Mazzucchelli(Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 552, ec.), fu cattivo poeta, chetutti riunì in se stesso i vizi del secolo, ma fu buon pre-65 Un altro men conosciuto scrittor di satire ebbe in questo secol l'Italia, cioè

Federigo Nomi d'Anghiari, sedici Satire del quale furono stampate in Lio-ne nel 1603. In ciò però ch'è eleganza di stile, egli è inferior di molto alSettano.

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Scrittoridell'Artepoetica.

tire scritte con tale eleganza e con tal forza, e solo sa-rebbe stato a bramare che il Sergardi le avesse rivolte abiasimare generalmente i vizj degli uomini, non a mor-dere e lasciare la fama di un uomo che, benchè non fos-se del tutto innocente de' vizj oppostigli, pel suo inge-gno nondimeno e pel suo molto sapere dovea essere ri-spettato. Deesi però qui aggiugnere che alcuni feceroautore delle Satire di Settano l'ab. Gennaro Cappellarinapoletano, autore di un elegantissimo componimentopoetico latino sulle Comete del 1664 e del 1665, stam-pato in Venezia nel 1665, di cui io ho avuta copia perfavore dell'ornatissimo monsig. Onorato Gaetani. Ma lepruove che monsig. Fabbroni apporta, per dimostrarneautore il Sergardi, sembra che non ammettan risposta 65.

VII. Qui dobbiam rammentare per ultimo,come si è fatto nel secolo precedente, gliscrittori dell'Arte poetica. Ma in questo ge-nere ancora non abbiamo di che molto oc-

cuparci. L'Arte del verso italiano di Tommaso Stiglianiè una semplice introduzione più adatta a' fanciulli, cheai poeti. Giuseppe Battista natio del regno di Napoli, dicui ci ha date copiose ed esatte il co. Mazzucchelli(Scritt. it. t. 2, par. 1, p. 552, ec.), fu cattivo poeta, chetutti riunì in se stesso i vizi del secolo, ma fu buon pre-65 Un altro men conosciuto scrittor di satire ebbe in questo secol l'Italia, cioè

Federigo Nomi d'Anghiari, sedici Satire del quale furono stampate in Lio-ne nel 1603. In ciò però ch'è eleganza di stile, egli è inferior di molto alSettano.

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Scrittoridell'Artepoetica.

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cettore; e la sua Poetica, pubblicata l'anno 1676, cioèl'anno seguente alla sua morte è lodata da molti comeopera utile e scritta con brevità e con chiarezza. In mol-ta stima è ancora la Didascalia cioè Dottrina comica diGirolamo Bartolommei da noi nominato già tra' poeti,in cui assai saggiamente ragiona della commedia, e pre-scrive il modo e le leggi per richiamarla all'antico e lo-devole suo fine, e purgarla da' vizj che vi si erano intro-dotti. Delle opere che su questo argomento ci ha date ilpoc'anzi nominato Gianvincenzo Gravina si è già tratta-to nel ragionar di questo illustre scrittore. Di alcuni altrilibri di minor conto non giova il cercare distintamente.E noi perciò ci tratterremo solo alquanto nel dire de'Proginnasmi poetici di Udendo Nisieli, ossia di Bene-detto Fioretti, che sotto quel nome si volle nascondere.L'elogio fattone dall'Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. 31), ela Vita che ne ha scritta Francesco Cionacci la qual vainnanzi alle Osservazioni di creanze dello stesso Fioret-ti, abbastanza c'istruiscono di ciò che a lui appartiene.Egli era nato in Mercatale, luogo della contea di Vernionella diocesi di Pistoja, a' 18 di ottobre nel 1579, e soloin età di 30 anni cominciò a conversar colle lettere. Ten-tò la poesia, ma presto conobbe di non aver per essa iltalento opportuno. Si diè dunque in vece ad insegnareagli altri la via ch'ei non potea correre; e con un lungo ediligente studio su tutti gli antichi e moderni poeti, ri-flettendo su ogni cosa, e notando tutto ciò che degnopareagli d'osservazione, venne a compilare i suoi Pro-ginnasmi poetici, che nella prima edizione del 1620 for-

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cettore; e la sua Poetica, pubblicata l'anno 1676, cioèl'anno seguente alla sua morte è lodata da molti comeopera utile e scritta con brevità e con chiarezza. In mol-ta stima è ancora la Didascalia cioè Dottrina comica diGirolamo Bartolommei da noi nominato già tra' poeti,in cui assai saggiamente ragiona della commedia, e pre-scrive il modo e le leggi per richiamarla all'antico e lo-devole suo fine, e purgarla da' vizj che vi si erano intro-dotti. Delle opere che su questo argomento ci ha date ilpoc'anzi nominato Gianvincenzo Gravina si è già tratta-to nel ragionar di questo illustre scrittore. Di alcuni altrilibri di minor conto non giova il cercare distintamente.E noi perciò ci tratterremo solo alquanto nel dire de'Proginnasmi poetici di Udendo Nisieli, ossia di Bene-detto Fioretti, che sotto quel nome si volle nascondere.L'elogio fattone dall'Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. 31), ela Vita che ne ha scritta Francesco Cionacci la qual vainnanzi alle Osservazioni di creanze dello stesso Fioret-ti, abbastanza c'istruiscono di ciò che a lui appartiene.Egli era nato in Mercatale, luogo della contea di Vernionella diocesi di Pistoja, a' 18 di ottobre nel 1579, e soloin età di 30 anni cominciò a conversar colle lettere. Ten-tò la poesia, ma presto conobbe di non aver per essa iltalento opportuno. Si diè dunque in vece ad insegnareagli altri la via ch'ei non potea correre; e con un lungo ediligente studio su tutti gli antichi e moderni poeti, ri-flettendo su ogni cosa, e notando tutto ciò che degnopareagli d'osservazione, venne a compilare i suoi Pro-ginnasmi poetici, che nella prima edizione del 1620 for-

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marono due tomi, poi colle giunte da lui e da altri fatte-vi crebbero a tre e a quattro, e finalmente a cinque.Apostolo Zeno ha in due parole ottimamente espresso ilcarattere di questo scrittore, dicendo ch'egli era grama-tico assai più che filosofo (Note al Fontan. t. 2, p. 129).Egli parla con molto disprezzo della Poetica d'Aristote-le, affermando ch'essa è una matassa tanto scompiglia-ta, che par fatta da un arcolaio (t. 5, proginn. 2). E ben-chè la critica sia un po' troppo rigorosa, essa ci farebbesperar nondimeno, che il Fioretti, nemico de' pregiudizjdell'antichità, fosse per darci una Poetica tutta conformealla ragione. Ma egli è spesso scrittor sofistico che per-dendosi in minutezze, trascura i più nobili pregi dellapoesia, e la critica ch'ei fa sovente dell'Ariosto e di altripiù illustri poeti, il rende degno d'essere annoverato traquegli scrittori che volendo ristriger l'ingegno fra' mole-stissimi ceppi delle gramaticali e pedantesche osserva-zioni, lor vietano il levarsi in alto, e lo spiegare que' voliche vaglion ben più che tutte le scolastiche sottigliezze.Il Fioretti sul finir degli anni, lasciati gli studj della poe-sia, tutto si volse a' più gravi, e a quello principalmentedella religione e della morale, e frutto ne furono le Os-servazioni di creanze e gli Esercizj morali, de' qualipubblicò il primo tomo nel 1633, e due altri lascionneinediti, quando venne a morte in Firenze a' 30 di giugnodel 1642.

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marono due tomi, poi colle giunte da lui e da altri fatte-vi crebbero a tre e a quattro, e finalmente a cinque.Apostolo Zeno ha in due parole ottimamente espresso ilcarattere di questo scrittore, dicendo ch'egli era grama-tico assai più che filosofo (Note al Fontan. t. 2, p. 129).Egli parla con molto disprezzo della Poetica d'Aristote-le, affermando ch'essa è una matassa tanto scompiglia-ta, che par fatta da un arcolaio (t. 5, proginn. 2). E ben-chè la critica sia un po' troppo rigorosa, essa ci farebbesperar nondimeno, che il Fioretti, nemico de' pregiudizjdell'antichità, fosse per darci una Poetica tutta conformealla ragione. Ma egli è spesso scrittor sofistico che per-dendosi in minutezze, trascura i più nobili pregi dellapoesia, e la critica ch'ei fa sovente dell'Ariosto e di altripiù illustri poeti, il rende degno d'essere annoverato traquegli scrittori che volendo ristriger l'ingegno fra' mole-stissimi ceppi delle gramaticali e pedantesche osserva-zioni, lor vietano il levarsi in alto, e lo spiegare que' voliche vaglion ben più che tutte le scolastiche sottigliezze.Il Fioretti sul finir degli anni, lasciati gli studj della poe-sia, tutto si volse a' più gravi, e a quello principalmentedella religione e della morale, e frutto ne furono le Os-servazioni di creanze e gli Esercizj morali, de' qualipubblicò il primo tomo nel 1633, e due altri lascionneinediti, quando venne a morte in Firenze a' 30 di giugnodel 1642.

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CAPO V.Gramatica, Rettorica, Eloquenza.

I. Quanto più ampio argomento di storia cihanno offerto ne' secoli addietro gli scrittoridi gramatica e di rettorica, tanto più scarsoè quello che ci offrono ora, anzi null'altrodir ne possiamo in ciò che appartiene alla

lingua latina, se non che non vi ha cosa che meriti di es-sere rammentata. E veramente erasi già scritto tanto ne'due secoli addietro intorno al modo di parlare e di scri-vere latinamente, e intorno a' precetti dell'eloquenza,che doveasi piuttosto bramare di sminuire, che di accre-scere il numero de' libri di questo argomento. Fra tuttele Gramatiche della lingua latina finallor pubblicate,quella del gesuita Alvaro fu creduta allor la migliore; edella era tal certamente in confronto a quelle del Despau-terio e d'altri gramatici più antichi. Io non voglio qui di-sputare s'essa sia veramente degna dell'universal favoredi cui per lungo tempo ha goduto; sì perchè invano miaffaticherei a persuadere chi fosse già imbevuto di opi-nione contraria alla mia; sì perchè io penso che assaipiù che la gramatica, qualunque ella sia (purchè i pre-cetti sien giusti), giovi a formare un elegante scrittor la-tino la viva voce del maestro, e le riflessioni che oppor-tunamente egli faccia sugli antichi autori che spiegansinelle scuole, e soprattutto una certa maniera d'insinuarsinell'animo de' giovinetti, per cui lo studio si faccia lor

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Gramatichelatine in questo se-colo usate.

CAPO V.Gramatica, Rettorica, Eloquenza.

I. Quanto più ampio argomento di storia cihanno offerto ne' secoli addietro gli scrittoridi gramatica e di rettorica, tanto più scarsoè quello che ci offrono ora, anzi null'altrodir ne possiamo in ciò che appartiene alla

lingua latina, se non che non vi ha cosa che meriti di es-sere rammentata. E veramente erasi già scritto tanto ne'due secoli addietro intorno al modo di parlare e di scri-vere latinamente, e intorno a' precetti dell'eloquenza,che doveasi piuttosto bramare di sminuire, che di accre-scere il numero de' libri di questo argomento. Fra tuttele Gramatiche della lingua latina finallor pubblicate,quella del gesuita Alvaro fu creduta allor la migliore; edella era tal certamente in confronto a quelle del Despau-terio e d'altri gramatici più antichi. Io non voglio qui di-sputare s'essa sia veramente degna dell'universal favoredi cui per lungo tempo ha goduto; sì perchè invano miaffaticherei a persuadere chi fosse già imbevuto di opi-nione contraria alla mia; sì perchè io penso che assaipiù che la gramatica, qualunque ella sia (purchè i pre-cetti sien giusti), giovi a formare un elegante scrittor la-tino la viva voce del maestro, e le riflessioni che oppor-tunamente egli faccia sugli antichi autori che spiegansinelle scuole, e soprattutto una certa maniera d'insinuarsinell'animo de' giovinetti, per cui lo studio si faccia lor

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Gramatichelatine in questo se-colo usate.

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rimirare come oggetto non già odioso e spiacevole, madolce e giocondo, e si avvezzino essi medesimi a leggerper tal maniera i modelli del colto stile e della vera elo-quenza, che senza quasi avvedersene ne divengano imi-tatori. Che se pure si voglia che il maggiore, o il minorprofitto de' giovani debbasi principalmente attribuirealla gramatica, io amerei che invece di disputare qualsia miglior fra le tante che ne ha ora il mondo, ognunodi quelli che ne han data alcuna, comparisse pubblica-mente in iscena seguito da tutti coloro che colla scortadella sua gramatica son divenuti colti ed eleganti scrit-tor latini; e che dal loro numero e dal loro valore si de-cidesse a chi debbasi la preferenza. Chi crederemo noiche in tal caso dovesse riportare la palma?

II. Diverso era lo stile della lingua italiana.Benchè nel secolo precedente si fosse co-minciato a fissarne le leggi, e molti si fos-sero intorno a ciò affaticati colle opereloro, non era essa stata ancora ridotta a

certi generali principj, nè aveasene ancora una gramati-ca che si potesse dire distesa con metodo e con esattez-za. N'era riserbata la gloria a Benedetto Buonmattei sa-cerdote fiorentino, nato nel 1581. Dopo più altri scritto-ri, ci ha date di lui minute ed esatte notizie il co. Maz-zucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2404), le quali però cioffrono tal varietà di vicende, che possa esser dilettevo-le il ripeterne, o il compendiarne qui il racconto. Così in

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Gramaticheitaliane. Be-nedettoBuonmattei.

rimirare come oggetto non già odioso e spiacevole, madolce e giocondo, e si avvezzino essi medesimi a leggerper tal maniera i modelli del colto stile e della vera elo-quenza, che senza quasi avvedersene ne divengano imi-tatori. Che se pure si voglia che il maggiore, o il minorprofitto de' giovani debbasi principalmente attribuirealla gramatica, io amerei che invece di disputare qualsia miglior fra le tante che ne ha ora il mondo, ognunodi quelli che ne han data alcuna, comparisse pubblica-mente in iscena seguito da tutti coloro che colla scortadella sua gramatica son divenuti colti ed eleganti scrit-tor latini; e che dal loro numero e dal loro valore si de-cidesse a chi debbasi la preferenza. Chi crederemo noiche in tal caso dovesse riportare la palma?

II. Diverso era lo stile della lingua italiana.Benchè nel secolo precedente si fosse co-minciato a fissarne le leggi, e molti si fos-sero intorno a ciò affaticati colle opereloro, non era essa stata ancora ridotta a

certi generali principj, nè aveasene ancora una gramati-ca che si potesse dire distesa con metodo e con esattez-za. N'era riserbata la gloria a Benedetto Buonmattei sa-cerdote fiorentino, nato nel 1581. Dopo più altri scritto-ri, ci ha date di lui minute ed esatte notizie il co. Maz-zucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4, p. 2404), le quali però cioffrono tal varietà di vicende, che possa esser dilettevo-le il ripeterne, o il compendiarne qui il racconto. Così in

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Gramaticheitaliane. Be-nedettoBuonmattei.

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Firenze, ove visse la maggior parte degli anni suoi,come in Roma e in Padova, ove pure per qualche tempofece soggiorno, ei si occupò ugualmente negli esercizjproprj di un zelante ecclesiastico e negli studi dell'ame-na letteratura, a' quali la sua inclinazione traevalo. Lepiù illustri accademie della sua patria, e quelle singolar-mente della Crusca e degli Apatisti e la fiorentina lo eb-bero tra' loro socj, ed ei fu uno de' più fervidi promotoridi quelle erudite adunanze, nelle quali fu spesse volteudito recitare lezioni, cicalate, o altri somiglianti discor-si. Molti sono infatti gli opuscoli di tal natura, che se nehanno alle stampe, e più grande è ancora il numerodegl'inediti, o degli smarriti, de' quali si può vedere ilcatalogo presso il suddetto scrittore. Ma io dirò sola-mente de' suoi due libri della Lingua toscana.Quest'opera si può rimirare come la prima a cui vera-mente convenga il titolo di Gramatica della lingua to-scana, o italiana che vogliam dirla, perchè in essa non siammucchiano già alla rinfusa e senza ordine, come perlo più erasi fatto nel secolo precedente, i precetti a scri-vere in questa lingua correttamente; ma son disposti conordine e con buon metodo; e l'autore avanzandosi dipasso in passo, conduce saggiamente i lettori per ogniparte, e tutta svolge l'economia e il sistema del nostrolinguaggio. Quindi è che ne sono poi state replicate di-verse edizioni, e che quest'opera è sempre stata tenutain conto di una delle più utili che in questo genere ab-biamo. Pensava egli di farne una nuova edizione collagiunta di molti altri trattati, ma la morte, da cui fu preso

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Firenze, ove visse la maggior parte degli anni suoi,come in Roma e in Padova, ove pure per qualche tempofece soggiorno, ei si occupò ugualmente negli esercizjproprj di un zelante ecclesiastico e negli studi dell'ame-na letteratura, a' quali la sua inclinazione traevalo. Lepiù illustri accademie della sua patria, e quelle singolar-mente della Crusca e degli Apatisti e la fiorentina lo eb-bero tra' loro socj, ed ei fu uno de' più fervidi promotoridi quelle erudite adunanze, nelle quali fu spesse volteudito recitare lezioni, cicalate, o altri somiglianti discor-si. Molti sono infatti gli opuscoli di tal natura, che se nehanno alle stampe, e più grande è ancora il numerodegl'inediti, o degli smarriti, de' quali si può vedere ilcatalogo presso il suddetto scrittore. Ma io dirò sola-mente de' suoi due libri della Lingua toscana.Quest'opera si può rimirare come la prima a cui vera-mente convenga il titolo di Gramatica della lingua to-scana, o italiana che vogliam dirla, perchè in essa non siammucchiano già alla rinfusa e senza ordine, come perlo più erasi fatto nel secolo precedente, i precetti a scri-vere in questa lingua correttamente; ma son disposti conordine e con buon metodo; e l'autore avanzandosi dipasso in passo, conduce saggiamente i lettori per ogniparte, e tutta svolge l'economia e il sistema del nostrolinguaggio. Quindi è che ne sono poi state replicate di-verse edizioni, e che quest'opera è sempre stata tenutain conto di una delle più utili che in questo genere ab-biamo. Pensava egli di farne una nuova edizione collagiunta di molti altri trattati, ma la morte, da cui fu preso

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Page 243: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

in Firenze a' 27 di gennaio del 1647, non gliel permise.

III. Molto ancor dee la lingua toscana aCelso Cittadini gentiluomo sanese, uno de'più dotti uomini della sua età, e la cui erudi-

zione sarebbe assai più conosciuta, se molte altre fati-che non se ne fosser perdute. L'Eritreo ne ha fatto l'elo-gio (Pinacoth. pars 2, n. 58), e il celebre Girolamo Gi-gli ne ha scritta ampiamente la Vita, ch'è premessa allanuova edizione dell'Opere di esso fatta in Roma nel1621. Contiene essa il Trattato della vera origine e delprocesso e nome della nostra lingua e le Origini dellaToscana favella, che erano già state stampate e innoltrealcuni opuscoli non mai pubblicati, cioè un Trattatodegl'idiomi toscani, le Note alle giunte del Castelveltro,e le Note sopra le Prose del Bembo; nelle quali operetutte il Cittadini dimostra quanto sapesse e della storia edell'indole della volgar nostra lingua. Diverso genered'erudizione è quello, di cui egli si mostra adorno nelsuo Discorso dell'antichità dell'Armi delle famiglie, cheillustrato con dotte note dal sig. Gian Girolamo Carli,uscì alle stampe in Lucca nel 1741. Avea egli a tal fine,come narrasi dall'Eritreo, fatto un indefesso studio negliarchivj tutti di Siena, traendone quelle notizie ch'eranoal suo disegno opportune. Nè in ciò solamente, ma nellostudio ancora delle medaglie greche e latine e delle anti-che iscrizioni era, quanto immaginar si possa, profonda-mente istruito, nè veniagli esibita medaglia di cui tosto

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Celso Citta-dini.

in Firenze a' 27 di gennaio del 1647, non gliel permise.

III. Molto ancor dee la lingua toscana aCelso Cittadini gentiluomo sanese, uno de'più dotti uomini della sua età, e la cui erudi-

zione sarebbe assai più conosciuta, se molte altre fati-che non se ne fosser perdute. L'Eritreo ne ha fatto l'elo-gio (Pinacoth. pars 2, n. 58), e il celebre Girolamo Gi-gli ne ha scritta ampiamente la Vita, ch'è premessa allanuova edizione dell'Opere di esso fatta in Roma nel1621. Contiene essa il Trattato della vera origine e delprocesso e nome della nostra lingua e le Origini dellaToscana favella, che erano già state stampate e innoltrealcuni opuscoli non mai pubblicati, cioè un Trattatodegl'idiomi toscani, le Note alle giunte del Castelveltro,e le Note sopra le Prose del Bembo; nelle quali operetutte il Cittadini dimostra quanto sapesse e della storia edell'indole della volgar nostra lingua. Diverso genered'erudizione è quello, di cui egli si mostra adorno nelsuo Discorso dell'antichità dell'Armi delle famiglie, cheillustrato con dotte note dal sig. Gian Girolamo Carli,uscì alle stampe in Lucca nel 1741. Avea egli a tal fine,come narrasi dall'Eritreo, fatto un indefesso studio negliarchivj tutti di Siena, traendone quelle notizie ch'eranoal suo disegno opportune. Nè in ciò solamente, ma nellostudio ancora delle medaglie greche e latine e delle anti-che iscrizioni era, quanto immaginar si possa, profonda-mente istruito, nè veniagli esibita medaglia di cui tosto

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Celso Citta-dini.

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non indicasse il soggetto, l'età e il pregio. Al qual finenon solo avea egli studiate le lingue greca e latina, mal'ebraica ancora. Molto avea egli scritto, o piuttosto ab-bozzato, sulle antichità romane da lui diligentementeosservate; e Ottavio Falconieri, in una sua lettera al Ma-galotti, racconta (Magalotti Lett. famigl. t. 2, p. 97) cheil pontef. Alessandro VII, concittadino e scolare del Cit-tadini, aveagli narrato di aver tentato ogni mezzo peravere in mano le note ch'egli avea stese senz'ordine sumolte carte: ma che avendole volute il gran duca, nonavea potuto soddisfare al suo desiderio. Nella storia an-cora, nella geografia, nella cosmografia, nella botanicaera versatissimo il Cittadini, a cui niuna cosa mancavadi quelle che formano un uomo dotto e insieme amabilee degno di rispetto e di stima. Egli era nato in Roma nel1553; ed ivi ancora era vissuto molti anni; ma finì po-scia di vivere in Siena nel 1627. Oltre le opere da meaccennate, alcune altre ci sono rimaste di questo eruditoscrittore, delle quali ci dà notizia il poc'anzi nominatoautore della sua Vita.

IV. Non fu la sola Toscana che produssescrittori utili alla lingua italiana. Uno nediede Forlì nel padre Marcantonio Mambel-li della Compagnia di Gesù, morto in Ferra-

ra nel 1644 in età di 62 anni, intorno al quale alcuneparticolari notizie si hanno nel Giornale de' Letteratid'Italia (t. 1, p. 569). Di lui abbiamo le Osservazioni

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PP. Mam-belli e Bar-toli.

non indicasse il soggetto, l'età e il pregio. Al qual finenon solo avea egli studiate le lingue greca e latina, mal'ebraica ancora. Molto avea egli scritto, o piuttosto ab-bozzato, sulle antichità romane da lui diligentementeosservate; e Ottavio Falconieri, in una sua lettera al Ma-galotti, racconta (Magalotti Lett. famigl. t. 2, p. 97) cheil pontef. Alessandro VII, concittadino e scolare del Cit-tadini, aveagli narrato di aver tentato ogni mezzo peravere in mano le note ch'egli avea stese senz'ordine sumolte carte: ma che avendole volute il gran duca, nonavea potuto soddisfare al suo desiderio. Nella storia an-cora, nella geografia, nella cosmografia, nella botanicaera versatissimo il Cittadini, a cui niuna cosa mancavadi quelle che formano un uomo dotto e insieme amabilee degno di rispetto e di stima. Egli era nato in Roma nel1553; ed ivi ancora era vissuto molti anni; ma finì po-scia di vivere in Siena nel 1627. Oltre le opere da meaccennate, alcune altre ci sono rimaste di questo eruditoscrittore, delle quali ci dà notizia il poc'anzi nominatoautore della sua Vita.

IV. Non fu la sola Toscana che produssescrittori utili alla lingua italiana. Uno nediede Forlì nel padre Marcantonio Mambel-li della Compagnia di Gesù, morto in Ferra-

ra nel 1644 in età di 62 anni, intorno al quale alcuneparticolari notizie si hanno nel Giornale de' Letteratid'Italia (t. 1, p. 569). Di lui abbiamo le Osservazioni

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PP. Mam-belli e Bar-toli.

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della lingua italiana in due tomi e in due parti divise, laprima delle quali contiene il Trattato de' Verbi, la secon-da quello delle Particelle, opera essa ancor pregiatissi-ma, e di cui si son poscia fatte altre più copiose edizio-ni, e il cui autore dal celebre monsig. Bottari, che in ciònon può essere sospetto d'adulazione, è detto accuratis-simo e savio gramatico (Note alle Lett. di f. Guitt. p.241). La seconda parte fu molti anni innanzi alla primastampata in Ferrara l'anno stesso, in cui il p. Mambellifinì di vivere. Il p. Daniello Bartoli, che gli era statocompagno nel formare quell'opera, proccurò poscial'edizione della prima parte, e ne avea preso l'incaricoCarlo Dati, il quale fin dal 1661 ne avea fatta cominciarla stampa in Firenze. Ma perchè il Bartoli, che non eratroppo amico degli Accademici della Crusca, entrò insospetto, ma probabilmente non ben fondato, che il Dativolesse pubblicarla come opera sua, e ne fece doglian-ze, il Dati se ne risentì, come ci mostra una lettera da luiscritta ad Ottavio Falconieri nel 1665, e interruppe lacominciata edizione, finchè avendo il cav. AlessandroBaldraccani a nome dell'Accademia de' Filergiti di Forlìchiesta l'opera del Mambelli, affin di stamparla nellapatria dell'autore, ei prontamente gliela trasmise, e in talmodo la prima parte fu finalmente ivi stampata nel 1685(V. Zeno Note al Fontan. t. 1, p. 25, ec.). Ho detto che ilp. Bartoli non era molto amico degli Accademici dellaCrusca; e vuolsi che ciò nascesse dall'aver lui saputoch'essi avean criticate molte parole e molte espressionida lui usate; e che questa fosse l'origine della celebre

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della lingua italiana in due tomi e in due parti divise, laprima delle quali contiene il Trattato de' Verbi, la secon-da quello delle Particelle, opera essa ancor pregiatissi-ma, e di cui si son poscia fatte altre più copiose edizio-ni, e il cui autore dal celebre monsig. Bottari, che in ciònon può essere sospetto d'adulazione, è detto accuratis-simo e savio gramatico (Note alle Lett. di f. Guitt. p.241). La seconda parte fu molti anni innanzi alla primastampata in Ferrara l'anno stesso, in cui il p. Mambellifinì di vivere. Il p. Daniello Bartoli, che gli era statocompagno nel formare quell'opera, proccurò poscial'edizione della prima parte, e ne avea preso l'incaricoCarlo Dati, il quale fin dal 1661 ne avea fatta cominciarla stampa in Firenze. Ma perchè il Bartoli, che non eratroppo amico degli Accademici della Crusca, entrò insospetto, ma probabilmente non ben fondato, che il Dativolesse pubblicarla come opera sua, e ne fece doglian-ze, il Dati se ne risentì, come ci mostra una lettera da luiscritta ad Ottavio Falconieri nel 1665, e interruppe lacominciata edizione, finchè avendo il cav. AlessandroBaldraccani a nome dell'Accademia de' Filergiti di Forlìchiesta l'opera del Mambelli, affin di stamparla nellapatria dell'autore, ei prontamente gliela trasmise, e in talmodo la prima parte fu finalmente ivi stampata nel 1685(V. Zeno Note al Fontan. t. 1, p. 25, ec.). Ho detto che ilp. Bartoli non era molto amico degli Accademici dellaCrusca; e vuolsi che ciò nascesse dall'aver lui saputoch'essi avean criticate molte parole e molte espressionida lui usate; e che questa fosse l'origine della celebre

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operetta da lui pubblicata col titolo: il Torto e il Dirittodel non si può. Il co. Mazzucchelli però accenna alcuneragioni per dubitar di tal fatto (Scritt. it. t. 1, par. 1, p.438). Ma qualunque fosse la ragione per cui egli prese ascriver il libro, par certo ch'ei lo scrivesse singolarmen-te per combattere la franchezza con cui alcuni degli Ac-cademici rigettavano e condannavano le maniere di direda altrui usate. Ei mostra adunque che cotali giudizjerano spesse volte mal appoggiati, e recando gli esempjdi que' medesimi autori che dagli Accademici si adotta-no come classici e originali, pruova ch'essi hanno usatemaniere stesse di dire, che si riprendono in altri. Ella èperciò opera assai utile agli studiosi della lingua tosca-na, ma di cui convien usar saggiamente, per non avvez-zarsi a scrivere secondo il proprio capriccio, sulla lusin-ga che non v'abbia voce che da qualche approvato scrit-tore non sia stata usata, e che non possa perciò da ognialtro usarsi. Del p. Bartoli abbiamo ancora l'Ortografiaitaliana, stampata per la prima volta nel 1670, e posciapiù altre volte; e ad essa si possono aggiugnere gli Av-vertimenti grammaticali del card. Sforza Pallavicino dalui pubblicati sotto il nome del p. Francesco Rainaldi;picciola operetta, ma utile assai pe' precetti e per le ri-flessioni che suggerisce a scrivere esattamente.

V. Fra gli scrittori più benemeriti della lin-gua toscana, dee aver luogo il poc'anzi no-

minato Carlo Dati fiorentino; della cui vita e delle cui

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Carlo Dati.

operetta da lui pubblicata col titolo: il Torto e il Dirittodel non si può. Il co. Mazzucchelli però accenna alcuneragioni per dubitar di tal fatto (Scritt. it. t. 1, par. 1, p.438). Ma qualunque fosse la ragione per cui egli prese ascriver il libro, par certo ch'ei lo scrivesse singolarmen-te per combattere la franchezza con cui alcuni degli Ac-cademici rigettavano e condannavano le maniere di direda altrui usate. Ei mostra adunque che cotali giudizjerano spesse volte mal appoggiati, e recando gli esempjdi que' medesimi autori che dagli Accademici si adotta-no come classici e originali, pruova ch'essi hanno usatemaniere stesse di dire, che si riprendono in altri. Ella èperciò opera assai utile agli studiosi della lingua tosca-na, ma di cui convien usar saggiamente, per non avvez-zarsi a scrivere secondo il proprio capriccio, sulla lusin-ga che non v'abbia voce che da qualche approvato scrit-tore non sia stata usata, e che non possa perciò da ognialtro usarsi. Del p. Bartoli abbiamo ancora l'Ortografiaitaliana, stampata per la prima volta nel 1670, e posciapiù altre volte; e ad essa si possono aggiugnere gli Av-vertimenti grammaticali del card. Sforza Pallavicino dalui pubblicati sotto il nome del p. Francesco Rainaldi;picciola operetta, ma utile assai pe' precetti e per le ri-flessioni che suggerisce a scrivere esattamente.

V. Fra gli scrittori più benemeriti della lin-gua toscana, dee aver luogo il poc'anzi no-

minato Carlo Dati fiorentino; della cui vita e delle cui

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Carlo Dati.

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opere si hanno copiose notizie nei Fasti consolaridell'Accademia fiorentina (p. 536, ec.) e negli Elogidegl'illustri toscani (t. 3). Oltre il Discorso dell'obbligodi ben parlare la propria lingua da lui composto, ei fu ilraccoglitore e l'editore delle Prose fiorentine, colle qualisi studiò di proporre quegli esemplari di toscana elo-quenza, che gli parver migliori. E i migliori vi son cer-tamente, ma misti ad altri che forse non erano degni ditanto. Egli innoltre insieme col Redi affaticavasi in ri-cercare le origini e l'etimologie della lingua toscana, ebenchè egli nulla su ciò pubblicasse, il Menagio però,nell'opera da lui divulgata su questo argomento, confes-sa di dover molto al Dati. Nè solo in questi più lievi stu-dj, ma ancor nei più gravi fu egli uomo assai dotto. Giàabbiamo altrove accennata la Lettera a Filalete sotto ilnome di Timauro Anziate, da lui data alla luce in difesadelle scoperte del Torricelli, nella quale ei fa ben vederequanto valesse nelle scienze fisiche e nelle matemati-che. Di un Discorso astronomico sopra Saturno da luicomposto si fa menzione in alcune lettere del card. Mi-chelangelo Ricci (Lettere ined. t. 2, p. 93, 104); e nelcatalogo delle opere inedite di esso, che ci vien datonelle accennate Notizie, si può osservare a quante equanto diverse materie si stendessero l'erudite ricerchedel Dati. Delle Vite de' Pittori antichi da lui pubblicate,si è detto altrove. Ei somministrò ancora al Baluzio al-cuni frammenti del Capitolare di Lottario. Io non parlodelle Orazioni, delle Lettere, e di altri Ragionamenti ac-cademici di esso, ne' quali sempre ei si mostra colto ed

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opere si hanno copiose notizie nei Fasti consolaridell'Accademia fiorentina (p. 536, ec.) e negli Elogidegl'illustri toscani (t. 3). Oltre il Discorso dell'obbligodi ben parlare la propria lingua da lui composto, ei fu ilraccoglitore e l'editore delle Prose fiorentine, colle qualisi studiò di proporre quegli esemplari di toscana elo-quenza, che gli parver migliori. E i migliori vi son cer-tamente, ma misti ad altri che forse non erano degni ditanto. Egli innoltre insieme col Redi affaticavasi in ri-cercare le origini e l'etimologie della lingua toscana, ebenchè egli nulla su ciò pubblicasse, il Menagio però,nell'opera da lui divulgata su questo argomento, confes-sa di dover molto al Dati. Nè solo in questi più lievi stu-dj, ma ancor nei più gravi fu egli uomo assai dotto. Giàabbiamo altrove accennata la Lettera a Filalete sotto ilnome di Timauro Anziate, da lui data alla luce in difesadelle scoperte del Torricelli, nella quale ei fa ben vederequanto valesse nelle scienze fisiche e nelle matemati-che. Di un Discorso astronomico sopra Saturno da luicomposto si fa menzione in alcune lettere del card. Mi-chelangelo Ricci (Lettere ined. t. 2, p. 93, 104); e nelcatalogo delle opere inedite di esso, che ci vien datonelle accennate Notizie, si può osservare a quante equanto diverse materie si stendessero l'erudite ricerchedel Dati. Delle Vite de' Pittori antichi da lui pubblicate,si è detto altrove. Ei somministrò ancora al Baluzio al-cuni frammenti del Capitolare di Lottario. Io non parlodelle Orazioni, delle Lettere, e di altri Ragionamenti ac-cademici di esso, ne' quali sempre ei si mostra colto ed

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erudito scrittore. Il Panegirico da lui composto in onoredel re Luigi XIV, e la fama d'uom dotto, di cui egli go-deva, gli ottenne da quel gran monarca l'annua pensionedi cento luigi, ed egli non meno che la reina Cristina diSvezia cercò di averlo alla sua corte; ma il Dati non vol-le abbandonare la sua Toscana, e visse ivi continuamen-te onorato della cattedra di lingua greca in quello Stu-dio, e dell'impiego di bibliotecario del card. Gian Carlode' Medici, e encomiato da tutti i dotti italiani e stranie-ri, le cui onorevoli testimonianze si recano nelle accen-nate Notizie. E saggi anche maggiori della sua erudizio-ne ci avrebbe egli lasciati, se la morte non lo avessetroppo presto rapito in Firenze nel 1675, mentr'ei noncontava che 56 anni di età.

VI. Più altri autori di precetti e di riflessionisull'arte di scrivere con eleganza nella vol-gar nostra lingua potrebbonsi qui indicare.Ma ci basti aver detto de' più famosi. Solo

non deesi omettere la Raccolta degli Autori del benparlare pubblicata in più tomi in Venezia nel 1643 daGiuseppe Aromatari sotto il nome di Nebusiano, delquale parlano distintamente Apostolo Zeno (Note alFontan. t. 1, p. 50, ec.) e il co. Mazzucchelli (Scritt. it.t. 1, par. 2, p. 1117). In essa contengonsi la maggiorparte degli scrittori che su questo argomento aveano fi-nallora data alla luce qualche opera, aggiuntovi ancoraalcuni di quelli che non sol della lingua, ma ragionano

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Raccolta diautori delben parlare.

erudito scrittore. Il Panegirico da lui composto in onoredel re Luigi XIV, e la fama d'uom dotto, di cui egli go-deva, gli ottenne da quel gran monarca l'annua pensionedi cento luigi, ed egli non meno che la reina Cristina diSvezia cercò di averlo alla sua corte; ma il Dati non vol-le abbandonare la sua Toscana, e visse ivi continuamen-te onorato della cattedra di lingua greca in quello Stu-dio, e dell'impiego di bibliotecario del card. Gian Carlode' Medici, e encomiato da tutti i dotti italiani e stranie-ri, le cui onorevoli testimonianze si recano nelle accen-nate Notizie. E saggi anche maggiori della sua erudizio-ne ci avrebbe egli lasciati, se la morte non lo avessetroppo presto rapito in Firenze nel 1675, mentr'ei noncontava che 56 anni di età.

VI. Più altri autori di precetti e di riflessionisull'arte di scrivere con eleganza nella vol-gar nostra lingua potrebbonsi qui indicare.Ma ci basti aver detto de' più famosi. Solo

non deesi omettere la Raccolta degli Autori del benparlare pubblicata in più tomi in Venezia nel 1643 daGiuseppe Aromatari sotto il nome di Nebusiano, delquale parlano distintamente Apostolo Zeno (Note alFontan. t. 1, p. 50, ec.) e il co. Mazzucchelli (Scritt. it.t. 1, par. 2, p. 1117). In essa contengonsi la maggiorparte degli scrittori che su questo argomento aveano fi-nallora data alla luce qualche opera, aggiuntovi ancoraalcuni di quelli che non sol della lingua, ma ragionano

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Raccolta diautori delben parlare.

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ancora dell'eloquenza. E l'Aromatari v'inserì ancoraqualche suo trattatello. Ei nondimeno avrebbe meglioprovveduto agli studiosi di questa lingua, se restringen-do la sua opera a minor numero di volumi, avesse fattauna scelta più giudiziosa, e raccolti quegli scrittori sol-tanto, la lettura de' quali può essere veramente utile achi vuole scrivere con eleganza.

VII. Frattanto fin dal 1612 erasi fatta inFirenze la prima edizione del Vocabolariodegli Accademici della Crusca, di cui avea

avuta la principal direzione quel Bastiano de' Rossi, chesotto il nome dello 'nferigno erasi segnalato nelle con-troversie col Tasso, delle quali nel precedente tomo si èdetto. Voleasi da alcuni che questo Vocabolario fossenon altrimente che il codice della lingua italiana, talchèdovessero aversi in conto di legittime ed approvate levoci che in esso erano registrate; e rimirarsi come pro-scritte quelle che non vi aveano luogo. Avvenne perciò,che molti si fecero a esaminarlo minutamente, e sullecopie, che ne ebbero tra le mani, fecer diverse postille,segnando o le poco esatte definizioni, o le omissioni, ogli errori in cui gli Accademici eran caduti. I nomi diquesti postillatori si posson vedere presso il Fontanini elo Zeno (Bibl. t. 1, p. 81, ec.), e veggiam che tra essi fu-ron alcuni Toscani, come il Cittadini, il Nisieli ossia ilFioretti, e Giambattista Doni. La maggior parte di esseperò non furon date alle stampe, ma solo quelle che

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Vocabolariodella Crusca.

ancora dell'eloquenza. E l'Aromatari v'inserì ancoraqualche suo trattatello. Ei nondimeno avrebbe meglioprovveduto agli studiosi di questa lingua, se restringen-do la sua opera a minor numero di volumi, avesse fattauna scelta più giudiziosa, e raccolti quegli scrittori sol-tanto, la lettura de' quali può essere veramente utile achi vuole scrivere con eleganza.

VII. Frattanto fin dal 1612 erasi fatta inFirenze la prima edizione del Vocabolariodegli Accademici della Crusca, di cui avea

avuta la principal direzione quel Bastiano de' Rossi, chesotto il nome dello 'nferigno erasi segnalato nelle con-troversie col Tasso, delle quali nel precedente tomo si èdetto. Voleasi da alcuni che questo Vocabolario fossenon altrimente che il codice della lingua italiana, talchèdovessero aversi in conto di legittime ed approvate levoci che in esso erano registrate; e rimirarsi come pro-scritte quelle che non vi aveano luogo. Avvenne perciò,che molti si fecero a esaminarlo minutamente, e sullecopie, che ne ebbero tra le mani, fecer diverse postille,segnando o le poco esatte definizioni, o le omissioni, ogli errori in cui gli Accademici eran caduti. I nomi diquesti postillatori si posson vedere presso il Fontanini elo Zeno (Bibl. t. 1, p. 81, ec.), e veggiam che tra essi fu-ron alcuni Toscani, come il Cittadini, il Nisieli ossia ilFioretti, e Giambattista Doni. La maggior parte di esseperò non furon date alle stampe, ma solo quelle che

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Vocabolariodella Crusca.

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vennero attribuite al celebre Alessandro Tassoni, le qua-li per opera di Apostolo Zeno furon pubblicate in Vene-zia nel 1698. Il Muratori, nella Vita dello stesso Tasso-ni, ha con evidenti pruove mostrato che non fu già eglil'autore di quelle annotazioni, ma bensì Giulio Ottonellinatio di Fanano nelle alpi modenesi, e che sulla fine delsecolo precedente era per alcuni anni vissuto alla cortedi Toscana in onorevoli impieghi 66. Egli è vero però,che il Tassoni avea di sua man postillata la prima edi-zione di quel Vocabolario, e il Muratori cita la copiacosì da lui postillata, che possedevasi in Modena da' ni-poti del celebre dottor Ramazzini. Ma egli non ha vedu-ta la copia della seconda edizione dello stesso Vocabo-lario del 1623, postillata pure di mano dello stesso Tas-soni, che è in questa estense biblioteca; e forse essa nonne ha fatto acquisto che dopo il tempo in cui il Muratoriscrivea la Vita del Tassoni. Al fine della prefazione sileggono queste parole: Resta ad avvertire, che 'l padro-ne di questo presente Volume non è soddisfatto dellevoci, ch'egli ha segnate con la croce, o con altra notanel margine, e però prega gli Autori che 'l voglino ave-re per inscusato, se le croci-segnate non accetta perbuone, e le altre per ben dichiarate. Io Alessandro Tas-soni. Le postille son tutte di man del Tassoni, e quelleche il Muratori reca per saggio, si trovano per lo più an-66 Dell'Ottonelli, uomo degno d'esser conosciuto più che non fosse finora, si

è parlato diffusamente nella Biblioteca modenese, ove si è esposta tutta laserie di contese da lui avute coll'Accademia della Crusca, e si son date co-piose notizie degl'impieghi da lui sostenuti, e degli studj ne' quali eserci-tossi (t. 3, p. 365, ec.).

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vennero attribuite al celebre Alessandro Tassoni, le qua-li per opera di Apostolo Zeno furon pubblicate in Vene-zia nel 1698. Il Muratori, nella Vita dello stesso Tasso-ni, ha con evidenti pruove mostrato che non fu già eglil'autore di quelle annotazioni, ma bensì Giulio Ottonellinatio di Fanano nelle alpi modenesi, e che sulla fine delsecolo precedente era per alcuni anni vissuto alla cortedi Toscana in onorevoli impieghi 66. Egli è vero però,che il Tassoni avea di sua man postillata la prima edi-zione di quel Vocabolario, e il Muratori cita la copiacosì da lui postillata, che possedevasi in Modena da' ni-poti del celebre dottor Ramazzini. Ma egli non ha vedu-ta la copia della seconda edizione dello stesso Vocabo-lario del 1623, postillata pure di mano dello stesso Tas-soni, che è in questa estense biblioteca; e forse essa nonne ha fatto acquisto che dopo il tempo in cui il Muratoriscrivea la Vita del Tassoni. Al fine della prefazione sileggono queste parole: Resta ad avvertire, che 'l padro-ne di questo presente Volume non è soddisfatto dellevoci, ch'egli ha segnate con la croce, o con altra notanel margine, e però prega gli Autori che 'l voglino ave-re per inscusato, se le croci-segnate non accetta perbuone, e le altre per ben dichiarate. Io Alessandro Tas-soni. Le postille son tutte di man del Tassoni, e quelleche il Muratori reca per saggio, si trovano per lo più an-66 Dell'Ottonelli, uomo degno d'esser conosciuto più che non fosse finora, si

è parlato diffusamente nella Biblioteca modenese, ove si è esposta tutta laserie di contese da lui avute coll'Accademia della Crusca, e si son date co-piose notizie degl'impieghi da lui sostenuti, e degli studj ne' quali eserci-tossi (t. 3, p. 365, ec.).

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che in questa seconda. Paolo Beni ancora mosse un'osti-nata guerra al detto Vocabolario colla sua Anti Cruscastampata nello stesso anno 1612, e che fu poscia seguitada più altri libri, altri a difesa del Vocabolario, altri infavor del Beni, che perciò ebbe cogli Accademici lungacontesa, la serie della quale si può vedere presso il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 846, ec.) 67.Erano troppo saggi gli Accademici della Crusca per nonconoscere che non era possibile che il Vocabolario nonavesse bisogno di giunte e di correzioni. Perciò lo stes-so Bastiano de' Rossi si accinse a farne una nuova e piùampia edizione, la quale vide la luce nel 1623. Amen-due queste edizioni non occupano che un tomo in folio,e anche dopo la seconda si vide che molto ancora man-cava alla perfezione di questo Vocabolario. Determina-ronsi dunque quegli Accademici a rinnovar sopra essole loro fatiche; e la principal direzione ne fu affidata daAlessandro Segni fiorentino, autore di alcune altre ope-re che insieme colle notizie della sua vita si accennandal can. Salvini (Fasti consol. p. 584). Nel 1691 fu pub-67 Un altro avversario credette di aver la Crusca in Adriano Politi sanese.

Questi nel 1614 fece pubblicare in Roma il suo Dizionario toscano, alquale titolo lo stampatore aggiunse di suo capriccio quello di Compendiodella Crusca. Al veder questo titolo il ferocissimo cruscante Bastian de'Rossi gridò all'armi, e menò tal rumore contro l'innocente Politi, che corsevoce, ma falsa, ch'ei fosse stato racchiuso in carcere, nè si potè calmare ilfuror de' Cruscanti, se non togliendo dalle posteriori edizioni quella ese-crabil bestemmia. Di questa contesa parla colla consueta sua esattezzaApostolo Zeno (Note al Fontan. t. 1, p. 64). Del Politi, oltre qualche altraoperetta, abbiamo ancora la traduzion di Tacito, stampata la prima volta inRoma nel 1603 e poscia altre volte, la quale comunemente è antiposta aquella del Davanzati.

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che in questa seconda. Paolo Beni ancora mosse un'osti-nata guerra al detto Vocabolario colla sua Anti Cruscastampata nello stesso anno 1612, e che fu poscia seguitada più altri libri, altri a difesa del Vocabolario, altri infavor del Beni, che perciò ebbe cogli Accademici lungacontesa, la serie della quale si può vedere presso il co.Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 846, ec.) 67.Erano troppo saggi gli Accademici della Crusca per nonconoscere che non era possibile che il Vocabolario nonavesse bisogno di giunte e di correzioni. Perciò lo stes-so Bastiano de' Rossi si accinse a farne una nuova e piùampia edizione, la quale vide la luce nel 1623. Amen-due queste edizioni non occupano che un tomo in folio,e anche dopo la seconda si vide che molto ancora man-cava alla perfezione di questo Vocabolario. Determina-ronsi dunque quegli Accademici a rinnovar sopra essole loro fatiche; e la principal direzione ne fu affidata daAlessandro Segni fiorentino, autore di alcune altre ope-re che insieme colle notizie della sua vita si accennandal can. Salvini (Fasti consol. p. 584). Nel 1691 fu pub-67 Un altro avversario credette di aver la Crusca in Adriano Politi sanese.

Questi nel 1614 fece pubblicare in Roma il suo Dizionario toscano, alquale titolo lo stampatore aggiunse di suo capriccio quello di Compendiodella Crusca. Al veder questo titolo il ferocissimo cruscante Bastian de'Rossi gridò all'armi, e menò tal rumore contro l'innocente Politi, che corsevoce, ma falsa, ch'ei fosse stato racchiuso in carcere, nè si potè calmare ilfuror de' Cruscanti, se non togliendo dalle posteriori edizioni quella ese-crabil bestemmia. Di questa contesa parla colla consueta sua esattezzaApostolo Zeno (Note al Fontan. t. 1, p. 64). Del Politi, oltre qualche altraoperetta, abbiamo ancora la traduzion di Tacito, stampata la prima volta inRoma nel 1603 e poscia altre volte, la quale comunemente è antiposta aquella del Davanzati.

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blicata questa terza edizione, che crebbe a tre tomi. Maessa ancora fu poscia quasi eclissata dalla quarta magni-ficamente stampate in sei tomi, il primo de' quali vennea luce nel 1729, l'ultimo nel 1738. E forse rimane anco-ra che aggiugnere e che emendare, come han proccuratodi persuadere alcuni che ci han dati cataloghi di moltevoci che in quel Vocabolario non leggonsi, benchè pursembri che dovessero avervi luogo 68.

VIII. Le fatiche di questi illustri accade-mici e degli altri scrittori da noi nominati,pareva che dovessero render comune inItalia l'eleganza dello scrivere. E nondi-meno, se se ne traggono i Toscani e alcu-

ni altri in assai scarso numero, non fu mai così trascura-ta la nostra lingua, come in quel secolo. Appena si puòora soffrir la lettura della maggior parte de' libri che al-lora vennero a luce, così nè è incolto e rozzo lo stile epieno di barbarismi. Tutto l'ingegno della maggior partedegli scrittori era rivolto a' concetti e alle metafore, e68 Diverse ristampe si son poscia fatte del Vocabolario della Crusca

coll'aggiunta di molte voci raccolte dagli autori medesimi dell'Accademiaapprovati, ma ommesse nel Vocabolario fiorentino; le quali, benchèdall'Accademia stessa non sieno state approvate, non lascian perciò di re-car molto vantaggio agli studiosi della lingua italiana. Fra esse e per la co-pia e la scieltezza delle voci aggiunte, deesi ricordar singolarmente quellafatta in Napoli per opera di Pasquale Tommasi, e stampata nel 1746 in seitomi in foglio. Intorno al Vocabolario della Crusca, e alle accuse che con-tro di esso si muovono, veggasi la bell'opera del sig. co. GianfrancescoNapione di Cocconato altre volte da me nominato con lode (De' Pregidella lingua Ital. t. 2, p. 78, ec.).

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Carattere dell'eloquenza di questo seco-lo.

blicata questa terza edizione, che crebbe a tre tomi. Maessa ancora fu poscia quasi eclissata dalla quarta magni-ficamente stampate in sei tomi, il primo de' quali vennea luce nel 1729, l'ultimo nel 1738. E forse rimane anco-ra che aggiugnere e che emendare, come han proccuratodi persuadere alcuni che ci han dati cataloghi di moltevoci che in quel Vocabolario non leggonsi, benchè pursembri che dovessero avervi luogo 68.

VIII. Le fatiche di questi illustri accade-mici e degli altri scrittori da noi nominati,pareva che dovessero render comune inItalia l'eleganza dello scrivere. E nondi-meno, se se ne traggono i Toscani e alcu-

ni altri in assai scarso numero, non fu mai così trascura-ta la nostra lingua, come in quel secolo. Appena si puòora soffrir la lettura della maggior parte de' libri che al-lora vennero a luce, così nè è incolto e rozzo lo stile epieno di barbarismi. Tutto l'ingegno della maggior partedegli scrittori era rivolto a' concetti e alle metafore, e68 Diverse ristampe si son poscia fatte del Vocabolario della Crusca

coll'aggiunta di molte voci raccolte dagli autori medesimi dell'Accademiaapprovati, ma ommesse nel Vocabolario fiorentino; le quali, benchèdall'Accademia stessa non sieno state approvate, non lascian perciò di re-car molto vantaggio agli studiosi della lingua italiana. Fra esse e per la co-pia e la scieltezza delle voci aggiunte, deesi ricordar singolarmente quellafatta in Napoli per opera di Pasquale Tommasi, e stampata nel 1746 in seitomi in foglio. Intorno al Vocabolario della Crusca, e alle accuse che con-tro di esso si muovono, veggasi la bell'opera del sig. co. GianfrancescoNapione di Cocconato altre volte da me nominato con lode (De' Pregidella lingua Ital. t. 2, p. 78, ec.).

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Carattere dell'eloquenza di questo seco-lo.

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purchè sapessero spargerle a piena mano nelle loro ope-re, nulla curavansi della scelta delle parole, e dell'osser-vanza delle leggi grammaticali, e quindi venne chel'eloquenza ancora fu trascurata, e che gli oratori, vaghisoltanto di riscuotere l'ammirazione e l'applauso de' lorouditori, pareano avere dimenticato che il primario finedell'arte loro era quello di persuadere e di muovere. Everamente noi non possiamo senza qualche vergognaragionare dell'eloquenza del secolo XVII. Le Orazionilatine, e quelle principalmente dette da' professori d'elo-quenza nell'aprimento delle pubbliche scuole, o in altresolenni occasioni, sono la miglior cosa che abbiamo. Edesse nondimeno poste in confronto con quelle degli ora-tori del secolo precedente compaion di molto inferiori, enon vi si vede nè quell'eleganza di stile, nè quella forzadi raziocinio, ch'è il miglior pregio di tali componimen-ti. L'Eritreo, scrivendo nel 1646 al suo Tirreno, cioè amonsig. Fabio Chigi, che fu poi papa Alessandro VII, enarrandogli il piacere con cui avea pochi giorni innanziascoltate alcune Orazioni dette da' maestri gesuiti delcollegio romano nel riaprimento delle loro scuole, equelle principalmente del p. Ignazio Bompiani, di cui sene hanno molte alla stampa (V. Mazzucch. Scritt. ital. t.2, par. 3, p. 1513,ec.), insieme colle lor lodi congiungela critica di alcune altre che negli anni addietro si eranoudite, scritte secondo il gusto del secolo: "Atque gavi-sus sum, dic'egli (Epist. ad Tyrren. tom. 2, p. 75), Magi-stros illos orationem suam ad veterum, hoc est Cicero-nis, Caesaris, aliorumque ejus notae Scriptorum simili-

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purchè sapessero spargerle a piena mano nelle loro ope-re, nulla curavansi della scelta delle parole, e dell'osser-vanza delle leggi grammaticali, e quindi venne chel'eloquenza ancora fu trascurata, e che gli oratori, vaghisoltanto di riscuotere l'ammirazione e l'applauso de' lorouditori, pareano avere dimenticato che il primario finedell'arte loro era quello di persuadere e di muovere. Everamente noi non possiamo senza qualche vergognaragionare dell'eloquenza del secolo XVII. Le Orazionilatine, e quelle principalmente dette da' professori d'elo-quenza nell'aprimento delle pubbliche scuole, o in altresolenni occasioni, sono la miglior cosa che abbiamo. Edesse nondimeno poste in confronto con quelle degli ora-tori del secolo precedente compaion di molto inferiori, enon vi si vede nè quell'eleganza di stile, nè quella forzadi raziocinio, ch'è il miglior pregio di tali componimen-ti. L'Eritreo, scrivendo nel 1646 al suo Tirreno, cioè amonsig. Fabio Chigi, che fu poi papa Alessandro VII, enarrandogli il piacere con cui avea pochi giorni innanziascoltate alcune Orazioni dette da' maestri gesuiti delcollegio romano nel riaprimento delle loro scuole, equelle principalmente del p. Ignazio Bompiani, di cui sene hanno molte alla stampa (V. Mazzucch. Scritt. ital. t.2, par. 3, p. 1513,ec.), insieme colle lor lodi congiungela critica di alcune altre che negli anni addietro si eranoudite, scritte secondo il gusto del secolo: "Atque gavi-sus sum, dic'egli (Epist. ad Tyrren. tom. 2, p. 75), Magi-stros illos orationem suam ad veterum, hoc est Cicero-nis, Caesaris, aliorumque ejus notae Scriptorum simili-

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tudinem, a qua se abstraxerant, conformasse. Nam su-periores Magistri contra veterem merem in fracto, con-ciso, obsuroque quodam genere dicendi versabantur, utquid dicerent, quidve non dicerent, mihi, qui tardo he-betique sum ingenio, perspicuum esse non posset, atqueoratio, quae lumen debet rebus afferre, obscura easdemcaligine ac tenebris involveret". Le orazioni italiane nonsono comunemente molto migliori delle latine, anzi iDiscorsi accademici e altre simili dicerie della maggiorparte degli scrittori di que' tempi sono così sciapite, chenon può sostenersene la lettura. La Toscana fu pressoche la sola provincia d'Italia, in cui il reo gusto non pe-netrasse; e nelle Orazioni dette in Firenze, o in altre cit-tà de' dominj medicei, e che veggonsi in gran parte uni-te nelle Prose fiorentine, non si leggono nè quelle stranemetafore, nè que' rafinati concetti che facean allor le de-lizie degli oratori. Ma se esse sono scritte con eleganzao con purezza di stile, questo è comunemente il solo lorpregio; e invano nella maggior parte di esse si cercaquella robusta eloquenza che forma il vero oratore. Lemigliori fra esse sono, a mio credere, quelle del Dati; esi pregiano singolarmente quelle in morte del commen-dator Cassiano dal Pozzo, e il Panegirico di Luigi XIV.Ma benchè esse sien certo molto pregevoli, io non so sedette a' dì nostri otterrebbon quel plauso che ottenneroallora.

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tudinem, a qua se abstraxerant, conformasse. Nam su-periores Magistri contra veterem merem in fracto, con-ciso, obsuroque quodam genere dicendi versabantur, utquid dicerent, quidve non dicerent, mihi, qui tardo he-betique sum ingenio, perspicuum esse non posset, atqueoratio, quae lumen debet rebus afferre, obscura easdemcaligine ac tenebris involveret". Le orazioni italiane nonsono comunemente molto migliori delle latine, anzi iDiscorsi accademici e altre simili dicerie della maggiorparte degli scrittori di que' tempi sono così sciapite, chenon può sostenersene la lettura. La Toscana fu pressoche la sola provincia d'Italia, in cui il reo gusto non pe-netrasse; e nelle Orazioni dette in Firenze, o in altre cit-tà de' dominj medicei, e che veggonsi in gran parte uni-te nelle Prose fiorentine, non si leggono nè quelle stranemetafore, nè que' rafinati concetti che facean allor le de-lizie degli oratori. Ma se esse sono scritte con eleganzao con purezza di stile, questo è comunemente il solo lorpregio; e invano nella maggior parte di esse si cercaquella robusta eloquenza che forma il vero oratore. Lemigliori fra esse sono, a mio credere, quelle del Dati; esi pregiano singolarmente quelle in morte del commen-dator Cassiano dal Pozzo, e il Panegirico di Luigi XIV.Ma benchè esse sien certo molto pregevoli, io non so sedette a' dì nostri otterrebbon quel plauso che ottenneroallora.

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IX. Più infelice ancora fu la condizionedell'eloquenza sacra. E io confesso che nonso intendere come le Prediche e i Panegiricidi tanti oratori, che or non si leggono, se

non talvolta per prendersi trastullo e giuoco, e per cono-scer fin dove può arrivare l'abuso dell'umano ingegno,si udissero allora con tanto plauso. E molto meno so in-tendere come da tali ragionamenti, in cui altro per lo piùnon facevano che ostentare inutilmente una importunaacutezza nelle metafore e ne' contrapposti, sperasserogli oratori di raccogliere quel frutto che debb'esserel'unico fine del sacro lor ministero. Ma tale era il reogusto del secolo, che appena potea sperar di piacere chinon seguisse la via comunemente battuta; e perciò noiveggiam che quei medesimi oratori, i quali per altro sa-rebbono in altro secolo divenuti modello di cristianaeloquenza, per secondare il genio de' loro uditori, si die-dero a scrivere in una maniera che forse essi medesimidisapprovavano. Io ne veggo la pruova in uno degli ora-tori di questo secolo, di cui non v'ha forse chi sia ito piùoltre nell'uso delle più stravaganti metafore e de' piùraffinati concetti, dico del p. Giuglaris gesuita. Egli ol-tre le Prediche e i Panegirici, che sono, si può ben dire,la quintessenza del secentismo, ha tra le altre sue operequella che ha per titolo la Scuola della verità aperta a'Principi, da lui scritta ad istruzione del real principe diPiemonte. In essa appena si riconosce l'autor delle Pre-diche: così ne è diverso lo stile, e così essa appena haun'ombra assai lieve de' vizj del secolo, ma è stesa in

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Caratteredegli orato-ri sacri.

IX. Più infelice ancora fu la condizionedell'eloquenza sacra. E io confesso che nonso intendere come le Prediche e i Panegiricidi tanti oratori, che or non si leggono, se

non talvolta per prendersi trastullo e giuoco, e per cono-scer fin dove può arrivare l'abuso dell'umano ingegno,si udissero allora con tanto plauso. E molto meno so in-tendere come da tali ragionamenti, in cui altro per lo piùnon facevano che ostentare inutilmente una importunaacutezza nelle metafore e ne' contrapposti, sperasserogli oratori di raccogliere quel frutto che debb'esserel'unico fine del sacro lor ministero. Ma tale era il reogusto del secolo, che appena potea sperar di piacere chinon seguisse la via comunemente battuta; e perciò noiveggiam che quei medesimi oratori, i quali per altro sa-rebbono in altro secolo divenuti modello di cristianaeloquenza, per secondare il genio de' loro uditori, si die-dero a scrivere in una maniera che forse essi medesimidisapprovavano. Io ne veggo la pruova in uno degli ora-tori di questo secolo, di cui non v'ha forse chi sia ito piùoltre nell'uso delle più stravaganti metafore e de' piùraffinati concetti, dico del p. Giuglaris gesuita. Egli ol-tre le Prediche e i Panegirici, che sono, si può ben dire,la quintessenza del secentismo, ha tra le altre sue operequella che ha per titolo la Scuola della verità aperta a'Principi, da lui scritta ad istruzione del real principe diPiemonte. In essa appena si riconosce l'autor delle Pre-diche: così ne è diverso lo stile, e così essa appena haun'ombra assai lieve de' vizj del secolo, ma è stesa in

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Caratteredegli orato-ri sacri.

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uno stil grave, serio, conscio, e non senza eleganza. Maegli in quest'opera intendeva sol di parlare a quel princi-pe e ai grandi; nelle Prediche ragionava ad ogni generedi persone, e perciò secondo le diverse occasioni usavadiverso stile come alle circostanze gli sembrava oppor-tuno. I più dotti e i più saggi mal volentieri vedevanoquesto abuso dell'ingegno e dell'eloquenza; ma il lor nu-mero era, come sempre avviene, troppo scarso per poterfare argine al torrente. Così narra l'Eritreo che accadeva,quando predicava in Roma f. Niccolò Riccardi domeni-cano, genovese di patria, ma allevato in Ispagna, e cheivi cominciato avea a esercitarsi nell'apostolico ministe-ro con tale applauso, che il re Filippo III soleva, a spie-gar la grandezza dell'ingegno che in lui scorgeva, chia-marlo un mostro. Venne egli poi in Italia e il detto scrit-tore racconta (Pinacoth. pars 1, p. 43, ec.) che, quandoegli saliva in pergamo, accorreva in folla tutta Roma adudirlo, e che veniva ascoltato con silenzio e con ammi-razione grandissima da giovani principalmente, a' qualiegli piaceva per l'arditezza delle metafore e de' pensieri,co' quali volendo mostrarsi ingegnoso, pareva che tal-volta s'accostasse a' confini dell'eresia, benchè posciacercasse di ridurre al senso cattolico le sue espressioni.Egli aggiunge che i dotti disapprovavano altamente quelmetodo di predicare, e che ciò non ostante non si sce-mava punto l'affollato concorso; ma che quando eglipubblicò le sue Prediche, l'applauso fu molto minore, ilche pure avvenne delle altre opere date in luce dal Ric-ciardi, che morì, essendo maestro del sacro palazzo, nel

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uno stil grave, serio, conscio, e non senza eleganza. Maegli in quest'opera intendeva sol di parlare a quel princi-pe e ai grandi; nelle Prediche ragionava ad ogni generedi persone, e perciò secondo le diverse occasioni usavadiverso stile come alle circostanze gli sembrava oppor-tuno. I più dotti e i più saggi mal volentieri vedevanoquesto abuso dell'ingegno e dell'eloquenza; ma il lor nu-mero era, come sempre avviene, troppo scarso per poterfare argine al torrente. Così narra l'Eritreo che accadeva,quando predicava in Roma f. Niccolò Riccardi domeni-cano, genovese di patria, ma allevato in Ispagna, e cheivi cominciato avea a esercitarsi nell'apostolico ministe-ro con tale applauso, che il re Filippo III soleva, a spie-gar la grandezza dell'ingegno che in lui scorgeva, chia-marlo un mostro. Venne egli poi in Italia e il detto scrit-tore racconta (Pinacoth. pars 1, p. 43, ec.) che, quandoegli saliva in pergamo, accorreva in folla tutta Roma adudirlo, e che veniva ascoltato con silenzio e con ammi-razione grandissima da giovani principalmente, a' qualiegli piaceva per l'arditezza delle metafore e de' pensieri,co' quali volendo mostrarsi ingegnoso, pareva che tal-volta s'accostasse a' confini dell'eresia, benchè posciacercasse di ridurre al senso cattolico le sue espressioni.Egli aggiunge che i dotti disapprovavano altamente quelmetodo di predicare, e che ciò non ostante non si sce-mava punto l'affollato concorso; ma che quando eglipubblicò le sue Prediche, l'applauso fu molto minore, ilche pure avvenne delle altre opere date in luce dal Ric-ciardi, che morì, essendo maestro del sacro palazzo, nel

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1639 in età di 54 anni (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 503,ec.). Lo stesso dice il medesimo Eritreo (l. c. p. 135,ec.) essere avvenuto a f. Girolamo da Narni cappuccino,che fu per più anni predicatore del palazzo apostolico aitempi di Urbano VIII, le cui Prediche, quando venneroal pubblico nel 1632, non parver degne di quell'altissi-mo applauso ch'egli nel dirle avea riscosso, e che si co-nobbe che esso era in gran parte dovuto alla viva voce eall'esterior talento dell'oratore. Esse però ebber l'onoredi esser tradotte in francese (V. Zeno Note al Fontan. t.1, p. 146), il che ci mostra che non eran poi allora iFrancesi cotanto lontani dal gusto italiano, che le Predi-che de' nostri oratori non fossero anche tra essi accoltecon plauso.

X. Non mi tratterrò io dunque ad annovera-re i sacri oratori di questo secolo, di cui ab-biamo alle stampe Quaresimali, Sermoni,Panegirici, o altri somiglianti ragionamenti,

de' quali è grande il numero, ma sì piccolo il pregio, chemeglio è lasciarne andare in dimenticanza la memoria eil nome. Io nominerò un solo che appartiene con più ra-gione al secolo XVI, che al XVII, benchè solo in questone fossero pubblicati i molti tomi che ne abbiamo diPrediche. Ei fu il p. Giulio Mazzarini della Compagniadi Gesù di patria palermitano, e zio del celebre card.Mazzarini, il quale dopo avere in molte città d'Italiapredicato con sommo applauso, e in Bologna singolar-

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Notizie del p. Giulio Mazzarini.

1639 in età di 54 anni (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 503,ec.). Lo stesso dice il medesimo Eritreo (l. c. p. 135,ec.) essere avvenuto a f. Girolamo da Narni cappuccino,che fu per più anni predicatore del palazzo apostolico aitempi di Urbano VIII, le cui Prediche, quando venneroal pubblico nel 1632, non parver degne di quell'altissi-mo applauso ch'egli nel dirle avea riscosso, e che si co-nobbe che esso era in gran parte dovuto alla viva voce eall'esterior talento dell'oratore. Esse però ebber l'onoredi esser tradotte in francese (V. Zeno Note al Fontan. t.1, p. 146), il che ci mostra che non eran poi allora iFrancesi cotanto lontani dal gusto italiano, che le Predi-che de' nostri oratori non fossero anche tra essi accoltecon plauso.

X. Non mi tratterrò io dunque ad annovera-re i sacri oratori di questo secolo, di cui ab-biamo alle stampe Quaresimali, Sermoni,Panegirici, o altri somiglianti ragionamenti,

de' quali è grande il numero, ma sì piccolo il pregio, chemeglio è lasciarne andare in dimenticanza la memoria eil nome. Io nominerò un solo che appartiene con più ra-gione al secolo XVI, che al XVII, benchè solo in questone fossero pubblicati i molti tomi che ne abbiamo diPrediche. Ei fu il p. Giulio Mazzarini della Compagniadi Gesù di patria palermitano, e zio del celebre card.Mazzarini, il quale dopo avere in molte città d'Italiapredicato con sommo applauso, e in Bologna singolar-

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Notizie del p. Giulio Mazzarini.

Page 258: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

mente, ove nel tempio di s. Petronio si fece udire per 16anni, in questa città medesima a' 22 di dicembre del1622, in età di 78 anni, finì di vivere (Mongit. Bibl. si-cula t. 1, p. 414, ec.). Lo stile del Mazzarini, e il metodoch'ei tien nelle prediche, è conforme a quello che usava-si nel secolo XVI, ed ei può essere unito col Panigarola,col Fiamma e con altri illustri oratori di quell'età, i qualiperò non sono or rimirati come perfetti modelli dellacristiana eloquenza. Son note le controversie ch'egliebbe in Milano col santo cardinal Carlo Borromeo, nateall'occasione di quelle che questi avea allora co' regjministri intorno all'immunità ecclesiastica. Nè può ne-garsi che il p. Mazzarini, il quale mostravasi favorevolea' detti ministri, non usasse sempre verso quel gran car-dinale quel riverente rispetto che per ogni riguardo gliera dovuto; frutto ordinario di tali dispute, quando essesi agitano con calore, e non si scuopre ancora abbastan-za, per chi sia il diritto. Ma se il p. Mazzarini fu degnodi biasimo pel soverchio calore con cui difese la suaopinione, egli ebbe almeno la sorte di vedersi, dopo unformale processo, dichiarato innocente riguardo a' so-spetti che intorno alla sua Fede si eran formati. Intornoal qual punto ci basti l'aver dato un cenno, per non ri-toccare questioni pericolose al pari che inutili, sullequali più ancora che non conveniva si è scritto alcunianni addietro.

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mente, ove nel tempio di s. Petronio si fece udire per 16anni, in questa città medesima a' 22 di dicembre del1622, in età di 78 anni, finì di vivere (Mongit. Bibl. si-cula t. 1, p. 414, ec.). Lo stile del Mazzarini, e il metodoch'ei tien nelle prediche, è conforme a quello che usava-si nel secolo XVI, ed ei può essere unito col Panigarola,col Fiamma e con altri illustri oratori di quell'età, i qualiperò non sono or rimirati come perfetti modelli dellacristiana eloquenza. Son note le controversie ch'egliebbe in Milano col santo cardinal Carlo Borromeo, nateall'occasione di quelle che questi avea allora co' regjministri intorno all'immunità ecclesiastica. Nè può ne-garsi che il p. Mazzarini, il quale mostravasi favorevolea' detti ministri, non usasse sempre verso quel gran car-dinale quel riverente rispetto che per ogni riguardo gliera dovuto; frutto ordinario di tali dispute, quando essesi agitano con calore, e non si scuopre ancora abbastan-za, per chi sia il diritto. Ma se il p. Mazzarini fu degnodi biasimo pel soverchio calore con cui difese la suaopinione, egli ebbe almeno la sorte di vedersi, dopo unformale processo, dichiarato innocente riguardo a' so-spetti che intorno alla sua Fede si eran formati. Intornoal qual punto ci basti l'aver dato un cenno, per non ri-toccare questioni pericolose al pari che inutili, sullequali più ancora che non conveniva si è scritto alcunianni addietro.

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Page 259: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

XI. Come verso al finir del secolo la poe-sia italiana cominciò a risorgere all'anticasua maestà e bellezza, così lo stesso av-venne dell'eloquenza e la gloria di aver

avuto il coraggio prima di ogni altro di lasciare il sen-tiero per tanti anni battuto, e di tornare su quello a cui laragione e il buon senso richiamava i sacri oratori, si dàper comune consentimento al p. Paolo Segneri gesuita,soprannomato il vecchio, a distinzione del giovane del-lo stesso nome, che sul principio del nostro secolo fu fa-moso in Italia per l'esercizio delle sacre missioni. LaVita del p. Segneri va innanzi alla bella edizione delleOpere di esso fatta in Parma nel 1720, ed è stampata an-cora separatamente 69, e io perciò non farò molte parolenel ragionarne; e molto più che la maggior parte de'suoi anni impiegò egli nelle fatiche dell'apostolico mini-stero sì nelle prediche, come nelle missioni, nelle qualifece ammirare non meno la sua eloquenza, che un ar-dente zelo e un'ammirabile austerità. Il pontef. Innocen-zo XII fermollo sugli ultimi anni in Roma, e l'onoròdell'impiego di predicatore apostolico e di teologo peni-tenziere. Ma tre anni soli ei lo sostenne, e a' 9 di dicem-bre del 1694, in età di 70 anni, con una morte corrispon-dente alla santa vita da lui condotta, chiuse i suoi giorni.Io non parlerò delle molte opere ascetiche ch'ei ci ha la-sciate, le quali per altro sono scritte con tal purezza distile, che per la maggior parte sono state credute degne69 Del p. Segneri ha scritta la Vita anche monsig. Fabbroni (Vit. Italor. doctr.

excell. tom. 15, pag. 8).

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Riforma dell'eloquenzasacra fatta dal p. Segneri.

XI. Come verso al finir del secolo la poe-sia italiana cominciò a risorgere all'anticasua maestà e bellezza, così lo stesso av-venne dell'eloquenza e la gloria di aver

avuto il coraggio prima di ogni altro di lasciare il sen-tiero per tanti anni battuto, e di tornare su quello a cui laragione e il buon senso richiamava i sacri oratori, si dàper comune consentimento al p. Paolo Segneri gesuita,soprannomato il vecchio, a distinzione del giovane del-lo stesso nome, che sul principio del nostro secolo fu fa-moso in Italia per l'esercizio delle sacre missioni. LaVita del p. Segneri va innanzi alla bella edizione delleOpere di esso fatta in Parma nel 1720, ed è stampata an-cora separatamente 69, e io perciò non farò molte parolenel ragionarne; e molto più che la maggior parte de'suoi anni impiegò egli nelle fatiche dell'apostolico mini-stero sì nelle prediche, come nelle missioni, nelle qualifece ammirare non meno la sua eloquenza, che un ar-dente zelo e un'ammirabile austerità. Il pontef. Innocen-zo XII fermollo sugli ultimi anni in Roma, e l'onoròdell'impiego di predicatore apostolico e di teologo peni-tenziere. Ma tre anni soli ei lo sostenne, e a' 9 di dicem-bre del 1694, in età di 70 anni, con una morte corrispon-dente alla santa vita da lui condotta, chiuse i suoi giorni.Io non parlerò delle molte opere ascetiche ch'ei ci ha la-sciate, le quali per altro sono scritte con tal purezza distile, che per la maggior parte sono state credute degne69 Del p. Segneri ha scritta la Vita anche monsig. Fabbroni (Vit. Italor. doctr.

excell. tom. 15, pag. 8).

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Riforma dell'eloquenzasacra fatta dal p. Segneri.

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di essere annoverate tra quelle che fanno testo di lingua,benchè l'autore non fosse di patria toscana, ma di fami-glia originaria di Roma, e nato in Nettuno. Noi dobbiamsolo fermarci nell'esaminare il genere d'eloquenza, a cuiegli si appigliò nelle sue prediche e ne' suoi panegirici.Gli oratori de' secoli precedenti ci avean date omeliepiuttosto che prediche; perciocchè essi si occupavanocomunemente in dichiarare il testo del sacro Vangelo, ein cavarne le riflessioni adattate al frutto de' loro uditorie se essi erano eloquenti, il dimostravano più coll'invei-re con energia, che colla forza delle ragioni. Quelli delsecolo XVII voller fare maggior uso del raziocinio, maessi invece ne abusarono; perciocchè per far mostrad'ingegno, stabilivano proposizioni che a primo aspettoparevano, e talvolta di fatto erano paradossi; e conveni-va poi contorcersi, per così dire, e dimenarsi per ridurlea un senso vero e cattolico. E innoltre pareva che glioratori fosser più solleciti di ottener l'applauso degl'udi-tori colla novità de' concetti e coll'arditezza delle imma-gini, che di convincerli colla forza degli argomenti, e dicommoverne con una robusta eloquenza gli affetti. Il p.Segneri conobbe che non era quello di modo di maneg-giare con decoro e con frutto la divina parola e saggia-mente credette che quel genere d'eloquenza, che effettisì prodigiosi avea già prodotti al tempo dei greci e de'romani oratori, non dovesse essere meno opportuno,quando fosse rivolto agli argomenti della cristiana Reli-gione. Ei proccurò dunque di conformarsi a quei primimodelli; e si conosce chiaramente che prese in ispecial

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di essere annoverate tra quelle che fanno testo di lingua,benchè l'autore non fosse di patria toscana, ma di fami-glia originaria di Roma, e nato in Nettuno. Noi dobbiamsolo fermarci nell'esaminare il genere d'eloquenza, a cuiegli si appigliò nelle sue prediche e ne' suoi panegirici.Gli oratori de' secoli precedenti ci avean date omeliepiuttosto che prediche; perciocchè essi si occupavanocomunemente in dichiarare il testo del sacro Vangelo, ein cavarne le riflessioni adattate al frutto de' loro uditorie se essi erano eloquenti, il dimostravano più coll'invei-re con energia, che colla forza delle ragioni. Quelli delsecolo XVII voller fare maggior uso del raziocinio, maessi invece ne abusarono; perciocchè per far mostrad'ingegno, stabilivano proposizioni che a primo aspettoparevano, e talvolta di fatto erano paradossi; e conveni-va poi contorcersi, per così dire, e dimenarsi per ridurlea un senso vero e cattolico. E innoltre pareva che glioratori fosser più solleciti di ottener l'applauso degl'udi-tori colla novità de' concetti e coll'arditezza delle imma-gini, che di convincerli colla forza degli argomenti, e dicommoverne con una robusta eloquenza gli affetti. Il p.Segneri conobbe che non era quello di modo di maneg-giare con decoro e con frutto la divina parola e saggia-mente credette che quel genere d'eloquenza, che effettisì prodigiosi avea già prodotti al tempo dei greci e de'romani oratori, non dovesse essere meno opportuno,quando fosse rivolto agli argomenti della cristiana Reli-gione. Ei proccurò dunque di conformarsi a quei primimodelli; e si conosce chiaramente che prese in ispecial

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modo a imitar Cicerone. Ei non ama molto le divisioni,come non le amavano gli antichi oratori; ma stabilita lasua proposizione si accinge a provarla; e con tale ordinedispone gli argomenti, e con tal metodo li va incatenan-do fra loro; e stringendo con essi sempre più l'uditore,che questi alfin si trova convinto, e forza è che si arren-da, persuaso dalle ragioni, e mosso dall'eloquenza, concui l'orator le promuove e le incalza. Egli sbandì dallasacra eloquenza que' profani ornamenti che l'ignoranzade' secoli precedenti vi avea introdotti, e che il reo gustodi quell'età avea smodatamente accresciuti, e la abellìinvece colla varietà delle figure e colla vivacità delleimmagini. È vero che qualche avanzo dell'infelice gustodel secolo vedesi nel p. Segneri, e forse egli non ardì difare una intera riforma dell'eloquenza, temendo che nonsi potesse ciò eseguire tutto in un colpo, e che convenis-se dar qualche cosa all'universale entusiasmo con cuil'Italia correva perduta dietro alle metafore e a' contrap-posti. Anzi da una lettera del card. Noris, scritta al Mi-gliabecchi da Pisa nel 1677, mentre egli era in quell'uni-versità professore, e vi predicava il p. Segneri, si racco-glie che questi ne' primi anni erasi mostrato anche piùindulgente a' vizj del suo tempo; e che poi erasene eglistesso emendato: Il Serenissimo Gran Duca, scriv'egli(Cl. Venet. Epist. ad Magliab. t. 1, p. 102) , "è semprestato a sentire il P. Segneri, e nel ritorno si dice siasi perlo stesso effetto per fermarsi qui qualche giorno. Predi-ca tutta roba sacra con stringere con argomenti, ma sen-za amplificazioni o abbellimenti da esso usati, quando

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modo a imitar Cicerone. Ei non ama molto le divisioni,come non le amavano gli antichi oratori; ma stabilita lasua proposizione si accinge a provarla; e con tale ordinedispone gli argomenti, e con tal metodo li va incatenan-do fra loro; e stringendo con essi sempre più l'uditore,che questi alfin si trova convinto, e forza è che si arren-da, persuaso dalle ragioni, e mosso dall'eloquenza, concui l'orator le promuove e le incalza. Egli sbandì dallasacra eloquenza que' profani ornamenti che l'ignoranzade' secoli precedenti vi avea introdotti, e che il reo gustodi quell'età avea smodatamente accresciuti, e la abellìinvece colla varietà delle figure e colla vivacità delleimmagini. È vero che qualche avanzo dell'infelice gustodel secolo vedesi nel p. Segneri, e forse egli non ardì difare una intera riforma dell'eloquenza, temendo che nonsi potesse ciò eseguire tutto in un colpo, e che convenis-se dar qualche cosa all'universale entusiasmo con cuil'Italia correva perduta dietro alle metafore e a' contrap-posti. Anzi da una lettera del card. Noris, scritta al Mi-gliabecchi da Pisa nel 1677, mentre egli era in quell'uni-versità professore, e vi predicava il p. Segneri, si racco-glie che questi ne' primi anni erasi mostrato anche piùindulgente a' vizj del suo tempo; e che poi erasene eglistesso emendato: Il Serenissimo Gran Duca, scriv'egli(Cl. Venet. Epist. ad Magliab. t. 1, p. 102) , "è semprestato a sentire il P. Segneri, e nel ritorno si dice siasi perlo stesso effetto per fermarsi qui qualche giorno. Predi-ca tutta roba sacra con stringere con argomenti, ma sen-za amplificazioni o abbellimenti da esso usati, quando

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lo sentii predicare in Roma". È fama che non ostantel'applauso con cui veniva udito da' dotti, egli avesse co-munemente scarso numero di uditori; e ciò per la ragio-ne stessa, per cui abbiamo poc'anzi veduto che nonostante la disapprovazione de' saggi, alcuni de' più catti-vi oratori aveano sempre un sterminato concorso. Ben-chè, riguardo al p. Segneri, dovea probabilmente con-correre a sminuirgli gli uditori il suo poco infelice talen-to esteriore, cagionato principalmente dalla sordità, dacui in età ancor fresca cominciò ad essere travagliato.Un moderno scrittore ha voluto trovar difetti, nello stiledel p. Segneri; ed ha avuto il coraggio di riformarnequalche tratto, ritenendone la sostanza, ma sponendolain quello stile spossato e languido di cui molto si com-piaceva. Ma egli non ne ha tratto altro frutto, che di ve-dersi solennemente deriso, ed esortato a formar se me-desimo su quel modello cui egli ardiva di biasimare (V.Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 211).

XII. L'esempio del p. Segneri non ebbemolti seguaci, e tardò molti anni l'Italia adaver oratori di cui ella potesse giustamente

gloriarsi. Un altro però ne produsse ella circa il tempomedesimo, che, benchè non fosse interamente esente da'difetti della sua età, fu però assai più degli altri modera-to in seguirli, e li compensò innoltre con molti pregi. Eifu il card. Francesco Maria Casini, di cui, oltre qualchealtra, abbiam avuta non ha molto la Vita elegantemente

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Notizie delcard. Casini.

lo sentii predicare in Roma". È fama che non ostantel'applauso con cui veniva udito da' dotti, egli avesse co-munemente scarso numero di uditori; e ciò per la ragio-ne stessa, per cui abbiamo poc'anzi veduto che nonostante la disapprovazione de' saggi, alcuni de' più catti-vi oratori aveano sempre un sterminato concorso. Ben-chè, riguardo al p. Segneri, dovea probabilmente con-correre a sminuirgli gli uditori il suo poco infelice talen-to esteriore, cagionato principalmente dalla sordità, dacui in età ancor fresca cominciò ad essere travagliato.Un moderno scrittore ha voluto trovar difetti, nello stiledel p. Segneri; ed ha avuto il coraggio di riformarnequalche tratto, ritenendone la sostanza, ma sponendolain quello stile spossato e languido di cui molto si com-piaceva. Ma egli non ne ha tratto altro frutto, che di ve-dersi solennemente deriso, ed esortato a formar se me-desimo su quel modello cui egli ardiva di biasimare (V.Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 211).

XII. L'esempio del p. Segneri non ebbemolti seguaci, e tardò molti anni l'Italia adaver oratori di cui ella potesse giustamente

gloriarsi. Un altro però ne produsse ella circa il tempomedesimo, che, benchè non fosse interamente esente da'difetti della sua età, fu però assai più degli altri modera-to in seguirli, e li compensò innoltre con molti pregi. Eifu il card. Francesco Maria Casini, di cui, oltre qualchealtra, abbiam avuta non ha molto la Vita elegantemente

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Notizie delcard. Casini.

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descritta da monsig. Fabbroni (Vit. Italor. doctr. excell.dec. 1, p. 1). Egli ebbe Arezzo a sua patria, e vi nacquedi nobili genitori l'an. 1648. Entrò nell'Ordine dei Cap-puccini, e vi si distinse col suo sapere ugualmente checolle sue religiose virtù, e vi ottenne perciò le più rag-guardevoli cariche. Predicò con grande applauso nelleprincipali città d'Italia, e si fece anche udire con sommasua lode in Parigi e a diverse corti dell'Allemagna,avendo colà accompagnato nelle visite il suo generale.Innocenzo XII lo nominò nel 1698 predicatore apostoli-co, e continuò in quell'impiego più anni, anche sotto ilpontef. Clemente XI, il quale nel 1712 lo sollevòall'onor della porpora. Nella nuova sua dignità non di-menticò il card. Casini l'antico suo stato, e mantennecostantemente l'esercizio delle religiose virtù che nelchiostro avea professate, e finalmente, carico di anni edi meriti, cessò di vivere a' 14 di febbraio del 1719. LePrediche da lui dette nel palazzo apostolico, e che furonstampate in Roma nel 1713 in tre tomi in foglio, sonquelle che maggior nome gli hanno ottenuto. La libertàcon cui egli in esse inveisce contro de' vizj a' quali pos-sono soggiacere le persone che lo ascoltavano, è degnadi un ministro evangelico, e nelle Prediche di esso siscorge molta facondia e perizia non ordinaria della sa-cra Scrittura. Ma, come ho accennato, lo stile ne è spes-so tronfio e infetto de' vizj della sua età, in modo però,che sarebbe stata a bramare che gli altri oratori de' suoitempi ne avesser contratto sol quanto ne contrasse que-sto illustre scrittore.

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descritta da monsig. Fabbroni (Vit. Italor. doctr. excell.dec. 1, p. 1). Egli ebbe Arezzo a sua patria, e vi nacquedi nobili genitori l'an. 1648. Entrò nell'Ordine dei Cap-puccini, e vi si distinse col suo sapere ugualmente checolle sue religiose virtù, e vi ottenne perciò le più rag-guardevoli cariche. Predicò con grande applauso nelleprincipali città d'Italia, e si fece anche udire con sommasua lode in Parigi e a diverse corti dell'Allemagna,avendo colà accompagnato nelle visite il suo generale.Innocenzo XII lo nominò nel 1698 predicatore apostoli-co, e continuò in quell'impiego più anni, anche sotto ilpontef. Clemente XI, il quale nel 1712 lo sollevòall'onor della porpora. Nella nuova sua dignità non di-menticò il card. Casini l'antico suo stato, e mantennecostantemente l'esercizio delle religiose virtù che nelchiostro avea professate, e finalmente, carico di anni edi meriti, cessò di vivere a' 14 di febbraio del 1719. LePrediche da lui dette nel palazzo apostolico, e che furonstampate in Roma nel 1713 in tre tomi in foglio, sonquelle che maggior nome gli hanno ottenuto. La libertàcon cui egli in esse inveisce contro de' vizj a' quali pos-sono soggiacere le persone che lo ascoltavano, è degnadi un ministro evangelico, e nelle Prediche di esso siscorge molta facondia e perizia non ordinaria della sa-cra Scrittura. Ma, come ho accennato, lo stile ne è spes-so tronfio e infetto de' vizj della sua età, in modo però,che sarebbe stata a bramare che gli altri oratori de' suoitempi ne avesser contratto sol quanto ne contrasse que-sto illustre scrittore.

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CAPO VI.Arti liberali.

I. Quel decadimento a cui vennero in Ita-lia le belle lettere, si sparse ancora inqualche parte sulle arti liberali esull'architettura singolarmente; e vi sisparse per la stessa ragione. La nobile emaestosa semplicità de' Palladj, de' Vi-

gnola, de' Sansovini, non parve vaga abbastanza. Si vol-lero aggiugnere nuovi ornamenti, e introdurre ancornelle fabbriche le metafore e i concetti. Già abbiamo os-servato che Vincenzo Scamozzi fu uno de' primi a intro-durre nell'architettura quel tritume e quel raffinamentoche da que' primi lumi di questa scienza si era semprefuggito. Ma quegli da cui principalmente riconoscel'architettura questo deterioramento di gusto, è il celebreFrancesco Borromini, il cui esempio fu ancor perciò piùfatale, perchè egli era uomo di valor grandissimo inquest'arte, se avesse voluto usare più saggiamente delsuo ingegno. Era egli nato, come si narra da Giambatti-sta Passeri, autor di que' tempi, che ne scrisse la Vita(Vite de' Pitt. ec., Roma 1772, p. 373), a' 25 di settem-bre del 1599 in Bissone luogo della diocesi di Como. Inetà di 15 anni passò a Milano per apprendervi l'arted'intagliare il marmo, e indi nel 1624 si trasferì a Roma,ove da Carlo Maderni suo compatriota e parente, ch'eraallora architetto della basilica vaticana, e che conobbe

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Decadimento dell'architetturanotizie di alcu-ni più celebri architetti.

CAPO VI.Arti liberali.

I. Quel decadimento a cui vennero in Ita-lia le belle lettere, si sparse ancora inqualche parte sulle arti liberali esull'architettura singolarmente; e vi sisparse per la stessa ragione. La nobile emaestosa semplicità de' Palladj, de' Vi-

gnola, de' Sansovini, non parve vaga abbastanza. Si vol-lero aggiugnere nuovi ornamenti, e introdurre ancornelle fabbriche le metafore e i concetti. Già abbiamo os-servato che Vincenzo Scamozzi fu uno de' primi a intro-durre nell'architettura quel tritume e quel raffinamentoche da que' primi lumi di questa scienza si era semprefuggito. Ma quegli da cui principalmente riconoscel'architettura questo deterioramento di gusto, è il celebreFrancesco Borromini, il cui esempio fu ancor perciò piùfatale, perchè egli era uomo di valor grandissimo inquest'arte, se avesse voluto usare più saggiamente delsuo ingegno. Era egli nato, come si narra da Giambatti-sta Passeri, autor di que' tempi, che ne scrisse la Vita(Vite de' Pitt. ec., Roma 1772, p. 373), a' 25 di settem-bre del 1599 in Bissone luogo della diocesi di Como. Inetà di 15 anni passò a Milano per apprendervi l'arted'intagliare il marmo, e indi nel 1624 si trasferì a Roma,ove da Carlo Maderni suo compatriota e parente, ch'eraallora architetto della basilica vaticana, e che conobbe

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Decadimento dell'architetturanotizie di alcu-ni più celebri architetti.

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l'abilità che il Borromino avea nel disegno, fu in essoistruito e esercitato. Piacque perciò anche al cav. GianLorenzo Bernini, che succedette in quell'impiego al Ma-derni. Ma poscia il Borromino di lui disgustato, perchènon vedeva mai eseguirsi alcuna delle belle promesseche fatte gli avea, lo abbandonò e diessi a esercitare laprofessione d'architetto. Molte furono le chiese e le fab-briche ch'ei disegnò in Roma, e quella ch'è forse fra tut-te la più famosa, è la chiesa e il convento di s. Carlo allequattro fontane, e la chiesa nuova di s. Maria in Valicel-la, della quale seconda opera di Borromino si compiac-que per modo, che volle egli stesso scriverne la Rela-zione, la qual poi fu stampata magnificamente in italia-no e in latino in Roma nel 1725, aggiuntivi tutti i dise-gni, e quelli ancora della Sapienza, che fu un'altra dellepiù rinomate fabbriche del Borromino. Questi e più altriedificj da lui disegnati sono vaghissimi, e mostranl'ingegno del loro inventore. Ma vi si scorge il difetto alui ordinario di ammucchiare gli ornamenti gli uni sopragli altri, e di spezzar troppo e sminuzzare le parti, sco-standosi da quella semplicità che tanto era piaciuta a'più valorosi architetti. Ei visse fino al 1667, nel qualanno infermatosi, la violenza del male il trasse a sì fu-rioso delirio, che balzando dal letto e presa in mano unaspada, se l'immerse nel seno, e pochi giorni appresso, a'2 di agosto, finì di vivere. Degli altri valorosi architettidi questo secolo, come Girolamo Rinaldi, di MartinoLunghi, di Gherardo Silvani, di Giovanni e di Sigi-smondo Coccapani fratelli di patria fiorentina, ma

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l'abilità che il Borromino avea nel disegno, fu in essoistruito e esercitato. Piacque perciò anche al cav. GianLorenzo Bernini, che succedette in quell'impiego al Ma-derni. Ma poscia il Borromino di lui disgustato, perchènon vedeva mai eseguirsi alcuna delle belle promesseche fatte gli avea, lo abbandonò e diessi a esercitare laprofessione d'architetto. Molte furono le chiese e le fab-briche ch'ei disegnò in Roma, e quella ch'è forse fra tut-te la più famosa, è la chiesa e il convento di s. Carlo allequattro fontane, e la chiesa nuova di s. Maria in Valicel-la, della quale seconda opera di Borromino si compiac-que per modo, che volle egli stesso scriverne la Rela-zione, la qual poi fu stampata magnificamente in italia-no e in latino in Roma nel 1725, aggiuntivi tutti i dise-gni, e quelli ancora della Sapienza, che fu un'altra dellepiù rinomate fabbriche del Borromino. Questi e più altriedificj da lui disegnati sono vaghissimi, e mostranl'ingegno del loro inventore. Ma vi si scorge il difetto alui ordinario di ammucchiare gli ornamenti gli uni sopragli altri, e di spezzar troppo e sminuzzare le parti, sco-standosi da quella semplicità che tanto era piaciuta a'più valorosi architetti. Ei visse fino al 1667, nel qualanno infermatosi, la violenza del male il trasse a sì fu-rioso delirio, che balzando dal letto e presa in mano unaspada, se l'immerse nel seno, e pochi giorni appresso, a'2 di agosto, finì di vivere. Degli altri valorosi architettidi questo secolo, come Girolamo Rinaldi, di MartinoLunghi, di Gherardo Silvani, di Giovanni e di Sigi-smondo Coccapani fratelli di patria fiorentina, ma

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oriondi da Carpi e più d'altri che si potrebbono nomina-re, io non ragionerò stesamente, perciocchè l'operapoc'anzi accennata del Passeri, e quella del Baldinucci,del Baglioni, del Bellori altrove da noi indicate, abba-stanza han ragionato di esse, perchè sia necessario ildirne di nuovo. Alle dette opere nondimeno, che per lopiù si raggirano intorno a' professori d'architettura, chefiorirono in Roma, o nella Toscana, debbonsi aggiugne-re più altre, nelle quali si tratta de' professori che visse-ro in altra città d'Italia; e delle quali pure abbiam detto asuo luogo; perciocchè più altri architetti si vedranno ivinominati con lode, de' quali que' primi scrittori non fan-no menzione. E fra essi io nominerò solamente GaspareVigarani modenese, del cui valore oltre le belle fabbri-che da lui disegnate in Modena e altrove, è pruoval'andar ch'egli fece nel 1660 a Parigi, chiamatovi dal reLuigi XIV, per disegnar le macchine e i teatrali spetta-coli da celebrarsi in occasione delle sue nozze (Murat.Ann. d'Ital. an. 1660) 70.

II. Per la stessa ragione fra molti valorosiscultori che questo secolo ebbe, due soli

70 Del Vigarani si è parlato più stesamente nella Biblioteca modenese (t. 6,p. 572, ec.). Dallo stesso re fu alla sua corte chiamato Jacopo Torelli nobi-le francese e cavalier dell'Ordine di s. Stefano; e nel formar macchine,singolarmente all'occasione che vi si rappresentò l'Andromeda del Corne-lio, ottenne gran nome. Tornato poscia in Italia, morì in Fano, ove aveafabbricato il teatro, l'anno 1678 (N. Dict. histor., Caen 1779, t. 6, p. 572;Milizia Mem. degli Archit. t. 2, p. 163).

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Si annoveranoalcuni più il-lustri scultori.

oriondi da Carpi e più d'altri che si potrebbono nomina-re, io non ragionerò stesamente, perciocchè l'operapoc'anzi accennata del Passeri, e quella del Baldinucci,del Baglioni, del Bellori altrove da noi indicate, abba-stanza han ragionato di esse, perchè sia necessario ildirne di nuovo. Alle dette opere nondimeno, che per lopiù si raggirano intorno a' professori d'architettura, chefiorirono in Roma, o nella Toscana, debbonsi aggiugne-re più altre, nelle quali si tratta de' professori che visse-ro in altra città d'Italia; e delle quali pure abbiam detto asuo luogo; perciocchè più altri architetti si vedranno ivinominati con lode, de' quali que' primi scrittori non fan-no menzione. E fra essi io nominerò solamente GaspareVigarani modenese, del cui valore oltre le belle fabbri-che da lui disegnate in Modena e altrove, è pruoval'andar ch'egli fece nel 1660 a Parigi, chiamatovi dal reLuigi XIV, per disegnar le macchine e i teatrali spetta-coli da celebrarsi in occasione delle sue nozze (Murat.Ann. d'Ital. an. 1660) 70.

II. Per la stessa ragione fra molti valorosiscultori che questo secolo ebbe, due soli

70 Del Vigarani si è parlato più stesamente nella Biblioteca modenese (t. 6,p. 572, ec.). Dallo stesso re fu alla sua corte chiamato Jacopo Torelli nobi-le francese e cavalier dell'Ordine di s. Stefano; e nel formar macchine,singolarmente all'occasione che vi si rappresentò l'Andromeda del Corne-lio, ottenne gran nome. Tornato poscia in Italia, morì in Fano, ove aveafabbricato il teatro, l'anno 1678 (N. Dict. histor., Caen 1779, t. 6, p. 572;Milizia Mem. degli Archit. t. 2, p. 163).

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Si annoveranoalcuni più il-lustri scultori.

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ne indicherò io, che forse in fama andarono innanzi atutti, Alessandro Algardi e Gianlorenzo Bernini. Delprimo abbiamo la Vita scritta dal Passeri (l. c. p. 196), ene favellano innoltre gli scrittori quasi tutti di questo ar-gomento. Ei fu di patria bolognese, ed ebbe nell'arte deldisegnare a maestro il celebre Lodovico Carracci. Dopoavere per qualche tempo servito il duca di Mantova,passò a Roma, ove visse alcuni anni occupandosi sem-plicemente in modellare statue, senza ottener perciòmolto nome. Cresciuto nondimeno a poco a poco infama l'Algardi, egli si adoperò perchè gli venisse com-messo il lavoro della statua di bronzo del pontef. Inno-cenzo X, ch'era stato prima affidato a Francesco Mochi,ma che da lui non era stato ancora eseguito. Egli l'otten-ne; ma il piacere di questo onor conferitogli, venne ru-bato dall'infelice successo; perciocchè la fusione riuscìmalissimo, e ogni cosa fu rovinata. Non si smarrì nondi-meno l'Algardi, e ritornato al lavoro, lo compiè final-mente con molta sua gloria, e oltre la paga dovutagli,n'ebbe dallo stesso pontefice in premio una catena d'orodel valore di circa 200 scudi, e le divise di cavaliere diCristo. Il deposito di Leone XI, e il basso rilievo nellabasilica vaticana, che esprime la storia di Attila, finiro-no di stabilire la reputazione dell'Algardi, che fu poi ri-mirato come uno de' più rinomati scultori; e fu anchecon larghe promesse invitato in Francia dal cardinalMazzarini. Ma la grazia e il favore cui godeva presso ilpontef. Innocenzo XI, il tennero in Roma, ove dopoaver date più altre pruove del suo valore nella scultura,

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ne indicherò io, che forse in fama andarono innanzi atutti, Alessandro Algardi e Gianlorenzo Bernini. Delprimo abbiamo la Vita scritta dal Passeri (l. c. p. 196), ene favellano innoltre gli scrittori quasi tutti di questo ar-gomento. Ei fu di patria bolognese, ed ebbe nell'arte deldisegnare a maestro il celebre Lodovico Carracci. Dopoavere per qualche tempo servito il duca di Mantova,passò a Roma, ove visse alcuni anni occupandosi sem-plicemente in modellare statue, senza ottener perciòmolto nome. Cresciuto nondimeno a poco a poco infama l'Algardi, egli si adoperò perchè gli venisse com-messo il lavoro della statua di bronzo del pontef. Inno-cenzo X, ch'era stato prima affidato a Francesco Mochi,ma che da lui non era stato ancora eseguito. Egli l'otten-ne; ma il piacere di questo onor conferitogli, venne ru-bato dall'infelice successo; perciocchè la fusione riuscìmalissimo, e ogni cosa fu rovinata. Non si smarrì nondi-meno l'Algardi, e ritornato al lavoro, lo compiè final-mente con molta sua gloria, e oltre la paga dovutagli,n'ebbe dallo stesso pontefice in premio una catena d'orodel valore di circa 200 scudi, e le divise di cavaliere diCristo. Il deposito di Leone XI, e il basso rilievo nellabasilica vaticana, che esprime la storia di Attila, finiro-no di stabilire la reputazione dell'Algardi, che fu poi ri-mirato come uno de' più rinomati scultori; e fu anchecon larghe promesse invitato in Francia dal cardinalMazzarini. Ma la grazia e il favore cui godeva presso ilpontef. Innocenzo XI, il tennero in Roma, ove dopoaver date più altre pruove del suo valore nella scultura,

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chiuse i suoi giorni in età di circa 55 anni nel 1654. IlBernini, oltre più altri che ne ragionano, ha avuto ascrittore della sua Vita Filippo Baldinucci, che per ordi-ne della reina Cristina la stese e la pubblicò, e ne inserìpoi anche un compendio nelle sue Notizie (t. 14, p. 3,ec. ed. fir. 1772). Fu egli figlio di Pietro Bernini pittoree scultore esso ancor rinomato, di patria fiorentino, mache vivea in Napoli, ove nacque Gianlorenzo. Questipassato poscia col padre a Roma, mentre non contavache dieci anni di età, lavorò una testa di marmo con taldestrezza, che il pontef. Paolo V ne rimase sorpreso; efatte altre sperienze nel raro talento di questo ammirabilfanciullo, e regalatigli dodici medaglioni d'oro, racco-mandollo al card. Maffeo Barberini, perchè ne avessecura, e gli desse il mezzo di far sempre maggiori pro-gressi. Corrispose in fatti il Bernini alla grande aspetta-zione che di lui si era formata, e nel lunghissimo corsodi vita, che ebbe, fece sì gran copia di lavori in marmo ein bronzo, che Roma ne è in ogni parte fregiata, oltre imoltissimi che da lui furono mandati in diverse altreparti. Tutti i romani pontefici, a' cui tempi egli visse,profusero sopra lui a piena mano le grazie e i doni; eappena vi ebbe sovrano in Europa, che non volesse averqualche opera del Bernini. La reina d'Inghilterra Enri-chetta Maria volle da lui il busto del suo marito Carlo I.Il re Luigi XIV nel 1644 il fece invitare dal card. Maz-zarini alla sua corte colla promessa di dodicimila scudidi provvisione; ma egli non volle abbandonare il pontef.Urbano VIII a cui era carissimo. E solo nel 1665 fece

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chiuse i suoi giorni in età di circa 55 anni nel 1654. IlBernini, oltre più altri che ne ragionano, ha avuto ascrittore della sua Vita Filippo Baldinucci, che per ordi-ne della reina Cristina la stese e la pubblicò, e ne inserìpoi anche un compendio nelle sue Notizie (t. 14, p. 3,ec. ed. fir. 1772). Fu egli figlio di Pietro Bernini pittoree scultore esso ancor rinomato, di patria fiorentino, mache vivea in Napoli, ove nacque Gianlorenzo. Questipassato poscia col padre a Roma, mentre non contavache dieci anni di età, lavorò una testa di marmo con taldestrezza, che il pontef. Paolo V ne rimase sorpreso; efatte altre sperienze nel raro talento di questo ammirabilfanciullo, e regalatigli dodici medaglioni d'oro, racco-mandollo al card. Maffeo Barberini, perchè ne avessecura, e gli desse il mezzo di far sempre maggiori pro-gressi. Corrispose in fatti il Bernini alla grande aspetta-zione che di lui si era formata, e nel lunghissimo corsodi vita, che ebbe, fece sì gran copia di lavori in marmo ein bronzo, che Roma ne è in ogni parte fregiata, oltre imoltissimi che da lui furono mandati in diverse altreparti. Tutti i romani pontefici, a' cui tempi egli visse,profusero sopra lui a piena mano le grazie e i doni; eappena vi ebbe sovrano in Europa, che non volesse averqualche opera del Bernini. La reina d'Inghilterra Enri-chetta Maria volle da lui il busto del suo marito Carlo I.Il re Luigi XIV nel 1644 il fece invitare dal card. Maz-zarini alla sua corte colla promessa di dodicimila scudidi provvisione; ma egli non volle abbandonare il pontef.Urbano VIII a cui era carissimo. E solo nel 1665 fece

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un viaggio a Parigi, chiamatovi dallo stesso monarca,perchè esaminasse i diversi disegni fatti pel Louvre(perciocchè anche dell'architettura era il Bernini inten-dentissimo), e nel soggiorno che ivi fece, non v'ebbeonore e ricompensa che da quel gran sovrano non otte-nesse. Francesco I, duca di Modena, volle dal Bernini ilsuo ritratto in marmo, che tuttor conservasi in questaducal galleria, e gliene diede ricompensa di tremila scu-di, oltre dugento Ungheri donati a chi portollo da Roma.Un gran Crocifisso di bronzo ei lavorò pel re di SpagnaFilippo IV. La reina Cristina lo ebbe oltre modo caro, egli commise molti lavori, per cui egli ne fu splendida-mente rimunerato. Egli ebbe anche l'impiego d'architet-to della fabbrica di s. Pietro; e più altre fabbriche inRoma e altrove furon da lui disegnate, come si può ve-dere dal lungo catalogo che il Baldinucci ha aggiuntoalla Vita di questo celebre professore, ove si annovera-no i busti e le statue di marmo e di metallo da lui lavo-rate, e le altre opere d'architettura da lui disegnate. Eivisse fin quasi agli 82 anni, a compiere i quali manca-vangli nove giorni soli, quando una lenta febbre, e po-scia un colpo d'apoplesia, il tolse la vita a' 28 di novem-bre del 1680.

III. L'arte dell'intaglio in rame ebbe pari-mente in Italia alcuni celebri professori, e ditre fra essi fa il Baldinucci distinta menzio-

ne. Il primo di essi è Antonio Tempesta (Cominciam. e

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Incisori in rame.

un viaggio a Parigi, chiamatovi dallo stesso monarca,perchè esaminasse i diversi disegni fatti pel Louvre(perciocchè anche dell'architettura era il Bernini inten-dentissimo), e nel soggiorno che ivi fece, non v'ebbeonore e ricompensa che da quel gran sovrano non otte-nesse. Francesco I, duca di Modena, volle dal Bernini ilsuo ritratto in marmo, che tuttor conservasi in questaducal galleria, e gliene diede ricompensa di tremila scu-di, oltre dugento Ungheri donati a chi portollo da Roma.Un gran Crocifisso di bronzo ei lavorò pel re di SpagnaFilippo IV. La reina Cristina lo ebbe oltre modo caro, egli commise molti lavori, per cui egli ne fu splendida-mente rimunerato. Egli ebbe anche l'impiego d'architet-to della fabbrica di s. Pietro; e più altre fabbriche inRoma e altrove furon da lui disegnate, come si può ve-dere dal lungo catalogo che il Baldinucci ha aggiuntoalla Vita di questo celebre professore, ove si annovera-no i busti e le statue di marmo e di metallo da lui lavo-rate, e le altre opere d'architettura da lui disegnate. Eivisse fin quasi agli 82 anni, a compiere i quali manca-vangli nove giorni soli, quando una lenta febbre, e po-scia un colpo d'apoplesia, il tolse la vita a' 28 di novem-bre del 1680.

III. L'arte dell'intaglio in rame ebbe pari-mente in Italia alcuni celebri professori, e ditre fra essi fa il Baldinucci distinta menzio-

ne. Il primo di essi è Antonio Tempesta (Cominciam. e

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Incisori in rame.

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progr. dell'arte d'intagliare p. 68 ed. fir. 1767) di patriafiorentino, e scolaro di Santi di Tito. Ei fu valoroso nonmeno nell'intagliare che nel dipingere; ma nella primadi queste arti fu in singolar modo stimato, e la cacce e lefiere singolarmente da lui intagliate ad acqua forte sonotuttora famose. Ei visse lungamente in Roma, ove si erarecato fin da' tempi di Gregorio XIII; ed ivi ancora morìin età di circa 75 anni, a' 5 d'agosto del 1630. Stefanodella Bella fiorentino, nato nel 1610, è il secondo tra'celebri intagliatori, le Vite de' quali dal Baldinucci sonostate descritte (ivi p. 139). Egli ancora fu qualche tempoin Roma, ma poscia per desiderio di miglior sorte passòin Francia, ove fra le carte che disegnò ed incise, furoncelebri quella dell'assedio di Arras e di quello di S.Omer. Grande perciò fu la fama, e non ordinarj gli onoriche ivi ebbe Stefano, il quale avrebbe potuto fissare aquella corte il soggiorno. Ma dopo undici anni volle tor-nare in Italia, e si diè al servizio de' Medici suoi sovra-ni, ove continuò a dar molte pruove del suo valore inquest'arte fino al 1664 che fu l'ultimo di sua vita. Il ter-zo è Pietro Testa pittore e intagliatore lucchese (ivi p.171), scolaro di Pietro da Cortona, che visse per lo piùin Roma, ove disegnò in cinque tomi le antichità raccol-te dal commendator Cassiano dal Pozzo, e datosi posciaad intagliare in acqua forte, ottenne tal fama, che i suoirami si videro avidamente cercati e raccolti dagli stra-nieri. Ei finì di vivere in età di soli 40 anni, annegatonel Tevere, o perchè incautamente vi cadesse, mentrestava alle sponde disegnando qualche cosa, o perchè,

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progr. dell'arte d'intagliare p. 68 ed. fir. 1767) di patriafiorentino, e scolaro di Santi di Tito. Ei fu valoroso nonmeno nell'intagliare che nel dipingere; ma nella primadi queste arti fu in singolar modo stimato, e la cacce e lefiere singolarmente da lui intagliate ad acqua forte sonotuttora famose. Ei visse lungamente in Roma, ove si erarecato fin da' tempi di Gregorio XIII; ed ivi ancora morìin età di circa 75 anni, a' 5 d'agosto del 1630. Stefanodella Bella fiorentino, nato nel 1610, è il secondo tra'celebri intagliatori, le Vite de' quali dal Baldinucci sonostate descritte (ivi p. 139). Egli ancora fu qualche tempoin Roma, ma poscia per desiderio di miglior sorte passòin Francia, ove fra le carte che disegnò ed incise, furoncelebri quella dell'assedio di Arras e di quello di S.Omer. Grande perciò fu la fama, e non ordinarj gli onoriche ivi ebbe Stefano, il quale avrebbe potuto fissare aquella corte il soggiorno. Ma dopo undici anni volle tor-nare in Italia, e si diè al servizio de' Medici suoi sovra-ni, ove continuò a dar molte pruove del suo valore inquest'arte fino al 1664 che fu l'ultimo di sua vita. Il ter-zo è Pietro Testa pittore e intagliatore lucchese (ivi p.171), scolaro di Pietro da Cortona, che visse per lo piùin Roma, ove disegnò in cinque tomi le antichità raccol-te dal commendator Cassiano dal Pozzo, e datosi posciaad intagliare in acqua forte, ottenne tal fama, che i suoirami si videro avidamente cercati e raccolti dagli stra-nieri. Ei finì di vivere in età di soli 40 anni, annegatonel Tevere, o perchè incautamente vi cadesse, mentrestava alle sponde disegnando qualche cosa, o perchè,

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come altri crederono, spontaneamente vi si gittasse,tratto dalla disperazione pel poco frutto che pareagliraccogliere dalle sue fatiche.

IV. La Pittura però più che tutte le altrearti ebbe in questo secolo in Italia unacopiosa e illustre serie di professori, iquali benchè niun di essi giugnesse a

uguagliare la fama de' Tiziani, de' Correggi, de' Raffael-li, furon nondimeno di tal valore, che noi potremmo ri-putarci felici, se avessimo parecchi che lor si potesseroparagonare. La scuola bolognese singolarmente giunsea una tale celebrità, che parve eclissar tutte le altre, edella ne fu debitrice ai tre Carracci, cioè a Lodovico e a'fratelli Annibale e Agostino di lui cugini, e agl'illustrilor discepoli. De' tre Carracci tanto hanno già scritto ilco. Malvasia, il Baldinucci, il Bellori, l'autor francesedel Compendio delle Vite dei più rinomati Pittori, e piùaltri, che non giova il parlarne di nuovo a lungo. Lodo-vico fu il fondator della nuova scuola, che fu detta per-ciò carraccesca, e che si prefisse di unire insieme le di-verse bellezze e i diversi pregi de' più eccellenti pittori,e di formare così un nuovo genere di pittura, che fosseda tutti gli altri diverso. Egli era nato in Bologna nel1555 da un padre macellaio di professione, che avealodestinato allo stesso impiego. Ma il suo genio lo traevaal disegno, e diessi perciò a scolaro a Prospero Fontana,indi a Domenico Passignani in Firenze, e aggirandosi

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Pittori della scuolabolognese: elogio dei Carracci.

come altri crederono, spontaneamente vi si gittasse,tratto dalla disperazione pel poco frutto che pareagliraccogliere dalle sue fatiche.

IV. La Pittura però più che tutte le altrearti ebbe in questo secolo in Italia unacopiosa e illustre serie di professori, iquali benchè niun di essi giugnesse a

uguagliare la fama de' Tiziani, de' Correggi, de' Raffael-li, furon nondimeno di tal valore, che noi potremmo ri-putarci felici, se avessimo parecchi che lor si potesseroparagonare. La scuola bolognese singolarmente giunsea una tale celebrità, che parve eclissar tutte le altre, edella ne fu debitrice ai tre Carracci, cioè a Lodovico e a'fratelli Annibale e Agostino di lui cugini, e agl'illustrilor discepoli. De' tre Carracci tanto hanno già scritto ilco. Malvasia, il Baldinucci, il Bellori, l'autor francesedel Compendio delle Vite dei più rinomati Pittori, e piùaltri, che non giova il parlarne di nuovo a lungo. Lodo-vico fu il fondator della nuova scuola, che fu detta per-ciò carraccesca, e che si prefisse di unire insieme le di-verse bellezze e i diversi pregi de' più eccellenti pittori,e di formare così un nuovo genere di pittura, che fosseda tutti gli altri diverso. Egli era nato in Bologna nel1555 da un padre macellaio di professione, che avealodestinato allo stesso impiego. Ma il suo genio lo traevaal disegno, e diessi perciò a scolaro a Prospero Fontana,indi a Domenico Passignani in Firenze, e aggirandosi

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Pittori della scuolabolognese: elogio dei Carracci.

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per molte città d'Italia, prese a esaminare con attenzionele opere de' più famosi pittori. Animò allo studio mede-simo i due suoi cugini Agostino ed Annibale figliuoli diAntonio, nato nel territorio di Cremona, ma passato aBologna per esercitare la professione di sarto. Erano ivinati amendue, il primo circa il 1559 il secondo nel1560. Agostino avea un ingegno mirabilmente dispostoad ogni sorta di scienza, ed ei si distinse ugualmentenella poesia, nella filosofia e nella matematica. Anniba-le non curossi molto di studio di sorta alcuna, ma a que-sta mancanza suppliva in lui un genio mirabilmente fe-condo di nuove e graziose invenzioni. Così uniti insie-me questi tre grandi uomini, presero a gareggiare traloro nel dare le più belle pruove del lor valore. Tra' duefratelli sorgeva spesso una cotal gelosia, che avrebbepotuto degenerare in pericolose nimicizie; ma Lodovicosi sforzava di tenerli amichevolmente uniti tra loro, e direnderli emuli e non rivali. Fondò con essi un'accade-mia in Bologna, da cui uscirono poscia que' tanti e sìvalorosi pittori che renderono quella scuola sì rinomata.Bramoso egli stesso di ottener nome a' suoi cugini, in-viò Annibale a Roma a dipingere la celebre GalleriaFarnese; per cui era egli stato richiesto. Andovvi poiegli medesimo per veder l'opera di Annibale, di cui fumolto contento, e vi aggiunse egli stesso qualche figura.Fra le più rinomate opere di Lodovico, son le pitture delchiostro di s. Michele in Bosco in Bologna, incise nonha molto, e date alla luce nella stessa città, parte dellequali furono opera di esso, parte di altri egregi pittori

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per molte città d'Italia, prese a esaminare con attenzionele opere de' più famosi pittori. Animò allo studio mede-simo i due suoi cugini Agostino ed Annibale figliuoli diAntonio, nato nel territorio di Cremona, ma passato aBologna per esercitare la professione di sarto. Erano ivinati amendue, il primo circa il 1559 il secondo nel1560. Agostino avea un ingegno mirabilmente dispostoad ogni sorta di scienza, ed ei si distinse ugualmentenella poesia, nella filosofia e nella matematica. Anniba-le non curossi molto di studio di sorta alcuna, ma a que-sta mancanza suppliva in lui un genio mirabilmente fe-condo di nuove e graziose invenzioni. Così uniti insie-me questi tre grandi uomini, presero a gareggiare traloro nel dare le più belle pruove del lor valore. Tra' duefratelli sorgeva spesso una cotal gelosia, che avrebbepotuto degenerare in pericolose nimicizie; ma Lodovicosi sforzava di tenerli amichevolmente uniti tra loro, e direnderli emuli e non rivali. Fondò con essi un'accade-mia in Bologna, da cui uscirono poscia que' tanti e sìvalorosi pittori che renderono quella scuola sì rinomata.Bramoso egli stesso di ottener nome a' suoi cugini, in-viò Annibale a Roma a dipingere la celebre GalleriaFarnese; per cui era egli stato richiesto. Andovvi poiegli medesimo per veder l'opera di Annibale, di cui fumolto contento, e vi aggiunse egli stesso qualche figura.Fra le più rinomate opere di Lodovico, son le pitture delchiostro di s. Michele in Bosco in Bologna, incise nonha molto, e date alla luce nella stessa città, parte dellequali furono opera di esso, parte di altri egregi pittori

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scolari, o imitatori de' Carracci. Egli morì in Bolognanel 1619, e vuolsi che gli fosse affrettata la morte daldispiacere per una pittura a fresco, la quale a cagionedella sua vista ormai indebolita non gli riuscì felice-mente. Agostino era già morto nel 1602 a Parma in etàdi 43 anni, e Annibale a Roma nel 1609 in età di 49.Amendue aveano dato un gran saggio della loro eccel-lenza nel dipingere la Galleria Farnese in Roma, oveAgostino uomo di molta erudizione somministrava ipensieri, che poscia si eseguivan da Annibale, e talvoltada lui medesimo. La gelosia che, come si è detto, sorge-va spesso fra loro, fu cagione che Agostino se ne patì, eandossene a Parma, ove fu impiegato al servigio delduca, e ove fece più opere assai pregiate, ma assai invi-diate ancora da quelli che mal volentieri il vedevanosollevarsi tanto sull'ignobil turba degli altri mediocripittori. Ne sono singolarmente in molta stima i disegni;perciocchè egli fu abilissimo nel disegnare sì colla pen-na che col bulino; e spesse volte ei correggeva ne' suoirami le inesattezze de' più famosi pittori. Annibale, oltrela Galleria Farnese, che basta a renderlo immortale,molte altre pitture lasciò in Roma, in Bologna, in Napo-li; e moltissimi quadri se ne veggono sparsi nelle piùcelebri gallerie, ne' quali non si può agevolmente deci-dere se più debba ammirarsi l'ingegno e la vaghezzadell'invenzione, o l'esattezza del disegno, o la vivacità ela forza del colorito. Egli ancora fu disegnatore e inta-gliatore eccellente, e molte stampe ne vanno per le manidegl'intendenti, che da essi son pregiatissime. Ma ei non

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scolari, o imitatori de' Carracci. Egli morì in Bolognanel 1619, e vuolsi che gli fosse affrettata la morte daldispiacere per una pittura a fresco, la quale a cagionedella sua vista ormai indebolita non gli riuscì felice-mente. Agostino era già morto nel 1602 a Parma in etàdi 43 anni, e Annibale a Roma nel 1609 in età di 49.Amendue aveano dato un gran saggio della loro eccel-lenza nel dipingere la Galleria Farnese in Roma, oveAgostino uomo di molta erudizione somministrava ipensieri, che poscia si eseguivan da Annibale, e talvoltada lui medesimo. La gelosia che, come si è detto, sorge-va spesso fra loro, fu cagione che Agostino se ne patì, eandossene a Parma, ove fu impiegato al servigio delduca, e ove fece più opere assai pregiate, ma assai invi-diate ancora da quelli che mal volentieri il vedevanosollevarsi tanto sull'ignobil turba degli altri mediocripittori. Ne sono singolarmente in molta stima i disegni;perciocchè egli fu abilissimo nel disegnare sì colla pen-na che col bulino; e spesse volte ei correggeva ne' suoirami le inesattezze de' più famosi pittori. Annibale, oltrela Galleria Farnese, che basta a renderlo immortale,molte altre pitture lasciò in Roma, in Bologna, in Napo-li; e moltissimi quadri se ne veggono sparsi nelle piùcelebri gallerie, ne' quali non si può agevolmente deci-dere se più debba ammirarsi l'ingegno e la vaghezzadell'invenzione, o l'esattezza del disegno, o la vivacità ela forza del colorito. Egli ancora fu disegnatore e inta-gliatore eccellente, e molte stampe ne vanno per le manidegl'intendenti, che da essi son pregiatissime. Ma ei non

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ebbe quel frutto che dalle sue fatiche poteva sperare,perciocchè si racconta che per opera di un cortigiano,ignorante al pari che avaro, per premio della grand'ope-ra della Galleria Farnese, in cui avea impiegato ottoanni, non avesse dal card. Odoardo Farnese che il donodi 500 scudi d'oro.

V. Ma ciò che rendette principalmente illu-stre il nome de' Carracci, fu il numero e ilvalore de' loro discepoli, molti de' quali sa-

rebber degni di distinta menzione, se in questo argo-mento io non dovessi più che negli altri esser breve, ese le opere mentovate poc'anzi non ce ne dessero le piùcopiose notizie. Antonio Carracci, figliuol naturale diAgostino, avrebbe uguagliati, o superati forse anche ilpadre e i zii, se una immatura morte in età di soli 33anni non l'avesse rapito. Guido Reni, nome sì celebretra' pittori, ed uno de' più chiari ornamenti di Bolognasua patria, ov'era nato nel 1575, dalla scuola di DionigiCalvart fiammingo, che ivi godeva di qualche nome,passò per sua buona sorte a quella de' Carracci, e s'eglinon giunse ad uguagliarne l'energia e l'espressione, lisuperò nella nobiltà e nella grazia, e alle teste singolar-mente seppe dare un'aria sì leggiadra e sì viva, che inciò non ebbe forse chi 'l pareggiasse. Dipinse molto inBologna, e molto ancora in Roma, e perciò il Passeri neha scritta la Vita tra quelle de' celebri dipintori che fiori-rono in quella città (p. 57, ec.); e tornato poscia a Bolo-

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Loro disce-poli.

ebbe quel frutto che dalle sue fatiche poteva sperare,perciocchè si racconta che per opera di un cortigiano,ignorante al pari che avaro, per premio della grand'ope-ra della Galleria Farnese, in cui avea impiegato ottoanni, non avesse dal card. Odoardo Farnese che il donodi 500 scudi d'oro.

V. Ma ciò che rendette principalmente illu-stre il nome de' Carracci, fu il numero e ilvalore de' loro discepoli, molti de' quali sa-

rebber degni di distinta menzione, se in questo argo-mento io non dovessi più che negli altri esser breve, ese le opere mentovate poc'anzi non ce ne dessero le piùcopiose notizie. Antonio Carracci, figliuol naturale diAgostino, avrebbe uguagliati, o superati forse anche ilpadre e i zii, se una immatura morte in età di soli 33anni non l'avesse rapito. Guido Reni, nome sì celebretra' pittori, ed uno de' più chiari ornamenti di Bolognasua patria, ov'era nato nel 1575, dalla scuola di DionigiCalvart fiammingo, che ivi godeva di qualche nome,passò per sua buona sorte a quella de' Carracci, e s'eglinon giunse ad uguagliarne l'energia e l'espressione, lisuperò nella nobiltà e nella grazia, e alle teste singolar-mente seppe dare un'aria sì leggiadra e sì viva, che inciò non ebbe forse chi 'l pareggiasse. Dipinse molto inBologna, e molto ancora in Roma, e perciò il Passeri neha scritta la Vita tra quelle de' celebri dipintori che fiori-rono in quella città (p. 57, ec.); e tornato poscia a Bolo-

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Loro disce-poli.

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gna, chiuse ivi i suoi giorni a' 18 d'agosto del 1642.Scolaro pure e concittadino de' Carracci fu DomenicoZampieri, detto comunemente il Domenichino, nato nel1581, di cui ha scritto distesamente la Vita il medesimoPasseri (p. 1, ec.), perchè egli ancora fu molto occupatoin Roma. L'espressione e il colorito furono i pregi ne'quali ei segnalossi principalmente; e alcuni valorosi pit-tori son giunti a paragonare la Comunione di s. Girola-mo da lui dipinta nelle chiesa della Carità alla famosaTrasfigurazione di Raffaello, e il Passeri fra tutti i qua-dri di Roma a questo sol lo pospose. E nondimeno nonne ebbe che il prezzo di 50 scudi. Fu chiamato a Napolinel 1629 per dipinger la cappella di s. Gennaro, che,quanto è ora ammirata da' più saggi conoscitori, altret-tanto fu allora soggetta alla critica e al biasimo de' pitto-ri di quella città, che mal volentieri vedevano anteporsiloro uno straniero. E tali furono le persecuzioni che ilDomenichino vi sostenne, che ei risolvette di partirsenesegretamente, come infatti eseguì, e tornato poscia perreplicate istanze a Napoli, oppresso da nuovi disgusti, enon senza qualche sospetto di veleno, morì nel 1641.Giovanni Lanfranco pittor parmigiano, nato nel 1581, dicui parimente il Passeri scrisse la Vita (p. 295, ec.), fuscolaro di Agostino e poscia di Annibale; ma si studiòsingolarmente di imitare il Correggio. Dipinse molto inRoma e in Napoli, e in questa seconda città fu più feliceche il Domenichino, e seppe meglio ottenere l'amore ela stima degli abitanti, e finì poi di vivere in Roma a' 29di novembre del 1647. Lo stesso scrittore ci ha data la

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gna, chiuse ivi i suoi giorni a' 18 d'agosto del 1642.Scolaro pure e concittadino de' Carracci fu DomenicoZampieri, detto comunemente il Domenichino, nato nel1581, di cui ha scritto distesamente la Vita il medesimoPasseri (p. 1, ec.), perchè egli ancora fu molto occupatoin Roma. L'espressione e il colorito furono i pregi ne'quali ei segnalossi principalmente; e alcuni valorosi pit-tori son giunti a paragonare la Comunione di s. Girola-mo da lui dipinta nelle chiesa della Carità alla famosaTrasfigurazione di Raffaello, e il Passeri fra tutti i qua-dri di Roma a questo sol lo pospose. E nondimeno nonne ebbe che il prezzo di 50 scudi. Fu chiamato a Napolinel 1629 per dipinger la cappella di s. Gennaro, che,quanto è ora ammirata da' più saggi conoscitori, altret-tanto fu allora soggetta alla critica e al biasimo de' pitto-ri di quella città, che mal volentieri vedevano anteporsiloro uno straniero. E tali furono le persecuzioni che ilDomenichino vi sostenne, che ei risolvette di partirsenesegretamente, come infatti eseguì, e tornato poscia perreplicate istanze a Napoli, oppresso da nuovi disgusti, enon senza qualche sospetto di veleno, morì nel 1641.Giovanni Lanfranco pittor parmigiano, nato nel 1581, dicui parimente il Passeri scrisse la Vita (p. 295, ec.), fuscolaro di Agostino e poscia di Annibale; ma si studiòsingolarmente di imitare il Correggio. Dipinse molto inRoma e in Napoli, e in questa seconda città fu più feliceche il Domenichino, e seppe meglio ottenere l'amore ela stima degli abitanti, e finì poi di vivere in Roma a' 29di novembre del 1647. Lo stesso scrittore ci ha data la

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Vita di Gianfrancesco Barbieri, detto il Guercino daCento (p. 369, ec.), perchè era guercio, e nato nella det-ta città nel 1590. Ei dovette a' Carracci il primo indiriz-zo alla pittura; perciocchè seguendo spesso il poverosuo padre a Bologna, che vi conduceva carri di legna,avvenutosi talvolta a entrare nelle loro stanze, rimanevasì estatico in vedere i loro lavori, ch'essi, scoprendo inlui uno straordinario genio a quell'arte, cominciarono adargli qualche cosa a copiare. Egli poscia da se medesi-mo s'innoltrò in questo studio, e prese a dipingere conuna forza di colorito e con un lavoro di chiaroscuri sìammirabile, che in ciò parve lasciarsi addietro anche ipiù rinomati pittori, benchè nelle altre parti fosse ad essiinferiore. Visse per lo più in Cento; ma portossi più vol-te a Bologna; fu anche in Roma, ove lasciò diverse ope-re del suo pennello. Nè v'ebbe forse pittore che tanto di-pingesse quanto il Guercino, perciocchè egli avea unasingolare velocità nel disegnare e nel colorire i suoiquadri. Dopo la morte di Guido Reni, passò a soggior-nare stabilmente in Bologna, ove anche morì nel 1666.Avea egli, dopo essersi stabilito in Bologna, cambiatamaniera e stile, lasciando l'energico e il forte, e pren-dendo un modo più delicato e soave; nel che però ei nonfu ugualmente felice. Scolare de' Carracci furono inoltreBartolommeo Schedone modenese, uno de' più valorosiimitatori del Correggio, che fu più anni al servigio dellacorte di Parma, ed ivi morì nel 1615, in età di circa 56anni, afflitto come dicesi, dal dolore di una gran perditafatta al giuoco. Francesco Albani bolognese, nato nel

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Vita di Gianfrancesco Barbieri, detto il Guercino daCento (p. 369, ec.), perchè era guercio, e nato nella det-ta città nel 1590. Ei dovette a' Carracci il primo indiriz-zo alla pittura; perciocchè seguendo spesso il poverosuo padre a Bologna, che vi conduceva carri di legna,avvenutosi talvolta a entrare nelle loro stanze, rimanevasì estatico in vedere i loro lavori, ch'essi, scoprendo inlui uno straordinario genio a quell'arte, cominciarono adargli qualche cosa a copiare. Egli poscia da se medesi-mo s'innoltrò in questo studio, e prese a dipingere conuna forza di colorito e con un lavoro di chiaroscuri sìammirabile, che in ciò parve lasciarsi addietro anche ipiù rinomati pittori, benchè nelle altre parti fosse ad essiinferiore. Visse per lo più in Cento; ma portossi più vol-te a Bologna; fu anche in Roma, ove lasciò diverse ope-re del suo pennello. Nè v'ebbe forse pittore che tanto di-pingesse quanto il Guercino, perciocchè egli avea unasingolare velocità nel disegnare e nel colorire i suoiquadri. Dopo la morte di Guido Reni, passò a soggior-nare stabilmente in Bologna, ove anche morì nel 1666.Avea egli, dopo essersi stabilito in Bologna, cambiatamaniera e stile, lasciando l'energico e il forte, e pren-dendo un modo più delicato e soave; nel che però ei nonfu ugualmente felice. Scolare de' Carracci furono inoltreBartolommeo Schedone modenese, uno de' più valorosiimitatori del Correggio, che fu più anni al servigio dellacorte di Parma, ed ivi morì nel 1615, in età di circa 56anni, afflitto come dicesi, dal dolore di una gran perditafatta al giuoco. Francesco Albani bolognese, nato nel

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1578, condiscepolo, e poi rivale di Guido, che vissefino al 1660, e in Bologna, in Roma, in Firenze lasciòmolte celebri opere del suo pennello, e dal Passeri, ilquale ne ha scritta la Vita, vien difeso contro le taccieche da alcuni gli si oppongono, e annoverato per ogniriguardo tra' più illustri pittori (p. 295, ec.), LeonelloSpada, Gianfrancesco Grimaldi soprannomato il bolo-gnese, Jacopo Cavedone da Sassolo, che fu dapprima sìillustre pittore che alcuni de' suoi quadri furon credutiopera di Annibale Carracci, ma poscia o per alcune do-mestiche sventure, o per una infermità che ne consumògli spiriti, cadde talmente di pregio, che fu ridotto a di-pingere tavolette votive, e a vivere in limosina, e in unaestrema miseria chiuse i suoi giorni in Bologna nel1660, e alcuni altri, de' quali non giova di far distintamenzione 71. Dalla scuola medesima uscirono AgostinoMitelli e Angiolo Michele Colonna 72 amendue bolo-gnesi, che uniti insieme, e dotati di non ordinaria abili-tà, uno negli ornamenti e nell'architettura, l'altro nellefigure, dipinser molto in Bologna e altrove, e fra le altrecose la celebre galleria di questa ducale villeggiatura diSassolo. Passarono poi a Madrid chiamati dal re FilippoIV, e ivi pure diedero illustri saggi del lor valore. Il Mi-telli vi morì in età di 51 anni nel 1660. Il Colonna tornò71 Così dello Schedoni come del Cavedone si son date più distinte notizie

nella Biblioteca modenese (t. 6, p. 358, 527).

72 Angelo Michele Colonna non fu bolognese, ma di Rovenna tre miglialungi da Como. Egli innoltre e il Mitelli dipinser la galleria di Sassolo inciò solo che appartiene all'architettura. Le figure furono opera di m. Bou-langer francese scolaro di Guido Reni, e stipendiato da questa corte.

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1578, condiscepolo, e poi rivale di Guido, che vissefino al 1660, e in Bologna, in Roma, in Firenze lasciòmolte celebri opere del suo pennello, e dal Passeri, ilquale ne ha scritta la Vita, vien difeso contro le taccieche da alcuni gli si oppongono, e annoverato per ogniriguardo tra' più illustri pittori (p. 295, ec.), LeonelloSpada, Gianfrancesco Grimaldi soprannomato il bolo-gnese, Jacopo Cavedone da Sassolo, che fu dapprima sìillustre pittore che alcuni de' suoi quadri furon credutiopera di Annibale Carracci, ma poscia o per alcune do-mestiche sventure, o per una infermità che ne consumògli spiriti, cadde talmente di pregio, che fu ridotto a di-pingere tavolette votive, e a vivere in limosina, e in unaestrema miseria chiuse i suoi giorni in Bologna nel1660, e alcuni altri, de' quali non giova di far distintamenzione 71. Dalla scuola medesima uscirono AgostinoMitelli e Angiolo Michele Colonna 72 amendue bolo-gnesi, che uniti insieme, e dotati di non ordinaria abili-tà, uno negli ornamenti e nell'architettura, l'altro nellefigure, dipinser molto in Bologna e altrove, e fra le altrecose la celebre galleria di questa ducale villeggiatura diSassolo. Passarono poi a Madrid chiamati dal re FilippoIV, e ivi pure diedero illustri saggi del lor valore. Il Mi-telli vi morì in età di 51 anni nel 1660. Il Colonna tornò71 Così dello Schedoni come del Cavedone si son date più distinte notizie

nella Biblioteca modenese (t. 6, p. 358, 527).

72 Angelo Michele Colonna non fu bolognese, ma di Rovenna tre miglialungi da Como. Egli innoltre e il Mitelli dipinser la galleria di Sassolo inciò solo che appartiene all'architettura. Le figure furono opera di m. Bou-langer francese scolaro di Guido Reni, e stipendiato da questa corte.

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in Italia, e dopo essere stato alcuni anni in Firenze e inBologna, fu dal re Luigi XIV chiamato a Parigi nel1671, ove ancora ammirate furono le sue pitture. Tornòposcia due anni appresso in Italia, e finì di vivere in Bo-logna nel 1687, in età di 87 anni (Passeri p. 269, ec.;Abregé de la Vie des Peintres t. 1, p. 59; t. 2, p. 163,ec.). Carlo Cicagni bolognese uscì egli ancora dallascuola dei Carracci, benchè non fosse loro discepolo,essendo nato solo nel 1628, e fu in concetto di uno de'più valorosi pittori che allora vivessero, in ciò singolar-mente che appartiene alla facilità e alla grazia eall'espressione delle passioni dell'animo, impiegato per-ciò da molti principi italiani e oltramontani, e da essi agara onorato. Egli ebbe l'onore di esser principe dellacelebre Accademia clementina di Bologna, fondata alprincipio del nostro secolo, e morì in Forlì nel 1719. Trai seguaci della scuola carraccesca si annovera ancoraMichelangiolo da Caravaggio di cognome Amerighi.Egli, dice il Passeri (p. 62, ec.), fece qualche giovamen-to al gusto di quella nuova scuola promossa da' fratelliCarracci, e da' loro scolari; perchè essendo uscito fuo-ra con tanto impeto con quella sua maniera gagliardafece prendere fiato al gusto buono, ed al naturale, ilquale era allora sbandito dal mondo, che solo andavaperduto dietro a un dipingere ideale e fantastico......Ben vero, ch'egli non abbellì il nuovo suo gusto conquelle vaghezze, colle quali la scuola Carraccesca loha portata all'estrema, cioè rendendolo pieno di piace-volezza e di delizie, ricco nelli componimenti, adorno di

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in Italia, e dopo essere stato alcuni anni in Firenze e inBologna, fu dal re Luigi XIV chiamato a Parigi nel1671, ove ancora ammirate furono le sue pitture. Tornòposcia due anni appresso in Italia, e finì di vivere in Bo-logna nel 1687, in età di 87 anni (Passeri p. 269, ec.;Abregé de la Vie des Peintres t. 1, p. 59; t. 2, p. 163,ec.). Carlo Cicagni bolognese uscì egli ancora dallascuola dei Carracci, benchè non fosse loro discepolo,essendo nato solo nel 1628, e fu in concetto di uno de'più valorosi pittori che allora vivessero, in ciò singolar-mente che appartiene alla facilità e alla grazia eall'espressione delle passioni dell'animo, impiegato per-ciò da molti principi italiani e oltramontani, e da essi agara onorato. Egli ebbe l'onore di esser principe dellacelebre Accademia clementina di Bologna, fondata alprincipio del nostro secolo, e morì in Forlì nel 1719. Trai seguaci della scuola carraccesca si annovera ancoraMichelangiolo da Caravaggio di cognome Amerighi.Egli, dice il Passeri (p. 62, ec.), fece qualche giovamen-to al gusto di quella nuova scuola promossa da' fratelliCarracci, e da' loro scolari; perchè essendo uscito fuo-ra con tanto impeto con quella sua maniera gagliardafece prendere fiato al gusto buono, ed al naturale, ilquale era allora sbandito dal mondo, che solo andavaperduto dietro a un dipingere ideale e fantastico......Ben vero, ch'egli non abbellì il nuovo suo gusto conquelle vaghezze, colle quali la scuola Carraccesca loha portata all'estrema, cioè rendendolo pieno di piace-volezza e di delizie, ricco nelli componimenti, adorno di

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accompagnature, e discreto in tutto il portamento. Tut-tavia aperse una strada, per la quale fece tornare in vi-sta la verità ch'erasi ad un certo modo da lunghi annismarrita. Di questo capriccioso pittore, un de' più straniumori che mai si vedessero, e che morì in Porto Ercolein età di soli 40 anni nel 1609, si può vedere la Vitapresso il citato scrittor francese (Abregé, ec. tom. 2, p.81).

VI. Le altre scuole italiane non furono inquesto secolo sì feconde di eccellenti pittoricome la bolognese. Domenico Feti, AndreaStecchi, Michelagnolo Cerquozzi sopranno-

mato dalle battaglie, perchè nel dipingerle valeva sin-golarmente, Francesco Romanelli, Giacinto Brandi,Ciro Ferri, Pier Francesco Mola milanese, furono tra'più rinnomati pittori della scuola romana; ma in essa so-pra tutti si segnalò Carlo Maratti nato in Camerino nellaMarca d'Ancona nel 1625, e morto in Roma nel 1713,pittore che nelle grazie e nella nobiltà delle teste, nellabellezza delle mani e de' piedi, nella forza dell'espres-sione, nella vivacità de' colori ebbe pochi che gli potes-sero stare al confronto. Nella scuola fiorentina il più ce-lebre pittore di questo secolo fu Pietro Berettini, dallasua patria detto comunemente Pietro da Cortona, ov'egliera nato nel 1596. Di lui ha scritta la Vita, benchè im-perfetta, il più volte citato Passeri (p. 1398, ec.), il qualerileva i diversi e rari pregi di questo illustre pittore, e

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Pittori dellealtre scuoleitaliane.

accompagnature, e discreto in tutto il portamento. Tut-tavia aperse una strada, per la quale fece tornare in vi-sta la verità ch'erasi ad un certo modo da lunghi annismarrita. Di questo capriccioso pittore, un de' più straniumori che mai si vedessero, e che morì in Porto Ercolein età di soli 40 anni nel 1609, si può vedere la Vitapresso il citato scrittor francese (Abregé, ec. tom. 2, p.81).

VI. Le altre scuole italiane non furono inquesto secolo sì feconde di eccellenti pittoricome la bolognese. Domenico Feti, AndreaStecchi, Michelagnolo Cerquozzi sopranno-

mato dalle battaglie, perchè nel dipingerle valeva sin-golarmente, Francesco Romanelli, Giacinto Brandi,Ciro Ferri, Pier Francesco Mola milanese, furono tra'più rinnomati pittori della scuola romana; ma in essa so-pra tutti si segnalò Carlo Maratti nato in Camerino nellaMarca d'Ancona nel 1625, e morto in Roma nel 1713,pittore che nelle grazie e nella nobiltà delle teste, nellabellezza delle mani e de' piedi, nella forza dell'espres-sione, nella vivacità de' colori ebbe pochi che gli potes-sero stare al confronto. Nella scuola fiorentina il più ce-lebre pittore di questo secolo fu Pietro Berettini, dallasua patria detto comunemente Pietro da Cortona, ov'egliera nato nel 1596. Di lui ha scritta la Vita, benchè im-perfetta, il più volte citato Passeri (p. 1398, ec.), il qualerileva i diversi e rari pregi di questo illustre pittore, e

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Pittori dellealtre scuoleitaliane.

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conchiude dicendo che s'egli non può paragonarsi neldisegno a Michelangelo, egli ha avuto però un ottimouniversale, e merita essere annoverato tra' più insignivalentuomini del nostro secolo. Egli morì in Roma nel1669. Nella scuola veneziana ebbe gran nome Alessan-dro Turchi soprannomato l'Orbetto, morto in Roma nel1648, le cui pitture, come afferma il march. Maffei (Ver.illustr. par. 3, p. 302), da' professori di grido si sonoudite esaltare niente meno che quelle dei Carracci, delCorreggio e di Guido Reni. L'autor francese delle Vitede' Pittori annovera tra quelli della scuola veneziana ilfratel Andrea Pozzo gesuita, di cui abbiamo altrove par-lato, ma ei dovrebbe anzi aver luogo nella lombarda,che suole unirsi colla bolognese, perciocchè in Milano,come si è detto, egli apprese gli elementi dell'arte. Enon mancavano in fatti a quella città nel corso di questosecolo insigni Pittori, come Pierfrancesco Mazzucchelli,detto il cav. Morazzone, il cav. Francesco Cairo, e pri-ma di essi Cammillo e Giulio Cesare Procaccini, ed altridi questa famiglia colà trasportata da Bologna, ov'eranostati discepoli de' Carracci, de' quali e di altri pittori chein Milano fecer conoscere il lor valore, molte belle noti-zie ci somministra il ch. p. abate Gallarati olivetano,nella sua Istruzione sulle opere di pittura, di scultura ed'architettura, che in quella città si conservano, e più an-cora il sig. ab. Carlo Bianconi nella sua Nuova Guida diMilano. Nè deesi tra' pittori lombardi tacere GuglielmoCaccia, detto il Moncalvo dalla sua patria, luogo del ter-ritorio di Casale in Monferrato, che in Milano e più an-

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conchiude dicendo che s'egli non può paragonarsi neldisegno a Michelangelo, egli ha avuto però un ottimouniversale, e merita essere annoverato tra' più insignivalentuomini del nostro secolo. Egli morì in Roma nel1669. Nella scuola veneziana ebbe gran nome Alessan-dro Turchi soprannomato l'Orbetto, morto in Roma nel1648, le cui pitture, come afferma il march. Maffei (Ver.illustr. par. 3, p. 302), da' professori di grido si sonoudite esaltare niente meno che quelle dei Carracci, delCorreggio e di Guido Reni. L'autor francese delle Vitede' Pittori annovera tra quelli della scuola veneziana ilfratel Andrea Pozzo gesuita, di cui abbiamo altrove par-lato, ma ei dovrebbe anzi aver luogo nella lombarda,che suole unirsi colla bolognese, perciocchè in Milano,come si è detto, egli apprese gli elementi dell'arte. Enon mancavano in fatti a quella città nel corso di questosecolo insigni Pittori, come Pierfrancesco Mazzucchelli,detto il cav. Morazzone, il cav. Francesco Cairo, e pri-ma di essi Cammillo e Giulio Cesare Procaccini, ed altridi questa famiglia colà trasportata da Bologna, ov'eranostati discepoli de' Carracci, de' quali e di altri pittori chein Milano fecer conoscere il lor valore, molte belle noti-zie ci somministra il ch. p. abate Gallarati olivetano,nella sua Istruzione sulle opere di pittura, di scultura ed'architettura, che in quella città si conservano, e più an-cora il sig. ab. Carlo Bianconi nella sua Nuova Guida diMilano. Nè deesi tra' pittori lombardi tacere GuglielmoCaccia, detto il Moncalvo dalla sua patria, luogo del ter-ritorio di Casale in Monferrato, che in Milano e più an-

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cora in Pavia lasciò molte pruove dell'eccellenza delsuo pennello, ed ebbe perciò l'onore di esser scritto nel1610 alla cittadinanza di Pavia. Egli ebbe numerosa fi-gliuolanza, e quattro figlie singolarmente che si rendet-tero monache, una delle quali detta Orsola Maddalenafu in quest'arte medesima imitatrice e seguace del pa-dre. Questi morì in Moncalvo circa il principio del1626, come raccogliesi da' monumenti intorno a questopittore trasmessimi dal ch. sig. baron Giuseppe Vernaz-za, de' quali mi spiace che la brevità che in questo capomi son prefissa, non mi permetta di usar più ampiamen-te. Io non mi tratterrò parimente in ragionare stesamentede' pittori napoletani, tra' quali si distinsero GiuseppeRibera spagnuolo di nascita, ma passato in età giovanilea Napoli, Mario Nuzzi soprannomato de' Fiori, MattiaPreti, Salvator Rosa da noi nominato già tra' poeti, LucaGiordano; nè dei genovesi, tra' quali furono celebri Ber-nardo Castelli e Valerio di lui figliuolo, Giovanni Carlo-ne, Benedetto Castiglione, i Borzoni e GiambattistaGauli soprannomato il Bacicia, perciocchè ciò che adessi appartiene, si può vedere nelle opere altre volte ci-tate del Domenici e del Soprani. E io porrò fine a que-sto capo coll'accennare un fatto assai glorioso all'Italia,che narrasi dal Baldinucci nella Vita di Costantino de'Servi celebre ingegnere, architetto e pittore, cioè che ilsofi di Persia per mezzo di un suo ambasciatore manda-to al gran duca Cosimo II, pregollo ad inviargli eccel-lenti professori italiani delle tre arti, de' quali egli voleausare ad abbellire la sua corte e la sua capitale; e che il

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cora in Pavia lasciò molte pruove dell'eccellenza delsuo pennello, ed ebbe perciò l'onore di esser scritto nel1610 alla cittadinanza di Pavia. Egli ebbe numerosa fi-gliuolanza, e quattro figlie singolarmente che si rendet-tero monache, una delle quali detta Orsola Maddalenafu in quest'arte medesima imitatrice e seguace del pa-dre. Questi morì in Moncalvo circa il principio del1626, come raccogliesi da' monumenti intorno a questopittore trasmessimi dal ch. sig. baron Giuseppe Vernaz-za, de' quali mi spiace che la brevità che in questo capomi son prefissa, non mi permetta di usar più ampiamen-te. Io non mi tratterrò parimente in ragionare stesamentede' pittori napoletani, tra' quali si distinsero GiuseppeRibera spagnuolo di nascita, ma passato in età giovanilea Napoli, Mario Nuzzi soprannomato de' Fiori, MattiaPreti, Salvator Rosa da noi nominato già tra' poeti, LucaGiordano; nè dei genovesi, tra' quali furono celebri Ber-nardo Castelli e Valerio di lui figliuolo, Giovanni Carlo-ne, Benedetto Castiglione, i Borzoni e GiambattistaGauli soprannomato il Bacicia, perciocchè ciò che adessi appartiene, si può vedere nelle opere altre volte ci-tate del Domenici e del Soprani. E io porrò fine a que-sto capo coll'accennare un fatto assai glorioso all'Italia,che narrasi dal Baldinucci nella Vita di Costantino de'Servi celebre ingegnere, architetto e pittore, cioè che ilsofi di Persia per mezzo di un suo ambasciatore manda-to al gran duca Cosimo II, pregollo ad inviargli eccel-lenti professori italiani delle tre arti, de' quali egli voleausare ad abbellire la sua corte e la sua capitale; e che il

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gran duca gl'inviò a tal fine il suddetto Costantino, dicui erasi egli stesso per più anni con sua soddisfazioneservito. Così il nome degli artisti italiani non giungevasoltanto alle altre provincie d'Europa, ma stendevasi an-cora a' più lontani regni dell'Asia, e moveva i più poten-ti monarchi a desiderar di valersi dell'opera loro 73.

73 Non dee passarsi sotto silenzio un nuovo genere di pittura trovato in Italianel secolo XVII, cioè quello che dicesi a scagliola, o, come altri l'appella-no, a mischia; con cui per mezzo della pietra speculare, o selenite cotta alfornello, sottilmente stritolata, indi stemprata in un glutine formato di rita-gli di pelli conciate, e aggiuntevi i colori che si vogliono usare, sul muronon meno che sulle tavole si imitano i marmi e le pietre preziose, e vi sidipingono paesaggi, fabbriche e figure d'ogni maniera. Nella Bibliotecamodenese (t. 6, p. 398, ec.) ho provato con sicuri argomenti che questa in-venzione, lungi dall'esser nata in Toscana nel nostro secolo, come talunoha asserito, tutta deesi a Guido dal Conte Fassi carpigiano, e che i primilavori ne furono ivi eseguiti circa il 1615.

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gran duca gl'inviò a tal fine il suddetto Costantino, dicui erasi egli stesso per più anni con sua soddisfazioneservito. Così il nome degli artisti italiani non giungevasoltanto alle altre provincie d'Europa, ma stendevasi an-cora a' più lontani regni dell'Asia, e moveva i più poten-ti monarchi a desiderar di valersi dell'opera loro 73.

73 Non dee passarsi sotto silenzio un nuovo genere di pittura trovato in Italianel secolo XVII, cioè quello che dicesi a scagliola, o, come altri l'appella-no, a mischia; con cui per mezzo della pietra speculare, o selenite cotta alfornello, sottilmente stritolata, indi stemprata in un glutine formato di rita-gli di pelli conciate, e aggiuntevi i colori che si vogliono usare, sul muronon meno che sulle tavole si imitano i marmi e le pietre preziose, e vi sidipingono paesaggi, fabbriche e figure d'ogni maniera. Nella Bibliotecamodenese (t. 6, p. 398, ec.) ho provato con sicuri argomenti che questa in-venzione, lungi dall'esser nata in Toscana nel nostro secolo, come talunoha asserito, tutta deesi a Guido dal Conte Fassi carpigiano, e che i primilavori ne furono ivi eseguiti circa il 1615.

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LETTERADELL'ABATE GIROLAMO TIRABOSCHI

BIBLIOTECARIO DEL SERENISSIMO DUCA DI MODE-NA

AL SIGNOR ABATE NN.

Intorno al Saggio storico-apologetico della Letteraturaspagnuola dell'ab. D. Saverio Lampillas.

Ho letto il primo tomo diviso in due parti del Saggiostorico-apologetico della Letteratura spagnuola del sig.ab. D. Saverio Lampillas, stampato in Genova nel cor-rente anno 1778, che voi mi avete trasmesso, perchè iove ne dica il mio sentimento 74. Voi sapete che non vi hacosa alcuna ch'io vi soglia tener nascosta; tanta è l'ami-chevole confidenza che sempre è stata tra noi. Ma que-sta volta, ancorchè voi non mi foste quell'intimo amicoche pur mi siete, vi scoprireri l'animo mio, perchè desi-dero che i miei sentimenti si faccian palesi, affinchè tutticonoscano quanto sian diversi da quelli che il sig. ab.Lampillas mi attribuisce.

Non vi è ignota la costante mia risoluzione di nonfare alcuna risposta alle critiche che contro la mia Storiadella Letteratura italiana vengano a luce. La bontà, con

74 Il sig. ab. Lampillas ha poi pubblicati due altri tomi del suo Saggio, cia-scheduno diviso in due parti; e ad alcuni passi, ne' quali egli combatte lamia Storia, si è data a suo luogo risposta.

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LETTERADELL'ABATE GIROLAMO TIRABOSCHI

BIBLIOTECARIO DEL SERENISSIMO DUCA DI MODE-NA

AL SIGNOR ABATE NN.

Intorno al Saggio storico-apologetico della Letteraturaspagnuola dell'ab. D. Saverio Lampillas.

Ho letto il primo tomo diviso in due parti del Saggiostorico-apologetico della Letteratura spagnuola del sig.ab. D. Saverio Lampillas, stampato in Genova nel cor-rente anno 1778, che voi mi avete trasmesso, perchè iove ne dica il mio sentimento 74. Voi sapete che non vi hacosa alcuna ch'io vi soglia tener nascosta; tanta è l'ami-chevole confidenza che sempre è stata tra noi. Ma que-sta volta, ancorchè voi non mi foste quell'intimo amicoche pur mi siete, vi scoprireri l'animo mio, perchè desi-dero che i miei sentimenti si faccian palesi, affinchè tutticonoscano quanto sian diversi da quelli che il sig. ab.Lampillas mi attribuisce.

Non vi è ignota la costante mia risoluzione di nonfare alcuna risposta alle critiche che contro la mia Storiadella Letteratura italiana vengano a luce. La bontà, con

74 Il sig. ab. Lampillas ha poi pubblicati due altri tomi del suo Saggio, cia-scheduno diviso in due parti; e ad alcuni passi, ne' quali egli combatte lamia Storia, si è data a suo luogo risposta.

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cui il pubblico l'ha accolta, ha fatto che pochi avversarje in cose di poco momento ha ella avuti finora. Io nonho replicato alle loro censure, e ho lasciato che i saggi egli eruditi decidessero tra me e loro. A quelli che mihanno amichevolmente avvertito di qualche fallo in cuiio era caduto, ho attestata la mia riconoscenza, e leGiunte e le Correzioni che pubblicherò al fin della Sto-ria, faranno conoscere quanto io sia facile a ritrattare e acorreggere ciò che ho scritto.

Lo stesso metodo avrei io volentieri tenuto col sig.abate Lampillas; e s'ei non avesse fatto altro che confu-tare le mie opinioni, io o avrei cambiato parere, s'ei miavesse convinto, o, se avessi creduto di aver per me laragione, pago di ciò, avrei lasciato che il pubblico ne de-cidesse. Nè a farmi rompere il mio silenzio avrebberoavuta forza bastante le maniere non troppo amichevoli edolci colle quali egli mi ha assalito.

Ma il sig. ab. Lampillas non contento di combattere lemie opinioni, combatte ancora la mia riputazione e ilmio buon nome. Egli mi rappresenta come un dichiaratonimico della letteratura spagnuola; che altro non cercache di screditarla; che raccoglie studiosamente tutto ciòche possa render ridicoli gli autori spagnuoli; che dissi-mula tutto ciò che torna in loro gloria; che pare in som-ma che abbia preso a scriver la Storia della Letteraturaitaliana solo per biasimar la spagnuola. Eccovi alcunitratti dell'opera del sig. ab. Lampillas. Leggeteli, e deci-dete s'io poteva esser dipinto con più neri colori.

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cui il pubblico l'ha accolta, ha fatto che pochi avversarje in cose di poco momento ha ella avuti finora. Io nonho replicato alle loro censure, e ho lasciato che i saggi egli eruditi decidessero tra me e loro. A quelli che mihanno amichevolmente avvertito di qualche fallo in cuiio era caduto, ho attestata la mia riconoscenza, e leGiunte e le Correzioni che pubblicherò al fin della Sto-ria, faranno conoscere quanto io sia facile a ritrattare e acorreggere ciò che ho scritto.

Lo stesso metodo avrei io volentieri tenuto col sig.abate Lampillas; e s'ei non avesse fatto altro che confu-tare le mie opinioni, io o avrei cambiato parere, s'ei miavesse convinto, o, se avessi creduto di aver per me laragione, pago di ciò, avrei lasciato che il pubblico ne de-cidesse. Nè a farmi rompere il mio silenzio avrebberoavuta forza bastante le maniere non troppo amichevoli edolci colle quali egli mi ha assalito.

Ma il sig. ab. Lampillas non contento di combattere lemie opinioni, combatte ancora la mia riputazione e ilmio buon nome. Egli mi rappresenta come un dichiaratonimico della letteratura spagnuola; che altro non cercache di screditarla; che raccoglie studiosamente tutto ciòche possa render ridicoli gli autori spagnuoli; che dissi-mula tutto ciò che torna in loro gloria; che pare in som-ma che abbia preso a scriver la Storia della Letteraturaitaliana solo per biasimar la spagnuola. Eccovi alcunitratti dell'opera del sig. ab. Lampillas. Leggeteli, e deci-dete s'io poteva esser dipinto con più neri colori.

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"Il Sig. Ab. Tiraboschi, dic'egli (par. 1, p. 64), ha lorodato luogo, parla degli autori spagnuoli, nella StoriaLetteraria d'Italia per aprirsi la strada a biasimarli. Epoco appresso (p. 65). Adottata dall'Ab. Tiraboschi lasfavorevole prevenzione contro i celebri Spagnuoli, chefiorirono in Roma dopo la morte d'Augusto, bisognavafar comparire nel più orrido aspetto la decadenza dellaLetteratura Romana in quel secolo. Vedo ben io (p. 89)quanto premeva all'Abate Tiraboschi il trovar alcunodella famiglia de' Seneca accennato tra' corruttoridell'Eloquenza. Così quest'Autore (parla di me, p. 129)trova facilmente ragioni per iscusare gli Autori Italiani:non così ei si contiene, allorchè vuol esporre alla vista idifetti degli Scrittori Spagnuoli. Egli allora non trovaespressioni, che sieno forti a sufficienza. Nulla perdona,nulla scusa, nulla dissimula, anzi all'opposto si prevalede' più neri colori per formar più orrido quel ritratto, cheha nelle mani. Io mi persuado (par. 2, p. 30) che se Bal-bo fosse vissuto nel secolo dopo Augusto, avrebbe avu-to luogo in detta Storia, come altri Spagnuoli, concio-siacchè venendo dal detto Autore dipinto quel secolo,come corruttore della Romana Letteratura, bisognavaframmischiarvi Spagnuoli, a' quali addossare la causa dital corruttela. Ma nel secol d'oro, nel secol del buon gu-sto introdurvi uno Spagnuolo di merito! Ciò non potevaottenersi che da un Autore, il qual fosse prima spogliatoaffatto de' pregiudizj antispagnuoli, e tale certamentenon era l'Abate Tiraboschi, mentre scrisse la Storia diquel secolo. — Il solo titolo (p. 40) di Spagnuolo ha pri-

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"Il Sig. Ab. Tiraboschi, dic'egli (par. 1, p. 64), ha lorodato luogo, parla degli autori spagnuoli, nella StoriaLetteraria d'Italia per aprirsi la strada a biasimarli. Epoco appresso (p. 65). Adottata dall'Ab. Tiraboschi lasfavorevole prevenzione contro i celebri Spagnuoli, chefiorirono in Roma dopo la morte d'Augusto, bisognavafar comparire nel più orrido aspetto la decadenza dellaLetteratura Romana in quel secolo. Vedo ben io (p. 89)quanto premeva all'Abate Tiraboschi il trovar alcunodella famiglia de' Seneca accennato tra' corruttoridell'Eloquenza. Così quest'Autore (parla di me, p. 129)trova facilmente ragioni per iscusare gli Autori Italiani:non così ei si contiene, allorchè vuol esporre alla vista idifetti degli Scrittori Spagnuoli. Egli allora non trovaespressioni, che sieno forti a sufficienza. Nulla perdona,nulla scusa, nulla dissimula, anzi all'opposto si prevalede' più neri colori per formar più orrido quel ritratto, cheha nelle mani. Io mi persuado (par. 2, p. 30) che se Bal-bo fosse vissuto nel secolo dopo Augusto, avrebbe avu-to luogo in detta Storia, come altri Spagnuoli, concio-siacchè venendo dal detto Autore dipinto quel secolo,come corruttore della Romana Letteratura, bisognavaframmischiarvi Spagnuoli, a' quali addossare la causa dital corruttela. Ma nel secol d'oro, nel secol del buon gu-sto introdurvi uno Spagnuolo di merito! Ciò non potevaottenersi che da un Autore, il qual fosse prima spogliatoaffatto de' pregiudizj antispagnuoli, e tale certamentenon era l'Abate Tiraboschi, mentre scrisse la Storia diquel secolo. — Il solo titolo (p. 40) di Spagnuolo ha pri-

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vato Igino del meritato posto tra i celebri Scrittori delsecol d'oro. — Premeva troppo al detto Autore (parla dime, p. 41, e vedete con qual gentilezza!) che non compa-risse in Roma nel secol d'oro uno Spagnuolo, il quale frai Letterati Romani fosse stato prescelto da Augusto, acui affidar la cura dell'Imperial Biblioteca; temendo for-se non fosse per perdere molto nella comune estimazio-ne il posto, che egli degnamente occupa, se si sapesse,che fin nel secol d'Augusto fu ottenuto da uno Spagnuo-lo. — Tutti quei Spagnuoli (p. 62), i quali ha stimato ilsuddetto Storico di doversi lodare meritevolmente, ven-gono da lui pretesi Italiani, quasicchè non potesse com-binarsi insieme l'essere Spagnuolo, e l'esser Letterato dimerito. — Ciò ben sapeva l'Abate Tiraboschi (p. 63) ecredeva troppo ingiusto il non entrar anch'egli nel nume-ro de' Panegiristi di Quintilliano.... Dover però confessa-re, che Spagnuolo fu l'Autore d'una delle più pregevoliopere di tutta l'antichità: ....era questo un imbarazzo, dalquale non credette potersene sbrigare, se non col metterein dubbio, che Quintilliano fosse Spagnuolo. — Noncosì l'autore della Storia Letteria d'Italia (p. 78), anzidissimulando, che detti Principi (Traiano, Adriano eTeodosio) fossero Spagnuoli, priva la nostra nazione diquella stima, che ispirerebbe ne' suoi leggitori il sapere,che fu la Spagna madre di così illustri Sovrani. In questaguisa (p. 93) pensa il suddetto Storico di trovare findove non v'è, quello che può recar poco onore agli Spa-gnuoli, e non trova ciò che trovano altri men pregiudica-ti a loro vantaggio. — A vista (p. 193) di quanto abbiam

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vato Igino del meritato posto tra i celebri Scrittori delsecol d'oro. — Premeva troppo al detto Autore (parla dime, p. 41, e vedete con qual gentilezza!) che non compa-risse in Roma nel secol d'oro uno Spagnuolo, il quale frai Letterati Romani fosse stato prescelto da Augusto, acui affidar la cura dell'Imperial Biblioteca; temendo for-se non fosse per perdere molto nella comune estimazio-ne il posto, che egli degnamente occupa, se si sapesse,che fin nel secol d'Augusto fu ottenuto da uno Spagnuo-lo. — Tutti quei Spagnuoli (p. 62), i quali ha stimato ilsuddetto Storico di doversi lodare meritevolmente, ven-gono da lui pretesi Italiani, quasicchè non potesse com-binarsi insieme l'essere Spagnuolo, e l'esser Letterato dimerito. — Ciò ben sapeva l'Abate Tiraboschi (p. 63) ecredeva troppo ingiusto il non entrar anch'egli nel nume-ro de' Panegiristi di Quintilliano.... Dover però confessa-re, che Spagnuolo fu l'Autore d'una delle più pregevoliopere di tutta l'antichità: ....era questo un imbarazzo, dalquale non credette potersene sbrigare, se non col metterein dubbio, che Quintilliano fosse Spagnuolo. — Noncosì l'autore della Storia Letteria d'Italia (p. 78), anzidissimulando, che detti Principi (Traiano, Adriano eTeodosio) fossero Spagnuoli, priva la nostra nazione diquella stima, che ispirerebbe ne' suoi leggitori il sapere,che fu la Spagna madre di così illustri Sovrani. In questaguisa (p. 93) pensa il suddetto Storico di trovare findove non v'è, quello che può recar poco onore agli Spa-gnuoli, e non trova ciò che trovano altri men pregiudica-ti a loro vantaggio. — A vista (p. 193) di quanto abbiam

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detto in questo §. parrà incredibile, che il Bettinelli e ilTiraboschi passino per quest'Epoca, discorrendo minuta-mente della Poesia Provenzale, senza che scuoprano ilmenomo vestigio di Spagna, o di Governo Spagnuolo.Anzi per iscancellarne vieppiù ogni memoria, sfiguranostranamente il cognome de' nostri Principi, senza chemai da loro vengano chiamati Conti di Barcellona, titoloche gli darebbe a conoscere per Ispagnuoli. — L'AbateTiraboschi (p. 208) ha stimato di aver ragione di potercondannare l'intiera Nazione Spagnuola ad esser per unafatal forza di clima portata al cattivo gusto".

Questi sono i leggiadri colori co' quali mi dipingel'ab. Lampillas non sol ne' passi da me allegati, ma inmoltissimi altri ch'io tralascio per brevità, e non conten-to di questi tratti qua e là sparsi, sul fine della sua operafa un epilogo della mia Storia, e pretende di dimostrareche tutto lo studio io abbia posto nell'oscurare la gloriaspagnuola e nello screditare gli autori di quella nazione.

Questo è ciò che io dolgomi col sig. ab. Lampillas, eme ne dolgo in faccia a tutti gli uomini letterati, cioè cheegli voglia attribuirmi una rea intenzione, indegnad'uom saggio ed onesto, qual è quella di screditare, ri-guardo alla letteratura, la nazione spagnuola, per la qua-le io serbo, e in diversi passi della mia Storia ho mostra-to, quel sincero rispetto di cui ella è meritevole. Io miappello alla testimonianza vostra, e di tutti quelli da'quali ho l'onore di essere conosciuto. Voi sapete, e sannoessi pure, se sia questa la maniera mia di pensare, e se io

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detto in questo §. parrà incredibile, che il Bettinelli e ilTiraboschi passino per quest'Epoca, discorrendo minuta-mente della Poesia Provenzale, senza che scuoprano ilmenomo vestigio di Spagna, o di Governo Spagnuolo.Anzi per iscancellarne vieppiù ogni memoria, sfiguranostranamente il cognome de' nostri Principi, senza chemai da loro vengano chiamati Conti di Barcellona, titoloche gli darebbe a conoscere per Ispagnuoli. — L'AbateTiraboschi (p. 208) ha stimato di aver ragione di potercondannare l'intiera Nazione Spagnuola ad esser per unafatal forza di clima portata al cattivo gusto".

Questi sono i leggiadri colori co' quali mi dipingel'ab. Lampillas non sol ne' passi da me allegati, ma inmoltissimi altri ch'io tralascio per brevità, e non conten-to di questi tratti qua e là sparsi, sul fine della sua operafa un epilogo della mia Storia, e pretende di dimostrareche tutto lo studio io abbia posto nell'oscurare la gloriaspagnuola e nello screditare gli autori di quella nazione.

Questo è ciò che io dolgomi col sig. ab. Lampillas, eme ne dolgo in faccia a tutti gli uomini letterati, cioè cheegli voglia attribuirmi una rea intenzione, indegnad'uom saggio ed onesto, qual è quella di screditare, ri-guardo alla letteratura, la nazione spagnuola, per la qua-le io serbo, e in diversi passi della mia Storia ho mostra-to, quel sincero rispetto di cui ella è meritevole. Io miappello alla testimonianza vostra, e di tutti quelli da'quali ho l'onore di essere conosciuto. Voi sapete, e sannoessi pure, se sia questa la maniera mia di pensare, e se io

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soglia prescrivere alle letterarie mie fatiche fini sì bassie sì sconvenienti, quali il sig. ab. Lampillas suppone.

Io confesso che ho creduto ed ho scritto che gli Spa-gnuoli abbiano avuta non poca parte nella corruzionedel gusto così ne' tempi della decadenza della romanaletteratura, come nella decadenza che soffriron tra noi lelettere nel secolo precedente. Ed eccovi tutto il passo incui ho proposta e spiegata la mia opinione; passo chemeglio avrebbe fatto il sig. ab. Lampillas a recar per in-tero, invece di recarne or un membro, or un altro, e ripe-terlo più e più volte e in diverse maniere, talchè sembrach'io altro non faccia nella mia Storia, che declamarcontro la Spagna. "A ciò concorse, dico io parlando delsecolo XVII (t. 2, p. 26), ancora, come osserva un coltoe ingegnoso moderno scrittore, il dominio che gli Spa-gnuoli aveano allora in Italia. Questa ingegnosa nazioneche sembra, direi quasi, per effetto di clima portata natu-ralmente alle sottigliezze, e che perciò ha avuti tanti fa-mosi scolastici, e sì pochi celebri oratori e poeti, signo-reggiavane allora una gran parte; i loro libri si spargeva-no facilmente; il loro gusto si comunicava; e come sem-bra che i sudditi facilmente si vestano delle inclinazionie de' costumi de' loro signori, gl'Italiani divennero, percosì dire, spagnuoli. A confermare un tal sentimento ioaggiugnerò una riflessione che parrà forse aver alquantodi sottigliezza; ma ch'è certamente fondata su un verofatto. La Toscana, ch'era più lontana dagli Stati e di Na-poli e di Lombardia da essi dominati, fu la men soggetta

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soglia prescrivere alle letterarie mie fatiche fini sì bassie sì sconvenienti, quali il sig. ab. Lampillas suppone.

Io confesso che ho creduto ed ho scritto che gli Spa-gnuoli abbiano avuta non poca parte nella corruzionedel gusto così ne' tempi della decadenza della romanaletteratura, come nella decadenza che soffriron tra noi lelettere nel secolo precedente. Ed eccovi tutto il passo incui ho proposta e spiegata la mia opinione; passo chemeglio avrebbe fatto il sig. ab. Lampillas a recar per in-tero, invece di recarne or un membro, or un altro, e ripe-terlo più e più volte e in diverse maniere, talchè sembrach'io altro non faccia nella mia Storia, che declamarcontro la Spagna. "A ciò concorse, dico io parlando delsecolo XVII (t. 2, p. 26), ancora, come osserva un coltoe ingegnoso moderno scrittore, il dominio che gli Spa-gnuoli aveano allora in Italia. Questa ingegnosa nazioneche sembra, direi quasi, per effetto di clima portata natu-ralmente alle sottigliezze, e che perciò ha avuti tanti fa-mosi scolastici, e sì pochi celebri oratori e poeti, signo-reggiavane allora una gran parte; i loro libri si spargeva-no facilmente; il loro gusto si comunicava; e come sem-bra che i sudditi facilmente si vestano delle inclinazionie de' costumi de' loro signori, gl'Italiani divennero, percosì dire, spagnuoli. A confermare un tal sentimento ioaggiugnerò una riflessione che parrà forse aver alquantodi sottigliezza; ma ch'è certamente fondata su un verofatto. La Toscana, ch'era più lontana dagli Stati e di Na-poli e di Lombardia da essi dominati, fu la men soggetta

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a queste alterazioni; come se il contagio andasse perden-do la sua forza, quanto più allontanavasi dalla sorgenteonde traeva l'origine. Non potrebbesi egli ancor dire checiò concorresse non meno al primo dicadimento dellelettere dopo la morte d'Augusto? Marziale, Lucano e iSeneca furon certamente quelli che all'eloquenza e allapoesia recarono maggior danno; ed essi ancora eranospagnuoli; e il clima sotto cui eran nati, congiunto allecagioni morali che abbiamo recate, potè contribuire as-sai a condurgli al cattivo gusto che in essi veggiamo". Inotto tomi della mia Storia, quanti a quest'ora ne son ve-nuti a luce, questo è il sol passo in cui io parli general-mente dell'influenza che, a mio parere, gli Spagnuolihanno avuta nella corruzione del buon gusto; e io pregoil sig. ab. Lampillas a citare, se può, solo un'altra parolain tutta la mia Storia, che a ciò si riferisca. Ed ei nondi-meno parla in tal modo, come se altro io non facessi intutto il decorso di essa che screditare la sua nazione.

Non è qui tempo di tornar sull'esame di questa opi-nione, nè di ricercare se il sig. ab. Lampillas l'abbia a ra-gion combattuta. Lo scopo di questa mia lettera non è ildifender ciò ch'io ho scritto, ma di ribatter le accuse e,mi sia lecito il dirlo, le ree calunnie ch'egli mi ha appo-ste.

Io chieggo in primo luogo a chiunque non è del tuttosfornito del senso comune, se questa mia opinione pote-va esporsi con maggior modestia e riserbo di quel ch'ioho fatto. Io non dico, come mi accusa di aver detto l'ab.

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a queste alterazioni; come se il contagio andasse perden-do la sua forza, quanto più allontanavasi dalla sorgenteonde traeva l'origine. Non potrebbesi egli ancor dire checiò concorresse non meno al primo dicadimento dellelettere dopo la morte d'Augusto? Marziale, Lucano e iSeneca furon certamente quelli che all'eloquenza e allapoesia recarono maggior danno; ed essi ancora eranospagnuoli; e il clima sotto cui eran nati, congiunto allecagioni morali che abbiamo recate, potè contribuire as-sai a condurgli al cattivo gusto che in essi veggiamo". Inotto tomi della mia Storia, quanti a quest'ora ne son ve-nuti a luce, questo è il sol passo in cui io parli general-mente dell'influenza che, a mio parere, gli Spagnuolihanno avuta nella corruzione del buon gusto; e io pregoil sig. ab. Lampillas a citare, se può, solo un'altra parolain tutta la mia Storia, che a ciò si riferisca. Ed ei nondi-meno parla in tal modo, come se altro io non facessi intutto il decorso di essa che screditare la sua nazione.

Non è qui tempo di tornar sull'esame di questa opi-nione, nè di ricercare se il sig. ab. Lampillas l'abbia a ra-gion combattuta. Lo scopo di questa mia lettera non è ildifender ciò ch'io ho scritto, ma di ribatter le accuse e,mi sia lecito il dirlo, le ree calunnie ch'egli mi ha appo-ste.

Io chieggo in primo luogo a chiunque non è del tuttosfornito del senso comune, se questa mia opinione pote-va esporsi con maggior modestia e riserbo di quel ch'ioho fatto. Io non dico, come mi accusa di aver detto l'ab.

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Lampillas, che la decadenza della letteratura debbasi aldominio spagnuolo, dico che a ciò concorse, dico che ilclima sotto cui nacquero Lucano, Marziale, ec. potècontribuire a condurgli al cattivo gusto, espressione,come ognun vede, assai moderata, e molto più che vi siaggiugne il clima congiunto alle cagioni morali. Io rife-risco ancora questa opinione, come già sostenuta da al-tri, e infatti da non pochi ella è stata sostenuta: confessoche la ragione ch'io reco per confermarla, parrà forseaver alquanto di sottigliezza. Se io dico che la nazionespagnuola ha avuti pochi celebri oratori e poeti, dico an-cora che ha avuti tanti famosi scolastici. In somma ioespongo il mio sentimento, quale esso è veramente, malo espongo in quel modo in cui vorrei che il sig. ab.Lampillas avesse esposto il suo.

S'egli non avesse fatto altro che impugnare la miaopinione, io farei plauso al suo ingegno e al suo amorpatriottico. Ma ch'egli mi attribuisca intenzioni ch'ionon ho avute giammai, questo è ciò ch'egli non potràmai nè giustificar, nè scusare.

E veramente qual maniera di scrivere è mai questa?Se io dico che i Seneca hanno recato gran danno alla ro-mana eloquenza, ciò è perchè i Seneca sono spagnuoli.Se accuso Seneca il filosofo di empietà e d'ipocrisia, ilfo perchè egli è di nazione spagnuolo. Perchè sono spa-gnuoli, io affermo che Lucano e Marziale hanno corrot-to la poesia latina. Io non parlo di Cornelio Balbo, nèd'Igino perchè sono spagnuoli. Perchè Quintiliano è un

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Lampillas, che la decadenza della letteratura debbasi aldominio spagnuolo, dico che a ciò concorse, dico che ilclima sotto cui nacquero Lucano, Marziale, ec. potècontribuire a condurgli al cattivo gusto, espressione,come ognun vede, assai moderata, e molto più che vi siaggiugne il clima congiunto alle cagioni morali. Io rife-risco ancora questa opinione, come già sostenuta da al-tri, e infatti da non pochi ella è stata sostenuta: confessoche la ragione ch'io reco per confermarla, parrà forseaver alquanto di sottigliezza. Se io dico che la nazionespagnuola ha avuti pochi celebri oratori e poeti, dico an-cora che ha avuti tanti famosi scolastici. In somma ioespongo il mio sentimento, quale esso è veramente, malo espongo in quel modo in cui vorrei che il sig. ab.Lampillas avesse esposto il suo.

S'egli non avesse fatto altro che impugnare la miaopinione, io farei plauso al suo ingegno e al suo amorpatriottico. Ma ch'egli mi attribuisca intenzioni ch'ionon ho avute giammai, questo è ciò ch'egli non potràmai nè giustificar, nè scusare.

E veramente qual maniera di scrivere è mai questa?Se io dico che i Seneca hanno recato gran danno alla ro-mana eloquenza, ciò è perchè i Seneca sono spagnuoli.Se accuso Seneca il filosofo di empietà e d'ipocrisia, ilfo perchè egli è di nazione spagnuolo. Perchè sono spa-gnuoli, io affermo che Lucano e Marziale hanno corrot-to la poesia latina. Io non parlo di Cornelio Balbo, nèd'Igino perchè sono spagnuoli. Perchè Quintiliano è un

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uomo di raro merito, io muovo dubbio intorno alla suapatria, e vorrei farlo credere nato in Italia. Io antipongonel carattere morale Plinio a Seneca, perchè Plinio è ita-liano, Seneca, è spagnuolo. Traiano, Adriano e Teodosiofurono imperadori degni di molta lode, e perciò io dissi-mulo ch'essi fossero spagnuoli. Ma di grazia sig. ab.Lampillas, come sa ella che io abbia operato per questifini? È ella un Dio che vede l'interno de' cuori? O è ellaun profeta che dal Cielo è scorto a conoscer le cose piùocculte? Io nego solennemente di aver avuto un sì bassomotivo nel mio scrivere, e protesto in faccia a tutto ilmondo, che non è mai stata questa la mia intenzione. Oella pruovi ch'io l'ho avuta, o io ho diritto di esigere sod-disfazione del torto che mi vien fatto.

Io posso bensì affermare con più ragione che il sig.ab. Lampillas non ha usata nel suo scrivere quella buonafede che dagli uomini onesti non deesi mai dimenticare:1. Perchè egli mi fa dir cose ch'io non ho dette; 2. Per-chè mi accusa di aver dissimulate cose ch'io non ho inalcun modo dissimulate; 3. Perchè dissimula egli stessopiù cose che fanno in mio favore, e che distruggon le ac-cuse ch'ei mi ha intentate.

Dico in primo luogo ch'egli mi fa dir cose ch'io nonho dette. Egli reca (par. 1, p. 15) come da me scritte leseguenti parole: La dominante nazione Spagnuola portaseco il contagio di cattivo gusto in genere di Letteratu-ra; e cita la Dissertazione preliminare innanzi al tomo IIdella mia Storia, cioè il passo da me recato poc'anzi. Ma

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uomo di raro merito, io muovo dubbio intorno alla suapatria, e vorrei farlo credere nato in Italia. Io antipongonel carattere morale Plinio a Seneca, perchè Plinio è ita-liano, Seneca, è spagnuolo. Traiano, Adriano e Teodosiofurono imperadori degni di molta lode, e perciò io dissi-mulo ch'essi fossero spagnuoli. Ma di grazia sig. ab.Lampillas, come sa ella che io abbia operato per questifini? È ella un Dio che vede l'interno de' cuori? O è ellaun profeta che dal Cielo è scorto a conoscer le cose piùocculte? Io nego solennemente di aver avuto un sì bassomotivo nel mio scrivere, e protesto in faccia a tutto ilmondo, che non è mai stata questa la mia intenzione. Oella pruovi ch'io l'ho avuta, o io ho diritto di esigere sod-disfazione del torto che mi vien fatto.

Io posso bensì affermare con più ragione che il sig.ab. Lampillas non ha usata nel suo scrivere quella buonafede che dagli uomini onesti non deesi mai dimenticare:1. Perchè egli mi fa dir cose ch'io non ho dette; 2. Per-chè mi accusa di aver dissimulate cose ch'io non ho inalcun modo dissimulate; 3. Perchè dissimula egli stessopiù cose che fanno in mio favore, e che distruggon le ac-cuse ch'ei mi ha intentate.

Dico in primo luogo ch'egli mi fa dir cose ch'io nonho dette. Egli reca (par. 1, p. 15) come da me scritte leseguenti parole: La dominante nazione Spagnuola portaseco il contagio di cattivo gusto in genere di Letteratu-ra; e cita la Dissertazione preliminare innanzi al tomo IIdella mia Storia, cioè il passo da me recato poc'anzi. Ma

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dove sono elleno cotai parole? Legga e rilegga il sig. ab.Lampillas quel passo, e ve le truovi, s'egli è da tanto. Èvero che da ciò che ivi dico, sembra potersi raccogliereciò ch'egli mi attribuisce. Ma quanto diversamente equanto più dolcemente ho io esposto il mio sentimento,con qual cautela e qual mitigazione! E egli lecito dun-que il cambiar le parole di uno scrittore, e l'alterarne inqualche modo il senso; e citare come precise parole dalui usate, quelle ch'egli mai non ha usate? Poco appressoegli altera ancora e travolge un'altra mia proposizione.Io dico: Marziale, Lucano e Seneca furono certamentequelli che all'eloquenza e alla poesia recarono maggiordanno; ed essi ancora erano spagnuoli. Ed ei cita comeda me scritte queste parole: Dopo la morte d'Augustofurono gli Spagnuoli quei che recarono maggior dannoall'Eloquenza ed alla Poesia; e con ciò rendendo uni-versale la proposizione, che io ho ristretta a que' tre so-lamente, la rende ancora più odiosa, e non pago di ciò,un'altra volte ripete (p. 36) questa proposizione, e dinuovo l'altera e la travisa attribuendomi queste parole:Spagnuoli certamente furono quelli, che condotti al cat-tivo gusto dalla forza del clima, sotto di cui eran nati,recarono in questi tempi maggior danno all'Eloquenza ealla Poesia, ov'ei mi fa dir francamente quelle parolecondotti dalla forza del clima, mentre io ho detto soloche il clima sotto cui eran nati, congiunto alle cagionimorali, potè contribuire, ec. È ella dunque questa la fe-deltà e la scrupolosa esattezza con cui si debbon recar leparole degli autori, quando si vogliono impugnare?

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dove sono elleno cotai parole? Legga e rilegga il sig. ab.Lampillas quel passo, e ve le truovi, s'egli è da tanto. Èvero che da ciò che ivi dico, sembra potersi raccogliereciò ch'egli mi attribuisce. Ma quanto diversamente equanto più dolcemente ho io esposto il mio sentimento,con qual cautela e qual mitigazione! E egli lecito dun-que il cambiar le parole di uno scrittore, e l'alterarne inqualche modo il senso; e citare come precise parole dalui usate, quelle ch'egli mai non ha usate? Poco appressoegli altera ancora e travolge un'altra mia proposizione.Io dico: Marziale, Lucano e Seneca furono certamentequelli che all'eloquenza e alla poesia recarono maggiordanno; ed essi ancora erano spagnuoli. Ed ei cita comeda me scritte queste parole: Dopo la morte d'Augustofurono gli Spagnuoli quei che recarono maggior dannoall'Eloquenza ed alla Poesia; e con ciò rendendo uni-versale la proposizione, che io ho ristretta a que' tre so-lamente, la rende ancora più odiosa, e non pago di ciò,un'altra volte ripete (p. 36) questa proposizione, e dinuovo l'altera e la travisa attribuendomi queste parole:Spagnuoli certamente furono quelli, che condotti al cat-tivo gusto dalla forza del clima, sotto di cui eran nati,recarono in questi tempi maggior danno all'Eloquenza ealla Poesia, ov'ei mi fa dir francamente quelle parolecondotti dalla forza del clima, mentre io ho detto soloche il clima sotto cui eran nati, congiunto alle cagionimorali, potè contribuire, ec. È ella dunque questa la fe-deltà e la scrupolosa esattezza con cui si debbon recar leparole degli autori, quando si vogliono impugnare?

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Un'altra ancor più grave infedeltà io debbo rimprove-rare il sig. ab. Lampillas. Ecco le parole ch'egli in altroluogo mi attribuisce (par. 1, p. 219): Lucano e Marziale,come chiaramente si vede, vogliono andare innanzi aCatullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente segui-to; e dice che ciò io ho scritto per conservare all'Italia ilprivilegio di non corromper la Poesia; e per mostrarechi furono gli Autori del fatale cangiamento nella Ro-mana Poesia. Or leggasi quel tratto nella mia Disserta-zione preliminare (p. 26). Io mi studio di provare in quelluogo, che la decadenza dell'amena letteratura nasce dalvoler superare coloro che l'hanno condotta alla sua per-fezione. Io lo dimostro con rammentare ciò che accaddedopo la morte di Cicerone, e nell'età susseguente al se-col detto d'Augusto. Dico che Asinio Pollione, e poi idue Seneca, con raffinar l'eloquenza affine di superarCicerone, la renderon peggiore; che Velleio Patercolo eTacito caddero in molti difetti, perchè vollero superareLivio, Cesare e Sallustio, e venendo poi a' poeti, Luca-no, io dico, Seneca il tragico, Marziale, Stazio, Perseo eGiovenale, vogliono, come chiaramente si vede da' loroversi, andare innanzi a Virgilio, a Catullo, ad Orazio,ec. Ove è qui, sig. abate mio stimatissimo, la buonafede? Io unisco insieme senza alcuna diversità Spagnuo-li e Italiani, e con Lucano e con il Marziale nomino Sta-zio, Persio e Giovenale. Ed ella troncando il testo mi fanominar solamente due poeti spagnuoli, per persuaderea' lettori, che tutta io attribuisco agli Spagnuoli la colpadella corruzion del buon gusto. E a questa infedeltà è

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Un'altra ancor più grave infedeltà io debbo rimprove-rare il sig. ab. Lampillas. Ecco le parole ch'egli in altroluogo mi attribuisce (par. 1, p. 219): Lucano e Marziale,come chiaramente si vede, vogliono andare innanzi aCatullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente segui-to; e dice che ciò io ho scritto per conservare all'Italia ilprivilegio di non corromper la Poesia; e per mostrarechi furono gli Autori del fatale cangiamento nella Ro-mana Poesia. Or leggasi quel tratto nella mia Disserta-zione preliminare (p. 26). Io mi studio di provare in quelluogo, che la decadenza dell'amena letteratura nasce dalvoler superare coloro che l'hanno condotta alla sua per-fezione. Io lo dimostro con rammentare ciò che accaddedopo la morte di Cicerone, e nell'età susseguente al se-col detto d'Augusto. Dico che Asinio Pollione, e poi idue Seneca, con raffinar l'eloquenza affine di superarCicerone, la renderon peggiore; che Velleio Patercolo eTacito caddero in molti difetti, perchè vollero superareLivio, Cesare e Sallustio, e venendo poi a' poeti, Luca-no, io dico, Seneca il tragico, Marziale, Stazio, Perseo eGiovenale, vogliono, come chiaramente si vede da' loroversi, andare innanzi a Virgilio, a Catullo, ad Orazio,ec. Ove è qui, sig. abate mio stimatissimo, la buonafede? Io unisco insieme senza alcuna diversità Spagnuo-li e Italiani, e con Lucano e con il Marziale nomino Sta-zio, Persio e Giovenale. Ed ella troncando il testo mi fanominar solamente due poeti spagnuoli, per persuaderea' lettori, che tutta io attribuisco agli Spagnuoli la colpadella corruzion del buon gusto. E a questa infedeltà è

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somigliante quell'altra in cui ella citando quel mio passomedesimo, dice ch'io confesso che Lucano e Marzialefurono i migliori Poeti del suo tempo; cosa ch'io ho det-to generalmente di tutti i già nominati poeti, e non de'due soli spagnuoli.

Più ancor mi ha commosso un'altra infedeltà che amio riguardo ha usata il sig. ab. Lampillas (par. 1, p.147). Dopo aver lungamente impugnato (nè è qui luogoa cercare con qual sorta di pruove) il carattere ch'io hoformato di Seneca il filosofo, dice ch'io passando daesso a Plinio il vecchio, uso queste parole: assai diversofu il carattere e il tenore di vita di Caio Plinio Secondo,detto il Vecchio. E queste son veramente mie parole. Mache? Il sig. ab. Lampillas sdegnasi per esse meco, e qua-si quasi mi accusa al tribunale dell'Inquisizione. "Di-mando io, dic'egli, può dirsi utile ed opportuno a' tempinostri il cercar tutte le congetture, per far credere che fuun uomo bruttato di tutti i vizj un Filosofo, che scrissealtamente della Divinità e della Provvidenza, qual fu Se-neca; e in confronto suo voler far credere di un carattereonestissimo e virtuoso un derisore della Divina Provvi-denza, un combattitore dell'immortalità dell'anima, qualfu C. Plinio"? Ma di grazia, ove mai ho io scritto chePlinio il vecchio fosse un uomo di carattere onestissimoe virtuoso? Legga e rilegga il sig. ab. Lampillas tutto ilpasso in cui io ne ragiono; e s'ei vi trova queste, o somi-glianti parole, io mi do vinto. Io dico, è vero, che Pliniofu di carattere, ed ebbe un tenor di vita assai diverso da

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somigliante quell'altra in cui ella citando quel mio passomedesimo, dice ch'io confesso che Lucano e Marzialefurono i migliori Poeti del suo tempo; cosa ch'io ho det-to generalmente di tutti i già nominati poeti, e non de'due soli spagnuoli.

Più ancor mi ha commosso un'altra infedeltà che amio riguardo ha usata il sig. ab. Lampillas (par. 1, p.147). Dopo aver lungamente impugnato (nè è qui luogoa cercare con qual sorta di pruove) il carattere ch'io hoformato di Seneca il filosofo, dice ch'io passando daesso a Plinio il vecchio, uso queste parole: assai diversofu il carattere e il tenore di vita di Caio Plinio Secondo,detto il Vecchio. E queste son veramente mie parole. Mache? Il sig. ab. Lampillas sdegnasi per esse meco, e qua-si quasi mi accusa al tribunale dell'Inquisizione. "Di-mando io, dic'egli, può dirsi utile ed opportuno a' tempinostri il cercar tutte le congetture, per far credere che fuun uomo bruttato di tutti i vizj un Filosofo, che scrissealtamente della Divinità e della Provvidenza, qual fu Se-neca; e in confronto suo voler far credere di un carattereonestissimo e virtuoso un derisore della Divina Provvi-denza, un combattitore dell'immortalità dell'anima, qualfu C. Plinio"? Ma di grazia, ove mai ho io scritto chePlinio il vecchio fosse un uomo di carattere onestissimoe virtuoso? Legga e rilegga il sig. ab. Lampillas tutto ilpasso in cui io ne ragiono; e s'ei vi trova queste, o somi-glianti parole, io mi do vinto. Io dico, è vero, che Pliniofu di carattere, ed ebbe un tenor di vita assai diverso da

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quel di Seneca; ed è vero ch'io ho creduto, e credo tutto-ra, che Seneca fosse un uomo vizioso, e un solenne ipo-crita. Ma ne siegue egli perciò, che se Plinio fu di carat-tere assai diverso da Seneca fosse un uom di carattereonestissimo e virtuoso? Non posson forse trovarsi due, opiù uomini tutti viziosi, e tutti di carattere l'un dall'altrodiverso? Se Seneca fu un ipocrita, se Plinio fu un ateolibertino, non furon essi di carattere assai diverso? E ilcarattere non abbraccia forse ugualmente e l'indole na-turale, e il tenor di vita, e il talento e lo studio e i costu-mi e più altre relazioni? Con qual fondamento dunqueafferma il sig. ab. Lampillas, che io dipingo Plinio ilvecchio come uomo di carattere onestissimo e virtuoso?

Dico in secondo luogo che il sig. ab. Lampillas mi ac-cusa di aver dissimulate cose ch'io non ho in alcunmodo dissimulate. Udire com'ei mi rimprovera di averaspramente trattato Lucano (par. 1, p. 264): "Se Lucanoavesse avuta la sorte di nascer sotto il Cielo privilegiatod'Italia, trovato avrebbe l'Abate Tiraboschi nella giovineetà, in cui compose la Farsalia, ragion potentissima,onde scusare i difetti, che si scuoprono in questo Poema,ed ammirare le molte bellezze, che gl'imparziali vi am-mirano". Voi crederete ch'io non abbia punto accennatala giovanile età di Lucano, e i pregi di cui questo poetafu adorno. Ma aprite di grazia la mia Storia (t. 2, p. 70)e leggete: "Nè voglio già io negare che Lucano fossepoeta di grande ingegno; che anzi ne' difetti che noi veg-giamo in lui, non cade, se non chi abbia ingegno vivace

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quel di Seneca; ed è vero ch'io ho creduto, e credo tutto-ra, che Seneca fosse un uomo vizioso, e un solenne ipo-crita. Ma ne siegue egli perciò, che se Plinio fu di carat-tere assai diverso da Seneca fosse un uom di carattereonestissimo e virtuoso? Non posson forse trovarsi due, opiù uomini tutti viziosi, e tutti di carattere l'un dall'altrodiverso? Se Seneca fu un ipocrita, se Plinio fu un ateolibertino, non furon essi di carattere assai diverso? E ilcarattere non abbraccia forse ugualmente e l'indole na-turale, e il tenor di vita, e il talento e lo studio e i costu-mi e più altre relazioni? Con qual fondamento dunqueafferma il sig. ab. Lampillas, che io dipingo Plinio ilvecchio come uomo di carattere onestissimo e virtuoso?

Dico in secondo luogo che il sig. ab. Lampillas mi ac-cusa di aver dissimulate cose ch'io non ho in alcunmodo dissimulate. Udire com'ei mi rimprovera di averaspramente trattato Lucano (par. 1, p. 264): "Se Lucanoavesse avuta la sorte di nascer sotto il Cielo privilegiatod'Italia, trovato avrebbe l'Abate Tiraboschi nella giovineetà, in cui compose la Farsalia, ragion potentissima,onde scusare i difetti, che si scuoprono in questo Poema,ed ammirare le molte bellezze, che gl'imparziali vi am-mirano". Voi crederete ch'io non abbia punto accennatala giovanile età di Lucano, e i pregi di cui questo poetafu adorno. Ma aprite di grazia la mia Storia (t. 2, p. 70)e leggete: "Nè voglio già io negare che Lucano fossepoeta di grande ingegno; che anzi ne' difetti che noi veg-giamo in lui, non cade, se non chi abbia ingegno vivace

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e fervida fantasia. Ma oltrechè egli era in età giovaniletroppo e immatura per ordire e condurre felicemente unpoema, avvenne a lui prima che ad ogni altro (in ciò ch'èpoema epico) quello che avvenir suole a' poeti, ec.". Po-teva io toccare più chiaramente ciò che il sig. ab. Lam-pillas si duole ch'io non abbia toccato? E qui di passag-gio osservate ch'egli mena un gran rumore, perchè io hodetto che Lucano fu il primo a distogliersi dal buonsentiero, e non bada, o finge di non aver badato allaspiegazione che di queste parole ho data nel passo soprarecato, cioè in ciò ch'è poema epico.

Mi accusa innoltre il sig. ab. Lampillas, perchè io nonho dato luogo nella mia Storia ad alcuni dotti Spagnuoliche vissero lungamente in Roma a' tempi di Augusto, enelle età susseguenti. E primieramente ei si duole ch'ionon abbia nominato Cornelio Balbo (par. 2, p. 29); ed èvero ch'io non ho fatta menzione, come pure tanti altrianche Italiani ho passati sotto silenzio, perchè non ci èrimasta alcuna loro opera. Ma non così mi può egli rim-proverare ch'io abbia dimenticato Igino. Al leggere ciòche ne dice il sig. ab. Lampillas, par ch'io non abbialopur nominato. "Dovea certamente, dic'egli (par. 2, p.38), sperar tutt'altro un Bibliotecario d'Augusto, che ve-dersi dimenticato in una Storia de' Letterati di quel seco-lo.... Privollo però di questo onore il paese in cui nac-que, come già aveva reso indegno il gran Cornelio Bal-bo.... il detto Autore crede non dover nemmeno far men-zione d'Igino, perchè ei fu Spagnuolo...... come mai non

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e fervida fantasia. Ma oltrechè egli era in età giovaniletroppo e immatura per ordire e condurre felicemente unpoema, avvenne a lui prima che ad ogni altro (in ciò ch'èpoema epico) quello che avvenir suole a' poeti, ec.". Po-teva io toccare più chiaramente ciò che il sig. ab. Lam-pillas si duole ch'io non abbia toccato? E qui di passag-gio osservate ch'egli mena un gran rumore, perchè io hodetto che Lucano fu il primo a distogliersi dal buonsentiero, e non bada, o finge di non aver badato allaspiegazione che di queste parole ho data nel passo soprarecato, cioè in ciò ch'è poema epico.

Mi accusa innoltre il sig. ab. Lampillas, perchè io nonho dato luogo nella mia Storia ad alcuni dotti Spagnuoliche vissero lungamente in Roma a' tempi di Augusto, enelle età susseguenti. E primieramente ei si duole ch'ionon abbia nominato Cornelio Balbo (par. 2, p. 29); ed èvero ch'io non ho fatta menzione, come pure tanti altrianche Italiani ho passati sotto silenzio, perchè non ci èrimasta alcuna loro opera. Ma non così mi può egli rim-proverare ch'io abbia dimenticato Igino. Al leggere ciòche ne dice il sig. ab. Lampillas, par ch'io non abbialopur nominato. "Dovea certamente, dic'egli (par. 2, p.38), sperar tutt'altro un Bibliotecario d'Augusto, che ve-dersi dimenticato in una Storia de' Letterati di quel seco-lo.... Privollo però di questo onore il paese in cui nac-que, come già aveva reso indegno il gran Cornelio Bal-bo.... il detto Autore crede non dover nemmeno far men-zione d'Igino, perchè ei fu Spagnuolo...... come mai non

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crede, che sia a lui lecito il far menzione d'Igino?" Ecosì segue ripetendo più volte stucchevolmente la stessacosa. Ma non ne ho io forse parlato, e non in un solo,ma in due passi della mia Storia? Vidersi anche, così iodico parlando de' gramatici (t. 1, p. 340), "alcuni di essisollevati a onorevoli impieghi, come Caio Giulio Igino eCaio Melisso, a' quali fu da Augusto data la cura dellesue biblioteche. Ove vuolsi di passaggio riflettere che leopere che abbiam sotto il nome d'Igino, gli son suppo-ste, come comunemente si crede". E altrove parlando de'bibliotecarj d'Augusto (p. 362): "Il secondo è Caio Giu-lio Igino liberto d'Augusto, uomo nelle antichità versa-tissimo, di cui pur dice Svetonio che fu prefetto dellapalatina biblioteca". È vero che dopo le parole del primotratto, poc'anzi recate, io soggiungo: "ancorchè fosseroda lui scritte, e non è qui a farne menzione, poichè se-condo alcuni ei fu spagnuolo, secondo altri alessandri-no". Ma ciò è conforme al metodo da me prescrittomi;cioè di non ragionare se non di passaggio degli stranieriche vissero in Roma, trattine alcuni pochi de' quali è piùchiara la fama. Perchè dunque menar tanto rumore,come se io per odio alla nazione spagnuola avessi taciu-to il nome d'Igino?

Piacevole poi l'accusa che mi dà il sig. ab. Lampillas(par. 2, p. 77, ec.), rimproverandomi ch'io non dico chefossero spagnuoli gl'imperatori Traiano, Adriano e Teo-dosio, e dissimulo con ciò la gloria che alla Spagna ver-rebbe dall'essere stata madre di così illustri Sovrani.

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crede, che sia a lui lecito il far menzione d'Igino?" Ecosì segue ripetendo più volte stucchevolmente la stessacosa. Ma non ne ho io forse parlato, e non in un solo,ma in due passi della mia Storia? Vidersi anche, così iodico parlando de' gramatici (t. 1, p. 340), "alcuni di essisollevati a onorevoli impieghi, come Caio Giulio Igino eCaio Melisso, a' quali fu da Augusto data la cura dellesue biblioteche. Ove vuolsi di passaggio riflettere che leopere che abbiam sotto il nome d'Igino, gli son suppo-ste, come comunemente si crede". E altrove parlando de'bibliotecarj d'Augusto (p. 362): "Il secondo è Caio Giu-lio Igino liberto d'Augusto, uomo nelle antichità versa-tissimo, di cui pur dice Svetonio che fu prefetto dellapalatina biblioteca". È vero che dopo le parole del primotratto, poc'anzi recate, io soggiungo: "ancorchè fosseroda lui scritte, e non è qui a farne menzione, poichè se-condo alcuni ei fu spagnuolo, secondo altri alessandri-no". Ma ciò è conforme al metodo da me prescrittomi;cioè di non ragionare se non di passaggio degli stranieriche vissero in Roma, trattine alcuni pochi de' quali è piùchiara la fama. Perchè dunque menar tanto rumore,come se io per odio alla nazione spagnuola avessi taciu-to il nome d'Igino?

Piacevole poi l'accusa che mi dà il sig. ab. Lampillas(par. 2, p. 77, ec.), rimproverandomi ch'io non dico chefossero spagnuoli gl'imperatori Traiano, Adriano e Teo-dosio, e dissimulo con ciò la gloria che alla Spagna ver-rebbe dall'essere stata madre di così illustri Sovrani.

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Che dite, amico mio, di una tale fanciullaggine? che conaltro nome non saprei io chiamarla. Io sto a vedere chegli abitanti dell'antica Pannonia si dorranno di me, per-chè io non ho detto che delle lor contrade fosse natiol'imp. Valentino I, di cui pure ho parlato con lode. Il piùleggiadro si è ch'ei passa poscia a difendere Adriano daalcune tacce ch'io gli ho date, e a mostrare che Teodosiofu più benemerito delle belle lettere, ch'io non ho detto.Ma almeno perchè non sapermi grado, se non volendoio lodar molto quegl'imperadori, ho dissimulato per glo-ria della nazione ch'essi fossero spagnuoli? Se però è ri-dicola l'accusa ch'egli mi dà di aver io dissimulata la pa-tria di que' tre imperadori, almeno ella è vera. Ma ch'egliposcia soggiunga: L'istessa condotta si osserva dal det-to Autore, dove parla del grande Alfonso Re di Napoli:come può egli scusarlo? Lo stesso nome di Alfonsod'Aragona, con cui io l'appello (t. 6, par. 1), non pruovaabbastanza ch'egli era spagnuolo? E non l'ho io detto al-trove (ivi) anche più chiaramente Alfonso re d'Aragona?E i grandi encomj che io ho fatti di quel illustre sovrano,non bastano essi a mostrare ch'io sono ben lungi da que'puerili pregiudizj che il sig. ab. Lampillas mi attribui-sce?

Quanto più si avanza nella sua opera il sig. ab. Lam-pillas, tanto più sembra che gli si annebbino gli occhi,per non vedere nella mia Storia ciò che pur vi si leggeda chiunque sa leggere. Egli dopo aver confutate lepruove colle quali io ho procurato di dimostrare che

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Che dite, amico mio, di una tale fanciullaggine? che conaltro nome non saprei io chiamarla. Io sto a vedere chegli abitanti dell'antica Pannonia si dorranno di me, per-chè io non ho detto che delle lor contrade fosse natiol'imp. Valentino I, di cui pure ho parlato con lode. Il piùleggiadro si è ch'ei passa poscia a difendere Adriano daalcune tacce ch'io gli ho date, e a mostrare che Teodosiofu più benemerito delle belle lettere, ch'io non ho detto.Ma almeno perchè non sapermi grado, se non volendoio lodar molto quegl'imperadori, ho dissimulato per glo-ria della nazione ch'essi fossero spagnuoli? Se però è ri-dicola l'accusa ch'egli mi dà di aver io dissimulata la pa-tria di que' tre imperadori, almeno ella è vera. Ma ch'egliposcia soggiunga: L'istessa condotta si osserva dal det-to Autore, dove parla del grande Alfonso Re di Napoli:come può egli scusarlo? Lo stesso nome di Alfonsod'Aragona, con cui io l'appello (t. 6, par. 1), non pruovaabbastanza ch'egli era spagnuolo? E non l'ho io detto al-trove (ivi) anche più chiaramente Alfonso re d'Aragona?E i grandi encomj che io ho fatti di quel illustre sovrano,non bastano essi a mostrare ch'io sono ben lungi da que'puerili pregiudizj che il sig. ab. Lampillas mi attribui-sce?

Quanto più si avanza nella sua opera il sig. ab. Lam-pillas, tanto più sembra che gli si annebbino gli occhi,per non vedere nella mia Storia ciò che pur vi si leggeda chiunque sa leggere. Egli dopo aver confutate lepruove colle quali io ho procurato di dimostrare che

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Gherando filosofo del secolo XII fu italiano, e non giàspagnuolo (nè è qui luogo di esaminare s'ei le confuti aragione) arreca diversi tratti ne' quali io ragiono del sa-pere di esso, e quindi conchiude (par. 2, p. 165): "chinon crederà leggendo questi bei tratti della Storia Lette-raria, che il gran Gherardo fosse un celebre Filosofo Ita-liano che arricchito in Italia con ogni genere di Filosofi-che cognizioni, passò in Ispagna a far conoscere il suovalore, e che spargendo copiosi lumi di dottrina dissipòle tenebre, che per molti secoli aveano ingombrato quelRegno? Eppure bisogna sapere, che Gherardo nel caso,che sia stato Cremonese, fu un Italiano, che sul princi-pio del secolo XII desideroso di coltivare gli studi Filo-sofici e vedendo che questi giacevano dimenticati in Ita-lia per la mancanza de' libri degli antichi Filosofi, e sa-pendo, che fra gli Arabi di Spagna già da tre secoli fiori-vano felicemente la Filosofia, la Matematica, la Medici-na, che là trovavansi in gran copia i libri più pregevolidi queste scienze, recossi a Toledo, dove fatto discepolode' maestri Spagnuoli, ed appresa la lingua Arabica chein que' tempi era la lingua Filosofica, recò in Latinomolti libri degli Spagnuoli, ed altri de' Greci, che gliSpagnuoli recato aveano nella lor lingua. Tutto il valoredi Gherardo si fè conoscere in queste traduzioni, senzache composta egli abbia opera alcuna appartenente adette Scienze". Chi non crederà, dirò io pure, leggendoquesto tratto del sig. ab. Lampillas, ch'io nulla abbia det-to di tutto ciò ch'ei va qui raccontando in lode della suaSpagna? Eppure bisogna sapere ch'io l'ho scritto e stam-

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Gherando filosofo del secolo XII fu italiano, e non giàspagnuolo (nè è qui luogo di esaminare s'ei le confuti aragione) arreca diversi tratti ne' quali io ragiono del sa-pere di esso, e quindi conchiude (par. 2, p. 165): "chinon crederà leggendo questi bei tratti della Storia Lette-raria, che il gran Gherardo fosse un celebre Filosofo Ita-liano che arricchito in Italia con ogni genere di Filosofi-che cognizioni, passò in Ispagna a far conoscere il suovalore, e che spargendo copiosi lumi di dottrina dissipòle tenebre, che per molti secoli aveano ingombrato quelRegno? Eppure bisogna sapere, che Gherardo nel caso,che sia stato Cremonese, fu un Italiano, che sul princi-pio del secolo XII desideroso di coltivare gli studi Filo-sofici e vedendo che questi giacevano dimenticati in Ita-lia per la mancanza de' libri degli antichi Filosofi, e sa-pendo, che fra gli Arabi di Spagna già da tre secoli fiori-vano felicemente la Filosofia, la Matematica, la Medici-na, che là trovavansi in gran copia i libri più pregevolidi queste scienze, recossi a Toledo, dove fatto discepolode' maestri Spagnuoli, ed appresa la lingua Arabica chein que' tempi era la lingua Filosofica, recò in Latinomolti libri degli Spagnuoli, ed altri de' Greci, che gliSpagnuoli recato aveano nella lor lingua. Tutto il valoredi Gherardo si fè conoscere in queste traduzioni, senzache composta egli abbia opera alcuna appartenente adette Scienze". Chi non crederà, dirò io pure, leggendoquesto tratto del sig. ab. Lampillas, ch'io nulla abbia det-to di tutto ciò ch'ei va qui raccontando in lode della suaSpagna? Eppure bisogna sapere ch'io l'ho scritto e stam-

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pato quasi colle stesse parole che qui egli usa. "I primistudj nondimeno, io dico (t. 3), furon da Gherardo fattiin Italia, come abbiamo udito affermarsi da FrancescoPipino; ma avendo egli osservato che assai rari erano inqueste provincie i libri degli antichi filosofi e matemati-ci, e sapendo che presso gli Arabi delle Spagne ven'avea gran copia, recossi a Toledo e appresa la linguaarabica, si accinse al faticoso esercizio di recare da quel-la lingua nella latina, ec.". E poco prima io aveva affer-mato che Gherardo dovette verisimilmente in gran partea Toledo i suoi studj e il suo sapere. Poteva io dire piùchiaramente ciò ch'ei mi accusa di avere dissimulato?

Nè solo egli non vede ciò che vede ognuno nella miaStoria, ma dimenticandosi di ciò che ha letto, dopo averaffermato ch'io dissimulo in essa qualche gloria degliSpagnuoli, reca egli stesso le mie parole con cui lorovolentieri l'attribuisco. Udite di grazia: "Per quanto, eidice (par. 2, p. 162), si mostri prevenuto contro la Spa-gnuola Letteratura il Sig. Abate Bettinelli, non perciòdissimula qualunque vantaggio recato dalla Spagna allaLetteratura Italiana, come fa il Sig. Abate Tiraboschi. Infatti dove si tratti degli studj di Filosofia, di Matematica,di Medicina dopo il mille, confessa l'Abate Bettinelli,doverli l'Italia agli Spagnuoli; non così l'Ab. Tiraboschi,anzi dispone in maniera la sua Storia, che compariscal'Italia la ristoratrice di tali studj in Europa, ed anche il-luminatrice della Spagna". Quindi passa a ragionar lun-gamente degli studj e delle Opere degli Arabi spagnuoli,

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pato quasi colle stesse parole che qui egli usa. "I primistudj nondimeno, io dico (t. 3), furon da Gherardo fattiin Italia, come abbiamo udito affermarsi da FrancescoPipino; ma avendo egli osservato che assai rari erano inqueste provincie i libri degli antichi filosofi e matemati-ci, e sapendo che presso gli Arabi delle Spagne ven'avea gran copia, recossi a Toledo e appresa la linguaarabica, si accinse al faticoso esercizio di recare da quel-la lingua nella latina, ec.". E poco prima io aveva affer-mato che Gherardo dovette verisimilmente in gran partea Toledo i suoi studj e il suo sapere. Poteva io dire piùchiaramente ciò ch'ei mi accusa di avere dissimulato?

Nè solo egli non vede ciò che vede ognuno nella miaStoria, ma dimenticandosi di ciò che ha letto, dopo averaffermato ch'io dissimulo in essa qualche gloria degliSpagnuoli, reca egli stesso le mie parole con cui lorovolentieri l'attribuisco. Udite di grazia: "Per quanto, eidice (par. 2, p. 162), si mostri prevenuto contro la Spa-gnuola Letteratura il Sig. Abate Bettinelli, non perciòdissimula qualunque vantaggio recato dalla Spagna allaLetteratura Italiana, come fa il Sig. Abate Tiraboschi. Infatti dove si tratti degli studj di Filosofia, di Matematica,di Medicina dopo il mille, confessa l'Abate Bettinelli,doverli l'Italia agli Spagnuoli; non così l'Ab. Tiraboschi,anzi dispone in maniera la sua Storia, che compariscal'Italia la ristoratrice di tali studj in Europa, ed anche il-luminatrice della Spagna". Quindi passa a ragionar lun-gamente degli studj e delle Opere degli Arabi spagnuoli,

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per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quella na-zione. Ma il credereste voi mai? Per dimostrarlo, oltre ipassi dell'ab. Bettinelli, ei reca ancora diversi passi diquell'ab. Tiraboschi che "dissimula qualunque vantaggiorecato dalla Spagna alla Letteratura Italiana, e che di-spone in maniera la sua Storia, che comparisca l'Italia il-luminatrice della Spagna". E cita le parole (p. 169) nellequali io confesso che a que' tempi era tra noi sconosciu-ta e dimenticata la filosofia, e ch'ella fioriva felicementetra gli Arabi della Spagna. Se io affermo tai cose, comechiaramente le affermo per testimonianza del sig. abateLampillas, come può egli accusarmi ch'io abbia in que-sto punto medesimo dissimulate le glorie letterarie de'suoi Arabi spagnuoli?

Io lascio in disparte la ridicola accusa ch'egli mi dà(par. 2, p. 196) di non aver detto che s. Domenico fossespagnuolo. Chi v'ha che nol sappia? Oltre di che io hofatto un breve elogio, ma tale di cui spero ch'essi nonsieno mal soddisfatti de' due Ordini de' Predicatori e de'Minori (t. 4), e l'elogio degli Ordini ridonda in lode de'lor fondatori. Io non dico che s. Domenico fosse spa-gnuolo; ma dico forse s. Francesco fosse italiano? Anziivi io non nomino pure que' due santi, perchè parlo dicosa nota perfino alla più ignobile plebe. Chi mai avreb-be creduto che dovesse trovarsi un ab. Lampillas che diciò mi facesse un reato?

Ma questa non è finalmente che una puerilità in cuimi vergogno di trattenermi. Non così un'altra accusa

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per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quella na-zione. Ma il credereste voi mai? Per dimostrarlo, oltre ipassi dell'ab. Bettinelli, ei reca ancora diversi passi diquell'ab. Tiraboschi che "dissimula qualunque vantaggiorecato dalla Spagna alla Letteratura Italiana, e che di-spone in maniera la sua Storia, che comparisca l'Italia il-luminatrice della Spagna". E cita le parole (p. 169) nellequali io confesso che a que' tempi era tra noi sconosciu-ta e dimenticata la filosofia, e ch'ella fioriva felicementetra gli Arabi della Spagna. Se io affermo tai cose, comechiaramente le affermo per testimonianza del sig. abateLampillas, come può egli accusarmi ch'io abbia in que-sto punto medesimo dissimulate le glorie letterarie de'suoi Arabi spagnuoli?

Io lascio in disparte la ridicola accusa ch'egli mi dà(par. 2, p. 196) di non aver detto che s. Domenico fossespagnuolo. Chi v'ha che nol sappia? Oltre di che io hofatto un breve elogio, ma tale di cui spero ch'essi nonsieno mal soddisfatti de' due Ordini de' Predicatori e de'Minori (t. 4), e l'elogio degli Ordini ridonda in lode de'lor fondatori. Io non dico che s. Domenico fosse spa-gnuolo; ma dico forse s. Francesco fosse italiano? Anziivi io non nomino pure que' due santi, perchè parlo dicosa nota perfino alla più ignobile plebe. Chi mai avreb-be creduto che dovesse trovarsi un ab. Lampillas che diciò mi facesse un reato?

Ma questa non è finalmente che una puerilità in cuimi vergogno di trattenermi. Non così un'altra accusa

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ch'egli mi dà, di non aver fatta menzione nella mia Sto-ria del celebre card. Albornoz spagnuolo, e del moltoche a lui dee l'Italia; perciocchè qui di nuovo io debbolamentarmi della mala fede del sig. ab. Lampillas, e far-ne solenne doglianza in faccia a tutto il mondo: "In que-sto luogo, dice (par. 2, p. 202), non posso non fare unamorevol lamento con l'Ab. Tiraboschi, e molto piùcoll'Ab. Bettinelli; imperciocchè dove ci dipingono lostato dell'Italia nel secolo 14. oppresso e tiranneggiatoda tanti prepotenti, non si degnano nemmeno di nomina-re il gran Cardinale Egidio d'Albornoz, che a costod'immense fatiche liberò gran parte d'essa dall'oppres-sione di quei Tiranni, ed assicurò alla Romana Chiesal'antico Patrimonio". Quindi dopo avere rammentate legrandi imprese di quel celebre cardinale, e ripetuto piùvolte ch'io dovea pure farne menzione, e dopo aver dettoche da me è stata "dimenticata la memoria del celebreAlbornoz, conchiude (p. 206): Questa disgrazia però ècomune al nostro Cardinale con tant'altri celebri Spa-gnuoli benemeriti dell'italiana Letteratura, i quali comeabbiam visto vengono dimenticati dall'Autore della Sto-ria Letteraria, mentre aveano tutto il diritto alla più ono-revol memoria". S'io qui levassi alto la voce, e chiedessisoddisfazione contro la calunnia che mi si appone, nonne avrei io tutto il diritto? Come? Io non mi son degnatodi nominare il card. Albornoz? Io ne ho dimenticata lamemoria? Ma non ho io impiegata quasi una pagina (t.5) in ragionarne? Non ho io detto che "ad accrescer lafama dell'università di Bologna dovette giovar non poco

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ch'egli mi dà, di non aver fatta menzione nella mia Sto-ria del celebre card. Albornoz spagnuolo, e del moltoche a lui dee l'Italia; perciocchè qui di nuovo io debbolamentarmi della mala fede del sig. ab. Lampillas, e far-ne solenne doglianza in faccia a tutto il mondo: "In que-sto luogo, dice (par. 2, p. 202), non posso non fare unamorevol lamento con l'Ab. Tiraboschi, e molto piùcoll'Ab. Bettinelli; imperciocchè dove ci dipingono lostato dell'Italia nel secolo 14. oppresso e tiranneggiatoda tanti prepotenti, non si degnano nemmeno di nomina-re il gran Cardinale Egidio d'Albornoz, che a costod'immense fatiche liberò gran parte d'essa dall'oppres-sione di quei Tiranni, ed assicurò alla Romana Chiesal'antico Patrimonio". Quindi dopo avere rammentate legrandi imprese di quel celebre cardinale, e ripetuto piùvolte ch'io dovea pure farne menzione, e dopo aver dettoche da me è stata "dimenticata la memoria del celebreAlbornoz, conchiude (p. 206): Questa disgrazia però ècomune al nostro Cardinale con tant'altri celebri Spa-gnuoli benemeriti dell'italiana Letteratura, i quali comeabbiam visto vengono dimenticati dall'Autore della Sto-ria Letteraria, mentre aveano tutto il diritto alla più ono-revol memoria". S'io qui levassi alto la voce, e chiedessisoddisfazione contro la calunnia che mi si appone, nonne avrei io tutto il diritto? Come? Io non mi son degnatodi nominare il card. Albornoz? Io ne ho dimenticata lamemoria? Ma non ho io impiegata quasi una pagina (t.5) in ragionarne? Non ho io detto che "ad accrescer lafama dell'università di Bologna dovette giovar non poco

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la fondazione del collegio degli Spagnuoli, che in quellacittà tuttavia sussiste, ordinata nel suo testamento dalcard. Egidio Albornoz"? Non ho io poi narrata più a lun-go la fondazione di quel collegio, e la magnificenza concui essa fu fatta? Non ho io recitato il bellissimo elogioche di quel gran cardinale ci ha lasciato l'antica Cronacadi Bologna col dire: "Fece comunemente ad ogni uomodi Bologna gran male della sua morte, imperciocchèesso era stato un grande e prudente uomo, savio e gran-de amico degli uomini di Bologna, e fu quegli, che cicavò dalle mani di quello di Milano con gran sudore efatica. E per certo non si potrebbe scrivere a pieno quel-lo che meriterebbe l'onor suo"? Non ho io concluso ilpasso, in cui ragiono del collegio da lui fondato conquesto elogio della nazione spagnuola: "Così alla nazio-ne spagnuola, che fin dal secolo precedente avea a que-sta università inviati alunni e professori di non ordinariafama, si agevolò sempre meglio la via per frequentarequeste celebri scuole"? E dopo ciò, poteva io aspettarmidi vedermi citato in giudizio per avere dimenticato ilcard. Albornoz?

Dico in un terzo luogo, che il sig. ab. Lampillas dissi-mula più cose che fanno in mio favore, e distruggonl'accusa che ei mi ha intentata, sì perchè egli tutto inten-to a raccogliere ciò ch'io ho scritto contro alcuni autorispagnuoli, non riflette che colla medesima libertà io hoscritto contro alcuni autori italiani, sì perchè ei non sicompiace di rilevare non pochi tratti della mia Storia,

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la fondazione del collegio degli Spagnuoli, che in quellacittà tuttavia sussiste, ordinata nel suo testamento dalcard. Egidio Albornoz"? Non ho io poi narrata più a lun-go la fondazione di quel collegio, e la magnificenza concui essa fu fatta? Non ho io recitato il bellissimo elogioche di quel gran cardinale ci ha lasciato l'antica Cronacadi Bologna col dire: "Fece comunemente ad ogni uomodi Bologna gran male della sua morte, imperciocchèesso era stato un grande e prudente uomo, savio e gran-de amico degli uomini di Bologna, e fu quegli, che cicavò dalle mani di quello di Milano con gran sudore efatica. E per certo non si potrebbe scrivere a pieno quel-lo che meriterebbe l'onor suo"? Non ho io concluso ilpasso, in cui ragiono del collegio da lui fondato conquesto elogio della nazione spagnuola: "Così alla nazio-ne spagnuola, che fin dal secolo precedente avea a que-sta università inviati alunni e professori di non ordinariafama, si agevolò sempre meglio la via per frequentarequeste celebri scuole"? E dopo ciò, poteva io aspettarmidi vedermi citato in giudizio per avere dimenticato ilcard. Albornoz?

Dico in un terzo luogo, che il sig. ab. Lampillas dissi-mula più cose che fanno in mio favore, e distruggonl'accusa che ei mi ha intentata, sì perchè egli tutto inten-to a raccogliere ciò ch'io ho scritto contro alcuni autorispagnuoli, non riflette che colla medesima libertà io hoscritto contro alcuni autori italiani, sì perchè ei non sicompiace di rilevare non pochi tratti della mia Storia,

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che alla Spagna e agli scrittori spagnuoli sono assai ono-revoli.

Ho biasimato lo stil di Lucano, e ciò, secondo l'ab.Lampillas, perchè Lucano fu spagnuolo, e per lo stessofine io ho parlato mal di Marziale. Ma son essi forse isoli poeti de' quali io abbia ripreso lo stile? Io ho purdetto, parlando di Valerio Flacco italiano (t. 2), "che achiunque dalla lettura di Virgilio passa a quella di Vale-rio Flacco, sembra di passare da un colto e ameno giar-dino a uno sterile e arenoso deserto"; anzi io ho antipo-sto Lucano allo stesso Valerio Flacco, soggiungendo:"Nè io penso che questo poeta debba aver luogo traquelli che per volersi spinger troppo oltre, abusarno delloro disegno, come Lucano, ma sì tra quelli che a dispet-to della natura vollero esser poeti". Io ho pur detto diStazio, che (ivi) "giganteggia egli pure, e di ogni piccio-la arena forma, per così dire, un altissimo monte. Affet-to, soavità dolcezza son pregi a lui ignoti; tutto è sovra-grande presso di lui e mostruoso, oltre il difetto di averseguito il metodo di narratore anzichè di poeta". Io hopur detto (ivi) che in Silio (il quale dal sig. ab. Lampil-las si dice francamente spagnuolo (par. 1, p. 245), senzach'ei neppure si degni di accennar le contrarie ragioniper le quali l'ho creduto italiano) vedesi una languidezzaspossata, e un continuo, ma impotente sforzo a levarsiin alto. Io ho pur detto (ivi) che Persio è viziosamenteoscuro. Perchè dunque accusarmi di avere per forza dipregiudizj ripreso lo stile di Lucano e di Marziale, per-

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che alla Spagna e agli scrittori spagnuoli sono assai ono-revoli.

Ho biasimato lo stil di Lucano, e ciò, secondo l'ab.Lampillas, perchè Lucano fu spagnuolo, e per lo stessofine io ho parlato mal di Marziale. Ma son essi forse isoli poeti de' quali io abbia ripreso lo stile? Io ho purdetto, parlando di Valerio Flacco italiano (t. 2), "che achiunque dalla lettura di Virgilio passa a quella di Vale-rio Flacco, sembra di passare da un colto e ameno giar-dino a uno sterile e arenoso deserto"; anzi io ho antipo-sto Lucano allo stesso Valerio Flacco, soggiungendo:"Nè io penso che questo poeta debba aver luogo traquelli che per volersi spinger troppo oltre, abusarno delloro disegno, come Lucano, ma sì tra quelli che a dispet-to della natura vollero esser poeti". Io ho pur detto diStazio, che (ivi) "giganteggia egli pure, e di ogni piccio-la arena forma, per così dire, un altissimo monte. Affet-to, soavità dolcezza son pregi a lui ignoti; tutto è sovra-grande presso di lui e mostruoso, oltre il difetto di averseguito il metodo di narratore anzichè di poeta". Io hopur detto (ivi) che in Silio (il quale dal sig. ab. Lampil-las si dice francamente spagnuolo (par. 1, p. 245), senzach'ei neppure si degni di accennar le contrarie ragioniper le quali l'ho creduto italiano) vedesi una languidezzaspossata, e un continuo, ma impotente sforzo a levarsiin alto. Io ho pur detto (ivi) che Persio è viziosamenteoscuro. Perchè dunque accusarmi di avere per forza dipregiudizj ripreso lo stile di Lucano e di Marziale, per-

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chè furono spagnuoli, mentre colla medesima libertà hobiasimato lo stile di quegli Italiani che mi son sembratidegni di biasimo?

Non ho parlato nella mia Storia di alcuni scrittori spa-gnuoli che vissero per alcun tempo in Italia. Ma ho an-che lasciato di parlare per la stessa ragione di molti fran-cesi e di altre nazioni. Ho procurato di dimostrare chealcuni scrittori, i quali dagli Spagnuoli sono annoveratitra' loro furon veramente italiani. Io non voglio ora rien-trare in disputa, nè esaminare se le mie ragioni sien piùforti delle contrarie che adduce il sig. ab. Lampillas. Maperchè mi accusa egli di aver fatto quasi per odio controla Spagna? S'ei dicesse ch'io mostro in ciò troppo par-zial per l'Italia, direbbe cosa di cui io non potrei offen-dermi ragionevolmente. Ma con qual fondamento mi ac-cusa egli di avversione al nome spagnuolo? Non son iovenuto a contesa cogli scrittori francesi, e singolarmenteco' dotti Maurini, e coll'ab. Longchamps, assai più spes-so che cogli spagnuoli, per rivendicare all'Italia moltiuomini dotti ch'essi cercato aveano di rapirle? Non ho iomostrato che Plozio Gallo (t. 1, pref.), Cornelio Gallo,Giulio Montano e Senzio Angurino, Germanico, Fronto-ne Cornelio, Giulio Tiziano, il retore Palladio e più altrisono stati senza buona ragione annoverati da' Francesitra' loro scrittori? Perchè adunque attribuirmi uno sfavo-revole pregiudizio a riguardo degli Spagnuoli, ove tuttala condotta e la serie della mia Storia chiaramente dimo-stra ch'io non ho altro fine che di sostenere la gloria del

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chè furono spagnuoli, mentre colla medesima libertà hobiasimato lo stile di quegli Italiani che mi son sembratidegni di biasimo?

Non ho parlato nella mia Storia di alcuni scrittori spa-gnuoli che vissero per alcun tempo in Italia. Ma ho an-che lasciato di parlare per la stessa ragione di molti fran-cesi e di altre nazioni. Ho procurato di dimostrare chealcuni scrittori, i quali dagli Spagnuoli sono annoveratitra' loro furon veramente italiani. Io non voglio ora rien-trare in disputa, nè esaminare se le mie ragioni sien piùforti delle contrarie che adduce il sig. ab. Lampillas. Maperchè mi accusa egli di aver fatto quasi per odio controla Spagna? S'ei dicesse ch'io mostro in ciò troppo par-zial per l'Italia, direbbe cosa di cui io non potrei offen-dermi ragionevolmente. Ma con qual fondamento mi ac-cusa egli di avversione al nome spagnuolo? Non son iovenuto a contesa cogli scrittori francesi, e singolarmenteco' dotti Maurini, e coll'ab. Longchamps, assai più spes-so che cogli spagnuoli, per rivendicare all'Italia moltiuomini dotti ch'essi cercato aveano di rapirle? Non ho iomostrato che Plozio Gallo (t. 1, pref.), Cornelio Gallo,Giulio Montano e Senzio Angurino, Germanico, Fronto-ne Cornelio, Giulio Tiziano, il retore Palladio e più altrisono stati senza buona ragione annoverati da' Francesitra' loro scrittori? Perchè adunque attribuirmi uno sfavo-revole pregiudizio a riguardo degli Spagnuoli, ove tuttala condotta e la serie della mia Storia chiaramente dimo-stra ch'io non ho altro fine che di sostenere la gloria del

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Page 306: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

nome italiano contro coloro, chiunque e di qualunquenazione essi siano, che se ne mostrano invidiosi, o nimi-ci?

Ma che dirò io del dissimulare che fa il sig. Lampillasle molte cose ch'io ho scritte in lode di alcuni autori spa-gnuoli? Io son certo che un saggio ed imparzial giudicesi stupirà come abbia egli potuto accusarmi qual dichia-rato nimico della letteraria gloria della sua nazione. Ioho ripreso lo stil di Seneca, io l'ho annoverato tra' piùdannosi corrompitori dell'eloquenza, io l'ho anche de-scritto come un ipocrita e un impostore. Ma non ho ioancor detto che "qualunque fosse (t. 2) l'animo e il co-stume di Seneca, egli è certo che le Opere morali che dilui abbiamo, son piene di savissimi ed utilissimi am-maestramenti, e tali in gran parte, che anche a cristianoscrittore non mal converrebbono"? E non ho io fatto unmagnifico elogio del molto saper di Seneca nelle qui-stioni di fisica? Permettetemi ch'io vi rechi qui questopasso, perchè veggiate quanto io mi sia steso nelle lodiquesto filosofo: "Nè la morale soltanto", così io dicopoco dopo le citate parole, "ma la fisica ancora dee mol-to a Seneca. In molte occasioni veggiamo ch'egli col pe-netrante ingegno, di cui fu certamente dotato, e col lun-go studio era giunto a vedere, direi quasi, da lungi quel-le verità medesime che i moderni filosofi hanno posciapiù chiaramente scoperte, e confermate colle sperienze.Così egli ragiona della gravità dell'aria, e della forza,che noi or diciamo elastica, con cui essa or si addensa,

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nome italiano contro coloro, chiunque e di qualunquenazione essi siano, che se ne mostrano invidiosi, o nimi-ci?

Ma che dirò io del dissimulare che fa il sig. Lampillasle molte cose ch'io ho scritte in lode di alcuni autori spa-gnuoli? Io son certo che un saggio ed imparzial giudicesi stupirà come abbia egli potuto accusarmi qual dichia-rato nimico della letteraria gloria della sua nazione. Ioho ripreso lo stil di Seneca, io l'ho annoverato tra' piùdannosi corrompitori dell'eloquenza, io l'ho anche de-scritto come un ipocrita e un impostore. Ma non ho ioancor detto che "qualunque fosse (t. 2) l'animo e il co-stume di Seneca, egli è certo che le Opere morali che dilui abbiamo, son piene di savissimi ed utilissimi am-maestramenti, e tali in gran parte, che anche a cristianoscrittore non mal converrebbono"? E non ho io fatto unmagnifico elogio del molto saper di Seneca nelle qui-stioni di fisica? Permettetemi ch'io vi rechi qui questopasso, perchè veggiate quanto io mi sia steso nelle lodiquesto filosofo: "Nè la morale soltanto", così io dicopoco dopo le citate parole, "ma la fisica ancora dee mol-to a Seneca. In molte occasioni veggiamo ch'egli col pe-netrante ingegno, di cui fu certamente dotato, e col lun-go studio era giunto a vedere, direi quasi, da lungi quel-le verità medesime che i moderni filosofi hanno posciapiù chiaramente scoperte, e confermate colle sperienze.Così egli ragiona della gravità dell'aria, e della forza,che noi or diciamo elastica, con cui essa or si addensa,

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ed or si dirada: "Ex his gravitatem æris fieri... habetergo aliquam vim talem aer, et ideo modo spissat se,modo expandit et purgat, alias contrahit, alias diducit,ac differt." Così parimente egli recò la cagion vera de'tremuoti, cioè i fuochi sotterranei che accendonsi, e fa-cendo forza a dilatarsi, se trovan contrasto urtano impe-tuosamente e scuotono ogni cosa. Così ancora egli spie-ga per qual maniera l'acqua del mare insinuandosi perocculte vie sotterra si purga e si raddolcisce, e forma ifonti ed i fiumi. Così molte altre quistioni di fisica e diastronomia si veggon da Seneca, se non rischiarate,adombrate almeno per tal maniera, che si conoscech'egli fin d'allora in più cose o conobbe, o fu poco lun-gi dal conoscer il vero. Ma bello è singolarmente l'udirSeneca, ove ragiona delle comete, e stabilisce chiara-mente ch'esse hanno un certo e determinato corso, e chea tempi fissi si fanno vedere in cielo e svaniscono, e ri-tornan poscia con infallibili leggi; e predire insieme cheverrà un tempo, in cui queste cose medesime ch'egli nonpuò che oscuramente accennare, si porranno in più chia-ra luce; e che i posteri si stupiranno che i lor maggiorinon abbian conosciute cose tanto evidenti. Sulle qualifisiche cognizioni di Seneca veggasi singolarmentel'opera da noi altre volte lodata di m. Dutens". Or ditemiper vostra fede, anzi mi dica lo stesso abate Lampillas,se vi è scrittore spagnuolo che tanto abbia esaltato l'eru-dizione di Seneca in questa materia, quanto ho fatto io,nimico, secondo lui, delle glorie letterarie di quella na-zione. S'io fossi quel malizioso oscuratore della lettera-

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ed or si dirada: "Ex his gravitatem æris fieri... habetergo aliquam vim talem aer, et ideo modo spissat se,modo expandit et purgat, alias contrahit, alias diducit,ac differt." Così parimente egli recò la cagion vera de'tremuoti, cioè i fuochi sotterranei che accendonsi, e fa-cendo forza a dilatarsi, se trovan contrasto urtano impe-tuosamente e scuotono ogni cosa. Così ancora egli spie-ga per qual maniera l'acqua del mare insinuandosi perocculte vie sotterra si purga e si raddolcisce, e forma ifonti ed i fiumi. Così molte altre quistioni di fisica e diastronomia si veggon da Seneca, se non rischiarate,adombrate almeno per tal maniera, che si conoscech'egli fin d'allora in più cose o conobbe, o fu poco lun-gi dal conoscer il vero. Ma bello è singolarmente l'udirSeneca, ove ragiona delle comete, e stabilisce chiara-mente ch'esse hanno un certo e determinato corso, e chea tempi fissi si fanno vedere in cielo e svaniscono, e ri-tornan poscia con infallibili leggi; e predire insieme cheverrà un tempo, in cui queste cose medesime ch'egli nonpuò che oscuramente accennare, si porranno in più chia-ra luce; e che i posteri si stupiranno che i lor maggiorinon abbian conosciute cose tanto evidenti. Sulle qualifisiche cognizioni di Seneca veggasi singolarmentel'opera da noi altre volte lodata di m. Dutens". Or ditemiper vostra fede, anzi mi dica lo stesso abate Lampillas,se vi è scrittore spagnuolo che tanto abbia esaltato l'eru-dizione di Seneca in questa materia, quanto ho fatto io,nimico, secondo lui, delle glorie letterarie di quella na-zione. S'io fossi quel malizioso oscuratore della lettera-

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tura spagnuola, qual mi finge il sig. ab. Lampillas, misarei io steso tanto in queste lodi di Seneca? E non è ellaquesta una pruova evidente ch'io sono scrittor sincero;che lodo e biasimo in chiunque ciò che mi par degnod'essere lodato e biasimato; e che forse in tali giudizj ca-derò in errore per mancanza di buon gusto e di fino di-scernimento, ma non certo per alcuna rea premeditataintenzione?

Scorrete, di grazia, i tomi della mia Storia, e vedetecon quanta lode io parli di altri Spagnuoli, de' quali hocreduto che dovessi fare in essa menzione. Vedrete cheparlando di Pomponio Mela (t. 2), dico che lo stile diesso è terso ed elegante forse sopra tutti gli altri scritto-ri di questo secolo. Vedrete ch'io parlo assai lungamentee con molta lode di Antonio Giuliano retore spagnuolofamoso in Roma (ivi). Vedrete che di Claudio vescovodi Torino, e spagnuolo di nascita, ho parlato non breve-mente (t. 3), e se ne ho biasimati, com'era dovere, gli er-rori, ne ho lodata l'erudizione. Vedrete ch'io ho attribuitoagli Arabi lo scoprimento della proprietà dell'ago cala-mitato di volgersi al polo (t. 4); e che a quell'occasioneho altamente lodati gli studj de' filosofi arabo-ispani.Vedrete che ho mentovata (ivi) la raccolta de' Canonifatta da Bernardo di Compostella. Vedrete ch'io fo gran-di elogi del sapere e degli studj di s. Raimondo da Pen-nafort (ivi); e piacciavi qui di riflettere all'ingegnosacensura che fa l'ab. Lampillas di questo passo. Io dicoche tra noi, cioè nell'università di Bologna, ei si fornì di

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tura spagnuola, qual mi finge il sig. ab. Lampillas, misarei io steso tanto in queste lodi di Seneca? E non è ellaquesta una pruova evidente ch'io sono scrittor sincero;che lodo e biasimo in chiunque ciò che mi par degnod'essere lodato e biasimato; e che forse in tali giudizj ca-derò in errore per mancanza di buon gusto e di fino di-scernimento, ma non certo per alcuna rea premeditataintenzione?

Scorrete, di grazia, i tomi della mia Storia, e vedetecon quanta lode io parli di altri Spagnuoli, de' quali hocreduto che dovessi fare in essa menzione. Vedrete cheparlando di Pomponio Mela (t. 2), dico che lo stile diesso è terso ed elegante forse sopra tutti gli altri scritto-ri di questo secolo. Vedrete ch'io parlo assai lungamentee con molta lode di Antonio Giuliano retore spagnuolofamoso in Roma (ivi). Vedrete che di Claudio vescovodi Torino, e spagnuolo di nascita, ho parlato non breve-mente (t. 3), e se ne ho biasimati, com'era dovere, gli er-rori, ne ho lodata l'erudizione. Vedrete ch'io ho attribuitoagli Arabi lo scoprimento della proprietà dell'ago cala-mitato di volgersi al polo (t. 4); e che a quell'occasioneho altamente lodati gli studj de' filosofi arabo-ispani.Vedrete che ho mentovata (ivi) la raccolta de' Canonifatta da Bernardo di Compostella. Vedrete ch'io fo gran-di elogi del sapere e degli studj di s. Raimondo da Pen-nafort (ivi); e piacciavi qui di riflettere all'ingegnosacensura che fa l'ab. Lampillas di questo passo. Io dicoche tra noi, cioè nell'università di Bologna, ei si fornì di

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quel sapere, ec. Or che risponde il nostro censore? Seb-ben sia certo (par. 2, p. 197) che il nostro Raimondofece i suoi studi del Diritto in Bologna, non è però cer-to, che agli Italiani debba il suo sapere, giacchè, comedice il Sarti, non sappiamo, chi fosse il suo maestro. Echi ha detto ch'egli il debba agl'Italiani? Io ho dettoch'egli tra noi, cioè nell'università di Bologna, si fornìdel sapere; non ho mai detto ch'ei fosse scolaro di alcunItaliano. Ma torniamo al nostro argomento. Vedrete chetra' professori della detta università di Bologna io ho no-minati Lorenzo (t. 4), Vincenzo, Giovanni di Dio, Gar-zia e Martino, tutti spagnuoli, com'io medesimo ivi af-fermo. Vedrete che al re Alfonso X ho dato il nome displendido protettore de' dotti (ivi). Aggiugnete a tuttociò le cose poc'anzi accennate, cioè l'onorevol menzionech'io ho fatto d'Igino, le lodi da me date agli studj degliArabi, l'elogio ch'io ho formato del card. Albornoz e diAlfonso d'Aragona re di Napoli, e quello ancora chel'ab. Lampillas non ha potuto vedere prima di stampareil suo libro, ch'io ho fatto del marchese del Vasto (t. 7,par. 1), la cui famiglia ho espressamente notato ch'eraorionda dalla Spagna; e poi ditemi se questi sieno indicjdi animo per prevenzione avverso al nome spagnuolo.

Io credo anzi di certo che chiunque leggerà attenta-mente la mia Storia della Letteratura Italiana, dovrà con-fessare che tra le nazioni straniere all'Italia non ve n'haalcuna a cui lode tante cose io abbia in essa inserite,quante alla spagnuola; e che se la mia storia desse ragio-

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quel sapere, ec. Or che risponde il nostro censore? Seb-ben sia certo (par. 2, p. 197) che il nostro Raimondofece i suoi studi del Diritto in Bologna, non è però cer-to, che agli Italiani debba il suo sapere, giacchè, comedice il Sarti, non sappiamo, chi fosse il suo maestro. Echi ha detto ch'egli il debba agl'Italiani? Io ho dettoch'egli tra noi, cioè nell'università di Bologna, si fornìdel sapere; non ho mai detto ch'ei fosse scolaro di alcunItaliano. Ma torniamo al nostro argomento. Vedrete chetra' professori della detta università di Bologna io ho no-minati Lorenzo (t. 4), Vincenzo, Giovanni di Dio, Gar-zia e Martino, tutti spagnuoli, com'io medesimo ivi af-fermo. Vedrete che al re Alfonso X ho dato il nome displendido protettore de' dotti (ivi). Aggiugnete a tuttociò le cose poc'anzi accennate, cioè l'onorevol menzionech'io ho fatto d'Igino, le lodi da me date agli studj degliArabi, l'elogio ch'io ho formato del card. Albornoz e diAlfonso d'Aragona re di Napoli, e quello ancora chel'ab. Lampillas non ha potuto vedere prima di stampareil suo libro, ch'io ho fatto del marchese del Vasto (t. 7,par. 1), la cui famiglia ho espressamente notato ch'eraorionda dalla Spagna; e poi ditemi se questi sieno indicjdi animo per prevenzione avverso al nome spagnuolo.

Io credo anzi di certo che chiunque leggerà attenta-mente la mia Storia della Letteratura Italiana, dovrà con-fessare che tra le nazioni straniere all'Italia non ve n'haalcuna a cui lode tante cose io abbia in essa inserite,quante alla spagnuola; e che se la mia storia desse ragio-

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nevol motivo a qualche doglianza, il che per altro io milusingo che non sia, assai maggior diritto a farla avreb-bono i Francesi, che gli Spagnuoli; perciocchè la rivalitàch'è sempre stata tra la nostra e la lor nazione, e il di-sprezzo con cui alcuni Francesi parlano degl'Italiani, miha talvolta animato a prendere con qualche calore le no-stre difese. Ma non avrei mai creduto che potessi esserpreso di mira come nimico del nome e della gloria spa-gnuola.

Meglio dunque avrebbe fatto il sig. ab. Lampillas, seavesse seguito l'esempio di un altro valoroso Spagnuolo,cioè del sig. ab. D. Giovanni Andres. Spiacque a luipure ciò ch'io avea scritto intorno alla parte che gli Spa-gnuoli aveano avuta nel corrompimento del gusto in Ita-lia, e ciò che prima di me avea scritto sullo stesso argo-mento il celebre sig. ab. Bettinelli. Prese egli dunque lapenna in difesa della sua nazione, e fin dal 1776 pubbli-cò su ciò in Cremona una sua lettera al sig. commenda-tore Valente. Voi certo l'avrete letta; e avrete veduto conqual forza insieme e con quale modestia ribatte l'accusadata ai letterati spagnuoli, con qual rispetto parla de'suoi avversarj, con qual sobria erudizione va rammen-tando le glorie della letteratura spagnuola. Egli non hamai sognato ch'io potessi avere nella mia Storia quelleree e basse intenzioni di cui mi ha creduto capace l'ab.Lampillas. Egli ha mostrato il buon gusto, di cui è forni-to, col non accingersi a fare ridicole apologie di certi an-tichi scrittori spagnuoli che non si posson difendere, se

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nevol motivo a qualche doglianza, il che per altro io milusingo che non sia, assai maggior diritto a farla avreb-bono i Francesi, che gli Spagnuoli; perciocchè la rivalitàch'è sempre stata tra la nostra e la lor nazione, e il di-sprezzo con cui alcuni Francesi parlano degl'Italiani, miha talvolta animato a prendere con qualche calore le no-stre difese. Ma non avrei mai creduto che potessi esserpreso di mira come nimico del nome e della gloria spa-gnuola.

Meglio dunque avrebbe fatto il sig. ab. Lampillas, seavesse seguito l'esempio di un altro valoroso Spagnuolo,cioè del sig. ab. D. Giovanni Andres. Spiacque a luipure ciò ch'io avea scritto intorno alla parte che gli Spa-gnuoli aveano avuta nel corrompimento del gusto in Ita-lia, e ciò che prima di me avea scritto sullo stesso argo-mento il celebre sig. ab. Bettinelli. Prese egli dunque lapenna in difesa della sua nazione, e fin dal 1776 pubbli-cò su ciò in Cremona una sua lettera al sig. commenda-tore Valente. Voi certo l'avrete letta; e avrete veduto conqual forza insieme e con quale modestia ribatte l'accusadata ai letterati spagnuoli, con qual rispetto parla de'suoi avversarj, con qual sobria erudizione va rammen-tando le glorie della letteratura spagnuola. Egli non hamai sognato ch'io potessi avere nella mia Storia quelleree e basse intenzioni di cui mi ha creduto capace l'ab.Lampillas. Egli ha mostrato il buon gusto, di cui è forni-to, col non accingersi a fare ridicole apologie di certi an-tichi scrittori spagnuoli che non si posson difendere, se

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non da chi è lor somigliante; egli non ha già avanzatequelle gigantesche proposizioni dell'ab. Lampillas. Anessuna delle straniere nazioni (toltane la Greca) debbetanto l'antica Letteratura Romana, quanto alla NazioneSpagnuola (par. 2, p. 3); in Ispagna furono coltivate learti e le Scienze prima che in Italia (ivi p. 5). In nessuntempo potè Roma chiamar barbara la Spagna; potèbensì questa per molti secoli chiamar barbara Roma(ivi p. 12). La lingua Latina debbe agli Spagnuolil'essersi conservata men rozza nel secolo dopo Augusto(ivi p. 47). L'ab. Andres era troppo saggio e prudente,per lasciarsi trasportare a tai paradossi. Ei difende la suanazione con armi molto migliori; e ne è pruova la stessamodestia con cui egli scrive, che suol esser tanto mag-giore nelle letterarie contese, quanto più dotto è il com-battente. Io non vo' dire con ciò che l'ab. Andres mi ab-bia convinto; dico che la causa degli Spagnuoli non po-tea difendersi meglio di quel ch'egli ha fatto, e che

Si Pergama dextraDefendi possent.... hac defensa fuissent.

Dico che vale assai più la lettera dell'ab. Andres, chetutti i due tomi dell'ab. Lampillas. Dico che s'io alloraavessi avuto agio a rispondere, l'avrei fatto volentieri,perchè non vi è cosa che più giovi a rischiarare le scien-ze e le lettere, quanto una onesta e amichevol contesacon un dotto e ragionevole avversario. Ma io avea allorrisoluto di non distogliermi in alcun modo dalla conti-nuazion della mia Storia, e a questo mio proponimento

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non da chi è lor somigliante; egli non ha già avanzatequelle gigantesche proposizioni dell'ab. Lampillas. Anessuna delle straniere nazioni (toltane la Greca) debbetanto l'antica Letteratura Romana, quanto alla NazioneSpagnuola (par. 2, p. 3); in Ispagna furono coltivate learti e le Scienze prima che in Italia (ivi p. 5). In nessuntempo potè Roma chiamar barbara la Spagna; potèbensì questa per molti secoli chiamar barbara Roma(ivi p. 12). La lingua Latina debbe agli Spagnuolil'essersi conservata men rozza nel secolo dopo Augusto(ivi p. 47). L'ab. Andres era troppo saggio e prudente,per lasciarsi trasportare a tai paradossi. Ei difende la suanazione con armi molto migliori; e ne è pruova la stessamodestia con cui egli scrive, che suol esser tanto mag-giore nelle letterarie contese, quanto più dotto è il com-battente. Io non vo' dire con ciò che l'ab. Andres mi ab-bia convinto; dico che la causa degli Spagnuoli non po-tea difendersi meglio di quel ch'egli ha fatto, e che

Si Pergama dextraDefendi possent.... hac defensa fuissent.

Dico che vale assai più la lettera dell'ab. Andres, chetutti i due tomi dell'ab. Lampillas. Dico che s'io alloraavessi avuto agio a rispondere, l'avrei fatto volentieri,perchè non vi è cosa che più giovi a rischiarare le scien-ze e le lettere, quanto una onesta e amichevol contesacon un dotto e ragionevole avversario. Ma io avea allorrisoluto di non distogliermi in alcun modo dalla conti-nuazion della mia Storia, e a questo mio proponimento

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io debbo il piacere che or provo, di vedermene ormaigiunto al fine.

Se il sig. ab. Lampillas avesse tenuto lo stesso meto-do, io farei volentieri applauso al suo talento e al suoamor per la patria. E forse, or che la mia Storia comin-cia ad accordarmi qualche riposo, impiegherei di buonanimo alcuni giorni in rispondergli. Ma come posso iorisolvermi ad entrare in battaglia con uno scrittore chelegge nella mia Storia cio ch'io non ho mai scritto; chenon vi trova ciò che pure da ognuno che abbia occhi infronte, vi si può trovare e leggere facilmente; che mi at-tribuisce intenzioni e fini ch'io non ho avuti giammai;che si mostra in somma prevenuto per tal maniera, chenon è sperabile che possa mai esser convinto?

Per altra parte il saggio ch'io vi ho dato finora dellabuona fede con cui egli procede meco in questa sua ope-ra, vi può mostrare abbastanza di qual peso e di qual va-lore essa sia. Chiunque ha tra le mani una buona causa,non ha bisogno di alterare, di troncare, di travolgere, didissimulare le parole e i sentimenti del suo avversario,come io ho dimostrato che ha fatto il sig. ab. Lampillas.Chi usa di tali artificj, dà a veder con ciò solo che glimancan buone ragioni a difendersi.

Ma è tempo ch'io ponga fine a questa mia lunga lette-ra, e cessi ormai d'annoiarvi. A voi che conoscete la miaindole naturalmente pacifica, parrà forse che io v'abbiascritto con calore e con forza maggior dell'usata. Nè io il

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io debbo il piacere che or provo, di vedermene ormaigiunto al fine.

Se il sig. ab. Lampillas avesse tenuto lo stesso meto-do, io farei volentieri applauso al suo talento e al suoamor per la patria. E forse, or che la mia Storia comin-cia ad accordarmi qualche riposo, impiegherei di buonanimo alcuni giorni in rispondergli. Ma come posso iorisolvermi ad entrare in battaglia con uno scrittore chelegge nella mia Storia cio ch'io non ho mai scritto; chenon vi trova ciò che pure da ognuno che abbia occhi infronte, vi si può trovare e leggere facilmente; che mi at-tribuisce intenzioni e fini ch'io non ho avuti giammai;che si mostra in somma prevenuto per tal maniera, chenon è sperabile che possa mai esser convinto?

Per altra parte il saggio ch'io vi ho dato finora dellabuona fede con cui egli procede meco in questa sua ope-ra, vi può mostrare abbastanza di qual peso e di qual va-lore essa sia. Chiunque ha tra le mani una buona causa,non ha bisogno di alterare, di troncare, di travolgere, didissimulare le parole e i sentimenti del suo avversario,come io ho dimostrato che ha fatto il sig. ab. Lampillas.Chi usa di tali artificj, dà a veder con ciò solo che glimancan buone ragioni a difendersi.

Ma è tempo ch'io ponga fine a questa mia lunga lette-ra, e cessi ormai d'annoiarvi. A voi che conoscete la miaindole naturalmente pacifica, parrà forse che io v'abbiascritto con calore e con forza maggior dell'usata. Nè io il

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nego; anzi vi prego a volermene per questa volta accor-dare il perdono. Già vel dissi, e il ripeto: se il sig. ab.Lampillas mi avesse additati i miei errori, io gliene sa-prei grado. Ma al vedere ingiustamente attaccato il miobuon nome, e al vedermi prestate intenzioni e fini aduomo onesto mal convenienti, i quali io so di non avereavuti giammai, non ho saputo contenermi entro gli usaticonfini, e spero che voi mi perdonerete questo innocentesfogo, o anzi questa giusta e ragionevol difesa del mioonore. Continuate ad amarmi, ec.

Modena, 23 luglio 1778.P.S. Io non credo che il sig. ab. Lampillas farà alcuna

risposta a questa mia lettera, e che può egli rispondere?Io cito le sue precise parole senza punto alterarle, comeegli ha alterate le mie. Alle sue parole io oppongo le mietotalmente diverse da ciò ch'egli afferma. L'unica rispo-sta ch'egli può fare, si è il confessare che il soverchioamor della patria lo ha acciecato, e che gli ha fatto leg-gere nella mia Storia, ciò che niun altro vi ha letto, enon gli ha permesso di leggervi ciò che gli altri tutti vileggono. Che se nondimeno a forza di cavillazioni e distiracchiature ei si sforzasse di farmi qualche risposta, ocolle solite arti ei facesse inserire in qualche prezzolatofoglio periodico riflessioni e critiche su questa mia lette-ra, io vi prevengo che non aspettiate da me alcuna repli-ca. Io mi appello al giudizio imparziale de' dotti e de'saggi. Se essi mi condannano, io cedo e mi do vinto. Seessi mi son favorevoli, io mi rido di qualunque risposta

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nego; anzi vi prego a volermene per questa volta accor-dare il perdono. Già vel dissi, e il ripeto: se il sig. ab.Lampillas mi avesse additati i miei errori, io gliene sa-prei grado. Ma al vedere ingiustamente attaccato il miobuon nome, e al vedermi prestate intenzioni e fini aduomo onesto mal convenienti, i quali io so di non avereavuti giammai, non ho saputo contenermi entro gli usaticonfini, e spero che voi mi perdonerete questo innocentesfogo, o anzi questa giusta e ragionevol difesa del mioonore. Continuate ad amarmi, ec.

Modena, 23 luglio 1778.P.S. Io non credo che il sig. ab. Lampillas farà alcuna

risposta a questa mia lettera, e che può egli rispondere?Io cito le sue precise parole senza punto alterarle, comeegli ha alterate le mie. Alle sue parole io oppongo le mietotalmente diverse da ciò ch'egli afferma. L'unica rispo-sta ch'egli può fare, si è il confessare che il soverchioamor della patria lo ha acciecato, e che gli ha fatto leg-gere nella mia Storia, ciò che niun altro vi ha letto, enon gli ha permesso di leggervi ciò che gli altri tutti vileggono. Che se nondimeno a forza di cavillazioni e distiracchiature ei si sforzasse di farmi qualche risposta, ocolle solite arti ei facesse inserire in qualche prezzolatofoglio periodico riflessioni e critiche su questa mia lette-ra, io vi prevengo che non aspettiate da me alcuna repli-ca. Io mi appello al giudizio imparziale de' dotti e de'saggi. Se essi mi condannano, io cedo e mi do vinto. Seessi mi son favorevoli, io mi rido di qualunque risposta

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mi venga fatta.

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mi venga fatta.

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RISPOSTADEL SIG. ABATE D. SAVERIO LAMPILLAS

ALLE ACCUSE COMPILATE DAL SIG. AB. GIROLAMO TIRABOSCHI

Nella sua Lettera al Sig. Abate N. N. intorno al SaggioStorico-Apologetico della Letteratura Spagnuola, con

alcune brevi annotazioni.

Appena pubblicato il mio Saggio Apologetico intornoalla Letteratura di Spagna, mi trovai amichevolmenteminacciato in una gentilissima lettera, che mi sarebbe ri-sposto con una forza, che io non aspettava. A dir il veronon credei, che potesse giammai avverarsi questo vatici-nio, giacchè per quanto grand'ella si fosse la forza, concui mi venisse risposto, non sarebb'ella certamente supe-riore a quella, ch'io m'aspettava dal singolar valore deimiei Avversarj. Bisogna però confessare che chi miscrisse così, la indovinò da Profeta; imperciocchè unaforza tutta ingiusti lamenti, declamazioni ed ingiurie,una forza che si perde dietro a tutt'altro, che allo sciogli-mento delle proposte obbiezioni, non era certamente daaspettarsi dal Sig. abate Tiraboschi degnissimo Bibliote-cario del Serenissimo Duca di Modena. Aspettava iobensì, e meco aspettava impaziente il Pubblico, una nonmen erudita che efficace risposta, in cui con sodi argo-menti e scelta erudizione venissero valorosamente ribat-

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RISPOSTADEL SIG. ABATE D. SAVERIO LAMPILLAS

ALLE ACCUSE COMPILATE DAL SIG. AB. GIROLAMO TIRABOSCHI

Nella sua Lettera al Sig. Abate N. N. intorno al SaggioStorico-Apologetico della Letteratura Spagnuola, con

alcune brevi annotazioni.

Appena pubblicato il mio Saggio Apologetico intornoalla Letteratura di Spagna, mi trovai amichevolmenteminacciato in una gentilissima lettera, che mi sarebbe ri-sposto con una forza, che io non aspettava. A dir il veronon credei, che potesse giammai avverarsi questo vatici-nio, giacchè per quanto grand'ella si fosse la forza, concui mi venisse risposto, non sarebb'ella certamente supe-riore a quella, ch'io m'aspettava dal singolar valore deimiei Avversarj. Bisogna però confessare che chi miscrisse così, la indovinò da Profeta; imperciocchè unaforza tutta ingiusti lamenti, declamazioni ed ingiurie,una forza che si perde dietro a tutt'altro, che allo sciogli-mento delle proposte obbiezioni, non era certamente daaspettarsi dal Sig. abate Tiraboschi degnissimo Bibliote-cario del Serenissimo Duca di Modena. Aspettava iobensì, e meco aspettava impaziente il Pubblico, una nonmen erudita che efficace risposta, in cui con sodi argo-menti e scelta erudizione venissero valorosamente ribat-

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Page 316: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

tute le ragioni, con cui io pretesi convincere di falsità lepregiudicate opinioni del detto Sig. Ab. contro la lettera-tura Spagnuola. Questa forza però invano si cerca nellasua lettera ultimamente pubblicata in Modena.

La controversia letteraria proposta da me nel SaggioApologetico vedesi in essa lettera ridotta ad un litigiopersonale, in cui pretende difendersi il sig. ab. col ricol-marmi di strane accuse, le quali, eziandio se vere fosse-ro, non sarebbero atte a giustificarlo: quanto meno lo sa-ranno essendo false del tutto? Lascio da parte le ingiu-riose, dispregianti ed insultanti maniere 75 con cui vengoonorato dal Sig. Abate, le quali quanto più son sicuro dinon essermi meritato, tanto più saranno riguardate dalpubblico come un effetto della bontà e della gentilezzadi lui singolare. Non aspetti però, che da me resa glivenga la pariglia. Siamo noi Spagnuoli, direi quasi pereffetto di clima, scarsi assai di siffatti complimenti, de'quali per quanto scrive il Sig. Ab. (tom. 1, Pref. p.XXVI) gl'Italiani sono forse non ingiustamente ripresidi esserne troppo liberali co' suoi avversarj. Io stimereidi mancar ai più sacri doveri della giustizia e della grati-tudine, se mi sottoscrivessi ad una opinione cotanto in-giuriosa alla nazione Italiana, la quale ho sempre prova-ta verso di me piena d'urbanità e cortesia, e in particolarmaniera dopo che per mia sorte soggiorno in Genova.

Io dunque nel mio Saggio Apologetico non ebbi altra

75 La mia lettera e l'opera del sig. ab. Lampillas son nelle mani di tutti. Siesaminino, e si decida chi sia stato più moderato.

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tute le ragioni, con cui io pretesi convincere di falsità lepregiudicate opinioni del detto Sig. Ab. contro la lettera-tura Spagnuola. Questa forza però invano si cerca nellasua lettera ultimamente pubblicata in Modena.

La controversia letteraria proposta da me nel SaggioApologetico vedesi in essa lettera ridotta ad un litigiopersonale, in cui pretende difendersi il sig. ab. col ricol-marmi di strane accuse, le quali, eziandio se vere fosse-ro, non sarebbero atte a giustificarlo: quanto meno lo sa-ranno essendo false del tutto? Lascio da parte le ingiu-riose, dispregianti ed insultanti maniere 75 con cui vengoonorato dal Sig. Abate, le quali quanto più son sicuro dinon essermi meritato, tanto più saranno riguardate dalpubblico come un effetto della bontà e della gentilezzadi lui singolare. Non aspetti però, che da me resa glivenga la pariglia. Siamo noi Spagnuoli, direi quasi pereffetto di clima, scarsi assai di siffatti complimenti, de'quali per quanto scrive il Sig. Ab. (tom. 1, Pref. p.XXVI) gl'Italiani sono forse non ingiustamente ripresidi esserne troppo liberali co' suoi avversarj. Io stimereidi mancar ai più sacri doveri della giustizia e della grati-tudine, se mi sottoscrivessi ad una opinione cotanto in-giuriosa alla nazione Italiana, la quale ho sempre prova-ta verso di me piena d'urbanità e cortesia, e in particolarmaniera dopo che per mia sorte soggiorno in Genova.

Io dunque nel mio Saggio Apologetico non ebbi altra

75 La mia lettera e l'opera del sig. ab. Lampillas son nelle mani di tutti. Siesaminino, e si decida chi sia stato più moderato.

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mira, che il vendicare i diritti, che ha la Spagna di essereannoverata fra le nazioni più benemerite della Letteratu-ra, e difendere i nostri Scrittori dalle ingiuste accuse concui viene offuscato non poco il loro merito. Pretesi altre-sì, che i due moderni Scrittori Italiani avessero co' loroscritti violati questi diritti della nostra nazione, e oscura-ta la gloria de' nostri Autori. Questa condotta di taliScrittori l'ho chiamata sempre pregiudizi, preoccupazio-ni, pregiudicate opinioni, osservando in tutta la miaOpera la conveniente urbanità, e riguardo dovuto al lorocarattere. Mi era questo tanto a cuore, che per assicurar-mene prima di pubblicarlo mostrai il mio Saggio a pa-recchie persone dotte e prudenti, tra le quali ve n'eranoanzichè no delle parziali al Sig. Ab. Tiraboschi, e tutteunitamente rilevarono nel mio Saggio questa dote dimoderazione e di urbanità.

Conforme al giudizio di dette persone è stato il senti-mento di moltissimi altri dotti e ragguardevoli soggettisì Spagnuoli, come Italiani, i quali nelle loro graziosissi-me lettere di congratulazione della mia Opera, senza ec-cettuarne pur uno, determinatamente, e con magnificheespressioni la mia Apologia di moderata e modesta han-no lodata 76, lode, che certamente non gli avrebbero maidata, se trovata l'avessero (quale veramente vuol farsicomparire in detta lettera) un indegno libello infamato-rio. Non si è conformato col giudizio di tanti savi e pru-76 Se il sig. ab. Lampillas desidera di vedere molte altre lettere che servano

di supplemento a quelle ch'egli ha ricevute, posso agevolmente compia-cerlo.

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mira, che il vendicare i diritti, che ha la Spagna di essereannoverata fra le nazioni più benemerite della Letteratu-ra, e difendere i nostri Scrittori dalle ingiuste accuse concui viene offuscato non poco il loro merito. Pretesi altre-sì, che i due moderni Scrittori Italiani avessero co' loroscritti violati questi diritti della nostra nazione, e oscura-ta la gloria de' nostri Autori. Questa condotta di taliScrittori l'ho chiamata sempre pregiudizi, preoccupazio-ni, pregiudicate opinioni, osservando in tutta la miaOpera la conveniente urbanità, e riguardo dovuto al lorocarattere. Mi era questo tanto a cuore, che per assicurar-mene prima di pubblicarlo mostrai il mio Saggio a pa-recchie persone dotte e prudenti, tra le quali ve n'eranoanzichè no delle parziali al Sig. Ab. Tiraboschi, e tutteunitamente rilevarono nel mio Saggio questa dote dimoderazione e di urbanità.

Conforme al giudizio di dette persone è stato il senti-mento di moltissimi altri dotti e ragguardevoli soggettisì Spagnuoli, come Italiani, i quali nelle loro graziosissi-me lettere di congratulazione della mia Opera, senza ec-cettuarne pur uno, determinatamente, e con magnificheespressioni la mia Apologia di moderata e modesta han-no lodata 76, lode, che certamente non gli avrebbero maidata, se trovata l'avessero (quale veramente vuol farsicomparire in detta lettera) un indegno libello infamato-rio. Non si è conformato col giudizio di tanti savi e pru-76 Se il sig. ab. Lampillas desidera di vedere molte altre lettere che servano

di supplemento a quelle ch'egli ha ricevute, posso agevolmente compia-cerlo.

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denti uomini quello del Sig. Ab. Tiraboschi; anzi cre-dendola un ingiurioso e calunnioso scritto contro del suobuon nome e riputazione, ha intrapreso a difendersi conuna lettera sì poco propria di quel grand'uomo ch'egli è,che io la considero scagliata piuttosto da qualche antici-pata opinione 77 che da un attento intelletto meditata.

A quattro capi di accusa contro di me si riduce la let-tera. Nel I. mi accusa di avergli attribuito ree intenzioni,ch'egli giammai non ha avute; nel II. che io gli fo dircose, ch'egli non ha dette; nel III. che io l'accuso di averdissimulate cose, ch'egli non ha in alcun modo dissimu-late; nel IV. che io dissimulo più cose, che fanno in dilui favore, e che distruggon le accuse, ch'io gli ho inten-tate.

E che può rispondere il Sig. Ab. Lampillas? Egli ri-sponde, che tutte quattro queste dette accuse sono falsis-sime, e che ciò spera provarlo con sì sode ragioni, chese l'istesso Sig. Ab. Tiraboschi si degnerà considerarlecon animo sgombro di qualsivoglia preoccupazione, econ tranquillo cuore, si persuade, che il suo amore per laverità gliele farà confessar per tali.

Aggiunge ancora di più l'Ab. Lampillas, che dissiperàqueste accuse in maniera, che dalle sue pruove resti ilSig. Ab. Tiraboschi convinto di aver esso nella sua lette-ra: I. fatto dire all'Ab. Lampillas più cose, ch'egli non hadette; II. accusatolo di aver dissimulate cose, ch'egli non

77 Si vorrebbe sapere cosa sia una lettera scagliata da anticipata opinione.

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denti uomini quello del Sig. Ab. Tiraboschi; anzi cre-dendola un ingiurioso e calunnioso scritto contro del suobuon nome e riputazione, ha intrapreso a difendersi conuna lettera sì poco propria di quel grand'uomo ch'egli è,che io la considero scagliata piuttosto da qualche antici-pata opinione 77 che da un attento intelletto meditata.

A quattro capi di accusa contro di me si riduce la let-tera. Nel I. mi accusa di avergli attribuito ree intenzioni,ch'egli giammai non ha avute; nel II. che io gli fo dircose, ch'egli non ha dette; nel III. che io l'accuso di averdissimulate cose, ch'egli non ha in alcun modo dissimu-late; nel IV. che io dissimulo più cose, che fanno in dilui favore, e che distruggon le accuse, ch'io gli ho inten-tate.

E che può rispondere il Sig. Ab. Lampillas? Egli ri-sponde, che tutte quattro queste dette accuse sono falsis-sime, e che ciò spera provarlo con sì sode ragioni, chese l'istesso Sig. Ab. Tiraboschi si degnerà considerarlecon animo sgombro di qualsivoglia preoccupazione, econ tranquillo cuore, si persuade, che il suo amore per laverità gliele farà confessar per tali.

Aggiunge ancora di più l'Ab. Lampillas, che dissiperàqueste accuse in maniera, che dalle sue pruove resti ilSig. Ab. Tiraboschi convinto di aver esso nella sua lette-ra: I. fatto dire all'Ab. Lampillas più cose, ch'egli non hadette; II. accusatolo di aver dissimulate cose, ch'egli non

77 Si vorrebbe sapere cosa sia una lettera scagliata da anticipata opinione.

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ha dissimulate; III. di aver dissimulate più cose che fan-no in di lui favore, e che distruggon le accuse ch'ei gliha intentate.

La causa si tratta innanzi il Tribunale de' Saggi e deiDotti, dove non può aver luogo nè parzialità nè suborna-mento. La difesa si presenta non in qualche foglio prez-zolato, ma in uno scritto autenticato col proprio nome.La sentenza, che da Tribunale cotanto rispettabile vengafulminata, protesto, che dal canto mio sarà riguardata,come senza appellazione, nè stancherò la sofferenza de'giusti ed imparziali giudici con nuovi ricorsi.

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ha dissimulate; III. di aver dissimulate più cose che fan-no in di lui favore, e che distruggon le accuse ch'ei gliha intentate.

La causa si tratta innanzi il Tribunale de' Saggi e deiDotti, dove non può aver luogo nè parzialità nè suborna-mento. La difesa si presenta non in qualche foglio prez-zolato, ma in uno scritto autenticato col proprio nome.La sentenza, che da Tribunale cotanto rispettabile vengafulminata, protesto, che dal canto mio sarà riguardata,come senza appellazione, nè stancherò la sofferenza de'giusti ed imparziali giudici con nuovi ricorsi.

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PRIMA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas attribuisce all'Ab. Tiraboschi ree inten-zioni, ch'egli giammai non ha avute.

In primo luogo mi accusa d'avergli falsamente attribuiteree intenzioni, rappresentandolo come "un dichiaratonemico della Letteratura Spagnuola, ch'altro non cercache di screditarla, che raccoglie tutto ciò, che possa ren-der ridicoli gli Autori Spagnuoli, che dissimula tutto ciò,che torna in lor gloria, che pare in somma ch'abbia presoa scrivere la Storia della Letteratura Italiana solo perbiasimar la Spagnuola" (lett. p. 4, e 5), aggiungendo poiper ben tre pagine tutto quanto ho io detto in manifesta-zione di queste pretese ree intenzioni. E questo è a parersuo un intaccare il suo buon nome, e vulnerar la sua ri-putazione; in maniera che non possa egli a meno di nonperder la pace, e si veda costretto ad interrompere i gra-vi suoi studj cotanto utili al pubblico per iscrivere unasanguinosa lettera; e tralasciando per un poco lo Storicofarla da Declamatore.

Convien però dire, che tutto il male sia, o per averloscritto io, o per averlo scritto in Italiano. Due anni primadella pubblicazione del mio Saggio Apologetico fu giàdal Sig. Ab. Serrano scoperta questa condotta del Tira-boschi. "Jam (scrive il Serrano p. 28) ubi Cla. Histori-cus (Tiraboschi) hoc Hispaniae omni aevo litterarii gu-stus corruptricis quasi sistema animo informasset, et il-

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PRIMA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas attribuisce all'Ab. Tiraboschi ree inten-zioni, ch'egli giammai non ha avute.

In primo luogo mi accusa d'avergli falsamente attribuiteree intenzioni, rappresentandolo come "un dichiaratonemico della Letteratura Spagnuola, ch'altro non cercache di screditarla, che raccoglie tutto ciò, che possa ren-der ridicoli gli Autori Spagnuoli, che dissimula tutto ciò,che torna in lor gloria, che pare in somma ch'abbia presoa scrivere la Storia della Letteratura Italiana solo perbiasimar la Spagnuola" (lett. p. 4, e 5), aggiungendo poiper ben tre pagine tutto quanto ho io detto in manifesta-zione di queste pretese ree intenzioni. E questo è a parersuo un intaccare il suo buon nome, e vulnerar la sua ri-putazione; in maniera che non possa egli a meno di nonperder la pace, e si veda costretto ad interrompere i gra-vi suoi studj cotanto utili al pubblico per iscrivere unasanguinosa lettera; e tralasciando per un poco lo Storicofarla da Declamatore.

Convien però dire, che tutto il male sia, o per averloscritto io, o per averlo scritto in Italiano. Due anni primadella pubblicazione del mio Saggio Apologetico fu giàdal Sig. Ab. Serrano scoperta questa condotta del Tira-boschi. "Jam (scrive il Serrano p. 28) ubi Cla. Histori-cus (Tiraboschi) hoc Hispaniae omni aevo litterarii gu-stus corruptricis quasi sistema animo informasset, et il-

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lud Historiae suae praemittere decrevisset; necesse eierat, ut omnia, quae in hac parte scriberet, sistemati suoconformaret; cum autem essent ben multa quae, salvahistoriae veritate, in hujusmodi sistema non convenirent,arte erat opus, ut ea ipsa, vel invita et reluctantia, et ob-torto, ut dicunt, collo in illud traherentur". Spiega poi ilSerrano quest'arte adoprata dal Tirab. con espressioniniente più dolci di quelle che nel mio Saggio tanto han-no commosso il dotto Sig. Ab.

Questo stesso gli avea già rinfacciato il Serrano nellap. 21, dove manifesta la poco giusta maniera usata daldotto Storico nel parlare che fa degli Autori Spagnuolicol fine di non oscurare la gloria degl'Italiani. "Hinc(scrive il Serrano) quam mirus est in illorum (degli Spa-gnuoli) vitiis detegendis, et exagerandis, in virtutibusminuendis, et extenuandis ut ego saepe dicere soleam,qui Hispanorum vitia velit addiscere, Cl. Tiraboschi Hi-storiam legat, qui vero eorumdem virtutes nosse deside-ret, alibi eas quaerat". E perchè mai dunque a vista diqueste accuse non ha stimato necessario il Sig. Ab. Ti-rab. il pubblicar egli una vigorosa difesa per salvare lasua riputazione e buon nome? Credette forse, che abbi-sognasse volgarizzare gli scritti latini, perchè fosseroletti nel tribunale degli uomini dotti, o che a quei saggigiudici dovessero far maggior impressione le mie ridi-cole Apologie, che le elegantissime lettere del Serrano78?

78 Al sig. ab. Serrano avean già altri risposto, e mi avean con ciò risparmiato

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lud Historiae suae praemittere decrevisset; necesse eierat, ut omnia, quae in hac parte scriberet, sistemati suoconformaret; cum autem essent ben multa quae, salvahistoriae veritate, in hujusmodi sistema non convenirent,arte erat opus, ut ea ipsa, vel invita et reluctantia, et ob-torto, ut dicunt, collo in illud traherentur". Spiega poi ilSerrano quest'arte adoprata dal Tirab. con espressioniniente più dolci di quelle che nel mio Saggio tanto han-no commosso il dotto Sig. Ab.

Questo stesso gli avea già rinfacciato il Serrano nellap. 21, dove manifesta la poco giusta maniera usata daldotto Storico nel parlare che fa degli Autori Spagnuolicol fine di non oscurare la gloria degl'Italiani. "Hinc(scrive il Serrano) quam mirus est in illorum (degli Spa-gnuoli) vitiis detegendis, et exagerandis, in virtutibusminuendis, et extenuandis ut ego saepe dicere soleam,qui Hispanorum vitia velit addiscere, Cl. Tiraboschi Hi-storiam legat, qui vero eorumdem virtutes nosse deside-ret, alibi eas quaerat". E perchè mai dunque a vista diqueste accuse non ha stimato necessario il Sig. Ab. Ti-rab. il pubblicar egli una vigorosa difesa per salvare lasua riputazione e buon nome? Credette forse, che abbi-sognasse volgarizzare gli scritti latini, perchè fosseroletti nel tribunale degli uomini dotti, o che a quei saggigiudici dovessero far maggior impressione le mie ridi-cole Apologie, che le elegantissime lettere del Serrano78?

78 Al sig. ab. Serrano avean già altri risposto, e mi avean con ciò risparmiato

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Chi legge nella lettera del Sig. Ab. Tirab. la presenteaccusa contro di me, resterà senz'altro persuaso, che op-posta affatto sia la condotta da lui tenuta nella sua StoriaLetteraria. Ma legga, e giudichi. Parla nel tom. III delCh. Uezio, e dice di questo eruditissimo Scrittore, che siè lasciato ciecamente condurre o dalla brama di esalta-re la gloria della sua nazione, o da una troppo sfavore-vole prevenzione contro l'Italia. Dimando io adesso alSig. Ab. Tirab. il lasciarsi un Autore ciecamente condur-re da una prevenzione ingiusta, o da una brama immo-derata, è forse argomento di qualche rea intenzione e dimal nata passione, o può tuttociò aver la sorgente inqualche innocente pregiudizio? Se al primo s'attiene,dunque non è men malmenato il Ch. Uezio dal Sig. Ab.Tirab. nella sua Storia di quello ch'egli pretende esserlostato da me nel mio Saggio. In me è un irremissibile de-litto: sarà nel Sig. Ab. un tratto innocente? Se già nongode lo Storico della Italiana Letteratura qualche parti-colar privilegio di trattar a sua fantasia gli Autori, o cheMonsig. D'Auranges abbia minor diritto alla sua riputa-zione e buon nome. Che se poi tutta quella troppo sfavo-revole prevenzione, tutta quella eccessiva brama, tuttaquella cieca condotta niente intaccano le intenzioni,come può egli mai accusarmi d'averlo ingiuriato attri-buendoli ree intenzioni, quando io non altro pretesi dire,se non che (e così lo scrissi tom. 1, p. 17) si lasciò cieca-mente condurre o dalla brama di esaltare la sua nazione,

l'incomodo di confutarne le opinioni.

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Chi legge nella lettera del Sig. Ab. Tirab. la presenteaccusa contro di me, resterà senz'altro persuaso, che op-posta affatto sia la condotta da lui tenuta nella sua StoriaLetteraria. Ma legga, e giudichi. Parla nel tom. III delCh. Uezio, e dice di questo eruditissimo Scrittore, che siè lasciato ciecamente condurre o dalla brama di esalta-re la gloria della sua nazione, o da una troppo sfavore-vole prevenzione contro l'Italia. Dimando io adesso alSig. Ab. Tirab. il lasciarsi un Autore ciecamente condur-re da una prevenzione ingiusta, o da una brama immo-derata, è forse argomento di qualche rea intenzione e dimal nata passione, o può tuttociò aver la sorgente inqualche innocente pregiudizio? Se al primo s'attiene,dunque non è men malmenato il Ch. Uezio dal Sig. Ab.Tirab. nella sua Storia di quello ch'egli pretende esserlostato da me nel mio Saggio. In me è un irremissibile de-litto: sarà nel Sig. Ab. un tratto innocente? Se già nongode lo Storico della Italiana Letteratura qualche parti-colar privilegio di trattar a sua fantasia gli Autori, o cheMonsig. D'Auranges abbia minor diritto alla sua riputa-zione e buon nome. Che se poi tutta quella troppo sfavo-revole prevenzione, tutta quella eccessiva brama, tuttaquella cieca condotta niente intaccano le intenzioni,come può egli mai accusarmi d'averlo ingiuriato attri-buendoli ree intenzioni, quando io non altro pretesi dire,se non che (e così lo scrissi tom. 1, p. 17) si lasciò cieca-mente condurre o dalla brama di esaltare la sua nazione,

l'incomodo di confutarne le opinioni.

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o da una troppo sfavorevole prevenzione contro la Spa-gna 79.

Più forti ancora sono le espressioni con cui parlal'Abate Tiraboschi contro il Sig. de S. Marc. Scrive egliparlando di questo Autore, "che è un uomo che ha tal-volta abusato del suo ingegno per oscurare la fama de'più celebri personaggi con gettar dubbi, o risvegliar so-spetti, ch'altro fondamento non hanno (mi si permetta didirlo) che un animo mal prevenuto e troppo facile a cre-dere il male ove avrebbe piacer di trovarlo (tom. 3)".

Se a questo passo il Sig. di S. Marc alzasse la vocecontro l'Ab. Tiraboschi, e con tuono patetico gli dicesse:"È ella un Dio, che vede l'interno de' cuori? O è ella unProfeta che dal cielo è scorto a conoscere le cose più oc-culte? Io nego solennemente di aver avuto un sì bassomotivo nello scrivere, qual è l'oscurar la fama de' più ce-lebri personaggi. Io nego solennemente, che abbia pia-cere di trovare il male dove mi credo non senza fonda-mento di trovarlo; prova evidente ne sia il dire che foparlando della morte di Amalasunta: che mi fa pena unacotal nuvola sulla vita di Cassiodoro. O ella dunque,Sig. Abate Tiraboschi, provi, ch'io ho avuta siffatta in-tenzione, e che ho provato un sì reo piacere; o io ho di-ritto di esigere soddisfazione del torto che mi vien fat-to". Se così parlasse il Sig. di S. Marc, cosa mai rispon-

79 Ognun vede quanto sia stringente questo e il seguente confronto della ma-niera da me tenuta con monsig. Huet, e con m. di S. Marc, e di quella chemeco ha usata l'ab. Lampillas.

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o da una troppo sfavorevole prevenzione contro la Spa-gna 79.

Più forti ancora sono le espressioni con cui parlal'Abate Tiraboschi contro il Sig. de S. Marc. Scrive egliparlando di questo Autore, "che è un uomo che ha tal-volta abusato del suo ingegno per oscurare la fama de'più celebri personaggi con gettar dubbi, o risvegliar so-spetti, ch'altro fondamento non hanno (mi si permetta didirlo) che un animo mal prevenuto e troppo facile a cre-dere il male ove avrebbe piacer di trovarlo (tom. 3)".

Se a questo passo il Sig. di S. Marc alzasse la vocecontro l'Ab. Tiraboschi, e con tuono patetico gli dicesse:"È ella un Dio, che vede l'interno de' cuori? O è ella unProfeta che dal cielo è scorto a conoscere le cose più oc-culte? Io nego solennemente di aver avuto un sì bassomotivo nello scrivere, qual è l'oscurar la fama de' più ce-lebri personaggi. Io nego solennemente, che abbia pia-cere di trovare il male dove mi credo non senza fonda-mento di trovarlo; prova evidente ne sia il dire che foparlando della morte di Amalasunta: che mi fa pena unacotal nuvola sulla vita di Cassiodoro. O ella dunque,Sig. Abate Tiraboschi, provi, ch'io ho avuta siffatta in-tenzione, e che ho provato un sì reo piacere; o io ho di-ritto di esigere soddisfazione del torto che mi vien fat-to". Se così parlasse il Sig. di S. Marc, cosa mai rispon-

79 Ognun vede quanto sia stringente questo e il seguente confronto della ma-niera da me tenuta con monsig. Huet, e con m. di S. Marc, e di quella chemeco ha usata l'ab. Lampillas.

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derebbe l'Abate Tiraboschi? Ben vede egli, su quantopiù giusto motivo sieno fondati questi lamenti, che nonquelli, che egli fa contro di me.

Ma valga il vero; nè il Sig. Abate Tiraboschi può giu-stamente dirsi reo di aver intaccata la riputazione, ebuon nome dell'illustrissimo Uezio, o del Sig. di S.Marc, nè io di aver pregiudicata quella del detto Sig.Abate, poichè non v'è chi non sappia, che cosa signifi-chino somiglianti espressioni negli Scrittori, e di essepieni sono i libri, massimamente apologetici. Apransi, etroveransi anche nei più moderati espressioni molto piùforti che non sono le mie. Il Ch. March. Orsi ha credutofosse mancare all'onestà ed urbanità del commendevolesuo carattere mettendo in bocca di Gelaste (Dial. 6, n.1.) che la parzialità verso la propria Nazione spinge(Rapin) a cercar di deprimere con suo gran piacere gliAutori italiani? E poi in bocca di Filalete: questa suaprevenzione, siasi solamente in favor de' suoi nazionali,o siasi estesa a pregiudizio degli stranieri Autori, è sta-ta cagione unicamente, che quel, per altro sapiente, cri-tico non si è più che tanto appagato del Tasso.

Bastava l'esempio di tanti Autori, e dell'istesso Ab.Tirab. a dimostrar l'insussistenza di questa accusa. Mavi è ancora qualche cosa di più a mia giustificazione; etale, che al considerarla, non posso non istupirmi, che ilsig. Ab. Tiraboschi abbia avuto il coraggio d'intentarmiquesta accusa. Se quest'onesto Scrittore, in vece di em-pir la sua lettera con ingiusti lamenti contro di me, quasi

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derebbe l'Abate Tiraboschi? Ben vede egli, su quantopiù giusto motivo sieno fondati questi lamenti, che nonquelli, che egli fa contro di me.

Ma valga il vero; nè il Sig. Abate Tiraboschi può giu-stamente dirsi reo di aver intaccata la riputazione, ebuon nome dell'illustrissimo Uezio, o del Sig. di S.Marc, nè io di aver pregiudicata quella del detto Sig.Abate, poichè non v'è chi non sappia, che cosa signifi-chino somiglianti espressioni negli Scrittori, e di essepieni sono i libri, massimamente apologetici. Apransi, etroveransi anche nei più moderati espressioni molto piùforti che non sono le mie. Il Ch. March. Orsi ha credutofosse mancare all'onestà ed urbanità del commendevolesuo carattere mettendo in bocca di Gelaste (Dial. 6, n.1.) che la parzialità verso la propria Nazione spinge(Rapin) a cercar di deprimere con suo gran piacere gliAutori italiani? E poi in bocca di Filalete: questa suaprevenzione, siasi solamente in favor de' suoi nazionali,o siasi estesa a pregiudizio degli stranieri Autori, è sta-ta cagione unicamente, che quel, per altro sapiente, cri-tico non si è più che tanto appagato del Tasso.

Bastava l'esempio di tanti Autori, e dell'istesso Ab.Tirab. a dimostrar l'insussistenza di questa accusa. Mavi è ancora qualche cosa di più a mia giustificazione; etale, che al considerarla, non posso non istupirmi, che ilsig. Ab. Tiraboschi abbia avuto il coraggio d'intentarmiquesta accusa. Se quest'onesto Scrittore, in vece di em-pir la sua lettera con ingiusti lamenti contro di me, quasi

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ch'io con detestabile infedeltà dissimulate avessi piùcose, che fanno in di lui favore, non avesse egli stessadissimulate tant'altre, che distruggon quest'accusa, ch'eimi ha intentata, vedrebbe forse più a coperto la sua ripu-tazione ed onore di quello che possa lusingarsi di averconseguito colla pretesa difesa.

Io nella mia opera mi sono dimostrato sommamentepremuroso di salvar la retta intenzione di lui in tutto ciòch'egli contro la letteratura Spagnuola scrive nella suaStoria e sin dal bel principio io stesso ho preventiva-mente addotti argomenti in suo favore tant'opportuni edefficaci che, quando questi non bastino a riparare il suobuon nome, non potrà egli certamente colla sua letteraripararlo. Già nella stessa prefazione del primo tomo (p. 5) 80 par-lando de' Sigg. Tirab. e Bettinelli scrivo: "per fare giu-stizia all'onestissima lor indole posso ben dire, che sonoquesti Scrittori lontani assai da ogni avversione alla na-

80 Quanto bene il sig. ab. Lampillas abbia salvata la mia buona intenzione, ecome abbia semplicemente attribuita la mia maniera di scrivere a opinionepregiudicata, si può conoscere rileggendo espressioni da esso usate, e dame esposte al principio della mia lettera. Il dire che mi premeva di trovarealcuno della famiglia de' Seneca tra i Corruttori dell'Eloquenza; che par-landosi de' difetti de' scrittori Spagnuoli, io nulla perdono, nulla scuso,nulla dissimulo, anzi all'opposto mi prevalgo de' più neri colori per for-mar più orrido quel ritratto, che ho nelle mani; che mi premeva troppoche non comparisse in Roma nel secol d'oro uno Spagnuolo, il quale fra iLetterati Romani fosse stato prescelto da Augusto, ec.; che per iscancel-larne vieppiù ogni memoria io sfiguro stranamente il cognome deì Princi-pi Spagnuoli, ec., queste dico, e altre siffatte espressioni mostrano certa-mente la premura del sig. ab. Lampillas nello scusare la mia intenzione.

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ch'io con detestabile infedeltà dissimulate avessi piùcose, che fanno in di lui favore, non avesse egli stessadissimulate tant'altre, che distruggon quest'accusa, ch'eimi ha intentata, vedrebbe forse più a coperto la sua ripu-tazione ed onore di quello che possa lusingarsi di averconseguito colla pretesa difesa.

Io nella mia opera mi sono dimostrato sommamentepremuroso di salvar la retta intenzione di lui in tutto ciòch'egli contro la letteratura Spagnuola scrive nella suaStoria e sin dal bel principio io stesso ho preventiva-mente addotti argomenti in suo favore tant'opportuni edefficaci che, quando questi non bastino a riparare il suobuon nome, non potrà egli certamente colla sua letteraripararlo. Già nella stessa prefazione del primo tomo (p. 5) 80 par-lando de' Sigg. Tirab. e Bettinelli scrivo: "per fare giu-stizia all'onestissima lor indole posso ben dire, che sonoquesti Scrittori lontani assai da ogni avversione alla na-

80 Quanto bene il sig. ab. Lampillas abbia salvata la mia buona intenzione, ecome abbia semplicemente attribuita la mia maniera di scrivere a opinionepregiudicata, si può conoscere rileggendo espressioni da esso usate, e dame esposte al principio della mia lettera. Il dire che mi premeva di trovarealcuno della famiglia de' Seneca tra i Corruttori dell'Eloquenza; che par-landosi de' difetti de' scrittori Spagnuoli, io nulla perdono, nulla scuso,nulla dissimulo, anzi all'opposto mi prevalgo de' più neri colori per for-mar più orrido quel ritratto, che ho nelle mani; che mi premeva troppoche non comparisse in Roma nel secol d'oro uno Spagnuolo, il quale fra iLetterati Romani fosse stato prescelto da Augusto, ec.; che per iscancel-larne vieppiù ogni memoria io sfiguro stranamente il cognome deì Princi-pi Spagnuoli, ec., queste dico, e altre siffatte espressioni mostrano certa-mente la premura del sig. ab. Lampillas nello scusare la mia intenzione.

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zione Spaguola, nè vorranno mai contrastarle quella glo-ria, che troveranno appoggiata a sodi argomenti e ragio-ni; quindi mi figuro di essi, che siano per dire con Tul-lio: tantum abest, ut scribi contra nos nolimus, ut idetiam maxime optemus. In altro luogo poi (pag. 16):non è dunque da maravigliarsi, se tanti letterati Spa-gnuoli, come oggidì sono in Italia, e non hanno avuto ilvantaggio ch'ebb'io di conoscere dappresso la nobile in-dole onesta di codesti Autori, non possono senza stoma-carsi leggere somiglianti opere, e credono affettata igno-ranza quelle, ch'io chiamo pregiudicate opinioni".

Nè contentandomi di aver formalmente dichiarata lamia giusta opinione intorno all'onestissima indole de'due eruditi Scrittori da me impugnati, rivolsi seriamenteil pensiero a rintracciar le sorgenti, onde trassero l'origi-ne siffatti pregiudizi antispagnuoli, e ciò col fine di trar-re allo stesso mio sentimento i miei leggitori, e di dissi-pare dalle loro menti ogni sospetto, che potesse in essinascere intorno alla condotta degli accennati Spagnuoliverso la letteratura della Spagna e suoi letterati, condot-ta che doveva da me necessariamente manifestarsi. Mavengono forse tra le annoverate sorgenti prodotte da mele ree intenzioni, il livore, lo sdegno contro la NazioneSpagnuola?

La prima sorgente io la trovo nell'esempio d'altri Au-tori, che hanno scritto svantaggiosamente della Spagna."So ben io, dico, che non soli questi Italiani scrivonocosì della Spagnuola letteratura, anzi non è difficile a

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zione Spaguola, nè vorranno mai contrastarle quella glo-ria, che troveranno appoggiata a sodi argomenti e ragio-ni; quindi mi figuro di essi, che siano per dire con Tul-lio: tantum abest, ut scribi contra nos nolimus, ut idetiam maxime optemus. In altro luogo poi (pag. 16):non è dunque da maravigliarsi, se tanti letterati Spa-gnuoli, come oggidì sono in Italia, e non hanno avuto ilvantaggio ch'ebb'io di conoscere dappresso la nobile in-dole onesta di codesti Autori, non possono senza stoma-carsi leggere somiglianti opere, e credono affettata igno-ranza quelle, ch'io chiamo pregiudicate opinioni".

Nè contentandomi di aver formalmente dichiarata lamia giusta opinione intorno all'onestissima indole de'due eruditi Scrittori da me impugnati, rivolsi seriamenteil pensiero a rintracciar le sorgenti, onde trassero l'origi-ne siffatti pregiudizi antispagnuoli, e ciò col fine di trar-re allo stesso mio sentimento i miei leggitori, e di dissi-pare dalle loro menti ogni sospetto, che potesse in essinascere intorno alla condotta degli accennati Spagnuoliverso la letteratura della Spagna e suoi letterati, condot-ta che doveva da me necessariamente manifestarsi. Mavengono forse tra le annoverate sorgenti prodotte da mele ree intenzioni, il livore, lo sdegno contro la NazioneSpagnuola?

La prima sorgente io la trovo nell'esempio d'altri Au-tori, che hanno scritto svantaggiosamente della Spagna."So ben io, dico, che non soli questi Italiani scrivonocosì della Spagnuola letteratura, anzi non è difficile a

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credersi, che abbian succhiati questi pregiudizj dalleopere d'altri stranieri (p. 31)".

L'altra sorgente da me divisata è la colpevole ignoran-za delle notizie letterarie di Spagna; dove distesamenteaffermo, che non avrebbero giammai questi dotti Scrit-tori parlato così svantaggiosamente della nostra lettera-tura, se avute avessero quelle notizie, che su questo pun-to potevano illuminarli.

Aggiungasi, che i loro detti poco onorevoli alla lette-ratura Spagnuola vengono sempre mai dichiarati da mepregiudizi e pregiudicate opinioni, senza che nemmenuna volta siano da me qualificati con altre odioseespressioni, colle quali nella sua lettera dipinge costan-temente il Sig. Abate Tiraboschi i miei sentimenti. Pos-sono addursi più valevoli scuse a salvare la riputazioneed onore di questi Scrittori?

In fatti con queste sole non ha stimato il Sig. AbateBettinelli mettersi a coperto di qualunque svantaggiosaidea, che formar si potesse contro la sua onest'indole,mentre all'istesso tempo manifesta il sommo piacere,che prova nel vedere illustrare le nostre lettere; mostran-do con ciò non meno la giusta stima, che ha della lette-ratura Spagnuola, che l'amor sincero della verità. Il Sig.Ab. Tiraboschi pare, che non abbia stimato degno di sèil seguir questo esempio; e per giustificarsi ha credutopiù opportuno il distendere una lettera niente più onore-vole al buon nome della nostra letteratura di quello, che

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credersi, che abbian succhiati questi pregiudizj dalleopere d'altri stranieri (p. 31)".

L'altra sorgente da me divisata è la colpevole ignoran-za delle notizie letterarie di Spagna; dove distesamenteaffermo, che non avrebbero giammai questi dotti Scrit-tori parlato così svantaggiosamente della nostra lettera-tura, se avute avessero quelle notizie, che su questo pun-to potevano illuminarli.

Aggiungasi, che i loro detti poco onorevoli alla lette-ratura Spagnuola vengono sempre mai dichiarati da mepregiudizi e pregiudicate opinioni, senza che nemmenuna volta siano da me qualificati con altre odioseespressioni, colle quali nella sua lettera dipinge costan-temente il Sig. Abate Tiraboschi i miei sentimenti. Pos-sono addursi più valevoli scuse a salvare la riputazioneed onore di questi Scrittori?

In fatti con queste sole non ha stimato il Sig. AbateBettinelli mettersi a coperto di qualunque svantaggiosaidea, che formar si potesse contro la sua onest'indole,mentre all'istesso tempo manifesta il sommo piacere,che prova nel vedere illustrare le nostre lettere; mostran-do con ciò non meno la giusta stima, che ha della lette-ratura Spagnuola, che l'amor sincero della verità. Il Sig.Ab. Tiraboschi pare, che non abbia stimato degno di sèil seguir questo esempio; e per giustificarsi ha credutopiù opportuno il distendere una lettera niente più onore-vole al buon nome della nostra letteratura di quello, che

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lo sia la sua Storia. Se sia poi pregiudiziale anche alla propria riputazione

del Sig. Ab. Tiraboschi, lo decidano gli uomini impar-ziali e modesti. Quello, che io assicuro, è, che essa nullaserva a cancellare l'impressione, che nel Pubblico ha fat-to il mio Saggio Apologetico, poichè essa non è controil di lui carattere morale, ma bensì forse non poco con-tro il di lui carattere letterario, cioè di pregiudizi malfondati, di critica poco esatta in alcuni punti, e di man-canza di buon ordine in qualche parte della Storia lette-raria. Su questi punti aspetta impaziente il pubblico larisposta, mentre riguarda come inutile ed importuna lapubblicata.

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lo sia la sua Storia. Se sia poi pregiudiziale anche alla propria riputazione

del Sig. Ab. Tiraboschi, lo decidano gli uomini impar-ziali e modesti. Quello, che io assicuro, è, che essa nullaserva a cancellare l'impressione, che nel Pubblico ha fat-to il mio Saggio Apologetico, poichè essa non è controil di lui carattere morale, ma bensì forse non poco con-tro il di lui carattere letterario, cioè di pregiudizi malfondati, di critica poco esatta in alcuni punti, e di man-canza di buon ordine in qualche parte della Storia lette-raria. Su questi punti aspetta impaziente il pubblico larisposta, mentre riguarda come inutile ed importuna lapubblicata.

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SECONDA ACCUSA.

L'Abate Lampillas fa dir all'Abate Tiraboschi cosech'egli non ha dette.

Ecco la prima di quelle tre gravissime accuse, con cui ilSig. Ab. Tiraboschi con buonissima intenzione pretendefar credere al pubblico, che l'Ab. Lampillas non ha usa-ta nel suo scrivere quella buona fede che dagli uominionesti non deesi mai dimenticare (lett. p. 6). L'Ab. Lam-pillas, egli dice, mi fa dir cose ch'io non ho dette, e nereca pruova le seguenti parole da me scritte (tom. 1). Ladominante Nazione Spagnuola porta seco il contagiodel cattivo gusto in genere di letteratura, le quali preten-de, che siano da me recate come formali e precise paroledel Sig. Abate Tiraboschi. A vista di questa pretesa infe-deltà non può a meno di non perder la pace il Sig. Aba-te, e d'esclamare: ma dove sono elleno cotai parole?Legga, e rilegga il Sig. Abate Lampillas quel passo, e velo trovi, s'egli è da tanto. L'Abate Lampillas senza puntoperder la sua pace, risponde: legga, e rilegga il sig. abateTiraboschi il precisato passo del Saggio Apologetico, etrovi, s'egli è da tanto, che siansi citate le dette parolecome formali parole del Tiraboschi, e come precise pa-role da lui usate. Troverà bensì, che in quel luogo sonoda me recate quelle parole, come uno de' pregiudizi anti-spagnuoli, de' quali prendo ad abbozzare il ritratto, e chemetto come tante tesi, che poi nel decorso dell'Opera

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SECONDA ACCUSA.

L'Abate Lampillas fa dir all'Abate Tiraboschi cosech'egli non ha dette.

Ecco la prima di quelle tre gravissime accuse, con cui ilSig. Ab. Tiraboschi con buonissima intenzione pretendefar credere al pubblico, che l'Ab. Lampillas non ha usa-ta nel suo scrivere quella buona fede che dagli uominionesti non deesi mai dimenticare (lett. p. 6). L'Ab. Lam-pillas, egli dice, mi fa dir cose ch'io non ho dette, e nereca pruova le seguenti parole da me scritte (tom. 1). Ladominante Nazione Spagnuola porta seco il contagiodel cattivo gusto in genere di letteratura, le quali preten-de, che siano da me recate come formali e precise paroledel Sig. Abate Tiraboschi. A vista di questa pretesa infe-deltà non può a meno di non perder la pace il Sig. Aba-te, e d'esclamare: ma dove sono elleno cotai parole?Legga, e rilegga il Sig. Abate Lampillas quel passo, e velo trovi, s'egli è da tanto. L'Abate Lampillas senza puntoperder la sua pace, risponde: legga, e rilegga il sig. abateTiraboschi il precisato passo del Saggio Apologetico, etrovi, s'egli è da tanto, che siansi citate le dette parolecome formali parole del Tiraboschi, e come precise pa-role da lui usate. Troverà bensì, che in quel luogo sonoda me recate quelle parole, come uno de' pregiudizi anti-spagnuoli, de' quali prendo ad abbozzare il ritratto, e chemetto come tante tesi, che poi nel decorso dell'Opera

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debbono da me conbattersi, e servono come titoli alledissertazioni e paragrafi 81.

Quanto poi diversa cosa sia lo spiegare in una sempli-ce proposizione un pregiudizio, che credo di trovare inqualche passo d'un Autore, dal dire, che tale proposizio-ne sia con formali parole scritta dall'Autore, ognun lovede. E che maggior pruova di ciò che il vedere, che diquanti pregiudizi sono da me in quel passo raccolti, ap-pena ve n'è uno espresso con precise e formali paroled'alcuno di questi scrittori? Il primo pregiudizio da meaccennato è del sig. Ab. Bettinelli, e vien da me divisatocon queste parole: Il Carattere universale degli AutoriSpagnuoli è il sottilizzare, o cianciare: parole non maiscritte dall'Ab. Bettinelli. Ma forse questo saggio e pru-dente Scrittore stimò difendersi con accusarmi d'infedel-tà? Era egli troppo perspicace per non avvedersi dellainsussistenza di tale accusa. Sapeva ben egli, che nelluogo del suo Risorgimento da me citato, dov'egli divisai diversi caratteri degli Scrittori, e si protesta parlareuniversalmente delle singole Nazioni, avea scritto loSpagnuolo sottilizza, ovver ciancia. A vista di ciò non

81 Noi Italiani quando vediam citare in caratteri diversi da quei del testo leparole di qualche scrittore, e indicandone il luogo da cui son tratte, credia-mo che ivi si rechino le precise parole del detto scrittore. Ma il sig. ab.Lampillas pretende che, ancorchè egli abbia ivi recate in carattere corsivoquelle parole: la dominante nazione Spagnuola, ec., e benchè abbia citatala mia Dissertazione preliminare, come la fonte da cui son tratte, non hanondimeno voluto recarle come mie precise parole. Lo preghiam dunquea indicarci come potrem conoscere quando egli riferisca, o no le preciseparole di qualche scrittore.

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debbono da me conbattersi, e servono come titoli alledissertazioni e paragrafi 81.

Quanto poi diversa cosa sia lo spiegare in una sempli-ce proposizione un pregiudizio, che credo di trovare inqualche passo d'un Autore, dal dire, che tale proposizio-ne sia con formali parole scritta dall'Autore, ognun lovede. E che maggior pruova di ciò che il vedere, che diquanti pregiudizi sono da me in quel passo raccolti, ap-pena ve n'è uno espresso con precise e formali paroled'alcuno di questi scrittori? Il primo pregiudizio da meaccennato è del sig. Ab. Bettinelli, e vien da me divisatocon queste parole: Il Carattere universale degli AutoriSpagnuoli è il sottilizzare, o cianciare: parole non maiscritte dall'Ab. Bettinelli. Ma forse questo saggio e pru-dente Scrittore stimò difendersi con accusarmi d'infedel-tà? Era egli troppo perspicace per non avvedersi dellainsussistenza di tale accusa. Sapeva ben egli, che nelluogo del suo Risorgimento da me citato, dov'egli divisai diversi caratteri degli Scrittori, e si protesta parlareuniversalmente delle singole Nazioni, avea scritto loSpagnuolo sottilizza, ovver ciancia. A vista di ciò non

81 Noi Italiani quando vediam citare in caratteri diversi da quei del testo leparole di qualche scrittore, e indicandone il luogo da cui son tratte, credia-mo che ivi si rechino le precise parole del detto scrittore. Ma il sig. ab.Lampillas pretende che, ancorchè egli abbia ivi recate in carattere corsivoquelle parole: la dominante nazione Spagnuola, ec., e benchè abbia citatala mia Dissertazione preliminare, come la fonte da cui son tratte, non hanondimeno voluto recarle come mie precise parole. Lo preghiam dunquea indicarci come potrem conoscere quando egli riferisca, o no le preciseparole di qualche scrittore.

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poteva a meno di distinguere, ch'io con la maggior fe-deltà avea ricavato da quel suo passo, essere un pregiu-dizio del Bettinelli, che il carattere universale degli Au-tori Spagnuoli è il sottilizzare, o cianciare.

Ma perchè, replica l'Ab. Tiraboschi, citare il passodell'Autore, e poi non recarne le sua formali parole?Cito il passo, perchè ognun possa da se certificarsi, seda quello venga da me giustamente ricavato in tal pre-giudizio: non reco le formali parole, perchè non mi sonoprefisso, come pretende far credere il Sig. Ab. Tirabo-schi, di recare le precise proposizioni degli Autori, madi abbozzare soltanto i loro pregiudizi, come scrivo indetto luogo (pag. 15).

Che poi in ciò sia io lontanissimo da qualunque so-spetto d'infedeltà, ne resterebbero tutti persuasi, se ilSig. Ab. Tiraboschi nella sua lettera non avesse dissimu-lato ciò che distrugge questa accusa. Non sapeva questoperspicace autore, che dove prendo ad impugnare inparticolare alcuno di questi pregiudizi, non mi contentod'esprimerlo colle parole, con cui venne prima da me di-segnato; ma reco altresì con fedeltà ed esattezza le pre-cise parole dell'autore, dalle quali ho ricavato tal pregiu-dizio. Così a cagion d'esempio, dove impugno (tom. 2,p. 229) il pregiudizio del Bettinelli contro il caratteredegli Autori Spagnuoli reco formalmente l'espressionedi questo dotto autore, con cui egli spiega il suo senti-mento; e così negli altri. E potrà pretendere il Sig. Ab.Tiraboschi, che ciò non possa farsi senza taccia d'infe-

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poteva a meno di distinguere, ch'io con la maggior fe-deltà avea ricavato da quel suo passo, essere un pregiu-dizio del Bettinelli, che il carattere universale degli Au-tori Spagnuoli è il sottilizzare, o cianciare.

Ma perchè, replica l'Ab. Tiraboschi, citare il passodell'Autore, e poi non recarne le sua formali parole?Cito il passo, perchè ognun possa da se certificarsi, seda quello venga da me giustamente ricavato in tal pre-giudizio: non reco le formali parole, perchè non mi sonoprefisso, come pretende far credere il Sig. Ab. Tirabo-schi, di recare le precise proposizioni degli Autori, madi abbozzare soltanto i loro pregiudizi, come scrivo indetto luogo (pag. 15).

Che poi in ciò sia io lontanissimo da qualunque so-spetto d'infedeltà, ne resterebbero tutti persuasi, se ilSig. Ab. Tiraboschi nella sua lettera non avesse dissimu-lato ciò che distrugge questa accusa. Non sapeva questoperspicace autore, che dove prendo ad impugnare inparticolare alcuno di questi pregiudizi, non mi contentod'esprimerlo colle parole, con cui venne prima da me di-segnato; ma reco altresì con fedeltà ed esattezza le pre-cise parole dell'autore, dalle quali ho ricavato tal pregiu-dizio. Così a cagion d'esempio, dove impugno (tom. 2,p. 229) il pregiudizio del Bettinelli contro il caratteredegli Autori Spagnuoli reco formalmente l'espressionedi questo dotto autore, con cui egli spiega il suo senti-mento; e così negli altri. E potrà pretendere il Sig. Ab.Tiraboschi, che ciò non possa farsi senza taccia d'infe-

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deltà? Rilegga egli la pag. 4 della sua lettera. "Io confes-so, dico, che ho creduto, ed ho scritto, che gli Spagnuoliabbiano avuta non poca parte nella corruzione del gustocosì ne' tempi della Romana letteratura, come nella de-cadenza che soffrirono tra noi le Lettere nel secolo ante-cedente 82". E dove mai sono state scritte dal Sig. Ab.cotai parole? Legga, e rilegga gli otto tomi della suaStoria letteraria, e ve le trovi, s'egli è da tanto. Se io cosìdeclamassi, non alzerebbe la voce il Sig. Ab. stimatissi-mo, e griderebbe: puerilità, fanciullaggini, stiracciatu-re, cavillazioni? Eppure il Sig. Abate dice, ho scritto; ioperò non dico hanno scritto.

Più giusta sarebbe l'accusa, che m'intenta, se io, comeegli pretende, spiegati avessi i suoi pregiudizj, alteran-done in qualche modo il senso, e rendendogli ancora piùodiosi. Così pretende, ch'egli abbia esposto il suo senti-mento intorno alla corruzione del buon gusto Italiano di-versamente, più dolcemente, con maggior cautela, e conmaggior mitigazione di quello che sia stato da me spo-sto con queste parole; la dominante Nazione Spagnuolaporta seco il contagio di cattivo gusto in genere di lette-ratura. E potrà lusingarsi di ciò persuadere ai suoi leggi-tori, mentre egli espone la sua riflessione? "La Toscana(dice egli), ch'era più lontana degli Stati e di Napoli e di82 Io qui ho compendiato ciò che ho scritto e non ho riferito le mie parole in

caratteri diversi, nè ho citato il luogo ove le ho usate; e perciò bastavach'io riferissi il mio sentimento, senza usar le stesse parole. Ma il sig. ab.Lampillas, dopo aver alterata la mia proposizione, la riporta con tutti icontrassegni che fin ora si son creduti i più autentici per indicare le preci-se parole dello scrittore.

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deltà? Rilegga egli la pag. 4 della sua lettera. "Io confes-so, dico, che ho creduto, ed ho scritto, che gli Spagnuoliabbiano avuta non poca parte nella corruzione del gustocosì ne' tempi della Romana letteratura, come nella de-cadenza che soffrirono tra noi le Lettere nel secolo ante-cedente 82". E dove mai sono state scritte dal Sig. Ab.cotai parole? Legga, e rilegga gli otto tomi della suaStoria letteraria, e ve le trovi, s'egli è da tanto. Se io cosìdeclamassi, non alzerebbe la voce il Sig. Ab. stimatissi-mo, e griderebbe: puerilità, fanciullaggini, stiracciatu-re, cavillazioni? Eppure il Sig. Abate dice, ho scritto; ioperò non dico hanno scritto.

Più giusta sarebbe l'accusa, che m'intenta, se io, comeegli pretende, spiegati avessi i suoi pregiudizj, alteran-done in qualche modo il senso, e rendendogli ancora piùodiosi. Così pretende, ch'egli abbia esposto il suo senti-mento intorno alla corruzione del buon gusto Italiano di-versamente, più dolcemente, con maggior cautela, e conmaggior mitigazione di quello che sia stato da me spo-sto con queste parole; la dominante Nazione Spagnuolaporta seco il contagio di cattivo gusto in genere di lette-ratura. E potrà lusingarsi di ciò persuadere ai suoi leggi-tori, mentre egli espone la sua riflessione? "La Toscana(dice egli), ch'era più lontana degli Stati e di Napoli e di82 Io qui ho compendiato ciò che ho scritto e non ho riferito le mie parole in

caratteri diversi, nè ho citato il luogo ove le ho usate; e perciò bastavach'io riferissi il mio sentimento, senza usar le stesse parole. Ma il sig. ab.Lampillas, dopo aver alterata la mia proposizione, la riporta con tutti icontrassegni che fin ora si son creduti i più autentici per indicare le preci-se parole dello scrittore.

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Lombardia da essi dominati, fu la men soggetta a questealterazioni, come se il contagio andasse perdendo la suaforza quanto più allontanavasi dalla sorgente, onde trae-va l'origine". Io domando: ognuno, che abbia occhi infronte, non vede che la dominazione Spagnuola in taliespressioni vien detta la sorgente, onde traeva l'origineil contagio del cattivo gusto? Ed è questa la maniera diesporre più dolcemente, con maggior cautela, e mitiga-zione il suo sentimento? Non è molto più odioso al do-minio Spagnuolo il dipingerlo qual sorgente del cattivogusto, che il dire, che porta il cattivo gusto? Chiunqueviene accusato di portare il contagio, può almeno discol-parsi col dire, che a lui è stato comunicato da altri:all'opposto esserne la sorgente è lo stesso, che averlo dase. Or trattandosi della corruzione del buon gusto non èquesto secondo molto più odioso? Non negano nè il Ti-raboschi nè il Bettinelli, che l'Italia non fosse nel seicen-to infetta di questo contagio: fanno bensì tutti gli sforziper pruovare, che non l'ebbe da se, ma comunicato dagliSpagnuoli: sforzi, che mai non farebbero, se già nonfossero ben persuasi, essere molto più odioso al buonnome dell'Italia il corrompere da se il buon gusto, e di-ciamo essere la sorgente, onde tragga l'origine questacorruzione, che non sia il portar questo contagio lorocomunicato dagli Spagnuoli. Chi dunque di noi due,Sig. Abate stimatissimo, espone il di lei sentimento in-torno alla dominazione Spagnuola con maggior dolcez-

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Lombardia da essi dominati, fu la men soggetta a questealterazioni, come se il contagio andasse perdendo la suaforza quanto più allontanavasi dalla sorgente, onde trae-va l'origine". Io domando: ognuno, che abbia occhi infronte, non vede che la dominazione Spagnuola in taliespressioni vien detta la sorgente, onde traeva l'origineil contagio del cattivo gusto? Ed è questa la maniera diesporre più dolcemente, con maggior cautela, e mitiga-zione il suo sentimento? Non è molto più odioso al do-minio Spagnuolo il dipingerlo qual sorgente del cattivogusto, che il dire, che porta il cattivo gusto? Chiunqueviene accusato di portare il contagio, può almeno discol-parsi col dire, che a lui è stato comunicato da altri:all'opposto esserne la sorgente è lo stesso, che averlo dase. Or trattandosi della corruzione del buon gusto non èquesto secondo molto più odioso? Non negano nè il Ti-raboschi nè il Bettinelli, che l'Italia non fosse nel seicen-to infetta di questo contagio: fanno bensì tutti gli sforziper pruovare, che non l'ebbe da se, ma comunicato dagliSpagnuoli: sforzi, che mai non farebbero, se già nonfossero ben persuasi, essere molto più odioso al buonnome dell'Italia il corrompere da se il buon gusto, e di-ciamo essere la sorgente, onde tragga l'origine questacorruzione, che non sia il portar questo contagio lorocomunicato dagli Spagnuoli. Chi dunque di noi due,Sig. Abate stimatissimo, espone il di lei sentimento in-torno alla dominazione Spagnuola con maggior dolcez-

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za, con maggior mitigazione, con maggior cautela 83? Non è men graziosa l'altra alterazione, di cui mi accu-

sa. Egli dice: Marziale, Lucano e Seneca furono certa-mente quelli, che all'eloquenza ed alla poesia recaronomaggior danno, ed essi ancora erano Spagnuoli. Io spo-nendo i suoi pregiudizi antispagnuoli (non già citando leparole precise del Sig. Ab. Tiraboschi) 84 dico; dopo lamorte di Augusto furono gli Spagnuoli quei, che recaro-no maggior danno alla eloquenza ed alla poesia. Eccovi(esclama il Sig. Ab. Tiraboschi) che il Sig. Ab. Lampil-las rendendo universale la proposizione, ch'io ho ristret-to a quei tre solamente, la rende ancora più odiosa. Edovremo qui entrare in una disputa di dialettica, spie-gando la vera notizia delle proporzioni universali, e diquelle, che dalla scuola si chiamano indefinite?

Basta dire, che non è più universale quella mia propo-sizione intorno agli Spagnuoli, di quello che sia univer-sale quest'altra del Sig. Ab. (Stor. lett. Pref. pag. 26) NoiItaliani siamo forse non ingiustamente ripresi d'essernetroppo liberali (d'ingiurie e villanie) coi nostri avversa-ri. Non mi persuado, che con quella espressione noi Ita-liani abbia egli preteso d'intaccare universalmente tuttiquanti sono gli Apologisti in Italia.

83 Qui ancora il sig. ab. Lampillas reca un sol passo della mia Dissertazione,e omette il restante. Leggasi ciò ch'io ne ho scritto nella mia lettera.

84 Anche qui l'ab. Lampillas ha citate in caratteri corsivi le mie parole, edora poi dice che non ha citate le mie precise parole. In tal maniera comemai potrà uno scrittore essere convinto d'infedeltà?

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za, con maggior mitigazione, con maggior cautela 83? Non è men graziosa l'altra alterazione, di cui mi accu-

sa. Egli dice: Marziale, Lucano e Seneca furono certa-mente quelli, che all'eloquenza ed alla poesia recaronomaggior danno, ed essi ancora erano Spagnuoli. Io spo-nendo i suoi pregiudizi antispagnuoli (non già citando leparole precise del Sig. Ab. Tiraboschi) 84 dico; dopo lamorte di Augusto furono gli Spagnuoli quei, che recaro-no maggior danno alla eloquenza ed alla poesia. Eccovi(esclama il Sig. Ab. Tiraboschi) che il Sig. Ab. Lampil-las rendendo universale la proposizione, ch'io ho ristret-to a quei tre solamente, la rende ancora più odiosa. Edovremo qui entrare in una disputa di dialettica, spie-gando la vera notizia delle proporzioni universali, e diquelle, che dalla scuola si chiamano indefinite?

Basta dire, che non è più universale quella mia propo-sizione intorno agli Spagnuoli, di quello che sia univer-sale quest'altra del Sig. Ab. (Stor. lett. Pref. pag. 26) NoiItaliani siamo forse non ingiustamente ripresi d'essernetroppo liberali (d'ingiurie e villanie) coi nostri avversa-ri. Non mi persuado, che con quella espressione noi Ita-liani abbia egli preteso d'intaccare universalmente tuttiquanti sono gli Apologisti in Italia.

83 Qui ancora il sig. ab. Lampillas reca un sol passo della mia Dissertazione,e omette il restante. Leggasi ciò ch'io ne ho scritto nella mia lettera.

84 Anche qui l'ab. Lampillas ha citate in caratteri corsivi le mie parole, edora poi dice che non ha citate le mie precise parole. In tal maniera comemai potrà uno scrittore essere convinto d'infedeltà?

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Ma che giova voler gettare la polvere sugli occhi delPubblico? Non hanno forse l'istessa università tuttequante sono le proposizioni da lui scritte in quel luogo?Il recare come cagioni del corrotto gusto d'Italia il domi-nio che gli Spagnuoli ci aveano allora = che i loro librisi spargevano facilmente = che gl'Italiani divennero,per così dire Spagnuoli! Di più, come argomenta egliper provare, che la stessa cagione (cioè gli Spagnuoli inItalia) che corruppe il gusto Italiano nel seicento, lo cor-ruppe ancora dopo Augusto. Ecco le due premesse:Marziale e Lucano e i Seneca furono certamente quelli,che alla eloquenza ed alla Poesia recarono maggiordanno = essi ancora erano Spagnuoli: dunque.... Qualè, caro Sig. Ab. la conseguenza, che balza agli occhi ditutti, e ch'ella colla solita dolcezza, mitigazione, e caute-la lascia che la ricavi il lettore anche men avveduto?Non altra certamente, che quella da me proposta comesuo sentimento, cioè: dopo la morte d'Augusto furonogli Spagnuoli quelli, che all'eloquenza, e Poesia recaro-no maggior danno. Sarebbe un far torto al pubblico ildistendermi di vantaggio in dileguar questa accusa: seb-bene non ne troverà di più sode e gravi in tutto questoprocesso.

E che? Forse più grave è quest'altra che si legge nellapag. 5 dove pretende, che sia da me stato sposto conmaggior odiosità quanto egli dice intorno all'influsso deldominio di Spagna, e di quel clima al cattivo gusto? IlSig. Ab. Lampillas, dic'egli (pag. 5.), accusa l'Abate Ti-

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Ma che giova voler gettare la polvere sugli occhi delPubblico? Non hanno forse l'istessa università tuttequante sono le proposizioni da lui scritte in quel luogo?Il recare come cagioni del corrotto gusto d'Italia il domi-nio che gli Spagnuoli ci aveano allora = che i loro librisi spargevano facilmente = che gl'Italiani divennero,per così dire Spagnuoli! Di più, come argomenta egliper provare, che la stessa cagione (cioè gli Spagnuoli inItalia) che corruppe il gusto Italiano nel seicento, lo cor-ruppe ancora dopo Augusto. Ecco le due premesse:Marziale e Lucano e i Seneca furono certamente quelli,che alla eloquenza ed alla Poesia recarono maggiordanno = essi ancora erano Spagnuoli: dunque.... Qualè, caro Sig. Ab. la conseguenza, che balza agli occhi ditutti, e ch'ella colla solita dolcezza, mitigazione, e caute-la lascia che la ricavi il lettore anche men avveduto?Non altra certamente, che quella da me proposta comesuo sentimento, cioè: dopo la morte d'Augusto furonogli Spagnuoli quelli, che all'eloquenza, e Poesia recaro-no maggior danno. Sarebbe un far torto al pubblico ildistendermi di vantaggio in dileguar questa accusa: seb-bene non ne troverà di più sode e gravi in tutto questoprocesso.

E che? Forse più grave è quest'altra che si legge nellapag. 5 dove pretende, che sia da me stato sposto conmaggior odiosità quanto egli dice intorno all'influsso deldominio di Spagna, e di quel clima al cattivo gusto? IlSig. Ab. Lampillas, dic'egli (pag. 5.), accusa l'Abate Ti-

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raboschi di aver detto, che la decadenza della letteratu-ra debbasi al dominio Spagnuolo: (non so perchè noncita il luogo dove si leggano queste mie precise parole)mentre l'Ab. Tiraboschi solamente ha detto, che a ciòconcorse. Ma è ciò solo quello, che ha detto l'Abate Ti-raboschi? Rileggasi, quanto sopra abbiamo esposto in-torno ai sentimenti del Tiraboschi.

Così pure pretende il Sig. Ab. che intorno all'influssodel clima di Spagna solamente abbia detto: "che il cli-ma, sotto cui nacquero Marziale, Lucano ec. potè con-tribuire a condurli al cattivo gusto" aggiungendo"espressione, come ognun vede, assai moderata" (pag.5). Quello avverbio assai, Sig. Ab. stimatissimo, è salta-to dal suo luogo. Lo metta ella dopo il verbo contribui-re, e così recherà con fedeltà la sua espressione, cioèpotè contribuire assai al cattivo gusto. Così collocatoquell'avverbio ella vedrà che non manca dove lo hamesso, cioè prima della parola moderata; anzi non saràpoco, se il pubblico crederà, che possa restar il modera-ta anche senza l'avverbio assai. Trovasi di nuovo questosbaglio nella pag. 7 dove il Sig. Ab. ristampando quelsuo detto intorno al clima di Spagna, dopo il potè con-tribuire ha messo con troppa fretta l'ec. prima di scrive-re l'assai. Nondimeno in quell'istesso luogo sclama con-tro di me: "è ella dunque questa la fedeltà e la scrupo-losa esattezza con cui si debbon recare le parole degliAutori, quando si vogliono impugnare"? Io domando sesia lecito il mancare alla fedeltà e alla scrupolosa esat-

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raboschi di aver detto, che la decadenza della letteratu-ra debbasi al dominio Spagnuolo: (non so perchè noncita il luogo dove si leggano queste mie precise parole)mentre l'Ab. Tiraboschi solamente ha detto, che a ciòconcorse. Ma è ciò solo quello, che ha detto l'Abate Ti-raboschi? Rileggasi, quanto sopra abbiamo esposto in-torno ai sentimenti del Tiraboschi.

Così pure pretende il Sig. Ab. che intorno all'influssodel clima di Spagna solamente abbia detto: "che il cli-ma, sotto cui nacquero Marziale, Lucano ec. potè con-tribuire a condurli al cattivo gusto" aggiungendo"espressione, come ognun vede, assai moderata" (pag.5). Quello avverbio assai, Sig. Ab. stimatissimo, è salta-to dal suo luogo. Lo metta ella dopo il verbo contribui-re, e così recherà con fedeltà la sua espressione, cioèpotè contribuire assai al cattivo gusto. Così collocatoquell'avverbio ella vedrà che non manca dove lo hamesso, cioè prima della parola moderata; anzi non saràpoco, se il pubblico crederà, che possa restar il modera-ta anche senza l'avverbio assai. Trovasi di nuovo questosbaglio nella pag. 7 dove il Sig. Ab. ristampando quelsuo detto intorno al clima di Spagna, dopo il potè con-tribuire ha messo con troppa fretta l'ec. prima di scrive-re l'assai. Nondimeno in quell'istesso luogo sclama con-tro di me: "è ella dunque questa la fedeltà e la scrupo-losa esattezza con cui si debbon recare le parole degliAutori, quando si vogliono impugnare"? Io domando sesia lecito il mancare alla fedeltà e alla scrupolosa esat-

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tezza nel recare le parole degli Autori, quando si voglio-no difendere 85.Ora in questo stesso passo si osservi, ch'egli mi accusadi aver dissimulate quelle parole: congiunto alle cagionimorali; ma a convincere il Sig. Ab. che io sono lonta-nissimo di voler dissimulare in questo luogo dette paro-le, quasi che distruggano la taccia data da lui al nostroclima, mi basta presentare a' suoi occhi la pag. 209 delTom. 2. del mio Saggio, ove a bella posta intraprendol'impugnazione del suo pregiudizio intorno al clima diSpagna, e reco le sue parole colla bramata lor precisio-ne, cioè: "il clima sotto cui eran nati (Lucano e i Seneca)congiunto alle cagioni morali, che abbiam recato, potècontribuire assai ec.".

Ma venghiamo ad un'altra pretesa infedeltà, credutadal Sig. Ab. più grave delle precedenti, ed esposta da luiin questa guisa (let. pag. 7). "Ecco le parole, ch'egli inaltro luogo m'attribuisce (Tom. I): Lucano e Marziale,come chiaramente si vede, vogliono andare innanzi a

85 Eccomi dunque accusato di infedeltà dal sig. ab. Lampillas, perchè rife-rendo le mie parole ho detto che il clima, sotto cui erano nati Lucano eMarziale, potè contribuire a condurli al cattivo gusto, e ho ommessol'avverbio assai che tanto aggrava la mia proposizione. Si conosce purchiaramente ch'io non son molto felice nell'impostura. Io ommetto quimaliziosamente, come vuole l'ab. Lampillas, l'avverbio assai, e non mi ri-cordo che poco prima recando nella mia lettera tutto quel mio passo, vi hoposto bello e chiaro quel terribile assai, ch'io qui voglio toglier dalla vistadel mio avversario. Chi riflette a ciò, dirà certamente che l'ommissionenel secondo luogo è stata incolpevole, e nata da corso di penna, poichè sefosse stata volontaria, l'avrei usata anche nel primo luogo. Ma l'Ab. Lam-pillas è troppo avveduto per lasciarsi sedurre da una tal riflessione.

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tezza nel recare le parole degli Autori, quando si voglio-no difendere 85.Ora in questo stesso passo si osservi, ch'egli mi accusadi aver dissimulate quelle parole: congiunto alle cagionimorali; ma a convincere il Sig. Ab. che io sono lonta-nissimo di voler dissimulare in questo luogo dette paro-le, quasi che distruggano la taccia data da lui al nostroclima, mi basta presentare a' suoi occhi la pag. 209 delTom. 2. del mio Saggio, ove a bella posta intraprendol'impugnazione del suo pregiudizio intorno al clima diSpagna, e reco le sue parole colla bramata lor precisio-ne, cioè: "il clima sotto cui eran nati (Lucano e i Seneca)congiunto alle cagioni morali, che abbiam recato, potècontribuire assai ec.".

Ma venghiamo ad un'altra pretesa infedeltà, credutadal Sig. Ab. più grave delle precedenti, ed esposta da luiin questa guisa (let. pag. 7). "Ecco le parole, ch'egli inaltro luogo m'attribuisce (Tom. I): Lucano e Marziale,come chiaramente si vede, vogliono andare innanzi a

85 Eccomi dunque accusato di infedeltà dal sig. ab. Lampillas, perchè rife-rendo le mie parole ho detto che il clima, sotto cui erano nati Lucano eMarziale, potè contribuire a condurli al cattivo gusto, e ho ommessol'avverbio assai che tanto aggrava la mia proposizione. Si conosce purchiaramente ch'io non son molto felice nell'impostura. Io ommetto quimaliziosamente, come vuole l'ab. Lampillas, l'avverbio assai, e non mi ri-cordo che poco prima recando nella mia lettera tutto quel mio passo, vi hoposto bello e chiaro quel terribile assai, ch'io qui voglio toglier dalla vistadel mio avversario. Chi riflette a ciò, dirà certamente che l'ommissionenel secondo luogo è stata incolpevole, e nata da corso di penna, poichè sefosse stata volontaria, l'avrei usata anche nel primo luogo. Ma l'Ab. Lam-pillas è troppo avveduto per lasciarsi sedurre da una tal riflessione.

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Catullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente segui-to, e dice, che ciò io ho scritto, per conservare all'Italiail privilegio di non corrompere la Poesia, e per mostra-re, chi furono gli Autori del fatale cangiamento nellaRomana Poesia". Or io pretendo, che in questo luogo ilSig. Ab. Tiraboschi mi fa dire quello ch'io non ho detto,e dissimula ciò, che distrugge la pretesa infedeltànell'essere stati ommessi da me i nomi di Stazio, Persio,e Giovenale.

E valga il vero: s'egli non avesse dissimulato, qual siail punto, ch'io in quel luogo prendo a provare, vedrebbecertamente il Pubblico, quanto il Sig. Ab. mi rimproveria torto la pretesa mancanza di fede. Io dunque in quelparagrafo, che è il primo della quarta Dissertazione,prendo a dimostrare, che Lucano e Marziale non furonoi primi corruttori della Romana Poesia; ond'è, ch'io mistudio a dimostrare, che fin dal tempo d'Augusto perdet-te non poco del suo lustro il Catulliano e Virgiliano can-dore. Pretendo altresì, che l'Ab. Tiraboschi fa un saltoda Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano: e che nesiegue da questo salto? Che non incontrandosi che Per-sio anteriore a Lucano e Marziale, compariscano questidue Spagnuoli come i primi corruttori della RomanaPoesia. In prova di ciò reco (p. 229) quelle parole delTiraboschi: "Lucano è il primo che noi vediamo disto-gliersi dal dritto sentiero, e poi quelle altre, Lucano eMarziale, come chiaramente si vede dai loro versi, vo-gliono andare innanzi a Catullo e Virgilio, e il loro

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Catullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente segui-to, e dice, che ciò io ho scritto, per conservare all'Italiail privilegio di non corrompere la Poesia, e per mostra-re, chi furono gli Autori del fatale cangiamento nellaRomana Poesia". Or io pretendo, che in questo luogo ilSig. Ab. Tiraboschi mi fa dire quello ch'io non ho detto,e dissimula ciò, che distrugge la pretesa infedeltànell'essere stati ommessi da me i nomi di Stazio, Persio,e Giovenale.

E valga il vero: s'egli non avesse dissimulato, qual siail punto, ch'io in quel luogo prendo a provare, vedrebbecertamente il Pubblico, quanto il Sig. Ab. mi rimproveria torto la pretesa mancanza di fede. Io dunque in quelparagrafo, che è il primo della quarta Dissertazione,prendo a dimostrare, che Lucano e Marziale non furonoi primi corruttori della Romana Poesia; ond'è, ch'io mistudio a dimostrare, che fin dal tempo d'Augusto perdet-te non poco del suo lustro il Catulliano e Virgiliano can-dore. Pretendo altresì, che l'Ab. Tiraboschi fa un saltoda Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano: e che nesiegue da questo salto? Che non incontrandosi che Per-sio anteriore a Lucano e Marziale, compariscano questidue Spagnuoli come i primi corruttori della RomanaPoesia. In prova di ciò reco (p. 229) quelle parole delTiraboschi: "Lucano è il primo che noi vediamo disto-gliersi dal dritto sentiero, e poi quelle altre, Lucano eMarziale, come chiaramente si vede dai loro versi, vo-gliono andare innanzi a Catullo e Virgilio, e il loro

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esempio fu ciecamente seguito". Tralascio di nominareStazio, Persio e Giovenale, perchè in quel luogo nonvengono rappresentati dall'Ab. Tiraboschi come i primicorruttori; mentr'egli concede gentilissimamente quelprimo posto ai tre Spagnuoli, benchè Persio sia stato an-teriore a Lucano e Marziale.

Ciò si sarebbe visto più chiaramente, se l'Ab. Tirabo-schi recate avesse con fedeltà le mie precise parole. Eglimi fa dire che il Tiraboschi ha scritto così per conserva-re all'Italia il privilegio di non corrompere la poesia; ioperò dico: "ch'egli ha abbracciato il partito di saltareda Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano, come ne-cessario per conservare all'Italia il privilegio di noncorromper da se la poesia"; immediatamente soggiun-go: Lucano scrive questo Autore, è il primo, che noi ve-diamo distogliersi dal dritto sentiero, e poi Lucano eMarziale, come chiaramente ec.

Trovi qui, Sig. Ab., ch'io abbia detto aver lui scrittoqueste ultime parole per conservare all'Italia il privile-gio di non corrompere la poesia. Quelle parole sonodette da me prima di citare il suo testimonio, e sono re-lative al salto da lui fatto dall'Epoca d'Augusto a quelladi Lucano e Marziale: e il Sig. Ab. con somma fedeltàme le fa dire dopo recato il suo testimonio, aggiungen-dovi, che io dico, essersi da lui scritte tali parole perconservare all'Italia il privilegio di non corromper lapoesia, pervertendo così intieramente tutto quel passo,secondo che a lui torna più in acconcio.

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esempio fu ciecamente seguito". Tralascio di nominareStazio, Persio e Giovenale, perchè in quel luogo nonvengono rappresentati dall'Ab. Tiraboschi come i primicorruttori; mentr'egli concede gentilissimamente quelprimo posto ai tre Spagnuoli, benchè Persio sia stato an-teriore a Lucano e Marziale.

Ciò si sarebbe visto più chiaramente, se l'Ab. Tirabo-schi recate avesse con fedeltà le mie precise parole. Eglimi fa dire che il Tiraboschi ha scritto così per conserva-re all'Italia il privilegio di non corrompere la poesia; ioperò dico: "ch'egli ha abbracciato il partito di saltareda Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano, come ne-cessario per conservare all'Italia il privilegio di noncorromper da se la poesia"; immediatamente soggiun-go: Lucano scrive questo Autore, è il primo, che noi ve-diamo distogliersi dal dritto sentiero, e poi Lucano eMarziale, come chiaramente ec.

Trovi qui, Sig. Ab., ch'io abbia detto aver lui scrittoqueste ultime parole per conservare all'Italia il privile-gio di non corrompere la poesia. Quelle parole sonodette da me prima di citare il suo testimonio, e sono re-lative al salto da lui fatto dall'Epoca d'Augusto a quelladi Lucano e Marziale: e il Sig. Ab. con somma fedeltàme le fa dire dopo recato il suo testimonio, aggiungen-dovi, che io dico, essersi da lui scritte tali parole perconservare all'Italia il privilegio di non corromper lapoesia, pervertendo così intieramente tutto quel passo,secondo che a lui torna più in acconcio.

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Ma almeno non avesse dissimulato in quelle mie pa-role ciò che più mostra ad evidenza il vero mio senti-mento. Non dissi, ch'egli abbracciato avesse quel parti-to, per conservare all'Italia il privilegio di non corrom-per la poesia; ma di non corrompere DA SE, cioè di nonessere stati gli Italiani i primi corruttori, e ciò egli lo sal-vava nominando fra i corruttori, in primo luogo i treSpagnuoli, benchè dietro a costoro contro l'ordine cro-nologico nominasse tre Italiani. Ciò scrissi espressa-mente nella pag. 221 dove dico "che egli pretende cheLucano e Marziale siano i primi, i quali volendo esseresuperiori a Virgilio e Catullo, abbandonarono il drittosentiero"; non dico, ch'egli pretenda che furono i soli,ma che furono i primi. Così pure nella pag. 240, scriveche: "l'Ab. Tiraboschi trova in Persio il difetto di voleravvantaggiarsi sopra i Poeti del secol d'oro, come ilprimo, (notisi ben quel primo) che recasse questo dannoalla Poesia, aggiungendo, che il suo esempio fu cieca-mente seguito da Lucano? E conchiudo col dire: ma nonlo ha fatto, perchè Lucano dovea essere il primo a di-stogliersi dal dritto sentiero, volendo andare innanzi aVirgilio".

In vista di ciò, come mai ha avuto ella coraggio discrivere, ch'io "troncando il testo gli fo nominar sola-mente due Poeti Spagnuoli per persuadere a' Lettori,che tutta ella attribuisce agli Spagnuoli la colpa dellacorruzione del buon gusto"? E non avrò forse io mag-gior ragione di sclamare: ove è qui, Sig. Ab. stimatissi-

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Ma almeno non avesse dissimulato in quelle mie pa-role ciò che più mostra ad evidenza il vero mio senti-mento. Non dissi, ch'egli abbracciato avesse quel parti-to, per conservare all'Italia il privilegio di non corrom-per la poesia; ma di non corrompere DA SE, cioè di nonessere stati gli Italiani i primi corruttori, e ciò egli lo sal-vava nominando fra i corruttori, in primo luogo i treSpagnuoli, benchè dietro a costoro contro l'ordine cro-nologico nominasse tre Italiani. Ciò scrissi espressa-mente nella pag. 221 dove dico "che egli pretende cheLucano e Marziale siano i primi, i quali volendo esseresuperiori a Virgilio e Catullo, abbandonarono il drittosentiero"; non dico, ch'egli pretenda che furono i soli,ma che furono i primi. Così pure nella pag. 240, scriveche: "l'Ab. Tiraboschi trova in Persio il difetto di voleravvantaggiarsi sopra i Poeti del secol d'oro, come ilprimo, (notisi ben quel primo) che recasse questo dannoalla Poesia, aggiungendo, che il suo esempio fu cieca-mente seguito da Lucano? E conchiudo col dire: ma nonlo ha fatto, perchè Lucano dovea essere il primo a di-stogliersi dal dritto sentiero, volendo andare innanzi aVirgilio".

In vista di ciò, come mai ha avuto ella coraggio discrivere, ch'io "troncando il testo gli fo nominar sola-mente due Poeti Spagnuoli per persuadere a' Lettori,che tutta ella attribuisce agli Spagnuoli la colpa dellacorruzione del buon gusto"? E non avrò forse io mag-gior ragione di sclamare: ove è qui, Sig. Ab. stimatissi-

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mo, la buona fede? E vi sarebbe, chi credesse giammai,che in un passo, dov'egli pretende convincermi di unagrava infedeltà, se ne dovesse trovar un gruppo intieroda canto suo, ora dissimulando ciò, ch'io in quel passoprendo a provare; ora troncando i miei periodi, levando-ne ciò, che dimostra la mia buona fede; ora trasportandoa diverso luogo le mie parole; e finalmente mettendomiin bocca ciò ch'egli non troverà giammai, benchè legga,e rilegga il citato passo, e tutti gli altri del mio Saggio86?

"A questa infedeltà (siegue l'Ab. Tiraboschi pag. 8.) èsomigliante quell'altra, in cui egli citando quel mio pas-so medesimo dice, ch'io confesso che Lucano e Marzia-le furono i migliori poeti del suo tempo, cosa ch'io hodetto generalmente di tutti i già nominati Poeti, e nondei due soli Spagnuoli". Ben potevo io contentarmi diquesto suo giudizio, ed accordare al Sig. Ab., che questainfedeltà è somigliante all'altra, dimostrata da me falsa,ed insussistente. Io però pretendo difendermi con sode

86 Al divincolarsi che qui fa l'ab. Lampillas, ricorrendo per iscusare la suainfedeltà a miseri sutterfugi, io non farò altra risposta che col pregare isaggi lettori a confrontare insieme la mia Dissertazione, il suo Saggio, lamia lettera, e la sua risposta; e a decidere, a qual parte sia favorevole laragione. Dirò solo ch'io non veggo com'ei mi possa rimproverare, perchèriferendo quelle sue parole per conservare all'Italia il privilegio di noncorrompere la Poesia, io abbia ommesse le parole da me, giacchè io nonveggo, qual differenza s'introduca nel testo con tale ommissione. Chi diceche l'Italia non corrompe la Poesia, vuol dire, a mio credere, che se fossestata al mondo l'Italia sola, la poesia non si sarebbe guasta, che è poi lostesso che dire ch'ella non la corrompe da se, ma solo è in essa corrottaper opera altrui.

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mo, la buona fede? E vi sarebbe, chi credesse giammai,che in un passo, dov'egli pretende convincermi di unagrava infedeltà, se ne dovesse trovar un gruppo intieroda canto suo, ora dissimulando ciò, ch'io in quel passoprendo a provare; ora troncando i miei periodi, levando-ne ciò, che dimostra la mia buona fede; ora trasportandoa diverso luogo le mie parole; e finalmente mettendomiin bocca ciò ch'egli non troverà giammai, benchè legga,e rilegga il citato passo, e tutti gli altri del mio Saggio86?

"A questa infedeltà (siegue l'Ab. Tiraboschi pag. 8.) èsomigliante quell'altra, in cui egli citando quel mio pas-so medesimo dice, ch'io confesso che Lucano e Marzia-le furono i migliori poeti del suo tempo, cosa ch'io hodetto generalmente di tutti i già nominati Poeti, e nondei due soli Spagnuoli". Ben potevo io contentarmi diquesto suo giudizio, ed accordare al Sig. Ab., che questainfedeltà è somigliante all'altra, dimostrata da me falsa,ed insussistente. Io però pretendo difendermi con sode

86 Al divincolarsi che qui fa l'ab. Lampillas, ricorrendo per iscusare la suainfedeltà a miseri sutterfugi, io non farò altra risposta che col pregare isaggi lettori a confrontare insieme la mia Dissertazione, il suo Saggio, lamia lettera, e la sua risposta; e a decidere, a qual parte sia favorevole laragione. Dirò solo ch'io non veggo com'ei mi possa rimproverare, perchèriferendo quelle sue parole per conservare all'Italia il privilegio di noncorrompere la Poesia, io abbia ommesse le parole da me, giacchè io nonveggo, qual differenza s'introduca nel testo con tale ommissione. Chi diceche l'Italia non corrompe la Poesia, vuol dire, a mio credere, che se fossestata al mondo l'Italia sola, la poesia non si sarebbe guasta, che è poi lostesso che dire ch'ella non la corrompe da se, ma solo è in essa corrottaper opera altrui.

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ragioni, non già con stiracchiature e cavillazioni. Con-fesso che quella lode, come vien da me esposta, è al-quanto più espressiva di quello che sia nell'opera del Si-gnor Abate, e perciò prego i leggitori del mio Saggio,che a quelle parole i migliori Poeti sostituiscano questede' migliori Poeti.

Eccovi l'unico sbaglio intorno ai detti del Sig. Ab. Ti-raboschi di cui egli possa convincer l'Ab. Lampillas: equale mai è questa mancanza di fede? È forse l'aver fat-to dire all'Ab. Tirab. qualche cosa, ch'ei non ha dettocontro la letteratura Spagnuola? È aver dissimulato ciòche distrugge l'accusa di essere troppo prevenuto controi nostri Autori? Signori no. Questa gran mancanza difede consiste nel aver io messo in bocca al Signor Abateuna lode dei due autori Spagnuoli alquanto più ecceden-te di quella che egli avea pronunziata. Ecco quell'AbateLampillas, che in tutta la sua opera sempre mai si studiadi far comparire l'Abate Tiraboschi dichiarato nemicodegli Autori Spagnuoli.

Ma passiamo ad un'altra pretesa infedeltà, che hacommosso il pacato animo del Sig. Ab. Siamo nell'apo-logia del carattere morale di Seneca, dove io lo difendodalle ingiuste accuse di questo imparziale Scrittore, ilquale aggiunge gentilmente: Nè è qui luogo a cercarecon qual sorta di pruove: ma se ciò cercar volesse il Si-gnor Abate, non troverebbe certamente, ch'io mi protestidi difenderlo coi testimoni di Tacito, e poi neppure unasola pruova ne appoggi al testimonio di quest'Autore. Or

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ragioni, non già con stiracchiature e cavillazioni. Con-fesso che quella lode, come vien da me esposta, è al-quanto più espressiva di quello che sia nell'opera del Si-gnor Abate, e perciò prego i leggitori del mio Saggio,che a quelle parole i migliori Poeti sostituiscano questede' migliori Poeti.

Eccovi l'unico sbaglio intorno ai detti del Sig. Ab. Ti-raboschi di cui egli possa convincer l'Ab. Lampillas: equale mai è questa mancanza di fede? È forse l'aver fat-to dire all'Ab. Tirab. qualche cosa, ch'ei non ha dettocontro la letteratura Spagnuola? È aver dissimulato ciòche distrugge l'accusa di essere troppo prevenuto controi nostri Autori? Signori no. Questa gran mancanza difede consiste nel aver io messo in bocca al Signor Abateuna lode dei due autori Spagnuoli alquanto più ecceden-te di quella che egli avea pronunziata. Ecco quell'AbateLampillas, che in tutta la sua opera sempre mai si studiadi far comparire l'Abate Tiraboschi dichiarato nemicodegli Autori Spagnuoli.

Ma passiamo ad un'altra pretesa infedeltà, che hacommosso il pacato animo del Sig. Ab. Siamo nell'apo-logia del carattere morale di Seneca, dove io lo difendodalle ingiuste accuse di questo imparziale Scrittore, ilquale aggiunge gentilmente: Nè è qui luogo a cercarecon qual sorta di pruove: ma se ciò cercar volesse il Si-gnor Abate, non troverebbe certamente, ch'io mi protestidi difenderlo coi testimoni di Tacito, e poi neppure unasola pruova ne appoggi al testimonio di quest'Autore. Or

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dove pretende mai il Sig. ab. trovare in questo passo lamia infedeltà? Eccolo. Dopo aver il Sig. Ab. Tiraboschidipinto il carattere morale di Seneca come d'un uomomacchiato di tutti i vizi, impiegando in questo bel passoparecchie pagine della sua immortale Storia, passa a di-scorrere di Cajo Plinio Secondo con questa transizione:Assai diverso fu il carattere e il tenore di vita di CajoPlinio il Secondo detto il vecchio: e queste parole con-fessa il Sig. Ab. Tiraboschi, che veramente sono sue.Fin qui dunque non v'è infedeltà.

Or io a vista di queste parole, e osservando, che il Ti-raboschi senza spiegar, quale fosse questa diversità dicarattere e di tenore di vita, passava a parlar di tutt'altro,dissi, che una tal maniera di scrivere in quelle circostan-ze era un dar ad intendere, che C. Plinio il vecchio fossestato un uomo onestissimo; e soggiungo poi: "Domandoio: può dirsi utile, ed opportuno a' tempi nostri il cercartutte le congetture, per far credere, che fu un uomobruttato di tutti i vizj un Filosofo, che scrisse altamentedella Provvidenza, qual fu Seneca; ed in confronto suovoler far credere d'un carattere onestissimo e virtuosoun derisore della Divina Provvidenza, un combattitoredell'immortalità dell'anima, qual fu C. Plinio"? Avrebbemai sognato nessuno, che dopo aver recate queste mieparole dovesse sclamare il Tiraboschi: "Ma di grazia,ove mai ho io scritto, che Plinio il vecchio fosse uomodi carattere onestissimo e virtuoso? Legga, e rilegga ilSignor Abate Lampillas tutto il passo etc. (lettera pagina

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dove pretende mai il Sig. ab. trovare in questo passo lamia infedeltà? Eccolo. Dopo aver il Sig. Ab. Tiraboschidipinto il carattere morale di Seneca come d'un uomomacchiato di tutti i vizi, impiegando in questo bel passoparecchie pagine della sua immortale Storia, passa a di-scorrere di Cajo Plinio Secondo con questa transizione:Assai diverso fu il carattere e il tenore di vita di CajoPlinio il Secondo detto il vecchio: e queste parole con-fessa il Sig. Ab. Tiraboschi, che veramente sono sue.Fin qui dunque non v'è infedeltà.

Or io a vista di queste parole, e osservando, che il Ti-raboschi senza spiegar, quale fosse questa diversità dicarattere e di tenore di vita, passava a parlar di tutt'altro,dissi, che una tal maniera di scrivere in quelle circostan-ze era un dar ad intendere, che C. Plinio il vecchio fossestato un uomo onestissimo; e soggiungo poi: "Domandoio: può dirsi utile, ed opportuno a' tempi nostri il cercartutte le congetture, per far credere, che fu un uomobruttato di tutti i vizj un Filosofo, che scrisse altamentedella Provvidenza, qual fu Seneca; ed in confronto suovoler far credere d'un carattere onestissimo e virtuosoun derisore della Divina Provvidenza, un combattitoredell'immortalità dell'anima, qual fu C. Plinio"? Avrebbemai sognato nessuno, che dopo aver recate queste mieparole dovesse sclamare il Tiraboschi: "Ma di grazia,ove mai ho io scritto, che Plinio il vecchio fosse uomodi carattere onestissimo e virtuoso? Legga, e rilegga ilSignor Abate Lampillas tutto il passo etc. (lettera pagina

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8)".Ma dove siamo, replico io, caro Sig. Abate? E quale

mai si cred'ella che sia il Pubblico d'Italia, a cui presentaquesta sua difesa, col fingerlo sbalordito a segno di nonvedere, che io nelle mie parole da lui ristampate, dicobensì, che il Sig. Abate in confronto di Seneca vuol farcredere d'un carattere onestissimo e virtuoso C. Pliniosecondo: non però dico, che il Sig. Ab. Tiraboschi scri-ve, che Plinio il vecchio fosse un uomo di carattere one-stissimo e virtuoso. Legga, e rilegga il Sig. Ab. tutto ilpasso, in cui io di ciò ragiono; e s'ei ritrova queste, o so-miglianti parole, io mi do vinto. Quando il Sig. Abateavesse provato, che da quella sua proposizione mala-mente s'argomentava, ch'egli volesse far credere di ca-rattere onestissimo C. Plinio, avrebbe avuto tutto il dirit-to d'accusarmi di cattivo ragionatore, non giammaid'uomo mancante di fede.

Calzerebbe contro me quest'accusa, se io avessi scrit-to ciò, che con iscrupolosa fede e buonissima intenzioneei mi fa dire. Ma a dir il vero, in questo passo non trove-rà il Pubblico men buona della mia dialettica la miafede. In fatti, quando il Sig. Ab. Tiraboschi non pretendad'esser inteso contro il senso comune, non otterrà egligiammai, che le suddette parole sue poste nel luogo enelle circostanze, in cui da lui s'adoperano, non abbianoquella forza e quel senso, che da me viene loro dato.

Non possono forse trovarsi, dice l'Ab. Tiraboschi

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8)".Ma dove siamo, replico io, caro Sig. Abate? E quale

mai si cred'ella che sia il Pubblico d'Italia, a cui presentaquesta sua difesa, col fingerlo sbalordito a segno di nonvedere, che io nelle mie parole da lui ristampate, dicobensì, che il Sig. Abate in confronto di Seneca vuol farcredere d'un carattere onestissimo e virtuoso C. Pliniosecondo: non però dico, che il Sig. Ab. Tiraboschi scri-ve, che Plinio il vecchio fosse un uomo di carattere one-stissimo e virtuoso. Legga, e rilegga il Sig. Ab. tutto ilpasso, in cui io di ciò ragiono; e s'ei ritrova queste, o so-miglianti parole, io mi do vinto. Quando il Sig. Abateavesse provato, che da quella sua proposizione mala-mente s'argomentava, ch'egli volesse far credere di ca-rattere onestissimo C. Plinio, avrebbe avuto tutto il dirit-to d'accusarmi di cattivo ragionatore, non giammaid'uomo mancante di fede.

Calzerebbe contro me quest'accusa, se io avessi scrit-to ciò, che con iscrupolosa fede e buonissima intenzioneei mi fa dire. Ma a dir il vero, in questo passo non trove-rà il Pubblico men buona della mia dialettica la miafede. In fatti, quando il Sig. Ab. Tiraboschi non pretendad'esser inteso contro il senso comune, non otterrà egligiammai, che le suddette parole sue poste nel luogo enelle circostanze, in cui da lui s'adoperano, non abbianoquella forza e quel senso, che da me viene loro dato.

Non possono forse trovarsi, dice l'Ab. Tiraboschi

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(pag. 8) due o più uomini tutti viziosi, e tutti di caratterel'un dall'altro diverso? Ma, Sig. Abate stimatissimo, siricorda ella, che siamo davanti al Tribunale degli uominisaggi e dotti? E non si fa ella coscienza di far loro per-dere i preziosi momenti de' loro studi in ascoltare cotaidifese? Meglio sarà, che lasciati in pace questi eruditiuomini ci presentiamo al Tribunale di chiunque non èsfornito di senso comune, e s'ella trova un solo, il qualenon volendo tradire il proprio intimo senso, resti pago diquesta sua difesa, io mi do vinto. Pretendo dunque, chese taluno dopo aver parlato di Tizio dipingendolo di uncarattere morale mancante d'ogni onestà, con individua-re lungamente i più neri vizi, de' quali fu macchiato tut-to il tenore della vita di costui, immediatamente aggiun-ga: assai diverso fu il carattere e il tenore di vita diCajo, senza dir altro: quel tale, io pretendo, che vogliadar ad intendere, che il carattere e tenor di vita di Cajofu onesto contrapposto a quello di Tizio. È vero, che ilcarattere abbraccia forse ugualmente l'indole naturale, iltenor di vita, lo studio, i costumi, e più altre relazioni;ma è vero altresì, che dal luogo e circostanze, in cuivien messo, resta determinata questa parola carattere asignificare una di tali cose in particolare. Ciò posto iodico, che in quel luogo e circostanze, in cui vien da luimessa quella parola carattere con le altre tenor di vita,non può secondo il senso naturale significar altro, senon che Plinio fu un uom onesto.

Finiamola con un altro esempio. S'ella, Sig. ab., sen-

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(pag. 8) due o più uomini tutti viziosi, e tutti di caratterel'un dall'altro diverso? Ma, Sig. Abate stimatissimo, siricorda ella, che siamo davanti al Tribunale degli uominisaggi e dotti? E non si fa ella coscienza di far loro per-dere i preziosi momenti de' loro studi in ascoltare cotaidifese? Meglio sarà, che lasciati in pace questi eruditiuomini ci presentiamo al Tribunale di chiunque non èsfornito di senso comune, e s'ella trova un solo, il qualenon volendo tradire il proprio intimo senso, resti pago diquesta sua difesa, io mi do vinto. Pretendo dunque, chese taluno dopo aver parlato di Tizio dipingendolo di uncarattere morale mancante d'ogni onestà, con individua-re lungamente i più neri vizi, de' quali fu macchiato tut-to il tenore della vita di costui, immediatamente aggiun-ga: assai diverso fu il carattere e il tenore di vita diCajo, senza dir altro: quel tale, io pretendo, che vogliadar ad intendere, che il carattere e tenor di vita di Cajofu onesto contrapposto a quello di Tizio. È vero, che ilcarattere abbraccia forse ugualmente l'indole naturale, iltenor di vita, lo studio, i costumi, e più altre relazioni;ma è vero altresì, che dal luogo e circostanze, in cuivien messo, resta determinata questa parola carattere asignificare una di tali cose in particolare. Ciò posto iodico, che in quel luogo e circostanze, in cui vien da luimessa quella parola carattere con le altre tenor di vita,non può secondo il senso naturale significar altro, senon che Plinio fu un uom onesto.

Finiamola con un altro esempio. S'ella, Sig. ab., sen-

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tisse taluno, che dopo pubblicata la sua lettera discorres-se così: "Il Sig. Ab. Tiraboschi risponde all'Ab. Lampil-las con maniera dispregiante ed ingiuriosa; manca allaconvenienza, e alla urbanità, manifesta un caratterepoco degno d'uomo letterato: assai diversa è la manieraed il carattere dell'Abate Lampillas". Mi dica di grazia:Sarebbe ella mai così buona di darsi ad intendere, chequel tale non pretenda dire, che la maniera e il caratteredell'Ab. Lampillas sieno una maniera piena d'urbanità, econvenienza, e un carattere onesto 87?

87 In poche parole io rispondo a questo lunghissimo tratto dell'ab. Lampillas.Egli crede di salvarsi abbastanza dicendo ch'ei non ha mai detto ch'ioscrivo, ma sol che voglio far credere che Plinio il vecchio fosse uomo dionestissimo carattere. Ma come mai voglio io far credere ciò che in niunamaniera nè affermo, nè accenno? Io parlo lungamente di Plinio, e nondico una parola in lode del suo carattere morale. Dunque nè io scrivo, nèvoglio far credere ch'ei fosse uomo virtuoso. Ma come dunque affermo ioche il carattere e il tenor di vita di Plinio fosse assai diverso da quello diSeneca? Si legga ciò ch'io dico di questi due scrittori, e senza punto ricor-rere al carattere morale, si vedrà qual differenza passi tra essi.

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tisse taluno, che dopo pubblicata la sua lettera discorres-se così: "Il Sig. Ab. Tiraboschi risponde all'Ab. Lampil-las con maniera dispregiante ed ingiuriosa; manca allaconvenienza, e alla urbanità, manifesta un caratterepoco degno d'uomo letterato: assai diversa è la manieraed il carattere dell'Abate Lampillas". Mi dica di grazia:Sarebbe ella mai così buona di darsi ad intendere, chequel tale non pretenda dire, che la maniera e il caratteredell'Ab. Lampillas sieno una maniera piena d'urbanità, econvenienza, e un carattere onesto 87?

87 In poche parole io rispondo a questo lunghissimo tratto dell'ab. Lampillas.Egli crede di salvarsi abbastanza dicendo ch'ei non ha mai detto ch'ioscrivo, ma sol che voglio far credere che Plinio il vecchio fosse uomo dionestissimo carattere. Ma come mai voglio io far credere ciò che in niunamaniera nè affermo, nè accenno? Io parlo lungamente di Plinio, e nondico una parola in lode del suo carattere morale. Dunque nè io scrivo, nèvoglio far credere ch'ei fosse uomo virtuoso. Ma come dunque affermo ioche il carattere e il tenor di vita di Plinio fosse assai diverso da quello diSeneca? Si legga ciò ch'io dico di questi due scrittori, e senza punto ricor-rere al carattere morale, si vedrà qual differenza passi tra essi.

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TERZA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas fa dissimulare all'Ab. Tirab. cose,ch'egli non ha in alcun modo dissimulate.

Dice in terzo luogo l'Abate Tiraboschi, ch'io l'accusod'aver dissimulate cose, ch'egli non ha in alcun mododissimulate. (lett. pag. 9).

In pruova di questa pretesa infedeltà reca queste mieparole del tom. I, pag. 264. "Se Lucano avesse avuto lasorte di nascere sotto il cielo privilegiato d'Italia, trovataavrebbe l'Ab. Tiraboschi nella giovine età, in cui com-pose la Farsalia, ragion potentissima, onde scusare i di-fetti, che si scuoprono in questo Poema, ed ammirare lemolte bellezze, che gli imparziali vi ammirano". Aggiu-gne poi parlando col suo corrispondente: "Voi credete,ch'io non abbia punto accennata la giovenile età di Lu-cano, e i pregi di cui questo Poeta fu adorno".

Io non so cosa sia per credersi il detto Sig. corrispon-dente. So per altro, che se vorrà fondarsi sulle riferitemie parole, non sarà obbligato a credere, che il Sig. Ab.Tiraboschi non abbia punto accennata la giovanile etàdi Lucano: ma crederà bensì, ch'egli non abbia trovatanell'età giovanile di Lucano ragion potentissima, ondescusare i difetti, che si scuoprono nella Farsalia, ed am-mirare le molte bellezze, che gl'imparziali vi ammirano.Nè altro crederà il lodato Sig. Abate, benchè apra la Sto-ria dell'Ab. Tiraboschi, ed in essa legga (T. II): "Nè vo-

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TERZA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas fa dissimulare all'Ab. Tirab. cose,ch'egli non ha in alcun modo dissimulate.

Dice in terzo luogo l'Abate Tiraboschi, ch'io l'accusod'aver dissimulate cose, ch'egli non ha in alcun mododissimulate. (lett. pag. 9).

In pruova di questa pretesa infedeltà reca queste mieparole del tom. I, pag. 264. "Se Lucano avesse avuto lasorte di nascere sotto il cielo privilegiato d'Italia, trovataavrebbe l'Ab. Tiraboschi nella giovine età, in cui com-pose la Farsalia, ragion potentissima, onde scusare i di-fetti, che si scuoprono in questo Poema, ed ammirare lemolte bellezze, che gli imparziali vi ammirano". Aggiu-gne poi parlando col suo corrispondente: "Voi credete,ch'io non abbia punto accennata la giovenile età di Lu-cano, e i pregi di cui questo Poeta fu adorno".

Io non so cosa sia per credersi il detto Sig. corrispon-dente. So per altro, che se vorrà fondarsi sulle riferitemie parole, non sarà obbligato a credere, che il Sig. Ab.Tiraboschi non abbia punto accennata la giovanile etàdi Lucano: ma crederà bensì, ch'egli non abbia trovatanell'età giovanile di Lucano ragion potentissima, ondescusare i difetti, che si scuoprono nella Farsalia, ed am-mirare le molte bellezze, che gl'imparziali vi ammirano.Nè altro crederà il lodato Sig. Abate, benchè apra la Sto-ria dell'Ab. Tiraboschi, ed in essa legga (T. II): "Nè vo-

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glio già io negare, che Lucano fosse Poeta di grande in-gegno, che anzi ne' difetti, che noi veggiamo in lui, noncade se non chi abbia ingegno vivace, e fervida fantasia.Ma oltrecchè egli era in età giovanile troppo ed immatu-ra per ordire e condurre felicemente un Poema, avvennea lui prima che ad ogn'altro (in ciò ch'è Poema Epico)quello che avvenir suole a' Poeti, ec.". Dopo queste pa-role con invidiabile franchezza, quasichè dimostrataavesse la mia infedeltà, aggiunge: Poteva io toccare piùchiaramente ciò, che il Sig. Ab. Lampillas si duole ch'ionon abbia toccato? (pag. 9). Ov'è qui Sig. Ab. quellabuona fede di cui ella mi accusava mancante? Dov'èch'io mi dolga, ch'ella toccata non abbia l'età giovaniledi Lucano? Mi dolgo bensì nelle parole da lei recate,ch'ella non trovi nell'età giovanile di questo Poeta ra-gion potentissima, onde scusare i difetti, e ammirarne lemolte bellezze, che li imparziali vi ammirano nella Far-salia; e questa è una verità, ch'ella viene a confessarecolle parole istesse, con cui pretende offuscarle.

E valga il vero: il trovare nell'età giovanile di Lucanoragion potentissima, onde dichiararlo incapace ad ordi-re, e condurre felicemente un Poema, sarà mai trovarenell'età giovanile di Lucano ragion potentissima, ondescusare i difetti, e ammirare le molte bellezze, ch'altri viammirano? Tanto si mostra lontano da ciò pretenderel'Ab. Tiraboschi, che anzi quasi si sdegna contro coloro,che dalla età giovanile di Lucano prendono motivo adammirare le sue poetiche virtù. Mr. Marmontel preten-

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glio già io negare, che Lucano fosse Poeta di grande in-gegno, che anzi ne' difetti, che noi veggiamo in lui, noncade se non chi abbia ingegno vivace, e fervida fantasia.Ma oltrecchè egli era in età giovanile troppo ed immatu-ra per ordire e condurre felicemente un Poema, avvennea lui prima che ad ogn'altro (in ciò ch'è Poema Epico)quello che avvenir suole a' Poeti, ec.". Dopo queste pa-role con invidiabile franchezza, quasichè dimostrataavesse la mia infedeltà, aggiunge: Poteva io toccare piùchiaramente ciò, che il Sig. Ab. Lampillas si duole ch'ionon abbia toccato? (pag. 9). Ov'è qui Sig. Ab. quellabuona fede di cui ella mi accusava mancante? Dov'èch'io mi dolga, ch'ella toccata non abbia l'età giovaniledi Lucano? Mi dolgo bensì nelle parole da lei recate,ch'ella non trovi nell'età giovanile di questo Poeta ra-gion potentissima, onde scusare i difetti, e ammirarne lemolte bellezze, che li imparziali vi ammirano nella Far-salia; e questa è una verità, ch'ella viene a confessarecolle parole istesse, con cui pretende offuscarle.

E valga il vero: il trovare nell'età giovanile di Lucanoragion potentissima, onde dichiararlo incapace ad ordi-re, e condurre felicemente un Poema, sarà mai trovarenell'età giovanile di Lucano ragion potentissima, ondescusare i difetti, e ammirare le molte bellezze, ch'altri viammirano? Tanto si mostra lontano da ciò pretenderel'Ab. Tiraboschi, che anzi quasi si sdegna contro coloro,che dalla età giovanile di Lucano prendono motivo adammirare le sue poetiche virtù. Mr. Marmontel preten-

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de, che nella Farsalia debba ammirarsi il più grande deipolitici avvenimenti rappresentato da un giovane conuna maestà che impone, e con un coraggio che confon-de. A vista di questo testimonio l'Ab. Tiraboschi sog-giunge: altri forse direbbe, con una gonfiezza che anno-ja, e con una presunzione che ributta (T. II, p. 55). Que-sta è la leggiadra maniera, con cui questo preteso enco-miatore di Lucano trova nell'età di lui giovanile ragionpotentissima per iscusarne i difetti, ed ammirarne la vir-tù 88.

Non è men graziosa la maniera, con cui egli pretende,che il suo Sig. corrispondente trovi nella Storia letterariaaccennati i pregi, di cui è adorno Lucano. In prova diciò reca queste sue parole: Nè voglio già io negare, cheLucano fosse poeta di grand'ingegno, che anzi ne' difet-ti, che noi veggiamo in lui, non cade, se non chi abbiaingegno vivace, e fervida fantasia. Ma non vede il Sig.Abate, che se il suo corrispondente apre la Storia, trove-rà, ch'ei scrive, che in Lucano quasi ogni cosa è mo-struosa, e sformata – che non sa parlare se non decla-ma – non sa descrivere se non esagera – che si trovauna gonfiezza che annoja, e una presunzione che ributta– che vien comparato Lucano ad un inesperto Scultore,che a vista d'una statua greca forma un colosso, ma sen-

88 Dicendo io che Lucano era in età giovanile troppo e immatura per ordinee condurre felicemente un poema, non trovo io nell'età giovanile di esso lascusa de' suoi difetti? Ognuno ne giudichi. Ma l'ab. Lampillas avrebbe vo-luto ch'io esaltassi Lucano con più ampie lodi; e io amo troppo la mia ri-putazione per farlo.

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de, che nella Farsalia debba ammirarsi il più grande deipolitici avvenimenti rappresentato da un giovane conuna maestà che impone, e con un coraggio che confon-de. A vista di questo testimonio l'Ab. Tiraboschi sog-giunge: altri forse direbbe, con una gonfiezza che anno-ja, e con una presunzione che ributta (T. II, p. 55). Que-sta è la leggiadra maniera, con cui questo preteso enco-miatore di Lucano trova nell'età di lui giovanile ragionpotentissima per iscusarne i difetti, ed ammirarne la vir-tù 88.

Non è men graziosa la maniera, con cui egli pretende,che il suo Sig. corrispondente trovi nella Storia letterariaaccennati i pregi, di cui è adorno Lucano. In prova diciò reca queste sue parole: Nè voglio già io negare, cheLucano fosse poeta di grand'ingegno, che anzi ne' difet-ti, che noi veggiamo in lui, non cade, se non chi abbiaingegno vivace, e fervida fantasia. Ma non vede il Sig.Abate, che se il suo corrispondente apre la Storia, trove-rà, ch'ei scrive, che in Lucano quasi ogni cosa è mo-struosa, e sformata – che non sa parlare se non decla-ma – non sa descrivere se non esagera – che si trovauna gonfiezza che annoja, e una presunzione che ributta– che vien comparato Lucano ad un inesperto Scultore,che a vista d'una statua greca forma un colosso, ma sen-

88 Dicendo io che Lucano era in età giovanile troppo e immatura per ordinee condurre felicemente un poema, non trovo io nell'età giovanile di esso lascusa de' suoi difetti? Ognuno ne giudichi. Ma l'ab. Lampillas avrebbe vo-luto ch'io esaltassi Lucano con più ampie lodi; e io amo troppo la mia ri-putazione per farlo.

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za proporzione. A vista di questi bei pregi decantati dalSig. Abate, e replicati (egli di me direbbe) stucchevol-mente, potrà lusingarsi, che il Sig. Abate suo corrispon-dente resti persuaso della sua imparzialità nel trattare diquesto Poeta col trovare accennati da lui e il grande in-gegno, e la fervida fantasia?

In questo luogo fa osservare il Sig. Ab. Tiraboschi,ch'io non ho badato, o finto di non badare a quella pa-rentesi (in ciò ch'è Poema Epico) pretendendo trovarsiqui la spiegazione di quel suo detto: Lucano fu il primoa distogliersi dal buon sentiero, scritto da lui molto pri-ma. Aprasi il Tom. II. della Storia letteraria nella pag. 5,dove si comincia a trattare della Poesia dopo il secolod'Augusto, e si vedrà, che ivi comincia col parlare diGermanico. Tutte le Poesie, che si accennano diquest'illustre Poeta, sono commedie greche, epigrammilatini, e greci, e la traduzione de' fenomeni, e de' prono-stici di Arato. Nessuna di queste, come ognun vede, ècomponimento Epico. Aggiunge poi il Sig. Ab. Tirabo-schi: "Nelle poesie di Germanico non vedesi ancoraquella vota gonfiezza, e quel sottile raffinamento, checomincia poscia a scoprirsi nei seguenti Poeti, e perciòda molti egli è posto tra gli Scrittori dell'età d'oro, ben-chè toccasse ancora il Regno di Tiberio. Lucano è il pri-mo, che noi veggiamo distogliersi dal buon sentiero, elusingarsi di andar innanzi ancora a Virgilio". Entra poia parlare di Lucano, cominciando dalla patria ec., senzache in un lungo tratto si trovi quella sua pretesa spiega-

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za proporzione. A vista di questi bei pregi decantati dalSig. Abate, e replicati (egli di me direbbe) stucchevol-mente, potrà lusingarsi, che il Sig. Abate suo corrispon-dente resti persuaso della sua imparzialità nel trattare diquesto Poeta col trovare accennati da lui e il grande in-gegno, e la fervida fantasia?

In questo luogo fa osservare il Sig. Ab. Tiraboschi,ch'io non ho badato, o finto di non badare a quella pa-rentesi (in ciò ch'è Poema Epico) pretendendo trovarsiqui la spiegazione di quel suo detto: Lucano fu il primoa distogliersi dal buon sentiero, scritto da lui molto pri-ma. Aprasi il Tom. II. della Storia letteraria nella pag. 5,dove si comincia a trattare della Poesia dopo il secolod'Augusto, e si vedrà, che ivi comincia col parlare diGermanico. Tutte le Poesie, che si accennano diquest'illustre Poeta, sono commedie greche, epigrammilatini, e greci, e la traduzione de' fenomeni, e de' prono-stici di Arato. Nessuna di queste, come ognun vede, ècomponimento Epico. Aggiunge poi il Sig. Ab. Tirabo-schi: "Nelle poesie di Germanico non vedesi ancoraquella vota gonfiezza, e quel sottile raffinamento, checomincia poscia a scoprirsi nei seguenti Poeti, e perciòda molti egli è posto tra gli Scrittori dell'età d'oro, ben-chè toccasse ancora il Regno di Tiberio. Lucano è il pri-mo, che noi veggiamo distogliersi dal buon sentiero, elusingarsi di andar innanzi ancora a Virgilio". Entra poia parlare di Lucano, cominciando dalla patria ec., senzache in un lungo tratto si trovi quella sua pretesa spiega-

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zione. Io domando: chiunque legga questo passo dellaStoria Letteraria, crederà mai, che Lucano sia stato ilprimo a distogliersi dal buon sentiero, per soli quei di-fetti, che riguardano il poema Epico, e non piuttosto ingenerale per quelli, che non vedonsi nelle poesie (nonepiche) di Germanico, e si scuoprono ne' seguenti Poe-ti? Forse la vuota gonfiezza, e il sottile raffinamentosono difetti soltanto nelle composizioni epiche, e nonanzi in qualunque altro poetico componimento? Nonsono certamente epici i componimenti di Persio, ripresidal Rapin per la gonfiezza nelle espressioni. Se dunqueov'egli parla di questi difetti, ivi è, che dice: Lucano fuil primo a distogliersi dal buon sentiero; come mai pre-tende, ch'io avverra, ch'egli restringeva quest'accusa a'soli difetti in ciò ch'è poeta epico? Questa è la maniera,Sig. Abate, di metter in chiaro la verità?

Pretende poi il Sig. Abate Tiraboschi, che gli vengada me rimproverato l'aver dimenticato Igino. E in questoluogo, come in molti altri, dà alle mie parole un sensodiverso da quello, che tutti intendono, e così fa compari-re quasi false accuse e puerili lamenti le mie vere e sodedoglianze. Così, dov'io dolgo del Sig. Abate, perch'eglinon dà luogo, perchè da lui vien dimenticato nella suaStoria, perch'egli non parla, non favella d'alcun autoreSpagnuolo, pretende ch'io mi dolga, ch'egli non abbianominato il tale, o il tal altro autore, e si crede piena-mente giustificato dalla mia accusa col dire, che lo hanominato sino a due volte: e non potrà dirsi esser queste

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zione. Io domando: chiunque legga questo passo dellaStoria Letteraria, crederà mai, che Lucano sia stato ilprimo a distogliersi dal buon sentiero, per soli quei di-fetti, che riguardano il poema Epico, e non piuttosto ingenerale per quelli, che non vedonsi nelle poesie (nonepiche) di Germanico, e si scuoprono ne' seguenti Poe-ti? Forse la vuota gonfiezza, e il sottile raffinamentosono difetti soltanto nelle composizioni epiche, e nonanzi in qualunque altro poetico componimento? Nonsono certamente epici i componimenti di Persio, ripresidal Rapin per la gonfiezza nelle espressioni. Se dunqueov'egli parla di questi difetti, ivi è, che dice: Lucano fuil primo a distogliersi dal buon sentiero; come mai pre-tende, ch'io avverra, ch'egli restringeva quest'accusa a'soli difetti in ciò ch'è poeta epico? Questa è la maniera,Sig. Abate, di metter in chiaro la verità?

Pretende poi il Sig. Abate Tiraboschi, che gli vengada me rimproverato l'aver dimenticato Igino. E in questoluogo, come in molti altri, dà alle mie parole un sensodiverso da quello, che tutti intendono, e così fa compari-re quasi false accuse e puerili lamenti le mie vere e sodedoglianze. Così, dov'io dolgo del Sig. Abate, perch'eglinon dà luogo, perchè da lui vien dimenticato nella suaStoria, perch'egli non parla, non favella d'alcun autoreSpagnuolo, pretende ch'io mi dolga, ch'egli non abbianominato il tale, o il tal altro autore, e si crede piena-mente giustificato dalla mia accusa col dire, che lo hanominato sino a due volte: e non potrà dirsi esser queste

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di quelle ch'egli chiama stiracchiature? Se io stesso,dove mi lamento, ch'egli non abbia dato luogo ad Igino,e Prudenzio, dico, ch'egli si scusa dal dar loro luogo nel-la sua Storia, perch'essi furono Spagnuoli, non dico inciò chiaramente, che da lui vengono nominati? Nominaegli per ben due volte Prudenzio, e nondimeno dice che:non debbe favellare di Prudenzio perchè fu Spagnuolo:dunque non basta nominar qualche autore nella sua Sto-ria per dir che di lui in essa ne favella 89.

Ma ciò è perdere il tempo in giuochi di parole. Ven-ghiamo al vero senso della mia accusa. Io mi dolgo, chenella Storia Letteraria venga dimenticato Igino in con-fronto di Terenzio; che non si dia ad Igino distinto po-sto, come si è dato a Terenzio, e pretendo, che vi sianotutte le ragioni, perchè il Sig. Ab., dove nomina Igino,dica ciò che dice dove nomina Terenzio; cioè: non vuol-si alla fuggita nominare Terenzio. E crederà di aver ri-sposto con solidità a questa obbiezione col dire, ch'egliha nominato per ben due volte Igino così alla sfuggita,che se ne sbriga in due righe, mentre impiega più paginein parlar di Terenzio? Pretendo altresì, che le eruditeopere d'Igino, di cui egli tralascia di far menzione, per-chè fu Spagnuolo, erano molto più opportune a manife-stare lo stato della letteratura del secolo d'Augusto, chenon le commedie di Terenzio; come ne' tempi venturi lo

89 Sappian dunque i lettori dell'opera dell'ab. Lampillas, che quando eglidice ch'io non do luogo nella mia Storia, che dimentico, che non parlo,che non favello, vuol dire ch'io gli do luogo, ch'io non me ne dimentico,che ne parlo, ec. Egli ha fatto saggiamente coll'avvertircene.

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di quelle ch'egli chiama stiracchiature? Se io stesso,dove mi lamento, ch'egli non abbia dato luogo ad Igino,e Prudenzio, dico, ch'egli si scusa dal dar loro luogo nel-la sua Storia, perch'essi furono Spagnuoli, non dico inciò chiaramente, che da lui vengono nominati? Nominaegli per ben due volte Prudenzio, e nondimeno dice che:non debbe favellare di Prudenzio perchè fu Spagnuolo:dunque non basta nominar qualche autore nella sua Sto-ria per dir che di lui in essa ne favella 89.

Ma ciò è perdere il tempo in giuochi di parole. Ven-ghiamo al vero senso della mia accusa. Io mi dolgo, chenella Storia Letteraria venga dimenticato Igino in con-fronto di Terenzio; che non si dia ad Igino distinto po-sto, come si è dato a Terenzio, e pretendo, che vi sianotutte le ragioni, perchè il Sig. Ab., dove nomina Igino,dica ciò che dice dove nomina Terenzio; cioè: non vuol-si alla fuggita nominare Terenzio. E crederà di aver ri-sposto con solidità a questa obbiezione col dire, ch'egliha nominato per ben due volte Igino così alla sfuggita,che se ne sbriga in due righe, mentre impiega più paginein parlar di Terenzio? Pretendo altresì, che le eruditeopere d'Igino, di cui egli tralascia di far menzione, per-chè fu Spagnuolo, erano molto più opportune a manife-stare lo stato della letteratura del secolo d'Augusto, chenon le commedie di Terenzio; come ne' tempi venturi lo

89 Sappian dunque i lettori dell'opera dell'ab. Lampillas, che quando eglidice ch'io non do luogo nella mia Storia, che dimentico, che non parlo,che non favello, vuol dire ch'io gli do luogo, ch'io non me ne dimentico,che ne parlo, ec. Egli ha fatto saggiamente coll'avvertircene.

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saranno le erudite fatiche de' Bibliotecarii Estensi a ma-nifestare lo stato della Letteratura in Italia in questo se-colo molto più che i componimenti teatrali dei miglioriPoeti.

Nè punto meno opportuna sarebbe stata e propria del-la Storia Letteraria la critica ricerca intorno alle vere osupposte opere d'Igino; nè certo minor utilità recataavrebbe alla Repubblica delle Lettere di quella, che re-car possano le molte pagine da lui impiegate in formareil processo contro il carattere morale di Seneca, enell'investire lunghissimamente il vero motivo dell'esiliod'Ovidio, ed altre tai cose, delle quali, benchè meno op-portune in una Storia letteraria, ne ragiona il SignorAbate non alla sfuggita, ma distesamente. E qui di pas-saggio può osservarsi, che avendo io similmente rimpro-verato al Sig. Ab. Tiraboschi il non aver favellato diPrudenzio, sembra, che non abbia egli stimata ingiustaquesta mia doglianza, poichè non si scusa col dire, cheper ben due volte viene da lui nominato.

Passa egli di poi al luogo, ove io mi dolgo del dissi-mulare che ha fatto la patria degli Imperatori Trajano,Adriano, Teodosio, e di Alfonso d'Aragona Re di Napo-li. Eccovi un altro passo, dove quest'onestissimo accusa-tore dissimulando il vero motivo della mia doglianza, lafa comparire, e la chiama una fanciullaggine (pag. 10).Io dunque nel suddetto luogo mi lamento dell'Abate Ti-raboschi; imperciocchè dov'egli crede d'aver ragione didire, che la nazione Spagnuola fu la corruttrice della

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saranno le erudite fatiche de' Bibliotecarii Estensi a ma-nifestare lo stato della Letteratura in Italia in questo se-colo molto più che i componimenti teatrali dei miglioriPoeti.

Nè punto meno opportuna sarebbe stata e propria del-la Storia Letteraria la critica ricerca intorno alle vere osupposte opere d'Igino; nè certo minor utilità recataavrebbe alla Repubblica delle Lettere di quella, che re-car possano le molte pagine da lui impiegate in formareil processo contro il carattere morale di Seneca, enell'investire lunghissimamente il vero motivo dell'esiliod'Ovidio, ed altre tai cose, delle quali, benchè meno op-portune in una Storia letteraria, ne ragiona il SignorAbate non alla sfuggita, ma distesamente. E qui di pas-saggio può osservarsi, che avendo io similmente rimpro-verato al Sig. Ab. Tiraboschi il non aver favellato diPrudenzio, sembra, che non abbia egli stimata ingiustaquesta mia doglianza, poichè non si scusa col dire, cheper ben due volte viene da lui nominato.

Passa egli di poi al luogo, ove io mi dolgo del dissi-mulare che ha fatto la patria degli Imperatori Trajano,Adriano, Teodosio, e di Alfonso d'Aragona Re di Napo-li. Eccovi un altro passo, dove quest'onestissimo accusa-tore dissimulando il vero motivo della mia doglianza, lafa comparire, e la chiama una fanciullaggine (pag. 10).Io dunque nel suddetto luogo mi lamento dell'Abate Ti-raboschi; imperciocchè dov'egli crede d'aver ragione didire, che la nazione Spagnuola fu la corruttrice della

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Letteratura Italiana, non dissimula, anzi replicatamentenomina gli Spagnuoli; all'opposto giunto a qualch'epo-ca, in cui gli Spagnuoli recarono sommi vantaggi alleItaliane Lettere, non fa grazia di nominare la nostra na-zione.

Ecco la mia riflessione: dove il Tiraboschi esamina lecagioni della corruzione del gusto nel seicento, e credetrovarne una nel dominio Spagnuolo in Italia, non sicontenta di dire, che a ciò concorse il dominio, che gliSpagnuoli aveano allora in Italia; ma aggiunge a mag-gior spiegazione, che i loro libri (degli Spagnuoli) sispargevano facilmente; che il loro gusto si comunicava;che gli Italiani divennero per così dire Spagnuoli; chela Toscana più lontana dagli stati da essi dominati fu lamen soggetta a queste alterazioni; come se il contagioandasse perdendo la sua forza quanto più allontanatasidalla sorgente, onde traeva l'origine. Quanto però è di-versa la condotta di questo Storico, dove giunge allegloriose epoche del governo Spagnuolo sotto Trajano,Adriano, Teodosio, e Alfonso d'Aragona! In vano si cer-cherà nella Storia Letteraria del Tiraboschi, dove si trat-ta di questi Principi, il nome di Spagna, Spagnuoli, didominio Spagnuolo. Questa è la mia doglianza.

Domandi adesso il Sig. Ab. Tiraboschi al suo corri-spondente: Che dite amico mio d'una tal fanciullaggi-ne? Ci dica adesso il Sig. Abate, se gli abitantidell'antica Pannonia hanno motivo a tai lamenti.

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Letteratura Italiana, non dissimula, anzi replicatamentenomina gli Spagnuoli; all'opposto giunto a qualch'epo-ca, in cui gli Spagnuoli recarono sommi vantaggi alleItaliane Lettere, non fa grazia di nominare la nostra na-zione.

Ecco la mia riflessione: dove il Tiraboschi esamina lecagioni della corruzione del gusto nel seicento, e credetrovarne una nel dominio Spagnuolo in Italia, non sicontenta di dire, che a ciò concorse il dominio, che gliSpagnuoli aveano allora in Italia; ma aggiunge a mag-gior spiegazione, che i loro libri (degli Spagnuoli) sispargevano facilmente; che il loro gusto si comunicava;che gli Italiani divennero per così dire Spagnuoli; chela Toscana più lontana dagli stati da essi dominati fu lamen soggetta a queste alterazioni; come se il contagioandasse perdendo la sua forza quanto più allontanatasidalla sorgente, onde traeva l'origine. Quanto però è di-versa la condotta di questo Storico, dove giunge allegloriose epoche del governo Spagnuolo sotto Trajano,Adriano, Teodosio, e Alfonso d'Aragona! In vano si cer-cherà nella Storia Letteraria del Tiraboschi, dove si trat-ta di questi Principi, il nome di Spagna, Spagnuoli, didominio Spagnuolo. Questa è la mia doglianza.

Domandi adesso il Sig. Ab. Tiraboschi al suo corri-spondente: Che dite amico mio d'una tal fanciullaggi-ne? Ci dica adesso il Sig. Abate, se gli abitantidell'antica Pannonia hanno motivo a tai lamenti.

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Di più. È forse men noto all'Italia, che Seneca, Luca-no e Marziale furono Spagnuoli, di quello che sia noto,che Spagnuoli furono i suddetti Principi? e perchè dun-que dove si tratta della Eloquenza e Poesia corrottedopo Augusto, non si contenta con solo nominar Mar-ziale, Lucano, e Seneca? Ma vi soggunge: ed essi eranoancora Spagnuoli. È forse più noto all'Italia che Traja-no, Adriano, Teodosio fossero Spagnuoli, di ciò chenoto sia che fosse Francese Carlo Magno? Ora perchèmai nell'epoca di questo Imperatore non si contenta ilSig. Ab. col raccontare i vantaggi recati da Carlo Magnoalle lettere? Ma soggiunge: Se l'Italia ebbe allora lasorte di avere un Principe, che si adoperasse a farvi ri-sorgere gli studi, ella dee confessare sinceramente, chen'è debitrice alla Francia. (T. III.) Si contenta bensì dinominare quei Principi Spagnuoli, che sorpassarono tut-ti gli altri in farvi risorgere le arti e le scienze senza con-fessar sinceramente, che di tai vantaggi ne sia l'Italia de-bitrice alla Spagna. Questa è, Sig. Ab. Tiraboschi, quellagrave e giusta mia doglianza, ch'ella non sa chiamar conaltro nome, se non con quello di fanciullaggine.

A tutte queste mie riflessioni vede bene il Sig. Abate,che non può soddisfarsi col dire, che da lui vien chiama-to Alfonso d'Aragona. Sapeva ben egli, ch'essendo ri-masto in Italia questo Regio cognome, ad illustrare alcu-ne nobilissime famiglie, non era già questo a' tempi no-stri un non equivoco contrassegno, con cui manifestare,che Alfonso fosse Spagnuolo. Anzi non manca Autore

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Di più. È forse men noto all'Italia, che Seneca, Luca-no e Marziale furono Spagnuoli, di quello che sia noto,che Spagnuoli furono i suddetti Principi? e perchè dun-que dove si tratta della Eloquenza e Poesia corrottedopo Augusto, non si contenta con solo nominar Mar-ziale, Lucano, e Seneca? Ma vi soggunge: ed essi eranoancora Spagnuoli. È forse più noto all'Italia che Traja-no, Adriano, Teodosio fossero Spagnuoli, di ciò chenoto sia che fosse Francese Carlo Magno? Ora perchèmai nell'epoca di questo Imperatore non si contenta ilSig. Ab. col raccontare i vantaggi recati da Carlo Magnoalle lettere? Ma soggiunge: Se l'Italia ebbe allora lasorte di avere un Principe, che si adoperasse a farvi ri-sorgere gli studi, ella dee confessare sinceramente, chen'è debitrice alla Francia. (T. III.) Si contenta bensì dinominare quei Principi Spagnuoli, che sorpassarono tut-ti gli altri in farvi risorgere le arti e le scienze senza con-fessar sinceramente, che di tai vantaggi ne sia l'Italia de-bitrice alla Spagna. Questa è, Sig. Ab. Tiraboschi, quellagrave e giusta mia doglianza, ch'ella non sa chiamar conaltro nome, se non con quello di fanciullaggine.

A tutte queste mie riflessioni vede bene il Sig. Abate,che non può soddisfarsi col dire, che da lui vien chiama-to Alfonso d'Aragona. Sapeva ben egli, ch'essendo ri-masto in Italia questo Regio cognome, ad illustrare alcu-ne nobilissime famiglie, non era già questo a' tempi no-stri un non equivoco contrassegno, con cui manifestare,che Alfonso fosse Spagnuolo. Anzi non manca Autore

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Italiano ben noto al Sig. Abate Tiraboschi, il quale inuna sua opera stampata nel 1775, dove discorre dei Prin-cipi Italiani, che favorirono gli studi in Italia nel sec.XV nomina Alfonso Re di Napoli insieme coi Galeazzi,Medici, Estensi, Gonzaghi ec., e poi passa a discorreredei Principi forastieri, che favorirono i dotti Italiani. Madi ciò parleremo più distintamente nella seconda partedel Saggio Apologetico 90.

Andiamo avanti. Dice gentilmente il Sig. Ab. Tirabo-schi (p. 11) che quanto più s'avanza nella sua opera ilSig. Ab. Lampillas, tanto più sembra che gli si annebbi-no gli occhi ec. L'abate Lampillas dice, che sono cosecosì fosche le nuvole, con cui il Sig. Ab. Tiraboschi si èstudiato nella sua lettera di offuscare la verità, che nonsenza fondamento ha temuto qualche volta di avere an-nebbiati gli occhi, provando non poca fatica per metterenel vero lume i passi del suo Saggio trasformati nellalettera del Sig. Abate, affinchè chiunque sa leggere,possa leggerli quali da lui furono stampati; mentre ciòsolo basta ad una piena difesa.

In questo luogo dunque l'Ab. Tiraboschi scrive:"Ch'io dopo aver confutate le pruove, con cui egli haprocurato di dimostrare, che Gherardo fu Italiano, e nongià Spagnuolo, arreco diversi tratti, ne' quali egli ragio-na del sapere di esso, e quindi conchiudo: chi non cre-derà leggendo questi bei tratti della Storia Letteraria,

90 Di tutti questi raziocinj dell'ab. Lampillas io lascio l'esame e la decisioneagl'imparziali lettori.

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Italiano ben noto al Sig. Abate Tiraboschi, il quale inuna sua opera stampata nel 1775, dove discorre dei Prin-cipi Italiani, che favorirono gli studi in Italia nel sec.XV nomina Alfonso Re di Napoli insieme coi Galeazzi,Medici, Estensi, Gonzaghi ec., e poi passa a discorreredei Principi forastieri, che favorirono i dotti Italiani. Madi ciò parleremo più distintamente nella seconda partedel Saggio Apologetico 90.

Andiamo avanti. Dice gentilmente il Sig. Ab. Tirabo-schi (p. 11) che quanto più s'avanza nella sua opera ilSig. Ab. Lampillas, tanto più sembra che gli si annebbi-no gli occhi ec. L'abate Lampillas dice, che sono cosecosì fosche le nuvole, con cui il Sig. Ab. Tiraboschi si èstudiato nella sua lettera di offuscare la verità, che nonsenza fondamento ha temuto qualche volta di avere an-nebbiati gli occhi, provando non poca fatica per metterenel vero lume i passi del suo Saggio trasformati nellalettera del Sig. Abate, affinchè chiunque sa leggere,possa leggerli quali da lui furono stampati; mentre ciòsolo basta ad una piena difesa.

In questo luogo dunque l'Ab. Tiraboschi scrive:"Ch'io dopo aver confutate le pruove, con cui egli haprocurato di dimostrare, che Gherardo fu Italiano, e nongià Spagnuolo, arreco diversi tratti, ne' quali egli ragio-na del sapere di esso, e quindi conchiudo: chi non cre-derà leggendo questi bei tratti della Storia Letteraria,

90 Di tutti questi raziocinj dell'ab. Lampillas io lascio l'esame e la decisioneagl'imparziali lettori.

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che il gran Gherardo fosse un celebre Filosofo Italiano,che arricchito in Italia d'ogni genere di cognizione,passò in Ispagna a far conoscere il suo valore, e chespargendo copiosi lumi di dottrina dissipò le tenebre,che per molti secoli avevano ingombrato quel Regnoec.".

In qual diverso aspetto vien rappresentato questo trat-to del mio Saggio da quello ch'io scrissi! Aprasi il se-condo mio Tomo nella pag. 147, e vedrassi, che per tuttoquel paragrafo quinto si tratta della patria di Gherardosenza far motto di ciò di cui ragiona l'Ab. Tiraboschi inquesto passo della sua lettera. Nella p. 162 comincia ilparagrafo sesto, il cui titolo è: Il risorgimento degli stu-di di Filosofia ec. dopo il mille lo dovette l'Italia agliSpagnuoli. Qui rimprovero all'Ab. Tiraboschi il disporrech'ei fa la sua Storia in maniera, che in tutte l'epochecomparisca l'Italia maestra, ed illuminatrice delle altrenazioni, e parlando del risorgimento degli studi di Filo-sofia dopo il mille la discorro così (p. 164). "A disvelaremaggiormente la singolar arte di quest'Autore in esaltarela patria letteratura, servirà non poco il riflettere la ma-niera, con cui entra a parlare di Gherardo preteso Italia-no. Dopo aver detto, che gl'Italiani fecero risorgere laFilosofia in Francia, e che in Costantinopoli le recarononuovo lume, disse: che più? anche alle Spagne si fececonoscere il valore degl'Italiani nel coltivamento dei Fi-losofici studi per opera del celebre Gherardo Cremone-se (T. III); quindi termina così la Storia di Gherardo: In

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che il gran Gherardo fosse un celebre Filosofo Italiano,che arricchito in Italia d'ogni genere di cognizione,passò in Ispagna a far conoscere il suo valore, e chespargendo copiosi lumi di dottrina dissipò le tenebre,che per molti secoli avevano ingombrato quel Regnoec.".

In qual diverso aspetto vien rappresentato questo trat-to del mio Saggio da quello ch'io scrissi! Aprasi il se-condo mio Tomo nella pag. 147, e vedrassi, che per tuttoquel paragrafo quinto si tratta della patria di Gherardosenza far motto di ciò di cui ragiona l'Ab. Tiraboschi inquesto passo della sua lettera. Nella p. 162 comincia ilparagrafo sesto, il cui titolo è: Il risorgimento degli stu-di di Filosofia ec. dopo il mille lo dovette l'Italia agliSpagnuoli. Qui rimprovero all'Ab. Tiraboschi il disporrech'ei fa la sua Storia in maniera, che in tutte l'epochecomparisca l'Italia maestra, ed illuminatrice delle altrenazioni, e parlando del risorgimento degli studi di Filo-sofia dopo il mille la discorro così (p. 164). "A disvelaremaggiormente la singolar arte di quest'Autore in esaltarela patria letteratura, servirà non poco il riflettere la ma-niera, con cui entra a parlare di Gherardo preteso Italia-no. Dopo aver detto, che gl'Italiani fecero risorgere laFilosofia in Francia, e che in Costantinopoli le recarononuovo lume, disse: che più? anche alle Spagne si fececonoscere il valore degl'Italiani nel coltivamento dei Fi-losofici studi per opera del celebre Gherardo Cremone-se (T. III); quindi termina così la Storia di Gherardo: In

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tal maniera gl'Italiani quasi ad ogni parte del mondodavano in questo tempo luminose pruove del loro sape-re, e giovavano a dissipare le tenebre, che lo avevanoda tanti secoli ingombrato (ivi)".

In seguito a questo passo del mio Saggio viene queltratto, che ristampa l'Ab. Tiraboschi nelle pag. 11 e seg.,e comincia: Chi non crederà leggendo questi bei trattidella Storia Letteraria ec. Qui può osservarsi la fedeltà,con cui asserisce l'Abate Tiraboschi, che io dopo arreca-ti diversi tratti, ne' quali egli ragiona del sapere di Ghe-rardo, conchiudo: chi non crederà ec. qui ripiglia egli, edice: chi non crederà, dirò io pure, leggendo questotratto del Sig. Ab Lampillas, ch'io nulla abbia detto ditutto ciò, ch'ei va qui raccontando in lode della suaSpagna (p. 11). Io rispondo, che ciò crederà chiunquenon crede, com'io non credevo, che il bravo e vivaceStorico della Letteratura Italiana, potesse tessere la Sto-ria di qualche letterato in guisa, che ciò che narra nelmezzo contraddice a ciò che dà ad intendere sul princi-pio, ed a ciò che conchiude sul fine. Legga chiunquel'esordio da me recato, con cui comincia il Tiraboschi aparlare di Gherardo, e le parole con cui conchiude la suaStoria, e mi dica, se creduto avrebbe giammai, che par-lasse il Tiraboschi d'un Italiano, che andò in Ispagna acoltivare la Filosofia, che giaceva dimenticata in Italia, eche colà s'impiegò nella traduzione d'alcune opere Filo-sofiche? Eppure, come io stesso scrivo, non può dir al-tro di Gherardo il Tiraboschi.

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tal maniera gl'Italiani quasi ad ogni parte del mondodavano in questo tempo luminose pruove del loro sape-re, e giovavano a dissipare le tenebre, che lo avevanoda tanti secoli ingombrato (ivi)".

In seguito a questo passo del mio Saggio viene queltratto, che ristampa l'Ab. Tiraboschi nelle pag. 11 e seg.,e comincia: Chi non crederà leggendo questi bei trattidella Storia Letteraria ec. Qui può osservarsi la fedeltà,con cui asserisce l'Abate Tiraboschi, che io dopo arreca-ti diversi tratti, ne' quali egli ragiona del sapere di Ghe-rardo, conchiudo: chi non crederà ec. qui ripiglia egli, edice: chi non crederà, dirò io pure, leggendo questotratto del Sig. Ab Lampillas, ch'io nulla abbia detto ditutto ciò, ch'ei va qui raccontando in lode della suaSpagna (p. 11). Io rispondo, che ciò crederà chiunquenon crede, com'io non credevo, che il bravo e vivaceStorico della Letteratura Italiana, potesse tessere la Sto-ria di qualche letterato in guisa, che ciò che narra nelmezzo contraddice a ciò che dà ad intendere sul princi-pio, ed a ciò che conchiude sul fine. Legga chiunquel'esordio da me recato, con cui comincia il Tiraboschi aparlare di Gherardo, e le parole con cui conchiude la suaStoria, e mi dica, se creduto avrebbe giammai, che par-lasse il Tiraboschi d'un Italiano, che andò in Ispagna acoltivare la Filosofia, che giaceva dimenticata in Italia, eche colà s'impiegò nella traduzione d'alcune opere Filo-sofiche? Eppure, come io stesso scrivo, non può dir al-tro di Gherardo il Tiraboschi.

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Io non pretesi, che non avesse detto il Gherardo tuttociò ch'egli ha scritto; pretesi bensì, che dovendo lui ciòconfessare, ch'era di non poco onore alla LetteraturaSpagnuola di quei tempi, e che dovea chiaramente mo-strare, che furono gli Spagnuoli i maestri degl'Italianinei filosofi studi; egli a fine d'annebbiare gli occhi de'suoi leggitori, e far loro credere tutt'altro cominciò conquel bell'esordio: "Che più? Anche alle Spagne si fececonoscere il valore degli Italiani nel coltivamento dei fi-losofici studi, aggiungendovi la non men bella chiusa: intal maniera gl'Italiani quasi ad ogni parte del mondo da-vano in questi tempi luminose pruove del loro sapere, egiovavano a dissipare le tenebre, che l'aveano da tantisecoli ingombrato". Questo è, Sig. Ab. stimatissimo, ciòch'io leggo in questi suoi bei tratti, e ciò legge chiunquesa leggere.

Dopo ciò arreca l'Ab. Tiraboschi le parole, con cuiegli nella sua Storia asserisce, che Gherardo recossi aToledo, e là si accinse alla traduzione di parecchi libri, eche dovette in gran parte i suoi studi a Toledo. Finiscepoi col domandare: poteva io dire più chiaramente, ciòch'ei mi accusa di avere dissimulato (p. 12)? Rispondo,ch'egli nè chiaramente, nè confusamente ha detto ciò,ch'io l'accuso di aver dissimulato. Egli ha detto chiara-mente, che Gherardo dovette verisimilmente in granparte a Toledo i suoi studi, e il suo sapere: io però nonl'accuso di aver ciò dissimulato, anzi al T. II. p. 154 ar-reco queste stesse sue parole. Io lo accuso di aver dispo-

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Io non pretesi, che non avesse detto il Gherardo tuttociò ch'egli ha scritto; pretesi bensì, che dovendo lui ciòconfessare, ch'era di non poco onore alla LetteraturaSpagnuola di quei tempi, e che dovea chiaramente mo-strare, che furono gli Spagnuoli i maestri degl'Italianinei filosofi studi; egli a fine d'annebbiare gli occhi de'suoi leggitori, e far loro credere tutt'altro cominciò conquel bell'esordio: "Che più? Anche alle Spagne si fececonoscere il valore degli Italiani nel coltivamento dei fi-losofici studi, aggiungendovi la non men bella chiusa: intal maniera gl'Italiani quasi ad ogni parte del mondo da-vano in questi tempi luminose pruove del loro sapere, egiovavano a dissipare le tenebre, che l'aveano da tantisecoli ingombrato". Questo è, Sig. Ab. stimatissimo, ciòch'io leggo in questi suoi bei tratti, e ciò legge chiunquesa leggere.

Dopo ciò arreca l'Ab. Tiraboschi le parole, con cuiegli nella sua Storia asserisce, che Gherardo recossi aToledo, e là si accinse alla traduzione di parecchi libri, eche dovette in gran parte i suoi studi a Toledo. Finiscepoi col domandare: poteva io dire più chiaramente, ciòch'ei mi accusa di avere dissimulato (p. 12)? Rispondo,ch'egli nè chiaramente, nè confusamente ha detto ciò,ch'io l'accuso di aver dissimulato. Egli ha detto chiara-mente, che Gherardo dovette verisimilmente in granparte a Toledo i suoi studi, e il suo sapere: io però nonl'accuso di aver ciò dissimulato, anzi al T. II. p. 154 ar-reco queste stesse sue parole. Io lo accuso di aver dispo-

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sto in maniera questo tratto della sua Storia, che compa-risca l'Italia la ristoratrice dei filosofi studi in Europa;gloria, ch'io pretendo dovuta alla Spagna, e dissimulatadal Sig. Abate; e potrà egli dire, che ha detto chiara-mente che si debba alla Spagna questo vanto? Questaperò è la condotta osservata dal Sig. Abate in tutto que-sto processo: fingere strane accuse, che io non l'intendo,e dissimulare le sode, e vere, a cui non si trova in gradodi rispondere.

Prosiegue egli nella pag. 12, e pretende ch'io stessomi contraddica, dove mentre l'accuso di aver dissimulataqualche gloria Letteraria degli Spagnuoli, ivi medesimoreco le sue parole, dalle quali chiaro si scorge il contra-rio. Non posso se non che di nuovo ammirare il corag-gio di questo mio accusatore; giacchè in tutto questotratto del mio Saggio pretende, che il Pubblico leggatutt'altro, che ciò ch'io ho scritto, trasformando tuttol'ordine del mio ragionare. Io dunque, come ho detto so-pra, in tutto quel paragrafo sesto, che comincia alla p.162. mi lamento, che l'Ab. Tiraboschi abbia disposta lasua Storia in maniera che comparisce doversi all'Italia lagloria di ristoratrice degli studi dopo il mille, gloria, chea ragion si debbe alla Spagna. Questa, e non altra èquella qualche gloria letteraria degli Spagnuoli, ch'iopretendo dissimulata dal Tiraboschi. Dopo proposto cosìl'argomento che prendo a trattare, dice l'Ab. Tiraboschi(p. 12) che io passo a ragionare lungamente degli studi,e delle opere degli Arabi Spagnuoli, per dimostrare

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sto in maniera questo tratto della sua Storia, che compa-risca l'Italia la ristoratrice dei filosofi studi in Europa;gloria, ch'io pretendo dovuta alla Spagna, e dissimulatadal Sig. Abate; e potrà egli dire, che ha detto chiara-mente che si debba alla Spagna questo vanto? Questaperò è la condotta osservata dal Sig. Abate in tutto que-sto processo: fingere strane accuse, che io non l'intendo,e dissimulare le sode, e vere, a cui non si trova in gradodi rispondere.

Prosiegue egli nella pag. 12, e pretende ch'io stessomi contraddica, dove mentre l'accuso di aver dissimulataqualche gloria Letteraria degli Spagnuoli, ivi medesimoreco le sue parole, dalle quali chiaro si scorge il contra-rio. Non posso se non che di nuovo ammirare il corag-gio di questo mio accusatore; giacchè in tutto questotratto del mio Saggio pretende, che il Pubblico leggatutt'altro, che ciò ch'io ho scritto, trasformando tuttol'ordine del mio ragionare. Io dunque, come ho detto so-pra, in tutto quel paragrafo sesto, che comincia alla p.162. mi lamento, che l'Ab. Tiraboschi abbia disposta lasua Storia in maniera che comparisce doversi all'Italia lagloria di ristoratrice degli studi dopo il mille, gloria, chea ragion si debbe alla Spagna. Questa, e non altra èquella qualche gloria letteraria degli Spagnuoli, ch'iopretendo dissimulata dal Tiraboschi. Dopo proposto cosìl'argomento che prendo a trattare, dice l'Ab. Tiraboschi(p. 12) che io passo a ragionare lungamente degli studi,e delle opere degli Arabi Spagnuoli, per dimostrare

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quanto tutto il mondo debba a quella Nazione; e pureper molte pagine immediate alla suddetta mia propostaniente affatto discorro nè degli studi degli Arabi, nè diquanto tutto il Mondo debba a quella nazione. Impiegobensì quelle pagine in dimostrare la maniera, con cui ilTiraboschi fa comparire l'Italia ristoratrice degli studi inEuropa. Arreco in primo luogo le parole, con cui eglicomincia a trattare della Filosofia, e Matematica dopo ilmille (T. III. lib. 4, c. 5). "Ne' tempi più antichi, scriveegli, col divolgare i libri di Aristotele, e col recare nelleloro lingue le opinioni, ed i sistemi de' più illustri Filo-sofi, aveanle accresciuto nuovo ornamento. Or nel deca-dimento, in cui ella era, gl'Italiani parimente furono iprimi, che per così dire la richiamassero a vita, ed apris-sero la via non solo a' lor nazionali, ma ad altre Nazioniancora".

Quindi arreco l'esordio, con cui il Tiraboschi entra adiscorrere della Medicina nel seguente capo: "Come laFilosofia, e la Matematica, dice, dopo l'essere state pa-recchi secoli quasi interamente neglette, cominciarono aquesti tempi a risorgere in Italia, e da essa si sparseroposcia nelle vicine non meno, che nelle lontane Provin-cie, così pure la Medicina nell'epoca, di cui parliamo,venne per opera degl'Italiani singolarmente a nuovaluce". Dopo di ciò osserva la maniera, con cui cominciaa parlare di Gherardo, cioè: Che più? Anche alle Spagneec.

In vista di quest'ordine del mio ragionare, che ognun,

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quanto tutto il mondo debba a quella Nazione; e pureper molte pagine immediate alla suddetta mia propostaniente affatto discorro nè degli studi degli Arabi, nè diquanto tutto il Mondo debba a quella nazione. Impiegobensì quelle pagine in dimostrare la maniera, con cui ilTiraboschi fa comparire l'Italia ristoratrice degli studi inEuropa. Arreco in primo luogo le parole, con cui eglicomincia a trattare della Filosofia, e Matematica dopo ilmille (T. III. lib. 4, c. 5). "Ne' tempi più antichi, scriveegli, col divolgare i libri di Aristotele, e col recare nelleloro lingue le opinioni, ed i sistemi de' più illustri Filo-sofi, aveanle accresciuto nuovo ornamento. Or nel deca-dimento, in cui ella era, gl'Italiani parimente furono iprimi, che per così dire la richiamassero a vita, ed apris-sero la via non solo a' lor nazionali, ma ad altre Nazioniancora".

Quindi arreco l'esordio, con cui il Tiraboschi entra adiscorrere della Medicina nel seguente capo: "Come laFilosofia, e la Matematica, dice, dopo l'essere state pa-recchi secoli quasi interamente neglette, cominciarono aquesti tempi a risorgere in Italia, e da essa si sparseroposcia nelle vicine non meno, che nelle lontane Provin-cie, così pure la Medicina nell'epoca, di cui parliamo,venne per opera degl'Italiani singolarmente a nuovaluce". Dopo di ciò osserva la maniera, con cui cominciaa parlare di Gherardo, cioè: Che più? Anche alle Spagneec.

In vista di quest'ordine del mio ragionare, che ognun,

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che ha gli occhi in fronte, legge nel mio Saggio, chi cre-derebbe giammai, che un uomo, che mi accusa di malafede, dopo recate quelle mie parole, dove lo incolpo divoler far comparire l'Italia ristoratrice degli studi in Eu-ropa, soggiungesse (p. 12) quindi passa a ragionar lun-gamente degli studj, e delle opere degli Arabi Spagnuo-li, per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quellaNazione. Se la verità filosofica fosse stata la condottieradella sua penna, in questo luogo doveva piuttosto dire:"quindi arreca parecchi tratti della mia Storia, co' qualidimostra ad evidenza, ch'io mi sono studiato di far com-parire l'Italia la prima ristoratrice della Filosofia, Mate-matica e Medicina, e la fortunata sorgente, onde si diffu-sero per l'Europa".

Dimostrata così questa condotta del Tiraboschi passoa far vedere, quanto fosse lontana l'Italia in quei secolida poter ristorare tai studi, e dissipare le tenebre, che in-gombrano l'Europa; e quanto all'opposto fosse la Spagnain istato di poter recare questi vantaggi alle giacenti let-tere. Ciò provo coi testimoni e del Bettinelli, e del Ti-rab., i quali confessano e la somma ignoranza, in cuigiacea sepolta l'Italia a quei tempi, e all'opposto il flori-do stato, in cui erano in Spagna gli studj.

Questo era il luogo, dove il Sig. Ab. doveva dire alsuo Corrispondente: ma il credereste voi mai? "L'AbateLampillas per dimostrare, che l'Italia non potè essere laristoratrice della giacente Filosofia, arreca parecchi te-stimoni di quell'Abate Tiraboschi, che, come voi leggete

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che ha gli occhi in fronte, legge nel mio Saggio, chi cre-derebbe giammai, che un uomo, che mi accusa di malafede, dopo recate quelle mie parole, dove lo incolpo divoler far comparire l'Italia ristoratrice degli studi in Eu-ropa, soggiungesse (p. 12) quindi passa a ragionar lun-gamente degli studj, e delle opere degli Arabi Spagnuo-li, per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quellaNazione. Se la verità filosofica fosse stata la condottieradella sua penna, in questo luogo doveva piuttosto dire:"quindi arreca parecchi tratti della mia Storia, co' qualidimostra ad evidenza, ch'io mi sono studiato di far com-parire l'Italia la prima ristoratrice della Filosofia, Mate-matica e Medicina, e la fortunata sorgente, onde si diffu-sero per l'Europa".

Dimostrata così questa condotta del Tiraboschi passoa far vedere, quanto fosse lontana l'Italia in quei secolida poter ristorare tai studi, e dissipare le tenebre, che in-gombrano l'Europa; e quanto all'opposto fosse la Spagnain istato di poter recare questi vantaggi alle giacenti let-tere. Ciò provo coi testimoni e del Bettinelli, e del Ti-rab., i quali confessano e la somma ignoranza, in cuigiacea sepolta l'Italia a quei tempi, e all'opposto il flori-do stato, in cui erano in Spagna gli studj.

Questo era il luogo, dove il Sig. Ab. doveva dire alsuo Corrispondente: ma il credereste voi mai? "L'AbateLampillas per dimostrare, che l'Italia non potè essere laristoratrice della giacente Filosofia, arreca parecchi te-stimoni di quell'Abate Tiraboschi, che, come voi leggete

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nella sua Storia medesima, francamente ci assicura, chegl'Italiani furono i primi a richiamar a vita la filosofia,ad aprire la via anche ad altre Nazioni, e che dall'Italia sisparse sino alle lontane Provincie".

Poteva aggiugnerli ancora: "Voi crederete, che l'AbateLampillas abbia trovati quei testimoni, con cui io con-fesso, che a questi tempi era tra gl'Italiani sconosciuta, edimenticata la Filosofia, e che ella fioriva felicemenretra gli Arabi, crederete, dico, che gli abbia trovati doveio discorro del risorgimento di siffatti studi dopo il mil-le: ma v'ingannate, caro Amico. Niente di tuttociò si tro-va nei capi della mia Storia, cioè nel 5 e nel 6 del libro 4del mio 3 tomo. Ma all'Ab. Lampillas, sebben se gli an-nebbiano gli occhi, gli è riuscito di scuoprire nel to. 4,dove io discorro dello stato di questi studi nel secolo de-cimoterzo, altri passi, che mal si confanno, anzi distrug-gono tutta quella pretesa gloria dell'Italia, ch'io m'affati-cai ad istabilire nel tom. 3, sebben egli per sua bontànon mi ha rinfacciata questa contraddizione. E credere-ste voi mai, che io potessi pretendere d'accusarlo di con-traddizione, dov'egli poteva convincermi d'una delle piùmanifeste"?

In fatti non è tale il dipingerci l'Italia dopo il millecome ristoratrice della Filosofia, e illuminatrice anchedella Spagna; e poi nel seguente tomo, dove si tratta del-la scoperta dell'Ago calamitato scrivere: questa scoper-ta dovette farsi probabilmente nel decimo o nell'undice-simo secolo, quando la Filosofia fra noi appena si co-

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nella sua Storia medesima, francamente ci assicura, chegl'Italiani furono i primi a richiamar a vita la filosofia,ad aprire la via anche ad altre Nazioni, e che dall'Italia sisparse sino alle lontane Provincie".

Poteva aggiugnerli ancora: "Voi crederete, che l'AbateLampillas abbia trovati quei testimoni, con cui io con-fesso, che a questi tempi era tra gl'Italiani sconosciuta, edimenticata la Filosofia, e che ella fioriva felicemenretra gli Arabi, crederete, dico, che gli abbia trovati doveio discorro del risorgimento di siffatti studi dopo il mil-le: ma v'ingannate, caro Amico. Niente di tuttociò si tro-va nei capi della mia Storia, cioè nel 5 e nel 6 del libro 4del mio 3 tomo. Ma all'Ab. Lampillas, sebben se gli an-nebbiano gli occhi, gli è riuscito di scuoprire nel to. 4,dove io discorro dello stato di questi studi nel secolo de-cimoterzo, altri passi, che mal si confanno, anzi distrug-gono tutta quella pretesa gloria dell'Italia, ch'io m'affati-cai ad istabilire nel tom. 3, sebben egli per sua bontànon mi ha rinfacciata questa contraddizione. E credere-ste voi mai, che io potessi pretendere d'accusarlo di con-traddizione, dov'egli poteva convincermi d'una delle piùmanifeste"?

In fatti non è tale il dipingerci l'Italia dopo il millecome ristoratrice della Filosofia, e illuminatrice anchedella Spagna; e poi nel seguente tomo, dove si tratta del-la scoperta dell'Ago calamitato scrivere: questa scoper-ta dovette farsi probabilmente nel decimo o nell'undice-simo secolo, quando la Filosofia fra noi appena si co-

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nosceva di nome, e fra gli Arabi all'opposto era assaicoltivata; e confessare, che fra gli Arabi di Spagna sicoltivavano con grande ardore nei bassi secoli gli studid'ogni maniera (tomo quarto)? Ecco, Signor Abate, ilfondamento della mia giusta doglianza, cioè la maniera,con cui ella, dove si tratta del risorgimento degli studidopo il mille, fa comparire gl'Italiani i primi ristoratori,dissimulando il doversi a ragione questo vanto alla Spa-gna; e poi in altro tomo, dove si tratta di tutt'altro, che diquesto risorgimento, confessa l'ignoranza dell'Italiadopo il mille, e l'ardore, con cui in Ispagna si coltivava-no gli studi d'ogni maniera. Ecco come può con tutta ra-gione l'Abate Lampillas accusarlo, ch'egli abbia in que-sto punto medesimo dissimulate le glorie de' suoi ArabiSpagnuoli (pag. 12.) 91.

Or prego il Pubblico a riflettere, che il Tirab. per darqualche colore di verità alle accuse, ch'egli ingiustamen-te m'intenta, non ha trovata altra maniera che il troncare,e trasformare i più ben ordinati tratti del mio Saggio. Io

91 Ecco dieci pagine (della prima edizione) impiegate dall'ab. Lampillas adifendersi dall'accusa da me datagli a ciò ch'ei dice di Gherardo cremone-se. Ei si duole che io non abbia affermato che l'Italia dovette alla Spagnail risorgimento de' buoni studj. Io non l'ho detto, nè 'l dirò mai. Ho dettoche Gherardo dovette verisimilmente in gran parte a Toledo i suoi studj eil suo sapere; e col dir ciò ho detto quanto io sapeva delle glorie letterariedella Spagna riguardo all'Italia in quel secolo; e mi son doluto e mi dolgotuttora che l'ab. Lampillas abbia a questo luogo dissimulata questa miaespressione onorevole alla Spagna. Ho confessato che gli studj filosoficigiacevano dimenticati in Italia; dunque non ho certo detto che la Spagna liricevette dall'Italia. Ho detto che gl'Italiani in ogni parte del mondo faceanil lor talento, e ciò è verissimo anche riguardo alla Spagna.

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nosceva di nome, e fra gli Arabi all'opposto era assaicoltivata; e confessare, che fra gli Arabi di Spagna sicoltivavano con grande ardore nei bassi secoli gli studid'ogni maniera (tomo quarto)? Ecco, Signor Abate, ilfondamento della mia giusta doglianza, cioè la maniera,con cui ella, dove si tratta del risorgimento degli studidopo il mille, fa comparire gl'Italiani i primi ristoratori,dissimulando il doversi a ragione questo vanto alla Spa-gna; e poi in altro tomo, dove si tratta di tutt'altro, che diquesto risorgimento, confessa l'ignoranza dell'Italiadopo il mille, e l'ardore, con cui in Ispagna si coltivava-no gli studi d'ogni maniera. Ecco come può con tutta ra-gione l'Abate Lampillas accusarlo, ch'egli abbia in que-sto punto medesimo dissimulate le glorie de' suoi ArabiSpagnuoli (pag. 12.) 91.

Or prego il Pubblico a riflettere, che il Tirab. per darqualche colore di verità alle accuse, ch'egli ingiustamen-te m'intenta, non ha trovata altra maniera che il troncare,e trasformare i più ben ordinati tratti del mio Saggio. Io

91 Ecco dieci pagine (della prima edizione) impiegate dall'ab. Lampillas adifendersi dall'accusa da me datagli a ciò ch'ei dice di Gherardo cremone-se. Ei si duole che io non abbia affermato che l'Italia dovette alla Spagnail risorgimento de' buoni studj. Io non l'ho detto, nè 'l dirò mai. Ho dettoche Gherardo dovette verisimilmente in gran parte a Toledo i suoi studj eil suo sapere; e col dir ciò ho detto quanto io sapeva delle glorie letterariedella Spagna riguardo all'Italia in quel secolo; e mi son doluto e mi dolgotuttora che l'ab. Lampillas abbia a questo luogo dissimulata questa miaespressione onorevole alla Spagna. Ho confessato che gli studj filosoficigiacevano dimenticati in Italia; dunque non ho certo detto che la Spagna liricevette dall'Italia. Ho detto che gl'Italiani in ogni parte del mondo faceanil lor talento, e ciò è verissimo anche riguardo alla Spagna.

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all'opposto a difendermi, non mi studio che a riordinarli,e metterli davanti quali in esso si leggono.

Io lascio in disparte, prosiegue il Tirab. (pag. 12) laridicola accusa, ch'egli mi dà, di non aver detto, che S.Domenico fosse Spagnuolo; e cita il mio tom. II p. 196.Meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Tirab. di tralasciar detutto quest'accusa, e così si sarebbe risparmiato il rosso-re di sentirsi rinfacciare la più vergognosa falsità: legga-si la p. 196 del mio II. tom.; leggasi pure tutto quel § 8,dove io parlo di S. Domenico, e vedasi se in esso si tro-va una tale accusa; e non potranno se non che maravi-gliarsi i leggitori, che un uomo, il quale, non pago ditroncare e travisare i miei detti, finge in oltre accuse deltutto ideali, abbia nondimeno il coraggio di dire: chepuò egli rispondere? Io cito le sue precise parole senzapunto alterarle, com'egli ha alterato le mie (pag. 20).Nè potranno guardare senza sdegno, che su questo falsofondamento venga io da lui trattato con la dispregianteespressione: Chi mai avrebbe creduto, che dovesse tro-varsi un Abate Lampillas ec. espressione che il solo sen-tirsi rinfacciare dovea tingere di rossore chiunque nonaffatto ignori i doveri dell'urbanità.

Ecco la mia doglianza contro il Tiraboschi in tuttoquel passo. Io prendo a dimostrare, che i sacri studi fu-rono in quel secolo promossi, ed illustrati in Italia dagliSpagnuoli. Cominciò con uno degli avvenimenti piùvantaggiosi alle scienze sacre, quale fu la fondazionedell'illustre Ordine de' Predicatori. Affermo, che l'Italia

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all'opposto a difendermi, non mi studio che a riordinarli,e metterli davanti quali in esso si leggono.

Io lascio in disparte, prosiegue il Tirab. (pag. 12) laridicola accusa, ch'egli mi dà, di non aver detto, che S.Domenico fosse Spagnuolo; e cita il mio tom. II p. 196.Meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Tirab. di tralasciar detutto quest'accusa, e così si sarebbe risparmiato il rosso-re di sentirsi rinfacciare la più vergognosa falsità: legga-si la p. 196 del mio II. tom.; leggasi pure tutto quel § 8,dove io parlo di S. Domenico, e vedasi se in esso si tro-va una tale accusa; e non potranno se non che maravi-gliarsi i leggitori, che un uomo, il quale, non pago ditroncare e travisare i miei detti, finge in oltre accuse deltutto ideali, abbia nondimeno il coraggio di dire: chepuò egli rispondere? Io cito le sue precise parole senzapunto alterarle, com'egli ha alterato le mie (pag. 20).Nè potranno guardare senza sdegno, che su questo falsofondamento venga io da lui trattato con la dispregianteespressione: Chi mai avrebbe creduto, che dovesse tro-varsi un Abate Lampillas ec. espressione che il solo sen-tirsi rinfacciare dovea tingere di rossore chiunque nonaffatto ignori i doveri dell'urbanità.

Ecco la mia doglianza contro il Tiraboschi in tuttoquel passo. Io prendo a dimostrare, che i sacri studi fu-rono in quel secolo promossi, ed illustrati in Italia dagliSpagnuoli. Cominciò con uno degli avvenimenti piùvantaggiosi alle scienze sacre, quale fu la fondazionedell'illustre Ordine de' Predicatori. Affermo, che l'Italia

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sperimentò bene questi vantaggi, e ne reco in pruova leparole stesse del Tirab. Tutto ciò si trova nella pag. 195del mio secondo tomo. Quindi ripiglio pag. 196 "Di tuttiquesti vantaggi, io chieggo, non è debitrice l'Italia algran S. Domenico, gloria, ed ornamento della nazioneSpagnuola? Eppure nemmen si vede nominato, dove sitratta della nascita di quest'Ordine. Io penso, che sareb-be qui più opportuna quella sincera confessione fatta dalTirab. in occasione della venuta di Carlo Magno in Ita-lia, giacchè con giusta ragion potrebbe dire: Se l'Italiaebbe a questi tempi la sorte di aver un Eroe santissimo,che con la fondazione d'un nuovo ordine si adoprò afarvi risorgere i sacri studi, e le assicurò un perpetuoseminario di grandi uomini, ella dee confessar sincera-mente, che ne è debitrice alla Spagna".

Dov'è qui, Sig. Ab. stimatissimo, ch'io l'accusi di nonaver detto che S. Domenico fu Spagnuolo? Dove sono lemie precise parole citate senza punto alterarle? In que-sta guisa ella si studia di sfigurare le mie giuste accuseper farle credere ridicole; mentre l'accusa da me intenta-tale in questo luogo solo può chiamarsi ridicola da chiacciecato da qualche prevenzione pretenda, che furonomaggiori i vantaggi recati da Carlo Magno agl'Italianistudi, di quelli, dei quali è debitrice l'Italia a tanti dottis-simi Domenicani, che l'hanno illustrata, e la illustranoper quasi sei secoli 92.92 Questo è un puro giuoco di parole. Io ho lodato l'Ordine dei Predicatori, e

ho detto che molto ad esso dovetter le scienze, e col lodar l'Ordine dome-nicano ho lodato s. Domenico fondator dell'Ordine, giacchè niuno, credo,

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sperimentò bene questi vantaggi, e ne reco in pruova leparole stesse del Tirab. Tutto ciò si trova nella pag. 195del mio secondo tomo. Quindi ripiglio pag. 196 "Di tuttiquesti vantaggi, io chieggo, non è debitrice l'Italia algran S. Domenico, gloria, ed ornamento della nazioneSpagnuola? Eppure nemmen si vede nominato, dove sitratta della nascita di quest'Ordine. Io penso, che sareb-be qui più opportuna quella sincera confessione fatta dalTirab. in occasione della venuta di Carlo Magno in Ita-lia, giacchè con giusta ragion potrebbe dire: Se l'Italiaebbe a questi tempi la sorte di aver un Eroe santissimo,che con la fondazione d'un nuovo ordine si adoprò afarvi risorgere i sacri studi, e le assicurò un perpetuoseminario di grandi uomini, ella dee confessar sincera-mente, che ne è debitrice alla Spagna".

Dov'è qui, Sig. Ab. stimatissimo, ch'io l'accusi di nonaver detto che S. Domenico fu Spagnuolo? Dove sono lemie precise parole citate senza punto alterarle? In que-sta guisa ella si studia di sfigurare le mie giuste accuseper farle credere ridicole; mentre l'accusa da me intenta-tale in questo luogo solo può chiamarsi ridicola da chiacciecato da qualche prevenzione pretenda, che furonomaggiori i vantaggi recati da Carlo Magno agl'Italianistudi, di quelli, dei quali è debitrice l'Italia a tanti dottis-simi Domenicani, che l'hanno illustrata, e la illustranoper quasi sei secoli 92.92 Questo è un puro giuoco di parole. Io ho lodato l'Ordine dei Predicatori, e

ho detto che molto ad esso dovetter le scienze, e col lodar l'Ordine dome-nicano ho lodato s. Domenico fondator dell'Ordine, giacchè niuno, credo,

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Qui si vede con quanta ragion poteva dire il Tirab.che si vergognava di trattenersi su questo punto. Nonmen però dovea vergognarsi dell'altra accusa, ch'eglim'intenta intorno al celebre Cardinale Albornoz.Scriv'egli a questo proposito (p. 13) ch'io l'accuso dinon aver fatta menzione nella sua Storia del celebreCard. Albornoz Spagnuolo; e che qui di nuovo deve la-mentarsi del Signor Abate Lampillas, e farne solennidoglianze in faccia a tutto il mondo.

Anche in questo luogo, caro Sig. Ab., poteva ella in-terpellare il suo Corrispondente, e dirgli "ma il credere-ste voi mai? L'Ab. Lampillas non mi ha fatta mai unatale accusa. Io con buonissima fede assicuro a tutto ilmondo, ch'egli dice, ch'io nella mia Storia non ho fattamenzione del Cardinal Albornoz. Io so bene, ch'egli ciònon ha detto; e nondimeno colla solita franchezza mi la-mento di lui in faccia a tutto il mondo non per ciòch'egli abbia detto, ma per ciò ch'io gli fo dire".

In fatti vedasi il tomo secondo del mio Saggio dallapag. 201. fino alla pag. 206. dove io parlo di questo ce-lebre Card., e se si trova, ch'io mi dolga assolutamentedel Tirab. di non aver fatta nella sua Storia menzionedel Card. Albornoz, mi confesso uomo mancante di buo-na fede; se ciò non si trova, lascio al mondo intero il

vorrà sospettare che il detto Ordine sia fondato da s. Benedetto. È dunqueuna puerilità il dire ch'io lodando l'Ordine domenicano non ho nominatos. Domenico; e tutta l'accusa non può ridursi ad altro che al dire ch'io nonho detto che s. Domenico fosse spagnuolo, e perciò a tale accusa ho fattala risposta che si conveniva.

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Qui si vede con quanta ragion poteva dire il Tirab.che si vergognava di trattenersi su questo punto. Nonmen però dovea vergognarsi dell'altra accusa, ch'eglim'intenta intorno al celebre Cardinale Albornoz.Scriv'egli a questo proposito (p. 13) ch'io l'accuso dinon aver fatta menzione nella sua Storia del celebreCard. Albornoz Spagnuolo; e che qui di nuovo deve la-mentarsi del Signor Abate Lampillas, e farne solennidoglianze in faccia a tutto il mondo.

Anche in questo luogo, caro Sig. Ab., poteva ella in-terpellare il suo Corrispondente, e dirgli "ma il credere-ste voi mai? L'Ab. Lampillas non mi ha fatta mai unatale accusa. Io con buonissima fede assicuro a tutto ilmondo, ch'egli dice, ch'io nella mia Storia non ho fattamenzione del Cardinal Albornoz. Io so bene, ch'egli ciònon ha detto; e nondimeno colla solita franchezza mi la-mento di lui in faccia a tutto il mondo non per ciòch'egli abbia detto, ma per ciò ch'io gli fo dire".

In fatti vedasi il tomo secondo del mio Saggio dallapag. 201. fino alla pag. 206. dove io parlo di questo ce-lebre Card., e se si trova, ch'io mi dolga assolutamentedel Tirab. di non aver fatta nella sua Storia menzionedel Card. Albornoz, mi confesso uomo mancante di buo-na fede; se ciò non si trova, lascio al mondo intero il

vorrà sospettare che il detto Ordine sia fondato da s. Benedetto. È dunqueuna puerilità il dire ch'io lodando l'Ordine domenicano non ho nominatos. Domenico; e tutta l'accusa non può ridursi ad altro che al dire ch'io nonho detto che s. Domenico fosse spagnuolo, e perciò a tale accusa ho fattala risposta che si conveniva.

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giudizio, che deesi farsi intorno alla fede del Tiraboschi.Mettiamo nella vera luce questo fatto, che tanto basta

a giustificarmi. Nel paragrafo 8 della Dissertazion 6,prend'io a dimostrare, di quanto sia debitrice l'Italia alCard. Albornoz: ciò comincio a fare in fondo alla p.201, dove in poche righe manifesto lo splendore recatodal sì insigne Cardinale all'Università di Bologna collafondazione del magnifico Collegio di S. Clemente degliSpagnuoli. Quindi passo a spiegare gli altri meriti delnostro Cardinale verso gran parte dell'Italia, e cominciocosì: "In questo luogo non posso non fare un amorevollamento coll'Ab. Tirab. e molto più coll'Ab. Bettinelli;imperciocchè dove ci dipingono lo stato dell'Italia nelsecolo XIV oppressa e tiranneggiata da tanti prepotenti,non si degnano nemmen di nominare il grand'Egidiod'Albornoz, che a costo di immense fatiche liberò granparte di essa dall'oppressione di quei tiranni, ed assicuròalla Romana Chiesa l'antico patrimonio".

Dov'è ch'io qui accusi l'Ab. Tirab. di non aver fattamenzione nella sua Storia del celebre Card. Albornoz?Il lamentarmi, ch'io giustamente fo, che il Tirab. dove cidipinge lo stato dell'Italia del secolo XIV oppressa e ti-ranneggiata da prepotenti non sì degni nemmen di no-minare il grand'Egidio di Albornoz, è lamentarmi chenella sua Storia non abbia fatta menzione il detto Car-dinale? Qui poteva io a ragion rinfacciare al sig. Ab. Ti-rab. ch'egli fa universale a tutta la sua Storia la proposi-zione da me ristretta ad un determinato passo di essa,

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giudizio, che deesi farsi intorno alla fede del Tiraboschi.Mettiamo nella vera luce questo fatto, che tanto basta

a giustificarmi. Nel paragrafo 8 della Dissertazion 6,prend'io a dimostrare, di quanto sia debitrice l'Italia alCard. Albornoz: ciò comincio a fare in fondo alla p.201, dove in poche righe manifesto lo splendore recatodal sì insigne Cardinale all'Università di Bologna collafondazione del magnifico Collegio di S. Clemente degliSpagnuoli. Quindi passo a spiegare gli altri meriti delnostro Cardinale verso gran parte dell'Italia, e cominciocosì: "In questo luogo non posso non fare un amorevollamento coll'Ab. Tirab. e molto più coll'Ab. Bettinelli;imperciocchè dove ci dipingono lo stato dell'Italia nelsecolo XIV oppressa e tiranneggiata da tanti prepotenti,non si degnano nemmen di nominare il grand'Egidiod'Albornoz, che a costo di immense fatiche liberò granparte di essa dall'oppressione di quei tiranni, ed assicuròalla Romana Chiesa l'antico patrimonio".

Dov'è ch'io qui accusi l'Ab. Tirab. di non aver fattamenzione nella sua Storia del celebre Card. Albornoz?Il lamentarmi, ch'io giustamente fo, che il Tirab. dove cidipinge lo stato dell'Italia del secolo XIV oppressa e ti-ranneggiata da prepotenti non sì degni nemmen di no-minare il grand'Egidio di Albornoz, è lamentarmi chenella sua Storia non abbia fatta menzione il detto Car-dinale? Qui poteva io a ragion rinfacciare al sig. Ab. Ti-rab. ch'egli fa universale a tutta la sua Storia la proposi-zione da me ristretta ad un determinato passo di essa,

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vedeva egli però, che recata la mia accusa quale da mevenne scritta, non poteva giammai convincerla di falsità.Ciò all'opposto gli riusciva sfigurandola come ha fatto.

Aprasi il tomo 5 della Storia Letteraria del Tirabo-schi, leggasi tutto il cap. I del lib. I. che ha per titolo,Idea generale dello stato civile d'Italia in questo secolo,e vedasi, se in verun luogo delle dieci pagine, che com-pongono quel Capo, venga nominato il Card. Albornoz;eppure ciò vi voleva a convincermi di mala fede. In fattil'unica maniera, con cui doveva egli farla palese a tutt'ilmondo, era questa; "L'ab. Lampillas si lamenta chedov'io dipingo lo stato dell'Italia nel secolo XIV oppres-sa, e tiranneggiata da' prepotenti, non abbia io nominatoEgidio d'Albornoz. Leggasi il capo I del lib. I del miotom. 5, dov'io descrivo lo stato dell'Italia nel secoloXIV, e là troverassi nominato da me il Card. Albornoz.L'ab. Lampillas si lamenta, ch'io non fo menzione delleimmense fatiche, con cui l'Albornoz liberò gran partedell'Italia dall'oppressione de' Tiranni, le assicurò la feli-cità con savie leggi, e fece in essa rifiorire gli abbando-nati studi. Leggasi il predetto capo (o almen qualchedunaltro) della mia Storia, ch'io non ho dissimulati questisingolari meriti dell'Albornoz".

Questa sarebbe, Sig. Ab., la maniera di manifestare atutt'il mondo la mia mancanza di fede; allora potrebbe aragion dirsi, che la sola verità filosofica è la condottieradella sua penna, e che risponde all'Ab. Lampillas coifatti alla mano. Ma come mai può lusingarsi di ciò otte-

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vedeva egli però, che recata la mia accusa quale da mevenne scritta, non poteva giammai convincerla di falsità.Ciò all'opposto gli riusciva sfigurandola come ha fatto.

Aprasi il tomo 5 della Storia Letteraria del Tirabo-schi, leggasi tutto il cap. I del lib. I. che ha per titolo,Idea generale dello stato civile d'Italia in questo secolo,e vedasi, se in verun luogo delle dieci pagine, che com-pongono quel Capo, venga nominato il Card. Albornoz;eppure ciò vi voleva a convincermi di mala fede. In fattil'unica maniera, con cui doveva egli farla palese a tutt'ilmondo, era questa; "L'ab. Lampillas si lamenta chedov'io dipingo lo stato dell'Italia nel secolo XIV oppres-sa, e tiranneggiata da' prepotenti, non abbia io nominatoEgidio d'Albornoz. Leggasi il capo I del lib. I del miotom. 5, dov'io descrivo lo stato dell'Italia nel secoloXIV, e là troverassi nominato da me il Card. Albornoz.L'ab. Lampillas si lamenta, ch'io non fo menzione delleimmense fatiche, con cui l'Albornoz liberò gran partedell'Italia dall'oppressione de' Tiranni, le assicurò la feli-cità con savie leggi, e fece in essa rifiorire gli abbando-nati studi. Leggasi il predetto capo (o almen qualchedunaltro) della mia Storia, ch'io non ho dissimulati questisingolari meriti dell'Albornoz".

Questa sarebbe, Sig. Ab., la maniera di manifestare atutt'il mondo la mia mancanza di fede; allora potrebbe aragion dirsi, che la sola verità filosofica è la condottieradella sua penna, e che risponde all'Ab. Lampillas coifatti alla mano. Ma come mai può lusingarsi di ciò otte-

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nere rispondendo a tutt'altro, che a ciò di cui vien accu-sato? Io mi lamento, che da lei vengano dimenticati queimeriti del Card. Albornoz, che esigono dall'Italiaun'eterna gratitudine, e che doveano occupare distintoposto nel primo capo del suo 5. tomo: quei meriti concui egli assicurò la tranquillità all'Italia, e la quiete aglistudi; quei meriti, che gli acquistarono la più tenera e di-stinta stima de' Papi, e quel singolare, e pregiatissimo ti-tolo di Padre della Chiesa; quel merito di doversi a luisingolarmente il ritorno di Urbano V in Italia, comescrive il Sepulveda e che nondimeno dal Sig. Ab. inquel capo I si attribuisce ad Aldovrandino III Sig. diModena; quei meriti finalmente, che pare impossibilel'esser dimenticati da uno Storico, dove tratta dello statocivile dell'Italia in quei tempi.

E che risponde, il Sig. Ab. Tirab. a questi miei giustilamenti? Egli risponde, che nel cap. 3 dove trattadell'Università ha impiegata quasi una pagina in parlaredella fondazione del Collegio degli Spagnuoli fattadall'Albornoz, e che ha recato l'elogio, che si fa di dettoCard. in un'antica Cronaca di Bologna, dove si spiega ildolore provato da quei cittadini nella morte dell'Albor-noz, per essersi esso manifestato grand'amico degli uo-mini di Bologna, e avergli cavati dalle mani di quello diMilano con gran fatica (pag. 13. 14).

Mi dica di grazia il Sig. Ab. Tirab.: questo capo 3 nelsuo quinto tomo è forse quel luogo della sua Storia,dove ella ci dipinge lo stato civile dell'Italia nel secolo

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nere rispondendo a tutt'altro, che a ciò di cui vien accu-sato? Io mi lamento, che da lei vengano dimenticati queimeriti del Card. Albornoz, che esigono dall'Italiaun'eterna gratitudine, e che doveano occupare distintoposto nel primo capo del suo 5. tomo: quei meriti concui egli assicurò la tranquillità all'Italia, e la quiete aglistudi; quei meriti, che gli acquistarono la più tenera e di-stinta stima de' Papi, e quel singolare, e pregiatissimo ti-tolo di Padre della Chiesa; quel merito di doversi a luisingolarmente il ritorno di Urbano V in Italia, comescrive il Sepulveda e che nondimeno dal Sig. Ab. inquel capo I si attribuisce ad Aldovrandino III Sig. diModena; quei meriti finalmente, che pare impossibilel'esser dimenticati da uno Storico, dove tratta dello statocivile dell'Italia in quei tempi.

E che risponde, il Sig. Ab. Tirab. a questi miei giustilamenti? Egli risponde, che nel cap. 3 dove trattadell'Università ha impiegata quasi una pagina in parlaredella fondazione del Collegio degli Spagnuoli fattadall'Albornoz, e che ha recato l'elogio, che si fa di dettoCard. in un'antica Cronaca di Bologna, dove si spiega ildolore provato da quei cittadini nella morte dell'Albor-noz, per essersi esso manifestato grand'amico degli uo-mini di Bologna, e avergli cavati dalle mani di quello diMilano con gran fatica (pag. 13. 14).

Mi dica di grazia il Sig. Ab. Tirab.: questo capo 3 nelsuo quinto tomo è forse quel luogo della sua Storia,dove ella ci dipinge lo stato civile dell'Italia nel secolo

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XIV? La fondazione del Collegio di Bologna, che nonebbe pieno effetto se non che dopo la morte d'Albornoz,sono quei singolari meriti, che resero in vita questo cele-bre Cardinale uno de' più rinomati personaggi del suotempo, e dei più benemeriti dell'Italia? E come dunquepuò pretendere di convincermi di mala fede in faccia almondo tutto col dire, che ha nominato l'Albornoz doveio non gli rimprovero, che di lui non abbia fatto menzio-ne; e col dire che ha parlato lungamente della fondazio-ne del Collegio di Bologna, che io non mi lamento, chesia stata da lui dimenticata? Vedrà ben il mondo tutto labuona fede, con cui il Sig. Abate mette davanti gli occhide' suoi leggitori in corsivo come detto da fine, ch'ellanon si è degnato di nominare il Card. Albornoz; che ellane ha dimenticata la memoria (pag. 13 lett.) senza espri-mere, dov'io mi lagno, ch'ella non abbia nominato, equal sia la memoria dell'Albornoz, ch'io desidero nellasua Storia.

Più chiaramente si vedrà questa buona fede del Tira-boschi, se esaminando quanto egli intorno a ciò scrivesul principio della pag. 13 della sua lettera. Qui dunquedopo recate quelle mie parole in questo luogo non possonon fare un amichevol lamento ec. soggiugne parlandodi me: Quindi dopo aver rammentate le grandi impresedi quel celebre Cardinale (tra le quali non si vede lafondazione del Collegio di Bologna) e ripetuto più vol-te, che io doveva farne menzione (dopo il passo da luirecato non lo dico neppure una volta) e dopo aver detto

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XIV? La fondazione del Collegio di Bologna, che nonebbe pieno effetto se non che dopo la morte d'Albornoz,sono quei singolari meriti, che resero in vita questo cele-bre Cardinale uno de' più rinomati personaggi del suotempo, e dei più benemeriti dell'Italia? E come dunquepuò pretendere di convincermi di mala fede in faccia almondo tutto col dire, che ha nominato l'Albornoz doveio non gli rimprovero, che di lui non abbia fatto menzio-ne; e col dire che ha parlato lungamente della fondazio-ne del Collegio di Bologna, che io non mi lamento, chesia stata da lui dimenticata? Vedrà ben il mondo tutto labuona fede, con cui il Sig. Abate mette davanti gli occhide' suoi leggitori in corsivo come detto da fine, ch'ellanon si è degnato di nominare il Card. Albornoz; che ellane ha dimenticata la memoria (pag. 13 lett.) senza espri-mere, dov'io mi lagno, ch'ella non abbia nominato, equal sia la memoria dell'Albornoz, ch'io desidero nellasua Storia.

Più chiaramente si vedrà questa buona fede del Tira-boschi, se esaminando quanto egli intorno a ciò scrivesul principio della pag. 13 della sua lettera. Qui dunquedopo recate quelle mie parole in questo luogo non possonon fare un amichevol lamento ec. soggiugne parlandodi me: Quindi dopo aver rammentate le grandi impresedi quel celebre Cardinale (tra le quali non si vede lafondazione del Collegio di Bologna) e ripetuto più vol-te, che io doveva farne menzione (dopo il passo da luirecato non lo dico neppure una volta) e dopo aver detto

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che da me è stata dimenticata la memoria del celebreAlbornoz (ciò dico parlando dell'Ab. Bettinelli, non giàdell'Ab. Tirab.) conchiude: questa disgrazia però ec.

Ora aprasi in faccia a tutto il mondo il mio Saggio, eleggansi le pag. 202 fino a' 206 del secondo tomo, e giu-dichi tutto il mondo della buona fede del mio accusato-re. Ivi vedrassi, che nemmen una sol volta vien da merimproverato al Tiraboschi ch'egli non abbia fatta men-zione dell'Albornoz, senza individuare e il luogo dovedovea nominarlo, e in cui certamente non lo nomina; e imeriti, di cui far dovea menzione, i quali certamentevengono da lui dimenticati. Vedrassi, che in fondo allapag. 204 comincio a discorrerla del sig. Ab. Bettinelli;non meno, io dico, avea tutto il diritto questo gran Car-dinale d'essere nominato nell'elegante Storia del Risor-gimento dell'Italia ec., senza che per quasi due pag. ven-gano più nominati nè il Tiraboschi, nè la sua Storia Let-teraria. Termino poi il ragionamento col Bettinelli; edico parlando di lui: come mai nondimeno, mentre ono-ra tanto la memoria di quelli, che promossero le belleArti, ed empirono di versi l'Italia, viene all'istesso tem-po da lui dimenticata la memoria del celebre Albornoz?Eccovi quel dimenticata la memoria del celebre Albor-noz, ch'io rimprovero all'Ab. Bettinelli, e che quel Sig.Abate Tiraboschi che cita le precise parole dell'Ab.Lampillas senza punto alterarle, scrive ch'io ho dettoparlando di lui. Dopo aver detto (egli scrive parlando dime) che da me è stata dimenticata la memoria del cele-

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che da me è stata dimenticata la memoria del celebreAlbornoz (ciò dico parlando dell'Ab. Bettinelli, non giàdell'Ab. Tirab.) conchiude: questa disgrazia però ec.

Ora aprasi in faccia a tutto il mondo il mio Saggio, eleggansi le pag. 202 fino a' 206 del secondo tomo, e giu-dichi tutto il mondo della buona fede del mio accusato-re. Ivi vedrassi, che nemmen una sol volta vien da merimproverato al Tiraboschi ch'egli non abbia fatta men-zione dell'Albornoz, senza individuare e il luogo dovedovea nominarlo, e in cui certamente non lo nomina; e imeriti, di cui far dovea menzione, i quali certamentevengono da lui dimenticati. Vedrassi, che in fondo allapag. 204 comincio a discorrerla del sig. Ab. Bettinelli;non meno, io dico, avea tutto il diritto questo gran Car-dinale d'essere nominato nell'elegante Storia del Risor-gimento dell'Italia ec., senza che per quasi due pag. ven-gano più nominati nè il Tiraboschi, nè la sua Storia Let-teraria. Termino poi il ragionamento col Bettinelli; edico parlando di lui: come mai nondimeno, mentre ono-ra tanto la memoria di quelli, che promossero le belleArti, ed empirono di versi l'Italia, viene all'istesso tem-po da lui dimenticata la memoria del celebre Albornoz?Eccovi quel dimenticata la memoria del celebre Albor-noz, ch'io rimprovero all'Ab. Bettinelli, e che quel Sig.Abate Tiraboschi che cita le precise parole dell'Ab.Lampillas senza punto alterarle, scrive ch'io ho dettoparlando di lui. Dopo aver detto (egli scrive parlando dime) che da me è stata dimenticata la memoria del cele-

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bre Albornoz conchiude: questa disgrazia però ec.: e inquesta guisa fa comparire relativa all'aver egli dimenti-cata la memoria dell'Albornoz quella disgrazia, che dame viene scritta come relativa all'avere il Bettinelli, di-menticata la memoria del celebre Albornoz.

Sì, fedelissimo Sig. Ab., questa è la buona fede, concui ella cita le mie precise parole senza punto alterarle;questa è la leggiadra maniera, con cui ella mi fa dire ciò,che io non ho detto, e poi leva alto la voce contro di mein faccia a tutto il mondo. Ma credeva ella forse, che intutto il mondo non dovesse trovarsi chi avesse in manoil mio Saggio, e in esso esaminasse le accuse, ch'ellam'intenta? Vede in esso chiunque ha occhi in fronte, chedove io conchiudo il ragionamento contro l'Ab. Bettinel-li con questo periodo: "Questa disgrazia però è comuneal nostro cardinale con tanti altri celebri Spagnuoli be-nemeriti dell'Italiana letteratura, i quali, come abbiamvisto, vengono dimenticati dall'Autore della Storia lette-raria"; vede, io dico, che quella espressione questa di-sgrazia non può giammai riferirsi ad un'assoluta dimen-ticanza dell'Albornoz nella Storia letteraria, quale non sivede da me additata in tutto quel passo; ma bensìall'assoluta dimenticanza dell'Albornoz nell'opera delBettinelli, di cui io in quel luogo ragiono; e all'avere ilTirab. dimenticati tanti meriti di quel Cardinale, che me-ritavano distinto posto nella sua Storia. Vede, che nelmio Saggio è tutt'altra l'accusa, ch'io intento all'Ab. Ti-rab. di quella ch'egli si studia di far comparire nella sua

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bre Albornoz conchiude: questa disgrazia però ec.: e inquesta guisa fa comparire relativa all'aver egli dimenti-cata la memoria dell'Albornoz quella disgrazia, che dame viene scritta come relativa all'avere il Bettinelli, di-menticata la memoria del celebre Albornoz.

Sì, fedelissimo Sig. Ab., questa è la buona fede, concui ella cita le mie precise parole senza punto alterarle;questa è la leggiadra maniera, con cui ella mi fa dire ciò,che io non ho detto, e poi leva alto la voce contro di mein faccia a tutto il mondo. Ma credeva ella forse, che intutto il mondo non dovesse trovarsi chi avesse in manoil mio Saggio, e in esso esaminasse le accuse, ch'ellam'intenta? Vede in esso chiunque ha occhi in fronte, chedove io conchiudo il ragionamento contro l'Ab. Bettinel-li con questo periodo: "Questa disgrazia però è comuneal nostro cardinale con tanti altri celebri Spagnuoli be-nemeriti dell'Italiana letteratura, i quali, come abbiamvisto, vengono dimenticati dall'Autore della Storia lette-raria"; vede, io dico, che quella espressione questa di-sgrazia non può giammai riferirsi ad un'assoluta dimen-ticanza dell'Albornoz nella Storia letteraria, quale non sivede da me additata in tutto quel passo; ma bensìall'assoluta dimenticanza dell'Albornoz nell'opera delBettinelli, di cui io in quel luogo ragiono; e all'avere ilTirab. dimenticati tanti meriti di quel Cardinale, che me-ritavano distinto posto nella sua Storia. Vede, che nelmio Saggio è tutt'altra l'accusa, ch'io intento all'Ab. Ti-rab. di quella ch'egli si studia di far comparire nella sua

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lettera. A vista di tutto ciò non può se non che stupirsi,che un uomo ben consapevole di questa sua condottapretenda levar alto la voce, e chiedere soddisfazionecontro la calunnia, che se gli appone; quasi che col ru-more delle sue grida impedir potesse, che si udisse lavoce della verità, che mi dà tutto il diritto a domandarla.

Almeno, può replicare l'Ab. Tirab., l'Ab. Lampillas hadissimulato quant'io ho detto in lode del celebre Albor-noz, e perciò è reo d'una di quelle infedeltà, di cui io loaccuso in quarto luogo; cioè, d'aver dissimulate piùcose, che fanno in mio favore, e che distruggon le accu-se, ch'ei mi ha intentate. All'opposto l'Ab. Lampillaspretende aver in questo passo dissimulata una ben ovviariflessione, la quale vieppiù confermerebbe la sfavore-vole prevenzione del Tirab. contro il merito della Nazio-ne Spagnuola. Il Sig. Ab. Tirab. ha stimato bene il trattarquesto punto in faccia a tutto il mondo, e levar ancoraalto la voce; io però, per quanto mi preme di non farlocomparire un nemico, com'egli dice, della gloria lettera-ria di Spagna, vorrei poterla con lui discorrere bocca abocca, o almeno dove non ci sentisse Spagnuolo alcuno.

Ecco dunque la riflessione, ch'io dissimulai nel mioSaggio. Il Card. Albornoz avea diritto ad esser nominatocon onore ne' tre primi capi del tom. 5 della Storia lette-raria d'Italia nel secolo XIV, poichè egli rendette quieto,e tranquillo quello Stato, che trovato avea messo sosso-pra dalle guerre civile, ed oppresso da' Tiranni; nel se-condo, dove si fa memoria dei Principi, che favoriron le

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lettera. A vista di tutto ciò non può se non che stupirsi,che un uomo ben consapevole di questa sua condottapretenda levar alto la voce, e chiedere soddisfazionecontro la calunnia, che se gli appone; quasi che col ru-more delle sue grida impedir potesse, che si udisse lavoce della verità, che mi dà tutto il diritto a domandarla.

Almeno, può replicare l'Ab. Tirab., l'Ab. Lampillas hadissimulato quant'io ho detto in lode del celebre Albor-noz, e perciò è reo d'una di quelle infedeltà, di cui io loaccuso in quarto luogo; cioè, d'aver dissimulate piùcose, che fanno in mio favore, e che distruggon le accu-se, ch'ei mi ha intentate. All'opposto l'Ab. Lampillaspretende aver in questo passo dissimulata una ben ovviariflessione, la quale vieppiù confermerebbe la sfavore-vole prevenzione del Tirab. contro il merito della Nazio-ne Spagnuola. Il Sig. Ab. Tirab. ha stimato bene il trattarquesto punto in faccia a tutto il mondo, e levar ancoraalto la voce; io però, per quanto mi preme di non farlocomparire un nemico, com'egli dice, della gloria lettera-ria di Spagna, vorrei poterla con lui discorrere bocca abocca, o almeno dove non ci sentisse Spagnuolo alcuno.

Ecco dunque la riflessione, ch'io dissimulai nel mioSaggio. Il Card. Albornoz avea diritto ad esser nominatocon onore ne' tre primi capi del tom. 5 della Storia lette-raria d'Italia nel secolo XIV, poichè egli rendette quieto,e tranquillo quello Stato, che trovato avea messo sosso-pra dalle guerre civile, ed oppresso da' Tiranni; nel se-condo, dove si fa memoria dei Principi, che favoriron le

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lettere nell'Italia, giacchè i letterati trovarono sempremai nell'Albornoz un benefico protettore; e gli abbando-nati studi si videro rifiorire massimamente in Bolognamercè le savie provvidenze di questo Cardinale; nel III.dove si parla dell'Università, per l'erezione che in Bolo-gna fece dell'illustre Collegio di S. Clemente, dove po-tessero fare i loro studi 24 giovani Spagnuoli.

L'Ab. Tirab. dimenticata la memoria del Card. nelprimo e secondo capo (che, come abbiam detto, è quelsolo, ch'io gli rimprovero nel mio Saggio) si è degnatodi parlarne soltanto nel terzo; e perchè mai? Oh! Ada-gio. Non la vogliam fare da qualche Dio, entrandonell'intenzione. Lasciamo dunque a lui il saper lo per-chè. Venghiamo al risultato di questa sua condanna. Daquesto dunque segue, che ciò, da cui ne vien gloriaall'Italia, ed è men favorevole alla letteratura Spagnuolasi racconta dallo Storico; ma si dissimula affatto nellasua Storia ciò ch'essendo di sommo onore alla Spagna, èall'Italia poco onorevole.

In fatti, sebbene il Collegio di S. Clemente di Bolo-gna abbia recato sommo onore alla letteratura Spagnuo-la per gl'illustri letterati, di cui sempre mai è stato fecon-do; nondimeno il fondare l'Albornoz un Collegio in Bo-logna per agevolar sempre meglio agli Spagnuoli la viaper frequentare quelle celebri Scuole, quanto maggioronor reca alla letteratura Italiana, tanto è meno onorevo-le alla Spagnuola; imperciocchè in detta fondazionel'Italia fa la luminosa figura di maestra degli Spagnuoli,

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lettere nell'Italia, giacchè i letterati trovarono sempremai nell'Albornoz un benefico protettore; e gli abbando-nati studi si videro rifiorire massimamente in Bolognamercè le savie provvidenze di questo Cardinale; nel III.dove si parla dell'Università, per l'erezione che in Bolo-gna fece dell'illustre Collegio di S. Clemente, dove po-tessero fare i loro studi 24 giovani Spagnuoli.

L'Ab. Tirab. dimenticata la memoria del Card. nelprimo e secondo capo (che, come abbiam detto, è quelsolo, ch'io gli rimprovero nel mio Saggio) si è degnatodi parlarne soltanto nel terzo; e perchè mai? Oh! Ada-gio. Non la vogliam fare da qualche Dio, entrandonell'intenzione. Lasciamo dunque a lui il saper lo per-chè. Venghiamo al risultato di questa sua condanna. Daquesto dunque segue, che ciò, da cui ne vien gloriaall'Italia, ed è men favorevole alla letteratura Spagnuolasi racconta dallo Storico; ma si dissimula affatto nellasua Storia ciò ch'essendo di sommo onore alla Spagna, èall'Italia poco onorevole.

In fatti, sebbene il Collegio di S. Clemente di Bolo-gna abbia recato sommo onore alla letteratura Spagnuo-la per gl'illustri letterati, di cui sempre mai è stato fecon-do; nondimeno il fondare l'Albornoz un Collegio in Bo-logna per agevolar sempre meglio agli Spagnuoli la viaper frequentare quelle celebri Scuole, quanto maggioronor reca alla letteratura Italiana, tanto è meno onorevo-le alla Spagnuola; imperciocchè in detta fondazionel'Italia fa la luminosa figura di maestra degli Spagnuoli,

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mentre questi compariscono qual gente, che abbisognadi venire in Italia ad esser illuminata nelle scienze; ecosì si dà luogo agl'Italiani di dire: noi possiam vantar-ci, che tra noi si forniscono gli Spagnuoli di quel sape-re, che alle loro opere è richiesto, come scrive il Tirab.parlando del Pennafort. Ecco ciò, che dell'Albornoz nondissimula il Tiraboschi.

All'opposto il venire l'Albornoz in Italia co' suoi valo-rosi Nepoti, ed altri celebri Spagnuoli a pacificarla a co-sto d'immense fatiche, a riacquistare alla Chiesa il suoPatrimonio, sino a presentare al Papa un carro pieno dichiavi della Città, e fortezze conquistate; il dire che feceUrbano V di non si voler valere dell'opere d'altri, chedei fratelli dell'Albornoz per difendere e governarel'Italia (Sepul. De Reb. Gest. Albornoz); il poter vantar-si la nazione Spagnuola di aver date savie leggi all'Italianelle Costituzioni Egidiane; e d'aver promosse in Italiale Scienze e le Arti; tuttociò, io dico, quanto è gloriosis-simo al nome di Spagna, tanto è men onorevole all'Ita-lia. Ed ecco quanto dell'Albornoz vien dissimulato dalTirab. Dica adesso il Sig. Ab., se l'aver io dissimulataquesta riflessione nel mio Saggio sia aver dissimulatoqualche cosa che distrugga l'accusa, che gli vien intenta-ta di essere troppo prevenuto contro la gloria della no-stra Nazione 93.

93 A questa lunghissima dissertazione sul card. Albornoz rispondo assai bre-vemente. Se il sig. ab. Lampillas è così sincero, com'egli si vanta, perchènon ha indicato il passo in cui io ragiono di quel gran cardinale? Poteva alpiù rimproverarmi, benchè ingiustamente, di averne parlato fuor di luogo.

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mentre questi compariscono qual gente, che abbisognadi venire in Italia ad esser illuminata nelle scienze; ecosì si dà luogo agl'Italiani di dire: noi possiam vantar-ci, che tra noi si forniscono gli Spagnuoli di quel sape-re, che alle loro opere è richiesto, come scrive il Tirab.parlando del Pennafort. Ecco ciò, che dell'Albornoz nondissimula il Tiraboschi.

All'opposto il venire l'Albornoz in Italia co' suoi valo-rosi Nepoti, ed altri celebri Spagnuoli a pacificarla a co-sto d'immense fatiche, a riacquistare alla Chiesa il suoPatrimonio, sino a presentare al Papa un carro pieno dichiavi della Città, e fortezze conquistate; il dire che feceUrbano V di non si voler valere dell'opere d'altri, chedei fratelli dell'Albornoz per difendere e governarel'Italia (Sepul. De Reb. Gest. Albornoz); il poter vantar-si la nazione Spagnuola di aver date savie leggi all'Italianelle Costituzioni Egidiane; e d'aver promosse in Italiale Scienze e le Arti; tuttociò, io dico, quanto è gloriosis-simo al nome di Spagna, tanto è men onorevole all'Ita-lia. Ed ecco quanto dell'Albornoz vien dissimulato dalTirab. Dica adesso il Sig. Ab., se l'aver io dissimulataquesta riflessione nel mio Saggio sia aver dissimulatoqualche cosa che distrugga l'accusa, che gli vien intenta-ta di essere troppo prevenuto contro la gloria della no-stra Nazione 93.

93 A questa lunghissima dissertazione sul card. Albornoz rispondo assai bre-vemente. Se il sig. ab. Lampillas è così sincero, com'egli si vanta, perchènon ha indicato il passo in cui io ragiono di quel gran cardinale? Poteva alpiù rimproverarmi, benchè ingiustamente, di averne parlato fuor di luogo.

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Ma perchè tacerlo affatto? Io sfido chiunque legge quel passo del saggiodell'ab. Lampillas a dire se esso non sembra indicare ch'io l'abbia affattodimenticato, e se non è perciò giustissima la mia doglianza.

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Ma perchè tacerlo affatto? Io sfido chiunque legge quel passo del saggiodell'ab. Lampillas a dire se esso non sembra indicare ch'io l'abbia affattodimenticato, e se non è perciò giustissima la mia doglianza.

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QUARTA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas dissimula più cose, che fanno in favoredell'Ab. Tiraboschi, e distruggon le accuse ch'ei gli ha

intentate.

Non è più giusta, nè men graziosa quest'altra accusa,con cui l'Ab. Tirab. si presenta al Tribunale de' Saggi.L'Ab. Lampillas (egli dice lett. p. 14) dissimula piùcose, che fanno in mio favore, e distruggon le accuse,ch'ei mi ha intentate. Io all'opposto pretendo, che il Sig.Ab. Tirab. con questa sua lettera distrugga tutto ciò,ch'io avea detto a favore di lui, e che bastava a dissiparetutte le pretese accuse. Io avea lodata la sua onestissimaindole lontana assai da ogni avversione alla NazioneSpagnuola. Io aveva assicurato il Pubblico, che non vor-rebbe mai l'Ab. Tirab. contrastar alla Spagna quella glo-ria, che trovasse appoggiata a sodi fondamenti e ragioni;mentre il Sig. Ab. colla sua lettera mostra non solo divoler contrastare, ma ci dipinge come disperata quellagloria letteraria della nostra Nazione, che il Pubblico peraltro trova appoggiata a sode ragioni e fondamenti.

La prima ragione, su cui fonda l'Ab. Tirab. la quartaaccusa, è, perchè io dissimulo, ch'egli con la medesimalibertà, con cui ha scritto contro alcuni Autori Spagnuo-li, ha scritto ancora contro alcuni Italiani. In primo luo-go nè io, nè gli Spagnuoli ci lamentiamo, che il Sig. Ab.abbia scritto contro alcuni Autori Spagnuoli; anzi io

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QUARTA ACCUSA.

L'Ab. Lampillas dissimula più cose, che fanno in favoredell'Ab. Tiraboschi, e distruggon le accuse ch'ei gli ha

intentate.

Non è più giusta, nè men graziosa quest'altra accusa,con cui l'Ab. Tirab. si presenta al Tribunale de' Saggi.L'Ab. Lampillas (egli dice lett. p. 14) dissimula piùcose, che fanno in mio favore, e distruggon le accuse,ch'ei mi ha intentate. Io all'opposto pretendo, che il Sig.Ab. Tirab. con questa sua lettera distrugga tutto ciò,ch'io avea detto a favore di lui, e che bastava a dissiparetutte le pretese accuse. Io avea lodata la sua onestissimaindole lontana assai da ogni avversione alla NazioneSpagnuola. Io aveva assicurato il Pubblico, che non vor-rebbe mai l'Ab. Tirab. contrastar alla Spagna quella glo-ria, che trovasse appoggiata a sodi fondamenti e ragioni;mentre il Sig. Ab. colla sua lettera mostra non solo divoler contrastare, ma ci dipinge come disperata quellagloria letteraria della nostra Nazione, che il Pubblico peraltro trova appoggiata a sode ragioni e fondamenti.

La prima ragione, su cui fonda l'Ab. Tirab. la quartaaccusa, è, perchè io dissimulo, ch'egli con la medesimalibertà, con cui ha scritto contro alcuni Autori Spagnuo-li, ha scritto ancora contro alcuni Italiani. In primo luo-go nè io, nè gli Spagnuoli ci lamentiamo, che il Sig. Ab.abbia scritto contro alcuni Autori Spagnuoli; anzi io

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stesso scrivo (tom. 1. pag. 16): "Qualora si fossero con-tentati questi moderni Scrittori di trovar dei difetti in al-cuni Scrittori Spagnuoli del secolo posteriore ad Augu-sto, e avessero di più preteso preferire Catullo a Marzia-le, Virgilio a Lucano, Cicerone a Seneca, avrebbero an-cor trovato fra gli Spagnuoli appoggio alla loro censu-ra". Aggiungo, che quando non avesse stimato l'Ab. Ti-rab. il farsi panegirista del carattere morale di Seneca,nessun Spagnuolo ne avrebbe fatto lamento. Ciò di cuici dogliamo del Sig. Ab. Tirab. è la maniera con cui eglioscura la fama di Lucano, Marziale e Seneca, impiegan-do molte pagine in biasimarli; cercando tutte le strade discreditarli, dissimulando, o pretendendo di nessun valo-re quanto in favor di questi illustri Spagnuoli hannoscritto uomini di somma critica, ed erudizione. Mostri,se può il Sig. Ab. Tirab., ch'egli negli otto tomi della suaStoria usata abbia simil condotta con alcun Autore Ita-liano, o almeno con alcuno straniero. Come mai potràegli scusare il lungo processo fatto contro il caratteremorale di Seneca (torno a dire fuora di luogo, e tempo),mentre non ha stimato il farlo a nessun altro, benchènon gli mancassero più sodi fondamenti per accusarli diquelli, che siano i testimoni, su i quali fonda le accuse diSeneca? Come mai potrà scusare l'adoprar che ha fattotutte le arti per far comparir Seneca reo della morted'Agrippina; mentre con tanto calore pende a difendereCassiodoro accusato forse con maggior fondamento reo

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stesso scrivo (tom. 1. pag. 16): "Qualora si fossero con-tentati questi moderni Scrittori di trovar dei difetti in al-cuni Scrittori Spagnuoli del secolo posteriore ad Augu-sto, e avessero di più preteso preferire Catullo a Marzia-le, Virgilio a Lucano, Cicerone a Seneca, avrebbero an-cor trovato fra gli Spagnuoli appoggio alla loro censu-ra". Aggiungo, che quando non avesse stimato l'Ab. Ti-rab. il farsi panegirista del carattere morale di Seneca,nessun Spagnuolo ne avrebbe fatto lamento. Ciò di cuici dogliamo del Sig. Ab. Tirab. è la maniera con cui eglioscura la fama di Lucano, Marziale e Seneca, impiegan-do molte pagine in biasimarli; cercando tutte le strade discreditarli, dissimulando, o pretendendo di nessun valo-re quanto in favor di questi illustri Spagnuoli hannoscritto uomini di somma critica, ed erudizione. Mostri,se può il Sig. Ab. Tirab., ch'egli negli otto tomi della suaStoria usata abbia simil condotta con alcun Autore Ita-liano, o almeno con alcuno straniero. Come mai potràegli scusare il lungo processo fatto contro il caratteremorale di Seneca (torno a dire fuora di luogo, e tempo),mentre non ha stimato il farlo a nessun altro, benchènon gli mancassero più sodi fondamenti per accusarli diquelli, che siano i testimoni, su i quali fonda le accuse diSeneca? Come mai potrà scusare l'adoprar che ha fattotutte le arti per far comparir Seneca reo della morted'Agrippina; mentre con tanto calore pende a difendereCassiodoro accusato forse con maggior fondamento reo

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d'un simile delitto 94? È questa la maniera di mostrarsiimparziale nel trattare la causa degli Spagnuoli, edegl'Italiani? Di più: può egli negare, a qual segno fossecorrotto il gusto dell'Eloquenza prima dei Seneca; comequello della Poesia prima di Lucano e Marziale? E per-chè dunque, giacchè tanto si vanta d'imparziale, dissi-mula nondimeno tanti Italiani corruttori dell'Eloquenzaprima dei Seneca; e tanti altri corruttori della Poesia pri-ma di Lucano e Marziale, e fa comparir questi Spagnuo-li come i primi a distogliersi dal buon sentiero?

E crede il Sig. Ab. Tirab. che potessi io distruggerequeste gravissime accuse col recare la critica, ch'egli fadello stile di Valerio Flacco, di Stazio, di Silio e di Per-sio? Ci vuol altro, Sig. Ab. stimatissimo, per farlo com-parire men prevenuto contro i letterati Spagnuoli, e menparziale verso gl'Italiani; nè mi persuado, che il Pubbli-co voglia crederlo tale, dopo ch'ella in questa sua letteraha pubblicato tutto ciò, che pretende dissimulato da mein suo favore.

So io bene, che dal Sig. Ab. Tirab. vengono dimenti-cati ancora alcuni Francesi; ma non proverà giammaiegli, ch'avessero quei Francesi tutto quel diritto ad occu-par un distinto posto nella Storia letteraria, quale si tro-va negli Spagnuoli da lei dimenticati. Io trovo bensì ilFrancese Claudio Rutilio Numaziano nominato con ono-

94 Io amo meglio lasciar che i lettori giudichino da loro stessi di questo pocoprudente confronto che fa qui il sig. ab. Lampillas tra Seneca e Cassiodo-ro.

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d'un simile delitto 94? È questa la maniera di mostrarsiimparziale nel trattare la causa degli Spagnuoli, edegl'Italiani? Di più: può egli negare, a qual segno fossecorrotto il gusto dell'Eloquenza prima dei Seneca; comequello della Poesia prima di Lucano e Marziale? E per-chè dunque, giacchè tanto si vanta d'imparziale, dissi-mula nondimeno tanti Italiani corruttori dell'Eloquenzaprima dei Seneca; e tanti altri corruttori della Poesia pri-ma di Lucano e Marziale, e fa comparir questi Spagnuo-li come i primi a distogliersi dal buon sentiero?

E crede il Sig. Ab. Tirab. che potessi io distruggerequeste gravissime accuse col recare la critica, ch'egli fadello stile di Valerio Flacco, di Stazio, di Silio e di Per-sio? Ci vuol altro, Sig. Ab. stimatissimo, per farlo com-parire men prevenuto contro i letterati Spagnuoli, e menparziale verso gl'Italiani; nè mi persuado, che il Pubbli-co voglia crederlo tale, dopo ch'ella in questa sua letteraha pubblicato tutto ciò, che pretende dissimulato da mein suo favore.

So io bene, che dal Sig. Ab. Tirab. vengono dimenti-cati ancora alcuni Francesi; ma non proverà giammaiegli, ch'avessero quei Francesi tutto quel diritto ad occu-par un distinto posto nella Storia letteraria, quale si tro-va negli Spagnuoli da lei dimenticati. Io trovo bensì ilFrancese Claudio Rutilio Numaziano nominato con ono-

94 Io amo meglio lasciar che i lettori giudichino da loro stessi di questo pocoprudente confronto che fa qui il sig. ab. Lampillas tra Seneca e Cassiodo-ro.

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re nella sua Storia; mentre nello stesso tempo vedo di-menticato Prudenzio di merito molto superiore a quelPoeta Francese. È venuto egli, è vero, a contesa con al-cuni Francesi assai più spesso, che con gli Spagnuoli;non dobbiam però di ciò ringraziar la bontà del Sig. Ab.,nè qualche sua parzialità verso la Spagna, ma bensì lamoderazione degli Spagnuoli, e la stima, che sempremai hanno questi manifestata degli Autori Italiani; men-tre all'opposto dai Francesi vengono e criticati con rigo-re, e trattati con dispregio non pochi italiani. Questa mo-destissima condotta degli Spagnuoli in vece di procac-ciarli, com'era giusto, la stima degl'Italiani, è stata forsela cagione del dispregio, con cui vengono trattati e dalTirab. e da altri suoi simili. Vedono questi (osservazio-ne, che intesi fare da un dotto, e critico Italiano) che iFrancesi non si lasciano strapazzare impunemente, e chesanno rendere la pariglia a chi dispregia la lor Nazione;e ciò lo fanno in una lingua, ch'essendosi resa di modavien intesa da tutta l'Europa. Vedono allo stesso tempo,che se mai gli Spagnuoli credono necessario il difenderela loro gloria, e manifestare le imposture e calunnie, concui gli Stranieri oscurano la loro fama, sono costretti aciò fare, o scrivendo in latino, e non sono letti, o in Spa-gnuolo, e non sono intesi.

Non nego, che il Sig. Ab. Tirab. abbia preteso di ri-vendicare all'Italia molti uomini dotti, che (com'egliscrive) sono stati senza buona ragione annoverati da'Francesi tra loro Scrittori (lett. p. 15). Ma potrà egli

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re nella sua Storia; mentre nello stesso tempo vedo di-menticato Prudenzio di merito molto superiore a quelPoeta Francese. È venuto egli, è vero, a contesa con al-cuni Francesi assai più spesso, che con gli Spagnuoli;non dobbiam però di ciò ringraziar la bontà del Sig. Ab.,nè qualche sua parzialità verso la Spagna, ma bensì lamoderazione degli Spagnuoli, e la stima, che sempremai hanno questi manifestata degli Autori Italiani; men-tre all'opposto dai Francesi vengono e criticati con rigo-re, e trattati con dispregio non pochi italiani. Questa mo-destissima condotta degli Spagnuoli in vece di procac-ciarli, com'era giusto, la stima degl'Italiani, è stata forsela cagione del dispregio, con cui vengono trattati e dalTirab. e da altri suoi simili. Vedono questi (osservazio-ne, che intesi fare da un dotto, e critico Italiano) che iFrancesi non si lasciano strapazzare impunemente, e chesanno rendere la pariglia a chi dispregia la lor Nazione;e ciò lo fanno in una lingua, ch'essendosi resa di modavien intesa da tutta l'Europa. Vedono allo stesso tempo,che se mai gli Spagnuoli credono necessario il difenderela loro gloria, e manifestare le imposture e calunnie, concui gli Stranieri oscurano la loro fama, sono costretti aciò fare, o scrivendo in latino, e non sono letti, o in Spa-gnuolo, e non sono intesi.

Non nego, che il Sig. Ab. Tirab. abbia preteso di ri-vendicare all'Italia molti uomini dotti, che (com'egliscrive) sono stati senza buona ragione annoverati da'Francesi tra loro Scrittori (lett. p. 15). Ma potrà egli

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dire, che i celebri uomini, che ha preteso rapir alla Spa-gna fossero da noi annoverati tra i nostri senza buonaragione? Non sarà dunque buona ragione per dire Spa-gnuolo Quintiliano l'autorità di quattro gravissimi anti-chi Scrittori, e saranno buona ragione per farlo compa-rir Romano le deboli congetture arrecate dal Sig. Ab.?non sarà buona ragione per dire Spagnuolo S. Damasoil chiaro testimonio degli Autori e monumenti antichi, eil quasi universale consenso de' moderni; e sarà non so-lamente buona ragione per dirlo Romano, ma evidentedimostrazione quel poco e del tutto insussistente, che nedice il Tillemont? Lo stesso dico intorno a Teodolfo e aGherardo. Quando il Sig. Ab. Tiraboschi ci mostri, chele ragioni, con cui da' Francesi vengono annoverati tra iloro Scrittori quelli che il Sig. Ab. pretende Italiani,sono ugualmente forti e convincenti, quali sono quelledegli Spagnuoli; e ch'egli argomenta contro i Francesicon ragioni non men deboli di quelle con cui argomentacontro noi; allora confesseremo, che su questo puntohanno i Francesi non men che gli Spagnuoli tutta la ra-gion di lamentarsi del Sig. Ab. Tiraboschi.

Ma che dirò io, scrive l'Ab. Tiraboschi (lett. pag. 15)del dissimulare che fa il Sig. Ab. Lampillas le moltecose, che io ho scritte in lode di alcuni Autori Spagnuo-li? Io rispondo, che può dire, che mostrandosi egli sem-pre mai liberale in iscreditare e biasimare i nostri Auto-ri, ed assai scarso in lodarli, può esser certo, che unsaggio ed imparzial giudice si stupirà, come abbia egli

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dire, che i celebri uomini, che ha preteso rapir alla Spa-gna fossero da noi annoverati tra i nostri senza buonaragione? Non sarà dunque buona ragione per dire Spa-gnuolo Quintiliano l'autorità di quattro gravissimi anti-chi Scrittori, e saranno buona ragione per farlo compa-rir Romano le deboli congetture arrecate dal Sig. Ab.?non sarà buona ragione per dire Spagnuolo S. Damasoil chiaro testimonio degli Autori e monumenti antichi, eil quasi universale consenso de' moderni; e sarà non so-lamente buona ragione per dirlo Romano, ma evidentedimostrazione quel poco e del tutto insussistente, che nedice il Tillemont? Lo stesso dico intorno a Teodolfo e aGherardo. Quando il Sig. Ab. Tiraboschi ci mostri, chele ragioni, con cui da' Francesi vengono annoverati tra iloro Scrittori quelli che il Sig. Ab. pretende Italiani,sono ugualmente forti e convincenti, quali sono quelledegli Spagnuoli; e ch'egli argomenta contro i Francesicon ragioni non men deboli di quelle con cui argomentacontro noi; allora confesseremo, che su questo puntohanno i Francesi non men che gli Spagnuoli tutta la ra-gion di lamentarsi del Sig. Ab. Tiraboschi.

Ma che dirò io, scrive l'Ab. Tiraboschi (lett. pag. 15)del dissimulare che fa il Sig. Ab. Lampillas le moltecose, che io ho scritte in lode di alcuni Autori Spagnuo-li? Io rispondo, che può dire, che mostrandosi egli sem-pre mai liberale in iscreditare e biasimare i nostri Auto-ri, ed assai scarso in lodarli, può esser certo, che unsaggio ed imparzial giudice si stupirà, come abbia egli

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potuto pretendere di non comparire nemico della gloriadei nostri Autori per quelle scarse lodi, di cui in questoluogo si vanta; quasi che, a cagion d'esempio, il gran Fi-losofo Seneca sommamente lodato da gravissimi e dot-tissimi Uomini dovesse confessarsi molto obbligato alSig. Ab. Tiraboschi per qualche piccola lode, ch'egli si èdegnato di dargli, mentre allo stesso tempo si vede dalui screditato e biasimato al sommo.

Ma molto più stupirà qualunque giudice imparziale divedere, che il Sig. Ab. Tiraboschi, nell'accusarmi che fadi aver io dissimulate molte cose ch'egli ha scritte inlode di alcuni Spagnuoli, cominci colla lode data da luia Seneca, dove dice, che le Opere Morali, che di lui ab-biamo, sono piene di savissimi ed utilissimi ammaestra-menti; quasi che io dissimulata avessi questa lode datada lui a Seneca; eppure nel tomo I, pag. 144 parlandodell'Ab. Tiraboschi, dico: Non confessa egli stesso chele Opere Morali di Seneca sono piene di savissimi edutilissimi ammaestramenti? Così pure nel tomo 2. pag.55 dove parlo della Filosofia naturale di Seneca, nellaquale pretendo che forse si avvantaggiò sopra tutti gliantichi filosofi, e singolarmente nello scoprire la naturadelle comete, aggiungo esser questa osservazione fattadal Sig. Ab. Tiraboschi. Nondimeno egli francamenteasserisce, che da me vengono dissimulate queste lodidate da lui a Seneca.

Così pure non ho dissimulato quel poco di buono cheha detto il Sig. Abate di Lucano e di Marziale; anzi egli

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potuto pretendere di non comparire nemico della gloriadei nostri Autori per quelle scarse lodi, di cui in questoluogo si vanta; quasi che, a cagion d'esempio, il gran Fi-losofo Seneca sommamente lodato da gravissimi e dot-tissimi Uomini dovesse confessarsi molto obbligato alSig. Ab. Tiraboschi per qualche piccola lode, ch'egli si èdegnato di dargli, mentre allo stesso tempo si vede dalui screditato e biasimato al sommo.

Ma molto più stupirà qualunque giudice imparziale divedere, che il Sig. Ab. Tiraboschi, nell'accusarmi che fadi aver io dissimulate molte cose ch'egli ha scritte inlode di alcuni Spagnuoli, cominci colla lode data da luia Seneca, dove dice, che le Opere Morali, che di lui ab-biamo, sono piene di savissimi ed utilissimi ammaestra-menti; quasi che io dissimulata avessi questa lode datada lui a Seneca; eppure nel tomo I, pag. 144 parlandodell'Ab. Tiraboschi, dico: Non confessa egli stesso chele Opere Morali di Seneca sono piene di savissimi edutilissimi ammaestramenti? Così pure nel tomo 2. pag.55 dove parlo della Filosofia naturale di Seneca, nellaquale pretendo che forse si avvantaggiò sopra tutti gliantichi filosofi, e singolarmente nello scoprire la naturadelle comete, aggiungo esser questa osservazione fattadal Sig. Ab. Tiraboschi. Nondimeno egli francamenteasserisce, che da me vengono dissimulate queste lodidate da lui a Seneca.

Così pure non ho dissimulato quel poco di buono cheha detto il Sig. Abate di Lucano e di Marziale; anzi egli

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si lamenta, che io abbia messa in bocca qualche lode diquesti due Spagnuoli più espressiva di quello che abbiastimato dar loro il nostro Sig. Abate. Nemmeno son dame dissimulate le lodi, con cui egli parla degli Arabi diSpagna, ai quali attribuisce lo scoprimento della pro-prietà dell'ago calamitato. Vedasi la pag. 169 del mio 2.tomo, e troverassi distesa questa lode col testimoniodell'Ab. Tiraboschi. Ugualmente vengono a me accen-nate le lodi date a S. Domenico ed a S. Raimondo diPennafort; mentre assicuro nella pag. 197 che i meriti diquesti due grandi uomini non sono stati dimenticati nel-la Storia letteraria d'Italia. Che se poi non rammento glielogi, che il Sig. Abate fa di Alfonso di Aragona, non ègià perchè pretenda dissimularli, ma perchè non appar-tengono a questa prima Parte del mio Saggio: troveransibensì nella seconda Parte.

Eccovi il mio accusatore, che mi fa dissimulare ciò,che io chiaramente ho detto, e che quando dissimulatol'avessi non proverebbe egli giammai, che ciò fosse dis-simular qualche cosa che basti ad iscusarlo della tropposfavorevole prevenzione contro la nostra letteratura. Evalga il vero: come mai ha creduto il Sig. Abate conqueste scarsissime lodi date ad alcuni Spagnuoli gettarla polvere agli occhi della nostra intiera Nazione, ac-ciocchè non vegga quella continuata condotta da lui te-nuta nella sua Storia, con cui la fa comparire corruttricedella letteratura Italiana, mentre esigeva la giustizia, cheda lui venisse dipinta come quella, a cui sono debitrici

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si lamenta, che io abbia messa in bocca qualche lode diquesti due Spagnuoli più espressiva di quello che abbiastimato dar loro il nostro Sig. Abate. Nemmeno son dame dissimulate le lodi, con cui egli parla degli Arabi diSpagna, ai quali attribuisce lo scoprimento della pro-prietà dell'ago calamitato. Vedasi la pag. 169 del mio 2.tomo, e troverassi distesa questa lode col testimoniodell'Ab. Tiraboschi. Ugualmente vengono a me accen-nate le lodi date a S. Domenico ed a S. Raimondo diPennafort; mentre assicuro nella pag. 197 che i meriti diquesti due grandi uomini non sono stati dimenticati nel-la Storia letteraria d'Italia. Che se poi non rammento glielogi, che il Sig. Abate fa di Alfonso di Aragona, non ègià perchè pretenda dissimularli, ma perchè non appar-tengono a questa prima Parte del mio Saggio: troveransibensì nella seconda Parte.

Eccovi il mio accusatore, che mi fa dissimulare ciò,che io chiaramente ho detto, e che quando dissimulatol'avessi non proverebbe egli giammai, che ciò fosse dis-simular qualche cosa che basti ad iscusarlo della tropposfavorevole prevenzione contro la nostra letteratura. Evalga il vero: come mai ha creduto il Sig. Abate conqueste scarsissime lodi date ad alcuni Spagnuoli gettarla polvere agli occhi della nostra intiera Nazione, ac-ciocchè non vegga quella continuata condotta da lui te-nuta nella sua Storia, con cui la fa comparire corruttricedella letteratura Italiana, mentre esigeva la giustizia, cheda lui venisse dipinta come quella, a cui sono debitrici

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le Italiane lettere de' maggiori vantaggi. E potrà ella pretendere, che chiunque legge attenta-

mente la sua Storia, debba confessare, che tra le nazio-ni straniere all'Italia non ve n'è alcuna, a cui lode tantecose egli abbia in essa inserite, quante alla Spagnuola?E che quando mai ci fosse motivo a doglianza l'avreb-bero piuttosto i Francesi che gli Spagnuoli? In primoluogo quando si fosse adoperato così a favore della no-stra Spagna, non avrebb'egli fatto altro che quello che dalui esigevano e la gratitudine, e la giustizia. E ciò pos-siam affermare francamente in faccia al mondo tutto,mentre che il Sig. Ab. Tiraboschi non mostri, che l'anti-ca Italiana letteratura non dovette più alla nazione Spa-gnuola, che a verun'altra delle straniere nazioni. In se-condo luogo: e dove mai troverà il Sig. Abate in tutta lasua Storia date alla nostra nazione quelle lodi, ch'eglicon minor ragion non nega alla Francia? Confessa egligiammai, che gl'Italiani sieno obbligati agli Spagnuoliper essersi adoperati in ammaestrarli, come confessa de'Francesi? Eppure quando mai, sia negli antichi, sia ne'moderni tempi, mandò la Francia tanti e sì gravi Maestriall'Italia, quanti ne vennero dalla Spagna? Confessa egligiammai, che l'Italia sia debitrice al dominio Spagnuolode' sommi vantaggi recati agli studi, come confessa, chene fu debitrice alla Francia? Eppure non men le anticheche le moderne Italiane lettere furono con maggior ardo-re promosse dal dominio Spagnuolo in Italia, di quelloche sieno giammai state dal dominio Francese.

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le Italiane lettere de' maggiori vantaggi. E potrà ella pretendere, che chiunque legge attenta-

mente la sua Storia, debba confessare, che tra le nazio-ni straniere all'Italia non ve n'è alcuna, a cui lode tantecose egli abbia in essa inserite, quante alla Spagnuola?E che quando mai ci fosse motivo a doglianza l'avreb-bero piuttosto i Francesi che gli Spagnuoli? In primoluogo quando si fosse adoperato così a favore della no-stra Spagna, non avrebb'egli fatto altro che quello che dalui esigevano e la gratitudine, e la giustizia. E ciò pos-siam affermare francamente in faccia al mondo tutto,mentre che il Sig. Ab. Tiraboschi non mostri, che l'anti-ca Italiana letteratura non dovette più alla nazione Spa-gnuola, che a verun'altra delle straniere nazioni. In se-condo luogo: e dove mai troverà il Sig. Abate in tutta lasua Storia date alla nostra nazione quelle lodi, ch'eglicon minor ragion non nega alla Francia? Confessa egligiammai, che gl'Italiani sieno obbligati agli Spagnuoliper essersi adoperati in ammaestrarli, come confessa de'Francesi? Eppure quando mai, sia negli antichi, sia ne'moderni tempi, mandò la Francia tanti e sì gravi Maestriall'Italia, quanti ne vennero dalla Spagna? Confessa egligiammai, che l'Italia sia debitrice al dominio Spagnuolode' sommi vantaggi recati agli studi, come confessa, chene fu debitrice alla Francia? Eppure non men le anticheche le moderne Italiane lettere furono con maggior ardo-re promosse dal dominio Spagnuolo in Italia, di quelloche sieno giammai state dal dominio Francese.

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All'opposto si vede giammai in tutta la Storia letterariad'Italia intaccata la nazione Francese colla nera macchiadi corruttrice dell'Italiana letteratura, come per ben duevolte si vede la Spagnuola? Eppure dalla corruzione delseicento poteva con qualche maggior cagione venirneincolpata la Francese, come mostreremo nella secondaParte del Saggio. Ha detto mai il Sig. Ab. che il clima diFrancia congiunto a qualunque siano le cause moralipossa contribuire assai al cattivo gusto, come senza fon-damento alcuno ha detto di quello di Spagna? E dopotutto ciò potrà dir con tutta franchezza, che non avrebbemai creduto che potesse essere preso di mira come ne-mico del nome e della gloria Spagnuola? (lett. pag. 18).

A far ciò veder più chiaramente, mi permetta il Sig.Abate Tiraboschi, che per quel piacer che trovo in sen-tirli lodar la nostra letteratura, io ripeta in bocca sua,parlando col suo Sig. Corrispondente, que' grandi elogifatti da lui a' nostri Autori, facendovi anche in bocca suaalcune aggiunte, che servano a farli spiccare sempre più."Scorrete di grazia, (dice il Sig. Ab. Tiraboschi al suoSig. Corrispondente) i tomi della mia Istoria, e vedretecon quante lodi io parli degli Spagnuoli. Vedrete ch'iodico, che le opere morali di Seneca sono piene di savis-simi ed utilissimi ammaestramenti; ma vedrete all'istes-so tempo, che io scrivo, che ne' sentimenti di Seneca al-tro non si trova sovente, che un'ombra, ed un'ingannevo-le apparenza (Tomo secondo); vedrete, ch'io lo rappre-sento nella persona d'un impostore giojelliere, che fra

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All'opposto si vede giammai in tutta la Storia letterariad'Italia intaccata la nazione Francese colla nera macchiadi corruttrice dell'Italiana letteratura, come per ben duevolte si vede la Spagnuola? Eppure dalla corruzione delseicento poteva con qualche maggior cagione venirneincolpata la Francese, come mostreremo nella secondaParte del Saggio. Ha detto mai il Sig. Ab. che il clima diFrancia congiunto a qualunque siano le cause moralipossa contribuire assai al cattivo gusto, come senza fon-damento alcuno ha detto di quello di Spagna? E dopotutto ciò potrà dir con tutta franchezza, che non avrebbemai creduto che potesse essere preso di mira come ne-mico del nome e della gloria Spagnuola? (lett. pag. 18).

A far ciò veder più chiaramente, mi permetta il Sig.Abate Tiraboschi, che per quel piacer che trovo in sen-tirli lodar la nostra letteratura, io ripeta in bocca sua,parlando col suo Sig. Corrispondente, que' grandi elogifatti da lui a' nostri Autori, facendovi anche in bocca suaalcune aggiunte, che servano a farli spiccare sempre più."Scorrete di grazia, (dice il Sig. Ab. Tiraboschi al suoSig. Corrispondente) i tomi della mia Istoria, e vedretecon quante lodi io parli degli Spagnuoli. Vedrete ch'iodico, che le opere morali di Seneca sono piene di savis-simi ed utilissimi ammaestramenti; ma vedrete all'istes-so tempo, che io scrivo, che ne' sentimenti di Seneca al-tro non si trova sovente, che un'ombra, ed un'ingannevo-le apparenza (Tomo secondo); vedrete, ch'io lo rappre-sento nella persona d'un impostore giojelliere, che fra

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poche merci vere ne presenta molte false, delle qualisolo può invaghirsene un semplice fanciullo, o un uomorozzo (Tomo secondo). Aggiungete tutto quanto io scri-vo contro il suo stile, tutto il lungo processo contro ilsuo carattere morale, tutte le amare ironie, con cui sem-pre mai vien da me deriso; e confessate, che questo illu-stre Spagnuolo dee restar obbligatissimo al Sig. Ab. Ti-raboschi. Vedrete, ch'io dico, che lo stile di PomponioMela è terso, ed elegante forse sopra tutti gli altri Scrit-tori di questo secolo, ma vedrete altresì, che non trovan-do io in questo Spagnuolo se non molto che lodare, mene sbrigo in due righe, laddove impiego molte pagine inparlar d'altri Spagnuoli, dove trovo qualch'apparenza periscreditarli e biasimarli. Vedrete, che di Claudio Vesco-vo di Torino, e Spagnuolo di nascita ho parlato non bre-vemente; ma vedrete che ne ho parlato lungamente perpoter recare distesi i testimoni di Dungalo, e di Giona,coi quali viene screditata al sommo tutta la letteratura diClaudio. È vero, ch'io (di genio, come sapete, modera-tissimo) aggiungo: Dungalo, e Giona sarebbero merite-voli di maggior lode, se contro il loro avversario aves-sero scritto con maggior moderazione (tom. 3); ma èvero altresì, che poi soggiungo con somma moderazio-ne: Ma egli è certo che Claudio era quale essi appuntoil descrivono, non già autore, ma semplice, e non sem-pre esatto compilatore (ivi). Vedrete ch'io lodo gli Ara-bi, e gli studi dei Filosofi Arabo-Spani, ma vedrete ch'iofo questo elogio dove non mi può incommodare ad assi-curare agl'Italiani la gloria di ristoratori della filosofia

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poche merci vere ne presenta molte false, delle qualisolo può invaghirsene un semplice fanciullo, o un uomorozzo (Tomo secondo). Aggiungete tutto quanto io scri-vo contro il suo stile, tutto il lungo processo contro ilsuo carattere morale, tutte le amare ironie, con cui sem-pre mai vien da me deriso; e confessate, che questo illu-stre Spagnuolo dee restar obbligatissimo al Sig. Ab. Ti-raboschi. Vedrete, ch'io dico, che lo stile di PomponioMela è terso, ed elegante forse sopra tutti gli altri Scrit-tori di questo secolo, ma vedrete altresì, che non trovan-do io in questo Spagnuolo se non molto che lodare, mene sbrigo in due righe, laddove impiego molte pagine inparlar d'altri Spagnuoli, dove trovo qualch'apparenza periscreditarli e biasimarli. Vedrete, che di Claudio Vesco-vo di Torino, e Spagnuolo di nascita ho parlato non bre-vemente; ma vedrete che ne ho parlato lungamente perpoter recare distesi i testimoni di Dungalo, e di Giona,coi quali viene screditata al sommo tutta la letteratura diClaudio. È vero, ch'io (di genio, come sapete, modera-tissimo) aggiungo: Dungalo, e Giona sarebbero merite-voli di maggior lode, se contro il loro avversario aves-sero scritto con maggior moderazione (tom. 3); ma èvero altresì, che poi soggiungo con somma moderazio-ne: Ma egli è certo che Claudio era quale essi appuntoil descrivono, non già autore, ma semplice, e non sem-pre esatto compilatore (ivi). Vedrete ch'io lodo gli Ara-bi, e gli studi dei Filosofi Arabo-Spani, ma vedrete ch'iofo questo elogio dove non mi può incommodare ad assi-curare agl'Italiani la gloria di ristoratori della filosofia

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dopo il mille, e dove non può già servire ad assicurarlaagli Arabi, ai quali pure si deve. Vedrete, ch'io fo grandielogi del sapere, e degli studi di S. Raimondo di Penna-fort; ma vedrete, che sebben sia assai probabile, chequesto dotto Spagnuolo (come mostra l'Ab. Lampillasnel suo Saggio) si provvedesse dai maestri Spagnuoli diquel sapere, che a condurre a fine un'opera sì importanteera richiesto; io nondimeno mi studiai di dar ad intende-re, che dovette agl'Italiani il suo sapere; non già affer-mandolo espressamente, come nemmen me lo rinfaccial'Ab. Lampillas, ma scrivendo: noi ben possiamo van-tarci, che tra noi, cioè nell'Università di Bologna ei sifornì di quel sapere ec. E piacciavi qui di riflettere sullamia buona fede, con cui reco nella mia lettera questomio detto, levandone quel noi ben possiamo vantarci,per poter così insultare al nostro censore (lett. p. 17).Vedrete, che tra i Professori dell'Università di Bolognanomino parecchi Spagnuoli; ma non vedrete, che perciòio confessi che gl'Italiani siano obbligati agli Spagnuoliper avergli ammaestrati. Aggiungete, che io dico, che gliSpagnuoli hanno avuto famosi Scolastici (trattenete, viprego, le risa, non sia che se ne accorga qualche Spa-gnuolo); ma osservate ch'io dico, che hanno avuti questifamosi Scolastici in forza di quelle sottigliezze, a cuisono portati quasi per effetto di clima. Aggiungete, ag-giungete.... Ma queste aggiunte potrete farle dopo pub-blicata la seconda parte del Saggio dell'Ab. Lampillas,dove troverete nuove ragioni, che vieppiù vi assicure-ranno della mia parzialità verso la letteratura Spagnuo-

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dopo il mille, e dove non può già servire ad assicurarlaagli Arabi, ai quali pure si deve. Vedrete, ch'io fo grandielogi del sapere, e degli studi di S. Raimondo di Penna-fort; ma vedrete, che sebben sia assai probabile, chequesto dotto Spagnuolo (come mostra l'Ab. Lampillasnel suo Saggio) si provvedesse dai maestri Spagnuoli diquel sapere, che a condurre a fine un'opera sì importanteera richiesto; io nondimeno mi studiai di dar ad intende-re, che dovette agl'Italiani il suo sapere; non già affer-mandolo espressamente, come nemmen me lo rinfaccial'Ab. Lampillas, ma scrivendo: noi ben possiamo van-tarci, che tra noi, cioè nell'Università di Bologna ei sifornì di quel sapere ec. E piacciavi qui di riflettere sullamia buona fede, con cui reco nella mia lettera questomio detto, levandone quel noi ben possiamo vantarci,per poter così insultare al nostro censore (lett. p. 17).Vedrete, che tra i Professori dell'Università di Bolognanomino parecchi Spagnuoli; ma non vedrete, che perciòio confessi che gl'Italiani siano obbligati agli Spagnuoliper avergli ammaestrati. Aggiungete, che io dico, che gliSpagnuoli hanno avuto famosi Scolastici (trattenete, viprego, le risa, non sia che se ne accorga qualche Spa-gnuolo); ma osservate ch'io dico, che hanno avuti questifamosi Scolastici in forza di quelle sottigliezze, a cuisono portati quasi per effetto di clima. Aggiungete, ag-giungete.... Ma queste aggiunte potrete farle dopo pub-blicata la seconda parte del Saggio dell'Ab. Lampillas,dove troverete nuove ragioni, che vieppiù vi assicure-ranno della mia parzialità verso la letteratura Spagnuo-

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la". Giudichi adesso il Pubblico imparziale, se questa ulti-

ma accusa, ch'ei m'intenta, sia più soda e ben fondata diquello che trovate abbia le precedenti. In essa può osser-vare, che il Sig. Abate Tiraboschi vuol farsi un gran me-rito verso la nazione Spagnuola per le piccole lodi datead alcuni de' nostri Autori, mentre dissimula l'ingiustaed esorbitante critica, con cui da lui vengono screditati.Può osservare la franchezza, con cui il Sig. Abate vuolfargli credere, ch'egli si sia mostrato profuso, anzi chescarso in lodare la nostra letteratura; e con ciò dargli adintendere, che poteva egli bene, senza mancare alla giu-stizia, e meno lodarla, e biasimarla di più. Può finalmen-te osservare, che da me non sono state dissimulate nelmio Saggio queste magnifiche lodi, di cui egli si vanta95.

95 Io non fo altra risposta a questa lunga diceria dell'ab. Lampillas, riguardoalla quarta accusa da me datagli, se non col pregare chi legge, a osservaree confrontare ciò che io ho detto, con ciò ch'ei mi ha risposto; e a deciderese meglio sia fondata la mia accusa, e la sua apologia.

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la". Giudichi adesso il Pubblico imparziale, se questa ulti-

ma accusa, ch'ei m'intenta, sia più soda e ben fondata diquello che trovate abbia le precedenti. In essa può osser-vare, che il Sig. Abate Tiraboschi vuol farsi un gran me-rito verso la nazione Spagnuola per le piccole lodi datead alcuni de' nostri Autori, mentre dissimula l'ingiustaed esorbitante critica, con cui da lui vengono screditati.Può osservare la franchezza, con cui il Sig. Abate vuolfargli credere, ch'egli si sia mostrato profuso, anzi chescarso in lodare la nostra letteratura; e con ciò dargli adintendere, che poteva egli bene, senza mancare alla giu-stizia, e meno lodarla, e biasimarla di più. Può finalmen-te osservare, che da me non sono state dissimulate nelmio Saggio queste magnifiche lodi, di cui egli si vanta95.

95 Io non fo altra risposta a questa lunga diceria dell'ab. Lampillas, riguardoalla quarta accusa da me datagli, se non col pregare chi legge, a osservaree confrontare ciò che io ho detto, con ciò ch'ei mi ha risposto; e a deciderese meglio sia fondata la mia accusa, e la sua apologia.

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Giudizio dell'Ab. Tiraboschi intorno al Saggio Apologe-tico dell'Ab. Lampillas.

Dopo aver il Sig. Ab. Tiraboschi sostenuta degnamentela persona di mio accusatore, con tutta quella sodezza,buona fede, moderazione e dolcezza, che ha visto ilPubblico, passa a farla da mio Consigliere e censore.Meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Lampillas, egli scrive,se avesse seguito l'esempio d'altro valoroso Spagnuolo,cioè del Sig. Ab. D. Giovanni Andres (lett. p. 18). Mipermetta il Sig. Ab. Tiraboschi che io ancora per un attodi gratitudine mi prenda la libertà di consigliarlo. Me-glio avrebbe fatto, io dico, il Sig. ab. Tiraboschi, seavesse seguito l'esempio di un altro valoroso Italiano,cioè del Sig. Abate Saverio Bettinelli, il quale ha mani-festato di godere nel veder illustrata, e difesa la lettera-tura Spagnuola; meglio avrebbe fatto il Sig. ab. Tirabo-schi, se in vece di perder il tempo a farlo perdere al Pub-blico con una lettera del tutto importuna alla contesa let-teraria, che si tratta, lo avesse impiegato in una soda edefficace risposta alle ragioni, con che vien impugnato;meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Tiraboschi, se in vece diaccusare come mancante di buona fede un avversario,con cui non ha se non che tutti i motivi di usar conve-nienza, si fosse studiato con più scrupolosa esattezza dinon manifestarsi reo di que' delitti, co' quali pretende in-taccare l'altrui riputazione; meglio avrebbe fatto il Sig.Ab. Tiraboschi, se avesse anch'egli seguito l'esempio del

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Giudizio dell'Ab. Tiraboschi intorno al Saggio Apologe-tico dell'Ab. Lampillas.

Dopo aver il Sig. Ab. Tiraboschi sostenuta degnamentela persona di mio accusatore, con tutta quella sodezza,buona fede, moderazione e dolcezza, che ha visto ilPubblico, passa a farla da mio Consigliere e censore.Meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Lampillas, egli scrive,se avesse seguito l'esempio d'altro valoroso Spagnuolo,cioè del Sig. Ab. D. Giovanni Andres (lett. p. 18). Mipermetta il Sig. Ab. Tiraboschi che io ancora per un attodi gratitudine mi prenda la libertà di consigliarlo. Me-glio avrebbe fatto, io dico, il Sig. ab. Tiraboschi, seavesse seguito l'esempio di un altro valoroso Italiano,cioè del Sig. Abate Saverio Bettinelli, il quale ha mani-festato di godere nel veder illustrata, e difesa la lettera-tura Spagnuola; meglio avrebbe fatto il Sig. ab. Tirabo-schi, se in vece di perder il tempo a farlo perdere al Pub-blico con una lettera del tutto importuna alla contesa let-teraria, che si tratta, lo avesse impiegato in una soda edefficace risposta alle ragioni, con che vien impugnato;meglio avrebbe fatto il Sig. Ab. Tiraboschi, se in vece diaccusare come mancante di buona fede un avversario,con cui non ha se non che tutti i motivi di usar conve-nienza, si fosse studiato con più scrupolosa esattezza dinon manifestarsi reo di que' delitti, co' quali pretende in-taccare l'altrui riputazione; meglio avrebbe fatto il Sig.Ab. Tiraboschi, se avesse anch'egli seguito l'esempio del

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Sig. Ab. D. Giovanni Andres, ribattendo con modestiale ragioni contro di lui arrecate, e parlando con rispettode' suoi avversari; e non avesse imitati quegl'Italiani che(per quanto egli ci assicura) hanno dato motivo a nonpochi di accusare forse non ingiustamente questa nazio-ne di trattare con poco degne maniere i suoi avversari.

Entra poi il Sig. Ab. Tiraboschi a far i giusti e dovutielogi della lettera del Sig. Ab. Andres; ed eccovi uno dique' pochi passi, che si trovano in questa lettera, dove laverità filosofica sia stata la condottiera della penna diquesto Scrittore. Quando però il Sig. Ab. Andres nonavesse ben assicurato il suo credito col giusto applauso,che hanno fatto al suo talento ed erudizione i più dotti,non avrebbe gran motivo di esser contento delle lodi da-tegli in questa lettera dal Sig. ab. Tiraboschi non menper le circostanze in cui vengono profuse, che per queltanto ch'elleno sono. E a dir il vero, che cosa mai dicedel Sig. Ab. Andres il Tiraboschi? Egli in buon Toscanovien a dirgli: "Ella, Sig. Ab. Andres, è un uomo chescrive con gran modestia, con sobria erudizione, trattacon gran rispetto i suoi avversari, non fa ridicole apolo-gie di certi antichi Scrittori Spagnuoli; ma o ella ha in-trapreso a difender una causa disperata, ed è un Avvoca-to imprudente; o non ha saputo difendere una buonacausa, ed è un cattivo Apologista". Tanto appunto vien adirgli, coll'assicurarci che l'Ab Andres non lo ha convin-to, e col dichiarare disperata la causa della nostra lette-ratura.

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Sig. Ab. D. Giovanni Andres, ribattendo con modestiale ragioni contro di lui arrecate, e parlando con rispettode' suoi avversari; e non avesse imitati quegl'Italiani che(per quanto egli ci assicura) hanno dato motivo a nonpochi di accusare forse non ingiustamente questa nazio-ne di trattare con poco degne maniere i suoi avversari.

Entra poi il Sig. Ab. Tiraboschi a far i giusti e dovutielogi della lettera del Sig. Ab. Andres; ed eccovi uno dique' pochi passi, che si trovano in questa lettera, dove laverità filosofica sia stata la condottiera della penna diquesto Scrittore. Quando però il Sig. Ab. Andres nonavesse ben assicurato il suo credito col giusto applauso,che hanno fatto al suo talento ed erudizione i più dotti,non avrebbe gran motivo di esser contento delle lodi da-tegli in questa lettera dal Sig. ab. Tiraboschi non menper le circostanze in cui vengono profuse, che per queltanto ch'elleno sono. E a dir il vero, che cosa mai dicedel Sig. Ab. Andres il Tiraboschi? Egli in buon Toscanovien a dirgli: "Ella, Sig. Ab. Andres, è un uomo chescrive con gran modestia, con sobria erudizione, trattacon gran rispetto i suoi avversari, non fa ridicole apolo-gie di certi antichi Scrittori Spagnuoli; ma o ella ha in-trapreso a difender una causa disperata, ed è un Avvoca-to imprudente; o non ha saputo difendere una buonacausa, ed è un cattivo Apologista". Tanto appunto vien adirgli, coll'assicurarci che l'Ab Andres non lo ha convin-to, e col dichiarare disperata la causa della nostra lette-ratura.

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Ma torniamo al nostro Saggio. In esso desidera l'Ab.Tiraboschi quella modestia e quel rispetto cogli avversa-ri, che tanto risplendono nella lettera del Sig. Ab. An-dres. Io rispondo, che uomini forse più saggi, e prudentidel Sig. Ab. Tiraboschi, sebben ammirate abbiano nellalettera del Sig. Ab. Andres e la erudizione, e la forza, el'eleganza dello stile, non ci trovano però maggior ri-spetto co' suoi avversari di quello che trovino nel mioSaggio; trovano bensì nella lettera dell'Ab. Tiraboschiavverato ciò ch'io scrissi (t. 1, p. 85): vediamo ognigiorno, che basta ad un letterato il sentirsi rinfacciaralcuni errori, per impugnar la penna, e vendicare tal-volta con ingiurie la pretesa mancanza di riguardo alsuo nome. Veggono altresì, che ad onta di tutta quellamodestia propria della nobilissima indole di quello illu-stre Spagnuolo, non potè esso a meno, in vista di quantoscrive il Tiraboschi contro la nostra letteratura, di nonesclamare: Misera fatalità della Spagna destinata sem-pre a depravare la letteratura Italiana! Se gli Spagnuolivengono in Italia col comando, la depravano; e la de-pravano pure se vengono sotto il comando degli Italia-ni; sudditi o Sovrani, servi, o padroni che siano ec.(Andres lett. p. 6, 7). Non è certo la maggior prova, cherecar si possa a favore della dolcezza, e moderazione,con cui questi moderni Italiani trattano la nostra causa,il veder costretto a tai lamenti un uomo pien di modestiae rispetto verso i nostri avversari.

Pretende di più il Sig. Ab. Tiraboschi argomentare il

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Ma torniamo al nostro Saggio. In esso desidera l'Ab.Tiraboschi quella modestia e quel rispetto cogli avversa-ri, che tanto risplendono nella lettera del Sig. Ab. An-dres. Io rispondo, che uomini forse più saggi, e prudentidel Sig. Ab. Tiraboschi, sebben ammirate abbiano nellalettera del Sig. Ab. Andres e la erudizione, e la forza, el'eleganza dello stile, non ci trovano però maggior ri-spetto co' suoi avversari di quello che trovino nel mioSaggio; trovano bensì nella lettera dell'Ab. Tiraboschiavverato ciò ch'io scrissi (t. 1, p. 85): vediamo ognigiorno, che basta ad un letterato il sentirsi rinfacciaralcuni errori, per impugnar la penna, e vendicare tal-volta con ingiurie la pretesa mancanza di riguardo alsuo nome. Veggono altresì, che ad onta di tutta quellamodestia propria della nobilissima indole di quello illu-stre Spagnuolo, non potè esso a meno, in vista di quantoscrive il Tiraboschi contro la nostra letteratura, di nonesclamare: Misera fatalità della Spagna destinata sem-pre a depravare la letteratura Italiana! Se gli Spagnuolivengono in Italia col comando, la depravano; e la de-pravano pure se vengono sotto il comando degli Italia-ni; sudditi o Sovrani, servi, o padroni che siano ec.(Andres lett. p. 6, 7). Non è certo la maggior prova, cherecar si possa a favore della dolcezza, e moderazione,con cui questi moderni Italiani trattano la nostra causa,il veder costretto a tai lamenti un uomo pien di modestiae rispetto verso i nostri avversari.

Pretende di più il Sig. Ab. Tiraboschi argomentare il

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buon gusto del Sig. Ab. Andres, e insieme il mio cattivogusto, dal non aver difeso l'Ab. Andres quegli antichiScrittori, che vengono da me difesi; quasi che credessel'Ab. Tiraboschi essere stato Poeta di miglior gusto ilLope di Vega difeso dall'Ab. Andres, che Lucano e Mar-ziale da me difesi. Manco male però, che lo squisito gu-sto che manifesta il Sig. Ab. Tiraboschi nella sua lettera,non lo costituisce degno Giudice del buono o cattivo gu-sto degli Autori. Dovea però non dimenticare, ch'eglistesso avea dichiarato uomo di finissimo gusto in Poesiauno de' più bravi stimatori e difenditori di Lucano, qualè M.r Marmontel.

Presenta poi il Sig. Ab. Tiraboschi agli occhi del Pub-blico in gigantesco aspetto quattro mie proposizioni, lequali per altro sono state trovate da' Saggi sodamenteappoggiate a non volgari ragioni. Ma potrà egli lusin-garsi che basti il solo suo coraggioso detto ad atterrarequesti giganti? Si provi il Sig. Ab. di attaccarli in campoaperto, e darà un grato spettacolo al Pubblico. Ma si ri-cordi di combattere quelle proposizioni, che sono vera-mente da me scritte, non già quelle, ch'egli con buonis-sima fede m'attribuisce. Ecco la quarta delle mie propo-sizioni chiamate gigantesche, che si legge nel T. II. p.47. La lingua Latina deve agli Spagnuoli l'essersi con-servata men rozza nel secolo dopo Augusto. Parve al Ti-raboschi troppo moderata questa proposizione per esserechiamata gigantesca; e perciò la trasformò facendola di-ventar uno stravagante paradosso. Eccola quale me

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buon gusto del Sig. Ab. Andres, e insieme il mio cattivogusto, dal non aver difeso l'Ab. Andres quegli antichiScrittori, che vengono da me difesi; quasi che credessel'Ab. Tiraboschi essere stato Poeta di miglior gusto ilLope di Vega difeso dall'Ab. Andres, che Lucano e Mar-ziale da me difesi. Manco male però, che lo squisito gu-sto che manifesta il Sig. Ab. Tiraboschi nella sua lettera,non lo costituisce degno Giudice del buono o cattivo gu-sto degli Autori. Dovea però non dimenticare, ch'eglistesso avea dichiarato uomo di finissimo gusto in Poesiauno de' più bravi stimatori e difenditori di Lucano, qualè M.r Marmontel.

Presenta poi il Sig. Ab. Tiraboschi agli occhi del Pub-blico in gigantesco aspetto quattro mie proposizioni, lequali per altro sono state trovate da' Saggi sodamenteappoggiate a non volgari ragioni. Ma potrà egli lusin-garsi che basti il solo suo coraggioso detto ad atterrarequesti giganti? Si provi il Sig. Ab. di attaccarli in campoaperto, e darà un grato spettacolo al Pubblico. Ma si ri-cordi di combattere quelle proposizioni, che sono vera-mente da me scritte, non già quelle, ch'egli con buonis-sima fede m'attribuisce. Ecco la quarta delle mie propo-sizioni chiamate gigantesche, che si legge nel T. II. p.47. La lingua Latina deve agli Spagnuoli l'essersi con-servata men rozza nel secolo dopo Augusto. Parve al Ti-raboschi troppo moderata questa proposizione per esserechiamata gigantesca; e perciò la trasformò facendola di-ventar uno stravagante paradosso. Eccola quale me

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l'attribuisce nella pag. 19. La lingua Latina deve agliSpagnuoli l'essersi conservata men rozza nel secolod'Augusto. Vantisi adesso quest'onestissimo Scrittored'aver citate le mie precise parole senza punto alterarle96. Levi alto la voce contro l'Ab. Lampillas, e lo accusimancante di buona fede. In tutti i passi della mia opera,in cui egli pretende trovar qualche mia infedeltà, nontroverà giammai una sì enorme trasformazione, qualeegli ha fatto in questa mia proposizione. Non trovò eglialtra strada per accusarmi di men saggio e prudente, asegno di lasciarmi trasportare a tai paradossi.

Io stesso all'avanzare che feci quelle proposizioni,premisi, ben m'avvedevo, ch'elle parrebbero tanti para-dossi a chiunque avesso letto la Storia Letteraria d'Italia.Pregai perciò i miei Leggitori a voler sospendere il lorogiudizio sin tanto che lette e pesate avessero le ragioni,su cui esse erano fondate, giacchè io non era uomo, chepretendessi esser creduto sulla mia semplice parola(tom. 2. pag. 3. 4). La fretta e la sfavorevole prevenzio-ne, con cui pur troppo manifesta il Sig. Abate Tirabo-schi di aver letta la mia opera, non gli hanno dato luogoa pesare le mie ben fondate ragioni; e perciò pretendeche sulla sua semplice parola tutto il mondo creda stra-vaganti paradossi quelle per altro probabili assai pru-denti proposizioni.

96 Confesso che per errore, non so se di penna, o di stampa, qui è sfuggitoun errore, e che doveasi scrivere nel secolo dopo Augusto non nel secolod'Augusto. Correggasi dunque, come ho corretto in questa seconda edizio-ne; e non perciò la proposizione lascierà d'esser gigantesca.

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l'attribuisce nella pag. 19. La lingua Latina deve agliSpagnuoli l'essersi conservata men rozza nel secolod'Augusto. Vantisi adesso quest'onestissimo Scrittored'aver citate le mie precise parole senza punto alterarle96. Levi alto la voce contro l'Ab. Lampillas, e lo accusimancante di buona fede. In tutti i passi della mia opera,in cui egli pretende trovar qualche mia infedeltà, nontroverà giammai una sì enorme trasformazione, qualeegli ha fatto in questa mia proposizione. Non trovò eglialtra strada per accusarmi di men saggio e prudente, asegno di lasciarmi trasportare a tai paradossi.

Io stesso all'avanzare che feci quelle proposizioni,premisi, ben m'avvedevo, ch'elle parrebbero tanti para-dossi a chiunque avesso letto la Storia Letteraria d'Italia.Pregai perciò i miei Leggitori a voler sospendere il lorogiudizio sin tanto che lette e pesate avessero le ragioni,su cui esse erano fondate, giacchè io non era uomo, chepretendessi esser creduto sulla mia semplice parola(tom. 2. pag. 3. 4). La fretta e la sfavorevole prevenzio-ne, con cui pur troppo manifesta il Sig. Abate Tirabo-schi di aver letta la mia opera, non gli hanno dato luogoa pesare le mie ben fondate ragioni; e perciò pretendeche sulla sua semplice parola tutto il mondo creda stra-vaganti paradossi quelle per altro probabili assai pru-denti proposizioni.

96 Confesso che per errore, non so se di penna, o di stampa, qui è sfuggitoun errore, e che doveasi scrivere nel secolo dopo Augusto non nel secolod'Augusto. Correggasi dunque, come ho corretto in questa seconda edizio-ne; e non perciò la proposizione lascierà d'esser gigantesca.

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Ognun sa, che tutte le colte Nazioni pretendono averdiritto a quella gloria, che loro viene dall'antichità dellaloro coltura nelle arti, e nelle scienze; e queste preten-sioni incoraggiscono gli eruditi a far utili ricerche intor-no all'antica patria letteratura: fatiche, che anzichè biasi-mate, e derise, meritano d'esser lodate da chiunque vo-glia essere annoverato fra gli amatori de' sodi, ed utilistudj. In fatti chi non dee lodare le erudite, ed utili sco-perte, con cui tanti celebri Toscani hanno illustratal'antica Etrusca letteratura? E sebben questi dotti uominipretendano e con sode ragioni, e con autentici monu-menti d'assicurare alla letteratura Etrusca la precedenzain confronto ad altre nazioni d'Europa; non perciò stime-ranno ridicole le mie proposizioni, con cui io mi studiodi manifestare al Pubblico alcune delle sode ragioni, edautentici documenti, con cui noi Spagnuoli possiamofondare le nostre giuste pretenzioni a quell'antica lette-raria gloria.

Pare, che non così la pensi il Sig. Abate Tiraboschi;anzi facendola da Dittatore vuol prevenire il giudiziodell'Europa letterata intorno al merito del mio Saggio.Ma pazienza: si fosse almeno di ciò contentato, e nonavesse con tuono decisivo, ed imperioso fulminata con-tro la letteratura Spagnuola una sentenza molto più fata-le, e decisiva di quante pronunciate ne avea nella suaStoria letteraria. Egli dunque ci fa sapere, che la causadella gloria letteraria di Spagna è non men disperata diquello che fosse la salute di Troja nella notte del fatale

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Ognun sa, che tutte le colte Nazioni pretendono averdiritto a quella gloria, che loro viene dall'antichità dellaloro coltura nelle arti, e nelle scienze; e queste preten-sioni incoraggiscono gli eruditi a far utili ricerche intor-no all'antica patria letteratura: fatiche, che anzichè biasi-mate, e derise, meritano d'esser lodate da chiunque vo-glia essere annoverato fra gli amatori de' sodi, ed utilistudj. In fatti chi non dee lodare le erudite, ed utili sco-perte, con cui tanti celebri Toscani hanno illustratal'antica Etrusca letteratura? E sebben questi dotti uominipretendano e con sode ragioni, e con autentici monu-menti d'assicurare alla letteratura Etrusca la precedenzain confronto ad altre nazioni d'Europa; non perciò stime-ranno ridicole le mie proposizioni, con cui io mi studiodi manifestare al Pubblico alcune delle sode ragioni, edautentici documenti, con cui noi Spagnuoli possiamofondare le nostre giuste pretenzioni a quell'antica lette-raria gloria.

Pare, che non così la pensi il Sig. Abate Tiraboschi;anzi facendola da Dittatore vuol prevenire il giudiziodell'Europa letterata intorno al merito del mio Saggio.Ma pazienza: si fosse almeno di ciò contentato, e nonavesse con tuono decisivo, ed imperioso fulminata con-tro la letteratura Spagnuola una sentenza molto più fata-le, e decisiva di quante pronunciate ne avea nella suaStoria letteraria. Egli dunque ci fa sapere, che la causadella gloria letteraria di Spagna è non men disperata diquello che fosse la salute di Troja nella notte del fatale

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incendio. Tanto ei viene a dire con quell'espressione(lett. p. 19).

Si pergama dextraDefendi possent.... hac defensa fuissent.

Ma potrà egli lusingarsi di averla ridotta a cotal miserostato, ed intimoriti i di lei difenditori a segno, che ab-bandonato il campo, gli lascino in man la preda, ed ilvanto della vittoria? Sappia dunque, bravissimo Sig.Ab., che restano ancora alla nazione Spagnuola moltiprodi campioni, che difenderanno in campo apertoquest'attaccata Troja, e non saranno mai per impallidirein faccia a codesto valoroso Achille. Speriamo altresì,che i nostri avversari non saranno mai per adoperarequelle arti, con cui i Greci trionfarono di Troja; mentrenoi non crederemo lecita ed onesta nelle guerre lettera-rie quella massima:

Dolus, an virtus, quis in hoste requirat?E potrà lusingarsi il Sig. Ab. Tirab. di comparire in que-sta lettera men prevenuto contro la nostra letteratura diquello che sia stato da me dipinto nel Saggio Apologeti-co? Mentre non solo si vanta di non esser convinto dallesode ragioni, con cui ella è stata difesa, ed alle quali peraltro egli non risponde; ma pretende di più, che il Pub-blico creda, che non è in grado di potersi difendere lanostra nazione dalla nera taccia di corruttrice del buongusto letterario d'Italia.

Aggiugne poi il Sig. Ab., che se io avessi tenuto il

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incendio. Tanto ei viene a dire con quell'espressione(lett. p. 19).

Si pergama dextraDefendi possent.... hac defensa fuissent.

Ma potrà egli lusingarsi di averla ridotta a cotal miserostato, ed intimoriti i di lei difenditori a segno, che ab-bandonato il campo, gli lascino in man la preda, ed ilvanto della vittoria? Sappia dunque, bravissimo Sig.Ab., che restano ancora alla nazione Spagnuola moltiprodi campioni, che difenderanno in campo apertoquest'attaccata Troja, e non saranno mai per impallidirein faccia a codesto valoroso Achille. Speriamo altresì,che i nostri avversari non saranno mai per adoperarequelle arti, con cui i Greci trionfarono di Troja; mentrenoi non crederemo lecita ed onesta nelle guerre lettera-rie quella massima:

Dolus, an virtus, quis in hoste requirat?E potrà lusingarsi il Sig. Ab. Tirab. di comparire in que-sta lettera men prevenuto contro la nostra letteratura diquello che sia stato da me dipinto nel Saggio Apologeti-co? Mentre non solo si vanta di non esser convinto dallesode ragioni, con cui ella è stata difesa, ed alle quali peraltro egli non risponde; ma pretende di più, che il Pub-blico creda, che non è in grado di potersi difendere lanostra nazione dalla nera taccia di corruttrice del buongusto letterario d'Italia.

Aggiugne poi il Sig. Ab., che se io avessi tenuto il

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metodo del Sig. Ab. Andres, egli farebbe plauso volen-tieri al mio talento, ed al mio amore per la patria. Nonposso a meno di non riangraziarla, Sig. Ab. gentilissi-mo, di questa sua amorevole disposizione verso di me;ma stia pur sicuro, che io vivo contento, e tranquillosenza questo suo applauso. Si persuada, che quando iointrapresi la difesa della letteratura Spagnuola, tutt'altropretesi, che il procacciarmi gli applausi del Sig. AbateTirab. Io godo ben ricompensate le mie deboli fatichecol benignissimo accoglimento, che ha trovata la miaopera, e presso l'intera nazione Spagnuola, e presso idotti ed imparziali Italiani. Nè saprei accertare, se fossestata per aver la stessa sorte, se io mai avesse scritto inmaniera da esser lodato dal Sig. Ab. Tiraboschi.

Nè men obbligato debbo confessarmi al Sig. Abateper quella sincerità, con cui ci assicura, che impieghe-rebbe di buon animo alcuni giorni in rispondermi, mache non può risolversi, ad entrare in battaglia con unoscrittore, che legge nella sua Storia ciò ch'egli non hamai scritto, che non vi trova ciò che pure da ognuno,che abbia occhi in fronte, vi si può trovare (p. 19).Quanto più s'avanza nella sua lettera il Sig. Abate Tira-boschi, tanto più manifesta d'aver letto il mio Saggiosenza quella pace, e tranquillità d'animo, che si richiedeper non vedere ne' libri tutt'altro di quello, che in essi èscritto. Prenda in mano il Sig. Abate i due tomi del mioSaggio senza dimenticarsi di quella sua indole natural-mente pacifica, e vi troverà impugnato tutto ciò ch'egli

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metodo del Sig. Ab. Andres, egli farebbe plauso volen-tieri al mio talento, ed al mio amore per la patria. Nonposso a meno di non riangraziarla, Sig. Ab. gentilissi-mo, di questa sua amorevole disposizione verso di me;ma stia pur sicuro, che io vivo contento, e tranquillosenza questo suo applauso. Si persuada, che quando iointrapresi la difesa della letteratura Spagnuola, tutt'altropretesi, che il procacciarmi gli applausi del Sig. AbateTirab. Io godo ben ricompensate le mie deboli fatichecol benignissimo accoglimento, che ha trovata la miaopera, e presso l'intera nazione Spagnuola, e presso idotti ed imparziali Italiani. Nè saprei accertare, se fossestata per aver la stessa sorte, se io mai avesse scritto inmaniera da esser lodato dal Sig. Ab. Tiraboschi.

Nè men obbligato debbo confessarmi al Sig. Abateper quella sincerità, con cui ci assicura, che impieghe-rebbe di buon animo alcuni giorni in rispondermi, mache non può risolversi, ad entrare in battaglia con unoscrittore, che legge nella sua Storia ciò ch'egli non hamai scritto, che non vi trova ciò che pure da ognuno,che abbia occhi in fronte, vi si può trovare (p. 19).Quanto più s'avanza nella sua lettera il Sig. Abate Tira-boschi, tanto più manifesta d'aver letto il mio Saggiosenza quella pace, e tranquillità d'animo, che si richiedeper non vedere ne' libri tutt'altro di quello, che in essi èscritto. Prenda in mano il Sig. Abate i due tomi del mioSaggio senza dimenticarsi di quella sua indole natural-mente pacifica, e vi troverà impugnato tutto ciò ch'egli

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ha detto nella sua Storia di poco onore alla letteraturaSpagnuola; e che in essa può leggere ogn'uno ch'abbiaocchi in fronte. Per risparmiargli però quel grave disgu-sto, che pur troppo manifesta di provare nella lettura delmio Saggio, legga qui il compendio di ciò, che non puònegare di aver detto nella sua Storia, e ciò che non puònegare di aver dissimulato.

Egli dunque ha detto che la nazione Spagnuola con-corse alla corruzione della letteratura Italiana non menonel secolo dopo Augusto, che nel 600. – che i Seneca,Lucano, e Marziale furono certamente quelli, cheall'Eloquenza, e Poesia recarono maggior danno – cheLucio Seneca ebbe parte nella morte d'Agrippina, che fuun sordido adulatore, un avaro, un ipocrita, un millanta-tore – che Lucano è il primo, che vediamo distogliersidal buon sentiero – che in Lucano ogni cosa è mostruo-sa, e sformata – che un Poeta de' giorni nostri si vergo-gnerebbe se fosse sorpreso col Marziale fra le mani –che gli Spagnuoli sono portati quasi per effetto di climaalle sottigliezze, e che perciò hanno avuto famosi Scola-stici, ma pochi celebri Oratori, e Poeti – che il clima diSpagna congiunto ad alcune cause morali può contribui-re assai al cattivo gusto – che ad onta de' più gravi anti-chi testimoni che dicono Spagnuolo Quintiliano, potreb-be dirsi, ch'esso nacque in Roma – che gli stranieri, chefrequentarono Roma dopo Augusto, e fra essi gli Spa-gnuoli furono altra delle cagioni della corruzione dellalingua Latina – che il Tillemont fa vedere chiaramente,

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ha detto nella sua Storia di poco onore alla letteraturaSpagnuola; e che in essa può leggere ogn'uno ch'abbiaocchi in fronte. Per risparmiargli però quel grave disgu-sto, che pur troppo manifesta di provare nella lettura delmio Saggio, legga qui il compendio di ciò, che non puònegare di aver detto nella sua Storia, e ciò che non puònegare di aver dissimulato.

Egli dunque ha detto che la nazione Spagnuola con-corse alla corruzione della letteratura Italiana non menonel secolo dopo Augusto, che nel 600. – che i Seneca,Lucano, e Marziale furono certamente quelli, cheall'Eloquenza, e Poesia recarono maggior danno – cheLucio Seneca ebbe parte nella morte d'Agrippina, che fuun sordido adulatore, un avaro, un ipocrita, un millanta-tore – che Lucano è il primo, che vediamo distogliersidal buon sentiero – che in Lucano ogni cosa è mostruo-sa, e sformata – che un Poeta de' giorni nostri si vergo-gnerebbe se fosse sorpreso col Marziale fra le mani –che gli Spagnuoli sono portati quasi per effetto di climaalle sottigliezze, e che perciò hanno avuto famosi Scola-stici, ma pochi celebri Oratori, e Poeti – che il clima diSpagna congiunto ad alcune cause morali può contribui-re assai al cattivo gusto – che ad onta de' più gravi anti-chi testimoni che dicono Spagnuolo Quintiliano, potreb-be dirsi, ch'esso nacque in Roma – che gli stranieri, chefrequentarono Roma dopo Augusto, e fra essi gli Spa-gnuoli furono altra delle cagioni della corruzione dellalingua Latina – che il Tillemont fa vedere chiaramente,

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che in nessun modo può dubitarsi, che S. Damaso nac-que in Roma – che Teodosio è Italiano, non già Spa-gnuolo, e che Italiano lo dice la Cronaca citata dal Du-chesne – che dopo la Cronaca di Fr. Pipino è evidente,che Gherardo fosse Cremonese – che gl'Italiani furono iprimi, che dopo il mille richiamassero a vita la Filoso-fia, Matematica, e Medicina. Tutto ciò dice chiaramenteil Signor Abate nella sua Storia, ciò leggo io, e ciò vilegge ognuno, che ha occhi in fronte.

All'opposto io non vi trovo, nè può trovarne l'uomopiù perspicace, che il Sig. Ab. confessi sinceramente,che l'Italia debba alla Spagna i vantaggi recati alle arti, escienze, già sia dagl'Imperatori, e Principi Spagnuoli,già sia dai celebri Maestri Spagnuoli, che ammaestraro-no gl'Italiani – né io, nè altro trova nel secolo d'oro dellasua Storia, che vi occupino il meritato posto Corn. Bal-bo, Igino, Porzio Latrone; come nemmen ne' secoli Cri-stiani Osio, Flavio Destro, Prudenzio – Non può trovarsinel risorgimento delle scienze dopo il mille data la do-vuta gloria di ristoratori agli Spagnuoli – Non si vedononominati gli Spagnuoli, dove il Sig. Abate discorre dellalingua e Poesia Provenzale – Non si trova nominata laSpagna nella gloriosa epoca della fondazione dell'Ordi-ne de' Predicatori – Nessuno finalmente può trovare nel-la sua Storia, dove si tratta dello Stato Civile dell'Italianel secolo XVI nominato il celebre Card. Albornoz; nèin altra parte di detta Storia si leggono utilissime fatiche,e gloriose gesta di questo Principe, con cui assicurò la

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che in nessun modo può dubitarsi, che S. Damaso nac-que in Roma – che Teodosio è Italiano, non già Spa-gnuolo, e che Italiano lo dice la Cronaca citata dal Du-chesne – che dopo la Cronaca di Fr. Pipino è evidente,che Gherardo fosse Cremonese – che gl'Italiani furono iprimi, che dopo il mille richiamassero a vita la Filoso-fia, Matematica, e Medicina. Tutto ciò dice chiaramenteil Signor Abate nella sua Storia, ciò leggo io, e ciò vilegge ognuno, che ha occhi in fronte.

All'opposto io non vi trovo, nè può trovarne l'uomopiù perspicace, che il Sig. Ab. confessi sinceramente,che l'Italia debba alla Spagna i vantaggi recati alle arti, escienze, già sia dagl'Imperatori, e Principi Spagnuoli,già sia dai celebri Maestri Spagnuoli, che ammaestraro-no gl'Italiani – né io, nè altro trova nel secolo d'oro dellasua Storia, che vi occupino il meritato posto Corn. Bal-bo, Igino, Porzio Latrone; come nemmen ne' secoli Cri-stiani Osio, Flavio Destro, Prudenzio – Non può trovarsinel risorgimento delle scienze dopo il mille data la do-vuta gloria di ristoratori agli Spagnuoli – Non si vedononominati gli Spagnuoli, dove il Sig. Abate discorre dellalingua e Poesia Provenzale – Non si trova nominata laSpagna nella gloriosa epoca della fondazione dell'Ordi-ne de' Predicatori – Nessuno finalmente può trovare nel-la sua Storia, dove si tratta dello Stato Civile dell'Italianel secolo XVI nominato il celebre Card. Albornoz; nèin altra parte di detta Storia si leggono utilissime fatiche,e gloriose gesta di questo Principe, con cui assicurò la

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pace all'Italia, e vi fece rifiorire gli studj. Ecco in breve Sig. Ab. quanto ella certamente ha

scritto contro l'onore della Spagna, e quanto ha dissimu-lato di ciò che poteva recarle non picciola gloria. Tuttoc-ciò vien da me impugnato nel mio Saggio, e dà a lei am-pio campo di entrar in battaglia sempre ch'ella di buonanimo voglia impiegar alcuni giorni in rispondere. Nè sicreda, che su questi punti possa il Pubblico restar per-suaso, ch'ella abbia dal canto suo la ragione, per quantosi sforzi a levar alto la voce, e gridare infedeltà, puerili-tà, fanciullaggine, paradossi, gigantesche proposizioni,stiracchiature, cavillazioni, ed altre simili leggiadrie,che solo possono far illusione presso il volgo de' saputi,che non sono in grado, o che non si prendon pena diesaminare a fondo le materie, di cui si tratta; non giàpresso i saggi, e perspicaci Letterati, che non amand'esser prevenuti nel giudizio, che sono in grado di for-mare da sè intorno alle opere pubblicate, e che soffronomal volentieri chiunque pretenda farla da Dittatore nellaRep. Letteraria.

Fin qui la lettera dell'Abate Tirab. Non è però menleggiadra la sua P. S. In essa fa sapere al Sig. Ab. suoCorrispondente, ch'egli non crede, che il Sig. Ab. Lam-pillas farà alcuna risposta alla sua lettera. E che puòegli rispondere (Lett. p. 20)? L'Abate Lampillas rispon-de, che il Sig. Abate Tirab. ha pur troppo manifestatonella sua lettera, che non conosce l'Ab. Lampillas; mache molto più chiaramente lo fa vedere col credere, che

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pace all'Italia, e vi fece rifiorire gli studj. Ecco in breve Sig. Ab. quanto ella certamente ha

scritto contro l'onore della Spagna, e quanto ha dissimu-lato di ciò che poteva recarle non picciola gloria. Tuttoc-ciò vien da me impugnato nel mio Saggio, e dà a lei am-pio campo di entrar in battaglia sempre ch'ella di buonanimo voglia impiegar alcuni giorni in rispondere. Nè sicreda, che su questi punti possa il Pubblico restar per-suaso, ch'ella abbia dal canto suo la ragione, per quantosi sforzi a levar alto la voce, e gridare infedeltà, puerili-tà, fanciullaggine, paradossi, gigantesche proposizioni,stiracchiature, cavillazioni, ed altre simili leggiadrie,che solo possono far illusione presso il volgo de' saputi,che non sono in grado, o che non si prendon pena diesaminare a fondo le materie, di cui si tratta; non giàpresso i saggi, e perspicaci Letterati, che non amand'esser prevenuti nel giudizio, che sono in grado di for-mare da sè intorno alle opere pubblicate, e che soffronomal volentieri chiunque pretenda farla da Dittatore nellaRep. Letteraria.

Fin qui la lettera dell'Abate Tirab. Non è però menleggiadra la sua P. S. In essa fa sapere al Sig. Ab. suoCorrispondente, ch'egli non crede, che il Sig. Ab. Lam-pillas farà alcuna risposta alla sua lettera. E che puòegli rispondere (Lett. p. 20)? L'Abate Lampillas rispon-de, che il Sig. Abate Tirab. ha pur troppo manifestatonella sua lettera, che non conosce l'Ab. Lampillas; mache molto più chiaramente lo fa vedere col credere, che

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esso non dovesse dare alcuna risposta. Dice di più l'Ab.Lampillas, ch'egli crede, che l'Ab. Tirab. non avessegran voglia, che gli fosse da lui risposto. Fonda egliquesta credenza nella cautela, con cui ha procurato l'Ab.Tirab. che non arrivasse se non che tardi la sua lettera inmano dell'Ab. Lampillas. Erano passati ben quindicigiorni, da che essa girava per varie Città d'Italia fra lemani degli amici del Tirab., mentre in Genova non si sa-peva ancora, che fosse stata pubblicata. E se l'Ab. Lam-pillas con somma premura non se l'avesse procacciata,resterebbe a quest'ora privo ancora di quel piacere cheha provato nel leggerla. Non dovea certamente aspettar-si simile condotta da un uomo, che pretende far credered'essersi ad evidenza pienamente giustificato in dettalettera. Non dovea egli privar di questa consolazioneque' suoi appassionati, che sospiravano il momento diveder vittoriosamente atterrato dal valore del Sig. AbateTirab. il Saggio Apologetico della letteratura di Spagna.Ma l'Abate Tiraboschi meglio che nessun altro conosce-va, che non era la sua lettera opportuna per consolarli;giacchè tutt'altro eglino s'aspettava, che il vederlo impe-gnato in farsi credere parziale verso la letteratura Spa-gnuola 97.

Checchè sia di ciò, questa cautela ha ritardata per ben97 Questo è il più grazioso sogno che mai siasi fatto. Appena fu pubblicata la

mia lettera, io cercai occasioni per inviarne copia a Genova; e potrei no-minare più persone in Modena, alle quali mi raccomandai a tal fine. Leoccasioni tardarono ad offrirsi, e perciò più tardi ne giunser colà le copie.Procurerò che ora l'ab. Lampillas non abbia a dolersi di tal tardanza, nè adinterpretare secondo il suo costume, le mie intenzioni.

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esso non dovesse dare alcuna risposta. Dice di più l'Ab.Lampillas, ch'egli crede, che l'Ab. Tirab. non avessegran voglia, che gli fosse da lui risposto. Fonda egliquesta credenza nella cautela, con cui ha procurato l'Ab.Tirab. che non arrivasse se non che tardi la sua lettera inmano dell'Ab. Lampillas. Erano passati ben quindicigiorni, da che essa girava per varie Città d'Italia fra lemani degli amici del Tirab., mentre in Genova non si sa-peva ancora, che fosse stata pubblicata. E se l'Ab. Lam-pillas con somma premura non se l'avesse procacciata,resterebbe a quest'ora privo ancora di quel piacere cheha provato nel leggerla. Non dovea certamente aspettar-si simile condotta da un uomo, che pretende far credered'essersi ad evidenza pienamente giustificato in dettalettera. Non dovea egli privar di questa consolazioneque' suoi appassionati, che sospiravano il momento diveder vittoriosamente atterrato dal valore del Sig. AbateTirab. il Saggio Apologetico della letteratura di Spagna.Ma l'Abate Tiraboschi meglio che nessun altro conosce-va, che non era la sua lettera opportuna per consolarli;giacchè tutt'altro eglino s'aspettava, che il vederlo impe-gnato in farsi credere parziale verso la letteratura Spa-gnuola 97.

Checchè sia di ciò, questa cautela ha ritardata per ben97 Questo è il più grazioso sogno che mai siasi fatto. Appena fu pubblicata la

mia lettera, io cercai occasioni per inviarne copia a Genova; e potrei no-minare più persone in Modena, alle quali mi raccomandai a tal fine. Leoccasioni tardarono ad offrirsi, e perciò più tardi ne giunser colà le copie.Procurerò che ora l'ab. Lampillas non abbia a dolersi di tal tardanza, nè adinterpretare secondo il suo costume, le mie intenzioni.

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quindici giorni la mia risposta. In essa non troverà il Ti-rab. quella confessione, ch'egli dice essere l'unica, cheda me possa farsi: cioè, che il soverchio amor della pa-tria m'abbia acciecato, e m'abbia fatto leggere nella suaStoria ciò, che niun altro vi ha letto, e non mi ha per-messo di leggervi ciò, che altri tutti vi leggono (lett. p.20). Mi persuado, che chiunque letta abbia con attenzio-ne questa risposta, non può a meno di vedere quanto sa-rebbe non men falsa, che importuna una cotal confessio-ne. Io so bene, che l'amor della Patria può acciecarci inmaniera, che ci crediamo di trovar lodi dove non cisono, e non vediamo i biasimi dove ci sono chiaramen-te; e non già all'opposto.

Non posso in questo luogo dissimulare il gravissimotorto fattomi dal detto Ab. col dire, che forse colle solitearti farò inserire in qualche prezzolato foglio periodicoriflessioni, e critiche sulla sua lettera (pag. 20). Questearti, Sig. Ab. stimatissimo, non sono solite usarsi nè dame, nè da nessun altro degli Spagnuoli; e n'è buon testi-monio l'Italia. Sono già undici anni che in essa soggior-na una numerosa colonia di Spagnuoli; i quali con nonpoca loro mortificazione leggono nella Storia letterariad'Italia le più ingiuste censure contro i celebri AutoriSpagnuoli, e i pregiudizi più ingiuriosi contro la nostraletterata nazione; sentono nelle conversazioni spacciarsicome vere le più false e stravaganti opinioni contro lacoltura di nazione cotanto rispettabile; e chi non vede,quanta parte tocchi loro di queste svantaggiose idee?

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quindici giorni la mia risposta. In essa non troverà il Ti-rab. quella confessione, ch'egli dice essere l'unica, cheda me possa farsi: cioè, che il soverchio amor della pa-tria m'abbia acciecato, e m'abbia fatto leggere nella suaStoria ciò, che niun altro vi ha letto, e non mi ha per-messo di leggervi ciò, che altri tutti vi leggono (lett. p.20). Mi persuado, che chiunque letta abbia con attenzio-ne questa risposta, non può a meno di vedere quanto sa-rebbe non men falsa, che importuna una cotal confessio-ne. Io so bene, che l'amor della Patria può acciecarci inmaniera, che ci crediamo di trovar lodi dove non cisono, e non vediamo i biasimi dove ci sono chiaramen-te; e non già all'opposto.

Non posso in questo luogo dissimulare il gravissimotorto fattomi dal detto Ab. col dire, che forse colle solitearti farò inserire in qualche prezzolato foglio periodicoriflessioni, e critiche sulla sua lettera (pag. 20). Questearti, Sig. Ab. stimatissimo, non sono solite usarsi nè dame, nè da nessun altro degli Spagnuoli; e n'è buon testi-monio l'Italia. Sono già undici anni che in essa soggior-na una numerosa colonia di Spagnuoli; i quali con nonpoca loro mortificazione leggono nella Storia letterariad'Italia le più ingiuste censure contro i celebri AutoriSpagnuoli, e i pregiudizi più ingiuriosi contro la nostraletterata nazione; sentono nelle conversazioni spacciarsicome vere le più false e stravaganti opinioni contro lacoltura di nazione cotanto rispettabile; e chi non vede,quanta parte tocchi loro di queste svantaggiose idee?

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Mostri, se gli basta l'animo il Sig. Abate Tiraboschi unsol foglio de' prezzolati d'Italia, ove alcuno degli Spa-gnuoli abbia preteso con anonime critiche, o riflessionidifendere la Spagna o ribattere i suoi avversari. Possonobensì gli Spagnuoli mostrare non pochi di questi fogli,ne' quali alcuni Italiani con arrabbiato furore si avventa-no contro i difenditori della nostra letteratura. In uno diquesti il Sig. abate Andres, ad onta di avere scritto collapiù scrupolosa moderazione, e prudenza contro la tac-cia, che appongono alla Spagna due Italiani Scrittori(Tiraboschi, e Bettinelli) di essere stata la corruttrice delgusto Italiano, si vede onorato col gentil titolo di cervel-lo riscaldato, e d'ignorante nella materia che tratta, eper fino insultato a segno di voler obbligarlo a confessa-re, che lui stesso meglio degl'Italiani conosce la meschi-nità de' saputi di Spagna.

Dopo l'Ab. Andres impugnò la penna in difesa de' no-stri Autori il Sig. Ab. Serrano, e tosto trovossi inseritanel giornale di Modena sotto pretesto di difesa il SignorAb. Tirab. la più arrabbiata Satira non men ingiuriosa albuon nome di questo Spagnuolo, che indegna di uomoben educato 98. Queste sono state fino adesso le solitearti degli Apologisti de' due moderni Scrittori, e proba-bilmente non saranno diverse in appresso; non già degli

98 Ognun può leggere questa arrabbiata Satira nel t. 12 di questo giornale diModena, e se v'ha uomo di buon senso, che la giudichi tale, io mi do vin-to. Basti il sapere che ella è opera dell'ab. Alessandro Zorzi uomo del piùdolce e più amabil carattere che mai si vedesse, e incapace di usare diquello stile che qui gli viene attribuito.

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Mostri, se gli basta l'animo il Sig. Abate Tiraboschi unsol foglio de' prezzolati d'Italia, ove alcuno degli Spa-gnuoli abbia preteso con anonime critiche, o riflessionidifendere la Spagna o ribattere i suoi avversari. Possonobensì gli Spagnuoli mostrare non pochi di questi fogli,ne' quali alcuni Italiani con arrabbiato furore si avventa-no contro i difenditori della nostra letteratura. In uno diquesti il Sig. abate Andres, ad onta di avere scritto collapiù scrupolosa moderazione, e prudenza contro la tac-cia, che appongono alla Spagna due Italiani Scrittori(Tiraboschi, e Bettinelli) di essere stata la corruttrice delgusto Italiano, si vede onorato col gentil titolo di cervel-lo riscaldato, e d'ignorante nella materia che tratta, eper fino insultato a segno di voler obbligarlo a confessa-re, che lui stesso meglio degl'Italiani conosce la meschi-nità de' saputi di Spagna.

Dopo l'Ab. Andres impugnò la penna in difesa de' no-stri Autori il Sig. Ab. Serrano, e tosto trovossi inseritanel giornale di Modena sotto pretesto di difesa il SignorAb. Tirab. la più arrabbiata Satira non men ingiuriosa albuon nome di questo Spagnuolo, che indegna di uomoben educato 98. Queste sono state fino adesso le solitearti degli Apologisti de' due moderni Scrittori, e proba-bilmente non saranno diverse in appresso; non già degli

98 Ognun può leggere questa arrabbiata Satira nel t. 12 di questo giornale diModena, e se v'ha uomo di buon senso, che la giudichi tale, io mi do vin-to. Basti il sapere che ella è opera dell'ab. Alessandro Zorzi uomo del piùdolce e più amabil carattere che mai si vedesse, e incapace di usare diquello stile che qui gli viene attribuito.

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Apologisti di Spagna. Questi, sicuri di avere da cantoloro la ragione hanno sfidato in campo aperto a facciascoperta i loro avversarj: e così faranno, sempre che cre-deranno necessario l'impugnare qualche Scrittore in di-fesa della Patria. Nè basteranno le più nere calunnie, edingiurie, con cui si vedono assaliti ad intimorirli, e fargliammutolire, come si prenderebbe con tali indegni scritti.

Il fin qui detto mi lusingo che dovrà pienamente giu-stificarmi presso il Tribunale dei Dotti e Saggi, al giudi-zio de' quali per mia buona sorte s'appella l'Ab. Tirabo-schi sul fine della sua lettera. Essi hanno fra le mani laStoria letteraria d'Italia, il mio Saggio Apologetico, lalettera del Tirab., e questa mia risposta. Con questi do-cumenti sono pienamente illuminati per pronunziare unagiusta sentenza. Essi nel mio Saggio troveranno impu-gnati i veri, e legittimi sentimenti del Sig. Abate Tirabo-schi intorno la nostra letteratura, senza che nemmen unasola volta venga da me impugnato quell'Autore in forzadi qualcheduna di quelle, ch'egli ha stimato chiamare in-fedeltà. Non troveranno giammai troncati i testimonj delTirab. in maniera di dar loro un senso diverso di quello,ch'egli ha preteso. Non troveranno trasformati i passidella Storia letteraria nè sconvolto l'ordine, con cui sonscritti. Vedranno i miei argomenti fondati non in giuochidi parole, ma in sode ragioni. Troveranno finalmente intutto il mio Saggio trattati con somma urbanità e mode-razione gli Autori, che prendo ad impugnare, e citatesempre mai con lode le loro opere.

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Apologisti di Spagna. Questi, sicuri di avere da cantoloro la ragione hanno sfidato in campo aperto a facciascoperta i loro avversarj: e così faranno, sempre che cre-deranno necessario l'impugnare qualche Scrittore in di-fesa della Patria. Nè basteranno le più nere calunnie, edingiurie, con cui si vedono assaliti ad intimorirli, e fargliammutolire, come si prenderebbe con tali indegni scritti.

Il fin qui detto mi lusingo che dovrà pienamente giu-stificarmi presso il Tribunale dei Dotti e Saggi, al giudi-zio de' quali per mia buona sorte s'appella l'Ab. Tirabo-schi sul fine della sua lettera. Essi hanno fra le mani laStoria letteraria d'Italia, il mio Saggio Apologetico, lalettera del Tirab., e questa mia risposta. Con questi do-cumenti sono pienamente illuminati per pronunziare unagiusta sentenza. Essi nel mio Saggio troveranno impu-gnati i veri, e legittimi sentimenti del Sig. Abate Tirabo-schi intorno la nostra letteratura, senza che nemmen unasola volta venga da me impugnato quell'Autore in forzadi qualcheduna di quelle, ch'egli ha stimato chiamare in-fedeltà. Non troveranno giammai troncati i testimonj delTirab. in maniera di dar loro un senso diverso di quello,ch'egli ha preteso. Non troveranno trasformati i passidella Storia letteraria nè sconvolto l'ordine, con cui sonscritti. Vedranno i miei argomenti fondati non in giuochidi parole, ma in sode ragioni. Troveranno finalmente intutto il mio Saggio trattati con somma urbanità e mode-razione gli Autori, che prendo ad impugnare, e citatesempre mai con lode le loro opere.

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Page 405: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

Prendano poi in mano la lettera dell'Ab. Tirab. e inessa vedranno, che nemmen una sol volta vengono fe-delmente recati i miei veri sentimenti. Troveranno accu-se come da me inventate al Tirab. che pure non si trova-no nel mio Saggio, e dissimulate quelle, ch'io veramentegli intento. Vedranno che francamente mi accusa di averdette cose, che non sono state mai da me scritte, e diaver dissimulate altre, ch'io ho dette chiaramente. A vi-sta di questa condotta non potranno non stupirsi del co-raggio di questo Autore in presentarsi con sifatte pruoveal Tribunale de' Saggi, e Dotti ad accusarmi mancante dibuona fede, e di onestà; e vantarsi ancora di avermi con-vinto tale. Se poi sia da desiderarsi nella suddetta letteraquella convenienza, e modestia, che non debbesi mai di-menticare tra persone ben educate, ne lascio a loro ilgiudizio; essi potranno decidere, se tornerebbero a contoal Sig. Ab. Tirab. che si misurasse il sapere di lui secon-do quella saggia regola, ch'egli stesso ci addita (pag.19): La modestia suol essere tanto maggiore nelle lette-rarie contese quanto più dotto è il combattente.

Sul fine della sua lettera ci previene il Sig. Ab. Tirab.che non s'aspetti da canto suo altra risposta. Io non pos-so se non che lodare la sua saggia determinazione, men-tre non si trovi in grado di pubblicarne altra, che possafargli maggior onore, recar maggior gloria all'Italia, emaggior utilità al Pubblico. Anch'io mi protesto dal can-to mio di non fare nuove repliche intorno alle accuse,ch'egli m'intenta nella sua lettera. Mi protesto altresì di

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Prendano poi in mano la lettera dell'Ab. Tirab. e inessa vedranno, che nemmen una sol volta vengono fe-delmente recati i miei veri sentimenti. Troveranno accu-se come da me inventate al Tirab. che pure non si trova-no nel mio Saggio, e dissimulate quelle, ch'io veramentegli intento. Vedranno che francamente mi accusa di averdette cose, che non sono state mai da me scritte, e diaver dissimulate altre, ch'io ho dette chiaramente. A vi-sta di questa condotta non potranno non stupirsi del co-raggio di questo Autore in presentarsi con sifatte pruoveal Tribunale de' Saggi, e Dotti ad accusarmi mancante dibuona fede, e di onestà; e vantarsi ancora di avermi con-vinto tale. Se poi sia da desiderarsi nella suddetta letteraquella convenienza, e modestia, che non debbesi mai di-menticare tra persone ben educate, ne lascio a loro ilgiudizio; essi potranno decidere, se tornerebbero a contoal Sig. Ab. Tirab. che si misurasse il sapere di lui secon-do quella saggia regola, ch'egli stesso ci addita (pag.19): La modestia suol essere tanto maggiore nelle lette-rarie contese quanto più dotto è il combattente.

Sul fine della sua lettera ci previene il Sig. Ab. Tirab.che non s'aspetti da canto suo altra risposta. Io non pos-so se non che lodare la sua saggia determinazione, men-tre non si trovi in grado di pubblicarne altra, che possafargli maggior onore, recar maggior gloria all'Italia, emaggior utilità al Pubblico. Anch'io mi protesto dal can-to mio di non fare nuove repliche intorno alle accuse,ch'egli m'intenta nella sua lettera. Mi protesto altresì di

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esser disposto a rispondere al Tirab., ed a chiunque al-tro, che a faccia sorpresa pretenda con nuove impostureintaccare la mia riputazione, e buon nome; come altresìassicuro, che non mi prenderò la pena di leggere, nonche di rispondere a nessuno scritto anonimo, nè foglioprezzolato, in cui colle solite arti si facesse mai inserirequalche sanguinosa critica contro di me, o contro le mieopere.

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esser disposto a rispondere al Tirab., ed a chiunque al-tro, che a faccia sorpresa pretenda con nuove impostureintaccare la mia riputazione, e buon nome; come altresìassicuro, che non mi prenderò la pena di leggere, nonche di rispondere a nessuno scritto anonimo, nè foglioprezzolato, in cui colle solite arti si facesse mai inserirequalche sanguinosa critica contro di me, o contro le mieopere.

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LETTERA AL

REVERENDISSIMO P. N. N. AUTORE DELLE ANNOTAZIONI

AGGIUNTE ALLA EDIZIONE ROMANA DELLASTORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANA

Reverendissimo Padre.

La gentilezza con cui V. P. reverendissima si è degnatadi legger tutta la mia Storia della Letteratura italiana, econ cui, invece di correggere a quando a quando il miotesto, come avea cominciato, si è compiaciuta di aggiu-gnere soltanto alcune opportune annotazioni, che l'apo-stolico suo zelo nel serbare incorrotto il deposito dellaFede le ha fatto credere necessarie, affin d'impedire idanni che dal leggere la mia opera poteansi derivar ne'Fedeli, esige da me la più viva riconoscenza e i più os-sequiosi ringraziamenti. Della qual compiacenza a mioriguardo usata, tanto maggiore obbligazione debbo ioprofessarle, quanto più io sono intimamente persuasoch'essa non abbia già avuta origine nè da un certo Mani-festo pubblicato qui dal mio stampatore, con cui cotestaedizione, nel modo in cui le era stato dato principio, ve-niva solennemente in nome mio riprovata, nè da un su-

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LETTERA AL

REVERENDISSIMO P. N. N. AUTORE DELLE ANNOTAZIONI

AGGIUNTE ALLA EDIZIONE ROMANA DELLASTORIA DELLA

LETTERATURA ITALIANA

Reverendissimo Padre.

La gentilezza con cui V. P. reverendissima si è degnatadi legger tutta la mia Storia della Letteratura italiana, econ cui, invece di correggere a quando a quando il miotesto, come avea cominciato, si è compiaciuta di aggiu-gnere soltanto alcune opportune annotazioni, che l'apo-stolico suo zelo nel serbare incorrotto il deposito dellaFede le ha fatto credere necessarie, affin d'impedire idanni che dal leggere la mia opera poteansi derivar ne'Fedeli, esige da me la più viva riconoscenza e i più os-sequiosi ringraziamenti. Della qual compiacenza a mioriguardo usata, tanto maggiore obbligazione debbo ioprofessarle, quanto più io sono intimamente persuasoch'essa non abbia già avuta origine nè da un certo Mani-festo pubblicato qui dal mio stampatore, con cui cotestaedizione, nel modo in cui le era stato dato principio, ve-niva solennemente in nome mio riprovata, nè da un su-

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Page 408: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

periore comando che alcuni han voluto far crederech'Ella avesse ricevuto, di non alterare il testo dell'ope-ra; ma che sia stata frutto soltanto di quell'animo sì cor-tese e gentile, e di quelle sì obbliganti maniere che tuttaRoma ammira già da gran tempo in V. P. reverendissi-ma. Nè sono io solo che me le debba perciò protestaresommamente tenuto, ma tutti quelli che han fatto acqui-sto di cotesta edizione della mia Storia, le debbono esse-re riconoscenti e grati, così per averli sottratti al pericolodi cadere in quegli errori in cui avrebbe essa potuto con-durli, se nelle sue annotazioni non gli avesse Ella indi-cati e corretti, come pe' tanti lumi e per le sì rare e pelle-grine notizie che nelle annotazioni medesime si incon-trano, delle quali senza esse sarebbono rimasti privi. Mipermetta dunque V. P. reverendissima che, poichè in al-tro modo non mi è possibile, col pubblicare questa mialettera io faccia conoscere a tutti, quanto io le debba, eche perciò io venga qui riunendo ed epilogando gli erro-ri che l'acutezza del suo intendimento ha nella mia operaravvisati, e i nuovi monumenti di storia letteraria, de'quali con vastissima erudizione ha corredate le sue note.Che se, come è opinione di alcuni, qualche altro ha dirit-to di entrare con V. P. reverendissima a parte di questalode, io la prego a volerla con lui dividere; ed in ciò miriposo tranquillamente nella illibatezza della sua co-scienza, che ben lontana dall'usurparsi l'altrui, saprà evorrà certamente che ognun ritengasi ciò che di ragiongli conviene.

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periore comando che alcuni han voluto far crederech'Ella avesse ricevuto, di non alterare il testo dell'ope-ra; ma che sia stata frutto soltanto di quell'animo sì cor-tese e gentile, e di quelle sì obbliganti maniere che tuttaRoma ammira già da gran tempo in V. P. reverendissi-ma. Nè sono io solo che me le debba perciò protestaresommamente tenuto, ma tutti quelli che han fatto acqui-sto di cotesta edizione della mia Storia, le debbono esse-re riconoscenti e grati, così per averli sottratti al pericolodi cadere in quegli errori in cui avrebbe essa potuto con-durli, se nelle sue annotazioni non gli avesse Ella indi-cati e corretti, come pe' tanti lumi e per le sì rare e pelle-grine notizie che nelle annotazioni medesime si incon-trano, delle quali senza esse sarebbono rimasti privi. Mipermetta dunque V. P. reverendissima che, poichè in al-tro modo non mi è possibile, col pubblicare questa mialettera io faccia conoscere a tutti, quanto io le debba, eche perciò io venga qui riunendo ed epilogando gli erro-ri che l'acutezza del suo intendimento ha nella mia operaravvisati, e i nuovi monumenti di storia letteraria, de'quali con vastissima erudizione ha corredate le sue note.Che se, come è opinione di alcuni, qualche altro ha dirit-to di entrare con V. P. reverendissima a parte di questalode, io la prego a volerla con lui dividere; ed in ciò miriposo tranquillamente nella illibatezza della sua co-scienza, che ben lontana dall'usurparsi l'altrui, saprà evorrà certamente che ognun ritengasi ciò che di ragiongli conviene.

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Page 409: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber

Ne' primi due tomi due note sole ho trovate da V. P.reverendissima aggiunte. La prima è al t. I, p. 35, oveavendo io detto che il sistema copernicano, adombratogià dai Pittagorici, è stato poi a' dì nostri evidentementeconfermato e dimostrato, V. P. reverendissima, piena dizelo per la sana dottrina, avverte che non solo pressochi non adotta il sistema, ma anche presso molti coper-nicani questo non passa per dimostrato. Riflessione in-gegnosa, e che in avvenire renderà più cauti i filosoficopernicani nel sostenere il loro sistema, e che ricorderàloro che le voci dimostrato e dimostrazione non si pos-sono usare nemmeno da uno storico, se non ove si trattadi rigorosa dimostrazion geometrica. Ma perchè questanota le è sembrata per avventura non abbastanza diffusa,un'altra più lunga e piena di buon senso e di profondoraziocinio ne ha poi premessa al t. VIII, quasi ad antido-to di ciò che ivi più a lungo ho scritto sul sistema coper-nicano. In essa si compiace V. P. reverendissima di assi-curare i lettori che io non ho mai avuta intenzione dicontraddire a' decreti di Paolo V e di Urbano VIII; dellaqual carità nell'intraprendere favorevolmente la mia in-tenzione me le protesto al maggior segno tenuto. Sul si-stema copernicano poi non ancor dimostrato Ella ci dicesì belle cose con s. Agostino alla mano, che niun certoardirà in avvenire di usare quella espressione ch'io sìimpropriamente ho usata.

L'altra delle note aggiunte a' due primi tomi è nel t. II,p. 361, ove avendo io asserito che il p. Papebrochio ha

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Ne' primi due tomi due note sole ho trovate da V. P.reverendissima aggiunte. La prima è al t. I, p. 35, oveavendo io detto che il sistema copernicano, adombratogià dai Pittagorici, è stato poi a' dì nostri evidentementeconfermato e dimostrato, V. P. reverendissima, piena dizelo per la sana dottrina, avverte che non solo pressochi non adotta il sistema, ma anche presso molti coper-nicani questo non passa per dimostrato. Riflessione in-gegnosa, e che in avvenire renderà più cauti i filosoficopernicani nel sostenere il loro sistema, e che ricorderàloro che le voci dimostrato e dimostrazione non si pos-sono usare nemmeno da uno storico, se non ove si trattadi rigorosa dimostrazion geometrica. Ma perchè questanota le è sembrata per avventura non abbastanza diffusa,un'altra più lunga e piena di buon senso e di profondoraziocinio ne ha poi premessa al t. VIII, quasi ad antido-to di ciò che ivi più a lungo ho scritto sul sistema coper-nicano. In essa si compiace V. P. reverendissima di assi-curare i lettori che io non ho mai avuta intenzione dicontraddire a' decreti di Paolo V e di Urbano VIII; dellaqual carità nell'intraprendere favorevolmente la mia in-tenzione me le protesto al maggior segno tenuto. Sul si-stema copernicano poi non ancor dimostrato Ella ci dicesì belle cose con s. Agostino alla mano, che niun certoardirà in avvenire di usare quella espressione ch'io sìimpropriamente ho usata.

L'altra delle note aggiunte a' due primi tomi è nel t. II,p. 361, ove avendo io asserito che il p. Papebrochio ha

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dimostrato (ed eccomi di nuovo caduto nel grave fallodi usare impropriamente questa parola) che Lucifero ve-scovo di Cagliari non fu colpevole dello scisma de' Lu-ciferiani, e che non mai separossi dalla comunione dellacattolica Chiesa, V. P. reverendissima ricorda a' lettoril'opera di Benedetto XIV De Servorum Dei Beatificatio-ne, in cui si producono due pontificj decreti che vietanoil disputare della controversa santità e del culto di Luci-fero. Io veramente non ne ho disputato, poichè Luciferopoteva esser sempre unito alla Chiesa cattolica (che è lasola cosa da me asserita), e ciò non ostante esser benlungi dal meritare il titol di santo. Nè io credo certo chese io avessi affermato che V. P. reverendissima non si èmai separata dalla cattolica Chiesa, niuno avrebbe per-ciò creduto ch'io volessi sollevarla all'onor degli altari.Ma nondimeno i lettori della mia Storia le debbono sa-per grado di questa nota per riprodurre che in essa hafatto que' due decreti, che per la storia della letteraturaitaliana tanto sono interessanti.

Più vasto campo ha aperto al zelo di V. P. reverendis-sima il tomo III, ove a p. 88 e 90 si trovan dapprima duelunghissime note, le quali forse avran data occasione aqualche avaro associato di lamentarsi, che per esse glisia convenuto pagare qualche baiocco di più, non riflet-tendo che troppo bene sarebbe stata impiegata anche as-sai maggior somma, per fornirsi delle notizie che esse cisomministrano. Io osservando che s. Gregorio papa scri-ve al vescovo Eterio di avere in Roma cercate sollecita-

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dimostrato (ed eccomi di nuovo caduto nel grave fallodi usare impropriamente questa parola) che Lucifero ve-scovo di Cagliari non fu colpevole dello scisma de' Lu-ciferiani, e che non mai separossi dalla comunione dellacattolica Chiesa, V. P. reverendissima ricorda a' lettoril'opera di Benedetto XIV De Servorum Dei Beatificatio-ne, in cui si producono due pontificj decreti che vietanoil disputare della controversa santità e del culto di Luci-fero. Io veramente non ne ho disputato, poichè Luciferopoteva esser sempre unito alla Chiesa cattolica (che è lasola cosa da me asserita), e ciò non ostante esser benlungi dal meritare il titol di santo. Nè io credo certo chese io avessi affermato che V. P. reverendissima non si èmai separata dalla cattolica Chiesa, niuno avrebbe per-ciò creduto ch'io volessi sollevarla all'onor degli altari.Ma nondimeno i lettori della mia Storia le debbono sa-per grado di questa nota per riprodurre che in essa hafatto que' due decreti, che per la storia della letteraturaitaliana tanto sono interessanti.

Più vasto campo ha aperto al zelo di V. P. reverendis-sima il tomo III, ove a p. 88 e 90 si trovan dapprima duelunghissime note, le quali forse avran data occasione aqualche avaro associato di lamentarsi, che per esse glisia convenuto pagare qualche baiocco di più, non riflet-tendo che troppo bene sarebbe stata impiegata anche as-sai maggior somma, per fornirsi delle notizie che esse cisomministrano. Io osservando che s. Gregorio papa scri-ve al vescovo Eterio di avere in Roma cercate sollecita-

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mente le Opere di s. Ireneo da lui richiestegli, ma di nonaverle potute trovare, e che risponde ad Eulogio di Ales-sandria, il quale aveagli chiesta la Raccolta degli Atti de'Martiri fatta da Eusebio di Cesarea, ch'ei non sapeva cheEusebio avesse fatta cotal Raccolta, e che di tal argo-mento, trattone ciò che nelle altre sue opere avea Euse-bio inserito, solo qualche picciola cosa trovavasi unitain un sol volume; io dico, osservando ciò, ne avea de-dotto per conseguenza che mal provvedute di libri fosse-ro allora le biblioteche romane. Ma V. P. reverendissimaingegnosamente mi fa osservare che se que' vescoviavean chiesti al papa que' libri, dunque essi credevanoche le biblioteche romane fosser ben provvedute, e conciò Ella ha dimostrato che di fatto n'eran ricchissime,giacchè non può mai accadere che si creda una cosa, laqual non sia vera. Mi fa anche riflettere che ben vi eranole altre opere di Eusebio e che l'avere il pontefice solle-citamente cercate le Opere di s. Ireneo, ci dà a conosce-re che grande era la copia dei libri ch'erano allora inRoma; pruova a dir vero, convincentissima; giacchè chinon vede che il cercare sollecitamente non vuol già direcercare in molti luoghi, o da molte persone, ma che ne-cessariamente significa cercare fra una gran copia di li-bri?

Io innoltre, non ben intendendo il latino, avea credu-to, che dove il pontefice s. Martino I scrive al vescovo s.Amando scusandosi, se non poteva mandargli i richiesticodici, e allegandone per cagione che Codices jam exi-

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mente le Opere di s. Ireneo da lui richiestegli, ma di nonaverle potute trovare, e che risponde ad Eulogio di Ales-sandria, il quale aveagli chiesta la Raccolta degli Atti de'Martiri fatta da Eusebio di Cesarea, ch'ei non sapeva cheEusebio avesse fatta cotal Raccolta, e che di tal argo-mento, trattone ciò che nelle altre sue opere avea Euse-bio inserito, solo qualche picciola cosa trovavasi unitain un sol volume; io dico, osservando ciò, ne avea de-dotto per conseguenza che mal provvedute di libri fosse-ro allora le biblioteche romane. Ma V. P. reverendissimaingegnosamente mi fa osservare che se que' vescoviavean chiesti al papa que' libri, dunque essi credevanoche le biblioteche romane fosser ben provvedute, e conciò Ella ha dimostrato che di fatto n'eran ricchissime,giacchè non può mai accadere che si creda una cosa, laqual non sia vera. Mi fa anche riflettere che ben vi eranole altre opere di Eusebio e che l'avere il pontefice solle-citamente cercate le Opere di s. Ireneo, ci dà a conosce-re che grande era la copia dei libri ch'erano allora inRoma; pruova a dir vero, convincentissima; giacchè chinon vede che il cercare sollecitamente non vuol già direcercare in molti luoghi, o da molte persone, ma che ne-cessariamente significa cercare fra una gran copia di li-bri?

Io innoltre, non ben intendendo il latino, avea credu-to, che dove il pontefice s. Martino I scrive al vescovo s.Amando scusandosi, se non poteva mandargli i richiesticodici, e allegandone per cagione che Codices jam exi-

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naniti sunt a nostra Biblioteca, volesse dire che scarsoera il numero de' libri nella biblioteca della Chiesa ro-mana. Ma V. P. reverendissima mi fa intendere che ilsenso delle arrecate parole non è già quale io l'avea cre-duto; ma che significa che delle Opere da s. Amando ri-chieste non v'era che una copia sola, e che perciò il pon-tefice aggiugne che il messo del s. vescovo non aveaavuto tempo di trarne copia per la fretta che avea di par-tire da Roma. Dunque, ne riferisce Ella con ingegnosoraziocinio; eravi pure, ma solo una copia, di quelle nellaBiblioteca della Chiesa romana, giacchè come avrebbepotuto il pontefice permettere di copiarle, se niuna ven'era nella Biblioteca della Chiesa romana? Qualcheuom sofisticato ripiglierà forse che potevan quelle opereessere in qualche altra biblioteca di Roma, non in quelladella Chiesa romana, di cui io parlo. Ma dovea forse V.P. reverendissima gittare il tempo in rispondere a tai so-fismi? Ella ha fatto che Codices exinaniti sunt vuol direnon v'è più che una copia del tal libro?

Egli è pur vero che quando ci lasciamo occupar lamente da un pregiudizio, appena mai avviene chec'induciamo a deporlo. L'idea che io mi era fitta in capodell'universale ignoranza nel VII e nell'VIII secolo, mene ha fatto vedere in ogni parte le pruove che ora attesi ilumi da V. P. reverendissima comunicati al pubblico,svaniscono e si dileguano interamente. Una lettera dipapa Paolo I al re Pipino dell'anno 757, in cui gli scriveche mandagli quanti libri ha potuto raccogliere, e ne

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naniti sunt a nostra Biblioteca, volesse dire che scarsoera il numero de' libri nella biblioteca della Chiesa ro-mana. Ma V. P. reverendissima mi fa intendere che ilsenso delle arrecate parole non è già quale io l'avea cre-duto; ma che significa che delle Opere da s. Amando ri-chieste non v'era che una copia sola, e che perciò il pon-tefice aggiugne che il messo del s. vescovo non aveaavuto tempo di trarne copia per la fretta che avea di par-tire da Roma. Dunque, ne riferisce Ella con ingegnosoraziocinio; eravi pure, ma solo una copia, di quelle nellaBiblioteca della Chiesa romana, giacchè come avrebbepotuto il pontefice permettere di copiarle, se niuna ven'era nella Biblioteca della Chiesa romana? Qualcheuom sofisticato ripiglierà forse che potevan quelle opereessere in qualche altra biblioteca di Roma, non in quelladella Chiesa romana, di cui io parlo. Ma dovea forse V.P. reverendissima gittare il tempo in rispondere a tai so-fismi? Ella ha fatto che Codices exinaniti sunt vuol direnon v'è più che una copia del tal libro?

Egli è pur vero che quando ci lasciamo occupar lamente da un pregiudizio, appena mai avviene chec'induciamo a deporlo. L'idea che io mi era fitta in capodell'universale ignoranza nel VII e nell'VIII secolo, mene ha fatto vedere in ogni parte le pruove che ora attesi ilumi da V. P. reverendissima comunicati al pubblico,svaniscono e si dileguano interamente. Una lettera dipapa Paolo I al re Pipino dell'anno 757, in cui gli scriveche mandagli quanti libri ha potuto raccogliere, e ne

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soggiugne poscia il catalogo, il qual riducesi a un Anti-fonale e ad un Responsale, a una supposta Gramaticad'Aristotele, a' libri attribuiti a Dionigi areopagita, e auna Geometria, a una Ortografia, e ad una Gramatica, li-bri tutti scritti in greco, questa lettera, dice mi avea fattocredere che grande veramente allor fosse la scarsezzade' libri. Ma quanto son io ito lungi dal vero! Pipinoavea a cuore i libri attribuiti a S. Dionisio per la divo-zione che professava a quel S. Martire, e li volea scrittiin Greco, come anche volea altre opere composte inquella lingua. Così mi avverte V. P. reverendissima, checertamente avrà trovata la lettera dal re scritta al pontefi-ce a noi volgari uomini sconosciuta, e che ne avrà quin-di raccolto quai libri ei bramasse. Si corregga dunquequel passo della mia Storia; vi s'inseriscano le parole diV. P. reverendissima da me or riportate, e poi si aggiun-ga: e perciò il pontefice che avea una copiosissima bi-blioteca ne trasse, oltre le Opere di s. Dionigi, un Anti-fonale e una Responsale, tre libri di Geometria, di Or-tografia e di Gramatica, e un'altra Gramatica di Aristo-tele, e inviolli a Pipino scrivendogli che gli mandavatutto quello che avea potuto raccogliere.

Assai più grave è l'errore in cui sono poco appressocaduto, e che V. P. reverendissima corregge in questanota medesima. Il pontef. Agatone, ho io affermato,scrivendo nell'anno 680 agl'imperadori greci in occasio-ne del sesto general concilio, dice che manda ad esso isuoi Legati uomini di probità e di zelo, e che alla me-

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soggiugne poscia il catalogo, il qual riducesi a un Anti-fonale e ad un Responsale, a una supposta Gramaticad'Aristotele, a' libri attribuiti a Dionigi areopagita, e auna Geometria, a una Ortografia, e ad una Gramatica, li-bri tutti scritti in greco, questa lettera, dice mi avea fattocredere che grande veramente allor fosse la scarsezzade' libri. Ma quanto son io ito lungi dal vero! Pipinoavea a cuore i libri attribuiti a S. Dionisio per la divo-zione che professava a quel S. Martire, e li volea scrittiin Greco, come anche volea altre opere composte inquella lingua. Così mi avverte V. P. reverendissima, checertamente avrà trovata la lettera dal re scritta al pontefi-ce a noi volgari uomini sconosciuta, e che ne avrà quin-di raccolto quai libri ei bramasse. Si corregga dunquequel passo della mia Storia; vi s'inseriscano le parole diV. P. reverendissima da me or riportate, e poi si aggiun-ga: e perciò il pontefice che avea una copiosissima bi-blioteca ne trasse, oltre le Opere di s. Dionigi, un Anti-fonale e una Responsale, tre libri di Geometria, di Or-tografia e di Gramatica, e un'altra Gramatica di Aristo-tele, e inviolli a Pipino scrivendogli che gli mandavatutto quello che avea potuto raccogliere.

Assai più grave è l'errore in cui sono poco appressocaduto, e che V. P. reverendissima corregge in questanota medesima. Il pontef. Agatone, ho io affermato,scrivendo nell'anno 680 agl'imperadori greci in occasio-ne del sesto general concilio, dice che manda ad esso isuoi Legati uomini di probità e di zelo, e che alla me-

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diocrità della loro scienza supplivano col conservareintatta e pura la tradizion de' maggiori. Ma come maiho io potuto scriver tal cosa, se anzi il pontefice ricono-sce ne' suoi legati, come mi fa osservare V. P. reveren-dissima, una abbondante Scienza την περισσευουσην ἐιςαὐτους ἔιδησιν abundantem in eis scientiam? Io ho volu-to esaminare qual origine potesse aver avuta il mio erro-re; e ho presa perciò tra le mani la Collezione de' Conci-lj; e ho di fatti conosciuto in qual modo io mi sia ingan-nato. Nel testo greco si legge così: ουκ ἔνεκεν παῥῥεσίαςτὴν εἰς αὐτσὺς περισσευούσης εἰδησιως. Delle quali pa-role V. P. reverendissima, per amore di brevità, ha om-messe le prime. Io che non son greco di nascita, e chenel greco non son dottissimo, ho creduto che οὐκ signi-ficasse non, e che perciò quelle parole si dovesser cosìtradurre: non pro confidentia eorum superabundantisscientiae, e dovessero intendersi in questo senso che ilpapa non si confidava già nella loro scienza, come seessa fosse soprabbondante e vastissima, ma nella since-rità della loro Fede e nel loro zelo nel custodire le anti-che tradizioni, e tutto il contesto parevami che richie-desse una tale spiegazione: perciocchè il papa soggiu-gne: Nam apud homines, qui sunt in medio gentium, etex labore corporis cum magna dubitatione victum quæ-runt, quomodo plene inveniri poterit scientia Scriptura-rum? Ove io credeva che scientia Scripturarum volessedire scienza della sacra Scrittura. Ma V. P. reverendissi-ma, che nell'erudizion greca mi può essere maestra, avràforse scoperto che οὐκ non è particola negativa, come

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diocrità della loro scienza supplivano col conservareintatta e pura la tradizion de' maggiori. Ma come maiho io potuto scriver tal cosa, se anzi il pontefice ricono-sce ne' suoi legati, come mi fa osservare V. P. reveren-dissima, una abbondante Scienza την περισσευουσην ἐιςαὐτους ἔιδησιν abundantem in eis scientiam? Io ho volu-to esaminare qual origine potesse aver avuta il mio erro-re; e ho presa perciò tra le mani la Collezione de' Conci-lj; e ho di fatti conosciuto in qual modo io mi sia ingan-nato. Nel testo greco si legge così: ουκ ἔνεκεν παῥῥεσίαςτὴν εἰς αὐτσὺς περισσευούσης εἰδησιως. Delle quali pa-role V. P. reverendissima, per amore di brevità, ha om-messe le prime. Io che non son greco di nascita, e chenel greco non son dottissimo, ho creduto che οὐκ signi-ficasse non, e che perciò quelle parole si dovesser cosìtradurre: non pro confidentia eorum superabundantisscientiae, e dovessero intendersi in questo senso che ilpapa non si confidava già nella loro scienza, come seessa fosse soprabbondante e vastissima, ma nella since-rità della loro Fede e nel loro zelo nel custodire le anti-che tradizioni, e tutto il contesto parevami che richie-desse una tale spiegazione: perciocchè il papa soggiu-gne: Nam apud homines, qui sunt in medio gentium, etex labore corporis cum magna dubitatione victum quæ-runt, quomodo plene inveniri poterit scientia Scriptura-rum? Ove io credeva che scientia Scripturarum volessedire scienza della sacra Scrittura. Ma V. P. reverendissi-ma, che nell'erudizion greca mi può essere maestra, avràforse scoperto che οὐκ non è particola negativa, come

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noi ignoranti crediamo, ma affermativa e che scientiaScripturarum non vuol già dire ciò ch'io avea immagi-nato, la scienza delle sacre Scritture; ma che significa,com'ella dice, la teologia congiunta coll'eloquenza.Come poteva io mai da me stesso arrivare a spiegazionicotanto sublimi? E come poteva io mai immaginarmiche ad intendere il vero senso di un testo, convenisseommetterne le prime parole?

Due noterelle aggiunte da V. P. reverendissima allapag. 169 e 174, ov'io accenno i pontefici che nel X seco-lo coi lor costumi mostraronsi indegni di quella sede cheoccupavano, non fanno che citare il card. Baronio, ecome questi narra più a lungo ciò ch'io non ho che bre-vemente accennato, così io debbo renderle grazie checolla testimonianza di sì illustre scrittore abbia volutoconfermare il mio detto.

V. P. reverendissima mossa dall'ardente suo zelo perla Chiesa romana, di cui ha sempre date sì chiare pruo-ve, si sente penetrar da giusto dolore ogni qual volta sifa menzione dell'ignoranza che anche in Roma trovavasinel X secolo. E perchè io tanto meno zelante di V. P. re-verendissima nell'accennare le invettive di un conciliodi Rheims contro una tale ignoranza, ho detto che sem-bra ch'esse fossero suggerite dall'astio contro la Chiesaromana, quel sembra le par troppo modesto, e vuol chesi dica che scorgesi manifestamente. E ognuno ben vededi qual importanza sia un tal cambiamento.

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noi ignoranti crediamo, ma affermativa e che scientiaScripturarum non vuol già dire ciò ch'io avea immagi-nato, la scienza delle sacre Scritture; ma che significa,com'ella dice, la teologia congiunta coll'eloquenza.Come poteva io mai da me stesso arrivare a spiegazionicotanto sublimi? E come poteva io mai immaginarmiche ad intendere il vero senso di un testo, convenisseommetterne le prime parole?

Due noterelle aggiunte da V. P. reverendissima allapag. 169 e 174, ov'io accenno i pontefici che nel X seco-lo coi lor costumi mostraronsi indegni di quella sede cheoccupavano, non fanno che citare il card. Baronio, ecome questi narra più a lungo ciò ch'io non ho che bre-vemente accennato, così io debbo renderle grazie checolla testimonianza di sì illustre scrittore abbia volutoconfermare il mio detto.

V. P. reverendissima mossa dall'ardente suo zelo perla Chiesa romana, di cui ha sempre date sì chiare pruo-ve, si sente penetrar da giusto dolore ogni qual volta sifa menzione dell'ignoranza che anche in Roma trovavasinel X secolo. E perchè io tanto meno zelante di V. P. re-verendissima nell'accennare le invettive di un conciliodi Rheims contro una tale ignoranza, ho detto che sem-bra ch'esse fossero suggerite dall'astio contro la Chiesaromana, quel sembra le par troppo modesto, e vuol chesi dica che scorgesi manifestamente. E ognuno ben vededi qual importanza sia un tal cambiamento.

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Rimangono due altre note da osservarsi in questo ter-zo tomo a pag. 232 e 233. Nella prima avendo io dettoche Ottone III fece innalzare Gerberto alla sede arcive-scovil di Ravenna, V. P. reverendissima mi correggeamorevolmente, e mi avverte che il pontef. Gregorio Vfu quegli che innalzò Gerberto, dopo che questi si pentìde' suoi trascorsi, all'arcivescovato di Ravenna. Io laprego a render compite le sue beneficenze in mio favo-re, e a spiegarmi se il dire che Ottone fece innalzareGerberto a quell'arcivescovado sia contrario al dire cheGregorio ve lo innalzò. E così pure la prego a indicarmiper qual ragione abbia Ella nella seguente nota avvertitoche il card. Bennone era scismatico, e che fu calunniosal'accusa della magia da lui apposta a Silvestro II. A mepareva di aver detto lo stesso. Ma V. P. reverendissimaha occhi troppo più penetranti de' miei, per iscorgerl'errore ove io non giungo a ravvisarlo, e mi lusingo per-ciò che vorrà compiacersi di farmi conoscere la gravitàdel mio fallo, acciocchè io possa piangerlo e detestarlosinceramente.

Passiamo al tomo IV, sul cui principio V. P. reveren-dissima si degna di ammaestrarmi nelle leggi della buo-na critica. Io ho riferito (p. 7) l'elogio che di Federigo IIfa l'ab. Denina, perchè a me era sembrato ch'ei ne avessein breve adombrati i pregi insieme e i difetti. Ella perciòmi ricorda che voglionsi all'ab. Denina preferire i con-temporanei che ne formarono un carattere affatto diver-so. Il canone di critica non può esser più giusto. Io ne

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Rimangono due altre note da osservarsi in questo ter-zo tomo a pag. 232 e 233. Nella prima avendo io dettoche Ottone III fece innalzare Gerberto alla sede arcive-scovil di Ravenna, V. P. reverendissima mi correggeamorevolmente, e mi avverte che il pontef. Gregorio Vfu quegli che innalzò Gerberto, dopo che questi si pentìde' suoi trascorsi, all'arcivescovato di Ravenna. Io laprego a render compite le sue beneficenze in mio favo-re, e a spiegarmi se il dire che Ottone fece innalzareGerberto a quell'arcivescovado sia contrario al dire cheGregorio ve lo innalzò. E così pure la prego a indicarmiper qual ragione abbia Ella nella seguente nota avvertitoche il card. Bennone era scismatico, e che fu calunniosal'accusa della magia da lui apposta a Silvestro II. A mepareva di aver detto lo stesso. Ma V. P. reverendissimaha occhi troppo più penetranti de' miei, per iscorgerl'errore ove io non giungo a ravvisarlo, e mi lusingo per-ciò che vorrà compiacersi di farmi conoscere la gravitàdel mio fallo, acciocchè io possa piangerlo e detestarlosinceramente.

Passiamo al tomo IV, sul cui principio V. P. reveren-dissima si degna di ammaestrarmi nelle leggi della buo-na critica. Io ho riferito (p. 7) l'elogio che di Federigo IIfa l'ab. Denina, perchè a me era sembrato ch'ei ne avessein breve adombrati i pregi insieme e i difetti. Ella perciòmi ricorda che voglionsi all'ab. Denina preferire i con-temporanei che ne formarono un carattere affatto diver-so. Il canone di critica non può esser più giusto. Io ne

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profitterò dunque, e in un'altra edizione della mia Storiaio trarrò il caratter di Federigo da ciò che ne hanno scrit-to i suoi contemporanei Pier delle Vigne e Niccolò diJamsilla. Ma non parmi che sian questi gli autori de'quali Ella vuol che mi giovi, ed è verisimile ch'Ella glirigetti come troppo parziali, benchè contemporanei diFederigo. Veggo di fatto che V. P. reverendissima misuggerisce di ricavare il carattere di Federigo da unoscrittore imparziale, cioè da una lettera di Gregorio IXscritta al medesimo imperadore, e pubblicata dal Lami.Ho ubbidito a' suoi comandi, e l'ho letta; ma le confessoche, oltre qualche dubbio che mi è nato sulla legittimitàdi quel documento, io non vi ho trovata cosa che si op-ponga a ciò che ne ha detto l'ab. Denina, e ai pregich'egli ha in lui ravvisati, che sono la politica, il valormilitare, l'attività, l'accortezza, la severità negli ordinidella giustizia. Ma forse mi sarà sfuggito qualche passodi quella lettera, in cui il pontefice gli avrà provato ch'einon era nè politico, nè valoroso, nè attivo, nè severo ne-gli ordini della giustizia.

Il zelo di V. P. reverendissima non si contiene solonella difesa de' dommi della cattolica Religione, ma sistende ancora, come da Lei richiede l'eminente carica acui è sollevata, a mantenere intatti i diritti del temporalprincipato. Quindi avendo io detto a p. 11, che gli Esten-si signoreggiavano in Ferrara, Ella avverte ch'essi la te-nevano in feudo dalla s. Sede. E poco appresso, ove ioaccenno a p. 13 che i romani pontefici aveano il lor pro-

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profitterò dunque, e in un'altra edizione della mia Storiaio trarrò il caratter di Federigo da ciò che ne hanno scrit-to i suoi contemporanei Pier delle Vigne e Niccolò diJamsilla. Ma non parmi che sian questi gli autori de'quali Ella vuol che mi giovi, ed è verisimile ch'Ella glirigetti come troppo parziali, benchè contemporanei diFederigo. Veggo di fatto che V. P. reverendissima misuggerisce di ricavare il carattere di Federigo da unoscrittore imparziale, cioè da una lettera di Gregorio IXscritta al medesimo imperadore, e pubblicata dal Lami.Ho ubbidito a' suoi comandi, e l'ho letta; ma le confessoche, oltre qualche dubbio che mi è nato sulla legittimitàdi quel documento, io non vi ho trovata cosa che si op-ponga a ciò che ne ha detto l'ab. Denina, e ai pregich'egli ha in lui ravvisati, che sono la politica, il valormilitare, l'attività, l'accortezza, la severità negli ordinidella giustizia. Ma forse mi sarà sfuggito qualche passodi quella lettera, in cui il pontefice gli avrà provato ch'einon era nè politico, nè valoroso, nè attivo, nè severo ne-gli ordini della giustizia.

Il zelo di V. P. reverendissima non si contiene solonella difesa de' dommi della cattolica Religione, ma sistende ancora, come da Lei richiede l'eminente carica acui è sollevata, a mantenere intatti i diritti del temporalprincipato. Quindi avendo io detto a p. 11, che gli Esten-si signoreggiavano in Ferrara, Ella avverte ch'essi la te-nevano in feudo dalla s. Sede. E poco appresso, ove ioaccenno a p. 13 che i romani pontefici aveano il lor pro-

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prio Stato per le donazioni de' Cesari, Ella ci dà l'impor-tante notizia che il card. Orsi ha spiegato quali parti del-lo Stato pontificio avessero i papi per donazione de'principi, e quali no. Così pure al t. V, p. 3, ripete nuova-mente la dipendenza degli Estensi da' papi riguardo aFerrara, e accenna che da essi pure aveano ricevuto illoro dominio i Polentani, gli Ordelaffi, i Malatesti, co'quali però io non arrivo ad intendere come V. P. reveren-dissima congiunga i Correggeschi, de' quali io non aveafinor saputo che fosser vassalli della Sede apostolica. Etanto si compiace Ella nel ricordare che gli Estensiavean Ferrara dal papa, che ne fa di nuovo menzionenello stesso t. V a p. 8. Nè ciò ancora le basta: al t. VII,par. I, p. 7, accenna i giusti motivi ch'ebbero Giulio II,Leon X e Clemente VII di esser poco favorevoli ad Al-fonso I, duca di Ferrara, e cita il Rinaldi, forse comescrittore contemporaneo ed imparziale, all'anno 1510, efinalmente a p. 8 prende a giustificare Clemente VIIIche privò il duca Cesare del ducato di Ferrara; e a pro-vare quanto fosse in ciò ragionevole e giusto, ne porta lepiù convincenti pruove che portar si potessero, cioè leBolle dello stesso Clemente, le quali non può negarsiche sieno contemporanee. Se il mio antecessor Muratoriinvece di avere a suo avversario monsig. Fontaniniavesse avuta la V. P. reverendissima, Ella certo conquelle Bolle alla mano l'avrebbe presto ridotto al silen-zio. Perciò in una nuova edizione della mia Storia (sepure l'avarizia dello stampatore mi permetterà di aggiu-gnervi le eruditissime sue annotazioni), a quest'ultima,

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prio Stato per le donazioni de' Cesari, Ella ci dà l'impor-tante notizia che il card. Orsi ha spiegato quali parti del-lo Stato pontificio avessero i papi per donazione de'principi, e quali no. Così pure al t. V, p. 3, ripete nuova-mente la dipendenza degli Estensi da' papi riguardo aFerrara, e accenna che da essi pure aveano ricevuto illoro dominio i Polentani, gli Ordelaffi, i Malatesti, co'quali però io non arrivo ad intendere come V. P. reveren-dissima congiunga i Correggeschi, de' quali io non aveafinor saputo che fosser vassalli della Sede apostolica. Etanto si compiace Ella nel ricordare che gli Estensiavean Ferrara dal papa, che ne fa di nuovo menzionenello stesso t. V a p. 8. Nè ciò ancora le basta: al t. VII,par. I, p. 7, accenna i giusti motivi ch'ebbero Giulio II,Leon X e Clemente VII di esser poco favorevoli ad Al-fonso I, duca di Ferrara, e cita il Rinaldi, forse comescrittore contemporaneo ed imparziale, all'anno 1510, efinalmente a p. 8 prende a giustificare Clemente VIIIche privò il duca Cesare del ducato di Ferrara; e a pro-vare quanto fosse in ciò ragionevole e giusto, ne porta lepiù convincenti pruove che portar si potessero, cioè leBolle dello stesso Clemente, le quali non può negarsiche sieno contemporanee. Se il mio antecessor Muratoriinvece di avere a suo avversario monsig. Fontaniniavesse avuta la V. P. reverendissima, Ella certo conquelle Bolle alla mano l'avrebbe presto ridotto al silen-zio. Perciò in una nuova edizione della mia Storia (sepure l'avarizia dello stampatore mi permetterà di aggiu-gnervi le eruditissime sue annotazioni), a quest'ultima,

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ove Ella accenna le Bolle di Clemente VIII, io accioc-chè il trionfo sia più solenne collo scoprire la debolezzadegli argomenti contrarj, aggiugnerò un'altra citazione,cioè: V. anche Muratori Antichità Estensi par. 11, c. 14.Ma torniamo al t. IV, da cui ci siamo per poco allontana-ti.

Parlando di Pier delle Vigne a p. 20, ho riferito unpasso dello storico Rolandino che il dice uomo fornitodi molta letteratura sacra e profana. Benchè questi siauno storico contemporaneo, V. P. reverendissima non nevuol questa volta ammettere la testimonianza; e ben conragione, perchè Ella, con un apparato maraviglioso diteologica erudizione, mostra che Pier delle Vigne sapevapoco di teologia, avendo egli avuto ardire di sostenereche non doveasi far conto alcuno di una ingiusta scomu-nica. E come è possibile che sia uomo fornito di sacraletteratura chi sostiene sì mostruosa opinione? Io sonocosì persuaso delle ragioni di V. P. reverendissima, cheal primo corriere che parta per l'altro mondo voglio con-segnare una lettera pel buon Rolandino, avvertendolo acancellare dalla sua Storia quel passo che V. P. reveren-dissima ha riprovato, e a non credere che Pier delle Vi-gne fosse uomo versato nella sacra letteratura.

Ma io che voglio indurre altri a correggere le opereloro, debbo prima pensare a corregger le mie. Fra lecose che ci mostran la barbarie de' bassi secoli, io ho ac-cennato a p. 38 l'uso allor frequente in Italia d'imporreper gastigo la cessazione de' pubblici Studj, e di sotto-

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ove Ella accenna le Bolle di Clemente VIII, io accioc-chè il trionfo sia più solenne collo scoprire la debolezzadegli argomenti contrarj, aggiugnerò un'altra citazione,cioè: V. anche Muratori Antichità Estensi par. 11, c. 14.Ma torniamo al t. IV, da cui ci siamo per poco allontana-ti.

Parlando di Pier delle Vigne a p. 20, ho riferito unpasso dello storico Rolandino che il dice uomo fornitodi molta letteratura sacra e profana. Benchè questi siauno storico contemporaneo, V. P. reverendissima non nevuol questa volta ammettere la testimonianza; e ben conragione, perchè Ella, con un apparato maraviglioso diteologica erudizione, mostra che Pier delle Vigne sapevapoco di teologia, avendo egli avuto ardire di sostenereche non doveasi far conto alcuno di una ingiusta scomu-nica. E come è possibile che sia uomo fornito di sacraletteratura chi sostiene sì mostruosa opinione? Io sonocosì persuaso delle ragioni di V. P. reverendissima, cheal primo corriere che parta per l'altro mondo voglio con-segnare una lettera pel buon Rolandino, avvertendolo acancellare dalla sua Storia quel passo che V. P. reveren-dissima ha riprovato, e a non credere che Pier delle Vi-gne fosse uomo versato nella sacra letteratura.

Ma io che voglio indurre altri a correggere le opereloro, debbo prima pensare a corregger le mie. Fra lecose che ci mostran la barbarie de' bassi secoli, io ho ac-cennato a p. 38 l'uso allor frequente in Italia d'imporreper gastigo la cessazione de' pubblici Studj, e di sotto-

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porre le scuole, non altrimente che se fossero cose sacre,all'ecclesiastico interdetto. In ciò io ho mancato, comeV. P. reverendissima mi fa conoscere, per ignoranza distoria e per ignoranza di Diritto canonico. Di storia, per-chè il silenzio alle università fu imposto per le ree dot-trine che sostenevano: di Diritto canonico, perchè anchea un corpo non sacro si può stendere l'interdetto. Io dun-que in un'altra edizione correggerò questo passo, e re-cherò i fatti medesimi a mostrare il buon gusto che allorregnava; dirò che le università, costrette a tacere, eranoinfette di ereticali dottrine (ma converrà ch'Ella si com-piaccia di somministrarmene le pruove che a me non èstato possibile il rinvenirle), e dirò che quando si fulmi-na l'interdetto sopra una città, anche le scuole si debbo-no chiudere, e che sono in ciò d'accordo, come Ella miinsegna, tutti i Teologi e i Canonisti anche di questo se-colo, che si spaccia per illuminato.

Quel giusto sdegno che ha animato poc'anzi V. P. re-verendissima contro Federigo II, la accende poco ap-presso contro l'illegittimo di lui figlio Manfredi, e per-chè io a p. 60 ho scritto ch'egli ebbe sempre contraria lacorte di Roma, Ella fa osservare che non l'ebbe contra-ria in quel che conveniva, e con ciò distrugge del tuttociò ch'io ho affermato, e previene le ree conseguenzeche dal mio detto si potrebbon dedurre.

Le ultime due note di questo tomo, a p. 224 e 227,son dirette a giustificar la memoria di f. Giovanni da Vi-cenza da me imprudentemente accusato di essersi la-

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porre le scuole, non altrimente che se fossero cose sacre,all'ecclesiastico interdetto. In ciò io ho mancato, comeV. P. reverendissima mi fa conoscere, per ignoranza distoria e per ignoranza di Diritto canonico. Di storia, per-chè il silenzio alle università fu imposto per le ree dot-trine che sostenevano: di Diritto canonico, perchè anchea un corpo non sacro si può stendere l'interdetto. Io dun-que in un'altra edizione correggerò questo passo, e re-cherò i fatti medesimi a mostrare il buon gusto che allorregnava; dirò che le università, costrette a tacere, eranoinfette di ereticali dottrine (ma converrà ch'Ella si com-piaccia di somministrarmene le pruove che a me non èstato possibile il rinvenirle), e dirò che quando si fulmi-na l'interdetto sopra una città, anche le scuole si debbo-no chiudere, e che sono in ciò d'accordo, come Ella miinsegna, tutti i Teologi e i Canonisti anche di questo se-colo, che si spaccia per illuminato.

Quel giusto sdegno che ha animato poc'anzi V. P. re-verendissima contro Federigo II, la accende poco ap-presso contro l'illegittimo di lui figlio Manfredi, e per-chè io a p. 60 ho scritto ch'egli ebbe sempre contraria lacorte di Roma, Ella fa osservare che non l'ebbe contra-ria in quel che conveniva, e con ciò distrugge del tuttociò ch'io ho affermato, e previene le ree conseguenzeche dal mio detto si potrebbon dedurre.

Le ultime due note di questo tomo, a p. 224 e 227,son dirette a giustificar la memoria di f. Giovanni da Vi-cenza da me imprudentemente accusato di essersi la-

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sciato sedurre alquanto dall'ambizione nel cercare, onell'accettare la carica di podestà in Verona, e vuole chein questo luogo non si creda agli storici contemporanei,ma a' Brevi dei romani pontefici, che lo suppongonoesente da ogni macchia. E io ben mi lusingo che niunosarà più in avvenire, che in faccia a tali testimonianzeardisca di dubitare dell'umiltà e dell'innocenza di f. Gio-vanni.

Non son molte le note che V. P. reverendissima si èdegnata di aggiugnere al t. V della mia Storia, ma essesono sì importanti (se traggasene quella a pag. 15, oveparlando io del funesto scisma d'Occidente, Ella riman-da i miei lettori a s. Antonino e al Rinaldi), che meritanoche io, per attestarle la sincera mia riconoscenza, sopraesse trattengami alquanto.

Parlando di Cecco d'Ascoli a pag. 180, ho detto che lavera ragione della infelice morte di esso furon gli errorich'egli nella sua Opera astrologica avea insegnati, ben-chè probabilmente l'invidia di Dino del Garbo vi avessenon picciola parte; e poco appresso ho aggiunto chel'invidia ebbe non picciola parte nella condanna diquell'infelice astrologo, e ch'egli non sarebbe sì misera-mente perito, se non avesse avuti potenti nemici checongiurarono a' suoi danni. A questi miei detti, io nonveggo, esclama il zelo di V. P. reverendissima, per qualmotivo si abbia ad attribuire all'astio e all'invidia ciò,che può ragionevolmente essere riputato effetto di zelo;e poscia: non so, come senza far ingiuria a' giudici Ec-

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sciato sedurre alquanto dall'ambizione nel cercare, onell'accettare la carica di podestà in Verona, e vuole chein questo luogo non si creda agli storici contemporanei,ma a' Brevi dei romani pontefici, che lo suppongonoesente da ogni macchia. E io ben mi lusingo che niunosarà più in avvenire, che in faccia a tali testimonianzeardisca di dubitare dell'umiltà e dell'innocenza di f. Gio-vanni.

Non son molte le note che V. P. reverendissima si èdegnata di aggiugnere al t. V della mia Storia, ma essesono sì importanti (se traggasene quella a pag. 15, oveparlando io del funesto scisma d'Occidente, Ella riman-da i miei lettori a s. Antonino e al Rinaldi), che meritanoche io, per attestarle la sincera mia riconoscenza, sopraesse trattengami alquanto.

Parlando di Cecco d'Ascoli a pag. 180, ho detto che lavera ragione della infelice morte di esso furon gli errorich'egli nella sua Opera astrologica avea insegnati, ben-chè probabilmente l'invidia di Dino del Garbo vi avessenon picciola parte; e poco appresso ho aggiunto chel'invidia ebbe non picciola parte nella condanna diquell'infelice astrologo, e ch'egli non sarebbe sì misera-mente perito, se non avesse avuti potenti nemici checongiurarono a' suoi danni. A questi miei detti, io nonveggo, esclama il zelo di V. P. reverendissima, per qualmotivo si abbia ad attribuire all'astio e all'invidia ciò,che può ragionevolmente essere riputato effetto di zelo;e poscia: non so, come senza far ingiuria a' giudici Ec-

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clesiastici si possa pretendere, ch'eglino condannandoCecco si sieno lasciati trasportare piuttosto dall'impe-gno de' di lui nemici, che dall'amore del giusto e delvero. E ripete quindi ciò che degli errori di Cecco hodetto io pure. Io debbo qui confessare la mia irriflessio-ne. Se io avessi avuto presente all'animo il sincero e co-stante impegno di V. P. reverendissima nella difesa dellacattolica Religione, se mi fossi ricordato quanto rettisieno sempre stati i suoi giudizj, quanto uniforme e nonmai variata dalle circostanze de' tempi la sua dottrina,quanto scevro ed esente da ogni privata ed umana pas-sione il suo cuore, quanto per ogni parte irriprensibile lasua condotta, ne avrei tratto per conseguenza che, qualeElla è, tali pur fossero a' tempi di Cecco i giudici dellaFede. Ma io non vi ho posta mente, e ho buonamentecreduto che gl'inquisitori potessero essi ancora, essendopur uomini come gli altri, lasciarsi ingannare da ben or-dite calunnie. Ciò che in questo mio errore mi è di qual-che conforto, si è che ho in esso compagno un papa, e,ciò ch'è più, un papa domenicano, e un papa sollevatoagli onori de' beati. I Padovani e i Vicentini, dice il ch.sig. ab. Marini in un'opera che porta in fronte l'approva-zione del p. maestro del s. Palazzo, ricorsero a Benedet-to XI dolendosi della facilità di dannar come eretichepersone, che non lo erano se non nella malignità degliaccusatori. Per la qual cosa scrisse il Pontefice agli 11di marzo del 1304 agl'Inquisitori di que' Popoli, che an-nullassero alcuni Processi iniqui, punissero la menzo-gna, et officium sic exercere studeant, ut ad Nos de tali-

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clesiastici si possa pretendere, ch'eglino condannandoCecco si sieno lasciati trasportare piuttosto dall'impe-gno de' di lui nemici, che dall'amore del giusto e delvero. E ripete quindi ciò che degli errori di Cecco hodetto io pure. Io debbo qui confessare la mia irriflessio-ne. Se io avessi avuto presente all'animo il sincero e co-stante impegno di V. P. reverendissima nella difesa dellacattolica Religione, se mi fossi ricordato quanto rettisieno sempre stati i suoi giudizj, quanto uniforme e nonmai variata dalle circostanze de' tempi la sua dottrina,quanto scevro ed esente da ogni privata ed umana pas-sione il suo cuore, quanto per ogni parte irriprensibile lasua condotta, ne avrei tratto per conseguenza che, qualeElla è, tali pur fossero a' tempi di Cecco i giudici dellaFede. Ma io non vi ho posta mente, e ho buonamentecreduto che gl'inquisitori potessero essi ancora, essendopur uomini come gli altri, lasciarsi ingannare da ben or-dite calunnie. Ciò che in questo mio errore mi è di qual-che conforto, si è che ho in esso compagno un papa, e,ciò ch'è più, un papa domenicano, e un papa sollevatoagli onori de' beati. I Padovani e i Vicentini, dice il ch.sig. ab. Marini in un'opera che porta in fronte l'approva-zione del p. maestro del s. Palazzo, ricorsero a Benedet-to XI dolendosi della facilità di dannar come eretichepersone, che non lo erano se non nella malignità degliaccusatori. Per la qual cosa scrisse il Pontefice agli 11di marzo del 1304 agl'Inquisitori di que' Popoli, che an-nullassero alcuni Processi iniqui, punissero la menzo-gna, et officium sic exercere studeant, ut ad Nos de tali-

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bus clamor ulterius non ascendat (Degli Archiatri pon-tif. t. 1, p. 30, ec.).

Piena d'erudizione è un'altra nota a p. 412, ov'Ella os-serva primieramente che il Cantico del b. Jacopone daTodi, che incomincia Piange la Chiesa, non pare che siastato composto contro il pontef. Bonifacio VIII, perchènol nomina; della quale osservazione molto le sarannotenuti i lettori della mia Storia; e poi si fa seriamente amostrare la falsità di un racconto ch'io non avea accen-nato che come una semplice popolar tradizione. Io po-trei proporle qualche dubbio su ciò, e pregarla a vederegli antichi scrittori citati dal Muratori, che affermanoche Bonifacio morì in carcere, ossia chiuso come prigio-ne nelle sue camere. Ma poichè io non ho fatto su talcircostanza alcun fondamento, non voglio con una inuti-le discussione toglierle parte del tempo ch'Ella a comunvantaggio impiega tanto lodevolmente.

Io sono stato finora sì docile alle correzioni e agli av-visi di V. P. reverendissima, che mi lusingo di avere col-la mia sommisione intenerito il pietoso suo cuore. Maverso la fine di questo tomo io mi veggo due volte toc-cato in un punto, per cui le confesso che sono un po' fa-cile a risentirmi. Il Petrarca è il mio eroe, e, direi quasi,se non temessi che V. P. reverendissima ne inorridisse, ilmio idolo, come Ella avrà ben conosciuto leggendo ciòch'io ne ho scritto. Io veggo ch'Ella ne sente diversa-mente; e non me ne maraviglio, perchè il carattere di V.P. reverendissima è troppo diverso da quel del Petrarca.

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bus clamor ulterius non ascendat (Degli Archiatri pon-tif. t. 1, p. 30, ec.).

Piena d'erudizione è un'altra nota a p. 412, ov'Ella os-serva primieramente che il Cantico del b. Jacopone daTodi, che incomincia Piange la Chiesa, non pare che siastato composto contro il pontef. Bonifacio VIII, perchènol nomina; della quale osservazione molto le sarannotenuti i lettori della mia Storia; e poi si fa seriamente amostrare la falsità di un racconto ch'io non avea accen-nato che come una semplice popolar tradizione. Io po-trei proporle qualche dubbio su ciò, e pregarla a vederegli antichi scrittori citati dal Muratori, che affermanoche Bonifacio morì in carcere, ossia chiuso come prigio-ne nelle sue camere. Ma poichè io non ho fatto su talcircostanza alcun fondamento, non voglio con una inuti-le discussione toglierle parte del tempo ch'Ella a comunvantaggio impiega tanto lodevolmente.

Io sono stato finora sì docile alle correzioni e agli av-visi di V. P. reverendissima, che mi lusingo di avere col-la mia sommisione intenerito il pietoso suo cuore. Maverso la fine di questo tomo io mi veggo due volte toc-cato in un punto, per cui le confesso che sono un po' fa-cile a risentirmi. Il Petrarca è il mio eroe, e, direi quasi,se non temessi che V. P. reverendissima ne inorridisse, ilmio idolo, come Ella avrà ben conosciuto leggendo ciòch'io ne ho scritto. Io veggo ch'Ella ne sente diversa-mente; e non me ne maraviglio, perchè il carattere di V.P. reverendissima è troppo diverso da quel del Petrarca.

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Prestando fede allo stesso Petrarca (Senil. l. 1, ep. 3), ioho scritto a pag. 465 che Innocenzo VI si era lasciatopersuadere che essendo egli poeta, dovess'essere sospet-to di magia, e che perciò su' principj del suo pontificatomostrossi poco a lui favorevole. Ella che delle cose delsecolo XIV ci può istruire meglio assai del Petrarca, ciassicura che Innocenzo VI non era poi uomo sì rozzo aconfondere la poesia colla magia; e ne porta una convin-centissima pruova, cioè ch'egli era stato professor dileggi in Tolosa, e che avea sostenute altre onorevoli ca-riche. Anzi penetrando nella mente di quel pontefice,Ella ci addita due forti motivi, pe' quali Innocenzo nonamava ne' primi anni il Petrarca. E il primo si è il sonet-to da lui fatto in lode di Cecco d'Ascoli, mentovatopoc'anzi. Ma sa Ella V. P. reverendissima, che Innocen-zo VI, francese di nascita, giureconsulto di professione,avesse mai letto quel sonetto? Sa Ella che cosa dicessein esso il Petrarca? Esso non è stampato, e non ne è notoche il primo verso, cioè: Tu se' il grande Ascolan, che ilmondo allumi, parole che potevansi intendere della dot-trina di Cecco, prescindendo dagli errori in cui era cadu-to. Certo non è possibile che il Petrarca volesse con essolodare la astrologia giudiciaria, di cui egli fu il più di-chiarato nimico 99. Come dunque può ella affermare cheper quel sonetto Innocenzo VI non credesse degno dellasua protezione il Petrarca? Più forte è l'altro motivo,cioè la scostumatezza in cui il Petrarca era vissuto. Ma

99 Veggasi intorno a ciò il t. 5, p. 209 della presente edizione.

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Prestando fede allo stesso Petrarca (Senil. l. 1, ep. 3), ioho scritto a pag. 465 che Innocenzo VI si era lasciatopersuadere che essendo egli poeta, dovess'essere sospet-to di magia, e che perciò su' principj del suo pontificatomostrossi poco a lui favorevole. Ella che delle cose delsecolo XIV ci può istruire meglio assai del Petrarca, ciassicura che Innocenzo VI non era poi uomo sì rozzo aconfondere la poesia colla magia; e ne porta una convin-centissima pruova, cioè ch'egli era stato professor dileggi in Tolosa, e che avea sostenute altre onorevoli ca-riche. Anzi penetrando nella mente di quel pontefice,Ella ci addita due forti motivi, pe' quali Innocenzo nonamava ne' primi anni il Petrarca. E il primo si è il sonet-to da lui fatto in lode di Cecco d'Ascoli, mentovatopoc'anzi. Ma sa Ella V. P. reverendissima, che Innocen-zo VI, francese di nascita, giureconsulto di professione,avesse mai letto quel sonetto? Sa Ella che cosa dicessein esso il Petrarca? Esso non è stampato, e non ne è notoche il primo verso, cioè: Tu se' il grande Ascolan, che ilmondo allumi, parole che potevansi intendere della dot-trina di Cecco, prescindendo dagli errori in cui era cadu-to. Certo non è possibile che il Petrarca volesse con essolodare la astrologia giudiciaria, di cui egli fu il più di-chiarato nimico 99. Come dunque può ella affermare cheper quel sonetto Innocenzo VI non credesse degno dellasua protezione il Petrarca? Più forte è l'altro motivo,cioè la scostumatezza in cui il Petrarca era vissuto. Ma

99 Veggasi intorno a ciò il t. 5, p. 209 della presente edizione.

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di grazia, Padre reverendissimo, un po' di pietà perl'infelice Petrarca. Un uomo che amò certo con assaicaldo e non lodevole amor la sua Laura, ma con cui nonsi sa che s'innoltrasse mai ad azione che ad onest'uomnon convenga, un uomo che cadde qualche volta con al-tre donne in gravi trascorsi, ma che non mai ingolfossinel vizio, e pianse subito i suoi errori, e ne fece a sestesso un continuo amaro rimprovero, e usò d'ogni mez-zo per emendarsi, merita egli di esser tacciato di scostu-matezza? Aggiunga che Clemente VI, antecessor d'Inno-cenzo, avea favorito molto il Petrarca. Dunque o Cle-mente VI fu degno di biasimo (e guai a me se l'avessiaffermato) coll'onorarlo della sua protezione, o non ebbebastevol motivo Innocenzo VI per privarnelo nei primianni del suo pontificato.

E quali son le pruove che V. P. reverendissima arrecadella scostumatezza del Petrarca? La lettera da lui scrittaal Boccaccio da me poco appresso riferita, in cui egli ri-corda con sentimenti di pietà e di compunzione sincera-mente cristiana i trascorsi suoi giovanili. E dovea Elladunque volgere a disonor del Petrarca ciò che ne formal'elogio? L'Ab. di Sade, soggiugne Ella, proccura di pro-vare il contrario; ma come contro la confession del Pe-trarca può egli riuscirne? Non è però da maravigliarse-ne. Egli pare, che abbia composte le sue Memorie periscreditare i buoni, e per iscusare gli erranti e i malvi-venti. L'Ab. de Sade proccura di provare il contrario?Ma chi ha pubblicata prima di ogni altro la lettera del

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di grazia, Padre reverendissimo, un po' di pietà perl'infelice Petrarca. Un uomo che amò certo con assaicaldo e non lodevole amor la sua Laura, ma con cui nonsi sa che s'innoltrasse mai ad azione che ad onest'uomnon convenga, un uomo che cadde qualche volta con al-tre donne in gravi trascorsi, ma che non mai ingolfossinel vizio, e pianse subito i suoi errori, e ne fece a sestesso un continuo amaro rimprovero, e usò d'ogni mez-zo per emendarsi, merita egli di esser tacciato di scostu-matezza? Aggiunga che Clemente VI, antecessor d'Inno-cenzo, avea favorito molto il Petrarca. Dunque o Cle-mente VI fu degno di biasimo (e guai a me se l'avessiaffermato) coll'onorarlo della sua protezione, o non ebbebastevol motivo Innocenzo VI per privarnelo nei primianni del suo pontificato.

E quali son le pruove che V. P. reverendissima arrecadella scostumatezza del Petrarca? La lettera da lui scrittaal Boccaccio da me poco appresso riferita, in cui egli ri-corda con sentimenti di pietà e di compunzione sincera-mente cristiana i trascorsi suoi giovanili. E dovea Elladunque volgere a disonor del Petrarca ciò che ne formal'elogio? L'Ab. di Sade, soggiugne Ella, proccura di pro-vare il contrario; ma come contro la confession del Pe-trarca può egli riuscirne? Non è però da maravigliarse-ne. Egli pare, che abbia composte le sue Memorie periscreditare i buoni, e per iscusare gli erranti e i malvi-venti. L'Ab. de Sade proccura di provare il contrario?Ma chi ha pubblicata prima di ogni altro la lettera del

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Petrarca da V. P. reverendissima accennata? Chi ha sco-perto che il Petrarca, oltre una figlia, ebbe un figlio,amendue illegittimi? Non debbonsi forse all'ab. di Sadequeste notizie? Chi legge la mia Storia, può di leggieriosservare che io non sono adoratore di quello scrittorfrancese. Ma per quanto io abbia lette e rilette le sueMemorie sul Petrarca, e per quanto le abbia, si può dire,analizzate, io non vi ho mai trovata cosa che provi inquell'autore il reo disegno di screditare i buoni e di scu-sare i malviventi, ch'Ella gli attribuisce.

Più leggiadro è ciò che segue, ov'Ella per farci cono-scere il carattere del Petrarca, ci rimette al Fleury (Hist.eccl. l. 97, n. 33, 34); il che Ella pure ripete nell'ultimanota aggiunta a questo tomo a pag. 525, ove ne riportaqueste parole: Dopo di ciò si può egli allegare il Petrar-ca come autor serio, e dire, che le sue lettere sono pienedi gravità e di zelo e di dottrina? Questo nuovo canonedi critica, con cui V. P. reverendissima ci comanda che ilcarattere del Petrarca si prenda dalla Storia ecclesiasticadel Fleury (dopo avere asserito altrove che il caratteredegli uomini si dee prendere dagli autori contempora-nei), sarà in avvenire aggiunto ai nuovi trattati dell'artecritica, che si andran pubblicando. Ma finchè essi nonsono stampati, mi permetta ch'io mi attenga a' canoniantichi, e ch'io tragga il carattere di quel grand'uomodalle Opere di lui stesso.

Esaminiamo nondimeno di grazia qual sia il carattereche del Petrarca ci ha fatto il Fleury, per cui egli lo repu-

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Petrarca da V. P. reverendissima accennata? Chi ha sco-perto che il Petrarca, oltre una figlia, ebbe un figlio,amendue illegittimi? Non debbonsi forse all'ab. di Sadequeste notizie? Chi legge la mia Storia, può di leggieriosservare che io non sono adoratore di quello scrittorfrancese. Ma per quanto io abbia lette e rilette le sueMemorie sul Petrarca, e per quanto le abbia, si può dire,analizzate, io non vi ho mai trovata cosa che provi inquell'autore il reo disegno di screditare i buoni e di scu-sare i malviventi, ch'Ella gli attribuisce.

Più leggiadro è ciò che segue, ov'Ella per farci cono-scere il carattere del Petrarca, ci rimette al Fleury (Hist.eccl. l. 97, n. 33, 34); il che Ella pure ripete nell'ultimanota aggiunta a questo tomo a pag. 525, ove ne riportaqueste parole: Dopo di ciò si può egli allegare il Petrar-ca come autor serio, e dire, che le sue lettere sono pienedi gravità e di zelo e di dottrina? Questo nuovo canonedi critica, con cui V. P. reverendissima ci comanda che ilcarattere del Petrarca si prenda dalla Storia ecclesiasticadel Fleury (dopo avere asserito altrove che il caratteredegli uomini si dee prendere dagli autori contempora-nei), sarà in avvenire aggiunto ai nuovi trattati dell'artecritica, che si andran pubblicando. Ma finchè essi nonsono stampati, mi permetta ch'io mi attenga a' canoniantichi, e ch'io tragga il carattere di quel grand'uomodalle Opere di lui stesso.

Esaminiamo nondimeno di grazia qual sia il carattereche del Petrarca ci ha fatto il Fleury, per cui egli lo repu-

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ta autore da non aversi in conto alcuno; e veggiamoquanto autorevole storico in questa parte egli sia. Co-mincia dal dire che il Petrarca abbracciò lo stato cheri-cale, e che ciò non ostante nell'età sua giovanile ei vissenella dissolutezza, e di ciò si è già detto poc'anzi. Sieguea dire il grande storico da V. P. reverendissima citato permodello di critica, che Benedetto XII volle persuadereal Petrarca di sposar Laura, promettendogli di accordar-gli dispensa per ritenere i suoi beneficj; ma che il Petrar-ca risposegli che se la prendeva per moglie, ciò ch'eipensava ancora di dirne, non sarebbe più stato a propo-sito; e che Laura allora maritossi ad un altro. E V. P. re-verendissima, che ci vuol far credere di aver lette conattenzione le Memorie dell'ab. di Sade, può seriamenterimetterci al Fleury in ciò che appartiene al Petrarca?Non ha Ella dunque veduto provarsi dal detto ab. diSade con autentici e incontrastabili documenti, che Lau-ra era maritata con Ugo di Sade fin dal 1325, cioè dueanni prima che il Petrarca la vedesse, e che morì, viven-te ancora il marito, nel 1348? Ed Ella vuole che credia-mo al Fleury, che si è trangugiato buonamente un sì so-lenne farfallone?

Ma altra accusa più grave ha il Fleury apposta al Pe-trarca, e da essa ha tratto per conseguenza ciò che V. P.reverendissima ne ha riferito. Mais ce qui montre, leplus son peu de sens, et la légèreté de ses pensées (po-vero Petrarca dopo quasi quattro secoli dichiarato unimbecille dal Fleury, e poi da V. P. reverendissima che

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ta autore da non aversi in conto alcuno; e veggiamoquanto autorevole storico in questa parte egli sia. Co-mincia dal dire che il Petrarca abbracciò lo stato cheri-cale, e che ciò non ostante nell'età sua giovanile ei vissenella dissolutezza, e di ciò si è già detto poc'anzi. Sieguea dire il grande storico da V. P. reverendissima citato permodello di critica, che Benedetto XII volle persuadereal Petrarca di sposar Laura, promettendogli di accordar-gli dispensa per ritenere i suoi beneficj; ma che il Petrar-ca risposegli che se la prendeva per moglie, ciò ch'eipensava ancora di dirne, non sarebbe più stato a propo-sito; e che Laura allora maritossi ad un altro. E V. P. re-verendissima, che ci vuol far credere di aver lette conattenzione le Memorie dell'ab. di Sade, può seriamenterimetterci al Fleury in ciò che appartiene al Petrarca?Non ha Ella dunque veduto provarsi dal detto ab. diSade con autentici e incontrastabili documenti, che Lau-ra era maritata con Ugo di Sade fin dal 1325, cioè dueanni prima che il Petrarca la vedesse, e che morì, viven-te ancora il marito, nel 1348? Ed Ella vuole che credia-mo al Fleury, che si è trangugiato buonamente un sì so-lenne farfallone?

Ma altra accusa più grave ha il Fleury apposta al Pe-trarca, e da essa ha tratto per conseguenza ciò che V. P.reverendissima ne ha riferito. Mais ce qui montre, leplus son peu de sens, et la légèreté de ses pensées (po-vero Petrarca dopo quasi quattro secoli dichiarato unimbecille dal Fleury, e poi da V. P. reverendissima che

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c'invita a credergli!) c'est qu'il se declara hautement purNicolas Laurent, cet extravagant, ec. Ecco il gran delittodel Petrarca, ed eccolo scoperto uomo senza senno, eche non merita fede. Egli credette che il celebre Cola diRienzo fosse veramente destinato a ricondurre e Roma el'Italia all'antica grandezza, e lo esortò a compierl'impresa felicemente da lui cominciata. Ciò è verissi-mo. Ma in primo luogo, qual maraviglia che il Petrarcastandosi in Avignone, e sorpreso dalle grandi cose che sinarravano di Cola da Rienzo fatte in Roma, credesseegli pure ciò che allora credettero quasi tutti? Non si vi-dero forse ambasciate a quel fanatico impostore spediteda molti principi? E finalmente non si ravvide egli pre-sto il Petrarca del suo errore, nol confessò egli stessosinceramente? Di grazia, P. reverendissimo, non citi piùil Fleury, ove trattasi del Petrarca, e si assicuri che, trat-tone il Fleury e V. P. reverendissima, tutti gli uomini dibuon senso continueranno a dire che le Lettere del Pe-trarca son piene di gravità, di zelo e di dottrina; ch'egliè stato uno de' più grand'uomini del suo secolo, uno de'più rari genj che abbia avuti l'Italia; e che se i giovanilitrascorsi non debbono impedire che alcuni papi non siannoverino tra' più saggi successori di s. Pietro, che ab-bia avuti la Chiesa, non debbon parimente impedire cheil Petrarca, il quale sì sinceramente li pianse, non debbaesser l'oggetto dell'ammirazione degli uomini dotti e de-gli uomini onesti. Io pregola ancora a fidarsi nel giudi-car del Petrarca più ad un pontefice di lui contempora-neo, cioè a Gregorio XI, che all'ab. Fleury. Si compiac-

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c'invita a credergli!) c'est qu'il se declara hautement purNicolas Laurent, cet extravagant, ec. Ecco il gran delittodel Petrarca, ed eccolo scoperto uomo senza senno, eche non merita fede. Egli credette che il celebre Cola diRienzo fosse veramente destinato a ricondurre e Roma el'Italia all'antica grandezza, e lo esortò a compierl'impresa felicemente da lui cominciata. Ciò è verissi-mo. Ma in primo luogo, qual maraviglia che il Petrarcastandosi in Avignone, e sorpreso dalle grandi cose che sinarravano di Cola da Rienzo fatte in Roma, credesseegli pure ciò che allora credettero quasi tutti? Non si vi-dero forse ambasciate a quel fanatico impostore spediteda molti principi? E finalmente non si ravvide egli pre-sto il Petrarca del suo errore, nol confessò egli stessosinceramente? Di grazia, P. reverendissimo, non citi piùil Fleury, ove trattasi del Petrarca, e si assicuri che, trat-tone il Fleury e V. P. reverendissima, tutti gli uomini dibuon senso continueranno a dire che le Lettere del Pe-trarca son piene di gravità, di zelo e di dottrina; ch'egliè stato uno de' più grand'uomini del suo secolo, uno de'più rari genj che abbia avuti l'Italia; e che se i giovanilitrascorsi non debbono impedire che alcuni papi non siannoverino tra' più saggi successori di s. Pietro, che ab-bia avuti la Chiesa, non debbon parimente impedire cheil Petrarca, il quale sì sinceramente li pianse, non debbaesser l'oggetto dell'ammirazione degli uomini dotti e de-gli uomini onesti. Io pregola ancora a fidarsi nel giudi-car del Petrarca più ad un pontefice di lui contempora-neo, cioè a Gregorio XI, che all'ab. Fleury. Si compiac-

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cia di grazia di leggere il Breve che ne ha di fresco pub-blicato con licenza del p. maestro del s. Palazzo il sig.ab. Marini (Degli Archiatri pontif. t. 2, p. 21), scrittopoco dopo la morte dello stesso Petrarca al card. Gu-glielmo Novelletti legato in Italia. In esso ei lo nominatam praeclarum moralis scientiae lumen; e gli comandache tutte raccolga le opere da lui scritte, tra le quali no-mina espressamente le Lettere, e gliele mandi in Avi-gnone. Io spero che V. P. reverendissima posta in mezzotra un papa e l'ab. Fleury, e interrogata di chi voglia se-guire il giudizio, volgerà tosto le spalle al secondo, e sifarà seguace del primo.

Mi perdoni di grazia V. P. reverendissima, se il miotrasporto pel Petrarca mi ha fatto deviare alquanto dalbuon sentiero, e dimenticare per poco la mia docilità ela mia sommissione ai caritatevoli suoi avvertimenti. Ri-torno all'usato mio stile, e con un vivo desiderio di gio-varmi de' lumi della sua vasta ed inesausta dottrina, pas-so all'esame delle annotazioni ch'Ella ha avuta la degna-zione di aggiugnere al tomo VI della mia Storia; e mispiace il vedere che poche esse sieno, e che scarso fruttoperciò sia io per raccoglierne. Perciocchè una sola ne haElla posta alla prima, e due alla seconda parte di questotomo.

M'insegna dunque V. P. reverendissima a pag. 4 dellaparte I del tomo VI, ciò ch'io non sapeva, cioè che ilconcilio di Basilea, dopo il trasporto fattone a Ferrara epoi a Firenze, non fu un vero concilio. E ch'io nol sapes-

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cia di grazia di leggere il Breve che ne ha di fresco pub-blicato con licenza del p. maestro del s. Palazzo il sig.ab. Marini (Degli Archiatri pontif. t. 2, p. 21), scrittopoco dopo la morte dello stesso Petrarca al card. Gu-glielmo Novelletti legato in Italia. In esso ei lo nominatam praeclarum moralis scientiae lumen; e gli comandache tutte raccolga le opere da lui scritte, tra le quali no-mina espressamente le Lettere, e gliele mandi in Avi-gnone. Io spero che V. P. reverendissima posta in mezzotra un papa e l'ab. Fleury, e interrogata di chi voglia se-guire il giudizio, volgerà tosto le spalle al secondo, e sifarà seguace del primo.

Mi perdoni di grazia V. P. reverendissima, se il miotrasporto pel Petrarca mi ha fatto deviare alquanto dalbuon sentiero, e dimenticare per poco la mia docilità ela mia sommissione ai caritatevoli suoi avvertimenti. Ri-torno all'usato mio stile, e con un vivo desiderio di gio-varmi de' lumi della sua vasta ed inesausta dottrina, pas-so all'esame delle annotazioni ch'Ella ha avuta la degna-zione di aggiugnere al tomo VI della mia Storia; e mispiace il vedere che poche esse sieno, e che scarso fruttoperciò sia io per raccoglierne. Perciocchè una sola ne haElla posta alla prima, e due alla seconda parte di questotomo.

M'insegna dunque V. P. reverendissima a pag. 4 dellaparte I del tomo VI, ciò ch'io non sapeva, cioè che ilconcilio di Basilea, dopo il trasporto fattone a Ferrara epoi a Firenze, non fu un vero concilio. E ch'io nol sapes-

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si, che avessi perciò bisogno di esserne da V. P. reveren-dissima amorevolmente istruito, raccogliesi ad evidenzadal modo con cui io ragiono di quel concilio, singolar-mente ove annovero Felice V tra gli antipapi, e ove dicoche lo scisma non cessò interamente finchè visse Euge-nio IV: parole che mostrano chiaramente ch'io riconoscoper vero papa Felice V e il concilio di Basilea dopo latraslazione non come scismatico, ma come vero e cano-nico.

Una lunga nota ha aggiunta V. P. reverendissima allap. 349 della parte II, ove io parlo di Lorenzo Valla, e sicompiace di stendere con eloquente amplificazione ciòch'io avea con troppa brevità accennato, che degli stessipontefici ei parla con poco rispetto. Qual onore è il mioavere a parafraste V. P. reverendissima! Di ciò però nonsi appaga il suo zelo. Io ho affermato che il Valla fu trat-to in giudizio innanzi all'Inquisizione, perchè avea nega-to che ciascheduno apostolo avesse separatamente com-posto il suo articolo del Simbolo. Le sembra che siaquesto un deridere quei santissimi giudici; e dice chenon perciò solo fu egli accusato, ma anche perchè aveaaffermato che gli Apostoli non abbiano alla posteritàtramandata per tradizione quella formola della nostracredenza. Io le rendo grazie di questa notizia. Ma perchèella sa bene che siamo in un secolo malizioso, in cui diogni cosa si pretende arditamente la pruova, la prego ingrazia a indicarmi, onde abbia Ella saputo che per ciòfosse il Valla accusato, acciocchè io possa con coraggio

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si, che avessi perciò bisogno di esserne da V. P. reveren-dissima amorevolmente istruito, raccogliesi ad evidenzadal modo con cui io ragiono di quel concilio, singolar-mente ove annovero Felice V tra gli antipapi, e ove dicoche lo scisma non cessò interamente finchè visse Euge-nio IV: parole che mostrano chiaramente ch'io riconoscoper vero papa Felice V e il concilio di Basilea dopo latraslazione non come scismatico, ma come vero e cano-nico.

Una lunga nota ha aggiunta V. P. reverendissima allap. 349 della parte II, ove io parlo di Lorenzo Valla, e sicompiace di stendere con eloquente amplificazione ciòch'io avea con troppa brevità accennato, che degli stessipontefici ei parla con poco rispetto. Qual onore è il mioavere a parafraste V. P. reverendissima! Di ciò però nonsi appaga il suo zelo. Io ho affermato che il Valla fu trat-to in giudizio innanzi all'Inquisizione, perchè avea nega-to che ciascheduno apostolo avesse separatamente com-posto il suo articolo del Simbolo. Le sembra che siaquesto un deridere quei santissimi giudici; e dice chenon perciò solo fu egli accusato, ma anche perchè aveaaffermato che gli Apostoli non abbiano alla posteritàtramandata per tradizione quella formola della nostracredenza. Io le rendo grazie di questa notizia. Ma perchèella sa bene che siamo in un secolo malizioso, in cui diogni cosa si pretende arditamente la pruova, la prego ingrazia a indicarmi, onde abbia Ella saputo che per ciòfosse il Valla accusato, acciocchè io possa con coraggio

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difendere la correzione che farò della mia Storia. Nellasua apologia, dirà forse alcuno, il Valla afferma che laproposizione per cui fu accusato, fu questa: Symbolumnon factum, esse ab Apostolis per particulas. Aggiugneil Valla ch'ei chiese al predicatore f. Antonio da Bitonto,con quale autorità affermasse il contrario; e io il chieggodi nuovo, ei dice, e a lui e a tutti: nec modo id, quod inquaestione proposui, verum etiam, quis omnino tradatab Apostolis Symbolum conditum. Nel che è evidente,continuerà a dire qualche importuno critico, che questaseconda interrogazione, indegna certamente d'uom cri-stiano, si fa or solamente nella sua apologia del Valla,dopo che il processo era già ultimato e conchiuso, e cheperciò per essa ei non fu processato. Di fatto siegue ilValla dicendo che taluno aveagli obbiettata l'autorità diGraziano, che cita s. Isidoro; e risponde: Quaero te: aitne, per particulas conditum? Minime. Jam liberatussum. Dunque conchiuderà costui, il Valla fu accusatoall'Inquisizione solo perchè avea negato che ciaschedu-no apostolo avesse steso il suo articolo e l'altra proposi-zione non fu da lui avanzata che dopo il processo. Io leconfesso che a chi mi faccia una tale obbiezione, i mieiscarsi lumi non mi somministrano una giusta risposta. Eprego perciò V. P. reverendissima, che tanto è verso dime pietosa e cortese, a volermi indicare come possa ioconfondere chiunque osi di contraddire.

Di tali obbiezioni io non temo riguardo alla secondaed ultima nota che vedesi alla pag. 431 di questo tomo

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difendere la correzione che farò della mia Storia. Nellasua apologia, dirà forse alcuno, il Valla afferma che laproposizione per cui fu accusato, fu questa: Symbolumnon factum, esse ab Apostolis per particulas. Aggiugneil Valla ch'ei chiese al predicatore f. Antonio da Bitonto,con quale autorità affermasse il contrario; e io il chieggodi nuovo, ei dice, e a lui e a tutti: nec modo id, quod inquaestione proposui, verum etiam, quis omnino tradatab Apostolis Symbolum conditum. Nel che è evidente,continuerà a dire qualche importuno critico, che questaseconda interrogazione, indegna certamente d'uom cri-stiano, si fa or solamente nella sua apologia del Valla,dopo che il processo era già ultimato e conchiuso, e cheperciò per essa ei non fu processato. Di fatto siegue ilValla dicendo che taluno aveagli obbiettata l'autorità diGraziano, che cita s. Isidoro; e risponde: Quaero te: aitne, per particulas conditum? Minime. Jam liberatussum. Dunque conchiuderà costui, il Valla fu accusatoall'Inquisizione solo perchè avea negato che ciaschedu-no apostolo avesse steso il suo articolo e l'altra proposi-zione non fu da lui avanzata che dopo il processo. Io leconfesso che a chi mi faccia una tale obbiezione, i mieiscarsi lumi non mi somministrano una giusta risposta. Eprego perciò V. P. reverendissima, che tanto è verso dime pietosa e cortese, a volermi indicare come possa ioconfondere chiunque osi di contraddire.

Di tali obbiezioni io non temo riguardo alla secondaed ultima nota che vedesi alla pag. 431 di questo tomo

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medesimo. Non piace a V. P. reverendissima, ch'io par-lando del P. Savonarola (e spero ch'ella avrà gradita lamoderazione con cui ne ho ragionato), e rammentandola pruova del fuoco, che pel fanatismo a favore e controdi lui eccitato fu più volte, ma sempre inutilmente, pro-posta, l'abbia appellata antica e barbara superstizione; emi ricorda parecchi fatti ne' quali cotali pruove furonocon celesti prodigj approvate. Io dunque in una nuovaedizione della mia Storia, a quelle parole da me incauta-mente usate, sostituirò queste altre: l'antica e lodevolecostumanza della pruova del fuoco. E chi sarà che ardi-sca di riprovarle?

Il tomo VII della mia Storia, come abbraccia un piùampio campo, qual fu per l'italiana letteratura il secoloXVI, così più frequente occasione somministra a V. P.reverendissima a far pompa della sua vastissima erudi-zione. E la prima nota a pag. 3 è diretta a giustificareGiulio II di cui temerariamente io ho detto che diede avedere un animo più guerriero che non si potesse aspet-tare dal vicario di Cristo. A questa mia proposizioneElla ingegnosamente oppone l'autorità del Ciaconio, cheloda Giulio II, appunto perchè pontefice bellicoso. Edecco così invincibilmente confutato il mio detto. E nonmen convincente è l'apologia ch'Ella fa dello stesso pon-tefice, ove avendo io scritto che pare ch'egli non si cu-rasse di mantener la promessa data di radunare un con-cilio generale, reca un lungo passo di Giulio II, in cui asua discolpa afferma fra le altre cose, che non gliel'avea

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medesimo. Non piace a V. P. reverendissima, ch'io par-lando del P. Savonarola (e spero ch'ella avrà gradita lamoderazione con cui ne ho ragionato), e rammentandola pruova del fuoco, che pel fanatismo a favore e controdi lui eccitato fu più volte, ma sempre inutilmente, pro-posta, l'abbia appellata antica e barbara superstizione; emi ricorda parecchi fatti ne' quali cotali pruove furonocon celesti prodigj approvate. Io dunque in una nuovaedizione della mia Storia, a quelle parole da me incauta-mente usate, sostituirò queste altre: l'antica e lodevolecostumanza della pruova del fuoco. E chi sarà che ardi-sca di riprovarle?

Il tomo VII della mia Storia, come abbraccia un piùampio campo, qual fu per l'italiana letteratura il secoloXVI, così più frequente occasione somministra a V. P.reverendissima a far pompa della sua vastissima erudi-zione. E la prima nota a pag. 3 è diretta a giustificareGiulio II di cui temerariamente io ho detto che diede avedere un animo più guerriero che non si potesse aspet-tare dal vicario di Cristo. A questa mia proposizioneElla ingegnosamente oppone l'autorità del Ciaconio, cheloda Giulio II, appunto perchè pontefice bellicoso. Edecco così invincibilmente confutato il mio detto. E nonmen convincente è l'apologia ch'Ella fa dello stesso pon-tefice, ove avendo io scritto che pare ch'egli non si cu-rasse di mantener la promessa data di radunare un con-cilio generale, reca un lungo passo di Giulio II, in cui asua discolpa afferma fra le altre cose, che non gliel'avea

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permesso la necessità in cui si era trovato di ricuperarele terre della Chiesa. Ed ecco qui pure il pontefice pie-namente assoluto dall'ingiusta taccia da me, o piuttostoda' cardinali raccolti in Pisa, appostagli, di aver colleguerre turbata la tranquillità della Chiesa e di tutta l'Ita-lia.

Di somigliante robustezza sono tutte le altre note daV. P. reverendissima a questo tomo aggiunte a difenderla memoria de' romani pontefici, che le sembra da meoltraggiata. Della rara magnificenza di Leon X nel fo-mentare gli studj, parevami d'aver detto non poco singo-larmente col produrre un bel passo di Raffaello Brando-lini, in cui ne fa un magnifico elogio, e dice fra le altrecose, che chiamava alla sua corte anche i più dotti teolo-gi, i più profondi filofosi, i giureconsulti, ec. Ma ho po-scia aggiunto che il vedere il pontefice dilettarsi tanto dipoesie e di commedie non troppo oneste, avvilì nonpoco la gravità pontificia, e risvegliò ancora sospetti alui poco onorevoli; e che innoltre la preferenza da luidata agli ameni studj sopra le gravi scienze, fece chequeste non fosser molto curate. Perciò Ella prende apag. 19 a difendere la rara illibatezza e la pietà di LeonX, lodata anche da Erasmo, e imitata, com'io mi lusingo,anche da V. P. reverendissima; e osserva (ciò ch'io nonaveva osservato) che anche i teologi furon da lui favori-ti; e pruova in tal modo esser falsissimo che gli amenistudj a lui piacessero più che i sacri.

Più a lungo si stende l'amorevole zelo di V. P. reve-

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permesso la necessità in cui si era trovato di ricuperarele terre della Chiesa. Ed ecco qui pure il pontefice pie-namente assoluto dall'ingiusta taccia da me, o piuttostoda' cardinali raccolti in Pisa, appostagli, di aver colleguerre turbata la tranquillità della Chiesa e di tutta l'Ita-lia.

Di somigliante robustezza sono tutte le altre note daV. P. reverendissima a questo tomo aggiunte a difenderla memoria de' romani pontefici, che le sembra da meoltraggiata. Della rara magnificenza di Leon X nel fo-mentare gli studj, parevami d'aver detto non poco singo-larmente col produrre un bel passo di Raffaello Brando-lini, in cui ne fa un magnifico elogio, e dice fra le altrecose, che chiamava alla sua corte anche i più dotti teolo-gi, i più profondi filofosi, i giureconsulti, ec. Ma ho po-scia aggiunto che il vedere il pontefice dilettarsi tanto dipoesie e di commedie non troppo oneste, avvilì nonpoco la gravità pontificia, e risvegliò ancora sospetti alui poco onorevoli; e che innoltre la preferenza da luidata agli ameni studj sopra le gravi scienze, fece chequeste non fosser molto curate. Perciò Ella prende apag. 19 a difendere la rara illibatezza e la pietà di LeonX, lodata anche da Erasmo, e imitata, com'io mi lusingo,anche da V. P. reverendissima; e osserva (ciò ch'io nonaveva osservato) che anche i teologi furon da lui favori-ti; e pruova in tal modo esser falsissimo che gli amenistudj a lui piacessero più che i sacri.

Più a lungo si stende l'amorevole zelo di V. P. reve-

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rendissima nel difendere Adriano VI, perchè più gravisono le accuse che io gli ho apposte. Ho osato di affer-mare a p. 20, che il pontificato di Adriano VI fu comeuna passeggiera ma folta nube che oscurò l'amena lette-ratura, e a p. 198 ho detto ch'ei rimirava come gentile-sche profanità tutti i libri non sacri, a p. 274 che rimira-va come idolatri gl'imitatori di Cicerone. Io non possonon ammirare l'eroica mansuetudine di V. P. reverendis-sima nel sofferire cotali bestemmie, e nel correggermicon paterna piacevolezza. Mi ricorda dunque dapprima,ch'è vero ch'ei non amava i poeti, perchè molti si abusa-vano del loro estro (e io m'immagino che non avrà pureamati i teologi, perchè molti facevano reo uso del lorosapere); ma ch'ei favoriva i dotti (i quali forse non neabusavano mai), e che cercò segretarj i quali elegante-mente scrivessero. Io aggiugnerò questa nuova notiziain una nuova edizione della mia Storia; e ne recherò inpruova, che lasciò partire il Sadoleto e il Bembo, i qualiaveano sì mal servito Leon X in quell'impiego, e che aparer di Adriano dovean essere tali che non sapesseroscrivere con eleganza, e che in lor vece trascelse Teodo-rico Ezio, e Paolo Cistirelli, i quali furono i soli segreta-rj nominati e scelti da Adriano, e della eleganza dei qua-li nello scrivere non ci lascia dubitar punto il giudizio diquel pontefice e di V. P. reverendissima.

Quindi a p. 198, per dimostrare in modo che non am-metta risposta, che Adriano VI teneva presso di sè uo-mini versatissimi anche nella Letteratura non sacra, os-

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rendissima nel difendere Adriano VI, perchè più gravisono le accuse che io gli ho apposte. Ho osato di affer-mare a p. 20, che il pontificato di Adriano VI fu comeuna passeggiera ma folta nube che oscurò l'amena lette-ratura, e a p. 198 ho detto ch'ei rimirava come gentile-sche profanità tutti i libri non sacri, a p. 274 che rimira-va come idolatri gl'imitatori di Cicerone. Io non possonon ammirare l'eroica mansuetudine di V. P. reverendis-sima nel sofferire cotali bestemmie, e nel correggermicon paterna piacevolezza. Mi ricorda dunque dapprima,ch'è vero ch'ei non amava i poeti, perchè molti si abusa-vano del loro estro (e io m'immagino che non avrà pureamati i teologi, perchè molti facevano reo uso del lorosapere); ma ch'ei favoriva i dotti (i quali forse non neabusavano mai), e che cercò segretarj i quali elegante-mente scrivessero. Io aggiugnerò questa nuova notiziain una nuova edizione della mia Storia; e ne recherò inpruova, che lasciò partire il Sadoleto e il Bembo, i qualiaveano sì mal servito Leon X in quell'impiego, e che aparer di Adriano dovean essere tali che non sapesseroscrivere con eleganza, e che in lor vece trascelse Teodo-rico Ezio, e Paolo Cistirelli, i quali furono i soli segreta-rj nominati e scelti da Adriano, e della eleganza dei qua-li nello scrivere non ci lascia dubitar punto il giudizio diquel pontefice e di V. P. reverendissima.

Quindi a p. 198, per dimostrare in modo che non am-metta risposta, che Adriano VI teneva presso di sè uo-mini versatissimi anche nella Letteratura non sacra, os-

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serva che uno di essi fu il vescovo di Chieti, che fu poiPaolo IV, il quale sarà stato, io m'immagino, o poeta, ooratore, o matematico. Finalmente a p. 274, per provarenon esser vero che Adriano per poco non rimirassecome idolatri gl'imitatori di Cicerone, osserva che nèGirolamo Negri, nè il Sadoleto nol dicono, con che è di-mostrata la falsità della mia asserzione; e seguendo aparlare del Sadoleto, riflette ch'egli non ritirossi già daRoma, perchè fosse mal soddisfatto del pontificato diAdriano, ma perchè gli correva l'obbligo di assisterepersonalmente alla sua Chiesa di Carpentras; obbligo,sperava io, ch'Ella dovesse aggiugnere per render com-pita la pruova, il quale non gli correva sotto il pontifica-to di Leon X, di Clemente VII, duranti i quali stettemolto in Roma, ma solo sotto quel di Adriano.

Ad Adriano VI succedette Clemente VII, e io mi lu-singava che ciò che ne ho detto, avesse avuta la sorte dinon dispiacere a V. P. reverendissima, perciocchè non hoveduta alcuna annotazione a p. 22, ove io ho accennatele guerre, nelle quali egli lasciossi avvolgere, e che fu-ron poscia cagione dell'orribil sacco di Roma. Ma con-vien dire che sia qui accaduto ciò che V. P. reverendissi-ma in una nota a p. 519 modestamente confessa che av-viene talvolta, cioè che per inavvertenza o per negligen-za de' Revisori si stampano libri in Roma che non do-vrebbon vedere la pubblica luce, e che perciò quelle pa-role siano sfuggite al severo suo sguardo. Di fatto a p.198 ov'io ripeto che Clemente VII, avviluppatosi nelle

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serva che uno di essi fu il vescovo di Chieti, che fu poiPaolo IV, il quale sarà stato, io m'immagino, o poeta, ooratore, o matematico. Finalmente a p. 274, per provarenon esser vero che Adriano per poco non rimirassecome idolatri gl'imitatori di Cicerone, osserva che nèGirolamo Negri, nè il Sadoleto nol dicono, con che è di-mostrata la falsità della mia asserzione; e seguendo aparlare del Sadoleto, riflette ch'egli non ritirossi già daRoma, perchè fosse mal soddisfatto del pontificato diAdriano, ma perchè gli correva l'obbligo di assisterepersonalmente alla sua Chiesa di Carpentras; obbligo,sperava io, ch'Ella dovesse aggiugnere per render com-pita la pruova, il quale non gli correva sotto il pontifica-to di Leon X, di Clemente VII, duranti i quali stettemolto in Roma, ma solo sotto quel di Adriano.

Ad Adriano VI succedette Clemente VII, e io mi lu-singava che ciò che ne ho detto, avesse avuta la sorte dinon dispiacere a V. P. reverendissima, perciocchè non hoveduta alcuna annotazione a p. 22, ove io ho accennatele guerre, nelle quali egli lasciossi avvolgere, e che fu-ron poscia cagione dell'orribil sacco di Roma. Ma con-vien dire che sia qui accaduto ciò che V. P. reverendissi-ma in una nota a p. 519 modestamente confessa che av-viene talvolta, cioè che per inavvertenza o per negligen-za de' Revisori si stampano libri in Roma che non do-vrebbon vedere la pubblica luce, e che perciò quelle pa-role siano sfuggite al severo suo sguardo. Di fatto a p.198 ov'io ripeto che Clemente VII, avviluppatosi nelle

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guerre dei principi, espose Roma all'orribile sacco, ec.,Ella, che in quel giorno in cui lesse queste parole, doveaesser compresa da più diligente zelo, si compiace di dar-mi una graziosa mentita, dicendo che non fu Clemente,ma l'astio del calvinista Borbone, ch'espose Roma alSacco. Nel che, oltre il convincermi di grave errore,Ella, benchè senza darsene vanto, ci dà prima di ogni al-tro una notizia sfuggita finora a quanti sono stati scritto-ri di teologia e di storia, cioè che fin dal 1527, quandoCalvino non contava che 18 anni di età, e cinque anniprima ch'ei si scoprisse eretico, vi erano già Calvinisti, eche tale era il Borbone. Così gli uomini grandi, quasisenza volerlo, illuminano gl'ignoranti, e segnano le lorovie di sempre nuovi raggi di luce.

A difesa dello stesso pontefice è diretta la nota a p.275. Ivi ho scritto che "Non era eguale alla stima la de-ferenza del papa a' consigli del Sadoleto, il qual veggen-dolo esporsi a manifesta rovina, si sforzava di tenerlolontano dall'imminente pericolo, finchè veggendo che ilpontefice erasi ormai tanto innoltrato, che più non v'eraluogo a consiglio, chiesto ed ottenuto il congedo, ventigiorni prima del sacco di Roma, partissene, e fece ritor-no alla sua chiesa". V. P. reverendissima mi avverte quiche non fu questa la ragione della partenza del Sadoleto,ma il patto da lui stabilito col papa di servirlo sol per treanni, e poi di tornare alla sua chiesa; e mi comanda diveder su ciò la Vita del Sadoleto scritta dal Fiordibello.Nello scriver la mia Storia, io avea prevenuto il suo co-

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guerre dei principi, espose Roma all'orribile sacco, ec.,Ella, che in quel giorno in cui lesse queste parole, doveaesser compresa da più diligente zelo, si compiace di dar-mi una graziosa mentita, dicendo che non fu Clemente,ma l'astio del calvinista Borbone, ch'espose Roma alSacco. Nel che, oltre il convincermi di grave errore,Ella, benchè senza darsene vanto, ci dà prima di ogni al-tro una notizia sfuggita finora a quanti sono stati scritto-ri di teologia e di storia, cioè che fin dal 1527, quandoCalvino non contava che 18 anni di età, e cinque anniprima ch'ei si scoprisse eretico, vi erano già Calvinisti, eche tale era il Borbone. Così gli uomini grandi, quasisenza volerlo, illuminano gl'ignoranti, e segnano le lorovie di sempre nuovi raggi di luce.

A difesa dello stesso pontefice è diretta la nota a p.275. Ivi ho scritto che "Non era eguale alla stima la de-ferenza del papa a' consigli del Sadoleto, il qual veggen-dolo esporsi a manifesta rovina, si sforzava di tenerlolontano dall'imminente pericolo, finchè veggendo che ilpontefice erasi ormai tanto innoltrato, che più non v'eraluogo a consiglio, chiesto ed ottenuto il congedo, ventigiorni prima del sacco di Roma, partissene, e fece ritor-no alla sua chiesa". V. P. reverendissima mi avverte quiche non fu questa la ragione della partenza del Sadoleto,ma il patto da lui stabilito col papa di servirlo sol per treanni, e poi di tornare alla sua chiesa; e mi comanda diveder su ciò la Vita del Sadoleto scritta dal Fiordibello.Nello scriver la mia Storia, io avea prevenuto il suo co-

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mando, e leggendo quella Vita, parevami di avervi tro-vato appunto ciò ch'io ho scritto. Io credeva che il Fior-dibello ove dice che il papa cum salutaribus Sadoleticonsiliis sæpe usurus esse videretur, flectebatur posteaaliorum quorumdam, qui longe plurimum apud eum po-terant, oratione, volesse dire che uguale alla stima nonera la deferenza del papa ai consigli del Sadoleto, ech'egli seguiva più facilmente gli altrui consigli; e cheove dice del Sadoleto: Qui quidem cum rem in eum lo-cum adductam intelligeret, ut nihil bene monendo etsuadendo proficere amplius posset, statuit, quando Rei-publicæ prodesse jam nihil posset, suæ saltem Ecclesiæprospicere atque consulere, volesse dire che veggendoche il Pontefice erasi ormai tanto inoltrato, che più nonv'era luogo a consiglio, chiese il congedo, e tornò allasua chiesa. Perdoni di grazia V. P. reverendissima, se ioson poco felice nell'intendere il latino, e continui adistruirmi anche in ciò col consueto suo zelo, e mi mostriche non è quello che io ho creduto, il senso delle paroledel Fiordibello.

Convien dire che V. P. reverendissima sia stata soddi-sfatta del modo con cui ho parlato di Paolo III, poichèuna sola breve annotazione veggo aggiunta a p. 25, oveio ragionandone, dico ch'ei fu calunniato come seguacedell'astrologia giudiciaria, e a questa occasione dico chenon sarebbe a stupire, che in quel tempo fosser alcunianche tra' dotti che credesser le stelle presaghedell'avvenire; che riputavansi dotti, nota gravemente V.

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mando, e leggendo quella Vita, parevami di avervi tro-vato appunto ciò ch'io ho scritto. Io credeva che il Fior-dibello ove dice che il papa cum salutaribus Sadoleticonsiliis sæpe usurus esse videretur, flectebatur posteaaliorum quorumdam, qui longe plurimum apud eum po-terant, oratione, volesse dire che uguale alla stima nonera la deferenza del papa ai consigli del Sadoleto, ech'egli seguiva più facilmente gli altrui consigli; e cheove dice del Sadoleto: Qui quidem cum rem in eum lo-cum adductam intelligeret, ut nihil bene monendo etsuadendo proficere amplius posset, statuit, quando Rei-publicæ prodesse jam nihil posset, suæ saltem Ecclesiæprospicere atque consulere, volesse dire che veggendoche il Pontefice erasi ormai tanto inoltrato, che più nonv'era luogo a consiglio, chiese il congedo, e tornò allasua chiesa. Perdoni di grazia V. P. reverendissima, se ioson poco felice nell'intendere il latino, e continui adistruirmi anche in ciò col consueto suo zelo, e mi mostriche non è quello che io ho creduto, il senso delle paroledel Fiordibello.

Convien dire che V. P. reverendissima sia stata soddi-sfatta del modo con cui ho parlato di Paolo III, poichèuna sola breve annotazione veggo aggiunta a p. 25, oveio ragionandone, dico ch'ei fu calunniato come seguacedell'astrologia giudiciaria, e a questa occasione dico chenon sarebbe a stupire, che in quel tempo fosser alcunianche tra' dotti che credesser le stelle presaghedell'avvenire; che riputavansi dotti, nota gravemente V.

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P. reverendissima, ma in realtà non lo erano, come conevidenti ragioni dimostrar si potrebbe. Riflessione giu-stissima e necessarissima, e senza la quale tutti avreb-bon creduto che io ancora fossi fautore dell'astrologiagiudiciaria. Quanto debbo io essere riconoscente alla pa-terna premura ch'Ella ha pel mio buon nome!

Ma Ella non è ugualmente contenta di ciò ch'io hoscritto di Giulio III e di Paolo IV. E quanto al primo,Ella a p. 32 mi rimette al continuatore del Fleury, perchèio vi osservi le lodi ch'ei dà a quel pontefice. Ma mi per-metta V. P. reverendissima, ch'io le proponga un dubbio.Se uno il qual facesse una nuova edizione di quella Con-tinuazione, al luogo ove si parla di Giulio III, ponesseuna nota in cui rimettesse il lettore a ciò che io dico diquel pontefice, che direbbe Ella di una tal nota? Io noncredo, a dir vero, di peccar di superbia, ponendomi alconfronto del continuator del Fleury, e credendo chepossa rimanere incerto, se egli, o io abbiamo esaminatemeglio le cose. Aspetterò da V. P. reverendissima la ri-sposta a questo mio dubbio, che stendesi ancora a ciòche appartiene a Paolo IV, giacchè per esso ancora mi ri-mette Ella a ciò che ne ha scritto il medesimo continua-tore, e vi aggiugne anche il p. Carrara teatino, che re-centemente ne ha scritta la Vita. I pregi di questo ponte-fice sono da V. P. reverendissima ricordati anche a p. 14.E io mi lusingo di non averli dissimulati: e solo ne ho ri-preso la troppo sospettosa severità, per cui si viderochiusi in Castel S. Angelo, per mal fondate accuse con-

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P. reverendissima, ma in realtà non lo erano, come conevidenti ragioni dimostrar si potrebbe. Riflessione giu-stissima e necessarissima, e senza la quale tutti avreb-bon creduto che io ancora fossi fautore dell'astrologiagiudiciaria. Quanto debbo io essere riconoscente alla pa-terna premura ch'Ella ha pel mio buon nome!

Ma Ella non è ugualmente contenta di ciò ch'io hoscritto di Giulio III e di Paolo IV. E quanto al primo,Ella a p. 32 mi rimette al continuatore del Fleury, perchèio vi osservi le lodi ch'ei dà a quel pontefice. Ma mi per-metta V. P. reverendissima, ch'io le proponga un dubbio.Se uno il qual facesse una nuova edizione di quella Con-tinuazione, al luogo ove si parla di Giulio III, ponesseuna nota in cui rimettesse il lettore a ciò che io dico diquel pontefice, che direbbe Ella di una tal nota? Io noncredo, a dir vero, di peccar di superbia, ponendomi alconfronto del continuator del Fleury, e credendo chepossa rimanere incerto, se egli, o io abbiamo esaminatemeglio le cose. Aspetterò da V. P. reverendissima la ri-sposta a questo mio dubbio, che stendesi ancora a ciòche appartiene a Paolo IV, giacchè per esso ancora mi ri-mette Ella a ciò che ne ha scritto il medesimo continua-tore, e vi aggiugne anche il p. Carrara teatino, che re-centemente ne ha scritta la Vita. I pregi di questo ponte-fice sono da V. P. reverendissima ricordati anche a p. 14.E io mi lusingo di non averli dissimulati: e solo ne ho ri-preso la troppo sospettosa severità, per cui si viderochiusi in Castel S. Angelo, per mal fondate accuse con-

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tro la Fede, il Morone e il Foscarari; e ho aggiunto chesotto il pontificato di esso, si vide riaccesa la guerra trala s. Sede e la corona di Spagna. E io prego perciò la V.P. reverendissima a indicarmi le ragioni che provin giu-sta la carcerazione di que' due sì dotti e sì virtuosi prela-ti, e provin falsa la guerra che la imprudente condottade' nipoti di Paolo trasse sopra lo Stato pontificio.

Un altro dubbio io debbo proporre a V. P. reverendis-sima riguardo alla nota ch'Ella ha posta a p. 115 ov'ioparlo delle scuole de' Gesuiti e degli elogi che di esse sifecero da molti uomini illustri del secolo XVI, e del fa-vore con cui furono allora da molti principi onorate. Perquel che riguarda a questa Compagnia, dic'Ella, noi cirimettiamo intieramente al Breve del Pontefice Clemen-te XIV de' 21 Luglio del 1773, che incomincia: Domi-nus et Redemptor noster etc. La mia docilità a' suggeri-menti di V. P. reverendissima mi ha fatto ricorrer subitoa questo Breve, sperando di trovarvi qualche cosa chegiovar potesse a comprovare, o a confutare ciò ch'io det-to. Ma qual è stata la mia sorpresa, quando delle scuolede' Gesuiti del secolo XVI, delle quali sole io ragiono,appena vi ho trovato un cenno? Io temo ch'Ella abbiapreso, come anche a' più grand'uomini accade talvolta,un picciolo equivoco, e che invece del Breve di Clemen-te XIV, ch'io venero e rispetto, ma che non ha alcuna re-lazione con questo passo della mia Storia, Ella dovesseindicare qualche Bolla di Paolo III, o di Giulio III, o diPaolo IV, o de' due Pii IV, e V, o de' due Gregorj XIII e

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tro la Fede, il Morone e il Foscarari; e ho aggiunto chesotto il pontificato di esso, si vide riaccesa la guerra trala s. Sede e la corona di Spagna. E io prego perciò la V.P. reverendissima a indicarmi le ragioni che provin giu-sta la carcerazione di que' due sì dotti e sì virtuosi prela-ti, e provin falsa la guerra che la imprudente condottade' nipoti di Paolo trasse sopra lo Stato pontificio.

Un altro dubbio io debbo proporre a V. P. reverendis-sima riguardo alla nota ch'Ella ha posta a p. 115 ov'ioparlo delle scuole de' Gesuiti e degli elogi che di esse sifecero da molti uomini illustri del secolo XVI, e del fa-vore con cui furono allora da molti principi onorate. Perquel che riguarda a questa Compagnia, dic'Ella, noi cirimettiamo intieramente al Breve del Pontefice Clemen-te XIV de' 21 Luglio del 1773, che incomincia: Domi-nus et Redemptor noster etc. La mia docilità a' suggeri-menti di V. P. reverendissima mi ha fatto ricorrer subitoa questo Breve, sperando di trovarvi qualche cosa chegiovar potesse a comprovare, o a confutare ciò ch'io det-to. Ma qual è stata la mia sorpresa, quando delle scuolede' Gesuiti del secolo XVI, delle quali sole io ragiono,appena vi ho trovato un cenno? Io temo ch'Ella abbiapreso, come anche a' più grand'uomini accade talvolta,un picciolo equivoco, e che invece del Breve di Clemen-te XIV, ch'io venero e rispetto, ma che non ha alcuna re-lazione con questo passo della mia Storia, Ella dovesseindicare qualche Bolla di Paolo III, o di Giulio III, o diPaolo IV, o de' due Pii IV, e V, o de' due Gregorj XIII e

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XIV (per non uscire dal secolo XVI di cui si tratta), chepotrebbono con più ragione citarsi, ove ragionasi dellescuole allora aperte da' Gesuiti. Io la prego perquell'interesse ch'Ella si compiace di aver per me e perla mia Storia, a leggere quelle Bolle, le quali essendoBolle di romani pontefici, otterranno da V. P. reverendis-sima quel rispetto medesimo almeno, ch'Ella ha pel Bre-ve di Clemente XIV, e a decidere poscia, se sia ragione-vole il sospettar ch'io ho fatto di qualche equivoco, incui Ella sia inavvertitamente caduta.

Più cose abbraccia e comprende un'altra eruditissimanota posta alla pag. 253. Io avea affermato a pag. 244,che quando sorse l'eresia di Lutero, non era l'Italia trop-po feconda di tai telogi, quali a que' tempi si conveniva-no, e che l'erudizione sacra non che la profana, la cogni-zion delle lingue, la critica erano escluse dalla teologia.Questa mia erronea proposizione si combatte qui dap-prima da V. P. reverendissima, e per mostrarmi che i teo-logi di quel tempo aveano comunemente il corredo dierudizione, ch'io ho osato di negar loro, mi ricorda San-te Pagnini, Sante Marmocchini, Zenobio Acciaiuoli,Agostino Giustiniano, Pietro Galatino e Agostino Steu-co. Ma le occupazioni di V. P. reverendissima le han fat-to qui dimenticare le pruove necessarie a mostrare chequesti fosser teologi, come a confutare la mia proposi-zione era richiesto; giacchè del molto loro sapere nellelingue orientali ho ragionato io pure; ma ch'essi si pos-sano annoverar tra' teologi, io l'ho finora ignorato, se

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XIV (per non uscire dal secolo XVI di cui si tratta), chepotrebbono con più ragione citarsi, ove ragionasi dellescuole allora aperte da' Gesuiti. Io la prego perquell'interesse ch'Ella si compiace di aver per me e perla mia Storia, a leggere quelle Bolle, le quali essendoBolle di romani pontefici, otterranno da V. P. reverendis-sima quel rispetto medesimo almeno, ch'Ella ha pel Bre-ve di Clemente XIV, e a decidere poscia, se sia ragione-vole il sospettar ch'io ho fatto di qualche equivoco, incui Ella sia inavvertitamente caduta.

Più cose abbraccia e comprende un'altra eruditissimanota posta alla pag. 253. Io avea affermato a pag. 244,che quando sorse l'eresia di Lutero, non era l'Italia trop-po feconda di tai telogi, quali a que' tempi si conveniva-no, e che l'erudizione sacra non che la profana, la cogni-zion delle lingue, la critica erano escluse dalla teologia.Questa mia erronea proposizione si combatte qui dap-prima da V. P. reverendissima, e per mostrarmi che i teo-logi di quel tempo aveano comunemente il corredo dierudizione, ch'io ho osato di negar loro, mi ricorda San-te Pagnini, Sante Marmocchini, Zenobio Acciaiuoli,Agostino Giustiniano, Pietro Galatino e Agostino Steu-co. Ma le occupazioni di V. P. reverendissima le han fat-to qui dimenticare le pruove necessarie a mostrare chequesti fosser teologi, come a confutare la mia proposi-zione era richiesto; giacchè del molto loro sapere nellelingue orientali ho ragionato io pure; ma ch'essi si pos-sano annoverar tra' teologi, io l'ho finora ignorato, se

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traggasene il Galatino che scrisse contro gli Ebrei, e loSteuco, il quale è il solo de' qui nominati, che impugnas-se le recenti eresie, e che non fu il migliore tra' loro im-pugnatori. Io desidero dunque ch'Ella abbia più agio chenon ha avuto finora, per potermi convincere ch'erano inItalia al principio del XVI secolo molti teologi forniti divasta e molteplice erudizione.

Non giova ch'io mi trattenga a parlare di ciò ch'Ellariflette in questa nota medesima intorno all'agostinianoGirolamo Negri, giacchè in somma altro non fa che ono-rarmi col ripetere ciò ch'io stesso ne ho detto. Più gratoio debbo esserle pel comando ch'Ella si compiace di far-mi a questo luogo medesimo, ch'io vegga ciò che delcard. Gaetano dicono Melchior Cano e i pp. Quetif edEchard. Io avea affermato che molte proposizioni da luisostenute furono condennate dall'università di Parigi, ech'ei diede qualche occasione alle accuse sì per alcunesue nuove opinioni, sì perchè ignorando la lingua ebrai-ca, ed essendo, perciò costretto a valersi di altri, facevaloro tradurre di parola in parola il testo originale, e laversione ne riusciva perciò intralciata ed oscurissima. Ionon veggo che nè il Cano, nè i pp. Quetif ed Echard pro-vino il contrario. Anzi non credo ch'Ella abbia provve-duto all'onore del Gaetano, rimandando i lettori a ciòche ne dice il primo di questi scrittori, il quale ne' passida Lei allegati non ne parla con molto onore. Ecco ciòch'ei ne dice nel l. 2, c. 11, che è forse anco il più mode-rato de' passi in cui ne ragiona: Cajentanus vir cum pri-

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traggasene il Galatino che scrisse contro gli Ebrei, e loSteuco, il quale è il solo de' qui nominati, che impugnas-se le recenti eresie, e che non fu il migliore tra' loro im-pugnatori. Io desidero dunque ch'Ella abbia più agio chenon ha avuto finora, per potermi convincere ch'erano inItalia al principio del XVI secolo molti teologi forniti divasta e molteplice erudizione.

Non giova ch'io mi trattenga a parlare di ciò ch'Ellariflette in questa nota medesima intorno all'agostinianoGirolamo Negri, giacchè in somma altro non fa che ono-rarmi col ripetere ciò ch'io stesso ne ho detto. Più gratoio debbo esserle pel comando ch'Ella si compiace di far-mi a questo luogo medesimo, ch'io vegga ciò che delcard. Gaetano dicono Melchior Cano e i pp. Quetif edEchard. Io avea affermato che molte proposizioni da luisostenute furono condennate dall'università di Parigi, ech'ei diede qualche occasione alle accuse sì per alcunesue nuove opinioni, sì perchè ignorando la lingua ebrai-ca, ed essendo, perciò costretto a valersi di altri, facevaloro tradurre di parola in parola il testo originale, e laversione ne riusciva perciò intralciata ed oscurissima. Ionon veggo che nè il Cano, nè i pp. Quetif ed Echard pro-vino il contrario. Anzi non credo ch'Ella abbia provve-duto all'onore del Gaetano, rimandando i lettori a ciòche ne dice il primo di questi scrittori, il quale ne' passida Lei allegati non ne parla con molto onore. Ecco ciòch'ei ne dice nel l. 2, c. 11, che è forse anco il più mode-rato de' passi in cui ne ragiona: Cajentanus vir cum pri-

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mis eruditus et pius, sed qui in Libris Sacris constituen-dis Erasmi novitates ingeniumque secutus, dum alienisvestigiis voluit insistere, propriam gloriam maculavit.

Ma in niun luogo campeggia meglio il saper teologi-co di V. P. reverendissima, che nelle due annotazioni apag. 278 e 280. Parlando de' Comenti del Sadoletosull'Epistola di s. Paolo a' Romani, io ho detto chequell'opera fu dapprima proibita, perchè parve ad alcuniche in essa ei si accostasse all'errore de' semipelagianiintorno alla grazia, e gli fu ancora imputato a fallo ildistaccarsi in parte dalle opinioni di s. Agostino. Quellaparola alcuni sta male, secondo V. P. reverendissima, edeesi dir molti; e credo certo ch'Ella gli avrà computatisulle magistrali sue dita, per accettarne il numero. Ag-giugne Ella con molto zelo, che non sa per qual cagionenon si avesse a imputare a fallo al Sadoleto il discostar-si dalla dottrina di S. Agostino; la qual riflessione sapràbene V. P. reverendissima contro chi sia diretta; percioc-chè, quanto a me, io non ho mai scritto che ciò non gli sidovesse imputare a fallo. Ben contro di me è diretto ciòche segue, cioè ch'Ella non vede come si possano da unTeologo annoverare tra le semplici opinioni quelle sen-tenze, che per tutissima et inconcussa dogmata sono sta-te riconosciute dalla S. Sede. Perdono, pietà, P. reveren-dissimo. Sono vent'anni dacchè io ho lasciata da parte lateologia, e perciò merita qualche indulgenza un non teo-logo, se ha chiamate opinioni le sentenze di s. Agostino.Un'altra volta sarò più cauto, e mi guarderò bene dal

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mis eruditus et pius, sed qui in Libris Sacris constituen-dis Erasmi novitates ingeniumque secutus, dum alienisvestigiis voluit insistere, propriam gloriam maculavit.

Ma in niun luogo campeggia meglio il saper teologi-co di V. P. reverendissima, che nelle due annotazioni apag. 278 e 280. Parlando de' Comenti del Sadoletosull'Epistola di s. Paolo a' Romani, io ho detto chequell'opera fu dapprima proibita, perchè parve ad alcuniche in essa ei si accostasse all'errore de' semipelagianiintorno alla grazia, e gli fu ancora imputato a fallo ildistaccarsi in parte dalle opinioni di s. Agostino. Quellaparola alcuni sta male, secondo V. P. reverendissima, edeesi dir molti; e credo certo ch'Ella gli avrà computatisulle magistrali sue dita, per accettarne il numero. Ag-giugne Ella con molto zelo, che non sa per qual cagionenon si avesse a imputare a fallo al Sadoleto il discostar-si dalla dottrina di S. Agostino; la qual riflessione sapràbene V. P. reverendissima contro chi sia diretta; percioc-chè, quanto a me, io non ho mai scritto che ciò non gli sidovesse imputare a fallo. Ben contro di me è diretto ciòche segue, cioè ch'Ella non vede come si possano da unTeologo annoverare tra le semplici opinioni quelle sen-tenze, che per tutissima et inconcussa dogmata sono sta-te riconosciute dalla S. Sede. Perdono, pietà, P. reveren-dissimo. Sono vent'anni dacchè io ho lasciata da parte lateologia, e perciò merita qualche indulgenza un non teo-logo, se ha chiamate opinioni le sentenze di s. Agostino.Un'altra volta sarò più cauto, e mi guarderò bene dal

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confondere le opinioni colle sentenze ricevute dallaChiesa quai dommi, e lascerò poi V. P. reverendissima ilprovare che tali fossero quelle nelle quali il Sadoleto di-scostossi da s. Agostino.

L'altra nota è diretta a difendere il Badia maestro delsacro palazzo, da cui l'opera del Sadoleto fu proibita. Edera ben conveniente che V. P. reverendissima lo difen-desse, benchè io non l'abbia in alcun modo nè con alcu-na parola accusato e ripreso. Solo io la prego a indicar-mi su qual fondamento Ella abbia autorevolmente affer-mato: Non nego, che sia poi stata permessa la letturadel libro medesimo (del Sadoleto). Ma non ammetto,che sia stata permessa senza le dovute correzioni e di-chiarazioni. Io non vorrei sembrarle ardito di troppo.Ma finchè V. P. reverendissima non mi pruova il contra-rio, io son costretto ad ammettere ciò ch'Ella non am-mette. Egli è bensì vero che al Sadoleto fu imposto difare una nuova edizione dell'opera in cui alcuni passi nefosser corretti. Ma questa seconda edizione non si feceche nel 1536, e fin dall'anno precedente era stata rivoca-ta la proibizione dell'opera, come io ho provato colla te-stimonianza del Negri familiare del card. Contarini. Di-fatto non trovasi nell'Indice de' libri proibiti menzionealcuna di quella edizione, che vi sarebbe rimasta inseri-ta, se la proibizione non fosse stata rivocata; ed è perciòevidente che il Badia, forse meno zelante di V. P. reve-rendissima, fu pago della promessa fatta dal Sadoleto dicorreggere in una nuova edizione que' passi che potean

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confondere le opinioni colle sentenze ricevute dallaChiesa quai dommi, e lascerò poi V. P. reverendissima ilprovare che tali fossero quelle nelle quali il Sadoleto di-scostossi da s. Agostino.

L'altra nota è diretta a difendere il Badia maestro delsacro palazzo, da cui l'opera del Sadoleto fu proibita. Edera ben conveniente che V. P. reverendissima lo difen-desse, benchè io non l'abbia in alcun modo nè con alcu-na parola accusato e ripreso. Solo io la prego a indicar-mi su qual fondamento Ella abbia autorevolmente affer-mato: Non nego, che sia poi stata permessa la letturadel libro medesimo (del Sadoleto). Ma non ammetto,che sia stata permessa senza le dovute correzioni e di-chiarazioni. Io non vorrei sembrarle ardito di troppo.Ma finchè V. P. reverendissima non mi pruova il contra-rio, io son costretto ad ammettere ciò ch'Ella non am-mette. Egli è bensì vero che al Sadoleto fu imposto difare una nuova edizione dell'opera in cui alcuni passi nefosser corretti. Ma questa seconda edizione non si feceche nel 1536, e fin dall'anno precedente era stata rivoca-ta la proibizione dell'opera, come io ho provato colla te-stimonianza del Negri familiare del card. Contarini. Di-fatto non trovasi nell'Indice de' libri proibiti menzionealcuna di quella edizione, che vi sarebbe rimasta inseri-ta, se la proibizione non fosse stata rivocata; ed è perciòevidente che il Badia, forse meno zelante di V. P. reve-rendissima, fu pago della promessa fatta dal Sadoleto dicorreggere in una nuova edizione que' passi che potean

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sembrare o pericolosi, o sospetti; e che in virtù di questapromessa, la proibizione del libro fu rivocata.

Per difendere Isidoro Clario dalla taccia di plagiarioda alcuni appostagli, perchè spesso nel comentar la sa-cra Scrittura si vale delle opinioni del protestante Mun-stero, senza mai nominarlo, ho detto che forse ei cosìfece, perchè allora il citare un autor protestante sarebbestato imperdonabil delitto. Non piace questa ragione aV. P. reverendissima, la quale ingegnosamente osservache il Cano, l'Arias, il Pidio ed altri citarono i Protestan-ti impunemente. Io ho dunque errato, e converrà anno-verare il Clario tra' plagiarj per decisione del V. P. reve-rendissima; se pur Ella non vuol menargli buona un'altrascusa; cioè che il Clario non volle esporsi a veder le sueopere imbrattate dall'inchiostro di alcuni, che per ordine,dicevano essi, di un rispettabile tribunale visitavano lebiblioteche, ed ove ne' libri trovavano nominato qualcheautor protestante, benchè non fosse delitto il nominarlo,inesorabilmente lo cancellavano, della quale carneficinaveggonsi spesso pur troppo compassionevoli documenti.

Le annotazioni di V. P. reverendissima sono comune-mente dirette a ridurmi sul buon sentiero, da cui spessoElla mi scorge infelicemente traviare. Ma in una a pag.315. Ella mi onora troppo più ch'io non avrei osato spe-rare. Io avea accennate le eroiche virtù del card. Bellar-mino. L'Autore, dic'Ella, qui espone i privati suoi senti-menti intorno alla eroicità delle virtù del V. Bellarmino.E chi sono io mai che ardisca di esporre su un tale argo-

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sembrare o pericolosi, o sospetti; e che in virtù di questapromessa, la proibizione del libro fu rivocata.

Per difendere Isidoro Clario dalla taccia di plagiarioda alcuni appostagli, perchè spesso nel comentar la sa-cra Scrittura si vale delle opinioni del protestante Mun-stero, senza mai nominarlo, ho detto che forse ei cosìfece, perchè allora il citare un autor protestante sarebbestato imperdonabil delitto. Non piace questa ragione aV. P. reverendissima, la quale ingegnosamente osservache il Cano, l'Arias, il Pidio ed altri citarono i Protestan-ti impunemente. Io ho dunque errato, e converrà anno-verare il Clario tra' plagiarj per decisione del V. P. reve-rendissima; se pur Ella non vuol menargli buona un'altrascusa; cioè che il Clario non volle esporsi a veder le sueopere imbrattate dall'inchiostro di alcuni, che per ordine,dicevano essi, di un rispettabile tribunale visitavano lebiblioteche, ed ove ne' libri trovavano nominato qualcheautor protestante, benchè non fosse delitto il nominarlo,inesorabilmente lo cancellavano, della quale carneficinaveggonsi spesso pur troppo compassionevoli documenti.

Le annotazioni di V. P. reverendissima sono comune-mente dirette a ridurmi sul buon sentiero, da cui spessoElla mi scorge infelicemente traviare. Ma in una a pag.315. Ella mi onora troppo più ch'io non avrei osato spe-rare. Io avea accennate le eroiche virtù del card. Bellar-mino. L'Autore, dic'Ella, qui espone i privati suoi senti-menti intorno alla eroicità delle virtù del V. Bellarmino.E chi sono io mai che ardisca di esporre su un tale argo-

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mento i privati miei sentimenti? No, P. reverendissimo,non sono i miei, ma sono i sentimenti di que' quattordicicardinali con lui vissuti e da me qui accennati, sono ledeposizioni di tanti testimonj, sono gli Atti per la causaintrodotta della sua beatificazione; questi sono, e non ilprivato mio sentimento, ch'io ho citati per pruova dellevirtù del Bellarmino. E poichè Ella aggiugne che del ri-manente si rimette a' Decreti di Urbano VIII e a ciò chesarà circa le virtù medesime dichiarato dalla sacra Con-gregazione de' Riti e dalla S. Sede apostolica, mi com-piaccio di farle sapere che due volte già la Congregazio-ne de' Riti ha deciso in favore dell'eroicità delle virtù delBellarmino; la prima con pienezza di voti nel 1675; laseconda non con pienezza, ma con pluralità di voti nel1677, come potrà vedere nell'ultima Relazione del card.Cavalchini, benchè la s. Sede per altre ragioni estrinse-che, non abbia creduto opportuno il pronunciar sopraesse un formale decreto.

V. P. reverendissima mi onora nuovamente a pag.378, ove coll'autorità del suo prediletto continuator delFleury conferma ciò ch'io avea detto, che il maestro delsacro palazzo, a' tempi di Leon X, non giudicò degno dicondanna il libro del Pomponazzi sull'immortalitàdell'anima; e perchè forse ha creduto che non mi si do-vesse dar fede, quando ho affermato che le Opere delPomponazzi son piene di assurde ed empie proposizioni,aggiugne che esse furono poi proibite.

Le ultime tre note di questo tomo, che è stato con par-

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mento i privati miei sentimenti? No, P. reverendissimo,non sono i miei, ma sono i sentimenti di que' quattordicicardinali con lui vissuti e da me qui accennati, sono ledeposizioni di tanti testimonj, sono gli Atti per la causaintrodotta della sua beatificazione; questi sono, e non ilprivato mio sentimento, ch'io ho citati per pruova dellevirtù del Bellarmino. E poichè Ella aggiugne che del ri-manente si rimette a' Decreti di Urbano VIII e a ciò chesarà circa le virtù medesime dichiarato dalla sacra Con-gregazione de' Riti e dalla S. Sede apostolica, mi com-piaccio di farle sapere che due volte già la Congregazio-ne de' Riti ha deciso in favore dell'eroicità delle virtù delBellarmino; la prima con pienezza di voti nel 1675; laseconda non con pienezza, ma con pluralità di voti nel1677, come potrà vedere nell'ultima Relazione del card.Cavalchini, benchè la s. Sede per altre ragioni estrinse-che, non abbia creduto opportuno il pronunciar sopraesse un formale decreto.

V. P. reverendissima mi onora nuovamente a pag.378, ove coll'autorità del suo prediletto continuator delFleury conferma ciò ch'io avea detto, che il maestro delsacro palazzo, a' tempi di Leon X, non giudicò degno dicondanna il libro del Pomponazzi sull'immortalitàdell'anima; e perchè forse ha creduto che non mi si do-vesse dar fede, quando ho affermato che le Opere delPomponazzi son piene di assurde ed empie proposizioni,aggiugne che esse furono poi proibite.

Le ultime tre note di questo tomo, che è stato con par-

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ticolar bontà rimirato da V. P. reverendissima, apparten-gono a fr. Paolo, e trovansi alle pagg. 440, 449, 450. Iviio parlo del valore di quel celebre uomo negli studi filo-sofici; e perciò era ben giusto ch'Ella avvertisse i lettori,come fa in queste note, ch'egli era amico de' Protestantie favorevole alle loro opinioni. Anzi mi fa maravigliache ne' primi tomi della mia Storia, ov'io ho ragionato ditanti autori idolatri, non abbia Ella prevenuti i lettori,che coloro furon tutti imbevuti delle gentilesche super-stizioni. Nè solo Ella avverte chi legge, ma con paternaamorevolezza dolcemente mi sferza, perciocchè avendoio accennato il zelo del Sarpi, quale sia stato un talezelo, dice Ella, si può agevolmente raccorre da ciò, chescrive il Courrayer nella di lui Vita. Io la prego nondi-meno a riflettere ch'io parlo del zelo del Sarpi nel servi-gio della repubblica: fu da essa impiegato, io dico, ne'più difficili affari, e in premio della sua attività e delsuo zelo distintamente onorato; e la debolezza del miointendimento non mi lascia arrivare ad intendere, comeci entri qui la Vita che del Sarpi ha scritta il Courrayer.

Ed eccoci finalmente giunti al fine della parte I del t.VII, in cui tante cose ha trovate il zelo di V. P. reveren-dissima, sulle quali occuparsi. Passiamo alla parte II chepiù scarso numero ci somministra di erudite annotazio-ni. Anzi due sole esse sono, perciocchè quella a pag.162 non è che una semplice citazione, che pruova solola profonda sua dottrina. Non così la lunga nota a pag.164 e segg., la quale ben merita tutta la riconoscenza

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ticolar bontà rimirato da V. P. reverendissima, apparten-gono a fr. Paolo, e trovansi alle pagg. 440, 449, 450. Iviio parlo del valore di quel celebre uomo negli studi filo-sofici; e perciò era ben giusto ch'Ella avvertisse i lettori,come fa in queste note, ch'egli era amico de' Protestantie favorevole alle loro opinioni. Anzi mi fa maravigliache ne' primi tomi della mia Storia, ov'io ho ragionato ditanti autori idolatri, non abbia Ella prevenuti i lettori,che coloro furon tutti imbevuti delle gentilesche super-stizioni. Nè solo Ella avverte chi legge, ma con paternaamorevolezza dolcemente mi sferza, perciocchè avendoio accennato il zelo del Sarpi, quale sia stato un talezelo, dice Ella, si può agevolmente raccorre da ciò, chescrive il Courrayer nella di lui Vita. Io la prego nondi-meno a riflettere ch'io parlo del zelo del Sarpi nel servi-gio della repubblica: fu da essa impiegato, io dico, ne'più difficili affari, e in premio della sua attività e delsuo zelo distintamente onorato; e la debolezza del miointendimento non mi lascia arrivare ad intendere, comeci entri qui la Vita che del Sarpi ha scritta il Courrayer.

Ed eccoci finalmente giunti al fine della parte I del t.VII, in cui tante cose ha trovate il zelo di V. P. reveren-dissima, sulle quali occuparsi. Passiamo alla parte II chepiù scarso numero ci somministra di erudite annotazio-ni. Anzi due sole esse sono, perciocchè quella a pag.162 non è che una semplice citazione, che pruova solola profonda sua dottrina. Non così la lunga nota a pag.164 e segg., la quale ben merita tutta la riconoscenza

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mia e de' lettori della mia Storia.Spiacque a molti, io ho detto parlando della correzio-

ne del Corpo del diritto canonico, fatta per ordine diGregorio XIII, che i correttori romani avesser cambiatotalvolta o le intitolazioni, o le citazioni di Graziano, oancora i Canoni stessi e i decreti da lui citati.... più an-cora spiacque che i correttori medesimi non avesseroavvertito che molte opere da Graziano attribuite ad al-cuni santi Padri erano ad essi supposte; ch'essi avesse-ro continuato a citare le false Decretali raccolte da Isi-doro, senza muovere dubbio alcuno sulla loro autentici-tà, benchè alcuni avesser cominciato a dubitarne. Que-sto passo ben meritava di essere da V. P. reverendissimaseveramente corretto. È falso che i correttori abbiano ci-tate molte opere supposte a' santi Padri, e la prova delmio errore è evidente; perciocchè, dic'Ella, moltissimipassi attribuiti da Graziano o da' Copisti a Scrittori,che non se n'erano neppure sognati, sono stati da' Cor-rettori Romani restituiti ai veri loro Autori; e perciò nonpuò esser vero che molte altre opere supposte sieno stateda essi citate. Almeno io dovea dire ciò che V. P. reve-rendissima ha detto; che i correttori romani emendaronomolti errori. È vero ch'io ho detto che da essi non si per-donò a diligenza, o a fatica per eseguire la correzionloro ingiunta, e quindi moltissimi furon gli errori daessi emendati, e il Decreto per opera loro si ebbe infini-tamente migliore che non era in addietro. Ma ciò cheimporta? Io ho errato: e felice il mio errore, che ha data

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mia e de' lettori della mia Storia.Spiacque a molti, io ho detto parlando della correzio-

ne del Corpo del diritto canonico, fatta per ordine diGregorio XIII, che i correttori romani avesser cambiatotalvolta o le intitolazioni, o le citazioni di Graziano, oancora i Canoni stessi e i decreti da lui citati.... più an-cora spiacque che i correttori medesimi non avesseroavvertito che molte opere da Graziano attribuite ad al-cuni santi Padri erano ad essi supposte; ch'essi avesse-ro continuato a citare le false Decretali raccolte da Isi-doro, senza muovere dubbio alcuno sulla loro autentici-tà, benchè alcuni avesser cominciato a dubitarne. Que-sto passo ben meritava di essere da V. P. reverendissimaseveramente corretto. È falso che i correttori abbiano ci-tate molte opere supposte a' santi Padri, e la prova delmio errore è evidente; perciocchè, dic'Ella, moltissimipassi attribuiti da Graziano o da' Copisti a Scrittori,che non se n'erano neppure sognati, sono stati da' Cor-rettori Romani restituiti ai veri loro Autori; e perciò nonpuò esser vero che molte altre opere supposte sieno stateda essi citate. Almeno io dovea dire ciò che V. P. reve-rendissima ha detto; che i correttori romani emendaronomolti errori. È vero ch'io ho detto che da essi non si per-donò a diligenza, o a fatica per eseguire la correzionloro ingiunta, e quindi moltissimi furon gli errori daessi emendati, e il Decreto per opera loro si ebbe infini-tamente migliore che non era in addietro. Ma ciò cheimporta? Io ho errato: e felice il mio errore, che ha data

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occasione all'ingegnosa ed erudita sua annotazione!In essa prende ancora V. P. reverendissima a difende-

re i correttori, perchè continuarono a far uso delle falseDecretali, e fa un grande onore al saggio loro discerni-mento, dicendo, ch'essi credettero di aver de' gravi mo-tivi per vieppiù confermarsi nell'opinione ch'era allorala più comune, cioè dell'autenticità di quelle Decretali.La quale giustificazione ognun vede che non ammetterisposta e che distrugge perciò ciò ch'io ho scritto, chespiacque a molti il veder quelle Decretali citate dopoche si era cominciato a dubitare della loro supposizione.E per confermar sempre più che ciò non dovea spiacere,aggiugne un eloquentissima enumerazione di molti altriuomini illustri che ammisero come genuine alcune ope-re che poi furon riconosciute come supposte.

E perchè io annoverando gli uomini dotti che da PioIV, da s. Pio V e da Gregorio XIII furono in quel lavoroimpiegati, ho citato il Boemero che gli annovera distin-tamente, V. P. reverendissima osserva che costui si è la-sciato ingannare da un'impostura del troppo celebre av-vocato Macchiavelli, il quale ha finto un Breve di Euge-nio III in approvazione del Decreto di Graziano. Edecco con ciò convinta la mia imprudenza e la mal avve-duta mia critica nel copiare dal Boemero i nomi di que'che composero la congregazione alla correzione del Di-ritto canonico deputata, giacchè egli è manifesto che chisi è lasciato ingannare da un falso documento del secoloXII, non può averci dato un esatto catalogo de' correttori

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occasione all'ingegnosa ed erudita sua annotazione!In essa prende ancora V. P. reverendissima a difende-

re i correttori, perchè continuarono a far uso delle falseDecretali, e fa un grande onore al saggio loro discerni-mento, dicendo, ch'essi credettero di aver de' gravi mo-tivi per vieppiù confermarsi nell'opinione ch'era allorala più comune, cioè dell'autenticità di quelle Decretali.La quale giustificazione ognun vede che non ammetterisposta e che distrugge perciò ciò ch'io ho scritto, chespiacque a molti il veder quelle Decretali citate dopoche si era cominciato a dubitare della loro supposizione.E per confermar sempre più che ciò non dovea spiacere,aggiugne un eloquentissima enumerazione di molti altriuomini illustri che ammisero come genuine alcune ope-re che poi furon riconosciute come supposte.

E perchè io annoverando gli uomini dotti che da PioIV, da s. Pio V e da Gregorio XIII furono in quel lavoroimpiegati, ho citato il Boemero che gli annovera distin-tamente, V. P. reverendissima osserva che costui si è la-sciato ingannare da un'impostura del troppo celebre av-vocato Macchiavelli, il quale ha finto un Breve di Euge-nio III in approvazione del Decreto di Graziano. Edecco con ciò convinta la mia imprudenza e la mal avve-duta mia critica nel copiare dal Boemero i nomi di que'che composero la congregazione alla correzione del Di-ritto canonico deputata, giacchè egli è manifesto che chisi è lasciato ingannare da un falso documento del secoloXII, non può averci dato un esatto catalogo de' correttori

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del decreto nel secolo XVI.L'altra nota è alla pag. 261, ove io ho affermato che

Adriano VI diede un canonicato a Paolo Giovio conpatto che di lui parlasse onorevolmente nelle sue Storie.Osserva qui dapprima V. P. reverendissima che AdrianoVI non era capace di procacciarsi le umane lodi, spe-cialmente con tanto discapito della coscienza. Di fattonon sarebbe Ella stata una vergognosissima simonia, senell'atto di dargli il canonicato, Adriano avesse dettosorridendo al Giovio: ma di grazia il mio M. Paolo, fa-temi far buona figura nelle vostre Storie? Osserva innol-tre che Benedetto Giovio, da cui raccontasi questo fatto,non nomina mai patto o condizione. E a dir vero le paro-le di Benedetto riportate anche da V. P. reverendissima,son queste: Ei Canonicatum.... libentissime contulit, ITATAMEN UT in ejus Historia honorificum locum haberet.Or quelle parole ita tamen ut posson mai significare pat-to o condizione? Quindi fra le molte obbligazioni ch'iole professo, deesi annoverare ancor questa di avermi fat-to conoscere ch'io assai poco so di latino; e che non deb-bo ardir di tradurre da quella nella volgar nostra lingua,giacchè ita tamen ut, ec. non vuol già dire a patto peròche, ec., ma significa qualche altra cosa che V. P. reve-rendissima ci dirà poi in altra opera che cosa sia. Final-mente Ella aggiugne bisogna poi vedere da chi abbiaavuto una tal notizia Benedetto. Non è verisimile di fat-to che l'abbia avuta dallo stesso Paolo suo fratello, ed èassai più probabile che gli sia stata scritta dall'Inghilter-

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del decreto nel secolo XVI.L'altra nota è alla pag. 261, ove io ho affermato che

Adriano VI diede un canonicato a Paolo Giovio conpatto che di lui parlasse onorevolmente nelle sue Storie.Osserva qui dapprima V. P. reverendissima che AdrianoVI non era capace di procacciarsi le umane lodi, spe-cialmente con tanto discapito della coscienza. Di fattonon sarebbe Ella stata una vergognosissima simonia, senell'atto di dargli il canonicato, Adriano avesse dettosorridendo al Giovio: ma di grazia il mio M. Paolo, fa-temi far buona figura nelle vostre Storie? Osserva innol-tre che Benedetto Giovio, da cui raccontasi questo fatto,non nomina mai patto o condizione. E a dir vero le paro-le di Benedetto riportate anche da V. P. reverendissima,son queste: Ei Canonicatum.... libentissime contulit, ITATAMEN UT in ejus Historia honorificum locum haberet.Or quelle parole ita tamen ut posson mai significare pat-to o condizione? Quindi fra le molte obbligazioni ch'iole professo, deesi annoverare ancor questa di avermi fat-to conoscere ch'io assai poco so di latino; e che non deb-bo ardir di tradurre da quella nella volgar nostra lingua,giacchè ita tamen ut, ec. non vuol già dire a patto peròche, ec., ma significa qualche altra cosa che V. P. reve-rendissima ci dirà poi in altra opera che cosa sia. Final-mente Ella aggiugne bisogna poi vedere da chi abbiaavuto una tal notizia Benedetto. Non è verisimile di fat-to che l'abbia avuta dallo stesso Paolo suo fratello, ed èassai più probabile che gli sia stata scritta dall'Inghilter-

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ra, o forse ancor dall'America, e perciò un tal raccontonon merita fede alcuna.

Vegniamo alla parte III del tomo VII, ch'essendo tuttaimpiegata nel ragionare degli studj dell'amena letteratu-ra, io mi lusingava che appena potesse contener cosache agli occhi di un severo teologo sembrasse degna dicorrezione. Ma è troppo illuminato il zelo di V. P. reve-rendissima per non trovare difetti, ove un occhio menfino non sapprebbeli ravvisare. Parlando a pag. 53 di Er-silia Cortese, tanto favorita e onorata da Giulio III, horiportato il passo del Ruscelli, in cui oscuramente accen-na le persecuzioni da essa sofferte dopo la morte di quelpontefice, per le quali ella si vide spogliata de' suoi ca-stelli e delle sue entrate, e ho detto che le espressioni delRuscelli a me sembra che indichino certamente il pon-tef. Paolo IV, i Caraffi di lui nipoti, che tanto abusaronodel lor potere, e i loro ministri; ma che intorno a ciònon mi è avvenuto di ritrovare più distinte notizie. QuiV. P. reverendissima facendo, per dirlo alla francese, uneruditissimo galimatias sulle notizie più distinte, mendistinte, e confuse, mi biasima, perchè senza fondamen-to ho interpretate nel detto modo le parole del Ruscelli,le quali a lei sembra che non indichino Paolo IV. Perchènon ha V. P. reverendissima spinte più oltre le sue ricer-che, e non ci ha più chiaramente spiegato il senso diquello scrittore? Io, i cui occhi son tanto meno penetran-ti, ho creduto che non si potessero rovinar castelli, nètogliere le entrate nello Stato pontificio senza comando

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ra, o forse ancor dall'America, e perciò un tal raccontonon merita fede alcuna.

Vegniamo alla parte III del tomo VII, ch'essendo tuttaimpiegata nel ragionare degli studj dell'amena letteratu-ra, io mi lusingava che appena potesse contener cosache agli occhi di un severo teologo sembrasse degna dicorrezione. Ma è troppo illuminato il zelo di V. P. reve-rendissima per non trovare difetti, ove un occhio menfino non sapprebbeli ravvisare. Parlando a pag. 53 di Er-silia Cortese, tanto favorita e onorata da Giulio III, horiportato il passo del Ruscelli, in cui oscuramente accen-na le persecuzioni da essa sofferte dopo la morte di quelpontefice, per le quali ella si vide spogliata de' suoi ca-stelli e delle sue entrate, e ho detto che le espressioni delRuscelli a me sembra che indichino certamente il pon-tef. Paolo IV, i Caraffi di lui nipoti, che tanto abusaronodel lor potere, e i loro ministri; ma che intorno a ciònon mi è avvenuto di ritrovare più distinte notizie. QuiV. P. reverendissima facendo, per dirlo alla francese, uneruditissimo galimatias sulle notizie più distinte, mendistinte, e confuse, mi biasima, perchè senza fondamen-to ho interpretate nel detto modo le parole del Ruscelli,le quali a lei sembra che non indichino Paolo IV. Perchènon ha V. P. reverendissima spinte più oltre le sue ricer-che, e non ci ha più chiaramente spiegato il senso diquello scrittore? Io, i cui occhi son tanto meno penetran-ti, ho creduto che non si potessero rovinar castelli, nètogliere le entrate nello Stato pontificio senza comando

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del papa, e avendo osservato che il Ruscelli morì nel1566, appena cominciato il pontificato di s. Pio V, cheperciò le persecuzioni dell'Ersilia dopo la morte di Giu-lio III, debbono appartenere al pontificato o di Paolo IV,o di Pio IV, e veggendo dal Ruscelli indicarsi la moltavecchiezza, persone che potevano in supremo grado, ec.,ho creduto che, s'indicassero i tempi di Paolo IV. Se V.P. reverendissima, a spese di Pio IV, vuol giustificarPaolo IV, Ella ne saprà i motivi. Ma spero che converràmeco, che senza abusare dell'autorità di un pontefice,non potevasi maltrattare Ersilia nel modo dal Ruscelliindicato.

Felici i papi, se avesser sempre difensori zelanti alpari di V. P. reverendissima! Quante calunnie si vedreb-bono dileguate e smentite! Io ho riferito a pag. 101 ciòche dell'Ariosto si narra; cioè che papa Giulio II sdegna-to contro di esso, perchè difendeva la causa del duca Al-fonso I suo signore, lo volle far trarre in mare, comenarra Virginio di lui figliuolo. Quanto è robusta la difesach'ella qui fa del pontefice! La testimonianza di Virgi-nio, dic'Ella, e lo stesso dovrà dirsi delle testimonianzedi più altri scrittori di que' tempi, citati dal Dott. Barottinella Vita dell'Ariosto, è fondata sulle ciarle, che purtroppo da' malevoli si andavano spargendo contro Giu-lio II. E non basta egli che V. P. reverendissima lo affer-mi, perchè senza più gliel crediamo?

Un'altra nota piena di teologica erudizione io trovo apag. 155, ove avendo io osservato a qual impudenza

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del papa, e avendo osservato che il Ruscelli morì nel1566, appena cominciato il pontificato di s. Pio V, cheperciò le persecuzioni dell'Ersilia dopo la morte di Giu-lio III, debbono appartenere al pontificato o di Paolo IV,o di Pio IV, e veggendo dal Ruscelli indicarsi la moltavecchiezza, persone che potevano in supremo grado, ec.,ho creduto che, s'indicassero i tempi di Paolo IV. Se V.P. reverendissima, a spese di Pio IV, vuol giustificarPaolo IV, Ella ne saprà i motivi. Ma spero che converràmeco, che senza abusare dell'autorità di un pontefice,non potevasi maltrattare Ersilia nel modo dal Ruscelliindicato.

Felici i papi, se avesser sempre difensori zelanti alpari di V. P. reverendissima! Quante calunnie si vedreb-bono dileguate e smentite! Io ho riferito a pag. 101 ciòche dell'Ariosto si narra; cioè che papa Giulio II sdegna-to contro di esso, perchè difendeva la causa del duca Al-fonso I suo signore, lo volle far trarre in mare, comenarra Virginio di lui figliuolo. Quanto è robusta la difesach'ella qui fa del pontefice! La testimonianza di Virgi-nio, dic'Ella, e lo stesso dovrà dirsi delle testimonianzedi più altri scrittori di que' tempi, citati dal Dott. Barottinella Vita dell'Ariosto, è fondata sulle ciarle, che purtroppo da' malevoli si andavano spargendo contro Giu-lio II. E non basta egli che V. P. reverendissima lo affer-mi, perchè senza più gliel crediamo?

Un'altra nota piena di teologica erudizione io trovo apag. 155, ove avendo io osservato a qual impudenza

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fosse giunto il teatro italiano al principio del secoloXVI, Ella ci schiera innanzi un gran numero di papi e diconcilj che divietarono severamente cotali spettacoli,notizia nuova e interessante, che in niun modo doveasida me ommettere.

Il zelo di V. P. reverendissima pel buon nome de' ro-mani pontefici torna in campo a pag. 162, ove riportan-do io un passo del Giovio, in cui narra che Leon X siprendeva trastullo degli uomini sciocchi e prosontuosi,Ella gravemente decide che il Giovio al suo solito esa-gera secondando la sua passione, ed eccedendo i limitidel vero e del giusto. Taluno pretenderebbe per avventu-ra, che di questa taccia data al Giovio, Ella avesse recatoqualche autorevole fondamento. Ma è Ella forse tenuta arender ragione del suo pensare?

L'ultima delle note a questo tomo aggiunte, più ancordi altre, richiede la mia riconoscenza, perciocchè aven-do io biasimata a p. 419 la soverchia libertà con cui d.Callisto piacentino parlò in una sua predica di Leon X,Ella si compiace di far eco a' miei detti, e di aggiugnereche la morte di quel pontefice fu pianta dagli uomini piùdotti e più pii di que' tempi, e specialmente da f. SantePagnino.

Ed eccomi finalmente giunto al tomo VIII, in cui lamia Storia si chiude. Io mi lusingava che qui ancora do-vesse il zelo di V. P. reverendissima avere ampio campoin cui esercitarsi. Ma io temo che a danno mio e de' let-

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fosse giunto il teatro italiano al principio del secoloXVI, Ella ci schiera innanzi un gran numero di papi e diconcilj che divietarono severamente cotali spettacoli,notizia nuova e interessante, che in niun modo doveasida me ommettere.

Il zelo di V. P. reverendissima pel buon nome de' ro-mani pontefici torna in campo a pag. 162, ove riportan-do io un passo del Giovio, in cui narra che Leon X siprendeva trastullo degli uomini sciocchi e prosontuosi,Ella gravemente decide che il Giovio al suo solito esa-gera secondando la sua passione, ed eccedendo i limitidel vero e del giusto. Taluno pretenderebbe per avventu-ra, che di questa taccia data al Giovio, Ella avesse recatoqualche autorevole fondamento. Ma è Ella forse tenuta arender ragione del suo pensare?

L'ultima delle note a questo tomo aggiunte, più ancordi altre, richiede la mia riconoscenza, perciocchè aven-do io biasimata a p. 419 la soverchia libertà con cui d.Callisto piacentino parlò in una sua predica di Leon X,Ella si compiace di far eco a' miei detti, e di aggiugnereche la morte di quel pontefice fu pianta dagli uomini piùdotti e più pii di que' tempi, e specialmente da f. SantePagnino.

Ed eccomi finalmente giunto al tomo VIII, in cui lamia Storia si chiude. Io mi lusingava che qui ancora do-vesse il zelo di V. P. reverendissima avere ampio campoin cui esercitarsi. Ma io temo che a danno mio e de' let-

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tori della mia Storia esso siasi illanguidito. Perciocchè,oltre la nota sul sistema copernicano già da me indicata,un'altra sola notarella vi ho io trovata a pag. 419. Ivi hoaccennate le controversie che il p. Mazzarini ebbe con s.Carlo in Milano, nate all'occasione di quelle che questiavea allora in Milano co' regj ministri intornoall'immunità ecclesiastica; ho confessato che il p. Maz-zarini fu degno di biasimo, perchè mancò al rispetto al s.cardinale dovuto, ma ho aggiunto che dopo un formaleprocesso ei fu dichiarato innocente riguardo a' sospettiche intorno alla sua Fede si eran formati: e ho conchiusoche mi bastava l'aver di ciò dato un cenno per non ritoc-care questioni pericolose al pari che inutili, più ancorache non conveniva, si è scritto alcuni anni addietro. Orecco la bella nota che V. P. reverendissima a questo pas-so ha aggiunta: Non veggo, come si abbiano a rappre-sentare come inutili quelle quistioni, che da gran lumi-nari del Cristianesimo furono gloriosamente trattate,come da S. Atanasio, da Osio di Cordova, da S. Ilario,da S. Ambrogio, da S. Gio. Grisostomo, e da vari altriche lungo sarebbe il numerare. Ma di grazia, P. reveren-dissimo, che è mai ciò? S. Atanasio, Osio, S. Ilario, S.Ambrogio, S. Gio. Grisostomo hanno dunque trattatodelle controversie che il p. Mazzarini ebbe con s. Carlo?Certo son queste le controversie di cui io ragiono, e ciòè evidente da tutto il contesto, in cui non tratto chedell'imprudenza di quel focoso predicatore, del processofattogli per opera di s. Carlo, della sua assoluzione, ec.,e le controversie sull'immunità ecclesiastica non son no-

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tori della mia Storia esso siasi illanguidito. Perciocchè,oltre la nota sul sistema copernicano già da me indicata,un'altra sola notarella vi ho io trovata a pag. 419. Ivi hoaccennate le controversie che il p. Mazzarini ebbe con s.Carlo in Milano, nate all'occasione di quelle che questiavea allora in Milano co' regj ministri intornoall'immunità ecclesiastica; ho confessato che il p. Maz-zarini fu degno di biasimo, perchè mancò al rispetto al s.cardinale dovuto, ma ho aggiunto che dopo un formaleprocesso ei fu dichiarato innocente riguardo a' sospettiche intorno alla sua Fede si eran formati: e ho conchiusoche mi bastava l'aver di ciò dato un cenno per non ritoc-care questioni pericolose al pari che inutili, più ancorache non conveniva, si è scritto alcuni anni addietro. Orecco la bella nota che V. P. reverendissima a questo pas-so ha aggiunta: Non veggo, come si abbiano a rappre-sentare come inutili quelle quistioni, che da gran lumi-nari del Cristianesimo furono gloriosamente trattate,come da S. Atanasio, da Osio di Cordova, da S. Ilario,da S. Ambrogio, da S. Gio. Grisostomo, e da vari altriche lungo sarebbe il numerare. Ma di grazia, P. reveren-dissimo, che è mai ciò? S. Atanasio, Osio, S. Ilario, S.Ambrogio, S. Gio. Grisostomo hanno dunque trattatodelle controversie che il p. Mazzarini ebbe con s. Carlo?Certo son queste le controversie di cui io ragiono, e ciòè evidente da tutto il contesto, in cui non tratto chedell'imprudenza di quel focoso predicatore, del processofattogli per opera di s. Carlo, della sua assoluzione, ec.,e le controversie sull'immunità ecclesiastica non son no-

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minate che di passaggio, per l'occasion che diedero aquelle tra 'l p. Mazzarini e s. Carlo; ed è ancor più evi-dente che le quistioni pericolose al pari che inutili, dellequali io ragiono, son quelle del mentovato processo,quando si rifletta ch'io aggiungo: sulle quali, più ancorache non conveniva, si è scritto alcuni anni addietro;espressione che sarebbe ridicola parlando delle quistionisull'immunità ecclesiastica, delle quali si è scritto nonalcuni anni addietro, ma già da molti secoli, e si scrivetuttora, e si scriverà ancora probabilmente per lungotempo, ma che è ben adattata alle controversie di s. Car-lo col p. Mazzarini, sulle quali si aggirano molti libristampati alcuni anni addietro, cioè le Lettere di s. Carlostampate in Lugano, l'Esame di dette Lettere, e più altrilibri in quell'occasion pubblicati, e ne' quali dell'immu-nità ecclesiastica si parla tanto quanto dell'elettricità edel magnetismo.

Ma comunque sia evidente che in quest'ultima nota,come anche a' più grand'uomini accade talvolta, V. P. re-verendissima non ha troppo felicemente rilevato il sensodelle mie parole, io non lascio perciò di protestarmisommamente tenuto alla pietosa intenzione ch'Ella haavuto di correggermi e d'illuminarmi. E io la prego per-ciò, quando mai qualche altra mia opera venisse a ri-stamparsi costì, a voler aggiugnere ad essa ancora leerudite sue annotazioni, ch'io le rinnoverò allora i mieipiù sinceri ringraziamenti, e avrò una nuova occasionedi attestarle quella viva riconoscenza, e quel riverente

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minate che di passaggio, per l'occasion che diedero aquelle tra 'l p. Mazzarini e s. Carlo; ed è ancor più evi-dente che le quistioni pericolose al pari che inutili, dellequali io ragiono, son quelle del mentovato processo,quando si rifletta ch'io aggiungo: sulle quali, più ancorache non conveniva, si è scritto alcuni anni addietro;espressione che sarebbe ridicola parlando delle quistionisull'immunità ecclesiastica, delle quali si è scritto nonalcuni anni addietro, ma già da molti secoli, e si scrivetuttora, e si scriverà ancora probabilmente per lungotempo, ma che è ben adattata alle controversie di s. Car-lo col p. Mazzarini, sulle quali si aggirano molti libristampati alcuni anni addietro, cioè le Lettere di s. Carlostampate in Lugano, l'Esame di dette Lettere, e più altrilibri in quell'occasion pubblicati, e ne' quali dell'immu-nità ecclesiastica si parla tanto quanto dell'elettricità edel magnetismo.

Ma comunque sia evidente che in quest'ultima nota,come anche a' più grand'uomini accade talvolta, V. P. re-verendissima non ha troppo felicemente rilevato il sensodelle mie parole, io non lascio perciò di protestarmisommamente tenuto alla pietosa intenzione ch'Ella haavuto di correggermi e d'illuminarmi. E io la prego per-ciò, quando mai qualche altra mia opera venisse a ri-stamparsi costì, a voler aggiugnere ad essa ancora leerudite sue annotazioni, ch'io le rinnoverò allora i mieipiù sinceri ringraziamenti, e avrò una nuova occasionedi attestarle quella viva riconoscenza, e quel riverente

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ossequio con cui mi protesto Di V. P. ReverendissimaModena 18 agosto 1785.

Divotiss. obbligatiss. servidore Girolamo Tiraboschi.

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ossequio con cui mi protesto Di V. P. ReverendissimaModena 18 agosto 1785.

Divotiss. obbligatiss. servidore Girolamo Tiraboschi.

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