Rosario Di Mauro (ePub) - liberliber.it · La qual cosa può dirsi anche di quel popolo semitico,...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia di Roma. Vol. 3: Dall'unione d'Italiafino alla sottomissione di CartagineAUTORE: Mommsen, TheodorTRADUTTORE: Quattrini, Antonio GaribaldoCURATORE: Quattrini, Antonio GaribaldoNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100294

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Battaglia di Zama" diGiulio Romano (1499-1546) - Museo Statale di Bellearti “A.S. Puškin” - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Battaglia_di_Zama.jpg - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: 3: \ Dall'unione d'Italia fino alla sot-tomissione di Cartagine / Teodoro Mommsen - Roma:Aequa, stampa 1938. - 319 p. ; 20 cm. – Fa parte diStoria di Roma / Teodoro Mommsen ; curata e annotatada Antonio G. Quattrini.

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CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100294

DIRITTI D'AUTORE: no

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TRATTO DA: 3: \ Dall'unione d'Italia fino alla sot-tomissione di Cartagine / Teodoro Mommsen - Roma:Aequa, stampa 1938. - 319 p. ; 20 cm. – Fa parte diStoria di Roma / Teodoro Mommsen ; curata e annotatada Antonio G. Quattrini.

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CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 22 marzo 20092a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 1 marzo 2017

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS002020 STORIA / Antica / Roma

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected] Di Mauro (ePub)Ugo Santamaria

IMPAGINAZIONE:Carlo F. Traverso (ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected] Santamaria

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

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Indice generale

TERZO LIBRODALL'UNIONE D'ITALIA FINO ALLA SOTTOMISSIO-NE DI CARTAGINE........................................................... 10

PRIMO CAPITOLOCARTAGINE..........................................................................11

1. I Fenici..................................................................................... 112. Disposizioni intellettuali......................................................... 133. Disposizioni politiche............................................................. 144. Cartagine contro gli Elleni...................................................... 175. Dominio di Cartagine in Africa.............................................. 216. Potenza marittima di Cartagine............................................... 267. Costituzione cartaginese......................................................... 328. La forza del capitalismo in Cartagine..................................... 389. Parallelo tra Cartagine e Roma............................................... 41

SECONDO CAPITOLOGUERRA TRA ROMA E CARTAGINE PER IL POSSESSODELLA SICILIA.....................................................................53

1. Condizioni della Sicilia........................................................... 532. Gerone da Siracusa.................................................................. 563. I Mamertini nella lega federale............................................... 584. Guerra tra Roma e Cartagine.................................................. 625. Pace con Gerone...................................................................... 666. Inizio della guerra marittima................................................... 697. Prime vittorie navali................................................................ 738. Sbarco di Regolo in Africa...................................................... 809. Sconfitta di Regolo.................................................................. 8310. Ripresa della guerra in Sicilia............................................... 8611. Assedio di Lilibeo................................................................. 8912. Perplessità dei Romani.......................................................... 9413. Amilcare Barca..................................................................... 9614. Una nuova flotta romana....................................................... 99

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Indice generale

TERZO LIBRODALL'UNIONE D'ITALIA FINO ALLA SOTTOMISSIO-NE DI CARTAGINE........................................................... 10

PRIMO CAPITOLOCARTAGINE..........................................................................11

1. I Fenici..................................................................................... 112. Disposizioni intellettuali......................................................... 133. Disposizioni politiche............................................................. 144. Cartagine contro gli Elleni...................................................... 175. Dominio di Cartagine in Africa.............................................. 216. Potenza marittima di Cartagine............................................... 267. Costituzione cartaginese......................................................... 328. La forza del capitalismo in Cartagine..................................... 389. Parallelo tra Cartagine e Roma............................................... 41

SECONDO CAPITOLOGUERRA TRA ROMA E CARTAGINE PER IL POSSESSODELLA SICILIA.....................................................................53

1. Condizioni della Sicilia........................................................... 532. Gerone da Siracusa.................................................................. 563. I Mamertini nella lega federale............................................... 584. Guerra tra Roma e Cartagine.................................................. 625. Pace con Gerone...................................................................... 666. Inizio della guerra marittima................................................... 697. Prime vittorie navali................................................................ 738. Sbarco di Regolo in Africa...................................................... 809. Sconfitta di Regolo.................................................................. 8310. Ripresa della guerra in Sicilia............................................... 8611. Assedio di Lilibeo................................................................. 8912. Perplessità dei Romani.......................................................... 9413. Amilcare Barca..................................................................... 9614. Una nuova flotta romana....................................................... 99

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15. Trattato di pace.................................................................... 10116. Critica alla tattica dei Romani............................................. 105

TERZO CAPITOLOESTENSIONE DELL'ITALIA FINO AI SUOI CONFINI NA-TURALI................................................................................112

1. Confini d'Italia....................................................................... 1122. Sicilia – Sardegna – Libia..................................................... 1133. Ordinamento dei possedimenti marittimi. ............................. 1204. L'Italia e le province.............................................................. 1265. Le coste dell'Adriatico.......................................................... 1286. Pirateria illirica...................................................................... 1307. Acquisto di territorio nell'Illiria. ........................................... 1338. Italia superiore....................................................................... 1359. Guerre dei Celti..................................................................... 13710. I Celti attaccati nel proprio paese........................................ 14311. Il paese dei Celti diventa romano........................................ 146

QUARTO CAPITOLOAMILCARE ED ANNIBALE..............................................149

1. Situazione di Cartagine dopo la pace.................................... 1492. I due partiti in Cartagine....................................................... 1513. Amilcare duce supremo........................................................ 1544. Amilcare alla conquista della Spagna................................... 1585. Il governo romano e i Barca.................................................. 1626. Annibale................................................................................ 1657. Rottura tra Roma e Cartagine................................................ 1688. Preparativi per attaccare l'Italia. ............................................ 1729. Situazione di Roma............................................................... 17810. Passaggio del Rodano......................................................... 18311. Annibale passa le Alpi......................................................... 18612. I risultati.............................................................................. 195

QUINTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: SINO ALLA BATTAGLIA DICANNE.................................................................................198

1. Annibale tra i Celti italici...................................................... 1982. Combattimento presso il Ticino............................................ 2013. Battaglia sulla Trebbia.......................................................... 204

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15. Trattato di pace.................................................................... 10116. Critica alla tattica dei Romani............................................. 105

TERZO CAPITOLOESTENSIONE DELL'ITALIA FINO AI SUOI CONFINI NA-TURALI................................................................................112

1. Confini d'Italia....................................................................... 1122. Sicilia – Sardegna – Libia..................................................... 1133. Ordinamento dei possedimenti marittimi. ............................. 1204. L'Italia e le province.............................................................. 1265. Le coste dell'Adriatico.......................................................... 1286. Pirateria illirica...................................................................... 1307. Acquisto di territorio nell'Illiria. ........................................... 1338. Italia superiore....................................................................... 1359. Guerre dei Celti..................................................................... 13710. I Celti attaccati nel proprio paese........................................ 14311. Il paese dei Celti diventa romano........................................ 146

QUARTO CAPITOLOAMILCARE ED ANNIBALE..............................................149

1. Situazione di Cartagine dopo la pace.................................... 1492. I due partiti in Cartagine....................................................... 1513. Amilcare duce supremo........................................................ 1544. Amilcare alla conquista della Spagna................................... 1585. Il governo romano e i Barca.................................................. 1626. Annibale................................................................................ 1657. Rottura tra Roma e Cartagine................................................ 1688. Preparativi per attaccare l'Italia. ............................................ 1729. Situazione di Roma............................................................... 17810. Passaggio del Rodano......................................................... 18311. Annibale passa le Alpi......................................................... 18612. I risultati.............................................................................. 195

QUINTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: SINO ALLA BATTAGLIA DICANNE.................................................................................198

1. Annibale tra i Celti italici...................................................... 1982. Combattimento presso il Ticino............................................ 2013. Battaglia sulla Trebbia.......................................................... 204

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4. Annibale padrone dell'alta Italia........................................... 2075. Battaglia del Trasimeno........................................................ 2126. Annibale sulle coste orientali................................................ 2167. Quinto Fabio......................................................................... 2188. Fabio Minucio....................................................................... 2219. Nuovo armamento di Roma.................................................. 22510. Battaglia presso Canne........................................................ 22711. Conseguenze della battaglia di Canne................................. 23312. Contegno dei Romani.......................................................... 239

SESTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: DA CANNE A ZAMA..............245

1. La crisi................................................................................... 2452. Marcello................................................................................ 2473. Ripresa della guerra.............................................................. 2494. Annibale ridotto alla difensiva.............................................. 2535. Guerra in Sicilia.................................................................... 2586. Conquista di Siracusa............................................................ 2627. Filippo e le sue esitazioni...................................................... 2658. Roma alla testa della coalizione greca.................................. 2699. Guerra in Spagna................................................................... 27310. Sconfitta e morte degli Scipioni.......................................... 27611. Publio Scipione................................................................... 28012. Presa di Cartagena............................................................... 28313. Conquista della Spagna....................................................... 28814. Guerra in Italia.................................................................... 29115. Combattimenti nell'Italia meridionale. ................................ 29416. Annibale alle porte di Roma............................................... 29917. Presa di Capua..................................................................... 30118. Preponderanza dei Romani................................................. 30319. Capitolazione di Taranto..................................................... 30520. Gli alleati............................................................................. 30921. Asdrubale ed Annibale in marcia........................................ 31222. Battaglia presso Sena.......................................................... 31423. Magone in Italia.................................................................. 31624. Scipione in Africa............................................................... 31925. Armamenti in Africa........................................................... 32326. Trattative di pace................................................................. 326

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4. Annibale padrone dell'alta Italia........................................... 2075. Battaglia del Trasimeno........................................................ 2126. Annibale sulle coste orientali................................................ 2167. Quinto Fabio......................................................................... 2188. Fabio Minucio....................................................................... 2219. Nuovo armamento di Roma.................................................. 22510. Battaglia presso Canne........................................................ 22711. Conseguenze della battaglia di Canne................................. 23312. Contegno dei Romani.......................................................... 239

SESTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: DA CANNE A ZAMA..............245

1. La crisi................................................................................... 2452. Marcello................................................................................ 2473. Ripresa della guerra.............................................................. 2494. Annibale ridotto alla difensiva.............................................. 2535. Guerra in Sicilia.................................................................... 2586. Conquista di Siracusa............................................................ 2627. Filippo e le sue esitazioni...................................................... 2658. Roma alla testa della coalizione greca.................................. 2699. Guerra in Spagna................................................................... 27310. Sconfitta e morte degli Scipioni.......................................... 27611. Publio Scipione................................................................... 28012. Presa di Cartagena............................................................... 28313. Conquista della Spagna....................................................... 28814. Guerra in Italia.................................................................... 29115. Combattimenti nell'Italia meridionale. ................................ 29416. Annibale alle porte di Roma............................................... 29917. Presa di Capua..................................................................... 30118. Preponderanza dei Romani................................................. 30319. Capitolazione di Taranto..................................................... 30520. Gli alleati............................................................................. 30921. Asdrubale ed Annibale in marcia........................................ 31222. Battaglia presso Sena.......................................................... 31423. Magone in Italia.................................................................. 31624. Scipione in Africa............................................................... 31925. Armamenti in Africa........................................................... 32326. Trattative di pace................................................................. 326

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27. Ripresa delle ostilità............................................................ 32928. Pace..................................................................................... 33229. Risultati della guerra........................................................... 336

SETTIMO CAPITOLOL'OCCIDENTE DOPO LA PACE ANNIBALICA..............344

1. Guerre celtiche...................................................................... 3442. Misure contro le invasioni..................................................... 3473. Colonizzazione del paese di qua del Po................................ 3494. La Liguria e le isole.............................................................. 3515. Cartagine............................................................................... 3536. Annibale................................................................................ 3567. I Numidi................................................................................ 3608. Estensione e civilizzazione della Numidia............................ 3649. Stato della cultura in Spagna................................................. 36610. Il dominio romano............................................................... 37011. Catone.................................................................................. 37312. Amministrazione della Spagna........................................... 376

OTTAVO CAPITOLOGLI STATI ORIENTALI E LA SECONDA GUERRA MACE-DONICA...............................................................................380

1. L'oriente ellenico................................................................... 3802. La Siria.................................................................................. 3833. L'Egitto.................................................................................. 3854. Regni nell'Asia minore.......................................................... 3885. Attalo..................................................................................... 3906. La Grecia............................................................................... 3917. Lega delle città greche.......................................................... 3948. Filippo re di Macedonia........................................................ 3979. Macedonia e Siria contro l'Egitto.......................................... 40010. La lega anseatica contro Filippo......................................... 40211. Intervento diplomatico dei Romani..................................... 40612. Ripresa della guerra............................................................. 41113. Dichiarazione di guerra dei Romani................................... 41414. Sbarco dei Romani in Macedonia....................................... 41815. Tentativo d'invasione della Macedonia............................... 42016. Ritorno dei Romani............................................................. 424

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27. Ripresa delle ostilità............................................................ 32928. Pace..................................................................................... 33229. Risultati della guerra........................................................... 336

SETTIMO CAPITOLOL'OCCIDENTE DOPO LA PACE ANNIBALICA..............344

1. Guerre celtiche...................................................................... 3442. Misure contro le invasioni..................................................... 3473. Colonizzazione del paese di qua del Po................................ 3494. La Liguria e le isole.............................................................. 3515. Cartagine............................................................................... 3536. Annibale................................................................................ 3567. I Numidi................................................................................ 3608. Estensione e civilizzazione della Numidia............................ 3649. Stato della cultura in Spagna................................................. 36610. Il dominio romano............................................................... 37011. Catone.................................................................................. 37312. Amministrazione della Spagna........................................... 376

OTTAVO CAPITOLOGLI STATI ORIENTALI E LA SECONDA GUERRA MACE-DONICA...............................................................................380

1. L'oriente ellenico................................................................... 3802. La Siria.................................................................................. 3833. L'Egitto.................................................................................. 3854. Regni nell'Asia minore.......................................................... 3885. Attalo..................................................................................... 3906. La Grecia............................................................................... 3917. Lega delle città greche.......................................................... 3948. Filippo re di Macedonia........................................................ 3979. Macedonia e Siria contro l'Egitto.......................................... 40010. La lega anseatica contro Filippo......................................... 40211. Intervento diplomatico dei Romani..................................... 40612. Ripresa della guerra............................................................. 41113. Dichiarazione di guerra dei Romani................................... 41414. Sbarco dei Romani in Macedonia....................................... 41815. Tentativo d'invasione della Macedonia............................... 42016. Ritorno dei Romani............................................................. 424

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17. Flaminino............................................................................ 42618. La Grecia in potere dei Romani.......................................... 42919. Vani tentativi di pace........................................................... 43220. Battaglia di Cinocefale........................................................ 43421. Pace colla Macedonia.......................................................... 43722. Guerra contro Nabida di Sparta.......................................... 44223. Ordinamento finale della Grecia......................................... 44624. Risultati............................................................................... 448

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17. Flaminino............................................................................ 42618. La Grecia in potere dei Romani.......................................... 42919. Vani tentativi di pace........................................................... 43220. Battaglia di Cinocefale........................................................ 43421. Pace colla Macedonia.......................................................... 43722. Guerra contro Nabida di Sparta.......................................... 44223. Ordinamento finale della Grecia......................................... 44624. Risultati............................................................................... 448

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TEODORO MOMMSEN

STORIA DI ROMACURATA E ANNOTATA DA ANTONIO G. QUATTRINI

TERZO VOLUME

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TEODORO MOMMSEN

STORIA DI ROMACURATA E ANNOTATA DA ANTONIO G. QUATTRINI

TERZO VOLUME

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TERZO LIBRODALL'UNIONE D'ITALIA

FINO ALLA SOTTOMISSIONEDI CARTAGINE

Arduum res gestas scribere

SALLUSTIUS

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TERZO LIBRODALL'UNIONE D'ITALIA

FINO ALLA SOTTOMISSIONEDI CARTAGINE

Arduum res gestas scribere

SALLUSTIUS

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PRIMO CAPITOLOCARTAGINE

1. I Fenici.I Semiti presero anch'essi posto fra i popoli dell'anticomondo classico, benchè, si direbbe, vi si siano trovaticome stranieri. Perchè la razza semitica ha il suo centronell'Oriente, mentre invece quelle genti, che noi siamousi a riguardare come classiche, l'ebbero nei lidi del Me-diterraneo; e per quanto le guerre e le migrazioni abbia-no variato i confini e mescolate le razze, un profondosentimento di avversione estraniò sempre ed estraniatuttora le nazioni indo-germaniche dalle stirpi siriache,israelitiche ed arabiche. La qual cosa può dirsi anche diquel popolo semitico, che più d'ogni altro si spinse versoOccidente, cioè il fenicio o punico.Sede originaria di questo popolo fu l'angusta costierache corre tra l'Asia minore e l'Egitto, a piè dell'alpestreSiria, e che prese il nome di Canaan, cioè pianura. Laterra dette nome agli abitanti suoi, e anche nei primitempi cristiani il contadino dell'Africa, di stirpe punica,si chiamava canaanita. Per gli Elleni il Canaan era il«paese della porpora» o il «paese degli uomini rossi», egli Italici solevano chiamare i Cananei col nome di Punio Fenici come noi ancora li chiamiamo.Il paese è adattissimo all'agricoltura; il litorale ricco diporti e il Libano coperto di foreste e prodigo di metalli

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PRIMO CAPITOLOCARTAGINE

1. I Fenici.I Semiti presero anch'essi posto fra i popoli dell'anticomondo classico, benchè, si direbbe, vi si siano trovaticome stranieri. Perchè la razza semitica ha il suo centronell'Oriente, mentre invece quelle genti, che noi siamousi a riguardare come classiche, l'ebbero nei lidi del Me-diterraneo; e per quanto le guerre e le migrazioni abbia-no variato i confini e mescolate le razze, un profondosentimento di avversione estraniò sempre ed estraniatuttora le nazioni indo-germaniche dalle stirpi siriache,israelitiche ed arabiche. La qual cosa può dirsi anche diquel popolo semitico, che più d'ogni altro si spinse versoOccidente, cioè il fenicio o punico.Sede originaria di questo popolo fu l'angusta costierache corre tra l'Asia minore e l'Egitto, a piè dell'alpestreSiria, e che prese il nome di Canaan, cioè pianura. Laterra dette nome agli abitanti suoi, e anche nei primitempi cristiani il contadino dell'Africa, di stirpe punica,si chiamava canaanita. Per gli Elleni il Canaan era il«paese della porpora» o il «paese degli uomini rossi», egli Italici solevano chiamare i Cananei col nome di Punio Fenici come noi ancora li chiamiamo.Il paese è adattissimo all'agricoltura; il litorale ricco diporti e il Libano coperto di foreste e prodigo di metalli

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lo fecero più opportuno al commercio, il quale qui, dovel'ubertosissimo continente asiatico si affaccia al vastomare interno, pieno d'isole e di scali, si mostrò forse perla prima volta all'uomo in tutta la sua importanza.I Fenici dettero prova di tutto quel che può il coraggio el'intelligenza nel commercio e nelle industrie, che nesono la conseguenza; essi attesero con entusiasmo allearti marinaresche, alle manifatture, alle colonie; e adessi dobbiamo la congiunzione e l'avvicinamento delmondo orientale coll'occidentale.Fin dai più remoti tempi noi troviamo i Fenici nell'isoladi Cipro ed in Egitto, nella Grecia e nella Sicilia, inAfrica ed in Spagna e fin nell'oceano Atlantico e neimari del nord. Il campo del loro commercio si estendedalla Sierra Leone e dalla Cornovaglia sino alle costedel Malabar; nelle loro mani passano gli ori e le perled'Oriente, la porpora di Tiro, gli schiavi, l'avorio, le pellidi leone e di pantera provenienti dall'interno dell'Africa,l'incenso dell'Arabia, i lini d'Egitto, le anfore di terracot-ta ed i vini nobili della Grecia, il rame di Cipro, l'argen-to di Spagna, lo stagno d'Inghilterra, il ferro dell'isolad'Elba.I navigatori fenici portano a ciascun popolo ciò di cuiabbisogna e che può comperare, e si spargono ovunque,però col pensiero fermo alla loro piccola patria, a cuifanno sempre ritorno. I Fenici hanno diritto di figurarenella storia, accanto alla nazione ellenica ed alla latina,sebbene anche in essi, e forse in essi più che in altri po-

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lo fecero più opportuno al commercio, il quale qui, dovel'ubertosissimo continente asiatico si affaccia al vastomare interno, pieno d'isole e di scali, si mostrò forse perla prima volta all'uomo in tutta la sua importanza.I Fenici dettero prova di tutto quel che può il coraggio el'intelligenza nel commercio e nelle industrie, che nesono la conseguenza; essi attesero con entusiasmo allearti marinaresche, alle manifatture, alle colonie; e adessi dobbiamo la congiunzione e l'avvicinamento delmondo orientale coll'occidentale.Fin dai più remoti tempi noi troviamo i Fenici nell'isoladi Cipro ed in Egitto, nella Grecia e nella Sicilia, inAfrica ed in Spagna e fin nell'oceano Atlantico e neimari del nord. Il campo del loro commercio si estendedalla Sierra Leone e dalla Cornovaglia sino alle costedel Malabar; nelle loro mani passano gli ori e le perled'Oriente, la porpora di Tiro, gli schiavi, l'avorio, le pellidi leone e di pantera provenienti dall'interno dell'Africa,l'incenso dell'Arabia, i lini d'Egitto, le anfore di terracot-ta ed i vini nobili della Grecia, il rame di Cipro, l'argen-to di Spagna, lo stagno d'Inghilterra, il ferro dell'isolad'Elba.I navigatori fenici portano a ciascun popolo ciò di cuiabbisogna e che può comperare, e si spargono ovunque,però col pensiero fermo alla loro piccola patria, a cuifanno sempre ritorno. I Fenici hanno diritto di figurarenella storia, accanto alla nazione ellenica ed alla latina,sebbene anche in essi, e forse in essi più che in altri po-

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poli, si riconfermi il fatto, che le civiltà antiche non svi-luppavano che alcune speciali forze e soltanto tendenzenazionali.

2. Disposizioni intellettuali.Le grandi e durevoli creazioni intellettuali, di cui si glo-ria la stirpe aramea, non furono veramente un dono deiFenici; e sebbene la fede e la scienza siano, in un certosenso, un privilegio delle genti aramee e le tribù d'Euro-pa le abbiano ricevute dall'Oriente, nè la religione, nè lascienza, nè l'arte dei Fenici, per quanto ci consta, hannomai occupato un posto proprio e indipendente nella ci-viltà aramea.Le concezioni religiose dei Fenici sono aspre e deformi,ed il loro culto, pare destinato più ad alimentare che afrenare la cupidigia e la crudeltà; e, almeno nei tempistorici, nulla ci prova che la religione fenicia abbia avu-to una particolare influenza sugli altri popoli. E così nonsi rinvenne un'architettura o una plastica fenicia che po-tesse reggere al solo paragone dell'italica, per non parla-re dei paesi che furon la culla delle belle arti.Il più antico centro dell'osservazione scientifica e dellepratiche applicazioni fu Babilonia o almeno la valledell'Eufrate; là, secondo tutte le apparenze, si cominciòa notare il corso degli astri; là, per la prima volta si tentòdi classificare e di rappresentare graficamente i suonidella favella; là l'uomo, per la prima volta, meditò sultempo, sullo spazio, sulle forze creatrici della natura; a

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poli, si riconfermi il fatto, che le civiltà antiche non svi-luppavano che alcune speciali forze e soltanto tendenzenazionali.

2. Disposizioni intellettuali.Le grandi e durevoli creazioni intellettuali, di cui si glo-ria la stirpe aramea, non furono veramente un dono deiFenici; e sebbene la fede e la scienza siano, in un certosenso, un privilegio delle genti aramee e le tribù d'Euro-pa le abbiano ricevute dall'Oriente, nè la religione, nè lascienza, nè l'arte dei Fenici, per quanto ci consta, hannomai occupato un posto proprio e indipendente nella ci-viltà aramea.Le concezioni religiose dei Fenici sono aspre e deformi,ed il loro culto, pare destinato più ad alimentare che afrenare la cupidigia e la crudeltà; e, almeno nei tempistorici, nulla ci prova che la religione fenicia abbia avu-to una particolare influenza sugli altri popoli. E così nonsi rinvenne un'architettura o una plastica fenicia che po-tesse reggere al solo paragone dell'italica, per non parla-re dei paesi che furon la culla delle belle arti.Il più antico centro dell'osservazione scientifica e dellepratiche applicazioni fu Babilonia o almeno la valledell'Eufrate; là, secondo tutte le apparenze, si cominciòa notare il corso degli astri; là, per la prima volta si tentòdi classificare e di rappresentare graficamente i suonidella favella; là l'uomo, per la prima volta, meditò sultempo, sullo spazio, sulle forze creatrici della natura; a

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questa regione mettono capo le più antiche ormedell'astronomia e della cronologia, dell'alfabeto, dei pesie delle misure.I Fenici profittarono bensì delle geniali scoperte dei Ba-bilonesi per le loro industrie, delle osservazioni astrono-miche per la loro navigazione, della scrittura e dell'ordi-namento delle misure per il loro commercio, e diffusero,insieme con le loro merci, più d'un importante germe diciviltà; ma non è possibile provare che l'alfabeto o qual-che altra invenzione del genio umano sia di loro propriaspettanza, e quei frammenti di pensieri religiosi e scien-tifici, che per il loro tramite giunsero agli Elleni, essi lisparsero più come l'uccello fa dei grani che non comel'agricoltore delle sementi.Mancava interamente ai Fenici la forza di civilizzare edi assimilare i popoli suscettibili di coltura; forza di cuiabbondano gli Elleni e della quale non sono privi nem-meno gli Italici. Nei paesi conquistati dai Romani la lin-gua iberica e la celtica scomparvero di fronte alla linguaromana; i Berberi dell'Africa parlano ancora oggi lastessa lingua che ai tempi degli Annoni e dei Barca.

3. Disposizioni politiche..Ma più di tutto difetta nei Fenici, come in tutte le nazio-ni aramee, che in ciò sono l'antitesi delle nazioni indo-germaniche, l'istinto della vita politica, l'ingenito pen-siero della libertà, il bisogno dell'autonomia.

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questa regione mettono capo le più antiche ormedell'astronomia e della cronologia, dell'alfabeto, dei pesie delle misure.I Fenici profittarono bensì delle geniali scoperte dei Ba-bilonesi per le loro industrie, delle osservazioni astrono-miche per la loro navigazione, della scrittura e dell'ordi-namento delle misure per il loro commercio, e diffusero,insieme con le loro merci, più d'un importante germe diciviltà; ma non è possibile provare che l'alfabeto o qual-che altra invenzione del genio umano sia di loro propriaspettanza, e quei frammenti di pensieri religiosi e scien-tifici, che per il loro tramite giunsero agli Elleni, essi lisparsero più come l'uccello fa dei grani che non comel'agricoltore delle sementi.Mancava interamente ai Fenici la forza di civilizzare edi assimilare i popoli suscettibili di coltura; forza di cuiabbondano gli Elleni e della quale non sono privi nem-meno gli Italici. Nei paesi conquistati dai Romani la lin-gua iberica e la celtica scomparvero di fronte alla linguaromana; i Berberi dell'Africa parlano ancora oggi lastessa lingua che ai tempi degli Annoni e dei Barca.

3. Disposizioni politiche..Ma più di tutto difetta nei Fenici, come in tutte le nazio-ni aramee, che in ciò sono l'antitesi delle nazioni indo-germaniche, l'istinto della vita politica, l'ingenito pen-siero della libertà, il bisogno dell'autonomia.

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Mentre Sidone e Tiro erano nel massimo splendore, ilpaese fenicio era continuamente disputato dalle potenzeche dominavano sull'Eufrate e sul Nilo, e si rassegnavaora alla dominazione assira, ora all'egizia.Con una sola metà delle forze che possedevano i Fenici,qualsiasi città ellenica avrebbe rivendicata la propria li-bertà; ma i prudenti mercanti di Sidone calcolavano chepiù d'ogni altro tributo e d'ogni vassallaggio riuscirebbea loro insopportabile la chiusura delle vie carovaniere ela esclusione dai porti egiziani, e perciò pagavano pun-tualmente le imposte, secondo che piegava il bilico, o aNinive o a Menfi, e, quando non potevano esimersene,combattevano anche, con proprie navi, le battaglie per ire protettori.E come i Fenici si rassegnavano nel paese originario algiogo dei dominatori, così non erano affatto inclinati abarattare fuori di casa la pacifica politica commercialecon una politica conquistatrice. Le loro colonie sono fat-torie; ad essi importa molto più trafficare cogli indigeniche conquistare vasti territori in paesi lontani, e intro-durvi il lento e difficile regime delle colonie.Essi evitano di fare guerra persino ai loro concorrenti; silasciano scacciare, senza fare alcuna resistenza,dall'Egitto, dalla Grecia, dall'Italia, dalla Sicilia orienta-le, e nelle grandi battaglie navali, che si combatterono inquelle antiche età per il dominio del Mediterraneo occi-dentale presso Alalia (217=537) e presso Cuma(280=474), non sono già i Fenici, ma gli Etruschi quelli

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Mentre Sidone e Tiro erano nel massimo splendore, ilpaese fenicio era continuamente disputato dalle potenzeche dominavano sull'Eufrate e sul Nilo, e si rassegnavaora alla dominazione assira, ora all'egizia.Con una sola metà delle forze che possedevano i Fenici,qualsiasi città ellenica avrebbe rivendicata la propria li-bertà; ma i prudenti mercanti di Sidone calcolavano chepiù d'ogni altro tributo e d'ogni vassallaggio riuscirebbea loro insopportabile la chiusura delle vie carovaniere ela esclusione dai porti egiziani, e perciò pagavano pun-tualmente le imposte, secondo che piegava il bilico, o aNinive o a Menfi, e, quando non potevano esimersene,combattevano anche, con proprie navi, le battaglie per ire protettori.E come i Fenici si rassegnavano nel paese originario algiogo dei dominatori, così non erano affatto inclinati abarattare fuori di casa la pacifica politica commercialecon una politica conquistatrice. Le loro colonie sono fat-torie; ad essi importa molto più trafficare cogli indigeniche conquistare vasti territori in paesi lontani, e intro-durvi il lento e difficile regime delle colonie.Essi evitano di fare guerra persino ai loro concorrenti; silasciano scacciare, senza fare alcuna resistenza,dall'Egitto, dalla Grecia, dall'Italia, dalla Sicilia orienta-le, e nelle grandi battaglie navali, che si combatterono inquelle antiche età per il dominio del Mediterraneo occi-dentale presso Alalia (217=537) e presso Cuma(280=474), non sono già i Fenici, ma gli Etruschi quelli

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che sostengono il peso della lotta contro i Greci.Quando la concorrenza è inevitabile essi scendono apatti, o buoni o cattivi. I Fenici non fecero mai un tenta-tivo per conquistare Cere o Massalia. Essi poi, come èfacile immaginare, erano ancora meno inclini a guerreaggressive. La sola volta che ne' tempi antichi li vedia-mo scendere in campo, fu nella grande spedizione deiFenici africani in Sicilia, dove furono sconfitti pressoHimera da Gelone da Siracusa (274=480).Essi marciarono contro gli Elleni dell'Occidente ubbi-dienti ai comandi del gran re, per evitare di prendereparte alla guerra contro gli Elleni d'oriente, dove i loroconsanguinei, i Fenici siriaci, furono condotti al macel-lo, insieme con i Persiani, presso Salamina.Nè può dirsi ch'essi evitassero per viltà i pericoli dellaguerra – la navigazione in mari sconosciuti con navi ar-mate richiede coraggio, e che i Fenici non ne difettasse-ro se ne hanno prove in buon numero. E meno ancoramancava ad essi la tenacia e un proprio e distinto senti-mento nazionale. Gli Aramei, anzi, difesero colle armi ecol sangue tanto ostinatamente la loro nazionalità controtutti gli adescamenti della civiltà greca e contro tutte leviolenze dei despoti orientali ed occidentali quanto mainessun altro popolo indo-germanico, e dettero in ciòprova di tale ostinazione che a noi, uomini dell'Occiden-te, sembra non sappiamo bene se più o meno che uma-na.

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che sostengono il peso della lotta contro i Greci.Quando la concorrenza è inevitabile essi scendono apatti, o buoni o cattivi. I Fenici non fecero mai un tenta-tivo per conquistare Cere o Massalia. Essi poi, come èfacile immaginare, erano ancora meno inclini a guerreaggressive. La sola volta che ne' tempi antichi li vedia-mo scendere in campo, fu nella grande spedizione deiFenici africani in Sicilia, dove furono sconfitti pressoHimera da Gelone da Siracusa (274=480).Essi marciarono contro gli Elleni dell'Occidente ubbi-dienti ai comandi del gran re, per evitare di prendereparte alla guerra contro gli Elleni d'oriente, dove i loroconsanguinei, i Fenici siriaci, furono condotti al macel-lo, insieme con i Persiani, presso Salamina.Nè può dirsi ch'essi evitassero per viltà i pericoli dellaguerra – la navigazione in mari sconosciuti con navi ar-mate richiede coraggio, e che i Fenici non ne difettasse-ro se ne hanno prove in buon numero. E meno ancoramancava ad essi la tenacia e un proprio e distinto senti-mento nazionale. Gli Aramei, anzi, difesero colle armi ecol sangue tanto ostinatamente la loro nazionalità controtutti gli adescamenti della civiltà greca e contro tutte leviolenze dei despoti orientali ed occidentali quanto mainessun altro popolo indo-germanico, e dettero in ciòprova di tale ostinazione che a noi, uomini dell'Occiden-te, sembra non sappiamo bene se più o meno che uma-na.

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È la mancanza di quel sentimento politico, che, con-giunto col vivissimo amore di stirpe e con una incrolla-bile devozione alla città natale, forma il carattere distin-tivo e specialissimo dei Fenici. Non cedevano al fascinodella irrequieta libertà, non ambivano il dominio, ma«vivevano tranquilli» dice il libro dei Giudici «a mododei Sidoni, sicuri e di lieto umore, godendosi le loro ric-chezze».

4. Cartagine contro gli Elleni.Di tutte le colonie fenicie nessuna giunse a più rapidaprosperità e a più riposata sicurezza di quelle che i Tiri ei Sidoni fondarono sui lidi meridionali della Spagna e anord dell'Africa, dove non arrivavano nè il braccio delgran re, nè la pericolosa rivalità dei navigatori greci;dove gli indigeni si trovavano di fronte agli straniericome in America gli Indiani di fronte agli Europei.Fra le molte fiorenti città fenicie, sorte su queste spiag-gie, primeggiava la città nuova, Karthada, o Karchedono, come è chiamata dagli occidentali, Cartagine. Benchèessa non fosse la primissima colonia dei Fenici in questaregione, e forse nella sua origine fosse stata sotto la di-pendenza della vicina Utica, la più antica città feniciadella Libia, Cartagine in breve tempo sorpassò tutte lecittà fenicie dell'Africa non solo, ma, in grazia dellavantaggiosissima sua posizione e dell'operosità de' suoiabitanti, la stessa sua madre patria. Posta non lungi dalla(antica) foce del Bagradas (Medscherda), che bagna le

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È la mancanza di quel sentimento politico, che, con-giunto col vivissimo amore di stirpe e con una incrolla-bile devozione alla città natale, forma il carattere distin-tivo e specialissimo dei Fenici. Non cedevano al fascinodella irrequieta libertà, non ambivano il dominio, ma«vivevano tranquilli» dice il libro dei Giudici «a mododei Sidoni, sicuri e di lieto umore, godendosi le loro ric-chezze».

4. Cartagine contro gli Elleni.Di tutte le colonie fenicie nessuna giunse a più rapidaprosperità e a più riposata sicurezza di quelle che i Tiri ei Sidoni fondarono sui lidi meridionali della Spagna e anord dell'Africa, dove non arrivavano nè il braccio delgran re, nè la pericolosa rivalità dei navigatori greci;dove gli indigeni si trovavano di fronte agli straniericome in America gli Indiani di fronte agli Europei.Fra le molte fiorenti città fenicie, sorte su queste spiag-gie, primeggiava la città nuova, Karthada, o Karchedono, come è chiamata dagli occidentali, Cartagine. Benchèessa non fosse la primissima colonia dei Fenici in questaregione, e forse nella sua origine fosse stata sotto la di-pendenza della vicina Utica, la più antica città feniciadella Libia, Cartagine in breve tempo sorpassò tutte lecittà fenicie dell'Africa non solo, ma, in grazia dellavantaggiosissima sua posizione e dell'operosità de' suoiabitanti, la stessa sua madre patria. Posta non lungi dalla(antica) foce del Bagradas (Medscherda), che bagna le

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più ricche terre frumentarie dell'Africa settentrionale, suun'agevole e fertile altura, la quale, coperta di boschettid'aranci e di oliveti, disseminata ancor oggi di case dicampagna, dolcemente declina verso il piano e finiscedalla parte del mare a guisa d'un promontorio battutodalle onde, in mezzo al gran porto dell'Africa settentrio-nale, al golfo di Tunisi, dove questo bel bacino offre imigliori fondali per navi d'alto mare, e ricca presso laspiaggia di una sorgente d'acqua eccellente, questa cittàè così favorevole all'agricoltura, al commercio ed allacombinazione dell'una coll'altro, che non solo divennela prima città commerciale fenicia, ma anche ai tempidei Romani, appena ricostruita, divenne la terza cittàdell'impero; e anche al presente, malgrado le sfavorevolicircostanze, in quei luoghi è sorta una fiorente città concentomila abitanti.Non sono necessarie molte parole per spiegare comemercè l'agricoltura, il commercio e l'industria una città,posta in località tanto opportuna e con una popolazionecome la fenicia, assurgesse a così notevole splendore;ma è invece opportuno indagare le ragioni per le qualiquesta colonia potè acquistare un'importanza politica, acui non giunse nessun'altra città fenicia.Non ci mancano prove per dimostrare come, nemmenoin Cartagine, i Fenici abbiano saputo uscire dalla lorocongenita indifferenza politica.Questa città continuò fino ai tempi della sua maggiorefortuna a corrispondere un censo ai Berberi indigeni, tri-

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più ricche terre frumentarie dell'Africa settentrionale, suun'agevole e fertile altura, la quale, coperta di boschettid'aranci e di oliveti, disseminata ancor oggi di case dicampagna, dolcemente declina verso il piano e finiscedalla parte del mare a guisa d'un promontorio battutodalle onde, in mezzo al gran porto dell'Africa settentrio-nale, al golfo di Tunisi, dove questo bel bacino offre imigliori fondali per navi d'alto mare, e ricca presso laspiaggia di una sorgente d'acqua eccellente, questa cittàè così favorevole all'agricoltura, al commercio ed allacombinazione dell'una coll'altro, che non solo divennela prima città commerciale fenicia, ma anche ai tempidei Romani, appena ricostruita, divenne la terza cittàdell'impero; e anche al presente, malgrado le sfavorevolicircostanze, in quei luoghi è sorta una fiorente città concentomila abitanti.Non sono necessarie molte parole per spiegare comemercè l'agricoltura, il commercio e l'industria una città,posta in località tanto opportuna e con una popolazionecome la fenicia, assurgesse a così notevole splendore;ma è invece opportuno indagare le ragioni per le qualiquesta colonia potè acquistare un'importanza politica, acui non giunse nessun'altra città fenicia.Non ci mancano prove per dimostrare come, nemmenoin Cartagine, i Fenici abbiano saputo uscire dalla lorocongenita indifferenza politica.Questa città continuò fino ai tempi della sua maggiorefortuna a corrispondere un censo ai Berberi indigeni, tri-

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bù di Massitani o Massii, per il suolo che occupava; esebbene il mare ed il deserto la proteggessero moltobene da ogni attacco delle nazioni orientali, pare tuttaviache Cartagine abbia riconosciuta, e se foss'anche solo dinome parrebbe incredibile, l'alta sovranità del gran re, ein certi casi, per assicurarsi le relazioni commerciali conTiro e coll'Oriente, si sia rassegnata anche a pagargli untributo.Ma, ad onta della loro volontà accomodante ad ogni co-sto, nacquero eventi che spinsero quei Fenici ad una po-litica più energica.Per non vedersi travolti dalla corrente della migrazioneellenica, che traboccava sull'Occidente, e che già avevacacciato dalla Grecia propriamente detta e dall'Italia iloro connazionali, e stava per soppiantarli anche in Sici-lia, in Spagna e fin nella Libia, i Cartaginesi dovetteropensare ad opporre una valida resistenza. Qui, avendoda fare con mercanti greci e non già col gran re, non ba-stava rassegnarsi all'omaggio e al tributo per poter conti-nuare come prima negli avviati commerci. Già eranostate fondate le stazioni greche di Massalia e di Cirene;scali greci si erano aperti su tutto il litorale orientale del-la Sicilia. Non v'era tempo da perdere, e occorreva di-fendere non la dignità, ma il mercato e la borsa.I Cartaginesi vi si accinsero con grandissima tenacia, eriuscirono: con lunghe e ostinate guerre posero un limiteall'espansione cirenaica e le colonie greche non potero-no varcare il deserto di Tripoli. I mercanti fenici, stabili-

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bù di Massitani o Massii, per il suolo che occupava; esebbene il mare ed il deserto la proteggessero moltobene da ogni attacco delle nazioni orientali, pare tuttaviache Cartagine abbia riconosciuta, e se foss'anche solo dinome parrebbe incredibile, l'alta sovranità del gran re, ein certi casi, per assicurarsi le relazioni commerciali conTiro e coll'Oriente, si sia rassegnata anche a pagargli untributo.Ma, ad onta della loro volontà accomodante ad ogni co-sto, nacquero eventi che spinsero quei Fenici ad una po-litica più energica.Per non vedersi travolti dalla corrente della migrazioneellenica, che traboccava sull'Occidente, e che già avevacacciato dalla Grecia propriamente detta e dall'Italia iloro connazionali, e stava per soppiantarli anche in Sici-lia, in Spagna e fin nella Libia, i Cartaginesi dovetteropensare ad opporre una valida resistenza. Qui, avendoda fare con mercanti greci e non già col gran re, non ba-stava rassegnarsi all'omaggio e al tributo per poter conti-nuare come prima negli avviati commerci. Già eranostate fondate le stazioni greche di Massalia e di Cirene;scali greci si erano aperti su tutto il litorale orientale del-la Sicilia. Non v'era tempo da perdere, e occorreva di-fendere non la dignità, ma il mercato e la borsa.I Cartaginesi vi si accinsero con grandissima tenacia, eriuscirono: con lunghe e ostinate guerre posero un limiteall'espansione cirenaica e le colonie greche non potero-no varcare il deserto di Tripoli. I mercanti fenici, stabili-

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ti all'estrema punta occidentale della Sicilia, seppero,con l'aiuto di Cartagine, difenderla contro gli emuli gre-ci, e però volentieri si adattarono ad essere clienti e pro-tetti della più possente città della loro nazione.Gli avvenimenti importanti che nel secondo secolo diRoma assicurarono ai Fenici il primato sui mari tral'Africa e la Spagna, diedero naturalmente l'egemonia aCartagine, a cui si dovevano quei successi, e imposeroalla città egemonica uno speciale carattere politico. Car-tagine non era più una semplice fattoria, uno scalo per inavigatori; essa, per necessità, doveva pensare a raffor-zare la propria dominazione sulla Libia e sul mare Me-diterraneo. Strumento altissimo della sua potenza fu,come pare, quella istituzione dei soldati mercenari venu-ta in uso nella Grecia intorno alla metà del quarto secolodi Roma, già nota da gran tempo agli orientali e princi-palmente ai Carii, e che forse deve la sua origine ai Fe-nici. Coll'assoldare genti straniere la guerra divenneanch'essa una specie di speculazione commerciale cherispondeva assai bene all'indole e ai costumi dei Fenici.

5. Dominio di Cartagine in Africa.È naturale che, dopo questi successi, Cartagine volgessel'animo a cose maggiori e desiderasse l'intero possessoterritoriale. Tuttavia fu solo verso l'anno 300 di Roma, aquanto pare, che i Cartaginesi cessarono di pagare agliindigeni il tributo per le terre occupate sul continenteafricano.

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ti all'estrema punta occidentale della Sicilia, seppero,con l'aiuto di Cartagine, difenderla contro gli emuli gre-ci, e però volentieri si adattarono ad essere clienti e pro-tetti della più possente città della loro nazione.Gli avvenimenti importanti che nel secondo secolo diRoma assicurarono ai Fenici il primato sui mari tral'Africa e la Spagna, diedero naturalmente l'egemonia aCartagine, a cui si dovevano quei successi, e imposeroalla città egemonica uno speciale carattere politico. Car-tagine non era più una semplice fattoria, uno scalo per inavigatori; essa, per necessità, doveva pensare a raffor-zare la propria dominazione sulla Libia e sul mare Me-diterraneo. Strumento altissimo della sua potenza fu,come pare, quella istituzione dei soldati mercenari venu-ta in uso nella Grecia intorno alla metà del quarto secolodi Roma, già nota da gran tempo agli orientali e princi-palmente ai Carii, e che forse deve la sua origine ai Fe-nici. Coll'assoldare genti straniere la guerra divenneanch'essa una specie di speculazione commerciale cherispondeva assai bene all'indole e ai costumi dei Fenici.

5. Dominio di Cartagine in Africa.È naturale che, dopo questi successi, Cartagine volgessel'animo a cose maggiori e desiderasse l'intero possessoterritoriale. Tuttavia fu solo verso l'anno 300 di Roma, aquanto pare, che i Cartaginesi cessarono di pagare agliindigeni il tributo per le terre occupate sul continenteafricano.

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Liberati da questo balzello, cominciarono ad esercitarelargamente l'economia rurale. Nei Fenici era tradizionel'attendere a grandi stabilimenti agrari, facendoli colti-vare dagli schiavi o da mercenari; come tali essi impie-gavano a Tiro una gran parte della gente giudaica. I Car-taginesi poterono dunque, ora, coltivare liberamentel'ubertoso terreno della Libia introducendo quei sistemistessi, o presso a poco, che vediamo oggi prevalerepresso i possessori delle piantagioni sul continente ame-ricano; le terre erano lavorate da schiavi incatenati e siha notizia di privati cittadini che ne possedevano fino aventimila. Ma questo non era tutto.I villaggi agricoli dei dintorni (presso i Libici l'agricol-tura pare sia stata introdotta molto presto dall'Egitto, eforse prima che giungessero in Africa i Fenici) furonosottomessi con le armi dai Cartaginesi, e i liberi contadi-ni libici costretti, come i fellah, a dare ai padroni sottoforma di tributo il quarto del raccolto, erano anche ob-bligati, da un sistema regolare di reclutamento, a forma-re un esercito locale cartaginese. Si guerreggiava intantocontinuamente ai confini colle tribù nomadi pastorizie(νοµάδες) e, mentre una catena di fortificazioni mantene-va sicuro il paese, a poco a poco si respingevano quelletribù nel deserto e alla montagna, costringendole a rico-noscere il dominio cartaginese, a pagare un tributo o adar le reclute all'esercito territoriale.La grande città di Theveste (Tebessa, alle sorgenti delMedscherda), capitale di queste genti africane, fu con-

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Liberati da questo balzello, cominciarono ad esercitarelargamente l'economia rurale. Nei Fenici era tradizionel'attendere a grandi stabilimenti agrari, facendoli colti-vare dagli schiavi o da mercenari; come tali essi impie-gavano a Tiro una gran parte della gente giudaica. I Car-taginesi poterono dunque, ora, coltivare liberamentel'ubertoso terreno della Libia introducendo quei sistemistessi, o presso a poco, che vediamo oggi prevalerepresso i possessori delle piantagioni sul continente ame-ricano; le terre erano lavorate da schiavi incatenati e siha notizia di privati cittadini che ne possedevano fino aventimila. Ma questo non era tutto.I villaggi agricoli dei dintorni (presso i Libici l'agricol-tura pare sia stata introdotta molto presto dall'Egitto, eforse prima che giungessero in Africa i Fenici) furonosottomessi con le armi dai Cartaginesi, e i liberi contadi-ni libici costretti, come i fellah, a dare ai padroni sottoforma di tributo il quarto del raccolto, erano anche ob-bligati, da un sistema regolare di reclutamento, a forma-re un esercito locale cartaginese. Si guerreggiava intantocontinuamente ai confini colle tribù nomadi pastorizie(νοµάδες) e, mentre una catena di fortificazioni mantene-va sicuro il paese, a poco a poco si respingevano quelletribù nel deserto e alla montagna, costringendole a rico-noscere il dominio cartaginese, a pagare un tributo o adar le reclute all'esercito territoriale.La grande città di Theveste (Tebessa, alle sorgenti delMedscherda), capitale di queste genti africane, fu con-

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quistata dai Cartaginesi verso l'epoca della prima guerrapunica. Sono queste «le città e le tribù (ἔϑνη) dei suddi-ti» che figurano nei pubblici trattati cartaginesi; le cittàsuddite sono le borgate rurali dei Libii costretti per forzaal lavoro; le tribù suddite sono le orde dei nomadi sotto-messi.Oltre a ciò la signoria di Cartagine si estendeva sugli al-tri Fenici stabiliti in Africa, che prendevano il nome diLibio-fenici. Tra questi si comprendevano le minori co-lonie partite da Cartagine e sparse su tutta la costa afri-cana che fronteggia la Sardegna e la Spagna, e su partedel litorale che volge a ponente; colonie che devono es-sere state molto importanti, se soltanto sulle spiaggiedell'oceano Atlantico si trapiantarono in una sola volta30.000 coloni provenienti da Cartagine. A queste con-viene aggiungere le molte colonie antiche venute dallaFenicia a stabilirsi principalmente sulla costiera che oradiremmo di Costantina e di Tunisi, come Hippo, dettapoi Hippo regius (Bona), Hadrumetum (Susa), Leptisparva (al sud di Susa) – la seconda città dei Fenici afri-cani – Thapsus (stessa posizione), Leptis magna (pressoTripoli).In quale modo tutte queste città venissero in soggezionedi Cartagine, se spontaneamente o per necessità di di-fendersi contro i Cirenei e i Numidi, o se invece forzate,non possiamo ora sapere; certo è però che noi le trovia-mo qualificate come suddite dei Cartaginesi anche negliatti ufficiali, che esse dovettero demolire le loro mura, e

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quistata dai Cartaginesi verso l'epoca della prima guerrapunica. Sono queste «le città e le tribù (ἔϑνη) dei suddi-ti» che figurano nei pubblici trattati cartaginesi; le cittàsuddite sono le borgate rurali dei Libii costretti per forzaal lavoro; le tribù suddite sono le orde dei nomadi sotto-messi.Oltre a ciò la signoria di Cartagine si estendeva sugli al-tri Fenici stabiliti in Africa, che prendevano il nome diLibio-fenici. Tra questi si comprendevano le minori co-lonie partite da Cartagine e sparse su tutta la costa afri-cana che fronteggia la Sardegna e la Spagna, e su partedel litorale che volge a ponente; colonie che devono es-sere state molto importanti, se soltanto sulle spiaggiedell'oceano Atlantico si trapiantarono in una sola volta30.000 coloni provenienti da Cartagine. A queste con-viene aggiungere le molte colonie antiche venute dallaFenicia a stabilirsi principalmente sulla costiera che oradiremmo di Costantina e di Tunisi, come Hippo, dettapoi Hippo regius (Bona), Hadrumetum (Susa), Leptisparva (al sud di Susa) – la seconda città dei Fenici afri-cani – Thapsus (stessa posizione), Leptis magna (pressoTripoli).In quale modo tutte queste città venissero in soggezionedi Cartagine, se spontaneamente o per necessità di di-fendersi contro i Cirenei e i Numidi, o se invece forzate,non possiamo ora sapere; certo è però che noi le trovia-mo qualificate come suddite dei Cartaginesi anche negliatti ufficiali, che esse dovettero demolire le loro mura, e

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che erano obbligate a pagare il tributo e dare i loro sol-dati a Cartagine.Esse non erano, con tutto ciò, soggette nè al reclutamen-to, nè alla imposta fondiaria, ma pagavano una sommafissa e somministravano un determinato numero d'uomi-ni; così, ad esempio, Leptis parva pagava l'esorbitantesomma annua di 365 talenti (circa tre milioni di lire).I cittadini di queste colonie fenicie erano, nei diritti civi-li, pareggiati ai Cartaginesi, con i quali potevano con-trarre matrimoni su piede d'eguaglianza(1).La sola Utica non fu soggetta a questa dominazione nontanto per la sua potenza quanto per rispetto dei Cartagi-

1 La più esatta specificazione di questo importante ordine di città trovasi neltrattato cartaginese (POLIB., 7, 9), dove da un lato per antitesi a quei di Uti-ca, dall'altro per antitesi ai sudditi della Libia si chiamano: οἱΚαρχηδονίων ὕπ α ρχ οι ὄσ ο ι τ οῖς αὐτοῖς νόµ οιςχρῶνται. Esse sono dette anche città federali (συµµαχίδεςπόλεις (DIOD. 20, 10) o città soggette a tributo (LIV. 34, 62; GIUSTINO, 22,7, 3). Dei loro connubi coi Cartaginesi fa menzione DIODORO, 20, 55; il di-ritto commerciale era certamente compreso nella «eguaglianza delle leg-gi». Che le antiche colonie fenicie appartengano ai Libio-fenici lo prova ladesignazione di Hippo come città libico-fenicia (LIV. 25, 40); e nel periplodi Annone, a proposito delle colonie fondate da Cartagine, troviamo scrit-to: «I Cartaginesi decisero che Annone navigasse oltre le colonne d'Ercolee vi fondasse città di Libio-fenici». In sostanza i Libio-fenici non eranoconsiderati nello stato cartaginese come parte della nazione, ma come rettida uno speciale ius pubblico. Può quindi essere benissimo che il nome in-dichi grammaticalmente Libi misti con Fenici (LIV. 21, 22, aggiunta al te-sto di Polibio), come di fatto, almeno nella fondazione di colonie moltoesposte, si univano sovente i Libi ai Fenici (DIOD. 13, 79; CIC., pro Scauro,42). L'analogia nel nome e nei rapporti di diritto tra i Latini di Roma ed iLibio-fenici di Cartagine è innegabile.

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che erano obbligate a pagare il tributo e dare i loro sol-dati a Cartagine.Esse non erano, con tutto ciò, soggette nè al reclutamen-to, nè alla imposta fondiaria, ma pagavano una sommafissa e somministravano un determinato numero d'uomi-ni; così, ad esempio, Leptis parva pagava l'esorbitantesomma annua di 365 talenti (circa tre milioni di lire).I cittadini di queste colonie fenicie erano, nei diritti civi-li, pareggiati ai Cartaginesi, con i quali potevano con-trarre matrimoni su piede d'eguaglianza(1).La sola Utica non fu soggetta a questa dominazione nontanto per la sua potenza quanto per rispetto dei Cartagi-

1 La più esatta specificazione di questo importante ordine di città trovasi neltrattato cartaginese (POLIB., 7, 9), dove da un lato per antitesi a quei di Uti-ca, dall'altro per antitesi ai sudditi della Libia si chiamano: οἱΚαρχηδονίων ὕπ α ρχ οι ὄσ ο ι τ οῖς αὐτοῖς νόµ οιςχρῶνται. Esse sono dette anche città federali (συµµαχίδεςπόλεις (DIOD. 20, 10) o città soggette a tributo (LIV. 34, 62; GIUSTINO, 22,7, 3). Dei loro connubi coi Cartaginesi fa menzione DIODORO, 20, 55; il di-ritto commerciale era certamente compreso nella «eguaglianza delle leg-gi». Che le antiche colonie fenicie appartengano ai Libio-fenici lo prova ladesignazione di Hippo come città libico-fenicia (LIV. 25, 40); e nel periplodi Annone, a proposito delle colonie fondate da Cartagine, troviamo scrit-to: «I Cartaginesi decisero che Annone navigasse oltre le colonne d'Ercolee vi fondasse città di Libio-fenici». In sostanza i Libio-fenici non eranoconsiderati nello stato cartaginese come parte della nazione, ma come rettida uno speciale ius pubblico. Può quindi essere benissimo che il nome in-dichi grammaticalmente Libi misti con Fenici (LIV. 21, 22, aggiunta al te-sto di Polibio), come di fatto, almeno nella fondazione di colonie moltoesposte, si univano sovente i Libi ai Fenici (DIOD. 13, 79; CIC., pro Scauro,42). L'analogia nel nome e nei rapporti di diritto tra i Latini di Roma ed iLibio-fenici di Cartagine è innegabile.

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nesi verso i loro antichi protettori; ond'essa conservò lesue mura e la sua indipendenza.I Fenici sentivano per queste memorie una gran venera-zione, che contrastava spiccatamente colla indifferenzadei Greci. Persino nelle relazioni cogli stati esteri, sonosempre Cartagine e Utica quelle che stipulano e promet-tono; ma ciò non toglie che la città nuova, venuta amaggior potenza, non esercitasse di fatto l'egemonia an-che su Utica. Così la stazione tiria, posta nell'estremopunto settentrionale dell'Africa, divenne la capitale d'unpossente impero, che dal deserto di Tripoli si estendevasino all'oceano Atlantico, accontentandosi della parteoccidentale (Marocco e Algeria) di occupar soltanto unafascia del litorale, ma nella più ricca parte orientale, cheforma oggi i distretti di Costantina e di Tunisi, signoreg-giando anche il paese interno e allargando sempre piùverso mezzogiorno i suoi confini.I Cartaginesi, come dice opportunamente un anticoscrittore, da Tirii s'erano fatti Libici. Nella Libia domi-nava la civiltà fenicia, sebbene non potesse dirsi ch'essavi fosse radicata tanto saldamente, quanto la civiltà gre-ca dopo Alessandro nell'Asia minore e nella Siria. Allecorti degli sceicchi nomadi si parlava e si scriveva inlingua fenicia, e le tribù indigene civilizzate avevanoadottato, anche per scrivere il loro idioma, l'alfabeto fe-nicio(2); ma non era però conforme nè all'indole nè alla2 Sembra che l'alfabeto libico o numidico, cioè l'alfabeto col quale i Berberi

scrivevano e scrivono la loro lingua, che è uno dei moltissimi alfabeti deri-vati dall'originario alfabeto arameo, si approssimi, in alcune forme, a que-

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nesi verso i loro antichi protettori; ond'essa conservò lesue mura e la sua indipendenza.I Fenici sentivano per queste memorie una gran venera-zione, che contrastava spiccatamente colla indifferenzadei Greci. Persino nelle relazioni cogli stati esteri, sonosempre Cartagine e Utica quelle che stipulano e promet-tono; ma ciò non toglie che la città nuova, venuta amaggior potenza, non esercitasse di fatto l'egemonia an-che su Utica. Così la stazione tiria, posta nell'estremopunto settentrionale dell'Africa, divenne la capitale d'unpossente impero, che dal deserto di Tripoli si estendevasino all'oceano Atlantico, accontentandosi della parteoccidentale (Marocco e Algeria) di occupar soltanto unafascia del litorale, ma nella più ricca parte orientale, cheforma oggi i distretti di Costantina e di Tunisi, signoreg-giando anche il paese interno e allargando sempre piùverso mezzogiorno i suoi confini.I Cartaginesi, come dice opportunamente un anticoscrittore, da Tirii s'erano fatti Libici. Nella Libia domi-nava la civiltà fenicia, sebbene non potesse dirsi ch'essavi fosse radicata tanto saldamente, quanto la civiltà gre-ca dopo Alessandro nell'Asia minore e nella Siria. Allecorti degli sceicchi nomadi si parlava e si scriveva inlingua fenicia, e le tribù indigene civilizzate avevanoadottato, anche per scrivere il loro idioma, l'alfabeto fe-nicio(2); ma non era però conforme nè all'indole nè alla2 Sembra che l'alfabeto libico o numidico, cioè l'alfabeto col quale i Berberi

scrivevano e scrivono la loro lingua, che è uno dei moltissimi alfabeti deri-vati dall'originario alfabeto arameo, si approssimi, in alcune forme, a que-

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politica di Cartagine fenicizzare completamente i Libici.È difficile fissare il tempo in cui Cartagine divenne cittàcapitale della Libia, cambiamento che deve, senza dub-bio, essere avvenuto gradatamente.Lo scrittore cui accennammo vuole che il riformatoredella nazione sia stato Annone; ora, se si tratta diquell'Annone che viveva al tempo della prima guerra diRoma, egli non può aver dato che l'ordinamento ad unsistema, che si era venuto probabilmente delineando du-rante il periodo di tempo corso fra il quarto ed il quintosecolo di Roma.Mentre Cartagine saliva a tanta prosperità, in egual mi-sura si compiva la decadenza delle grandi città fenicienella madre patria, quella di Sidone e particolarmentequella di Tiro, il cui splendore si eclissò, parte per di-scordie intestine, parte per calamità esterne e special-mente a cagione degli assedii di Salmanassare nel primosecolo di Roma, di Nabucodonosor nel secondo, diAlessandro nel quinto.Le famiglie nobili e le antiche case commerciali di Tiroemigrarono in gran numero nella sicura e fiorente cittàfiglia, portandovi la loro intelligenza, i loro capitali e le

sti meglio che non il fenicio; ma da simile circostanza non può ancora trar-si la conclusione che i Libici non ricevessero la scrittura dai Fenici, ma dapiù antiche migrazioni, al modo stesso che le forme in alcune parti più an-tiche degli alfabeti italici non c'impediscono dal crederle derivate dall'alfa-beto greco. Si deve piuttosto supporre che l'alfabeto libico sia derivato dalfenicio più antico in un'epoca anteriore a quella, nella quale furono scritti imonumenti della lingua fenicia pervenuti sino a noi.

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politica di Cartagine fenicizzare completamente i Libici.È difficile fissare il tempo in cui Cartagine divenne cittàcapitale della Libia, cambiamento che deve, senza dub-bio, essere avvenuto gradatamente.Lo scrittore cui accennammo vuole che il riformatoredella nazione sia stato Annone; ora, se si tratta diquell'Annone che viveva al tempo della prima guerra diRoma, egli non può aver dato che l'ordinamento ad unsistema, che si era venuto probabilmente delineando du-rante il periodo di tempo corso fra il quarto ed il quintosecolo di Roma.Mentre Cartagine saliva a tanta prosperità, in egual mi-sura si compiva la decadenza delle grandi città fenicienella madre patria, quella di Sidone e particolarmentequella di Tiro, il cui splendore si eclissò, parte per di-scordie intestine, parte per calamità esterne e special-mente a cagione degli assedii di Salmanassare nel primosecolo di Roma, di Nabucodonosor nel secondo, diAlessandro nel quinto.Le famiglie nobili e le antiche case commerciali di Tiroemigrarono in gran numero nella sicura e fiorente cittàfiglia, portandovi la loro intelligenza, i loro capitali e le

sti meglio che non il fenicio; ma da simile circostanza non può ancora trar-si la conclusione che i Libici non ricevessero la scrittura dai Fenici, ma dapiù antiche migrazioni, al modo stesso che le forme in alcune parti più an-tiche degli alfabeti italici non c'impediscono dal crederle derivate dall'alfa-beto greco. Si deve piuttosto supporre che l'alfabeto libico sia derivato dalfenicio più antico in un'epoca anteriore a quella, nella quale furono scritti imonumenti della lingua fenicia pervenuti sino a noi.

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loro tradizioni. Quando i Fenici vennero a contatto conRoma, Cartagine era incontestabilmente la maggiore cit-tà cananea, come Roma era il maggior comune latino.

6. Potenza marittima di Cartagine.Ma il dominio territoriale in Africa non era che la metàdella potenza cartaginese, poichè nel frattempo si eraconsolidata anche la sua supremazia marittima e colo-niale. Nella Spagna il centro principale dei Fenici eral'antichissima colonia tiria di Gades (Cadice); oltre diche essi possedevano, verso oriente e verso occidente,una catena di fattorie e nell'interno il territorio delle mi-niere d'argento, così che possedevano l'Andalusia e Gra-nada, e per lo meno tutto quel litorale. Essi non si cura-vano del paese interno, occupato dalle bellicose gentiindigene; bastava loro il possesso delle miniere e dellestazioni per il loro commercio, per la pesca, e la raccoltadelle conchiglie, ma anche qui i loro contatti con le tribùconfinanti non erano privi di gravi difficoltà.È probabile che questi possedimenti non fossero pro-priamente cartaginesi, ma tirii, e che Gades (Cadice)non fosse tra le città tributarie di Cartagine; ma è certoche questa città subiva l'egemonia cartaginese come tuttigli altri Fenici occidentali e lo provano gli aiuti mandatida Cartagine a Gades per difendersi contro gli indigeni,e la fondazione di colonie commerciali cartaginesi sullecoste che stendevansi all'occidente di Gades. Ebusus ele Baleari, invece, furono occupate assai presto dai Car-

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loro tradizioni. Quando i Fenici vennero a contatto conRoma, Cartagine era incontestabilmente la maggiore cit-tà cananea, come Roma era il maggior comune latino.

6. Potenza marittima di Cartagine.Ma il dominio territoriale in Africa non era che la metàdella potenza cartaginese, poichè nel frattempo si eraconsolidata anche la sua supremazia marittima e colo-niale. Nella Spagna il centro principale dei Fenici eral'antichissima colonia tiria di Gades (Cadice); oltre diche essi possedevano, verso oriente e verso occidente,una catena di fattorie e nell'interno il territorio delle mi-niere d'argento, così che possedevano l'Andalusia e Gra-nada, e per lo meno tutto quel litorale. Essi non si cura-vano del paese interno, occupato dalle bellicose gentiindigene; bastava loro il possesso delle miniere e dellestazioni per il loro commercio, per la pesca, e la raccoltadelle conchiglie, ma anche qui i loro contatti con le tribùconfinanti non erano privi di gravi difficoltà.È probabile che questi possedimenti non fossero pro-priamente cartaginesi, ma tirii, e che Gades (Cadice)non fosse tra le città tributarie di Cartagine; ma è certoche questa città subiva l'egemonia cartaginese come tuttigli altri Fenici occidentali e lo provano gli aiuti mandatida Cartagine a Gades per difendersi contro gli indigeni,e la fondazione di colonie commerciali cartaginesi sullecoste che stendevansi all'occidente di Gades. Ebusus ele Baleari, invece, furono occupate assai presto dai Car-

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taginesi sia per l'importanza della pesca, sia quali avam-posti contro i Massalioti, con i quali, da quelle stazioni,si veniva ai più furibondi conflitti.Per gli stessi motivi i Cartaginesi si stabilirono in Sarde-gna già dalla fine del secondo secolo di Roma, e lasfruttarono come avevano fatto della Libia.Mentre gli indigeni si ritraevano verso le montagnenell'interno dell'isola per sottrarsi al giogo della schiavi-tù rustica come i Numidi riparavano nei deserti, in Kara-lis (Cagliari) e in altri luoghi importanti vennero fondatecolonie fenicie, e colle braccia di contadini libici vi fu-rono rese produttive le fertili terre litoranee.In Sicilia lo stretto di Messana e più della metà dell'isolaerano veramente, fino dai primi tempi, venuti in manodei Greci; ma coll'aiuto dei Cartaginesi i Fenici si so-stennero nelle piccole isole adiacenti, nelle Egadi, inMelita, in Gaulos, in Cossyra, fra le quali primeggiavaper ricchezza la colonia di Melita; e parimenti duraronosulle coste a ovest e a nord-ovest della Sicilia, d'ondeessi da Motya prima, poscia da Lilibeo si mantenevanoin relazione coll'Africa, e da Panormos e da Soloeis col-la Sardegna.La Sicilia interna rimase in potere degli Elimi, dei Sica-ni e dei Siculi. Quando, per tal modo, vennero frenati iprogressi dei Greci, le cose della Sicilia presero un as-setto più riposato, e l'equilibrio non vi fu rotto nemmenodalla spedizione tentata dai Cartaginesi ad istigazione

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taginesi sia per l'importanza della pesca, sia quali avam-posti contro i Massalioti, con i quali, da quelle stazioni,si veniva ai più furibondi conflitti.Per gli stessi motivi i Cartaginesi si stabilirono in Sarde-gna già dalla fine del secondo secolo di Roma, e lasfruttarono come avevano fatto della Libia.Mentre gli indigeni si ritraevano verso le montagnenell'interno dell'isola per sottrarsi al giogo della schiavi-tù rustica come i Numidi riparavano nei deserti, in Kara-lis (Cagliari) e in altri luoghi importanti vennero fondatecolonie fenicie, e colle braccia di contadini libici vi fu-rono rese produttive le fertili terre litoranee.In Sicilia lo stretto di Messana e più della metà dell'isolaerano veramente, fino dai primi tempi, venuti in manodei Greci; ma coll'aiuto dei Cartaginesi i Fenici si so-stennero nelle piccole isole adiacenti, nelle Egadi, inMelita, in Gaulos, in Cossyra, fra le quali primeggiavaper ricchezza la colonia di Melita; e parimenti duraronosulle coste a ovest e a nord-ovest della Sicilia, d'ondeessi da Motya prima, poscia da Lilibeo si mantenevanoin relazione coll'Africa, e da Panormos e da Soloeis col-la Sardegna.La Sicilia interna rimase in potere degli Elimi, dei Sica-ni e dei Siculi. Quando, per tal modo, vennero frenati iprogressi dei Greci, le cose della Sicilia presero un as-setto più riposato, e l'equilibrio non vi fu rotto nemmenodalla spedizione tentata dai Cartaginesi ad istigazione

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dei Persiani contro i loro vicini greco-siculi (274=480),e continuò a sussistere sino all'epoca della spedizioneateniese (339-341=415-413). Le due nazioni rivali si ac-comodarono a tolleranza reciproca e si limitarono amantenere ciascuna il proprio territorio.Tutti questi stabilimenti e possedimenti erano per sestessi di grande importanza in quanto divennero la basedel dominio marittimo dei Cartaginesi. Col possessodella Spagna meridionale, delle isole Baleari, della Sar-degna, della Sicilia occidentale e di Malta, coll'aver im-pedito agli Elleni di stabilire colonie sulla costa orienta-le della Spagna, nella Corsica e nella regione delle Sirti,i padroni della costa settentrionale dell'Africa ridusseroil loro mare ad un mare chiuso e monopolizzarono ilMediterraneo occidentale.I Fenici dovettero accontentarsi di possedere in comunecon altre nazioni solo il mar Tirreno ed il gallico. Maquesta comunanza non riusciva loro d'impaccio finchègli Etruschi ed i Greci vi si mantennero in equilibrio;anzi Cartagine fece cogli Etruschi, come quelli che pa-revano rivali meno pericolosi, una lega contro i Greci.Ma dopo la caduta della potenza etrusca, per sostenerela quale Cartagine, probabilmente, come avviene spessoin queste leghe interessate, non avrà fatto tutti i suoisforzi, e quando, andati a vuoto i grandi progetti d'Alci-biade, Siracusa era diventata incontrastabilmente la pri-ma potenza marittima greca, e i signori siracusani furo-no tentati dall'accresciuta potenza ad aspirare al posses-

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dei Persiani contro i loro vicini greco-siculi (274=480),e continuò a sussistere sino all'epoca della spedizioneateniese (339-341=415-413). Le due nazioni rivali si ac-comodarono a tolleranza reciproca e si limitarono amantenere ciascuna il proprio territorio.Tutti questi stabilimenti e possedimenti erano per sestessi di grande importanza in quanto divennero la basedel dominio marittimo dei Cartaginesi. Col possessodella Spagna meridionale, delle isole Baleari, della Sar-degna, della Sicilia occidentale e di Malta, coll'aver im-pedito agli Elleni di stabilire colonie sulla costa orienta-le della Spagna, nella Corsica e nella regione delle Sirti,i padroni della costa settentrionale dell'Africa ridusseroil loro mare ad un mare chiuso e monopolizzarono ilMediterraneo occidentale.I Fenici dovettero accontentarsi di possedere in comunecon altre nazioni solo il mar Tirreno ed il gallico. Maquesta comunanza non riusciva loro d'impaccio finchègli Etruschi ed i Greci vi si mantennero in equilibrio;anzi Cartagine fece cogli Etruschi, come quelli che pa-revano rivali meno pericolosi, una lega contro i Greci.Ma dopo la caduta della potenza etrusca, per sostenerela quale Cartagine, probabilmente, come avviene spessoin queste leghe interessate, non avrà fatto tutti i suoisforzi, e quando, andati a vuoto i grandi progetti d'Alci-biade, Siracusa era diventata incontrastabilmente la pri-ma potenza marittima greca, e i signori siracusani furo-no tentati dall'accresciuta potenza ad aspirare al posses-

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so di tutta la Sicilia, dell'Italia meridionale e al dominiodei due mari Adriatico e Tirreno, anche i Cartaginesi fu-rono costretti dalla necessità ad adottare una politica piùattiva.Il primo effetto delle lunghe e tenaci lotte tra essi ed illoro valente, benchè turpe, avversario Dionisio da Sira-cusa (348-389=406-365) fu la distruzione o l'indeboli-mento dei piccoli stati siciliani, reso necessario e desi-derabile da ambedue le parti, e la divisione dell'isola traSiracusani e Cartaginesi.Le più floride città dell'isola, Selinus, Himera, Akragas,Gela, Messana, furono distrutte sino dalle fondamentadai Cartaginesi durante queste aspre lotte; e Dionisionon vedeva di mal occhio che per tal modo i liberi Elle-ni fossero distrutti o almeno oppressi, per poter poi colmezzo di truppe mercenarie arruolate in Italia, nellaGallia e in Spagna, ridurre con maggior facilità ad ubbi-dienza i paesi devastati o occupati da colonie militari.La pace conchiusa dopo la vittoria riportata dal ducecartaginese Magone presso Kronion l'anno 371=383, eche dette in potere dei Cartaginesi le città greche diThermae (l'antica Himera), d'Egesta, di Eraclea Minoa,di Selinus e di una parte del territorio di Akragas fino alfiume Halykos, era considerata, dalle due potenze con-tendenti pel possesso dell'isola, soltanto come un acco-modamento preliminare e da ambo le parti non si cessòmai di far ogni sforzo per spossessare la rivale.

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so di tutta la Sicilia, dell'Italia meridionale e al dominiodei due mari Adriatico e Tirreno, anche i Cartaginesi fu-rono costretti dalla necessità ad adottare una politica piùattiva.Il primo effetto delle lunghe e tenaci lotte tra essi ed illoro valente, benchè turpe, avversario Dionisio da Sira-cusa (348-389=406-365) fu la distruzione o l'indeboli-mento dei piccoli stati siciliani, reso necessario e desi-derabile da ambedue le parti, e la divisione dell'isola traSiracusani e Cartaginesi.Le più floride città dell'isola, Selinus, Himera, Akragas,Gela, Messana, furono distrutte sino dalle fondamentadai Cartaginesi durante queste aspre lotte; e Dionisionon vedeva di mal occhio che per tal modo i liberi Elle-ni fossero distrutti o almeno oppressi, per poter poi colmezzo di truppe mercenarie arruolate in Italia, nellaGallia e in Spagna, ridurre con maggior facilità ad ubbi-dienza i paesi devastati o occupati da colonie militari.La pace conchiusa dopo la vittoria riportata dal ducecartaginese Magone presso Kronion l'anno 371=383, eche dette in potere dei Cartaginesi le città greche diThermae (l'antica Himera), d'Egesta, di Eraclea Minoa,di Selinus e di una parte del territorio di Akragas fino alfiume Halykos, era considerata, dalle due potenze con-tendenti pel possesso dell'isola, soltanto come un acco-modamento preliminare e da ambo le parti non si cessòmai di far ogni sforzo per spossessare la rivale.

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Quattro volte furono i Cartaginesi padroni di tutta la Si-cilia, ad eccezione di Siracusa, e quattro volte le loroarmi si spuntarono contro le mura di questa grande città,cioè nel 360=394 sotto Dionisio il vecchio, nel 410=344sotto Timoleone, nel 445=309 sotto Agatocle, nel476=278 sotto Pirro. Alla lor volta i Siracusani, condottida valenti generali, quali erano Dionisio il vecchio,Agatocle e Pirro, parvero anch'essi quattro volte sulpunto di scacciare gli Africani dall'isola. Ma a lungo an-dare la bilancia piegava sempre più a favore dei Cartagi-nesi, i quali erano, d'ordinario, gli aggressori, e, benchènon sapessero perseguire i loro disegni con romana per-severanza, davano almeno prova di maggior fermezza ecoerenza sia nei maneggi politici, che nella guerra, men-tre la città greca, straziata e boccheggiante sotto l'urtodelle fazioni intestine, non poteva contrapporre che for-ze slegate e governi senza continuità di vedute.E però ragionevolmente speravano i Fenici, che una vol-ta o l'altra Siracusa sarebbe caduta in loro potere, dacchèfino allora la preda era loro sfuggita di mano per giuocod'eventi, per una pestilenza, per un condottiero di ventu-ra.Ad ogni modo poi, la lotta pel primato navale era finita,l'ultimo sforzo dei loro rivali l'aveva fatto invano Pirrotentando di restaurare la flotta siracusana. Disperso ilnaviglio dell'epirota, la flotta cartaginese era rimasta pa-drona senza contrasto di tutto il Mediterraneo occidenta-le, e i tentativi fatti dai Cartaginesi per metter piede in

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Quattro volte furono i Cartaginesi padroni di tutta la Si-cilia, ad eccezione di Siracusa, e quattro volte le loroarmi si spuntarono contro le mura di questa grande città,cioè nel 360=394 sotto Dionisio il vecchio, nel 410=344sotto Timoleone, nel 445=309 sotto Agatocle, nel476=278 sotto Pirro. Alla lor volta i Siracusani, condottida valenti generali, quali erano Dionisio il vecchio,Agatocle e Pirro, parvero anch'essi quattro volte sulpunto di scacciare gli Africani dall'isola. Ma a lungo an-dare la bilancia piegava sempre più a favore dei Cartagi-nesi, i quali erano, d'ordinario, gli aggressori, e, benchènon sapessero perseguire i loro disegni con romana per-severanza, davano almeno prova di maggior fermezza ecoerenza sia nei maneggi politici, che nella guerra, men-tre la città greca, straziata e boccheggiante sotto l'urtodelle fazioni intestine, non poteva contrapporre che for-ze slegate e governi senza continuità di vedute.E però ragionevolmente speravano i Fenici, che una vol-ta o l'altra Siracusa sarebbe caduta in loro potere, dacchèfino allora la preda era loro sfuggita di mano per giuocod'eventi, per una pestilenza, per un condottiero di ventu-ra.Ad ogni modo poi, la lotta pel primato navale era finita,l'ultimo sforzo dei loro rivali l'aveva fatto invano Pirrotentando di restaurare la flotta siracusana. Disperso ilnaviglio dell'epirota, la flotta cartaginese era rimasta pa-drona senza contrasto di tutto il Mediterraneo occidenta-le, e i tentativi fatti dai Cartaginesi per metter piede in

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Siracusa, Reggio, Taranto, provavano le forze crescentie la grandezza dei disegni.E mentre miravano ad assicurarsi l'egemonia del Medi-terraneo, non risparmiavano i mezzi per monopolizzareil commercio marittimo, fosse esercitato dai propri sud-diti o da stranieri, e secondo il loro costume non indie-treggiavano di fronte ad alcuna violenza per conseguirei loro fini.Un contemporaneo delle guerre puniche, il padre dellageografia, Eratostene (479-560=275-194) riferisce, cheogni navigatore straniero, il quale capitasse in Sardegna,o percorresse la via di Cadice, se per caso cadeva inmano ai Cartaginesi, veniva senz'altro buttato a mare;ciò che concorda col trattato del 448=306 col quale iCartaginesi non permettevano alle navi mercantili roma-ne il libero accesso ai porti della Spagna, della Sardegnae della Libia, ad eccezione di quello di Cartagine, portiche invece erano loro aperti col precedente trattato del406-348.

7. Costituzione cartaginese.Aristotele, morto all'incirca cinquant'anni avanti la guer-ra punica, descrive la costituzione di Cartagine comeuna monarchia inclinante verso l'aristocrazia, o comeuna democrazia tendente all'oligarchia, definendola con-temporaneamente nelle due maniere.La direzione degli affari era affidata al consiglio degli

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Siracusa, Reggio, Taranto, provavano le forze crescentie la grandezza dei disegni.E mentre miravano ad assicurarsi l'egemonia del Medi-terraneo, non risparmiavano i mezzi per monopolizzareil commercio marittimo, fosse esercitato dai propri sud-diti o da stranieri, e secondo il loro costume non indie-treggiavano di fronte ad alcuna violenza per conseguirei loro fini.Un contemporaneo delle guerre puniche, il padre dellageografia, Eratostene (479-560=275-194) riferisce, cheogni navigatore straniero, il quale capitasse in Sardegna,o percorresse la via di Cadice, se per caso cadeva inmano ai Cartaginesi, veniva senz'altro buttato a mare;ciò che concorda col trattato del 448=306 col quale iCartaginesi non permettevano alle navi mercantili roma-ne il libero accesso ai porti della Spagna, della Sardegnae della Libia, ad eccezione di quello di Cartagine, portiche invece erano loro aperti col precedente trattato del406-348.

7. Costituzione cartaginese.Aristotele, morto all'incirca cinquant'anni avanti la guer-ra punica, descrive la costituzione di Cartagine comeuna monarchia inclinante verso l'aristocrazia, o comeuna democrazia tendente all'oligarchia, definendola con-temporaneamente nelle due maniere.La direzione degli affari era affidata al consiglio degli

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anziani, il quale, come la gerusìa spartana, si compone-va dei due re eletti annualmente dai cittadini, e di ven-totto geronti, i quali pare fossero anch'essi eletti d'annoin anno dai cittadini. Questo consiglio trattava la sommadegli affari di stato, dava le disposizioni per la guerra,ordinava le leve e gli arruolamenti, nominava il capitanogenerale, cui erano assegnati parecchi geronti, fra i qualieleggevansi d'ordinario i comandanti in seconda; adesso erano diretti i dispacci.Non è accertato se accanto a questo piccolo consiglio vifosse anche un gran consiglio; ad ogni modo esso nondeve aver avuto una grande importanza.Pare che ai re non venisse accordata un'influenza perso-nale nello stato; essi, per lo più, apparivano come supre-mi giudici e come tali venivano chiamati suffeti (prae-tores). Maggiore era il potere del capitano.Isocrate, di poco più antico d'Aristotele, dice che i Car-taginesi, in casa loro, si reggevano oligarchicamente, sulcampo monarchicamente; e quindi non a torto gli scrit-tori romani riguardavano l'ufficio del generale presso iCartaginesi come una dittatura, sebbene i geronti, chegli stavano ai fianchi, dovessero, se non dividere, alme-no frenare il suo potere, e sebbene egli fosse tenuto arender conto delle sue azioni appena uscito d'ufficio, ciòche non era prescritto ai duci romani.La durata del generalato non era fissata, e anche ciò pro-va come questa dignità fosse affatto diversa dalla pote-

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anziani, il quale, come la gerusìa spartana, si compone-va dei due re eletti annualmente dai cittadini, e di ven-totto geronti, i quali pare fossero anch'essi eletti d'annoin anno dai cittadini. Questo consiglio trattava la sommadegli affari di stato, dava le disposizioni per la guerra,ordinava le leve e gli arruolamenti, nominava il capitanogenerale, cui erano assegnati parecchi geronti, fra i qualieleggevansi d'ordinario i comandanti in seconda; adesso erano diretti i dispacci.Non è accertato se accanto a questo piccolo consiglio vifosse anche un gran consiglio; ad ogni modo esso nondeve aver avuto una grande importanza.Pare che ai re non venisse accordata un'influenza perso-nale nello stato; essi, per lo più, apparivano come supre-mi giudici e come tali venivano chiamati suffeti (prae-tores). Maggiore era il potere del capitano.Isocrate, di poco più antico d'Aristotele, dice che i Car-taginesi, in casa loro, si reggevano oligarchicamente, sulcampo monarchicamente; e quindi non a torto gli scrit-tori romani riguardavano l'ufficio del generale presso iCartaginesi come una dittatura, sebbene i geronti, chegli stavano ai fianchi, dovessero, se non dividere, alme-no frenare il suo potere, e sebbene egli fosse tenuto arender conto delle sue azioni appena uscito d'ufficio, ciòche non era prescritto ai duci romani.La durata del generalato non era fissata, e anche ciò pro-va come questa dignità fosse affatto diversa dalla pote-

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stà regale, in cui l'eletto non rimaneva più d'un anno, eche del resto, anche Aristotile esplicitamente distinguedal generalato; se non che presso i Cartaginesi era in usoconferire molte cariche nello stesso tempo ad un solo in-dividuo; nè deve quindi meravigliare se vediamo lo stes-so individuo figurare come duce e come pretore.Ma sopra la gerusía e i supremi magistrati si trovava lacorporazione dei cento e quattro, o meglio dei cento giu-dici, rocca e baluardo dell'oligarchia. Nella originariacostituzione cartaginese non si parlava di questa corpo-razione, ma come l'eforato spartano, nacque dall'opposi-zione aristocratica contro gli ordini monarchici.La venalità delle cariche ed il piccolo numero dei mem-bri componenti la suprema autorità minacciavano diconferire ad una famiglia cartaginese, che primeggiavasu tutte le altre per ricchezza e per gloria militare, la fa-miglia di Magone, l'amministrazione pubblica in paceed in guerra, e quella della giustizia. Ciò produsse, versol'epoca dei decemviri, un cambiamento della costituzio-ne e l'istituzione di un nuovo potere.Sappiamo che la carica di questore dava diritto ad entra-re nel collegio dei giudici, ma che però il candidato do-veva sottoporsi all'elezione di certi gruppi di cinque uo-mini che si completavano nel loro seno; sappiamo inol-tre che i giudici, benchè venissero eletti annualmente, ri-manevano, di fatto, in carica oltre il tempo prefisso epersino per tutta la loro vita, per cui dai Romani e daiGreci erano chiamati senatori.

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stà regale, in cui l'eletto non rimaneva più d'un anno, eche del resto, anche Aristotile esplicitamente distinguedal generalato; se non che presso i Cartaginesi era in usoconferire molte cariche nello stesso tempo ad un solo in-dividuo; nè deve quindi meravigliare se vediamo lo stes-so individuo figurare come duce e come pretore.Ma sopra la gerusía e i supremi magistrati si trovava lacorporazione dei cento e quattro, o meglio dei cento giu-dici, rocca e baluardo dell'oligarchia. Nella originariacostituzione cartaginese non si parlava di questa corpo-razione, ma come l'eforato spartano, nacque dall'opposi-zione aristocratica contro gli ordini monarchici.La venalità delle cariche ed il piccolo numero dei mem-bri componenti la suprema autorità minacciavano diconferire ad una famiglia cartaginese, che primeggiavasu tutte le altre per ricchezza e per gloria militare, la fa-miglia di Magone, l'amministrazione pubblica in paceed in guerra, e quella della giustizia. Ciò produsse, versol'epoca dei decemviri, un cambiamento della costituzio-ne e l'istituzione di un nuovo potere.Sappiamo che la carica di questore dava diritto ad entra-re nel collegio dei giudici, ma che però il candidato do-veva sottoporsi all'elezione di certi gruppi di cinque uo-mini che si completavano nel loro seno; sappiamo inol-tre che i giudici, benchè venissero eletti annualmente, ri-manevano, di fatto, in carica oltre il tempo prefisso epersino per tutta la loro vita, per cui dai Romani e daiGreci erano chiamati senatori.

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Per quanto queste particolarità costituzionali sieno con-fuse, si riconosce però chiaramente, che lo spirito diquesto collegio era quello d'una rappresentanza oligar-chica costituita mediante un'elezione fatta dagli ottimatinel corpo del patriziato; di che abbiamo una sola, ma ca-ratteristica prova nel fatto, che a Cartagine, accanto albagno comune per i cittadini, ve n'era uno particolareper i giudici.Essi, prima di tutto, erano obbligati a sentenziare comegiurati politici, e invitavano principalmente i duci, e,certo, all'occorrenza, anche i pretori ed i geronti a renderconto della loro gestione uscendo d'ufficio, e li puniva-no a lor talento, spesso in modo crudele, senza alcun ri-guardo e persino colla morte. Qui, come ovunque, i fun-zionari amministrativi sono sottoposti al sindacato diun'altra corporazione, la forza del potere passò natural-mente dall'autorità sindacata all'autorità sindacante; ed èfacile comprendere come da un lato il collegio sindacan-te si ingerisse di tutti gli affari amministrativi, come adesempio la gerusía comunicasse i dispacci importantiprima ai giudici e poscia al popolo, e dall'altro come iltimore d'un giudizio emesso secondo i successi conse-guiti, paralizzasse le azioni dell'uomo di stato, non menoche le azioni del generale.Benchè in Cartagine la cittadinanza non era costretta,come a Sparta, ad assistere soltanto passivamente alledeliberazioni dei pubblici affari, essa però non vi avevache una scarsa influenza pratica.

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Per quanto queste particolarità costituzionali sieno con-fuse, si riconosce però chiaramente, che lo spirito diquesto collegio era quello d'una rappresentanza oligar-chica costituita mediante un'elezione fatta dagli ottimatinel corpo del patriziato; di che abbiamo una sola, ma ca-ratteristica prova nel fatto, che a Cartagine, accanto albagno comune per i cittadini, ve n'era uno particolareper i giudici.Essi, prima di tutto, erano obbligati a sentenziare comegiurati politici, e invitavano principalmente i duci, e,certo, all'occorrenza, anche i pretori ed i geronti a renderconto della loro gestione uscendo d'ufficio, e li puniva-no a lor talento, spesso in modo crudele, senza alcun ri-guardo e persino colla morte. Qui, come ovunque, i fun-zionari amministrativi sono sottoposti al sindacato diun'altra corporazione, la forza del potere passò natural-mente dall'autorità sindacata all'autorità sindacante; ed èfacile comprendere come da un lato il collegio sindacan-te si ingerisse di tutti gli affari amministrativi, come adesempio la gerusía comunicasse i dispacci importantiprima ai giudici e poscia al popolo, e dall'altro come iltimore d'un giudizio emesso secondo i successi conse-guiti, paralizzasse le azioni dell'uomo di stato, non menoche le azioni del generale.Benchè in Cartagine la cittadinanza non era costretta,come a Sparta, ad assistere soltanto passivamente alledeliberazioni dei pubblici affari, essa però non vi avevache una scarsa influenza pratica.

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Nelle elezioni dei geronti non s'aveva il menomo pudorea ricorrere alla corruzione; quanto ai generali, veramen-te non si nominavano senza interrogare il popolo, cheperò dava il suo voto solo quando la nomina era già pro-posta dai geronti; con lo stesso sistema si procedeva peraltre questioni; per ciò l'appello al popolo aveva effettosolo quando la gerusia credeva di ammetterlo, o quandonon potevano mettersi d'accordo i membri che compo-nevano quell'alta magistratura.In Cartagine non si conoscevano i giudizi popolari.Questa esclusione della cittadinanza dall'esercizio delpotere era, probabilmente, un effetto della sua organiz-zazione politica; le società cartaginesi delle mense incomune, che sono paragonate alle fidizie(3) di Sparta, de-vono essere state corporazioni ordinate oligarchicamen-te. V'è indizio persino di un'antitesi fra cittadini urbani elavoratori, ciò che fa supporre, che questi ultimi fosserotenuti in più basso stato, forse senza partecipazione didiritti.Se si considerano tutti questi elementi, la costituzionecartaginese apparirà come un governo di capitalisti, cosanaturale in uno stato dove mancava un agiato ceto me-dio, e dove confluiva una moltitudine di poveri esseriviventi alla giornata, mentre vi fioriva una classe poten-te di industriali, di uomini politici ragguardevoli, digrossi commercianti e di proprietari di vaste tenute col-

3 Φιδίτια nome del pubblico convito che Licurgo instituì in Lacedemoneper quelli che avevano oltrepassato i venti anni.

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Nelle elezioni dei geronti non s'aveva il menomo pudorea ricorrere alla corruzione; quanto ai generali, veramen-te non si nominavano senza interrogare il popolo, cheperò dava il suo voto solo quando la nomina era già pro-posta dai geronti; con lo stesso sistema si procedeva peraltre questioni; per ciò l'appello al popolo aveva effettosolo quando la gerusia credeva di ammetterlo, o quandonon potevano mettersi d'accordo i membri che compo-nevano quell'alta magistratura.In Cartagine non si conoscevano i giudizi popolari.Questa esclusione della cittadinanza dall'esercizio delpotere era, probabilmente, un effetto della sua organiz-zazione politica; le società cartaginesi delle mense incomune, che sono paragonate alle fidizie(3) di Sparta, de-vono essere state corporazioni ordinate oligarchicamen-te. V'è indizio persino di un'antitesi fra cittadini urbani elavoratori, ciò che fa supporre, che questi ultimi fosserotenuti in più basso stato, forse senza partecipazione didiritti.Se si considerano tutti questi elementi, la costituzionecartaginese apparirà come un governo di capitalisti, cosanaturale in uno stato dove mancava un agiato ceto me-dio, e dove confluiva una moltitudine di poveri esseriviventi alla giornata, mentre vi fioriva una classe poten-te di industriali, di uomini politici ragguardevoli, digrossi commercianti e di proprietari di vaste tenute col-

3 Φιδίτια nome del pubblico convito che Licurgo instituì in Lacedemoneper quelli che avevano oltrepassato i venti anni.

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tivate da schiavi. Il sistema di rinsanguare a spese deisudditi i patrizi caduti in povertà inviandoli a riscuoterei tributi o ad amministrare la cosa pubblica nei comunidipendenti – infallibile indizio d'una corrotta oligarchiaurbana – era conosciuto anche in Cartagine.Aristotile attribuì a questo sistema la consistenza dellacostituzione cartaginese. Fino ai suoi tempi non era av-venuta in Cartagine alcuna notevole rivoluzione nèdall'alto nè dal basso; la plebe rimaneva senza capi poi-chè la dominante oligarchia poteva sempre offrire a tuttii nobili, ambiziosi o mendichi, uffici e guadagni; e do-veva rassegnarsi a raccogliere le briciole, che dalle men-se dei ricchi le si gettavano sotto forma di strenne eletto-rali o di somiglianti largizioni.Con un governo simile non poteva mancare un'opposi-zione democratica, ma fino ai tempi della prima guerrapunica essa era senza forza. Più tardi, e in parte per rea-zione alle sconfitte sofferte, il numero dei malcontenticrebbe con una rapidità assai maggiore di quella dellafazione demagogica che si era venuta formando a Romaintorno a questi stessi tempi; le assemblee popolari co-minciarono ad occuparsi delle questioni politiche, espesso, a dire l'ultima parola, incrinando così l'onnipo-tenza dell'oligarchia cartaginese. Anzi, finita infelice-mente la seconda guerra punica, su proposta d'Annibale,fu decretato che nessuno del consiglio dei cento potessedurare in carica per due anni consecutivi, e fu così in-staurata la piena democrazia; la sola, che, se non fosse

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tivate da schiavi. Il sistema di rinsanguare a spese deisudditi i patrizi caduti in povertà inviandoli a riscuoterei tributi o ad amministrare la cosa pubblica nei comunidipendenti – infallibile indizio d'una corrotta oligarchiaurbana – era conosciuto anche in Cartagine.Aristotile attribuì a questo sistema la consistenza dellacostituzione cartaginese. Fino ai suoi tempi non era av-venuta in Cartagine alcuna notevole rivoluzione nèdall'alto nè dal basso; la plebe rimaneva senza capi poi-chè la dominante oligarchia poteva sempre offrire a tuttii nobili, ambiziosi o mendichi, uffici e guadagni; e do-veva rassegnarsi a raccogliere le briciole, che dalle men-se dei ricchi le si gettavano sotto forma di strenne eletto-rali o di somiglianti largizioni.Con un governo simile non poteva mancare un'opposi-zione democratica, ma fino ai tempi della prima guerrapunica essa era senza forza. Più tardi, e in parte per rea-zione alle sconfitte sofferte, il numero dei malcontenticrebbe con una rapidità assai maggiore di quella dellafazione demagogica che si era venuta formando a Romaintorno a questi stessi tempi; le assemblee popolari co-minciarono ad occuparsi delle questioni politiche, espesso, a dire l'ultima parola, incrinando così l'onnipo-tenza dell'oligarchia cartaginese. Anzi, finita infelice-mente la seconda guerra punica, su proposta d'Annibale,fu decretato che nessuno del consiglio dei cento potessedurare in carica per due anni consecutivi, e fu così in-staurata la piena democrazia; la sola, che, se non fosse

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stato troppo tardi, avrebbe potuto ancora salvare Carta-gine.Questa fazione, che osteggiava gli ottimati, mostrò dipossedere ardite aspirazioni patriottiche e desiderio diriformare lo stato; ma non bisogna dimenticare com'essasi appoggiasse su fondamenta fiacche e marcite.I cittadini cartaginesi, che i Greci paragonavano ai citta-dini alessandrini, erano intolleranti di disciplina che benmeritavano di essere tenuti lontani dagli affari; e ci sidomanda quale salvezza si poteva attendere da rivolu-zioni le quali, come in Cartagine, erano compiute da uo-mini vili.

8. La forza del capitalismo in Cartagine.Nell'ordinamento finanziario Cartagine tiene, per ognirispetto, il primo posto fra gli stati dell'antichità.Al tempo della guerra del Peloponneso questa città feni-cia, per testimonianza del primo storico greco, finanzia-riamente era superiore a tutti gli stati greci, e le sue en-trate potevano paragonarsi a quelle del gran re; Polibiodice ch'era la più ricca città del mondo. Del senno concui si governava in Cartagine l'economia rurale, intornoalla quale non disdegnavano scrivere e dissertare scien-tificamente uomini di stato e generali, come più tardi inRoma, è fatto cenno nell'opera agronomica del cartagi-nese Magone, la quale fu considerata dagli agricoltorigreci e romani venuti dopo di lui, come il codice fonda-

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stato troppo tardi, avrebbe potuto ancora salvare Carta-gine.Questa fazione, che osteggiava gli ottimati, mostrò dipossedere ardite aspirazioni patriottiche e desiderio diriformare lo stato; ma non bisogna dimenticare com'essasi appoggiasse su fondamenta fiacche e marcite.I cittadini cartaginesi, che i Greci paragonavano ai citta-dini alessandrini, erano intolleranti di disciplina che benmeritavano di essere tenuti lontani dagli affari; e ci sidomanda quale salvezza si poteva attendere da rivolu-zioni le quali, come in Cartagine, erano compiute da uo-mini vili.

8. La forza del capitalismo in Cartagine.Nell'ordinamento finanziario Cartagine tiene, per ognirispetto, il primo posto fra gli stati dell'antichità.Al tempo della guerra del Peloponneso questa città feni-cia, per testimonianza del primo storico greco, finanzia-riamente era superiore a tutti gli stati greci, e le sue en-trate potevano paragonarsi a quelle del gran re; Polibiodice ch'era la più ricca città del mondo. Del senno concui si governava in Cartagine l'economia rurale, intornoalla quale non disdegnavano scrivere e dissertare scien-tificamente uomini di stato e generali, come più tardi inRoma, è fatto cenno nell'opera agronomica del cartagi-nese Magone, la quale fu considerata dagli agricoltorigreci e romani venuti dopo di lui, come il codice fonda-

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mentale dell'ordinamento agrario, e fu tradotta non soloin greco, ma per ordine del senato romano anche in lati-no e raccomandata ufficialmente come modello a tuttigli agricoltori italici.È caratteristica la stretta relazione di questa economiarurale fenicia coll'avveduto maneggio dei capitali; e ba-sta citare ad esempio il principio fondamentale di noncomperare mai terre più vaste di quelle che si potesserocoltivare intensivamente.E così giovò assai ai Cartaginesi la dovizia di cavalli,buoi, pecore e capre, per cui la Libia, grazie alla pastori-zia nomade, secondo ci narra Polibio, prevaleva alloraforse su tutti gli altri paesi della terra. E come i Cartagi-nesi sono stati maestri ai Romani nell'agricoltura, così loerano nel saper sfruttare i popoli soggetti; per cui, a Car-tagine, affluivano le rendite fondiarie della miglior parted'Europa e della ricca provincia dell'Africa settentriona-le, alcuni territori della quale, come per esempio il By-zakitis e le terre intorno alla piccola Sirte, erano d'unafertilità favolosa.Il commercio, che dai Cartaginesi era riguardato fin daiprimi tempi come una professione onorevole, la naviga-zione e l'industria manufattiera venute, in conseguenzadel commercia stesso, in grandissimo sviluppo, procura-rono a Cartagine un'ingente quantità di metalli preziosi.E si è già detto come questo popolo avesse saputo esten-dere, e nello stesso tempo concentrare nel suo porto ilmonopolio non solo dei traffici con i popoli stranieri,

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mentale dell'ordinamento agrario, e fu tradotta non soloin greco, ma per ordine del senato romano anche in lati-no e raccomandata ufficialmente come modello a tuttigli agricoltori italici.È caratteristica la stretta relazione di questa economiarurale fenicia coll'avveduto maneggio dei capitali; e ba-sta citare ad esempio il principio fondamentale di noncomperare mai terre più vaste di quelle che si potesserocoltivare intensivamente.E così giovò assai ai Cartaginesi la dovizia di cavalli,buoi, pecore e capre, per cui la Libia, grazie alla pastori-zia nomade, secondo ci narra Polibio, prevaleva alloraforse su tutti gli altri paesi della terra. E come i Cartagi-nesi sono stati maestri ai Romani nell'agricoltura, così loerano nel saper sfruttare i popoli soggetti; per cui, a Car-tagine, affluivano le rendite fondiarie della miglior parted'Europa e della ricca provincia dell'Africa settentriona-le, alcuni territori della quale, come per esempio il By-zakitis e le terre intorno alla piccola Sirte, erano d'unafertilità favolosa.Il commercio, che dai Cartaginesi era riguardato fin daiprimi tempi come una professione onorevole, la naviga-zione e l'industria manufattiera venute, in conseguenzadel commercia stesso, in grandissimo sviluppo, procura-rono a Cartagine un'ingente quantità di metalli preziosi.E si è già detto come questo popolo avesse saputo esten-dere, e nello stesso tempo concentrare nel suo porto ilmonopolio non solo dei traffici con i popoli stranieri,

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ma anche il commercio interno del Mediterraneo carta-ginese, oltre tutti gli scambi tra le regioni occidentali e ilLevante.Quanto alle arti e alle scienze vi è ogni ragione per cre-dere, che siano cominciate a Cartagine, come più tardi aRoma, per l'influenza ellenica.Ciò non vuol dire che gli studi vi fossero negletti; anzi,consta che la letteratura fenicia ebbe una sua propriafioritura, e quando Cartagine venne espugnata vi si rin-vennero ragguardevoli biblioteche e notevoli opered'arte, sebbene non prodotte in Cartagine, ma portatevidai templi della Sicilia.Però in Cartagine anche l'ingegno si mise a servizio delcapitale; e quello che vi ha di più caratteristico nella let-teratura punica sono i trattati d'agricoltura e di geogra-fia, come l'accennata opera di Magone e la relazionedell'ammiraglio Annone sul viaggio da lui compiutolungo la costa occidentale dell'Africa, che esiste tutt'oratradotta e che alla sua apparizione era stata affissa inuno dei templi di Cartagine. La stessa diffusione di certecognizioni e particolarmente della conoscenza delle lin-gue straniere – e sotto questo rapporto l'antica Cartaginesi sarà trovata pressochè nella medesima fase dellaRoma imperiale – è una prova della direzione affattopratica che in Cartagine si dava alla coltura ellenica. Senon è possibile poter stabilire un computo della massadi capitali che affluivano in questa Londra dell'antichità,ci si può almeno fare un'idea delle sorgenti delle pubbli-

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ma anche il commercio interno del Mediterraneo carta-ginese, oltre tutti gli scambi tra le regioni occidentali e ilLevante.Quanto alle arti e alle scienze vi è ogni ragione per cre-dere, che siano cominciate a Cartagine, come più tardi aRoma, per l'influenza ellenica.Ciò non vuol dire che gli studi vi fossero negletti; anzi,consta che la letteratura fenicia ebbe una sua propriafioritura, e quando Cartagine venne espugnata vi si rin-vennero ragguardevoli biblioteche e notevoli opered'arte, sebbene non prodotte in Cartagine, ma portatevidai templi della Sicilia.Però in Cartagine anche l'ingegno si mise a servizio delcapitale; e quello che vi ha di più caratteristico nella let-teratura punica sono i trattati d'agricoltura e di geogra-fia, come l'accennata opera di Magone e la relazionedell'ammiraglio Annone sul viaggio da lui compiutolungo la costa occidentale dell'Africa, che esiste tutt'oratradotta e che alla sua apparizione era stata affissa inuno dei templi di Cartagine. La stessa diffusione di certecognizioni e particolarmente della conoscenza delle lin-gue straniere – e sotto questo rapporto l'antica Cartaginesi sarà trovata pressochè nella medesima fase dellaRoma imperiale – è una prova della direzione affattopratica che in Cartagine si dava alla coltura ellenica. Senon è possibile poter stabilire un computo della massadi capitali che affluivano in questa Londra dell'antichità,ci si può almeno fare un'idea delle sorgenti delle pubbli-

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che entrate, le quali, malgrado il dispendioso sistemacon cui Cartagine aveva ordinate le milizie, e malgradola trascurata e malfida amministrazione dei beni dellostato, con le contribuzioni dei sudditi e le gabelle copri-vano interamente le spese, e dai cittadini non si esigeva-no imposte dirette; e che persino dopo la seconda guerrapunica, quando la forza dello stato era già fiaccata, sen-za ricorrere ad una imposta e solo con una buona ammi-nistrazione delle finanze, queste poterono non solo co-prire tutte le spese correnti, ma effettuare l'annuale pa-gamento di 1.258.000 lire, e trascorsi soltanto quattordi-ci anni dalla pace il governo offrì di pagare in una solavolta e subito le trentasei rate che ancora rimanevano. Enon solo l'ammontare delle rendite è ciò che proval'eccellenza dell'amministrazione finanziaria cartagine-se.Soltanto in Cartagine, fra tutti gli stati dell'antichità, tro-viamo quei principii di economia pubblica, che fanno ilvanto di età posteriori e più mature nelle arti della civil-tà; vi si fa menzione di prestiti dello stato fatti all'estero,e d'un sistema monetario, il quale, oltre alle moneted'oro e d'argento, che si usavano principalmente nei traf-fici della Sicilia, ammetteva una valuta convenzionale dinessun valore in quanto alla materia, e affatto ignotaagli antichi.Insomma, se lo stato non dovesse esser altro che unaspeculazione, nessuno avrebbe assolto il suo compitopiù splendidamente di Cartagine.

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che entrate, le quali, malgrado il dispendioso sistemacon cui Cartagine aveva ordinate le milizie, e malgradola trascurata e malfida amministrazione dei beni dellostato, con le contribuzioni dei sudditi e le gabelle copri-vano interamente le spese, e dai cittadini non si esigeva-no imposte dirette; e che persino dopo la seconda guerrapunica, quando la forza dello stato era già fiaccata, sen-za ricorrere ad una imposta e solo con una buona ammi-nistrazione delle finanze, queste poterono non solo co-prire tutte le spese correnti, ma effettuare l'annuale pa-gamento di 1.258.000 lire, e trascorsi soltanto quattordi-ci anni dalla pace il governo offrì di pagare in una solavolta e subito le trentasei rate che ancora rimanevano. Enon solo l'ammontare delle rendite è ciò che proval'eccellenza dell'amministrazione finanziaria cartagine-se.Soltanto in Cartagine, fra tutti gli stati dell'antichità, tro-viamo quei principii di economia pubblica, che fanno ilvanto di età posteriori e più mature nelle arti della civil-tà; vi si fa menzione di prestiti dello stato fatti all'estero,e d'un sistema monetario, il quale, oltre alle moneted'oro e d'argento, che si usavano principalmente nei traf-fici della Sicilia, ammetteva una valuta convenzionale dinessun valore in quanto alla materia, e affatto ignotaagli antichi.Insomma, se lo stato non dovesse esser altro che unaspeculazione, nessuno avrebbe assolto il suo compitopiù splendidamente di Cartagine.

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9. Parallelo tra Cartagine e Roma.Confrontiamo ora le forze di Cartagine con quelle diRoma. Entrambe erano città agricole e mercantili ad untempo, ma mercantili prima di tutto. In entrambe, le artie le scienze avevano una posizione subordinata e affattopratica, ma si deve riconoscere che Cartagine, sotto que-sto aspetto, aveva fatto maggiori progressi di Roma.In Cartagine l'economia del danaro prevaleva sull'eco-nomia del suolo, e in Roma avveniva l'opposto, e men-tre gli agricoltori cartaginesi erano, nel tempo stesso,possidenti di latifondi e di schiavi, nella Roma di que'tempi la maggior parte de' cittadini lavorava con le pro-prie mani i suoi campi. La moltitudine era in Roma pos-sidente e però conservatrice, in Cartagine era nullate-nente e però accessibile all'oro dei ricchi come alle ten-tazioni dei democratici riformatori. In Cartagine regna-va già tutta l'opulenza che è propria delle grandi cittàmercantili, mentre in Roma i costumi e la polizia mante-nevano ancora, almeno in apparenza, la severità e la fru-galità dei tempi antichi.Quando gli ambasciatori cartaginesi ritornarono daRoma raccontarono ai loro colleghi che tra i senatori ro-mani esisteva un'intesa meravigliosa, poichè lo stessovasellame d'argento bastava per tutto il senato, avendoloessi trovato in tutte le case dove furono invitati a pran-zo. Questa ironica narrazione è un indizio caratteristicodella differenza delle condizioni economiche delle duecittà.

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9. Parallelo tra Cartagine e Roma.Confrontiamo ora le forze di Cartagine con quelle diRoma. Entrambe erano città agricole e mercantili ad untempo, ma mercantili prima di tutto. In entrambe, le artie le scienze avevano una posizione subordinata e affattopratica, ma si deve riconoscere che Cartagine, sotto que-sto aspetto, aveva fatto maggiori progressi di Roma.In Cartagine l'economia del danaro prevaleva sull'eco-nomia del suolo, e in Roma avveniva l'opposto, e men-tre gli agricoltori cartaginesi erano, nel tempo stesso,possidenti di latifondi e di schiavi, nella Roma di que'tempi la maggior parte de' cittadini lavorava con le pro-prie mani i suoi campi. La moltitudine era in Roma pos-sidente e però conservatrice, in Cartagine era nullate-nente e però accessibile all'oro dei ricchi come alle ten-tazioni dei democratici riformatori. In Cartagine regna-va già tutta l'opulenza che è propria delle grandi cittàmercantili, mentre in Roma i costumi e la polizia mante-nevano ancora, almeno in apparenza, la severità e la fru-galità dei tempi antichi.Quando gli ambasciatori cartaginesi ritornarono daRoma raccontarono ai loro colleghi che tra i senatori ro-mani esisteva un'intesa meravigliosa, poichè lo stessovasellame d'argento bastava per tutto il senato, avendoloessi trovato in tutte le case dove furono invitati a pran-zo. Questa ironica narrazione è un indizio caratteristicodella differenza delle condizioni economiche delle duecittà.

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Tanto in Cartagine quanto in Roma la costituzione eraaristocratica; come governava il senato a Roma gover-navano i giudici in Cartagine, e nell'una come nell'altracittà prevaleva lo stesso sistema di polizia. La stretta su-bordinazione, nella quale il governo cartaginese tenevaciascun impiegato, l'ingiunzione fatta a tutti i cittadini diastenersi dallo studio della lingua greca e di comunicarecoi Greci solo per mezzo del pubblico interprete, sonoindizi dello stesso spirito di gelosia che si manifestavanel governo del senato romano; ma il sistema delle mul-te pecunarie e delle censure romane è mite e assennatose lo si paragoni alla atrocità ed all'arbitrio poco menoche brutali che si riscontrano nel pubblico controllo deiCartaginesi.Il senato romano, che accoglieva nel suo seno le piùspiccate intelligenze, e che rappresentava la nazione e sisentiva penetrato dal suo spirito, poteva anche averemaggior fiducia nel popolo, e nel tempo stesso non ave-re timore dei proprii magistrati. Il senato cartaginese, in-vece, si fondava su una gelosa censura dell'amministra-zione col mezzo del governo e rappresentava esclusiva-mente le famiglie nobili; il suo spirito era la diffidenzaverso l'alto e verso il basso, per cui non poteva mai esse-re sicuro dell'ubbidienza del popolo, nè essere tranquillocirca le usurpazioni dei magistrati.Da ciò il fermo andamento della politica romana, chenelle avversità non indietreggiava d'un sol passo e nellaprospera fortuna non abusava per trascuratezza o per in-

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Tanto in Cartagine quanto in Roma la costituzione eraaristocratica; come governava il senato a Roma gover-navano i giudici in Cartagine, e nell'una come nell'altracittà prevaleva lo stesso sistema di polizia. La stretta su-bordinazione, nella quale il governo cartaginese tenevaciascun impiegato, l'ingiunzione fatta a tutti i cittadini diastenersi dallo studio della lingua greca e di comunicarecoi Greci solo per mezzo del pubblico interprete, sonoindizi dello stesso spirito di gelosia che si manifestavanel governo del senato romano; ma il sistema delle mul-te pecunarie e delle censure romane è mite e assennatose lo si paragoni alla atrocità ed all'arbitrio poco menoche brutali che si riscontrano nel pubblico controllo deiCartaginesi.Il senato romano, che accoglieva nel suo seno le piùspiccate intelligenze, e che rappresentava la nazione e sisentiva penetrato dal suo spirito, poteva anche averemaggior fiducia nel popolo, e nel tempo stesso non ave-re timore dei proprii magistrati. Il senato cartaginese, in-vece, si fondava su una gelosa censura dell'amministra-zione col mezzo del governo e rappresentava esclusiva-mente le famiglie nobili; il suo spirito era la diffidenzaverso l'alto e verso il basso, per cui non poteva mai esse-re sicuro dell'ubbidienza del popolo, nè essere tranquillocirca le usurpazioni dei magistrati.Da ciò il fermo andamento della politica romana, chenelle avversità non indietreggiava d'un sol passo e nellaprospera fortuna non abusava per trascuratezza o per in-

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differenza; mentre i Cartaginesi desistevano di combat-tere quando un ultimo sforzo avrebbe forse salvato ognicosa, e, stanchi o dimentichi dei loro doveri nazionali,lasciavano, a mezz'opera, cadere l'edifizio in rovina, perricominciarlo dalle fondamenta pochi anni dopo; e men-tre i migliori ufficiali pubblici si trovano in Romad'ordinario in buoni rapporti col governo, in Cartaginesono spesso in decisa ostilità colla signoria, e spinti a re-sisterle fuor dai termini consentiti dalle leggi e a darmano al partito dell'opposizione e delle riforme.Cartagine e Roma dominavano su comuni della lorostessa stirpe e su molti comuni di stirpe straniera. MaRoma era venuta aggregando alla sua cittadinanza, l'undopo l'altro, i distretti interurbani ed aveva reso accessi-bile, per legge, questo diritto persino ai comuni latini;Cartagine, invece, si chiuse fin da principio in se stessae non lasciò ai dipendenti territori nemmeno la speranzadi ottenere in avvenire l'eguaglianza.Roma concedeva ai comuni che le erano legati coi vin-coli di consanguineità una parte dei frutti della vittoria,specialmente nelle terre conquistate, e si studiava di for-marsi un partito negli altri stati dipendenti accordandofavori ai nobili ed ai ricchi; Cartagine non solo tenevaper sè ogni frutto delle vittorie, ma toglieva persino allecittà più privilegiate la libertà del commercio.Roma non privava di alcuna autonomia nemmeno gli in-fimi comuni soggetti, e non imponeva a nessuno di essiun tributo fisso; Cartagine inviava dappertutto i suoi go-

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differenza; mentre i Cartaginesi desistevano di combat-tere quando un ultimo sforzo avrebbe forse salvato ognicosa, e, stanchi o dimentichi dei loro doveri nazionali,lasciavano, a mezz'opera, cadere l'edifizio in rovina, perricominciarlo dalle fondamenta pochi anni dopo; e men-tre i migliori ufficiali pubblici si trovano in Romad'ordinario in buoni rapporti col governo, in Cartaginesono spesso in decisa ostilità colla signoria, e spinti a re-sisterle fuor dai termini consentiti dalle leggi e a darmano al partito dell'opposizione e delle riforme.Cartagine e Roma dominavano su comuni della lorostessa stirpe e su molti comuni di stirpe straniera. MaRoma era venuta aggregando alla sua cittadinanza, l'undopo l'altro, i distretti interurbani ed aveva reso accessi-bile, per legge, questo diritto persino ai comuni latini;Cartagine, invece, si chiuse fin da principio in se stessae non lasciò ai dipendenti territori nemmeno la speranzadi ottenere in avvenire l'eguaglianza.Roma concedeva ai comuni che le erano legati coi vin-coli di consanguineità una parte dei frutti della vittoria,specialmente nelle terre conquistate, e si studiava di for-marsi un partito negli altri stati dipendenti accordandofavori ai nobili ed ai ricchi; Cartagine non solo tenevaper sè ogni frutto delle vittorie, ma toglieva persino allecittà più privilegiate la libertà del commercio.Roma non privava di alcuna autonomia nemmeno gli in-fimi comuni soggetti, e non imponeva a nessuno di essiun tributo fisso; Cartagine inviava dappertutto i suoi go-

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vernatori e imponeva gravi tributi persino alle antichecittà fenicie; quanto ai popoli soggiogati, essa li trattavacome veri schiavi dello stato. Ond'è che nella confedera-zione cartaginese-africana non v'era un sol comune, adeccezione di Utica, il quale non fosse persuaso di potermigliorare, colla caduta di Cartagine, tanto le propriecondizioni politiche quanto quelle morali; nella confe-derazione romano-italica, invece, non v'era comune chenon avesse più da perdere che da guadagnare ribellando-si contro un governo il quale metteva ogni cura nel ri-spettare gli interessi materiali, e per lo meno non provo-cava mai sollevazioni con eccessive misure.Se gli uomini di stato cartaginesi credevano di aver le-gato i sudditi fenici all'interesse di Cartagine con lospettro continuo di un'insurrezione delle genti libiche, edi essersi assicurati il concorso di tutti i possidenti mer-cè quella valuta convenzionale cui accennammo, essis'illudevano con un calcolo da mercanti che spesso nonha valore nelle cose politiche; e infatti l'esperienza pro-vò che la simmachia romana, sebbene sembrasse più ri-lassata e meno saldamente connessa, tenne fermo controPirro come un muro di roccia, mentre invece la simma-chia cartaginese andò a brani come una ragnatela appe-na un esercito nemico ebbe messo piede sul suolo afri-cano.Così avvenne in occasione dello sbarco di Agatocle e diRegolo, così anche nella guerra dei mercenari. La provadello spirito che regnava in Africa è il fatto che le donne

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vernatori e imponeva gravi tributi persino alle antichecittà fenicie; quanto ai popoli soggiogati, essa li trattavacome veri schiavi dello stato. Ond'è che nella confedera-zione cartaginese-africana non v'era un sol comune, adeccezione di Utica, il quale non fosse persuaso di potermigliorare, colla caduta di Cartagine, tanto le propriecondizioni politiche quanto quelle morali; nella confe-derazione romano-italica, invece, non v'era comune chenon avesse più da perdere che da guadagnare ribellando-si contro un governo il quale metteva ogni cura nel ri-spettare gli interessi materiali, e per lo meno non provo-cava mai sollevazioni con eccessive misure.Se gli uomini di stato cartaginesi credevano di aver le-gato i sudditi fenici all'interesse di Cartagine con lospettro continuo di un'insurrezione delle genti libiche, edi essersi assicurati il concorso di tutti i possidenti mer-cè quella valuta convenzionale cui accennammo, essis'illudevano con un calcolo da mercanti che spesso nonha valore nelle cose politiche; e infatti l'esperienza pro-vò che la simmachia romana, sebbene sembrasse più ri-lassata e meno saldamente connessa, tenne fermo controPirro come un muro di roccia, mentre invece la simma-chia cartaginese andò a brani come una ragnatela appe-na un esercito nemico ebbe messo piede sul suolo afri-cano.Così avvenne in occasione dello sbarco di Agatocle e diRegolo, così anche nella guerra dei mercenari. La provadello spirito che regnava in Africa è il fatto che le donne

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della Libia dettero spontaneamente i loro gioielli ai mer-cenari per la guerra contro Cartagine.Solo in Sicilia pare che i Cartaginesi si siano mostratipiù benevoli e che abbiano quindi ottenuto migliori ri-sultati. Essi accordarono ai loro sudditi dell'isola una re-lativa libertà nel commercio coll'estero e permisero cheil loro traffico interno si svolgesse secondo il costumegreco, con moneta metallica invece che con la monetaconvenzionale di Cartagine e in generale era ai medesi-mi accordata una libertà molto maggiore di quella cheavevano i Sardi ed i Libici.Se Siracusa fosse venuta in loro potere, le cose sarebbe-ro, senza dubbio, ben presto cambiate; ma ciò non av-venne, e quindi, in grazia dell'accorta mitezza del gover-no cartaginese e della malaugurata divisione dei Grecisiciliani, si era formato in Sicilia un formidabile partitofenicio e ne sia prova la storia della lunga guerra scrittada Filino di Akragas, assolutamente di spirito fenicio,dopo che l'isola era venuta in potere dei Romani.Ma infine anche i Siciliani, sia come sudditi, sia comeliberi Elleni, non dovevano provare minor avversionepei loro padroni fenici di quella che mostravano i Sanni-ti ed i Tarentini pei Romani.Le entrate delle finanze cartaginesi erano senza dubbiomolto superiori a quelle dei Romani; ma questa diffe-renza scompariva in parte perchè le sorgenti delle finan-ze cartaginesi, tributi e dazi, molto più facilmente si

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della Libia dettero spontaneamente i loro gioielli ai mer-cenari per la guerra contro Cartagine.Solo in Sicilia pare che i Cartaginesi si siano mostratipiù benevoli e che abbiano quindi ottenuto migliori ri-sultati. Essi accordarono ai loro sudditi dell'isola una re-lativa libertà nel commercio coll'estero e permisero cheil loro traffico interno si svolgesse secondo il costumegreco, con moneta metallica invece che con la monetaconvenzionale di Cartagine e in generale era ai medesi-mi accordata una libertà molto maggiore di quella cheavevano i Sardi ed i Libici.Se Siracusa fosse venuta in loro potere, le cose sarebbe-ro, senza dubbio, ben presto cambiate; ma ciò non av-venne, e quindi, in grazia dell'accorta mitezza del gover-no cartaginese e della malaugurata divisione dei Grecisiciliani, si era formato in Sicilia un formidabile partitofenicio e ne sia prova la storia della lunga guerra scrittada Filino di Akragas, assolutamente di spirito fenicio,dopo che l'isola era venuta in potere dei Romani.Ma infine anche i Siciliani, sia come sudditi, sia comeliberi Elleni, non dovevano provare minor avversionepei loro padroni fenici di quella che mostravano i Sanni-ti ed i Tarentini pei Romani.Le entrate delle finanze cartaginesi erano senza dubbiomolto superiori a quelle dei Romani; ma questa diffe-renza scompariva in parte perchè le sorgenti delle finan-ze cartaginesi, tributi e dazi, molto più facilmente si

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esaurivano che non quelle dei Romani, e proprio quandose ne aveva maggior bisogno, e in parte per il modo diguerreggiare dei Cartaginesi assai più dispendioso diquello dei Romani.Le fonti da cui si traevano le forze militari dei Romani edei Cartaginesi erano di natura molto diversa, e nondi-meno, per molti rispetti, si equivalevano. La cittadinan-za cartaginese, quando fu espugnata la città, saliva anco-ra a 700.000 abitanti comprese le donne ed i fanciulli(4) esi può ritenere che alla fine del quinto secolo fosse an-cora così numerosa, se poteva armare ancora 40.000opliti, tutti cittadini. Ma Roma aveva messo insieme unesercito della stessa forza al principio di quel secolo, edopo l'allargamento dell'agro romano, avvenuto nel cor-so del quinto secolo, il numero dei Quiriti atti a portararmi deve essere cresciuto almeno del doppio.Ma la superiorità di Roma non era tanto nel numero deicittadini atti alle armi, quanto nella loro qualità. Perquanto il governo cartaginese si studiasse di indurre icittadini al servizio delle armi, esso non poteva dare nèall'operaio nè al mercante la robustezza del contadino,4 L'esattezza di questa cifra fu messa in dubbio, e computando lo spazio si

giudicò impossibile che gli abitanti passassero il numero di 250.000.Astrazione fatta dall'esattezza di simili calcoli, trattandosi specialmente diuna città mercantile con case a sei piani, si deve avvertire, che le anagraficartaginesi, appunto come le romane, sono censi politici e non territoriali eche in essi venivano compresi tutti i cittadini che abitassero in città e nelterritorio, e che soggiornassero in paesi soggetti, o anche all'estero. Carta-gine, naturalmente, contava gran numero di questi assenti; come si narra diCadice, ove per lo stesso motivo la lista dei cittadini era sempre molto su-periore al numero dei cittadini con dimora fissa in città.

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esaurivano che non quelle dei Romani, e proprio quandose ne aveva maggior bisogno, e in parte per il modo diguerreggiare dei Cartaginesi assai più dispendioso diquello dei Romani.Le fonti da cui si traevano le forze militari dei Romani edei Cartaginesi erano di natura molto diversa, e nondi-meno, per molti rispetti, si equivalevano. La cittadinan-za cartaginese, quando fu espugnata la città, saliva anco-ra a 700.000 abitanti comprese le donne ed i fanciulli(4) esi può ritenere che alla fine del quinto secolo fosse an-cora così numerosa, se poteva armare ancora 40.000opliti, tutti cittadini. Ma Roma aveva messo insieme unesercito della stessa forza al principio di quel secolo, edopo l'allargamento dell'agro romano, avvenuto nel cor-so del quinto secolo, il numero dei Quiriti atti a portararmi deve essere cresciuto almeno del doppio.Ma la superiorità di Roma non era tanto nel numero deicittadini atti alle armi, quanto nella loro qualità. Perquanto il governo cartaginese si studiasse di indurre icittadini al servizio delle armi, esso non poteva dare nèall'operaio nè al mercante la robustezza del contadino,4 L'esattezza di questa cifra fu messa in dubbio, e computando lo spazio si

giudicò impossibile che gli abitanti passassero il numero di 250.000.Astrazione fatta dall'esattezza di simili calcoli, trattandosi specialmente diuna città mercantile con case a sei piani, si deve avvertire, che le anagraficartaginesi, appunto come le romane, sono censi politici e non territoriali eche in essi venivano compresi tutti i cittadini che abitassero in città e nelterritorio, e che soggiornassero in paesi soggetti, o anche all'estero. Carta-gine, naturalmente, contava gran numero di questi assenti; come si narra diCadice, ove per lo stesso motivo la lista dei cittadini era sempre molto su-periore al numero dei cittadini con dimora fissa in città.

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nè vincere la innata avversione dei Fenici per la guerra.Nel quinto secolo combatteva ancora negli eserciti sici-liani una «Sacra schiera» di 2500 Cartaginesi, comeguardie del duce; nel sesto secolo non si trova neglieserciti punici – per esempio nell'esercito di Spagna –un solo cartaginese, tranne gli ufficiali. I contadini ro-mani invece non figuravano solo sui registri e nelle ras-segne, ma si trovavano sui campi di battaglia. Lo stessopuò dirsi dei connazionali delle due repubbliche. Le mi-lizie latine non erano affatto inferiori alle stesse milizieurbane; i Libio-fenici invece non amavano il mestieredell'armi più dei Cartaginesi, e quindi erano anche menodisposti ad affrontare le fatiche della guerra.Ond'è che anch'essi scomparvero dagli eserciti e le cittàfenicie dell'Africa e della Spagna probabilmente, invecedi mandare uomini e soldati, mandavano denari.Nell'esercito in Spagna, forte di circa 15.000 uomini,non vi era che una brigata di 4500 cavalli, e questa eracomposta solo in parte di Libio-fenici. Nerbo degli eser-citi cartaginesi erano i Libici, i quali, condotti da buoniufficiali, davano una valida fanteria; la loro cavallerialeggera poi era insuperabile nel suo genere. A queste siaggiungevano le forze delle popolazioni della Libia edella Spagna più o meno dipendenti ed i famosi frombo-lieri delle Baleari che tenevano il posto tra i contingentifederali e le bande di mercenari; finalmente la soldate-sca, che in caso di bisogno si arruolava all'estero.

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nè vincere la innata avversione dei Fenici per la guerra.Nel quinto secolo combatteva ancora negli eserciti sici-liani una «Sacra schiera» di 2500 Cartaginesi, comeguardie del duce; nel sesto secolo non si trova neglieserciti punici – per esempio nell'esercito di Spagna –un solo cartaginese, tranne gli ufficiali. I contadini ro-mani invece non figuravano solo sui registri e nelle ras-segne, ma si trovavano sui campi di battaglia. Lo stessopuò dirsi dei connazionali delle due repubbliche. Le mi-lizie latine non erano affatto inferiori alle stesse milizieurbane; i Libio-fenici invece non amavano il mestieredell'armi più dei Cartaginesi, e quindi erano anche menodisposti ad affrontare le fatiche della guerra.Ond'è che anch'essi scomparvero dagli eserciti e le cittàfenicie dell'Africa e della Spagna probabilmente, invecedi mandare uomini e soldati, mandavano denari.Nell'esercito in Spagna, forte di circa 15.000 uomini,non vi era che una brigata di 4500 cavalli, e questa eracomposta solo in parte di Libio-fenici. Nerbo degli eser-citi cartaginesi erano i Libici, i quali, condotti da buoniufficiali, davano una valida fanteria; la loro cavallerialeggera poi era insuperabile nel suo genere. A queste siaggiungevano le forze delle popolazioni della Libia edella Spagna più o meno dipendenti ed i famosi frombo-lieri delle Baleari che tenevano il posto tra i contingentifederali e le bande di mercenari; finalmente la soldate-sca, che in caso di bisogno si arruolava all'estero.

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Un esercito simile poteva bensì, in quanto al numero,essere aumentato senza difficoltà e, se si vuol considera-re la valentia degli ufficiali, le cognizioni militari, il co-raggio, poteva stare a fronte dell'esercito romano, maquando la necessità imponeva di arruolare mercenarinon solo si perdeva gran tempo prima di metterli in gra-do di entrare in campagna, mentre le milizie romaneerano pronte ad ogni occasione, ma – e questo è il più –mentre nessun sentimento elevato, fuorchè l'onore dellabandiera e la speranza dei premi, teneva uniti gli eserciticartaginesi, i romani erano animati a combatteredall'amor patrio. L'ufficiale cartaginese di comune leva-tura doveva considerare i suoi mercenari, e anche glistessi contadini della Libia presso a poco come ora inguerra si considerano le palle da cannone; da ciò le atro-cità e le turpitudini, come fu il tradimento delle truppelibiche per opera del generale Imilcone (358=396) se-guito da una minacciosa sollevazione dei Libici; da ciòquel detto divenuto proverbiale della «fede punica», chenon fu di poco nocumento ai Cartaginesi.Cartagine ha fatto lunga esperienza di tutti i pericoli aiquali eserciti, composti di fellah(5) e di mercenari, posso-no esporre uno stato, e ha potuto accorgersi più d'unavolta, che i suoi servi pagati erano più pericolosi deisuoi nemici.Il governo cartaginese non poteva ignorare i difetti d'un5 [Così l'autore, che aveva già paragonato la condizione dei campagnoli li-

bici ridotti in servitù rustica dai Cartaginesi, ai fellah del moderno Egitto;cfr. § 5].

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Un esercito simile poteva bensì, in quanto al numero,essere aumentato senza difficoltà e, se si vuol considera-re la valentia degli ufficiali, le cognizioni militari, il co-raggio, poteva stare a fronte dell'esercito romano, maquando la necessità imponeva di arruolare mercenarinon solo si perdeva gran tempo prima di metterli in gra-do di entrare in campagna, mentre le milizie romaneerano pronte ad ogni occasione, ma – e questo è il più –mentre nessun sentimento elevato, fuorchè l'onore dellabandiera e la speranza dei premi, teneva uniti gli eserciticartaginesi, i romani erano animati a combatteredall'amor patrio. L'ufficiale cartaginese di comune leva-tura doveva considerare i suoi mercenari, e anche glistessi contadini della Libia presso a poco come ora inguerra si considerano le palle da cannone; da ciò le atro-cità e le turpitudini, come fu il tradimento delle truppelibiche per opera del generale Imilcone (358=396) se-guito da una minacciosa sollevazione dei Libici; da ciòquel detto divenuto proverbiale della «fede punica», chenon fu di poco nocumento ai Cartaginesi.Cartagine ha fatto lunga esperienza di tutti i pericoli aiquali eserciti, composti di fellah(5) e di mercenari, posso-no esporre uno stato, e ha potuto accorgersi più d'unavolta, che i suoi servi pagati erano più pericolosi deisuoi nemici.Il governo cartaginese non poteva ignorare i difetti d'un5 [Così l'autore, che aveva già paragonato la condizione dei campagnoli li-

bici ridotti in servitù rustica dai Cartaginesi, ai fellah del moderno Egitto;cfr. § 5].

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tale esercito e si studiava senza dubbio di porvi riparo.Curava soprattutto di tener ben provvedute le casse pub-bliche e ben guarniti gli arsenali per essere in grado diassoldare armigeri ad ogni bisogno. Grandissima curaponeva inoltre a quegli armamenti che presso gli antichitenevano luogo delle nostre artiglierie; faceva costruirmacchine da guerra, arte nella quale troviamo d'ordina-rio i Cartaginesi superiori ai Siculi ed educava elefanti,dacchè questi avevano, nella tattica, fatto sopprimere gliantichi carri di guerra. Cartagine nelle sue casematteaveva scuderie per 300 di questi animali. Non osando iCartaginesi fortificare le città vassalle, doveva lasciareche ogni esercito nemico, il quale potesse approdare inAfrica, occupasse non solo il paese aperto, ma anchecittà e villaggi; precisamente l'opposto di quello che av-veniva in Italia, ove la massima parte delle città soggettea Roma avevano conservato le loro mura e dove unarete di fortezze romane si stendeva sull'intera penisola.In compenso i Cartaginesi posero il sommo dell'arte espesero tesori per fortificare la loro città, e più d'unavolta lo stato dovette la sua salvezza alla solidità dellemura di Cartagine, mentre Roma era così difesa dal suoordinamento politico e dal suo sistema militare, che nonebbe mai a sostenere un vero assedio.Finalmente il principale baluardo dello stato punico erala flotta, alla quale erano rivolte tutte le cure del gover-no. Tanto nella costruzione navale quanto nel maneggiodelle navi, i Cartaginesi superavano i Greci; in Cartagi-ne furono costruiti i primi vascelli a più di tre ponti, ed i

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tale esercito e si studiava senza dubbio di porvi riparo.Curava soprattutto di tener ben provvedute le casse pub-bliche e ben guarniti gli arsenali per essere in grado diassoldare armigeri ad ogni bisogno. Grandissima curaponeva inoltre a quegli armamenti che presso gli antichitenevano luogo delle nostre artiglierie; faceva costruirmacchine da guerra, arte nella quale troviamo d'ordina-rio i Cartaginesi superiori ai Siculi ed educava elefanti,dacchè questi avevano, nella tattica, fatto sopprimere gliantichi carri di guerra. Cartagine nelle sue casematteaveva scuderie per 300 di questi animali. Non osando iCartaginesi fortificare le città vassalle, doveva lasciareche ogni esercito nemico, il quale potesse approdare inAfrica, occupasse non solo il paese aperto, ma anchecittà e villaggi; precisamente l'opposto di quello che av-veniva in Italia, ove la massima parte delle città soggettea Roma avevano conservato le loro mura e dove unarete di fortezze romane si stendeva sull'intera penisola.In compenso i Cartaginesi posero il sommo dell'arte espesero tesori per fortificare la loro città, e più d'unavolta lo stato dovette la sua salvezza alla solidità dellemura di Cartagine, mentre Roma era così difesa dal suoordinamento politico e dal suo sistema militare, che nonebbe mai a sostenere un vero assedio.Finalmente il principale baluardo dello stato punico erala flotta, alla quale erano rivolte tutte le cure del gover-no. Tanto nella costruzione navale quanto nel maneggiodelle navi, i Cartaginesi superavano i Greci; in Cartagi-ne furono costruiti i primi vascelli a più di tre ponti, ed i

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vascelli da guerra cartaginesi di quel tempo erano quasitutti di cinque ponti, e generalmente migliori velieri diquelli greci; i rematori, tutti schiavi dello stato, e nontolti dalle galere, erano destri ed eccellentemente am-maestrati; i capitani impavidi.In questo, Cartagine, era senza dubbio superiore ai Ro-mani, i quali, con lo scarso numero delle navi degli al-leati greci e col più scarso delle navi proprie, non eranoin grado di mostrarsi in alto mare di fronte ad una flottache in quel tempo dominava incontrastabilmente il mareoccidentale.Se riepiloghiamo quindi il risultato offertoci dal con-fronto dei mezzi delle due potenze, apparisce esatto ilgiudizio pronunciato da un Greco perspicace ed impar-ziale che cioè Cartagine e Roma, quando discesero incampo l'una contro l'altra erano due rivali degne di starsia fronte.Ma non possiamo tacere che, se Cartagine non lasciò in-tentata alcuna via per cui l'ingegno e la ricchezza potes-sero trovare e creare forze artificiali d'offesa e di difesa,non riuscì pero a supplire sufficientemente alle due defi-cienze fondamentali, di un esercito proprio di terra e diuna salda e indipendente simmachia. Facile era l'accor-gersi, che, come Roma non poteva essere attaccata senon in Italia, così Cartagine non era vulnerabile che nel-la Libia; e però non v'era dubbio, che a lungo andareessa non avrebbe potuto sottrarsi a questa prova.

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vascelli da guerra cartaginesi di quel tempo erano quasitutti di cinque ponti, e generalmente migliori velieri diquelli greci; i rematori, tutti schiavi dello stato, e nontolti dalle galere, erano destri ed eccellentemente am-maestrati; i capitani impavidi.In questo, Cartagine, era senza dubbio superiore ai Ro-mani, i quali, con lo scarso numero delle navi degli al-leati greci e col più scarso delle navi proprie, non eranoin grado di mostrarsi in alto mare di fronte ad una flottache in quel tempo dominava incontrastabilmente il mareoccidentale.Se riepiloghiamo quindi il risultato offertoci dal con-fronto dei mezzi delle due potenze, apparisce esatto ilgiudizio pronunciato da un Greco perspicace ed impar-ziale che cioè Cartagine e Roma, quando discesero incampo l'una contro l'altra erano due rivali degne di starsia fronte.Ma non possiamo tacere che, se Cartagine non lasciò in-tentata alcuna via per cui l'ingegno e la ricchezza potes-sero trovare e creare forze artificiali d'offesa e di difesa,non riuscì pero a supplire sufficientemente alle due defi-cienze fondamentali, di un esercito proprio di terra e diuna salda e indipendente simmachia. Facile era l'accor-gersi, che, come Roma non poteva essere attaccata senon in Italia, così Cartagine non era vulnerabile che nel-la Libia; e però non v'era dubbio, che a lungo andareessa non avrebbe potuto sottrarsi a questa prova.

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In quei tempi, nei quali la navigazione era all'infanzia,le flotte non erano ancora una forza permanente dellenazioni, ma si potevano costruire in ogni luogo, ove fos-se abbondanza di legname e di ferro, e opportunità dimarine; ond'era naturale, e ne aveva fatta più d'una voltaesperienza anche l'Africa, che gli stessi stati più potentiper la marineria non potevano impedire ai nemici menopotenti d'armarsi e d'approdare all'improvviso.Dacchè Agatocle aveva tracciata la via dell'Africa, lapoteva trovare anche un generale romano, e infatti inItalia si diede principio alla guerra punica col mandarein Africa un esercito d'invasione; e nello stesso modofurono terminate le guerre con Cartagine coll'assediodella capitale, nel quale, salvo casi eccezionali imprevi-sti, doveva finire per soccombere anche il più ostinatoeroismo.

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In quei tempi, nei quali la navigazione era all'infanzia,le flotte non erano ancora una forza permanente dellenazioni, ma si potevano costruire in ogni luogo, ove fos-se abbondanza di legname e di ferro, e opportunità dimarine; ond'era naturale, e ne aveva fatta più d'una voltaesperienza anche l'Africa, che gli stessi stati più potentiper la marineria non potevano impedire ai nemici menopotenti d'armarsi e d'approdare all'improvviso.Dacchè Agatocle aveva tracciata la via dell'Africa, lapoteva trovare anche un generale romano, e infatti inItalia si diede principio alla guerra punica col mandarein Africa un esercito d'invasione; e nello stesso modofurono terminate le guerre con Cartagine coll'assediodella capitale, nel quale, salvo casi eccezionali imprevi-sti, doveva finire per soccombere anche il più ostinatoeroismo.

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SECONDO CAPITOLOGUERRA TRA ROMA E CARTAGINEPER IL POSSESSO DELLA SICILIA

1. Condizioni della Sicilia.La lotta tra Cartaginesi e Siracusani devastava da oltreun secolo la bella isola di Sicilia. La guerra si conduce-va aspramente da ambo le parti, con la propaganda poli-tica e assoldando mercenari. Cartagine manteneva intesecon la fazione dell'aristocrazia repubblicana di Siracusache avversava le signorie dei capi popolo, i dinasti sira-cusani favorivano il partito nazionale nelle città grechesoggette al vassallaggio cartaginese; quanto alle armi,Timoleone e Agatocle si valevano di gente di ventura edi mercenari come i capitani fenici. E come gli uni e glialtri combattevano con gli stessi mezzi, così anche ado-peravano e gli uni e gli altri, per nuocere ai rivali, le artipiù disoneste e tali che nella storia dell'Occidente non sene trova esempio.I Siracusani erano i più deboli. Nella pace del 440=314,Cartagine aveva dovuto restringersi al possesso dellaterza parte dell'isola a occidente di Eraclea Minoa eImera, ed aveva riconosciuto espressamente l'egemoniadi Siracusa su tutte le città poste ad oriente. Ma cacciatoPirro dalla Sicilia e dall'Italia (479=275), più che metàdell'isola, e specialmente la ragguardevole città di Agri-gento, cadde in potere di Cartagine, e a Siracusa non ri-

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SECONDO CAPITOLOGUERRA TRA ROMA E CARTAGINEPER IL POSSESSO DELLA SICILIA

1. Condizioni della Sicilia.La lotta tra Cartaginesi e Siracusani devastava da oltreun secolo la bella isola di Sicilia. La guerra si conduce-va aspramente da ambo le parti, con la propaganda poli-tica e assoldando mercenari. Cartagine manteneva intesecon la fazione dell'aristocrazia repubblicana di Siracusache avversava le signorie dei capi popolo, i dinasti sira-cusani favorivano il partito nazionale nelle città grechesoggette al vassallaggio cartaginese; quanto alle armi,Timoleone e Agatocle si valevano di gente di ventura edi mercenari come i capitani fenici. E come gli uni e glialtri combattevano con gli stessi mezzi, così anche ado-peravano e gli uni e gli altri, per nuocere ai rivali, le artipiù disoneste e tali che nella storia dell'Occidente non sene trova esempio.I Siracusani erano i più deboli. Nella pace del 440=314,Cartagine aveva dovuto restringersi al possesso dellaterza parte dell'isola a occidente di Eraclea Minoa eImera, ed aveva riconosciuto espressamente l'egemoniadi Siracusa su tutte le città poste ad oriente. Ma cacciatoPirro dalla Sicilia e dall'Italia (479=275), più che metàdell'isola, e specialmente la ragguardevole città di Agri-gento, cadde in potere di Cartagine, e a Siracusa non ri-

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mase che Taormina e la parte sud-orientale dell'isola.In Messana, che era la seconda città siciliana, posta sul-la costa orientale, si era annidata un'orda di avventurieriche spadroneggiava, indipendentemente dai Siracusani edai Cartaginesi. Erano una specie di lanzichenecchi pro-venienti dalla Campania. La corruzione insinuatasi neiSabelli venuti a fondar colonie in Capua e nel suo terri-torio aveva ridotto, nel quarto e nel quinto secolo, laCampania simile a quello che più tardi furono l'Etolia,Creta e la Laconia, mercato, cioè, di genti da soldo e diaccaparratori di mercenari per i principi e le città cheabbisognassero di soldatesche.La semi-coltura che i Greci campani avevano diffusa, lavoluttà barbara per cui erano famose Capua e le città at-torno ad essa, l'impotenza politica a cui quegli stati era-no condannati dall'egemonia romana, la quale però nonaveva sottoposto a rigida disciplina quelle genti e lascia-va loro l'indipendenza personale – tutto pareva sospin-gere la gioventù campana ad arruolarsi sotto le bandierede' capitani di ventura; nè occorre notare come questoignominioso mercato di se stessi, portasse anche allora,come sempre, al disamore della patria, alle abitudini dipetulanza e di violenza, e più che tutto al culto della for-za e all'indifferenza per il tradimento.Questi Campani non riuscivano a persuadersi perchèmai non dovessero mettere le mani, purchè avessero laforza di tenerla e di difenderla, sulla città che si era dataloro in custodia, come con lo stesso diritto i Sanniti

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mase che Taormina e la parte sud-orientale dell'isola.In Messana, che era la seconda città siciliana, posta sul-la costa orientale, si era annidata un'orda di avventurieriche spadroneggiava, indipendentemente dai Siracusani edai Cartaginesi. Erano una specie di lanzichenecchi pro-venienti dalla Campania. La corruzione insinuatasi neiSabelli venuti a fondar colonie in Capua e nel suo terri-torio aveva ridotto, nel quarto e nel quinto secolo, laCampania simile a quello che più tardi furono l'Etolia,Creta e la Laconia, mercato, cioè, di genti da soldo e diaccaparratori di mercenari per i principi e le città cheabbisognassero di soldatesche.La semi-coltura che i Greci campani avevano diffusa, lavoluttà barbara per cui erano famose Capua e le città at-torno ad essa, l'impotenza politica a cui quegli stati era-no condannati dall'egemonia romana, la quale però nonaveva sottoposto a rigida disciplina quelle genti e lascia-va loro l'indipendenza personale – tutto pareva sospin-gere la gioventù campana ad arruolarsi sotto le bandierede' capitani di ventura; nè occorre notare come questoignominioso mercato di se stessi, portasse anche allora,come sempre, al disamore della patria, alle abitudini dipetulanza e di violenza, e più che tutto al culto della for-za e all'indifferenza per il tradimento.Questi Campani non riuscivano a persuadersi perchèmai non dovessero mettere le mani, purchè avessero laforza di tenerla e di difenderla, sulla città che si era dataloro in custodia, come con lo stesso diritto i Sanniti

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s'erano impadroniti di Capua, e i Lucani d'altre non po-che città greche. E la Sicilia, più d'ogni altro luogo, pa-reva indicata a questi colpi di mano; così appunto s'era-no stabiliti in Entella e alle falde dell'Etna i Campani ve-nuti in Sicilia mentre ferveva la guerra nel Peloponneso.Verso l'anno 470=284 dunque, in Messana, seconda cittàdella Sicilia greca e capitale del partito greco che osteg-giava i duecentottantaquattro signori di Siracusa, si era-no stabilite le bande di Campani che prima avevano ser-vito sotto Agatocle e, morto questi nel 465=289, si era-no date a pirateggiare per proprio conto.Trucidati o cacciati i cittadini, i soldati si divisero fraloro le donne, i fanciulli e le case, e non passò molto chei nuovi padroni della città, gli uomini di Marte, ossia iMamertini, che così si chiamavano questi ladroni, di-vennero la terza potenza dell'isola, di cui, nei tempi tor-bidi che successero alla morte d'Agatocle, sottomiserotutta la parte attorno a Messana.I Cartaginesi vedevano volentieri questi avvenimentiche mettevano a fianco dei Siracusani, in luogo di uomi-ni di origine greca e spesso legati ad essi per alleanza oper soggezione, avversari nuovi e potenti.I Mamertini, coll'aiuto dei Cartaginesi, resistettero al rePirro e l'intempestiva sua partenza ridonò agli avventu-rieri tutta la loro baldanza.La storia non può certo scusare il delitto di tradimentocon cui si impadronirono della terra, che era stata loro

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s'erano impadroniti di Capua, e i Lucani d'altre non po-che città greche. E la Sicilia, più d'ogni altro luogo, pa-reva indicata a questi colpi di mano; così appunto s'era-no stabiliti in Entella e alle falde dell'Etna i Campani ve-nuti in Sicilia mentre ferveva la guerra nel Peloponneso.Verso l'anno 470=284 dunque, in Messana, seconda cittàdella Sicilia greca e capitale del partito greco che osteg-giava i duecentottantaquattro signori di Siracusa, si era-no stabilite le bande di Campani che prima avevano ser-vito sotto Agatocle e, morto questi nel 465=289, si era-no date a pirateggiare per proprio conto.Trucidati o cacciati i cittadini, i soldati si divisero fraloro le donne, i fanciulli e le case, e non passò molto chei nuovi padroni della città, gli uomini di Marte, ossia iMamertini, che così si chiamavano questi ladroni, di-vennero la terza potenza dell'isola, di cui, nei tempi tor-bidi che successero alla morte d'Agatocle, sottomiserotutta la parte attorno a Messana.I Cartaginesi vedevano volentieri questi avvenimentiche mettevano a fianco dei Siracusani, in luogo di uomi-ni di origine greca e spesso legati ad essi per alleanza oper soggezione, avversari nuovi e potenti.I Mamertini, coll'aiuto dei Cartaginesi, resistettero al rePirro e l'intempestiva sua partenza ridonò agli avventu-rieri tutta la loro baldanza.La storia non può certo scusare il delitto di tradimentocon cui si impadronirono della terra, che era stata loro

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affidata, ma essa non deve dimenticare che quel dio, ilquale punisce i peccati dei padri sino alla quarta genera-zione, non è il dio della storia.Chi si sente chiamato a sentenziare gli altrui peccati,condanni gli uomini; per la Sicilia poteva però riusciresalutare che in alcune delle sue città cominciasse a for-marsi una potenza guerriera e nazionale, già capace dimettere in campo ottomila combattenti, e che a poco apoco si preparasse ad assumere colle proprie forze la di-fesa dell'isola dagli stranieri, difesa che, malgrado leeterne guerre, gli Elleni sempre più svogliati dal mestie-re delle armi, non potevano più sostenere.

2. Gerone da Siracusa.Comunque sia, le cose andarono diversamente. Un gio-vane ufficiale siracusano, della famiglia di Gelone estretto parente del re Pirro, si era meritato la stima de'suoi concittadini e l'amore dei soldati per la valentia dicui aveva dato prova combattendo sotto la bandieradell'Epirota.Era questi Gerone, figlio di Gerocle, prescelto dai suoicommilitoni a mettersi alla testa dell'esercito che era indiscordia coi cittadini (479-480=275-274). Colla pru-dente sua amministrazione, coi suoi nobili modi e collasua moderazione egli seppe ben presto guadagnarsi glianimi dei cittadini siracusani abituati al più ignominiosodispotismo e particolarmente i cuori dei Greco-siculi.

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affidata, ma essa non deve dimenticare che quel dio, ilquale punisce i peccati dei padri sino alla quarta genera-zione, non è il dio della storia.Chi si sente chiamato a sentenziare gli altrui peccati,condanni gli uomini; per la Sicilia poteva però riusciresalutare che in alcune delle sue città cominciasse a for-marsi una potenza guerriera e nazionale, già capace dimettere in campo ottomila combattenti, e che a poco apoco si preparasse ad assumere colle proprie forze la di-fesa dell'isola dagli stranieri, difesa che, malgrado leeterne guerre, gli Elleni sempre più svogliati dal mestie-re delle armi, non potevano più sostenere.

2. Gerone da Siracusa.Comunque sia, le cose andarono diversamente. Un gio-vane ufficiale siracusano, della famiglia di Gelone estretto parente del re Pirro, si era meritato la stima de'suoi concittadini e l'amore dei soldati per la valentia dicui aveva dato prova combattendo sotto la bandieradell'Epirota.Era questi Gerone, figlio di Gerocle, prescelto dai suoicommilitoni a mettersi alla testa dell'esercito che era indiscordia coi cittadini (479-480=275-274). Colla pru-dente sua amministrazione, coi suoi nobili modi e collasua moderazione egli seppe ben presto guadagnarsi glianimi dei cittadini siracusani abituati al più ignominiosodispotismo e particolarmente i cuori dei Greco-siculi.

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Egli si liberò, sia pure mancando di fede, dell'esercitostraniero composto di mercenari, rigenerò la milizia cit-tadina, e fece ogni sforzo per far risorgere la potenza el-lenica, profondamente scaduta, assumendo prima il tito-lo di generale, poi quello di re, facendo assegnamentosulle truppe cittadine e su nuovi e più docili assoldati.Siracusa era allora in pace con i Cartaginesi, i quali diconcerto coi Greci avevano cacciato dall'isola il re Pirro.I primi e più vicini nemici dei Siracusani erano i Ma-mertini, progenie degli odiosi mercenari già estirpati,assassini dei loro ospiti greci, usurpatori di parte del ter-ritorio siracusano, oppressori e concussori di molte altrepiccole città greche. In lega coi Romani, i quali appuntoin quel tempo spedivano le loro legioni a Reggio controi Campani, che erano per opportunità politica, per nazio-ne e per misfatti i necessari alleati dei Mamertini, Gero-ne si volse contro gli occupatori di Messana.In seguito ad una grande vittoria, per cui fu proclamatore dei siculi (484=270), gli riuscì di chiudere i Mamerti-ni nella città. Dopo un assedio di parecchi anni essi sividero ridotti nell'impossibilità di fare colle proprie for-ze più lunga resistenza a Gerone.Era chiaro che i Mamertini non avrebbero potuto lascia-re la città a patti sopportabili, e che la scure del carnefi-ce, come aveva saldato in Roma i conti dei Campani diReggio, così avrebbe certamente punito in Siracusa queidi Messana: l'unica via di salvezza era quella di cedere

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Egli si liberò, sia pure mancando di fede, dell'esercitostraniero composto di mercenari, rigenerò la milizia cit-tadina, e fece ogni sforzo per far risorgere la potenza el-lenica, profondamente scaduta, assumendo prima il tito-lo di generale, poi quello di re, facendo assegnamentosulle truppe cittadine e su nuovi e più docili assoldati.Siracusa era allora in pace con i Cartaginesi, i quali diconcerto coi Greci avevano cacciato dall'isola il re Pirro.I primi e più vicini nemici dei Siracusani erano i Ma-mertini, progenie degli odiosi mercenari già estirpati,assassini dei loro ospiti greci, usurpatori di parte del ter-ritorio siracusano, oppressori e concussori di molte altrepiccole città greche. In lega coi Romani, i quali appuntoin quel tempo spedivano le loro legioni a Reggio controi Campani, che erano per opportunità politica, per nazio-ne e per misfatti i necessari alleati dei Mamertini, Gero-ne si volse contro gli occupatori di Messana.In seguito ad una grande vittoria, per cui fu proclamatore dei siculi (484=270), gli riuscì di chiudere i Mamerti-ni nella città. Dopo un assedio di parecchi anni essi sividero ridotti nell'impossibilità di fare colle proprie for-ze più lunga resistenza a Gerone.Era chiaro che i Mamertini non avrebbero potuto lascia-re la città a patti sopportabili, e che la scure del carnefi-ce, come aveva saldato in Roma i conti dei Campani diReggio, così avrebbe certamente punito in Siracusa queidi Messana: l'unica via di salvezza era quella di cedere

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la città o ai Cartaginesi o ai Romani; giacchè sì agli uniche agli altri doveva star tanto a cuore di impossessarsidi questa ragguardevole piazza, che non avrebbero guar-dato a sottigliezze. Era dubbio se convenisse di più ar-rendersi ai Fenici od ai padroni d'Italia; dopo un lungotentennare la maggioranza dei Campani decise final-mente di offrire la loro fortezza, dominatrice dello stret-to, ai Romani.

3. I Mamertini nella lega federale.Un momento solenne e decisivo nella storia del mondofu quello in cui gli ambasciatori dei Mamertini entraro-no nel senato romano.È vero che allora nessuno poteva immaginare di quantaimportanza potesse divenire il passaggio di quell'angu-sto braccio di mare, ma ogni senatore poteva avere unchiaro presentimento che qualunque fosse la determina-zione presa dal senato, essa avrebbe tratto seco numero-se e importanti conseguenze più di qualunque altra de-terminazione presa fino allora.Gli uomini di rigida onestà qui si domanderanno certa-mente, come fosse pur possibile esitare, e come si potes-se pensare non solo di rompere la lega con Gerone, madi ammettere nell'alleanza romana, e di accogliere anzicome amici, sottraendoli così alla meritata pena, quegliavventurieri di Messana, correi dei Campani di Reggio enon meno colpevoli di essi, e di far tutto questo pocotempo dopo aver punito duramente i predoni di Reggio.

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la città o ai Cartaginesi o ai Romani; giacchè sì agli uniche agli altri doveva star tanto a cuore di impossessarsidi questa ragguardevole piazza, che non avrebbero guar-dato a sottigliezze. Era dubbio se convenisse di più ar-rendersi ai Fenici od ai padroni d'Italia; dopo un lungotentennare la maggioranza dei Campani decise final-mente di offrire la loro fortezza, dominatrice dello stret-to, ai Romani.

3. I Mamertini nella lega federale.Un momento solenne e decisivo nella storia del mondofu quello in cui gli ambasciatori dei Mamertini entraro-no nel senato romano.È vero che allora nessuno poteva immaginare di quantaimportanza potesse divenire il passaggio di quell'angu-sto braccio di mare, ma ogni senatore poteva avere unchiaro presentimento che qualunque fosse la determina-zione presa dal senato, essa avrebbe tratto seco numero-se e importanti conseguenze più di qualunque altra de-terminazione presa fino allora.Gli uomini di rigida onestà qui si domanderanno certa-mente, come fosse pur possibile esitare, e come si potes-se pensare non solo di rompere la lega con Gerone, madi ammettere nell'alleanza romana, e di accogliere anzicome amici, sottraendoli così alla meritata pena, quegliavventurieri di Messana, correi dei Campani di Reggio enon meno colpevoli di essi, e di far tutto questo pocotempo dopo aver punito duramente i predoni di Reggio.

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Questo era veramente uno scandalo, che non solo pote-va dare materia alle critiche degli avversari, ma muove-re a sdegno anche gli animi leali. Ma d'altra parte anchequegli uomini di stato, per cui la morale politica non erauna parola priva di senso, potevano domandare a lorovolta come si potessero paragonare, nella gravità del de-litto e della pena, soci romani che avevano spergiurato,disertato le bandiere, assassinato a tradimento i cittadinidi Reggio alleati dei Romani, con gente straniera, colpe-vole certo di mancata fede verso altri stranieri, ma cheinfine non avevano violato alcun patto verso i Romani, iquali non erano incaricati di erigersi giudici degli uni nèvindici degli altri.Quando non si fosse trattato che di sapere se in Messanadovessero comandare i Siracusani od i Mamertini,Roma avrebbe potuto non darsene pensiero. Essa aveval'animo volto ad assicurarsi il possesso d'Italia, comeCartagine quello della Sicilia, e nè l'una nè l'altra, pro-babilmente, spingeva allora più oltre i propri disegni.Ma appunto perciò, sia l'una che l'altra, desideravanoavere e mantenere ai confini uno stato intermedio: i Car-taginesi Taranto, i Romani Siracusa e Messana; e quan-do ciò non paresse possibile, sì l'una che l'altra si senti-vano nella necessità di impossessarsi delle piazze difrontiera piuttosto che lasciarle cadere in mano alla riva-le.Come Cartagine aveva tentato d'impadronirsi in Italia diReggio e di Taranto, allorquando queste due città stava-

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Questo era veramente uno scandalo, che non solo pote-va dare materia alle critiche degli avversari, ma muove-re a sdegno anche gli animi leali. Ma d'altra parte anchequegli uomini di stato, per cui la morale politica non erauna parola priva di senso, potevano domandare a lorovolta come si potessero paragonare, nella gravità del de-litto e della pena, soci romani che avevano spergiurato,disertato le bandiere, assassinato a tradimento i cittadinidi Reggio alleati dei Romani, con gente straniera, colpe-vole certo di mancata fede verso altri stranieri, ma cheinfine non avevano violato alcun patto verso i Romani, iquali non erano incaricati di erigersi giudici degli uni nèvindici degli altri.Quando non si fosse trattato che di sapere se in Messanadovessero comandare i Siracusani od i Mamertini,Roma avrebbe potuto non darsene pensiero. Essa aveval'animo volto ad assicurarsi il possesso d'Italia, comeCartagine quello della Sicilia, e nè l'una nè l'altra, pro-babilmente, spingeva allora più oltre i propri disegni.Ma appunto perciò, sia l'una che l'altra, desideravanoavere e mantenere ai confini uno stato intermedio: i Car-taginesi Taranto, i Romani Siracusa e Messana; e quan-do ciò non paresse possibile, sì l'una che l'altra si senti-vano nella necessità di impossessarsi delle piazze difrontiera piuttosto che lasciarle cadere in mano alla riva-le.Come Cartagine aveva tentato d'impadronirsi in Italia diReggio e di Taranto, allorquando queste due città stava-

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no per cadere sotto il dominio dei Romani, ciò che soloper caso non avvenne, così ora si offriva al Romani, inSicilia, l'opportunità di ricevere nella loro simmachia lacittà di Messana; qualora l'avessero rifiutata non si pote-va già supporre che Messana potesse rimanere indipen-dente o diventare siracusana, ma sarebbe stato propriocome un gettarla nelle mani dei Fenici.Era cosa ragionevole lasciarsi sfuggire l'occasione, checertamente non sarebbe ritornata mai più, di imposses-sarsi della testa di ponte formata dalla natura tra l'Italia ela Sicilia, e di assicurarsene col mezzo d'un presidio va-loroso, la cui fedeltà veniva garentita dalle necessità?Era cosa ragionevole rinunciare al possesso di Messana,che voleva dire perdere per sempre l'opportunità diaprirsi l'ultimo varco che ancora rimanesse libero tra ilmare orientale e l'occidentale e così affrancare dallasoggezione dei Fenici il commercio d'Italia? Veramenteperò non mancavano, oltre gli scrupoli d'una politicasentimentale e di lealtà, altre ragioni per sconsigliare dalmetter mano negli affari di Messana.L'obbiezione che aveva minor peso era la certezza d'unaguerra con Cartagine; la quale, per quanto dovesse ap-parir ponderosa, non doveva certo destare timore ai Ro-mani.Ma di più grave momento era per Roma la determina-zione di indursi a passare lo stretto, ciò che usciva daquel piano di politica tutta italiana e continentale, cheera stata fino allora seguita.

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no per cadere sotto il dominio dei Romani, ciò che soloper caso non avvenne, così ora si offriva al Romani, inSicilia, l'opportunità di ricevere nella loro simmachia lacittà di Messana; qualora l'avessero rifiutata non si pote-va già supporre che Messana potesse rimanere indipen-dente o diventare siracusana, ma sarebbe stato propriocome un gettarla nelle mani dei Fenici.Era cosa ragionevole lasciarsi sfuggire l'occasione, checertamente non sarebbe ritornata mai più, di imposses-sarsi della testa di ponte formata dalla natura tra l'Italia ela Sicilia, e di assicurarsene col mezzo d'un presidio va-loroso, la cui fedeltà veniva garentita dalle necessità?Era cosa ragionevole rinunciare al possesso di Messana,che voleva dire perdere per sempre l'opportunità diaprirsi l'ultimo varco che ancora rimanesse libero tra ilmare orientale e l'occidentale e così affrancare dallasoggezione dei Fenici il commercio d'Italia? Veramenteperò non mancavano, oltre gli scrupoli d'una politicasentimentale e di lealtà, altre ragioni per sconsigliare dalmetter mano negli affari di Messana.L'obbiezione che aveva minor peso era la certezza d'unaguerra con Cartagine; la quale, per quanto dovesse ap-parir ponderosa, non doveva certo destare timore ai Ro-mani.Ma di più grave momento era per Roma la determina-zione di indursi a passare lo stretto, ciò che usciva daquel piano di politica tutta italiana e continentale, cheera stata fino allora seguita.

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Roma, arrischiandosi oltre il Faro, rinunciava al sistemacol quale gli avi suoi avevano fondata la sua grandezzae ne adottava un altro, di cui nessuno poteva prevederele conseguenze. Fu uno di quei momenti in cui si pre-scinde dai propositi abituali, ed in cui la fede nella pro-pria stella e in quella della patria inspira il coraggio diafferrare la mano guidatrice che dall'oscurità dell'avve-nire invita, e di seguirla senza saper dove si andrà.Lunghi e seri consulti si tennero in senato sulla propostadei consoli di condurre le legioni in aiuto dei Mamerti-ni: ma non si venne a capo di alcuna decisione.Il popolo, a cui fu rimessa la decisione, aveva vivissimoil sentimento della propria grandezza.La conquista d'Italia diede ai Romani il coraggio, comela conquista della Grecia lo aveva dato ai Macedoni,come quella della Slesia ai Prussiani, di seguire unanuova via politica; i Mamertini domandavano aiuto in-vocando quel diritto di protezione che Roma pretendevadi stendere su tutti gli Italici. Gli Italici oltremarini furo-no ricevuti nella confederazione italica(6) e su propostadei consoli fu dal popolo deciso di mandare loro il chie-sto aiuto (489=265).

6 I Mamertini entrarono di fronte a Roma nelle stesse condizioni dei comu-ni italici: essi si obbligarono a somministrare navi (CIC., Verr. 5, 19, 50) e,come lo provano le monete, non avevano il diritto di battere moneted'argento.

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Roma, arrischiandosi oltre il Faro, rinunciava al sistemacol quale gli avi suoi avevano fondata la sua grandezzae ne adottava un altro, di cui nessuno poteva prevederele conseguenze. Fu uno di quei momenti in cui si pre-scinde dai propositi abituali, ed in cui la fede nella pro-pria stella e in quella della patria inspira il coraggio diafferrare la mano guidatrice che dall'oscurità dell'avve-nire invita, e di seguirla senza saper dove si andrà.Lunghi e seri consulti si tennero in senato sulla propostadei consoli di condurre le legioni in aiuto dei Mamerti-ni: ma non si venne a capo di alcuna decisione.Il popolo, a cui fu rimessa la decisione, aveva vivissimoil sentimento della propria grandezza.La conquista d'Italia diede ai Romani il coraggio, comela conquista della Grecia lo aveva dato ai Macedoni,come quella della Slesia ai Prussiani, di seguire unanuova via politica; i Mamertini domandavano aiuto in-vocando quel diritto di protezione che Roma pretendevadi stendere su tutti gli Italici. Gli Italici oltremarini furo-no ricevuti nella confederazione italica(6) e su propostadei consoli fu dal popolo deciso di mandare loro il chie-sto aiuto (489=265).

6 I Mamertini entrarono di fronte a Roma nelle stesse condizioni dei comu-ni italici: essi si obbligarono a somministrare navi (CIC., Verr. 5, 19, 50) e,come lo provano le monete, non avevano il diritto di battere moneted'argento.

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4. Guerra tra Roma e Cartagine.Si trattava ora di sapere come le due potenze siciliane,fino allora alleate con Roma solo di nome, colpite piùda vicino da questo intervento dei Romani negli affaridell'isola, avrebbero accolta questa intromissione. Gero-ne avrebbe avuto diritto di accogliere l'intimazione fat-tagli dai Romani, di desistere dalle ostilità contro i loronuovi alleati di Messana, a quel modo stesso che, incaso analogo, i Sanniti ed i Lucani avevano accoltol'occupazione di Capua e di Turio, e di rispondere ai Ro-mani con una dichiarazione di guerra; ma se egli fosserimasto solo, il dichiarare guerra ai Romani sarebbe sta-ta una follia, e ben si doveva aspettare dalla previdente esana sua politica che egli avrebbe fatto di necessità virtùquando Cartagine si fosse tenuta tranquilla.Ciò non pareva impossibile. Allora (489 =265), setteanni dopo il tentativo fatto dalla flotta fenicia per impa-dronirsi di Taranto, un'ambasciata romana fu mandata aCartagine per chiedere conto di questo fatto; le fondate,ma quasi dimenticate lagnanze risorsero tutto ad un trat-to, e non parve inutile, mentre si stavano apprestando learmi per la guerra, di ripescare anche nell'arsenale di-plomatico pretesti e argomenti per giustificarla e per po-ter bandire al mondo, come solevano fare i Romani,ch'essi erano stati provocati e tirati pei capelli. Ad ognimodo si poteva dire con tutta ragione che il tentativo disorprendere Taranto non era nè più leale nè più disinte-ressato dell'impresa di Messana, e che l'un fatto non dif-

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4. Guerra tra Roma e Cartagine.Si trattava ora di sapere come le due potenze siciliane,fino allora alleate con Roma solo di nome, colpite piùda vicino da questo intervento dei Romani negli affaridell'isola, avrebbero accolta questa intromissione. Gero-ne avrebbe avuto diritto di accogliere l'intimazione fat-tagli dai Romani, di desistere dalle ostilità contro i loronuovi alleati di Messana, a quel modo stesso che, incaso analogo, i Sanniti ed i Lucani avevano accoltol'occupazione di Capua e di Turio, e di rispondere ai Ro-mani con una dichiarazione di guerra; ma se egli fosserimasto solo, il dichiarare guerra ai Romani sarebbe sta-ta una follia, e ben si doveva aspettare dalla previdente esana sua politica che egli avrebbe fatto di necessità virtùquando Cartagine si fosse tenuta tranquilla.Ciò non pareva impossibile. Allora (489 =265), setteanni dopo il tentativo fatto dalla flotta fenicia per impa-dronirsi di Taranto, un'ambasciata romana fu mandata aCartagine per chiedere conto di questo fatto; le fondate,ma quasi dimenticate lagnanze risorsero tutto ad un trat-to, e non parve inutile, mentre si stavano apprestando learmi per la guerra, di ripescare anche nell'arsenale di-plomatico pretesti e argomenti per giustificarla e per po-ter bandire al mondo, come solevano fare i Romani,ch'essi erano stati provocati e tirati pei capelli. Ad ognimodo si poteva dire con tutta ragione che il tentativo disorprendere Taranto non era nè più leale nè più disinte-ressato dell'impresa di Messana, e che l'un fatto non dif-

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feriva dall'altro che per il successo.Cartagine si guardò bene dal venire ad un'aperta rottura.Gli ambasciatori ritornarono a Roma coll'assicurazioneche l'ammiraglio cartaginese era stato disapprovato perl'accaduto di Taranto e dopo aver ottenuto le bugiardeproteste e gli spergiuri che avevano cercato. I Cartagine-si neppure risposero con alterigia, anzi perfino le recri-minazioni, che naturalmente non potevano mancare, fu-rono moderate, e non si parlò neppure della meditata in-vasione della Sicilia come d'un caso di guerra.E nondimeno il caso di guerra c'era: giacchè i Cartagi-nesi consideravano gli affari della Sicilia come i Roma-ni quelli d'Italia, cioè questioni interne, in cui una poten-za indipendente non può permettere ingerenze straniere.E Cartagine era ben risoluta a ciò; ma la politica feniciaprocedeva cautamente e non metteva innanzi un'impor-tuna sfida di guerra.Ma quando Roma aveva già quasi ultimato i preparativi,e l'esercito destinato a soccorrere i Mamertini era sullemosse, e radunata la flotta composta di navi di Napoli,Taranto, Velia e Locri, quando già l'avanguardia roma-na, capitanata dal tribuno militare Gaio Claudio eracomparsa a Reggio (primavera 490=264), giunse daMessana l'inaspettata novella, che i Cartaginesi, d'accor-do col partito antiromano di quella città, avevano, comepotenza neutrale, negoziato una pace tra Gerone ed iMamertini, che quindi l'assedio era levato e nel porto di

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feriva dall'altro che per il successo.Cartagine si guardò bene dal venire ad un'aperta rottura.Gli ambasciatori ritornarono a Roma coll'assicurazioneche l'ammiraglio cartaginese era stato disapprovato perl'accaduto di Taranto e dopo aver ottenuto le bugiardeproteste e gli spergiuri che avevano cercato. I Cartagine-si neppure risposero con alterigia, anzi perfino le recri-minazioni, che naturalmente non potevano mancare, fu-rono moderate, e non si parlò neppure della meditata in-vasione della Sicilia come d'un caso di guerra.E nondimeno il caso di guerra c'era: giacchè i Cartagi-nesi consideravano gli affari della Sicilia come i Roma-ni quelli d'Italia, cioè questioni interne, in cui una poten-za indipendente non può permettere ingerenze straniere.E Cartagine era ben risoluta a ciò; ma la politica feniciaprocedeva cautamente e non metteva innanzi un'impor-tuna sfida di guerra.Ma quando Roma aveva già quasi ultimato i preparativi,e l'esercito destinato a soccorrere i Mamertini era sullemosse, e radunata la flotta composta di navi di Napoli,Taranto, Velia e Locri, quando già l'avanguardia roma-na, capitanata dal tribuno militare Gaio Claudio eracomparsa a Reggio (primavera 490=264), giunse daMessana l'inaspettata novella, che i Cartaginesi, d'accor-do col partito antiromano di quella città, avevano, comepotenza neutrale, negoziato una pace tra Gerone ed iMamertini, che quindi l'assedio era levato e nel porto di

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Messana aveva dato fondo una flotta cartaginese, e unpresidio pure cartaginese era nel castello, l'una e l'altrosotto gli ordini dell'ammiraglio Annone. I Mamertini,posti ormai sotto l'influenza cartaginese, fecero dire aigenerali romani, non senza rendere loro grazie per il sol-lecito aiuto federale inviato, che fortunatamente non neavevano più bisogno.Il destro e temerario duce, che comandava l'avanguardiadei Romani, si mise ciò non pertanto alla vela colle suetruppe; ma i Cartaginesi respinsero le navi romane e nepresero parecchie, che il loro ammiraglio, memore degliordini severi di non dare alcun motivo di dichiarar guer-ra, rimandò ai buoni amici al di là dello stretto. Parvequindi che i Romani dinanzi a Messana si fossero toltala maschera tanto inutilmente come i Cartaginesi dinan-zi a Taranto.Ma Claudio non si lasciò spaventare ed in un secondotentativo gli riuscì di traghettare l'esercito oltre il Faro.Appena approdato convocò i cittadini e per suo invito viintervenne anche l'ammiraglio cartaginese, sempre desi-deroso di evitare un'aperta rottura.Ma in quell'adunanza stessa i Romani si impadronironodi Annone, che fu tanto codardo da lasciarsi dettarl'ordine al presidio di cedere il castello ai Romani; e conpari codardia il presidio cartaginese, debole e abbando-nato a se stesso, ubbidì all'ordine del generale prigionie-ro, e sgombrò la città. Così questa testa di ponte dell'iso-la cadde nelle mani dei Romani.

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Messana aveva dato fondo una flotta cartaginese, e unpresidio pure cartaginese era nel castello, l'una e l'altrosotto gli ordini dell'ammiraglio Annone. I Mamertini,posti ormai sotto l'influenza cartaginese, fecero dire aigenerali romani, non senza rendere loro grazie per il sol-lecito aiuto federale inviato, che fortunatamente non neavevano più bisogno.Il destro e temerario duce, che comandava l'avanguardiadei Romani, si mise ciò non pertanto alla vela colle suetruppe; ma i Cartaginesi respinsero le navi romane e nepresero parecchie, che il loro ammiraglio, memore degliordini severi di non dare alcun motivo di dichiarar guer-ra, rimandò ai buoni amici al di là dello stretto. Parvequindi che i Romani dinanzi a Messana si fossero toltala maschera tanto inutilmente come i Cartaginesi dinan-zi a Taranto.Ma Claudio non si lasciò spaventare ed in un secondotentativo gli riuscì di traghettare l'esercito oltre il Faro.Appena approdato convocò i cittadini e per suo invito viintervenne anche l'ammiraglio cartaginese, sempre desi-deroso di evitare un'aperta rottura.Ma in quell'adunanza stessa i Romani si impadronironodi Annone, che fu tanto codardo da lasciarsi dettarl'ordine al presidio di cedere il castello ai Romani; e conpari codardia il presidio cartaginese, debole e abbando-nato a se stesso, ubbidì all'ordine del generale prigionie-ro, e sgombrò la città. Così questa testa di ponte dell'iso-la cadde nelle mani dei Romani.

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Indignato, e a ragione, della imprevidenza e della fiac-chezza del suo generale, il governo cartaginese lo fecemorire e dichiarò guerra ai Romani. Anzitutto era neces-sario riprendere la fortezza perduta. Una numerosa flottacartaginese, comandata da Annone, figlio d'Annibale,comparve davanti a Messana, e mentre le navi chiude-vano lo stretto, l'esercito cartaginese, sbarcato sulla co-sta settentrionale, mise l'assedio a Messana.Gerone, il quale non aspettava altro che l'attacco deiCartaginesi per iniziare le ostilità contro Roma, ricon-dusse l'esercito sotto Messana e, ricominciato l'assedioappena interrotto, investì la città dalla parte di mezzo-giorno.Ma nel frattempo era comparso in Reggio anche il con-sole Appio Claudio Caudex col grosso dell'esercito e inuna notte oscura effettuò il passaggio malgrado la pre-senza della flotta cartaginese. L'audacia e la fortuna fa-vorirono i Romani: gli alleati, non essendosi preparati asostener l'urto di tutto l'esercito romano, e trovandosisparsi all'assedio, furono battuti alla spicciolata dalle le-gioni che uscivano ordinate dalla città, per cui l'assediofu tolto.L'esercito romano rimase in campo durante tutta l'estate,e fece perfino un tentativo contro Siracusa; ma essendoquesto andato fallito, e avendo dovuto rinunziare ancheall'assedio di Echetla (posta sui confini dei territori diSiracusa e di Cartagine) fece ritorno a Messana, e la-sciatovi un forte presidio, ripassò in Italia.

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Indignato, e a ragione, della imprevidenza e della fiac-chezza del suo generale, il governo cartaginese lo fecemorire e dichiarò guerra ai Romani. Anzitutto era neces-sario riprendere la fortezza perduta. Una numerosa flottacartaginese, comandata da Annone, figlio d'Annibale,comparve davanti a Messana, e mentre le navi chiude-vano lo stretto, l'esercito cartaginese, sbarcato sulla co-sta settentrionale, mise l'assedio a Messana.Gerone, il quale non aspettava altro che l'attacco deiCartaginesi per iniziare le ostilità contro Roma, ricon-dusse l'esercito sotto Messana e, ricominciato l'assedioappena interrotto, investì la città dalla parte di mezzo-giorno.Ma nel frattempo era comparso in Reggio anche il con-sole Appio Claudio Caudex col grosso dell'esercito e inuna notte oscura effettuò il passaggio malgrado la pre-senza della flotta cartaginese. L'audacia e la fortuna fa-vorirono i Romani: gli alleati, non essendosi preparati asostener l'urto di tutto l'esercito romano, e trovandosisparsi all'assedio, furono battuti alla spicciolata dalle le-gioni che uscivano ordinate dalla città, per cui l'assediofu tolto.L'esercito romano rimase in campo durante tutta l'estate,e fece perfino un tentativo contro Siracusa; ma essendoquesto andato fallito, e avendo dovuto rinunziare ancheall'assedio di Echetla (posta sui confini dei territori diSiracusa e di Cartagine) fece ritorno a Messana, e la-sciatovi un forte presidio, ripassò in Italia.

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Sembra che i successi di questa prima campagna fuoridel continente non abbiano interamente corrispostoall'aspettazione dei Romani, poichè al console non furo-no consentiti gli onori del trionfo; ma ciò non pertantole forze spiegate in quest'occasione dai Romani in Sici-lia non potevano non fare una grandissima impressionesugli animi dei Greci colà stabiliti.L'anno seguente entrambi i consoli sbarcarono senza al-cuna difficoltà con un doppio esercito. Uno di essi, Mar-co Valerio Massimo, che dopo questa campagna fu detto«il Messanese» (Messalla), riportò una splendida vitto-ria sugli alleati cartaginesi e siracusani.Dopo questa battaglia l'esercito fenicio non si trovò piùin grado di tener la campagna e fronteggiare all'aperto iRomani, onde vennero in potere di quest'ultimi non soloAlaesa, Centuripae e quasi tutte le piccole città greche,ma lo stesso Gerone abbandonò il partito cartaginese echiese pace e alleanza ai Romani (491=263).

5. Pace con Gerone.Passando ai Romani appena s'accorse che essi pensava-no sul serio alla Sicilia e quand'era ancora in tempo diottenere la pace senza fare alcun sagrifizio o cessione,Gerone seguì una sana politica. Gli stati mediani dellaSicilia, Siracusa e Messana, che non potevano seguireuna propria politica, ed ai quali altro non rimaneva senon la scelta tra l'egemonia romana e la cartaginese, do-vevano naturalmente inclinare a scegliere la prima, po-

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Sembra che i successi di questa prima campagna fuoridel continente non abbiano interamente corrispostoall'aspettazione dei Romani, poichè al console non furo-no consentiti gli onori del trionfo; ma ciò non pertantole forze spiegate in quest'occasione dai Romani in Sici-lia non potevano non fare una grandissima impressionesugli animi dei Greci colà stabiliti.L'anno seguente entrambi i consoli sbarcarono senza al-cuna difficoltà con un doppio esercito. Uno di essi, Mar-co Valerio Massimo, che dopo questa campagna fu detto«il Messanese» (Messalla), riportò una splendida vitto-ria sugli alleati cartaginesi e siracusani.Dopo questa battaglia l'esercito fenicio non si trovò piùin grado di tener la campagna e fronteggiare all'aperto iRomani, onde vennero in potere di quest'ultimi non soloAlaesa, Centuripae e quasi tutte le piccole città greche,ma lo stesso Gerone abbandonò il partito cartaginese echiese pace e alleanza ai Romani (491=263).

5. Pace con Gerone.Passando ai Romani appena s'accorse che essi pensava-no sul serio alla Sicilia e quand'era ancora in tempo diottenere la pace senza fare alcun sagrifizio o cessione,Gerone seguì una sana politica. Gli stati mediani dellaSicilia, Siracusa e Messana, che non potevano seguireuna propria politica, ed ai quali altro non rimaneva senon la scelta tra l'egemonia romana e la cartaginese, do-vevano naturalmente inclinare a scegliere la prima, po-

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sto che i Romani, come è credibile, non avevano l'inten-zione di conquistare l'isola per se stessi, ma volevanosolo impedire che cadesse nelle mani di Cartagine, ed inogni caso le due città greche potevano sperare migliortrattamento e più sicura protezione per la libertà deicommerci da Roma che non dal sistema tirannico deimonopoli cartaginesi.Gerone fu, d'allora in poi, il più importante, il più co-stante ed il più stimato degli alleati che i Romani aves-sero nell'isola. I Romani avevano così raggiunto il pri-mo scopo che si erano proposto. Con l'alleanza di Mes-sana e Siracusa, e padroni di tutta la costa orientale, sierano assicurato l'approdo nell'isola e l'approvvigiona-mento dell'esercito, che era stato fino allora assai preca-rio, e l'ardua e fortunosa guerra perdeva così gran partedel suo carattere rischioso. Quindi, per continuarla, nonsi fecero maggiori sacrifici che per le guerre ordinarienel Sannio e nell'Etruria: le due legioni che s'inviarononell'isola l'anno seguente (492=262), bastarono per re-spingere dappertutto, mercè il concorso de' Greco-siculi,i Cartaginesi nelle fortezze.Il supremo duce dei Cartaginesi, Annibale, figlio di Gi-scone, si gettò col nerbo delle sue truppe in Agrigentoallo scopo di difendere fino all'estremo questa importan-tissima piazzaforte. I Romani incapaci di dare l'assaltoalla fortezza, la bloccarono con linee trincerate e con undoppio campo e gli assediati, in numero di 50.000, man-carono ben presto del necessario.

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sto che i Romani, come è credibile, non avevano l'inten-zione di conquistare l'isola per se stessi, ma volevanosolo impedire che cadesse nelle mani di Cartagine, ed inogni caso le due città greche potevano sperare migliortrattamento e più sicura protezione per la libertà deicommerci da Roma che non dal sistema tirannico deimonopoli cartaginesi.Gerone fu, d'allora in poi, il più importante, il più co-stante ed il più stimato degli alleati che i Romani aves-sero nell'isola. I Romani avevano così raggiunto il pri-mo scopo che si erano proposto. Con l'alleanza di Mes-sana e Siracusa, e padroni di tutta la costa orientale, sierano assicurato l'approdo nell'isola e l'approvvigiona-mento dell'esercito, che era stato fino allora assai preca-rio, e l'ardua e fortunosa guerra perdeva così gran partedel suo carattere rischioso. Quindi, per continuarla, nonsi fecero maggiori sacrifici che per le guerre ordinarienel Sannio e nell'Etruria: le due legioni che s'inviarononell'isola l'anno seguente (492=262), bastarono per re-spingere dappertutto, mercè il concorso de' Greco-siculi,i Cartaginesi nelle fortezze.Il supremo duce dei Cartaginesi, Annibale, figlio di Gi-scone, si gettò col nerbo delle sue truppe in Agrigentoallo scopo di difendere fino all'estremo questa importan-tissima piazzaforte. I Romani incapaci di dare l'assaltoalla fortezza, la bloccarono con linee trincerate e con undoppio campo e gli assediati, in numero di 50.000, man-carono ben presto del necessario.

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L'ammiraglio cartaginese Annone approdò presso Era-clea onde liberare la città, e tagliò gli approvvigiona-menti all'esercito assediante. Il disagio essendo grandeda ambedue le parti, fu deciso di dare una battaglia peruscire dal pericolo e dall'incertezza. In questa la cavalle-ria numidica si mostrò tanto superiore a quella dei Ro-mani, quanto alla fanteria fenicia erano superiori i legio-nari romani, che, per quanto duramente provati, deciserodella vittoria.Ma il frutto della vittoria andò perduto, giacchè, appenacessato il conflitto, e mentre i vincitori erano ancora im-pediti dalla confusione e dalla stanchezza, l'esercito as-sediato potè aprirsi una via, uscire di città, e rifugiarsisulla flotta. Nondimeno questo successo fu di gran gio-vamento alle armi romane. Agrigento, dopo la battaglia,venne in possesso dei Romani e con essa tutta l'isola, adeccezione delle fortezze marittime, nelle quali il ducefenicio Amilcare, successore d'Annone nel supremo co-mando, si rafforzò con trincee e baluardi e non se ne la-sciò smuovere nè per forza, nè per fame.La guerra ebbe fine nell'isola; fu continuata solo consortite dalle fortezze siciliane, con scorrerie di mare esbarchi sul litorale italiano in modo estremamente svan-taggioso e gravoso per i Romani.

6. Inizio della guerra marittima.I Romani sentirono soltanto allora le vere difficoltà del-la guerra. Se i diplomatici cartaginesi, come si narra,

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L'ammiraglio cartaginese Annone approdò presso Era-clea onde liberare la città, e tagliò gli approvvigiona-menti all'esercito assediante. Il disagio essendo grandeda ambedue le parti, fu deciso di dare una battaglia peruscire dal pericolo e dall'incertezza. In questa la cavalle-ria numidica si mostrò tanto superiore a quella dei Ro-mani, quanto alla fanteria fenicia erano superiori i legio-nari romani, che, per quanto duramente provati, deciserodella vittoria.Ma il frutto della vittoria andò perduto, giacchè, appenacessato il conflitto, e mentre i vincitori erano ancora im-pediti dalla confusione e dalla stanchezza, l'esercito as-sediato potè aprirsi una via, uscire di città, e rifugiarsisulla flotta. Nondimeno questo successo fu di gran gio-vamento alle armi romane. Agrigento, dopo la battaglia,venne in possesso dei Romani e con essa tutta l'isola, adeccezione delle fortezze marittime, nelle quali il ducefenicio Amilcare, successore d'Annone nel supremo co-mando, si rafforzò con trincee e baluardi e non se ne la-sciò smuovere nè per forza, nè per fame.La guerra ebbe fine nell'isola; fu continuata solo consortite dalle fortezze siciliane, con scorrerie di mare esbarchi sul litorale italiano in modo estremamente svan-taggioso e gravoso per i Romani.

6. Inizio della guerra marittima.I Romani sentirono soltanto allora le vere difficoltà del-la guerra. Se i diplomatici cartaginesi, come si narra,

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avevano ammonito i Romani prima che cominciasserole ostilità a non spingere le cose fino alla rottura, giac-chè, se i Cartaginesi avessero voluto, a nessun romanosarebbe stato possibile nemmeno di lavarsi le mani nelmare, questa minaccia era ben fondata.La flotta cartaginese dominava il mare senza rivali e te-neva ubbidienti e provviste del necessario le città postesulle coste della Sicilia non solo, ma minacciava anchel'Italia d'uno sbarco, per cui già nell'anno 492=262 funecessario che i Romani vi tenessero in campo un eser-cito consolare.Non si tentò una grande invasione, ma sulle coste itali-che andavano approdando qua e là distaccamenti di Car-taginesi che taglieggiavano con minacce d'incendio iconfederati, e il peggio di tutto era che il commercio diRoma e dei suoi confederati si trovava completamenteparalizzato, e per poco che le cose fossero continuatecosì, Cere, Ostia, Neapoli, Taranto, Siracusa sarebberostate del tutto rovinate, mentre i Cartaginesi trovavanofacile compenso al mancato tributo siciliano nelle con-tribuzioni di guerra e nella pirateria.Fecero allora prova i Romani di ciò che già avevanosperimentato Dionisio, Agatocle e Pirro, essere cioèsempre facile battere i Cartaginesi, quanto difficile vin-cerli. Ma s'accorsero soprattutto i Romani della necessi-tà di avere una flotta, e decisero di procacciarsene unacomposta di venti navi da tre ponti e di cento da cinqueponti. Tuttavia non era facile mandare ad effetto questa

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avevano ammonito i Romani prima che cominciasserole ostilità a non spingere le cose fino alla rottura, giac-chè, se i Cartaginesi avessero voluto, a nessun romanosarebbe stato possibile nemmeno di lavarsi le mani nelmare, questa minaccia era ben fondata.La flotta cartaginese dominava il mare senza rivali e te-neva ubbidienti e provviste del necessario le città postesulle coste della Sicilia non solo, ma minacciava anchel'Italia d'uno sbarco, per cui già nell'anno 492=262 funecessario che i Romani vi tenessero in campo un eser-cito consolare.Non si tentò una grande invasione, ma sulle coste itali-che andavano approdando qua e là distaccamenti di Car-taginesi che taglieggiavano con minacce d'incendio iconfederati, e il peggio di tutto era che il commercio diRoma e dei suoi confederati si trovava completamenteparalizzato, e per poco che le cose fossero continuatecosì, Cere, Ostia, Neapoli, Taranto, Siracusa sarebberostate del tutto rovinate, mentre i Cartaginesi trovavanofacile compenso al mancato tributo siciliano nelle con-tribuzioni di guerra e nella pirateria.Fecero allora prova i Romani di ciò che già avevanosperimentato Dionisio, Agatocle e Pirro, essere cioèsempre facile battere i Cartaginesi, quanto difficile vin-cerli. Ma s'accorsero soprattutto i Romani della necessi-tà di avere una flotta, e decisero di procacciarsene unacomposta di venti navi da tre ponti e di cento da cinqueponti. Tuttavia non era facile mandare ad effetto questa

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vigorosa risoluzione.Il racconto venutoci dalle scuole dei retori, secondo ilquale dovrebbe credersi che i Romani soltanto allora co-minciassero a metter in acqua i remi, altro non è che unaesagerazione declamatoria, poichè a quel tempo la mari-na mercantile d'Italia dev'essere stata assai numerosa enon dovevano mancare neppure le navi da guerra.Se non che queste erano galee da corsa e triremi, comesi usavano ne' tempi più remoti; le navi a cinque pontiche secondo gli ordini più recentemente introdotti nelleguerre navali e adottati specialmente dai Cartaginesi,adoperate quasi esclusivamente in linea, non erano an-cora state costruite in Italia.La determinazione dei Romani era quindi press'a pocosimile a quella che pigliasse uno stato marittimo odiernodi armare navi di linea invece di fregate e di cutters; eappunto come ora si prenderebbe, in tal caso, per mo-dello un vascello di linea straniero, i Romani assegnaro-no come modello ai loro costruttori nautici una quinque-remi cartaginese che si era arenata sulle spiagge italiche.Se i Romani avessero voluto, avrebbero, coll'aiuto deiSiracusani e dei Massalioti, più sollecitamente potutoraggiungere il loro intento; ma i loro uomini di stato era-no troppo avveduti per voler difendere l'Italia con unaflotta non-italica. I confederati italici invece dovetteroconcorrere largamente somministrando ufficiali di mari-na, che si saranno presi in prevalenza dalla marina mer-

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vigorosa risoluzione.Il racconto venutoci dalle scuole dei retori, secondo ilquale dovrebbe credersi che i Romani soltanto allora co-minciassero a metter in acqua i remi, altro non è che unaesagerazione declamatoria, poichè a quel tempo la mari-na mercantile d'Italia dev'essere stata assai numerosa enon dovevano mancare neppure le navi da guerra.Se non che queste erano galee da corsa e triremi, comesi usavano ne' tempi più remoti; le navi a cinque pontiche secondo gli ordini più recentemente introdotti nelleguerre navali e adottati specialmente dai Cartaginesi,adoperate quasi esclusivamente in linea, non erano an-cora state costruite in Italia.La determinazione dei Romani era quindi press'a pocosimile a quella che pigliasse uno stato marittimo odiernodi armare navi di linea invece di fregate e di cutters; eappunto come ora si prenderebbe, in tal caso, per mo-dello un vascello di linea straniero, i Romani assegnaro-no come modello ai loro costruttori nautici una quinque-remi cartaginese che si era arenata sulle spiagge italiche.Se i Romani avessero voluto, avrebbero, coll'aiuto deiSiracusani e dei Massalioti, più sollecitamente potutoraggiungere il loro intento; ma i loro uomini di stato era-no troppo avveduti per voler difendere l'Italia con unaflotta non-italica. I confederati italici invece dovetteroconcorrere largamente somministrando ufficiali di mari-na, che si saranno presi in prevalenza dalla marina mer-

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cantile italica, e marinai, la cui denominazione (sociinavales) prova ch'essi, per qualche tempo, vennero for-niti esclusivamente dai confederati; più tardi vi si fram-mischiarono anche schiavi somministrati dallo stato edalle famiglie più ricche, e successivamente vi si impie-gò anche gente della più povera classe dei cittadini. Insimili circostanze, e quando si voglia – tenuto conto del-lo stato, certo imperfettissimo, in cui si trovavano i me-stieri marinareschi e l'arte della costruzione navale pres-so i Romani – dare il giusto valore all'energia spiegatadal governo romano, potrà dirsi che i Romani sciolseroin un anno il problema, la cui mancata soluzione con-dusse Napoleone alla rovina, quello cioè di trasformareuna potenza continentale in una potenza marittima.Essi vararono effettivamente la loro flotta, composta dicentoventi navi, nella primavera del 494=260. È certoche questo naviglio non pareggiava quello cartaginesenè per numero nè per qualità nautiche, circostanza a cuideve darsi tanto maggior peso in quanto la tattica navaleconsisteva allora quasi interamente nella manovra.I combattimenti navali si facevano a quel tempo anchecon gente armata di tutto punto, con arcieri che pugna-vano stando sulla tolda, e con macchine da guerra chedalla medesima saettavano; ma la lotta generale e vera-mente decisiva consistevano nel tentar d'affondarecoll'urto le navi nemiche, al quale scopo le prore eranomunite di massicci rostri di ferro. Le navi solevano gi-rarsi e schermirsi finchè all'una od all'altra non venisse

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cantile italica, e marinai, la cui denominazione (sociinavales) prova ch'essi, per qualche tempo, vennero for-niti esclusivamente dai confederati; più tardi vi si fram-mischiarono anche schiavi somministrati dallo stato edalle famiglie più ricche, e successivamente vi si impie-gò anche gente della più povera classe dei cittadini. Insimili circostanze, e quando si voglia – tenuto conto del-lo stato, certo imperfettissimo, in cui si trovavano i me-stieri marinareschi e l'arte della costruzione navale pres-so i Romani – dare il giusto valore all'energia spiegatadal governo romano, potrà dirsi che i Romani sciolseroin un anno il problema, la cui mancata soluzione con-dusse Napoleone alla rovina, quello cioè di trasformareuna potenza continentale in una potenza marittima.Essi vararono effettivamente la loro flotta, composta dicentoventi navi, nella primavera del 494=260. È certoche questo naviglio non pareggiava quello cartaginesenè per numero nè per qualità nautiche, circostanza a cuideve darsi tanto maggior peso in quanto la tattica navaleconsisteva allora quasi interamente nella manovra.I combattimenti navali si facevano a quel tempo anchecon gente armata di tutto punto, con arcieri che pugna-vano stando sulla tolda, e con macchine da guerra chedalla medesima saettavano; ma la lotta generale e vera-mente decisiva consistevano nel tentar d'affondarecoll'urto le navi nemiche, al quale scopo le prore eranomunite di massicci rostri di ferro. Le navi solevano gi-rarsi e schermirsi finchè all'una od all'altra non venisse

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fatto di dare il cozzo, ch'era d'ordinario il colpo decisi-vo. Perciò nell'equipaggio d'una nave greca a tre ponti,d'ordinaria grandezza, con circa 200 uomini, si trovava-no appena 10 soldati, ma 170 rematori, da 50 a 60 perogni ponte; una nave da cinque ponti comprendeva circa300 rematori e un proporzionale numero di soldati.Si ebbe il felice pensiero di supplire a ciò di cui le naviromane necessariamente dovevano difettare rispetto allaprontezza e maneggiabilità avversarie per la scarsa espe-rienza degli ufficiali e marinai, col dare nelle battaglienavali una parte preponderante ai soldati.Si adattò sulla prua della nave un ponte mobile, che sipotesse abbassare sia di fronte, sia di fianco; i due latidel ponticello erano muniti di parapetti, e la larghezzaera per due uomini di fronte. Quando la nave nemica siavvicinava per dare di cozzo alla nave romana, o quan-do, dopo che si era evitato il cozzo, la nave nemica ve-niva a randeggiarla, si abbassava il ponte sulla tolda diessa e lo si assicurava con un raffio di ferro per cui nonsolo s'impediva l'affondamento, ma i soldati romani silanciavano attraverso il ponte sul cassero della nave ne-mica e la prendevano di assalto come in un combatti-mento di terra.Non fu creata un'apposita milizia navale, ma vi si impie-gavano, secondo il bisogno, le truppe di terra; e si sa chein una grande battaglia navale, nella quale la flotta ro-mana aveva a bordo anche truppe da sbarco, combatte-vano su ciascuna nave fino a 120 legionari.

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fatto di dare il cozzo, ch'era d'ordinario il colpo decisi-vo. Perciò nell'equipaggio d'una nave greca a tre ponti,d'ordinaria grandezza, con circa 200 uomini, si trovava-no appena 10 soldati, ma 170 rematori, da 50 a 60 perogni ponte; una nave da cinque ponti comprendeva circa300 rematori e un proporzionale numero di soldati.Si ebbe il felice pensiero di supplire a ciò di cui le naviromane necessariamente dovevano difettare rispetto allaprontezza e maneggiabilità avversarie per la scarsa espe-rienza degli ufficiali e marinai, col dare nelle battaglienavali una parte preponderante ai soldati.Si adattò sulla prua della nave un ponte mobile, che sipotesse abbassare sia di fronte, sia di fianco; i due latidel ponticello erano muniti di parapetti, e la larghezzaera per due uomini di fronte. Quando la nave nemica siavvicinava per dare di cozzo alla nave romana, o quan-do, dopo che si era evitato il cozzo, la nave nemica ve-niva a randeggiarla, si abbassava il ponte sulla tolda diessa e lo si assicurava con un raffio di ferro per cui nonsolo s'impediva l'affondamento, ma i soldati romani silanciavano attraverso il ponte sul cassero della nave ne-mica e la prendevano di assalto come in un combatti-mento di terra.Non fu creata un'apposita milizia navale, ma vi si impie-gavano, secondo il bisogno, le truppe di terra; e si sa chein una grande battaglia navale, nella quale la flotta ro-mana aveva a bordo anche truppe da sbarco, combatte-vano su ciascuna nave fino a 120 legionari.

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In questo modo i Romani si crearono una flotta che po-teva tenere testa alla cartaginese.Errano coloro che della costruzione della prima flottaromana ci fanno un racconto favoloso e a questo modofiniscono anche per andar contro il loro scopo. Per am-mirare bisogna comprendere. La costruzione della flottaromana non fu un miracolo, ma fu veramente un grandefatto nazionale; fatto col quale i Romani, dando provadella loro perspicacia nel discernere il necessario ed ilpossibile del loro genio inventivo e della prontezza diesecuzione, trassero la patria da una situazione che eradivenuta assai peggiore di quanto fosse sembrato alprincipiare della guerra.

7. Prime vittorie navali.Sulle prime però le cose non furono propizie. L'ammira-glio romano, il console Gneo Cornelio Scipione, cheaveva spiegato le vele verso Messana (494=260) con leprime diciassette navi apprestate, credeva di potere, lun-go la notte, con un colpo di mano, impossessarsi di Li-pari. Ma una parte della flotta cartaginese, che staziona-va nelle acque di Palermo, si piantò dinanzi al portodell'isola dove il console si era ancorato, e senza com-battimento catturò la squadra romana. I Romani non siperdettero d'animo e, appena ultimati i necessari prepa-rativi, la flotta principale volse anch'essa la prora versoMessana.Veleggiando lungo la costa italica essa si scontrò con

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In questo modo i Romani si crearono una flotta che po-teva tenere testa alla cartaginese.Errano coloro che della costruzione della prima flottaromana ci fanno un racconto favoloso e a questo modofiniscono anche per andar contro il loro scopo. Per am-mirare bisogna comprendere. La costruzione della flottaromana non fu un miracolo, ma fu veramente un grandefatto nazionale; fatto col quale i Romani, dando provadella loro perspicacia nel discernere il necessario ed ilpossibile del loro genio inventivo e della prontezza diesecuzione, trassero la patria da una situazione che eradivenuta assai peggiore di quanto fosse sembrato alprincipiare della guerra.

7. Prime vittorie navali.Sulle prime però le cose non furono propizie. L'ammira-glio romano, il console Gneo Cornelio Scipione, cheaveva spiegato le vele verso Messana (494=260) con leprime diciassette navi apprestate, credeva di potere, lun-go la notte, con un colpo di mano, impossessarsi di Li-pari. Ma una parte della flotta cartaginese, che staziona-va nelle acque di Palermo, si piantò dinanzi al portodell'isola dove il console si era ancorato, e senza com-battimento catturò la squadra romana. I Romani non siperdettero d'animo e, appena ultimati i necessari prepa-rativi, la flotta principale volse anch'essa la prora versoMessana.Veleggiando lungo la costa italica essa si scontrò con

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una squadra cartaginese, mandata in esplorazione, allaquale, anche perchè era più debole, i Romani ebbero lafortuna di infliggere un danno di gran lunga più grave diquello da essi patito a Lipari; dopo di che la flotta roma-na giunse felicemente e vittoriosa nel porto di Messana,ove l'altro console, Gaio Duilio, ne prese il comando, inluogo del suo collega tenuto prigioniero.Presso la punta di Milazzo, al nord-ovest di Messana, laflotta cartaginese, comandata da Annibale, e provenien-te da Palermo, s'incontrò colla romana, la quale fece inquelle acque le sue prime prove.I Cartaginesi, veduta l'incerta e cattiva manovra dellenavi romane, e riguardandole già come preda sicura, sigettarono loro addosso alla rinfusa e provarono cosìl'efficacia dell'innovazione romana dei ponti d'abbor-daggio.Le navi romane uncinavano ed assaltavano le navi ne-miche a mano a mano che queste, isolate, si approssima-vano; e le navi cartaginesi non potevano avvicinarsi nèdi fronte nè di fianco alle romane senza che il fataleponte non calasse sulla loro tolda. Terminata la battagliasi rilevò come ben cinquanta navi cartaginesi, quasi lametà della loro flotta, erano state mandate a picco o cat-turate dai Romani, e fu presa fra le altre la nave ammira-glia d'Annibale, che già era stata di re Pirro.Grande fu il vantaggio; più grande la fama che ne corse.Roma era d'un tratto divenuta potenza marittima e pos-

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una squadra cartaginese, mandata in esplorazione, allaquale, anche perchè era più debole, i Romani ebbero lafortuna di infliggere un danno di gran lunga più grave diquello da essi patito a Lipari; dopo di che la flotta roma-na giunse felicemente e vittoriosa nel porto di Messana,ove l'altro console, Gaio Duilio, ne prese il comando, inluogo del suo collega tenuto prigioniero.Presso la punta di Milazzo, al nord-ovest di Messana, laflotta cartaginese, comandata da Annibale, e provenien-te da Palermo, s'incontrò colla romana, la quale fece inquelle acque le sue prime prove.I Cartaginesi, veduta l'incerta e cattiva manovra dellenavi romane, e riguardandole già come preda sicura, sigettarono loro addosso alla rinfusa e provarono cosìl'efficacia dell'innovazione romana dei ponti d'abbor-daggio.Le navi romane uncinavano ed assaltavano le navi ne-miche a mano a mano che queste, isolate, si approssima-vano; e le navi cartaginesi non potevano avvicinarsi nèdi fronte nè di fianco alle romane senza che il fataleponte non calasse sulla loro tolda. Terminata la battagliasi rilevò come ben cinquanta navi cartaginesi, quasi lametà della loro flotta, erano state mandate a picco o cat-turate dai Romani, e fu presa fra le altre la nave ammira-glia d'Annibale, che già era stata di re Pirro.Grande fu il vantaggio; più grande la fama che ne corse.Roma era d'un tratto divenuta potenza marittima e pos-

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sedeva i mezzi di condurre validamente a fine una guer-ra, che sembrava doversi prolungare all'infinito e minac-ciare rovina al commercio italico.Due vie erano aperte ai Romani per condurre a vittorio-so fine la guerra: essi potevano attaccare i Cartaginesinelle isole italiche ed espugnare l'una dopo l'altra le for-tezze litoranee della Sicilia e della Sardegna, cosa nondifficile forse a conseguirsi con azioni ben combinatecol concorso della flotta e dell'esercito, e quando la cosafosse loro riuscita felicemente avrebbero potuto o con-chiudere la pace mediante la cessione delle isole, o, sel'accordo non fosse riuscito, portare poi la guerra inAfrica.L'altra via era quella di trascurare le isole e di gettarsisenz'altro con tutte le forze sull'Africa, non giàall'impazzata, come aveva fatto Agatocle, facendo in-cendiare dietro di sè le navi e riponendo tutte le sue spe-ranze della vittoria in un branco di disperati, ma assicu-rando le comunicazioni dell'esercito invasore coll'Italiaper mezzo d'una flotta imponente; in questo caso essipotevano sperare una pace a patti ragionevoli calcolan-do sulla costernazione dei nemici dopo i primi successi,oppure, se occorreva, costringere con una campagnaformale il nemico ad una completa sommissione.I Romani preferirono il primo, meno rischioso e piùcauto. L'anno dopo la battaglia di Milazzo (495=259) ilconsole Lucio Scipione prese d'assalto il porto di Aleriain Corsica (noi possediamo ancora la lapide sepolcrale

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sedeva i mezzi di condurre validamente a fine una guer-ra, che sembrava doversi prolungare all'infinito e minac-ciare rovina al commercio italico.Due vie erano aperte ai Romani per condurre a vittorio-so fine la guerra: essi potevano attaccare i Cartaginesinelle isole italiche ed espugnare l'una dopo l'altra le for-tezze litoranee della Sicilia e della Sardegna, cosa nondifficile forse a conseguirsi con azioni ben combinatecol concorso della flotta e dell'esercito, e quando la cosafosse loro riuscita felicemente avrebbero potuto o con-chiudere la pace mediante la cessione delle isole, o, sel'accordo non fosse riuscito, portare poi la guerra inAfrica.L'altra via era quella di trascurare le isole e di gettarsisenz'altro con tutte le forze sull'Africa, non giàall'impazzata, come aveva fatto Agatocle, facendo in-cendiare dietro di sè le navi e riponendo tutte le sue spe-ranze della vittoria in un branco di disperati, ma assicu-rando le comunicazioni dell'esercito invasore coll'Italiaper mezzo d'una flotta imponente; in questo caso essipotevano sperare una pace a patti ragionevoli calcolan-do sulla costernazione dei nemici dopo i primi successi,oppure, se occorreva, costringere con una campagnaformale il nemico ad una completa sommissione.I Romani preferirono il primo, meno rischioso e piùcauto. L'anno dopo la battaglia di Milazzo (495=259) ilconsole Lucio Scipione prese d'assalto il porto di Aleriain Corsica (noi possediamo ancora la lapide sepolcrale

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di questo generale, la quale accenna a simile fatto) e ri-dusse la Corsica ad una stazione marittima contro laSardegna. Ma andò poi fallito un tentativo di stabilirsi inOlbia, posta sulla costa settentrionale della Sardegna,poichè la flotta mancava di truppe da sbarco. L'anno496=258 il tentativo fu ripetuto con miglior esito ed iluoghi aperti posti sul litorale furono saccheggiati; ma iRomani non vi si poterono stabilire.Non più lentamente andarono le cose in Sicilia. Amilca-re conduceva la guerra con energia e destrezza, non solocolle armi per terra e per mare, ma anche con intrighi;ogni anno si staccava dai Romani qualcuna delle tantepiccole città interne ed era necessario riprenderle ai Car-taginesi con molti sacrifici; e nelle fortezze del litorale iCartaginesi vi si mantenevano non molestati, particolar-mente nel loro quartier generale di Palermo e nella loronuova piazzaforte di Trapani, ove Amilcare aveva fattotrasportare gli abitanti di Erice come luogo più agevolea difendersi dalla parte del mare.Una seconda grande battaglia navale combattuta(497=257) al capo Tindaride, in cui entrambe le parti siattribuirono la vittoria, non cambiò in nulla lo stato dellecose. A questo modo non si progrediva di un passo, enon si capiva se la ragione dovesse essere attribuita alladivisione del comando delle truppe romane, soggetto arapidi cambiamenti che rendevano difficilissima la con-centrata direzione generale di una serie di piccole opera-zioni, o se dipendesse dalle condizioni strategiche di

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di questo generale, la quale accenna a simile fatto) e ri-dusse la Corsica ad una stazione marittima contro laSardegna. Ma andò poi fallito un tentativo di stabilirsi inOlbia, posta sulla costa settentrionale della Sardegna,poichè la flotta mancava di truppe da sbarco. L'anno496=258 il tentativo fu ripetuto con miglior esito ed iluoghi aperti posti sul litorale furono saccheggiati; ma iRomani non vi si poterono stabilire.Non più lentamente andarono le cose in Sicilia. Amilca-re conduceva la guerra con energia e destrezza, non solocolle armi per terra e per mare, ma anche con intrighi;ogni anno si staccava dai Romani qualcuna delle tantepiccole città interne ed era necessario riprenderle ai Car-taginesi con molti sacrifici; e nelle fortezze del litorale iCartaginesi vi si mantenevano non molestati, particolar-mente nel loro quartier generale di Palermo e nella loronuova piazzaforte di Trapani, ove Amilcare aveva fattotrasportare gli abitanti di Erice come luogo più agevolea difendersi dalla parte del mare.Una seconda grande battaglia navale combattuta(497=257) al capo Tindaride, in cui entrambe le parti siattribuirono la vittoria, non cambiò in nulla lo stato dellecose. A questo modo non si progrediva di un passo, enon si capiva se la ragione dovesse essere attribuita alladivisione del comando delle truppe romane, soggetto arapidi cambiamenti che rendevano difficilissima la con-centrata direzione generale di una serie di piccole opera-zioni, o se dipendesse dalle condizioni strategiche di

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questa guerra che in simili casi, considerati gli ordinidelle milizie e la natura delle armi, dovevano di necessi-tà riuscire sfavorevoli all'assalitore e più specialmente aiRomani che si trovavano ancora ai principii d'una razio-nale arte militare. Ond'è, che quantunque i Cartaginesinon infestassero più il litorale italico taglieggiandone ipaesi con la minaccia di metterli a ferro e a fuoco, icommerci non si erano ripresi e languivano quasi comeprima della costruzione della flotta.Stanco di codesto armeggiare senza frutto, e impazientedi mettere fine alla guerra, il senato decise di cambiaresistema e di assalire Cartagine in casa propria.Nella primavera del 498=256 una flotta di 300 navi dilinea drizzò la prora verso le coste libiche. Presso lafoce del fiume Imera, sulle coste meridionali della Sici-lia, furono imbarcate quattro legioni, comandate dai dueconsoli Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio Volso, ge-nerali di sperimentato valore.L'ammiraglio cartaginese lasciò che le truppe nemiches'imbarcassero; ma filando verso l'Africa, i Romaniall'altezza di Ecnomo trovarono la flotta cartaginese inordine di battaglia pronta a tagliare loro il cammino.Forse mai, prima di allora, si erano incontrate in marearmate più numerose. La flotta romana di 330 vele con-tava per lo meno 100.000 uomini di ciurma oltre 40.000soldati da sbarco, la cartaginese si componeva di 350navi con una ciurma eguale all'incirca a quella dei Ro-

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questa guerra che in simili casi, considerati gli ordinidelle milizie e la natura delle armi, dovevano di necessi-tà riuscire sfavorevoli all'assalitore e più specialmente aiRomani che si trovavano ancora ai principii d'una razio-nale arte militare. Ond'è, che quantunque i Cartaginesinon infestassero più il litorale italico taglieggiandone ipaesi con la minaccia di metterli a ferro e a fuoco, icommerci non si erano ripresi e languivano quasi comeprima della costruzione della flotta.Stanco di codesto armeggiare senza frutto, e impazientedi mettere fine alla guerra, il senato decise di cambiaresistema e di assalire Cartagine in casa propria.Nella primavera del 498=256 una flotta di 300 navi dilinea drizzò la prora verso le coste libiche. Presso lafoce del fiume Imera, sulle coste meridionali della Sici-lia, furono imbarcate quattro legioni, comandate dai dueconsoli Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio Volso, ge-nerali di sperimentato valore.L'ammiraglio cartaginese lasciò che le truppe nemiches'imbarcassero; ma filando verso l'Africa, i Romaniall'altezza di Ecnomo trovarono la flotta cartaginese inordine di battaglia pronta a tagliare loro il cammino.Forse mai, prima di allora, si erano incontrate in marearmate più numerose. La flotta romana di 330 vele con-tava per lo meno 100.000 uomini di ciurma oltre 40.000soldati da sbarco, la cartaginese si componeva di 350navi con una ciurma eguale all'incirca a quella dei Ro-

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mani, cosicchè quel giorno si trovavano di fronte circa300.000 uomini per decidere la sorte delle due potenticittà.I Fenici si presentavano in una sola estesissima linea ap-poggiantesi coll'ala sinistra alla costa siciliana. I Romaniadottarono la formazione a triangolo avente al vertice lenavi ammiraglie dei due consoli; obblique a destra ed asinistra accanto ad esse la prima e la seconda squadra: laterza, che aveva a rimorchio i pontoni colla cavalleria,formava la linea che chiudeva il triangolo. Così serratemovevano le navi romane contro il nemico. Più lenta-mente le seguiva una quarta squadra di riserva. L'attaccocuneiforme sfondò senza difficoltà la linea cartaginese,il cui centro, al primo scontro, si ritirò. La battaglia sisuddivise così in tre combattimenti separati.Mentre gli ammiragli romani inseguivano il centro car-taginese colle due squadre poste alle loro ali e vennerocol medesimo a combattimento, l'ala sinistra dei Carta-ginesi appoggiata alla costa fece una conversione sullaterza squadra romana impedita di seguire le altre daipontoni che rimorchiava, e, attaccandola vivamente conforze superiori, la spinse verso la costa; nello stessotempo la riserva dei Romani fu aggirata in alto maredall'ala destra dei Cartaginesi e assalita alle spalle.Il primo di questi tre combattimenti non durò a lungo: lenavi cartaginesi essendo molto più deboli delle duesquadre romane, contro le quali combattevano, preseroil largo. Nel frattempo però le altre due divisioni dei Ro-

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mani, cosicchè quel giorno si trovavano di fronte circa300.000 uomini per decidere la sorte delle due potenticittà.I Fenici si presentavano in una sola estesissima linea ap-poggiantesi coll'ala sinistra alla costa siciliana. I Romaniadottarono la formazione a triangolo avente al vertice lenavi ammiraglie dei due consoli; obblique a destra ed asinistra accanto ad esse la prima e la seconda squadra: laterza, che aveva a rimorchio i pontoni colla cavalleria,formava la linea che chiudeva il triangolo. Così serratemovevano le navi romane contro il nemico. Più lenta-mente le seguiva una quarta squadra di riserva. L'attaccocuneiforme sfondò senza difficoltà la linea cartaginese,il cui centro, al primo scontro, si ritirò. La battaglia sisuddivise così in tre combattimenti separati.Mentre gli ammiragli romani inseguivano il centro car-taginese colle due squadre poste alle loro ali e vennerocol medesimo a combattimento, l'ala sinistra dei Carta-ginesi appoggiata alla costa fece una conversione sullaterza squadra romana impedita di seguire le altre daipontoni che rimorchiava, e, attaccandola vivamente conforze superiori, la spinse verso la costa; nello stessotempo la riserva dei Romani fu aggirata in alto maredall'ala destra dei Cartaginesi e assalita alle spalle.Il primo di questi tre combattimenti non durò a lungo: lenavi cartaginesi essendo molto più deboli delle duesquadre romane, contro le quali combattevano, preseroil largo. Nel frattempo però le altre due divisioni dei Ro-

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mani si trovavano in una difficile posizione di frontealle forze soverchianti del nemico; ma venute all'abbor-daggio, i temuti ponti calanti furono ad esse di gran gio-vamento e con questo mezzo riuscirono a sostenersi finoa che i due ammiragli poterono accorrere in loro aiuto.Così la riserva dei Romani riprese forza, e le navi carta-ginesi dell'ala destra si ritirarono al largo dinanzi alleforze maggiore dei Romani.Essendo anche questo combattimento riuscito a vantag-gio dei Romani, tutte le loro navi, capaci di tenere ilmare, si gettarono alle spalle dell'ala sinistra cartagine-se, la quale incalzava tenacemente e con vantaggio lasquadra romana, l'aggirarono e catturarono quasi tutte lenavi di cui si componeva. Le perdite furono quasi egua-li. Della flotta romana furono affondate 24 navi, dellacartaginese 30, ma di questa 64 furono catturate.Malgrado la grave perdita sofferta, la flotta cartaginesenon lasciò di coprire le coste dell'Africa, e retrocedendosi piantò dinanzi al golfo di Cartagine attendendo che iRomani tentassero lo sbarco per dare una seconda batta-glia.

8. Sbarco di Regolo in Africa.Ma i Romani invece di operare lo sbarco sulla costa oc-cidentale della penisola che forma il golfo, sbarcaronosulla costa orientale, dove la baia di Clupea offriva loroun porto spazioso e sicuro contro i venti, e la città, sitain riva al mare su una collina che elevavasi dal piano, si

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mani si trovavano in una difficile posizione di frontealle forze soverchianti del nemico; ma venute all'abbor-daggio, i temuti ponti calanti furono ad esse di gran gio-vamento e con questo mezzo riuscirono a sostenersi finoa che i due ammiragli poterono accorrere in loro aiuto.Così la riserva dei Romani riprese forza, e le navi carta-ginesi dell'ala destra si ritirarono al largo dinanzi alleforze maggiore dei Romani.Essendo anche questo combattimento riuscito a vantag-gio dei Romani, tutte le loro navi, capaci di tenere ilmare, si gettarono alle spalle dell'ala sinistra cartagine-se, la quale incalzava tenacemente e con vantaggio lasquadra romana, l'aggirarono e catturarono quasi tutte lenavi di cui si componeva. Le perdite furono quasi egua-li. Della flotta romana furono affondate 24 navi, dellacartaginese 30, ma di questa 64 furono catturate.Malgrado la grave perdita sofferta, la flotta cartaginesenon lasciò di coprire le coste dell'Africa, e retrocedendosi piantò dinanzi al golfo di Cartagine attendendo che iRomani tentassero lo sbarco per dare una seconda batta-glia.

8. Sbarco di Regolo in Africa.Ma i Romani invece di operare lo sbarco sulla costa oc-cidentale della penisola che forma il golfo, sbarcaronosulla costa orientale, dove la baia di Clupea offriva loroun porto spazioso e sicuro contro i venti, e la città, sitain riva al mare su una collina che elevavasi dal piano, si

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presentava loro come una eccellente fortezza portuale.Le truppe sbarcarono senza molestia e si stabilirono for-temente sulla collina; in breve fu pronto un campo nava-le trincerato e l'esercito di terra potè cominciare le sueoperazioni.Le truppe romane percorrevano il paese taglieggiandocon minaccia di metterlo a ferro ed a fuoco; oltre 20.000schiavi furono condotti a Roma. In grazia di geniali tro-vate riuscì subito e con minimi sacrifici il piano temera-rio; si credeva di aver raggiunta la mèta.Come i Romani si sentissero sicuri della riuscita lo pro-va la determinazione del senato di richiamare in Italia lamaggior parte della flotta e la metà dell'esercito; AttilioRegolo rimase in Africa con 40 navi, 15.000 fanti e 500cavalieri.Una simile fiducia non parve esagerata. L'esercito carta-ginese, che, scoraggiato, non ardiva presentarsi in apertacampagna, ricevette una solenne sconfitta nei boschi, trai quali esso non poteva servirsi delle migliori sue armi:la cavalleria e gli elefanti. Le città si arresero in massa, iNumidi si sollevarono e invasero per una grande esten-sione il paese aperto.Regolo poteva abbandonarsi alla speranza di cominciarela prossima campagna coll'assedio della capitale, al qua-le scopo egli aveva posto il suo quartiere d'inverno a Tu-nisi, luogo non lontano da Cartagine.Il coraggio dei Cartaginesi era infranto; essi chiesero la

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presentava loro come una eccellente fortezza portuale.Le truppe sbarcarono senza molestia e si stabilirono for-temente sulla collina; in breve fu pronto un campo nava-le trincerato e l'esercito di terra potè cominciare le sueoperazioni.Le truppe romane percorrevano il paese taglieggiandocon minaccia di metterlo a ferro ed a fuoco; oltre 20.000schiavi furono condotti a Roma. In grazia di geniali tro-vate riuscì subito e con minimi sacrifici il piano temera-rio; si credeva di aver raggiunta la mèta.Come i Romani si sentissero sicuri della riuscita lo pro-va la determinazione del senato di richiamare in Italia lamaggior parte della flotta e la metà dell'esercito; AttilioRegolo rimase in Africa con 40 navi, 15.000 fanti e 500cavalieri.Una simile fiducia non parve esagerata. L'esercito carta-ginese, che, scoraggiato, non ardiva presentarsi in apertacampagna, ricevette una solenne sconfitta nei boschi, trai quali esso non poteva servirsi delle migliori sue armi:la cavalleria e gli elefanti. Le città si arresero in massa, iNumidi si sollevarono e invasero per una grande esten-sione il paese aperto.Regolo poteva abbandonarsi alla speranza di cominciarela prossima campagna coll'assedio della capitale, al qua-le scopo egli aveva posto il suo quartiere d'inverno a Tu-nisi, luogo non lontano da Cartagine.Il coraggio dei Cartaginesi era infranto; essi chiesero la

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pace.Ma le condizioni poste dal console, di cedere non solola Sicilia e la Sardegna, ma di stringere con Roma unalega disuguale, in forza della quale i Cartaginesi sareb-bero stati costretti a rinunziare ad avere una propria ma-rina da guerra e a fornire navi per combattere le batta-glie dei Romani – condizioni che avrebbero messo Car-tagine a livello di Neapoli e di Taranto – non erano ac-cettabili finchè i Cartaginesi avevano ancora in armi unesercito e una flotta, e la capitale non si mostrava affattoavvilita.L'entusiasmo che facilmente s'accende negli animi dellepopolazioni orientali, anche nelle meno animose, quan-do sovrastano gravi pericoli; l'energia delle estreme ne-cessità, spinsero i Cartaginesi a così poderosi sforzi, dicui nessuno avrebbe potuto creder capaci questi mercan-ti.Amilcare, il quale aveva fatto con tanto successo la pic-cola guerra contro i Romani in Sicilia, comparve in Li-bia col fiore delle truppe siciliane, ottime per l'inquadra-mento delle reclute chiamate in fretta sotto le armi. Gliintrighi e l'oro dei Cartaginesi attirarono sotto i loro ves-silli, a torme, i famosi cavalieri numidi e una frotta dimercenari greci, e fra questi il famoso capitano Santippoda Sparta, la cui genialità strategica e organizzativa fu digrande vantaggio ai Cartaginesi(7).

7 Il racconto, che Santippo con i suoi talenti militari abbia salvato Cartagi-ne, probabilmente è esagerato: nè può credersi che gli ufficiali cartaginesi

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pace.Ma le condizioni poste dal console, di cedere non solola Sicilia e la Sardegna, ma di stringere con Roma unalega disuguale, in forza della quale i Cartaginesi sareb-bero stati costretti a rinunziare ad avere una propria ma-rina da guerra e a fornire navi per combattere le batta-glie dei Romani – condizioni che avrebbero messo Car-tagine a livello di Neapoli e di Taranto – non erano ac-cettabili finchè i Cartaginesi avevano ancora in armi unesercito e una flotta, e la capitale non si mostrava affattoavvilita.L'entusiasmo che facilmente s'accende negli animi dellepopolazioni orientali, anche nelle meno animose, quan-do sovrastano gravi pericoli; l'energia delle estreme ne-cessità, spinsero i Cartaginesi a così poderosi sforzi, dicui nessuno avrebbe potuto creder capaci questi mercan-ti.Amilcare, il quale aveva fatto con tanto successo la pic-cola guerra contro i Romani in Sicilia, comparve in Li-bia col fiore delle truppe siciliane, ottime per l'inquadra-mento delle reclute chiamate in fretta sotto le armi. Gliintrighi e l'oro dei Cartaginesi attirarono sotto i loro ves-silli, a torme, i famosi cavalieri numidi e una frotta dimercenari greci, e fra questi il famoso capitano Santippoda Sparta, la cui genialità strategica e organizzativa fu digrande vantaggio ai Cartaginesi(7).

7 Il racconto, che Santippo con i suoi talenti militari abbia salvato Cartagi-ne, probabilmente è esagerato: nè può credersi che gli ufficiali cartaginesi

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Mentre durante l'inverno i Cartaginesi facevano questipreparativi, il console romano stava inattivo presso Tu-nisi. Sia che non s'accorgesse della tempesta che glis'andava addensando sul capo, sia che il puntiglio mili-tare gl'impedisse di fare ciò che la sua situazione purgl'imponeva, il fatto sta che, invece di rinunziare ad unassedio che non era nemmeno in grado di tentare, e dichiudersi nella rocca di Clupea, rimase con un pugno digente sotto le mura della capitale, trascurando persino diassicurarsi la ritirata verso il campo navale, e di procac-ciarsi ciò che prima di tutto gli mancava, una buona ca-valleria leggera che dalle insorte tribù dei Numidi gli sa-rebbe stato facile ottenere. Con molta leggerezza egliquindi si ridusse col suo esercito alla stessa condizionein cui già s'era trovato Agatocle nella disperata e bizzar-ra sua spedizione.

9. Sconfitta di Regolo.Sopraggiunta la primavera (499=255) le cose si eranotalmente cambiate che furono i Cartaginesi a prenderel'offensiva, ciò che era naturale, giacchè ad essi dovevapremere di distruggere l'esercito di Regolo prima cheegli potesse avere rinforzi dall'Italia.

abbiano proprio dovuto aspettare l'arrivo di uno straniero per imparare chei cavalleggeri africani rendevano più nel piano che in collina e nelle fore-ste. Da simili abbagli, eco delle tradizioni militaresche, non seppe guardar-si sempre nemmeno Polibio. È una vera invenzione quella che Santippo siastato assassinato dai Cartaginesi dopo la vittoria; egli se ne partì sponta-neamente e andò forse al servizio degli Egiziani.

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Mentre durante l'inverno i Cartaginesi facevano questipreparativi, il console romano stava inattivo presso Tu-nisi. Sia che non s'accorgesse della tempesta che glis'andava addensando sul capo, sia che il puntiglio mili-tare gl'impedisse di fare ciò che la sua situazione purgl'imponeva, il fatto sta che, invece di rinunziare ad unassedio che non era nemmeno in grado di tentare, e dichiudersi nella rocca di Clupea, rimase con un pugno digente sotto le mura della capitale, trascurando persino diassicurarsi la ritirata verso il campo navale, e di procac-ciarsi ciò che prima di tutto gli mancava, una buona ca-valleria leggera che dalle insorte tribù dei Numidi gli sa-rebbe stato facile ottenere. Con molta leggerezza egliquindi si ridusse col suo esercito alla stessa condizionein cui già s'era trovato Agatocle nella disperata e bizzar-ra sua spedizione.

9. Sconfitta di Regolo.Sopraggiunta la primavera (499=255) le cose si eranotalmente cambiate che furono i Cartaginesi a prenderel'offensiva, ciò che era naturale, giacchè ad essi dovevapremere di distruggere l'esercito di Regolo prima cheegli potesse avere rinforzi dall'Italia.

abbiano proprio dovuto aspettare l'arrivo di uno straniero per imparare chei cavalleggeri africani rendevano più nel piano che in collina e nelle fore-ste. Da simili abbagli, eco delle tradizioni militaresche, non seppe guardar-si sempre nemmeno Polibio. È una vera invenzione quella che Santippo siastato assassinato dai Cartaginesi dopo la vittoria; egli se ne partì sponta-neamente e andò forse al servizio degli Egiziani.

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Per lo stesso motivo avrebbero i Romani dovuto tempo-reggiare; ma, confidando nella loro invincibilità in cam-po aperto, accettarono la battaglia malgrado l'inferioritàdelle loro forze – poichè sebbene il numero dei fantiquasi si pareggiasse dalle due parti, i 4000 cavalieri ed i100 elefanti davano però ai Cartaginesi una innegabilesuperiorità, tanto più che i Cartaginesi si erano schieratiin una pianura, probabilmente vicina a Tunisi.Santippo, che in quel giorno aveva il comando dei Car-taginesi, attaccò subito colla sua cavalleria la cavallerianemica collocata come al solito alle due ali della linea dibattaglia; gli scarsi squadroni romani scomparvero in unmomento fra le masse della cavalleria nemica; e la fan-teria romana s'accorse d'essere stata essa stessa aggirata.Nondimeno le legioni affatto scosse avanzarono imper-territe contro la linea nemica; e sebbene la fila degli ele-fanti schierati sulla fronte dell'esercito cartaginese percoprirlo, fosse d'imbarazzo all'ala destra ed al centro deiRomani, la loro ala sinistra, evitati gli elefanti, potè get-tarsi sulla fanteria mercenaria dell'ala destra dei nemicie mandarla in rotta completamente.Se non che, questo stesso successo ruppe la linea deiRomani. La massa principale, attaccata di fronte daglielefanti, ai lati ed alle spalle dalla cavalleria, si ordinòbensì in quadrato e si difese eroicamente, ma alla fine lefile serrate furono rotte e sbaragliate.La vittoriosa ala sinistra si scontrò col centro dei Carta-ginesi, e la fanteria libica, ancora fresca, le preparava

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Per lo stesso motivo avrebbero i Romani dovuto tempo-reggiare; ma, confidando nella loro invincibilità in cam-po aperto, accettarono la battaglia malgrado l'inferioritàdelle loro forze – poichè sebbene il numero dei fantiquasi si pareggiasse dalle due parti, i 4000 cavalieri ed i100 elefanti davano però ai Cartaginesi una innegabilesuperiorità, tanto più che i Cartaginesi si erano schieratiin una pianura, probabilmente vicina a Tunisi.Santippo, che in quel giorno aveva il comando dei Car-taginesi, attaccò subito colla sua cavalleria la cavallerianemica collocata come al solito alle due ali della linea dibattaglia; gli scarsi squadroni romani scomparvero in unmomento fra le masse della cavalleria nemica; e la fan-teria romana s'accorse d'essere stata essa stessa aggirata.Nondimeno le legioni affatto scosse avanzarono imper-territe contro la linea nemica; e sebbene la fila degli ele-fanti schierati sulla fronte dell'esercito cartaginese percoprirlo, fosse d'imbarazzo all'ala destra ed al centro deiRomani, la loro ala sinistra, evitati gli elefanti, potè get-tarsi sulla fanteria mercenaria dell'ala destra dei nemicie mandarla in rotta completamente.Se non che, questo stesso successo ruppe la linea deiRomani. La massa principale, attaccata di fronte daglielefanti, ai lati ed alle spalle dalla cavalleria, si ordinòbensì in quadrato e si difese eroicamente, ma alla fine lefile serrate furono rotte e sbaragliate.La vittoriosa ala sinistra si scontrò col centro dei Carta-ginesi, e la fanteria libica, ancora fresca, le preparava

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egual sorte. In terreno aperto e incalzati dalla cavalleriavittoriosa, tutti quelli che avevano sostenuto il peso del-la battaglia furono tagliati a pezzi o fatti prigionieri, esolo duemila uomini, forse, delle truppe leggere e deicavalieri che primi erano andati in rotta mentre le legio-ni romane si lasciavano uccidere intorno alle insegne,poterono arrivare, non senza fatica, a Clupea.Tra i pochi prigionieri v'era il console stesso, il qualepoi morì in Cartagine. Sospettando ch'egli non fosse sta-to trattato dai Cartaginesi secondo le consuetudini dellabuona guerra, la sua famiglia si vendicò su due nobiliprigionieri cartaginesi nel modo più rivoltante, cosicchègli schiavi stessi ne ebbero compassione e, su loro de-nunzia, fu dai tribuni fatta cessare quella vergogna(8).Quando a Roma pervenne la terribile notizia, il primopensiero fu naturalmente quello di salvare le truppechiuse in Clupea. Una flotta di 350 navi mise immedia-tamente alla vela, e, dopo aver riportata una bella vitto-ria presso il capo Ermeo, dove i Cartaginesi perdettero114 navi, arrivò a Clupea in tempo per liberare dallafine i residui dello sconfitto esercito che si erano riparatidietro quei baluardi.Se questa flotta fosse stata inviata prima della catastrofe

8 Nulla di più si sa con certezza sulla fine di Regolo; persino il suo invio aRoma, indicato ora nell'anno 503 e ora nel 513, non è provato. I posteri,che cercavano nella buona e nell'avversa sorte degli avi argomenti di temiscolastici, fecero di Regolo il prototipo dell'eroe sventurato, come di Fa-bricio il prototipo dell'eroe povero, e immaginarono una serie di aneddotisul suo nome; orpello sgradevole che stona colla storia seria e reale.

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egual sorte. In terreno aperto e incalzati dalla cavalleriavittoriosa, tutti quelli che avevano sostenuto il peso del-la battaglia furono tagliati a pezzi o fatti prigionieri, esolo duemila uomini, forse, delle truppe leggere e deicavalieri che primi erano andati in rotta mentre le legio-ni romane si lasciavano uccidere intorno alle insegne,poterono arrivare, non senza fatica, a Clupea.Tra i pochi prigionieri v'era il console stesso, il qualepoi morì in Cartagine. Sospettando ch'egli non fosse sta-to trattato dai Cartaginesi secondo le consuetudini dellabuona guerra, la sua famiglia si vendicò su due nobiliprigionieri cartaginesi nel modo più rivoltante, cosicchègli schiavi stessi ne ebbero compassione e, su loro de-nunzia, fu dai tribuni fatta cessare quella vergogna(8).Quando a Roma pervenne la terribile notizia, il primopensiero fu naturalmente quello di salvare le truppechiuse in Clupea. Una flotta di 350 navi mise immedia-tamente alla vela, e, dopo aver riportata una bella vitto-ria presso il capo Ermeo, dove i Cartaginesi perdettero114 navi, arrivò a Clupea in tempo per liberare dallafine i residui dello sconfitto esercito che si erano riparatidietro quei baluardi.Se questa flotta fosse stata inviata prima della catastrofe

8 Nulla di più si sa con certezza sulla fine di Regolo; persino il suo invio aRoma, indicato ora nell'anno 503 e ora nel 513, non è provato. I posteri,che cercavano nella buona e nell'avversa sorte degli avi argomenti di temiscolastici, fecero di Regolo il prototipo dell'eroe sventurato, come di Fa-bricio il prototipo dell'eroe povero, e immaginarono una serie di aneddotisul suo nome; orpello sgradevole che stona colla storia seria e reale.

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di Regolo, essa avrebbe cambiato la sconfitta in una vit-toria, colla quale probabilmente sarebbero finite le guer-re puniche.I Romani avevano però talmente perduto la testa che,dopo un fortunato combattimento presso Clupea, essiimbarcarono tutte le loro truppe e ritornarono a Romasgombrando spontaneamente una piazza importante e difacile difesa, che assicurava loro la possibilità dellosbarco in Africa, ed abbandonando senza protezione,alla vendetta de' Cartaginesi, i molti loro alleati africani.I Cartaginesi non lasciarono passare l'occasioned'impinguare le esauste loro casse e di far sentire ai sud-diti le conseguenze della loro infedeltà. Fu ad essi impo-sta una contribuzione straordinaria di 1000 talentid'argento (lire 6.490.000) e di 20.000 buoi, e in tutti icomuni, che si erano staccati da Cartagine, furono cro-cefissi gli sceicchi (si pretende che ve ne fossero 3000),e si vuole che questo dissennato incrudelire dei magi-strati cartaginesi sia stata la prima e principale causadella ribellione scoppiata in Africa alcuni anni dopo.Finalmente, quasi che ora l'avversa, come prima la buo-na fortuna, volesse far provare ai Romani i suoi estremirigori, tre quarti delle navi, che componevano la flotta,mentre tornava in Italia, colti da una burrasca, andaronoperduti con gli equipaggi, e solo ottanta navi giunsero asalvamento (luglio 499=255). I piloti avevano previsto ilpericolo, ma gl'improvvisati ammiragli romani avevanoordinato di mettere ugualmente alla vela.

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di Regolo, essa avrebbe cambiato la sconfitta in una vit-toria, colla quale probabilmente sarebbero finite le guer-re puniche.I Romani avevano però talmente perduto la testa che,dopo un fortunato combattimento presso Clupea, essiimbarcarono tutte le loro truppe e ritornarono a Romasgombrando spontaneamente una piazza importante e difacile difesa, che assicurava loro la possibilità dellosbarco in Africa, ed abbandonando senza protezione,alla vendetta de' Cartaginesi, i molti loro alleati africani.I Cartaginesi non lasciarono passare l'occasioned'impinguare le esauste loro casse e di far sentire ai sud-diti le conseguenze della loro infedeltà. Fu ad essi impo-sta una contribuzione straordinaria di 1000 talentid'argento (lire 6.490.000) e di 20.000 buoi, e in tutti icomuni, che si erano staccati da Cartagine, furono cro-cefissi gli sceicchi (si pretende che ve ne fossero 3000),e si vuole che questo dissennato incrudelire dei magi-strati cartaginesi sia stata la prima e principale causadella ribellione scoppiata in Africa alcuni anni dopo.Finalmente, quasi che ora l'avversa, come prima la buo-na fortuna, volesse far provare ai Romani i suoi estremirigori, tre quarti delle navi, che componevano la flotta,mentre tornava in Italia, colti da una burrasca, andaronoperduti con gli equipaggi, e solo ottanta navi giunsero asalvamento (luglio 499=255). I piloti avevano previsto ilpericolo, ma gl'improvvisati ammiragli romani avevanoordinato di mettere ugualmente alla vela.

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10. Ripresa della guerra in Sicilia.Dopo questi straordinari successi i Cartaginesi poteronoriprendere l'offensiva da lungo tempo abbandonata.Asdrubale, figlio d'Annone, sbarcò a Lilibeo con un for-te esercito, che specialmente per la gran massa degli ele-fanti – ne aveva 140 – potè stare di fronte ai Romani;l'ultima battaglia aveva insegnato come fosse possibilesupplire al difetto delle fanterie cogli elefanti e colla ca-valleria.Anche i Romani ripresero la guerra in Sicilia: lo sgom-bro volontario di Clupea ci prova che la distruzionedell'esercito di Regolo aveva dato di nuovo il soprav-vento in senato a coloro che non volevano arrischiareuna campagna in Africa, e che si contentavano di sotto-mettere a mano a mano le isole.Ma anche per questo occorreva una flotta, ed essendostata distrutta quella colla quale i Romani avevano ri-portato le vittorie di Milazzo, d'Ecnomo e del capo Er-meo, misero mano a costruirne una nuova.In una volta sola, furono impostate le chiglie per due-centoventi navi da guerra – fino allora non se ne eranomai vedute tante nello stesso tempo nei cantieri – e, mi-rabile a dirsi, nel breve spazio di tre mesi tutte furonopronte a prendere il mare.Nella primavera del 500=254 la flotta romana, numero-sa di 300 navi, quasi tutte nuove, comparve sulla costasettentrionale della Sicilia, e con un fortunato attacco

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10. Ripresa della guerra in Sicilia.Dopo questi straordinari successi i Cartaginesi poteronoriprendere l'offensiva da lungo tempo abbandonata.Asdrubale, figlio d'Annone, sbarcò a Lilibeo con un for-te esercito, che specialmente per la gran massa degli ele-fanti – ne aveva 140 – potè stare di fronte ai Romani;l'ultima battaglia aveva insegnato come fosse possibilesupplire al difetto delle fanterie cogli elefanti e colla ca-valleria.Anche i Romani ripresero la guerra in Sicilia: lo sgom-bro volontario di Clupea ci prova che la distruzionedell'esercito di Regolo aveva dato di nuovo il soprav-vento in senato a coloro che non volevano arrischiareuna campagna in Africa, e che si contentavano di sotto-mettere a mano a mano le isole.Ma anche per questo occorreva una flotta, ed essendostata distrutta quella colla quale i Romani avevano ri-portato le vittorie di Milazzo, d'Ecnomo e del capo Er-meo, misero mano a costruirne una nuova.In una volta sola, furono impostate le chiglie per due-centoventi navi da guerra – fino allora non se ne eranomai vedute tante nello stesso tempo nei cantieri – e, mi-rabile a dirsi, nel breve spazio di tre mesi tutte furonopronte a prendere il mare.Nella primavera del 500=254 la flotta romana, numero-sa di 300 navi, quasi tutte nuove, comparve sulla costasettentrionale della Sicilia, e con un fortunato attacco

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dalla parte di mare espugnò Panormo, la più considere-vole città della Sicilia cartaginese, onde quasi al tempostesso caddero nelle mani dei Romani le piazze minoriSolus, Kephalaedium, Tyndaris, e su tutta la costa set-tentrionale dell'isola rimase in potere de' Cartaginesi lasola Thermae.Panormo divenne d'allora in poi una delle principali sta-zioni dei Romani in Sicilia.Ma per terra si guerreggiava fiaccamente: i due esercitisi erano ridotti intorno a Lilibeo; i duci romani, che nonsapevano come difendersi contro la massa degli elefanti,non fecero alcun tentativo per venire ad una battaglia ri-solutiva. Invece di approfittare della fortuna propizia inSicilia, i consoli preferirono attendere l'anno seguente(501=253) per fare una spedizione in Africa, non già persbarcarvi, ma solo per compiervi una scorreria e metterea taglia e a sacco le città del litorale.L'impresa non incontrò molte difficoltà, ma dopo cheessi, nelle acque della piccola Sirte, non conosciute dailoro piloti ebbero incagliato nei bassifondi, dai quali sidisincagliarono a fatica, la flotta fu colta tra la Sicilia el'Italia da una tempesta, nella quale andarono perdute150 navi romane; e anche questa volta i piloti erano staticostretti dai consoli ad attraversare il mare aperto perandare da Panormo ad Ostia invece di costeggiare, comeessi pregavano ed ammonivano per le condizioni deltempo.

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dalla parte di mare espugnò Panormo, la più considere-vole città della Sicilia cartaginese, onde quasi al tempostesso caddero nelle mani dei Romani le piazze minoriSolus, Kephalaedium, Tyndaris, e su tutta la costa set-tentrionale dell'isola rimase in potere de' Cartaginesi lasola Thermae.Panormo divenne d'allora in poi una delle principali sta-zioni dei Romani in Sicilia.Ma per terra si guerreggiava fiaccamente: i due esercitisi erano ridotti intorno a Lilibeo; i duci romani, che nonsapevano come difendersi contro la massa degli elefanti,non fecero alcun tentativo per venire ad una battaglia ri-solutiva. Invece di approfittare della fortuna propizia inSicilia, i consoli preferirono attendere l'anno seguente(501=253) per fare una spedizione in Africa, non già persbarcarvi, ma solo per compiervi una scorreria e metterea taglia e a sacco le città del litorale.L'impresa non incontrò molte difficoltà, ma dopo cheessi, nelle acque della piccola Sirte, non conosciute dailoro piloti ebbero incagliato nei bassifondi, dai quali sidisincagliarono a fatica, la flotta fu colta tra la Sicilia el'Italia da una tempesta, nella quale andarono perdute150 navi romane; e anche questa volta i piloti erano staticostretti dai consoli ad attraversare il mare aperto perandare da Panormo ad Ostia invece di costeggiare, comeessi pregavano ed ammonivano per le condizioni deltempo.

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I senatori a questa notizia, scoraggiati, decisero di ridur-re la flotta a sole 60 vele e di limitare la guerra maritti-ma a difender le coste e scortare le navi mercantili.Per buona sorte la guerra, che fino allora si era condottafiaccamente in Sicilia, prese a un tratto una piega più fa-vorevole. Dopo che nell'anno 502=252 erano venute inpotere dei Romani Thermae, ultima località possedutadai Cartaginesi sulla costa settentrionale, e l'importanteisola Lipara, il console Gaio Cecilio Metello riportòl'anno seguente una splendida vittoria sull'esercito carta-ginese, o piuttosto sugli elefanti (estate 503=251), sottole mura di Panormo.Questi animali, cacciati innanzi incautamente, furonorespinti dalle truppe leggere dei Romani appostate neifossati della città, e parte precipitò nelle fosse, parte sivolse contro gli stessi padroni, che, in gran confusione,insieme colle belve, ripiegarono verso la spiaggia cer-cando salvezza sulle navi fenicie.Furono presi 120 elefanti, e l'esercito cartaginese, la cuiforza era riposta in questi animali, fu costretto a chiu-dersi di nuovo nelle fortezze.Espugnata dai Romani anche Erice (505=249), ormainon rimanevano più ai Cartaginesi, in tutta l'isola, cheDrepana (Trapani) e Lilibeo (Marsala). Cartagine offrìper la seconda volta la pace; ma la vittoria di Metello ela stanchezza del nemico fecero prevalere in senato ilpartito più energico.

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I senatori a questa notizia, scoraggiati, decisero di ridur-re la flotta a sole 60 vele e di limitare la guerra maritti-ma a difender le coste e scortare le navi mercantili.Per buona sorte la guerra, che fino allora si era condottafiaccamente in Sicilia, prese a un tratto una piega più fa-vorevole. Dopo che nell'anno 502=252 erano venute inpotere dei Romani Thermae, ultima località possedutadai Cartaginesi sulla costa settentrionale, e l'importanteisola Lipara, il console Gaio Cecilio Metello riportòl'anno seguente una splendida vittoria sull'esercito carta-ginese, o piuttosto sugli elefanti (estate 503=251), sottole mura di Panormo.Questi animali, cacciati innanzi incautamente, furonorespinti dalle truppe leggere dei Romani appostate neifossati della città, e parte precipitò nelle fosse, parte sivolse contro gli stessi padroni, che, in gran confusione,insieme colle belve, ripiegarono verso la spiaggia cer-cando salvezza sulle navi fenicie.Furono presi 120 elefanti, e l'esercito cartaginese, la cuiforza era riposta in questi animali, fu costretto a chiu-dersi di nuovo nelle fortezze.Espugnata dai Romani anche Erice (505=249), ormainon rimanevano più ai Cartaginesi, in tutta l'isola, cheDrepana (Trapani) e Lilibeo (Marsala). Cartagine offrìper la seconda volta la pace; ma la vittoria di Metello ela stanchezza del nemico fecero prevalere in senato ilpartito più energico.

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La pace fu rifiutata e si decise di stringere con ognimezzo l'assedio delle due città siciliane rimaste a Carta-gine, e di mettere in mare, a tale scopo, un'altra flotta di200 vele.

11. Assedio di Lilibeo.L'assedio di Lilibeo, il primo regolare grande assedioche Roma intraprendesse, ed uno dei più accaniti che lastoria conosca, fu iniziato dai Romani con un importan-te successo, essendo riuscita la loro flotta a penetrare nelporto e a bloccare la città dalla parte del mare.Ma agli assedianti non fu possibile tuttavia chiudere tut-te le vie. Malgrado le palizzate e le ostruzioni compiutecon navi affondate, malgrado la più severa vigilanza, tragli assediati e la flotta cartaginese nel porto di Trapani,per il tramite di esperti piloti, si mantenevano regolaricomunicazioni; anzi, dopo qualche tempo, una squadracartaginese di 50 vele potè penetrare nel porto, provve-dere largamente di viveri la città, rafforzare con 10.000uomini il presidio e ritornarsene senza essere molestata.Non era molto più fortunato l'esercito assediante dallaparte di terra. Si cominciò l'assedio con un attacco rego-lare e furono poste in opera le macchine da guerra, chein breve atterrarono sei torri murate, praticando una lar-ga breccia, ma il valente generale cartaginese Imilconerese vano questo attacco facendo alzare un secondo ter-rapieno dietro la breccia. E anche un tentativo fatto daiRomani per corrompere la guarnigione, fu sventato.

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La pace fu rifiutata e si decise di stringere con ognimezzo l'assedio delle due città siciliane rimaste a Carta-gine, e di mettere in mare, a tale scopo, un'altra flotta di200 vele.

11. Assedio di Lilibeo.L'assedio di Lilibeo, il primo regolare grande assedioche Roma intraprendesse, ed uno dei più accaniti che lastoria conosca, fu iniziato dai Romani con un importan-te successo, essendo riuscita la loro flotta a penetrare nelporto e a bloccare la città dalla parte del mare.Ma agli assedianti non fu possibile tuttavia chiudere tut-te le vie. Malgrado le palizzate e le ostruzioni compiutecon navi affondate, malgrado la più severa vigilanza, tragli assediati e la flotta cartaginese nel porto di Trapani,per il tramite di esperti piloti, si mantenevano regolaricomunicazioni; anzi, dopo qualche tempo, una squadracartaginese di 50 vele potè penetrare nel porto, provve-dere largamente di viveri la città, rafforzare con 10.000uomini il presidio e ritornarsene senza essere molestata.Non era molto più fortunato l'esercito assediante dallaparte di terra. Si cominciò l'assedio con un attacco rego-lare e furono poste in opera le macchine da guerra, chein breve atterrarono sei torri murate, praticando una lar-ga breccia, ma il valente generale cartaginese Imilconerese vano questo attacco facendo alzare un secondo ter-rapieno dietro la breccia. E anche un tentativo fatto daiRomani per corrompere la guarnigione, fu sventato.

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Anzi riuscì ai Cartaginesi d'incendiare, in una notte pro-cellosa, le macchine da guerra dei Romani dopo chequesti ebbero respinta la prima loro sortita. I Romani al-lora desistettero dal pensiero di espugnare la città e siaccontentarono di bloccarla per mare e per terra.La speranza di un successo era quindi assai remota, al-meno finchè non si fosse potuto impedire interamente ilpasso alle navi nemiche. Nè l'esercito assediante si tro-vava dal lato di terra in condizioni molto migliori degliassediati, giacchè la forte ed audace cavalleria leggeradei Cartaginesi ne impediva spesso il rifornimento, e lemalattie contagiose, fomentate dall'insalubrità dei luo-ghi, decimavano le milizie.L'espugnazione di Lilibeo era nondimeno tanto impor-tante, da consigliare a durare pazientemente nella labo-riosa impresa, la quale col tempo doveva riescire a buonfine.Ma al nuovo console Publio Claudio parve che fossecosa troppo indegna di lui rimanersene ozioso a blocca-re Lilibeo: volle mutare nuovamente il piano di guerra, epensò di sorprendere colla sua flotta, appena riorganiz-zata, i Cartaginesi ormeggiati nel vicino porto di Trapa-ni. Partito a mezzo la notte con tutte le navi che eranodavanti a Lilibeo e rafforzate le ciurme con volontaridelle legioni, giunse in bell'ordine al levar del sole di-nanzi a Trapani coll'ala dritta verso terra e la sinistra inalto mare. Guidava la flotta cartaginese il comandanteAtarba. Benchè sorpreso, egli non si sgomentò e non si

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Anzi riuscì ai Cartaginesi d'incendiare, in una notte pro-cellosa, le macchine da guerra dei Romani dopo chequesti ebbero respinta la prima loro sortita. I Romani al-lora desistettero dal pensiero di espugnare la città e siaccontentarono di bloccarla per mare e per terra.La speranza di un successo era quindi assai remota, al-meno finchè non si fosse potuto impedire interamente ilpasso alle navi nemiche. Nè l'esercito assediante si tro-vava dal lato di terra in condizioni molto migliori degliassediati, giacchè la forte ed audace cavalleria leggeradei Cartaginesi ne impediva spesso il rifornimento, e lemalattie contagiose, fomentate dall'insalubrità dei luo-ghi, decimavano le milizie.L'espugnazione di Lilibeo era nondimeno tanto impor-tante, da consigliare a durare pazientemente nella labo-riosa impresa, la quale col tempo doveva riescire a buonfine.Ma al nuovo console Publio Claudio parve che fossecosa troppo indegna di lui rimanersene ozioso a blocca-re Lilibeo: volle mutare nuovamente il piano di guerra, epensò di sorprendere colla sua flotta, appena riorganiz-zata, i Cartaginesi ormeggiati nel vicino porto di Trapa-ni. Partito a mezzo la notte con tutte le navi che eranodavanti a Lilibeo e rafforzate le ciurme con volontaridelle legioni, giunse in bell'ordine al levar del sole di-nanzi a Trapani coll'ala dritta verso terra e la sinistra inalto mare. Guidava la flotta cartaginese il comandanteAtarba. Benchè sorpreso, egli non si sgomentò e non si

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lasciò serrare nel porto, ma mentre le navi romane entra-vano bordeggiando la costa, a forma di falce, egli uscìdalla parte della marina ancora libera, e si schierò in li-nea di battaglia.Al comandante romano null'altro rimaneva da fare senon richiamare colla maggiore sollecitudine le navi piùavanzate nel porto e ordinarle egualmente in battaglia;ma questo movimento gli fece perdere la libera sceltadella posizione e lo obbligò ad accettare la battaglia inuna linea avanzata di cinque navi dalla linea nemica, ve-nendo così a trovarsi serrato contro la riva in modo chele sue navi non potevano nè retrocedere nè portarsi aiutol'una all'altra veleggiando dietro la linea.La battaglia non solo era perduta prima che comincias-se, ma la flotta romana si trovò talmente avviluppata,che cadde quasi tutta nelle mani del nemico.Il console si sottrasse colla fuga; ma 93 navi romane,più che tre quarti del naviglio che bloccava Lilibeo, colfiore delle legioni a bordo, caddero nelle mani dei Feni-ci.Fu questa la prima e l'unica grande vittoria navale che iCartaginesi abbiano riportato sui Romani.Lilibeo era di fatto libera dalla parte del mare, poichè,sebbene i resti della flotta romana fossero ritornati nellaloro primitiva posizione, essi erano però allora così ri-dotti, che non potevano sperare nè di chiudere il porto edi far quello che prima la flotta intera non aveva potuto,

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lasciò serrare nel porto, ma mentre le navi romane entra-vano bordeggiando la costa, a forma di falce, egli uscìdalla parte della marina ancora libera, e si schierò in li-nea di battaglia.Al comandante romano null'altro rimaneva da fare senon richiamare colla maggiore sollecitudine le navi piùavanzate nel porto e ordinarle egualmente in battaglia;ma questo movimento gli fece perdere la libera sceltadella posizione e lo obbligò ad accettare la battaglia inuna linea avanzata di cinque navi dalla linea nemica, ve-nendo così a trovarsi serrato contro la riva in modo chele sue navi non potevano nè retrocedere nè portarsi aiutol'una all'altra veleggiando dietro la linea.La battaglia non solo era perduta prima che comincias-se, ma la flotta romana si trovò talmente avviluppata,che cadde quasi tutta nelle mani del nemico.Il console si sottrasse colla fuga; ma 93 navi romane,più che tre quarti del naviglio che bloccava Lilibeo, colfiore delle legioni a bordo, caddero nelle mani dei Feni-ci.Fu questa la prima e l'unica grande vittoria navale che iCartaginesi abbiano riportato sui Romani.Lilibeo era di fatto libera dalla parte del mare, poichè,sebbene i resti della flotta romana fossero ritornati nellaloro primitiva posizione, essi erano però allora così ri-dotti, che non potevano sperare nè di chiudere il porto edi far quello che prima la flotta intera non aveva potuto,

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nè di difendersi dalle navi cartaginesi senza l'aiutodell'esercito.Così l'imprudenza d'un generale inesperto e temerarioaveva fatto perdere tutti i vantaggi penosamente ottenutiin un lungo e micidiale assedio: l'imbecillità del suo col-lega non tardò molto a mandare a perdizione anche il re-sto della flotta romana.Il secondo console Lucio Giunio Pullo, che aveva rice-vuto ordine di far caricare a Siracusa le provvigioni de-stinate all'esercito assediante Lilibeo e di scortare lenavi onerarie colla seconda flotta romana composta di120 navi da guerra lungo la costa meridionale dell'isola,commise il grave errore di lasciar partire senza scorta ilprimo convoglio e di scortare più tardi soltanto il secon-do.Allorchè il vice comandante cartaginese Cartalo, il qua-le con cento navi scelte bloccava la flotta romana nelporto di Lilibeo, ne ebbe notizia, si volse subito alle co-ste meridionali dell'isola, e, frappostosi fra le due squa-dre romane, le divise e le costrinse a rifugiarsi nelle duerade inospitali di Gela e di Camarina.Gli attacchi dei Cartaginesi furono, non vi è dubbio, re-spinti con grande valore dai Romani rinfrancati dalle di-fese costiere, di cui erano muniti quei porti e tutta laspiaggia; ma siccome ai Romani non fu possibile di riu-nire le loro squadre e continuare il viaggio, Cartalo po-teva con tutta sicurezza lasciar che il mare compisse

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nè di difendersi dalle navi cartaginesi senza l'aiutodell'esercito.Così l'imprudenza d'un generale inesperto e temerarioaveva fatto perdere tutti i vantaggi penosamente ottenutiin un lungo e micidiale assedio: l'imbecillità del suo col-lega non tardò molto a mandare a perdizione anche il re-sto della flotta romana.Il secondo console Lucio Giunio Pullo, che aveva rice-vuto ordine di far caricare a Siracusa le provvigioni de-stinate all'esercito assediante Lilibeo e di scortare lenavi onerarie colla seconda flotta romana composta di120 navi da guerra lungo la costa meridionale dell'isola,commise il grave errore di lasciar partire senza scorta ilprimo convoglio e di scortare più tardi soltanto il secon-do.Allorchè il vice comandante cartaginese Cartalo, il qua-le con cento navi scelte bloccava la flotta romana nelporto di Lilibeo, ne ebbe notizia, si volse subito alle co-ste meridionali dell'isola, e, frappostosi fra le due squa-dre romane, le divise e le costrinse a rifugiarsi nelle duerade inospitali di Gela e di Camarina.Gli attacchi dei Cartaginesi furono, non vi è dubbio, re-spinti con grande valore dai Romani rinfrancati dalle di-fese costiere, di cui erano muniti quei porti e tutta laspiaggia; ma siccome ai Romani non fu possibile di riu-nire le loro squadre e continuare il viaggio, Cartalo po-teva con tutta sicurezza lasciar che il mare compisse

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l'opera da lui incominciata.La prima tempesta che sopravvenne distrusse ambeduele squadre romane, che avevano dato fondo in quellemalsicure rade; mentre il comandante fenicio, stando allargo colle sue navi non cariche e ben governate, ne uscìilleso. I Romani salvarono però quasi interamente l'equi-paggio ed il loro carico (505=249).

12. Perplessità dei Romani.Il senato romano, dopo questi fatti, rimase in grave per-plessità. La guerra durava da sedici anni e pareva che lafine ne fosse più lontana di ciò che era sembrato nel pri-mo anno. Si erano perdute quattro grandi flotte, dellequali tre avevano a bordo eserciti; un quarto esercito,fiore di milizia, era stato distrutto dal nemico nella Li-bia, senza contare le perdite prodotte dai corsari, dagliscontri alla spicciolata, dalle battaglie sostenute in Sici-lia, dalle innumerevoli guerriglie e dalle epidemie.Quello che la guerra sia costata a Roma si rileva facil-mente dal fatto, che il censimento della popolazionesolo dal 502 al 507=252 al 247 diminuì di circa 40.000anime, che è come dire la sesta parte della popolazione;e in questo calcolo non sono comprese le perdite deglialleati, che portarono soli tutto il peso della guerra ma-rittima e nello stesso tempo parteciparono, almenoquanto i Romani, alla guerra terrestre.Non è possibile farsi un'idea delle perdite finanziarie,

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l'opera da lui incominciata.La prima tempesta che sopravvenne distrusse ambeduele squadre romane, che avevano dato fondo in quellemalsicure rade; mentre il comandante fenicio, stando allargo colle sue navi non cariche e ben governate, ne uscìilleso. I Romani salvarono però quasi interamente l'equi-paggio ed il loro carico (505=249).

12. Perplessità dei Romani.Il senato romano, dopo questi fatti, rimase in grave per-plessità. La guerra durava da sedici anni e pareva che lafine ne fosse più lontana di ciò che era sembrato nel pri-mo anno. Si erano perdute quattro grandi flotte, dellequali tre avevano a bordo eserciti; un quarto esercito,fiore di milizia, era stato distrutto dal nemico nella Li-bia, senza contare le perdite prodotte dai corsari, dagliscontri alla spicciolata, dalle battaglie sostenute in Sici-lia, dalle innumerevoli guerriglie e dalle epidemie.Quello che la guerra sia costata a Roma si rileva facil-mente dal fatto, che il censimento della popolazionesolo dal 502 al 507=252 al 247 diminuì di circa 40.000anime, che è come dire la sesta parte della popolazione;e in questo calcolo non sono comprese le perdite deglialleati, che portarono soli tutto il peso della guerra ma-rittima e nello stesso tempo parteciparono, almenoquanto i Romani, alla guerra terrestre.Non è possibile farsi un'idea delle perdite finanziarie,

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ma è facile immaginare come debba essere stato gravis-simo tanto il danno diretto cagionato all'erario pubblicodalla perdita delle navi e del materiale, quanto il dannoderivante dal ristagno del commercio.Ma quel che rendeva più grave la situazione era che tuttii mezzi coi quali si sarebbe potuta ultimare la guerraerano esauriti.Si era tentato uno sbarco in Africa con un esercito vali-do e già favorito dalla vittoria, e il colpo era andato fal-lito. Si era cominciato a ventilare il piano di espugnareuna dopo l'altra le fortezze cartaginesi nella Sicilia; perle piccole fortezze la cosa era riuscita, ma le due piùconsiderevoli, Lilibeo e Trapani, s'erano dimostrate piùche mai imprendibili. I senatori si persero d'animo; essilasciarono andare le cose come potevano, benchè sapes-sero benissimo, che una guerra prolungata all'infinito esenza scopo, riuscirebbe all'Italia più rovinosa assaid'uno sforzo supremo per farla finita; ma mancava loroil coraggio e la fiducia nel popolo e nella fortuna per do-mandare nuovi sacrifici, dopo che già s'erano inutilmen-te logorate tante forze e tanti denari.Venuti a questa decisione, licenziarono la flotta, ridusse-ro la guerra marittima ad azioni di pirateria, e a questoscopo furono concesse ai capitani, che volessero perproprio conto uscir in mare, le navi da guerra dello sta-to.In Sicilia si continuò la guerra perchè altro non si poteva

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ma è facile immaginare come debba essere stato gravis-simo tanto il danno diretto cagionato all'erario pubblicodalla perdita delle navi e del materiale, quanto il dannoderivante dal ristagno del commercio.Ma quel che rendeva più grave la situazione era che tuttii mezzi coi quali si sarebbe potuta ultimare la guerraerano esauriti.Si era tentato uno sbarco in Africa con un esercito vali-do e già favorito dalla vittoria, e il colpo era andato fal-lito. Si era cominciato a ventilare il piano di espugnareuna dopo l'altra le fortezze cartaginesi nella Sicilia; perle piccole fortezze la cosa era riuscita, ma le due piùconsiderevoli, Lilibeo e Trapani, s'erano dimostrate piùche mai imprendibili. I senatori si persero d'animo; essilasciarono andare le cose come potevano, benchè sapes-sero benissimo, che una guerra prolungata all'infinito esenza scopo, riuscirebbe all'Italia più rovinosa assaid'uno sforzo supremo per farla finita; ma mancava loroil coraggio e la fiducia nel popolo e nella fortuna per do-mandare nuovi sacrifici, dopo che già s'erano inutilmen-te logorate tante forze e tanti denari.Venuti a questa decisione, licenziarono la flotta, ridusse-ro la guerra marittima ad azioni di pirateria, e a questoscopo furono concesse ai capitani, che volessero perproprio conto uscir in mare, le navi da guerra dello sta-to.In Sicilia si continuò la guerra perchè altro non si poteva

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fare, ma guerra di nome, in cui si tenevano d'occhio lefortezze cartaginesi e si conservavano a stento le roma-ne; cosa di poco frutto e che nondimeno, senza l'appog-gio d'una flotta, richiedeva numerosissime milizie e co-stosissimi apparecchi.Se vi fu momento in cui Cartagine poteva abbassare lapotente sua rivale, fu quello.Non c'è dubbio che anche Cartagine doveva sentirsispossata; ma per ben altra ragione; poichè ai Cartaginesile guerre non costavano quasi altro che danaro, e le fi-nanze fenicie non potevano essere così esauste da nonpermettere ai Cartaginesi di continuare con vigore unaguerra offensiva.Ma il governo cartaginese era debole e rilassato ognivolta che non fosse spronato dal miraggio d'un lucro fa-cile e sicuro, o spinto dall'estrema necessità. Contento dinon aver più addosso la flotta romana, trascurò stolta-mente la propria, e, seguendo l'esempio della sua nemi-ca, cominciò a rallentare la guerra, limitandosi a scorre-rie per terra e per mare nella Sicilia e sui lidi vicini.Così trascorsero sei anni (506-511=248-243) senza unfatto degno di essere ricordato, gli anni più ingloriosiche si riscontrino nella storia romana di questo secolo, enon meno ingloriosi anche per i Cartaginesi. Ma tra que-sti viveva un uomo, per altezza di pensiero e fortezzad'animo, assai diverso dai suoi improvvidi cittadini.

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fare, ma guerra di nome, in cui si tenevano d'occhio lefortezze cartaginesi e si conservavano a stento le roma-ne; cosa di poco frutto e che nondimeno, senza l'appog-gio d'una flotta, richiedeva numerosissime milizie e co-stosissimi apparecchi.Se vi fu momento in cui Cartagine poteva abbassare lapotente sua rivale, fu quello.Non c'è dubbio che anche Cartagine doveva sentirsispossata; ma per ben altra ragione; poichè ai Cartaginesile guerre non costavano quasi altro che danaro, e le fi-nanze fenicie non potevano essere così esauste da nonpermettere ai Cartaginesi di continuare con vigore unaguerra offensiva.Ma il governo cartaginese era debole e rilassato ognivolta che non fosse spronato dal miraggio d'un lucro fa-cile e sicuro, o spinto dall'estrema necessità. Contento dinon aver più addosso la flotta romana, trascurò stolta-mente la propria, e, seguendo l'esempio della sua nemi-ca, cominciò a rallentare la guerra, limitandosi a scorre-rie per terra e per mare nella Sicilia e sui lidi vicini.Così trascorsero sei anni (506-511=248-243) senza unfatto degno di essere ricordato, gli anni più ingloriosiche si riscontrino nella storia romana di questo secolo, enon meno ingloriosi anche per i Cartaginesi. Ma tra que-sti viveva un uomo, per altezza di pensiero e fortezzad'animo, assai diverso dai suoi improvvidi cittadini.

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13. Amilcare Barca.Era questi Amilcare Barca o Barcas (che significa bale-no), giovane ufficiale di grandi speranze, il quale nel507=247 assunse il supremo comando della Sicilia.Difettava il suo esercito, come in generale tutti gli eser-citi cartaginesi, di fanteria solida ed agguerrita. Il gover-no avrebbe forse potuto trovare un rimedio, e ad ognimodo avrebbe dovuto cercarlo, ma invece si accontenta-va di studiare la causa delle sconfitte e tutt'al più di farecrucifiggere i generali che si lasciassero battere.Amilcare decise di fare da sè. Egli ben sapeva che i suoimercenari non avevano maggiore simpatia per Cartagineche per Roma, e che non aveva da aspettarsi dal suo go-verno coscritti fenici o libici, ma gli sarebbe stata appe-na concessa la facoltà di salvare la patria, levando a suonome soldati e senza cagionare alcuna spesa al pubblicoerario.Ma egli aveva anche la coscienza di sè e conosceva gliuomini. Non poteva porsi in dubbio l'indifferenza deisoldati di ventura di Cartagine; ma il buon capitano,dove manca l'amor di patria, sa ispirare alla sua gentel'affetto per la propria persona, e così fece il giovane ge-nerale.Dopo avere, con sortite alla spicciolata sotto le mura diTrapani e di Lilibeo, abituati i suoi a guardar in faccia ilegionari, piantò il campo sul monte Erkte (monte Pelle-grino, presso Palermo), che, simile ad una fortezza, do-

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13. Amilcare Barca.Era questi Amilcare Barca o Barcas (che significa bale-no), giovane ufficiale di grandi speranze, il quale nel507=247 assunse il supremo comando della Sicilia.Difettava il suo esercito, come in generale tutti gli eser-citi cartaginesi, di fanteria solida ed agguerrita. Il gover-no avrebbe forse potuto trovare un rimedio, e ad ognimodo avrebbe dovuto cercarlo, ma invece si accontenta-va di studiare la causa delle sconfitte e tutt'al più di farecrucifiggere i generali che si lasciassero battere.Amilcare decise di fare da sè. Egli ben sapeva che i suoimercenari non avevano maggiore simpatia per Cartagineche per Roma, e che non aveva da aspettarsi dal suo go-verno coscritti fenici o libici, ma gli sarebbe stata appe-na concessa la facoltà di salvare la patria, levando a suonome soldati e senza cagionare alcuna spesa al pubblicoerario.Ma egli aveva anche la coscienza di sè e conosceva gliuomini. Non poteva porsi in dubbio l'indifferenza deisoldati di ventura di Cartagine; ma il buon capitano,dove manca l'amor di patria, sa ispirare alla sua gentel'affetto per la propria persona, e così fece il giovane ge-nerale.Dopo avere, con sortite alla spicciolata sotto le mura diTrapani e di Lilibeo, abituati i suoi a guardar in faccia ilegionari, piantò il campo sul monte Erkte (monte Pelle-grino, presso Palermo), che, simile ad una fortezza, do-

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minava il circostante paese, lasciando che i mercenari,che seguivano le sue bandiere, venissero a stabilirvisiinsieme colle mogli e coi figli, e che compissero scorre-rie nel paese mentre le navi fenicie taglieggiavano sinoa Cuma le città italiche rivierasche.A questo modo egli manteneva l'abbondanza nel suocampo senza chiedere un soldo ai Cartaginesi, e, conser-vando per mare le comunicazioni con Trapani, minac-ciava di riprendere, alla prima occasione, l'importantecittà di Palermo.I Romani non solo non riuscirono a scacciarlo da quellasua rocca, ma dopo che la lotta ebbe durato per qualchetempo intorno al monte Pellegrino, Amilcare si fece unaltro nido sul monte Erice. Questo monte, che a metàdell'erta portava la città d'Erice, e sulla cima il tempio diAfrodite, era stato fino allora in possesso dei Romani, edi là essi molestavano Trapani.Amilcare espugnò la città e assediò il tempio, mentre iRomani, alla lor volta, dalla pianura, assediarono Amil-care sul monte.I disertori celti dell'esercito cartaginese – una masnadadi predoni che i Romani mandarono a quel posto perico-losissimo del tempio, e che durante l'assedio lo saccheg-giarono e commisero ogni sorta di laidezze – difesero lavetta d'Erice con coraggio di disperati; ma nemmenoAmilcare abbandonò la città e seppe da quel posto man-tenere sempre le comunicazioni per mare colla flotta e

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minava il circostante paese, lasciando che i mercenari,che seguivano le sue bandiere, venissero a stabilirvisiinsieme colle mogli e coi figli, e che compissero scorre-rie nel paese mentre le navi fenicie taglieggiavano sinoa Cuma le città italiche rivierasche.A questo modo egli manteneva l'abbondanza nel suocampo senza chiedere un soldo ai Cartaginesi, e, conser-vando per mare le comunicazioni con Trapani, minac-ciava di riprendere, alla prima occasione, l'importantecittà di Palermo.I Romani non solo non riuscirono a scacciarlo da quellasua rocca, ma dopo che la lotta ebbe durato per qualchetempo intorno al monte Pellegrino, Amilcare si fece unaltro nido sul monte Erice. Questo monte, che a metàdell'erta portava la città d'Erice, e sulla cima il tempio diAfrodite, era stato fino allora in possesso dei Romani, edi là essi molestavano Trapani.Amilcare espugnò la città e assediò il tempio, mentre iRomani, alla lor volta, dalla pianura, assediarono Amil-care sul monte.I disertori celti dell'esercito cartaginese – una masnadadi predoni che i Romani mandarono a quel posto perico-losissimo del tempio, e che durante l'assedio lo saccheg-giarono e commisero ogni sorta di laidezze – difesero lavetta d'Erice con coraggio di disperati; ma nemmenoAmilcare abbandonò la città e seppe da quel posto man-tenere sempre le comunicazioni per mare colla flotta e

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col presidio di Trapani.La guerra siciliana sembrava prendere un aspetto sem-pre più sfavorevole per i Romani; Roma vi sciupava ilsuo denaro e vi sacrificava i suoi soldati, ed i generali viperdevano il loro onore.Si vedeva chiaro che nessuno di essi poteva stare a fron-te d'Amilcare, e già si prevedeva non lontano il momen-to in cui il mercenario cartaginese avrebbe potuto ardita-mente misurarsi col legionario. I corsari d'Amilcare simostravano sempre più temerari sul litorale italico; iRomani già erano stati costretti ad inviare un pretorecontro una banda di scorridori cartaginesi che aveva fat-to uno sbarco.Alcuni anni ancora e Amilcare avrebbe fatto colla suaflotta, partendo dalla Sicilia, quello che poi fece per viadi terra suo figlio partendo dalla Spagna.

14. Una nuova flotta romana.Il senato romano perseverava frattanto nella sua inazio-ne; il partito dei pusillanimi vi aveva la maggioranza.Stando così le cose, alcuni uomini avveduti e generosideliberarono di salvare la patria e di porre fine alla ma-laugurata guerra siciliana senza aspettare che il governovi si risolvesse.Le avventurose spedizioni dei corsari avevano, se nonridestato il coraggio della nazione, almeno risollevata laenergia e la speranza nei più valorosi e nei più speri-

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col presidio di Trapani.La guerra siciliana sembrava prendere un aspetto sem-pre più sfavorevole per i Romani; Roma vi sciupava ilsuo denaro e vi sacrificava i suoi soldati, ed i generali viperdevano il loro onore.Si vedeva chiaro che nessuno di essi poteva stare a fron-te d'Amilcare, e già si prevedeva non lontano il momen-to in cui il mercenario cartaginese avrebbe potuto ardita-mente misurarsi col legionario. I corsari d'Amilcare simostravano sempre più temerari sul litorale italico; iRomani già erano stati costretti ad inviare un pretorecontro una banda di scorridori cartaginesi che aveva fat-to uno sbarco.Alcuni anni ancora e Amilcare avrebbe fatto colla suaflotta, partendo dalla Sicilia, quello che poi fece per viadi terra suo figlio partendo dalla Spagna.

14. Una nuova flotta romana.Il senato romano perseverava frattanto nella sua inazio-ne; il partito dei pusillanimi vi aveva la maggioranza.Stando così le cose, alcuni uomini avveduti e generosideliberarono di salvare la patria e di porre fine alla ma-laugurata guerra siciliana senza aspettare che il governovi si risolvesse.Le avventurose spedizioni dei corsari avevano, se nonridestato il coraggio della nazione, almeno risollevata laenergia e la speranza nei più valorosi e nei più speri-

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mentati; già si erano formate compagnie che avevanoarsa Ippona, sulla costa dell'Africa, e data felicementeuna battaglia navale ai Cartaginesi nelle acque di Paler-mo.Per sottoscrizione privata – come già s'era fatto in Ate-ne, ma in proporzioni assai maggiori – i Romani dovi-ziosi e generosi, allestirono una flotta. Le navi costruiteper il servizio dei corsari e gli equipaggi già esperti inquelle rischiose imprese ne componevano il nerbo; siebbe inoltre cura che le navi riuscissero migliori di quel-le fino allora costruite per conto dello stato.Questo fatto, che cioè una associazione di cittadini,dopo una guerra disastrosa e che durava già da 23 anni,offrisse spontaneamente allo stato una flotta di 200 navidi linea con un equipaggio di 60.000 marinai, non haforse riscontri negli annali della storia.Il console Caio Lutazio Catulo, cui toccò l'onore di gui-dare questa flotta nel mare siciliano, non trovò alcunoche gli impedisse il cammino; quelle poche navi cartagi-nesi, delle quali Amilcare si serviva per corseggiare,scomparvero alla vista della grande flotta, e i Romanioccuparono quasi senza incontrare resistenza i porti diLilibeo e di Trapani, di cui allora si strinse con rinnova-ta lena il blocco per mare e per terra.Cartagine fu sorpresa assolutamente alla sprovvista, e ledue fortezze, scarsamente vettovagliate, erano in gravepericolo.

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mentati; già si erano formate compagnie che avevanoarsa Ippona, sulla costa dell'Africa, e data felicementeuna battaglia navale ai Cartaginesi nelle acque di Paler-mo.Per sottoscrizione privata – come già s'era fatto in Ate-ne, ma in proporzioni assai maggiori – i Romani dovi-ziosi e generosi, allestirono una flotta. Le navi costruiteper il servizio dei corsari e gli equipaggi già esperti inquelle rischiose imprese ne componevano il nerbo; siebbe inoltre cura che le navi riuscissero migliori di quel-le fino allora costruite per conto dello stato.Questo fatto, che cioè una associazione di cittadini,dopo una guerra disastrosa e che durava già da 23 anni,offrisse spontaneamente allo stato una flotta di 200 navidi linea con un equipaggio di 60.000 marinai, non haforse riscontri negli annali della storia.Il console Caio Lutazio Catulo, cui toccò l'onore di gui-dare questa flotta nel mare siciliano, non trovò alcunoche gli impedisse il cammino; quelle poche navi cartagi-nesi, delle quali Amilcare si serviva per corseggiare,scomparvero alla vista della grande flotta, e i Romanioccuparono quasi senza incontrare resistenza i porti diLilibeo e di Trapani, di cui allora si strinse con rinnova-ta lena il blocco per mare e per terra.Cartagine fu sorpresa assolutamente alla sprovvista, e ledue fortezze, scarsamente vettovagliate, erano in gravepericolo.

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A Cartagine si stava allestendo una flotta, ma, per quan-to si accelerasse, l'anno passò senza che in Sicilia si ve-desse giungere una nave cartaginese; quando finalmen-te, nella primavera del 513=241, le navi che si poteronoraggranellare comparvero all'altezza di Trapani, essesembravano piuttosto un naviglio mercantile che nonuna flotta da guerra.I Fenici avevano sperato di poter approdare tranquilla-mente, di poter mettere a terra le provvigioni e di rifor-nirsi delle truppe necessarie per un combattimento nava-le; ma le navi romane sbarrarono loro la via e li obbliga-rono allorchè vollero recarsi dall'isola Santa (ora Marit-tima) a Trapani (10 marzo 513=241), ad accettare batta-glia presso la piccola isola di Egusa (Favignana).L'esito non ne fu dubbio un momento. La flotta romana,ben costruita, ben equipaggiata ed egregiamente direttadal valente pretore Publio Valerio Falto in luogo delconsole Catulo, obbligato ancora a letto da una ferita ri-portata presso Trapani, mise col primo urto lo scompi-glio nelle navi nemiche stracariche e scarsamente e maleequipaggiate; cinquanta ne furono mandate a picco e,colle settanta catturate, i vincitori entrarono nel porto diLilibeo. L'ultimo sforzo fatto dai patriotti romani avevaportato il suo frutto: la vittoria e la pace.

15. Trattato di pace.I Cartaginesi, dopo aver crocifisso il loro sventurato co-mandante – il che non cambiò per nulla le cose – man-

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A Cartagine si stava allestendo una flotta, ma, per quan-to si accelerasse, l'anno passò senza che in Sicilia si ve-desse giungere una nave cartaginese; quando finalmen-te, nella primavera del 513=241, le navi che si poteronoraggranellare comparvero all'altezza di Trapani, essesembravano piuttosto un naviglio mercantile che nonuna flotta da guerra.I Fenici avevano sperato di poter approdare tranquilla-mente, di poter mettere a terra le provvigioni e di rifor-nirsi delle truppe necessarie per un combattimento nava-le; ma le navi romane sbarrarono loro la via e li obbliga-rono allorchè vollero recarsi dall'isola Santa (ora Marit-tima) a Trapani (10 marzo 513=241), ad accettare batta-glia presso la piccola isola di Egusa (Favignana).L'esito non ne fu dubbio un momento. La flotta romana,ben costruita, ben equipaggiata ed egregiamente direttadal valente pretore Publio Valerio Falto in luogo delconsole Catulo, obbligato ancora a letto da una ferita ri-portata presso Trapani, mise col primo urto lo scompi-glio nelle navi nemiche stracariche e scarsamente e maleequipaggiate; cinquanta ne furono mandate a picco e,colle settanta catturate, i vincitori entrarono nel porto diLilibeo. L'ultimo sforzo fatto dai patriotti romani avevaportato il suo frutto: la vittoria e la pace.

15. Trattato di pace.I Cartaginesi, dopo aver crocifisso il loro sventurato co-mandante – il che non cambiò per nulla le cose – man-

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darono al duce siciliano i pieni poteri per far la pace.Amilcare, vedendo frustrate dagli ultimi errori le sue fa-tiche di sette anni, fu d'animo abbastanza grande per nonsacrificare il suo onore militare, e per non abbandonareil suo popolo ed i suoi disegni.La Sicilia non poteva più tenersi perchè i Romani eranopadroni del mare; nè Amilcare poteva sperare che il go-verno cartaginese, il quale aveva tentato invano di rac-cogliere denaro in Egitto per ricostituire l'erario, volessetentare un'altra volta la fortuna per vincere la flotta deiRomani.Egli cedette quindi la Sicilia ai Romani. Fu però ricono-sciuta esplicitamente, nella consueta forma, l'indipen-denza e l'integrità del territorio cartaginese, giacchèRoma si obbligò di non fare trattati separati coi federatidi Cartagine, come Cartagine si era obbligata di non far-li coi federati di Roma, cioè con i rispettivi comuni sog-getti e dipendenti, e nel tempo stesso di non guerreggia-re nè esercitare in questo territorio diritti di sovranità, odi levar soldati nei territori federali della città rivale(9).Quanto alle condizioni secondarie erano, come ben sicomprende, la gratuita restituzione dei prigionieri roma-ni ed il pagamento di una contribuzione di guerra; fuperò risolutamente respinta la pretesa, messa innanzi da

9 Pare abbastanza credibile, che i Cartaginesi dovessero promettere di nonmandar navi da guerra nelle marine della simmachia romana (ZON. 8, 17) –quindi nemmeno a Siracusa e forse nemmeno a Massalia – ma il testo deltrattato non ne parla (POLIB. 3, 27).

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darono al duce siciliano i pieni poteri per far la pace.Amilcare, vedendo frustrate dagli ultimi errori le sue fa-tiche di sette anni, fu d'animo abbastanza grande per nonsacrificare il suo onore militare, e per non abbandonareil suo popolo ed i suoi disegni.La Sicilia non poteva più tenersi perchè i Romani eranopadroni del mare; nè Amilcare poteva sperare che il go-verno cartaginese, il quale aveva tentato invano di rac-cogliere denaro in Egitto per ricostituire l'erario, volessetentare un'altra volta la fortuna per vincere la flotta deiRomani.Egli cedette quindi la Sicilia ai Romani. Fu però ricono-sciuta esplicitamente, nella consueta forma, l'indipen-denza e l'integrità del territorio cartaginese, giacchèRoma si obbligò di non fare trattati separati coi federatidi Cartagine, come Cartagine si era obbligata di non far-li coi federati di Roma, cioè con i rispettivi comuni sog-getti e dipendenti, e nel tempo stesso di non guerreggia-re nè esercitare in questo territorio diritti di sovranità, odi levar soldati nei territori federali della città rivale(9).Quanto alle condizioni secondarie erano, come ben sicomprende, la gratuita restituzione dei prigionieri roma-ni ed il pagamento di una contribuzione di guerra; fuperò risolutamente respinta la pretesa, messa innanzi da

9 Pare abbastanza credibile, che i Cartaginesi dovessero promettere di nonmandar navi da guerra nelle marine della simmachia romana (ZON. 8, 17) –quindi nemmeno a Siracusa e forse nemmeno a Massalia – ma il testo deltrattato non ne parla (POLIB. 3, 27).

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Catulo, che Amilcare consegnasse le armi e i disertoriromani.Catulo rinunziò a questa pretesa e concesse ai Fenici lalibera partenza dalla Sicilia contro la modica taglia delriscatto di 18 danari (L. 15) per testa.Se i Cartaginesi non desideravano di continuare la guer-ra, essi potevano essere contenti di queste condizioni.Quanto al generale romano, può darsi che il naturale de-siderio di apportare alla patria insieme col trionfo lapace, il ricordo del caso di Regolo e della mutabile for-tuna della guerra, la considerazione che lo slancio pa-triottico, di cui quella vittoria era frutto, non si potevanè imporre, nè facilmente ottenerne la ripetizione, efors'anche la personalità di Amilcare, concorsero a farlopieghevole e condiscendente.È certo che a Roma i preliminari della pace non furonobene accolti e l'assemblea del popolo, che probabilmen-te era sotto l'influenza dei patriotti che avevano promos-so l'allestimento dell'ultima flotta, si rifiutò sulle primedi ratificarli.Noi non conosciamo la causa precisa del rifiuto e nonsappiamo quindi se gli oppositori volessero con ciò ob-bligare il nemico a maggiori concessioni, o perchè, ri-cordandosi che Regolo aveva domandato a Cartagine larinunzia alla sua indipendenza politica, fossero decisi acontinuare la guerra fino a conseguire quest'intento.Se il rifiuto fu un artifizio per ottenere più larghe con-

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Catulo, che Amilcare consegnasse le armi e i disertoriromani.Catulo rinunziò a questa pretesa e concesse ai Fenici lalibera partenza dalla Sicilia contro la modica taglia delriscatto di 18 danari (L. 15) per testa.Se i Cartaginesi non desideravano di continuare la guer-ra, essi potevano essere contenti di queste condizioni.Quanto al generale romano, può darsi che il naturale de-siderio di apportare alla patria insieme col trionfo lapace, il ricordo del caso di Regolo e della mutabile for-tuna della guerra, la considerazione che lo slancio pa-triottico, di cui quella vittoria era frutto, non si potevanè imporre, nè facilmente ottenerne la ripetizione, efors'anche la personalità di Amilcare, concorsero a farlopieghevole e condiscendente.È certo che a Roma i preliminari della pace non furonobene accolti e l'assemblea del popolo, che probabilmen-te era sotto l'influenza dei patriotti che avevano promos-so l'allestimento dell'ultima flotta, si rifiutò sulle primedi ratificarli.Noi non conosciamo la causa precisa del rifiuto e nonsappiamo quindi se gli oppositori volessero con ciò ob-bligare il nemico a maggiori concessioni, o perchè, ri-cordandosi che Regolo aveva domandato a Cartagine larinunzia alla sua indipendenza politica, fossero decisi acontinuare la guerra fino a conseguire quest'intento.Se il rifiuto fu un artifizio per ottenere più larghe con-

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cessioni, esso era, probabilmente, un errore, poichè difronte all'acquisto della Sicilia ogni altra concessioneaveva poca importanza, nè si poteva, senza correre granrischio, giuocare, per qualche utile secondario, tutto ilguadagno principale, specialmente avendo da fare conun uomo risoluto e pieno di risorse quale era Amilcare.Se poi il partito che osteggiava la pace vedeva nellacompleta distruzione politica di Cartagine la sola ed uni-ca fine della lotta che convenisse alla repubblica roma-na, esso dava con ciò prova del suo avvedimento politi-co e mostrava d'avere il pieno presentimento dell'avve-nire.Quanto alle forze di cui Roma poteva allora disporre perrinnovare la spedizione di Regolo, e se essa fosse in gra-do di aggiungervi quello che bastasse per abbattere nonsolo il coraggio, ma anche le mura della potente capitaledei Fenici, è una domanda a cui nessuno s'arrischierebbeora di rispondere, nè in un senso nè in un altro.Finalmente fu deciso di inviare dei commissari in Siciliaper decidere sul luogo. Essi approvarono nelle parti es-senziali le trattative; solo fu aumentata la somma cheCartagine doveva pagare per le spese di guerra, portan-dola a 3200 talenti (20.400.000 lire) da pagarsi un terzosubito e il resto in dieci rate annuali.Se oltre la cessione della Sicilia fu nel trattato definitivointrodotta anche la cessione delle isole poste tra la Sici-lia e l'Italia, non deve credersi che con ciò si venisse amutare la sostanza dei patti: poichè, se Cartagine cedeva

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cessioni, esso era, probabilmente, un errore, poichè difronte all'acquisto della Sicilia ogni altra concessioneaveva poca importanza, nè si poteva, senza correre granrischio, giuocare, per qualche utile secondario, tutto ilguadagno principale, specialmente avendo da fare conun uomo risoluto e pieno di risorse quale era Amilcare.Se poi il partito che osteggiava la pace vedeva nellacompleta distruzione politica di Cartagine la sola ed uni-ca fine della lotta che convenisse alla repubblica roma-na, esso dava con ciò prova del suo avvedimento politi-co e mostrava d'avere il pieno presentimento dell'avve-nire.Quanto alle forze di cui Roma poteva allora disporre perrinnovare la spedizione di Regolo, e se essa fosse in gra-do di aggiungervi quello che bastasse per abbattere nonsolo il coraggio, ma anche le mura della potente capitaledei Fenici, è una domanda a cui nessuno s'arrischierebbeora di rispondere, nè in un senso nè in un altro.Finalmente fu deciso di inviare dei commissari in Siciliaper decidere sul luogo. Essi approvarono nelle parti es-senziali le trattative; solo fu aumentata la somma cheCartagine doveva pagare per le spese di guerra, portan-dola a 3200 talenti (20.400.000 lire) da pagarsi un terzosubito e il resto in dieci rate annuali.Se oltre la cessione della Sicilia fu nel trattato definitivointrodotta anche la cessione delle isole poste tra la Sici-lia e l'Italia, non deve credersi che con ciò si venisse amutare la sostanza dei patti: poichè, se Cartagine cedeva

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la Sicilia, era naturale che non avesse in animo di ri-prendere il possesso dell'isola Lipara, già da molto tem-po occupata dai Romani; che poi queste ambiguità sisiano lasciate a bello studio nel trattato è un sospetto in-degno ed inverosimile.Finalmente le due parti si accordarono. L'invitto duced'una nazione vinta scese dai suoi monti lungamente di-fesi e consegnò ai nuovi signori dell'isola le fortezzepossedute dai Fenici senza interruzione per il lungo spa-zio di oltre quattrocent'anni e le cui mura avevano re-spinto vittoriosamente tutti gli sforzi degli Elleni.L'occidente era in pace. (513=241).

16. Critica alla tattica dei Romani.Fermiamoci ancora per poco a considerare la guerra cheallargò i confini romani oltre la cerchia del mare che ba-gna la penisola.Essa è una delle più lunghe e più difficili che i Romaniabbiano sostenuto. I soldati che combatterono la batta-glia decisiva, per la massima parte non erano ancor natiquando si cominciarono le prime battaglie.Ciò non pertanto, e malgrado gli avvenimenti incompa-rabilmente grandiosi che la segnalarono, non ve n'è al-cun'altra che i Romani abbiano condotto così male e contanta incertezza, sia nei rispetti militari, sia in quelli po-litici.

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la Sicilia, era naturale che non avesse in animo di ri-prendere il possesso dell'isola Lipara, già da molto tem-po occupata dai Romani; che poi queste ambiguità sisiano lasciate a bello studio nel trattato è un sospetto in-degno ed inverosimile.Finalmente le due parti si accordarono. L'invitto duced'una nazione vinta scese dai suoi monti lungamente di-fesi e consegnò ai nuovi signori dell'isola le fortezzepossedute dai Fenici senza interruzione per il lungo spa-zio di oltre quattrocent'anni e le cui mura avevano re-spinto vittoriosamente tutti gli sforzi degli Elleni.L'occidente era in pace. (513=241).

16. Critica alla tattica dei Romani.Fermiamoci ancora per poco a considerare la guerra cheallargò i confini romani oltre la cerchia del mare che ba-gna la penisola.Essa è una delle più lunghe e più difficili che i Romaniabbiano sostenuto. I soldati che combatterono la batta-glia decisiva, per la massima parte non erano ancor natiquando si cominciarono le prime battaglie.Ciò non pertanto, e malgrado gli avvenimenti incompa-rabilmente grandiosi che la segnalarono, non ve n'è al-cun'altra che i Romani abbiano condotto così male e contanta incertezza, sia nei rispetti militari, sia in quelli po-litici.

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E non poteva essere altrimenti; poichè questa guerra se-gna appunto i limiti della politica italica del piede dicasa, divenuta oramai insufficiente, e della grande poli-tica, di cui ancora non si erano trovate le linee fonda-mentali.Il senato romano e gli ordinamenti militari dei Romanierano preparati in modo insuperabile per la politica pu-ramente italica.Le guerre, fino allora sostenute, erano sempre stateguerre continentali, e la base d'operazioni era semprestata prima la capitale posta nel centro della penisola, epoi la rete delle fortificazioni romane.I piani di guerra erano perciò appoggiati più sulla tatticache sulla strategia; le marce e le combinazioni strategi-che tenevano il secondo posto, le battaglie il primo; laguerra di fortezza era ai suoi primordi; qualche rara vol-ta appena, e per incidenza, si parlava del mare e di guer-ra navale.È facile comprendere, specialmente se si ricordi comenelle battaglie di quei tempi, predominando l'arma bian-ca, l'urto a corpo a corpo e la virtù della mano fosserodecisivi, che un'assemblea di consiglieri poteva essere ingrado di dirigere queste operazioni e colui che era capodella cittadinanza riusciva atto a comandare l'esercito. Aun tratto tutto mutò. Il campo della guerra si allargò aperdita di vista sino ad ignoti paesi d'altre parti del mon-do e a mari lontani; d'ogni parte, da ogni punto del qua-

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E non poteva essere altrimenti; poichè questa guerra se-gna appunto i limiti della politica italica del piede dicasa, divenuta oramai insufficiente, e della grande poli-tica, di cui ancora non si erano trovate le linee fonda-mentali.Il senato romano e gli ordinamenti militari dei Romanierano preparati in modo insuperabile per la politica pu-ramente italica.Le guerre, fino allora sostenute, erano sempre stateguerre continentali, e la base d'operazioni era semprestata prima la capitale posta nel centro della penisola, epoi la rete delle fortificazioni romane.I piani di guerra erano perciò appoggiati più sulla tatticache sulla strategia; le marce e le combinazioni strategi-che tenevano il secondo posto, le battaglie il primo; laguerra di fortezza era ai suoi primordi; qualche rara vol-ta appena, e per incidenza, si parlava del mare e di guer-ra navale.È facile comprendere, specialmente se si ricordi comenelle battaglie di quei tempi, predominando l'arma bian-ca, l'urto a corpo a corpo e la virtù della mano fosserodecisivi, che un'assemblea di consiglieri poteva essere ingrado di dirigere queste operazioni e colui che era capodella cittadinanza riusciva atto a comandare l'esercito. Aun tratto tutto mutò. Il campo della guerra si allargò aperdita di vista sino ad ignoti paesi d'altre parti del mon-do e a mari lontani; d'ogni parte, da ogni punto del qua-

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drante poteva balzar fuori il nemico, in ogni porto pote-va prender terra.I Romani furono obbligati per la prima volta a cimentar-si nell'assedio delle fortezze e principalmente di quelleposte sul mare, contro le quali i più famosi tattici dellaGrecia s'erano rotto il capo.Ormai l'esercito e la milizia cittadina erano insufficienti.Si trattava di creare una flotta, e, ciò che era più diffici-le, di sapersene servire, si trattava di fissare i veri puntidi attacco e di difesa, di saper unire e dirigere le masse,di saper calcolare il tempo e la distanza per le spedizionie di combinare l'una cosa coll'altra, senza di che un ne-mico, anche di gran lunga inferiore nella tattica, potevavincere facilmente un avversario più numeroso e piùforte.Ora chi può meravigliarsi se a regger tanta e sì pondero-sa novità di cose non si mostrassero atti nè il senato nè icapi annuali della città?Quando la guerra si iniziava non si sapeva mai qualisorprese riservasse; solo nel corso della lotta si rivelava-no l'una dopo l'altra tutte le deficienze degli ordinamenticon i quali fino allora Roma si era retta: mancanza diuna adeguata forza marittima, difetto d'un fermo indiriz-zo militare, incapacità dei generali, assoluta nullità deicomandanti marittimi.A queste deficenze in parte si supplì coll'energia, in par-te vi rimediò la sorte; ed è così che fu possibile ai Ro-

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drante poteva balzar fuori il nemico, in ogni porto pote-va prender terra.I Romani furono obbligati per la prima volta a cimentar-si nell'assedio delle fortezze e principalmente di quelleposte sul mare, contro le quali i più famosi tattici dellaGrecia s'erano rotto il capo.Ormai l'esercito e la milizia cittadina erano insufficienti.Si trattava di creare una flotta, e, ciò che era più diffici-le, di sapersene servire, si trattava di fissare i veri puntidi attacco e di difesa, di saper unire e dirigere le masse,di saper calcolare il tempo e la distanza per le spedizionie di combinare l'una cosa coll'altra, senza di che un ne-mico, anche di gran lunga inferiore nella tattica, potevavincere facilmente un avversario più numeroso e piùforte.Ora chi può meravigliarsi se a regger tanta e sì pondero-sa novità di cose non si mostrassero atti nè il senato nè icapi annuali della città?Quando la guerra si iniziava non si sapeva mai qualisorprese riservasse; solo nel corso della lotta si rivelava-no l'una dopo l'altra tutte le deficienze degli ordinamenticon i quali fino allora Roma si era retta: mancanza diuna adeguata forza marittima, difetto d'un fermo indiriz-zo militare, incapacità dei generali, assoluta nullità deicomandanti marittimi.A queste deficenze in parte si supplì coll'energia, in par-te vi rimediò la sorte; ed è così che fu possibile ai Ro-

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mani di vincere la principale difficoltà: la mancanza diuna flotta.Ma anche questa mirabile creazione altro non fu che ungrandioso ripiego, e tale rimase in tutti i tempi. Si formòun naviglio a servizio di Roma, ma non si riuscì mai afarne una vera forza nazionale ed esso non ebbe mai diromano che il nome; e Roma trattò sempre la sua flottada matrigna.Il servizio navale fu sempre tenuto in poco conto neiconfronti dell'onorata milizia legionaria; gli ufficiali dimarina erano in gran parte Greco-italici, gli equipaggi sicomponevano di sudditi o anche di schiavi e di ciurma-glia.Il contadino italico fu e rimase nemico dell'acqua; tra letre cose, che Catone si pentiva di aver fatto nella suavita, una fu quella di essere andato in barca quandoavrebbe potuto andare a piedi. Ma ciò era in parte da at-tribuirsi alla circostanza che le navi erano galere a remie che il servizio del remo non è possibile nobilitarlo; sisarebbero però potute istituire speciali legioni di mari-neria, e promuovere così l'istituzione d'una classe d'uffi-ciali per la flotta.Approfittando dello spontaneo concorso dei cittadini sisarebbe dovuta costituire gradatamente una forza marit-tima, non solo rispettabile per il numero, ma anche perla pratica navale, che pure era stata felicemente iniziatacolle imprese dei corsari italici durante la lunga guerra;

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mani di vincere la principale difficoltà: la mancanza diuna flotta.Ma anche questa mirabile creazione altro non fu che ungrandioso ripiego, e tale rimase in tutti i tempi. Si formòun naviglio a servizio di Roma, ma non si riuscì mai afarne una vera forza nazionale ed esso non ebbe mai diromano che il nome; e Roma trattò sempre la sua flottada matrigna.Il servizio navale fu sempre tenuto in poco conto neiconfronti dell'onorata milizia legionaria; gli ufficiali dimarina erano in gran parte Greco-italici, gli equipaggi sicomponevano di sudditi o anche di schiavi e di ciurma-glia.Il contadino italico fu e rimase nemico dell'acqua; tra letre cose, che Catone si pentiva di aver fatto nella suavita, una fu quella di essere andato in barca quandoavrebbe potuto andare a piedi. Ma ciò era in parte da at-tribuirsi alla circostanza che le navi erano galere a remie che il servizio del remo non è possibile nobilitarlo; sisarebbero però potute istituire speciali legioni di mari-neria, e promuovere così l'istituzione d'una classe d'uffi-ciali per la flotta.Approfittando dello spontaneo concorso dei cittadini sisarebbe dovuta costituire gradatamente una forza marit-tima, non solo rispettabile per il numero, ma anche perla pratica navale, che pure era stata felicemente iniziatacolle imprese dei corsari italici durante la lunga guerra;

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ma il governo nulla fece di tutto questo. Ciò non pertan-to la marineria romana, nella sua rozza grandiosità, è lapiù geniale creazione dovuta a questa guerra, e fu essache diede al principio ed alla fine il tracollo in favore diRoma.Molto più difficili a vincersi erano quei difetti insiti nel-la costituzione stessa.Che il senato, secondo l'alternarsi dei partiti che in essodominavano, passasse da un sistema di guerra ad un al-tro, e quindi commettesse incredibili errori, come adesempio lo sgombero di Clupea, e il mal vezzo di richia-mar a mezza impresa la flotta come più volte occorse;che il generale durante il tempo della sua carica asse-diasse città siciliane, e che il suo successore, invece diinsistere nell'impresa, preferisse andare a taglieggiare lecoste africane, o dare una battaglia navale; che d'ordina-rio tutti gli anni mutassero, secondo gli ordini consueti, icomandanti supremi – tutte queste mende non si poteva-no togliere senza sollevare problemi costituzionali, lacui soluzione era più difficile assai che non improvvisa-re una flotta; ma ciò non toglieva che l'ordinamento po-litico non rispondesse più alle nuove esigenze d'una si-mile guerra.Prima d'ogni altra cosa occorre dire che nessuno era an-cora esperto in questo nuovo modo di guerreggiare, nè ilsenato, nè i generali. La spedizione di Regolo ci provacome i Romani fossero persuasi che tutto dipendessedalla superiorità della tattica. Non è facile trovare un ge-

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ma il governo nulla fece di tutto questo. Ciò non pertan-to la marineria romana, nella sua rozza grandiosità, è lapiù geniale creazione dovuta a questa guerra, e fu essache diede al principio ed alla fine il tracollo in favore diRoma.Molto più difficili a vincersi erano quei difetti insiti nel-la costituzione stessa.Che il senato, secondo l'alternarsi dei partiti che in essodominavano, passasse da un sistema di guerra ad un al-tro, e quindi commettesse incredibili errori, come adesempio lo sgombero di Clupea, e il mal vezzo di richia-mar a mezza impresa la flotta come più volte occorse;che il generale durante il tempo della sua carica asse-diasse città siciliane, e che il suo successore, invece diinsistere nell'impresa, preferisse andare a taglieggiare lecoste africane, o dare una battaglia navale; che d'ordina-rio tutti gli anni mutassero, secondo gli ordini consueti, icomandanti supremi – tutte queste mende non si poteva-no togliere senza sollevare problemi costituzionali, lacui soluzione era più difficile assai che non improvvisa-re una flotta; ma ciò non toglieva che l'ordinamento po-litico non rispondesse più alle nuove esigenze d'una si-mile guerra.Prima d'ogni altra cosa occorre dire che nessuno era an-cora esperto in questo nuovo modo di guerreggiare, nè ilsenato, nè i generali. La spedizione di Regolo ci provacome i Romani fossero persuasi che tutto dipendessedalla superiorità della tattica. Non è facile trovare un ge-

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nerale che la fortuna abbia favorito con tanti accidentipropizi, quanto Regolo; esso si trovava nel 498=256 ap-punto nelle condizioni in cui cinquant'anni più tardi sitrovò Scipione, colla sola differenza che non aveva difronte nè un Annibale, nè un esercito di esperti veterani.Ma appena si potè aver la prova della superiorità tatticadell'esercito romano, il senato richiamò metà delle mili-zie, contando ciecamente sul valore di quelli che resta-vano; il generale, fiducioso a sua volta, rimase dove sitrovava, per farsi battere strategicamente, e quando ac-cettava la battaglia, ovunque gli veniva offerta, finivacol farsi battere anche tatticamente.Questa era cosa tanto più sorprendente, in quanto cheRegolo, secondo la scuola romana d'allora, doveva dirsiun capitano valente e sperimentato.Il modo, diremo così, patriarcale, con cui si conducevala guerra, e che aveva valso la conquista dell'Etruria edel Sannio, fu appunto la causa principale della sconfittanella pianura di Tunisi.Il principio fin'allora giusto ed applicabile, che ogni cit-tadino sia atto a comandare un esercito, divenne a untratto erroneo; col nuovo sistema di guerreggiare non sipotevano elevare al supremo comando dell'esercito senon uomini che avessero lungamente militato e cheavessero acquistato la facoltà d'una rapida sintesi ed uncolpo d'occhio sicuro, e queste doti certamente non sitrovavano in ogni console.

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nerale che la fortuna abbia favorito con tanti accidentipropizi, quanto Regolo; esso si trovava nel 498=256 ap-punto nelle condizioni in cui cinquant'anni più tardi sitrovò Scipione, colla sola differenza che non aveva difronte nè un Annibale, nè un esercito di esperti veterani.Ma appena si potè aver la prova della superiorità tatticadell'esercito romano, il senato richiamò metà delle mili-zie, contando ciecamente sul valore di quelli che resta-vano; il generale, fiducioso a sua volta, rimase dove sitrovava, per farsi battere strategicamente, e quando ac-cettava la battaglia, ovunque gli veniva offerta, finivacol farsi battere anche tatticamente.Questa era cosa tanto più sorprendente, in quanto cheRegolo, secondo la scuola romana d'allora, doveva dirsiun capitano valente e sperimentato.Il modo, diremo così, patriarcale, con cui si conducevala guerra, e che aveva valso la conquista dell'Etruria edel Sannio, fu appunto la causa principale della sconfittanella pianura di Tunisi.Il principio fin'allora giusto ed applicabile, che ogni cit-tadino sia atto a comandare un esercito, divenne a untratto erroneo; col nuovo sistema di guerreggiare non sipotevano elevare al supremo comando dell'esercito senon uomini che avessero lungamente militato e cheavessero acquistato la facoltà d'una rapida sintesi ed uncolpo d'occhio sicuro, e queste doti certamente non sitrovavano in ogni console.

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Feconda di risultati molto peggiori era poi la massima diriguardare la carica di comandante della flotta come di-pendente dal supremo comando dell'esercito, cosicchèogni console veniva legalmente a considerarsi atto nonsolo a rivestire la carica di generale ma anche quella dinavarca.Le più terribili sconfitte toccate ai Romani in questaguerra, non si debbono attribuire alle fortune di mare emeno ancora ai Cartaginesi, ma all'arrogante imbecillitàde' loro ammiragli-cittadini.Roma vinse finalmente; ma l'essersi accontentata d'unguadagno molto inferiore a quello che dal principio ave-va domandato, anzi offerto, e l'energica opposizione,che incontrò in Roma il trattato di pace, provano chiara-mente che la vittoria e la pace erano cose ottenute permetà e con poca consistenza, e se Roma era riuscita vit-toriosa dalla lotta, essa lo doveva certo al favore deglidei ed all'energia de' suoi cittadini, ma più ancora aglierrori dei suoi nemici, assai più gravi di quelli in cui puressa era caduta nel condurre questa guerra.

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Feconda di risultati molto peggiori era poi la massima diriguardare la carica di comandante della flotta come di-pendente dal supremo comando dell'esercito, cosicchèogni console veniva legalmente a considerarsi atto nonsolo a rivestire la carica di generale ma anche quella dinavarca.Le più terribili sconfitte toccate ai Romani in questaguerra, non si debbono attribuire alle fortune di mare emeno ancora ai Cartaginesi, ma all'arrogante imbecillitàde' loro ammiragli-cittadini.Roma vinse finalmente; ma l'essersi accontentata d'unguadagno molto inferiore a quello che dal principio ave-va domandato, anzi offerto, e l'energica opposizione,che incontrò in Roma il trattato di pace, provano chiara-mente che la vittoria e la pace erano cose ottenute permetà e con poca consistenza, e se Roma era riuscita vit-toriosa dalla lotta, essa lo doveva certo al favore deglidei ed all'energia de' suoi cittadini, ma più ancora aglierrori dei suoi nemici, assai più gravi di quelli in cui puressa era caduta nel condurre questa guerra.

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TERZO CAPITOLOESTENSIONE DELL'ITALIA

FINO AI SUOI CONFINI NATURALI

1. Confini d'Italia.La confederazione italica, quale era uscita dalle crisi delquinto secolo, ossia lo stato d'Italia, riuniva sotto l'ege-monia romana tutti i comuni urbani e rurali dall'Appen-nino al mar Jonio.Ma prima ancora che il quinto secolo volgesse al suotermine, questi confini erano stati allargati tanto oltrel'Appennino come oltre il mare, dove erano sorti comuniitalici appartenenti alla confederazione.Per vendicare antichi e recenti torti, fino dal 471=283, larepubblica aveva distrutto a settentrione i Senoni celticied a mezzogiorno aveva scacciato dalla Sicilia i Fenici,dopo lunga guerra che durò dal 490 al 513=264 al 241.Oltre la colonia urbana di Sena Gallica, appartenevanoalla lega diretta da Roma la città latina di Ariminum nelpaese dei Senoni, il comune mamertino in Messana, esiccome l'uno e l'altra erano di schiatta italica, così par-tecipavano entrambe ai diritti ed agli obblighi comuni aifederati italici.A quel che pare questi allargamenti di territorio furonopiuttosto l'effetto di eventi che si andavano succedendo,che non conseguenze di un preordinato piano di vasta

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TERZO CAPITOLOESTENSIONE DELL'ITALIA

FINO AI SUOI CONFINI NATURALI

1. Confini d'Italia.La confederazione italica, quale era uscita dalle crisi delquinto secolo, ossia lo stato d'Italia, riuniva sotto l'ege-monia romana tutti i comuni urbani e rurali dall'Appen-nino al mar Jonio.Ma prima ancora che il quinto secolo volgesse al suotermine, questi confini erano stati allargati tanto oltrel'Appennino come oltre il mare, dove erano sorti comuniitalici appartenenti alla confederazione.Per vendicare antichi e recenti torti, fino dal 471=283, larepubblica aveva distrutto a settentrione i Senoni celticied a mezzogiorno aveva scacciato dalla Sicilia i Fenici,dopo lunga guerra che durò dal 490 al 513=264 al 241.Oltre la colonia urbana di Sena Gallica, appartenevanoalla lega diretta da Roma la città latina di Ariminum nelpaese dei Senoni, il comune mamertino in Messana, esiccome l'uno e l'altra erano di schiatta italica, così par-tecipavano entrambe ai diritti ed agli obblighi comuni aifederati italici.A quel che pare questi allargamenti di territorio furonopiuttosto l'effetto di eventi che si andavano succedendo,che non conseguenze di un preordinato piano di vasta

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politica; ma dopo i brillanti successi ottenuti contro iCartaginesi, il governo di Roma cominciò a intravvede-re, come era naturale, un nuovo e più largo concetto po-litico, che d'altronde già poteva esserle suggerito dallecondizioni in cui si trovava allora la penisola italica.Per ragioni politiche e militari doveva apparire evidentela necessità di trasportare i confini settentrionali dal mi-nore Appennino, facile a varcarsi, alle Alpi, che costi-tuiscono un vero e saldo muro divisorio tra l'Europa set-tentrionale e la meridionale, e di aggiungere al dominiosull'Italia peninsulare la dominazione dei mari e delleisole circostanti; e dacchè si era condotta a fine la piùdifficile parte dell'impresa, escludendo i Fenici della Si-cilia, varie circostanze sopravvennero a facilitare aRoma il compimento della grande opera.

2. Sicilia – Sardegna – Libia.Il trattato di pace, concluso con Cartagine, dette in pos-sesso di Roma la maggior parte della grande, fertile eportuosa isola di Sicilia nel mare occidentale, più im-portante per l'Italia che non l'Adriatico.Gerone, re di Siracusa, il quale durante i ventidue annidi guerra s'era mantenuto incrollabile nella fede e nellalega coi Romani, avrebbe avuto diritto a compensi terri-toriali; ma se Roma aveva incominciata la guerra col de-liberato proposito di non tollerare nell'isola che stati se-condari, riuscite prosperamente le cose, mirò al posses-so esclusivo di tutta la Sicilia. Gerone dovette quindi ac-

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politica; ma dopo i brillanti successi ottenuti contro iCartaginesi, il governo di Roma cominciò a intravvede-re, come era naturale, un nuovo e più largo concetto po-litico, che d'altronde già poteva esserle suggerito dallecondizioni in cui si trovava allora la penisola italica.Per ragioni politiche e militari doveva apparire evidentela necessità di trasportare i confini settentrionali dal mi-nore Appennino, facile a varcarsi, alle Alpi, che costi-tuiscono un vero e saldo muro divisorio tra l'Europa set-tentrionale e la meridionale, e di aggiungere al dominiosull'Italia peninsulare la dominazione dei mari e delleisole circostanti; e dacchè si era condotta a fine la piùdifficile parte dell'impresa, escludendo i Fenici della Si-cilia, varie circostanze sopravvennero a facilitare aRoma il compimento della grande opera.

2. Sicilia – Sardegna – Libia.Il trattato di pace, concluso con Cartagine, dette in pos-sesso di Roma la maggior parte della grande, fertile eportuosa isola di Sicilia nel mare occidentale, più im-portante per l'Italia che non l'Adriatico.Gerone, re di Siracusa, il quale durante i ventidue annidi guerra s'era mantenuto incrollabile nella fede e nellalega coi Romani, avrebbe avuto diritto a compensi terri-toriali; ma se Roma aveva incominciata la guerra col de-liberato proposito di non tollerare nell'isola che stati se-condari, riuscite prosperamente le cose, mirò al posses-so esclusivo di tutta la Sicilia. Gerone dovette quindi ac-

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contentarsi che gli fosse lasciato il suo stato – cioè, oltreil proprio territorio di Siracusa, anche i distretti di Elo-ros, Neeton, Akrae, Leontini, Megara e Tauromenion, ela sua piena indipendenza con l'estero (poichè mancavaogni pretesto per scemargliela), così che venne a mante-nere la sua prima situazione tanto rispetto all'estensionedei territori quanto rispetto alla autonomia politica; nondovendo sembrargli piccola fortuna se il cozzo delle duegrandi potenze non l'aveva frantumato. I Romani intantopresero possesso del rimanente dell'isola, cioè di Panor-mos, di Lilybeon, d'Akragas e di Messana, che è quantodire della maggior parte dell'isola, dolendosi che neppu-re con ciò venisse loro fatto di trasformare il mar Tirre-no in un mare interno e tutto romano, essendo rimasta laSardegna a Cartagine.Ma si era appena firmata la pace, che la fortuna preparòai Romani occasioni per levar di bocca ai Cartaginesianche la seconda isola del Mediterraneo. In Africa, ap-pena cessata la guerra, i soldati mercenari e i sudditi sierano ribellati contro i Fenici.Di questa pericolosa insurrezione la colpa principale eradel governo cartaginese.Amilcare non aveva potuto pagare, negli ultimi anni diguerra, come aveva fatto per molti anni, col patrimoniopersonale il soldo ai militi dell'esercito di Sicilia e inva-no aveva pregato il governo che gli mandasse denaro.Alle sue insistenze finalmente fu risposto che inviasse isoldati in Africa, ove avrebbero avuto le paghe.

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contentarsi che gli fosse lasciato il suo stato – cioè, oltreil proprio territorio di Siracusa, anche i distretti di Elo-ros, Neeton, Akrae, Leontini, Megara e Tauromenion, ela sua piena indipendenza con l'estero (poichè mancavaogni pretesto per scemargliela), così che venne a mante-nere la sua prima situazione tanto rispetto all'estensionedei territori quanto rispetto alla autonomia politica; nondovendo sembrargli piccola fortuna se il cozzo delle duegrandi potenze non l'aveva frantumato. I Romani intantopresero possesso del rimanente dell'isola, cioè di Panor-mos, di Lilybeon, d'Akragas e di Messana, che è quantodire della maggior parte dell'isola, dolendosi che neppu-re con ciò venisse loro fatto di trasformare il mar Tirre-no in un mare interno e tutto romano, essendo rimasta laSardegna a Cartagine.Ma si era appena firmata la pace, che la fortuna preparòai Romani occasioni per levar di bocca ai Cartaginesianche la seconda isola del Mediterraneo. In Africa, ap-pena cessata la guerra, i soldati mercenari e i sudditi sierano ribellati contro i Fenici.Di questa pericolosa insurrezione la colpa principale eradel governo cartaginese.Amilcare non aveva potuto pagare, negli ultimi anni diguerra, come aveva fatto per molti anni, col patrimoniopersonale il soldo ai militi dell'esercito di Sicilia e inva-no aveva pregato il governo che gli mandasse denaro.Alle sue insistenze finalmente fu risposto che inviasse isoldati in Africa, ove avrebbero avuto le paghe.

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Egli ubbidì; senonchè, conoscendo la sua gente, ebbe laprevidenza di farli imbarcare a piccoli scaglioni per fa-cilitarne il pagamento, o, se altro non accadeva, per li-cenziarli; dopo di che egli stesso depose il supremo co-mando.Ma ogni previdenza fu vana, non tanto per la mancanzadi denaro quanto per la lentezza e l'inettitudine burocra-tica. Si condussero le cose tanto in lungo, finchè tuttol'esercito si trovò di nuovo raccolto nella Libia, e allorasi tentò di ridurre il soldo promesso; ciò che produsse,come era facile prevedere, un ammutinamento, e l'incer-to e vile contegno delle autorità rese maggiormente ardi-ti i rivoltosi.Quasi tutti costoro erano nativi dei distretti dominati odipendenti da Cartagine; essi conoscevano quali fosserogli umori delle popolazioni dopo la vendetta che i Carta-ginesi avevano presa di quelle tribù che s'erano mostratefavorevoli a Regolo e per l'insopportabile pressione fi-scale cui erano sottoposti, e sapevano altresì che il go-verno cartaginese nè perdonava mai, nè manteneva maile sue promesse; per cui era ad essi facile indovinarequal sorte li attendesse quando acconsentissero a scio-gliersi e a tornare alle loro case con la paga strappata aviva forza.Da lungo tempo s'erano andate accumulando in Cartagi-ne materie incendiarie, ed ora quasi a viva forza vi si at-tiravano vicino coloro che potevano appiccarvi il fuoco.

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Egli ubbidì; senonchè, conoscendo la sua gente, ebbe laprevidenza di farli imbarcare a piccoli scaglioni per fa-cilitarne il pagamento, o, se altro non accadeva, per li-cenziarli; dopo di che egli stesso depose il supremo co-mando.Ma ogni previdenza fu vana, non tanto per la mancanzadi denaro quanto per la lentezza e l'inettitudine burocra-tica. Si condussero le cose tanto in lungo, finchè tuttol'esercito si trovò di nuovo raccolto nella Libia, e allorasi tentò di ridurre il soldo promesso; ciò che produsse,come era facile prevedere, un ammutinamento, e l'incer-to e vile contegno delle autorità rese maggiormente ardi-ti i rivoltosi.Quasi tutti costoro erano nativi dei distretti dominati odipendenti da Cartagine; essi conoscevano quali fosserogli umori delle popolazioni dopo la vendetta che i Carta-ginesi avevano presa di quelle tribù che s'erano mostratefavorevoli a Regolo e per l'insopportabile pressione fi-scale cui erano sottoposti, e sapevano altresì che il go-verno cartaginese nè perdonava mai, nè manteneva maile sue promesse; per cui era ad essi facile indovinarequal sorte li attendesse quando acconsentissero a scio-gliersi e a tornare alle loro case con la paga strappata aviva forza.Da lungo tempo s'erano andate accumulando in Cartagi-ne materie incendiarie, ed ora quasi a viva forza vi si at-tiravano vicino coloro che potevano appiccarvi il fuoco.

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E proprio come un incendio, la sommossa si propagò daguarnigione a guarnigione, da villaggio a villaggio; ledonne libiche offrirono i loro gioielli per pagare la mer-cede ai soldati; un gran numero di Cartaginesi, fra i qua-li alcuni distinti ufficiali dell'esercito siciliano, rimaserovittime della soldataglia esasperata; già Cartagine si tro-vava stretta d'assedio da due parti, e l'esercito cartagine-se, che aveva fatto una sortita, era stato completamentesconfitto per l'imperizia del suo generale.Quando giunse a Roma la notizia di questo fatto e siseppe che il sempre odiato e temuto nemico attraversavacosì dure difficoltà, quali mai non gli avevano potutocagionare le armi romane, si ricominciò a rimpiangered'aver conclusa la pace del 513=241 troppo precipitosa-mente, dimenticando come in quel tempo, Roma eratanto esausta di forze, quanto invece era salda e vigoro-sa Cartagine.Un certo senso di pudore impedì ai Romani di entrare inaperti negoziati coi ribelli di Cartagine, anzi essi con-sentirono in via d'eccezione che i Cartaginesi, per questaguerra, arruolassero gente d'armi in Italia e vietarono ainavigatori italici di aver commercio coi libici.Può dubitarsi però che questi ordini siano stati dati se-riamente, giacchè si sa che, malgrado ciò, continuandoil traffico dei ribelli africani coi navigatori romani, e,avendo Amilcare – il quale, mosso dall'estremo pericolodella patria, aveva di nuovo preso il comando dell'eser-cito cartaginese – catturato parecchi capitani italici presi

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E proprio come un incendio, la sommossa si propagò daguarnigione a guarnigione, da villaggio a villaggio; ledonne libiche offrirono i loro gioielli per pagare la mer-cede ai soldati; un gran numero di Cartaginesi, fra i qua-li alcuni distinti ufficiali dell'esercito siciliano, rimaserovittime della soldataglia esasperata; già Cartagine si tro-vava stretta d'assedio da due parti, e l'esercito cartagine-se, che aveva fatto una sortita, era stato completamentesconfitto per l'imperizia del suo generale.Quando giunse a Roma la notizia di questo fatto e siseppe che il sempre odiato e temuto nemico attraversavacosì dure difficoltà, quali mai non gli avevano potutocagionare le armi romane, si ricominciò a rimpiangered'aver conclusa la pace del 513=241 troppo precipitosa-mente, dimenticando come in quel tempo, Roma eratanto esausta di forze, quanto invece era salda e vigoro-sa Cartagine.Un certo senso di pudore impedì ai Romani di entrare inaperti negoziati coi ribelli di Cartagine, anzi essi con-sentirono in via d'eccezione che i Cartaginesi, per questaguerra, arruolassero gente d'armi in Italia e vietarono ainavigatori italici di aver commercio coi libici.Può dubitarsi però che questi ordini siano stati dati se-riamente, giacchè si sa che, malgrado ciò, continuandoil traffico dei ribelli africani coi navigatori romani, e,avendo Amilcare – il quale, mosso dall'estremo pericolodella patria, aveva di nuovo preso il comando dell'eser-cito cartaginese – catturato parecchi capitani italici presi

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in flagrante, il senato romano interpose i suoi uffici infavore di costoro presso il governo cartaginese e ne ot-tenne la liberazione.E sembra che anche gli insorti ravvisassero nei Romanii naturali loro alleati, poichè i presidii cartaginesi dellaSardegna, che, come tutto il resto dell'esercito, si eranodichiarati in favore degli insorti, quando s'accorsero dinon poter tenere l'isola contro gli attacchi degli indomitimontanari dell'interno, ne offrirono il dominio ai Roma-ni (verso l'anno 515=239); e simili offerte furono fattepersino dal comune di Utica, il quale, anch'esso, avevapreso parte alla ribellione e si trovava ridotto agli estre-mi da Amilcare.Roma respinse l'offerta di Utica principalmente perchè,accettandola, sarebbe stato necessario impegnarsi fuoridei confini naturali d'Italia, oltrepassando i limiti entro iquali essa voleva allora contenersi; accolse invece le of-ferte dei ribelli di Sardegna ed accettò da essi le terreappartenenti ai Cartaginesi (516=238).Di che si deve dar loro maggior biasimo, che per quelloch'essi fecero con i Mamertini, giacchè, essendo essi cit-tadini d'una possente e gloriosa città, non disdegnaronodi stender la mano a quella ciurma di venturieri e dimercenari, e divider con essi le prede, mettendo in di-menticanza, per un utile momentaneo, quello che impo-ne la giustizia e l'onore.I Cartaginesi, che quasi nel tempo stesso in cui i Roma-

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in flagrante, il senato romano interpose i suoi uffici infavore di costoro presso il governo cartaginese e ne ot-tenne la liberazione.E sembra che anche gli insorti ravvisassero nei Romanii naturali loro alleati, poichè i presidii cartaginesi dellaSardegna, che, come tutto il resto dell'esercito, si eranodichiarati in favore degli insorti, quando s'accorsero dinon poter tenere l'isola contro gli attacchi degli indomitimontanari dell'interno, ne offrirono il dominio ai Roma-ni (verso l'anno 515=239); e simili offerte furono fattepersino dal comune di Utica, il quale, anch'esso, avevapreso parte alla ribellione e si trovava ridotto agli estre-mi da Amilcare.Roma respinse l'offerta di Utica principalmente perchè,accettandola, sarebbe stato necessario impegnarsi fuoridei confini naturali d'Italia, oltrepassando i limiti entro iquali essa voleva allora contenersi; accolse invece le of-ferte dei ribelli di Sardegna ed accettò da essi le terreappartenenti ai Cartaginesi (516=238).Di che si deve dar loro maggior biasimo, che per quelloch'essi fecero con i Mamertini, giacchè, essendo essi cit-tadini d'una possente e gloriosa città, non disdegnaronodi stender la mano a quella ciurma di venturieri e dimercenari, e divider con essi le prede, mettendo in di-menticanza, per un utile momentaneo, quello che impo-ne la giustizia e l'onore.I Cartaginesi, che quasi nel tempo stesso in cui i Roma-

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ni presero dalle mani dei mercenari la Sardegna, eranoal colmo delle loro tribolazioni, non mossero querelaper l'indegna violenza: ma appena il pericolo fu stornatodal genio d'Amilcare, e Cartagine riafferrò la piena si-gnoria dell'Africa (517=237) arrivarono a Roma amba-sciatori cartaginesi per chiedere la restituzione dellaSardegna.Ma i Romani, che non erano disposti a restituire il maltolto, risposero contrapponendo a quella domanda vaghedoglianze per ingiustizie sofferte nei dominii di Cartagi-ne da commercianti romani, o per altre questioni di mi-nor conto, e s'affrettarono a dichiarare la guerra(10); e lamassima che in politica, ad ognuno, è permesso di fareciò che può, si manifestò nella sua sfacciata impudenza.Una giusta indignazione avrebbe spinto i Cartaginesi adaccettare la sfida. Se Catulo, cinque anni prima, avesseinsistito sulla cessione della Sardegna, v'è da credereche i Cartaginesi avrebbero preferito di continuar laguerra ad oltranza. Ma ora che le due isole erano peressi perdute, che la Libia si trovava ancora in subbuglio,e lo stato, dopo una lotta di ventiquattro anni con Romae la tremenda guerra intestina dei mercenari durata quasicinque anni si trovava allo stremo delle forze, era gioco-

10 Sta di fatto, che nella cessione delle isole poste tra la Sicilia e l'Italia, dicui parlava la pace del 513, non poteva essere compresa la cessione dellaSardegna; e non è credibile che i Romani cercassero di giustificare l'occu-pazione della Sardegna tre anni dopo conclusa la pace mettendo fuori unargomento zoppo; chè, se lo avessero fatto, non sarebbe stata che una gof-faggine diplomatica aggiunta ad una imprudenza politica.

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ni presero dalle mani dei mercenari la Sardegna, eranoal colmo delle loro tribolazioni, non mossero querelaper l'indegna violenza: ma appena il pericolo fu stornatodal genio d'Amilcare, e Cartagine riafferrò la piena si-gnoria dell'Africa (517=237) arrivarono a Roma amba-sciatori cartaginesi per chiedere la restituzione dellaSardegna.Ma i Romani, che non erano disposti a restituire il maltolto, risposero contrapponendo a quella domanda vaghedoglianze per ingiustizie sofferte nei dominii di Cartagi-ne da commercianti romani, o per altre questioni di mi-nor conto, e s'affrettarono a dichiarare la guerra(10); e lamassima che in politica, ad ognuno, è permesso di fareciò che può, si manifestò nella sua sfacciata impudenza.Una giusta indignazione avrebbe spinto i Cartaginesi adaccettare la sfida. Se Catulo, cinque anni prima, avesseinsistito sulla cessione della Sardegna, v'è da credereche i Cartaginesi avrebbero preferito di continuar laguerra ad oltranza. Ma ora che le due isole erano peressi perdute, che la Libia si trovava ancora in subbuglio,e lo stato, dopo una lotta di ventiquattro anni con Romae la tremenda guerra intestina dei mercenari durata quasicinque anni si trovava allo stremo delle forze, era gioco-

10 Sta di fatto, che nella cessione delle isole poste tra la Sicilia e l'Italia, dicui parlava la pace del 513, non poteva essere compresa la cessione dellaSardegna; e non è credibile che i Romani cercassero di giustificare l'occu-pazione della Sardegna tre anni dopo conclusa la pace mettendo fuori unargomento zoppo; chè, se lo avessero fatto, non sarebbe stata che una gof-faggine diplomatica aggiunta ad una imprudenza politica.

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forza piegare il capo.I Romani si fecero pregare assai per non iniziare le osti-lità, e desistettero dalle minacce solo quando i Fenici siobbligarono di pagare ad essi 1200 talenti (circa lire7.400.000) per indennizzarli delle spese sostenute per ipreparativi di guerra.Così, senza quasi colpo ferire, Roma acquistò la Sarde-gna, cui si aggiunse la Corsica, antico possedimentoetrusco, ove forse fin dall'ultima guerra si trovavano sta-biliti alcuni presidii romani.Intanto sull'esempio dei Fenici, in Sardegna, e più anco-ra nell'aspra Corsica, i Romani si limitarono ad occupa-re il litorale, rimanendo sempre in guerra cogli abitantidell'interno delle isole, o meglio dando la caccia agli uo-mini, lanciando contro di essi cani da presa, e, fatta buo-na preda, la conducevano al mercato degli schiavi; manon pensarono mai a sottomettere e governare quellepopolazioni. Non presero possesso delle due isole peraverne il dominio territoriale, ma per assicurarsi la si-gnoria d'Italia. Poichè dal momento in cui la federazioneaveva il possesso militare delle tre grandi isole, essa po-teva giustamente chiamar suo il mare Tirreno.

3. Ordinamento dei possedimenti marittimi.L'acquisto delle isole nel mare occidentale d'Italia, in-trodusse nella costituzione politica di Roma un'antitesi,che dapprima parve nascere più che altro da semplici ri-

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forza piegare il capo.I Romani si fecero pregare assai per non iniziare le osti-lità, e desistettero dalle minacce solo quando i Fenici siobbligarono di pagare ad essi 1200 talenti (circa lire7.400.000) per indennizzarli delle spese sostenute per ipreparativi di guerra.Così, senza quasi colpo ferire, Roma acquistò la Sarde-gna, cui si aggiunse la Corsica, antico possedimentoetrusco, ove forse fin dall'ultima guerra si trovavano sta-biliti alcuni presidii romani.Intanto sull'esempio dei Fenici, in Sardegna, e più anco-ra nell'aspra Corsica, i Romani si limitarono ad occupa-re il litorale, rimanendo sempre in guerra cogli abitantidell'interno delle isole, o meglio dando la caccia agli uo-mini, lanciando contro di essi cani da presa, e, fatta buo-na preda, la conducevano al mercato degli schiavi; manon pensarono mai a sottomettere e governare quellepopolazioni. Non presero possesso delle due isole peraverne il dominio territoriale, ma per assicurarsi la si-gnoria d'Italia. Poichè dal momento in cui la federazioneaveva il possesso militare delle tre grandi isole, essa po-teva giustamente chiamar suo il mare Tirreno.

3. Ordinamento dei possedimenti marittimi.L'acquisto delle isole nel mare occidentale d'Italia, in-trodusse nella costituzione politica di Roma un'antitesi,che dapprima parve nascere più che altro da semplici ri-

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spetti di convenienza e quasi per caso, ma che nondime-no divenne poi della più alta importanza: il contrasto trail governo del continente e le terre oltremarine, ossia,per servirsi d'una formola adottata più tardi, l'antitesi fral'Italia e le province.Sino allora i due supremi magistrati del comune, cheerano i consoli, non avevano avuto una giurisdizione le-galmente stabilita, ma il loro potere si estendeva sindove, in generale, giungeva il dominio romano; e quigià s'intende che essi, di fatto, si dividevano il territoriogiurisdizionale e così pure s'intende ch'essi, in ogni sin-golo distretto della loro giurisdizione, erano obbligati, inforza delle disposizioni esistenti, a lasciare dappertuttoal pretore la giurisdizione sui cittadini romani e a man-tenere in vigore nei comuni latini ed autonomi gli esi-stenti trattati.I quattro questori, che sin dal 487=267 erano distribuitiin Italia, non limitavano, almeno quanto alla forma, ilpotere consolare, perchè essi erano considerati in Italia,non meno che in Roma, unicamente come ufficiali sus-sidiari e dipendenti dai consoli.Pare che questa forma di amministrazione sia stata adot-tata da principio anche nel territorio tolto a Cartagine, eche la Sicilia e la Sardegna per alcuni anni siano staterette da questori sotto la sorveglianza dei consoli; ma iRomani ben presto si convinsero ch'era praticamente in-dispensabile di stabilire speciali magistrature nelle pro-vince oltremarine.

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spetti di convenienza e quasi per caso, ma che nondime-no divenne poi della più alta importanza: il contrasto trail governo del continente e le terre oltremarine, ossia,per servirsi d'una formola adottata più tardi, l'antitesi fral'Italia e le province.Sino allora i due supremi magistrati del comune, cheerano i consoli, non avevano avuto una giurisdizione le-galmente stabilita, ma il loro potere si estendeva sindove, in generale, giungeva il dominio romano; e quigià s'intende che essi, di fatto, si dividevano il territoriogiurisdizionale e così pure s'intende ch'essi, in ogni sin-golo distretto della loro giurisdizione, erano obbligati, inforza delle disposizioni esistenti, a lasciare dappertuttoal pretore la giurisdizione sui cittadini romani e a man-tenere in vigore nei comuni latini ed autonomi gli esi-stenti trattati.I quattro questori, che sin dal 487=267 erano distribuitiin Italia, non limitavano, almeno quanto alla forma, ilpotere consolare, perchè essi erano considerati in Italia,non meno che in Roma, unicamente come ufficiali sus-sidiari e dipendenti dai consoli.Pare che questa forma di amministrazione sia stata adot-tata da principio anche nel territorio tolto a Cartagine, eche la Sicilia e la Sardegna per alcuni anni siano staterette da questori sotto la sorveglianza dei consoli; ma iRomani ben presto si convinsero ch'era praticamente in-dispensabile di stabilire speciali magistrature nelle pro-vince oltremarine.

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Nel modo stesso che con l'ampliarsi del comune si eradovuto rinunziare alla concentrazione della giurisdizio-ne romana nella persona del pretore mandando nei di-stretti più lontani dei vice giudici, così fu ora necessario(527=227) abbandonare anche la centralizzazione am-ministrativo-militare nella persona dei consoli.Per ciascuna delle nuove regioni oltremarine, tanto perla Sicilia quanto per la Sardegna e la Corsica, fu nomi-nato un apposito console ausiliare (pro-console), infe-riore per grado e titolo al console, eguale al pretore, ilquale però, come i consoli dei tempi anteriori alla istitu-zione della pretura, nel proprio circondario, era duce,magistrato e giudice supremo.Soltanto l'amministrazione immediata del danaro pub-blico, tolta sino dal principio anche ai consoli, non fu la-sciata nemmeno a questi nuovi magistrati, cui venneroposti a fianco uno o più questori dipendenti in tutto daessi e considerati quasi come figli di famiglia dai rispet-tivi pretori, ma che avevano specialmente l'incaricodell'amministrazione delle finanze, di cui erano tenuti arender conto al senato al termine della loro gestione.Questa differenza nell'amministrazione superiore è lasola disparità giuridica tra i possedimenti continentali egli oltremarini. Del resto le massime fondamentali, inbase alle quali Roma aveva organizzato le province ita-liane a lei soggette, vennero applicate anche ai possedi-menti fuori d'Italia.

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Nel modo stesso che con l'ampliarsi del comune si eradovuto rinunziare alla concentrazione della giurisdizio-ne romana nella persona del pretore mandando nei di-stretti più lontani dei vice giudici, così fu ora necessario(527=227) abbandonare anche la centralizzazione am-ministrativo-militare nella persona dei consoli.Per ciascuna delle nuove regioni oltremarine, tanto perla Sicilia quanto per la Sardegna e la Corsica, fu nomi-nato un apposito console ausiliare (pro-console), infe-riore per grado e titolo al console, eguale al pretore, ilquale però, come i consoli dei tempi anteriori alla istitu-zione della pretura, nel proprio circondario, era duce,magistrato e giudice supremo.Soltanto l'amministrazione immediata del danaro pub-blico, tolta sino dal principio anche ai consoli, non fu la-sciata nemmeno a questi nuovi magistrati, cui venneroposti a fianco uno o più questori dipendenti in tutto daessi e considerati quasi come figli di famiglia dai rispet-tivi pretori, ma che avevano specialmente l'incaricodell'amministrazione delle finanze, di cui erano tenuti arender conto al senato al termine della loro gestione.Questa differenza nell'amministrazione superiore è lasola disparità giuridica tra i possedimenti continentali egli oltremarini. Del resto le massime fondamentali, inbase alle quali Roma aveva organizzato le province ita-liane a lei soggette, vennero applicate anche ai possedi-menti fuori d'Italia.

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È inutile dire che tutti i comuni, senza eccezione, per-dettero la loro indipendenza di fronte all'estero.Quanto al traffico interno, nessun abitante delle provin-ce poteva acquistare legittimamente una proprietà fuoridel suo comune nella provincia, e forse nemmeno con-trarre un valido matrimonio. Il governo romano tollera-va invece, per lo meno in Sicilia, come poco pericolosa,l'organizzazione federale di quelle città, e persino le die-te generali sicule coll'innocuo loro diritto di petizione edi rimostranza(11).Quanto al sistema monetario non fu veramente possibileimporre subito nelle isole la valuta romana come l'unicalegale; pare però che ottenesse sino dal principio corsolegale, e che almeno in generale sia stato tolto alle cittàdella Sicilia romana il diritto di coniare monete di me-talli nobili(12).La proprietà fondiaria per contro rimase rispettata in tut-

11 A questo si riferisce in parte la sollevazione dei Siculi contro Marcello(LIV., 26, 26 e seg.) in parte la petizione universale di tutti i comuni sicilia-ni (CIC., Verr. 2, 42, 105, 45, 114, 50, 146, 3, 88, 204), in parte la nota Ana-logia (Manuale di MARQUARDT 3, 1, 267). Dalla mancanza del commerciumtra le singole città non deve desumersi la mancanza del concilium.

12 Roma non esercitava nelle province così severamente il monopolio sul di-ritto di battere monete d'oro e d'argento come in Italia; senza dubbio per-chè si dava meno importanza alle monete d'oro e d'argento coniate con al-tro titolo che con quello di Roma. È però certo che le zecche provincialigeneralmente si limitavano o coniare monete di rame, o tutt'al più piccolemonete d'argento; ed i più ragguardevoli comuni della Sicilia romana,come quello de' Mamertini, dei Centoripini, degli Alesini, dei Segestani equello particolarmente dei Panormitani non coniavano che monete dirame.

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È inutile dire che tutti i comuni, senza eccezione, per-dettero la loro indipendenza di fronte all'estero.Quanto al traffico interno, nessun abitante delle provin-ce poteva acquistare legittimamente una proprietà fuoridel suo comune nella provincia, e forse nemmeno con-trarre un valido matrimonio. Il governo romano tollera-va invece, per lo meno in Sicilia, come poco pericolosa,l'organizzazione federale di quelle città, e persino le die-te generali sicule coll'innocuo loro diritto di petizione edi rimostranza(11).Quanto al sistema monetario non fu veramente possibileimporre subito nelle isole la valuta romana come l'unicalegale; pare però che ottenesse sino dal principio corsolegale, e che almeno in generale sia stato tolto alle cittàdella Sicilia romana il diritto di coniare monete di me-talli nobili(12).La proprietà fondiaria per contro rimase rispettata in tut-

11 A questo si riferisce in parte la sollevazione dei Siculi contro Marcello(LIV., 26, 26 e seg.) in parte la petizione universale di tutti i comuni sicilia-ni (CIC., Verr. 2, 42, 105, 45, 114, 50, 146, 3, 88, 204), in parte la nota Ana-logia (Manuale di MARQUARDT 3, 1, 267). Dalla mancanza del commerciumtra le singole città non deve desumersi la mancanza del concilium.

12 Roma non esercitava nelle province così severamente il monopolio sul di-ritto di battere monete d'oro e d'argento come in Italia; senza dubbio per-chè si dava meno importanza alle monete d'oro e d'argento coniate con al-tro titolo che con quello di Roma. È però certo che le zecche provincialigeneralmente si limitavano o coniare monete di rame, o tutt'al più piccolemonete d'argento; ed i più ragguardevoli comuni della Sicilia romana,come quello de' Mamertini, dei Centoripini, degli Alesini, dei Segestani equello particolarmente dei Panormitani non coniavano che monete dirame.

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ta la Sicilia. La massima che il territorio fuori d'Italiadovesse essere, per diritto di guerra, proprietà privatadei Romani, era ancora sconosciuta in questo secolo; edanzi tutti i comuni siciliani e sardi conservarono ancheun'amministrazione indipendente ed una certa autono-mia.Se le costituzioni democratiche erano state soppresse intutti i comuni, e in ogni città il potere era dato nellemani del consiglio comunale rappresentante l'aristocra-zia urbana; se era stato inoltre imposto, per lo meno aicomuni siciliani, di procedere ogni cinque anni ad unestimo comunale corrispondente al censo romano, que-ste misure non erano che una necessaria conseguenzadella sottomissione al senato romano, il quale, non pote-va governare colle assemblee greche, e senza averesott'occhio uno specchio dei mezzi finanziari e militaridi ciascun comune da esso dipendente; lo stesso sistemaaveva avuto luogo, tanto nell'uno che nell'altro rapporto,anche nei paesi italici.Ma accanto a questa essenziale uguaglianza giuridica viera però tra i comuni italici e quelli d'oltremare una dif-ferenza notevolissima. I comuni d'oltremare non sommi-nistravano alcun contingente fisso all'esercito ed allaflotta dei Romani(13), e perdevano il diritto alle armi inquanto non potevano servirsene che dietro un bando delpretore romano e per la difesa della propria terra natale.13 Onde l'espressione di Gerone (LIV., 22, 37): sapere egli che I Romani non

si servivano d'altri fanti e cavalli che dei Romani e Latini e che impiegava-no gli «stranieri» tutt'al più fra le truppe armate alla leggera.

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ta la Sicilia. La massima che il territorio fuori d'Italiadovesse essere, per diritto di guerra, proprietà privatadei Romani, era ancora sconosciuta in questo secolo; edanzi tutti i comuni siciliani e sardi conservarono ancheun'amministrazione indipendente ed una certa autono-mia.Se le costituzioni democratiche erano state soppresse intutti i comuni, e in ogni città il potere era dato nellemani del consiglio comunale rappresentante l'aristocra-zia urbana; se era stato inoltre imposto, per lo meno aicomuni siciliani, di procedere ogni cinque anni ad unestimo comunale corrispondente al censo romano, que-ste misure non erano che una necessaria conseguenzadella sottomissione al senato romano, il quale, non pote-va governare colle assemblee greche, e senza averesott'occhio uno specchio dei mezzi finanziari e militaridi ciascun comune da esso dipendente; lo stesso sistemaaveva avuto luogo, tanto nell'uno che nell'altro rapporto,anche nei paesi italici.Ma accanto a questa essenziale uguaglianza giuridica viera però tra i comuni italici e quelli d'oltremare una dif-ferenza notevolissima. I comuni d'oltremare non sommi-nistravano alcun contingente fisso all'esercito ed allaflotta dei Romani(13), e perdevano il diritto alle armi inquanto non potevano servirsene che dietro un bando delpretore romano e per la difesa della propria terra natale.13 Onde l'espressione di Gerone (LIV., 22, 37): sapere egli che I Romani non

si servivano d'altri fanti e cavalli che dei Romani e Latini e che impiegava-no gli «stranieri» tutt'al più fra le truppe armate alla leggera.

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Il governo romano mandava esso stesso truppe italichenelle isole, nella misura che riteneva necessaria, ed incambio veniva corrisposta ai Romani la decima dei ce-reali siciliani e un dazio del cinque per cento sul valoredi tutti gli articoli commerciali che entravano e uscivanodai porti della Sicilia.Questa imposta, del resto, non era una cosa nuova pergl'isolani. Le imposte che la repubblica cartaginese e ilre di Persia prelevavano erano all'incirca uguali a quelledecime, ed una simile imposta, secondo il modelloorientale, era da tempi immemorabili in uso anche inGrecia nelle città rette da tiranni e in quelle soggette adegemonie.I Siciliani, particolarmente, avevano per lungo tempopagato la decima a Siracusa o a Cartagine, e da lungotempo pure non avevano riscosso i dazi portuali per pro-prio conto. Cicerone dice: «Noi abbiamo accolto i co-muni siciliani nella nostra clientela e sotto la nostra pro-tezione in modo che essi conservarono i diritti secondo iquali avevano vissuto fino allora, e rimasero negli stessirapporti di obbedienza al comune romano, in cui fino al-lora erano stati coi loro padroni».È bene non dimenticare ciò; ma perpetuare l'ingiustiziavale lo stesso che commettere ingiustizia. Non per i sud-diti, che altro non facevano che cambiar di padrone, maper i loro nuovi signori il porre in oblio la generosa e sa-via massima della politica romana di non accettare daisudditi che contingenti e giammai danaro invece di uo-

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Il governo romano mandava esso stesso truppe italichenelle isole, nella misura che riteneva necessaria, ed incambio veniva corrisposta ai Romani la decima dei ce-reali siciliani e un dazio del cinque per cento sul valoredi tutti gli articoli commerciali che entravano e uscivanodai porti della Sicilia.Questa imposta, del resto, non era una cosa nuova pergl'isolani. Le imposte che la repubblica cartaginese e ilre di Persia prelevavano erano all'incirca uguali a quelledecime, ed una simile imposta, secondo il modelloorientale, era da tempi immemorabili in uso anche inGrecia nelle città rette da tiranni e in quelle soggette adegemonie.I Siciliani, particolarmente, avevano per lungo tempopagato la decima a Siracusa o a Cartagine, e da lungotempo pure non avevano riscosso i dazi portuali per pro-prio conto. Cicerone dice: «Noi abbiamo accolto i co-muni siciliani nella nostra clientela e sotto la nostra pro-tezione in modo che essi conservarono i diritti secondo iquali avevano vissuto fino allora, e rimasero negli stessirapporti di obbedienza al comune romano, in cui fino al-lora erano stati coi loro padroni».È bene non dimenticare ciò; ma perpetuare l'ingiustiziavale lo stesso che commettere ingiustizia. Non per i sud-diti, che altro non facevano che cambiar di padrone, maper i loro nuovi signori il porre in oblio la generosa e sa-via massima della politica romana di non accettare daisudditi che contingenti e giammai danaro invece di uo-

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mini: aveva una fatale importanza in confronto dellaquale spariva ogni mitezza nell'imporre e nel modo dilevare le somme, salvo le singole eccezioni.E di simili eccezioni se ne facevano molte. Messana nontardò ad essere ammessa nella lega degli uomini togatie, come le città greche del continente, somministrò ilsuo contingente alla flotta romana.Ad una serie di altre città – come ad Egesta ed Alicia, leprime della Sicilia cartaginese che entrassero nella legaromana, a Centoripe posta in oriente nell'interno delpaese e destinata a sorvegliare da presso il territorio si-racusano(14), ad Alesa sulla costa settentrionale, la primatra le libere città greche che si unisse ai Romani, e parti-colarmente a Panormo capitale della Sicilia cartagineseed ora destinata ad esserlo della Sicilia romana, – se nonfu dato di far parte della federazione italica, fu però con-cessa, per non dire d'altri favori, l'esenzione dalle impo-ste e dalla decima, sicchè la loro condizione finanziariaera persino migliore che non quella dei comuni italici.I Romani applicarono dunque anche alla Sicilia l'anticaloro massima politica di dividere i comuni dipendenti indiverse classi rigorosamente distinte secondo le conces-se prerogative; se non che i comuni siciliani e sardi, ingenerale, non erano nella condizione di confederati, ma

14 Uno sguardo alla carta geografica basta a provarlo, ma si aggiunse la me-morabile concessione fatta ai Centoripini di stabilirsi in Sicilia ove loromeglio gradisse. Come spie dei Romani essi abbisognavano della massimalibertà. Pare del resto che Centoripe sia stata una delle prime città grechepassate dalla parte de' Romani (DIODORO, 1, 23, p. 501).

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mini: aveva una fatale importanza in confronto dellaquale spariva ogni mitezza nell'imporre e nel modo dilevare le somme, salvo le singole eccezioni.E di simili eccezioni se ne facevano molte. Messana nontardò ad essere ammessa nella lega degli uomini togatie, come le città greche del continente, somministrò ilsuo contingente alla flotta romana.Ad una serie di altre città – come ad Egesta ed Alicia, leprime della Sicilia cartaginese che entrassero nella legaromana, a Centoripe posta in oriente nell'interno delpaese e destinata a sorvegliare da presso il territorio si-racusano(14), ad Alesa sulla costa settentrionale, la primatra le libere città greche che si unisse ai Romani, e parti-colarmente a Panormo capitale della Sicilia cartagineseed ora destinata ad esserlo della Sicilia romana, – se nonfu dato di far parte della federazione italica, fu però con-cessa, per non dire d'altri favori, l'esenzione dalle impo-ste e dalla decima, sicchè la loro condizione finanziariaera persino migliore che non quella dei comuni italici.I Romani applicarono dunque anche alla Sicilia l'anticaloro massima politica di dividere i comuni dipendenti indiverse classi rigorosamente distinte secondo le conces-se prerogative; se non che i comuni siciliani e sardi, ingenerale, non erano nella condizione di confederati, ma

14 Uno sguardo alla carta geografica basta a provarlo, ma si aggiunse la me-morabile concessione fatta ai Centoripini di stabilirsi in Sicilia ove loromeglio gradisse. Come spie dei Romani essi abbisognavano della massimalibertà. Pare del resto che Centoripe sia stata una delle prime città grechepassate dalla parte de' Romani (DIODORO, 1, 23, p. 501).

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di sudditi tributari.

4. L'Italia e le province.Questa profonda antitesi tra comuni soggetti a dare con-tingenti e comuni soggetti al pagamento delle imposte, oper lo meno non tenuti a dare contingenti, non corri-spondeva per necessità giuridica con quella tra l'Italia ele province.Nella confederazione italica potevano entrare anche icomuni d'oltremare, come, ad esempio i Mamertini, chesi trovavano in sostanza pari agli italici Sabelli; e nullasi opponeva giuridicamente a che in Sicilia ed in Sarde-gna venissero fondati nuovi comuni col diritto latinocome nel paese al di là dell'Appennino.Vi potevano essere anche nell'Italia continentale dei co-muni privi del diritto di portar armi e soggetti a tributo,come era difatti sin d'allora di singoli distretti celtici sul-le rive del Po, e come fu poi per un considerevole terri-torio.Ma in realtà il numero dei comuni che fornivano contin-genti prevaleva assolutamente sul continente, mentrenelle isole prevaleva quello dei comuni soggetti ad im-poste; e mentre i Romani non si davano pensiero di fon-dare colonie italiche nè in Sicilia, dove fioriva la civiltàgreca, nè in Sardegna, essi avevano senza dubbio, sind'allora, stabilito non solo di assoggettare tutto il paesebarbaro tra l'Appennino e le Alpi, ma anche di costituir-

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di sudditi tributari.

4. L'Italia e le province.Questa profonda antitesi tra comuni soggetti a dare con-tingenti e comuni soggetti al pagamento delle imposte, oper lo meno non tenuti a dare contingenti, non corri-spondeva per necessità giuridica con quella tra l'Italia ele province.Nella confederazione italica potevano entrare anche icomuni d'oltremare, come, ad esempio i Mamertini, chesi trovavano in sostanza pari agli italici Sabelli; e nullasi opponeva giuridicamente a che in Sicilia ed in Sarde-gna venissero fondati nuovi comuni col diritto latinocome nel paese al di là dell'Appennino.Vi potevano essere anche nell'Italia continentale dei co-muni privi del diritto di portar armi e soggetti a tributo,come era difatti sin d'allora di singoli distretti celtici sul-le rive del Po, e come fu poi per un considerevole terri-torio.Ma in realtà il numero dei comuni che fornivano contin-genti prevaleva assolutamente sul continente, mentrenelle isole prevaleva quello dei comuni soggetti ad im-poste; e mentre i Romani non si davano pensiero di fon-dare colonie italiche nè in Sicilia, dove fioriva la civiltàgreca, nè in Sardegna, essi avevano senza dubbio, sind'allora, stabilito non solo di assoggettare tutto il paesebarbaro tra l'Appennino e le Alpi, ma anche di costituir-

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vi, col procedere della conquista, nuovi comuni di origi-ne italica e di italico diritto.In tal modo i possedimenti d'oltremare non solo diven-nero paese vassallo, ma furono condannati a rimanereper sempre in tal condizione; mentre il territorio nuova-mente fissato dalla legge al governo dei consoli, vale adire la parte continentale dell'Italia romana, doveva di-venire una nuova e più ampia Italia, che doveva esten-dersi dalle Alpi al Mar Jonio.Sulle prime questo concetto essenzialmente geograficodell'Italia, non coincideva affatto col concetto politicodella federazione italica ed era o troppo vasto o troppolimitato.Ma già fin d'allora tutto il territorio, che si estende sinoalle Alpi, veniva considerato come Italia, vale a direcome territorio presente o futuro degli uomini togati ecome si faceva e si fa presentemente nell'America set-tentrionale, si segnavano i confini geografici provviso-riamente, onde spingerli innanzi politicamente manmano che progredisse la colonizzazione(15).15 Questa distinzione tra l'Italia come continente romano o giurisdizione

consolare e il territorio oltremarino o giurisdizione pretoria appare in mol-te occasioni già nel sesto secolo. Il precetto rituale che vietava a certi sa-cerdoti di allontanarsi da Roma (VAL. MASS., 1, 1, 2) fu interpretato nelsenso che non era loro permesso di passare il mare (LIV., Op., 19, 37, 51.TAC., Ann., 3, 58, 71, CIC., Phil., 11, 8, 18; confr. LIV., 28, 33, 44, Op. 59).Qui occorre far cenno dell'interpretazione data nel 544 all'antica legge, ilconsole non poter eleggere il dittatore che sul «suolo romano» nel sensoche il suolo romano comprendeva tutta l'Italia (LIV., 27, 5). L'ordinamentodel paese celtico tra l'Alpi e l'Appennino in una giurisdizione speciale, di-versa dalla consolare e soggetta ad uno speciale magistrato stabile, ebbe

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vi, col procedere della conquista, nuovi comuni di origi-ne italica e di italico diritto.In tal modo i possedimenti d'oltremare non solo diven-nero paese vassallo, ma furono condannati a rimanereper sempre in tal condizione; mentre il territorio nuova-mente fissato dalla legge al governo dei consoli, vale adire la parte continentale dell'Italia romana, doveva di-venire una nuova e più ampia Italia, che doveva esten-dersi dalle Alpi al Mar Jonio.Sulle prime questo concetto essenzialmente geograficodell'Italia, non coincideva affatto col concetto politicodella federazione italica ed era o troppo vasto o troppolimitato.Ma già fin d'allora tutto il territorio, che si estende sinoalle Alpi, veniva considerato come Italia, vale a direcome territorio presente o futuro degli uomini togati ecome si faceva e si fa presentemente nell'America set-tentrionale, si segnavano i confini geografici provviso-riamente, onde spingerli innanzi politicamente manmano che progredisse la colonizzazione(15).15 Questa distinzione tra l'Italia come continente romano o giurisdizione

consolare e il territorio oltremarino o giurisdizione pretoria appare in mol-te occasioni già nel sesto secolo. Il precetto rituale che vietava a certi sa-cerdoti di allontanarsi da Roma (VAL. MASS., 1, 1, 2) fu interpretato nelsenso che non era loro permesso di passare il mare (LIV., Op., 19, 37, 51.TAC., Ann., 3, 58, 71, CIC., Phil., 11, 8, 18; confr. LIV., 28, 33, 44, Op. 59).Qui occorre far cenno dell'interpretazione data nel 544 all'antica legge, ilconsole non poter eleggere il dittatore che sul «suolo romano» nel sensoche il suolo romano comprendeva tutta l'Italia (LIV., 27, 5). L'ordinamentodel paese celtico tra l'Alpi e l'Appennino in una giurisdizione speciale, di-versa dalla consolare e soggetta ad uno speciale magistrato stabile, ebbe

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5. Le coste dell'Adriatico.La supremazia dei Romani nell'Adriatico, al cui ingres-so, fervendo ancora la guerra contro Cartagine, era statafondata (510=244) l'importante colonia di Brindisi, erastata assicurata sin dal loro apparire. Nel mare d'occi-dente Roma aveva dovuto sbarazzarsi con mezzi propriidella sua rivale, nel mare orientale vi provvedeva la di-scordia dei Greci facendo sì che tutti gli stati della peni-sola rimanessero o divenissero impotenti.Il più ragguardevole tra essi, la Macedonia, era stato eli-minato dagli Etoli dall'Adriatico superiore per influenzaegizia, e dal Peloponneso dagli Achei, e si trovava appe-na in grado di difendere contro i barbari i suoi confinisettentrionali.Quanta cura mettessero i Romani a tenere depressa laMacedonia ed il suo alleato re di Siria, e come essi siaccostassero alla politica egiziana, che mirava allo stes-so scopo, lo prova la singolare offerta da essi fatta, dopoultimata la guerra con Cartagine, al re Tolomeo III Ever-gete, di porgergli aiuto nella guerra ch'egli sostenevacontro Seleuco II Callinico, re di Siria (507-529=247-

luogo soltanto sotto Silla. A nessuno verrà in mente di opporre che sino dalsesto secolo si fa sovente menzione della Gallia e di Rimini come d'unaprovincia d'uno dei consoli. Provincia nella lingua antica non significa ciòche noi chiamiamo provincia, vale a dire un territorio stabilmente determi-nato e soggetto ad uno stabile magistrato, bensì quella parte dello stato sot-toposta dalla legge o da un decreto del senato o da un patto alla competen-za di un determinato magistrato; era quindi ammissibile, e per alcun tempofu persino di regola, che uno dei consoli assumesse il governo dell'Italiasettentrionale.

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5. Le coste dell'Adriatico.La supremazia dei Romani nell'Adriatico, al cui ingres-so, fervendo ancora la guerra contro Cartagine, era statafondata (510=244) l'importante colonia di Brindisi, erastata assicurata sin dal loro apparire. Nel mare d'occi-dente Roma aveva dovuto sbarazzarsi con mezzi propriidella sua rivale, nel mare orientale vi provvedeva la di-scordia dei Greci facendo sì che tutti gli stati della peni-sola rimanessero o divenissero impotenti.Il più ragguardevole tra essi, la Macedonia, era stato eli-minato dagli Etoli dall'Adriatico superiore per influenzaegizia, e dal Peloponneso dagli Achei, e si trovava appe-na in grado di difendere contro i barbari i suoi confinisettentrionali.Quanta cura mettessero i Romani a tenere depressa laMacedonia ed il suo alleato re di Siria, e come essi siaccostassero alla politica egiziana, che mirava allo stes-so scopo, lo prova la singolare offerta da essi fatta, dopoultimata la guerra con Cartagine, al re Tolomeo III Ever-gete, di porgergli aiuto nella guerra ch'egli sostenevacontro Seleuco II Callinico, re di Siria (507-529=247-

luogo soltanto sotto Silla. A nessuno verrà in mente di opporre che sino dalsesto secolo si fa sovente menzione della Gallia e di Rimini come d'unaprovincia d'uno dei consoli. Provincia nella lingua antica non significa ciòche noi chiamiamo provincia, vale a dire un territorio stabilmente determi-nato e soggetto ad uno stabile magistrato, bensì quella parte dello stato sot-toposta dalla legge o da un decreto del senato o da un patto alla competen-za di un determinato magistrato; era quindi ammissibile, e per alcun tempofu persino di regola, che uno dei consoli assumesse il governo dell'Italiasettentrionale.

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225) in seguito all'assassinio di Berenice, e nella qualela Macedonia aveva probabilmente preso partito per Se-leuco.Le relazioni di Roma cogli stati ellenici andavano,d'altra parte, facendosi sempre più intime. Il senato ave-va intavolato negoziati anche con la Siria e s'era interes-sato presso Seleuco in favore degli abitanti d'Ilio, con iquali i Romani ritenevano d'aver comune l'origine.A quest'epoca i Romani non s'ingerivano ancora diretta-mente negli affari delle potenze orientali, perchè non nesentivano il bisogno. La lega achea, schiacciata nel suofiore dalla meschina politica partigiana di Arato, la re-pubblica etolica di lanzichenecchi e il decaduto regnomacedone si tenevano reciprocamente in soggezionesenza che vi fosse bisogno d'intervento romano; e i Ro-mani allora, anzichè cercare, evitavano il possesso diterritori al di là del mare.Allorchè gli Acarnani, facendo appello alla circostanzadi essere stati i soli tra i Greci che non avevano presoparte alla distruzione d'Ilio, chiesero ai discendentid'Enea che prestassero loro aiuto contro gli Etoli, il se-nato tentò d'intervenire diplomaticamente; ma avendogli Etoli, come era loro costume, data una risposta im-pertinente, l'interessamento dei senatori romani per letradizioni antiche non arrivò al punto di iniziare unaguerra, colla quale essi avrebbero liberato i Macedonidai loro mortali nemici (verso il 515=239).

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225) in seguito all'assassinio di Berenice, e nella qualela Macedonia aveva probabilmente preso partito per Se-leuco.Le relazioni di Roma cogli stati ellenici andavano,d'altra parte, facendosi sempre più intime. Il senato ave-va intavolato negoziati anche con la Siria e s'era interes-sato presso Seleuco in favore degli abitanti d'Ilio, con iquali i Romani ritenevano d'aver comune l'origine.A quest'epoca i Romani non s'ingerivano ancora diretta-mente negli affari delle potenze orientali, perchè non nesentivano il bisogno. La lega achea, schiacciata nel suofiore dalla meschina politica partigiana di Arato, la re-pubblica etolica di lanzichenecchi e il decaduto regnomacedone si tenevano reciprocamente in soggezionesenza che vi fosse bisogno d'intervento romano; e i Ro-mani allora, anzichè cercare, evitavano il possesso diterritori al di là del mare.Allorchè gli Acarnani, facendo appello alla circostanzadi essere stati i soli tra i Greci che non avevano presoparte alla distruzione d'Ilio, chiesero ai discendentid'Enea che prestassero loro aiuto contro gli Etoli, il se-nato tentò d'intervenire diplomaticamente; ma avendogli Etoli, come era loro costume, data una risposta im-pertinente, l'interessamento dei senatori romani per letradizioni antiche non arrivò al punto di iniziare unaguerra, colla quale essi avrebbero liberato i Macedonidai loro mortali nemici (verso il 515=239).

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6. Pirateria illirica.Con una pazienza, che trova spiegazione soltanto nellaprofonda loro avversione per la guerra marittima e nellacattiva loro marina, i Romani tolleravano persino i graviinconvenienti della pirateria, che in quell'epoca eral'unica industria che fiorisse sulle spiagge dell'Adriatico,e dalla quale anche il commercio italico soffriva gravis-simo danno.Ma a un certo punto la cosa si fece troppo seria. Collaprotezione della Macedonia, la quale non aveva più al-cun motivo per continuare nell'antico suo compito di di-fendere il commercio ellenico contro i corsaridell'Adriatico a prò dei suoi nemici, i signori di Scodraavevano riunite le popolazioni illiriche (verosimilmentei Dalmati, i Montenegrini e gli Albanesi settentrionali)per esercitare la pirateria in comune su vasta scala. Conintere squadre delle loro celebri biremi (le celebri naviliburniche) gli Illiri assalivano ogni naviglio in altomare o lungo le coste. Le più travagliate erano natural-mente le colonie greche, le città insulari Issa (Lissa) eFaro (Lesina), e le importanti piazze marittime di Epi-damno (Durazzo) ed Apollonia (al nord d'Aulonasull'Aoo), le quali si videro ripetutamente assediate daibarbari. Ma essendosi i pirati stabiliti ancora più al sud,cioè a Fenicia, la più florida città dell'Epiro, gli Epiroti egli Acarnani loro malgrado dovettero entrare con i la-droni in una non naturale simmachia e così tutto il lito-rale, sino ad Elide e Messene, ne fu infestato.

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6. Pirateria illirica.Con una pazienza, che trova spiegazione soltanto nellaprofonda loro avversione per la guerra marittima e nellacattiva loro marina, i Romani tolleravano persino i graviinconvenienti della pirateria, che in quell'epoca eral'unica industria che fiorisse sulle spiagge dell'Adriatico,e dalla quale anche il commercio italico soffriva gravis-simo danno.Ma a un certo punto la cosa si fece troppo seria. Collaprotezione della Macedonia, la quale non aveva più al-cun motivo per continuare nell'antico suo compito di di-fendere il commercio ellenico contro i corsaridell'Adriatico a prò dei suoi nemici, i signori di Scodraavevano riunite le popolazioni illiriche (verosimilmentei Dalmati, i Montenegrini e gli Albanesi settentrionali)per esercitare la pirateria in comune su vasta scala. Conintere squadre delle loro celebri biremi (le celebri naviliburniche) gli Illiri assalivano ogni naviglio in altomare o lungo le coste. Le più travagliate erano natural-mente le colonie greche, le città insulari Issa (Lissa) eFaro (Lesina), e le importanti piazze marittime di Epi-damno (Durazzo) ed Apollonia (al nord d'Aulonasull'Aoo), le quali si videro ripetutamente assediate daibarbari. Ma essendosi i pirati stabiliti ancora più al sud,cioè a Fenicia, la più florida città dell'Epiro, gli Epiroti egli Acarnani loro malgrado dovettero entrare con i la-droni in una non naturale simmachia e così tutto il lito-rale, sino ad Elide e Messene, ne fu infestato.

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Gli Etoli e gli Achei raccolsero invano tutte le loro naviper porre un freno a questi eccessi: in una battaglia essifurono dai corsari e dai loro alleati greci interamente di-sfatti; il naviglio de' corsari riuscì persino ad imposses-sarsi della ricca ed importante isola di Corcira (Corfù).Le lagnanze dei naviganti italici, le suppliche degli anti-chi alleati di Apollonia e le preghiere degli assediati inIssa (Lissa) decisero finalmente il senato romano a man-dare a Scodra per lo meno un'ambasceria.I fratelli Caio e Lucio Coruncanio furono incaricati dichiedere al re Agrone che facesse cessare quegli eccessi.Il re rispondeva che le leggi illiriche permettevano la pi-rateria e che il governo non aveva il diritto d'impedire aiprivati di corseggiare; al che Lucio Coruncanio soggiun-geva che Roma avrebbe pensato a dare agli Illirici leggimigliori.Per punire questa replica, certo non troppo diplomatica,per ordine del re – così pretendono i Romani – uno degliambasciatori fu assassinato durante il viaggio di ritorno,ed il governo rifiutò la consegna degli assassini.Il senato non poteva ora esitare sul da farsi. Nella pri-mavera del 525=229 comparve dinanzi ad Apolloniauna flotta di 200 vascelli di linea con a bordo un eserci-to di sbarco, alla vista della quale le navi corsare scom-parvero. L'esercito distrusse le rocche che servivano dirifugio ai corsari.La regina Teuta, che dopo la morte del suo consorte

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Gli Etoli e gli Achei raccolsero invano tutte le loro naviper porre un freno a questi eccessi: in una battaglia essifurono dai corsari e dai loro alleati greci interamente di-sfatti; il naviglio de' corsari riuscì persino ad imposses-sarsi della ricca ed importante isola di Corcira (Corfù).Le lagnanze dei naviganti italici, le suppliche degli anti-chi alleati di Apollonia e le preghiere degli assediati inIssa (Lissa) decisero finalmente il senato romano a man-dare a Scodra per lo meno un'ambasceria.I fratelli Caio e Lucio Coruncanio furono incaricati dichiedere al re Agrone che facesse cessare quegli eccessi.Il re rispondeva che le leggi illiriche permettevano la pi-rateria e che il governo non aveva il diritto d'impedire aiprivati di corseggiare; al che Lucio Coruncanio soggiun-geva che Roma avrebbe pensato a dare agli Illirici leggimigliori.Per punire questa replica, certo non troppo diplomatica,per ordine del re – così pretendono i Romani – uno degliambasciatori fu assassinato durante il viaggio di ritorno,ed il governo rifiutò la consegna degli assassini.Il senato non poteva ora esitare sul da farsi. Nella pri-mavera del 525=229 comparve dinanzi ad Apolloniauna flotta di 200 vascelli di linea con a bordo un eserci-to di sbarco, alla vista della quale le navi corsare scom-parvero. L'esercito distrusse le rocche che servivano dirifugio ai corsari.La regina Teuta, che dopo la morte del suo consorte

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Agrone teneva il governo per il figlio minorenne, funell'ultimo suo asilo costretta ad accettare le condizioniimposte da Roma. I signori di Scodra furono ridotti tan-to a settentrione quanto a mezzodì all'antico loro territo-rio e dovettero non solo sciogliere dal vincolo di suddi-tanza tutte le città greche, ma anche gli Ardiei in Dal-mazia, i Partini presso Epidamno, gli Atintani nell'Epirosettentrionale; al mezzodì di Lisso (Alessio, tra Scutari eDurazzo) non doveva d'ora innanzi lasciarsi più vederealcuna nave illirica armata, nè dovevano andare insiemepiù di due navi anche se non armate.Colla sollecita ed energica repressione della pirateria fudurevolmente, e nel modo più lodevole, stabilito il do-minio di Roma nell'Adriatico.

7. Acquisto di territorio nell'Illiria.Ma i Romani non si accontentarono soltanto di ciò e sistabilirono nella costa orientale. Gli Illiri della Scodradivennero loro vassalli; Demetrio da Faro, passato dalservizio della regina Teuta a quello dei Romani, fu in-stallato, come dinasta dipendente ed alleato loro, a reg-gere le isole e le coste della Dalmazia; le città greche diCorcira, Apollonia, Epidamno ed i comuni degli Atinta-ni e dei Partini furono sotto forme più miti uniti allasimmachia di Roma. Tali acquisti sulla costa orientaledell'Adriatico non erano abbastanza estesi per stabilirviun apposito proconsole; pare che a Corcira, e forse an-che in altre piazze, siano stati inviati dei governatori di

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Agrone teneva il governo per il figlio minorenne, funell'ultimo suo asilo costretta ad accettare le condizioniimposte da Roma. I signori di Scodra furono ridotti tan-to a settentrione quanto a mezzodì all'antico loro territo-rio e dovettero non solo sciogliere dal vincolo di suddi-tanza tutte le città greche, ma anche gli Ardiei in Dal-mazia, i Partini presso Epidamno, gli Atintani nell'Epirosettentrionale; al mezzodì di Lisso (Alessio, tra Scutari eDurazzo) non doveva d'ora innanzi lasciarsi più vederealcuna nave illirica armata, nè dovevano andare insiemepiù di due navi anche se non armate.Colla sollecita ed energica repressione della pirateria fudurevolmente, e nel modo più lodevole, stabilito il do-minio di Roma nell'Adriatico.

7. Acquisto di territorio nell'Illiria.Ma i Romani non si accontentarono soltanto di ciò e sistabilirono nella costa orientale. Gli Illiri della Scodradivennero loro vassalli; Demetrio da Faro, passato dalservizio della regina Teuta a quello dei Romani, fu in-stallato, come dinasta dipendente ed alleato loro, a reg-gere le isole e le coste della Dalmazia; le città greche diCorcira, Apollonia, Epidamno ed i comuni degli Atinta-ni e dei Partini furono sotto forme più miti uniti allasimmachia di Roma. Tali acquisti sulla costa orientaledell'Adriatico non erano abbastanza estesi per stabilirviun apposito proconsole; pare che a Corcira, e forse an-che in altre piazze, siano stati inviati dei governatori di

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grado subordinato, e che la soprintendenza su questipossessi sia stata affidata ai supremi magistrati che go-vernavano l'Italia(16).Così furono sottomesse alla signoria dei Romani, comelo erano la Sicilia e la Sardegna, anche le più importantistazioni marittime dell'Adriatico. E come avrebbe potu-to avvenire diversamente?Roma aveva bisogno di una buona stazione marittimanell'Adriatico superiore, che invano avrebbe cercato sul-le coste italiche; i nuovi alleati, e particolarmente le cittàmercantili greche, ravvisavano nei Romani i loro salva-tori e facevano, senza dubbio, ogni sforzo per assicurar-si durevolmente la possente loro protezione; nella Gre-cia propriamente detta non solo nessuno poteva opporsi,ma anzi non v'erano che lodi pei liberatori.Fu in Grecia maggiore il giubilo o la vergogna allorchèinvece delle dieci navi di linea della lega achea, la qualeera la potenza più bellicosa della Grecia, entrarono ne'

16 Pare che POLIBIO, 22, 15, 6 (tradotto erroneamente da LIV., 18, 11; confr.42, 37) accenni ad uno stabile comandante romano in Corcira, e che LIVIO,43, 9, accenni ad uno in Issa (Lissa). Abbiamo Inoltre l'analogia del prae-fectus pro legato insularum Baliarum (ORELLI, 732) e del governatore diPandataria (I. R. N. 3528). Pare da ciò che nel governo romano sia stataregola generale di non nominare praefecti senatoriali per le isole più remo-te. Se non che questi governatori suppongono un magistrato superiore cheli nomini, li sorvegli, e questa magistratura superiore non poteva essere aquei tempi che il console. Più tardi, dopo l'organizzazione della Macedoniae della Gallia cisalpina, l'amministrazione superiore fu data ad uno dei go-vernatori delle medesime; difatti il territorio in questione, nucleo del po-steriore Illirico romano, appartenne notoriamente in parte al circondarioamministrativo di Cesare.

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grado subordinato, e che la soprintendenza su questipossessi sia stata affidata ai supremi magistrati che go-vernavano l'Italia(16).Così furono sottomesse alla signoria dei Romani, comelo erano la Sicilia e la Sardegna, anche le più importantistazioni marittime dell'Adriatico. E come avrebbe potu-to avvenire diversamente?Roma aveva bisogno di una buona stazione marittimanell'Adriatico superiore, che invano avrebbe cercato sul-le coste italiche; i nuovi alleati, e particolarmente le cittàmercantili greche, ravvisavano nei Romani i loro salva-tori e facevano, senza dubbio, ogni sforzo per assicurar-si durevolmente la possente loro protezione; nella Gre-cia propriamente detta non solo nessuno poteva opporsi,ma anzi non v'erano che lodi pei liberatori.Fu in Grecia maggiore il giubilo o la vergogna allorchèinvece delle dieci navi di linea della lega achea, la qualeera la potenza più bellicosa della Grecia, entrarono ne'

16 Pare che POLIBIO, 22, 15, 6 (tradotto erroneamente da LIV., 18, 11; confr.42, 37) accenni ad uno stabile comandante romano in Corcira, e che LIVIO,43, 9, accenni ad uno in Issa (Lissa). Abbiamo Inoltre l'analogia del prae-fectus pro legato insularum Baliarum (ORELLI, 732) e del governatore diPandataria (I. R. N. 3528). Pare da ciò che nel governo romano sia stataregola generale di non nominare praefecti senatoriali per le isole più remo-te. Se non che questi governatori suppongono un magistrato superiore cheli nomini, li sorvegli, e questa magistratura superiore non poteva essere aquei tempi che il console. Più tardi, dopo l'organizzazione della Macedoniae della Gallia cisalpina, l'amministrazione superiore fu data ad uno dei go-vernatori delle medesime; difatti il territorio in questione, nucleo del po-steriore Illirico romano, appartenne notoriamente in parte al circondarioamministrativo di Cesare.

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suoi porti duecento vele dei barbari, che d'un sol colposciolsero il compito che spettava ai Greci, ed al qualequesti avevano sì miseramente mancato?Ma se i Greci sentirono tutta l'onta di dovere la salvezzadei tribolati loro compatrioti ai barbari, non lo feceroconoscere che con buon garbo e non si esitò ad acco-gliere solennemente i Romani nella lega nazionale am-mettendoli ai giuochi istmici ed ai misteri eleusini.La Macedonia taceva; essa non era in condizione di pro-testare colle armi, e sdegnava di farlo colle parole.I Romani non trovarono resistenza di nessuna sorta; ma,impossessandosi delle chiavi della casa del vicino, essisi erano creati in questo un nemico, il quale avrebbe sa-puto – ed essi potevano aspettarselo – rompere un gior-no o l'altro il silenzio. Se avesse vissuto più lungamentel'energico ed assennato re Antigono Dosone, egli certa-mente avrebbe raccolto la sfida dei Romani, poichèquando alcuni anni dopo il dinasta Demetrio da Faro,sottrattosi all'egemonia romana, si mise ad esercitare lapirateria in opposizione ai trattati, d'accordo cogli Istria-ni, e sottomise gli Atintani dichiarati indipendenti daiRomani, Antigono si alleò con lui e le truppe di Deme-trio combatterono nell'esercito di Antigono nella giorna-ta di Sellasia (532=222). Ma Antigono morì (nell'inver-no del 533-534=221-220), e il suo successore Filippo,ancora fanciullo, lasciò che il console Lucio EmilioPaolo attaccasse l'alleato della Macedonia, distruggessela sua capitale e lo cacciasse profugo dal regno

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suoi porti duecento vele dei barbari, che d'un sol colposciolsero il compito che spettava ai Greci, ed al qualequesti avevano sì miseramente mancato?Ma se i Greci sentirono tutta l'onta di dovere la salvezzadei tribolati loro compatrioti ai barbari, non lo feceroconoscere che con buon garbo e non si esitò ad acco-gliere solennemente i Romani nella lega nazionale am-mettendoli ai giuochi istmici ed ai misteri eleusini.La Macedonia taceva; essa non era in condizione di pro-testare colle armi, e sdegnava di farlo colle parole.I Romani non trovarono resistenza di nessuna sorta; ma,impossessandosi delle chiavi della casa del vicino, essisi erano creati in questo un nemico, il quale avrebbe sa-puto – ed essi potevano aspettarselo – rompere un gior-no o l'altro il silenzio. Se avesse vissuto più lungamentel'energico ed assennato re Antigono Dosone, egli certa-mente avrebbe raccolto la sfida dei Romani, poichèquando alcuni anni dopo il dinasta Demetrio da Faro,sottrattosi all'egemonia romana, si mise ad esercitare lapirateria in opposizione ai trattati, d'accordo cogli Istria-ni, e sottomise gli Atintani dichiarati indipendenti daiRomani, Antigono si alleò con lui e le truppe di Deme-trio combatterono nell'esercito di Antigono nella giorna-ta di Sellasia (532=222). Ma Antigono morì (nell'inver-no del 533-534=221-220), e il suo successore Filippo,ancora fanciullo, lasciò che il console Lucio EmilioPaolo attaccasse l'alleato della Macedonia, distruggessela sua capitale e lo cacciasse profugo dal regno

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(535=219).

8. Italia superiore.Nella parte continentale dell'Italia propriamente detta, asud degli Appennini, regnava, dopo la caduta di Taranto,profonda pace.La guerra con Falera (513=241), che durò sei giorni,non fu che una farsa. Ma verso settentrione, fra il terri-torio delle città confederate ed il confine naturaledell'Italia, la catena delle Alpi, si estendeva un vasto ter-ritorio che non obbediva assolutamente ai Romani.L'Esino, al di sopra di Ancona, era considerato come ilconfine d'Italia sulla costa adriatica. Oltre questo confi-ne, tutta la regione fino a Ravenna inclusa, appartenevaalla confederazione romana, allo stesso modo che vi ap-parteneva l'Italia propriamente detta. I Senoni che vi sierano stabiliti una volta, erano stati distrutti nella guerradel 471-472=283-282 e i singoli luoghi erano stati riuni-ti a Roma o quali colonie cittadine, come Sena Gallica,o come città federali di diritto latino, come Rimini, o didiritto italico, come Ravenna.Da Ravenna sino alle Alpi, in questo ampio territorio,risiedevano popolazioni non italiche.A mezzodì del Po si sosteneva ancora la potente stirpedei Boi (da Parma a Bologna) accanto ai quali, versooriente, il piano era occupato dai Lingoni; verso occi-dente (territorio di Parma) dagli Anari, due piccoli can-

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(535=219).

8. Italia superiore.Nella parte continentale dell'Italia propriamente detta, asud degli Appennini, regnava, dopo la caduta di Taranto,profonda pace.La guerra con Falera (513=241), che durò sei giorni,non fu che una farsa. Ma verso settentrione, fra il terri-torio delle città confederate ed il confine naturaledell'Italia, la catena delle Alpi, si estendeva un vasto ter-ritorio che non obbediva assolutamente ai Romani.L'Esino, al di sopra di Ancona, era considerato come ilconfine d'Italia sulla costa adriatica. Oltre questo confi-ne, tutta la regione fino a Ravenna inclusa, appartenevaalla confederazione romana, allo stesso modo che vi ap-parteneva l'Italia propriamente detta. I Senoni che vi sierano stabiliti una volta, erano stati distrutti nella guerradel 471-472=283-282 e i singoli luoghi erano stati riuni-ti a Roma o quali colonie cittadine, come Sena Gallica,o come città federali di diritto latino, come Rimini, o didiritto italico, come Ravenna.Da Ravenna sino alle Alpi, in questo ampio territorio,risiedevano popolazioni non italiche.A mezzodì del Po si sosteneva ancora la potente stirpedei Boi (da Parma a Bologna) accanto ai quali, versooriente, il piano era occupato dai Lingoni; verso occi-dente (territorio di Parma) dagli Anari, due piccoli can-

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toni celtici verosimilmente dipendenti dai Boi. Là dovefinisce questo piano erano i Liguri, i quali, frammisti adalcune tribù isolate di Celti, stabiliti fra l'Appenninoall'occidente di Arezzo e di Pisa, occupavano il territo-rio delle sorgenti del Po. La parte orientale della valleera occupata ad oriente (presso a poco da Verona allacosta del mare) dai Veneti, popolo di razza diversa dallaceltica e forse di origine illirica; tra i Veneti e le monta-gne ad occidente verso(17) i Cenomani (intorno a Bresciae Cremona), i quali di rado tenevano pei Celti ed eranoprobabilmente molto frammisti coi Veneti, e gli Insubri(nei dintorni di Milano), il più ragguardevole cantoneitalico, in continua relazione non solo coi piccoli comu-ni sparsi nelle valli alpine, ma anche coi cantoni celticitransalpini.I passi delle Alpi, il gran fiume navigabile per una lun-ghezza di cinquanta leghe e la maggiore e più fertilevallata dell'Europa civile di quei tempi, si trovavano al-lora, come poi, nelle mani del nemico ereditario delnome italico, il quale, sebbene umiliato e fiaccato, nonera mai stato assoggettato se non di nome e continuavaad essere un molesto vicino, che perseverava nella suabarbarie e, scarsamente disseminato nelle vaste pianure,continuava la sua vita pastorale e predatrice.Era da aspettarsi che i Romani si sarebbero affrettati adoccupare quei paesi, tanto più che i Celti cominciavano

17 Nell'edizione Dall'Oglio 1962, al posto di "verso" si legge "erano" [Notaper l'edizione elettronica Manuzio].

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toni celtici verosimilmente dipendenti dai Boi. Là dovefinisce questo piano erano i Liguri, i quali, frammisti adalcune tribù isolate di Celti, stabiliti fra l'Appenninoall'occidente di Arezzo e di Pisa, occupavano il territo-rio delle sorgenti del Po. La parte orientale della valleera occupata ad oriente (presso a poco da Verona allacosta del mare) dai Veneti, popolo di razza diversa dallaceltica e forse di origine illirica; tra i Veneti e le monta-gne ad occidente verso(17) i Cenomani (intorno a Bresciae Cremona), i quali di rado tenevano pei Celti ed eranoprobabilmente molto frammisti coi Veneti, e gli Insubri(nei dintorni di Milano), il più ragguardevole cantoneitalico, in continua relazione non solo coi piccoli comu-ni sparsi nelle valli alpine, ma anche coi cantoni celticitransalpini.I passi delle Alpi, il gran fiume navigabile per una lun-ghezza di cinquanta leghe e la maggiore e più fertilevallata dell'Europa civile di quei tempi, si trovavano al-lora, come poi, nelle mani del nemico ereditario delnome italico, il quale, sebbene umiliato e fiaccato, nonera mai stato assoggettato se non di nome e continuavaad essere un molesto vicino, che perseverava nella suabarbarie e, scarsamente disseminato nelle vaste pianure,continuava la sua vita pastorale e predatrice.Era da aspettarsi che i Romani si sarebbero affrettati adoccupare quei paesi, tanto più che i Celti cominciavano

17 Nell'edizione Dall'Oglio 1962, al posto di "verso" si legge "erano" [Notaper l'edizione elettronica Manuzio].

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a poco a poco a dimenticare le loro sconfitte nelle cam-pagne del 471-472=283-282 e ad agitarsi nuovamente, equelli d'oltre alpe, ciò che era più grave, ricominciavanoad affacciarsi al di qua delle Alpi.Infatti i Boi avevano sino dal 516=238 ricominciata laguerra, e i loro capi Ati e Galata, sebbene senza ordinedell'autorità del cantone, avevano invitato i transalpini afare causa comune; questi vennero in grandi frotte, e nel518=236 un esercito di Celti, quale l'Italia da lungo tem-po non aveva veduto, pose il campo sotto Rimini.

9. Guerre dei Celti.I Romani, sentendosi in quel momento troppo deboli pertentare le sorti d'una battaglia, conclusero un armistizioe per guadagnare tempo lasciarono che i Celti mandas-sero a Roma ambasciatori, i quali osarono chiedere insenato la cessione di Rimini.Sembravano ritornati i tempi del primo Brenno. Ma unavvenimento inaspettato mise fine alla guerra prima an-cora che fosse seriamente incominciata. I Boi, malcon-tenti degli importuni alleati e temendo fors'anche per ilproprio paese, vennero in contestazioni coi transalpini; idue eserciti dei Celti scesero a battaglia campale; e,dopo che i capi dei Boi furono trucidati dai loro propriconnazionali, i transalpini ritornarono ai loro paesi.I Boi erano così in balìa dei Romani e non dipendevache da questi lo scacciarli, come avevano fatto dei Seno-

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a poco a poco a dimenticare le loro sconfitte nelle cam-pagne del 471-472=283-282 e ad agitarsi nuovamente, equelli d'oltre alpe, ciò che era più grave, ricominciavanoad affacciarsi al di qua delle Alpi.Infatti i Boi avevano sino dal 516=238 ricominciata laguerra, e i loro capi Ati e Galata, sebbene senza ordinedell'autorità del cantone, avevano invitato i transalpini afare causa comune; questi vennero in grandi frotte, e nel518=236 un esercito di Celti, quale l'Italia da lungo tem-po non aveva veduto, pose il campo sotto Rimini.

9. Guerre dei Celti.I Romani, sentendosi in quel momento troppo deboli pertentare le sorti d'una battaglia, conclusero un armistizioe per guadagnare tempo lasciarono che i Celti mandas-sero a Roma ambasciatori, i quali osarono chiedere insenato la cessione di Rimini.Sembravano ritornati i tempi del primo Brenno. Ma unavvenimento inaspettato mise fine alla guerra prima an-cora che fosse seriamente incominciata. I Boi, malcon-tenti degli importuni alleati e temendo fors'anche per ilproprio paese, vennero in contestazioni coi transalpini; idue eserciti dei Celti scesero a battaglia campale; e,dopo che i capi dei Boi furono trucidati dai loro propriconnazionali, i transalpini ritornarono ai loro paesi.I Boi erano così in balìa dei Romani e non dipendevache da questi lo scacciarli, come avevano fatto dei Seno-

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ni, ed inoltrarsi per lo meno sino al Po; ma fu invececoncessa loro la pace mediante la rinunzia ad alcuneparti del loro territorio (518=236).Ciò sarà avvenuto probabilmente perché si ritenevaprossima l'apertura delle ostilità con Cartagine. Ma ces-sato questo timore coll'acquisto della Sardegna, la sanapolitica del governo romano richiedeva che si eseguisseal più presto possibile la totale occupazione del paeseche stendevasi sino alle Alpi; e con ciò si giustifica ilcontinuo timore che avevano i Celti d'una simile inva-sione. Ma i Romani non si affrettarono e furono invece iCelti che iniziarono la guerra, sia che le distribuzioni diterre, che i Romani andavano facendo sulla costa orien-tale, li inquietassero (522=232), benchè non si riferisse-ro direttamente ad essi, sia che riconoscessero inevitabi-le la guerra con Roma per il possesso della pianura pa-dana, sia finalmente – e questo pare il più verosimile –che l'impaziente popolo celtico fosse ormai stanco dellungo oziare ed agognasse a nuove spedizioni. Meno iCenomani che parteggiavano pei Veneti e si dichiararo-no in favore dei Romani, tutti i Celti italici presero partealla guerra, e ad essi si associarono in gran numero iCelti della valle superiore del Rodano o piuttosto i lorodisertori condotti da Concolitano e da Aneresto(18). I

18 Quelli indicati da Polibio come «Celti stabiliti nelle Alpi e sul Rodano», iquali per la loro inclinazione alle avventure militari erano detti Gessati(Lanzichenecchi), nei fasti capitolini sono detti Germani. È possibile chegli annalisti contemporanei non abbiano nominato qui che i Celti e chesolo la storica speculazione dei tempi di Cesare e d'Augusto abbia indotto icompilatori di quei fasti a chiamarli «Germani». Se per contro la denomi-

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ni, ed inoltrarsi per lo meno sino al Po; ma fu invececoncessa loro la pace mediante la rinunzia ad alcuneparti del loro territorio (518=236).Ciò sarà avvenuto probabilmente perché si ritenevaprossima l'apertura delle ostilità con Cartagine. Ma ces-sato questo timore coll'acquisto della Sardegna, la sanapolitica del governo romano richiedeva che si eseguisseal più presto possibile la totale occupazione del paeseche stendevasi sino alle Alpi; e con ciò si giustifica ilcontinuo timore che avevano i Celti d'una simile inva-sione. Ma i Romani non si affrettarono e furono invece iCelti che iniziarono la guerra, sia che le distribuzioni diterre, che i Romani andavano facendo sulla costa orien-tale, li inquietassero (522=232), benchè non si riferisse-ro direttamente ad essi, sia che riconoscessero inevitabi-le la guerra con Roma per il possesso della pianura pa-dana, sia finalmente – e questo pare il più verosimile –che l'impaziente popolo celtico fosse ormai stanco dellungo oziare ed agognasse a nuove spedizioni. Meno iCenomani che parteggiavano pei Veneti e si dichiararo-no in favore dei Romani, tutti i Celti italici presero partealla guerra, e ad essi si associarono in gran numero iCelti della valle superiore del Rodano o piuttosto i lorodisertori condotti da Concolitano e da Aneresto(18). I

18 Quelli indicati da Polibio come «Celti stabiliti nelle Alpi e sul Rodano», iquali per la loro inclinazione alle avventure militari erano detti Gessati(Lanzichenecchi), nei fasti capitolini sono detti Germani. È possibile chegli annalisti contemporanei non abbiano nominato qui che i Celti e chesolo la storica speculazione dei tempi di Cesare e d'Augusto abbia indotto icompilatori di quei fasti a chiamarli «Germani». Se per contro la denomi-

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duci dei Celti avanzarono verso l'Appennino con 50.000combattenti a piedi e 20.000 a cavallo o su carri(529=225).I Romani non avevano preveduto un attacco da quellaparte e non avevano pensato che i Celti, trascurando lefortezze romane poste sulla costa orientale e l'appoggiodei propri connazionali, avrebbero osato marciare diret-tamente sulla capitale.Non molto tempo prima un'altra orda di Celti aveva nel-lo stesso modo inondata la Grecia.Il pericolo era grave e sembrava ancora più grave diquello che realmente fosse.La credenza che questa volta la rovina di Roma fosseinevitabile e che il territorio romano dovesse, per desti-no ineluttabile, divenire preda dei Galli, era nella stessacapitale così diffusa tra le masse, che lo stesso governonon stimò contrario alla sua dignità scongiurare il gros-solano pregiudizio del volgo con un pregiudizio ancorapiù grossolano, sotterrando vivi nel foro romano unuomo ed una donna gallici quasi per dar compimento aidecreti del destino.In pari tempo si presero però efficaci misure. Dei due

nazione di Germani nei detti fasti rimonta a registrazioni contemporanee –nel qual caso è questa la più antica menzione di un tal nome – non vi sivorrà già sottintendere le tribù tedesche così chiamate posteriormente, ben-sì un'orda celtica. [Nelle prime edizioni il periodo, che fu poi troncato aquesto punto dall'autore continuava così: «e questa ipotesi pare la più ve-rosimile in quanto che, a parere dei migliori etimologisti, il nome Germaninon è di origine tedesca, ma celtica e significa forse «gridatore».]

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duci dei Celti avanzarono verso l'Appennino con 50.000combattenti a piedi e 20.000 a cavallo o su carri(529=225).I Romani non avevano preveduto un attacco da quellaparte e non avevano pensato che i Celti, trascurando lefortezze romane poste sulla costa orientale e l'appoggiodei propri connazionali, avrebbero osato marciare diret-tamente sulla capitale.Non molto tempo prima un'altra orda di Celti aveva nel-lo stesso modo inondata la Grecia.Il pericolo era grave e sembrava ancora più grave diquello che realmente fosse.La credenza che questa volta la rovina di Roma fosseinevitabile e che il territorio romano dovesse, per desti-no ineluttabile, divenire preda dei Galli, era nella stessacapitale così diffusa tra le masse, che lo stesso governonon stimò contrario alla sua dignità scongiurare il gros-solano pregiudizio del volgo con un pregiudizio ancorapiù grossolano, sotterrando vivi nel foro romano unuomo ed una donna gallici quasi per dar compimento aidecreti del destino.In pari tempo si presero però efficaci misure. Dei due

nazione di Germani nei detti fasti rimonta a registrazioni contemporanee –nel qual caso è questa la più antica menzione di un tal nome – non vi sivorrà già sottintendere le tribù tedesche così chiamate posteriormente, ben-sì un'orda celtica. [Nelle prime edizioni il periodo, che fu poi troncato aquesto punto dall'autore continuava così: «e questa ipotesi pare la più ve-rosimile in quanto che, a parere dei migliori etimologisti, il nome Germaninon è di origine tedesca, ma celtica e significa forse «gridatore».]

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eserciti consolari, ciascuno dei quali contava 25.000fanti e 1100 cavalieri, l'uno era stanziato in Sardegnasotto gli ordini di Caio Attilio Regolo, l'altro a Riminisotto Lucio Emilio Papo. Entrambi ricevettero l'ordinedi recarsi con tutta la possibile celerità in Etruria, comequella che era la più minacciata.I Celti erano stati già costretti a lasciare nel loro paeseun presidio per difenderlo contro i Cenomani ed i Venetialleati dei Romani; ora gli Umbri, scesi in massa dailoro monti furono spinti nelle pianure dei Boi per deva-starne le campagne e recare al nemico ogni possibiledanno. L'esercito degli Etruschi e dei Sabini ebbe ilcompito di occupare l'Appennino e possibilmente sbar-rarlo finchè fossero potute arrivare le truppe regolari.A Roma si formò una riserva di 50.000 uomini; in tuttal'Italia, che questa volta riconobbe in Roma il suo verobaluardo, si arruolarono tutti gli uomini atti alle armi esi raccolsero provvigioni da bocca e da guerra.Ma tutto ciò richiedeva del tempo; i Romani si erano la-sciati sorprendere, e per lo meno l'Etruria non era piùpossibile salvarla.I Celti trovarono l'Appennino fiaccamente difeso e sac-cheggiarono a loro agio le ricche pianure etrusche, cheda lungo tempo non erano visitate da nemici. Si eranogià avanzati sino a Chiusi, distante solo tre tappe daRoma, quando l'esercito di Rimini, comandato dal con-sole Papo, apparve ai loro fianchi, mentre la milizia

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eserciti consolari, ciascuno dei quali contava 25.000fanti e 1100 cavalieri, l'uno era stanziato in Sardegnasotto gli ordini di Caio Attilio Regolo, l'altro a Riminisotto Lucio Emilio Papo. Entrambi ricevettero l'ordinedi recarsi con tutta la possibile celerità in Etruria, comequella che era la più minacciata.I Celti erano stati già costretti a lasciare nel loro paeseun presidio per difenderlo contro i Cenomani ed i Venetialleati dei Romani; ora gli Umbri, scesi in massa dailoro monti furono spinti nelle pianure dei Boi per deva-starne le campagne e recare al nemico ogni possibiledanno. L'esercito degli Etruschi e dei Sabini ebbe ilcompito di occupare l'Appennino e possibilmente sbar-rarlo finchè fossero potute arrivare le truppe regolari.A Roma si formò una riserva di 50.000 uomini; in tuttal'Italia, che questa volta riconobbe in Roma il suo verobaluardo, si arruolarono tutti gli uomini atti alle armi esi raccolsero provvigioni da bocca e da guerra.Ma tutto ciò richiedeva del tempo; i Romani si erano la-sciati sorprendere, e per lo meno l'Etruria non era piùpossibile salvarla.I Celti trovarono l'Appennino fiaccamente difeso e sac-cheggiarono a loro agio le ricche pianure etrusche, cheda lungo tempo non erano visitate da nemici. Si eranogià avanzati sino a Chiusi, distante solo tre tappe daRoma, quando l'esercito di Rimini, comandato dal con-sole Papo, apparve ai loro fianchi, mentre la milizia

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etrusca, che, varcato l'Appennino si era raccolta allespalle dei Galli, seguiva la loro avanzata.Una sera, dopo che i due eserciti si erano già accampatied avevano accesi i fuochi del bivacco, la fanteria celti-ca levò tutto ad un tratto di nuovo gli alloggiamenti bat-tendo in ritirata sulla via di Fiesole; la cavalleria occupòper tutta la notte gli avamposti e la mattina seguente se-guì il grosso dell'esercito.Allorquando la milizia etrusca, che aveva posto il suocampo in prossimità del nemico, s'accorse della sua riti-rata, credendo che l'orda cominciasse a sbandarsi si af-frettò ad inseguirla.I Galli avevano calcolato appunto su questo errore; laloro fanteria, rifattasi dalla stanchezza, stava in buon or-dine attendendo in opportuno campo di battaglia la mili-zia romana, che arrivava stanca e disordinata per la mar-cia forzata. Seguì un accanito combattimento, in cui sicontarono 6000 morti; il resto delle milizie che a stentoaveva potuto ritirarsi su di una collina, sarebbe essopure stato distrutto se l'esercito consolare non fossegiunto ancora in tempo a liberarlo, ciò che decise i Gallia battere in ritirata.L'ingegnoso loro piano d'impedire l'unione dei due eser-citi romani distruggendo isolatamente il più debole nonera riuscito che per metà; per il momento sembrò lorosavio partito quello di porre prima di tutto in salvo ilragguardevole bottino. Allo scopo di rendere meno fati-

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etrusca, che, varcato l'Appennino si era raccolta allespalle dei Galli, seguiva la loro avanzata.Una sera, dopo che i due eserciti si erano già accampatied avevano accesi i fuochi del bivacco, la fanteria celti-ca levò tutto ad un tratto di nuovo gli alloggiamenti bat-tendo in ritirata sulla via di Fiesole; la cavalleria occupòper tutta la notte gli avamposti e la mattina seguente se-guì il grosso dell'esercito.Allorquando la milizia etrusca, che aveva posto il suocampo in prossimità del nemico, s'accorse della sua riti-rata, credendo che l'orda cominciasse a sbandarsi si af-frettò ad inseguirla.I Galli avevano calcolato appunto su questo errore; laloro fanteria, rifattasi dalla stanchezza, stava in buon or-dine attendendo in opportuno campo di battaglia la mili-zia romana, che arrivava stanca e disordinata per la mar-cia forzata. Seguì un accanito combattimento, in cui sicontarono 6000 morti; il resto delle milizie che a stentoaveva potuto ritirarsi su di una collina, sarebbe essopure stato distrutto se l'esercito consolare non fossegiunto ancora in tempo a liberarlo, ciò che decise i Gallia battere in ritirata.L'ingegnoso loro piano d'impedire l'unione dei due eser-citi romani distruggendo isolatamente il più debole nonera riuscito che per metà; per il momento sembrò lorosavio partito quello di porre prima di tutto in salvo ilragguardevole bottino. Allo scopo di rendere meno fati-

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cosa la marcia attraverso il paese di Chiusi, ove si trova-vano, s'erano portati alla pianura verso il mare e proce-devano lungo la costa, allorchè tutt'ad un tratto si viderosbarrata la via. Erano le legioni sarde sbarcate pressoPisa, che, arrivate troppo tardi per chiudere il passodell'Appennino, avevano preso la via del litorale andan-do incontro ai Galli. Presso Talamone (alla focedell'Ombrone) si incontrarono col nemico.Mentre la cavalleria romana avanzava in colonne serratesulla grande strada, il console Caio Attilio Regolo allatesta della cavalleria, con una marcia obliqua, cercò diportarsi sul fianco dei Galli e di dare sollecito avviso delsuo arrivo all'altro esercito capitanato da Papo. S'impe-gnò un violento combattimento di cavalleria, in cui, in-sieme con altri valorosi Romani, cadde anche Regolo,ma il console non aveva sacrificata inutilmente la suavita; lo scopo ch'egli si era prefisso era raggiunto. Papos'accorse della battaglia e cercò di effettuare il congiun-gimento: riordinò in tutta fretta le sue truppe, e le legio-ni romane piombarono ai due lati dell'esercito dei Galli.Coraggiosamente questi si disposero a sostenere la du-plice lotta; i transalpini e gli Insubri contro le truppe diPapo, i Taurisci alpigiani ed i Boi contro le legioni sar-de; la cavalleria continuava a combattere separatamentesui fianchi. In quanto al numero le forze non erano disu-guali e la disperata posizione dei Galli li costringevaalla più pertinace difesa.Ma i transalpini, abituati a combattere soltanto a corpo a

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cosa la marcia attraverso il paese di Chiusi, ove si trova-vano, s'erano portati alla pianura verso il mare e proce-devano lungo la costa, allorchè tutt'ad un tratto si viderosbarrata la via. Erano le legioni sarde sbarcate pressoPisa, che, arrivate troppo tardi per chiudere il passodell'Appennino, avevano preso la via del litorale andan-do incontro ai Galli. Presso Talamone (alla focedell'Ombrone) si incontrarono col nemico.Mentre la cavalleria romana avanzava in colonne serratesulla grande strada, il console Caio Attilio Regolo allatesta della cavalleria, con una marcia obliqua, cercò diportarsi sul fianco dei Galli e di dare sollecito avviso delsuo arrivo all'altro esercito capitanato da Papo. S'impe-gnò un violento combattimento di cavalleria, in cui, in-sieme con altri valorosi Romani, cadde anche Regolo,ma il console non aveva sacrificata inutilmente la suavita; lo scopo ch'egli si era prefisso era raggiunto. Papos'accorse della battaglia e cercò di effettuare il congiun-gimento: riordinò in tutta fretta le sue truppe, e le legio-ni romane piombarono ai due lati dell'esercito dei Galli.Coraggiosamente questi si disposero a sostenere la du-plice lotta; i transalpini e gli Insubri contro le truppe diPapo, i Taurisci alpigiani ed i Boi contro le legioni sar-de; la cavalleria continuava a combattere separatamentesui fianchi. In quanto al numero le forze non erano disu-guali e la disperata posizione dei Galli li costringevaalla più pertinace difesa.Ma i transalpini, abituati a combattere soltanto a corpo a

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corpo, non resistevano ai proiettili degli arcieri romani;la giornata fu decisa da un assalto di fianco della vitto-riosa cavalleria romana.I cavalieri celtici presero la fuga; non così potè fare lafanteria incastrata tra il mare ed i tre eserciti romani.Diecimila Celti ed il re Concolitano furono fatti prigio-nieri, i morti che coprivano il campo di battaglia som-mavano a 40.000; Aneresto ed il suo seguito, stando alcostume celtico, si erano dati volontariamente la morte.

10. I Celti attaccati nel proprio paese.La vittoria era completa ed i Romani erano fermamentedecisi di premunirsi stabilmente contro simili invasioni,col completo soggiogamento dei Celti di qua delle Alpi.Nel 530=224 si sottomisero i Boi ed i Lingoni senza op-porre alcuna resistenza; l'anno dopo (531=223) gli Ana-ri, sicchè tutta la pianura sino al Po ubbidiva ai Romani.Maggiori difficoltà furono incontrate per assoggettare lariva settentrionale del gran fiume. Caio Flaminio passòil Po (531=223) nel paese degli Anari appena conquista-to (presso Piacenza), ma per passarlo, e più ancora permantenersi sull'altra sponda, soffrì perdite così gravi e sitrovò, col fiume alle spalle, in così difficile situazione,che si vide costretto a trattare col nemico per avere libe-ra la ritirata, cui gli Insubri stoltamente consentirono.Ma s'era appena tolto da quella posizione, che, portatosinel paese dei Cenomani, di concerto con questi ricom-

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corpo, non resistevano ai proiettili degli arcieri romani;la giornata fu decisa da un assalto di fianco della vitto-riosa cavalleria romana.I cavalieri celtici presero la fuga; non così potè fare lafanteria incastrata tra il mare ed i tre eserciti romani.Diecimila Celti ed il re Concolitano furono fatti prigio-nieri, i morti che coprivano il campo di battaglia som-mavano a 40.000; Aneresto ed il suo seguito, stando alcostume celtico, si erano dati volontariamente la morte.

10. I Celti attaccati nel proprio paese.La vittoria era completa ed i Romani erano fermamentedecisi di premunirsi stabilmente contro simili invasioni,col completo soggiogamento dei Celti di qua delle Alpi.Nel 530=224 si sottomisero i Boi ed i Lingoni senza op-porre alcuna resistenza; l'anno dopo (531=223) gli Ana-ri, sicchè tutta la pianura sino al Po ubbidiva ai Romani.Maggiori difficoltà furono incontrate per assoggettare lariva settentrionale del gran fiume. Caio Flaminio passòil Po (531=223) nel paese degli Anari appena conquista-to (presso Piacenza), ma per passarlo, e più ancora permantenersi sull'altra sponda, soffrì perdite così gravi e sitrovò, col fiume alle spalle, in così difficile situazione,che si vide costretto a trattare col nemico per avere libe-ra la ritirata, cui gli Insubri stoltamente consentirono.Ma s'era appena tolto da quella posizione, che, portatosinel paese dei Cenomani, di concerto con questi ricom-

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parve nel cantone degli Insubri dal lato settentrionale.Troppo tardi s'accorsero i Galli dell'importanza del fatto.Essi tolsero dal tempio della loro dea le insegne d'orodette le «immobili» e con tutte le loro forze, ascendentia 50.000 uomini, offrirono battaglia ai Romani.La posizione di questi era critica; si trovavano in riva adun fiume (forse l'Oglio), separati dalla loro patria da unpaese nemico e tanto pei soccorsi quanto per la linea diritirata ridotti a fare assegnamento sulla incerta amiciziadei Cenomani. Ad ogni modo non avevano altra scelta.Essi posero i Galli, che combattevano nelle loro file,sulla sponda sinistra del fiume; sulla destra, di fronteagli Insubri, schierarono le legioni e ruppero i pontionde almeno non essere presi alle spalle dai malsicurialleati.Certo è che in questo modo il fiume tagliava loro la riti-rata e che non avevano altra via per ritornare in patriafuorchè attraverso l'esercito nemico. Ma la superioritàdelle armi romane e della romana disciplina prevalsero el'esercito si aprì una via attraversando le file nemiche;così la tattica romana riparò ancora una volta gli erroridella strategia.La vittoria era dovuta ai soldati ed agli ufficiali, non aigenerali, i quali ebbero gli onori del trionfo soltanto pelfavore del popolo in opposizione del giusto decreto delsenato.Gli Insubri avrebbero volentieri fatta la pace, ma Roma

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parve nel cantone degli Insubri dal lato settentrionale.Troppo tardi s'accorsero i Galli dell'importanza del fatto.Essi tolsero dal tempio della loro dea le insegne d'orodette le «immobili» e con tutte le loro forze, ascendentia 50.000 uomini, offrirono battaglia ai Romani.La posizione di questi era critica; si trovavano in riva adun fiume (forse l'Oglio), separati dalla loro patria da unpaese nemico e tanto pei soccorsi quanto per la linea diritirata ridotti a fare assegnamento sulla incerta amiciziadei Cenomani. Ad ogni modo non avevano altra scelta.Essi posero i Galli, che combattevano nelle loro file,sulla sponda sinistra del fiume; sulla destra, di fronteagli Insubri, schierarono le legioni e ruppero i pontionde almeno non essere presi alle spalle dai malsicurialleati.Certo è che in questo modo il fiume tagliava loro la riti-rata e che non avevano altra via per ritornare in patriafuorchè attraverso l'esercito nemico. Ma la superioritàdelle armi romane e della romana disciplina prevalsero el'esercito si aprì una via attraversando le file nemiche;così la tattica romana riparò ancora una volta gli erroridella strategia.La vittoria era dovuta ai soldati ed agli ufficiali, non aigenerali, i quali ebbero gli onori del trionfo soltanto pelfavore del popolo in opposizione del giusto decreto delsenato.Gli Insubri avrebbero volentieri fatta la pace, ma Roma

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voleva una sottomissione assoluta, ed essi non si senti-vano caduti così in basso da adattarvisi. Tentarono quin-di di opporre resistenza coll'aiuto dei loro compatriotisettentrionali. Con 30.000 mercenari raccolti e collapropria milizia essi fecero fronte ai due eserciti romani,i quali nel seguente anno (532=222) invasero il loro ter-ritorio attraversando anche questa volta quello dei Ce-nomani.Accaddero ancora parecchi sanguinosi combattimenti;in una diversione tentata dagli Insubri contro la fortezzaromana di Clastidium (la presente Casteggio non lungida Pavia), sulla diritta del Po, il re dei Galli Vidomarocadde trafitto dalla spada del console Marco Marcello.Se non che, dopo una battaglia già quasi vinta dai Celti,ma infine guadagnata pur dai Romani, il console GneoScipione diede l'assalto a Milano, capitale degli Insubri,e l'espugnazione di essa e di Como mise fine alla loroopposizione.

11. Il paese dei Celti diventa romano.I Celti italici erano dunque vinti completamente, e comepoco tempo prima i Romani, nella guerra contro i piratidell'Illiria, avevano mostrato ai Greci la differenza chepassava tra il dominio marittimo romano e il greco, cosìora avevano splendidamente provato che Roma sapevaguardare le porte dell'Italia contro le incursioni dei bar-bari molto diversamente da quello che la Macedoniaaveva fatto rispetto alla Grecia; e che, malgrado i dis-

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voleva una sottomissione assoluta, ed essi non si senti-vano caduti così in basso da adattarvisi. Tentarono quin-di di opporre resistenza coll'aiuto dei loro compatriotisettentrionali. Con 30.000 mercenari raccolti e collapropria milizia essi fecero fronte ai due eserciti romani,i quali nel seguente anno (532=222) invasero il loro ter-ritorio attraversando anche questa volta quello dei Ce-nomani.Accaddero ancora parecchi sanguinosi combattimenti;in una diversione tentata dagli Insubri contro la fortezzaromana di Clastidium (la presente Casteggio non lungida Pavia), sulla diritta del Po, il re dei Galli Vidomarocadde trafitto dalla spada del console Marco Marcello.Se non che, dopo una battaglia già quasi vinta dai Celti,ma infine guadagnata pur dai Romani, il console GneoScipione diede l'assalto a Milano, capitale degli Insubri,e l'espugnazione di essa e di Como mise fine alla loroopposizione.

11. Il paese dei Celti diventa romano.I Celti italici erano dunque vinti completamente, e comepoco tempo prima i Romani, nella guerra contro i piratidell'Illiria, avevano mostrato ai Greci la differenza chepassava tra il dominio marittimo romano e il greco, cosìora avevano splendidamente provato che Roma sapevaguardare le porte dell'Italia contro le incursioni dei bar-bari molto diversamente da quello che la Macedoniaaveva fatto rispetto alla Grecia; e che, malgrado i dis-

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sensi interni, l'Italia di fronte al comune nemico, si tro-vava altrettanto unita quanto la Grecia era discorde.Il confine delle Alpi era raggiunto in quanto che tutta lavalle del Po ubbidiva ai Romani come i territori dei Ce-nomani e dei Veneti: per cogliere il frutto di questa vit-toria e per romanizzare il paese occorreva un certo tem-po.Per ottenere ciò i Romani non ebbero un modo uniformedi procedere. Nella parte montuosa al nord-ovest d'Italiae nei distretti più lontani tra le Alpi ed il Po si tolleraro-no in generale gli abitanti che vi si trovavano; le nume-rose così dette guerre che si sostennero contro i Liguri(la prima nel 516=238), sembra che siano state piuttostocaccie agli schiavi, e, per quanto i distretti e le valli sisottomettessero ai Romani, l'autorità di questi non viesisteva per lo più che di nome.Pare che anche la spedizione nell'Istria (533=221) nonabbia avuto altra mira che quella di distruggere gli ulti-mi e più reconditi nascondigli dei pirati che infestavanol'Adriatico, e di stabilire una comunicazione per terralungo la costa tra le conquiste italiche e i nuovi acquistifatti sull'altra costa.I Celti invece, che abitavano il paese a sud del Po, furo-no annientati. Il debole vincolo che univa le loro varietribù, aveva per conseguenza che nessuno dei cantonisettentrionali si prendesse cura dei connazionali se nonper danaro; i Romani poi li consideravano non solo

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sensi interni, l'Italia di fronte al comune nemico, si tro-vava altrettanto unita quanto la Grecia era discorde.Il confine delle Alpi era raggiunto in quanto che tutta lavalle del Po ubbidiva ai Romani come i territori dei Ce-nomani e dei Veneti: per cogliere il frutto di questa vit-toria e per romanizzare il paese occorreva un certo tem-po.Per ottenere ciò i Romani non ebbero un modo uniformedi procedere. Nella parte montuosa al nord-ovest d'Italiae nei distretti più lontani tra le Alpi ed il Po si tolleraro-no in generale gli abitanti che vi si trovavano; le nume-rose così dette guerre che si sostennero contro i Liguri(la prima nel 516=238), sembra che siano state piuttostocaccie agli schiavi, e, per quanto i distretti e le valli sisottomettessero ai Romani, l'autorità di questi non viesisteva per lo più che di nome.Pare che anche la spedizione nell'Istria (533=221) nonabbia avuto altra mira che quella di distruggere gli ulti-mi e più reconditi nascondigli dei pirati che infestavanol'Adriatico, e di stabilire una comunicazione per terralungo la costa tra le conquiste italiche e i nuovi acquistifatti sull'altra costa.I Celti invece, che abitavano il paese a sud del Po, furo-no annientati. Il debole vincolo che univa le loro varietribù, aveva per conseguenza che nessuno dei cantonisettentrionali si prendesse cura dei connazionali se nonper danaro; i Romani poi li consideravano non solo

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come loro nemici capitali, ma come gli usurpatori delloro naturale retaggio. La grande distribuzione di terrefattasi nel 522=232 aveva popolato di coloni romani tut-to il territorio posto tra il Piceno e Rimini; si continuòsu questa via e non riuscì difficile scacciare e distrugge-re una popolazione semibarbara, quale era la celtica, checonsiderava l'agricoltura come cosa secondaria, e chemancava di città murate. La grande strada settentrionalecondotta forse ottant'anni prima da Otricoli a Narni, pro-seguita negli ultimi tempi sino a Spoleto (514=240), for-tezza di nuova costruzione, fu allora prolungata colnome di via Flaminia (534=220), attraverso il nuovoborgo Forum Flamini (presso Foligno) pel passo delFurlo alla costa e lungo la medesima da Fano a Rimini.Fu questa la prima strada carreggiabile che attraversassel'Appennino congiungendo i due mari italiani.I Romani si affrettarono a munire di città il fertile terri-torio conquistato. In riva al Po era già stata fondata Pia-cenza per assicurare il passaggio del fiume; già eranostate gettate le fondamenta di Cremona sulla riva sini-stra e molto inoltrati i lavori delle mura di Modena sullariva destra nel territorio dei Boi; già si disponevanonuove distribuzioni di terre, ed erano stati dati gli ordiniper proseguire la suddetta via, quando un improvvisoavvenimento venne ad interrompere i Romani sul puntoin cui stavano per raccogliere i frutti dei loro successi.

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come loro nemici capitali, ma come gli usurpatori delloro naturale retaggio. La grande distribuzione di terrefattasi nel 522=232 aveva popolato di coloni romani tut-to il territorio posto tra il Piceno e Rimini; si continuòsu questa via e non riuscì difficile scacciare e distrugge-re una popolazione semibarbara, quale era la celtica, checonsiderava l'agricoltura come cosa secondaria, e chemancava di città murate. La grande strada settentrionalecondotta forse ottant'anni prima da Otricoli a Narni, pro-seguita negli ultimi tempi sino a Spoleto (514=240), for-tezza di nuova costruzione, fu allora prolungata colnome di via Flaminia (534=220), attraverso il nuovoborgo Forum Flamini (presso Foligno) pel passo delFurlo alla costa e lungo la medesima da Fano a Rimini.Fu questa la prima strada carreggiabile che attraversassel'Appennino congiungendo i due mari italiani.I Romani si affrettarono a munire di città il fertile terri-torio conquistato. In riva al Po era già stata fondata Pia-cenza per assicurare il passaggio del fiume; già eranostate gettate le fondamenta di Cremona sulla riva sini-stra e molto inoltrati i lavori delle mura di Modena sullariva destra nel territorio dei Boi; già si disponevanonuove distribuzioni di terre, ed erano stati dati gli ordiniper proseguire la suddetta via, quando un improvvisoavvenimento venne ad interrompere i Romani sul puntoin cui stavano per raccogliere i frutti dei loro successi.

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QUARTO CAPITOLOAMILCARE ED ANNIBALE

1. Situazione di Cartagine dopo la pace.Il trattato conchiuso con Roma l'anno 513=241 diede aCartagine la pace, ma a ben caro prezzo.Che ora i tributi della maggior parte della Sicilia andas-sero ad impinguare il tesoro dei nemici invece di entrarenelle casse dello stato, era ancora la minore delle perdi-te.Molto più sensibile fu per i Cartaginesi il danno deriva-to ad essi dalla perdita del monopolio di tutte le vie ma-rittime che dal bacino orientale del Mediterraneo metto-no in quello occidentale, e dalla distruzione di tutto illoro sistema commerciale politico in seguito alla perditadella Sicilia che, aprendo a tutte le nazioni il bacino su-dovest del Mediterraneo fino allora da essi esclusiva-mente dominato, rendeva il commercio dell'Italia indi-pendente dal commercio fenicio.Ma i pacifici figli di Sidone si sarebbero forse adattatianche a questo. Essi avevano già sperimentato similicolpi; erano stati costretti a dividere coi Massalioti, co-gli Etruschi, coi Greci di Sicilia ciò che prima avevanoposseduto esclusivamente; e quanto loro ancora rimane-va, cioè l'Africa, la Spagna e le porte dell'Atlantico, ba-stava a renderli possenti e a farli vivere nell'agiatezza.

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QUARTO CAPITOLOAMILCARE ED ANNIBALE

1. Situazione di Cartagine dopo la pace.Il trattato conchiuso con Roma l'anno 513=241 diede aCartagine la pace, ma a ben caro prezzo.Che ora i tributi della maggior parte della Sicilia andas-sero ad impinguare il tesoro dei nemici invece di entrarenelle casse dello stato, era ancora la minore delle perdi-te.Molto più sensibile fu per i Cartaginesi il danno deriva-to ad essi dalla perdita del monopolio di tutte le vie ma-rittime che dal bacino orientale del Mediterraneo metto-no in quello occidentale, e dalla distruzione di tutto illoro sistema commerciale politico in seguito alla perditadella Sicilia che, aprendo a tutte le nazioni il bacino su-dovest del Mediterraneo fino allora da essi esclusiva-mente dominato, rendeva il commercio dell'Italia indi-pendente dal commercio fenicio.Ma i pacifici figli di Sidone si sarebbero forse adattatianche a questo. Essi avevano già sperimentato similicolpi; erano stati costretti a dividere coi Massalioti, co-gli Etruschi, coi Greci di Sicilia ciò che prima avevanoposseduto esclusivamente; e quanto loro ancora rimane-va, cioè l'Africa, la Spagna e le porte dell'Atlantico, ba-stava a renderli possenti e a farli vivere nell'agiatezza.

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Ma chi poteva essere mallevadore che almeno questosarebbe loro rimasto? Ciò che Regolo aveva chiesto – epoco mancò che non l'ottenesse – non poteva essere di-menticato. E se ora Roma avesse voluto rinnovare daLilibeo il tentativo che aveva fatto con gran successopartendo dall'Italia, Cartagine era indubbiamente perdu-ta, a meno che qualche grave errore del nemico od uncaso straordinario di fortuna non fosse intervenuto.Ora, veramente, Cartagine era in pace; ma era dipeso daun filo che la ratifica del trattato venisse rifiutata, e bensi sapeva in qual modo questa pace fosse giudicata dallapubblica opinione di Roma.Poteva essere che Roma non pensasse ancora alla con-quista dell'Africa e che si accontentasse dell'Italia; seperò l'esistenza dello stato cartaginese dipendeva da si-mile moderazione, i Cartaginesi non avevano di che an-darne lieti.Chi avrebbe potuto garantire che i Romani, appunto perla loro politica italiana, non trovassero conveniente, nongià di soggiogare, ma di distruggere il loro vicino africa-no?Cartagine insomma non doveva considerare la pace del513=241 se non come un armistizio, e lo doveva utiliz-zare per prepararsi alla inevitabile ripresa della guerra,non per vendicare la sofferta sconfitta, e nemmeno perriconquistare il perduto, ma per procacciarsi colle armiuna esistenza che non dipendesse dal beneplacito del

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Ma chi poteva essere mallevadore che almeno questosarebbe loro rimasto? Ciò che Regolo aveva chiesto – epoco mancò che non l'ottenesse – non poteva essere di-menticato. E se ora Roma avesse voluto rinnovare daLilibeo il tentativo che aveva fatto con gran successopartendo dall'Italia, Cartagine era indubbiamente perdu-ta, a meno che qualche grave errore del nemico od uncaso straordinario di fortuna non fosse intervenuto.Ora, veramente, Cartagine era in pace; ma era dipeso daun filo che la ratifica del trattato venisse rifiutata, e bensi sapeva in qual modo questa pace fosse giudicata dallapubblica opinione di Roma.Poteva essere che Roma non pensasse ancora alla con-quista dell'Africa e che si accontentasse dell'Italia; seperò l'esistenza dello stato cartaginese dipendeva da si-mile moderazione, i Cartaginesi non avevano di che an-darne lieti.Chi avrebbe potuto garantire che i Romani, appunto perla loro politica italiana, non trovassero conveniente, nongià di soggiogare, ma di distruggere il loro vicino africa-no?Cartagine insomma non doveva considerare la pace del513=241 se non come un armistizio, e lo doveva utiliz-zare per prepararsi alla inevitabile ripresa della guerra,non per vendicare la sofferta sconfitta, e nemmeno perriconquistare il perduto, ma per procacciarsi colle armiuna esistenza che non dipendesse dal beneplacito del

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suo nemico ereditario.

2. I due partiti in Cartagine.Ma quando ad uno stato più debole sovrasta certa unaguerra di sterminio, la cui epoca non sia determinata, gliuomini più avveduti, più risoluti, più generosi, prontisempre alla lotta inevitabile, che l'accetterebbero nelmomento favorevole coprendo la politica difensiva collastrategia offensiva, si vedranno dappertutto paralizzatidalla indolente e vile massa degli speculatori, dei vecchie degli spensierati, che altro non vogliono che tempo-reggiare, vivere e morire in pace e allontanare ad ognicosto l'ultima lotta.Così esistevano anche in Cartagine due partiti, l'uno perla pace, l'altro per la guerra, che, come era naturale, cor-rispondevano ai due partiti politici già esistenti dei con-servatori e dei riformatori.Quello della pace trovava appoggio nelle autorità gover-native, nel consiglio degli anziani ed in quello dei centoalla cui testa era Annone, detto il grande. Quello dellaguerra era sostenuto dai capipopolo e principalmente daAsdrubale, uomo molto rispettato, e dagli ufficialidell'esercito siciliano, i cui grandi successi sotto la con-dotta di Amilcare, sebbene fossero riusciti vani, pureavevano tracciato ai patriotti una via che pareva promet-tere salvezza dall'immenso pericolo. Esistevano già datempo gravi dissapori tra questi due partiti, allorchè cad-de loro addosso la guerra libica.

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suo nemico ereditario.

2. I due partiti in Cartagine.Ma quando ad uno stato più debole sovrasta certa unaguerra di sterminio, la cui epoca non sia determinata, gliuomini più avveduti, più risoluti, più generosi, prontisempre alla lotta inevitabile, che l'accetterebbero nelmomento favorevole coprendo la politica difensiva collastrategia offensiva, si vedranno dappertutto paralizzatidalla indolente e vile massa degli speculatori, dei vecchie degli spensierati, che altro non vogliono che tempo-reggiare, vivere e morire in pace e allontanare ad ognicosto l'ultima lotta.Così esistevano anche in Cartagine due partiti, l'uno perla pace, l'altro per la guerra, che, come era naturale, cor-rispondevano ai due partiti politici già esistenti dei con-servatori e dei riformatori.Quello della pace trovava appoggio nelle autorità gover-native, nel consiglio degli anziani ed in quello dei centoalla cui testa era Annone, detto il grande. Quello dellaguerra era sostenuto dai capipopolo e principalmente daAsdrubale, uomo molto rispettato, e dagli ufficialidell'esercito siciliano, i cui grandi successi sotto la con-dotta di Amilcare, sebbene fossero riusciti vani, pureavevano tracciato ai patriotti una via che pareva promet-tere salvezza dall'immenso pericolo. Esistevano già datempo gravi dissapori tra questi due partiti, allorchè cad-de loro addosso la guerra libica.

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Abbiamo già narrato come essa incominciasse. Dopoche il partito del governo, a cagione dell'inetto suo regi-me che aveva rese vane tutte le misure di precauzionedegli ufficiali siciliani, ebbe provocata la sedizione,dopo che questa, in conseguenza dell'atroce sistemaadottato dal governo, si cambiò in una rivoluzione, e fi-nalmente dopo che per la sua imperizia militare e perquella particolarmente di Annone, duce e corruttoredell'esercito, il paese venne a trovarsi sull'orlo dell'abis-so, fu in quell'estremo bisogno dallo stesso governo pre-gato Amilcare Barca, l'eroe dell'Erkte, di salvarlo dalleconseguenze dei suoi errori e dei suoi delitti. Egli accet-tò il comando e fu abbastanza generoso di non deporlonemmeno quando gli fu assegnato Annone come colle-ga; anzi, allorquando l'irritato esercito rimandò Annone,egli ebbe tanto impero sopra di sè da riassumerlo, dietrocalda preghiera del governo, e malgrado i suoi nemicied il collega, riuscì colla sua influenza presso gl'insorti,colla sua destrezza nel modo di trattare i capi delle tribùnumidiche e coll'impareggiabile suo genio d'organizza-tore e di capitano, a sedare in brevissimo tempo la solle-vazione e a ridurre all'obbedienza la ribellata Africa(fine del 517=237).Il partito patriottico, che si era tenuto in silenzio durantequesta guerra, ora parlò più forte. Durante questa cata-strofe era venuta alla luce tutta la depravazione e la cor-ruzione della oligarchia dominante, la sua incapacità, lasua politica di parte e la sua simpatia per i Romani.

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Abbiamo già narrato come essa incominciasse. Dopoche il partito del governo, a cagione dell'inetto suo regi-me che aveva rese vane tutte le misure di precauzionedegli ufficiali siciliani, ebbe provocata la sedizione,dopo che questa, in conseguenza dell'atroce sistemaadottato dal governo, si cambiò in una rivoluzione, e fi-nalmente dopo che per la sua imperizia militare e perquella particolarmente di Annone, duce e corruttoredell'esercito, il paese venne a trovarsi sull'orlo dell'abis-so, fu in quell'estremo bisogno dallo stesso governo pre-gato Amilcare Barca, l'eroe dell'Erkte, di salvarlo dalleconseguenze dei suoi errori e dei suoi delitti. Egli accet-tò il comando e fu abbastanza generoso di non deporlonemmeno quando gli fu assegnato Annone come colle-ga; anzi, allorquando l'irritato esercito rimandò Annone,egli ebbe tanto impero sopra di sè da riassumerlo, dietrocalda preghiera del governo, e malgrado i suoi nemicied il collega, riuscì colla sua influenza presso gl'insorti,colla sua destrezza nel modo di trattare i capi delle tribùnumidiche e coll'impareggiabile suo genio d'organizza-tore e di capitano, a sedare in brevissimo tempo la solle-vazione e a ridurre all'obbedienza la ribellata Africa(fine del 517=237).Il partito patriottico, che si era tenuto in silenzio durantequesta guerra, ora parlò più forte. Durante questa cata-strofe era venuta alla luce tutta la depravazione e la cor-ruzione della oligarchia dominante, la sua incapacità, lasua politica di parte e la sua simpatia per i Romani.

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L'occupazione della Sardegna e il contegno minacciosoche Roma aveva assunto in quell'occasione, chiaramentedimostrarono, anche al più inetto, che la dichiarazionedi guerra per parte dei Romani pendeva su Cartaginecome la spada di Damocle, e che, per Cartagine, nellesue attuali condizioni, una guerra doveva necessaria-mente avere per conseguenza la caduta del dominio fe-nicio nella Libia.Certo in Cartagine non saranno stati pochi coloro che,disperando dell'avvenire della patria, avran desiderato diemigrare nelle isole dell'Atlantico; e chi avrebbe osatobiasimarli? Ma gli animi nobili sdegnavano di salvare sestessi abbandonando la nazione al naufragio, e le grandinature hanno il privilegio d'inspirarsi appunto a ciò dicui la moltitudine dispera. Si accettarono le nuove con-dizioni come furono dettate da Roma; non v'era altro dafare che rassegnarsi, e, accumulando all'antico, l'odionovello, raccogliere e custodire gelosamente quest'ulti-ma risorsa d'una nazione vilipesa. Poscia si procedettead una riforma politica(19).Dell'impossibilità di riformare il partito del governo si

19 Intorno a questi avvenimenti noi abbiamo notizie non solo imperfette, maanche parziali, poichè come era ben naturale, la versione del partito carta-ginese della pace divenne quella degli annalisti romani. Ciò non pertantole condizioni dei partiti ci si presentano abbastanza chiare persino nellenostre frammentarie e confuse relazioni. Le più importanti sono quelle diFabio in POLIBIO, 3, 8; APPIANO, Hisp. 4, e DIODORO, 25, p. 567. Delle volga-ri cicalate, con cui fu denigrata la «lega rivoluzionaria» dai suoi avversari(ἑταιρεία τῶν πονηροτάτων ἀνϑρώπων) si trovano in Cor-nelio Nepote (Ham. 3) prove che son forse uniche nel loro genere.

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L'occupazione della Sardegna e il contegno minacciosoche Roma aveva assunto in quell'occasione, chiaramentedimostrarono, anche al più inetto, che la dichiarazionedi guerra per parte dei Romani pendeva su Cartaginecome la spada di Damocle, e che, per Cartagine, nellesue attuali condizioni, una guerra doveva necessaria-mente avere per conseguenza la caduta del dominio fe-nicio nella Libia.Certo in Cartagine non saranno stati pochi coloro che,disperando dell'avvenire della patria, avran desiderato diemigrare nelle isole dell'Atlantico; e chi avrebbe osatobiasimarli? Ma gli animi nobili sdegnavano di salvare sestessi abbandonando la nazione al naufragio, e le grandinature hanno il privilegio d'inspirarsi appunto a ciò dicui la moltitudine dispera. Si accettarono le nuove con-dizioni come furono dettate da Roma; non v'era altro dafare che rassegnarsi, e, accumulando all'antico, l'odionovello, raccogliere e custodire gelosamente quest'ulti-ma risorsa d'una nazione vilipesa. Poscia si procedettead una riforma politica(19).Dell'impossibilità di riformare il partito del governo si

19 Intorno a questi avvenimenti noi abbiamo notizie non solo imperfette, maanche parziali, poichè come era ben naturale, la versione del partito carta-ginese della pace divenne quella degli annalisti romani. Ciò non pertantole condizioni dei partiti ci si presentano abbastanza chiare persino nellenostre frammentarie e confuse relazioni. Le più importanti sono quelle diFabio in POLIBIO, 3, 8; APPIANO, Hisp. 4, e DIODORO, 25, p. 567. Delle volga-ri cicalate, con cui fu denigrata la «lega rivoluzionaria» dai suoi avversari(ἑταιρεία τῶν πονηροτάτων ἀνϑρώπων) si trovano in Cor-nelio Nepote (Ham. 3) prove che son forse uniche nel loro genere.

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era ormai convinti più che a sufficenza; che i reggentinon avessero dimenticato nemmeno nell'ultima guerra illoro rancore e che non avessero fatto maggior senno, loprova l'impudenza confinante con l'ingenuità, con cuiintentarono un processo ad Amilcare, quale autore dellaguerra de' mercenari, avendo egli promesso del denaroai suoi soldati siciliani senza averne ricevuta l'autorizza-zione del governo.Se il corpo degli ufficiali e dei capipopolo avesse volutorovesciare questo mal governo, non avrebbe incontratogravi difficoltà in Cartagine, ma gravissime in Roma,colla quale coloro che reggevano la cosa pubblica inCartagine erano già in tali rapporti che di poco differiva-no dal tradimento.A tutte queste difficoltà deve dunque aggiungersi quellache i mezzi per la salvezza della patria dovevano essereprocacciati senza che se ne accorgessero i Romani nè ilpatrio governo proclive ad essi.Si lasciò quindi intatta la costituzione, ed i signori cheerano al timone dello stato furono lasciati nel pieno go-dimento dei loro privilegi e dei pubblici averi.

3. Amilcare duce supremo.Si propose soltanto, e si ottenne, che dei due comandan-ti supremi, Annone ed Amilcare, i quali sul finire dellaguerra libica erano stati alla testa degli eserciti cartagi-nesi, quello fosse richiamato e questi fosse dai colleghi

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era ormai convinti più che a sufficenza; che i reggentinon avessero dimenticato nemmeno nell'ultima guerra illoro rancore e che non avessero fatto maggior senno, loprova l'impudenza confinante con l'ingenuità, con cuiintentarono un processo ad Amilcare, quale autore dellaguerra de' mercenari, avendo egli promesso del denaroai suoi soldati siciliani senza averne ricevuta l'autorizza-zione del governo.Se il corpo degli ufficiali e dei capipopolo avesse volutorovesciare questo mal governo, non avrebbe incontratogravi difficoltà in Cartagine, ma gravissime in Roma,colla quale coloro che reggevano la cosa pubblica inCartagine erano già in tali rapporti che di poco differiva-no dal tradimento.A tutte queste difficoltà deve dunque aggiungersi quellache i mezzi per la salvezza della patria dovevano essereprocacciati senza che se ne accorgessero i Romani nè ilpatrio governo proclive ad essi.Si lasciò quindi intatta la costituzione, ed i signori cheerano al timone dello stato furono lasciati nel pieno go-dimento dei loro privilegi e dei pubblici averi.

3. Amilcare duce supremo.Si propose soltanto, e si ottenne, che dei due comandan-ti supremi, Annone ed Amilcare, i quali sul finire dellaguerra libica erano stati alla testa degli eserciti cartagi-nesi, quello fosse richiamato e questi fosse dai colleghi

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governativi nominato comandante supremo per tuttal'Africa a tempo indeterminato – potere che gli avversarichiamarono monarchico anticostituzionale, e Catone dit-tatura – e di più che egli non potesse essere chiamato arispondere del suo operato(20).Persino l'elezione di un successore non si fece più dalleautorità della capitale, ma dall'esercito, cioè dai Cartagi-nesi impiegati nell'esercito come gerusiasti od ufficiali, iquali figurano anche nei trattati; naturalmente il dirittodi conferma era riservato all'assemblea popolare.Siano state o no queste misure una usurpazione, esse ac-cennano però chiaramente al fatto che il partito dellaguerra considerava e trattava l'esercito come una suaproprietà. Rispetto alla forma, il compito d'Amilcare eramodesto.Le guerre colle tribù della Numidia, sui confini dellostato, non cessavano mai; e da poco tempo era stata oc-cupata dai Cartaginesi la «città delle cento porte» The-veste (Tebessa), posta nell'interno del paese. La conti-nuazione di queste ostilità, che toccò in sorte al nuovosupremo comandante, non aveva certamente una taleimportanza, per cui il governo cartaginese, che nella piùprossima sua sfera d'azione aveva pure le mani libere,avesse dovuto curarsi delle deliberazioni prese a questoriguardo dall'assemblea popolare, mentre i Romani non20 I Barca stipulano i più importanti trattati, e la ratifica del governo è una

pura formalità (POL., 3, 21); Roma protesta presso di essi e presso il senato(POL., 3, 15). La posizione dei Barca rispetto a Cartagine ha molta analogiacon quella degli Orange rispetto agli Stati generali.

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governativi nominato comandante supremo per tuttal'Africa a tempo indeterminato – potere che gli avversarichiamarono monarchico anticostituzionale, e Catone dit-tatura – e di più che egli non potesse essere chiamato arispondere del suo operato(20).Persino l'elezione di un successore non si fece più dalleautorità della capitale, ma dall'esercito, cioè dai Cartagi-nesi impiegati nell'esercito come gerusiasti od ufficiali, iquali figurano anche nei trattati; naturalmente il dirittodi conferma era riservato all'assemblea popolare.Siano state o no queste misure una usurpazione, esse ac-cennano però chiaramente al fatto che il partito dellaguerra considerava e trattava l'esercito come una suaproprietà. Rispetto alla forma, il compito d'Amilcare eramodesto.Le guerre colle tribù della Numidia, sui confini dellostato, non cessavano mai; e da poco tempo era stata oc-cupata dai Cartaginesi la «città delle cento porte» The-veste (Tebessa), posta nell'interno del paese. La conti-nuazione di queste ostilità, che toccò in sorte al nuovosupremo comandante, non aveva certamente una taleimportanza, per cui il governo cartaginese, che nella piùprossima sua sfera d'azione aveva pure le mani libere,avesse dovuto curarsi delle deliberazioni prese a questoriguardo dall'assemblea popolare, mentre i Romani non20 I Barca stipulano i più importanti trattati, e la ratifica del governo è una

pura formalità (POL., 3, 21); Roma protesta presso di essi e presso il senato(POL., 3, 15). La posizione dei Barca rispetto a Cartagine ha molta analogiacon quella degli Orange rispetto agli Stati generali.

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ne conoscevano forse nemmeno l'importanza.Alla testa dell'esercito trovavasi quindi quell'uomo che,tanto nella guerra siciliana quanto nella libica, aveva di-mostrato che il destino aveva assegnato a lui o a nessunaltro il compito di salvare la patria. L'esercito dovevaessere lo strumento, ma quale esercito? La milizia citta-dina condotta da Amilcare aveva dato prove di valorenella guerra libica; ma egli sapeva benissimo che passauna capitale differenza tra il condurre per una volta alcampo di battaglia negozianti ed artigiani di una città ri-dotta alla disperazione, e il trasformare gli stessi in sol-dati.Il partito patriottico poteva bensì somministrargli eccel-lenti ufficiali, ma da questi era quasi esclusivamenterappresentata la classe colta della popolazione; essa nonaveva una vera milizia cittadina, tutt'al più alcuni squa-droni di cavalleria libico-fenicia.Era necessario, dunque, creare un esercito di reclute li-biche arruolate per forza, e di truppe assoldate; cosa fa-cile ad un generale quale era Amilcare, sempre però acondizione di poter pagare con esattezza e abbondante-mente la pattuita mercede.Ma egli aveva sperimentato in Sicilia che le rendite del-lo stato si consumavano nella stessa Cartagine per cosemolto meno necessarie di quello che non fossero glieserciti che stavano combattendo col nemico. Era quindinecessario che l'imminente guerra si alimentasse da sè, e

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ne conoscevano forse nemmeno l'importanza.Alla testa dell'esercito trovavasi quindi quell'uomo che,tanto nella guerra siciliana quanto nella libica, aveva di-mostrato che il destino aveva assegnato a lui o a nessunaltro il compito di salvare la patria. L'esercito dovevaessere lo strumento, ma quale esercito? La milizia citta-dina condotta da Amilcare aveva dato prove di valorenella guerra libica; ma egli sapeva benissimo che passauna capitale differenza tra il condurre per una volta alcampo di battaglia negozianti ed artigiani di una città ri-dotta alla disperazione, e il trasformare gli stessi in sol-dati.Il partito patriottico poteva bensì somministrargli eccel-lenti ufficiali, ma da questi era quasi esclusivamenterappresentata la classe colta della popolazione; essa nonaveva una vera milizia cittadina, tutt'al più alcuni squa-droni di cavalleria libico-fenicia.Era necessario, dunque, creare un esercito di reclute li-biche arruolate per forza, e di truppe assoldate; cosa fa-cile ad un generale quale era Amilcare, sempre però acondizione di poter pagare con esattezza e abbondante-mente la pattuita mercede.Ma egli aveva sperimentato in Sicilia che le rendite del-lo stato si consumavano nella stessa Cartagine per cosemolto meno necessarie di quello che non fossero glieserciti che stavano combattendo col nemico. Era quindinecessario che l'imminente guerra si alimentasse da sè, e

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che si eseguisse in grande quanto si era tentato in picco-lo sul Monte Pellegrino.Ma non bastava. Amilcare non era soltanto capodell'esercito, era anche capo-partito; per difendersi con-tro il partito del governo, suo irreconciliabile nemico,che spiava con avidità e pacatezza l'occasione per abbat-terlo, egli era costretto a fare assegnamento sulla bor-ghesia, la quale, per quanto i capi potessero essere d'ani-mo onestissimo e nobilissimo, in grazia del malauguratoe venale sistema di non far nulla per nulla, era profonda-mente corrotta.Vi erano dei momenti in cui l'estremo bisogno e lo entu-siasmo prevalevano, ciò che avviene persino nelle piùcorrotte società; ma se Amilcare voleva assicurarsi du-revolmente l'appoggio del comune cartaginese per potercompiere la sua impresa, per la quale nel caso più propi-zio occorrevano parecchi anni, egli doveva con regolaririmesse in denaro dare ai suoi amici in patria i mezzi permantenere nel popolo il buon umore.Costretto così a mendicare od a comperare dalla fiacca evenale moltitudine il permesso di salvarla; costretto adacquistare coll'umiliazione e col silenzio, dall'arroganzadi coloro che erano odiati dal popolo ed erano semprestati vinti da lui, il tempo indispensabile; costretto a na-scondere e il suo disprezzo e i suoi disegni agli abbiettitraditori della patria, che si dicevano i signori di Carta-gine: il grande uomo si trovava con pochi amici di egualsentimento tra i nemici esterni ed interni, facendo asse-

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che si eseguisse in grande quanto si era tentato in picco-lo sul Monte Pellegrino.Ma non bastava. Amilcare non era soltanto capodell'esercito, era anche capo-partito; per difendersi con-tro il partito del governo, suo irreconciliabile nemico,che spiava con avidità e pacatezza l'occasione per abbat-terlo, egli era costretto a fare assegnamento sulla bor-ghesia, la quale, per quanto i capi potessero essere d'ani-mo onestissimo e nobilissimo, in grazia del malauguratoe venale sistema di non far nulla per nulla, era profonda-mente corrotta.Vi erano dei momenti in cui l'estremo bisogno e lo entu-siasmo prevalevano, ciò che avviene persino nelle piùcorrotte società; ma se Amilcare voleva assicurarsi du-revolmente l'appoggio del comune cartaginese per potercompiere la sua impresa, per la quale nel caso più propi-zio occorrevano parecchi anni, egli doveva con regolaririmesse in denaro dare ai suoi amici in patria i mezzi permantenere nel popolo il buon umore.Costretto così a mendicare od a comperare dalla fiacca evenale moltitudine il permesso di salvarla; costretto adacquistare coll'umiliazione e col silenzio, dall'arroganzadi coloro che erano odiati dal popolo ed erano semprestati vinti da lui, il tempo indispensabile; costretto a na-scondere e il suo disprezzo e i suoi disegni agli abbiettitraditori della patria, che si dicevano i signori di Carta-gine: il grande uomo si trovava con pochi amici di egualsentimento tra i nemici esterni ed interni, facendo asse-

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gnamento sull'irresolutezza degli uni e degli altri, delu-dendo e sfidando contemporaneamente e questi e quelliallo scopo di procacciarsi soltanto i mezzi, cioè soldati edenaro, per cominciare la lotta contro un paese, il quale,quando pure l'esercito cartaginese fosse stato pronto ascendere in campo, sembrava difficile a raggiungersi,impossibile a vincersi.Amilcare era ancora nel fiore dell'età, aveva appena pas-sati i trent'anni; ma nell'accingersi all'impresa ebbecome un presentimento, che non gli sarebbe stato con-cesso di raggiungere la meta delle sue fatiche e che nonavrebbe veduto che da lungi la terra promessa. Prima dilasciar Cartagine fece perciò giurare al novenne suo fi-glio Annibale, sull'altare del dio supremo, odio eterno alnome romano, e lo condusse insieme con i minori suoifigli, Asdrubale e Magone, ch'ei soleva chiamare «la co-vata dei leoni» al campo, affinchè divenissero gli eredidei suoi piani, del suo genio e del suo odio.

4. Amilcare alla conquista della Spagna.Il nuovo duce supremo della Libia partì da Cartagine su-bito dopo terminata la guerra dei mercenari (primavera518=236).Sembrava ch'egli meditasse una spedizione contro le li-bere popolazioni della Libia occidentale. Il suo esercito,forte specialmente per gli elefanti, sfilò lungo la costa,sostenuto da una flotta agli ordini del suo fido compa-gno Asdrubale. Ma improvvisamente si seppe che aveva

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gnamento sull'irresolutezza degli uni e degli altri, delu-dendo e sfidando contemporaneamente e questi e quelliallo scopo di procacciarsi soltanto i mezzi, cioè soldati edenaro, per cominciare la lotta contro un paese, il quale,quando pure l'esercito cartaginese fosse stato pronto ascendere in campo, sembrava difficile a raggiungersi,impossibile a vincersi.Amilcare era ancora nel fiore dell'età, aveva appena pas-sati i trent'anni; ma nell'accingersi all'impresa ebbecome un presentimento, che non gli sarebbe stato con-cesso di raggiungere la meta delle sue fatiche e che nonavrebbe veduto che da lungi la terra promessa. Prima dilasciar Cartagine fece perciò giurare al novenne suo fi-glio Annibale, sull'altare del dio supremo, odio eterno alnome romano, e lo condusse insieme con i minori suoifigli, Asdrubale e Magone, ch'ei soleva chiamare «la co-vata dei leoni» al campo, affinchè divenissero gli eredidei suoi piani, del suo genio e del suo odio.

4. Amilcare alla conquista della Spagna.Il nuovo duce supremo della Libia partì da Cartagine su-bito dopo terminata la guerra dei mercenari (primavera518=236).Sembrava ch'egli meditasse una spedizione contro le li-bere popolazioni della Libia occidentale. Il suo esercito,forte specialmente per gli elefanti, sfilò lungo la costa,sostenuto da una flotta agli ordini del suo fido compa-gno Asdrubale. Ma improvvisamente si seppe che aveva

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superato le colonne d'Ercole, attraversato il mare, ed eraapprodato in Spagna, dove guerreggiava contro gl'indi-geni, gente, come lamentavano le autorità cartaginesi,che non gli avevano fatto alcun male, e senza averneavuto incarico dal governo.Ma le autorità non potevano, per lo meno, incolparlo ditrascurare gli affari dell'Africa; giacchè, insorti di nuovoi Numidi, il suo luogotenente Asdrubale li sconfisse inmodo che per lungo tempo fu pace ai confini, e parec-chie tribù, sino allora indipendenti, si rassegnarono a di-venire tributarie.Non siamo in grado di narrare dettagliatamente quantoegli stesso facesse in Spagna.Il vecchio Catone, il quale, una generazione dopo lamorte d'Amilcare, potè ancora vedere le recenti vestigiadel suo operato, dovette esclamare, malgrado tutto il suoodio contro i Cartaginesi, che nessun re era degno di es-ser nominato accanto ad Amilcare Barca.Ed anche a noi, almeno dai risultati in generale, apparequanto Amilcare ha operato come capitano e comeuomo di stato negli ultimi nove anni della sua vita (518-526=236-228), finchè nel fiore dell'età trovò la mortecombattendo valorosamente, quando i suoi piani comin-ciavano appunto a maturare, quei piani che il suo generoAsdrubale, erede della sua carica e dei suoi progetti, hacontinuato a sviluppare sulle tracce del grande maestronegli otto anni che seguirono (527-534=227-220).

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superato le colonne d'Ercole, attraversato il mare, ed eraapprodato in Spagna, dove guerreggiava contro gl'indi-geni, gente, come lamentavano le autorità cartaginesi,che non gli avevano fatto alcun male, e senza averneavuto incarico dal governo.Ma le autorità non potevano, per lo meno, incolparlo ditrascurare gli affari dell'Africa; giacchè, insorti di nuovoi Numidi, il suo luogotenente Asdrubale li sconfisse inmodo che per lungo tempo fu pace ai confini, e parec-chie tribù, sino allora indipendenti, si rassegnarono a di-venire tributarie.Non siamo in grado di narrare dettagliatamente quantoegli stesso facesse in Spagna.Il vecchio Catone, il quale, una generazione dopo lamorte d'Amilcare, potè ancora vedere le recenti vestigiadel suo operato, dovette esclamare, malgrado tutto il suoodio contro i Cartaginesi, che nessun re era degno di es-ser nominato accanto ad Amilcare Barca.Ed anche a noi, almeno dai risultati in generale, apparequanto Amilcare ha operato come capitano e comeuomo di stato negli ultimi nove anni della sua vita (518-526=236-228), finchè nel fiore dell'età trovò la mortecombattendo valorosamente, quando i suoi piani comin-ciavano appunto a maturare, quei piani che il suo generoAsdrubale, erede della sua carica e dei suoi progetti, hacontinuato a sviluppare sulle tracce del grande maestronegli otto anni che seguirono (527-534=227-220).

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In luogo delle piccole fattorie che Cartagine, oltre al di-ritto di protezione su Cadice, aveva fino allora possedu-to sulle coste iberiche e che considerava come dipen-denze della Libia, fu fondato in Spagna, mercè il talentomilitare d'Amilcare, un regno cartaginese, reso sicuropoi dall'astuta politica d'Asdrubale.Le più belle regioni della Spagna sulle coste orientali emeridionali divennero province di Cartagine; si fondaro-no città, prima di tutte la Cartagine spagnuola (Cartage-na), fondata da Asdrubale nell'unico buon porto del lito-rale meridionale con un magnifico «castello reale».L'agricoltura fiorì e più ancora l'industria delle miniered'argento, fortunatamente scoperte presso Cartagena, lequali un secolo più tardi rendevano annualmente trenta-sei milioni di sesterzi (circa 9 milioni di lire).La maggior parte dei comuni sino all'Ebro, ubbidiva aCartagine pagando tributo. Asdrubale, nell'intento di le-gare i capipopolo agli interessi cartaginesi, sapeva im-piegare tutti i mezzi, persino quello dei matrimoni misti.Cartagine trovò così in Spagna un ricchissimo mercatoper i prodotti delle sue manifatture e del suo commercio,e le rendite delle province conquistate non solo serviva-no a mantenere l'esercito, ma ne risultava un avanzo chesi inviava a Cartagine o si teneva in serbo per i bisognifuturi.Questa provincia andava al tempo stesso formando e di-sciplinando l'esercito. Nel territorio soggetto a Cartagine

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In luogo delle piccole fattorie che Cartagine, oltre al di-ritto di protezione su Cadice, aveva fino allora possedu-to sulle coste iberiche e che considerava come dipen-denze della Libia, fu fondato in Spagna, mercè il talentomilitare d'Amilcare, un regno cartaginese, reso sicuropoi dall'astuta politica d'Asdrubale.Le più belle regioni della Spagna sulle coste orientali emeridionali divennero province di Cartagine; si fondaro-no città, prima di tutte la Cartagine spagnuola (Cartage-na), fondata da Asdrubale nell'unico buon porto del lito-rale meridionale con un magnifico «castello reale».L'agricoltura fiorì e più ancora l'industria delle miniered'argento, fortunatamente scoperte presso Cartagena, lequali un secolo più tardi rendevano annualmente trenta-sei milioni di sesterzi (circa 9 milioni di lire).La maggior parte dei comuni sino all'Ebro, ubbidiva aCartagine pagando tributo. Asdrubale, nell'intento di le-gare i capipopolo agli interessi cartaginesi, sapeva im-piegare tutti i mezzi, persino quello dei matrimoni misti.Cartagine trovò così in Spagna un ricchissimo mercatoper i prodotti delle sue manifatture e del suo commercio,e le rendite delle province conquistate non solo serviva-no a mantenere l'esercito, ma ne risultava un avanzo chesi inviava a Cartagine o si teneva in serbo per i bisognifuturi.Questa provincia andava al tempo stesso formando e di-sciplinando l'esercito. Nel territorio soggetto a Cartagine

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si facevano le leve regolarmente; i prigionieri di guerravenivano fusi nei corpi cartaginesi; dai comuni dipen-denti si inviavano quanti contingenti di mercenari si de-siderava. In virtù delle lunghe guerre, il soldato trovavanel campo quasi una seconda patria; l'attaccamento allabandiera e l'affetto entusiastico per i suoi grandi capitanistimolavano il suo patriottismo, e le continue lotte coivalorosi Iberi e Celti creavano accanto all'eccellente ca-valleria numidica una buona fanteria.Cartagine lasciava fare ai Barca. Siccome non solo nonle si domandava denaro, ma anzi ne riceveva, e siccomeil suo commercio trovava in Spagna quanto aveva per-duto in Sicilia e in Sardegna, la guerra spagnuola el'esercito di Spagna, colle splendide sue vittorie e cogliimportanti suoi successi, divennero ben presto così po-polari, che in occasione di qualche crisi, come per esem-pio dopo la morte di Amilcare, si potè ottenere l'invio ditruppe africane nell'Iberia. Il partito del governo, volereo no, era costretto al silenzio, o doveva accontentarsi diinsolentire, nel suoi circoli e cogli amici che aveva inRoma, contro gli ufficiali democratici e la plebe.

5. Il governo romano e i Barca.Anche a Roma non fu presa alcuna misura per dareenergicamente una diversa direzione agli affari di Spa-gna. La prima e più attendibile ragione dell'indifferenzadei Romani fu indubbiamente la loro ignoranza dellecondizioni della lontana penisola, e questa fu anche la

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si facevano le leve regolarmente; i prigionieri di guerravenivano fusi nei corpi cartaginesi; dai comuni dipen-denti si inviavano quanti contingenti di mercenari si de-siderava. In virtù delle lunghe guerre, il soldato trovavanel campo quasi una seconda patria; l'attaccamento allabandiera e l'affetto entusiastico per i suoi grandi capitanistimolavano il suo patriottismo, e le continue lotte coivalorosi Iberi e Celti creavano accanto all'eccellente ca-valleria numidica una buona fanteria.Cartagine lasciava fare ai Barca. Siccome non solo nonle si domandava denaro, ma anzi ne riceveva, e siccomeil suo commercio trovava in Spagna quanto aveva per-duto in Sicilia e in Sardegna, la guerra spagnuola el'esercito di Spagna, colle splendide sue vittorie e cogliimportanti suoi successi, divennero ben presto così po-polari, che in occasione di qualche crisi, come per esem-pio dopo la morte di Amilcare, si potè ottenere l'invio ditruppe africane nell'Iberia. Il partito del governo, volereo no, era costretto al silenzio, o doveva accontentarsi diinsolentire, nel suoi circoli e cogli amici che aveva inRoma, contro gli ufficiali democratici e la plebe.

5. Il governo romano e i Barca.Anche a Roma non fu presa alcuna misura per dareenergicamente una diversa direzione agli affari di Spa-gna. La prima e più attendibile ragione dell'indifferenzadei Romani fu indubbiamente la loro ignoranza dellecondizioni della lontana penisola, e questa fu anche la

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causa principale che decise Amilcare a scegliere la Spa-gna e non l'Africa per compiere i suoi progetti. È impos-sibile che gli schiarimenti, con i quali i comandanti car-taginesi prevennero i commissari romani spediti in Spa-gna per raccogliere sul luogo precise notizie, e le assicu-razioni, che quanto avveniva non aveva altro fine chequello di pagare prontamente le contribuzioni di guerradovute ai Romani, potessero trovar fede nel senato. Pro-babilmente nei progetti d'Amilcare non si vide altro sco-po che quello di trovare in Spagna il risarcimento deitributi e del commercio perduti con le isole, ritenendoassolutamente impossibile una guerra aggressiva da par-te dei Cartaginesi, e non meno impossibile una invasio-ne in Italia partendo dalla Spagna, per quanto ciò appa-risse da positive informazioni e dallo stato stesso dellecose.Che alcuni cartaginesi del partito della pace vedesseropiù in là non si può dubitare; ma con tutto il loro mododi pensare essi non potevano essere disposti a dare deglischiarimenti ai loro amici romani intorno alla procellache si addensava e che il governo cartaginese da lungotempo non era in grado di scongiurare.Con tali comunicazioni essi avrebbero accelerata la crisiinvece d'impedirla, e quando pure l'avessero fatto, que-ste denunzie di parte, sarebbero state accolte in Roma, enon a torto, con una certa riserva.Ad ogni modo, il rapido e violento estendersi della po-tenza cartaginese in Spagna doveva finalmente destare

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causa principale che decise Amilcare a scegliere la Spa-gna e non l'Africa per compiere i suoi progetti. È impos-sibile che gli schiarimenti, con i quali i comandanti car-taginesi prevennero i commissari romani spediti in Spa-gna per raccogliere sul luogo precise notizie, e le assicu-razioni, che quanto avveniva non aveva altro fine chequello di pagare prontamente le contribuzioni di guerradovute ai Romani, potessero trovar fede nel senato. Pro-babilmente nei progetti d'Amilcare non si vide altro sco-po che quello di trovare in Spagna il risarcimento deitributi e del commercio perduti con le isole, ritenendoassolutamente impossibile una guerra aggressiva da par-te dei Cartaginesi, e non meno impossibile una invasio-ne in Italia partendo dalla Spagna, per quanto ciò appa-risse da positive informazioni e dallo stato stesso dellecose.Che alcuni cartaginesi del partito della pace vedesseropiù in là non si può dubitare; ma con tutto il loro mododi pensare essi non potevano essere disposti a dare deglischiarimenti ai loro amici romani intorno alla procellache si addensava e che il governo cartaginese da lungotempo non era in grado di scongiurare.Con tali comunicazioni essi avrebbero accelerata la crisiinvece d'impedirla, e quando pure l'avessero fatto, que-ste denunzie di parte, sarebbero state accolte in Roma, enon a torto, con una certa riserva.Ad ogni modo, il rapido e violento estendersi della po-tenza cartaginese in Spagna doveva finalmente destare

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l'attenzione ed il timore dei Romani; di fatti essi negliultimi anni che precedettero lo scoppio della guerra cer-carono di porvi un limite.Verso l'anno 528=226, memori della recente loro amici-zia per i Greci, i Romani strinsero alleanza colle due cit-tà greche o semigreche Zacinto o Sagunto (Murviedro,non lungi da Valenza) ed Emporia (Ampurias) sulla co-sta orientale della Spagna; e, dandone avviso al coman-dante cartaginese Asdrubale, gli imposero nel tempostesso di non varcare nelle sue conquiste l'Ebro, ciò chefu anche promesso.Questo non fu fatto certamente all'intento d'impedireuna invasione in Italia per la via di terra, poichè il gene-rale che l'avesse intrapresa, non poteva essere trattenutoda un trattato, ma per porre un limite alle forze materialidei Cartaginesi spagnuoli, che cominciavano a divenirepericolose, e per assicurarsi un appoggio sicuro nei libe-ri comuni posti tra l'Ebro e i Pirenei, che Roma presecosì sotto la sua protezione per il caso in cui si rendessenecessario uno sbarco ed una guerra in Spagna.Per la imminente guerra con Cartagine, sulla cui inevita-bilità il senato non si fece mai illusioni, i Romani nonprevedevano dagli avvenimenti in Spagna altro inconve-niente che quello di dovervi mandare alcune legioni e ditrovarvi il nemico meglio provveduto di denaro e di sol-dati di quello che lo sarebbe stato senza la Spagna.Essendo essi fermamente decisi (come lo prova il piano

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l'attenzione ed il timore dei Romani; di fatti essi negliultimi anni che precedettero lo scoppio della guerra cer-carono di porvi un limite.Verso l'anno 528=226, memori della recente loro amici-zia per i Greci, i Romani strinsero alleanza colle due cit-tà greche o semigreche Zacinto o Sagunto (Murviedro,non lungi da Valenza) ed Emporia (Ampurias) sulla co-sta orientale della Spagna; e, dandone avviso al coman-dante cartaginese Asdrubale, gli imposero nel tempostesso di non varcare nelle sue conquiste l'Ebro, ciò chefu anche promesso.Questo non fu fatto certamente all'intento d'impedireuna invasione in Italia per la via di terra, poichè il gene-rale che l'avesse intrapresa, non poteva essere trattenutoda un trattato, ma per porre un limite alle forze materialidei Cartaginesi spagnuoli, che cominciavano a divenirepericolose, e per assicurarsi un appoggio sicuro nei libe-ri comuni posti tra l'Ebro e i Pirenei, che Roma presecosì sotto la sua protezione per il caso in cui si rendessenecessario uno sbarco ed una guerra in Spagna.Per la imminente guerra con Cartagine, sulla cui inevita-bilità il senato non si fece mai illusioni, i Romani nonprevedevano dagli avvenimenti in Spagna altro inconve-niente che quello di dovervi mandare alcune legioni e ditrovarvi il nemico meglio provveduto di denaro e di sol-dati di quello che lo sarebbe stato senza la Spagna.Essendo essi fermamente decisi (come lo prova il piano

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della campagna del 536=218 e come non poteva esserealtrimenti) a cominciare e terminare la prossima guerrain Africa, l'esito di questa avrebbe nello stesso tempodeciso delle sorti della Spagna.A procrastinare la dichiarazione di guerra contribuì ildesiderio di incassare le contribuzioni di guerra, che incaso di rottura sarebbero state sospese, poscia la mortedi Amilcare, per cui tutti ritenevano che con lui sarebbe-ro periti anche i suoi progetti, e finalmente – allorquan-do negli ultimi anni il senato si accorse che non era pru-dente indugiare più lungamente a ricominciare la guerra– il desiderio, facile a comprendersi, di farla prima finitacon i Galli della valle del Po, poichè essi, minacciati diesterminio, avrebbero certamente approfittato di qualun-que guerra importante intrapresa dai Romani per chia-mare di nuovo in Italia le popolazioni transalpine e rin-novare le incursioni celtiche sempre molto pericolose.Non occorre dire che i Romani non si lasciavano impor-re nè da riguardi verso il partito cartaginese, nè dai vi-genti trattati; del resto, volendo la guerra, le faccendedella Spagna ne fornivano ad ogni istante il pretesto.Il contegno di Roma non è perciò incomprensibile; main pari tempo non si può negare che il senato ha trattatoqueste occorrenze con poco accorgimento e con moltafiacchezza, errore che diviene ancora più imperdonabileper il modo di condurre, in quest'epoca stessa, le cose inGallia.

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della campagna del 536=218 e come non poteva esserealtrimenti) a cominciare e terminare la prossima guerrain Africa, l'esito di questa avrebbe nello stesso tempodeciso delle sorti della Spagna.A procrastinare la dichiarazione di guerra contribuì ildesiderio di incassare le contribuzioni di guerra, che incaso di rottura sarebbero state sospese, poscia la mortedi Amilcare, per cui tutti ritenevano che con lui sarebbe-ro periti anche i suoi progetti, e finalmente – allorquan-do negli ultimi anni il senato si accorse che non era pru-dente indugiare più lungamente a ricominciare la guerra– il desiderio, facile a comprendersi, di farla prima finitacon i Galli della valle del Po, poichè essi, minacciati diesterminio, avrebbero certamente approfittato di qualun-que guerra importante intrapresa dai Romani per chia-mare di nuovo in Italia le popolazioni transalpine e rin-novare le incursioni celtiche sempre molto pericolose.Non occorre dire che i Romani non si lasciavano impor-re nè da riguardi verso il partito cartaginese, nè dai vi-genti trattati; del resto, volendo la guerra, le faccendedella Spagna ne fornivano ad ogni istante il pretesto.Il contegno di Roma non è perciò incomprensibile; main pari tempo non si può negare che il senato ha trattatoqueste occorrenze con poco accorgimento e con moltafiacchezza, errore che diviene ancora più imperdonabileper il modo di condurre, in quest'epoca stessa, le cose inGallia.

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La politica dei Romani si manifesta ovunque per tena-cia, logica e scaltrezza più che per grandiosi concetti epronto ordinamento degli affari, nelle quali doti i nemicidi Roma, da Pirro a Mitridate, l'hanno spesso superata.

6. Annibale.Così la fortuna consacrava il grandioso successo diAmilcare. I mezzi per sostenere la guerra erano pronti:un esercito forte, abituato alla vittoria, ed una cassa ine-sauribile; ma come per cominciare la guerra doveva tro-varsi il momento giusto, così era pure da trovarsi il con-dottiero.L'uomo che con la sua mente e col suo cuore aveva inuna disperata posizione spianata la via della salvezza adun popolo ridotto alla disperazione, ora che era divenutopossibile di percorrerla, non viveva più.Noi non sapremmo dire se il suo successore Asdrubaleevitasse di attaccare perchè non gli sembrasse ancorgiunto il momento, o perchè egli, uomo politico più cheuomo d'armi, non si reputasse capace di assumere la su-prema direzione dell'impresa.Allorquando sul principio dell'anno 534=220 esso caddesotto il pugnale d'un assassino, gli ufficiali dell'esercitodi Spagna nominarono al suo posto Annibale, figlio pri-mogenito di Amilcare.Egli era ancora giovane, giacchè, nato nel 505=249 nonaveva che ventinove anni; ma aveva già vissuto assai.

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La politica dei Romani si manifesta ovunque per tena-cia, logica e scaltrezza più che per grandiosi concetti epronto ordinamento degli affari, nelle quali doti i nemicidi Roma, da Pirro a Mitridate, l'hanno spesso superata.

6. Annibale.Così la fortuna consacrava il grandioso successo diAmilcare. I mezzi per sostenere la guerra erano pronti:un esercito forte, abituato alla vittoria, ed una cassa ine-sauribile; ma come per cominciare la guerra doveva tro-varsi il momento giusto, così era pure da trovarsi il con-dottiero.L'uomo che con la sua mente e col suo cuore aveva inuna disperata posizione spianata la via della salvezza adun popolo ridotto alla disperazione, ora che era divenutopossibile di percorrerla, non viveva più.Noi non sapremmo dire se il suo successore Asdrubaleevitasse di attaccare perchè non gli sembrasse ancorgiunto il momento, o perchè egli, uomo politico più cheuomo d'armi, non si reputasse capace di assumere la su-prema direzione dell'impresa.Allorquando sul principio dell'anno 534=220 esso caddesotto il pugnale d'un assassino, gli ufficiali dell'esercitodi Spagna nominarono al suo posto Annibale, figlio pri-mogenito di Amilcare.Egli era ancora giovane, giacchè, nato nel 505=249 nonaveva che ventinove anni; ma aveva già vissuto assai.

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Le sue prime memorie gli presentavano il padre combat-tente in lontani paesi, vincitore dell'Erkte; con lui avevadovuto subìre il dolore della pace di Catulo, l'amaro ri-torno dell'invitto eroe e gli orrori della guerra libica. An-cor fanciullo aveva seguito il padre in guerra e non ave-va tardato a distinguervisi. L'agile e robusta costituzionelo rendevano infaticabile corridore ed eccellente scher-mitore non meno che temerario cavaliere; le lunghe ve-glie non gli recavano alcun danno ed era abituato al vit-to del soldato come, occorrendo, ad ogni sorta di priva-zioni.Benchè avesse passata la sua gioventù al campo egliaveva però la coltura dei nobili Fenici di quel tempo;nella lingua greca, cui si dedicò dopo d'essere stato elet-to comandante supremo, egli fece tali progressi sotto ladirezione del fido Sosilo da Sparta, da poter trattare nel-la medesima affari di stato.Adulto entrò nell'esercito di suo padre in tempo per farele sue prime armi sotto gli occhi di lui, e per vederlo ca-dere estinto sul campo di battaglia.Sotto gli ordini di Asdrubale, marito di sua sorella, ebbeposcia il comando della cavalleria, e si segnalò per lostraordinario valore personale non meno che per talentistrategici. Ora la voce dei suoi fratelli d'armi chiamavalo sperimentato giovane generale alla loro testa; ed eglipoteva così portare a compimento quei progetti, per iquali il padre ed il cognato erano vissuti e morti.

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Le sue prime memorie gli presentavano il padre combat-tente in lontani paesi, vincitore dell'Erkte; con lui avevadovuto subìre il dolore della pace di Catulo, l'amaro ri-torno dell'invitto eroe e gli orrori della guerra libica. An-cor fanciullo aveva seguito il padre in guerra e non ave-va tardato a distinguervisi. L'agile e robusta costituzionelo rendevano infaticabile corridore ed eccellente scher-mitore non meno che temerario cavaliere; le lunghe ve-glie non gli recavano alcun danno ed era abituato al vit-to del soldato come, occorrendo, ad ogni sorta di priva-zioni.Benchè avesse passata la sua gioventù al campo egliaveva però la coltura dei nobili Fenici di quel tempo;nella lingua greca, cui si dedicò dopo d'essere stato elet-to comandante supremo, egli fece tali progressi sotto ladirezione del fido Sosilo da Sparta, da poter trattare nel-la medesima affari di stato.Adulto entrò nell'esercito di suo padre in tempo per farele sue prime armi sotto gli occhi di lui, e per vederlo ca-dere estinto sul campo di battaglia.Sotto gli ordini di Asdrubale, marito di sua sorella, ebbeposcia il comando della cavalleria, e si segnalò per lostraordinario valore personale non meno che per talentistrategici. Ora la voce dei suoi fratelli d'armi chiamavalo sperimentato giovane generale alla loro testa; ed eglipoteva così portare a compimento quei progetti, per iquali il padre ed il cognato erano vissuti e morti.

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Egli ne accettò l'eredità, ed era in grado di accettarla.I suoi contemporanei cercarono di gettare macchie sulsuo carattere: i Romani lo dissero crudele, i Cartaginesiavaro; certo è che egli odiava, come sanno odiare gliorientali soltanto, ed un capitano, che dalla sua patrianon ricevette mai nè denari, nè provvisioni, doveva benpensare di procacciarsene. Del resto, se la sua storia fudettata dall'ira, dall'invidia e dalla bassezza, queste nonpoterono però offuscare la pura e grandiosa immaginedell'eroe.Fatta astrazione delle maligne invenzioni, che cadono dasè, e ciò che fu fatto in suo nome dai suoi luogotenenti,e particolarmente da Annibale Manomaco e da Magoneil Sannita, nulla vi è nelle memorie che ci pervennerodelle sue gesta che, tenendo conto delle condizioni e deldiritto delle genti d'allora, non possa esser giustificato; etutti poi convengono nel dire che nessuno, come lui,seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenzacon la forza.Era tutta sua quella generosa scaltrezza che era uno deidistintivi del suo carattere fenicio; egli amava batterevie strane ed inattese; agguati e strattagemmi d'ogni sor-ta gli erano famigliari e con cura senza esempio studia-va il carattere dei suoi avversari. Per mezzo d'uno spio-naggio senza pari – poichè egli aveva delle spie perma-nenti persino a Roma – si teneva informato dei piani delnemico; e da se stesso, travestito e con parrucche finte,andava spesso ad accertarsi di ciò che gli premeva sape-

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Egli ne accettò l'eredità, ed era in grado di accettarla.I suoi contemporanei cercarono di gettare macchie sulsuo carattere: i Romani lo dissero crudele, i Cartaginesiavaro; certo è che egli odiava, come sanno odiare gliorientali soltanto, ed un capitano, che dalla sua patrianon ricevette mai nè denari, nè provvisioni, doveva benpensare di procacciarsene. Del resto, se la sua storia fudettata dall'ira, dall'invidia e dalla bassezza, queste nonpoterono però offuscare la pura e grandiosa immaginedell'eroe.Fatta astrazione delle maligne invenzioni, che cadono dasè, e ciò che fu fatto in suo nome dai suoi luogotenenti,e particolarmente da Annibale Manomaco e da Magoneil Sannita, nulla vi è nelle memorie che ci pervennerodelle sue gesta che, tenendo conto delle condizioni e deldiritto delle genti d'allora, non possa esser giustificato; etutti poi convengono nel dire che nessuno, come lui,seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenzacon la forza.Era tutta sua quella generosa scaltrezza che era uno deidistintivi del suo carattere fenicio; egli amava batterevie strane ed inattese; agguati e strattagemmi d'ogni sor-ta gli erano famigliari e con cura senza esempio studia-va il carattere dei suoi avversari. Per mezzo d'uno spio-naggio senza pari – poichè egli aveva delle spie perma-nenti persino a Roma – si teneva informato dei piani delnemico; e da se stesso, travestito e con parrucche finte,andava spesso ad accertarsi di ciò che gli premeva sape-

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re.Del suo genio strategico e dei suoi talenti politici sonopiene le pagine della storia di quel tempo. Anche dopola pace conchiusa con Roma egli si mostrò grande uomodi stato colla sua riforma della costituzione cartaginese econ l'immensa influenza ch'egli, benchè profugo e stra-niero, seppe esercitare sui governi delle potenze orienta-li.Qual potere egli avesse sugli uomini lo prova l'impareg-giabile sua autorità su un esercito composto di svariatis-simi elementi e parlante favelle diverse, che nemmenonei momenti più scabrosi si sollevò contro di lui. Egliera un uomo grande e ovunque andasse tutti gli sguardisi fermavano su di lui.

7. Rottura tra Roma e Cartagine.Annibale, immediatamente dopo la sua nomina (prima-vera 534=220), decise di cominciare la guerra. Durandoancora il fermento nel paese dei Celti, e sembrando vici-na una guerra tra Roma e la Macedonia, egli aveva buo-ne ragioni per irrompere immediatamente e portare laguerra ove meglio gli accomodasse prima che i Romanilo prevenissero con uno sbarco in Africa.Il suo esercito non tardò ad essere pronto e a mettersi inmarcia, la cassa fu riempita esuberantemente mercè al-cune razzie in grande stile: ma il governo cartaginese simostrava tutt'altro che voglioso d'inviare a Roma la di-

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re.Del suo genio strategico e dei suoi talenti politici sonopiene le pagine della storia di quel tempo. Anche dopola pace conchiusa con Roma egli si mostrò grande uomodi stato colla sua riforma della costituzione cartaginese econ l'immensa influenza ch'egli, benchè profugo e stra-niero, seppe esercitare sui governi delle potenze orienta-li.Qual potere egli avesse sugli uomini lo prova l'impareg-giabile sua autorità su un esercito composto di svariatis-simi elementi e parlante favelle diverse, che nemmenonei momenti più scabrosi si sollevò contro di lui. Egliera un uomo grande e ovunque andasse tutti gli sguardisi fermavano su di lui.

7. Rottura tra Roma e Cartagine.Annibale, immediatamente dopo la sua nomina (prima-vera 534=220), decise di cominciare la guerra. Durandoancora il fermento nel paese dei Celti, e sembrando vici-na una guerra tra Roma e la Macedonia, egli aveva buo-ne ragioni per irrompere immediatamente e portare laguerra ove meglio gli accomodasse prima che i Romanilo prevenissero con uno sbarco in Africa.Il suo esercito non tardò ad essere pronto e a mettersi inmarcia, la cassa fu riempita esuberantemente mercè al-cune razzie in grande stile: ma il governo cartaginese simostrava tutt'altro che voglioso d'inviare a Roma la di-

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chiarazione di guerra.Il posto di Asdrubale, capo del partito patriottico in Car-tagine, era più difficile da assumere che non il posto diAsdrubale generale in Spagna.Prevaleva allora in Cartagine il partito della pace, il qua-le perseguitava i capi del partito della guerra, con pro-cessi politici. Questo partito, che aveva già tarpato le aliai piani di Amilcare, non era affatto propenso a permet-tere che lo sconosciuto giovine, il quale ora comandavain Spagna, spingesse tant'oltre, a spese dello stato, il suogiovanile patriottismo, mentre ad Annibale ripugnava difar lui direttamente la dichiarazione di guerra in apertaopposizione alle legittime autorità.Egli si studiò di spingere i Saguntini a rompere la pace,ma essi si accontentarono di rivolgere le loro lagnanze aRoma. Venuta quindi da Roma una commissione, eglitentò di spingerla alla dichiarazione di guerra coll'inso-lente suo contegno; ma i commissari intuirono il suopensiero, tacquero in Spagna per poter portare le loro ri-mostranze a Cartagine e per riferire a Roma che Anni-bale era pronto alla lotta e che la guerra era imminente.Intanto passava il tempo; già era pervenuta la notiziadella morte di Antigono Dosone, mancato repentina-mente quasi nello stesso tempo d'Asdrubale; nella partedell'Italia occupata dai Celti i Romani, con raddoppiatacelerità ed energia, spingevano la costruzione delle for-tezze, e disponevano ogni cosa per farla finita nella

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chiarazione di guerra.Il posto di Asdrubale, capo del partito patriottico in Car-tagine, era più difficile da assumere che non il posto diAsdrubale generale in Spagna.Prevaleva allora in Cartagine il partito della pace, il qua-le perseguitava i capi del partito della guerra, con pro-cessi politici. Questo partito, che aveva già tarpato le aliai piani di Amilcare, non era affatto propenso a permet-tere che lo sconosciuto giovine, il quale ora comandavain Spagna, spingesse tant'oltre, a spese dello stato, il suogiovanile patriottismo, mentre ad Annibale ripugnava difar lui direttamente la dichiarazione di guerra in apertaopposizione alle legittime autorità.Egli si studiò di spingere i Saguntini a rompere la pace,ma essi si accontentarono di rivolgere le loro lagnanze aRoma. Venuta quindi da Roma una commissione, eglitentò di spingerla alla dichiarazione di guerra coll'inso-lente suo contegno; ma i commissari intuirono il suopensiero, tacquero in Spagna per poter portare le loro ri-mostranze a Cartagine e per riferire a Roma che Anni-bale era pronto alla lotta e che la guerra era imminente.Intanto passava il tempo; già era pervenuta la notiziadella morte di Antigono Dosone, mancato repentina-mente quasi nello stesso tempo d'Asdrubale; nella partedell'Italia occupata dai Celti i Romani, con raddoppiatacelerità ed energia, spingevano la costruzione delle for-tezze, e disponevano ogni cosa per farla finita nella

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prossima primavera anche colla sollevazione dell'Illiria.Ogni giorno era prezioso; Annibale si decise.Egli fece senz'altro sapere a Cartagine che i Saguntinioltraggiavano i Torboleti, sudditi cartaginesi, e che per-ciò egli aveva deciso di attaccarli; e senza attendere larisposta, nella primavera del 535=219, intraprese l'asse-dio della città alleata a Roma, il che equivaleva ad unadichiarazione di guerra fatta ai Romani.Cosa se ne pensasse, e quale partito si prendesse in Car-tagine lo si può immaginare forse ricordando l'impres-sione prodotta in certi circoli della Germania dalla noti-zia della capitolazione di York(21). Tutti «gli uomini piùragguardevoli» si andava dicendo «disapprovavanol'attacco fatto senz'ordine ricevuto»; si parlava di non ri-conoscere l'operato, di imprigionare l'ardito generale.Sia però che nel consiglio cartaginese prevalesse il ti-more più immediato dell'esercito e della moltitudine chequello di Roma, sia che si comprendesse l'impossibilitàdi recedere da un simile passo una volta fatto, o chel'inerzia fosse così grande da impedire di prendere unadecisiva risoluzione, il fatto sta che si prese il partito dinon risolversi a nulla, e di non far la guerra, ma di la-

21 Il maggior generale York, comandante un corpo d'armata prussiano ausi-liario di Napoleone sotto il comando del maresciallo Macdonald, conclusecol generale russo Diebitsch già il 30 dicembre 1812 una convenzione, inforza della quale le sue truppe si astennero da ulteriori combattimenti, esebbene il re di Prussia disapprovasse o biasimasse pubblicamente il fatto,la sua andata da Berlino a Breslavia, ove era più vicino ai Russi, era un in-dizio di ciò che doveva succedere (V. GIORGIO WEBER, Storia universale, v.II, p. 247).

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prossima primavera anche colla sollevazione dell'Illiria.Ogni giorno era prezioso; Annibale si decise.Egli fece senz'altro sapere a Cartagine che i Saguntinioltraggiavano i Torboleti, sudditi cartaginesi, e che per-ciò egli aveva deciso di attaccarli; e senza attendere larisposta, nella primavera del 535=219, intraprese l'asse-dio della città alleata a Roma, il che equivaleva ad unadichiarazione di guerra fatta ai Romani.Cosa se ne pensasse, e quale partito si prendesse in Car-tagine lo si può immaginare forse ricordando l'impres-sione prodotta in certi circoli della Germania dalla noti-zia della capitolazione di York(21). Tutti «gli uomini piùragguardevoli» si andava dicendo «disapprovavanol'attacco fatto senz'ordine ricevuto»; si parlava di non ri-conoscere l'operato, di imprigionare l'ardito generale.Sia però che nel consiglio cartaginese prevalesse il ti-more più immediato dell'esercito e della moltitudine chequello di Roma, sia che si comprendesse l'impossibilitàdi recedere da un simile passo una volta fatto, o chel'inerzia fosse così grande da impedire di prendere unadecisiva risoluzione, il fatto sta che si prese il partito dinon risolversi a nulla, e di non far la guerra, ma di la-

21 Il maggior generale York, comandante un corpo d'armata prussiano ausi-liario di Napoleone sotto il comando del maresciallo Macdonald, conclusecol generale russo Diebitsch già il 30 dicembre 1812 una convenzione, inforza della quale le sue truppe si astennero da ulteriori combattimenti, esebbene il re di Prussia disapprovasse o biasimasse pubblicamente il fatto,la sua andata da Berlino a Breslavia, ove era più vicino ai Russi, era un in-dizio di ciò che doveva succedere (V. GIORGIO WEBER, Storia universale, v.II, p. 247).

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sciar che si facesse.Sagunto si difese come sanno difendersi le città spa-gnuole; se i Romani avessero manifestato una minimaparte dell'energia spiegata dai loro protetti, e se nonavessero sciupato gli otto mesi che durò l'assedio di Sa-gunto nella miserabile guerra contro i pirati dell'Illiria,essi, padroni del mare e di buoni porti, avrebbero potutorisparmiarsi l'onta della promessa e mancata protezione,e dare forse alla guerra una direzione diversa.Ma essi tentennarono e la città fu finalmente espugnata.Quando Annibale spedì a Cartagine il bottino perchè ve-nisse distribuito, si ridestò il patriottismo e il desideriodi guerra in molti di coloro che prima erano rimasti in-differenti; la distribuzione poi del bottino rese impossi-bile ogni riconciliazione con Roma.Quando poi, dopo la distruzione di Sagunto, arrivaronoa Cartagine gli ambasciatori romani chiedendo la conse-gna del generale e dei gerusiasti che si trovavano nelcampo, e quando l'oratore romano, interrompendo lagiustificazione tentata dai Cartaginesi, mise fine alla di-scussione e, raccogliendo un lembo del suo manto inuna mano, disse, che in quella egli teneva la pace e laguerra, i gerusiasti ebbero il coraggio di rispondere chelasciavano a lui la scelta.Ed egli scelse la guerra che essi accettarono (primaveradel 536=218).

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sciar che si facesse.Sagunto si difese come sanno difendersi le città spa-gnuole; se i Romani avessero manifestato una minimaparte dell'energia spiegata dai loro protetti, e se nonavessero sciupato gli otto mesi che durò l'assedio di Sa-gunto nella miserabile guerra contro i pirati dell'Illiria,essi, padroni del mare e di buoni porti, avrebbero potutorisparmiarsi l'onta della promessa e mancata protezione,e dare forse alla guerra una direzione diversa.Ma essi tentennarono e la città fu finalmente espugnata.Quando Annibale spedì a Cartagine il bottino perchè ve-nisse distribuito, si ridestò il patriottismo e il desideriodi guerra in molti di coloro che prima erano rimasti in-differenti; la distribuzione poi del bottino rese impossi-bile ogni riconciliazione con Roma.Quando poi, dopo la distruzione di Sagunto, arrivaronoa Cartagine gli ambasciatori romani chiedendo la conse-gna del generale e dei gerusiasti che si trovavano nelcampo, e quando l'oratore romano, interrompendo lagiustificazione tentata dai Cartaginesi, mise fine alla di-scussione e, raccogliendo un lembo del suo manto inuna mano, disse, che in quella egli teneva la pace e laguerra, i gerusiasti ebbero il coraggio di rispondere chelasciavano a lui la scelta.Ed egli scelse la guerra che essi accettarono (primaveradel 536=218).

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8. Preparativi per attaccare l'Italia.Annibale, perduto un anno intero per l'ostinata resisten-za dei Saguntini, era ritornato, come al solito, a Cartage-na nell'inverno del 535-6=219-8, col proposito di di-sporre quanto occorreva per la grande impresa e per ladifesa della Spagna e dell'Africa, poichè, tenendo eglicome già suo padre e suo cognato, il supremo comandodi entrambi i territori, gli incombeva l'obbligo di prov-vedere anche per la patria.Tutte le sue forze sommavano a circa 120.000 fanti,16.000 cavalieri, 58 elefanti, a trentadue quinqueremiequipaggiate e diciotto non equipaggiate, oltre agli ele-fanti ed alle navi che si trovavano nella capitale.Ad eccezione di pochi Liguri, mescolati alle truppe leg-gere, in questo esercito non v'erano mercenari; esso sicomponeva in sostanza, meno alcuni squadroni fenici,di sudditi cartaginesi provenienti dalle leve fatte nellaLibia e nella Spagna.Per assicurarsi della fedeltà degli Spagnuoli, il duce, co-noscitore del cuore umano, diede loro, come prova di fi-ducia, un congedo generale per tutto l'inverno. Ai Libi,egli, che non partecipava dell'esclusivismo dei Fenici infatto d'amor di patria, promise con giuramento la cittadi-nanza cartaginese ove ritornassero in Africa vittoriosi.Ma questa massa di truppe non era che in parte destinataalla spedizione d'Italia. Circa 20.000 uomini dovevanostanziare in Africa, una piccola parte nella capitale e nel

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8. Preparativi per attaccare l'Italia.Annibale, perduto un anno intero per l'ostinata resisten-za dei Saguntini, era ritornato, come al solito, a Cartage-na nell'inverno del 535-6=219-8, col proposito di di-sporre quanto occorreva per la grande impresa e per ladifesa della Spagna e dell'Africa, poichè, tenendo eglicome già suo padre e suo cognato, il supremo comandodi entrambi i territori, gli incombeva l'obbligo di prov-vedere anche per la patria.Tutte le sue forze sommavano a circa 120.000 fanti,16.000 cavalieri, 58 elefanti, a trentadue quinqueremiequipaggiate e diciotto non equipaggiate, oltre agli ele-fanti ed alle navi che si trovavano nella capitale.Ad eccezione di pochi Liguri, mescolati alle truppe leg-gere, in questo esercito non v'erano mercenari; esso sicomponeva in sostanza, meno alcuni squadroni fenici,di sudditi cartaginesi provenienti dalle leve fatte nellaLibia e nella Spagna.Per assicurarsi della fedeltà degli Spagnuoli, il duce, co-noscitore del cuore umano, diede loro, come prova di fi-ducia, un congedo generale per tutto l'inverno. Ai Libi,egli, che non partecipava dell'esclusivismo dei Fenici infatto d'amor di patria, promise con giuramento la cittadi-nanza cartaginese ove ritornassero in Africa vittoriosi.Ma questa massa di truppe non era che in parte destinataalla spedizione d'Italia. Circa 20.000 uomini dovevanostanziare in Africa, una piccola parte nella capitale e nel

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territorio fenicio propriamente detto, e i più nella parteoccidentale dell'Africa.Per coprire la Spagna rimanevano 12.000 fanti, 2500 ca-valieri e quasi metà degli elefanti, nonchè la flotta ivistazionaria; il supremo comando ed il governo in Spa-gna fu conferito ad Asdrubale, minor fratello d'Anniba-le.Il territorio attorno a Cartagine era, in proporzione, oc-cupato debolmente, perchè in caso di bisogno la città erain grado di offrire sufficienti mezzi; e così in Spagna,dove con facilità si potevano effettuare nuove leve, ba-stava un discreto numero di fanti, mentre vi si lasciava,in proporzione, un forte numero di cavalli e di elefanti.Si ebbe la massima cura per assicurare le comunicazionitra la Spagna e l'Africa, motivo per cui la flotta rimasein Spagna e l'Africa occidentale fu guardata da numero-se truppe.Per la fedeltà delle truppe si aveva una garanzia nonsolo negli ostaggi rilasciati dai comuni spagnuoli e rac-colti nella fortezza di Sagunto, ma anche nel disloca-mento dei soldati lungi dai loro distretti di leva; giacchèle milizie dell'Africa orientale si mandavano di prefe-renza in Spagna, le milizie spagnuole nell'Africa occi-dentale, quelle dell'Africa occidentale a Cartagine.In questo modo era stato sufficientemente provvedutoalla difesa.Quanto alla guerra offensiva era stato provveduto che

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territorio fenicio propriamente detto, e i più nella parteoccidentale dell'Africa.Per coprire la Spagna rimanevano 12.000 fanti, 2500 ca-valieri e quasi metà degli elefanti, nonchè la flotta ivistazionaria; il supremo comando ed il governo in Spa-gna fu conferito ad Asdrubale, minor fratello d'Anniba-le.Il territorio attorno a Cartagine era, in proporzione, oc-cupato debolmente, perchè in caso di bisogno la città erain grado di offrire sufficienti mezzi; e così in Spagna,dove con facilità si potevano effettuare nuove leve, ba-stava un discreto numero di fanti, mentre vi si lasciava,in proporzione, un forte numero di cavalli e di elefanti.Si ebbe la massima cura per assicurare le comunicazionitra la Spagna e l'Africa, motivo per cui la flotta rimasein Spagna e l'Africa occidentale fu guardata da numero-se truppe.Per la fedeltà delle truppe si aveva una garanzia nonsolo negli ostaggi rilasciati dai comuni spagnuoli e rac-colti nella fortezza di Sagunto, ma anche nel disloca-mento dei soldati lungi dai loro distretti di leva; giacchèle milizie dell'Africa orientale si mandavano di prefe-renza in Spagna, le milizie spagnuole nell'Africa occi-dentale, quelle dell'Africa occidentale a Cartagine.In questo modo era stato sufficientemente provvedutoalla difesa.Quanto alla guerra offensiva era stato provveduto che

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dovesse partire da Cartagine una squadra di venti quin-queremi con mille uomini a bordo per recarsi a devasta-re le coste occidentali dell'Italia; un'altra squadra di ven-ticinque navi doveva possibilmente stabilirsi di nuovo aLilibeo; Annibale riteneva che il governo cartagineseavrebbe potuto fare questi modici sforzi. Egli stesso,poi, intendeva mettersi alla testa del grande esercito perentrare in Italia, il che aveva avuto certamente in animodi fare anche Amilcare.Un colpo decisivo contro Roma non era possibile che inItalia, come non era possibile che nella Libia un colpocontro Cartagine. Come Roma doveva incominciaresenza dubbio nella Libia la sua prossima campagna, cosìCartagine doveva sin da principio slanciarsi adun'impresa decisiva, non limitarsi ad un'operazione se-condaria, come ad esempio la conquista della Sicilia, otenersi sulla difensiva. Una sconfitta qualunque avrebbeprodotto, in tutti questi casi, la stessa rovina, non però lavittoria gli stessi frutti.Ma in quel modo si poteva attaccare l'Italia? Si potevariuscire a toccare la penisola sia per mare che per terra;ma perchè questa spedizione non divenisse un'impresadisperata, ma una campagna militare con uno scopostrategico, era necessario avere una base d'operazionipiù vicina di quello che non fossero la Spagna e l'Africa.Annibale non poteva fare assegnamento nè su una flotta,nè su un porto di mare fortificato, giacchè allora i Ro-mani dominavano il mare. E non minori difficoltà si

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dovesse partire da Cartagine una squadra di venti quin-queremi con mille uomini a bordo per recarsi a devasta-re le coste occidentali dell'Italia; un'altra squadra di ven-ticinque navi doveva possibilmente stabilirsi di nuovo aLilibeo; Annibale riteneva che il governo cartagineseavrebbe potuto fare questi modici sforzi. Egli stesso,poi, intendeva mettersi alla testa del grande esercito perentrare in Italia, il che aveva avuto certamente in animodi fare anche Amilcare.Un colpo decisivo contro Roma non era possibile che inItalia, come non era possibile che nella Libia un colpocontro Cartagine. Come Roma doveva incominciaresenza dubbio nella Libia la sua prossima campagna, cosìCartagine doveva sin da principio slanciarsi adun'impresa decisiva, non limitarsi ad un'operazione se-condaria, come ad esempio la conquista della Sicilia, otenersi sulla difensiva. Una sconfitta qualunque avrebbeprodotto, in tutti questi casi, la stessa rovina, non però lavittoria gli stessi frutti.Ma in quel modo si poteva attaccare l'Italia? Si potevariuscire a toccare la penisola sia per mare che per terra;ma perchè questa spedizione non divenisse un'impresadisperata, ma una campagna militare con uno scopostrategico, era necessario avere una base d'operazionipiù vicina di quello che non fossero la Spagna e l'Africa.Annibale non poteva fare assegnamento nè su una flotta,nè su un porto di mare fortificato, giacchè allora i Ro-mani dominavano il mare. E non minori difficoltà si

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presentavano per trovare nel territorio della federazioneitalica un valido punto di appoggio.Se essa, in tempi assai diversi e malgrado la simpatia el-lenica, aveva tenuto fronte a Pirro, non era da attendersiche ora, all'apparire del generale fenicio, dovesse sfa-sciarsi; tra le fortezze romane e la compatta federazione,l'esercito invasore doveva rimanere indubbiamenteschiacciato.Il solo paese dei Liguri e dei Celti poteva essere per An-nibale ciò che la Polonia fu per Napoleone nella suaquasi analoga campagna di Russia.Queste popolazioni, che la guerra d'indipendenza appe-na terminata teneva ancora agitate, estranee d'origineagli italiani e minacciate nella propria esistenza, controle quali appunto allora si ponevano dai Romani le primefondamenta d'una rete di fortezze e di strade militari,dovevano riconoscere nell'esercito cartaginese, nelle cuifile militavano moltissimi Celti spagnuoli, la loro sal-vezza e divenire per essi il primo baluardo e la base pergli approvvigionamenti.Erano già stati conclusi formali trattati coi Boi e cogliInsubri, in forza dei quali essi si obbligavano a spediredelle guide incontro all'esercito cartaginese, a facilitargliil trasporto dei viveri, a procurargli buona accoglienzapresso i loro connazionali, e a sollevare questi contro iRomani appena l'esercito cartaginese avesse messo ilpiede sul suolo italiano.

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presentavano per trovare nel territorio della federazioneitalica un valido punto di appoggio.Se essa, in tempi assai diversi e malgrado la simpatia el-lenica, aveva tenuto fronte a Pirro, non era da attendersiche ora, all'apparire del generale fenicio, dovesse sfa-sciarsi; tra le fortezze romane e la compatta federazione,l'esercito invasore doveva rimanere indubbiamenteschiacciato.Il solo paese dei Liguri e dei Celti poteva essere per An-nibale ciò che la Polonia fu per Napoleone nella suaquasi analoga campagna di Russia.Queste popolazioni, che la guerra d'indipendenza appe-na terminata teneva ancora agitate, estranee d'origineagli italiani e minacciate nella propria esistenza, controle quali appunto allora si ponevano dai Romani le primefondamenta d'una rete di fortezze e di strade militari,dovevano riconoscere nell'esercito cartaginese, nelle cuifile militavano moltissimi Celti spagnuoli, la loro sal-vezza e divenire per essi il primo baluardo e la base pergli approvvigionamenti.Erano già stati conclusi formali trattati coi Boi e cogliInsubri, in forza dei quali essi si obbligavano a spediredelle guide incontro all'esercito cartaginese, a facilitargliil trasporto dei viveri, a procurargli buona accoglienzapresso i loro connazionali, e a sollevare questi contro iRomani appena l'esercito cartaginese avesse messo ilpiede sul suolo italiano.

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E infine anche lo stato delle relazioni dei Romanicoll'Oriente doveva spingere Annibale a questa impresa.La Macedonia, che per la vittoria di Sellasia aveva nuo-vamente stabilita la sua signoria nel Peloponneso, era inrapporti poco amichevoli con Roma; Demetrio da Faro,il quale aveva mutata l'alleanza romana colla macedoneed era stato scacciato dai Romani, viveva da profugoalla corte di Macedonia, la quale si era rifiutata di con-segnarlo. Qualora fosse stato possibile congiungere, inun qualche punto, gli eserciti del Guadalquivir e del Ka-rasu contro il comune nemico, questo si sarebbe potutofare soltanto sulle rive del Po. Tutto dunque indicaval'Italia settentrionale.La banda di scorridori cartaginesi, in cui i Romani congrande sorpresa si erano imbattuti nella Liguria l'anno524=230, provava che il padre di Annibale aveva già ri-volto lo sguardo a questo paese. Meno chiaro è il moti-vo che decise Annibale a preferire la via di terra a quelladel mare; poichè nè il dominio del mare tenuto dai Ro-mani, nè la loro lega con Marsiglia potevano, come è fa-cile comprendere e come fu poi dimostrato, impedireuno sbarco a Genova. Per rispondere in modo soddisfa-cente ad un tale quesito mancano, nelle notizie a noipervenute, non pochi elementi importantissimi, ai qualinon si può supplire con supposizioni.Annibale aveva da scegliere tra due mali. Invece diesporsi ai rischi della navigazione a lui sconosciuti e cheerano meno facili a potersi calcolare, e ad una guerra

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E infine anche lo stato delle relazioni dei Romanicoll'Oriente doveva spingere Annibale a questa impresa.La Macedonia, che per la vittoria di Sellasia aveva nuo-vamente stabilita la sua signoria nel Peloponneso, era inrapporti poco amichevoli con Roma; Demetrio da Faro,il quale aveva mutata l'alleanza romana colla macedoneed era stato scacciato dai Romani, viveva da profugoalla corte di Macedonia, la quale si era rifiutata di con-segnarlo. Qualora fosse stato possibile congiungere, inun qualche punto, gli eserciti del Guadalquivir e del Ka-rasu contro il comune nemico, questo si sarebbe potutofare soltanto sulle rive del Po. Tutto dunque indicaval'Italia settentrionale.La banda di scorridori cartaginesi, in cui i Romani congrande sorpresa si erano imbattuti nella Liguria l'anno524=230, provava che il padre di Annibale aveva già ri-volto lo sguardo a questo paese. Meno chiaro è il moti-vo che decise Annibale a preferire la via di terra a quelladel mare; poichè nè il dominio del mare tenuto dai Ro-mani, nè la loro lega con Marsiglia potevano, come è fa-cile comprendere e come fu poi dimostrato, impedireuno sbarco a Genova. Per rispondere in modo soddisfa-cente ad un tale quesito mancano, nelle notizie a noipervenute, non pochi elementi importantissimi, ai qualinon si può supplire con supposizioni.Annibale aveva da scegliere tra due mali. Invece diesporsi ai rischi della navigazione a lui sconosciuti e cheerano meno facili a potersi calcolare, e ad una guerra

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marittima, dev'essergli sembrato miglior consiglio ac-cettare le promesse fattegli, senza alcun dubbio con se-rie intenzioni, dai Boi e dagli Insubri, tanto più che unesercito sbarcato a Genova avrebbe pur sempre dovutovarcare i monti, e difficilmente egli poteva conoscerequanto fossero minori le difficoltà che offre il passaggiodell'Appennino presso Genova in confronto di quelledella catena principale delle Alpi. La via che prese erapure l'antichissima via dei Celti, per la quale avevanovarcato le Alpi schiere molto più numerose; l'alleato esalvatore del popolo celtico poteva quindi percorrerlasenza temerità.Così al principio della buona stagione, Annibale raccol-se in Cartagena le truppe destinate a formare il grandeesercito. Esse consistevano in 90.000 fanti e 12.000 ca-valieri, due terzi circa d'Africani, uno di Spagnuoli; i 37elefanti saranno stati destinati piuttosto per impressiona-re i Galli che non per essere adoperati seriamente inguerra. La fanteria d'Annibale non era più come quelladi Santippo costretta a nascondersi dietro una muragliadi elefanti, ed il comandante era abbastanza avvedutoper non servirsi che con moderazione e previdenza di si-mile arma a due tagli, che era stata frequentemente ca-gione della sconfitta del proprio esercito anzichè diquello nemico.Alla testa di questo esercito Annibale partì nella prima-vera del 536=218 da Cartagena e prese la direzionedell'Ebro. Affinchè anche il semplice soldato, di cui la

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marittima, dev'essergli sembrato miglior consiglio ac-cettare le promesse fattegli, senza alcun dubbio con se-rie intenzioni, dai Boi e dagli Insubri, tanto più che unesercito sbarcato a Genova avrebbe pur sempre dovutovarcare i monti, e difficilmente egli poteva conoscerequanto fossero minori le difficoltà che offre il passaggiodell'Appennino presso Genova in confronto di quelledella catena principale delle Alpi. La via che prese erapure l'antichissima via dei Celti, per la quale avevanovarcato le Alpi schiere molto più numerose; l'alleato esalvatore del popolo celtico poteva quindi percorrerlasenza temerità.Così al principio della buona stagione, Annibale raccol-se in Cartagena le truppe destinate a formare il grandeesercito. Esse consistevano in 90.000 fanti e 12.000 ca-valieri, due terzi circa d'Africani, uno di Spagnuoli; i 37elefanti saranno stati destinati piuttosto per impressiona-re i Galli che non per essere adoperati seriamente inguerra. La fanteria d'Annibale non era più come quelladi Santippo costretta a nascondersi dietro una muragliadi elefanti, ed il comandante era abbastanza avvedutoper non servirsi che con moderazione e previdenza di si-mile arma a due tagli, che era stata frequentemente ca-gione della sconfitta del proprio esercito anzichè diquello nemico.Alla testa di questo esercito Annibale partì nella prima-vera del 536=218 da Cartagena e prese la direzionedell'Ebro. Affinchè anche il semplice soldato, di cui la

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lunga guerra aveva sviluppato l'istinto militare, ricono-scesse le chiare vedute e la mano sicura del capitano elo seguisse con ferma fiducia nei lontani paesi ignoti,Annibale fece sapere all'esercito quel tanto che a tale ef-fetto bastasse intorno alle disposizioni prese e partico-larmente intorno alle intelligenze dei Celti, allo scopoed ai mezzi della spedizione; e l'acceso discorso, con cuiegli descrisse all'esercito la posizione della patria e lepretese dei Romani, la certa servitù dell'amata terra na-tale, la ignominiosa richiesta di consegnare l'amato ducecol suo stato maggiore, destò l'entusiasmo militare e pa-triottico di tutti i cuori.

9. Situazione di Roma.Il senato romano era in una di quelle situazioni come ca-pitano talora anche alle aristocrazie ben consolidate, madi vista limitata. Ben si sapeva quel che si voleva, emolte cose si facevano, ma nulla si faceva bene ed atempo debito.I Romani avrebbero potuto essere da lungo tempo pa-droni dei passi delle Alpi ed averla finita con i Celti; ep-pure quelli erano ancora liberi, e questi erano ancoraformidabili. Avrebbero potuto vivere in pace con Carta-gine quando avessero rispettato il trattato del 513=241,o, non volendolo, Cartagine avrebbe potuto da lungotempo essere soggiogata; quel trattato era stato rotto difatto coll'occupazione della Sardegna; eppure si lascia-rono a Cartagine vent'anni perchè ricostituisse le sue

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lunga guerra aveva sviluppato l'istinto militare, ricono-scesse le chiare vedute e la mano sicura del capitano elo seguisse con ferma fiducia nei lontani paesi ignoti,Annibale fece sapere all'esercito quel tanto che a tale ef-fetto bastasse intorno alle disposizioni prese e partico-larmente intorno alle intelligenze dei Celti, allo scopoed ai mezzi della spedizione; e l'acceso discorso, con cuiegli descrisse all'esercito la posizione della patria e lepretese dei Romani, la certa servitù dell'amata terra na-tale, la ignominiosa richiesta di consegnare l'amato ducecol suo stato maggiore, destò l'entusiasmo militare e pa-triottico di tutti i cuori.

9. Situazione di Roma.Il senato romano era in una di quelle situazioni come ca-pitano talora anche alle aristocrazie ben consolidate, madi vista limitata. Ben si sapeva quel che si voleva, emolte cose si facevano, ma nulla si faceva bene ed atempo debito.I Romani avrebbero potuto essere da lungo tempo pa-droni dei passi delle Alpi ed averla finita con i Celti; ep-pure quelli erano ancora liberi, e questi erano ancoraformidabili. Avrebbero potuto vivere in pace con Carta-gine quando avessero rispettato il trattato del 513=241,o, non volendolo, Cartagine avrebbe potuto da lungotempo essere soggiogata; quel trattato era stato rotto difatto coll'occupazione della Sardegna; eppure si lascia-rono a Cartagine vent'anni perchè ricostituisse le sue

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forze senza molestia. Non era difficile mantener la pacecolla Macedonia: ciò non di meno, per un meschinoguadagno, se ne perdette l'amicizia.Deve essere mancato un uomo di stato che avesse il ta-lento di guidare e dominare nel loro insieme gli avveni-menti; da per tutto si era fatto troppo o troppo poco.Ora cominciava la guerra, per la quale si era lasciata alnemico la scelta del tempo e del luogo, e, appoggiandosial sentimento, pur ben fondato, della propria superioritàmilitare, non si sapeva che cosa risolvere intornoall'andamento e allo scopo delle prime operazioni.I Romani potevano disporre di più di mezzo milione dibuoni soldati; soltanto la loro cavalleria era meno buo-na, e in proporzione meno numerosa, della cartaginese,ammontando quella ad un decimo, questa ad un ottavodelle truppe complessive messe in campagna.Nessuno degli stati, che avevano rapporto con questaguerra, possedeva una flotta corrispondente da contrap-porre a quella di Roma composta di 220 quinqueremi, laquale faceva appunto ritorno dall'Adriatico al Mediterra-neo occidentale.Il modo più naturale ed adatto d'impiegare queste forzerisultava da sè. Era deciso da lungo tempo che la guerradovesse incominciare con uno sbarco in Africa; gli av-venimenti posteriori costrinsero i Romani ad introdurrenei loro piani di guerra anche uno sbarco contempora-neo nella penisola iberica, specialmente per non incon-

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forze senza molestia. Non era difficile mantener la pacecolla Macedonia: ciò non di meno, per un meschinoguadagno, se ne perdette l'amicizia.Deve essere mancato un uomo di stato che avesse il ta-lento di guidare e dominare nel loro insieme gli avveni-menti; da per tutto si era fatto troppo o troppo poco.Ora cominciava la guerra, per la quale si era lasciata alnemico la scelta del tempo e del luogo, e, appoggiandosial sentimento, pur ben fondato, della propria superioritàmilitare, non si sapeva che cosa risolvere intornoall'andamento e allo scopo delle prime operazioni.I Romani potevano disporre di più di mezzo milione dibuoni soldati; soltanto la loro cavalleria era meno buo-na, e in proporzione meno numerosa, della cartaginese,ammontando quella ad un decimo, questa ad un ottavodelle truppe complessive messe in campagna.Nessuno degli stati, che avevano rapporto con questaguerra, possedeva una flotta corrispondente da contrap-porre a quella di Roma composta di 220 quinqueremi, laquale faceva appunto ritorno dall'Adriatico al Mediterra-neo occidentale.Il modo più naturale ed adatto d'impiegare queste forzerisultava da sè. Era deciso da lungo tempo che la guerradovesse incominciare con uno sbarco in Africa; gli av-venimenti posteriori costrinsero i Romani ad introdurrenei loro piani di guerra anche uno sbarco contempora-neo nella penisola iberica, specialmente per non incon-

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trare l'esercito di Spagna sotto le mura di Cartagine.I Romani, seguendo questo piano (allorchè al principiodel 535=219 fu iniziata la guerra da Annibale) coll'attac-co di Sagunto, prima che la città cadesse in potere deiCartaginesi, dovevano prima di tutto inviare un esercitoin Spagna; ma essi, come avevano obliato le leggidell'onore, così trascuravano quelle dell'interesse. Indar-no Sagunto resistette otto mesi; quando si arrese, Romanon era nemmeno apparecchiata per fare uno sbarco inSpagna.Il paese tra i Pirenei e l'Ebro era però ancora libero, equei popoli non erano soltanto i naturali alleati dei Ro-mani, ma anch'essi, come i Saguntini, erano stati assicu-rati da emissari romani che sarebbero stati prontamentesoccorsi.Dall'Italia si arriva alla Catalogna, per mare, in minortempo che da Cartagena per terra. Se dopo la dichiara-zione di guerra, seguìta in questo frattempo, i Romani sifossero messi in marcia nel mese di aprile come i Carta-ginesi, Annibale avrebbe potuto scontrarsi colle legioniromane sulla linea dell'Ebro.È vero che la maggior parte dell'esercito e della flottafurono preparati per passare in Africa, e che fu ordinatoal secondo console Publio Cornelio Scipione di portarsisulla linea dell'Ebro; ma questi non si dette premura, edessendo scoppiata una sollevazione sulle rive del Po,egli si servì dell'esercito pronto all'imbarco per repri-

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trare l'esercito di Spagna sotto le mura di Cartagine.I Romani, seguendo questo piano (allorchè al principiodel 535=219 fu iniziata la guerra da Annibale) coll'attac-co di Sagunto, prima che la città cadesse in potere deiCartaginesi, dovevano prima di tutto inviare un esercitoin Spagna; ma essi, come avevano obliato le leggidell'onore, così trascuravano quelle dell'interesse. Indar-no Sagunto resistette otto mesi; quando si arrese, Romanon era nemmeno apparecchiata per fare uno sbarco inSpagna.Il paese tra i Pirenei e l'Ebro era però ancora libero, equei popoli non erano soltanto i naturali alleati dei Ro-mani, ma anch'essi, come i Saguntini, erano stati assicu-rati da emissari romani che sarebbero stati prontamentesoccorsi.Dall'Italia si arriva alla Catalogna, per mare, in minortempo che da Cartagena per terra. Se dopo la dichiara-zione di guerra, seguìta in questo frattempo, i Romani sifossero messi in marcia nel mese di aprile come i Carta-ginesi, Annibale avrebbe potuto scontrarsi colle legioniromane sulla linea dell'Ebro.È vero che la maggior parte dell'esercito e della flottafurono preparati per passare in Africa, e che fu ordinatoal secondo console Publio Cornelio Scipione di portarsisulla linea dell'Ebro; ma questi non si dette premura, edessendo scoppiata una sollevazione sulle rive del Po,egli si servì dell'esercito pronto all'imbarco per repri-

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merla.È vero che Annibale trovò sull'Ebro un'accanita resi-stenza, ma per opera dei soli indigeni, resistenza cheegli superò in pochi mesi, sacrificandovi la quarta partedel suo esercito; poichè per lui doveva essere assai piùprezioso il tempo che non il sangue dei suoi soldati. Lalinea dei Pirenei era raggiunta.Come si poteva prevedere che, per l'indugio, gli alleatidi Roma sarebbero rimasti sacrificati una seconda volta,così avrebbe dovuto esser facile evitare l'indugio stesso.È anzi verosimile che la stessa spedizione in Italia (dicui a Roma non si deve aver avuto sentore nemmenonella primavera del 536=218) sarebbe stata stornata, se iRomani fossero arrivati in tempo utile in Spagna.Annibale non aveva affatto l'intenzione di gettarsisull'Italia come un disperato, rinunziando al suo «regno»spagnuolo. Il tempo ch'egli aveva impiegato ad espu-gnare Sagunto ed a soggiogare la Catalogna, il ragguar-devole corpo di truppe ch'egli lasciava per l'occupazionedel territorio nuovamente conquistato tra l'Ebro ed i Pi-renei, provano a sufficienza che, se un esercito romanogli avesse conteso il possesso della Spagna, egli non sisarebbe accontentato di ritirarsene. Anzi – e questo è ilpiù importante – se i Romani fossero stati capaci di ri-tardargli, anche solo di poche settimane, la sua partenzadalla Spagna, l'inverno avrebbe chiusi i passi delle Alpiprima che Annibale li raggiungesse, e la spedizione inAfrica avrebbe potuto raggiungere la sua meta senza in-

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merla.È vero che Annibale trovò sull'Ebro un'accanita resi-stenza, ma per opera dei soli indigeni, resistenza cheegli superò in pochi mesi, sacrificandovi la quarta partedel suo esercito; poichè per lui doveva essere assai piùprezioso il tempo che non il sangue dei suoi soldati. Lalinea dei Pirenei era raggiunta.Come si poteva prevedere che, per l'indugio, gli alleatidi Roma sarebbero rimasti sacrificati una seconda volta,così avrebbe dovuto esser facile evitare l'indugio stesso.È anzi verosimile che la stessa spedizione in Italia (dicui a Roma non si deve aver avuto sentore nemmenonella primavera del 536=218) sarebbe stata stornata, se iRomani fossero arrivati in tempo utile in Spagna.Annibale non aveva affatto l'intenzione di gettarsisull'Italia come un disperato, rinunziando al suo «regno»spagnuolo. Il tempo ch'egli aveva impiegato ad espu-gnare Sagunto ed a soggiogare la Catalogna, il ragguar-devole corpo di truppe ch'egli lasciava per l'occupazionedel territorio nuovamente conquistato tra l'Ebro ed i Pi-renei, provano a sufficienza che, se un esercito romanogli avesse conteso il possesso della Spagna, egli non sisarebbe accontentato di ritirarsene. Anzi – e questo è ilpiù importante – se i Romani fossero stati capaci di ri-tardargli, anche solo di poche settimane, la sua partenzadalla Spagna, l'inverno avrebbe chiusi i passi delle Alpiprima che Annibale li raggiungesse, e la spedizione inAfrica avrebbe potuto raggiungere la sua meta senza in-

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contrare ostacoli di sorta.Arrivato ai Pirenei, Annibale accordò ad una parte dellesue truppe il congedo per ritornare nell'interno del pro-prio paese; misura questa che doveva provare ai soldatila fiducia che in essi riponeva il loro capitano.Con un esercito di 50.000 fanti e 9000 cavalieri, tutti ve-terani, Annibale valicò senza difficoltà i Pirenei, e preseposcia la via lungo il litorale, passando per Narbona eNimes, attraverso il paese dei Celti che gli fu schiuso ingrazia degli accordi precedentemente conchiusi, sia colmezzo dell'oro cartaginese, sia colla forza delle armi.Giunto (sul finire del luglio) alle sponde del Rodano, difronte ad Avignone, sembrò che dovesse incontrare perla prima volta una seria resistenza.Il console Scipione, che nel recarsi in Spagna s'era fer-mato a Marsiglia (verso la fine del giugno), s'accorsequi di essere arrivato troppo tardi e che Annibale nonsolo aveva già passato l'Ebro, ma anche i Pirenei.

10. Passaggio del Rodano.A tali notizie, che pare siano state le prime ad illuminarei Romani intorno alla direzione ed alle mire di Annibale,il console rinunciò per il momento alla spedizione inSpagna per unirsi alle popolazioni celtiche di quel paeseposto sotto il protettorato dei Massalioti e quindi deiRomani, ed attendere i Cartaginesi sulle sponde del Ro-dano per impedire loro il passo del fiume e sbarrare la

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contrare ostacoli di sorta.Arrivato ai Pirenei, Annibale accordò ad una parte dellesue truppe il congedo per ritornare nell'interno del pro-prio paese; misura questa che doveva provare ai soldatila fiducia che in essi riponeva il loro capitano.Con un esercito di 50.000 fanti e 9000 cavalieri, tutti ve-terani, Annibale valicò senza difficoltà i Pirenei, e preseposcia la via lungo il litorale, passando per Narbona eNimes, attraverso il paese dei Celti che gli fu schiuso ingrazia degli accordi precedentemente conchiusi, sia colmezzo dell'oro cartaginese, sia colla forza delle armi.Giunto (sul finire del luglio) alle sponde del Rodano, difronte ad Avignone, sembrò che dovesse incontrare perla prima volta una seria resistenza.Il console Scipione, che nel recarsi in Spagna s'era fer-mato a Marsiglia (verso la fine del giugno), s'accorsequi di essere arrivato troppo tardi e che Annibale nonsolo aveva già passato l'Ebro, ma anche i Pirenei.

10. Passaggio del Rodano.A tali notizie, che pare siano state le prime ad illuminarei Romani intorno alla direzione ed alle mire di Annibale,il console rinunciò per il momento alla spedizione inSpagna per unirsi alle popolazioni celtiche di quel paeseposto sotto il protettorato dei Massalioti e quindi deiRomani, ed attendere i Cartaginesi sulle sponde del Ro-dano per impedire loro il passo del fiume e sbarrare la

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via d'Italia.La buona stella d'Annibale volle che di fronte alla spon-da da esso prescelta per effettuare il passaggio si trovas-se allora soltanto la milizia celtica, mentre il console colsuo esercito, forte di 22.000 fanti e 2000 cavalli, si tro-vava ancora a Marsiglia, distante quattro giorni di mar-cia.I messaggeri celti si affrettarono ad avvertirlo. Annibaledoveva condurre il suo esercito colla numerosa cavalle-ria e gli elefanti oltre il rapido fiume sotto gli occhi delnemico prima che vi giungesse Scipione, e non aveva asua disposizione nemmeno un battello.Dietro suo ordine si acquistarono nelle vicinanze tutte lebarche appartenenti ai moltissimi barcaiuoli del Rodanoe, alla mancanza del numero necessario, si supplì fabbri-cando zattere; in tal modo il numeroso esercito potè es-sere traghettato in un sol giorno sull'altra sponda.Mentre fervevano i preparativi per il passaggio del fiu-me, una forte divisione, capitanata da Annone figlio diAmilcare, si recava a marcie forzate a ritroso della cor-rente fino ad un passaggio al disopra di Avignone, lonta-no due giorni di marcia, che fu trovato senza difesa.Queste truppe attraversarono il fiume in tutta fretta conzattere messe insieme alla meglio e, seguendo il corso,giunsero alle spalle dei Galli.Al mattina del quinto giorno, dacchè il grosso dell'eser-cito era arrivato alle sponde del Rodano, e del terzo

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via d'Italia.La buona stella d'Annibale volle che di fronte alla spon-da da esso prescelta per effettuare il passaggio si trovas-se allora soltanto la milizia celtica, mentre il console colsuo esercito, forte di 22.000 fanti e 2000 cavalli, si tro-vava ancora a Marsiglia, distante quattro giorni di mar-cia.I messaggeri celti si affrettarono ad avvertirlo. Annibaledoveva condurre il suo esercito colla numerosa cavalle-ria e gli elefanti oltre il rapido fiume sotto gli occhi delnemico prima che vi giungesse Scipione, e non aveva asua disposizione nemmeno un battello.Dietro suo ordine si acquistarono nelle vicinanze tutte lebarche appartenenti ai moltissimi barcaiuoli del Rodanoe, alla mancanza del numero necessario, si supplì fabbri-cando zattere; in tal modo il numeroso esercito potè es-sere traghettato in un sol giorno sull'altra sponda.Mentre fervevano i preparativi per il passaggio del fiu-me, una forte divisione, capitanata da Annone figlio diAmilcare, si recava a marcie forzate a ritroso della cor-rente fino ad un passaggio al disopra di Avignone, lonta-no due giorni di marcia, che fu trovato senza difesa.Queste truppe attraversarono il fiume in tutta fretta conzattere messe insieme alla meglio e, seguendo il corso,giunsero alle spalle dei Galli.Al mattina del quinto giorno, dacchè il grosso dell'eser-cito era arrivato alle sponde del Rodano, e del terzo

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dopo la partenza di Annone, si videro salire le colonnedi fumo che annunziavano l'arrivo di quest'ultimosull'opposta sponda: era il segnale atteso da Annibalecolla massima impazienza per effettuare il passaggio.Nel momento appunto in cui i Galli, vedendo la flottadei battelli nemici in movimento, si affrettarono ad oc-cupare la riva sinistra del fiume, il loro campo fu im-provvisamente avvolto dalle fiamme alle loro spalle:sorpresi e divisi non poterono nè sostenere l'assalto, nèimpedire il passaggio, e si dispersero dandosi a precipi-tosa fuga.Scipione teneva frattanto consigli di guerra a Marsigliasulla opportunità d'occupare il passaggio del Rodano, enon si lasciava indurre alla partenza nemmeno dalle ur-genti notizie dei capi dei Galli. Egli non prestava fedealle loro informazioni, e si limitò a mandare sulla rivasinistra del Rodano una debole schiera di cavalleria ro-mana per farvi una ricognizione.Questi cavalieri trovarono che tutto l'esercito nemico eragià sulla riva sinistra e che era occupato a farvi passaregli elefanti, i soli rimasti ancora sulla riva destra; e dopoche, per poter compiere la ricognizione, ebbero sostenu-to un duro scontro con alcuni squadroni cartaginesi nellevicinanze di Avignone (il primo tra Romani e Cartagine-si in questa guerra), si ritirarono in tutta fretta per farnerapporto al quartier generale.Scipione si mise allora colla massima premura in marcia

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dopo la partenza di Annone, si videro salire le colonnedi fumo che annunziavano l'arrivo di quest'ultimosull'opposta sponda: era il segnale atteso da Annibalecolla massima impazienza per effettuare il passaggio.Nel momento appunto in cui i Galli, vedendo la flottadei battelli nemici in movimento, si affrettarono ad oc-cupare la riva sinistra del fiume, il loro campo fu im-provvisamente avvolto dalle fiamme alle loro spalle:sorpresi e divisi non poterono nè sostenere l'assalto, nèimpedire il passaggio, e si dispersero dandosi a precipi-tosa fuga.Scipione teneva frattanto consigli di guerra a Marsigliasulla opportunità d'occupare il passaggio del Rodano, enon si lasciava indurre alla partenza nemmeno dalle ur-genti notizie dei capi dei Galli. Egli non prestava fedealle loro informazioni, e si limitò a mandare sulla rivasinistra del Rodano una debole schiera di cavalleria ro-mana per farvi una ricognizione.Questi cavalieri trovarono che tutto l'esercito nemico eragià sulla riva sinistra e che era occupato a farvi passaregli elefanti, i soli rimasti ancora sulla riva destra; e dopoche, per poter compiere la ricognizione, ebbero sostenu-to un duro scontro con alcuni squadroni cartaginesi nellevicinanze di Avignone (il primo tra Romani e Cartagine-si in questa guerra), si ritirarono in tutta fretta per farnerapporto al quartier generale.Scipione si mise allora colla massima premura in marcia

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con tutte le sue truppe verso Avignone; ma quando vigiunse l'esercito nemico, compresa la cavalleria che erarimasta indietro per proteggere il passaggio degli elefan-ti, ne era partito già da tre giorni; per cui il console nonseppe far altro che ritornare a Marsiglia con le sue stan-che truppe e con poca gloria, deridendo la «vigliaccafuga» del cartaginese.Così, per la terza volta, i Romani avevano abbandonato,per pura trascuratezza, gli alleati ed un'importante lineadi difesa; quindi, con nuovo errore, passando dalla so-verchia lentezza alla soverchia precipitazione, e facendoora senza alcuna speranza di successo ciò che avrebberopotuto fare due giorni prima con certezza di riuscita, silasciarono sfuggire dalle mani la sola occasione di ripa-rare al malfatto.Dacchè Annibale, passato il Rodano, era entrato nelpaese dei Celti, non era più possibile impedire ch'egliraggiungesse le Alpi; ma se Scipione, subito dopo avu-tane la prima notizia, si fosse mosso col suo esercitoverso l'Italia, in sette giorni, passando per Genova, eglisarebbe giunto alle sponde del Po, e raccolte attorno alsuo esercito le piccole schiere disseminate in questa val-le, avrebbe per lo meno potuto preparare al nemico, inquesto paese, una pericolosa accoglienza. Egli, invece,non solo sciupò un tempo prezioso marciando versoAvignone, ma, sebbene dotato di molta capacità, nonebbe il coraggio politico e la avvedutezza militare perregolare secondo le circostanze i movimenti del suo cor-

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con tutte le sue truppe verso Avignone; ma quando vigiunse l'esercito nemico, compresa la cavalleria che erarimasta indietro per proteggere il passaggio degli elefan-ti, ne era partito già da tre giorni; per cui il console nonseppe far altro che ritornare a Marsiglia con le sue stan-che truppe e con poca gloria, deridendo la «vigliaccafuga» del cartaginese.Così, per la terza volta, i Romani avevano abbandonato,per pura trascuratezza, gli alleati ed un'importante lineadi difesa; quindi, con nuovo errore, passando dalla so-verchia lentezza alla soverchia precipitazione, e facendoora senza alcuna speranza di successo ciò che avrebberopotuto fare due giorni prima con certezza di riuscita, silasciarono sfuggire dalle mani la sola occasione di ripa-rare al malfatto.Dacchè Annibale, passato il Rodano, era entrato nelpaese dei Celti, non era più possibile impedire ch'egliraggiungesse le Alpi; ma se Scipione, subito dopo avu-tane la prima notizia, si fosse mosso col suo esercitoverso l'Italia, in sette giorni, passando per Genova, eglisarebbe giunto alle sponde del Po, e raccolte attorno alsuo esercito le piccole schiere disseminate in questa val-le, avrebbe per lo meno potuto preparare al nemico, inquesto paese, una pericolosa accoglienza. Egli, invece,non solo sciupò un tempo prezioso marciando versoAvignone, ma, sebbene dotato di molta capacità, nonebbe il coraggio politico e la avvedutezza militare perregolare secondo le circostanze i movimenti del suo cor-

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po di truppe, e finì per mandare il grosso dell'esercito,capitanato da suo fratello Gneo, in Spagna, e con pocagente egli tornò a Pisa.

11. Annibale passa le Alpi.Annibale, dopo il passaggio del Rodano, spiegò lo sco-po della sua impresa all'esercito adunato e fece parlareal medesimo, col mezzo d'un interprete, anche da Magi-lone, capo dei Celti arrivato dalla valle del Po; dopo diche, senza incontrare ostacoli, continuò la sua marciaverso le Alpi.Nè la brevità della via, nè lo spirito degli abitanti pote-vano farlo decidere nella scelta del passo da varcare,benchè egli non avesse tempo da perdere nè allungandoil cammino nè combattendo. Egli doveva prendere unavia praticabile pel suo bagaglio, per la sua numerosa ca-valleria e per gli elefanti, e che potesse fornire, per amo-re o per forza, al suo esercito sufficienti mezzi di sussi-stenza; giacchè sebbene egli avesse prese le sue misureper condurre con sè dei viveri sopra bestie da soma,questi non potevano naturalmente bastare che per pochigiorni ad un esercito, il quale, malgrado le forti perditesofferte, contava ancora circa 50.000 uomini.Eccetto la via del litorale, che Annibale non volle pren-dere non già perchè i Romani gliela sbarravano, ma per-chè lo avrebbe sviato dal suo scopo, due soli erano i va-

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po di truppe, e finì per mandare il grosso dell'esercito,capitanato da suo fratello Gneo, in Spagna, e con pocagente egli tornò a Pisa.

11. Annibale passa le Alpi.Annibale, dopo il passaggio del Rodano, spiegò lo sco-po della sua impresa all'esercito adunato e fece parlareal medesimo, col mezzo d'un interprete, anche da Magi-lone, capo dei Celti arrivato dalla valle del Po; dopo diche, senza incontrare ostacoli, continuò la sua marciaverso le Alpi.Nè la brevità della via, nè lo spirito degli abitanti pote-vano farlo decidere nella scelta del passo da varcare,benchè egli non avesse tempo da perdere nè allungandoil cammino nè combattendo. Egli doveva prendere unavia praticabile pel suo bagaglio, per la sua numerosa ca-valleria e per gli elefanti, e che potesse fornire, per amo-re o per forza, al suo esercito sufficienti mezzi di sussi-stenza; giacchè sebbene egli avesse prese le sue misureper condurre con sè dei viveri sopra bestie da soma,questi non potevano naturalmente bastare che per pochigiorni ad un esercito, il quale, malgrado le forti perditesofferte, contava ancora circa 50.000 uomini.Eccetto la via del litorale, che Annibale non volle pren-dere non già perchè i Romani gliela sbarravano, ma per-chè lo avrebbe sviato dal suo scopo, due soli erano i va-

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lichi conosciuti, che negli antichi tempi(22) conducevanodalla Gallia in Italia attraverso le Alpi; quello per leAlpi Cozie (Monginevro) che metteva nel paese deiTaurini (per Susa o Fenestrelle a Torino), e quello attra-verso le Alpi Graie (Piccolo San Bernardo) che condu-ceva nel paese dei Salassi (ad Aosta ed Ivrea).La prima delle due vie è la più corta; senonchè dal pun-to dove abbandona la valle del Rodano passa per le valliimpraticabili e sterili della Drac, della Romanche e dellaDurance superiore, paese montuoso e povero, per attra-versare il quale occorrevano sette od otto giorni di mar-cia alpestre; soltanto Pompeo, poi, vi fece costruire unavia militare per stabilire una comunicazione più prontatra la provincia gallica al di là dei monti.La via attraverso il piccolo San Bernardo è alquanto piùlunga, ma superata la prima barriera delle Alpi, che cir-coscrive ad oriente la valle del Rodano, essa percorre lavalle dell'Isère superiore, che si estende da Grenoble perChambery sino ai piedi del piccolo San Bernardo, cioèalla catena superiore delle Alpi, che è fra tutte quellevallate la più vasta, la più fertile e la più popolata.Il valico del Piccolo San Bernardo è inoltre, fra tuttiquelli che la natura pose fra le Alpi, se non il più bassocertamente il più comodo; benchè non vi sia stata co-

22 La strada che attraversa il Moncenisio divenne strada militare solo nelmedio evo. Non è qui il caso di parlare dei passi più orientali, come adesempio di quello che attraversa le Alpi Pennine o Gran San Bernardo, ched'altronde fu ridotto a strada militare soltanto ai tempi di Cesare e d'Augu-sto.

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lichi conosciuti, che negli antichi tempi(22) conducevanodalla Gallia in Italia attraverso le Alpi; quello per leAlpi Cozie (Monginevro) che metteva nel paese deiTaurini (per Susa o Fenestrelle a Torino), e quello attra-verso le Alpi Graie (Piccolo San Bernardo) che condu-ceva nel paese dei Salassi (ad Aosta ed Ivrea).La prima delle due vie è la più corta; senonchè dal pun-to dove abbandona la valle del Rodano passa per le valliimpraticabili e sterili della Drac, della Romanche e dellaDurance superiore, paese montuoso e povero, per attra-versare il quale occorrevano sette od otto giorni di mar-cia alpestre; soltanto Pompeo, poi, vi fece costruire unavia militare per stabilire una comunicazione più prontatra la provincia gallica al di là dei monti.La via attraverso il piccolo San Bernardo è alquanto piùlunga, ma superata la prima barriera delle Alpi, che cir-coscrive ad oriente la valle del Rodano, essa percorre lavalle dell'Isère superiore, che si estende da Grenoble perChambery sino ai piedi del piccolo San Bernardo, cioèalla catena superiore delle Alpi, che è fra tutte quellevallate la più vasta, la più fertile e la più popolata.Il valico del Piccolo San Bernardo è inoltre, fra tuttiquelli che la natura pose fra le Alpi, se non il più bassocertamente il più comodo; benchè non vi sia stata co-

22 La strada che attraversa il Moncenisio divenne strada militare solo nelmedio evo. Non è qui il caso di parlare dei passi più orientali, come adesempio di quello che attraversa le Alpi Pennine o Gran San Bernardo, ched'altronde fu ridotto a strada militare soltanto ai tempi di Cesare e d'Augu-sto.

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struita una strada artificiale, vi passò, ciò non pertanto,nel 1815, un corpo d'armata austriaco con artiglieria.Questa via, la quale conduce solamente attraverso duecreste di monti, dai più antichi tempi fu la grande stradamilitare che dai paesi dei Celti conduceva in Italia.L'esercito cartaginese non aveva quindi altra scelta; fuper Annibale una fortunata combinazione, ma non unmotivo determinante, che le tribù celtiche con lui alleaterisiedessero in Italia fino ai piedi del Piccolo San Ber-nardo, mentre la via del Monginevro lo avrebbe condot-to immediatamente nel paese dei Taurini, che da tempiremoti erano in guerra cogli Insubri.L'esercito cartaginese moveva adunque a ritroso del Ro-dano verso la valle dell'alto Isère, non già, come si po-trebbe supporre, per la via più prossima lungo la riva si-nistra del basso Isère, da Valenza a Grenoble, sibbeneper «l'isola» degli Allobrogi, ricca pianura, molto popo-lata fin d'allora, bagnata a settentrione e ad occidente dalRodano, a mezzodì dall'Isère, e circondata ad occidentedalle Alpi.Anche qui si seguiva questo cammino perchè la stradapiù breve avrebbe condotto l'esercito per un paese mon-tuoso, povero ed impraticabile, mentre «l'isola» è unpaese piano e assai fertile, diviso dalla valle superioredell'Isère da una sola catena di monti.La marcia lungo il Rodano e attraverso «l'isola» sino aipiedi della barriera dell'Alpi fu eseguita in sedici giorni;

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struita una strada artificiale, vi passò, ciò non pertanto,nel 1815, un corpo d'armata austriaco con artiglieria.Questa via, la quale conduce solamente attraverso duecreste di monti, dai più antichi tempi fu la grande stradamilitare che dai paesi dei Celti conduceva in Italia.L'esercito cartaginese non aveva quindi altra scelta; fuper Annibale una fortunata combinazione, ma non unmotivo determinante, che le tribù celtiche con lui alleaterisiedessero in Italia fino ai piedi del Piccolo San Ber-nardo, mentre la via del Monginevro lo avrebbe condot-to immediatamente nel paese dei Taurini, che da tempiremoti erano in guerra cogli Insubri.L'esercito cartaginese moveva adunque a ritroso del Ro-dano verso la valle dell'alto Isère, non già, come si po-trebbe supporre, per la via più prossima lungo la riva si-nistra del basso Isère, da Valenza a Grenoble, sibbeneper «l'isola» degli Allobrogi, ricca pianura, molto popo-lata fin d'allora, bagnata a settentrione e ad occidente dalRodano, a mezzodì dall'Isère, e circondata ad occidentedalle Alpi.Anche qui si seguiva questo cammino perchè la stradapiù breve avrebbe condotto l'esercito per un paese mon-tuoso, povero ed impraticabile, mentre «l'isola» è unpaese piano e assai fertile, diviso dalla valle superioredell'Isère da una sola catena di monti.La marcia lungo il Rodano e attraverso «l'isola» sino aipiedi della barriera dell'Alpi fu eseguita in sedici giorni;

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non s'incontrarono gravi difficoltà, e nell'«isola» stessaAnnibale seppe destramente approfittare di un litigiosorto tra due capi allobrogi, così che il più potente deidue diede ai Cartaginesi non solo una scorta che li con-ducesse fino al piano, ma li fornì di viveri, d'armi, di ve-stimenta e di calzature.Durante il passaggio della prima catena delle Alpi, ches'innalza scoscesa e attraverso la quale non v'è che unsolo sentiero praticabile (pel monte di Chat presso il vil-laggio Chevelu), poco mancò che la spedizione non an-dasse a male.La popolazione allobroga aveva occupato con molta for-za il passo. Annibale ne fu informato in tempo per evita-re una sorpresa, e si accampò ai piedi del monte, ove sifermò fino a che i Celti, dopo il tramonto del sole, si di-spersero nelle case della città vicina. Nella notte eglis'impadronì del passo, ed il culmine fu superato; ma sul-la strada oltremodo scoscesa, che dalla sommità condu-ce al lago del Bourget, i muli e i cavalli sdrucciolavanocon grande facilità e cadevano; a questo si aggiungeva-no gli attacchi che i Celti facevano da posizioni favore-voli contro l'esercito in marcia, che nuocevano non tantoper se stessi quanto per la confusione che cagionavanoall'armata; così che quando Annibale, discendendo collesue truppe leggere dalla vetta, si gettò sugli Allobrogi,questi furono scacciati dal monte senza difficoltà e congravi perdite, ma la confusione, specialmente nelle sal-merie, si fece anche maggiore per le vicende del com-

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non s'incontrarono gravi difficoltà, e nell'«isola» stessaAnnibale seppe destramente approfittare di un litigiosorto tra due capi allobrogi, così che il più potente deidue diede ai Cartaginesi non solo una scorta che li con-ducesse fino al piano, ma li fornì di viveri, d'armi, di ve-stimenta e di calzature.Durante il passaggio della prima catena delle Alpi, ches'innalza scoscesa e attraverso la quale non v'è che unsolo sentiero praticabile (pel monte di Chat presso il vil-laggio Chevelu), poco mancò che la spedizione non an-dasse a male.La popolazione allobroga aveva occupato con molta for-za il passo. Annibale ne fu informato in tempo per evita-re una sorpresa, e si accampò ai piedi del monte, ove sifermò fino a che i Celti, dopo il tramonto del sole, si di-spersero nelle case della città vicina. Nella notte eglis'impadronì del passo, ed il culmine fu superato; ma sul-la strada oltremodo scoscesa, che dalla sommità condu-ce al lago del Bourget, i muli e i cavalli sdrucciolavanocon grande facilità e cadevano; a questo si aggiungeva-no gli attacchi che i Celti facevano da posizioni favore-voli contro l'esercito in marcia, che nuocevano non tantoper se stessi quanto per la confusione che cagionavanoall'armata; così che quando Annibale, discendendo collesue truppe leggere dalla vetta, si gettò sugli Allobrogi,questi furono scacciati dal monte senza difficoltà e congravi perdite, ma la confusione, specialmente nelle sal-merie, si fece anche maggiore per le vicende del com-

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battimento.Giunto nella valle, dopo aver subìto a sua volta non lieviperdite, Annibale assalì subito la più vicina città, al finedi punire e intimorire i barbari e in pari tempo rifarsi,possibilmente, delle perdite delle bestie da soma e deicavalli.Dopo un giorno di sosta nell'amena valle di Chamberyl'esercito continuò la sua marcia risalendo l'Isère senzaessere trattenuto nè da mancanza di viveri, nè da attac-chi nemici. Soltanto, nel quarto giorno, quando l'esercitoentrò nel paese di Ceutroni (l'odierna Tarantasia), dovela valle va insensibilmente restringendosi, Annibaleebbe di nuovo motivo di stare più in guardia. I Ceutroniaccolsero l'esercito sul confine del loro paese (fossepresso Conflans) con rami e con ghirlande di fiori, glioffrirono bestiame, guide e ostaggi, e l'esercito attraver-sò quel territorio come un paese amico. Ma quando per-venne ai piedi delle Alpi, ove la via si scosta dall'Isère eper una stretta e scabra gola si eleva serpeggiando lungoil ruscello Reclo sino al culmine del San Bernardo, adun tratto apparve la milizia dei Ceutroni parte alle spalledell'esercito, parte sui ciglioni delle montagne che a de-stra e a sinistra serrano il passo, sperando di tagliar fuoriil treno ed i bagagli.Ma Annibale, che colla naturale sua avvedutezza avevacompreso che tutte le dimostrazioni dei Ceutroni nonavevano avuto altro scopo che quello di veder rispar-miato il loro territorio e di procacciarsi la ricca preda,

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battimento.Giunto nella valle, dopo aver subìto a sua volta non lieviperdite, Annibale assalì subito la più vicina città, al finedi punire e intimorire i barbari e in pari tempo rifarsi,possibilmente, delle perdite delle bestie da soma e deicavalli.Dopo un giorno di sosta nell'amena valle di Chamberyl'esercito continuò la sua marcia risalendo l'Isère senzaessere trattenuto nè da mancanza di viveri, nè da attac-chi nemici. Soltanto, nel quarto giorno, quando l'esercitoentrò nel paese di Ceutroni (l'odierna Tarantasia), dovela valle va insensibilmente restringendosi, Annibaleebbe di nuovo motivo di stare più in guardia. I Ceutroniaccolsero l'esercito sul confine del loro paese (fossepresso Conflans) con rami e con ghirlande di fiori, glioffrirono bestiame, guide e ostaggi, e l'esercito attraver-sò quel territorio come un paese amico. Ma quando per-venne ai piedi delle Alpi, ove la via si scosta dall'Isère eper una stretta e scabra gola si eleva serpeggiando lungoil ruscello Reclo sino al culmine del San Bernardo, adun tratto apparve la milizia dei Ceutroni parte alle spalledell'esercito, parte sui ciglioni delle montagne che a de-stra e a sinistra serrano il passo, sperando di tagliar fuoriil treno ed i bagagli.Ma Annibale, che colla naturale sua avvedutezza avevacompreso che tutte le dimostrazioni dei Ceutroni nonavevano avuto altro scopo che quello di veder rispar-miato il loro territorio e di procacciarsi la ricca preda,

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aspettandosi l'attacco, aveva mandato innanzi il treno ela cavalleria coprendo la marcia con tutta la sua fanteria;col che mandò a vuoto il piano dei nemici, sebbene nonpotesse impedire che essi, accompagnando la marciadella sua fanteria dalle vette dei monti, gli cagionasseronotevoli perdite lanciando pietre e rotolando su di essagrossi macigni.Annibale si accampò colla sua fanteria al «masso bian-co,» (chiamato ancor oggi la roche blanche), roccia cal-care, alta, isolata, che sorge ai piedi del San Bernardo ene domina la salita, per coprire il passaggio dei cavalli edelle bestie da soma, cui bastò appena tutta la notte perarrampicarsi su per il monte, del quale, dopo continuisanguinosissimi combattimenti, raggiunse finalmente, ilgiorno appresso, la sommità.Qui, sopra il sicuro altipiano che si estende per circa duemiglia e mezzo intorno ad un piccolo laghetto, sorgentedella Dora, Annibale fece riposare la sua armata.Nell'animo dei soldati aveva cominciato a insinuarsi loscoraggiamento. I sentieri che si facevano sempre piùdifficili, le provvigioni che andavano esaurendosi, lemarcie attraverso le gole dei monti ed i continui attacchid'un nemico che non si poteva mai raggiungere, le filedei soldati fortemente diradate, la disperata condizionedei dispersi e dei feriti, lo scopo della spedizione cheper tutti sembrava una chimera fuori che per l'entusia-smo del duce e dei suoi fidi, cominciavano ad agire an-che sui veterani spagnuoli ed africani. Ciò nondimeno la

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aspettandosi l'attacco, aveva mandato innanzi il treno ela cavalleria coprendo la marcia con tutta la sua fanteria;col che mandò a vuoto il piano dei nemici, sebbene nonpotesse impedire che essi, accompagnando la marciadella sua fanteria dalle vette dei monti, gli cagionasseronotevoli perdite lanciando pietre e rotolando su di essagrossi macigni.Annibale si accampò colla sua fanteria al «masso bian-co,» (chiamato ancor oggi la roche blanche), roccia cal-care, alta, isolata, che sorge ai piedi del San Bernardo ene domina la salita, per coprire il passaggio dei cavalli edelle bestie da soma, cui bastò appena tutta la notte perarrampicarsi su per il monte, del quale, dopo continuisanguinosissimi combattimenti, raggiunse finalmente, ilgiorno appresso, la sommità.Qui, sopra il sicuro altipiano che si estende per circa duemiglia e mezzo intorno ad un piccolo laghetto, sorgentedella Dora, Annibale fece riposare la sua armata.Nell'animo dei soldati aveva cominciato a insinuarsi loscoraggiamento. I sentieri che si facevano sempre piùdifficili, le provvigioni che andavano esaurendosi, lemarcie attraverso le gole dei monti ed i continui attacchid'un nemico che non si poteva mai raggiungere, le filedei soldati fortemente diradate, la disperata condizionedei dispersi e dei feriti, lo scopo della spedizione cheper tutti sembrava una chimera fuori che per l'entusia-smo del duce e dei suoi fidi, cominciavano ad agire an-che sui veterani spagnuoli ed africani. Ciò nondimeno la

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fiducia nel capitano non venne a mancare; molti fra i di-spersi ritornarono; i Galli amici erano ormai vicini, ilversante era superato e aperto dinanzi agli occhi lo scen-dente pendio, che è di così grande consolazione al viag-giatore delle Alpi.Dopo un breve riposo, ognuno si dispose con nuovo co-raggio all'ultima e non meno ardua impresa, la discesa.Durante la quale l'esercito non fu molto molestato dainemici, ma la stagione avanzata – erano i primi di set-tembre – uguagliò nello scendere i disagi che gli assaltidei barbari avevano arrecato nel salire.Sullo scosceso e sdrucciolevole pendio lungo il corsodella Dora, ove la prima neve aveva sepolto e guastato isentieri, si smarrivano e sdrucciolavano uomini e bestierotolando negli abissi; ma il peggio fu verso la sera delprimo giorno di marcia quando l'esercito arrivò ad untratto di via lungo duecento passi circa, sul quale dallesovrastanti scoscese roccie del Gramont cadono conti-nuamente valanghe, e dove nelle estati fredde la nevenon scompare mai. La fanteria passò, ma i cavalli e glielefanti non potevano sostenersi sul ghiaccio copertosolo da un lieve strato di neve appena caduta; sicchè ilgenerale fu costretto ad accamparsi colle salmerie, collacavalleria e cogli elefanti sulla difficile posizione. Ilgiorno seguente, lavorando tenacemente i cavalieri apri-rono la via per i cavalli e per le bestie da soma; ma glielefanti, quasi morti di fame, non poterono essere con-dotti al basso che dopo un ulteriore lavoro di tre giorni

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fiducia nel capitano non venne a mancare; molti fra i di-spersi ritornarono; i Galli amici erano ormai vicini, ilversante era superato e aperto dinanzi agli occhi lo scen-dente pendio, che è di così grande consolazione al viag-giatore delle Alpi.Dopo un breve riposo, ognuno si dispose con nuovo co-raggio all'ultima e non meno ardua impresa, la discesa.Durante la quale l'esercito non fu molto molestato dainemici, ma la stagione avanzata – erano i primi di set-tembre – uguagliò nello scendere i disagi che gli assaltidei barbari avevano arrecato nel salire.Sullo scosceso e sdrucciolevole pendio lungo il corsodella Dora, ove la prima neve aveva sepolto e guastato isentieri, si smarrivano e sdrucciolavano uomini e bestierotolando negli abissi; ma il peggio fu verso la sera delprimo giorno di marcia quando l'esercito arrivò ad untratto di via lungo duecento passi circa, sul quale dallesovrastanti scoscese roccie del Gramont cadono conti-nuamente valanghe, e dove nelle estati fredde la nevenon scompare mai. La fanteria passò, ma i cavalli e glielefanti non potevano sostenersi sul ghiaccio copertosolo da un lieve strato di neve appena caduta; sicchè ilgenerale fu costretto ad accamparsi colle salmerie, collacavalleria e cogli elefanti sulla difficile posizione. Ilgiorno seguente, lavorando tenacemente i cavalieri apri-rono la via per i cavalli e per le bestie da soma; ma glielefanti, quasi morti di fame, non poterono essere con-dotti al basso che dopo un ulteriore lavoro di tre giorni

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cambiando ad ogni momento i lavoratori.L'esercito potè quindi riunirsi di nuovo dopo una sostadi quattro giorni, e dopo altri tre giorni di marcia per lavalle Dora, che si andava sempre più allargando e mo-strandosi più fertile – ed i cui abitanti, i Salassi, alleatidegli Insubri, salutarono nei Cartaginesi i loro liberatori– verso la metà di settembre giunsero nel piano d'Ivrea,dove le stanche truppe furono acquartierate nei villaggi,affinchè con un buon trattamento e il riposo di una quin-dicina di giorni si rifacessero dagli straordinari strapaz-zi.Se i Romani avessero avuto, e lo potevano avere, unesercito di 30.000 uomini riposati e pronti ad entrare incampo, per esempio presso Torino, e avessero costretto iCartaginesi ad accettare subito una battaglia, la grandeimpresa d'Annibale sarebbe stata gravemente compro-messa; ma la sua fortuna volle che anche questa volta iRomani non si trovassero là dove avrebbero dovuto tro-varsi, e che le truppe cartaginesi potessero godere tran-quillamente il riposo di cui avevano tanto bisogno(23).

23 Le tanto dibattute questioni topografiche, che si riferiscono aquesta famosa spedizione, possono considerarsi come deciseed essenzialmente sciolte dalle esemplari ricerche dei signoriWickham e Cramer. Sulle questioni cronologiche, le quali of-frono esse pure delle difficoltà, aggiungeremo qui eccezional-mente alcune osservazioni. Arrivato Annibale sul culmine delSan Bernardo «le vette cominciavano già a coprirsi di foltaneve» (POL., 3, 54), sulla via v'era della neve (POL. 3, 55) maforse per la massima parte non caduta di fresco, ma per le ca-

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cambiando ad ogni momento i lavoratori.L'esercito potè quindi riunirsi di nuovo dopo una sostadi quattro giorni, e dopo altri tre giorni di marcia per lavalle Dora, che si andava sempre più allargando e mo-strandosi più fertile – ed i cui abitanti, i Salassi, alleatidegli Insubri, salutarono nei Cartaginesi i loro liberatori– verso la metà di settembre giunsero nel piano d'Ivrea,dove le stanche truppe furono acquartierate nei villaggi,affinchè con un buon trattamento e il riposo di una quin-dicina di giorni si rifacessero dagli straordinari strapaz-zi.Se i Romani avessero avuto, e lo potevano avere, unesercito di 30.000 uomini riposati e pronti ad entrare incampo, per esempio presso Torino, e avessero costretto iCartaginesi ad accettare subito una battaglia, la grandeimpresa d'Annibale sarebbe stata gravemente compro-messa; ma la sua fortuna volle che anche questa volta iRomani non si trovassero là dove avrebbero dovuto tro-varsi, e che le truppe cartaginesi potessero godere tran-quillamente il riposo di cui avevano tanto bisogno(23).

23 Le tanto dibattute questioni topografiche, che si riferiscono aquesta famosa spedizione, possono considerarsi come deciseed essenzialmente sciolte dalle esemplari ricerche dei signoriWickham e Cramer. Sulle questioni cronologiche, le quali of-frono esse pure delle difficoltà, aggiungeremo qui eccezional-mente alcune osservazioni. Arrivato Annibale sul culmine delSan Bernardo «le vette cominciavano già a coprirsi di foltaneve» (POL., 3, 54), sulla via v'era della neve (POL. 3, 55) maforse per la massima parte non caduta di fresco, ma per le ca-

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12. I risultati.La meta era raggiunta, ma a costo di gravi sacrifici. Dei50.000 fanti e 9000 cavalieri veterani, di cui si compo-neva l'esercito dopo il passaggio dei Pirenei, più dellametà era rimasta vittima dei combattimenti, delle marcee dei passaggi dei fiumi; Annibale stesso calcolava allo-

dute valanghe. Sul San Bernardo l'inverno comincia verso ilgiorno di San Michele, la prima nevicata avviene in settem-bre; quando, alla fine d'agosto, i due inglesi suddetti valicaro-no il monte, trovarono poche tracce di neve sulla strada, men-tre le falde del monte sui fianchi di essa ne erano coperti. Paredunque che Annibale arrivasse al passo in principio di settem-bre; il che combina ch'esso vi giungesse «quando l'inverno giàsi avvicinava»; e poichè Polibio non dice di più che συνάπτειντὴν τῆς πλειάδος δύσιν, si dovrebbe quindi escludere proprio«il giorno del tramonto precoce delle Pleiadi» (circa il 26 otto-bre); cfr. IDELER, Chronol, I, 241.

Se Annibale giunse in Italia alla metà di settembre, vi è il temponecessario anche per gli avvenimenti verificatisi da quel mo-mento sino alla battaglia sulla Trebbia, combattuta verso lafine di dicembre (περὶ χειµερινὰς τροπάς, POL. 3, 72), partico-larmente per far venire da Lilibeo a Piacenza l'esercito desti-nato per l'Africa. Si combina inoltre, che in un'adunanza mili-tare (ὐπὸ τὴν ἐαρινὴν ὥραν, POL. 3, 34) e cioè verso la fine dimarzo, fu fatto conoscere il giorno della partenza, e la marciadurò cinque mesi (o sei, secondo APP. 7, 4). Se dunque Anni-bale fu sul San Bernardo ai primi di settembre, avendo impie-gato trenta giorni per arrivarvi partendo dalle rive del Rodano,egli doveva essere giunto ai primi giorni di agosto al Rodano,in conseguenza di che si deve ritenere che Scipione, il quales'imbarcò in principio dell'estate (POL. 3, 41), dunque al piùtardi ai primi di giugno, siasi trattenuto lungamente in viag-

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12. I risultati.La meta era raggiunta, ma a costo di gravi sacrifici. Dei50.000 fanti e 9000 cavalieri veterani, di cui si compo-neva l'esercito dopo il passaggio dei Pirenei, più dellametà era rimasta vittima dei combattimenti, delle marcee dei passaggi dei fiumi; Annibale stesso calcolava allo-

dute valanghe. Sul San Bernardo l'inverno comincia verso ilgiorno di San Michele, la prima nevicata avviene in settem-bre; quando, alla fine d'agosto, i due inglesi suddetti valicaro-no il monte, trovarono poche tracce di neve sulla strada, men-tre le falde del monte sui fianchi di essa ne erano coperti. Paredunque che Annibale arrivasse al passo in principio di settem-bre; il che combina ch'esso vi giungesse «quando l'inverno giàsi avvicinava»; e poichè Polibio non dice di più che συνάπτειντὴν τῆς πλειάδος δύσιν, si dovrebbe quindi escludere proprio«il giorno del tramonto precoce delle Pleiadi» (circa il 26 otto-bre); cfr. IDELER, Chronol, I, 241.

Se Annibale giunse in Italia alla metà di settembre, vi è il temponecessario anche per gli avvenimenti verificatisi da quel mo-mento sino alla battaglia sulla Trebbia, combattuta verso lafine di dicembre (περὶ χειµερινὰς τροπάς, POL. 3, 72), partico-larmente per far venire da Lilibeo a Piacenza l'esercito desti-nato per l'Africa. Si combina inoltre, che in un'adunanza mili-tare (ὐπὸ τὴν ἐαρινὴν ὥραν, POL. 3, 34) e cioè verso la fine dimarzo, fu fatto conoscere il giorno della partenza, e la marciadurò cinque mesi (o sei, secondo APP. 7, 4). Se dunque Anni-bale fu sul San Bernardo ai primi di settembre, avendo impie-gato trenta giorni per arrivarvi partendo dalle rive del Rodano,egli doveva essere giunto ai primi giorni di agosto al Rodano,in conseguenza di che si deve ritenere che Scipione, il quales'imbarcò in principio dell'estate (POL. 3, 41), dunque al piùtardi ai primi di giugno, siasi trattenuto lungamente in viag-

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ra il suo esercito a 20.000 fanti – dei quali tre quintiafricani e due spagnuoli – 6000 cavalieri, parte dei qualia piedi: le lievi perdite di quest'arma, in confronto diquelle sofferte dalla fanteria, provano non solo l'eccel-lenza della cavalleria numidica, ma anche i voluti ri-guardi coi quali Annibale se ne serviva.Una marcia di 526 miglia, ossia circa trentatre tappe co-muni, la quale, sia nel percorso che alla fine, non solonon fu turbata da inconvenienti gravi e non prevedibili,ma anzi fu possibile soltanto per molte fortunate combi-nazioni, e più ancora per gli errori del nemico, sui qualicerto non s'era fatto alcun calcolo, e che ciò non pertan-to non solo costò tante perdite, ma stancò e demoralizzòl'esercito in modo che abbisognò di un lungo riposo permettersi in grado di riprender la campagna, fu un'opera-zione strategica d'un merito molto problematico e si puòdubitare se lo stesso Annibale la ritenesse riuscita.Noi però non possiamo biasimare addirittura il generale.Noi vediamo gli errori del suo piano di guerra, ma nonpossiamo decidere se egli fosse stato in grado di preve-derli dovendo attraversare un paese barbaro e scono-sciuto, o se un altro piano, come sarebbe stato quello diprendere la via del litorale, o d'imbarcarsi in Cartagenaod in Cartagine, lo avrebbe esposto a rischi minori.Meravigliosa ad ogni modo è per se stessa l'esecuzionedel piano, e condotta con tanta prudenza e maestria che

gio, o sia rimasto per lungo tempo in un'esplicabile inazionein Massalia.

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ra il suo esercito a 20.000 fanti – dei quali tre quintiafricani e due spagnuoli – 6000 cavalieri, parte dei qualia piedi: le lievi perdite di quest'arma, in confronto diquelle sofferte dalla fanteria, provano non solo l'eccel-lenza della cavalleria numidica, ma anche i voluti ri-guardi coi quali Annibale se ne serviva.Una marcia di 526 miglia, ossia circa trentatre tappe co-muni, la quale, sia nel percorso che alla fine, non solonon fu turbata da inconvenienti gravi e non prevedibili,ma anzi fu possibile soltanto per molte fortunate combi-nazioni, e più ancora per gli errori del nemico, sui qualicerto non s'era fatto alcun calcolo, e che ciò non pertan-to non solo costò tante perdite, ma stancò e demoralizzòl'esercito in modo che abbisognò di un lungo riposo permettersi in grado di riprender la campagna, fu un'opera-zione strategica d'un merito molto problematico e si puòdubitare se lo stesso Annibale la ritenesse riuscita.Noi però non possiamo biasimare addirittura il generale.Noi vediamo gli errori del suo piano di guerra, ma nonpossiamo decidere se egli fosse stato in grado di preve-derli dovendo attraversare un paese barbaro e scono-sciuto, o se un altro piano, come sarebbe stato quello diprendere la via del litorale, o d'imbarcarsi in Cartagenaod in Cartagine, lo avrebbe esposto a rischi minori.Meravigliosa ad ogni modo è per se stessa l'esecuzionedel piano, e condotta con tanta prudenza e maestria che

gio, o sia rimasto per lungo tempo in un'esplicabile inazionein Massalia.

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lo scopo finale, il grandioso pensiero di Amilcare dicombattere Roma in Italia, sia per favore di fortuna oper arte del capitano, era tradotto in realtà.Il progetto della calata in Italia rimane sempre una ema-nazione della mente di questo grand'uomo, e nel modoche il compito di Stein e di Scharnhorst(24) era più diffi-cile e più grandioso che non fosse quello di York e diBlücher, così il giusto tatto della tradizione storica hasempre registrato l'ultimo dei fatti che prepararono lacampagna d'Annibale in Italia, il passaggio delle Alpi,con maggiore ammirazione che non le battaglie sul Tra-simeno e nelle pianure di Canne.

24 Dopo la battaglia di Jena (1806) la Prussia era caduta molto in basso:Stein la richiamò a nuova vita con le sue riforme e Scharnhorst riorganiz-zando l'esercito le infuse nuove forze. York e Blücher adoperarono quantole idee dei primi avevano creato (V. Storia universale di GIORGIO WEBER,vol. II, pagina 405). Egualmente Annibale fu l'esecutore dell'idea di Amil-care.

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lo scopo finale, il grandioso pensiero di Amilcare dicombattere Roma in Italia, sia per favore di fortuna oper arte del capitano, era tradotto in realtà.Il progetto della calata in Italia rimane sempre una ema-nazione della mente di questo grand'uomo, e nel modoche il compito di Stein e di Scharnhorst(24) era più diffi-cile e più grandioso che non fosse quello di York e diBlücher, così il giusto tatto della tradizione storica hasempre registrato l'ultimo dei fatti che prepararono lacampagna d'Annibale in Italia, il passaggio delle Alpi,con maggiore ammirazione che non le battaglie sul Tra-simeno e nelle pianure di Canne.

24 Dopo la battaglia di Jena (1806) la Prussia era caduta molto in basso:Stein la richiamò a nuova vita con le sue riforme e Scharnhorst riorganiz-zando l'esercito le infuse nuove forze. York e Blücher adoperarono quantole idee dei primi avevano creato (V. Storia universale di GIORGIO WEBER,vol. II, pagina 405). Egualmente Annibale fu l'esecutore dell'idea di Amil-care.

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QUINTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA:

SINO ALLA BATTAGLIA DI CANNE

1. Annibale tra i Celti italici.L'apparizione dell'esercito cartaginese al di qua delleAlpi, cambiò d'un sol colpo lo stato delle cose e scon-certò il piano di guerra dei Romani.Uno dei due grandi eserciti romani era già sbarcato inSpagna e si era scontrato col nemico; non era quindi piùpossibile farlo retrocedere. L'altro, destinato per l'Africae capitanato dal console Tiberio Sempronio, era, perbuona sorte, ancora in Sicilia e in questa circostanzal'esitazione dei Romani fu vantaggiosa.Delle due squadre cartaginesi destinate per l'Italia e perla Sicilia, la prima fu dispersa da una tempesta, e alcunenavi furono prese dai Siracusani presso Messina; l'altraaveva tentato invano di sorprendere Lilibeo ed era stataquindi messa in fuga in una battaglia dinanzi a quel por-to. Tuttavia la presenza delle squadre nelle acque itali-che recava tanto disturbo che il console decise di occu-pare le piccole isole vicine alla Sicilia e di scacciarne laflotta cartaginese che operava contro l'Italia, prima dispiegare le vele per l'Africa.Egli impiegò tutta l'estate nell'espugnare Malta e nellaricerca della squadra nemica, che supponeva si trovasse

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QUINTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA:

SINO ALLA BATTAGLIA DI CANNE

1. Annibale tra i Celti italici.L'apparizione dell'esercito cartaginese al di qua delleAlpi, cambiò d'un sol colpo lo stato delle cose e scon-certò il piano di guerra dei Romani.Uno dei due grandi eserciti romani era già sbarcato inSpagna e si era scontrato col nemico; non era quindi piùpossibile farlo retrocedere. L'altro, destinato per l'Africae capitanato dal console Tiberio Sempronio, era, perbuona sorte, ancora in Sicilia e in questa circostanzal'esitazione dei Romani fu vantaggiosa.Delle due squadre cartaginesi destinate per l'Italia e perla Sicilia, la prima fu dispersa da una tempesta, e alcunenavi furono prese dai Siracusani presso Messina; l'altraaveva tentato invano di sorprendere Lilibeo ed era stataquindi messa in fuga in una battaglia dinanzi a quel por-to. Tuttavia la presenza delle squadre nelle acque itali-che recava tanto disturbo che il console decise di occu-pare le piccole isole vicine alla Sicilia e di scacciarne laflotta cartaginese che operava contro l'Italia, prima dispiegare le vele per l'Africa.Egli impiegò tutta l'estate nell'espugnare Malta e nellaricerca della squadra nemica, che supponeva si trovasse

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nelle vicinanze delle isole Lipari mentre invece avevaapprodato presso Vibo (Monteleone) e metteva a contri-buto il litorale dei Bruzi, e infine nell'informarsi intornoad un conveniente luogo di sbarco sulla costa africana.Così avvenne che l'esercito e la flotta si trovassero anco-ra a Lilibeo quando giunse l'ordine del senato di accor-rere con tutta la possibile sollecitudine alla difesa dellapatria.Mentre dunque i due grandi eserciti romani, ciascunodei quali eguagliava in numero quello d'Annibale, si tro-vavano a grande distanza dalla valle del Po, qui non siera assolutamente preparati per un attacco, benchè unesercito romano vi si trovasse in seguito all'insurrezionescoppiatavi tra i Celti prima ancora che arrivasse l'eser-cito cartaginese.La fondazione delle due prime fortezze di Piacenza e diCremona, ognuna delle quali aveva accolto 6000 coloni,e particolarmente i preparativi per la fondazione di Mo-dena nel paese dei Boi, cui si era messo mano già nellaprimavera del 536=218, aveva spinto i Boi alla solleva-zione prima ancora del tempo convenuto con Annibale,e ad essi si erano subito associati gli Insubri.I coloni, che si trovavano già accasati sul territorio mo-denese, assaliti improvvisamente, si ricoverarono nellacittà. Il pretore Lucio Manlio, che comandava a Rimini,accorse in gran fretta con l'unica sua legione per liberaregli assediati, ma, sorpreso nei boschi, dopo gravi perdite

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nelle vicinanze delle isole Lipari mentre invece avevaapprodato presso Vibo (Monteleone) e metteva a contri-buto il litorale dei Bruzi, e infine nell'informarsi intornoad un conveniente luogo di sbarco sulla costa africana.Così avvenne che l'esercito e la flotta si trovassero anco-ra a Lilibeo quando giunse l'ordine del senato di accor-rere con tutta la possibile sollecitudine alla difesa dellapatria.Mentre dunque i due grandi eserciti romani, ciascunodei quali eguagliava in numero quello d'Annibale, si tro-vavano a grande distanza dalla valle del Po, qui non siera assolutamente preparati per un attacco, benchè unesercito romano vi si trovasse in seguito all'insurrezionescoppiatavi tra i Celti prima ancora che arrivasse l'eser-cito cartaginese.La fondazione delle due prime fortezze di Piacenza e diCremona, ognuna delle quali aveva accolto 6000 coloni,e particolarmente i preparativi per la fondazione di Mo-dena nel paese dei Boi, cui si era messo mano già nellaprimavera del 536=218, aveva spinto i Boi alla solleva-zione prima ancora del tempo convenuto con Annibale,e ad essi si erano subito associati gli Insubri.I coloni, che si trovavano già accasati sul territorio mo-denese, assaliti improvvisamente, si ricoverarono nellacittà. Il pretore Lucio Manlio, che comandava a Rimini,accorse in gran fretta con l'unica sua legione per liberaregli assediati, ma, sorpreso nei boschi, dopo gravi perdite

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non gli rimase altro partito se non quello di trincerarsisu d'una collina e di rimanervi assediato fintanto cheuna seconda legione, partita da Roma sotto gli ordini delpretore Lucio Attilio, venne felicemente a liberare la cit-tà e la legione, soffocando pel momento la sollevazionegallica.Questa intempestiva sollevazione dei Boi, se da un latoaveva essenzialmente favorito l'impresa di Annibale ri-tardando la partenza di Scipione per la Spagna, fudall'altro cagione che Annibale, oltre le fortezze, nontrovasse la valle del Po interamente sguarnita. Ma il cor-po d'armata dei Romani, che si componeva di due legio-ni molto assottigliate (non contavano 20.000 uomini),bastava appena per tenere i Celti, e non poteva quindioccupare i passi delle Alpi; perciò la notizia che essierano minacciati fu conosciuta in Roma soltanto nelmese d'agosto, allorchè il console Scipione ritornò daMarsiglia senza l'esercito; ed anche allora i Romani nonse ne davano forse gran pensiero, ritenendo che la soladifficoltà del passaggio delle Alpi avrebbe mandato avuoto la folle impresa.Dunque, nel momento decisivo, non v'era sul luogo piùimportante nemmeno un avamposto dei Romani; Anni-bale ebbe in conseguenza tutto il tempo di lasciar ripo-sare il suo esercito, di prendere d'assalto, dopo un asse-dio di tre giorni, la capitale dei Taurini che gli avevachiuso le porte e d'indurre tutti i comuni liguri e celtidella valle superiore del Po ad allearsi con lui, o di vin-

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non gli rimase altro partito se non quello di trincerarsisu d'una collina e di rimanervi assediato fintanto cheuna seconda legione, partita da Roma sotto gli ordini delpretore Lucio Attilio, venne felicemente a liberare la cit-tà e la legione, soffocando pel momento la sollevazionegallica.Questa intempestiva sollevazione dei Boi, se da un latoaveva essenzialmente favorito l'impresa di Annibale ri-tardando la partenza di Scipione per la Spagna, fudall'altro cagione che Annibale, oltre le fortezze, nontrovasse la valle del Po interamente sguarnita. Ma il cor-po d'armata dei Romani, che si componeva di due legio-ni molto assottigliate (non contavano 20.000 uomini),bastava appena per tenere i Celti, e non poteva quindioccupare i passi delle Alpi; perciò la notizia che essierano minacciati fu conosciuta in Roma soltanto nelmese d'agosto, allorchè il console Scipione ritornò daMarsiglia senza l'esercito; ed anche allora i Romani nonse ne davano forse gran pensiero, ritenendo che la soladifficoltà del passaggio delle Alpi avrebbe mandato avuoto la folle impresa.Dunque, nel momento decisivo, non v'era sul luogo piùimportante nemmeno un avamposto dei Romani; Anni-bale ebbe in conseguenza tutto il tempo di lasciar ripo-sare il suo esercito, di prendere d'assalto, dopo un asse-dio di tre giorni, la capitale dei Taurini che gli avevachiuso le porte e d'indurre tutti i comuni liguri e celtidella valle superiore del Po ad allearsi con lui, o di vin-

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cerli col terrore prima che Scipione, il quale aveva as-sunto il comando nella valle padana, venisse ad oppor-glisi.Questi, cui incombeva il difficile compito di arrestarecon un esercito molto inferiore di numero e molto debo-le specialmente nella cavalleria i progressi dell'esercitonemico e di tenere compressa l'insurrezione celtica, laquale tentava dappertutto di rialzare il capo, aveva pas-sato il Po, probabilmente presso Piacenza, marciando aritroso della corrente contro il nemico, mentre questo,espugnata Torino, marciava lungo il fiume onde recareaiuto agli Insubri ed ai Boi.

2. Combattimento presso il Ticino.Nella pianura tra il Ticino e la Sesia, non lungi da Ver-celli, la cavalleria romana, avanzatasi colla fanteria leg-gera per eseguire una forte ricognizione, si scontrò collacavalleria cartaginese venuta innanzi col medesimo sco-po, l'una e l'altra condotte dai comandanti in persona.Scipione accettò l'offertogli combattimento malgrado lasuperiorità del nemico; ma la sua fanteria leggera, schie-rata avanti la fronte dei suoi cavalli, fu rotta dall'urtodella cavalleria pesante del nemico, e mentre questa at-taccava di fronte la massa della cavalleria romana, la ca-valleria leggera dei Numidi, dopo aver fatto sgombraredal campo le sbaragliate schiere della fanteria, attaccò lacavalleria romana ai fianchi ed alle spalle; questo deciseil combattimento.

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cerli col terrore prima che Scipione, il quale aveva as-sunto il comando nella valle padana, venisse ad oppor-glisi.Questi, cui incombeva il difficile compito di arrestarecon un esercito molto inferiore di numero e molto debo-le specialmente nella cavalleria i progressi dell'esercitonemico e di tenere compressa l'insurrezione celtica, laquale tentava dappertutto di rialzare il capo, aveva pas-sato il Po, probabilmente presso Piacenza, marciando aritroso della corrente contro il nemico, mentre questo,espugnata Torino, marciava lungo il fiume onde recareaiuto agli Insubri ed ai Boi.

2. Combattimento presso il Ticino.Nella pianura tra il Ticino e la Sesia, non lungi da Ver-celli, la cavalleria romana, avanzatasi colla fanteria leg-gera per eseguire una forte ricognizione, si scontrò collacavalleria cartaginese venuta innanzi col medesimo sco-po, l'una e l'altra condotte dai comandanti in persona.Scipione accettò l'offertogli combattimento malgrado lasuperiorità del nemico; ma la sua fanteria leggera, schie-rata avanti la fronte dei suoi cavalli, fu rotta dall'urtodella cavalleria pesante del nemico, e mentre questa at-taccava di fronte la massa della cavalleria romana, la ca-valleria leggera dei Numidi, dopo aver fatto sgombraredal campo le sbaragliate schiere della fanteria, attaccò lacavalleria romana ai fianchi ed alle spalle; questo deciseil combattimento.

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Le perdite dei Romani furono molto considerevoli; ilconsole stesso, che come soldato riparò agli errori delcapitano, riportò una grave ferita, e andò debitore dellavita soltanto alla devozione del figlio diciassettenne, ilquale, spintosi coraggiosamente in mezzo ai nemici, co-strinse il proprio squadrone a seguirlo e strappò loro ilpadre di mano. Scipione, accertate in questo combatti-mento le forze del nemico, si accorse dell'errore com-messo occupando con un esercito di forze inferiori unapianura col fiume alle spalle, e decise quindi di ritirarsisotto gli occhi del suo avversario all'altra sponda del Po.Ristrette che furono le operazioni sopra un campo menovasto, e perduta che ebbe il console l'illusione sulla in-vincibilità delle armi romane, ritrovò il suo talento mili-tare non comune, paralizzato momentaneamentedall'audacissima impresa del suo giovane rivale. Così,mentre Annibale si disponeva ad una battaglia campale,Scipione, con una marcia rapidamente concepita ed ese-guita con sicurezza, giunse all'altra sponda del fiumeche aveva intempestivamente abbandonata e ruppe ilponte dietro l'esercito; i 600 uomini incaricati di coprirequell'operazione si trovarono naturalmente tagliati fuorie furono fatti prigionieri. Ma essendo il corso superioredel fiume in potere di Annibale non gli si poteva impe-dire di risalirlo, di attraversarlo sopra un ponte di barchee di trovarsi in pochi giorni sull'altra sponda di fronteall'esercito romano.Questo aveva preso posizione nella pianura di contro a

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Le perdite dei Romani furono molto considerevoli; ilconsole stesso, che come soldato riparò agli errori delcapitano, riportò una grave ferita, e andò debitore dellavita soltanto alla devozione del figlio diciassettenne, ilquale, spintosi coraggiosamente in mezzo ai nemici, co-strinse il proprio squadrone a seguirlo e strappò loro ilpadre di mano. Scipione, accertate in questo combatti-mento le forze del nemico, si accorse dell'errore com-messo occupando con un esercito di forze inferiori unapianura col fiume alle spalle, e decise quindi di ritirarsisotto gli occhi del suo avversario all'altra sponda del Po.Ristrette che furono le operazioni sopra un campo menovasto, e perduta che ebbe il console l'illusione sulla in-vincibilità delle armi romane, ritrovò il suo talento mili-tare non comune, paralizzato momentaneamentedall'audacissima impresa del suo giovane rivale. Così,mentre Annibale si disponeva ad una battaglia campale,Scipione, con una marcia rapidamente concepita ed ese-guita con sicurezza, giunse all'altra sponda del fiumeche aveva intempestivamente abbandonata e ruppe ilponte dietro l'esercito; i 600 uomini incaricati di coprirequell'operazione si trovarono naturalmente tagliati fuorie furono fatti prigionieri. Ma essendo il corso superioredel fiume in potere di Annibale non gli si poteva impe-dire di risalirlo, di attraversarlo sopra un ponte di barchee di trovarsi in pochi giorni sull'altra sponda di fronteall'esercito romano.Questo aveva preso posizione nella pianura di contro a

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Piacenza; ma l'ammutinamento di una sezione di Celtinel campo romano e l'insurrezione dei Galli dilagante dinuovo tutt'attorno, obbligarono il console ad abbandona-re quella pianura e ad accamparsi sulle colline dietro laTrebbia, ciò che fu eseguito senza perdite importanti,perchè i cavalieri numidi, che l'inseguivano, perdetteroil tempo nel saccheggiare ed incendiare il campo abban-donato. In questa forte posizione, coll'ala sinistra appog-giata all'Appennino, colla destra al Po ed alla fortezza diPiacenza, colla fronte coperta dalla Trebbia abbondantedi acque in quella stagione, Scipione non poteva certa-mente salvare gli importanti magazzini di Clastidium(Casteggio), essendone tagliato fuori dall'esercito nemi-co, nè impedire i movimenti insurrezionali di tutti i can-toni dei Galli, meno quello dei Cenomani rimasto fedeleai Romani; poteva, per altro, impedire ad Annibale ogniulteriore avanzata costringendolo a porre il suo campodi fronte a quello dei Romani.La posizione presa da Scipione e la minaccia dei Ceno-mani d'invadere l'Insubria impedirono alla massa princi-pale dei Galli insorti di unirsi immediatamente al nemi-co, e diede opportunità al secondo esercito romano, chenel frattempo era arrivato da Lilibeo a Rimini, di giun-gere a Piacenza attraversando senza gravi impedimentiil paese ribelle, e di unirsi coll'esercito del Po.Scipione aveva assolto compiutamente e splendidamen-te il suo difficile compito. L'esercito romano, portato oraa quasi 40.000 uomini, eguale in numero a quello del

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Piacenza; ma l'ammutinamento di una sezione di Celtinel campo romano e l'insurrezione dei Galli dilagante dinuovo tutt'attorno, obbligarono il console ad abbandona-re quella pianura e ad accamparsi sulle colline dietro laTrebbia, ciò che fu eseguito senza perdite importanti,perchè i cavalieri numidi, che l'inseguivano, perdetteroil tempo nel saccheggiare ed incendiare il campo abban-donato. In questa forte posizione, coll'ala sinistra appog-giata all'Appennino, colla destra al Po ed alla fortezza diPiacenza, colla fronte coperta dalla Trebbia abbondantedi acque in quella stagione, Scipione non poteva certa-mente salvare gli importanti magazzini di Clastidium(Casteggio), essendone tagliato fuori dall'esercito nemi-co, nè impedire i movimenti insurrezionali di tutti i can-toni dei Galli, meno quello dei Cenomani rimasto fedeleai Romani; poteva, per altro, impedire ad Annibale ogniulteriore avanzata costringendolo a porre il suo campodi fronte a quello dei Romani.La posizione presa da Scipione e la minaccia dei Ceno-mani d'invadere l'Insubria impedirono alla massa princi-pale dei Galli insorti di unirsi immediatamente al nemi-co, e diede opportunità al secondo esercito romano, chenel frattempo era arrivato da Lilibeo a Rimini, di giun-gere a Piacenza attraversando senza gravi impedimentiil paese ribelle, e di unirsi coll'esercito del Po.Scipione aveva assolto compiutamente e splendidamen-te il suo difficile compito. L'esercito romano, portato oraa quasi 40.000 uomini, eguale in numero a quello del

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nemico, se non nella cavalleria almeno nella fanteria,non aveva altro da fare che fermarsi dove si trovava percostringere l'avversario a tentare nell'inverno il passag-gio del fiume e l'attacco del campo romano, o sospende-re la sua marcia e mettere a prova la volubilità dei Gallicoi molesti quartieri d'inverno.

3. Battaglia sulla Trebbia.Ma per evidente che ciò fosse, non era men vero checorreva ormai il mese di dicembre, e che, quantunqueprocedendo nel suddetto modo, Roma avrebbe forse ri-portata la vittoria, l'onore della stessa non sarebbe tocca-to al console Tiberio Sempronio, il quale per la ferita ri-cevuta da Scipione aveva da solo il comando supremodell'esercito, e il cui anno d'ufficio andava a compiersitra pochi mesi.Annibale conosceva l'uomo e nulla trascurò per eccitar-lo alla battaglia; i villaggi gallici rimasti fedeli ai Roma-ni furono barbaramente devastati, e quando in conse-guenza di ciò si impegnò un combattimento di cavalle-ria, Annibale concesse agli avversari l'onore della vitto-ria.Ma non tardò molto che, in una rigida e piovosa giorna-ta, senza che i Romani se l'aspettassero, si venne allabattaglia campale.Sino dai primi albori la fanteria leggera dei Romani ave-va scaramucciato colla cavalleria leggera del nemico;

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nemico, se non nella cavalleria almeno nella fanteria,non aveva altro da fare che fermarsi dove si trovava percostringere l'avversario a tentare nell'inverno il passag-gio del fiume e l'attacco del campo romano, o sospende-re la sua marcia e mettere a prova la volubilità dei Gallicoi molesti quartieri d'inverno.

3. Battaglia sulla Trebbia.Ma per evidente che ciò fosse, non era men vero checorreva ormai il mese di dicembre, e che, quantunqueprocedendo nel suddetto modo, Roma avrebbe forse ri-portata la vittoria, l'onore della stessa non sarebbe tocca-to al console Tiberio Sempronio, il quale per la ferita ri-cevuta da Scipione aveva da solo il comando supremodell'esercito, e il cui anno d'ufficio andava a compiersitra pochi mesi.Annibale conosceva l'uomo e nulla trascurò per eccitar-lo alla battaglia; i villaggi gallici rimasti fedeli ai Roma-ni furono barbaramente devastati, e quando in conse-guenza di ciò si impegnò un combattimento di cavalle-ria, Annibale concesse agli avversari l'onore della vitto-ria.Ma non tardò molto che, in una rigida e piovosa giorna-ta, senza che i Romani se l'aspettassero, si venne allabattaglia campale.Sino dai primi albori la fanteria leggera dei Romani ave-va scaramucciato colla cavalleria leggera del nemico;

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questa cedeva lentamente, e i Romani, approfittandodell'ottenuto vantaggio, la inseguivano con impeto oltrela Trebbia, oltremodo ingrossata. Tutt'a un tratto la ca-valleria si fermò; l'avanguardia dei Romani si trovò nelcampo scelto da Annibale e di fronte al suo esercitoschierato in battaglia; essa era perduta se il grossodell'esercito non passava tosto il fiume. I Romani giun-sero affamati, stanchi e bagnati, e si affrettarono ad ordi-narsi, i cavalieri come al solito sulle due ali, la fanteriain mezzo. Le truppe leggere, che da ambo le parti for-mavano l'avanguardia, iniziarono il combattimento; maquelle dei Romani ebbero ben presto scoccati contro lacavalleria quasi tutti i loro dardi e indietreggiarono; lostesso avvenne sulle ali della cavalleria, molestata difronte dagli elefanti e dai cavalieri cartaginesi, molto su-periori in numero, che l'attorniavano a diritta e ad amanca. La fanteria romana si mostrò degna della suafama; si battè in principio della battaglia con decisa su-periorità contro la fanteria nemica, e anche quando, re-spinta la cavalleria romana, quella dei Cartaginesi coisuoi armati alla leggera potè svolgere i suoi attacchicontro la fanteria, questa, se non potè avanzare, nemme-no ripiegò.Allora uscì improvvisamente da un'imboscata una schie-ra di 2000 uomini di scelta truppa cartaginese, metà apiedi e metà a cavallo, comandata da Magone, fratellominore di Annibale, la quale assalì l'esercito romanoalle spalle facendo orribile strage nelle masse compatte.Le ali e le ultime file dell'esercito romano furono rotte,

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questa cedeva lentamente, e i Romani, approfittandodell'ottenuto vantaggio, la inseguivano con impeto oltrela Trebbia, oltremodo ingrossata. Tutt'a un tratto la ca-valleria si fermò; l'avanguardia dei Romani si trovò nelcampo scelto da Annibale e di fronte al suo esercitoschierato in battaglia; essa era perduta se il grossodell'esercito non passava tosto il fiume. I Romani giun-sero affamati, stanchi e bagnati, e si affrettarono ad ordi-narsi, i cavalieri come al solito sulle due ali, la fanteriain mezzo. Le truppe leggere, che da ambo le parti for-mavano l'avanguardia, iniziarono il combattimento; maquelle dei Romani ebbero ben presto scoccati contro lacavalleria quasi tutti i loro dardi e indietreggiarono; lostesso avvenne sulle ali della cavalleria, molestata difronte dagli elefanti e dai cavalieri cartaginesi, molto su-periori in numero, che l'attorniavano a diritta e ad amanca. La fanteria romana si mostrò degna della suafama; si battè in principio della battaglia con decisa su-periorità contro la fanteria nemica, e anche quando, re-spinta la cavalleria romana, quella dei Cartaginesi coisuoi armati alla leggera potè svolgere i suoi attacchicontro la fanteria, questa, se non potè avanzare, nemme-no ripiegò.Allora uscì improvvisamente da un'imboscata una schie-ra di 2000 uomini di scelta truppa cartaginese, metà apiedi e metà a cavallo, comandata da Magone, fratellominore di Annibale, la quale assalì l'esercito romanoalle spalle facendo orribile strage nelle masse compatte.Le ali e le ultime file dell'esercito romano furono rotte,

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mentre la prima linea, che sommava a 10.000 combat-tenti, tenendosi strettamente serrata, ruppe la linea deiCartaginesi e si aprì un varco attraverso i nemici, la cuifanteria (e specialmente quella degli insorti Galli) ebbemolto a soffrire.Questo valoroso corpo di truppa, inseguito fiaccamente,giunse a Piacenza. Il resto dell'esercito fu in gran partetagliato a pezzi e distrutto dalle truppe leggere nemichee dagli elefanti nel tentare il passaggio del fiume; sol-tanto una parte della cavalleria ed alcuni distaccamentidi fanti, guadando il fiume, poterono raggiungere ilcampo senza essere inseguiti dai Cartaginesi, e arrivaro-no anch'essi a Piacenza(25).

25 Chiarissima è la relazione di Polibio intorno alla battaglia della Trebbia.Se Piacenza era situata sulla riva diritta del fiume dove esso mette nel Po,e se la battaglia fu combattuta sulla riva sinistra mentre il campo romanoera posto sulla destra – ciò che fu contestato, ma pure è incontestabile – isoldati romani dovettero passarlo tanto per arrivare a Piacenza quanto pergiungere al campo. Ma per raggiungere il campo essi avrebbero dovutopassare attraverso le sbaragliate truppe del proprio esercito e il corpo ne-mico che li aveva circondati; avrebbero dovuto poi traghettare il fiumequasi combattendo col nemico. Invece, operato il passaggio presso Piacen-za e rallentato l'inseguimento, i Romani erano lontani parecchie miglia dalcampo di battaglia e giunti nella periferia d'una fortezza. Può anche darsi,benchè non lo si possa provare, che qui fosse un ponte sulla Trebbia e chela testa del medesimo sull'altra sponda fosse difesa dal presidio di Piacen-za. È evidente, che nel primo caso il passaggio era altrettanto difficile adeseguirsi, quanto facile nel secondo, e Polibio, da soldato qual era, nondice, con ragione, del corpo dei 10.000, altro che giunse a Piacenza in co-lonne serrate (3, 74, 6) senza accennare al passaggio del fiume che era or-mai cosa indifferente. Negli ultimi tempi fu da molti fatto rilevare quantosia stravagante la narrazione di Livio, il quale, in opposizione a Polibio,vuole il campo cartaginese sulla destra e quello dei Romani sulla spondasinistra della Trebbia. Osserveremo soltanto che ora fu, col mezzo di iscri-

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mentre la prima linea, che sommava a 10.000 combat-tenti, tenendosi strettamente serrata, ruppe la linea deiCartaginesi e si aprì un varco attraverso i nemici, la cuifanteria (e specialmente quella degli insorti Galli) ebbemolto a soffrire.Questo valoroso corpo di truppa, inseguito fiaccamente,giunse a Piacenza. Il resto dell'esercito fu in gran partetagliato a pezzi e distrutto dalle truppe leggere nemichee dagli elefanti nel tentare il passaggio del fiume; sol-tanto una parte della cavalleria ed alcuni distaccamentidi fanti, guadando il fiume, poterono raggiungere ilcampo senza essere inseguiti dai Cartaginesi, e arrivaro-no anch'essi a Piacenza(25).

25 Chiarissima è la relazione di Polibio intorno alla battaglia della Trebbia.Se Piacenza era situata sulla riva diritta del fiume dove esso mette nel Po,e se la battaglia fu combattuta sulla riva sinistra mentre il campo romanoera posto sulla destra – ciò che fu contestato, ma pure è incontestabile – isoldati romani dovettero passarlo tanto per arrivare a Piacenza quanto pergiungere al campo. Ma per raggiungere il campo essi avrebbero dovutopassare attraverso le sbaragliate truppe del proprio esercito e il corpo ne-mico che li aveva circondati; avrebbero dovuto poi traghettare il fiumequasi combattendo col nemico. Invece, operato il passaggio presso Piacen-za e rallentato l'inseguimento, i Romani erano lontani parecchie miglia dalcampo di battaglia e giunti nella periferia d'una fortezza. Può anche darsi,benchè non lo si possa provare, che qui fosse un ponte sulla Trebbia e chela testa del medesimo sull'altra sponda fosse difesa dal presidio di Piacen-za. È evidente, che nel primo caso il passaggio era altrettanto difficile adeseguirsi, quanto facile nel secondo, e Polibio, da soldato qual era, nondice, con ragione, del corpo dei 10.000, altro che giunse a Piacenza in co-lonne serrate (3, 74, 6) senza accennare al passaggio del fiume che era or-mai cosa indifferente. Negli ultimi tempi fu da molti fatto rilevare quantosia stravagante la narrazione di Livio, il quale, in opposizione a Polibio,vuole il campo cartaginese sulla destra e quello dei Romani sulla spondasinistra della Trebbia. Osserveremo soltanto che ora fu, col mezzo di iscri-

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Poche battaglie fecero tanto onore ai soldati romaniquanto quella combattuta sulla Trebbia, e poche sono altempo stesso quelle in cui toccò più grave accusa al ca-pitano che le comandò; tuttavia chi vorrà esser giudiceimparziale non dovrà dimenticare che la legge, la qualedeterminava che il supremo comando dovesse cessare inun dato giorno, era contraria al buon andamento dellaguerra, e che dai pruni non si raccolgono fichi.Anche ai vincitori costò assai cara la vittoria. Sebbene leperdite nel combattimento fossero toccate particolar-mente agli insorti celti, tuttavia perirono posteriormentein gran copia anche i vecchi soldati d'Annibale per lemalattie cagionate dalla rigida e umida giornata, e soc-combettero pure tutti gli elefanti meno uno.Le conseguenze di questa prima vittoria riportatadall'esercito invasore fu che l'insurrezione nazionale siestese e si organizzò senza ostacolo in tutto il paese deiCelti.

4. Annibale padrone dell'alta Italia.I resti dell'esercito romano del Po ripararono nelle piaz-ze forti di Piacenza e di Cremona, dove, separate com-pletamente da Roma, furono costrette a procacciarsi iviveri per la via del fiume. E poco mancò che il consoleTiberio Sempronio, il quale, accompagnato da poca ca-valleria, recavasi a Roma per le elezioni, non fosse fatto

zioni (ORELLI-HENZEN 5117), stabilita la posizione di Clastidium che è pres-so l'odierna Casteggio.

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Poche battaglie fecero tanto onore ai soldati romaniquanto quella combattuta sulla Trebbia, e poche sono altempo stesso quelle in cui toccò più grave accusa al ca-pitano che le comandò; tuttavia chi vorrà esser giudiceimparziale non dovrà dimenticare che la legge, la qualedeterminava che il supremo comando dovesse cessare inun dato giorno, era contraria al buon andamento dellaguerra, e che dai pruni non si raccolgono fichi.Anche ai vincitori costò assai cara la vittoria. Sebbene leperdite nel combattimento fossero toccate particolar-mente agli insorti celti, tuttavia perirono posteriormentein gran copia anche i vecchi soldati d'Annibale per lemalattie cagionate dalla rigida e umida giornata, e soc-combettero pure tutti gli elefanti meno uno.Le conseguenze di questa prima vittoria riportatadall'esercito invasore fu che l'insurrezione nazionale siestese e si organizzò senza ostacolo in tutto il paese deiCelti.

4. Annibale padrone dell'alta Italia.I resti dell'esercito romano del Po ripararono nelle piaz-ze forti di Piacenza e di Cremona, dove, separate com-pletamente da Roma, furono costrette a procacciarsi iviveri per la via del fiume. E poco mancò che il consoleTiberio Sempronio, il quale, accompagnato da poca ca-valleria, recavasi a Roma per le elezioni, non fosse fatto

zioni (ORELLI-HENZEN 5117), stabilita la posizione di Clastidium che è pres-so l'odierna Casteggio.

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prigioniero.Non volendo Annibale porre a repentaglio la salute deisuoi soldati con ulteriori marce nella rigida stagione, siattendò durante l'inverno dove trovavasi, e si accontentòdi molestare il nemico attaccandolo nel porto fluviale diPiacenza ed in altre posizioni di poco conto, ben cono-scendo che un serio tentativo contro le fortezze nonavrebbe avuto nessun successo.Principale occupazione di Annibale era di organizzarel'insurrezione gallica; si vuole che 60.000 fanti e 4000cavalieri celti si siano uniti al suo esercito.Per la campagna dell'anno 537=217 non si fecero aRoma sforzi straordinari; il senato, non ostante la perdu-ta battaglia, non considerava ancora, in nessun modo,seriamente pericolosa la situazione, ed a ragione.Oltre i presidii delle coste, che furono spediti in Sarde-gna, in Sicilia e a Taranto, e i rinforzi mandati in Spa-gna, i due nuovi consoli Gaio Flaminio e Gneo Servilioottennero appena quel numero di armati che bastasse acompletare le quattro legioni; soltanto la cavalleria ven-ne aumentata.Essi dovevano coprire i confini settentrionali, e preseroquindi posizione sulle due strade militari che da Romaconducevano verso settentrione, e di cui l'occidentalemetteva allora capo in Arezzo e l'orientale in Rimini;quella fu occupata da Gaio Flaminio, questa da GneoServilio.

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prigioniero.Non volendo Annibale porre a repentaglio la salute deisuoi soldati con ulteriori marce nella rigida stagione, siattendò durante l'inverno dove trovavasi, e si accontentòdi molestare il nemico attaccandolo nel porto fluviale diPiacenza ed in altre posizioni di poco conto, ben cono-scendo che un serio tentativo contro le fortezze nonavrebbe avuto nessun successo.Principale occupazione di Annibale era di organizzarel'insurrezione gallica; si vuole che 60.000 fanti e 4000cavalieri celti si siano uniti al suo esercito.Per la campagna dell'anno 537=217 non si fecero aRoma sforzi straordinari; il senato, non ostante la perdu-ta battaglia, non considerava ancora, in nessun modo,seriamente pericolosa la situazione, ed a ragione.Oltre i presidii delle coste, che furono spediti in Sarde-gna, in Sicilia e a Taranto, e i rinforzi mandati in Spa-gna, i due nuovi consoli Gaio Flaminio e Gneo Servilioottennero appena quel numero di armati che bastasse acompletare le quattro legioni; soltanto la cavalleria ven-ne aumentata.Essi dovevano coprire i confini settentrionali, e preseroquindi posizione sulle due strade militari che da Romaconducevano verso settentrione, e di cui l'occidentalemetteva allora capo in Arezzo e l'orientale in Rimini;quella fu occupata da Gaio Flaminio, questa da GneoServilio.

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Essi chiamarono a sè, probabilmente per la via del fiu-me, i presidii delle fortezze poste sul Po, e attesero il ri-torno della migliore stagione per occupare, mantenendo-si sulla difensiva, i passi dell'Appennino, per passare poiall'offensiva, scendere nella valle del Po e forse con-giungersi presso Piacenza.Senonchè Annibale non aveva affatto l'intenzione di di-fendere la valle del Po. Egli conosceva Roma meglioforse che non gli stessi Romani, e sapeva benissimo diessere decisamente più debole di loro e di esserlo mal-grado la splendida vittoria riportata sulla Trebbia; eglisapeva pure che la mèta dei suoi pensieri, l'umiliazionedi Roma, data la tenace fierezza dei Romani, non si po-teva raggiungere nè con lo spavento nè colla sorpresa,ma unicamente col completo soggiogamento della città.Era notorio quanto la federazione italica, sia per soliditàpolitica, quanto per risorse militari, fosse superiore a lui,che non riceveva dalla patria che incerti e irregolari sus-sidi, e in Italia non poteva fare assegnamento che sulpopolo celtico oscillante e capriccioso; e quanto il fantecartaginese fosse nella tattica inferiore al legionario,malgrado tutte le cure impiegate da Annibale, lo avevapienamente dimostrato la difesa di Scipione e la brillan-te ritirata della fanteria dopo la sconfitta toccata sullaTrebbia.Da questa persuasione nacquero i due pensieri fonda-mentali che regolarono costantemente il modo di opera-re di Annibale in Italia: combattere cambiando conti-

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Essi chiamarono a sè, probabilmente per la via del fiu-me, i presidii delle fortezze poste sul Po, e attesero il ri-torno della migliore stagione per occupare, mantenendo-si sulla difensiva, i passi dell'Appennino, per passare poiall'offensiva, scendere nella valle del Po e forse con-giungersi presso Piacenza.Senonchè Annibale non aveva affatto l'intenzione di di-fendere la valle del Po. Egli conosceva Roma meglioforse che non gli stessi Romani, e sapeva benissimo diessere decisamente più debole di loro e di esserlo mal-grado la splendida vittoria riportata sulla Trebbia; eglisapeva pure che la mèta dei suoi pensieri, l'umiliazionedi Roma, data la tenace fierezza dei Romani, non si po-teva raggiungere nè con lo spavento nè colla sorpresa,ma unicamente col completo soggiogamento della città.Era notorio quanto la federazione italica, sia per soliditàpolitica, quanto per risorse militari, fosse superiore a lui,che non riceveva dalla patria che incerti e irregolari sus-sidi, e in Italia non poteva fare assegnamento che sulpopolo celtico oscillante e capriccioso; e quanto il fantecartaginese fosse nella tattica inferiore al legionario,malgrado tutte le cure impiegate da Annibale, lo avevapienamente dimostrato la difesa di Scipione e la brillan-te ritirata della fanteria dopo la sconfitta toccata sullaTrebbia.Da questa persuasione nacquero i due pensieri fonda-mentali che regolarono costantemente il modo di opera-re di Annibale in Italia: combattere cambiando conti-

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nuamente il piano d'operazioni, nonchè il teatro dellaguerra, conducendo questa piuttosto come un avventu-riero, e attendere il risultato non dai successi militari,ma dai politici, cioè dalla successiva dissoluzione e delfinale scioglimento della federazione italica.Questo modo di fare la guerra era necessario, perchè lasola cosa che Annibale poteva opporre contro tantisvantaggi, cioè il suo genio militare, acquistava tutta lasua importanza soltanto se egli poteva sviare continua-mente i suoi avversari col mezzo di impensate combina-zioni; se la guerra sostava, egli era immediatamente per-duto.Questo sistema gli era imposto dalla sana politica, per-chè egli, il formidabile vincitore di battaglie, ben com-prendeva che vinceva sempre i generali e non la città, eche dopo ogni nuova battaglia i Romani rimanevano su-periori ai Cartaginesi come egli rimaneva superiore aigenerali romani.Che Annibale non si sia fatto illusione su questo rappor-to, nemmeno quando era al vertice della fortuna, destamaggior meraviglia di quello che possono destare le suepiù famose battaglie.Per questo motivo, e non per le preghiere dei Galli di ri-sparmiare il loro paese, alle quali Annibale non avrebbedato ascolto, egli abbandonò allora la nuova base dioperazioni trasportando il teatro della guerra nell'Italiapropriamente detta.

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nuamente il piano d'operazioni, nonchè il teatro dellaguerra, conducendo questa piuttosto come un avventu-riero, e attendere il risultato non dai successi militari,ma dai politici, cioè dalla successiva dissoluzione e delfinale scioglimento della federazione italica.Questo modo di fare la guerra era necessario, perchè lasola cosa che Annibale poteva opporre contro tantisvantaggi, cioè il suo genio militare, acquistava tutta lasua importanza soltanto se egli poteva sviare continua-mente i suoi avversari col mezzo di impensate combina-zioni; se la guerra sostava, egli era immediatamente per-duto.Questo sistema gli era imposto dalla sana politica, per-chè egli, il formidabile vincitore di battaglie, ben com-prendeva che vinceva sempre i generali e non la città, eche dopo ogni nuova battaglia i Romani rimanevano su-periori ai Cartaginesi come egli rimaneva superiore aigenerali romani.Che Annibale non si sia fatto illusione su questo rappor-to, nemmeno quando era al vertice della fortuna, destamaggior meraviglia di quello che possono destare le suepiù famose battaglie.Per questo motivo, e non per le preghiere dei Galli di ri-sparmiare il loro paese, alle quali Annibale non avrebbedato ascolto, egli abbandonò allora la nuova base dioperazioni trasportando il teatro della guerra nell'Italiapropriamente detta.

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Prima di farlo ordinò che gli venissero presentati tutti iprigionieri. I Romani furono separati dagli altri e incate-nati come gli schiavi.Che Annibale facesse perire tutti i Romani atti alle armiche gli capitavano nelle mani, è senza dubbio una noti-zia per lo meno molto esagerata. Invece i federati italicifurono lasciati liberi senza riscatto, affinchè raccontas-sero nei loro paesi, che Annibale non faceva la guerraall'Italia ma a Roma, che egli assicurava ad ogni comu-ne italico l'antica indipendenza e gli antichi confini, eche il liberatore seguiva da vicino i liberati come salva-tore e vindice.Passato che fu l'inverno, egli lasciò la valle padana peraprirsi un varco attraverso le difficili gole dell'Appenni-no.Gaio Flaminio, alla testa dell'esercito d'Etruria, si tenevatuttora presso Arezzo pronto a portarsi a Lucca appenala stagione lo permettesse, per coprire la valle dell'Arnoe occupare i passi dell'Appennino.Ma Annibale lo prevenne, ed effettuò il passaggio senzagravi difficoltà, tenendosi più che poteva ad occidente,vale a dire più che poteva distante dal nemico; senonchèle terre paludose tra il Serchio e l'Arno erano talmentesommerse per lo scioglimento delle nevi e per le pioggedi primavera, che l'esercito dovette marciare quattrogiorni nell'acqua non trovando, pel necessario riposodella notte, altro luogo asciutto fuorchè lo spazio che of-

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Prima di farlo ordinò che gli venissero presentati tutti iprigionieri. I Romani furono separati dagli altri e incate-nati come gli schiavi.Che Annibale facesse perire tutti i Romani atti alle armiche gli capitavano nelle mani, è senza dubbio una noti-zia per lo meno molto esagerata. Invece i federati italicifurono lasciati liberi senza riscatto, affinchè raccontas-sero nei loro paesi, che Annibale non faceva la guerraall'Italia ma a Roma, che egli assicurava ad ogni comu-ne italico l'antica indipendenza e gli antichi confini, eche il liberatore seguiva da vicino i liberati come salva-tore e vindice.Passato che fu l'inverno, egli lasciò la valle padana peraprirsi un varco attraverso le difficili gole dell'Appenni-no.Gaio Flaminio, alla testa dell'esercito d'Etruria, si tenevatuttora presso Arezzo pronto a portarsi a Lucca appenala stagione lo permettesse, per coprire la valle dell'Arnoe occupare i passi dell'Appennino.Ma Annibale lo prevenne, ed effettuò il passaggio senzagravi difficoltà, tenendosi più che poteva ad occidente,vale a dire più che poteva distante dal nemico; senonchèle terre paludose tra il Serchio e l'Arno erano talmentesommerse per lo scioglimento delle nevi e per le pioggedi primavera, che l'esercito dovette marciare quattrogiorni nell'acqua non trovando, pel necessario riposodella notte, altro luogo asciutto fuorchè lo spazio che of-

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frivano i mucchi di bagagli e le bestie cadute.La truppa soffrì moltissimo, particolarmente la fanteriagallica, che seguiva la cartaginese sulla via resa imprati-cabile; essa mormorava ad alta voce e sarebbe disertatain massa se la cavalleria cartaginese, comandata da Ma-gone, che formava la retroguardia, non glie lo avesseimpedito. I cavalli, tra i quali si manifestò una malattiacontagiosa nelle unghie, perivano a torme; altre malattiecontagiose decimavano gli uomini; Annibale stesso sof-frì di oftalmia in modo da perdere un occhio. Ma lamèta era raggiunta.

5. Battaglia del Trasimeno.Il generale cartaginese aveva posto il campo presso Fie-sole, mentre Gaio Flaminio stava ancora presso Arezzo,aspettando che le strade divenissero praticabili per sbar-rarle. Dopo che la linea di difesa dei Romani fu così ag-girata, il console, che sarebbe forse stato abbastanza for-te per difendere i passi dell'Appennino, ma che certa-mente non era in grado di misurarsi con Annibale incampo aperto, non poteva far nulla di meglio che atten-dere l'arrivo del secondo esercito, divenuto ormai inutilepresso Rimini.Senonchè egli la pensava diversamente. Come capopar-te politico, salito ai supremi onori della repubblica gra-zie agli sforzi fatti per limitare il potere del senato, eraesacerbato contro il governo per gli intrighi mossiglidall'aristocrazia durante i suoi consolati e dalla ben giu-

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frivano i mucchi di bagagli e le bestie cadute.La truppa soffrì moltissimo, particolarmente la fanteriagallica, che seguiva la cartaginese sulla via resa imprati-cabile; essa mormorava ad alta voce e sarebbe disertatain massa se la cavalleria cartaginese, comandata da Ma-gone, che formava la retroguardia, non glie lo avesseimpedito. I cavalli, tra i quali si manifestò una malattiacontagiosa nelle unghie, perivano a torme; altre malattiecontagiose decimavano gli uomini; Annibale stesso sof-frì di oftalmia in modo da perdere un occhio. Ma lamèta era raggiunta.

5. Battaglia del Trasimeno.Il generale cartaginese aveva posto il campo presso Fie-sole, mentre Gaio Flaminio stava ancora presso Arezzo,aspettando che le strade divenissero praticabili per sbar-rarle. Dopo che la linea di difesa dei Romani fu così ag-girata, il console, che sarebbe forse stato abbastanza for-te per difendere i passi dell'Appennino, ma che certa-mente non era in grado di misurarsi con Annibale incampo aperto, non poteva far nulla di meglio che atten-dere l'arrivo del secondo esercito, divenuto ormai inutilepresso Rimini.Senonchè egli la pensava diversamente. Come capopar-te politico, salito ai supremi onori della repubblica gra-zie agli sforzi fatti per limitare il potere del senato, eraesacerbato contro il governo per gli intrighi mossiglidall'aristocrazia durante i suoi consolati e dalla ben giu-

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stificata opposizione fatta alle sue faziose intemperanzenel volersi opporre arrogantemente alle usanze e ai co-stumi antichi. Nello stesso tempo, inebriato dal ciecoamore della plebe non meno che da un odio profondocontro il partito dei signori, era convintissimo di essereun genio nell'arte della guerra.La sua campagna contro gli Insubri (531=223), che perun giudice imparziale provava soltanto che i buoni sol-dati riparano sovente agli errori dei cattivi generali, eraper lui e per i suoi partigiani una prova indiscutibile che,per farla in breve tempo finita con Annibale, non occor-reva altro che porre Gaio Flaminio alla testa dell'eserci-to.Questa opinione gli aveva procurato il secondo consola-to, e queste speranze avevano attirato nel suo campo unatal massa di gente inerme e avida di bottino, da superarein numero, secondo i più seri storici, i legionari.Annibale fondò in parte, su questa notizia, il suo piano.Lungi dall'attaccarlo, egli fece sfilare il suo esercito nonmolto distante da lui, mentre dalla numerosa cavalleria edai Celti, che erano espertissimi nel saccheggiare, face-va mettere a sacco tutto il circostante paese.I lamenti e l'irritazione della moltitudine che doveva la-sciarsi spogliare sotto gli occhi di quell'eroe che avevapromesso di arricchirla; le dimostrazioni del nemico,dalle quali traspariva che non lo credeva autorizzato enemmeno risoluto ad intraprendere qualche cosa contro

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stificata opposizione fatta alle sue faziose intemperanzenel volersi opporre arrogantemente alle usanze e ai co-stumi antichi. Nello stesso tempo, inebriato dal ciecoamore della plebe non meno che da un odio profondocontro il partito dei signori, era convintissimo di essereun genio nell'arte della guerra.La sua campagna contro gli Insubri (531=223), che perun giudice imparziale provava soltanto che i buoni sol-dati riparano sovente agli errori dei cattivi generali, eraper lui e per i suoi partigiani una prova indiscutibile che,per farla in breve tempo finita con Annibale, non occor-reva altro che porre Gaio Flaminio alla testa dell'eserci-to.Questa opinione gli aveva procurato il secondo consola-to, e queste speranze avevano attirato nel suo campo unatal massa di gente inerme e avida di bottino, da superarein numero, secondo i più seri storici, i legionari.Annibale fondò in parte, su questa notizia, il suo piano.Lungi dall'attaccarlo, egli fece sfilare il suo esercito nonmolto distante da lui, mentre dalla numerosa cavalleria edai Celti, che erano espertissimi nel saccheggiare, face-va mettere a sacco tutto il circostante paese.I lamenti e l'irritazione della moltitudine che doveva la-sciarsi spogliare sotto gli occhi di quell'eroe che avevapromesso di arricchirla; le dimostrazioni del nemico,dalle quali traspariva che non lo credeva autorizzato enemmeno risoluto ad intraprendere qualche cosa contro

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di lui prima dell'arrivo del suo collega, dovevano spin-gere un tal uomo a sviluppare il suo genio strategico e adare una solenne lezione allo sventato e borioso nemico.E giammai altro piano è riuscito più compiutamente diquesto di Annibale.Il console seguì frettolosamente i passi del nemico, ilquale lentamente attraversava l'ubertosa valle di Chiana,passando davanti ad Arezzo e recandosi a Perugia. Loraggiunse nelle vicinanze di Cortona, dove Annibale, in-formato esattamente della marcia del suo avversario,aveva avuto tutto il tempo di scegliere il campo di batta-glia in un paese angusto tra due notevoli alture, la cuiuscita era chiusa da un alto colle e aveva all'entrata illago Trasimeno.Egli chiuse l'uscita col fiore della sua fanteria; collocò letruppe leggere e la cavalleria dai lati, al coperto. I Ro-mani, senza sospetto, s'inoltravano in colonne nel passotrovato libero; la densa nebbia mattutina nascondevaloro la posizione del nemico. Appena la testa del loroesercito fu vicina al colle, Annibale diede il segnale del-la battaglia. La cavalleria, avanzandosi dietro le colline,chiuse l'ingresso del passo, e sui lati, a destra ed a sini-stra, le nebbie che svanivano, mostravano da per tuttosoldati cartaginesi.Non fu questa una battaglia, ma una rotta. Le truppe ro-mane, che non erano ancora entrate nel passo fatale, fu-rono dalla cavalleria rovesciate nel lago; il corpo

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di lui prima dell'arrivo del suo collega, dovevano spin-gere un tal uomo a sviluppare il suo genio strategico e adare una solenne lezione allo sventato e borioso nemico.E giammai altro piano è riuscito più compiutamente diquesto di Annibale.Il console seguì frettolosamente i passi del nemico, ilquale lentamente attraversava l'ubertosa valle di Chiana,passando davanti ad Arezzo e recandosi a Perugia. Loraggiunse nelle vicinanze di Cortona, dove Annibale, in-formato esattamente della marcia del suo avversario,aveva avuto tutto il tempo di scegliere il campo di batta-glia in un paese angusto tra due notevoli alture, la cuiuscita era chiusa da un alto colle e aveva all'entrata illago Trasimeno.Egli chiuse l'uscita col fiore della sua fanteria; collocò letruppe leggere e la cavalleria dai lati, al coperto. I Ro-mani, senza sospetto, s'inoltravano in colonne nel passotrovato libero; la densa nebbia mattutina nascondevaloro la posizione del nemico. Appena la testa del loroesercito fu vicina al colle, Annibale diede il segnale del-la battaglia. La cavalleria, avanzandosi dietro le colline,chiuse l'ingresso del passo, e sui lati, a destra ed a sini-stra, le nebbie che svanivano, mostravano da per tuttosoldati cartaginesi.Non fu questa una battaglia, ma una rotta. Le truppe ro-mane, che non erano ancora entrate nel passo fatale, fu-rono dalla cavalleria rovesciate nel lago; il corpo

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d'armata principale, quasi senza fare resistenza, venneinteramente distrutto nel passo stesso, e la massima par-te, compreso lo stesso console, fatti a pezzi durante lamarcia. Seimila fanti che formavano la testa della colon-na si aprirono un varco attraverso la fanteria nemica,dando così una novella prova della irresistibile forzadelle legioni; ma, tagliati fuori e senza notizie della sor-te toccata al grosso dell'esercito, marciarono alla cieca efurono il giorno seguente circondati da un corpo di ca-valleria cartaginese su d'una collina che avevano occu-pato, e, non avendo Annibale sanzionata la capitolazio-ne che loro prometteva libera la ritirata, furono trattatiquali prigionieri di guerra.I Romani ebbero 15.000 morti ed altrettanti prigionieri,che è quanto dire l'esercito distrutto. Le lievi perdite deiCartaginesi, che ascendevano a 1500 uomini, furono su-bìte anche questa volta specialmente dai Galli(26). E,come se ciò non bastasse, la cavalleria dell'esercito diRimini – 4000 uomini comandati da Gaio Centennio –che Gneo Servilio mandava intanto in aiuto al suo colle-ga seguendola egli stesso con tutto comodo, fu ugual-mente circondata dall'esercito cartaginese e in parte ta-gliata a pezzi, in parte fatta prigioniera.Tutta l'Etruria era perduta, ed Annibale poteva marciare

26 La data della battaglia, 23 giugno, secondo il calendario non riformato,deve combinare press'a poco coll'aprile secondo il calendario riformato,poichè Quinto Fabio rassegnò la sua dittatura dopo sei mesi, alla metàdell'autunno (LIV. 23, 31, 7; 32, 1), e l'assunse quindi in principio di mag-gio. La confusione del calendario di Roma era grande sino da quel tempo.

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d'armata principale, quasi senza fare resistenza, venneinteramente distrutto nel passo stesso, e la massima par-te, compreso lo stesso console, fatti a pezzi durante lamarcia. Seimila fanti che formavano la testa della colon-na si aprirono un varco attraverso la fanteria nemica,dando così una novella prova della irresistibile forzadelle legioni; ma, tagliati fuori e senza notizie della sor-te toccata al grosso dell'esercito, marciarono alla cieca efurono il giorno seguente circondati da un corpo di ca-valleria cartaginese su d'una collina che avevano occu-pato, e, non avendo Annibale sanzionata la capitolazio-ne che loro prometteva libera la ritirata, furono trattatiquali prigionieri di guerra.I Romani ebbero 15.000 morti ed altrettanti prigionieri,che è quanto dire l'esercito distrutto. Le lievi perdite deiCartaginesi, che ascendevano a 1500 uomini, furono su-bìte anche questa volta specialmente dai Galli(26). E,come se ciò non bastasse, la cavalleria dell'esercito diRimini – 4000 uomini comandati da Gaio Centennio –che Gneo Servilio mandava intanto in aiuto al suo colle-ga seguendola egli stesso con tutto comodo, fu ugual-mente circondata dall'esercito cartaginese e in parte ta-gliata a pezzi, in parte fatta prigioniera.Tutta l'Etruria era perduta, ed Annibale poteva marciare

26 La data della battaglia, 23 giugno, secondo il calendario non riformato,deve combinare press'a poco coll'aprile secondo il calendario riformato,poichè Quinto Fabio rassegnò la sua dittatura dopo sei mesi, alla metàdell'autunno (LIV. 23, 31, 7; 32, 1), e l'assunse quindi in principio di mag-gio. La confusione del calendario di Roma era grande sino da quel tempo.

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sopra Roma senza trovare alcun impedimento.A Roma si era preparati al peggio; si ruppero i ponti sulTevere, e fu nominato dittatore Quinto Fabio Massimo,perchè facesse preparare le mura e dirigesse la difesa, alquale effetto fu formato un corpo di riserva. Furonocontemporaneamente chiamate sotto le armi due nuovelegioni per rimpiazzare quelle distrutte, e fu armata laflotta che in caso di assedio poteva divenire importante.

6. Annibale sulle coste orientali.Ma Annibale vedeva più in là di Pirro. Egli non marciòsopra Roma e nemmeno contro Gneo Servilio, il qualeda valente generale avrebbe anche saputo mantenere il-leso il suo esercito, e, facendo assegnamento sulle for-tezze lungo la via settentrionale, forse avrebbe tenuto te-sta al suo avversario.Senonchè avvenne un'altra volta una cosa inaspettata.Lasciando la fortezza di Spoleto, dacchè non aveva po-tuto occuparla per sorpresa, Annibale prese la viadell'Umbria, devastò terribilmente il territorio piceno,tutto sparso di ville e cascine romane, e si fermò sullesponde dell'Adriatico.Tanto gli uomini quanto i cavalli del suo esercito si ri-sentivano ancora delle fatiche sofferte nella campagnadi primavera; quivi, adunque, fece una più lunga sostaper lasciar riposare il suo esercito nell'ameno paese du-rante la stagione propizia e per riorganizzare alla roma-

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sopra Roma senza trovare alcun impedimento.A Roma si era preparati al peggio; si ruppero i ponti sulTevere, e fu nominato dittatore Quinto Fabio Massimo,perchè facesse preparare le mura e dirigesse la difesa, alquale effetto fu formato un corpo di riserva. Furonocontemporaneamente chiamate sotto le armi due nuovelegioni per rimpiazzare quelle distrutte, e fu armata laflotta che in caso di assedio poteva divenire importante.

6. Annibale sulle coste orientali.Ma Annibale vedeva più in là di Pirro. Egli non marciòsopra Roma e nemmeno contro Gneo Servilio, il qualeda valente generale avrebbe anche saputo mantenere il-leso il suo esercito, e, facendo assegnamento sulle for-tezze lungo la via settentrionale, forse avrebbe tenuto te-sta al suo avversario.Senonchè avvenne un'altra volta una cosa inaspettata.Lasciando la fortezza di Spoleto, dacchè non aveva po-tuto occuparla per sorpresa, Annibale prese la viadell'Umbria, devastò terribilmente il territorio piceno,tutto sparso di ville e cascine romane, e si fermò sullesponde dell'Adriatico.Tanto gli uomini quanto i cavalli del suo esercito si ri-sentivano ancora delle fatiche sofferte nella campagnadi primavera; quivi, adunque, fece una più lunga sostaper lasciar riposare il suo esercito nell'ameno paese du-rante la stagione propizia e per riorganizzare alla roma-

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na la fanteria libica, utilizzando a questo scopo il riccobottino delle armi romane.Da qui Annibale riprese la corrispondenza così lunga-mente interrotta colla sua patria, trasmettendo a Cartagi-ne, per via di mare, le notizie delle sue vittorie.Quando il suo esercito fu riposato ed esercitato nel ma-neggio delle nuove armi, Annibale levò il campo, e, se-guendo la via lungo il litorale, si portò verso l'Italia me-ridionale.Egli aveva calcolato giustamente nel decidere il cambia-mento di metodo nella sua fanteria; la sorpresa poi degliavversari, che si aspettavano un attacco contro la capita-le, gli lasciò almeno quattro settimane di tempo per rea-lizzare, nel cuore del paese nemico e con un esercito re-lativamente tuttora scarso, l'audace esperimento di cam-biare completamente il suo sistema militare, contrappo-nendo legioni africane alle invincibili legioni italiche.Ma la sua speranza che la federazione italica comincias-se a disgregarsi non si realizzò. Meno che mai si potevafare assegnamento sugli Etruschi, i quali avevano con-dotto le ultime guerre d'indipendenza precipuamentecon mercenari galli. L'anima della federazione, segnata-mente sotto l'aspetto militare, erano, oltre i comuni lati-ni, quelli dei Sabelli, ed a ragione Annibale si era avvi-cinato a questi. Ma le città gli chiusero le porte unadopo l'altra; nemmeno un comune italico fece lega coiCartaginesi.

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na la fanteria libica, utilizzando a questo scopo il riccobottino delle armi romane.Da qui Annibale riprese la corrispondenza così lunga-mente interrotta colla sua patria, trasmettendo a Cartagi-ne, per via di mare, le notizie delle sue vittorie.Quando il suo esercito fu riposato ed esercitato nel ma-neggio delle nuove armi, Annibale levò il campo, e, se-guendo la via lungo il litorale, si portò verso l'Italia me-ridionale.Egli aveva calcolato giustamente nel decidere il cambia-mento di metodo nella sua fanteria; la sorpresa poi degliavversari, che si aspettavano un attacco contro la capita-le, gli lasciò almeno quattro settimane di tempo per rea-lizzare, nel cuore del paese nemico e con un esercito re-lativamente tuttora scarso, l'audace esperimento di cam-biare completamente il suo sistema militare, contrappo-nendo legioni africane alle invincibili legioni italiche.Ma la sua speranza che la federazione italica comincias-se a disgregarsi non si realizzò. Meno che mai si potevafare assegnamento sugli Etruschi, i quali avevano con-dotto le ultime guerre d'indipendenza precipuamentecon mercenari galli. L'anima della federazione, segnata-mente sotto l'aspetto militare, erano, oltre i comuni lati-ni, quelli dei Sabelli, ed a ragione Annibale si era avvi-cinato a questi. Ma le città gli chiusero le porte unadopo l'altra; nemmeno un comune italico fece lega coiCartaginesi.

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Questo non era per Roma soltanto un gran vantaggio,era tutto per essa; nondimeno nella capitale ben si com-prendeva quale imprudenza sarebbe stata mettere ad unatale prova la fedeltà degli alleati senza avere in campoun esercito romano.

7. Quinto Fabio.Il dittatore Fabio raccolse le due legioni di riserva reclu-tate a Roma e l'esercito di Rimini, e quando Annibalepassò nelle vicinanze della fortezza romana di Lucera,marciando verso Arpi, scorse presso Eca, al suo fiancodestro, le insegne dell'esercito romano.Ma il comandante romano operò diversamente dai suoipredecessori. Fabio era un uomo di età avanzata, dotatod'una riflessione e d'una fermezza che non pochi inter-pretavano per esitazione o ostinazione; zelante ammira-tore del buon tempo antico, dell'onnipotenza politica delsenato e dell'autorità consolare, egli attendeva la salutedello stato, oltre che dai sacrifizi e dalle preghiere, dallaguerra fatta metodicamente.Avversario politico di Gaio Flaminio, chiamato dal par-tito della reazione alla testa degli affari per fare opposi-zione alla stolta demagogia militare di quello, partì pelcampo altrettanto deciso di evitare a qualunque costouna battaglia campale, quanto il suo predecessore lo erastato di combatterne una a qualunque costo.Egli era senza dubbio persuaso, che la più elementare

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Questo non era per Roma soltanto un gran vantaggio,era tutto per essa; nondimeno nella capitale ben si com-prendeva quale imprudenza sarebbe stata mettere ad unatale prova la fedeltà degli alleati senza avere in campoun esercito romano.

7. Quinto Fabio.Il dittatore Fabio raccolse le due legioni di riserva reclu-tate a Roma e l'esercito di Rimini, e quando Annibalepassò nelle vicinanze della fortezza romana di Lucera,marciando verso Arpi, scorse presso Eca, al suo fiancodestro, le insegne dell'esercito romano.Ma il comandante romano operò diversamente dai suoipredecessori. Fabio era un uomo di età avanzata, dotatod'una riflessione e d'una fermezza che non pochi inter-pretavano per esitazione o ostinazione; zelante ammira-tore del buon tempo antico, dell'onnipotenza politica delsenato e dell'autorità consolare, egli attendeva la salutedello stato, oltre che dai sacrifizi e dalle preghiere, dallaguerra fatta metodicamente.Avversario politico di Gaio Flaminio, chiamato dal par-tito della reazione alla testa degli affari per fare opposi-zione alla stolta demagogia militare di quello, partì pelcampo altrettanto deciso di evitare a qualunque costouna battaglia campale, quanto il suo predecessore lo erastato di combatterne una a qualunque costo.Egli era senza dubbio persuaso, che la più elementare

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strategia impedirebbe ad Annibale di avanzare fin tantoche l'esercito romano gli stesse di fronte intatto, e chenon sarebbe quindi tanto difficile indebolire con piccolicombattimenti e colla fame l'esercito nemico, già ridottoa dover fare requisizioni.Bene informato dalle sue spie in Roma e nell'esercitoromano, Annibale ebbe immediatamente notizia dellostato delle cose, e diresse quindi, come aveva fatto sem-pre, il piano della sua campagna a seconda del carattereindividuale del comandante nemico.Lasciando da parte l'esercito romano, egli valicòl'Appennino portandosi nel cuore dell'Italia, a Beneven-to; prese la città aperta di Telesia sui confini del Sannioe della Campania, e volse poi i suoi passi verso Capua,la più ragguardevole fra tutte le città italiche dipendentida Roma, e perciò appunto quella che maggiormentesentiva l'umiliazione del romano dominio.Annibale vi manteneva delle relazioni che gli facevanosperare il distacco dei Campani dalla federazione roma-na, ma questa speranza gli andò fallita. Riprese allora lavia dell'Apulia.Durante questa marcia dell'esercito cartaginese, il ditta-tore l'aveva seguito sulle alture condannando i suoi sol-dati alla triste condizione di assistere colle mani inmano all'opera distruttrice della cavalleria numida chesaccheggiava i fedeli loro confederati e incendiava i vil-laggi disseminati nella pianura.

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strategia impedirebbe ad Annibale di avanzare fin tantoche l'esercito romano gli stesse di fronte intatto, e chenon sarebbe quindi tanto difficile indebolire con piccolicombattimenti e colla fame l'esercito nemico, già ridottoa dover fare requisizioni.Bene informato dalle sue spie in Roma e nell'esercitoromano, Annibale ebbe immediatamente notizia dellostato delle cose, e diresse quindi, come aveva fatto sem-pre, il piano della sua campagna a seconda del carattereindividuale del comandante nemico.Lasciando da parte l'esercito romano, egli valicòl'Appennino portandosi nel cuore dell'Italia, a Beneven-to; prese la città aperta di Telesia sui confini del Sannioe della Campania, e volse poi i suoi passi verso Capua,la più ragguardevole fra tutte le città italiche dipendentida Roma, e perciò appunto quella che maggiormentesentiva l'umiliazione del romano dominio.Annibale vi manteneva delle relazioni che gli facevanosperare il distacco dei Campani dalla federazione roma-na, ma questa speranza gli andò fallita. Riprese allora lavia dell'Apulia.Durante questa marcia dell'esercito cartaginese, il ditta-tore l'aveva seguito sulle alture condannando i suoi sol-dati alla triste condizione di assistere colle mani inmano all'opera distruttrice della cavalleria numida chesaccheggiava i fedeli loro confederati e incendiava i vil-laggi disseminati nella pianura.

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Il dittatore porse finalmente all'inasprito esercito roma-no l'occasione ardentemente desiderata di venire allemani col nemico. Quando Annibale intraprese la ritirata,Fabio gli sbarrò la via presso Casilino (l'odierna Capua)gettando un forte presidio sulla riva sinistra del Volturnoed occupando sulla diritta le creste delle colline colgrosso dell'esercito, mentre un corpo di 4000 uomini siaccampava sulla via stessa che conduceva al fiume.Ma Annibale ordinò che le sue truppe armate alla legge-ra salissero sulle alture che sorgevano immediatamentesopra la strada e da qui spingessero innanzi a loro unbuon numero di buoi con fascine accese legate alle cor-na, per far credere che tutto l'esercito cartaginese si riti-rasse da quella parte di notte tempo al lume delle fiacco-le.Il distaccamento dei Romani, che sbarrava la strada, cre-dendosi aggirato, e, ritenendo superfluo di guardare or-mai quel passaggio, si trasse in disparte sulle medesimealture; Annibale allora passò col grosso dell'esercito perquella strada senza incontrare il nemico, e il mattino se-guente liberò senza molte difficoltà e con forti perditeper i Romani le sue truppe leggere. Continuò posciasenza ostacoli la sua marcia verso nord-est, e arrivò perlunghi giri e dopo avere attraversato e saccheggiato ilpaese degli Irpini, dei Campani, dei Sanniti, dei Pelignie dei Frentani, con ricco bottino e colla cassa piena, nel-le vicinanze di Lucera, mentre doveva appunto incomin-ciare la mietitura.

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Il dittatore porse finalmente all'inasprito esercito roma-no l'occasione ardentemente desiderata di venire allemani col nemico. Quando Annibale intraprese la ritirata,Fabio gli sbarrò la via presso Casilino (l'odierna Capua)gettando un forte presidio sulla riva sinistra del Volturnoed occupando sulla diritta le creste delle colline colgrosso dell'esercito, mentre un corpo di 4000 uomini siaccampava sulla via stessa che conduceva al fiume.Ma Annibale ordinò che le sue truppe armate alla legge-ra salissero sulle alture che sorgevano immediatamentesopra la strada e da qui spingessero innanzi a loro unbuon numero di buoi con fascine accese legate alle cor-na, per far credere che tutto l'esercito cartaginese si riti-rasse da quella parte di notte tempo al lume delle fiacco-le.Il distaccamento dei Romani, che sbarrava la strada, cre-dendosi aggirato, e, ritenendo superfluo di guardare or-mai quel passaggio, si trasse in disparte sulle medesimealture; Annibale allora passò col grosso dell'esercito perquella strada senza incontrare il nemico, e il mattino se-guente liberò senza molte difficoltà e con forti perditeper i Romani le sue truppe leggere. Continuò posciasenza ostacoli la sua marcia verso nord-est, e arrivò perlunghi giri e dopo avere attraversato e saccheggiato ilpaese degli Irpini, dei Campani, dei Sanniti, dei Pelignie dei Frentani, con ricco bottino e colla cassa piena, nel-le vicinanze di Lucera, mentre doveva appunto incomin-ciare la mietitura.

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In nessuno dei paesi attraversati egli trovò energica resi-stenza, ma in nessuno trovò nemmeno alleati.Accortosi che nulla di meglio gli rimaneva da fare chedisporre i quartieri d'inverno in aperta campagna, co-minciò la difficile operazione di provvedere l'esercito diquanto abbisognasse per la rigida stagione, facendo rac-cogliere dagli stessi soldati quanto loro occorresse nellecampagne dei nemici.Per tale operazione egli aveva scelto l'Apulia settentrio-nale, paese piano per la massima parte, ricchissimo digrano e di fieno, che poteva essere interamente domina-to dalla sua numerosa cavalleria.Presso Geronio, cinque leghe al nord di Lucera, fu co-struito un campo trincerato, dal quale tutti i giorni usci-vano due terzi dell'esercito per raccogliere provvigioni,mentre coll'altro terzo Annibale si teneva pronto a difen-dere il campo e di distaccamenti disseminati nelle cam-pagne.

8. Fabio Minucio.Il comandante della cavalleria romana Marco Minucio,che durante l'assenza del dittatore, nella qualità di suoluogotenente, aveva il supremo comando nel campo deiRomani, giudicò propizia l'occasione per avvicinarsimaggiormente al nemico e mise il campo nel territoriodi Larino(27), dove potè impedire colla sua presenza che i

27 Città dei Frentani nell'Abruzzo.

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In nessuno dei paesi attraversati egli trovò energica resi-stenza, ma in nessuno trovò nemmeno alleati.Accortosi che nulla di meglio gli rimaneva da fare chedisporre i quartieri d'inverno in aperta campagna, co-minciò la difficile operazione di provvedere l'esercito diquanto abbisognasse per la rigida stagione, facendo rac-cogliere dagli stessi soldati quanto loro occorresse nellecampagne dei nemici.Per tale operazione egli aveva scelto l'Apulia settentrio-nale, paese piano per la massima parte, ricchissimo digrano e di fieno, che poteva essere interamente domina-to dalla sua numerosa cavalleria.Presso Geronio, cinque leghe al nord di Lucera, fu co-struito un campo trincerato, dal quale tutti i giorni usci-vano due terzi dell'esercito per raccogliere provvigioni,mentre coll'altro terzo Annibale si teneva pronto a difen-dere il campo e di distaccamenti disseminati nelle cam-pagne.

8. Fabio Minucio.Il comandante della cavalleria romana Marco Minucio,che durante l'assenza del dittatore, nella qualità di suoluogotenente, aveva il supremo comando nel campo deiRomani, giudicò propizia l'occasione per avvicinarsimaggiormente al nemico e mise il campo nel territoriodi Larino(27), dove potè impedire colla sua presenza che i

27 Città dei Frentani nell'Abruzzo.

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distaccamenti scorressero il paese e, per conseguenza,venisse approvvigionato l'esercito nemico; di più, mercèuna serie di scontri fortunati, sostenuti dalle sue truppecontro i Cartaginesi e persino contro lo stesso Annibale,gli riuscì di scacciare i nemici dalle loro posizioni avan-zate, obbligandoli a concentrarsi presso Geronio.Alla notizia di questi successi, la cui narrazione sarà sta-ta naturalmente esagerata, fu generale in Roma l'irrita-zione contro Quinto Fabio. E non interamente a torto.Per assennata che fosse la massima che i Romani doves-sero tenersi sulla difensiva, e attendere la vittoria finaledalla fame che avrebbe stremato il nemico, ciò non to-glie che questo fosse un sistema di difesa ben singolare,poichè permetteva al nemico, sotto gli occhi d'un eserci-to romano pari in numero, di devastare impunementetutta l'Italia centrale e, col mezzo d'un ben ordinato si-stema di requisizione praticato su vastissima scala, diprocacciarsi le provvigioni necessarie per tutto l'inver-no.Publio Scipione, allorchè era stato comandante nellavalle del Po, non aveva intesa la difensiva in questomodo, e il tentativo del suo successore di imitarlo eraandato fallito presso Casilino, in modo da fornire ab-bondante materiale ai motteggiatori della città.Fu mirabil cosa che i comuni italiani non vacillasseroallorchè Annibale fece loro così chiaramente conoscerela superiorità dei Cartaginesi e la fallacia del soccorsodei Romani; ma per quanto tempo si poteva attendere

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distaccamenti scorressero il paese e, per conseguenza,venisse approvvigionato l'esercito nemico; di più, mercèuna serie di scontri fortunati, sostenuti dalle sue truppecontro i Cartaginesi e persino contro lo stesso Annibale,gli riuscì di scacciare i nemici dalle loro posizioni avan-zate, obbligandoli a concentrarsi presso Geronio.Alla notizia di questi successi, la cui narrazione sarà sta-ta naturalmente esagerata, fu generale in Roma l'irrita-zione contro Quinto Fabio. E non interamente a torto.Per assennata che fosse la massima che i Romani doves-sero tenersi sulla difensiva, e attendere la vittoria finaledalla fame che avrebbe stremato il nemico, ciò non to-glie che questo fosse un sistema di difesa ben singolare,poichè permetteva al nemico, sotto gli occhi d'un eserci-to romano pari in numero, di devastare impunementetutta l'Italia centrale e, col mezzo d'un ben ordinato si-stema di requisizione praticato su vastissima scala, diprocacciarsi le provvigioni necessarie per tutto l'inver-no.Publio Scipione, allorchè era stato comandante nellavalle del Po, non aveva intesa la difensiva in questomodo, e il tentativo del suo successore di imitarlo eraandato fallito presso Casilino, in modo da fornire ab-bondante materiale ai motteggiatori della città.Fu mirabil cosa che i comuni italiani non vacillasseroallorchè Annibale fece loro così chiaramente conoscerela superiorità dei Cartaginesi e la fallacia del soccorsodei Romani; ma per quanto tempo si poteva attendere

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dai medesimi che dovessero tollerare un duplice peso diguerra, e lasciarsi spogliare al cospetto delle truppe ro-mane e dei propri contingenti?Quanto all'esercito romano non si poteva dire che la suacondizione obbligasse il suo generale ad un simile mododi guerreggiare; esso si componeva bensì, in parte, dimilizie chiamate recentemente sotto le armi, ma il nerboera però composto dalle sperimentate legioni di Rimini,e, lungi dall'essere avvilito dalle ultime sconfitte, esso sisentiva irritato dal poco onorevole compito che il suocapitano «lacchè di Annibale» gli assegnava, e chiedevaad alta voce di venir condotto contro il nemico.Nei comizi si venne a scene tremende contro il vecchioostinato; i suoi avversari politici, con a capo Marco Te-renzio Varrone, ottennero il sopravvento e, di concertocoi soldati malcontenti e coi possessori dei beni sac-cheggiati, fecero passare un plebiscito contrario alla co-stituzione ed al buon senso, in forza del quale la dittatu-ra – che aveva per scopo di togliere l'inconveniente del-la divisione del supremo comando quando la patria erain pericolo – veniva accordata tanto a Quinto Fabioquanto a Marco Minucio che era stato fino allora suoluogotenente(28). Per tal modo l'esercito romano, la cuipericolosa divisione in due corpi era stata per l'appuntosaviamente eliminata, fu non solo diviso, ma alla testadelle due metà furono posti due condottieri che seguiva-28 L'iscrizione del dono votivo eretto a Ercole Vincitore dal nuovo dittatore

per la sua vittoria presso Gerunium: Hercolei sacrom M. Minuci(us) C. f.dictator vovit, è stata ritrovata presso S. Lorenzo in Roma, nel 1862.

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dai medesimi che dovessero tollerare un duplice peso diguerra, e lasciarsi spogliare al cospetto delle truppe ro-mane e dei propri contingenti?Quanto all'esercito romano non si poteva dire che la suacondizione obbligasse il suo generale ad un simile mododi guerreggiare; esso si componeva bensì, in parte, dimilizie chiamate recentemente sotto le armi, ma il nerboera però composto dalle sperimentate legioni di Rimini,e, lungi dall'essere avvilito dalle ultime sconfitte, esso sisentiva irritato dal poco onorevole compito che il suocapitano «lacchè di Annibale» gli assegnava, e chiedevaad alta voce di venir condotto contro il nemico.Nei comizi si venne a scene tremende contro il vecchioostinato; i suoi avversari politici, con a capo Marco Te-renzio Varrone, ottennero il sopravvento e, di concertocoi soldati malcontenti e coi possessori dei beni sac-cheggiati, fecero passare un plebiscito contrario alla co-stituzione ed al buon senso, in forza del quale la dittatu-ra – che aveva per scopo di togliere l'inconveniente del-la divisione del supremo comando quando la patria erain pericolo – veniva accordata tanto a Quinto Fabioquanto a Marco Minucio che era stato fino allora suoluogotenente(28). Per tal modo l'esercito romano, la cuipericolosa divisione in due corpi era stata per l'appuntosaviamente eliminata, fu non solo diviso, ma alla testadelle due metà furono posti due condottieri che seguiva-28 L'iscrizione del dono votivo eretto a Ercole Vincitore dal nuovo dittatore

per la sua vittoria presso Gerunium: Hercolei sacrom M. Minuci(us) C. f.dictator vovit, è stata ritrovata presso S. Lorenzo in Roma, nel 1862.

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no evidentemente piani di guerra affatto diversi.Quinto Fabio si attenne, come era naturale, più che maialla sistematica sua prudenza; Marco Minucio, creden-dosi obbligato a giustificare il suo titolo dittatoriale sulcampo di battaglia, attaccò troppo precipitosamente econ poche forze il nemico, ma ne sarebbe uscito colcapo rotto se il suo collega, accorso a tempo con un cor-po di truppe fresche non avesse impedito un maggioredisastro.Quest'ultimo indirizzo delle cose giustificò in certo qualmodo il sistema della resistenza passiva. In realtà Anni-bale aveva ottenuto in questa campagna tutto ciò che sipoteva ottenere colle armi; nè l'avversario impetuoso, nèquello circospetto poterono impedirgli alcuna operazio-ne essenziale, ed il suo approvvigionamento, sebbenenon senza difficoltà, era pure riuscito così bene che ilsuo esercito attendato presso Geronio passò l'invernosenza il minimo disagio. Non fu il «Temporeggiatore»che salvò Roma, ma la salda compagine della sua fede-razione, e forse non meno l'odio nazionale degli occi-dentali contro l'uomo di razza fenicia.

9. Nuovo armamento di Roma.Malgrado le sofferte disgrazie l'orgoglio dei romani nonsi manteneva meno fermo della loro simmachia.I donativi offerti da Gerone re di Siracusa e dalle cittàgreche dell'Italia per la prossima campagna furono de-

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no evidentemente piani di guerra affatto diversi.Quinto Fabio si attenne, come era naturale, più che maialla sistematica sua prudenza; Marco Minucio, creden-dosi obbligato a giustificare il suo titolo dittatoriale sulcampo di battaglia, attaccò troppo precipitosamente econ poche forze il nemico, ma ne sarebbe uscito colcapo rotto se il suo collega, accorso a tempo con un cor-po di truppe fresche non avesse impedito un maggioredisastro.Quest'ultimo indirizzo delle cose giustificò in certo qualmodo il sistema della resistenza passiva. In realtà Anni-bale aveva ottenuto in questa campagna tutto ciò che sipoteva ottenere colle armi; nè l'avversario impetuoso, nèquello circospetto poterono impedirgli alcuna operazio-ne essenziale, ed il suo approvvigionamento, sebbenenon senza difficoltà, era pure riuscito così bene che ilsuo esercito attendato presso Geronio passò l'invernosenza il minimo disagio. Non fu il «Temporeggiatore»che salvò Roma, ma la salda compagine della sua fede-razione, e forse non meno l'odio nazionale degli occi-dentali contro l'uomo di razza fenicia.

9. Nuovo armamento di Roma.Malgrado le sofferte disgrazie l'orgoglio dei romani nonsi manteneva meno fermo della loro simmachia.I donativi offerti da Gerone re di Siracusa e dalle cittàgreche dell'Italia per la prossima campagna furono de-

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clinati con ringraziamenti.Quelle città erano meno colpite dai disastri della guerra,giacchè esse non somministravano, come le altre federa-te, alcun contingente all'esercito. Soltanto si invitarono icapi delle province illiriche a non ritardare i versamentidel tributo, sollecitando in pari tempo di nuovo il re diMacedonia a consegnare Demetrio da Faro.Benchè gli ultimi avvenimenti avessero quasi legittima-to il sistema della resistenza passiva adottata da Fabio,pure la maggioranza del senato era fermamente decisaad abbandonare un tal modo di guerreggiare, che lenta-mente sì, ma senza dubbio, avrebbe condotto lo stato inrovina. Poichè, se il dittatore popolano non era riuscitobenchè avesse condotto la guerra in modo più energico,si diceva, e non senza ragione, che l'impresa era andatamale perchè si era presa una mezza misura assegnando-gli troppo scarsa truppa.Fu deciso di rimediare a tale inconveniente e di formareun esercito quale Roma non aveva ancora veduto, com-posto di otto legioni, ciascuna aumentata di un quintosulla forza normale e d'un corrispondente numero di fe-derati, sufficiente a schiacciare il nemico, il quale nondisponeva della metà di dette forze.Fu inoltre deciso di spedire una legione, comandata dalpretore Lucio Postumio, nella valle del Po, per richia-mare possibilmente nella loro patria i Celti che serviva-no nell'esercito di Annibale.

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clinati con ringraziamenti.Quelle città erano meno colpite dai disastri della guerra,giacchè esse non somministravano, come le altre federa-te, alcun contingente all'esercito. Soltanto si invitarono icapi delle province illiriche a non ritardare i versamentidel tributo, sollecitando in pari tempo di nuovo il re diMacedonia a consegnare Demetrio da Faro.Benchè gli ultimi avvenimenti avessero quasi legittima-to il sistema della resistenza passiva adottata da Fabio,pure la maggioranza del senato era fermamente decisaad abbandonare un tal modo di guerreggiare, che lenta-mente sì, ma senza dubbio, avrebbe condotto lo stato inrovina. Poichè, se il dittatore popolano non era riuscitobenchè avesse condotto la guerra in modo più energico,si diceva, e non senza ragione, che l'impresa era andatamale perchè si era presa una mezza misura assegnando-gli troppo scarsa truppa.Fu deciso di rimediare a tale inconveniente e di formareun esercito quale Roma non aveva ancora veduto, com-posto di otto legioni, ciascuna aumentata di un quintosulla forza normale e d'un corrispondente numero di fe-derati, sufficiente a schiacciare il nemico, il quale nondisponeva della metà di dette forze.Fu inoltre deciso di spedire una legione, comandata dalpretore Lucio Postumio, nella valle del Po, per richia-mare possibilmente nella loro patria i Celti che serviva-no nell'esercito di Annibale.

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Queste risoluzioni erano assennate; rimaneva soltantoda risolvere convenientemente in merito al comando su-premo.L'ostinato procedere di Quinto Fabio, e gli intrighi de-magogici che vi si riferivano, avevano resa la dittatura,e particolarmente il senato, più impopolare che mai, enel popolo, non senza colpa dei suoi capi, si andava ri-petendo la stolta opinione che il senato tirava espressa-mente in lungo la guerra.Non essendo quindi possibile nominare un dittatore, ilsenato si provò a dirigere convenientemente l'elezionedei consoli, ciò che aumentò il sospetto e l'ostinazione.A stento esso riuscì a fare eleggere uno dei suoi candi-dati, Lucio Emilio Paolo, il quale nel 535=219 avevacondotto con senno la guerra illirica; l'immensa maggio-ranza dei cittadini elesse a suo collega il candidato delpartito popolare, Marco Terenzio Varrone, uomo inetto,conosciuto soltanto in grazia della sua fiera opposizionecontro il senato e principalmente quale promotoredell'elezione di Marco Minucio alla carica di condittato-re, e benviso al popolo soltanto per i suoi bassi natali eper la sua rozza impudenza.

10. Battaglia presso Canne.Mentre a Roma si facevano questi preparativi per laprossima campagna, era già cominciata la guerranell'Apulia. Appena la stagione lo permise, Annibale

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Queste risoluzioni erano assennate; rimaneva soltantoda risolvere convenientemente in merito al comando su-premo.L'ostinato procedere di Quinto Fabio, e gli intrighi de-magogici che vi si riferivano, avevano resa la dittatura,e particolarmente il senato, più impopolare che mai, enel popolo, non senza colpa dei suoi capi, si andava ri-petendo la stolta opinione che il senato tirava espressa-mente in lungo la guerra.Non essendo quindi possibile nominare un dittatore, ilsenato si provò a dirigere convenientemente l'elezionedei consoli, ciò che aumentò il sospetto e l'ostinazione.A stento esso riuscì a fare eleggere uno dei suoi candi-dati, Lucio Emilio Paolo, il quale nel 535=219 avevacondotto con senno la guerra illirica; l'immensa maggio-ranza dei cittadini elesse a suo collega il candidato delpartito popolare, Marco Terenzio Varrone, uomo inetto,conosciuto soltanto in grazia della sua fiera opposizionecontro il senato e principalmente quale promotoredell'elezione di Marco Minucio alla carica di condittato-re, e benviso al popolo soltanto per i suoi bassi natali eper la sua rozza impudenza.

10. Battaglia presso Canne.Mentre a Roma si facevano questi preparativi per laprossima campagna, era già cominciata la guerranell'Apulia. Appena la stagione lo permise, Annibale

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abbandonò i quartieri d'inverno e, prendendo, come erasuo costume, egli stesso l'iniziativa della guerra el'offensiva, partì da Geronio dirigendosi verso sud.Lasciando da un canto Lucera, passò l'Ofanto e prese ilCastello di Canne (tra Canosa e Barletta), che dominavail piano canosino, e che fino allora aveva servito di ma-gazzino principale ai Romani.L'esercito romano, il quale – dopo che Fabio ebbe depo-sta a metà di autunno, a norma della costituzione, la ca-rica di dittatore – era stato posto sotto il comando diGneo Servilio e Marco Regolo, prima come consoli, po-scia come proconsoli, non aveva saputo rimediare aquella sensibile perdita. Sia per riguardi militari che perriguardi politici diveniva sempre più urgente la necessitàdi porre un freno ai progressi di Annibale col mezzod'una battaglia campale. Con tale preciso incarico delsenato arrivarono nell'Apulia i due nuovi generali Paoloe Varrone sul principio dell'estate 538=216.Colle quattro nuove legioni e col corrispondente contin-gente degli Italici, che esse trassero seco, l'esercito ro-mano ammontava ad 80.000 fanti, metà cittadini, metàfederati, ed a 6000 cavalieri, un terzo cittadini e due ter-zi federati; l'esercito d'Annibale invece contava 10.000cavalieri, ma solo 4000 fanti.Annibale desiderava ardentemente una battaglia, e nonsolo per i motivi generali già accennati, ma anche per-chè la grande pianura dell'Apulia gli permetteva di uti-

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abbandonò i quartieri d'inverno e, prendendo, come erasuo costume, egli stesso l'iniziativa della guerra el'offensiva, partì da Geronio dirigendosi verso sud.Lasciando da un canto Lucera, passò l'Ofanto e prese ilCastello di Canne (tra Canosa e Barletta), che dominavail piano canosino, e che fino allora aveva servito di ma-gazzino principale ai Romani.L'esercito romano, il quale – dopo che Fabio ebbe depo-sta a metà di autunno, a norma della costituzione, la ca-rica di dittatore – era stato posto sotto il comando diGneo Servilio e Marco Regolo, prima come consoli, po-scia come proconsoli, non aveva saputo rimediare aquella sensibile perdita. Sia per riguardi militari che perriguardi politici diveniva sempre più urgente la necessitàdi porre un freno ai progressi di Annibale col mezzod'una battaglia campale. Con tale preciso incarico delsenato arrivarono nell'Apulia i due nuovi generali Paoloe Varrone sul principio dell'estate 538=216.Colle quattro nuove legioni e col corrispondente contin-gente degli Italici, che esse trassero seco, l'esercito ro-mano ammontava ad 80.000 fanti, metà cittadini, metàfederati, ed a 6000 cavalieri, un terzo cittadini e due ter-zi federati; l'esercito d'Annibale invece contava 10.000cavalieri, ma solo 4000 fanti.Annibale desiderava ardentemente una battaglia, e nonsolo per i motivi generali già accennati, ma anche per-chè la grande pianura dell'Apulia gli permetteva di uti-

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lizzare tutta la superiorità della sua cavalleria, e perchèil mantenimento del numeroso suo esercito, stabilito inprossimità d'un nemico più forte del doppio ed appog-giato ad una serie di piazze forti, gli sarebbe riuscita dif-ficile, malgrado la superiorità della sua cavalleria.Anche i comandanti dell'esercito romano erano, comedicemmo, in generale decisi di venire alle mani, e, conquesta intenzione andavano approssimandosi al nemico.Ma i più avveduti fra essi, conoscendo la posizione diAnnibale, erano d'opinione di aspettare e soltanto diprendere posizione in vicinanza del nemico, per obbli-garlo a ritirarsi o ad accettare battaglia su un terrenomeno favorevole per lui.Con questa mira Paolo dispose due accampamenti difronte ad Annibale, che stava schierato in battaglia pres-so Canne sulla riva destra dell'Ofanto; il più numerososulla riva destra superiormente al nemico, il minore sul-la riva sinistra alla distanza di un quarto di lega circadall'altro, e pressochè alla stessa distanza dal campo ne-mico; e ciò per impedire ad Annibale il foraggiamentosu entrambe le rive del fiume. Annibale, al quale preme-va lo scontro immediato, attraversò il fiume col grossodell'esercito e offrì battaglia che Paolo non accettò.Ma al console democratico spiacque questa pedanteriamilitare; si era fatto tanto chiasso di voler entrare incampagna non per far la sentinella ad Annibale ma percombatterlo, che Varrone comandò di attaccare il nemi-

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lizzare tutta la superiorità della sua cavalleria, e perchèil mantenimento del numeroso suo esercito, stabilito inprossimità d'un nemico più forte del doppio ed appog-giato ad una serie di piazze forti, gli sarebbe riuscita dif-ficile, malgrado la superiorità della sua cavalleria.Anche i comandanti dell'esercito romano erano, comedicemmo, in generale decisi di venire alle mani, e, conquesta intenzione andavano approssimandosi al nemico.Ma i più avveduti fra essi, conoscendo la posizione diAnnibale, erano d'opinione di aspettare e soltanto diprendere posizione in vicinanza del nemico, per obbli-garlo a ritirarsi o ad accettare battaglia su un terrenomeno favorevole per lui.Con questa mira Paolo dispose due accampamenti difronte ad Annibale, che stava schierato in battaglia pres-so Canne sulla riva destra dell'Ofanto; il più numerososulla riva destra superiormente al nemico, il minore sul-la riva sinistra alla distanza di un quarto di lega circadall'altro, e pressochè alla stessa distanza dal campo ne-mico; e ciò per impedire ad Annibale il foraggiamentosu entrambe le rive del fiume. Annibale, al quale preme-va lo scontro immediato, attraversò il fiume col grossodell'esercito e offrì battaglia che Paolo non accettò.Ma al console democratico spiacque questa pedanteriamilitare; si era fatto tanto chiasso di voler entrare incampagna non per far la sentinella ad Annibale ma percombatterlo, che Varrone comandò di attaccare il nemi-

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co dove e come lo si trovasse.Seguendo l'antico costume stoltamente conservato, ilvoto preponderante nel consiglio di guerra si avvicenda-va ogni giorno fra i due supremi comandanti; fu quindigiocoforza adattarsi alla volontà dell'eroe da piazza. Sul-la riva sinistra, dove l'ampia pianura offriva notevolivantaggi alla cavalleria numidica, neppur egli volle bat-tersi, ma decise di riunire tutte le complessive forze ro-mane sulla riva destra, prendendo posizione tra Canne eil campo cartaginese, e offrì battaglia minacciando lacittà.Soltanto un corpo di 10.000 uomini fu lasciatonell'accampamento più grande, coll'ordine di impadro-nirsi del campo cartaginese durante il combattimento,tagliando così all'esercito nemico la ritirata oltre il fiu-me.Il grosso dell'esercito romano all'albeggiare del 2 agostosecondo il calendario non riformato (forse nel mese digiugno secondo il calendario riformato) passò il fiume,che scarso d'acqua in quella stagione non ostacolavamolto il movimento delle truppe, e si ordinò a battaglianella vasta pianura, all'occidente di Canne, in prossimitàdel campo minore romano.L'esercito cartaginese seguiva la sua marcia e passavaanch'esso il fiume, a cui si appoggiavano tanto l'ala de-stra dei Romani, quanto l'ala sinistra dei Cartaginesi. Lacavalleria romana era collocata ai lati, quella della mili-

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co dove e come lo si trovasse.Seguendo l'antico costume stoltamente conservato, ilvoto preponderante nel consiglio di guerra si avvicenda-va ogni giorno fra i due supremi comandanti; fu quindigiocoforza adattarsi alla volontà dell'eroe da piazza. Sul-la riva sinistra, dove l'ampia pianura offriva notevolivantaggi alla cavalleria numidica, neppur egli volle bat-tersi, ma decise di riunire tutte le complessive forze ro-mane sulla riva destra, prendendo posizione tra Canne eil campo cartaginese, e offrì battaglia minacciando lacittà.Soltanto un corpo di 10.000 uomini fu lasciatonell'accampamento più grande, coll'ordine di impadro-nirsi del campo cartaginese durante il combattimento,tagliando così all'esercito nemico la ritirata oltre il fiu-me.Il grosso dell'esercito romano all'albeggiare del 2 agostosecondo il calendario non riformato (forse nel mese digiugno secondo il calendario riformato) passò il fiume,che scarso d'acqua in quella stagione non ostacolavamolto il movimento delle truppe, e si ordinò a battaglianella vasta pianura, all'occidente di Canne, in prossimitàdel campo minore romano.L'esercito cartaginese seguiva la sua marcia e passavaanch'esso il fiume, a cui si appoggiavano tanto l'ala de-stra dei Romani, quanto l'ala sinistra dei Cartaginesi. Lacavalleria romana era collocata ai lati, quella della mili-

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zia cittadina, meno valida e comandata da Paolo a de-stra, sul fiume: quella de' confederati, più valida, a sini-stra, verso la pianura, con a capo Varrone.La fanteria in linee straordinariamente profonde, co-mandata dal proconsole Gneo Servilio, componeva ilcentro.Annibale dispose la sua fanteria in semicerchio di frontea quella dei Romani e in modo che le truppe celtiche ele iberiche, armate al modo nazionale, formassero ilcentro avanzato, le libiche, armate alla romana, le dueali ripiegate. Verso il fiume schierò tutta la cavalleriapesante sotto gli ordini d'Asdrubale, verso la pianura lacavalleria leggera numidica.Dopo un breve combattimento d'avamposti fra le truppeleggere, tutta la linea si trovò impegnata nel combatti-mento. Dove combatteva la cavalleria leggera dei Carta-ginesi contro la cavalleria pesante di Varrone le carichedei cavalieri numidici si succedevano le une alle altresenza riuscire ad un risultato decisivo. Nel centro invecele legioni respinsero completamente le truppe spagnuolee le galliche che incontrarono per prime, e, approfittan-do del riportato vantaggio, animosamente le inseguiro-no.Ma nel frattempo la fortuna aveva voltate le spalle aiRomani sull'ala diritta. Annibale aveva voluta soltantotener occupata l'ala sinistra della cavalleria nemica, per-chè Asdrubale potesse spingersi con tutta la cavalleria

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zia cittadina, meno valida e comandata da Paolo a de-stra, sul fiume: quella de' confederati, più valida, a sini-stra, verso la pianura, con a capo Varrone.La fanteria in linee straordinariamente profonde, co-mandata dal proconsole Gneo Servilio, componeva ilcentro.Annibale dispose la sua fanteria in semicerchio di frontea quella dei Romani e in modo che le truppe celtiche ele iberiche, armate al modo nazionale, formassero ilcentro avanzato, le libiche, armate alla romana, le dueali ripiegate. Verso il fiume schierò tutta la cavalleriapesante sotto gli ordini d'Asdrubale, verso la pianura lacavalleria leggera numidica.Dopo un breve combattimento d'avamposti fra le truppeleggere, tutta la linea si trovò impegnata nel combatti-mento. Dove combatteva la cavalleria leggera dei Carta-ginesi contro la cavalleria pesante di Varrone le carichedei cavalieri numidici si succedevano le une alle altresenza riuscire ad un risultato decisivo. Nel centro invecele legioni respinsero completamente le truppe spagnuolee le galliche che incontrarono per prime, e, approfittan-do del riportato vantaggio, animosamente le inseguiro-no.Ma nel frattempo la fortuna aveva voltate le spalle aiRomani sull'ala diritta. Annibale aveva voluta soltantotener occupata l'ala sinistra della cavalleria nemica, per-chè Asdrubale potesse spingersi con tutta la cavalleria

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regolare contro la debole ala destra e respingerla per laprima. Dopo una valorosa resistenza, i cavalieri romanipiegarono, e quelli che non furono tagliati a pezzi furo-no cacciati oltre il fiume e dispersi nella pianura.Paolo, ferito, cavalcò verso il centro dell'esercito colproposito di cambiare la sorte delle legioni o di divider-la con esse.Per trarre miglior profitto dalla vittoria riportata control'avanzata fanteria nemica, le legioni avevano cambiatola loro fronte in una colonna d'attacco che penetrava aforma di cuneo nelle file del centro nemico. In questaposizione esse furono assalite impetuosamente da amboi lati dalla fanteria libica, che, convergente, si avanzavaa destra e a sinistra; una parte delle legioni fu costretta afermarsi per difendersi contro gli attacchi di fianco, percui non solo le fu impedito d'avanzarsi, ma la massa del-la fanteria, ordinata d'altronde in file soverchiamenteprofonde, non ebbe assolutamente il necessario spazioper distendersi.Intanto Asdrubale, finito il suo compito sull'ala coman-data da Paolo, raccolse e riordinò i suoi cavalieri e, pas-sando dietro il centro nemico, li condusse verso l'ala co-mandata da Varrone. La cavalleria italica, già messa ab-bastanza alle strette dai Numidi, sorpresa da nuove for-ze, si disperse senz'altro, e Asdrubale, lasciando ai Nu-midi la cura d'inseguire i fuggitivi, riordinò per la terzavolta i suoi squadroni, coi quali prese alle spalle la fan-teria romana.

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regolare contro la debole ala destra e respingerla per laprima. Dopo una valorosa resistenza, i cavalieri romanipiegarono, e quelli che non furono tagliati a pezzi furo-no cacciati oltre il fiume e dispersi nella pianura.Paolo, ferito, cavalcò verso il centro dell'esercito colproposito di cambiare la sorte delle legioni o di divider-la con esse.Per trarre miglior profitto dalla vittoria riportata control'avanzata fanteria nemica, le legioni avevano cambiatola loro fronte in una colonna d'attacco che penetrava aforma di cuneo nelle file del centro nemico. In questaposizione esse furono assalite impetuosamente da amboi lati dalla fanteria libica, che, convergente, si avanzavaa destra e a sinistra; una parte delle legioni fu costretta afermarsi per difendersi contro gli attacchi di fianco, percui non solo le fu impedito d'avanzarsi, ma la massa del-la fanteria, ordinata d'altronde in file soverchiamenteprofonde, non ebbe assolutamente il necessario spazioper distendersi.Intanto Asdrubale, finito il suo compito sull'ala coman-data da Paolo, raccolse e riordinò i suoi cavalieri e, pas-sando dietro il centro nemico, li condusse verso l'ala co-mandata da Varrone. La cavalleria italica, già messa ab-bastanza alle strette dai Numidi, sorpresa da nuove for-ze, si disperse senz'altro, e Asdrubale, lasciando ai Nu-midi la cura d'inseguire i fuggitivi, riordinò per la terzavolta i suoi squadroni, coi quali prese alle spalle la fan-teria romana.

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Questo colpo fu decisivo. La fuga era impossibile e nonsi dava quartiere.Non vi è forse altro esempio d'un esercito così numero-so e così interamente distrutto nel campo stesso di batta-glia e con sì lieve perdita dell'avversario, come fudell'esercito romano presso Canne.Le perdite di Annibale non ascendevano a 6.000 uomini,due terzi de quali erano Celti, cui toccò sostenere il pri-mo urto delle legioni. Dei 76.000 Romani invece, cheerano schierati in battaglia, 70.000 morti coprivano ilterreno, fra i quali il console Lucio Paolo, il proconsoleGneo Servilio, due terzi degli ufficiali superiori, ottantasenatori.Il console Marco Varrone si salvò soltanto per la repen-tina sua risoluzione di affidarsi alla velocità del suo de-striero che lo portò a Venosa; e gli bastò l'animo di so-pravvivere. Anche i 10.000 uomini di presidio nel cam-po romano furono per la maggior parte fatti prigionieri;soltanto poche migliaia, fra truppe del presidio edell'esercito, scamparono in Canusio.E, come se in quell'anno ogni cosa dovesse essere asso-lutamente perduta per Roma, la legione spedita nellaGallia cadde in un'imboscata ancora prima che l'annovolgesse alla fine e fu interamente distrutta dai Galli in-sieme col suo comandante Lucio Postumio, che era statoeletto console per l'anno seguente.

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Questo colpo fu decisivo. La fuga era impossibile e nonsi dava quartiere.Non vi è forse altro esempio d'un esercito così numero-so e così interamente distrutto nel campo stesso di batta-glia e con sì lieve perdita dell'avversario, come fudell'esercito romano presso Canne.Le perdite di Annibale non ascendevano a 6.000 uomini,due terzi de quali erano Celti, cui toccò sostenere il pri-mo urto delle legioni. Dei 76.000 Romani invece, cheerano schierati in battaglia, 70.000 morti coprivano ilterreno, fra i quali il console Lucio Paolo, il proconsoleGneo Servilio, due terzi degli ufficiali superiori, ottantasenatori.Il console Marco Varrone si salvò soltanto per la repen-tina sua risoluzione di affidarsi alla velocità del suo de-striero che lo portò a Venosa; e gli bastò l'animo di so-pravvivere. Anche i 10.000 uomini di presidio nel cam-po romano furono per la maggior parte fatti prigionieri;soltanto poche migliaia, fra truppe del presidio edell'esercito, scamparono in Canusio.E, come se in quell'anno ogni cosa dovesse essere asso-lutamente perduta per Roma, la legione spedita nellaGallia cadde in un'imboscata ancora prima che l'annovolgesse alla fine e fu interamente distrutta dai Galli in-sieme col suo comandante Lucio Postumio, che era statoeletto console per l'anno seguente.

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11. Conseguenze della battaglia di Canne.Questo successo senza pari sembrava volesse finalmenterecare a maturità la grande combinazione politica per laquale Annibale era sceso in Italia. Egli, prima di tutto,aveva fatto assegnamento sul suo esercito; se non che,valutando giustamente la potenza colla quale era entratoin lotta, questo esercito, nel suo pensiero, non dovevaessere che un'avanguardia, alla quale si sarebbero unitea poco a poco le forze d'occidente e d'oriente per predi-sporre la distruzione dell'orgogliosa città.I soccorsi più sicuri, che dovevano giungere dalla Spa-gna, gli furono impediti dall'attività e dall'energia delgenerale romano Gneo Scipione. Dopo che Annibaleebbe passato il Rodano, Gneo Scipione aveva fatto velaper Emporia, e prima si era impadronito della costa tra iPirenei e l'Ebro, poi, vinto Annone, anche del paese in-terno (536=218).L'anno seguente (537=217) egli aveva battuto completa-mente la flotta cartaginese alle foci dell'Ebro, spingen-dosi fin verso Sagunto. L'anno appresso (538=216)Asdrubale, ricevuti dei rinforzi dall'Africa, tentò, secon-do l'ordine avuto dal fratello, di condurre un esercito at-traverso i Pirenei; ma gli Scipioni gli sbarrarono il passodell'Ebro, e lo batterono compiutamente quasi nel mede-simo tempo in cui Annibale riportava in Italia la vittoriapresso Canne.La potente nazione dei Celtiberi e molte altre tribù spa-

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11. Conseguenze della battaglia di Canne.Questo successo senza pari sembrava volesse finalmenterecare a maturità la grande combinazione politica per laquale Annibale era sceso in Italia. Egli, prima di tutto,aveva fatto assegnamento sul suo esercito; se non che,valutando giustamente la potenza colla quale era entratoin lotta, questo esercito, nel suo pensiero, non dovevaessere che un'avanguardia, alla quale si sarebbero unitea poco a poco le forze d'occidente e d'oriente per predi-sporre la distruzione dell'orgogliosa città.I soccorsi più sicuri, che dovevano giungere dalla Spa-gna, gli furono impediti dall'attività e dall'energia delgenerale romano Gneo Scipione. Dopo che Annibaleebbe passato il Rodano, Gneo Scipione aveva fatto velaper Emporia, e prima si era impadronito della costa tra iPirenei e l'Ebro, poi, vinto Annone, anche del paese in-terno (536=218).L'anno seguente (537=217) egli aveva battuto completa-mente la flotta cartaginese alle foci dell'Ebro, spingen-dosi fin verso Sagunto. L'anno appresso (538=216)Asdrubale, ricevuti dei rinforzi dall'Africa, tentò, secon-do l'ordine avuto dal fratello, di condurre un esercito at-traverso i Pirenei; ma gli Scipioni gli sbarrarono il passodell'Ebro, e lo batterono compiutamente quasi nel mede-simo tempo in cui Annibale riportava in Italia la vittoriapresso Canne.La potente nazione dei Celtiberi e molte altre tribù spa-

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gnuole si erano dichiarate per gli Scipioni, i quali domi-navano il mare, i passi dei Pirenei e, per opera dei fidiMassalioti, anche la costa gallica. Annibale non potevadunque attendersi rinforzi dalla Spagna.Da Cartagine, come è facile comprendere, nulla si erafatto per recare soccorsi al suo supremo comandante inItalia. Le flottiglie puniche minacciavano le coste itali-che e quelle delle isole romane, e proteggevano l'Africada uno sbarco dei Romani e nulla più.Ad impedire efficaci soccorsi contribuì non tanto l'incer-tezza del luogo in cui si trovava Annibale, e la mancan-za di un porto da sbarco in Italia, quanto la lunga abitu-dine di considerare l'esercito spagnuolo sufficiente a sestesso, e più di tutto il rancore che nutriva il partito dellapace.Le conseguenze di questa imperdonabile inerzia furonoper Annibale fatali. Malgrado tutta l'economia del dena-ro e dei soldati condotti seco, le sue casse andavano apoco a poco esaurendosi; non si pagava il soldo alletruppe, e le file dei veterani cominciavano a diradarsi.La notizia però della vittoria di Canne ridusse al silenzioil partito avversario. Il senato cartaginese decise di met-tere a disposizione di Annibale ragguardevoli sussidi indenaro e in soldati, tolti in parte dall'Africa, in parte dal-la Spagna, oltre 4.000 cavalieri numidi e quaranta ele-fanti, ordinando nel tempo stesso di spingere energica-mente la guerra tanto in Italia quanto in Spagna.

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gnuole si erano dichiarate per gli Scipioni, i quali domi-navano il mare, i passi dei Pirenei e, per opera dei fidiMassalioti, anche la costa gallica. Annibale non potevadunque attendersi rinforzi dalla Spagna.Da Cartagine, come è facile comprendere, nulla si erafatto per recare soccorsi al suo supremo comandante inItalia. Le flottiglie puniche minacciavano le coste itali-che e quelle delle isole romane, e proteggevano l'Africada uno sbarco dei Romani e nulla più.Ad impedire efficaci soccorsi contribuì non tanto l'incer-tezza del luogo in cui si trovava Annibale, e la mancan-za di un porto da sbarco in Italia, quanto la lunga abitu-dine di considerare l'esercito spagnuolo sufficiente a sestesso, e più di tutto il rancore che nutriva il partito dellapace.Le conseguenze di questa imperdonabile inerzia furonoper Annibale fatali. Malgrado tutta l'economia del dena-ro e dei soldati condotti seco, le sue casse andavano apoco a poco esaurendosi; non si pagava il soldo alletruppe, e le file dei veterani cominciavano a diradarsi.La notizia però della vittoria di Canne ridusse al silenzioil partito avversario. Il senato cartaginese decise di met-tere a disposizione di Annibale ragguardevoli sussidi indenaro e in soldati, tolti in parte dall'Africa, in parte dal-la Spagna, oltre 4.000 cavalieri numidi e quaranta ele-fanti, ordinando nel tempo stesso di spingere energica-mente la guerra tanto in Italia quanto in Spagna.

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La lega offensiva tra Cartagine e la Macedonia, di cuitanto si era parlato, era stata procrastinata prima a cagio-ne dell'improvvisa morte di Antigono, poi per l'irresolu-tezza del suo successore Filippo, e per la guerra intem-pestiva da lui e dai suoi alleati Greci fatta agli Etoli(534-537=220-217). Ora soltanto, dopo la battaglia diCanne, Demetrio da Faro trovò ascolto presso Filippo,proponendo di cedere alla Macedonia i suoi possedi-menti illirici – che dovevano però essere prima tolti aiRomani – ed ora soltanto fu conchiuso il trattato fra lacorte di Pella e la repubblica cartaginese.La Macedonia si assunse l'incarico di gettare un esercitosulle coste orientali dell'Italia; in compenso le fu assicu-rata la restituzione dei possedimenti romani nell'Epiro.In Sicilia il re Gerone aveva osservato durante gli annidi pace – per quanto l'aveva potuto con sicurezza – unapolitica neutrale, e si era mostrato favorevole ai Cartagi-nesi nella difficile crisi dopo la pace con Roma, partico-larmente con somministrazioni di cereali.È certo che la nuova rottura tra Cartagine e Roma dove-va spiacergli sommamente, ma non era in grado d'impe-dirla, e quando essa si verificò, egli con ben calcolatalealtà tenne fermo per Roma. Ma ben presto (autunno538=216) questo vecchio, dopo un regno di cinquanta-quattr'anni, fu colto da morte. Il nipote e successore diquest'uomo assennato, il giovane ed inetto Geronimo,venne tosto a patti coi diplomatici cartaginesi; e non fa-cendo questi alcuna difficoltà ad assicurargli prima la

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La lega offensiva tra Cartagine e la Macedonia, di cuitanto si era parlato, era stata procrastinata prima a cagio-ne dell'improvvisa morte di Antigono, poi per l'irresolu-tezza del suo successore Filippo, e per la guerra intem-pestiva da lui e dai suoi alleati Greci fatta agli Etoli(534-537=220-217). Ora soltanto, dopo la battaglia diCanne, Demetrio da Faro trovò ascolto presso Filippo,proponendo di cedere alla Macedonia i suoi possedi-menti illirici – che dovevano però essere prima tolti aiRomani – ed ora soltanto fu conchiuso il trattato fra lacorte di Pella e la repubblica cartaginese.La Macedonia si assunse l'incarico di gettare un esercitosulle coste orientali dell'Italia; in compenso le fu assicu-rata la restituzione dei possedimenti romani nell'Epiro.In Sicilia il re Gerone aveva osservato durante gli annidi pace – per quanto l'aveva potuto con sicurezza – unapolitica neutrale, e si era mostrato favorevole ai Cartagi-nesi nella difficile crisi dopo la pace con Roma, partico-larmente con somministrazioni di cereali.È certo che la nuova rottura tra Cartagine e Roma dove-va spiacergli sommamente, ma non era in grado d'impe-dirla, e quando essa si verificò, egli con ben calcolatalealtà tenne fermo per Roma. Ma ben presto (autunno538=216) questo vecchio, dopo un regno di cinquanta-quattr'anni, fu colto da morte. Il nipote e successore diquest'uomo assennato, il giovane ed inetto Geronimo,venne tosto a patti coi diplomatici cartaginesi; e non fa-cendo questi alcuna difficoltà ad assicurargli prima la

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Sicilia fino all'antico confine cartaginese, e poi, crescen-do le sue pretese, il possesso di tutta l'isola, egli fecelega con Cartagine, ed ordinò che la flotta cartaginese,che era venuta in quelle acque per minacciare Siracusa,si riunisse con quella dei Siracusani.La situazione della flotta romana a Lilibeo, che avevagià avuto uno scontro colla seconda squadra cartaginesedistaccata presso le isole Egadi, si fece ad un tratto assaidifficile; giacchè le truppe che si trovavano in Romapronte per essere imbarcate per la Sicilia ebbero, in con-seguenza della sconfitta di Canne, un'altra e più urgentedestinazione.Ma l'avvenimento di maggiore importanza fu il princi-pio del disgregamento della federazione romana dopoaver resistito due anni difficili alle scosse della guerra.Passarono dalla parte di Annibale Arpi nell'Apulia eUgento nella Messapia, due antiche città danneggiategravemente dalle antiche colonie romane di Lucera e diBrindisi; tutte le città dei Bruzi – queste prima di tutte lealtre – ad eccezione dei Peteli e dei Cosentini, i qualidovettero esservi costretti coll'assedio; la maggior partedei Lucani; i Picentini trapiantati nelle vicinanze di Sa-lerno; gli Irpini, i Sanniti ad eccezione dei Pentri; infinee particolarmente Capua, la seconda città d'Italia, chepoteva mettere in campo 30.000 fanti e 4.000 cavalieri,il cui esempio fu tosto seguito dalle vicine città di Atellae di Calazia.

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Sicilia fino all'antico confine cartaginese, e poi, crescen-do le sue pretese, il possesso di tutta l'isola, egli fecelega con Cartagine, ed ordinò che la flotta cartaginese,che era venuta in quelle acque per minacciare Siracusa,si riunisse con quella dei Siracusani.La situazione della flotta romana a Lilibeo, che avevagià avuto uno scontro colla seconda squadra cartaginesedistaccata presso le isole Egadi, si fece ad un tratto assaidifficile; giacchè le truppe che si trovavano in Romapronte per essere imbarcate per la Sicilia ebbero, in con-seguenza della sconfitta di Canne, un'altra e più urgentedestinazione.Ma l'avvenimento di maggiore importanza fu il princi-pio del disgregamento della federazione romana dopoaver resistito due anni difficili alle scosse della guerra.Passarono dalla parte di Annibale Arpi nell'Apulia eUgento nella Messapia, due antiche città danneggiategravemente dalle antiche colonie romane di Lucera e diBrindisi; tutte le città dei Bruzi – queste prima di tutte lealtre – ad eccezione dei Peteli e dei Cosentini, i qualidovettero esservi costretti coll'assedio; la maggior partedei Lucani; i Picentini trapiantati nelle vicinanze di Sa-lerno; gli Irpini, i Sanniti ad eccezione dei Pentri; infinee particolarmente Capua, la seconda città d'Italia, chepoteva mettere in campo 30.000 fanti e 4.000 cavalieri,il cui esempio fu tosto seguito dalle vicine città di Atellae di Calazia.

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Il partito della nobiltà, legato per molti rapporti ai roma-ni, fece senza dubbio da per tutto, e particolarmente inCapua, una seria opposizione a tale cambiamento di par-tito, e le ostinate lotte interne che ne derivarono, scema-rono non poco il vantaggio che Annibale ne poteva trar-re. Egli si vide, per esempio, costretto a Capua a far ar-restare e condurre a Cartagine uno dei capi del partitodella nobiltà, Decio Magio, il quale, anche dopol'ingresso dei Cartaginesi, continuava a propugnare osti-natamente l'alleanza romana, offrendo così l'incomodaprova di come si dovessero apprezzare le promesse di li-bertà ed autonomia solennemente fatte dal generale car-taginese ai Campani.I Greci dell'Italia meridionale invece si tenevano fedelialla federazione romana; al che, naturalmente, contribui-vano anche i presidii romani e più di essi la decisa anti-patia dei Greci per i Cartaginesi, nonchè pei loro nuovialleati, Lucani e Bruzi, e il loro attaccamento per Roma,la quale aveva sempre colto ogni occasione per dimo-strare con i fatti la sua simpatia per i Greci e aveva ma-nifestato una insolita benevolenza verso i medesimi inItalia.Così i Greci della Campania, e particolarmente di Napo-li, resistettero coraggiosamente agli attacchi di Annibalein persona; e lo stesso fecero nella Magna Grecia, mal-grado la pericolosa loro posizione, Reggio, Turio, Meta-ponto e Taranto. Crotone e Locri invece furono l'unapresa d'assalto, l'altra costretta a capitolare dai Bruzi e

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Il partito della nobiltà, legato per molti rapporti ai roma-ni, fece senza dubbio da per tutto, e particolarmente inCapua, una seria opposizione a tale cambiamento di par-tito, e le ostinate lotte interne che ne derivarono, scema-rono non poco il vantaggio che Annibale ne poteva trar-re. Egli si vide, per esempio, costretto a Capua a far ar-restare e condurre a Cartagine uno dei capi del partitodella nobiltà, Decio Magio, il quale, anche dopol'ingresso dei Cartaginesi, continuava a propugnare osti-natamente l'alleanza romana, offrendo così l'incomodaprova di come si dovessero apprezzare le promesse di li-bertà ed autonomia solennemente fatte dal generale car-taginese ai Campani.I Greci dell'Italia meridionale invece si tenevano fedelialla federazione romana; al che, naturalmente, contribui-vano anche i presidii romani e più di essi la decisa anti-patia dei Greci per i Cartaginesi, nonchè pei loro nuovialleati, Lucani e Bruzi, e il loro attaccamento per Roma,la quale aveva sempre colto ogni occasione per dimo-strare con i fatti la sua simpatia per i Greci e aveva ma-nifestato una insolita benevolenza verso i medesimi inItalia.Così i Greci della Campania, e particolarmente di Napo-li, resistettero coraggiosamente agli attacchi di Annibalein persona; e lo stesso fecero nella Magna Grecia, mal-grado la pericolosa loro posizione, Reggio, Turio, Meta-ponto e Taranto. Crotone e Locri invece furono l'unapresa d'assalto, l'altra costretta a capitolare dai Bruzi e

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Cartaginesi riuniti; i Crotoniati furono condotti a Locri equella importante stazione marittima venne poscia occu-pata da coloni bruzi.Inutile dire che le città latine dell'Italia meridionale,come Brindisi, Venosa, Pesto, Cosa e Cales tennero sal-dissimamente con Roma. Poichè esse erano le cittadelleedificate dai conquistatori per tener soggetto il paese,sul suolo tolto agli antichi abitanti, se Annibale avessemantenuto la data parola di restituire ad ogni comuneitaliano gli antichi confini, esse sarebbero state le primea sentirne gli effetti.Lo stesso si poteva dire di tutta l'Italia centrale, l'anti-chissima sede della dominazione romana, dove già pre-valevano la lingua e i costumi romani e dove tutti siconsideravano soci, non sudditi dei dominatori.Gli avversari di Annibale nel senato cartaginese nonmancavano di far osservare che nemmeno un cittadinoromano e nemmeno un comune latino si era gettato nel-le braccia di Cartagine. Questo edifizio della potenza ro-mana, al pari d'un muro ciclopico, non poteva essere ro-vinato che blocco per blocco.

12. Contegno dei Romani.Queste furono le conseguenze della giornata di Canne,in cui perì il fiore dei soldati e degli ufficiali della fede-razione, un settimo degli Italiani atti alle armi. Fu unacrudele, ma giusta punizione dei gravi errori politici di

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Cartaginesi riuniti; i Crotoniati furono condotti a Locri equella importante stazione marittima venne poscia occu-pata da coloni bruzi.Inutile dire che le città latine dell'Italia meridionale,come Brindisi, Venosa, Pesto, Cosa e Cales tennero sal-dissimamente con Roma. Poichè esse erano le cittadelleedificate dai conquistatori per tener soggetto il paese,sul suolo tolto agli antichi abitanti, se Annibale avessemantenuto la data parola di restituire ad ogni comuneitaliano gli antichi confini, esse sarebbero state le primea sentirne gli effetti.Lo stesso si poteva dire di tutta l'Italia centrale, l'anti-chissima sede della dominazione romana, dove già pre-valevano la lingua e i costumi romani e dove tutti siconsideravano soci, non sudditi dei dominatori.Gli avversari di Annibale nel senato cartaginese nonmancavano di far osservare che nemmeno un cittadinoromano e nemmeno un comune latino si era gettato nel-le braccia di Cartagine. Questo edifizio della potenza ro-mana, al pari d'un muro ciclopico, non poteva essere ro-vinato che blocco per blocco.

12. Contegno dei Romani.Queste furono le conseguenze della giornata di Canne,in cui perì il fiore dei soldati e degli ufficiali della fede-razione, un settimo degli Italiani atti alle armi. Fu unacrudele, ma giusta punizione dei gravi errori politici di

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cui non soltanto alcuni stolti e miserabili individui, matutti i cittadini romani si erano resi colpevoli.La costituzione formata per la piccola città di provincianon poteva più, in nessun modo, adattarsi alla grandepotenza.Era impossibile, per esempio, far decidere ogni anno lascelta del supremo comandante degli eserciti della re-pubblica da quel vaso di Pandora ch'era l'urna elettorale.Ma siccome non si poteva dar mano in quel momento aduna revisione fondamentale della costituzione, quandopure fosse stato possibile farlo, non restava altro che la-sciare alla sola magistratura capace, cioè al senato, la di-rezione della guerra e particolarmente la concessione ela proroga del comando, riservando ai comizi soltanto lasanzione formale.I brillanti successi degli Scipioni nel difficile teatro del-la guerra spagnuola provarono ciò che si poteva ottenerecon un tal sistema. Ma la demagogia politica, che giàandava rodendo le fondamenta dell'edificio aristocraticodella costituzione, si era ormai impossessata della dire-zione della guerra; la stolta accusa, che i grandi cospira-vano coi nemici esterni, aveva fatto impressionesull'animo del «popolo». In conseguenza di che i Mes-sia, dai quali la cieca fede popolare si attendeva la salu-te, Gaio Flaminio e Varrone, «uomini nuovi» e amici delpopolo a tutta prova, erano stati incaricati dalla stessafolla dell'esecuzione dei piani di guerra sviluppati nelforo romano in mezzo agli applausi della medesima. I

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cui non soltanto alcuni stolti e miserabili individui, matutti i cittadini romani si erano resi colpevoli.La costituzione formata per la piccola città di provincianon poteva più, in nessun modo, adattarsi alla grandepotenza.Era impossibile, per esempio, far decidere ogni anno lascelta del supremo comandante degli eserciti della re-pubblica da quel vaso di Pandora ch'era l'urna elettorale.Ma siccome non si poteva dar mano in quel momento aduna revisione fondamentale della costituzione, quandopure fosse stato possibile farlo, non restava altro che la-sciare alla sola magistratura capace, cioè al senato, la di-rezione della guerra e particolarmente la concessione ela proroga del comando, riservando ai comizi soltanto lasanzione formale.I brillanti successi degli Scipioni nel difficile teatro del-la guerra spagnuola provarono ciò che si poteva ottenerecon un tal sistema. Ma la demagogia politica, che giàandava rodendo le fondamenta dell'edificio aristocraticodella costituzione, si era ormai impossessata della dire-zione della guerra; la stolta accusa, che i grandi cospira-vano coi nemici esterni, aveva fatto impressionesull'animo del «popolo». In conseguenza di che i Mes-sia, dai quali la cieca fede popolare si attendeva la salu-te, Gaio Flaminio e Varrone, «uomini nuovi» e amici delpopolo a tutta prova, erano stati incaricati dalla stessafolla dell'esecuzione dei piani di guerra sviluppati nelforo romano in mezzo agli applausi della medesima. I

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risultati ne furono le battaglie del Trasimeno e di Canne.Il senato, il quale, come è facile immaginare, compren-deva meglio ora il suo compito che non quando richia-mava dall'Africa metà dell'esercito di Regolo, preten-dendo la direzione degli affari e opponendosi a questieccessi, compiva il suo dovere; ma esso pure non avevaagito spassionatamente allorchè la prima delle anzidettesconfitte gli aveva dato momentaneamente nelle mani leredini del governo.Per quanto Quinto Fabio non possa venir paragonato aquei Cleoni romani(29), pure anch'egli aveva condotta laguerra non soltanto da soldato, ma anche da avversariopolitico di Gaio Flaminio; e in un tempo, in cui era piùche mai necessaria l'unione, aveva fatto di tutto per su-scitare dissensi. La prima conseguenza ne fu che la dit-tatura, lo strumento più importante che il senno degliantenati, appunto per simili casi, aveva posto nelle manidel senato, si ruppe fra le sue mani; la seconda, la batta-glia di Canne.Il precipitoso tracollo toccato alla potenza romana nonfu cagionato nè da Quinto Fabio, nè da Marco Varrone,ma dalla diffidenza che regnava tra governanti e gover-nati, dalla disunione tra il senato e la borghesia. Se v'eraancora possibilità di salvezza e di risollevamento per lostato, questo doveva incominciare all'interno col ristabi-

29 Cleone, figlio di un conciapelli, demagogo ateniese e capo d'un partito dioratori corrotti, comandò in luogo di Nicia e morì nella battaglia pressoAnfipoli.

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risultati ne furono le battaglie del Trasimeno e di Canne.Il senato, il quale, come è facile immaginare, compren-deva meglio ora il suo compito che non quando richia-mava dall'Africa metà dell'esercito di Regolo, preten-dendo la direzione degli affari e opponendosi a questieccessi, compiva il suo dovere; ma esso pure non avevaagito spassionatamente allorchè la prima delle anzidettesconfitte gli aveva dato momentaneamente nelle mani leredini del governo.Per quanto Quinto Fabio non possa venir paragonato aquei Cleoni romani(29), pure anch'egli aveva condotta laguerra non soltanto da soldato, ma anche da avversariopolitico di Gaio Flaminio; e in un tempo, in cui era piùche mai necessaria l'unione, aveva fatto di tutto per su-scitare dissensi. La prima conseguenza ne fu che la dit-tatura, lo strumento più importante che il senno degliantenati, appunto per simili casi, aveva posto nelle manidel senato, si ruppe fra le sue mani; la seconda, la batta-glia di Canne.Il precipitoso tracollo toccato alla potenza romana nonfu cagionato nè da Quinto Fabio, nè da Marco Varrone,ma dalla diffidenza che regnava tra governanti e gover-nati, dalla disunione tra il senato e la borghesia. Se v'eraancora possibilità di salvezza e di risollevamento per lostato, questo doveva incominciare all'interno col ristabi-

29 Cleone, figlio di un conciapelli, demagogo ateniese e capo d'un partito dioratori corrotti, comandò in luogo di Nicia e morì nella battaglia pressoAnfipoli.

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lire l'unione e la fiducia.L'aver compreso ciò, è quello che più importa, l'averlofatto e averlo fatto sopprimendo ogni sia pur giusta re-criminazione, è splendido ed imperituro onore del sena-to romano.Allorchè Varrone – il solo di tutti i generali che avevanocomandato nella battaglia – ritornò a Roma ed i senatoriromani andarono ad incontrarlo sino alla porta e lo rin-graziarono perchè non avesse disperato della salvezzadella patria, non erano queste nè frasi vuote per nascon-dere la miseria colle grandi parole, nè beffe amare fattead un meschino: era la pace conchiusa tra il governo edi governati.Dinanzi alla gravità del momento ed alla serietà di un si-mile appello ammutolì la ciancia dei demagoghi ed'allora in poi in Roma a null'altro si pensò che al mododi supplire alle gravissime necessità.Quinto Fabio, il cui tenace coraggio in questo decisivomomento fu di maggior giovamento allo stato che nontutte le sue gesta militari, e gli altri senatori ragguarde-voli precedevano in tutto col loro esempio e ridonavanoai cittadini la fiducia in sè e nell'avvenire.Il senato conservò la propria fermezza e dignità benchèda tutte le parti accorressero a Roma messaggeri collenotizie delle perdute battaglie, della defezione dei fede-rati, della cattura di distaccamenti di truppe e di magaz-zini e per chiedere rinforzi da spedirsi nella valle del Po

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lire l'unione e la fiducia.L'aver compreso ciò, è quello che più importa, l'averlofatto e averlo fatto sopprimendo ogni sia pur giusta re-criminazione, è splendido ed imperituro onore del sena-to romano.Allorchè Varrone – il solo di tutti i generali che avevanocomandato nella battaglia – ritornò a Roma ed i senatoriromani andarono ad incontrarlo sino alla porta e lo rin-graziarono perchè non avesse disperato della salvezzadella patria, non erano queste nè frasi vuote per nascon-dere la miseria colle grandi parole, nè beffe amare fattead un meschino: era la pace conchiusa tra il governo edi governati.Dinanzi alla gravità del momento ed alla serietà di un si-mile appello ammutolì la ciancia dei demagoghi ed'allora in poi in Roma a null'altro si pensò che al mododi supplire alle gravissime necessità.Quinto Fabio, il cui tenace coraggio in questo decisivomomento fu di maggior giovamento allo stato che nontutte le sue gesta militari, e gli altri senatori ragguarde-voli precedevano in tutto col loro esempio e ridonavanoai cittadini la fiducia in sè e nell'avvenire.Il senato conservò la propria fermezza e dignità benchèda tutte le parti accorressero a Roma messaggeri collenotizie delle perdute battaglie, della defezione dei fede-rati, della cattura di distaccamenti di truppe e di magaz-zini e per chiedere rinforzi da spedirsi nella valle del Po

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ed in Sicilia, mentre l'Italia era abbandonata, e Romastessa quasi senza presidio.Fu vietato l'affollarsi della moltitudine alle porte dellacittà: ai vagabondi ed alle donne fu imposto di tenersi incasa, il lutto per gli estinti venne limitato a trenta giorni,affinchè il servizio degli dei giocondi, dal quale eranoesclusi coloro che vestivano a bruno, non venisse troppolungamente interrotto, poichè era così grande il numerodei caduti che in quasi tutte le famiglie se ne sentivano icompianti.Quelli che erano scampati all'eccidio erano stati raccoltiin Canusio da due valorosi tribuni militari, Appio Clau-dio e Publio Scipione figlio, il quale, col fiero suo entu-siasmo e con le spade minacciose dei suoi fidi, seppe farcambiare pensiero a quei giovani signori i quali, col co-modo pretesto della non più sperata salvezza della pa-tria, avevano in animo di fuggire al di là del mare. Aquesti residui si unì con un pugno d'uomini il consoleMarco Varrone; a poco a poco si raggranellarono pres-sochè due legioni che per ordine del senato venneroriorganizzate e degradate, venendo costrette a serviziodisonorato e gratuito.L'inetto comandante fu con un plausibile pretesto richia-mato a Roma; il pretore Marco Claudio Marcello, uomosperimentato nelle guerre galliche, e che era stato desti-nato a partire colla flotta da Ostia alla volta della Sicilia,assunse il supremo comando. Si impiegarono le estremerisorse per organizzare un esercito atto a combattere.

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ed in Sicilia, mentre l'Italia era abbandonata, e Romastessa quasi senza presidio.Fu vietato l'affollarsi della moltitudine alle porte dellacittà: ai vagabondi ed alle donne fu imposto di tenersi incasa, il lutto per gli estinti venne limitato a trenta giorni,affinchè il servizio degli dei giocondi, dal quale eranoesclusi coloro che vestivano a bruno, non venisse troppolungamente interrotto, poichè era così grande il numerodei caduti che in quasi tutte le famiglie se ne sentivano icompianti.Quelli che erano scampati all'eccidio erano stati raccoltiin Canusio da due valorosi tribuni militari, Appio Clau-dio e Publio Scipione figlio, il quale, col fiero suo entu-siasmo e con le spade minacciose dei suoi fidi, seppe farcambiare pensiero a quei giovani signori i quali, col co-modo pretesto della non più sperata salvezza della pa-tria, avevano in animo di fuggire al di là del mare. Aquesti residui si unì con un pugno d'uomini il consoleMarco Varrone; a poco a poco si raggranellarono pres-sochè due legioni che per ordine del senato venneroriorganizzate e degradate, venendo costrette a serviziodisonorato e gratuito.L'inetto comandante fu con un plausibile pretesto richia-mato a Roma; il pretore Marco Claudio Marcello, uomosperimentato nelle guerre galliche, e che era stato desti-nato a partire colla flotta da Ostia alla volta della Sicilia,assunse il supremo comando. Si impiegarono le estremerisorse per organizzare un esercito atto a combattere.

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S'invitarono i Latini a venire in aiuto nel comune peri-colo. Roma stessa precedè coll'esempio chiamando sottole armi tutti gli uomini, sino i giovinetti, armando i pri-gionieri per debiti e i delinquenti, e incorporandonell'esercito persino ottomila schiavi comperati col de-naro dello stato.Mancando le armi, si tolsero dai templi quelle prove-nienti dagli antichi bottini, tutte le fabbriche e tutte leofficine furono poste in attività. Il senato fu completato,non già coll'elemento latino, come lo volevano i timidipatrioti, ma con cittadini romani che vi avevano mag-gior diritto.Annibale propose il riscatto dei prigionieri a spese delpubblico tesoro; l'offerta fu respinta e non si lasciò nem-meno entrare in città l'ambasciatore cartaginese inviato-vi a tale scopo: non vi doveva essere nemmeno l'appa-renza che il senato pensasse alla pace. Non solo gli al-leati non dovevano credere che Roma si disponesse atransigere, ma doveva essere chiaro anche all'ultimo deicittadini che per lui e per tutti gli altri, la pace era im-possibile e la salvezza dipendeva solo dalla vittoria.

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S'invitarono i Latini a venire in aiuto nel comune peri-colo. Roma stessa precedè coll'esempio chiamando sottole armi tutti gli uomini, sino i giovinetti, armando i pri-gionieri per debiti e i delinquenti, e incorporandonell'esercito persino ottomila schiavi comperati col de-naro dello stato.Mancando le armi, si tolsero dai templi quelle prove-nienti dagli antichi bottini, tutte le fabbriche e tutte leofficine furono poste in attività. Il senato fu completato,non già coll'elemento latino, come lo volevano i timidipatrioti, ma con cittadini romani che vi avevano mag-gior diritto.Annibale propose il riscatto dei prigionieri a spese delpubblico tesoro; l'offerta fu respinta e non si lasciò nem-meno entrare in città l'ambasciatore cartaginese inviato-vi a tale scopo: non vi doveva essere nemmeno l'appa-renza che il senato pensasse alla pace. Non solo gli al-leati non dovevano credere che Roma si disponesse atransigere, ma doveva essere chiaro anche all'ultimo deicittadini che per lui e per tutti gli altri, la pace era im-possibile e la salvezza dipendeva solo dalla vittoria.

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SESTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: DA CANNE

A ZAMA

1. La crisi.Lo scopo della discesa d'Annibale in Italia era stato loscioglimento della federazione italica; esso era raggiun-to per quanto poteva esserlo dopo tre campagne.Era evidente che i comuni greci ed i latini o latinizzati, iquali non s'erano smarriti per la giornata di Canne, nonavrebbero ceduto al timore, ma soltanto alla forza; ed ilcoraggio disperato, con cui persino alcune piccole cittàdi provincia, come per esempio Petelia nel Bruzio, si di-fendevano contro il generale cartaginese senza alcunasperanza di salvezza, provava assai chiaramente ciò chequesti doveva attendersi dai Marsi e dai Latini.Se Annibale aveva calcolato di ottenere qualche cosa dipiù e di condurre anche i Latini contro Roma, queste suesperanze si dimostrarono vane.Pare che nemmeno negli altri territori la coalizione ita-liana contro Roma abbia dato ad Annibale i risultati cheegli s'attendeva. Capua aveva pattuito che Annibale nondovesse avere il diritto di chiamare forzatamente sotto learmi i cittadini della Campania; quei cittadini non ave-vano dimenticato il contegno di Pirro a Taranto, e crede-vano stoltamente di poter sottrarsi nello stesso tempo

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SESTO CAPITOLOGUERRA ANNIBALICA: DA CANNE

A ZAMA

1. La crisi.Lo scopo della discesa d'Annibale in Italia era stato loscioglimento della federazione italica; esso era raggiun-to per quanto poteva esserlo dopo tre campagne.Era evidente che i comuni greci ed i latini o latinizzati, iquali non s'erano smarriti per la giornata di Canne, nonavrebbero ceduto al timore, ma soltanto alla forza; ed ilcoraggio disperato, con cui persino alcune piccole cittàdi provincia, come per esempio Petelia nel Bruzio, si di-fendevano contro il generale cartaginese senza alcunasperanza di salvezza, provava assai chiaramente ciò chequesti doveva attendersi dai Marsi e dai Latini.Se Annibale aveva calcolato di ottenere qualche cosa dipiù e di condurre anche i Latini contro Roma, queste suesperanze si dimostrarono vane.Pare che nemmeno negli altri territori la coalizione ita-liana contro Roma abbia dato ad Annibale i risultati cheegli s'attendeva. Capua aveva pattuito che Annibale nondovesse avere il diritto di chiamare forzatamente sotto learmi i cittadini della Campania; quei cittadini non ave-vano dimenticato il contegno di Pirro a Taranto, e crede-vano stoltamente di poter sottrarsi nello stesso tempo

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alla dominazione romana ed a quella dei Cartaginesi.Il Sannio e la Lucania non erano più quali al tempo incui Pirro pensava di entrare in Roma alla testa della gio-ventù sabellica. Non solo la rete delle fortezze romanetoglieva a quelle province ogni vigore, ma il dominioromano, che durava da tanti anni, aveva distolto gli abi-tanti dal miraggio delle armi tanto più che il contingenteda essi somministrato agli eserciti romani era assai te-nue; il tempo aveva calmato l'antico odio e legato ovun-que un numero straordinario d'individui agli interessidel comune dominante.Il paese aderì bensì al vincitore dei Romani allorquandola causa di Roma sembrava perduta, ma comprese chenon si trattava di acquistare più la libertà, ma di cambia-re un padrone italico con un padrone cartaginese, equindi non l'entusiasmo, ma la pusillanimità gettò i co-muni sabellici nelle braccia del vincitore.Per queste circostanze la guerra d'Italia non procedeva.Annibale, il quale occupava la parte meridionale dellapenisola sino al Volturno ed al Gargano, e non potendoabbandonare senz'altro questo paese, come aveva fattodi quello dei Celti, doveva adesso anch'egli sorvegliareun confine che non poteva essere lasciato impunementescoperto e per difendere i paesi conquistati dalle fortez-ze che da ogni parte li minacciavano, e dagli eserciti chearrivavano dal settentrione, e nello stesso tempo prende-re la difficile offensiva contro l'Italia centrale, non ba-stavano affatto le forze di cui esso disponeva e che som-

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alla dominazione romana ed a quella dei Cartaginesi.Il Sannio e la Lucania non erano più quali al tempo incui Pirro pensava di entrare in Roma alla testa della gio-ventù sabellica. Non solo la rete delle fortezze romanetoglieva a quelle province ogni vigore, ma il dominioromano, che durava da tanti anni, aveva distolto gli abi-tanti dal miraggio delle armi tanto più che il contingenteda essi somministrato agli eserciti romani era assai te-nue; il tempo aveva calmato l'antico odio e legato ovun-que un numero straordinario d'individui agli interessidel comune dominante.Il paese aderì bensì al vincitore dei Romani allorquandola causa di Roma sembrava perduta, ma comprese chenon si trattava di acquistare più la libertà, ma di cambia-re un padrone italico con un padrone cartaginese, equindi non l'entusiasmo, ma la pusillanimità gettò i co-muni sabellici nelle braccia del vincitore.Per queste circostanze la guerra d'Italia non procedeva.Annibale, il quale occupava la parte meridionale dellapenisola sino al Volturno ed al Gargano, e non potendoabbandonare senz'altro questo paese, come aveva fattodi quello dei Celti, doveva adesso anch'egli sorvegliareun confine che non poteva essere lasciato impunementescoperto e per difendere i paesi conquistati dalle fortez-ze che da ogni parte li minacciavano, e dagli eserciti chearrivavano dal settentrione, e nello stesso tempo prende-re la difficile offensiva contro l'Italia centrale, non ba-stavano affatto le forze di cui esso disponeva e che som-

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mavano a 40.000 uomini, non compresi i contingentiitalici.

2. Marcello.Ma, ciò che più importava, egli doveva combattere conaltri avversari.Ammaestrati da terribili esperienze, i Romani adottaro-no un più giudizioso sistema di guerreggiare, mettendoalla testa degli eserciti soltanto uomini sperimentati e la-sciandoveli, quando la necessità lo imponeva, oltre iltempo stabilito dalle leggi.E questi uomini, se non si accontentavano di osservaredall'alto dei monti i movimenti dei nemici, non si getta-vano nemmeno ciecamente sul nemico ovunque fosse,ma tenevano il giusto mezzo fra il temporeggiamento el'impazienza, e, prendendo posizione in campi trinceratisotto la protezione delle fortezze, accettavano battagliasoltanto quando si offriva con prospettive favorevoli, ela sconfitta non potesse, comunque, esser seguita dallosterminio.L'anima di questo nuovo sistema di guerreggiare fuMarco Claudio Marcello. Dopo la fatale giornata diCanne, tanto il senato quanto il popolo avevano assen-natamente volti gli sguardi a questo valoroso ed espertocapitano conferendogli immediatamente il supremo co-mando.Egli aveva appreso il mestiere delle armi nella difficile

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mavano a 40.000 uomini, non compresi i contingentiitalici.

2. Marcello.Ma, ciò che più importava, egli doveva combattere conaltri avversari.Ammaestrati da terribili esperienze, i Romani adottaro-no un più giudizioso sistema di guerreggiare, mettendoalla testa degli eserciti soltanto uomini sperimentati e la-sciandoveli, quando la necessità lo imponeva, oltre iltempo stabilito dalle leggi.E questi uomini, se non si accontentavano di osservaredall'alto dei monti i movimenti dei nemici, non si getta-vano nemmeno ciecamente sul nemico ovunque fosse,ma tenevano il giusto mezzo fra il temporeggiamento el'impazienza, e, prendendo posizione in campi trinceratisotto la protezione delle fortezze, accettavano battagliasoltanto quando si offriva con prospettive favorevoli, ela sconfitta non potesse, comunque, esser seguita dallosterminio.L'anima di questo nuovo sistema di guerreggiare fuMarco Claudio Marcello. Dopo la fatale giornata diCanne, tanto il senato quanto il popolo avevano assen-natamente volti gli sguardi a questo valoroso ed espertocapitano conferendogli immediatamente il supremo co-mando.Egli aveva appreso il mestiere delle armi nella difficile

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guerra siciliana contro Amilcare, ed aveva provato lumi-nosamente il suo talento come capitano non meno che ilsuo valore personale nelle ultime campagne contro iCelti. Benchè vicino ai sessant'anni, era ancora pieno diardore marziale e pochi anni prima, essendo a capod'una spedizione, aveva rovesciato da cavallo il coman-dante nemico, primo ed unico console romano cui riu-scisse un tal fatto d'arme.La sua vita era veramente consacrata alle due divinità, acui aveva fatto erigere il magnifico tempio a porta Ca-pena: all'Onore ed al Valore. Chè, se la liberazione diRoma dall'estremo pericolo non si deve attribuire ad unsolo, ma a tutti i cittadini romani in generale ed in modoparticolare al senato, nessuno ha però contribuito tanto arestaurare il comune edificio quanto Claudio Marcello.Dal campo di battaglia, Annibale si diresse nella Cam-pania.Egli conosceva Roma meglio di quei sempliciotti i qua-li, nei passati tempi e nei presenti, si sono immaginatiche egli, con una marcia verso la capitale nemica,avrebbe potuto concludere rapidamente la sua impresa.L'arte militare dei nostri tempi decide l'esito della guerrasul campo di battaglia, ma nei tempi antichi, in cui laguerra d'assedio contro una fortezza era assai meno svi-luppata che il sistema difensivo, il più brillante successoottenuto sul campo di battaglia infinite volte si eclissòcontro le mura della città capitale.

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guerra siciliana contro Amilcare, ed aveva provato lumi-nosamente il suo talento come capitano non meno che ilsuo valore personale nelle ultime campagne contro iCelti. Benchè vicino ai sessant'anni, era ancora pieno diardore marziale e pochi anni prima, essendo a capod'una spedizione, aveva rovesciato da cavallo il coman-dante nemico, primo ed unico console romano cui riu-scisse un tal fatto d'arme.La sua vita era veramente consacrata alle due divinità, acui aveva fatto erigere il magnifico tempio a porta Ca-pena: all'Onore ed al Valore. Chè, se la liberazione diRoma dall'estremo pericolo non si deve attribuire ad unsolo, ma a tutti i cittadini romani in generale ed in modoparticolare al senato, nessuno ha però contribuito tanto arestaurare il comune edificio quanto Claudio Marcello.Dal campo di battaglia, Annibale si diresse nella Cam-pania.Egli conosceva Roma meglio di quei sempliciotti i qua-li, nei passati tempi e nei presenti, si sono immaginatiche egli, con una marcia verso la capitale nemica,avrebbe potuto concludere rapidamente la sua impresa.L'arte militare dei nostri tempi decide l'esito della guerrasul campo di battaglia, ma nei tempi antichi, in cui laguerra d'assedio contro una fortezza era assai meno svi-luppata che il sistema difensivo, il più brillante successoottenuto sul campo di battaglia infinite volte si eclissòcontro le mura della città capitale.

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Il senato e la borghesia di Cartagine non reggevano alparagone del senato e del popolo di Roma; il pericolo incui versava Cartagine dopo la prima campagna di Rego-lo era molto più grave che non quello di Roma dopo labattaglia di Canne; eppure Cartagine aveva resistito einfine trionfato. Come dunque si poteva credere conqualche fondamento che Roma offrirebbe le sue chiavial vincitore, od accetterebbe soltanto una pace equa?Invece di compromettere risultati possibili ed importanticon simili vane dimostrazioni, o perdere un tempo pre-zioso assediando qualche migliaio di fuggiaschi romania Canusio, Annibale si era recato immediatamente a Ca-pua prima che i Romani vi potessero introdurre un pre-sidio, e coll'avvicinarsi aveva, vincendo una lunga esita-zione, indotto questa seconda città d'Italia a passare dal-la sua parte.Egli sperava, una volta padrone di Capua, di potersi im-padronire d'uno dei porti della Campania per lo sbarcodei rinforzi che, per le sue segnalate vittorie, il partitodella opposizione in Cartagine era stato costretto ad ac-cordargli.

3. Ripresa della guerra.Allorchè i Romani conobbero la direzione presa da An-nibale, abbandonarono essi pure l'Apulia, lasciandovisoltanto una debole divisione, e raccolsero sulla spondadestra del Volturno le forze che erano loro rimaste.

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Il senato e la borghesia di Cartagine non reggevano alparagone del senato e del popolo di Roma; il pericolo incui versava Cartagine dopo la prima campagna di Rego-lo era molto più grave che non quello di Roma dopo labattaglia di Canne; eppure Cartagine aveva resistito einfine trionfato. Come dunque si poteva credere conqualche fondamento che Roma offrirebbe le sue chiavial vincitore, od accetterebbe soltanto una pace equa?Invece di compromettere risultati possibili ed importanticon simili vane dimostrazioni, o perdere un tempo pre-zioso assediando qualche migliaio di fuggiaschi romania Canusio, Annibale si era recato immediatamente a Ca-pua prima che i Romani vi potessero introdurre un pre-sidio, e coll'avvicinarsi aveva, vincendo una lunga esita-zione, indotto questa seconda città d'Italia a passare dal-la sua parte.Egli sperava, una volta padrone di Capua, di potersi im-padronire d'uno dei porti della Campania per lo sbarcodei rinforzi che, per le sue segnalate vittorie, il partitodella opposizione in Cartagine era stato costretto ad ac-cordargli.

3. Ripresa della guerra.Allorchè i Romani conobbero la direzione presa da An-nibale, abbandonarono essi pure l'Apulia, lasciandovisoltanto una debole divisione, e raccolsero sulla spondadestra del Volturno le forze che erano loro rimaste.

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Marcello si recò a Teano Sedicino, ove fece venire daRoma e da Ostia tutte le truppe che si poterono raduna-re, e, mentre il dittatore Marco Giunio lo seguiva lenta-mente coll'armata principale, nuovamente formata ingran fretta, egli si spinse sino a Casilino sul Volturno,per salvare possibilmente Capua.Essa era già in potere del nemico, ma i tentativi che que-sti aveva fatto per avere anche Napoli, andarono fallitiper la coraggiosa resistenza di quei cittadini, ed i Roma-ni giunsero ancora in tempo per stabilire un presidio inquel ragguardevole porto di mare. Egualmente fedeli aRoma si serbarono le altre due città marittime di Cuma eNocera. A Nola era incerta la lotta tra il partito del po-polo e quello del senato per unirsi ai Cartaginesi o rima-nere coi Romani. Informato che prevaleva il partito delpopolo, Marcello passò il fiume presso Caiazzo e, attra-verso i colli di Suessola, girando attorno all'esercito ne-mico, arrivò a Nola in tempo per garantirla dai nemiciesterni ed interni, e gli riuscì persino di respingere inuna sortita lo stesso Annibale infliggendogli una note-vole perdita.Fu questo un successo di maggiore importanza moraleche materiale, giacchè fu la prima sconfitta toccata adAnnibale.Nella Campania tuttavia Annibale conquistò le città diNocera ed Acerra e dopo un tenace assedio, che si pro-trasse sino all'anno seguente (539=215), anche Casilino,la chiave della linea del Volturno, e pronunciò contro i

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Marcello si recò a Teano Sedicino, ove fece venire daRoma e da Ostia tutte le truppe che si poterono raduna-re, e, mentre il dittatore Marco Giunio lo seguiva lenta-mente coll'armata principale, nuovamente formata ingran fretta, egli si spinse sino a Casilino sul Volturno,per salvare possibilmente Capua.Essa era già in potere del nemico, ma i tentativi che que-sti aveva fatto per avere anche Napoli, andarono fallitiper la coraggiosa resistenza di quei cittadini, ed i Roma-ni giunsero ancora in tempo per stabilire un presidio inquel ragguardevole porto di mare. Egualmente fedeli aRoma si serbarono le altre due città marittime di Cuma eNocera. A Nola era incerta la lotta tra il partito del po-polo e quello del senato per unirsi ai Cartaginesi o rima-nere coi Romani. Informato che prevaleva il partito delpopolo, Marcello passò il fiume presso Caiazzo e, attra-verso i colli di Suessola, girando attorno all'esercito ne-mico, arrivò a Nola in tempo per garantirla dai nemiciesterni ed interni, e gli riuscì persino di respingere inuna sortita lo stesso Annibale infliggendogli una note-vole perdita.Fu questo un successo di maggiore importanza moraleche materiale, giacchè fu la prima sconfitta toccata adAnnibale.Nella Campania tuttavia Annibale conquistò le città diNocera ed Acerra e dopo un tenace assedio, che si pro-trasse sino all'anno seguente (539=215), anche Casilino,la chiave della linea del Volturno, e pronunciò contro i

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membri del senato di quella città le più sanguinose con-danne perchè avevano tenuto per Roma.Ma il terrorismo fa cattiva propaganda; ai Romani riuscìdi superare con sacrifici relativamente lievi il pericolosomomento delle prime deficenze. La guerra nella Campa-nia fece sosta; poi venne l'inverno e Annibale pose isuoi quartieri in Capua, la cui mollezza certo non avràreso migliori le sue truppe che da tre anni non avevanodormito sotto un tetto.L'anno seguente (539=215) la guerra aveva già preso unaltro aspetto. L'esperto capitano Marcello e TiberioSempronio Gracco il quale, nella precedente campagna,si era distinto in qualità di maestro della cavalleria deldittatore, e finalmente il vecchio Quinto Fabio Massi-mo, il primo come proconsole e gli altri due come con-soli, si misero alla testa dei tre eserciti romani destinatia circondare Capua ed Annibale; Marcello appoggiatosu Nola e Suessola, Massimo prendendo posizione pres-so Cales sulla riva destra del Volturno, Gracco sulla co-sta presso Literno, con lo scopo di coprire Napoli eCuma.I Campani che si erano stabiliti presso Ame, a tre migliada Cuma per sorprendere i Cumani, furono battuti com-piutamente da Gracco; Annibale stesso, il quale per can-cellare l'onta sofferta a Nola era comparso presso Cuma,ebbe la peggio in un combattimento, e, non essendo sta-ta accettata la battaglia campale ch'egli aveva offerta, sene ritornò di cattivo umore a Capua.

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membri del senato di quella città le più sanguinose con-danne perchè avevano tenuto per Roma.Ma il terrorismo fa cattiva propaganda; ai Romani riuscìdi superare con sacrifici relativamente lievi il pericolosomomento delle prime deficenze. La guerra nella Campa-nia fece sosta; poi venne l'inverno e Annibale pose isuoi quartieri in Capua, la cui mollezza certo non avràreso migliori le sue truppe che da tre anni non avevanodormito sotto un tetto.L'anno seguente (539=215) la guerra aveva già preso unaltro aspetto. L'esperto capitano Marcello e TiberioSempronio Gracco il quale, nella precedente campagna,si era distinto in qualità di maestro della cavalleria deldittatore, e finalmente il vecchio Quinto Fabio Massi-mo, il primo come proconsole e gli altri due come con-soli, si misero alla testa dei tre eserciti romani destinatia circondare Capua ed Annibale; Marcello appoggiatosu Nola e Suessola, Massimo prendendo posizione pres-so Cales sulla riva destra del Volturno, Gracco sulla co-sta presso Literno, con lo scopo di coprire Napoli eCuma.I Campani che si erano stabiliti presso Ame, a tre migliada Cuma per sorprendere i Cumani, furono battuti com-piutamente da Gracco; Annibale stesso, il quale per can-cellare l'onta sofferta a Nola era comparso presso Cuma,ebbe la peggio in un combattimento, e, non essendo sta-ta accettata la battaglia campale ch'egli aveva offerta, sene ritornò di cattivo umore a Capua.

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Mentre i Romani conservavano non solo i loro possedi-menti nella Campania, ma riconquistavano Compulteriaed altre piccole piazze, giunsero ad Annibale forti la-mentele degli alleati orientali.Un esercito romano condotto dal pretore Marco Valeriosi era stabilito presso Lucera, sia per sorvegliare, di co-mune accordo colla flotta romana, la costa orientale e lemosse dei Macedoni, sia per mettere a contribuzione inunione all'esercito di Nola, gli insorti Sanniti, Lucani edIrpini.Per portare soccorso a questi popoli, Annibale si volseprima di tutto al più solerte tra i suoi avversari, Marcel-lo; ma questi riportò sotto le mura di Nola una non insi-gnificante vittoria contro l'esercito cartaginese, che fuobbligato ad abbandonare la Campania e portarsi adArpi per impedire i progressi dell'esercito nemiconell'Apulia, senza aver potuto cancellare nemmeno que-sta volta l'onta della sofferta sconfitta.Ve lo seguì Tiberio Gracco col suo corpo di truppe,mentre gli altri due eserciti stanziati nella Campania sidisponevano ad attaccare Capua nella prossima prima-vera.

4. Annibale ridotto alla difensiva.Le vittorie non avevano abbagliata la mente di Anniba-le. Egli comprendeva sempre più chiaramente che inquel modo non avrebbe raggiunta la mèta. Quelle mar-

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Mentre i Romani conservavano non solo i loro possedi-menti nella Campania, ma riconquistavano Compulteriaed altre piccole piazze, giunsero ad Annibale forti la-mentele degli alleati orientali.Un esercito romano condotto dal pretore Marco Valeriosi era stabilito presso Lucera, sia per sorvegliare, di co-mune accordo colla flotta romana, la costa orientale e lemosse dei Macedoni, sia per mettere a contribuzione inunione all'esercito di Nola, gli insorti Sanniti, Lucani edIrpini.Per portare soccorso a questi popoli, Annibale si volseprima di tutto al più solerte tra i suoi avversari, Marcel-lo; ma questi riportò sotto le mura di Nola una non insi-gnificante vittoria contro l'esercito cartaginese, che fuobbligato ad abbandonare la Campania e portarsi adArpi per impedire i progressi dell'esercito nemiconell'Apulia, senza aver potuto cancellare nemmeno que-sta volta l'onta della sofferta sconfitta.Ve lo seguì Tiberio Gracco col suo corpo di truppe,mentre gli altri due eserciti stanziati nella Campania sidisponevano ad attaccare Capua nella prossima prima-vera.

4. Annibale ridotto alla difensiva.Le vittorie non avevano abbagliata la mente di Anniba-le. Egli comprendeva sempre più chiaramente che inquel modo non avrebbe raggiunta la mèta. Quelle mar-

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cie forzate, quelle guerre combattute quasi fantastica-mente or qua, or là, cui Annibale sostanzialmente dove-va i suoi successi, più non servivano; il nemico ne erafatto accorto; e, vista la necessità della contemporaneadifesa del paese conquistato, erano quasi impossibili ul-teriori imprese.A riprendere l'offensiva non poteva pensare; difficile erala difensiva e minacciava di farsi sempre più difficile;egli non poteva nascondere a se stesso che la secondaparte del suo compito, l'assoggettamento dei Latini e laconquista di Roma non si poteva ultimare colle sole sueforze e con quelle degli alleati italici.Il compimento del suo piano dipendeva dal senato diCartagine, dal quartiere generale di Cartagena, dallecorti di Pella e di Siracusa.Se in Africa, in Spagna, in Sicilia e nella Macedoniafossero fatti d'accordo tutti gli sforzi contro il comunenemico; se la bassa Italia fosse diventata la grande piaz-za d'armi per gli eserciti e le flotte d'occidente, del mez-zodì e dell'oriente: allora egli poteva sperare di condurrefelicemente a fine ciò che l'avanguardia aveva così bril-lantemente iniziato sotto la sua direzione.La cosa più naturale e più facile sarebbe stata quella difargli pervenire da Cartagine sufficienti soccorsi, e lostato cartaginese, che era rimasto quasi immune dai di-sagi della guerra combattuta, e che da un piccolo nume-ro di risoluti patrioti, a tutto loro rischio e pericolo, era

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cie forzate, quelle guerre combattute quasi fantastica-mente or qua, or là, cui Annibale sostanzialmente dove-va i suoi successi, più non servivano; il nemico ne erafatto accorto; e, vista la necessità della contemporaneadifesa del paese conquistato, erano quasi impossibili ul-teriori imprese.A riprendere l'offensiva non poteva pensare; difficile erala difensiva e minacciava di farsi sempre più difficile;egli non poteva nascondere a se stesso che la secondaparte del suo compito, l'assoggettamento dei Latini e laconquista di Roma non si poteva ultimare colle sole sueforze e con quelle degli alleati italici.Il compimento del suo piano dipendeva dal senato diCartagine, dal quartiere generale di Cartagena, dallecorti di Pella e di Siracusa.Se in Africa, in Spagna, in Sicilia e nella Macedoniafossero fatti d'accordo tutti gli sforzi contro il comunenemico; se la bassa Italia fosse diventata la grande piaz-za d'armi per gli eserciti e le flotte d'occidente, del mez-zodì e dell'oriente: allora egli poteva sperare di condurrefelicemente a fine ciò che l'avanguardia aveva così bril-lantemente iniziato sotto la sua direzione.La cosa più naturale e più facile sarebbe stata quella difargli pervenire da Cartagine sufficienti soccorsi, e lostato cartaginese, che era rimasto quasi immune dai di-sagi della guerra combattuta, e che da un piccolo nume-ro di risoluti patrioti, a tutto loro rischio e pericolo, era

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stato dal profondo decadimento spinto così vicino allacompiuta vittoria, lo avrebbe potuto fare.Che vi fosse la possibilità di fare approdare una flottacartaginese qualsiasi presso Locri o presso Crotone, al-meno fintanto che il porto di Siracusa era aperto ai Car-taginesi e la flotta di Brindisi era tenuta in iscacco dallaMacedonia, lo prova lo sbarco effettuato senza alcunostacolo in Locri di 4000 Africani, che in quel tempoBomilcare condusse da Cartagine ad Annibale, e ancorapiù la partenza di Annibale non molestata quando tuttoera perduto.Ma, dissipata la prima impressione della vittoria di Can-ne, il partito della pace in Cartagine, sempre pronto amettere a repentaglio la salvezza della patria purchè ca-dessero i suoi avversari politici, facendo assegnamentosull'inerzia e sul poco accorgimento dei cittadini, respin-se le richieste di Annibale d'inviargli più efficaci aiuti,colla goffa e maligna risposta, ch'egli non aveva biso-gno di aiuto se era veramente vincitore; e contribuì in talmodo poco meno del senato romano alla salvezza diRoma.Educato negli accampamenti ed estraneo agli intrighidei partiti cittadini, Annibale non trovò alcun capo-popolo su cui poter fare assegnamento, come suo padrel'aveva trovato in Asdrubale, e per salvare la patria fuquindi costretto a cercare all'estero quei mezzi ch'essapur possedeva in grande abbondanza.

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stato dal profondo decadimento spinto così vicino allacompiuta vittoria, lo avrebbe potuto fare.Che vi fosse la possibilità di fare approdare una flottacartaginese qualsiasi presso Locri o presso Crotone, al-meno fintanto che il porto di Siracusa era aperto ai Car-taginesi e la flotta di Brindisi era tenuta in iscacco dallaMacedonia, lo prova lo sbarco effettuato senza alcunostacolo in Locri di 4000 Africani, che in quel tempoBomilcare condusse da Cartagine ad Annibale, e ancorapiù la partenza di Annibale non molestata quando tuttoera perduto.Ma, dissipata la prima impressione della vittoria di Can-ne, il partito della pace in Cartagine, sempre pronto amettere a repentaglio la salvezza della patria purchè ca-dessero i suoi avversari politici, facendo assegnamentosull'inerzia e sul poco accorgimento dei cittadini, respin-se le richieste di Annibale d'inviargli più efficaci aiuti,colla goffa e maligna risposta, ch'egli non aveva biso-gno di aiuto se era veramente vincitore; e contribuì in talmodo poco meno del senato romano alla salvezza diRoma.Educato negli accampamenti ed estraneo agli intrighidei partiti cittadini, Annibale non trovò alcun capo-popolo su cui poter fare assegnamento, come suo padrel'aveva trovato in Asdrubale, e per salvare la patria fuquindi costretto a cercare all'estero quei mezzi ch'essapur possedeva in grande abbondanza.

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Poteva quindi, e con maggior speranza di successo, fareassegnamento sui condottieri delle milizie nazionali inSpagna, sulle trattative iniziate a Siracusa, e sull'inter-vento di Filippo. Tutto dipendeva dall'invio di nuoveforze dalla Spagna, da Siracusa o dalla Macedonia sulteatro della guerra in Italia; e per ottenerle o impedirle sison fatte le guerre di Spagna, di Sicilia e di Grecia. Essealtro non furono che i mezzi per arrivare a quello scopo,e a torto fu attribuita a loro una maggiore importanza.Per i Romani esse erano guerre essenzialmente difensi-ve, il cui vero scopo era di mantenere i passi dei Pirenei,di tener vincolato in Grecia l'esercito macedone, di di-fendere Messina e d'impedire le relazioni fra l'Italia e laSicilia.È però facile comprendere che questa guerra difensivafu resa, appena possibile, offensiva, e che, riuscendo fa-vorevole, aveva per iscopo di scacciare i Cartaginesidalla Spagna e dalla Sicilia, e di rompere la lega di An-nibale con Siracusa e con Filippo.La guerra italica in se stessa perde la sua importanza e siriduce ad assedi di fortezze ed in scorrerie, che non in-fluiscono decisamente sull'impresa principale. Ma fino atanto che i Cartaginesi mantengono l'offensiva, l'Italiarimane però sempre il centro delle operazioni, e tutti glisforzi, tutti gl'interessi tendono a far cessare od a pro-lungare infinitamente l'isolamento di Annibale nell'Italiameridionale.

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Poteva quindi, e con maggior speranza di successo, fareassegnamento sui condottieri delle milizie nazionali inSpagna, sulle trattative iniziate a Siracusa, e sull'inter-vento di Filippo. Tutto dipendeva dall'invio di nuoveforze dalla Spagna, da Siracusa o dalla Macedonia sulteatro della guerra in Italia; e per ottenerle o impedirle sison fatte le guerre di Spagna, di Sicilia e di Grecia. Essealtro non furono che i mezzi per arrivare a quello scopo,e a torto fu attribuita a loro una maggiore importanza.Per i Romani esse erano guerre essenzialmente difensi-ve, il cui vero scopo era di mantenere i passi dei Pirenei,di tener vincolato in Grecia l'esercito macedone, di di-fendere Messina e d'impedire le relazioni fra l'Italia e laSicilia.È però facile comprendere che questa guerra difensivafu resa, appena possibile, offensiva, e che, riuscendo fa-vorevole, aveva per iscopo di scacciare i Cartaginesidalla Spagna e dalla Sicilia, e di rompere la lega di An-nibale con Siracusa e con Filippo.La guerra italica in se stessa perde la sua importanza e siriduce ad assedi di fortezze ed in scorrerie, che non in-fluiscono decisamente sull'impresa principale. Ma fino atanto che i Cartaginesi mantengono l'offensiva, l'Italiarimane però sempre il centro delle operazioni, e tutti glisforzi, tutti gl'interessi tendono a far cessare od a pro-lungare infinitamente l'isolamento di Annibale nell'Italiameridionale.

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Se dopo la battaglia presso Canne fosse stato possibileradunare immediatamente tutte le forze, sulle quali An-nibale aveva ragione di contare, egli avrebbe potuto es-sere abbastanza sicuro del successo. Ma la posizioned'Asdrubale in Spagna si era fatta appunto allora (dopola battaglia sull'Ebro) così scabrosa, che le prestazioni indenaro ed in uomini, deliberate dai cittadini di Cartaginedopo la vittoria di Canne, furono in gran parte impiegateper la Spagna, senza che tuttavia lo stato delle cose inquel paese migliorasse.Gli Scipioni nella seguente campagna trasportarono ilteatro della guerra (539=215) dall'Ebro al Guadalquivire riportarono nell'Andalusia, presso Illiturgi e Intebili, inmezzo al territorio cartaginese, due brillanti vittorie.Gli accordi presi cogli abitanti della Sardegna facevanosperare ai Cartaginesi che avrebbero potuto impadronir-si dell'isola, la quale sarebbe stata per essi di grande im-portanza come stazione intermedia tra la Spagna e l'Ita-lia. Ma Tito Manlio Torquato, che era stato spedito conun esercito romano in Sardegna, distrusse interamentel'esercito sbarcato dai Cartaginesi, ed assicurò di nuovoai Romani l'incontrastato possesso dell'isola (539=215).Le legioni di Canne, spedite in Sicilia, si mantennerocoraggiosamente nella parte settentrionale ed orientaledell'isola contro i Cartaginesi e contro Geronimo, cheverso la fine del 539=215 venne ucciso da un assassino.Persino la ratifica della lega colla Macedonia tardava ad

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Se dopo la battaglia presso Canne fosse stato possibileradunare immediatamente tutte le forze, sulle quali An-nibale aveva ragione di contare, egli avrebbe potuto es-sere abbastanza sicuro del successo. Ma la posizioned'Asdrubale in Spagna si era fatta appunto allora (dopola battaglia sull'Ebro) così scabrosa, che le prestazioni indenaro ed in uomini, deliberate dai cittadini di Cartaginedopo la vittoria di Canne, furono in gran parte impiegateper la Spagna, senza che tuttavia lo stato delle cose inquel paese migliorasse.Gli Scipioni nella seguente campagna trasportarono ilteatro della guerra (539=215) dall'Ebro al Guadalquivire riportarono nell'Andalusia, presso Illiturgi e Intebili, inmezzo al territorio cartaginese, due brillanti vittorie.Gli accordi presi cogli abitanti della Sardegna facevanosperare ai Cartaginesi che avrebbero potuto impadronir-si dell'isola, la quale sarebbe stata per essi di grande im-portanza come stazione intermedia tra la Spagna e l'Ita-lia. Ma Tito Manlio Torquato, che era stato spedito conun esercito romano in Sardegna, distrusse interamentel'esercito sbarcato dai Cartaginesi, ed assicurò di nuovoai Romani l'incontrastato possesso dell'isola (539=215).Le legioni di Canne, spedite in Sicilia, si mantennerocoraggiosamente nella parte settentrionale ed orientaledell'isola contro i Cartaginesi e contro Geronimo, cheverso la fine del 539=215 venne ucciso da un assassino.Persino la ratifica della lega colla Macedonia tardava ad

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arrivare, specialmente perchè gli ambasciatori macedoniinviati ad Annibale erano stati nel loro ritorno fatti pri-gionieri dalle navi da guerra dei Romani.Così fu improvvisamente sospesa la temuta invasionedella costa orientale, e i Romani guadagnarono tempoper assicurare l'importantissima stazione di Brindisi pri-ma colla flotta, poi coll'esercito di terra, destinato primadell'arrivo di Gracco a coprire l'Apulia, e, in caso di unadichiarazione di guerra, a predisporre persino un'inva-sione nella Macedonia.Mentre in Italia la guerra aveva fatto sosta, nulla si fecefuori d'Italia per parte dei Cartaginesi per inviare al piùpresto nella penisola nuove truppe e nuove flotte.Da parte dei Romani invece si era proceduto colla mas-sima energia a porre il paese in stato di difesa, combat-tendo quasi sempre con successo là dove il geniod'Annibale veniva meno. In conseguenza di che andòsvanendo l'entusiasmo patriottico che la vittoria di Can-ne aveva destato in Cartagine; le ragguardevoli forze,che vi erano state raccolte, sia per opera della faziosaopposizione, sia per le diverse opinioni levatesi nel se-nato, vennero sparpagliate in modo tale che non riusci-rono in nessun luogo di essenziale aiuto; là dove sareb-bero state del massimo vantaggio non pervennero se nonin minima parte.Sulla fine dell'anno 539=215 anche il più prudenteuomo di stato di Roma poteva riconoscere che il perico-

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arrivare, specialmente perchè gli ambasciatori macedoniinviati ad Annibale erano stati nel loro ritorno fatti pri-gionieri dalle navi da guerra dei Romani.Così fu improvvisamente sospesa la temuta invasionedella costa orientale, e i Romani guadagnarono tempoper assicurare l'importantissima stazione di Brindisi pri-ma colla flotta, poi coll'esercito di terra, destinato primadell'arrivo di Gracco a coprire l'Apulia, e, in caso di unadichiarazione di guerra, a predisporre persino un'inva-sione nella Macedonia.Mentre in Italia la guerra aveva fatto sosta, nulla si fecefuori d'Italia per parte dei Cartaginesi per inviare al piùpresto nella penisola nuove truppe e nuove flotte.Da parte dei Romani invece si era proceduto colla mas-sima energia a porre il paese in stato di difesa, combat-tendo quasi sempre con successo là dove il geniod'Annibale veniva meno. In conseguenza di che andòsvanendo l'entusiasmo patriottico che la vittoria di Can-ne aveva destato in Cartagine; le ragguardevoli forze,che vi erano state raccolte, sia per opera della faziosaopposizione, sia per le diverse opinioni levatesi nel se-nato, vennero sparpagliate in modo tale che non riusci-rono in nessun luogo di essenziale aiuto; là dove sareb-bero state del massimo vantaggio non pervennero se nonin minima parte.Sulla fine dell'anno 539=215 anche il più prudenteuomo di stato di Roma poteva riconoscere che il perico-

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lo stringente di Roma era passato e che ormai altro nonoccorreva che perseverare con tutte le forze e su tutti ipunti, per portare a buon fine la difesa eroicamente prin-cipiata.

5. Guerra in Sicilia.Prima di tutto fu posto fine alla guerra di Sicilia. Nelpiano di Annibale non era contemplata una guerranell'isola; senonchè parte per caso, ma principalmenteperò per la puerile vanità dello stolto Geronimo, essa viera scoppiata. Per la stessa ragione il senato cartaginesese ne occupò con zelo particolare.Dopo l'uccisione di Geronimo, sulla fine del 539=215,era da dubitarsi assai che i cittadini volessero persevera-re nella politica da lui seguita.Se vi era una città che avesse motivo di tenersi stretta aRoma, era Siracusa; poichè vincendo i Cartaginesi, ri-manendo essi padroni di tutta la Sicilia, nessuno potevacredere seriamente che avrebbero mantenuto le promes-se fatte ai Siracusani.Indotti in parte da questa considerazione, in parte spa-ventati dai minacciosi preparativi dei Romani, i quali fa-cevano ogni sforzo per riavere interamente in loro pote-re l'importante isola, che era come un ponte tra l'Italia el'Africa, ed ora, per la campagna del 540=214, avevanomandato in Sicilia il loro migliore generale, Marcello, icittadini di Siracusa si mostravano disposti a far dimen-

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lo stringente di Roma era passato e che ormai altro nonoccorreva che perseverare con tutte le forze e su tutti ipunti, per portare a buon fine la difesa eroicamente prin-cipiata.

5. Guerra in Sicilia.Prima di tutto fu posto fine alla guerra di Sicilia. Nelpiano di Annibale non era contemplata una guerranell'isola; senonchè parte per caso, ma principalmenteperò per la puerile vanità dello stolto Geronimo, essa viera scoppiata. Per la stessa ragione il senato cartaginesese ne occupò con zelo particolare.Dopo l'uccisione di Geronimo, sulla fine del 539=215,era da dubitarsi assai che i cittadini volessero persevera-re nella politica da lui seguita.Se vi era una città che avesse motivo di tenersi stretta aRoma, era Siracusa; poichè vincendo i Cartaginesi, ri-manendo essi padroni di tutta la Sicilia, nessuno potevacredere seriamente che avrebbero mantenuto le promes-se fatte ai Siracusani.Indotti in parte da questa considerazione, in parte spa-ventati dai minacciosi preparativi dei Romani, i quali fa-cevano ogni sforzo per riavere interamente in loro pote-re l'importante isola, che era come un ponte tra l'Italia el'Africa, ed ora, per la campagna del 540=214, avevanomandato in Sicilia il loro migliore generale, Marcello, icittadini di Siracusa si mostravano disposti a far dimen-

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ticare il passato rientrando opportunamente in lega conRoma.Ma nella orribile confusione in cui versava la città, laquale dopo la morte di Geronimo era fieramente agitatadai tentativi di coloro che volevano ristabilire l'antica li-bertà popolare, e dai colpi di stato dei molti pretendential trono vacante, e dove in sostanza spadroneggiavano icapi delle truppe mercenarie, i furbi emissari di Anniba-le, Ippocrate ed Epicide, trovarono modo di render vanii tentativi di pace.Essi esaltarono le masse nel nome della libertà; esagera-tissime narrazioni di spaventevoli punizioni ch'essi dice-vano inflitte dai Romani ai Leontini, che appunto eranostati allora di nuovo soggiogati, fecero nascere il dubbioanche alla parte migliore dei cittadini, che fosse troppotardi per riallacciare le antiche relazioni con Roma; fi-nalmente i moltissimi disertori romani, la massima parterematori della flotta, che si trovavano tra i mercenari,furono senza difficoltà persuasi, che la pace dei cittadinicon Roma significava la loro condanna a morte. Allora icapi della borghesia furono massacrati, l'armistizio furotto e Ippocrate ed Epicide assunsero il governo dellacittà.Al console null'altro rimase da fare che porvi l'assedio.Tuttavia la valente direzione della difesa, in cui tanto sisegnalò il celeberrimo matematico siracusano Archime-de, costrinse i Romani, dopo otto mesi, a convertirel'assedio in un blocco per mare e per terra.

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ticare il passato rientrando opportunamente in lega conRoma.Ma nella orribile confusione in cui versava la città, laquale dopo la morte di Geronimo era fieramente agitatadai tentativi di coloro che volevano ristabilire l'antica li-bertà popolare, e dai colpi di stato dei molti pretendential trono vacante, e dove in sostanza spadroneggiavano icapi delle truppe mercenarie, i furbi emissari di Anniba-le, Ippocrate ed Epicide, trovarono modo di render vanii tentativi di pace.Essi esaltarono le masse nel nome della libertà; esagera-tissime narrazioni di spaventevoli punizioni ch'essi dice-vano inflitte dai Romani ai Leontini, che appunto eranostati allora di nuovo soggiogati, fecero nascere il dubbioanche alla parte migliore dei cittadini, che fosse troppotardi per riallacciare le antiche relazioni con Roma; fi-nalmente i moltissimi disertori romani, la massima parterematori della flotta, che si trovavano tra i mercenari,furono senza difficoltà persuasi, che la pace dei cittadinicon Roma significava la loro condanna a morte. Allora icapi della borghesia furono massacrati, l'armistizio furotto e Ippocrate ed Epicide assunsero il governo dellacittà.Al console null'altro rimase da fare che porvi l'assedio.Tuttavia la valente direzione della difesa, in cui tanto sisegnalò il celeberrimo matematico siracusano Archime-de, costrinse i Romani, dopo otto mesi, a convertirel'assedio in un blocco per mare e per terra.

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Nel frattempo, da Cartagine, la quale fino allora avevaaiutato i Siracusani soltanto colla flotta, appena giuntala notizia della loro sollevazione contro Roma, fu invia-to un forte esercito alla volta della Sicilia sotto il co-mando di Imilcone. Questi sbarcò senza incontrare osta-colo di sorta presso Eraclea-Minoa ed occupò immedia-tamente l'importante città di Agrigento.Per unirsi a lui l'ardito e valente Ippocrate usciva con unesercito da Siracusa. La posizione di Marcello, tra ilpresidio di Siracusa e i due eserciti nemici, cominciavaa farsi pericolosa. Coll'aiuto però di alcuni rinforzi ve-nutigli dall'Italia egli mantenne la sua posizione nell'iso-la e continuò il blocco di Siracusa.Ma più ancora degli eserciti nemici fu la terribile severi-tà esercitata dai Romani nell'isola, e particolarmente lastrage fatta dei cittadini di Enna ad opera di quel presi-dio pel sospetto di tradimento, che spinse il maggior nu-mero delle città di provincia a darsi ai Cartaginesi.Nell'anno 542=212, mentre in Siracusa si celebrava unafesta, gli assedianti riuscirono a dare la scalata ad unaparte delle estesissime mura esterne abbandonate dallesentinelle, e penetrare nei sobborghi della città, i quali siestendevano dall'isola e dalla città propriamente dettalungo la costa (Achradina) verso l'interno del paese.La fortezza di Eurialo, la quale, posta all'estremità occi-dentale dei sobborghi, copriva i sobborghi stessi e lastrada principale che dall'interno del paese conduceva a

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Nel frattempo, da Cartagine, la quale fino allora avevaaiutato i Siracusani soltanto colla flotta, appena giuntala notizia della loro sollevazione contro Roma, fu invia-to un forte esercito alla volta della Sicilia sotto il co-mando di Imilcone. Questi sbarcò senza incontrare osta-colo di sorta presso Eraclea-Minoa ed occupò immedia-tamente l'importante città di Agrigento.Per unirsi a lui l'ardito e valente Ippocrate usciva con unesercito da Siracusa. La posizione di Marcello, tra ilpresidio di Siracusa e i due eserciti nemici, cominciavaa farsi pericolosa. Coll'aiuto però di alcuni rinforzi ve-nutigli dall'Italia egli mantenne la sua posizione nell'iso-la e continuò il blocco di Siracusa.Ma più ancora degli eserciti nemici fu la terribile severi-tà esercitata dai Romani nell'isola, e particolarmente lastrage fatta dei cittadini di Enna ad opera di quel presi-dio pel sospetto di tradimento, che spinse il maggior nu-mero delle città di provincia a darsi ai Cartaginesi.Nell'anno 542=212, mentre in Siracusa si celebrava unafesta, gli assedianti riuscirono a dare la scalata ad unaparte delle estesissime mura esterne abbandonate dallesentinelle, e penetrare nei sobborghi della città, i quali siestendevano dall'isola e dalla città propriamente dettalungo la costa (Achradina) verso l'interno del paese.La fortezza di Eurialo, la quale, posta all'estremità occi-dentale dei sobborghi, copriva i sobborghi stessi e lastrada principale che dall'interno del paese conduceva a

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Siracusa, era tagliata fuori e si arrese non molto di poi.Mentre così l'assedio della città cominciava a prendereuna piega favorevole ai Romani, i due eserciti comanda-ti da Imilcone e da Ippocrate andavano approssimandosiper liberarla, e tentarono un attacco simultaneo combi-nato con un tentativo di sbarco della flotta cartaginese euna sortita del presidio siracusano contro le posizioniromane; ma l'attacco fu ovunque respinto e i due esercitidi soccorso dovettero accontentarsi di porre i loro ac-campamenti vicino alla città nelle paludose bassuredell'Anapo, che nell'estate avanzata e nell'autunno pro-ducono epidemie fatali a coloro che vi dimorano.Questi miasmi salvarono parecchie volte la città e piùspesso di quello che la salvasse il valore dei suoi cittadi-ni. Ai tempi del primo Dionisio erano stati completa-mente distrutti da queste epidemie sotto le sue mura dueeserciti cartaginesi che la tenevano assediata. Ora il de-stino rivolse a danno della città ciò che le aveva servitodi difesa; poichè, mentre lieve era il danno che soffrival'esercito di Marcello stanziato nei sobborghi, le febbrifacevano strage dei Cartaginesi e dei Siracusani attenda-ti a cielo aperto.Ne furono vittime Ippocrate, Imilcone e la maggior par-te degli Africani; i resti dei due eserciti, composti inmaggioranza di indigeni, si dispersero nelle città vicine.I Cartaginesi fecero ancora un tentativo per liberare lacittà dalla parte del mare; ma quando la flotta romanaoffrì battaglia l'ammiraglio Bomilcare si sottrasse colla

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Siracusa, era tagliata fuori e si arrese non molto di poi.Mentre così l'assedio della città cominciava a prendereuna piega favorevole ai Romani, i due eserciti comanda-ti da Imilcone e da Ippocrate andavano approssimandosiper liberarla, e tentarono un attacco simultaneo combi-nato con un tentativo di sbarco della flotta cartaginese euna sortita del presidio siracusano contro le posizioniromane; ma l'attacco fu ovunque respinto e i due esercitidi soccorso dovettero accontentarsi di porre i loro ac-campamenti vicino alla città nelle paludose bassuredell'Anapo, che nell'estate avanzata e nell'autunno pro-ducono epidemie fatali a coloro che vi dimorano.Questi miasmi salvarono parecchie volte la città e piùspesso di quello che la salvasse il valore dei suoi cittadi-ni. Ai tempi del primo Dionisio erano stati completa-mente distrutti da queste epidemie sotto le sue mura dueeserciti cartaginesi che la tenevano assediata. Ora il de-stino rivolse a danno della città ciò che le aveva servitodi difesa; poichè, mentre lieve era il danno che soffrival'esercito di Marcello stanziato nei sobborghi, le febbrifacevano strage dei Cartaginesi e dei Siracusani attenda-ti a cielo aperto.Ne furono vittime Ippocrate, Imilcone e la maggior par-te degli Africani; i resti dei due eserciti, composti inmaggioranza di indigeni, si dispersero nelle città vicine.I Cartaginesi fecero ancora un tentativo per liberare lacittà dalla parte del mare; ma quando la flotta romanaoffrì battaglia l'ammiraglio Bomilcare si sottrasse colla

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fuga.Allora lo stesso Epicide, che comandava la città, rite-nendola perduta, fuggì in Agrigento. Siracusa si sarebbearresa volentieri ai Romani e le trattative erano già co-minciate; ma per la seconda volta andarono fallite percolpa dei disertori. In una nuova sollevazione dei mer-cenari furono assassinati i capi della borghesia e moltidistinti cittadini, e le truppe straniere domandarono ailoro capitani il governo e la difesa della città. Marcelloentrò allora con uno di questi in trattative che gli valserouna delle due parti ancora libere della città, cioè l'isola,dopo di che i cittadini gli aprirono anche le portedell'Achradina (autunno 542=212).

6. Conquista di Siracusa.Se fu giammai il caso di far grazia ad una città, anchesecondo le non lodevoli massime del diritto pubblico ro-mano sul trattamento dei comuni che avessero rotto ipatti della federazione, lo era certo quello di Siracusa, laquale, evidentemente, non aveva avuto libertà d'azioneed aveva fatto replicatamente i più seri sforzi per sot-trarsi alla tirannide delle soldatesche straniere. Ma nonsolo Marcello macchiò il suo onore militare abbando-nando la ricca città commerciale ad un saccheggio gene-rale, durante il quale, oltre a molti altri cittadini, trovò lamorte anche Archimede; ma il senato romano fu sordoai posteriori lamenti dei Siracusani contro il celebratocapitano e non restituì nè ai singoli cittadini il bottino,

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fuga.Allora lo stesso Epicide, che comandava la città, rite-nendola perduta, fuggì in Agrigento. Siracusa si sarebbearresa volentieri ai Romani e le trattative erano già co-minciate; ma per la seconda volta andarono fallite percolpa dei disertori. In una nuova sollevazione dei mer-cenari furono assassinati i capi della borghesia e moltidistinti cittadini, e le truppe straniere domandarono ailoro capitani il governo e la difesa della città. Marcelloentrò allora con uno di questi in trattative che gli valserouna delle due parti ancora libere della città, cioè l'isola,dopo di che i cittadini gli aprirono anche le portedell'Achradina (autunno 542=212).

6. Conquista di Siracusa.Se fu giammai il caso di far grazia ad una città, anchesecondo le non lodevoli massime del diritto pubblico ro-mano sul trattamento dei comuni che avessero rotto ipatti della federazione, lo era certo quello di Siracusa, laquale, evidentemente, non aveva avuto libertà d'azioneed aveva fatto replicatamente i più seri sforzi per sot-trarsi alla tirannide delle soldatesche straniere. Ma nonsolo Marcello macchiò il suo onore militare abbando-nando la ricca città commerciale ad un saccheggio gene-rale, durante il quale, oltre a molti altri cittadini, trovò lamorte anche Archimede; ma il senato romano fu sordoai posteriori lamenti dei Siracusani contro il celebratocapitano e non restituì nè ai singoli cittadini il bottino,

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nè la libertà alla città.Siracusa e le città già da essa dipendenti divennero co-muni soggetti ad imposta. Le sole città di Taormina e diNoto ottennero i privilegi stessi di Messina, mentre lamarca leontina divenne proprietà dei Romani che vi la-sciarono i proprietari come affittavoli. Nessun cittadinosiracusano doveva, d'allora in poi, abitare nell'«isola»,cioè nella parte della città che domina il porto.La Sicilia pareva dunque perduta pei Cartaginesi; ma ilgenio d'Annibale, benchè lontano, si manifestava opero-so anche qui.Egli mandò all'esercito cartaginese, che sotto il coman-do d'Annone e di Epicide stava perplesso e inerte pressoAgrigento, un ufficiale di cavalleria della Libia, Mutine-te, il quale, assunto il comando della cavalleria numidi-ca, colle sue squadre volanti seppe cambiare in apertoincendio la fiamma dell'odio accanito che il rigore deiRomani aveva seminato per tutta l'isola.Mutinete iniziò una guerra di bande su vastissime pro-porzioni e col più felice successo, e allorchè i due eser-citi, cartaginese e romano, si trovarono di fronte l'unoall'altro sulle rive del fiume Imera, egli sostenne conbuon esito alcuni combattimenti contro lo stesso Mar-cello.Senonchè lo stesso antagonismo che esisteva tra Anni-bale ed il senato cartaginese si ripeteva qui in minoriproporzioni. Il generale nominato dal senato perseguiva

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nè la libertà alla città.Siracusa e le città già da essa dipendenti divennero co-muni soggetti ad imposta. Le sole città di Taormina e diNoto ottennero i privilegi stessi di Messina, mentre lamarca leontina divenne proprietà dei Romani che vi la-sciarono i proprietari come affittavoli. Nessun cittadinosiracusano doveva, d'allora in poi, abitare nell'«isola»,cioè nella parte della città che domina il porto.La Sicilia pareva dunque perduta pei Cartaginesi; ma ilgenio d'Annibale, benchè lontano, si manifestava opero-so anche qui.Egli mandò all'esercito cartaginese, che sotto il coman-do d'Annone e di Epicide stava perplesso e inerte pressoAgrigento, un ufficiale di cavalleria della Libia, Mutine-te, il quale, assunto il comando della cavalleria numidi-ca, colle sue squadre volanti seppe cambiare in apertoincendio la fiamma dell'odio accanito che il rigore deiRomani aveva seminato per tutta l'isola.Mutinete iniziò una guerra di bande su vastissime pro-porzioni e col più felice successo, e allorchè i due eser-citi, cartaginese e romano, si trovarono di fronte l'unoall'altro sulle rive del fiume Imera, egli sostenne conbuon esito alcuni combattimenti contro lo stesso Mar-cello.Senonchè lo stesso antagonismo che esisteva tra Anni-bale ed il senato cartaginese si ripeteva qui in minoriproporzioni. Il generale nominato dal senato perseguiva

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con gelosa invidia l'ufficiale mandato da Annibale, evolle dare battaglia al proconsole senza Mutinete e i Nu-midi. La sua volontà fu fatta ed egli fu completamentebattuto.Mutinete non si perdette d'animo per ciò, ma si manten-ne nell'interno del paese, occupò parecchie piccole città,e coi ragguardevoli rinforzi venuti da Cartagine potè apoco a poco estendere le sue operazioni. I suoi successierano così brillanti, che finalmente il comandante supre-mo, il quale non poteva impedire ch'egli non lo eclissas-se, gli tolse senza altro il comando della cavalleria leg-gera, che affidò a suo figlio.Il Numida, il quale ormai da due anni aveva conservatal'isola ai suoi padroni cartaginesi, sentì che la misuradella sua pazienza traboccava e, d'accordo co' suoi cava-lieri, i quali si rifiutarono di seguire il giovane Annone,intavolò delle trattative col generale romano Marco Va-lerio Levino e gli aprì le porte di Agrigento.Annone fuggì sopra un battello a Cartagine onde narrareai suoi il vergognoso tradimento dell'ufficiale di Anni-bale. Il presidio cartaginese che si trovava in Agrigentofu massacrato dai Romani ed i cittadini furono vendutiin schiavitù (544=210). Per assicurare l'isola da sorpresecome lo sbarco del 540=214, fu posta nella città una co-lonia romana; l'antica e magnifica Akragas fu in talmodo trasformata in una fortezza romana e prese da al-lora il nome di Agrigento.

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con gelosa invidia l'ufficiale mandato da Annibale, evolle dare battaglia al proconsole senza Mutinete e i Nu-midi. La sua volontà fu fatta ed egli fu completamentebattuto.Mutinete non si perdette d'animo per ciò, ma si manten-ne nell'interno del paese, occupò parecchie piccole città,e coi ragguardevoli rinforzi venuti da Cartagine potè apoco a poco estendere le sue operazioni. I suoi successierano così brillanti, che finalmente il comandante supre-mo, il quale non poteva impedire ch'egli non lo eclissas-se, gli tolse senza altro il comando della cavalleria leg-gera, che affidò a suo figlio.Il Numida, il quale ormai da due anni aveva conservatal'isola ai suoi padroni cartaginesi, sentì che la misuradella sua pazienza traboccava e, d'accordo co' suoi cava-lieri, i quali si rifiutarono di seguire il giovane Annone,intavolò delle trattative col generale romano Marco Va-lerio Levino e gli aprì le porte di Agrigento.Annone fuggì sopra un battello a Cartagine onde narrareai suoi il vergognoso tradimento dell'ufficiale di Anni-bale. Il presidio cartaginese che si trovava in Agrigentofu massacrato dai Romani ed i cittadini furono vendutiin schiavitù (544=210). Per assicurare l'isola da sorpresecome lo sbarco del 540=214, fu posta nella città una co-lonia romana; l'antica e magnifica Akragas fu in talmodo trasformata in una fortezza romana e prese da al-lora il nome di Agrigento.

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Soggiogata che fu tutta la Sicilia, i Romani pensarono diricondurvi l'ordine e la tranquillità.Si rastrellarono i molti malandrini che infestavano ilpaese e si trasportarono in massa sulle coste d'Italia af-finchè devastassero col ferro e col fuoco il territorio de-gli alleati di Annibale, cominciando da Reggio. Il gover-no fece ogni possibile sforzo perchè rifiorisse nel paesel'agricoltura, che vi si trovava in completa decadenza.Nel senato cartaginese si parlò parecchie volte ancora diinviare una flotta in Sicilia e di ricominciarvi la guerra,ma tutto si ridusse a semplici progetti.

7. Filippo e le sue esitazioni.La Macedonia avrebbe potuto influire più decisamentedi Siracusa sull'andamento degli avvenimenti. Dalle po-tenze orientali invece non si potevano allora aspettare nèassistenza nè impedimenti.Antioco il Grande, alleato naturale di Filippo, dopo ladecisiva vittoria riportata dagli Egiziani presso Rafia(537=217) dovette stimarsi felice di ottenere dall'indo-lente Filopatore una pace sulle basi dello stato di pos-sesso anteriore alla guerra.La rivalità dei Lagidi e la continua minaccia di guerra,nonchè le sollevazioni di pretendenti nell'interno e leimprese d'ogni genere nell'Asia minore, nella Battrianae nelle satrapie orientali, gli impedirono di associarsialla grande alleanza antiromana immaginata da Anniba-

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Soggiogata che fu tutta la Sicilia, i Romani pensarono diricondurvi l'ordine e la tranquillità.Si rastrellarono i molti malandrini che infestavano ilpaese e si trasportarono in massa sulle coste d'Italia af-finchè devastassero col ferro e col fuoco il territorio de-gli alleati di Annibale, cominciando da Reggio. Il gover-no fece ogni possibile sforzo perchè rifiorisse nel paesel'agricoltura, che vi si trovava in completa decadenza.Nel senato cartaginese si parlò parecchie volte ancora diinviare una flotta in Sicilia e di ricominciarvi la guerra,ma tutto si ridusse a semplici progetti.

7. Filippo e le sue esitazioni.La Macedonia avrebbe potuto influire più decisamentedi Siracusa sull'andamento degli avvenimenti. Dalle po-tenze orientali invece non si potevano allora aspettare nèassistenza nè impedimenti.Antioco il Grande, alleato naturale di Filippo, dopo ladecisiva vittoria riportata dagli Egiziani presso Rafia(537=217) dovette stimarsi felice di ottenere dall'indo-lente Filopatore una pace sulle basi dello stato di pos-sesso anteriore alla guerra.La rivalità dei Lagidi e la continua minaccia di guerra,nonchè le sollevazioni di pretendenti nell'interno e leimprese d'ogni genere nell'Asia minore, nella Battrianae nelle satrapie orientali, gli impedirono di associarsialla grande alleanza antiromana immaginata da Anniba-

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le.La corte egizia teneva decisamente per i Romani, coiquali rinnovò l'alleanza nel 544=210, ma da TolomeoFilopatore non si poteva dare a Roma altro aiuto che leprovviste di cereali.La loro discordia soltanto impediva quindi alla Macedo-nia ed alla Grecia di essere di gran peso nella decisionedella grande lotta italica; esse potevano salvare il nomegreco quando per pochi anni soltanto avessero volutomantenersi unite contro il comune nemico. Di ciò si par-lava certamente in Grecia.Le profetiche parole di Agelao da Naupatto, che in bre-ve cesserebbero le gare puerili che tenevano allora occu-pati i Greci, e la seria ammonizione di rivolgere glisguardi verso l'occidente e di non permettere che unapiù forte potenza obbligasse alla pace sotto il medesimogiogo tutti i partiti contendenti, avevano contribuitomoltissimo a spingere Filippo alla pace cogli Etoli(537=217), e l'avere la lega nominato lo stesso Agelao asuo generale prova a che tendesse quel trattato.Il sentimento nazionale si agitava in Grecia non menoche in Cartagine, sicchè vi fu un momento in cui parvepossibile alla Grecia una guerra nazionale contro Roma.Ma il supremo comandante di una simile guerra non po-teva essere che Filippo di Macedonia ed a questi manca-vano l'entusiasmo e la fede della nazione, senza le qualidoti non poteva farsi una guerra simile.

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le.La corte egizia teneva decisamente per i Romani, coiquali rinnovò l'alleanza nel 544=210, ma da TolomeoFilopatore non si poteva dare a Roma altro aiuto che leprovviste di cereali.La loro discordia soltanto impediva quindi alla Macedo-nia ed alla Grecia di essere di gran peso nella decisionedella grande lotta italica; esse potevano salvare il nomegreco quando per pochi anni soltanto avessero volutomantenersi unite contro il comune nemico. Di ciò si par-lava certamente in Grecia.Le profetiche parole di Agelao da Naupatto, che in bre-ve cesserebbero le gare puerili che tenevano allora occu-pati i Greci, e la seria ammonizione di rivolgere glisguardi verso l'occidente e di non permettere che unapiù forte potenza obbligasse alla pace sotto il medesimogiogo tutti i partiti contendenti, avevano contribuitomoltissimo a spingere Filippo alla pace cogli Etoli(537=217), e l'avere la lega nominato lo stesso Agelao asuo generale prova a che tendesse quel trattato.Il sentimento nazionale si agitava in Grecia non menoche in Cartagine, sicchè vi fu un momento in cui parvepossibile alla Grecia una guerra nazionale contro Roma.Ma il supremo comandante di una simile guerra non po-teva essere che Filippo di Macedonia ed a questi manca-vano l'entusiasmo e la fede della nazione, senza le qualidoti non poteva farsi una guerra simile.

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Egli non comprendeva il difficile compito di tramutarsida oppressore in propugnatore della Grecia.Già il suo temporeggiare nella conclusione dell'alleanzacon Annibale aveva raffreddato l'ardore primitivo deipatrioti greci; e, allorquando egli entrò in guerra contro iRomani, il suo modo di guerreggiare fu ancora menoatto a destare simpatia e fiducia.La prima impresa tentata da Filippo nell'anno in cui se-guì la battaglia presso Canne (538=216) onde impadro-nirsi della città d'Apollonia, andò addirittura fallita inmodo quasi ridicolo essendosi egli ritirato precipitosa-mente per essersi sparsa la voce, d'altronde falsa, cheuna flotta romana veleggiava nell'Adriatico.Ciò accadde ancor prima che si venisse a una rottura to-tale con Roma; e quando questa seguì, finalmente amicie nemici si attendevano uno sbarco di truppe macedoninell'Italia meridionale.Sino dal 539=215 stanziavano presso Brindisi una flottaed un esercito romano per affrontare Filippo. Mancandoquesto di navi da guerra, aveva ordinata la costruzionedi flottiglie di leggere barche illiriche per trasportare ilsuo esercito sull'altra sponda. Ma quando si sarebbe do-vuto venire ai fatti gli venne meno il coraggio di scon-trarsi sul mare colle temute quinqueremi, ruppe la paro-la data al suo alleato Annibale di tentare uno sbarco, e,tanto per fare qualche cosa, decise di aggredire i posse-dimenti romani nell'Epiro (540=214) che dovevano es-

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Egli non comprendeva il difficile compito di tramutarsida oppressore in propugnatore della Grecia.Già il suo temporeggiare nella conclusione dell'alleanzacon Annibale aveva raffreddato l'ardore primitivo deipatrioti greci; e, allorquando egli entrò in guerra contro iRomani, il suo modo di guerreggiare fu ancora menoatto a destare simpatia e fiducia.La prima impresa tentata da Filippo nell'anno in cui se-guì la battaglia presso Canne (538=216) onde impadro-nirsi della città d'Apollonia, andò addirittura fallita inmodo quasi ridicolo essendosi egli ritirato precipitosa-mente per essersi sparsa la voce, d'altronde falsa, cheuna flotta romana veleggiava nell'Adriatico.Ciò accadde ancor prima che si venisse a una rottura to-tale con Roma; e quando questa seguì, finalmente amicie nemici si attendevano uno sbarco di truppe macedoninell'Italia meridionale.Sino dal 539=215 stanziavano presso Brindisi una flottaed un esercito romano per affrontare Filippo. Mancandoquesto di navi da guerra, aveva ordinata la costruzionedi flottiglie di leggere barche illiriche per trasportare ilsuo esercito sull'altra sponda. Ma quando si sarebbe do-vuto venire ai fatti gli venne meno il coraggio di scon-trarsi sul mare colle temute quinqueremi, ruppe la paro-la data al suo alleato Annibale di tentare uno sbarco, e,tanto per fare qualche cosa, decise di aggredire i posse-dimenti romani nell'Epiro (540=214) che dovevano es-

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sere la sua parte del bottino.Anche col miglior esito nulla ne sarebbe derivatod'importante; ma i Romani, ben sapendo che l'offensivaè migliore che la difensiva, non si accontentarono, comeforse aveva sperato Filippo, di starsene sull'altra sponda,spettatori dell'attacco.La flotta romana trasportò da Brindisi nell'Epiro un cor-po di truppe che ritolse Orico al re, introdusse un presi-dio in Apollonia e prese d'assalto il campo macedone;con la conseguenza che Filippo, che già faceva poco, siridusse alla completa inerzia, e lasciò trascorrere parec-chi anni coll'esercito sotto le armi senza far nulla mal-grado tutte le lagnanze d'Annibale, il quale invano cer-cava di spronarlo col suo ardore e colla sua perspicaciaad uscire da quello stato d'inerzia e di pusillanimità.E così non fu Filippo che rinnovò le ostilità. La cadutadi Taranto (542=212), per la quale Annibale guadagnòun eccellente porto di mare sulle sponde che erano lepiù favorevoli ad uno sbarco d'un esercito macedone,decise i Romani a parare il colpo da lungi dando ai Ma-cedoni occupazioni in casa loro in modo che non potes-sero pensare ad un tentativo in Italia.

8. Roma alla testa della coalizione greca.Nella Grecia lo slancio nazionale era naturalmente sfu-mato da lungo tempo. Facendo assegnamento sull'anticaopposizione contro la Macedonia e sulle recenti inavve-

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sere la sua parte del bottino.Anche col miglior esito nulla ne sarebbe derivatod'importante; ma i Romani, ben sapendo che l'offensivaè migliore che la difensiva, non si accontentarono, comeforse aveva sperato Filippo, di starsene sull'altra sponda,spettatori dell'attacco.La flotta romana trasportò da Brindisi nell'Epiro un cor-po di truppe che ritolse Orico al re, introdusse un presi-dio in Apollonia e prese d'assalto il campo macedone;con la conseguenza che Filippo, che già faceva poco, siridusse alla completa inerzia, e lasciò trascorrere parec-chi anni coll'esercito sotto le armi senza far nulla mal-grado tutte le lagnanze d'Annibale, il quale invano cer-cava di spronarlo col suo ardore e colla sua perspicaciaad uscire da quello stato d'inerzia e di pusillanimità.E così non fu Filippo che rinnovò le ostilità. La cadutadi Taranto (542=212), per la quale Annibale guadagnòun eccellente porto di mare sulle sponde che erano lepiù favorevoli ad uno sbarco d'un esercito macedone,decise i Romani a parare il colpo da lungi dando ai Ma-cedoni occupazioni in casa loro in modo che non potes-sero pensare ad un tentativo in Italia.

8. Roma alla testa della coalizione greca.Nella Grecia lo slancio nazionale era naturalmente sfu-mato da lungo tempo. Facendo assegnamento sull'anticaopposizione contro la Macedonia e sulle recenti inavve-

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dutezze ed ingiustizie di cui Filippo si era reso colpevo-le, non riuscì difficile all'ammiraglio romano Levino dicondurre a termine, sotto la protezione dei Romani, unafederazione degli stati medi e piccoli contro la Macedo-nia.Alla testa della medesima erano gli Etoli, alla cui dietaera intervenuto Levino stesso, guadagnandoseli conl'assicurar loro il territorio acarnano che da lungo tempodesideravano.Essi strinsero con Roma un trattato, per effetto del qualesottraevano agli altri Greci, per conto comune, popola-zioni e territori in modo che il suolo rimanesse ad essi,la gente ed i beni mobili ai Romani.Ad essi si associarono, nella Grecia propriamente detta,gli stati antimacedoni, o per dir meglio antiachei; cosìnell'Attica Atene, nel Peloponneso Elide, Messene eprincipalmente Sparta, la cui decrepita costituzione, ap-punto in quel tempo, era stata rovesciata da un temerariosoldato per nome Macanida, per poter regnare dispotica-mente in nome del re minorenne Pelope, fondando ungoverno da avventuriero appoggiato sulle schiere deimercenari.Vi si associarono anche i capi delle tribù semibarbaredella Grecia e dell'Illiria, eterni avversari della Macedo-nia, e finalmente Attalo re di Pergamo, il quale, nella ro-vina dei due grandi stati greci, in mezzo ai quali egli sitrovava, promoveva con avvedutezza e con energia il

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dutezze ed ingiustizie di cui Filippo si era reso colpevo-le, non riuscì difficile all'ammiraglio romano Levino dicondurre a termine, sotto la protezione dei Romani, unafederazione degli stati medi e piccoli contro la Macedo-nia.Alla testa della medesima erano gli Etoli, alla cui dietaera intervenuto Levino stesso, guadagnandoseli conl'assicurar loro il territorio acarnano che da lungo tempodesideravano.Essi strinsero con Roma un trattato, per effetto del qualesottraevano agli altri Greci, per conto comune, popola-zioni e territori in modo che il suolo rimanesse ad essi,la gente ed i beni mobili ai Romani.Ad essi si associarono, nella Grecia propriamente detta,gli stati antimacedoni, o per dir meglio antiachei; cosìnell'Attica Atene, nel Peloponneso Elide, Messene eprincipalmente Sparta, la cui decrepita costituzione, ap-punto in quel tempo, era stata rovesciata da un temerariosoldato per nome Macanida, per poter regnare dispotica-mente in nome del re minorenne Pelope, fondando ungoverno da avventuriero appoggiato sulle schiere deimercenari.Vi si associarono anche i capi delle tribù semibarbaredella Grecia e dell'Illiria, eterni avversari della Macedo-nia, e finalmente Attalo re di Pergamo, il quale, nella ro-vina dei due grandi stati greci, in mezzo ai quali egli sitrovava, promoveva con avvedutezza e con energia il

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proprio interesse ed era abbastanza perspicace per met-tersi nella clientela romana mentre la sua alleanza avevaancora qualche valore.Non è confortevole e nemmeno necessario seguire glialterni eventi di questa guerra senza scopo.Filippo, benchè fosse superiore ad ognuno dei suoi sin-goli avversari e respingesse da ogni parte con energia econ valore personale gli attacchi, pure, in questa malau-gurata difensiva, finiva per consumare le sue forze.Ora doveva marciare contro gli Etoli, i quali in unionecolla flotta romana conducevano una guerra di distru-zione contro gli infelici Acarnani e minacciavano Locrie la Tessalia; ora un'invasione di barbari lo chiamava neipaesi settentrionali; ora erano gli Achei che chiedevanoil suo aiuto contro le schiere dei predoni etoli e spartani;ora il re Attalo e il comandante della flotta romana Pu-blio Sulpizio che minacciavano colle loro forze unite lecoste orientali e sbarcavano truppe in Eubea.La mancanza di un naviglio da guerra paralizzava tuttele mosse di Filippo, e simile mancanza si faceva sentireal punto, ch'egli si volse al suo alleato Prusia, re di Biti-nia, e persino ad Annibale, pregandoli di mandargli del-le navi. Soltanto alla fine della guerra egli si decise afare quello che avrebbe dovuto fare sin da principio, or-dinare cioè la costruzione di cento vascelli, che però anulla servirono, se pure l'ordine fu eseguito.Tutti coloro che conoscevano la situazione della Grecia

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proprio interesse ed era abbastanza perspicace per met-tersi nella clientela romana mentre la sua alleanza avevaancora qualche valore.Non è confortevole e nemmeno necessario seguire glialterni eventi di questa guerra senza scopo.Filippo, benchè fosse superiore ad ognuno dei suoi sin-goli avversari e respingesse da ogni parte con energia econ valore personale gli attacchi, pure, in questa malau-gurata difensiva, finiva per consumare le sue forze.Ora doveva marciare contro gli Etoli, i quali in unionecolla flotta romana conducevano una guerra di distru-zione contro gli infelici Acarnani e minacciavano Locrie la Tessalia; ora un'invasione di barbari lo chiamava neipaesi settentrionali; ora erano gli Achei che chiedevanoil suo aiuto contro le schiere dei predoni etoli e spartani;ora il re Attalo e il comandante della flotta romana Pu-blio Sulpizio che minacciavano colle loro forze unite lecoste orientali e sbarcavano truppe in Eubea.La mancanza di un naviglio da guerra paralizzava tuttele mosse di Filippo, e simile mancanza si faceva sentireal punto, ch'egli si volse al suo alleato Prusia, re di Biti-nia, e persino ad Annibale, pregandoli di mandargli del-le navi. Soltanto alla fine della guerra egli si decise afare quello che avrebbe dovuto fare sin da principio, or-dinare cioè la costruzione di cento vascelli, che però anulla servirono, se pure l'ordine fu eseguito.Tutti coloro che conoscevano la situazione della Grecia

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e che amavano il paese, rimpiangevano la malaugurataguerra, in cui esso consumava le ultime sue forze e pre-cipitava nella estrema miseria; gli stati commercianti diRodi, Chio, Mitilene, Bisanzio, Atene e persino l'Egittoavevano ripetutamente tentato di entrare come mediato-ri.E di fatti, entrambi i partiti avevano tutto l'interesse divivere in buona armonia. Come i Macedoni così gli Eto-li, che erano i più considerevoli fra i confederati romani,avevano molto da soffrire dei disagi della guerra, parti-colarmente da quando il piccolo re degli Acarnani erastato guadagnato da Filippo e da quando, in conseguen-za di ciò, l'interno dell'Etolia era divenuto accessibilealle irruzioni dei Macedoni.Anche molti degli Etoli andavano a poco a poco ricono-scendo la parte disonorevole e rovinosa a cui li condan-nava la lega con Roma; un grido d'orrore partì dall'interanazione greca allorchè gli Etoli, d'accordo coi Romani,vendettero come schiave le intere popolazioni greche diAnticira, d'Oreo, di Dime e di Egina.Ma gli Etoli non erano più liberi; essi avrebbero azzar-dato molto conchiudendo la pace con Filippo e nonavrebbero trovato i Romani affatto disposti a desistereda una guerra, che dal canto loro essi facevano solo conpochi vascelli, mentre i pesi e i danni relativi toccavanoessenzialmente agli Etoli; e questo tanto più dacchè lecose prendevano una piega favorevole sia in Spagna chein Italia.

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e che amavano il paese, rimpiangevano la malaugurataguerra, in cui esso consumava le ultime sue forze e pre-cipitava nella estrema miseria; gli stati commercianti diRodi, Chio, Mitilene, Bisanzio, Atene e persino l'Egittoavevano ripetutamente tentato di entrare come mediato-ri.E di fatti, entrambi i partiti avevano tutto l'interesse divivere in buona armonia. Come i Macedoni così gli Eto-li, che erano i più considerevoli fra i confederati romani,avevano molto da soffrire dei disagi della guerra, parti-colarmente da quando il piccolo re degli Acarnani erastato guadagnato da Filippo e da quando, in conseguen-za di ciò, l'interno dell'Etolia era divenuto accessibilealle irruzioni dei Macedoni.Anche molti degli Etoli andavano a poco a poco ricono-scendo la parte disonorevole e rovinosa a cui li condan-nava la lega con Roma; un grido d'orrore partì dall'interanazione greca allorchè gli Etoli, d'accordo coi Romani,vendettero come schiave le intere popolazioni greche diAnticira, d'Oreo, di Dime e di Egina.Ma gli Etoli non erano più liberi; essi avrebbero azzar-dato molto conchiudendo la pace con Filippo e nonavrebbero trovato i Romani affatto disposti a desistereda una guerra, che dal canto loro essi facevano solo conpochi vascelli, mentre i pesi e i danni relativi toccavanoessenzialmente agli Etoli; e questo tanto più dacchè lecose prendevano una piega favorevole sia in Spagna chein Italia.

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Nondimeno gli Etoli si decisero finalmente a dare ascol-to alle città mediatrici e, malgrado gli sforzi dei Roma-ni, fu fatta la pace tra le potenze greche nell'inverno548-9=206-5.Così l'Etolia aveva mutato un potentissimo alleato in unpericoloso nemico; ma al senato romano, il quale ap-punto allora impiegava tutte le forze dello stato, giàesausto, per la decisiva spedizione africana, non parveopportuno il momento per punire quel tradimento. Glisembrò persino più conveniente di terminare la guerracon Filippo con una pace, la quale conservava ai Roma-ni, ad eccezione dell'insignificante territorio degli Atin-tani, tutti i loro possedimenti sulle coste dell'Epiro, giac-chè, dopo la ritirata degli Etoli, i Romani non avrebberopotuto continuare la guerra senza forti sacrifici. Nellasua situazione Filippo doveva stimarsi fortunato di otte-nere così favorevoli condizioni; senonchè le medesimerivelavano quello che d'altra parte non era possibile piùoltre nascondere, cioè che tutte le indicibili miserie, chedieci anni di guerra condotta con tanta ributtante crudel-tà avevano apportato alla Grecia, erano state sofferteinutilmente e che la grandiosa e giusta coalizione ideatada Annibale, e per un momento accettata da tutta la Gre-cia, era andata irreparabilmente fallita.

9. Guerra in Spagna.Nella Spagna, in cui era più potente lo spirito d'Amilca-re e d'Annibale, la guerra era più seria.

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Nondimeno gli Etoli si decisero finalmente a dare ascol-to alle città mediatrici e, malgrado gli sforzi dei Roma-ni, fu fatta la pace tra le potenze greche nell'inverno548-9=206-5.Così l'Etolia aveva mutato un potentissimo alleato in unpericoloso nemico; ma al senato romano, il quale ap-punto allora impiegava tutte le forze dello stato, giàesausto, per la decisiva spedizione africana, non parveopportuno il momento per punire quel tradimento. Glisembrò persino più conveniente di terminare la guerracon Filippo con una pace, la quale conservava ai Roma-ni, ad eccezione dell'insignificante territorio degli Atin-tani, tutti i loro possedimenti sulle coste dell'Epiro, giac-chè, dopo la ritirata degli Etoli, i Romani non avrebberopotuto continuare la guerra senza forti sacrifici. Nellasua situazione Filippo doveva stimarsi fortunato di otte-nere così favorevoli condizioni; senonchè le medesimerivelavano quello che d'altra parte non era possibile piùoltre nascondere, cioè che tutte le indicibili miserie, chedieci anni di guerra condotta con tanta ributtante crudel-tà avevano apportato alla Grecia, erano state sofferteinutilmente e che la grandiosa e giusta coalizione ideatada Annibale, e per un momento accettata da tutta la Gre-cia, era andata irreparabilmente fallita.

9. Guerra in Spagna.Nella Spagna, in cui era più potente lo spirito d'Amilca-re e d'Annibale, la guerra era più seria.

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La lotta proseguiva con singolari vicissitudini comecomportavano le condizioni del paese ed i costumi dellapopolazione.I contadini ed i pastori che abitavano la bella valledell'Ebro e la ubertosissima Andalusia, non meno chel'aspro altipiano attraversato da molte selvose montagneche si eleva tra l'una e l'altra, accorrevano altrettanto fa-cilmente alle armi per una leva in massa, quanto difficil-mente si lasciavano condurre contro il nemico; chè,anzi, non era nemmeno possibile di tenerli uniti.Non minori difficoltà si incontravano con gli abitantidelle città per farli agire in comune; però ogni singolacittà opponeva dai suoi ripari tenace resistenzaall'oppressore.Pare che gli indigeni facessero poca differenza tra Ro-mani e Cartaginesi, e che ai medesimi poco importassese gli ospiti molesti dimoranti nella valle dell'Ebro oquelli stanziati sulle rive del Guadalquivir possedesseroun pezzo più o meno grande della penisola; per cui po-chi sono i casi in questa guerra, in cui si riconosca la co-stanza spagnuola nel pronunciarsi per un partito, se sieccettuino Sagunto, che teneva per i Romani ed Astapaper i Cartaginesi.Ma non avendo nè i Romani nè gli Africani condottoseco abbastanza milizie, la guerra divenne per gli uni eper gli altri necessariamente una lotta di propaganda, incui di rado era decisivo il vero attaccamento ad un parti-

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La lotta proseguiva con singolari vicissitudini comecomportavano le condizioni del paese ed i costumi dellapopolazione.I contadini ed i pastori che abitavano la bella valledell'Ebro e la ubertosissima Andalusia, non meno chel'aspro altipiano attraversato da molte selvose montagneche si eleva tra l'una e l'altra, accorrevano altrettanto fa-cilmente alle armi per una leva in massa, quanto difficil-mente si lasciavano condurre contro il nemico; chè,anzi, non era nemmeno possibile di tenerli uniti.Non minori difficoltà si incontravano con gli abitantidelle città per farli agire in comune; però ogni singolacittà opponeva dai suoi ripari tenace resistenzaall'oppressore.Pare che gli indigeni facessero poca differenza tra Ro-mani e Cartaginesi, e che ai medesimi poco importassese gli ospiti molesti dimoranti nella valle dell'Ebro oquelli stanziati sulle rive del Guadalquivir possedesseroun pezzo più o meno grande della penisola; per cui po-chi sono i casi in questa guerra, in cui si riconosca la co-stanza spagnuola nel pronunciarsi per un partito, se sieccettuino Sagunto, che teneva per i Romani ed Astapaper i Cartaginesi.Ma non avendo nè i Romani nè gli Africani condottoseco abbastanza milizie, la guerra divenne per gli uni eper gli altri necessariamente una lotta di propaganda, incui di rado era decisivo il vero attaccamento ad un parti-

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to; piuttosto, d'ordinario, il timore, l'oro ed il caso, e,quando sembrava volgere alla fine, si risolveva in unainterminabile guerra di fortezza e in una guerriglia dibande, per divampare poi di nuovo da sotto le ceneri.Gli eserciti andavano soggetti alle stesse vicende delledune sulle spiagge; là dove ieri era un monte, oggi nonse ne trova più alcuna traccia. La prevalenza era in ge-nerale dalla parte dei Romani, sia perchè essi, sulle pri-me, si presentavano in Spagna come liberatori del paesedal governo tirannico dei Cartaginesi, sia per la felicescelta dei loro capitani e per la maggior efficienza delleloro truppe, già sperimentate. Del resto, colle nostre im-perfettissime tradizioni, assai guastate particolarmentedalla cronologia, non è possibile dare una soddisfacenterelazione d'una guerra condotta in questa maniera.Gneo e Publio Scipione, governatori dei Romani nellapenisola, buoni generali ed eccellenti amministratori en-trambi, ma particolarmente Gneo, portarono a fine illoro compito col più brillante successo.Non solo fu mantenuto il confine dei Pirenei, ed impedi-to duramente il tentativo fatto dai Cartaginesi di ristabi-lire l'interrotta comunicazione terrestre fra il loro co-mandante ed il suo quartier generale; non solo vennetrasformata la città di Tarragona, sull'esempio di Carta-gena, in una nuova Roma spagnuola con estese fortifica-zioni ed opere marittime al porto, ma gli eserciti romanicombatterono sino dal 532=215 con buoni risultatinell'Andalusia.

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to; piuttosto, d'ordinario, il timore, l'oro ed il caso, e,quando sembrava volgere alla fine, si risolveva in unainterminabile guerra di fortezza e in una guerriglia dibande, per divampare poi di nuovo da sotto le ceneri.Gli eserciti andavano soggetti alle stesse vicende delledune sulle spiagge; là dove ieri era un monte, oggi nonse ne trova più alcuna traccia. La prevalenza era in ge-nerale dalla parte dei Romani, sia perchè essi, sulle pri-me, si presentavano in Spagna come liberatori del paesedal governo tirannico dei Cartaginesi, sia per la felicescelta dei loro capitani e per la maggior efficienza delleloro truppe, già sperimentate. Del resto, colle nostre im-perfettissime tradizioni, assai guastate particolarmentedalla cronologia, non è possibile dare una soddisfacenterelazione d'una guerra condotta in questa maniera.Gneo e Publio Scipione, governatori dei Romani nellapenisola, buoni generali ed eccellenti amministratori en-trambi, ma particolarmente Gneo, portarono a fine illoro compito col più brillante successo.Non solo fu mantenuto il confine dei Pirenei, ed impedi-to duramente il tentativo fatto dai Cartaginesi di ristabi-lire l'interrotta comunicazione terrestre fra il loro co-mandante ed il suo quartier generale; non solo vennetrasformata la città di Tarragona, sull'esempio di Carta-gena, in una nuova Roma spagnuola con estese fortifica-zioni ed opere marittime al porto, ma gli eserciti romanicombatterono sino dal 532=215 con buoni risultatinell'Andalusia.

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Con più splendido successo fu ripresa la campagnal'anno successivo (540=214).I Romani spinsero le loro armi quasi sino alle colonned'Ercole, estesero la loro clientela nella Spagna meridio-nale, e finalmente, con la riconquista e riedificazione diSagunto, si assicurarono un'importante stazione sulla li-nea dall'Ebro a Cartagena, pagando al tempo stesso, perquanto era possibile, un antico debito nazionale.Mentre gli Scipioni stavano quasi per scacciare i Carta-ginesi dalla Spagna, procuravano loro, nella stessa Afri-ca occidentale – nelle odierne provincie di Orano e diAlgeri – un pericoloso nemico nel possente principe Si-face, il quale era entrato in rapporti con Roma verso il541=213.Se fosse stato possibile mandare a quest'ultimo un eser-cito romano, si sarebbero potuti calcolare grandi succes-si; ma appunto allora non si poteva disporre in Italianemmeno di un uomo, e l'esercito di Spagna era troppodebole per venir diviso. Ciò non ostante anche le truppedi Siface, addestrate e condotte da ufficiali romani, su-scitarono tra i sudditi libici di Cartagine un tale fermen-to, che Asdrubale Barca, il quale teneva il posto di co-mandante supremo nella Spagna e nell'Africa, dovetterecarsi egli stesso in questa provincia col nerbo dellesue truppe spagnuole.Di questa guerra libica però poco sappiamo all'infuoridella relazione della crudele vendetta che i Cartaginesi,

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Con più splendido successo fu ripresa la campagnal'anno successivo (540=214).I Romani spinsero le loro armi quasi sino alle colonned'Ercole, estesero la loro clientela nella Spagna meridio-nale, e finalmente, con la riconquista e riedificazione diSagunto, si assicurarono un'importante stazione sulla li-nea dall'Ebro a Cartagena, pagando al tempo stesso, perquanto era possibile, un antico debito nazionale.Mentre gli Scipioni stavano quasi per scacciare i Carta-ginesi dalla Spagna, procuravano loro, nella stessa Afri-ca occidentale – nelle odierne provincie di Orano e diAlgeri – un pericoloso nemico nel possente principe Si-face, il quale era entrato in rapporti con Roma verso il541=213.Se fosse stato possibile mandare a quest'ultimo un eser-cito romano, si sarebbero potuti calcolare grandi succes-si; ma appunto allora non si poteva disporre in Italianemmeno di un uomo, e l'esercito di Spagna era troppodebole per venir diviso. Ciò non ostante anche le truppedi Siface, addestrate e condotte da ufficiali romani, su-scitarono tra i sudditi libici di Cartagine un tale fermen-to, che Asdrubale Barca, il quale teneva il posto di co-mandante supremo nella Spagna e nell'Africa, dovetterecarsi egli stesso in questa provincia col nerbo dellesue truppe spagnuole.Di questa guerra libica però poco sappiamo all'infuoridella relazione della crudele vendetta che i Cartaginesi,

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come al solito, presero sugl'insorti, dopo che il rivale diSiface, il re Gala – nell'odierna provincia di Costantina– si dichiarò in favore di Cartagine e dopo che il valoro-so suo figlio Massinissa ebbe battuto e costretto Sifacealla pace.

10. Sconfitta e morte degli Scipioni.Questa piega delle cose in Africa ebbe gravi conseguen-ze anche per la guerra di Spagna. Asdrubale potè ritor-nare di nuovo nella penisola (543=211), ove lo seguiro-no ben presto ragguardevoli rinforzi e Massinissa stesso.Gli Scipioni, i quali durante l'assenza del supremo co-mandante nemico (541-242=213-212) avevano conti-nuato a far bottino e ad ottenere aderenti nel territoriocartaginese, si videro inaspettatamente assaliti da forzetanto superiori, che non ebbero altra via di scelta che ri-tirarsi oltre l'Ebro o eccitare gli Spagnuoli a prendere learmi. Scelsero questo ultimo partito e assoldarono20.000 Celtiberi.Per affrontare meglio i tre eserciti nemici comandati daAsdrubale Barca, da Asdrubale figlio di Giscone, e daMagone, gli Scipioni divisero il loro esercito e non con-servarono unite nemmeno le loro truppe romane. Cosìfacendo si prepararono alla rovina.Mentre Gneo col suo esercito, composto di un terzo del-le truppe romane e di tutte le truppe spagnuole, stava ac-campato di fronte ad Asdrubale Barca, questi, mediante

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come al solito, presero sugl'insorti, dopo che il rivale diSiface, il re Gala – nell'odierna provincia di Costantina– si dichiarò in favore di Cartagine e dopo che il valoro-so suo figlio Massinissa ebbe battuto e costretto Sifacealla pace.

10. Sconfitta e morte degli Scipioni.Questa piega delle cose in Africa ebbe gravi conseguen-ze anche per la guerra di Spagna. Asdrubale potè ritor-nare di nuovo nella penisola (543=211), ove lo seguiro-no ben presto ragguardevoli rinforzi e Massinissa stesso.Gli Scipioni, i quali durante l'assenza del supremo co-mandante nemico (541-242=213-212) avevano conti-nuato a far bottino e ad ottenere aderenti nel territoriocartaginese, si videro inaspettatamente assaliti da forzetanto superiori, che non ebbero altra via di scelta che ri-tirarsi oltre l'Ebro o eccitare gli Spagnuoli a prendere learmi. Scelsero questo ultimo partito e assoldarono20.000 Celtiberi.Per affrontare meglio i tre eserciti nemici comandati daAsdrubale Barca, da Asdrubale figlio di Giscone, e daMagone, gli Scipioni divisero il loro esercito e non con-servarono unite nemmeno le loro truppe romane. Cosìfacendo si prepararono alla rovina.Mentre Gneo col suo esercito, composto di un terzo del-le truppe romane e di tutte le truppe spagnuole, stava ac-campato di fronte ad Asdrubale Barca, questi, mediante

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denaro, decise senza gravi difficoltà gli Spagnuoli, chemilitavano nell'esercito romano, ad abbandonare quelleinsegne, ciò che, secondo la loro morale da lanzichenec-chi, non può considerarsi forse nemmeno come una fel-lonia, poichè essi non passarono dalla parte dei nemicidi colui che li aveva assoldati.Al comandante romano toccò battere colla massima sol-lecitudine in ritirata inseguito dai nemici colla spada allereni.Nel frattempo il secondo esercito romano, comandato daPublio, fu messo alle strette dai due eserciti cartaginesicomandati da Asdrubale figlio di Giscone e da Magone;le ardite schiere di cavalleria di Massinissa diedero aiCartaginesi un deciso vantaggio.Il campo dei Romani era ormai quasi circondato e lo sa-rebbe stato compiutamente all'arrivo delle truppe ausi-liare spagnuole che erano già in marcia. L'ardita risolu-zione del proconsole di andare ad incontrare gli Spa-gnuoli colle migliori sue truppe prima che col loro arri-vo si chiudesse completamente il blocco, non ebbe esitofelice.I Romani avevano da principio ottenuto qualche vantag-gio; ma la cavalleria numidica, che inseguì rapidamentele schiere uscite dal campo, le ebbe tosto raggiunte edarrestò tanto il proseguimento della vittoria già riportataper metà, quanto la ritirata, finchè l'arrivo della fanteriacartaginese e la morte del comandante mutò la perduta

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denaro, decise senza gravi difficoltà gli Spagnuoli, chemilitavano nell'esercito romano, ad abbandonare quelleinsegne, ciò che, secondo la loro morale da lanzichenec-chi, non può considerarsi forse nemmeno come una fel-lonia, poichè essi non passarono dalla parte dei nemicidi colui che li aveva assoldati.Al comandante romano toccò battere colla massima sol-lecitudine in ritirata inseguito dai nemici colla spada allereni.Nel frattempo il secondo esercito romano, comandato daPublio, fu messo alle strette dai due eserciti cartaginesicomandati da Asdrubale figlio di Giscone e da Magone;le ardite schiere di cavalleria di Massinissa diedero aiCartaginesi un deciso vantaggio.Il campo dei Romani era ormai quasi circondato e lo sa-rebbe stato compiutamente all'arrivo delle truppe ausi-liare spagnuole che erano già in marcia. L'ardita risolu-zione del proconsole di andare ad incontrare gli Spa-gnuoli colle migliori sue truppe prima che col loro arri-vo si chiudesse completamente il blocco, non ebbe esitofelice.I Romani avevano da principio ottenuto qualche vantag-gio; ma la cavalleria numidica, che inseguì rapidamentele schiere uscite dal campo, le ebbe tosto raggiunte edarrestò tanto il proseguimento della vittoria già riportataper metà, quanto la ritirata, finchè l'arrivo della fanteriacartaginese e la morte del comandante mutò la perduta

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battaglia in una vera sconfitta. Morto così Publio, Gneo,indietreggiando lentamente e a mala pena difendendosicontro uno degli eserciti cartaginesi, fu repentinamenteattaccato da tre eserciti ed ebbe tagliata ogni ritirata dal-la cavalleria numida.Spinto verso una collina scoperta, che non offriva nem-meno la possibilità di accampare, tutta la divisione dalui comandata fu tagliata a pezzi o fatta prigioniera: diGneo non si ebbe alcuna sicura notizia. Un valoroso uf-ficiale della scuola di Gneo, Gaio Marcio, salvò solouna piccola divisione conducendola sull'opposta spondadell'Ebro, ove il legato Tito Fonteio riuscì a condurre asalvamento la parte dell'esercito di Publio che era rima-sta nel campo; e colà potè rifugiarsi persino la massimaparte dei presidii romani disseminati nella Spagna meri-dionale.I Cartaginesi signoreggiarono allora tranquilli tutta laSpagna sino all'Ebro e non sembrava lontano il momen-to in cui, varcato che avessero quel fiume, sarebbe ridi-venuto libero il passo dei Pirenei e sarebbero riannodatele relazioni con l'Italia.La necessità mise allora alla testa dell'esercito romanol'uomo adatto. Lasciati da una parte i più vecchi ed inettiufficiali, l'esercito elesse a suo duce Gaio Marcio. Lasua abilità e, forse, non meno di essa, l'invidia e la di-scordia sorte fra i comandanti cartaginesi, strapparono aquesti gli ulteriori frutti dell'importante vittoria. I Carta-ginesi che avevano passato il fiume, furono respinti

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battaglia in una vera sconfitta. Morto così Publio, Gneo,indietreggiando lentamente e a mala pena difendendosicontro uno degli eserciti cartaginesi, fu repentinamenteattaccato da tre eserciti ed ebbe tagliata ogni ritirata dal-la cavalleria numida.Spinto verso una collina scoperta, che non offriva nem-meno la possibilità di accampare, tutta la divisione dalui comandata fu tagliata a pezzi o fatta prigioniera: diGneo non si ebbe alcuna sicura notizia. Un valoroso uf-ficiale della scuola di Gneo, Gaio Marcio, salvò solouna piccola divisione conducendola sull'opposta spondadell'Ebro, ove il legato Tito Fonteio riuscì a condurre asalvamento la parte dell'esercito di Publio che era rima-sta nel campo; e colà potè rifugiarsi persino la massimaparte dei presidii romani disseminati nella Spagna meri-dionale.I Cartaginesi signoreggiarono allora tranquilli tutta laSpagna sino all'Ebro e non sembrava lontano il momen-to in cui, varcato che avessero quel fiume, sarebbe ridi-venuto libero il passo dei Pirenei e sarebbero riannodatele relazioni con l'Italia.La necessità mise allora alla testa dell'esercito romanol'uomo adatto. Lasciati da una parte i più vecchi ed inettiufficiali, l'esercito elesse a suo duce Gaio Marcio. Lasua abilità e, forse, non meno di essa, l'invidia e la di-scordia sorte fra i comandanti cartaginesi, strapparono aquesti gli ulteriori frutti dell'importante vittoria. I Carta-ginesi che avevano passato il fiume, furono respinti

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sull'altra sponda, e la linea dell'Ebro venne mantenutafintanto che Roma potè inviare in Spagna un nuovoesercito ed un nuovo duce.Fu ventura che lo permettesse la buona piega della guer-ra d'Italia, dove appunto allora era avvenuta la resa diCapua.Fu dunque fatta partire una legione forte di 12.000 uo-mini capitanata dal propretore Caio Claudio Nerone, laquale ripristinò l'equilibrio delle forze. Un'altra spedi-zione fatta l'anno seguente (544=210) nell'Andalusia fucoronata anche da miglior successo; Asdrubale fu cir-condato e si sottrasse alla capitolazione solo con ripro-vevole astuzia, violando apertamente la parola data.Ma Nerone non era il capitano che convenisse per laguerra di Spagna. Egli era un valente ufficiale, ma eraaltresì un uomo duro, impetuoso, impopolare, non abba-stanza destro per riannodare le antiche relazioni ed ini-ziarne di nuove, nè per trarre partito dalle ingiustizie edall'arroganza con cui i Cartaginesi, dopo la morte degliScipioni, trattavano tutti indistintamente gli Spagnuoliindispettendo amici e nemici.Il senato, convenientemente apprezzando l'importanza ela specialità della guerra di Spagna, informato dagli Uti-censi fatti prigionieri dalla flotta romana dei grandi pre-parativi che si facevano in Cartagine per mandareAsdrubale e Massinissa con un formidabile esercito ol-tre i Pirenei, deliberò di spedire in Spagna nuovi rinforzi

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sull'altra sponda, e la linea dell'Ebro venne mantenutafintanto che Roma potè inviare in Spagna un nuovoesercito ed un nuovo duce.Fu ventura che lo permettesse la buona piega della guer-ra d'Italia, dove appunto allora era avvenuta la resa diCapua.Fu dunque fatta partire una legione forte di 12.000 uo-mini capitanata dal propretore Caio Claudio Nerone, laquale ripristinò l'equilibrio delle forze. Un'altra spedi-zione fatta l'anno seguente (544=210) nell'Andalusia fucoronata anche da miglior successo; Asdrubale fu cir-condato e si sottrasse alla capitolazione solo con ripro-vevole astuzia, violando apertamente la parola data.Ma Nerone non era il capitano che convenisse per laguerra di Spagna. Egli era un valente ufficiale, ma eraaltresì un uomo duro, impetuoso, impopolare, non abba-stanza destro per riannodare le antiche relazioni ed ini-ziarne di nuove, nè per trarre partito dalle ingiustizie edall'arroganza con cui i Cartaginesi, dopo la morte degliScipioni, trattavano tutti indistintamente gli Spagnuoliindispettendo amici e nemici.Il senato, convenientemente apprezzando l'importanza ela specialità della guerra di Spagna, informato dagli Uti-censi fatti prigionieri dalla flotta romana dei grandi pre-parativi che si facevano in Cartagine per mandareAsdrubale e Massinissa con un formidabile esercito ol-tre i Pirenei, deliberò di spedire in Spagna nuovi rinforzi

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ed un comandante straordinario, di rango superiore, lacui nomina si credette bene lasciare al popolo.

11. Publio Scipione.Si narra che per lungo tempo nessuno si presentassecome candidato per assumere il pericoloso e scabrosoufficio, e che finalmente si facesse innanzi un giovaneufficiale di ventisette anni, Publio Scipione, figlio delgenerale omonimo morto in Spagna, e che era stato tri-buno militare ed edile.È ugualmente incredibile che il senato romano abbia la-sciato dipendere dal solo caso una sì importante elezio-ne nei comizi da esso convocati, come è incredibile chel'ambizione e l'amor di patria fossero spenti a Roma alpunto che per questa importante e gelosa carica non sifosse offerto nessun valoroso ufficiale.Se per contro gli sguardi del senato si fissarono sul gio-vane, valente ed esperimentato ufficiale, che s'era splen-didamente segnalato nelle terribili giornate della Trebbiae di Canne, a cui però mancava ancora il convenienterango per presentarsi quale successore di pretori e diconsoli, egli doveva naturalmente scegliere questa cheobbligava, sarei per dire, con bella maniera il popolo anominare l'unico candidato malgrado il difetto della suaqualifica, e che rendeva bene accetta tanto la nominaquanto la spedizione spagnuola, la quale ultima, senzadubbio, era molto impopolare.

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ed un comandante straordinario, di rango superiore, lacui nomina si credette bene lasciare al popolo.

11. Publio Scipione.Si narra che per lungo tempo nessuno si presentassecome candidato per assumere il pericoloso e scabrosoufficio, e che finalmente si facesse innanzi un giovaneufficiale di ventisette anni, Publio Scipione, figlio delgenerale omonimo morto in Spagna, e che era stato tri-buno militare ed edile.È ugualmente incredibile che il senato romano abbia la-sciato dipendere dal solo caso una sì importante elezio-ne nei comizi da esso convocati, come è incredibile chel'ambizione e l'amor di patria fossero spenti a Roma alpunto che per questa importante e gelosa carica non sifosse offerto nessun valoroso ufficiale.Se per contro gli sguardi del senato si fissarono sul gio-vane, valente ed esperimentato ufficiale, che s'era splen-didamente segnalato nelle terribili giornate della Trebbiae di Canne, a cui però mancava ancora il convenienterango per presentarsi quale successore di pretori e diconsoli, egli doveva naturalmente scegliere questa cheobbligava, sarei per dire, con bella maniera il popolo anominare l'unico candidato malgrado il difetto della suaqualifica, e che rendeva bene accetta tanto la nominaquanto la spedizione spagnuola, la quale ultima, senzadubbio, era molto impopolare.

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Se l'effetto di questa candidatura, apparentemente im-provvisata, era stato preventivamente calcolato, essoriuscì perfettamente.Il figlio che apprestavasi a vendicare la morte del padre,cui nove anni prima aveva salvata la vita nella giornatadella Trebbia, giovane di maschia bellezza, coi suoi lun-ghi capelli inanellati, che, in mancanza d'altri miglioredi lui, con modesto rossore, si offriva pel posto del peri-colo; il semplice tribuno militare elevato d'un tratto daivoti delle centurie al più alto grado – tutto ciò produssesui cittadini e sui contadini romani una portentosa ed in-delebile impressione.E veramente Publio Scipione era un entusiasta che ispi-rava entusiasmo. Non era di quei pochi che col loro fer-reo volere trascinano il mondo per secoli nella nuovavia da essi tracciata, o che tengono per lunghi anni im-brigliata la fortuna sino a che le ruote del suo carro nonsiano passate sovr'essi: egli vinse battaglie e conquistòpaesi per ordine del senato, e, mercè gli allori raccoltisui campi di battaglia, ebbe anche in Roma un'eminenteposizione quale uomo politico; ma per poter venir para-gonato ad un Alessandro o ad un Cesare gli mancavaancora molto.Come ufficiale esso non fu certamente, per la patria, piùdi Marco Marcello; come uomo politico, forse senzaavere nessuna coscienza della sua politica antipatriotticaed egoistica, egli cagionò al suo paese almeno altrettan-to danno quanto vantaggio gli arrecò coi suoi talenti mi-

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Se l'effetto di questa candidatura, apparentemente im-provvisata, era stato preventivamente calcolato, essoriuscì perfettamente.Il figlio che apprestavasi a vendicare la morte del padre,cui nove anni prima aveva salvata la vita nella giornatadella Trebbia, giovane di maschia bellezza, coi suoi lun-ghi capelli inanellati, che, in mancanza d'altri miglioredi lui, con modesto rossore, si offriva pel posto del peri-colo; il semplice tribuno militare elevato d'un tratto daivoti delle centurie al più alto grado – tutto ciò produssesui cittadini e sui contadini romani una portentosa ed in-delebile impressione.E veramente Publio Scipione era un entusiasta che ispi-rava entusiasmo. Non era di quei pochi che col loro fer-reo volere trascinano il mondo per secoli nella nuovavia da essi tracciata, o che tengono per lunghi anni im-brigliata la fortuna sino a che le ruote del suo carro nonsiano passate sovr'essi: egli vinse battaglie e conquistòpaesi per ordine del senato, e, mercè gli allori raccoltisui campi di battaglia, ebbe anche in Roma un'eminenteposizione quale uomo politico; ma per poter venir para-gonato ad un Alessandro o ad un Cesare gli mancavaancora molto.Come ufficiale esso non fu certamente, per la patria, piùdi Marco Marcello; come uomo politico, forse senzaavere nessuna coscienza della sua politica antipatriotticaed egoistica, egli cagionò al suo paese almeno altrettan-to danno quanto vantaggio gli arrecò coi suoi talenti mi-

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litari.Ciò non pertanto in questa bella figura sta un fascinosingolare; essa ci appare circondata come da una splen-dida aureola, da quella serena e fiduciosa ispirazione acui soleva abbandonarsi in parte in buona fede, in partecon destrezza. Possedeva quel tanto di fanatismo chepoteva bastare per suscitarlo nei cuori altrui, e sufficien-te discernimento per seguire in ogni evento ciò che erasecondo la ragione, tenendo in pari tempo calcolo anchedel volgare; non così ingenuo per dividere colla moltitu-dine la credenza delle divine ispirazioni, nè abbastanzaschietto per opporvisi, eppure, nel suo animo, persuasodi essere un uomo specialmente favorito dagli dei; Sci-pione era insomma una vera natura profetica. Tenendosial di sopra del popolo e lontano in pari tempo da esso,egli era uomo di fede indiscussa e d'intenti nobilissimi,che avrebbe creduto di avvilirsi accettando il titolo co-mune di re, mentre non poteva comprendere come la co-stituzione della repubblica potesse vincolare anche lui.Egli era così persuaso della propria grandezza, che nonconosceva nè invidia nè odio, rendeva volentieri giusti-zia al merito e perdonava compassionevolmente gli er-rori altrui.Valoroso ufficiale e fine diplomatico, senza un'improntasingolare che gli allontanasse gli animi, sapeva associa-re la coltura ellenica al più profondo sentimento nazio-nale romano, era un bel parlatore e seducente nei modi.Publio Scipione seppe guadagnarsi il cuore dei soldati e

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litari.Ciò non pertanto in questa bella figura sta un fascinosingolare; essa ci appare circondata come da una splen-dida aureola, da quella serena e fiduciosa ispirazione acui soleva abbandonarsi in parte in buona fede, in partecon destrezza. Possedeva quel tanto di fanatismo chepoteva bastare per suscitarlo nei cuori altrui, e sufficien-te discernimento per seguire in ogni evento ciò che erasecondo la ragione, tenendo in pari tempo calcolo anchedel volgare; non così ingenuo per dividere colla moltitu-dine la credenza delle divine ispirazioni, nè abbastanzaschietto per opporvisi, eppure, nel suo animo, persuasodi essere un uomo specialmente favorito dagli dei; Sci-pione era insomma una vera natura profetica. Tenendosial di sopra del popolo e lontano in pari tempo da esso,egli era uomo di fede indiscussa e d'intenti nobilissimi,che avrebbe creduto di avvilirsi accettando il titolo co-mune di re, mentre non poteva comprendere come la co-stituzione della repubblica potesse vincolare anche lui.Egli era così persuaso della propria grandezza, che nonconosceva nè invidia nè odio, rendeva volentieri giusti-zia al merito e perdonava compassionevolmente gli er-rori altrui.Valoroso ufficiale e fine diplomatico, senza un'improntasingolare che gli allontanasse gli animi, sapeva associa-re la coltura ellenica al più profondo sentimento nazio-nale romano, era un bel parlatore e seducente nei modi.Publio Scipione seppe guadagnarsi il cuore dei soldati e

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delle donne, quello dei suoi compatriotti e degli Spa-gnuoli, dei suoi rivali in senato e del suo maggior avver-sario cartaginese. Non tardò molto che il suo nome fu sututte le labbra, ed egli fu l'astro che sembrava destinatoad essere l'apportatore della vittoria e della pace al suopaese.

12. Presa di Cartagena.Publio Scipione partì per la Spagna (544-5=210-209)alla testa d'una fortissima legione e con una cassa benprovvista di denaro, accompagnato dal propretore Mar-co Silvano, destinato a rimpiazzare Nerone e ad assiste-re coi suoi consigli il giovane capitano, e dall'ammira-glio ed amico Gaio Lelio.La sua comparsa in Spagna fu contrassegnata da uno deipiù arditi e al tempo stesso dei più venturosi colpi dimano che la storia abbia registrato. I tre generali cartagi-nesi erano accampati come segue: Asdrubale Barca allesorgenti del Tago, Asdrubale figlio di Giscone alla suafoce, Magone alle colonne d'Ercole; il più vicino alla ca-pitale cartaginese (Cartagena) ne distava dieci marcie.Nella primavera del 545=209, prima ancora che gli eser-citi nemici si movessero, Scipione irruppe improvvisa-mente con tutto il suo esercito di circa 30.000 uomini,scortato dalla sua flotta, contro questa città.Partito dalla foce dell'Ebro, percorrendo la via del litora-le, vi giunse in pochi giorni, e sorprese la guarnigione

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delle donne, quello dei suoi compatriotti e degli Spa-gnuoli, dei suoi rivali in senato e del suo maggior avver-sario cartaginese. Non tardò molto che il suo nome fu sututte le labbra, ed egli fu l'astro che sembrava destinatoad essere l'apportatore della vittoria e della pace al suopaese.

12. Presa di Cartagena.Publio Scipione partì per la Spagna (544-5=210-209)alla testa d'una fortissima legione e con una cassa benprovvista di denaro, accompagnato dal propretore Mar-co Silvano, destinato a rimpiazzare Nerone e ad assiste-re coi suoi consigli il giovane capitano, e dall'ammira-glio ed amico Gaio Lelio.La sua comparsa in Spagna fu contrassegnata da uno deipiù arditi e al tempo stesso dei più venturosi colpi dimano che la storia abbia registrato. I tre generali cartagi-nesi erano accampati come segue: Asdrubale Barca allesorgenti del Tago, Asdrubale figlio di Giscone alla suafoce, Magone alle colonne d'Ercole; il più vicino alla ca-pitale cartaginese (Cartagena) ne distava dieci marcie.Nella primavera del 545=209, prima ancora che gli eser-citi nemici si movessero, Scipione irruppe improvvisa-mente con tutto il suo esercito di circa 30.000 uomini,scortato dalla sua flotta, contro questa città.Partito dalla foce dell'Ebro, percorrendo la via del litora-le, vi giunse in pochi giorni, e sorprese la guarnigione

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cartaginese, che non contava più di mille uomini, con unattacco combinato per mare e per terra.La città, posta su d'una lingua di terra sporgente nel por-to, si vide allo stesso tempo minacciata dalla flotta ro-mana da tre lati e dalle legioni dal quarto, e senza spe-ranza di prossimo aiuto. Il comandante Magone si difeseciò nonpertanto con risolutezza, e, non bastando i solda-ti per guarnire le mura, armò i cittadini. Fu tentata unasortita, la quale venne agevolmente respinta dai Roma-ni, che senza perdere tempo a porre un assedio regolare,diedero l'assalto dalla parte di terra.Con grande impeto si spingevano gli assalitori per la an-gusta via verso la città; le colonne stanche venivanorimpiazzate sollecitamente da truppe fresche; la deboleguarnigione era sfinita dalle fatiche; nondimeno i Ro-mani non raggiungevano alcun successo. Nè lo attende-va Scipione; l'assalto era stato ordinato per distoglierel'attenzione del presidio dalla parte del porto, dove Sci-pione, avvertito che durante il riflusso un tratto dellaspiaggia rimaneva asciutta, meditava un secondo attac-co. Mentre dalla parte di terra infuriava il combattimen-to, egli mandava una divisione munita di scale attraver-so il banco di sabbia «ove Nettuno stesso mostrar le do-veva la via», ed essa ebbe effettivamente la fortuna ditrovar le mura senza difesa. Così fu presa la città in ungiorno; Magone, che si trovava nella cittadella, capitolò.Colla capitale cartaginese caddero in mano dei Romanidiciotto navi da guerra disarmate, e sessantre onerarie,

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cartaginese, che non contava più di mille uomini, con unattacco combinato per mare e per terra.La città, posta su d'una lingua di terra sporgente nel por-to, si vide allo stesso tempo minacciata dalla flotta ro-mana da tre lati e dalle legioni dal quarto, e senza spe-ranza di prossimo aiuto. Il comandante Magone si difeseciò nonpertanto con risolutezza, e, non bastando i solda-ti per guarnire le mura, armò i cittadini. Fu tentata unasortita, la quale venne agevolmente respinta dai Roma-ni, che senza perdere tempo a porre un assedio regolare,diedero l'assalto dalla parte di terra.Con grande impeto si spingevano gli assalitori per la an-gusta via verso la città; le colonne stanche venivanorimpiazzate sollecitamente da truppe fresche; la deboleguarnigione era sfinita dalle fatiche; nondimeno i Ro-mani non raggiungevano alcun successo. Nè lo attende-va Scipione; l'assalto era stato ordinato per distoglierel'attenzione del presidio dalla parte del porto, dove Sci-pione, avvertito che durante il riflusso un tratto dellaspiaggia rimaneva asciutta, meditava un secondo attac-co. Mentre dalla parte di terra infuriava il combattimen-to, egli mandava una divisione munita di scale attraver-so il banco di sabbia «ove Nettuno stesso mostrar le do-veva la via», ed essa ebbe effettivamente la fortuna ditrovar le mura senza difesa. Così fu presa la città in ungiorno; Magone, che si trovava nella cittadella, capitolò.Colla capitale cartaginese caddero in mano dei Romanidiciotto navi da guerra disarmate, e sessantre onerarie,

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tutto il materiale di guerra, ragguardevoli provviste digrano, la cassa di guerra con 600 talenti (L. 3.660.000);gli ostaggi di tutti gli alleati spagnuoli di Cartagine, ediecimila prigionieri, fra i quali diciotto gerusiasti, ossiagiudici cartaginesi.Scipione promise agli ostaggi di lasciarli liberi appenala patria di ognuno si fosse alleata con Roma, e si servìdei mezzi offertigli dalla città per rafforzare ed assestareil suo esercito, facendo lavorare per esso duemila operaidi Cartagena colla promessa di accordar loro la libertàdopo finita la guerra; scelse inoltre fra la moltitudine ipiù idonei come rematori per le sue navi.I cittadini furono risparmiati, lasciando loro la libertà ela posizione che avevano avuto fino allora.Scipione conosceva i Cartaginesi e sapeva che essiavrebbero ubbidito.Era cosa di molta importanza assicurarsi il possesso diquella città, che possedeva l'unico eccellente porto sullacosta orientale e ricche miniere d'argento, e non la solaguarnigione.La temeraria impresa era riuscita; temeraria, dissi, per-chè Scipione non ignorava che Asdrubale Barca avevaricevuto ordine dal suo governo di spingersi nella Gal-lia, e che si era accinto ad eseguirlo; come sapeva pureche la debole guarnigione lasciata sull'Ebro sarebbe sta-ta difficilmente in grado d'impedirglielo se il ritorno diScipione fosse di poco ritardato.

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tutto il materiale di guerra, ragguardevoli provviste digrano, la cassa di guerra con 600 talenti (L. 3.660.000);gli ostaggi di tutti gli alleati spagnuoli di Cartagine, ediecimila prigionieri, fra i quali diciotto gerusiasti, ossiagiudici cartaginesi.Scipione promise agli ostaggi di lasciarli liberi appenala patria di ognuno si fosse alleata con Roma, e si servìdei mezzi offertigli dalla città per rafforzare ed assestareil suo esercito, facendo lavorare per esso duemila operaidi Cartagena colla promessa di accordar loro la libertàdopo finita la guerra; scelse inoltre fra la moltitudine ipiù idonei come rematori per le sue navi.I cittadini furono risparmiati, lasciando loro la libertà ela posizione che avevano avuto fino allora.Scipione conosceva i Cartaginesi e sapeva che essiavrebbero ubbidito.Era cosa di molta importanza assicurarsi il possesso diquella città, che possedeva l'unico eccellente porto sullacosta orientale e ricche miniere d'argento, e non la solaguarnigione.La temeraria impresa era riuscita; temeraria, dissi, per-chè Scipione non ignorava che Asdrubale Barca avevaricevuto ordine dal suo governo di spingersi nella Gal-lia, e che si era accinto ad eseguirlo; come sapeva pureche la debole guarnigione lasciata sull'Ebro sarebbe sta-ta difficilmente in grado d'impedirglielo se il ritorno diScipione fosse di poco ritardato.

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Ma egli era ritornato a Tarragona prima che Asdrubalesi fosse mostrato sull'Ebro; il pericoloso tentativo fattodal giovane capitano, abbandonando il suo compito pre-sente per tentare un attraente colpo di mano, fu giustifi-cato dal favoloso successo da lui ottenuto con l'aiuto diNettuno.La prodigiosa resa della capitale cartaginese giustificòcosì, oltre ogni previsione, quanto in patria ci si ripro-metteva dal meraviglioso giovane, e ciò doveva ammu-tolire qualunque contrario giudizio.Scipione fu confermato nel comando per un tempo inde-terminato; egli stesso decise di non limitarsi al meschinoincarico di custodire il passaggio dei Pirenei.In conseguenza della presa di Cartagena non solo si era-no interamente sottomessi ai Romani gli Spagnuoli resi-denti al di qua dell'Ebro, ma anche i più potenti principidell'altra sponda avevano cambiata la clientela cartagi-nese con quella romana.Scipione approfittò dell'inverno del 545-6=209-8 persciogliere la sua flotta e per accrescere colla ciurma diquesta il suo esercito di terra, di modo che egli potè altempo stesso tener d'occhio il settentrione e prenderecon maggior vigore, di quello che non avesse fatto sinoallora, l'offensiva nel mezzodì, e nel 546=208 si mise inmarcia alla volta dell'Andalusia.Qui si scontrò con Asdrubale Barca, il quale si dirigevaverso il settentrione allo scopo di porre in esecuzione il

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Ma egli era ritornato a Tarragona prima che Asdrubalesi fosse mostrato sull'Ebro; il pericoloso tentativo fattodal giovane capitano, abbandonando il suo compito pre-sente per tentare un attraente colpo di mano, fu giustifi-cato dal favoloso successo da lui ottenuto con l'aiuto diNettuno.La prodigiosa resa della capitale cartaginese giustificòcosì, oltre ogni previsione, quanto in patria ci si ripro-metteva dal meraviglioso giovane, e ciò doveva ammu-tolire qualunque contrario giudizio.Scipione fu confermato nel comando per un tempo inde-terminato; egli stesso decise di non limitarsi al meschinoincarico di custodire il passaggio dei Pirenei.In conseguenza della presa di Cartagena non solo si era-no interamente sottomessi ai Romani gli Spagnuoli resi-denti al di qua dell'Ebro, ma anche i più potenti principidell'altra sponda avevano cambiata la clientela cartagi-nese con quella romana.Scipione approfittò dell'inverno del 545-6=209-8 persciogliere la sua flotta e per accrescere colla ciurma diquesta il suo esercito di terra, di modo che egli potè altempo stesso tener d'occhio il settentrione e prenderecon maggior vigore, di quello che non avesse fatto sinoallora, l'offensiva nel mezzodì, e nel 546=208 si mise inmarcia alla volta dell'Andalusia.Qui si scontrò con Asdrubale Barca, il quale si dirigevaverso il settentrione allo scopo di porre in esecuzione il

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piano, già da lungo tempo meditato, di venire in aiuto disuo fratello Annibale. Si venne a battaglia presso Becu-la; i Romani se ne ascrissero la vittoria e dissero d'averfatto 10 mila prigionieri, ma Asdrubale raggiunse in so-stanza il suo obiettivo, sebbene vi sacrificasse una partedell'esercito.Con la miglior parte delle sue truppe, con i suoi elefantie con la sua cassa, egli si aprì un varco attraverso il pae-se e pervenne alla costa settentrionale; raggiunse, co-steggiando l'oceano, i passi occidentali dei Pirenei, chepare non fossero occupati; arrivò nella Gallia prima checominciasse la cattiva stagione, e vi pose i quartierid'inverno.Allora si chiarì che la risoluzione presa da Scipione dicombinare l'offensiva con l'impostagli difensiva non eranè ben meditata, nè assennata; il vittorioso capitano allatesta d'un forte esercito, con tutta la sua presunzione, eravenuto meno al compito principale dell'esercito di Spa-gna, che non solo il padre e lo zio, ma lo stesso GaioMarcio e Gaio Nerone avevano saputo assolvere conmezzi molto inferiori; e fu colpa sua, se nell'estate del547 si trovò in una pericolosa situazione, allorchè il pro-getto d'Annibale d'un attacco combinato contro l'urbevenne finalmente effettuato.Ma gli dei vollero coprire d'allori gli errori del loro pre-diletto. In Italia il pericolo passò felicemente; si fecebuon viso al bollettino dell'ambigua vittoria riportatapresso Becula, e quando giunsero dalla Spagna altri bol-

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piano, già da lungo tempo meditato, di venire in aiuto disuo fratello Annibale. Si venne a battaglia presso Becu-la; i Romani se ne ascrissero la vittoria e dissero d'averfatto 10 mila prigionieri, ma Asdrubale raggiunse in so-stanza il suo obiettivo, sebbene vi sacrificasse una partedell'esercito.Con la miglior parte delle sue truppe, con i suoi elefantie con la sua cassa, egli si aprì un varco attraverso il pae-se e pervenne alla costa settentrionale; raggiunse, co-steggiando l'oceano, i passi occidentali dei Pirenei, chepare non fossero occupati; arrivò nella Gallia prima checominciasse la cattiva stagione, e vi pose i quartierid'inverno.Allora si chiarì che la risoluzione presa da Scipione dicombinare l'offensiva con l'impostagli difensiva non eranè ben meditata, nè assennata; il vittorioso capitano allatesta d'un forte esercito, con tutta la sua presunzione, eravenuto meno al compito principale dell'esercito di Spa-gna, che non solo il padre e lo zio, ma lo stesso GaioMarcio e Gaio Nerone avevano saputo assolvere conmezzi molto inferiori; e fu colpa sua, se nell'estate del547 si trovò in una pericolosa situazione, allorchè il pro-getto d'Annibale d'un attacco combinato contro l'urbevenne finalmente effettuato.Ma gli dei vollero coprire d'allori gli errori del loro pre-diletto. In Italia il pericolo passò felicemente; si fecebuon viso al bollettino dell'ambigua vittoria riportatapresso Becula, e quando giunsero dalla Spagna altri bol-

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lettini di vittorie, non si pensò più che si era dovutocombattere in Italia il più esperto capitano ed il nerbodell'esercito ispano-cartaginese.

13. Conquista della Spagna.Dopo la partenza d'Amilcare Barca, i due comandanticartaginesi rimasti in Spagna decisero di ritirarsi provvi-soriamente, Asdrubale figlio di Giscone nella Lusitania,Magone nelle isole Baleari, non lasciando in Spagna,sino all'arrivo di nuovi rinforzi dall'Africa, che la caval-leria leggera di Massinissa perchè facesse delle scorreriesimili a quelle che Mutinete aveva fatto con grande suc-cesso in Sicilia. Così venne in potere dei Romani tutta lacosta orientale.L'anno seguente (547=207) Annone venne effettivamen-te dall'Africa alla testa d'un terzo esercito, per cui Ma-gone ed Asdrubale ritornarono nell'Andalusia. Ma Mar-co Silvano sconfisse gli eserciti uniti di Magone ed'Annone e fece persino prigioniero quest'ultimo.Asdrubale rinunziò a tenersi in campo aperto e ripartì lesue truppe tra le città andaluse, delle quali Scipione inquell'anno non potè espugnare che la sola Oringi.I Cartaginesi sembravano vinti; ciò non pertanto essi fu-rono in grado l'anno successivo (548=206) di entrare incampagna con un altro poderoso esercito composto di32 elefanti, 4000 cavalieri e 70.000 fanti, per la massi-ma parte però milizie spagnuole accozzate alla meglio.

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lettini di vittorie, non si pensò più che si era dovutocombattere in Italia il più esperto capitano ed il nerbodell'esercito ispano-cartaginese.

13. Conquista della Spagna.Dopo la partenza d'Amilcare Barca, i due comandanticartaginesi rimasti in Spagna decisero di ritirarsi provvi-soriamente, Asdrubale figlio di Giscone nella Lusitania,Magone nelle isole Baleari, non lasciando in Spagna,sino all'arrivo di nuovi rinforzi dall'Africa, che la caval-leria leggera di Massinissa perchè facesse delle scorreriesimili a quelle che Mutinete aveva fatto con grande suc-cesso in Sicilia. Così venne in potere dei Romani tutta lacosta orientale.L'anno seguente (547=207) Annone venne effettivamen-te dall'Africa alla testa d'un terzo esercito, per cui Ma-gone ed Asdrubale ritornarono nell'Andalusia. Ma Mar-co Silvano sconfisse gli eserciti uniti di Magone ed'Annone e fece persino prigioniero quest'ultimo.Asdrubale rinunziò a tenersi in campo aperto e ripartì lesue truppe tra le città andaluse, delle quali Scipione inquell'anno non potè espugnare che la sola Oringi.I Cartaginesi sembravano vinti; ciò non pertanto essi fu-rono in grado l'anno successivo (548=206) di entrare incampagna con un altro poderoso esercito composto di32 elefanti, 4000 cavalieri e 70.000 fanti, per la massi-ma parte però milizie spagnuole accozzate alla meglio.

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Si venne un'altra volta a battaglia presso Becula. L'eser-cito romano era poco più della metà dell'esercito nemicoe comprendeva esso pure una buona parte di Spagnuoli.Scipione dispose, come fece Wellington in caso simile, isuoi spagnuoli in modo – il solo per impedirne la diser-zione – ch'essi non prendessero parte al combattimento,mentre per contro egli lanciava la sue truppe romaneprimieramente contro gli Spagnuoli. La giornata fu no-nostante duramente contrastata; vinsero finalmente i Ro-mani, e, come ben si comprende, la sconfitta d'un taleesercito valse lo stesso che la sua completa disfatta.Solo Asdrubale e Magone si salvarono a Cadice.Allora i Romani non ebbero più alcun rivale nella peni-sola; le poche città, che non vollero assoggettarsi spon-taneamente, vi furono costrette colla forza e in parte pu-nite con implacabile durezza. Scipione potè persino fareuna visita a Siface sulla costa africana e intavolare trat-tative con lui e con lo stesso Massinissa per il caso d'unaspedizione in Africa; colpo di mano veramente temera-rio, non giustificato dall'importanza dello scopo, perquanto la notizia di esso possa aver soddisfatto i curiosicittadini della capitale. La sola Cadice, dove comandavaMagone, teneva ancora per i Cartaginesi.Vi fu un momento in cui sembrò che, ottenutasi dai Ro-mani l'eredità cartaginese e perdutasi per opera loro lasperanza degli Spagnuoli di liberarsi anche degli ospitiromani dopo la caduta del governo cartaginese, e di ri-cuperare l'antica libertà, dovesse scoppiare, con a capo

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Si venne un'altra volta a battaglia presso Becula. L'eser-cito romano era poco più della metà dell'esercito nemicoe comprendeva esso pure una buona parte di Spagnuoli.Scipione dispose, come fece Wellington in caso simile, isuoi spagnuoli in modo – il solo per impedirne la diser-zione – ch'essi non prendessero parte al combattimento,mentre per contro egli lanciava la sue truppe romaneprimieramente contro gli Spagnuoli. La giornata fu no-nostante duramente contrastata; vinsero finalmente i Ro-mani, e, come ben si comprende, la sconfitta d'un taleesercito valse lo stesso che la sua completa disfatta.Solo Asdrubale e Magone si salvarono a Cadice.Allora i Romani non ebbero più alcun rivale nella peni-sola; le poche città, che non vollero assoggettarsi spon-taneamente, vi furono costrette colla forza e in parte pu-nite con implacabile durezza. Scipione potè persino fareuna visita a Siface sulla costa africana e intavolare trat-tative con lui e con lo stesso Massinissa per il caso d'unaspedizione in Africa; colpo di mano veramente temera-rio, non giustificato dall'importanza dello scopo, perquanto la notizia di esso possa aver soddisfatto i curiosicittadini della capitale. La sola Cadice, dove comandavaMagone, teneva ancora per i Cartaginesi.Vi fu un momento in cui sembrò che, ottenutasi dai Ro-mani l'eredità cartaginese e perdutasi per opera loro lasperanza degli Spagnuoli di liberarsi anche degli ospitiromani dopo la caduta del governo cartaginese, e di ri-cuperare l'antica libertà, dovesse scoppiare, con a capo

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gli stessi alleati di Roma, un'insurrezione generale con-tro i nuovi signori. Una malattia del comandante roma-no e l'ammutinamento d'uno dei suoi corpi d'armata peril soldo arretrato già da parecchi anni, favorivanol'insurrezione. Ma Scipione si ristabilì in salute più pre-sto di quello che non si credesse, e calmò con destrezzal'ammutinamento dei soldati; in conseguenza di che an-che quei comuni, che subito si erano pronunziati perl'insurrezione nazionale, furono domati prima che que-sta si estendesse maggiormente.Essendo andato a male anche questo tentativo, e Cadicenon potendo ormai reggere più a lungo, il governo carta-ginese impose a Magone di utilizzare tutte le forze cheavesse potuto raccogliere in navi, soldati e denaro, perimprimere possibilmente un'altra direzione alla guerrad'Italia.Scipione non lo potè impedire avendo egli sciolta lapropria flotta, e dovette per la seconda volta lasciare aisuoi numi la difesa della patria a lui affidata contro nuo-ve invasioni.L'ultimo dei figli di Amilcare lasciò quindi senza osta-colo la penisola.Dopo la sua ritirata anche Cadice, il più antico e l'ultimopossedimento dei Cartaginesi sul suolo di Spagna, si ar-rese ai nuovi padroni a patti favorevoli.

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gli stessi alleati di Roma, un'insurrezione generale con-tro i nuovi signori. Una malattia del comandante roma-no e l'ammutinamento d'uno dei suoi corpi d'armata peril soldo arretrato già da parecchi anni, favorivanol'insurrezione. Ma Scipione si ristabilì in salute più pre-sto di quello che non si credesse, e calmò con destrezzal'ammutinamento dei soldati; in conseguenza di che an-che quei comuni, che subito si erano pronunziati perl'insurrezione nazionale, furono domati prima che que-sta si estendesse maggiormente.Essendo andato a male anche questo tentativo, e Cadicenon potendo ormai reggere più a lungo, il governo carta-ginese impose a Magone di utilizzare tutte le forze cheavesse potuto raccogliere in navi, soldati e denaro, perimprimere possibilmente un'altra direzione alla guerrad'Italia.Scipione non lo potè impedire avendo egli sciolta lapropria flotta, e dovette per la seconda volta lasciare aisuoi numi la difesa della patria a lui affidata contro nuo-ve invasioni.L'ultimo dei figli di Amilcare lasciò quindi senza osta-colo la penisola.Dopo la sua ritirata anche Cadice, il più antico e l'ultimopossedimento dei Cartaginesi sul suolo di Spagna, si ar-rese ai nuovi padroni a patti favorevoli.

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Dopo una guerra durata tredici anni la Spagna da pro-vincia cartaginese era diventata provincia romana.L'insurrezione sempre vinta, ma non mai spenta, conti-nuò ancora per secoli contro i Romani; ma per il mo-mento essi non avevano di fronte alcun nemico. Scipio-ne approfittò di questa apparente tranquillità per cederead altri il comando (541=206) e cercarsi(30) a Roma perdare personalmente ragguaglio delle riportate vittorie edei paesi conquistati.

14. Guerra in Italia.Mentre Marcello metteva fine alla guerra di Sicilia, Pu-blio Sulpizio a quella di Grecia, e Scipione a quella diSpagna, continuava senza posa la grandiosa lotta nellapenisola italica.Dopo la giornata di Canne, allorchè le conseguenze del-la medesima si poterono valutare per i vincitori e per ivinti, la posizione dei Romani e dei Cartaginesi, in prin-cipio dell'anno 540=214, quinto della guerra, era la se-guente: evacuata ch'ebbe Annibale l'alta Italia, i Romanila rioccuparono con tre legioni, stabilendone due nelpaese dei Celti, la terza come riserva nel Piceno.La bassa Italia fino al monte Gargano ed al Volturno sitrovava in mano d'Annibale, ad eccezione delle fortezzee della maggior parte dei porti. Egli stesso stanziava colgrosso dell'armata nell'Apulia presso Arpi, avendo di

30 Nell'edizione Dall'Oglio 1962 si legge "recarsi" [Nota per l'edizione elet-tronica Manuzio].

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Dopo una guerra durata tredici anni la Spagna da pro-vincia cartaginese era diventata provincia romana.L'insurrezione sempre vinta, ma non mai spenta, conti-nuò ancora per secoli contro i Romani; ma per il mo-mento essi non avevano di fronte alcun nemico. Scipio-ne approfittò di questa apparente tranquillità per cederead altri il comando (541=206) e cercarsi(30) a Roma perdare personalmente ragguaglio delle riportate vittorie edei paesi conquistati.

14. Guerra in Italia.Mentre Marcello metteva fine alla guerra di Sicilia, Pu-blio Sulpizio a quella di Grecia, e Scipione a quella diSpagna, continuava senza posa la grandiosa lotta nellapenisola italica.Dopo la giornata di Canne, allorchè le conseguenze del-la medesima si poterono valutare per i vincitori e per ivinti, la posizione dei Romani e dei Cartaginesi, in prin-cipio dell'anno 540=214, quinto della guerra, era la se-guente: evacuata ch'ebbe Annibale l'alta Italia, i Romanila rioccuparono con tre legioni, stabilendone due nelpaese dei Celti, la terza come riserva nel Piceno.La bassa Italia fino al monte Gargano ed al Volturno sitrovava in mano d'Annibale, ad eccezione delle fortezzee della maggior parte dei porti. Egli stesso stanziava colgrosso dell'armata nell'Apulia presso Arpi, avendo di

30 Nell'edizione Dall'Oglio 1962 si legge "recarsi" [Nota per l'edizione elet-tronica Manuzio].

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fronte Tiberio Gracco con quattro legioni appoggiatoalle fortezze di Lucera e di Benevento.Nel paese dei Bruzi, i quali si erano dati interamente adAnnibale, e dove i Cartaginesi avevano occupati i porti,ad eccezione di quello di Reggio poichè protetto dai Ro-mani che presidiavano Messina, si trovava un secondoesercito cartaginese capitanato da Annone, il quale nonaveva, per il momento, di fronte alcun nemico.Il grosso dell'esercito romano, composto di quattro le-gioni e comandato dai due consoli Quinto Fabio e Mar-co Marcello, si disponeva a tentare la riconquista di Ca-pua.Si aggiungevano dal lato dei Romani due legioni di ri-serva nella capitale, i presidii di tutti i porti di mare, chein Taranto e in Brindisi erano stati rinforzati con una le-gione a causa del temuto sbarco dei Macedoni; final-mente la numerosa flotta che dominava il mare senza al-cun contrasto.Se vi si aggiungano gli eserciti di Sicilia, di Sardegna edi Spagna, le forze dei Romani, anche indipendente-mente dal servizio delle guarnigioni, a cui nelle piazze-forti della bassa Italia provvedevano i coloni colà stabi-liti, ascendevano a non meno di 200.000 uomini, deiquali, un terzo reclute dell'annata; circa la metà eranocittadini romani.Si può ritenere che si trovassero sotto le armi tutti gliuomini atti a combattere dai 17 a 46 anni, e che i campi

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fronte Tiberio Gracco con quattro legioni appoggiatoalle fortezze di Lucera e di Benevento.Nel paese dei Bruzi, i quali si erano dati interamente adAnnibale, e dove i Cartaginesi avevano occupati i porti,ad eccezione di quello di Reggio poichè protetto dai Ro-mani che presidiavano Messina, si trovava un secondoesercito cartaginese capitanato da Annone, il quale nonaveva, per il momento, di fronte alcun nemico.Il grosso dell'esercito romano, composto di quattro le-gioni e comandato dai due consoli Quinto Fabio e Mar-co Marcello, si disponeva a tentare la riconquista di Ca-pua.Si aggiungevano dal lato dei Romani due legioni di ri-serva nella capitale, i presidii di tutti i porti di mare, chein Taranto e in Brindisi erano stati rinforzati con una le-gione a causa del temuto sbarco dei Macedoni; final-mente la numerosa flotta che dominava il mare senza al-cun contrasto.Se vi si aggiungano gli eserciti di Sicilia, di Sardegna edi Spagna, le forze dei Romani, anche indipendente-mente dal servizio delle guarnigioni, a cui nelle piazze-forti della bassa Italia provvedevano i coloni colà stabi-liti, ascendevano a non meno di 200.000 uomini, deiquali, un terzo reclute dell'annata; circa la metà eranocittadini romani.Si può ritenere che si trovassero sotto le armi tutti gliuomini atti a combattere dai 17 a 46 anni, e che i campi

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dove la guerra permetteva di lavorare fossero coltivatidagli schiavi, dai vecchi, dai ragazzi e dalle donne.È naturale che in simili condizioni anche le finanze sitrovassero nel massimo imbarazzo; l'imposta prediale,sulla quale si faceva precipuo assegnamento, si riscuote-va assai irregolarmente. Non ostante una tale scarsità diuomini e di denaro, i Romani poterono riguadagnare,sebbene lentamente e impiegando tutte le loro forze,quanto essi con tanta rapidità avevano perduto, e potero-no aumentare ogni anno i loro eserciti, mentre quellicartaginesi andavano assottigliandosi sempre più.Inoltre i Romani, d'anno in anno, ritornavano a prevale-re contro tutti gli alleati d'Annibale in Italia, i Campani,gli Apuli, i Sanniti e i Bruzi, i quali non bastavano a di-fendersi da sè alla pari delle fortezze romane della bassaItalia, nè potevano essere sufficientemente tutelati daldebole esercito d'Annibale.Finalmente il sistema di guerra introdotto da MarcoMarcello eccitò il talento degli ufficiali, e dimostròcompletamente la superiorità della fanteria romana.Annibale poteva ben sperare di riportare ancora qualchevittoria ma non come quelle riportate sulle sponde delTrasimeno e sulle rive dell'Ofanto; i tempi dei generaliborghesi erano passati. Non gli rimaneva altro da fare,che attendere che Filippo effettuasse lo sbarco da tantotempo promesso, o che i fratelli gli stendessero la manodalla Spagna, procurando nel frattempo di tenere possi-

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dove la guerra permetteva di lavorare fossero coltivatidagli schiavi, dai vecchi, dai ragazzi e dalle donne.È naturale che in simili condizioni anche le finanze sitrovassero nel massimo imbarazzo; l'imposta prediale,sulla quale si faceva precipuo assegnamento, si riscuote-va assai irregolarmente. Non ostante una tale scarsità diuomini e di denaro, i Romani poterono riguadagnare,sebbene lentamente e impiegando tutte le loro forze,quanto essi con tanta rapidità avevano perduto, e potero-no aumentare ogni anno i loro eserciti, mentre quellicartaginesi andavano assottigliandosi sempre più.Inoltre i Romani, d'anno in anno, ritornavano a prevale-re contro tutti gli alleati d'Annibale in Italia, i Campani,gli Apuli, i Sanniti e i Bruzi, i quali non bastavano a di-fendersi da sè alla pari delle fortezze romane della bassaItalia, nè potevano essere sufficientemente tutelati daldebole esercito d'Annibale.Finalmente il sistema di guerra introdotto da MarcoMarcello eccitò il talento degli ufficiali, e dimostròcompletamente la superiorità della fanteria romana.Annibale poteva ben sperare di riportare ancora qualchevittoria ma non come quelle riportate sulle sponde delTrasimeno e sulle rive dell'Ofanto; i tempi dei generaliborghesi erano passati. Non gli rimaneva altro da fare,che attendere che Filippo effettuasse lo sbarco da tantotempo promesso, o che i fratelli gli stendessero la manodalla Spagna, procurando nel frattempo di tenere possi-

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bilmente in buona condizione e di buon animo il suoesercito ed i suoi alleati.A giudicare dal sistema di difesa mantenuto ora tenace-mente, a stento si riconosce in lui quel capitano, che contanto vigore e con tanta temerità aveva già, come mainessun altro, condotta l'offensiva; ed è cosa meraviglio-sa così dal lato psicologico che militare vedere lo stessouomo assolvere con eguale perfezione i due compiti im-postigli, di natura così diversa.

15. Combattimenti nell'Italia meridionale.Sulle prime la guerra si svolse particolarmente verso laCampania.Annibale giunse in tempo per difendere la sua capitaleimpedendone il blocco; ma in grazia delle forti guarni-gioni che le presidiavano, non potè togliere ai Romaninessuna delle città campane da essi possedute, nè potèimpedire che gli eserciti consolari, oltre un buon nume-ro di città provinciali meno importanti, conquistasserodopo una strenua difesa anche Casilino, che acquistavaloro il passaggio del Volturno.Annibale fece un tentativo per prendere Taranto, spe-cialmente con lo scopo di assicurarsi un buon porto perlo sbarco dell'esercito macedone; ma il colpo gli andòfallito.Nel frattempo l'esercito abruzzese dei Cartaginesi, co-mandato da Annone, si batteva nella Lucania con l'eser-

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bilmente in buona condizione e di buon animo il suoesercito ed i suoi alleati.A giudicare dal sistema di difesa mantenuto ora tenace-mente, a stento si riconosce in lui quel capitano, che contanto vigore e con tanta temerità aveva già, come mainessun altro, condotta l'offensiva; ed è cosa meraviglio-sa così dal lato psicologico che militare vedere lo stessouomo assolvere con eguale perfezione i due compiti im-postigli, di natura così diversa.

15. Combattimenti nell'Italia meridionale.Sulle prime la guerra si svolse particolarmente verso laCampania.Annibale giunse in tempo per difendere la sua capitaleimpedendone il blocco; ma in grazia delle forti guarni-gioni che le presidiavano, non potè togliere ai Romaninessuna delle città campane da essi possedute, nè potèimpedire che gli eserciti consolari, oltre un buon nume-ro di città provinciali meno importanti, conquistasserodopo una strenua difesa anche Casilino, che acquistavaloro il passaggio del Volturno.Annibale fece un tentativo per prendere Taranto, spe-cialmente con lo scopo di assicurarsi un buon porto perlo sbarco dell'esercito macedone; ma il colpo gli andòfallito.Nel frattempo l'esercito abruzzese dei Cartaginesi, co-mandato da Annone, si batteva nella Lucania con l'eser-

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cito romano dell'Apulia.Tiberio Gracco vi sostenne la lotta con successo, e dopoun felice combattimento presso Benevento, in cui si se-gnalarono le legioni di schiavi arruolati per forza, fu aquegli schiavi soldati concesso dal generale, in nomedel popolo, la libertà e la cittadinanza.L'anno seguente (541=213) i Romani riconquistarono laricca ed importante città di Arpi, i cui cittadini, appena iRomani furono entro le mura, fecero causa comune conessi contro il presidio cartaginese.I legami della simmachia di Annibale andavano in gene-rale rilassandosi; un numero considerevole dei più di-stinti Capuani, e parecchie città del Bruzio passaronodalla parte dei Romani, e persino una divisione spa-gnuola dell'esercito cartaginese, informata da emissarispagnuoli dello stato delle cose in patria, passò dalle di-pendenze cartaginesi a quelle romane.L'anno 542=212 fu per i Romani meno propizio pernuovi errori politici e militari, dai quali Annibale nonmancò di trar profitto.Le relazioni che questi manteneva nella città della Ma-gna Grecia non avevano prodotto nessun serio risultato;soltanto gli ostaggi di Taranto e di Turio, che si trovava-no a Roma, si lasciarono indurre dai suoi emissari ad unfolle tentativo di fuga; ma furono tosto arrestati dagliavamposti romani.Però l'insana bramosia di vendetta dei Romani giovò ad

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cito romano dell'Apulia.Tiberio Gracco vi sostenne la lotta con successo, e dopoun felice combattimento presso Benevento, in cui si se-gnalarono le legioni di schiavi arruolati per forza, fu aquegli schiavi soldati concesso dal generale, in nomedel popolo, la libertà e la cittadinanza.L'anno seguente (541=213) i Romani riconquistarono laricca ed importante città di Arpi, i cui cittadini, appena iRomani furono entro le mura, fecero causa comune conessi contro il presidio cartaginese.I legami della simmachia di Annibale andavano in gene-rale rilassandosi; un numero considerevole dei più di-stinti Capuani, e parecchie città del Bruzio passaronodalla parte dei Romani, e persino una divisione spa-gnuola dell'esercito cartaginese, informata da emissarispagnuoli dello stato delle cose in patria, passò dalle di-pendenze cartaginesi a quelle romane.L'anno 542=212 fu per i Romani meno propizio pernuovi errori politici e militari, dai quali Annibale nonmancò di trar profitto.Le relazioni che questi manteneva nella città della Ma-gna Grecia non avevano prodotto nessun serio risultato;soltanto gli ostaggi di Taranto e di Turio, che si trovava-no a Roma, si lasciarono indurre dai suoi emissari ad unfolle tentativo di fuga; ma furono tosto arrestati dagliavamposti romani.Però l'insana bramosia di vendetta dei Romani giovò ad

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Annibale più di quello che non fecero i suoi intrighi;l'esecuzione di tutti gli ostaggi datisi alla fuga privò iRomani d'un prezioso pegno, e i popoli della MagnaGrecia irritati da questo fatto, andarono meditando comeaprire le porte ad Annibale.E Taranto fu difatti occupata dai Cartaginesi di intesacon gli abitanti; ma anche per trascuratezza del coman-dante romano, il quale potè appena mantenersi nellarocca del presidio.Eraclea, Turio e Metaponto, dalla quale ultima città siera tolto il presidio per soccorrere la rocca di Taranto,seguirono l'esempio di questa.Il pericolo di uno sbarco dei Macedoni si era con ciòfatto così grande, che Roma si sentì costretta a rivolgerenuovamente la sua attenzione e le sue cure alla guerragreca quasi interamente trascurata. Giunsero quindimolto opportunamente tanto la presa di Siracusa quantoil felice avviamento della guerra in Spagna.Sul teatro principale della guerra, nella Campania, sicombatteva con alterno successo. Le legioni accampatenelle vicinanze di Capua, pur non avendo interamentebloccata la città, avevano impediti la coltivazione ed iltrasporto delle messi in modo che la popolosa città ave-va urgente bisogno di ricevere dall'esterno le necessarievettovaglie. Annibale raccolse quindi un ragguardevoleconvoglio di grano, e ordinò ai Campani di venire aprenderlo in consegna presso Benevento; ma la loro len-

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Annibale più di quello che non fecero i suoi intrighi;l'esecuzione di tutti gli ostaggi datisi alla fuga privò iRomani d'un prezioso pegno, e i popoli della MagnaGrecia irritati da questo fatto, andarono meditando comeaprire le porte ad Annibale.E Taranto fu difatti occupata dai Cartaginesi di intesacon gli abitanti; ma anche per trascuratezza del coman-dante romano, il quale potè appena mantenersi nellarocca del presidio.Eraclea, Turio e Metaponto, dalla quale ultima città siera tolto il presidio per soccorrere la rocca di Taranto,seguirono l'esempio di questa.Il pericolo di uno sbarco dei Macedoni si era con ciòfatto così grande, che Roma si sentì costretta a rivolgerenuovamente la sua attenzione e le sue cure alla guerragreca quasi interamente trascurata. Giunsero quindimolto opportunamente tanto la presa di Siracusa quantoil felice avviamento della guerra in Spagna.Sul teatro principale della guerra, nella Campania, sicombatteva con alterno successo. Le legioni accampatenelle vicinanze di Capua, pur non avendo interamentebloccata la città, avevano impediti la coltivazione ed iltrasporto delle messi in modo che la popolosa città ave-va urgente bisogno di ricevere dall'esterno le necessarievettovaglie. Annibale raccolse quindi un ragguardevoleconvoglio di grano, e ordinò ai Campani di venire aprenderlo in consegna presso Benevento; ma la loro len-

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tezza lasciò ai consoli Quinto Flacco ed Appio Claudioil tempo di accorrere, di infliggere una grave sconfittaad Annone che scortava il convoglio e di impossessarsidel suo campo e di tutte le provvigioni.I due consoli strinsero poi d'assedio la città, mentre Ti-berio Gracco si pose sulla via Appia per impedire cheAnnibale tentasse di liberarla.Ma questo valoroso cadde estinto per frode d'un tradito-re lucano, e la sua morte equivalse ad una sconfitta, poi-chè il suo esercito, che si componeva quasi interamentedi schiavi da esso resi liberi, dopo la morte dell'amatogenerale si disperse.Annibale trovò quindi aperta la via di Capua e costrinse,coll'inaspettata sua apparizione, i due consoli a toglierel'assedio appena iniziato. Ancor prima dell'arrivo di An-nibale, la loro cavalleria era stata gravemente battuta daquella dei Cartaginesi, che era di guarnigione a Capuasotto gli ordini di Annone e di Bostar e da quella nonmeno valorosa della Campania.La totale sconfitta delle truppe regolari e delle schiere divolontari condotti nella Lucania da Marco Centennio,imprudentemente promosso da sottufficiale a generale, ela quasi totale sconfitta del trascurato e arrogante preto-re Gneo Fulvio Flacco nell'Apulia, chiusero la lunga se-rie delle disgrazie accadute in questo anno.Tuttavia la tenace perseveranza dei Romani fece andarfallito anche questa volta, nel momento più decisivo, il

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tezza lasciò ai consoli Quinto Flacco ed Appio Claudioil tempo di accorrere, di infliggere una grave sconfittaad Annone che scortava il convoglio e di impossessarsidel suo campo e di tutte le provvigioni.I due consoli strinsero poi d'assedio la città, mentre Ti-berio Gracco si pose sulla via Appia per impedire cheAnnibale tentasse di liberarla.Ma questo valoroso cadde estinto per frode d'un tradito-re lucano, e la sua morte equivalse ad una sconfitta, poi-chè il suo esercito, che si componeva quasi interamentedi schiavi da esso resi liberi, dopo la morte dell'amatogenerale si disperse.Annibale trovò quindi aperta la via di Capua e costrinse,coll'inaspettata sua apparizione, i due consoli a toglierel'assedio appena iniziato. Ancor prima dell'arrivo di An-nibale, la loro cavalleria era stata gravemente battuta daquella dei Cartaginesi, che era di guarnigione a Capuasotto gli ordini di Annone e di Bostar e da quella nonmeno valorosa della Campania.La totale sconfitta delle truppe regolari e delle schiere divolontari condotti nella Lucania da Marco Centennio,imprudentemente promosso da sottufficiale a generale, ela quasi totale sconfitta del trascurato e arrogante preto-re Gneo Fulvio Flacco nell'Apulia, chiusero la lunga se-rie delle disgrazie accadute in questo anno.Tuttavia la tenace perseveranza dei Romani fece andarfallito anche questa volta, nel momento più decisivo, il

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rapido successo di Annibale. Egli aveva appena voltatole spalle a Capua per recarsi nell'Apulia, che gli esercitiromani si raccolsero nuovamente attorno a quella città,presso Pozzuoli e presso il Volturno, sotto il comando diQuinto Fulvio, e sulla via di Nola sotto quello del preto-re Gaio Claudio Nerone. I tre campi ben trincerati, con-giunti tra loro con linee fortificate, impedivano ogni ac-cesso, e la grande città, scarsamente provvista di viveri,ove non giungesse soccorso alcuno, col semplice bloccoavrebbe dovuto in breve tempo capitolare.Trascorso l'inverno del 542-3=212-1 erano quasi allafine anche i viveri. I messaggeri spediti con tutta urgen-za ad Annibale per chiedere sollecito aiuto, e che aveva-no a gran stento potuto attraversare le ben guardate lineedei Romani, lo trovarono occupato a stringere d'assediola rocca di Taranto. Annibale partì immediatamente ed amarce forzate da Taranto per la Campania, con trentatrèelefanti e col fiore delle sue truppe, fece prigioniero ilpresidio romano a Calazia, e mise gli alloggiamentipresso il monte Tifata, a pochissima distanza da Capua,nella certezza che i comandanti romani, appunto comeavevano fatto l'anno precedente, leverebbero l'assedio.Ma i Romani, che avevano avuto tempo di munire ditrincee i loro campi e le loro linee, rendendole come for-tezze, rimasero fermi nei ripari, e la cavalleria campanae quella dei Numidi andarono a cozzare inutilmentecontro le loro linee.Annibale non poteva pensare ad un serio assalto, ben

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rapido successo di Annibale. Egli aveva appena voltatole spalle a Capua per recarsi nell'Apulia, che gli esercitiromani si raccolsero nuovamente attorno a quella città,presso Pozzuoli e presso il Volturno, sotto il comando diQuinto Fulvio, e sulla via di Nola sotto quello del preto-re Gaio Claudio Nerone. I tre campi ben trincerati, con-giunti tra loro con linee fortificate, impedivano ogni ac-cesso, e la grande città, scarsamente provvista di viveri,ove non giungesse soccorso alcuno, col semplice bloccoavrebbe dovuto in breve tempo capitolare.Trascorso l'inverno del 542-3=212-1 erano quasi allafine anche i viveri. I messaggeri spediti con tutta urgen-za ad Annibale per chiedere sollecito aiuto, e che aveva-no a gran stento potuto attraversare le ben guardate lineedei Romani, lo trovarono occupato a stringere d'assediola rocca di Taranto. Annibale partì immediatamente ed amarce forzate da Taranto per la Campania, con trentatrèelefanti e col fiore delle sue truppe, fece prigioniero ilpresidio romano a Calazia, e mise gli alloggiamentipresso il monte Tifata, a pochissima distanza da Capua,nella certezza che i comandanti romani, appunto comeavevano fatto l'anno precedente, leverebbero l'assedio.Ma i Romani, che avevano avuto tempo di munire ditrincee i loro campi e le loro linee, rendendole come for-tezze, rimasero fermi nei ripari, e la cavalleria campanae quella dei Numidi andarono a cozzare inutilmentecontro le loro linee.Annibale non poteva pensare ad un serio assalto, ben

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prevedendo che se avanzava, avrebbe subito attirato nel-la Campania gli altri eserciti romani, quando la mancan-za di foraggio non lo costringesse ad abbandonar ancorprima il paese sistematicamente depauperato per i forag-giamenti.

16. Annibale alle porte di Roma.Contro ciò non v'era nulla da fare. Per salvare l'impor-tante città egli ricorse ancora ad un espediente, l'ultimoche gli suggerisse la sua mente ricca di risorse.Avvertiti ch'ebbe i Campani del piano da lui meditato, edopo averli esortati a non cedere, partì da Capua conl'esercito dirigendosi verso Roma. Colla stessa scaltratemerità, che era stato solito usare nelle sue prime cam-pagne in Italia, egli si gettò colle scarse sue truppe fragli eserciti nemici e le fortezze, e le condusse pel Sannioe sulla via Valeria per Tivoli al ponte sull'Aniene, passa-to il quale mise il campo ad una lega dalla città.I più tardi nipoti, in seguito, rabbrividivano in Romadallo spavento quando loro si narrava di «Annibale alleporte di Roma» eppure non v'era stato grave pericolo.Le ville e le campagne vicine alla città furono devastate.Le due legioni di presidio nella città fecero una sortitaed impedirono che si desse l'assalto alle mura. Del restoAnnibale non avrebbe mai pensato di prendere Romacon un colpo di mano, come non molto dopo fece Sci-pione con Cartagena, e meno ancora di stringerla d'asse-dio; egli sperava soltanto che al primo allarme una parte

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prevedendo che se avanzava, avrebbe subito attirato nel-la Campania gli altri eserciti romani, quando la mancan-za di foraggio non lo costringesse ad abbandonar ancorprima il paese sistematicamente depauperato per i forag-giamenti.

16. Annibale alle porte di Roma.Contro ciò non v'era nulla da fare. Per salvare l'impor-tante città egli ricorse ancora ad un espediente, l'ultimoche gli suggerisse la sua mente ricca di risorse.Avvertiti ch'ebbe i Campani del piano da lui meditato, edopo averli esortati a non cedere, partì da Capua conl'esercito dirigendosi verso Roma. Colla stessa scaltratemerità, che era stato solito usare nelle sue prime cam-pagne in Italia, egli si gettò colle scarse sue truppe fragli eserciti nemici e le fortezze, e le condusse pel Sannioe sulla via Valeria per Tivoli al ponte sull'Aniene, passa-to il quale mise il campo ad una lega dalla città.I più tardi nipoti, in seguito, rabbrividivano in Romadallo spavento quando loro si narrava di «Annibale alleporte di Roma» eppure non v'era stato grave pericolo.Le ville e le campagne vicine alla città furono devastate.Le due legioni di presidio nella città fecero una sortitaed impedirono che si desse l'assalto alle mura. Del restoAnnibale non avrebbe mai pensato di prendere Romacon un colpo di mano, come non molto dopo fece Sci-pione con Cartagena, e meno ancora di stringerla d'asse-dio; egli sperava soltanto che al primo allarme una parte

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dell'esercito, che teneva assediata Capua si sarebbe im-mediatamente messo in marcia per Roma, ciò che gliavrebbe offerto il mezzo di liberare quella città. Perciòdopo breve sosta si rimise in marcia.I Romani considerarono la sua ritirata come un miracolodella divinità, la quale, con portenti e apparizioni, avevacostretto alla partenza l'uomo terribile, al che le legioniromane certamente non lo avrebbero potuto costringere.Nel luogo ove Annibale si era maggiormente avvicinatoalla città, fuori di porta Capena, alla seconda colonnamiliare sulla via Appia, i devoti innalzarono in segno diriconoscenza un'ara al nume che aveva protetto i Roma-ni, costringendo Annibale a volgere le spalle. (Redicu-lus Tutanus).

17. Presa di Capua.Annibale si ritirò perchè tale era il suo piano, e diresse isuoi passi verso Capua.I generali romani non avevano commesso l'errore, su cuiil loro avversario aveva calcolato; le legioni erano rima-ste ferme nelle loro posizioni dinanzi a Capua, e solo undebole corpo se ne era staccato alla notizia della marciad'Annibale verso Roma.Appena ebbe udito ciò, il generale cartaginese si volserepentinamente contro il console Publio Galba, il quale,mal avvisato, lo aveva seguìto da Roma, e col quale eglifino allora aveva evitati di venire alle prese; lo vinse ed

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dell'esercito, che teneva assediata Capua si sarebbe im-mediatamente messo in marcia per Roma, ciò che gliavrebbe offerto il mezzo di liberare quella città. Perciòdopo breve sosta si rimise in marcia.I Romani considerarono la sua ritirata come un miracolodella divinità, la quale, con portenti e apparizioni, avevacostretto alla partenza l'uomo terribile, al che le legioniromane certamente non lo avrebbero potuto costringere.Nel luogo ove Annibale si era maggiormente avvicinatoalla città, fuori di porta Capena, alla seconda colonnamiliare sulla via Appia, i devoti innalzarono in segno diriconoscenza un'ara al nume che aveva protetto i Roma-ni, costringendo Annibale a volgere le spalle. (Redicu-lus Tutanus).

17. Presa di Capua.Annibale si ritirò perchè tale era il suo piano, e diresse isuoi passi verso Capua.I generali romani non avevano commesso l'errore, su cuiil loro avversario aveva calcolato; le legioni erano rima-ste ferme nelle loro posizioni dinanzi a Capua, e solo undebole corpo se ne era staccato alla notizia della marciad'Annibale verso Roma.Appena ebbe udito ciò, il generale cartaginese si volserepentinamente contro il console Publio Galba, il quale,mal avvisato, lo aveva seguìto da Roma, e col quale eglifino allora aveva evitati di venire alle prese; lo vinse ed

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espugnò il suo campo: tenue compenso per la ormai ine-vitabile caduta di Capua.In Capua, la borghesia, e particolarmente le classi eleva-te della medesima, avevano già da lungo tempo un fune-sto presentimento di ciò che doveva avvenire.Il senato ed il governo della città erano quasi esclusiva-mente nelle mani del partito avverso ai Romani. Allorafurono presi dalla disperazione notabili e plebei, Cam-pani e Cartaginesi, senza distinzione. Ventotto senatoripreferirono darsi la morte; gli altri cedettero la città adun nemico irreconciliabilmente irritato.Era naturale che vi venissero costituiti tribunali di san-gue, e solo vi fu contestazione sulla durata maggiore ominore dei processi, e se fosse più prudente e conve-niente scoprire le ramificazioni del tradimento anchefuori di Capua o farla finita con una pronta esecuzione.Appio Claudio ed il senato romano stavano per la primaalternativa; vinse la seconda, forse la meno crudele.Cinquantatrè tra ufficiali e magistrati capuani furonofrustati e decapitati per ordine ed in presenza del pro-console Quinto Flacco nelle piazze di Cales e di Teano;gli altri senatori furono imprigionati, una buona parte dicittadini fu ridotta in schiavitù, i beni dei più facoltosivennero confiscati.Tale fu la sorte di Atella e di Calazia. Certo simili puni-zioni erano dure; ma quando si tenga conto delle conse-guenze che aveva avuto per Roma la diserzione di Ca-

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espugnò il suo campo: tenue compenso per la ormai ine-vitabile caduta di Capua.In Capua, la borghesia, e particolarmente le classi eleva-te della medesima, avevano già da lungo tempo un fune-sto presentimento di ciò che doveva avvenire.Il senato ed il governo della città erano quasi esclusiva-mente nelle mani del partito avverso ai Romani. Allorafurono presi dalla disperazione notabili e plebei, Cam-pani e Cartaginesi, senza distinzione. Ventotto senatoripreferirono darsi la morte; gli altri cedettero la città adun nemico irreconciliabilmente irritato.Era naturale che vi venissero costituiti tribunali di san-gue, e solo vi fu contestazione sulla durata maggiore ominore dei processi, e se fosse più prudente e conve-niente scoprire le ramificazioni del tradimento anchefuori di Capua o farla finita con una pronta esecuzione.Appio Claudio ed il senato romano stavano per la primaalternativa; vinse la seconda, forse la meno crudele.Cinquantatrè tra ufficiali e magistrati capuani furonofrustati e decapitati per ordine ed in presenza del pro-console Quinto Flacco nelle piazze di Cales e di Teano;gli altri senatori furono imprigionati, una buona parte dicittadini fu ridotta in schiavitù, i beni dei più facoltosivennero confiscati.Tale fu la sorte di Atella e di Calazia. Certo simili puni-zioni erano dure; ma quando si tenga conto delle conse-guenze che aveva avuto per Roma la diserzione di Ca-

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pua, ed a quello che le leggi della guerra di quel tempoavevano stabilito come uso, se non come diritto, essenon desteranno meraviglia.E non avevano i cittadini di Capua pronunciata essi stes-si la loro sentenza assassinando tutti i cittadini romaniche si trovavano a Capua subito dopo la loro diserzione?Fu però meno bello che Roma approfittasse di questaoccasione per soddisfare la vendetta della segreta rivali-tà che da lungo tempo esisteva tra le due più grandi cittàd'Italia, e colla soppressione della costituzione munici-pale nella Campania distruggesse politicamente l'odiatae invidiata rivale.

18. Preponderanza dei Romani.La presa di Capua produsse una immensa impressione etanto maggiore in quanto che essa non avvenne per sor-presa, ma dopo un lungo assedio di due anni, continuatomalgrado tutti gli sforzi d'Annibale.Essa fu il segnale della riconquistata preponderanza deiRomani in Italia, come sei anni prima la sua diserzioneera stato il segnale che essi l'avevano perduta.Invano Annibale aveva cercato di espugnar Reggio e larocca di Taranto per attenuare l'effetto che questa notiziadoveva necessariamente produrre sugli alleati. La suamarcia forzata per sorprendere Reggio non gli era statadi nessun vantaggio; e nella rocca di Taranto è vero chescarseggiavano sensibilmente i viveri, poichè la squadra

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pua, ed a quello che le leggi della guerra di quel tempoavevano stabilito come uso, se non come diritto, essenon desteranno meraviglia.E non avevano i cittadini di Capua pronunciata essi stes-si la loro sentenza assassinando tutti i cittadini romaniche si trovavano a Capua subito dopo la loro diserzione?Fu però meno bello che Roma approfittasse di questaoccasione per soddisfare la vendetta della segreta rivali-tà che da lungo tempo esisteva tra le due più grandi cittàd'Italia, e colla soppressione della costituzione munici-pale nella Campania distruggesse politicamente l'odiatae invidiata rivale.

18. Preponderanza dei Romani.La presa di Capua produsse una immensa impressione etanto maggiore in quanto che essa non avvenne per sor-presa, ma dopo un lungo assedio di due anni, continuatomalgrado tutti gli sforzi d'Annibale.Essa fu il segnale della riconquistata preponderanza deiRomani in Italia, come sei anni prima la sua diserzioneera stato il segnale che essi l'avevano perduta.Invano Annibale aveva cercato di espugnar Reggio e larocca di Taranto per attenuare l'effetto che questa notiziadoveva necessariamente produrre sugli alleati. La suamarcia forzata per sorprendere Reggio non gli era statadi nessun vantaggio; e nella rocca di Taranto è vero chescarseggiavano sensibilmente i viveri, poichè la squadra

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tarentino-cartaginese aveva bloccato il porto; ma sicco-me i Romani colla loro flotta, di gran lunga superiore,potevano alla loro volta sopprimere i convogli direttialla squadra nemica, e il paese occupato da Annibaleproduceva appena quanto bastasse al suo esercito, neavveniva che gli assedianti dalla parte del mare non sof-frivano meno degli assediati della rocca, per cui essi ab-bandonarono finalmente il porto.Ormai ogni impresa andava a male; pareva che la fortu-na avesse abbandonato il Cartaginese. Queste conse-guenze della caduta di Capua, la profonda scossa cheaveva sofferto l'autorità e la fiducia di cui Annibale ave-va fino allora goduto presso gli alleati italici, ed i tenta-tivi che facevano tutti i comuni, che non si erano troppocompromessi, per essere riammessi a tollerabili condi-zioni nella simmachia romana, erano per Annibale fattimolto più sensibili di ciò che non fosse stato la perditastessa di quella città.Egli aveva da scegliere fra i due partiti: lasciare i presi-dii nelle città vacillanti, e con ciò avrebbe indebolito an-cor più il già scarso suo esercito ed esposto le fidate suetruppe ad esser distrutte alla spicciolata o per tradimento(come lo furono i 500 cavalieri numidi l'anno 544=210in occasione della diserzione della città di Salapia), ospianare queste città e appiccarvi il fuoco per non la-sciarle al nemico, il quale espediente non avrebbe valsocertamente ad elevarlo nell'opinione dei suoi clienti ita-lici.

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tarentino-cartaginese aveva bloccato il porto; ma sicco-me i Romani colla loro flotta, di gran lunga superiore,potevano alla loro volta sopprimere i convogli direttialla squadra nemica, e il paese occupato da Annibaleproduceva appena quanto bastasse al suo esercito, neavveniva che gli assedianti dalla parte del mare non sof-frivano meno degli assediati della rocca, per cui essi ab-bandonarono finalmente il porto.Ormai ogni impresa andava a male; pareva che la fortu-na avesse abbandonato il Cartaginese. Queste conse-guenze della caduta di Capua, la profonda scossa cheaveva sofferto l'autorità e la fiducia di cui Annibale ave-va fino allora goduto presso gli alleati italici, ed i tenta-tivi che facevano tutti i comuni, che non si erano troppocompromessi, per essere riammessi a tollerabili condi-zioni nella simmachia romana, erano per Annibale fattimolto più sensibili di ciò che non fosse stato la perditastessa di quella città.Egli aveva da scegliere fra i due partiti: lasciare i presi-dii nelle città vacillanti, e con ciò avrebbe indebolito an-cor più il già scarso suo esercito ed esposto le fidate suetruppe ad esser distrutte alla spicciolata o per tradimento(come lo furono i 500 cavalieri numidi l'anno 544=210in occasione della diserzione della città di Salapia), ospianare queste città e appiccarvi il fuoco per non la-sciarle al nemico, il quale espediente non avrebbe valsocertamente ad elevarlo nell'opinione dei suoi clienti ita-lici.

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Dopo la presa di Capua i Romani si sentirono di nuovosicuri dell'esito della guerra d'Italia; essi inviarono rag-guardevoli rinforzi in Spagna, dove per la seguita morted'entrambi gli Scipioni, l'esercito romano si trovava inpericolo e acconsentirono, per la prima volta dacchè fer-veva la guerra, ad una riduzione del numero delle trup-pe, che fino allora, malgrado le sempre crescenti diffi-coltà della leva, era andato ogni anno aumentando e cheda ultimo era salito a ventitrè legioni.Per conseguenza l'anno seguente (544=210) la guerraitalica fu condotta dai Romani più debolmente, benchèdopo terminata la campagna di Sicilia il supremo co-mando del grande esercito fosse di nuovo assunto daMarco Marcello.Costui faceva nell'interno una guerra di fortezze e veni-va coi Cartaginesi soltanto a conflitti non decisivi. Nonfu decisa nemmeno la lotta per l'acropoli tarentina. MaAnnibale riuscì a riportare una vittoria sul console GneoFulvio Centomalo presso Erdonia nell'Apulia.

19. Capitolazione di Taranto.L'anno seguente (545=209) i Romani ripresero l'investi-mento di Taranto, la seconda grande città che era passa-ta dalla parte di Annibale.Mentre Marco Marcello, con la solita sua tenacia edenergia, continuava la lotta contro Annibale stesso, e inuna battaglia che durò due giorni, battuto nel primo, ri-

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Dopo la presa di Capua i Romani si sentirono di nuovosicuri dell'esito della guerra d'Italia; essi inviarono rag-guardevoli rinforzi in Spagna, dove per la seguita morted'entrambi gli Scipioni, l'esercito romano si trovava inpericolo e acconsentirono, per la prima volta dacchè fer-veva la guerra, ad una riduzione del numero delle trup-pe, che fino allora, malgrado le sempre crescenti diffi-coltà della leva, era andato ogni anno aumentando e cheda ultimo era salito a ventitrè legioni.Per conseguenza l'anno seguente (544=210) la guerraitalica fu condotta dai Romani più debolmente, benchèdopo terminata la campagna di Sicilia il supremo co-mando del grande esercito fosse di nuovo assunto daMarco Marcello.Costui faceva nell'interno una guerra di fortezze e veni-va coi Cartaginesi soltanto a conflitti non decisivi. Nonfu decisa nemmeno la lotta per l'acropoli tarentina. MaAnnibale riuscì a riportare una vittoria sul console GneoFulvio Centomalo presso Erdonia nell'Apulia.

19. Capitolazione di Taranto.L'anno seguente (545=209) i Romani ripresero l'investi-mento di Taranto, la seconda grande città che era passa-ta dalla parte di Annibale.Mentre Marco Marcello, con la solita sua tenacia edenergia, continuava la lotta contro Annibale stesso, e inuna battaglia che durò due giorni, battuto nel primo, ri-

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portò nel secondo una difficile e sanguinosa vittoria;mentre il console Quinto Fulvio induceva i vacillantiLucani ed Irpini a cambiare di parte e a consegnargli leguarnigioni cartaginesi; mentre ben guidate scorreriepartendo da Reggio obbligavano Annibale a correre inaiuto degli angustiati Bruzi, Quinto Fabio, console perla quinta volta, coll'incarico di riprendere Taranto, si erastabilito nel vicino territorio dei Messapi.Una divisione di Bruzi della guarnigione gli aprì a tradi-mento le porte della città, della quale gli irritati vincitorifecero spaventevole strazio. Tutti quelli che capitaronoloro nelle mani, fossero soldati o cittadini, vennero mas-sacrati, le case saccheggiate. Si vuole che 30.000 Taren-tini siano stati venduti schiavi, e che 3.000 talenti (circa18 milioni e 300.000 lire) siano stati versati nel tesorodello stato. Fu questo l'ultimo fatto d'armi del generaleormai ottuagenario; Annibale arrivò coll'intento di libe-rare la città quando tutto era finito, e quindi si ritrasse aMetaponto.Dopo ch'egli ebbe così perduto a poco a poco le sue piùragguardevoli conquiste, e si vide ridotto alla punta sud-ovest della penisola, Marco Marcello, eletto console pel546=208, d'accordo col valente suo collega Tito QuinzioCrispino, sperava di mettere fine alla guerra con un fattodecisivo. Al vecchio soldato non davano alcuna mole-stia i suoi anni; un sol pensiero lo occupava giorno enotte: quello di vincere Annibale e di liberare l'Italia.Ma il destino serbava quest'alloro ad una più giovane

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portò nel secondo una difficile e sanguinosa vittoria;mentre il console Quinto Fulvio induceva i vacillantiLucani ed Irpini a cambiare di parte e a consegnargli leguarnigioni cartaginesi; mentre ben guidate scorreriepartendo da Reggio obbligavano Annibale a correre inaiuto degli angustiati Bruzi, Quinto Fabio, console perla quinta volta, coll'incarico di riprendere Taranto, si erastabilito nel vicino territorio dei Messapi.Una divisione di Bruzi della guarnigione gli aprì a tradi-mento le porte della città, della quale gli irritati vincitorifecero spaventevole strazio. Tutti quelli che capitaronoloro nelle mani, fossero soldati o cittadini, vennero mas-sacrati, le case saccheggiate. Si vuole che 30.000 Taren-tini siano stati venduti schiavi, e che 3.000 talenti (circa18 milioni e 300.000 lire) siano stati versati nel tesorodello stato. Fu questo l'ultimo fatto d'armi del generaleormai ottuagenario; Annibale arrivò coll'intento di libe-rare la città quando tutto era finito, e quindi si ritrasse aMetaponto.Dopo ch'egli ebbe così perduto a poco a poco le sue piùragguardevoli conquiste, e si vide ridotto alla punta sud-ovest della penisola, Marco Marcello, eletto console pel546=208, d'accordo col valente suo collega Tito QuinzioCrispino, sperava di mettere fine alla guerra con un fattodecisivo. Al vecchio soldato non davano alcuna mole-stia i suoi anni; un sol pensiero lo occupava giorno enotte: quello di vincere Annibale e di liberare l'Italia.Ma il destino serbava quest'alloro ad una più giovane

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fronte.In una ricognizione di poco rilievo i due consoli venne-ro sorpresi presso Venosa da una divisione di cavalleriaafricana. Marcello sostenne l'ineguale combattimentocome aveva fatto quarant'anni prima contro Amilcare equattordici anni addietro presso Clastidio, fino a che,moribondo, cadde da cavallo; Crispino si salvò, ma morìpoi per ferite riportate nel combattimento (546=208).La guerra durava da undici anni. Il pericolo, che alcunianni prima aveva minacciato l'esistenza dello stato, sem-brava svanito; ma tanto più forte sentivasi il peso dellainterminabile guerra, peso che tutti gli anni divenivamaggiore. Le finanze dello stato se ne risentivano forte-mente.Dopo la giornata di Canne (538=216) era stata nominataun'apposita commissione bancaria (tres viri mensarii), icui membri erano stati scelti fra gli uomini più rispetta-bili, allo scopo di preporre alle pubbliche finanze, inquei difficili tempi, un'autorità superiore, stabile ed av-veduta.Essa avrà fatto tutto il possibile, ma le circostanze eranotali da sconcertare ogni mente finanziaria. Appena prin-cipiata la guerra era stato diminuito il valore intrinsecodelle monete d'argento e di rame, aumentato d'oltre unterzo il corso legale del pezzo d'argento, e fu messa incircolazione una nuova moneta d'oro di molto inferioreal valore intrinseco del metallo.

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fronte.In una ricognizione di poco rilievo i due consoli venne-ro sorpresi presso Venosa da una divisione di cavalleriaafricana. Marcello sostenne l'ineguale combattimentocome aveva fatto quarant'anni prima contro Amilcare equattordici anni addietro presso Clastidio, fino a che,moribondo, cadde da cavallo; Crispino si salvò, ma morìpoi per ferite riportate nel combattimento (546=208).La guerra durava da undici anni. Il pericolo, che alcunianni prima aveva minacciato l'esistenza dello stato, sem-brava svanito; ma tanto più forte sentivasi il peso dellainterminabile guerra, peso che tutti gli anni divenivamaggiore. Le finanze dello stato se ne risentivano forte-mente.Dopo la giornata di Canne (538=216) era stata nominataun'apposita commissione bancaria (tres viri mensarii), icui membri erano stati scelti fra gli uomini più rispetta-bili, allo scopo di preporre alle pubbliche finanze, inquei difficili tempi, un'autorità superiore, stabile ed av-veduta.Essa avrà fatto tutto il possibile, ma le circostanze eranotali da sconcertare ogni mente finanziaria. Appena prin-cipiata la guerra era stato diminuito il valore intrinsecodelle monete d'argento e di rame, aumentato d'oltre unterzo il corso legale del pezzo d'argento, e fu messa incircolazione una nuova moneta d'oro di molto inferioreal valore intrinseco del metallo.

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Questa misura ben presto non bastò e si dovette ricorre-re ai prestiti senza badare troppo per il sottile alle condi-zioni, perchè si era stretti dal bisogno, finchè le enormifrodi di coloro che fornivano il danaro, spinsero gli edilia dare un esempio con l'accusarne alcuni dei peggioridinanzi al popolo.Si fece spesso ricorso, e non indarno, al patriottismo deifacoltosi, i quali erano certamente quelli che in propor-zione soffrivano più di tutti. I soldati appartenenti allemigliori classi, i sottufficiali ed i cavalieri rinunziaronoal soldo, spontaneamente o costretti dallo spirito di cor-po.I proprietari degli schiavi, armati a spese del comune efatti liberi dopo la battaglia di Benevento, dichiararonoalla commissione bancaria, la quale ne aveva loro offer-to il pagamento, che lo attenderebbero sino a guerra fi-nita (540=214).Allorchè le casse dello stato non poterono fornire il de-naro necessario alle feste popolari od al restauro degliedifici pubblici, le società, che fino allora avevano avutoin appalto tali opere, si dichiararono pronte a continuarele loro prestazioni gratuitamente (540=214). E fu persi-no costruita ed equipaggiata una flotta mediante un pre-stito volontario fatto dai ricchi, appunto come nella pri-ma guerra punica (544=210). Si consumarono persino idepositi pupillari; e finalmente, nell'anno dell'espugna-zione di Taranto, si ricorse al fondo tenuto in riserva dalunghissimo tempo pei casi di estremo bisogno (circa L.

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Questa misura ben presto non bastò e si dovette ricorre-re ai prestiti senza badare troppo per il sottile alle condi-zioni, perchè si era stretti dal bisogno, finchè le enormifrodi di coloro che fornivano il danaro, spinsero gli edilia dare un esempio con l'accusarne alcuni dei peggioridinanzi al popolo.Si fece spesso ricorso, e non indarno, al patriottismo deifacoltosi, i quali erano certamente quelli che in propor-zione soffrivano più di tutti. I soldati appartenenti allemigliori classi, i sottufficiali ed i cavalieri rinunziaronoal soldo, spontaneamente o costretti dallo spirito di cor-po.I proprietari degli schiavi, armati a spese del comune efatti liberi dopo la battaglia di Benevento, dichiararonoalla commissione bancaria, la quale ne aveva loro offer-to il pagamento, che lo attenderebbero sino a guerra fi-nita (540=214).Allorchè le casse dello stato non poterono fornire il de-naro necessario alle feste popolari od al restauro degliedifici pubblici, le società, che fino allora avevano avutoin appalto tali opere, si dichiararono pronte a continuarele loro prestazioni gratuitamente (540=214). E fu persi-no costruita ed equipaggiata una flotta mediante un pre-stito volontario fatto dai ricchi, appunto come nella pri-ma guerra punica (544=210). Si consumarono persino idepositi pupillari; e finalmente, nell'anno dell'espugna-zione di Taranto, si ricorse al fondo tenuto in riserva dalunghissimo tempo pei casi di estremo bisogno (circa L.

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4.100.000). Ciò non pertanto le risorse dello stato nonbastavano alle spese più necessarie; il pagamento delsoldo alle truppe difettava in modo inquietante, partico-larmente nei paesi lontani.Ma le strettezze, in cui versava lo stato, non erano il latopeggiore delle sue infelici condizioni materiali.Le campagne erano dappertutto abbandonate, ed anchedove non v'era stata la guerra si mancava di braccia cheadoperassero la scure e la falce. Il prezzo delle granaglieera salito sino a 15 denari (L. 12,50) al medimmo (unmoggio e mezzo), circa il triplo del prezzo medio checostava nella capitale, e molti sarebbero addirittura mor-ti di fame se non fossero arrivate delle provvigioni digrano dall'Egitto, se innanzi tutto l'agricoltura, ritornataa fiorire in Sicilia, non avesse recato efficace rimedioall'estrema miseria. Quanto tali condizioni siano rovino-se per le piccole tenute, quanto presto esse consuminoquella poca scorta messa da parte con tanto sudore,come esse trasformino fiorenti villaggi in ricoveri di mi-serabili e di ladroni, lo provano guerre simili, di cui sisono conservati più precisi ragguagli.

20. Gli alleati.Più fatale di questa materiale strettezza era l'avversionecrescente degli alleati per questa guerra romana, cheloro impoveriva le sostanze e succhiava il sangue.Minor pensiero davano sotto questo aspetto i comuni

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4.100.000). Ciò non pertanto le risorse dello stato nonbastavano alle spese più necessarie; il pagamento delsoldo alle truppe difettava in modo inquietante, partico-larmente nei paesi lontani.Ma le strettezze, in cui versava lo stato, non erano il latopeggiore delle sue infelici condizioni materiali.Le campagne erano dappertutto abbandonate, ed anchedove non v'era stata la guerra si mancava di braccia cheadoperassero la scure e la falce. Il prezzo delle granaglieera salito sino a 15 denari (L. 12,50) al medimmo (unmoggio e mezzo), circa il triplo del prezzo medio checostava nella capitale, e molti sarebbero addirittura mor-ti di fame se non fossero arrivate delle provvigioni digrano dall'Egitto, se innanzi tutto l'agricoltura, ritornataa fiorire in Sicilia, non avesse recato efficace rimedioall'estrema miseria. Quanto tali condizioni siano rovino-se per le piccole tenute, quanto presto esse consuminoquella poca scorta messa da parte con tanto sudore,come esse trasformino fiorenti villaggi in ricoveri di mi-serabili e di ladroni, lo provano guerre simili, di cui sisono conservati più precisi ragguagli.

20. Gli alleati.Più fatale di questa materiale strettezza era l'avversionecrescente degli alleati per questa guerra romana, cheloro impoveriva le sostanze e succhiava il sangue.Minor pensiero davano sotto questo aspetto i comuni

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non latini. La guerra stessa provava che essi nulla pote-vano fino a che la popolazione latina tenesse per Roma;poco importava la maggiore o minore loro avversione.Ma ora cominciava a vacillare anche il Lazio.La maggior parte dei comuni latini nell'Etruria, nel La-zio, nei paesi dei Marsi e nella Campania settentrionale,quindi appunto nei paesi italici che avevano soffertodella guerra meno immediatamente di tutti gli altri, di-chiararono nel 545=209 al senato romano, che essi daallora in avanti non manderebbero più nè contingenti, nèdenaro e che lascerebbero che i Romani sostenesseroper proprio conto la guerra che facevano nel proprio in-teresse.Grande ne fu la costernazione in Roma; ma in quel mo-mento non v'era alcun mezzo per costringere i recalci-tranti. Per fortuna non tutti i comuni latini fecero lo stes-so. Le colonie della Gallia, del Piceno e dell'Italia meri-dionale, con alla testa la potente e patriottica Fregelle(Pontecorvo) dichiararono, al contrario, ch'esse intende-vano unirsi a Roma con vincoli altrettanto stretti e leali;indubbiamente esse vedevano che da questa guerra di-pendeva la loro esistenza più ancora – se era possibile –di quella della stessa capitale, e che la si faceva non soloper Roma, ma anche per l'egemonia dei Latini, anzi perl'indipendenza nazionale d'Italia.Ed anche quella semi-diserzione di alcuni comuni nonfu certamente effetto di tradimento, ma di poco accorgi-mento e di spossatezza; senza dubbio quelle medesime

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non latini. La guerra stessa provava che essi nulla pote-vano fino a che la popolazione latina tenesse per Roma;poco importava la maggiore o minore loro avversione.Ma ora cominciava a vacillare anche il Lazio.La maggior parte dei comuni latini nell'Etruria, nel La-zio, nei paesi dei Marsi e nella Campania settentrionale,quindi appunto nei paesi italici che avevano soffertodella guerra meno immediatamente di tutti gli altri, di-chiararono nel 545=209 al senato romano, che essi daallora in avanti non manderebbero più nè contingenti, nèdenaro e che lascerebbero che i Romani sostenesseroper proprio conto la guerra che facevano nel proprio in-teresse.Grande ne fu la costernazione in Roma; ma in quel mo-mento non v'era alcun mezzo per costringere i recalci-tranti. Per fortuna non tutti i comuni latini fecero lo stes-so. Le colonie della Gallia, del Piceno e dell'Italia meri-dionale, con alla testa la potente e patriottica Fregelle(Pontecorvo) dichiararono, al contrario, ch'esse intende-vano unirsi a Roma con vincoli altrettanto stretti e leali;indubbiamente esse vedevano che da questa guerra di-pendeva la loro esistenza più ancora – se era possibile –di quella della stessa capitale, e che la si faceva non soloper Roma, ma anche per l'egemonia dei Latini, anzi perl'indipendenza nazionale d'Italia.Ed anche quella semi-diserzione di alcuni comuni nonfu certamente effetto di tradimento, ma di poco accorgi-mento e di spossatezza; senza dubbio quelle medesime

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città avrebbero respinto con raccapriccio una lega coiCartaginesi.Ciò non toglie che quella decisione non producesse unaspecie di scisma tra Romani e Latini e che non ne sen-tissero il contraccolpo le popolazioni dei territori assog-gettati.In Arezzo si manifestò subito un pericoloso fermento;fra gli Etruschi fu scoperta una congiura tramatanell'interesse d'Annibale, e parve così pericolosa che sifecero marciare a quella volta delle truppe romane. Isoldati e la polizia repressero quel movimento senza dif-ficoltà, ma esso fu una seria prova di ciò che si potevaaspettare da quei paesi, dacchè le fortezze latine non litenevano più in soggezione.In queste difficili condizioni si sparse in Roma improv-visamente la notizia che Asdrubale nell'Autunno del546=208 aveva varcato i Pirenei, e che era necessariopredisporsi per l'anno venturo a sostenere in Italia laguerra contro entrambi i figli d'Amilcare.Non inutilmente aveva dunque Annibale resistito pertanti e difficili anni nella sua posizione; ciò che gli erastato negato in patria dalla faziosa opposizione, ciò chegli era stato negato dal pusillanime Filippo, gli portavaora il fratello, nel quale, come in lui, era potente lo spiri-to del padre. Già ottomila Liguri, arruolati coll'oro carta-ginese, erano pronti ad unirsi con Asdrubale. Vinta laprima battaglia, poteva forse sperare di far prendere le

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città avrebbero respinto con raccapriccio una lega coiCartaginesi.Ciò non toglie che quella decisione non producesse unaspecie di scisma tra Romani e Latini e che non ne sen-tissero il contraccolpo le popolazioni dei territori assog-gettati.In Arezzo si manifestò subito un pericoloso fermento;fra gli Etruschi fu scoperta una congiura tramatanell'interesse d'Annibale, e parve così pericolosa che sifecero marciare a quella volta delle truppe romane. Isoldati e la polizia repressero quel movimento senza dif-ficoltà, ma esso fu una seria prova di ciò che si potevaaspettare da quei paesi, dacchè le fortezze latine non litenevano più in soggezione.In queste difficili condizioni si sparse in Roma improv-visamente la notizia che Asdrubale nell'Autunno del546=208 aveva varcato i Pirenei, e che era necessariopredisporsi per l'anno venturo a sostenere in Italia laguerra contro entrambi i figli d'Amilcare.Non inutilmente aveva dunque Annibale resistito pertanti e difficili anni nella sua posizione; ciò che gli erastato negato in patria dalla faziosa opposizione, ciò chegli era stato negato dal pusillanime Filippo, gli portavaora il fratello, nel quale, come in lui, era potente lo spiri-to del padre. Già ottomila Liguri, arruolati coll'oro carta-ginese, erano pronti ad unirsi con Asdrubale. Vinta laprima battaglia, poteva forse sperare di far prendere le

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armi contro Roma agli Etruschi, come suo fratello avevafatto con i Galli. E l'Italia non era più l'Italia di undicianni prima: lo stato e gli individui erano esausti, la fede-razione latina era rilassata, il migliore generale era cadu-to poco prima sul campo di battaglia, e Annibale nonera vinto.Scipione poteva con ragione esaltare il favore del suogenio, se gli riusciva di rimuovere da sè e dal suo paesele conseguenze dell'imperdonabile suo errore.

21. Asdrubale ed Annibale in marcia.Come aveva fatto nei tempi di massimo pericolo, Romachiamò nuovamente sotto le armi ventitrè legioni, i vo-lontari e persino coloro che la legge esentava dal servi-zio militare. Ciò non pertanto i Romani vennero sorpre-si.Asdrubale, assai prima che gli amici e i nemici sel'aspettassero, aveva varcato le Alpi (547=207). I Galli,abituati ormai a tali passaggi, gli avevano aperto volen-tieri il passo per danaro, somministrando all'esercito tut-to ciò di cui avesse bisogno.Seppure a Roma si era pensato ad occupare gli sbocchidelle Alpi, anche questa volta si era fatto troppo tardi:già si aveva notizia che Asdrubale era arrivato sullesponde del Po, che chiamava sotto le armi i Galli colmedesimo successo del fratello e che aveva presod'assalto Piacenza.

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armi contro Roma agli Etruschi, come suo fratello avevafatto con i Galli. E l'Italia non era più l'Italia di undicianni prima: lo stato e gli individui erano esausti, la fede-razione latina era rilassata, il migliore generale era cadu-to poco prima sul campo di battaglia, e Annibale nonera vinto.Scipione poteva con ragione esaltare il favore del suogenio, se gli riusciva di rimuovere da sè e dal suo paesele conseguenze dell'imperdonabile suo errore.

21. Asdrubale ed Annibale in marcia.Come aveva fatto nei tempi di massimo pericolo, Romachiamò nuovamente sotto le armi ventitrè legioni, i vo-lontari e persino coloro che la legge esentava dal servi-zio militare. Ciò non pertanto i Romani vennero sorpre-si.Asdrubale, assai prima che gli amici e i nemici sel'aspettassero, aveva varcato le Alpi (547=207). I Galli,abituati ormai a tali passaggi, gli avevano aperto volen-tieri il passo per danaro, somministrando all'esercito tut-to ciò di cui avesse bisogno.Seppure a Roma si era pensato ad occupare gli sbocchidelle Alpi, anche questa volta si era fatto troppo tardi:già si aveva notizia che Asdrubale era arrivato sullesponde del Po, che chiamava sotto le armi i Galli colmedesimo successo del fratello e che aveva presod'assalto Piacenza.

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Il console Marco Livio si mosse in tutta fretta per rag-giungere l'esercito settentrionale, e in realtà il tempostringeva.Nell'Etruria e nell'Umbria regnava un sordo fermento;l'esercito cartaginese veniva rinforzato da volontari diquesti paesi.Il pretore Gaio Nerone chiamò a sè il collega Gaio Osti-lio Tubulo che si trovava in Venosa, e con un esercito di40.000 uomini si affrettò a chiudere ad Annibale la viaverso settentrione.Questi aveva raccolto tutte le sue forze sul territorio deiBruzi, e, avanzando sulla via che da Reggio conducenell'Apulia, si scontrò col console presso Grumento. Sivenne ad un ostinato combattimento, del quale Neronesi attribuì la vittoria; ma Annibale, ricorrendo ad unadelle sue solite marce laterali, seppe sottrarsi al nemicoed arrivare nell'Apulia senza trovare alcun ostacolo.Qui sostò e pose il suo campo prima presso Venosa, poipresso Canusio, sempre di fronte a Nerone che gli avevacostantemente tenuto dietro.Pare fuor di dubbio che Annibale si fermasse per pro-prio volere, non già costrettovi dall'esercito romano. Ilmotivo per cui egli si fermò qui e non più verso setten-trione, deve attribuirsi ad intelligenze corse fra lui edAsdrubale, od a sue ipotesi sull'itinerario di quest'ulti-mo, che noi non conosciamo.Mentre i due eserciti stavano oziosi l'uno di fronte

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Il console Marco Livio si mosse in tutta fretta per rag-giungere l'esercito settentrionale, e in realtà il tempostringeva.Nell'Etruria e nell'Umbria regnava un sordo fermento;l'esercito cartaginese veniva rinforzato da volontari diquesti paesi.Il pretore Gaio Nerone chiamò a sè il collega Gaio Osti-lio Tubulo che si trovava in Venosa, e con un esercito di40.000 uomini si affrettò a chiudere ad Annibale la viaverso settentrione.Questi aveva raccolto tutte le sue forze sul territorio deiBruzi, e, avanzando sulla via che da Reggio conducenell'Apulia, si scontrò col console presso Grumento. Sivenne ad un ostinato combattimento, del quale Neronesi attribuì la vittoria; ma Annibale, ricorrendo ad unadelle sue solite marce laterali, seppe sottrarsi al nemicoed arrivare nell'Apulia senza trovare alcun ostacolo.Qui sostò e pose il suo campo prima presso Venosa, poipresso Canusio, sempre di fronte a Nerone che gli avevacostantemente tenuto dietro.Pare fuor di dubbio che Annibale si fermasse per pro-prio volere, non già costrettovi dall'esercito romano. Ilmotivo per cui egli si fermò qui e non più verso setten-trione, deve attribuirsi ad intelligenze corse fra lui edAsdrubale, od a sue ipotesi sull'itinerario di quest'ulti-mo, che noi non conosciamo.Mentre i due eserciti stavano oziosi l'uno di fronte

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all'altro, i posti avanzati di Nerone intercettarono il di-spaccio d'Asdrubale, atteso con tanta impazienza nelcampo di Annibale. Esso conteneva la comunicazioneche Asdrubale intendeva battere la via Flaminia, percor-rere quindi prima la via lungo la costa del mare, e varca-re poi l'Appennino presso Fano, volgendo verso Narni,ove riteneva di trovare Annibale.Nerone fece partire immediatamente alla volta di Narni,che era il punto scelto per la congiunzione dei due eser-citi cartaginesi, le truppe della riserva che erano inRoma, ove rimase la divisione che stanziava presso Ca-pua, la quale vi formò una nuova riserva.Pensando che Annibale, ignorando l'intenzione del fra-tello continuerebbe ad aspettarlo nell'Apulia, Nerone sidecise al temerario tentativo di recarsi con un piccoloma scelto corpo di 7.000 uomini a marce forzate versosettentrione, onde, di concerto col suo collega, costrin-gere possibilmente Asdrubale ad accettare battaglia.Egli lo poteva fare perchè l'esercito romano che lasciavaindietro era ancora sempre abbastanza forte sia per tenertesta alla forza d'Annibale qualora esso l'attaccasse, siaper seguirlo ed arrivare immediatamente nel campo dibattaglia qualora esso levasse gli accampamenti.

22. Battaglia presso Sena.Nerone trovò il suo collega Marco Livio presso SenaGallica in attesa del nemico. I due consoli avanzaronosubito contro Asdrubale, che trovarono intento a passare

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all'altro, i posti avanzati di Nerone intercettarono il di-spaccio d'Asdrubale, atteso con tanta impazienza nelcampo di Annibale. Esso conteneva la comunicazioneche Asdrubale intendeva battere la via Flaminia, percor-rere quindi prima la via lungo la costa del mare, e varca-re poi l'Appennino presso Fano, volgendo verso Narni,ove riteneva di trovare Annibale.Nerone fece partire immediatamente alla volta di Narni,che era il punto scelto per la congiunzione dei due eser-citi cartaginesi, le truppe della riserva che erano inRoma, ove rimase la divisione che stanziava presso Ca-pua, la quale vi formò una nuova riserva.Pensando che Annibale, ignorando l'intenzione del fra-tello continuerebbe ad aspettarlo nell'Apulia, Nerone sidecise al temerario tentativo di recarsi con un piccoloma scelto corpo di 7.000 uomini a marce forzate versosettentrione, onde, di concerto col suo collega, costrin-gere possibilmente Asdrubale ad accettare battaglia.Egli lo poteva fare perchè l'esercito romano che lasciavaindietro era ancora sempre abbastanza forte sia per tenertesta alla forza d'Annibale qualora esso l'attaccasse, siaper seguirlo ed arrivare immediatamente nel campo dibattaglia qualora esso levasse gli accampamenti.

22. Battaglia presso Sena.Nerone trovò il suo collega Marco Livio presso SenaGallica in attesa del nemico. I due consoli avanzaronosubito contro Asdrubale, che trovarono intento a passare

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il Metauro. Asdrubale desiderava evitare la battaglia etogliersi dalla vicinanza dei Romani portandosi da unlato, ma le sue guide lo abbandonarono, egli si smarrì inun terreno che non conosceva e fu finalmente attaccatodurante la sua marcia dalla cavalleria romana e trattenu-to sino all'arrivo della fanteria: allora la battaglia diven-ne inevitabile.Asdrubale dispose gli Spagnuoli sull'ala destra con isuoi dieci elefanti, ed i Galli, sui quali egli non contava,sulla sinistra. Accanito ed indeciso durava il combatti-mento sull'ala destra, ed il console Livio, che ne aveva ilcomando, si trovava in gran difficoltà, quando Nerone,ripetendo in campo tattico la strategica sua operazione,lasciò il nemico che gli stava di fronte nell'immobile suaposizione, e girando attorno al proprio esercito attaccògli Spagnuoli di fianco.Questo fu il colpo decisivo. La vittoria riportata conmolto spargimento di sangue fu completa; l'esercito, cuiera tolta ogni ritirata fu distrutto, il campo preso d'assal-to.Asdrubale, vedendo perduta la battaglia che egli avevacosì egregiamente diretta, seguendo l'esempio del padre,cercò e trovò sul campo una morte onorata. Come capi-tano e come uomo egli era degno fratello d'Annibale.Il giorno dopo la battaglia, Nerone si rimetteva di nuovoin cammino e, dopo una breve assenza di quattordicigiorni, ricompariva nell'Apulia di fronte ad Annibale, il

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il Metauro. Asdrubale desiderava evitare la battaglia etogliersi dalla vicinanza dei Romani portandosi da unlato, ma le sue guide lo abbandonarono, egli si smarrì inun terreno che non conosceva e fu finalmente attaccatodurante la sua marcia dalla cavalleria romana e trattenu-to sino all'arrivo della fanteria: allora la battaglia diven-ne inevitabile.Asdrubale dispose gli Spagnuoli sull'ala destra con isuoi dieci elefanti, ed i Galli, sui quali egli non contava,sulla sinistra. Accanito ed indeciso durava il combatti-mento sull'ala destra, ed il console Livio, che ne aveva ilcomando, si trovava in gran difficoltà, quando Nerone,ripetendo in campo tattico la strategica sua operazione,lasciò il nemico che gli stava di fronte nell'immobile suaposizione, e girando attorno al proprio esercito attaccògli Spagnuoli di fianco.Questo fu il colpo decisivo. La vittoria riportata conmolto spargimento di sangue fu completa; l'esercito, cuiera tolta ogni ritirata fu distrutto, il campo preso d'assal-to.Asdrubale, vedendo perduta la battaglia che egli avevacosì egregiamente diretta, seguendo l'esempio del padre,cercò e trovò sul campo una morte onorata. Come capi-tano e come uomo egli era degno fratello d'Annibale.Il giorno dopo la battaglia, Nerone si rimetteva di nuovoin cammino e, dopo una breve assenza di quattordicigiorni, ricompariva nell'Apulia di fronte ad Annibale, il

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quale non aveva avuto alcun sentore dell'accaduto e siera mantenuto fermo nella posizione che occupava.La notizia gli fu recata dal console stesso col capo moz-zo d'Asdrubale, che fu per suo ordine gettato agli avam-posti nemici, per compensare così il grande suo avversa-rio – cui ripugnava il pensiero di far guerra ai morti –dell'onorevole sepoltura da lui data alle spoglie di Paolo,di Gracco e di Marcello.Allora Annibale riconobbe che tutte le sue speranze era-no vane e che tutto era finito.Rinunziò all'Apulia, alla Lucania e persino a Metaponto,e si ritirò colle sue truppe nel Bruzio, i cui porti di mare,gli offrivano la sola via di ritirata.L'energia dei generali romani e più ancora una felicecombinazione, di cui non vi è forse altro esempio nellastoria, avevano salvato Roma da un pericolo la cui gra-vità spiega la tenace perseveranza d'Annibale nel rima-nere in Italia, un pericolo che può sostenere benissimo ilparagone di quello che seguì la battaglia di Canne.Il giubilo di Roma fu senza limiti; gli affari ricomincia-vano a prender vita come in tempo di pace; tutti sentiva-no che il pericolo della guerra era superato.

23. Magone in Italia.Del resto Roma non si curava troppo di mettere fine allaguerra. Lo stato ed i cittadini erano esausti per gli

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quale non aveva avuto alcun sentore dell'accaduto e siera mantenuto fermo nella posizione che occupava.La notizia gli fu recata dal console stesso col capo moz-zo d'Asdrubale, che fu per suo ordine gettato agli avam-posti nemici, per compensare così il grande suo avversa-rio – cui ripugnava il pensiero di far guerra ai morti –dell'onorevole sepoltura da lui data alle spoglie di Paolo,di Gracco e di Marcello.Allora Annibale riconobbe che tutte le sue speranze era-no vane e che tutto era finito.Rinunziò all'Apulia, alla Lucania e persino a Metaponto,e si ritirò colle sue truppe nel Bruzio, i cui porti di mare,gli offrivano la sola via di ritirata.L'energia dei generali romani e più ancora una felicecombinazione, di cui non vi è forse altro esempio nellastoria, avevano salvato Roma da un pericolo la cui gra-vità spiega la tenace perseveranza d'Annibale nel rima-nere in Italia, un pericolo che può sostenere benissimo ilparagone di quello che seguì la battaglia di Canne.Il giubilo di Roma fu senza limiti; gli affari ricomincia-vano a prender vita come in tempo di pace; tutti sentiva-no che il pericolo della guerra era superato.

23. Magone in Italia.Del resto Roma non si curava troppo di mettere fine allaguerra. Lo stato ed i cittadini erano esausti per gli

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straordinari sforzi morali e materiali e si abbandonavanoquindi volentieri alla noncuranza ed al riposo.L'esercito e la flotta vennero ridotti; i contadini romani elatini rimandati alle loro abbandonate fattorie, e le cassepubbliche riempite col ricavo della vendita d'una partedei beni demaniali della Campania. Fu riordinatal'amministrazione dello stato, si tolsero gli invalsi abusi;si incominciò a restituire il prestito volontario di guerra,e si costrinsero i comuni latini, rimasti in mora, a soddi-sfare con grossi interessi ai mancati loro obblighi.La guerra in Italia sostò. Fu una luminosa prova del ta-lento strategico d'Annibale e nel tempo stesso dell'inetti-tudine dei generali romani, che allora gli stavano a fron-te, se egli potè rimanere per altri quattr'anni nel paesedei Bruzi, e se i suoi avversari, disponendo di maggioriforze, non lo poterono costringere a chiudersi nelle for-tezze o ad imbarcarsi.È bensì vero che fu obbligato a ritirarsi sempre più, nongià in conseguenza d'inconcludenti combattimenti soste-nuti coi Romani, ma a motivo dei suoi alleati Bruzi chegli si mostravano sempre più ostili; sicchè alla fine fu ri-dotto a non poter fare assegnamento che sulle città tenu-te dalle sue truppe.Egli abbandonò perciò spontaneamente Turio; Locri furioccupata per opera di Publio Scipione da una divisionespedita da Reggio (549=205).Le autorità cartaginesi, quasi volessero dare una lumino-

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straordinari sforzi morali e materiali e si abbandonavanoquindi volentieri alla noncuranza ed al riposo.L'esercito e la flotta vennero ridotti; i contadini romani elatini rimandati alle loro abbandonate fattorie, e le cassepubbliche riempite col ricavo della vendita d'una partedei beni demaniali della Campania. Fu riordinatal'amministrazione dello stato, si tolsero gli invalsi abusi;si incominciò a restituire il prestito volontario di guerra,e si costrinsero i comuni latini, rimasti in mora, a soddi-sfare con grossi interessi ai mancati loro obblighi.La guerra in Italia sostò. Fu una luminosa prova del ta-lento strategico d'Annibale e nel tempo stesso dell'inetti-tudine dei generali romani, che allora gli stavano a fron-te, se egli potè rimanere per altri quattr'anni nel paesedei Bruzi, e se i suoi avversari, disponendo di maggioriforze, non lo poterono costringere a chiudersi nelle for-tezze o ad imbarcarsi.È bensì vero che fu obbligato a ritirarsi sempre più, nongià in conseguenza d'inconcludenti combattimenti soste-nuti coi Romani, ma a motivo dei suoi alleati Bruzi chegli si mostravano sempre più ostili; sicchè alla fine fu ri-dotto a non poter fare assegnamento che sulle città tenu-te dalle sue truppe.Egli abbandonò perciò spontaneamente Turio; Locri furioccupata per opera di Publio Scipione da una divisionespedita da Reggio (549=205).Le autorità cartaginesi, quasi volessero dare una lumino-

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sa sanzione, negli ultimi momenti, ai piani d'Annibale,che esse avevano rovinati, trovandosi nell'ansia per il te-muto sbarco dei Romani ricorsero finalmente a queglistessi suoi piani (548-9=206-5) e mandarono rinforzi esussidi ad Annibale in Italia ed a Magone in Spagna,coll'ordine di ricominciare la guerra in Italia e d'ottenerecoll'armi un altro po' di respiro ai tremanti proprietaridelle ville nella Libia ed ai bottegai di Cartagine.Un'altra ambasceria inviarono nella Macedonia per deci-dere Filippo a rinnovare il trattato d'alleanza e ad effet-tuare lo sbarco in Italia (549=205).Ma era troppo tardi. Filippo pochi mesi prima aveva fat-to la pace coi Romani; l'imminente rovina politica diCartagine non tornava a lui opportuna, ma, almeno pale-semente, egli nulla fece contro Roma. Fu spedito un pic-colo corpo macedone in Africa, che Filippo, al dire deiRomani, pagava dalla sua cassetta; il che sarebbe statonaturale, ma, come lo dimostra l'ulteriore andamentodelle cose, i Romani non ne avevano per lo meno alcunaprova. Quanto ad uno sbarco di truppe macedoni in Ita-lia non vi si pensò nemmeno.Il più giovane dei figli di Amilcare, Magone, compresepiù seriamente il suo compito. Con i resti del suo eserci-to spagnuolo, che da prima egli aveva condotto a Minor-ca, sbarcò nell'anno 549=205 presso Genova, distrussela città e fece appello ai Liguri ed ai Galli, i quali venne-ro in frotta, come sempre, attirati dall'allettamentodell'oro e della novità dell'impresa. Egli estese persino

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sa sanzione, negli ultimi momenti, ai piani d'Annibale,che esse avevano rovinati, trovandosi nell'ansia per il te-muto sbarco dei Romani ricorsero finalmente a queglistessi suoi piani (548-9=206-5) e mandarono rinforzi esussidi ad Annibale in Italia ed a Magone in Spagna,coll'ordine di ricominciare la guerra in Italia e d'ottenerecoll'armi un altro po' di respiro ai tremanti proprietaridelle ville nella Libia ed ai bottegai di Cartagine.Un'altra ambasceria inviarono nella Macedonia per deci-dere Filippo a rinnovare il trattato d'alleanza e ad effet-tuare lo sbarco in Italia (549=205).Ma era troppo tardi. Filippo pochi mesi prima aveva fat-to la pace coi Romani; l'imminente rovina politica diCartagine non tornava a lui opportuna, ma, almeno pale-semente, egli nulla fece contro Roma. Fu spedito un pic-colo corpo macedone in Africa, che Filippo, al dire deiRomani, pagava dalla sua cassetta; il che sarebbe statonaturale, ma, come lo dimostra l'ulteriore andamentodelle cose, i Romani non ne avevano per lo meno alcunaprova. Quanto ad uno sbarco di truppe macedoni in Ita-lia non vi si pensò nemmeno.Il più giovane dei figli di Amilcare, Magone, compresepiù seriamente il suo compito. Con i resti del suo eserci-to spagnuolo, che da prima egli aveva condotto a Minor-ca, sbarcò nell'anno 549=205 presso Genova, distrussela città e fece appello ai Liguri ed ai Galli, i quali venne-ro in frotta, come sempre, attirati dall'allettamentodell'oro e della novità dell'impresa. Egli estese persino

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le sue relazioni a tutta l'Etruria, ove continuavano inces-santemente i processi politici.Ma le truppe ch'egli aveva seco erano troppo scarse perriuscire in un'impresa seria contro l'Italia propriamentedetta, e Annibale era egualmente troppo debole e la suainfluenza nella bassa Italia troppo scaduta per poter pro-cedere innanzi con probabilità di successo. I signori diCartagine non avevano voluto salvare la patria quandoera possibile; ora che lo volevano era troppo tardi.

24. Scipione in Africa.Nel senato romano nessuno ormai dubitava che la guer-ra mossa da Cartagine a Roma fosse finita, e che alloradovesse cominciare la guerra di Roma contro Cartagine;ma, per quanto apparisse inevitabile la spedizione afri-cana, pure a nessuno bastava l'animo di ordinarla.Occorreva, prima di tutto, un capitano capace e benvo-luto, e non se n'aveva alcuno. I migliori erano morti sulcampo di battaglia, o erano, come Quinto Fabio e Quin-to Fulvio troppo vecchi per una simile guerra, del tuttonuova e verosimilmente di lunga durata.I vincitori di Sena Gallica, Gaio Nerone e Marco Livioavrebbero avuto bensì la capacità di coprire questa cari-ca, ma entrambi erano aristocratici e impopolari in som-mo grado; era dubbio se si riuscirebbe a far loro conse-guire il comando, poichè si era pervenuti al punto che iltalento prevaleva nella elezione solo nei tempi difficilis-

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le sue relazioni a tutta l'Etruria, ove continuavano inces-santemente i processi politici.Ma le truppe ch'egli aveva seco erano troppo scarse perriuscire in un'impresa seria contro l'Italia propriamentedetta, e Annibale era egualmente troppo debole e la suainfluenza nella bassa Italia troppo scaduta per poter pro-cedere innanzi con probabilità di successo. I signori diCartagine non avevano voluto salvare la patria quandoera possibile; ora che lo volevano era troppo tardi.

24. Scipione in Africa.Nel senato romano nessuno ormai dubitava che la guer-ra mossa da Cartagine a Roma fosse finita, e che alloradovesse cominciare la guerra di Roma contro Cartagine;ma, per quanto apparisse inevitabile la spedizione afri-cana, pure a nessuno bastava l'animo di ordinarla.Occorreva, prima di tutto, un capitano capace e benvo-luto, e non se n'aveva alcuno. I migliori erano morti sulcampo di battaglia, o erano, come Quinto Fabio e Quin-to Fulvio troppo vecchi per una simile guerra, del tuttonuova e verosimilmente di lunga durata.I vincitori di Sena Gallica, Gaio Nerone e Marco Livioavrebbero avuto bensì la capacità di coprire questa cari-ca, ma entrambi erano aristocratici e impopolari in som-mo grado; era dubbio se si riuscirebbe a far loro conse-guire il comando, poichè si era pervenuti al punto che iltalento prevaleva nella elezione solo nei tempi difficilis-

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simi, ed era inoltre più che dubbio, se essi fossero gliuomini capaci di indurre il popolo già esausto, a nuovisagrifizi.Ritornava in quel punto dalla Spagna Publio Scipione; eil prediletto della moltitudine, il quale aveva così bril-lantemente adempiuto, o almeno sembrava avesseadempiuto, il compito da essa affidatogli, fu tosto elettoconsole pel prossimo anno.Egli entrò in carica (549=205) colla ferma risoluzione dieffettuare la spedizione d'Africa che aveva concepita sindal tempo in cui si trovava in Spagna. Ma in senato ilpartito della guerra metodica non solo non voleva udirparlare d'una simile spedizione finchè Annibale si tro-vasse ancora in Italia, ma nemmeno la maggioranza simostrava favorevole al giovane generale.La sua eleganza greca, la sua coltura ed i suoi sentimen-ti non garbavano affatto agli austeri e, se si vuole, al-quanto rustici padri della città; e rispetto al suo modo diguerreggiare in Spagna, ed alla sua disciplina militare,v'era di che dire.Quanto giusta e meritata fosse l'accusa che gli si move-va di soverchia indulgenza verso i suoi comandanti dicorpo, lo dimostrarono ben presto le turpitudini, cheGaio Pleminio(31) commise in Locri, e delle quali Scipio-ne stesso, per la trascurata sua sorveglianza, si rese indi-rettamente complice nel modo più scandaloso.

31 Altri autori danno Gaio Flaminio.

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simi, ed era inoltre più che dubbio, se essi fossero gliuomini capaci di indurre il popolo già esausto, a nuovisagrifizi.Ritornava in quel punto dalla Spagna Publio Scipione; eil prediletto della moltitudine, il quale aveva così bril-lantemente adempiuto, o almeno sembrava avesseadempiuto, il compito da essa affidatogli, fu tosto elettoconsole pel prossimo anno.Egli entrò in carica (549=205) colla ferma risoluzione dieffettuare la spedizione d'Africa che aveva concepita sindal tempo in cui si trovava in Spagna. Ma in senato ilpartito della guerra metodica non solo non voleva udirparlare d'una simile spedizione finchè Annibale si tro-vasse ancora in Italia, ma nemmeno la maggioranza simostrava favorevole al giovane generale.La sua eleganza greca, la sua coltura ed i suoi sentimen-ti non garbavano affatto agli austeri e, se si vuole, al-quanto rustici padri della città; e rispetto al suo modo diguerreggiare in Spagna, ed alla sua disciplina militare,v'era di che dire.Quanto giusta e meritata fosse l'accusa che gli si move-va di soverchia indulgenza verso i suoi comandanti dicorpo, lo dimostrarono ben presto le turpitudini, cheGaio Pleminio(31) commise in Locri, e delle quali Scipio-ne stesso, per la trascurata sua sorveglianza, si rese indi-rettamente complice nel modo più scandaloso.

31 Altri autori danno Gaio Flaminio.

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In occasione delle discussioni avvenute in senato circa ildecreto della spedizione africana e la nomina del co-mandante supremo, il nuovo console fece chiaramenteconoscere i suoi sentimenti, di non curare cioè le diffi-coltà che potessero sorgere qualora gli usi e la costitu-zione si opponessero alle sue mire personali, e come,spinto all'estremo e trovandosi a conflitto coll'autoritàgovernativa, pensasse di appoggiarsi alla sua gloria edalla popolarità di cui godeva presso la moltitudine; sen-timento questo che doveva non solo offendere il senato,ma destarvi altresì il serio timore se un simile generalefosse l'uomo da uniformarsi, nella imminente guerra de-cisiva e nelle eventuali trattative di pace con Cartagine,alle istruzioni che gli verrebbero comunicate; timoregiustificato dal modo arbitrario con cui Scipione avevagià diretta la spedizione in Spagna.Ma da ambo le parti si procedette con abbastanza avve-dutezza senza spingere le cose agli estremi. Anche il se-nato dovette finalmente riconoscere la necessità di que-sta spedizione africana e che non era prudente protrarlaindefinitamente, e dovette convenire che Scipione eraun abilissimo generale, e sotto questo aspetto adattissi-mo a condurre una tal guerra, e inoltre ch'esso era il solocui il popolo avrebbe accordata la proroga del supremocomando finchè le circostanze l'avessero richiesto, e fat-to il sagrifizio delle ultime forze.La maggioranza si decise finalmente a non rifiutare aScipione il desiderato incarico dopo che il medesimo

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In occasione delle discussioni avvenute in senato circa ildecreto della spedizione africana e la nomina del co-mandante supremo, il nuovo console fece chiaramenteconoscere i suoi sentimenti, di non curare cioè le diffi-coltà che potessero sorgere qualora gli usi e la costitu-zione si opponessero alle sue mire personali, e come,spinto all'estremo e trovandosi a conflitto coll'autoritàgovernativa, pensasse di appoggiarsi alla sua gloria edalla popolarità di cui godeva presso la moltitudine; sen-timento questo che doveva non solo offendere il senato,ma destarvi altresì il serio timore se un simile generalefosse l'uomo da uniformarsi, nella imminente guerra de-cisiva e nelle eventuali trattative di pace con Cartagine,alle istruzioni che gli verrebbero comunicate; timoregiustificato dal modo arbitrario con cui Scipione avevagià diretta la spedizione in Spagna.Ma da ambo le parti si procedette con abbastanza avve-dutezza senza spingere le cose agli estremi. Anche il se-nato dovette finalmente riconoscere la necessità di que-sta spedizione africana e che non era prudente protrarlaindefinitamente, e dovette convenire che Scipione eraun abilissimo generale, e sotto questo aspetto adattissi-mo a condurre una tal guerra, e inoltre ch'esso era il solocui il popolo avrebbe accordata la proroga del supremocomando finchè le circostanze l'avessero richiesto, e fat-to il sagrifizio delle ultime forze.La maggioranza si decise finalmente a non rifiutare aScipione il desiderato incarico dopo che il medesimo

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ebbe usati, almeno nella forma, i riguardi dovuti alla su-prema magistratura e si fu sottomesso anticipatamentealla decisione del senato.Scipione doveva quell'anno recarsi in Sicilia a sollecita-re l'allestimento della flotta, il restauro del materialed'assedio, e a spingere l'organizzazione dell'esercito dispedizione per approdare poi nell'anno seguente sullecoste dell'Africa.A questo scopo gli fu assegnato l'esercito siciliano –quelle due legioni composte dalle reliquie dell'esercitodi Canne – bastando per la difesa dell'isola una scarsaguarnigione ed il naviglio, e gli fu data inoltre l'autoriz-zazione di assoldare volontari in Italia.Era evidente che il senato non ordinava la spedizione,ma solo lasciava che si facesse; Scipione non ricevettela metà dei mezzi che già erano stati messi a disposizio-ne di Regolo, e per soprappiù gli si dava appunto quelcorpo che, con calcolata indifferenza, per molti anni erastato trascurato dal senato.L'esercito africano era considerato dalla maggioranzadel senato come un corpo perduto, composto di compa-gnie correzionali e di volontarii, di modo che la sua per-dita non sarebbe poi stata dolorosa per lo stato.Altri, al posto di Scipione, avrebbe forse dichiarato chela spedizione d'Africa si facesse con altri mezzi, o nonla si facesse; ma Scipione accettò le condizioni che glivenivano imposte pur di ottenere quel comando così ar-

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ebbe usati, almeno nella forma, i riguardi dovuti alla su-prema magistratura e si fu sottomesso anticipatamentealla decisione del senato.Scipione doveva quell'anno recarsi in Sicilia a sollecita-re l'allestimento della flotta, il restauro del materialed'assedio, e a spingere l'organizzazione dell'esercito dispedizione per approdare poi nell'anno seguente sullecoste dell'Africa.A questo scopo gli fu assegnato l'esercito siciliano –quelle due legioni composte dalle reliquie dell'esercitodi Canne – bastando per la difesa dell'isola una scarsaguarnigione ed il naviglio, e gli fu data inoltre l'autoriz-zazione di assoldare volontari in Italia.Era evidente che il senato non ordinava la spedizione,ma solo lasciava che si facesse; Scipione non ricevettela metà dei mezzi che già erano stati messi a disposizio-ne di Regolo, e per soprappiù gli si dava appunto quelcorpo che, con calcolata indifferenza, per molti anni erastato trascurato dal senato.L'esercito africano era considerato dalla maggioranzadel senato come un corpo perduto, composto di compa-gnie correzionali e di volontarii, di modo che la sua per-dita non sarebbe poi stata dolorosa per lo stato.Altri, al posto di Scipione, avrebbe forse dichiarato chela spedizione d'Africa si facesse con altri mezzi, o nonla si facesse; ma Scipione accettò le condizioni che glivenivano imposte pur di ottenere quel comando così ar-

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dentemente desiderato.Egli evitava con ogni studio di aggravare direttamente ilpopolo per non recar danno alla popolarità della spedi-zione. Le relative spese, e particolarmente quelle rag-guardevoli per l'allestimento della flotta, furono copertein parte con una così detta contribuzione volontaria del-le città etrusche, cioè col prodotto di una tassa di guerraimposta come punizione agli Aretini ed agli altri comuniche tenevano pei Cartaginesi, in parte dalle città dellaSicilia.La flotta fu pronta a spiegar le vele in quaranta giorni.La ciurma fu rinforzata da volontari, che all'appellodell'amato generale accorsero in numero di settemila datutte le parti d'Italia.Scipione fece quindi vela per l'Africa nel febbraio del550=204 con due forti legioni di veterani (circa 30.000uomini), quaranta navi da guerra e quattrocento navionerarie, e approdò felicemente senza trovare il minimoostacolo al «bel promontorio» (promontorium pul-chrum) nelle vicinanze di Utica.

25. Armamenti in Africa.I Cartaginesi, i quali da lungo tempo si aspettavano chealle frequenti scorrerie fatte negli ultimi anni dalle squa-dre romane sulle coste dell'Africa succedesse uno sbar-co formidabile, allo scopo di impedirlo avevano nonsolo tentato di riaccendere la guerra italo-macedone, ma

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dentemente desiderato.Egli evitava con ogni studio di aggravare direttamente ilpopolo per non recar danno alla popolarità della spedi-zione. Le relative spese, e particolarmente quelle rag-guardevoli per l'allestimento della flotta, furono copertein parte con una così detta contribuzione volontaria del-le città etrusche, cioè col prodotto di una tassa di guerraimposta come punizione agli Aretini ed agli altri comuniche tenevano pei Cartaginesi, in parte dalle città dellaSicilia.La flotta fu pronta a spiegar le vele in quaranta giorni.La ciurma fu rinforzata da volontari, che all'appellodell'amato generale accorsero in numero di settemila datutte le parti d'Italia.Scipione fece quindi vela per l'Africa nel febbraio del550=204 con due forti legioni di veterani (circa 30.000uomini), quaranta navi da guerra e quattrocento navionerarie, e approdò felicemente senza trovare il minimoostacolo al «bel promontorio» (promontorium pul-chrum) nelle vicinanze di Utica.

25. Armamenti in Africa.I Cartaginesi, i quali da lungo tempo si aspettavano chealle frequenti scorrerie fatte negli ultimi anni dalle squa-dre romane sulle coste dell'Africa succedesse uno sbar-co formidabile, allo scopo di impedirlo avevano nonsolo tentato di riaccendere la guerra italo-macedone, ma

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si erano anche armati in casa loro per ricevere i Romani.Erano riusciti ad attrarre con un trattato e un matrimonioSiface, di Siga (alla foce della Tafna, ad occidente diOrano), signore dei Messesili, uno dei due re berberi fraloro rivali e fino allora il più potente alleato dei Romani,abbandonando l'altro, Massinissa di Cirta (Costantina),signore dei Massili, già loro alleato.Massinissa dopo una disperata difesa aveva dovuto soc-combere alle forze unite dei Cartaginesi e di Siface, ab-bandonando i suoi territorii a quest'ultimo; egli stessopoi, accompagnato da pochi cavalieri, andava errandopel deserto.Oltre al contingente di Siface, che si attendeva, erapronto per la difesa della capitale un esercito cartaginesedi 20.000 fanti, 6000 cavalieri e 140 elefanti, comandatoda Asdrubale figlio di Giscone, il quale aveva dato pro-va del suo talento di esperto generale nella guerra diSpagna; gli elefanti erano stati presi da Annone in unacaccia fatta appositamente.Una rispettabile flotta stava inoltre ancorata nel porto.Si aspettava da un momento all'altro un corpo di Mace-doni capitanato da Sopatro e una divisione di mercenariceltiberi.Avuta notizia dello sbarco di Scipione, Massinissa sirecò tosto al campo del generale, contro il quale egliaveva poco prima combattuto in Spagna. Egli non reca-va ai Romani che il suo valore personale; i Libi, infatti,

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si erano anche armati in casa loro per ricevere i Romani.Erano riusciti ad attrarre con un trattato e un matrimonioSiface, di Siga (alla foce della Tafna, ad occidente diOrano), signore dei Messesili, uno dei due re berberi fraloro rivali e fino allora il più potente alleato dei Romani,abbandonando l'altro, Massinissa di Cirta (Costantina),signore dei Massili, già loro alleato.Massinissa dopo una disperata difesa aveva dovuto soc-combere alle forze unite dei Cartaginesi e di Siface, ab-bandonando i suoi territorii a quest'ultimo; egli stessopoi, accompagnato da pochi cavalieri, andava errandopel deserto.Oltre al contingente di Siface, che si attendeva, erapronto per la difesa della capitale un esercito cartaginesedi 20.000 fanti, 6000 cavalieri e 140 elefanti, comandatoda Asdrubale figlio di Giscone, il quale aveva dato pro-va del suo talento di esperto generale nella guerra diSpagna; gli elefanti erano stati presi da Annone in unacaccia fatta appositamente.Una rispettabile flotta stava inoltre ancorata nel porto.Si aspettava da un momento all'altro un corpo di Mace-doni capitanato da Sopatro e una divisione di mercenariceltiberi.Avuta notizia dello sbarco di Scipione, Massinissa sirecò tosto al campo del generale, contro il quale egliaveva poco prima combattuto in Spagna. Egli non reca-va ai Romani che il suo valore personale; i Libi, infatti,

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benchè assolutamente stanchi delle continue leve ed im-posizioni, avevano fatto in simili casi esperienze troppoamare per pronunciarsi immediatamente a favore deiRomani. Scipione incominciò dunque la campagna. Efinchè si trovò di fronte il debole esercito cartaginese fuin vantaggio, riuscendo, dopo alcuni felici combattimen-ti di cavalleria, a mettere l'assedio ad Utica; ma quandoarrivò Siface alla testa d'un esercito, che si dice ammon-tasse a 50.000 fanti e 10.000 cavalieri, dovette levarel'assedio e prendere posizione su di un promontorio faci-le ad essere trincerato, che sorge fra Utica e Cartagine,passando l'inverno in un campo fortificato, appoggiatodalle sue navi (550-1=204-3).Per togliersi dalla scabrosa situazione in cui lo trovò laprimavera, egli fece un colpo maestro che riuscì felice-mente.Addormentati dalle trattative di pace maliziosamente in-tavolate da Scipione, gli Africani si lasciarono sorpren-dere nella stessa notte in entrambi i loro accampamenti;le capanne dei Numidi, costruite di canne, furono man-date in fiamme, e quando i Cartaginesi si affrettarono alsoccorso toccò al loro campo la stessa sorte; i fuggitiviessendo senz'armi furono fatti a pezzi dalle divisioni ro-mane.Questa sorpresa notturna fu più fatale che non una batta-glia qualsiasi; ma i Cartaginesi non si smarrirono e ri-gettarono persino il consiglio dei timidi, o meglio, degliassennati, di richiamare Magone ed Annibale.

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benchè assolutamente stanchi delle continue leve ed im-posizioni, avevano fatto in simili casi esperienze troppoamare per pronunciarsi immediatamente a favore deiRomani. Scipione incominciò dunque la campagna. Efinchè si trovò di fronte il debole esercito cartaginese fuin vantaggio, riuscendo, dopo alcuni felici combattimen-ti di cavalleria, a mettere l'assedio ad Utica; ma quandoarrivò Siface alla testa d'un esercito, che si dice ammon-tasse a 50.000 fanti e 10.000 cavalieri, dovette levarel'assedio e prendere posizione su di un promontorio faci-le ad essere trincerato, che sorge fra Utica e Cartagine,passando l'inverno in un campo fortificato, appoggiatodalle sue navi (550-1=204-3).Per togliersi dalla scabrosa situazione in cui lo trovò laprimavera, egli fece un colpo maestro che riuscì felice-mente.Addormentati dalle trattative di pace maliziosamente in-tavolate da Scipione, gli Africani si lasciarono sorpren-dere nella stessa notte in entrambi i loro accampamenti;le capanne dei Numidi, costruite di canne, furono man-date in fiamme, e quando i Cartaginesi si affrettarono alsoccorso toccò al loro campo la stessa sorte; i fuggitiviessendo senz'armi furono fatti a pezzi dalle divisioni ro-mane.Questa sorpresa notturna fu più fatale che non una batta-glia qualsiasi; ma i Cartaginesi non si smarrirono e ri-gettarono persino il consiglio dei timidi, o meglio, degliassennati, di richiamare Magone ed Annibale.

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Erano appunto allora arrivate le truppe ausiliarie deiCeltiberi e dei Macedoni, e fu deciso di tentare un'altravolta la sorte delle armi in una battaglia campale sui«vasti campi» alla distanza di cinque marce da Utica.Scipione l'accettò; i suoi veterani ed i volontari disperse-ro con lieve fatica le raggranellate schiere cartaginesi enumidiche; ed anche i Celtiberi, che non potevano atten-dersi grazia da Scipione, furono tagliati a pezzi dopoun'ostinata resistenza.Dopo questa doppia sconfitta, gli Africani non poteronopiù tenere il campo in nessun luogo.Un attacco tentato dalla flotta cartaginese contro il cam-po navale romano non ebbe un esito sfavorevole, manemmeno un risultato decisivo, e fu pagato ad usura col-la cattura di Siface che l'amica stella diede in mano aScipione: in grazia di essa Massinissa divenne pei Ro-mani ciò che Siface era stato in principio pei Cartagine-si.

26. Trattative di pace.Dopo tali perdite, il partito della pace, che era stato con-dannato al silenzio per sedici anni, potè in Cartagine al-zare di nuovo il capo e sollevarsi apertamente contro ilregime dei Barca e dei patrioti.Asdrubale, figlio di Giscone, fu dal governo condannatoa morte in contumacia, e fu fatto un tentativo per ottene-re da Scipione l'armistizio e la pace.

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Erano appunto allora arrivate le truppe ausiliarie deiCeltiberi e dei Macedoni, e fu deciso di tentare un'altravolta la sorte delle armi in una battaglia campale sui«vasti campi» alla distanza di cinque marce da Utica.Scipione l'accettò; i suoi veterani ed i volontari disperse-ro con lieve fatica le raggranellate schiere cartaginesi enumidiche; ed anche i Celtiberi, che non potevano atten-dersi grazia da Scipione, furono tagliati a pezzi dopoun'ostinata resistenza.Dopo questa doppia sconfitta, gli Africani non poteronopiù tenere il campo in nessun luogo.Un attacco tentato dalla flotta cartaginese contro il cam-po navale romano non ebbe un esito sfavorevole, manemmeno un risultato decisivo, e fu pagato ad usura col-la cattura di Siface che l'amica stella diede in mano aScipione: in grazia di essa Massinissa divenne pei Ro-mani ciò che Siface era stato in principio pei Cartagine-si.

26. Trattative di pace.Dopo tali perdite, il partito della pace, che era stato con-dannato al silenzio per sedici anni, potè in Cartagine al-zare di nuovo il capo e sollevarsi apertamente contro ilregime dei Barca e dei patrioti.Asdrubale, figlio di Giscone, fu dal governo condannatoa morte in contumacia, e fu fatto un tentativo per ottene-re da Scipione l'armistizio e la pace.

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Questi chiese che si cedessero i possedimenti spagnuolie le isole del Mediterraneo, si lasciasse a Massinissa ilregno di Siface, si consegnassero le navi da guerra,meno venti, e si pagasse una contribuzione di guerra di4000 talenti (circa 25.000.000 di lire), condizioni cheappaiono tanto straordinariamente favorevoli per Carta-gine da far sorgere naturalmente il dubbio che Scipionele dettasse piuttosto nel proprio interesse che in quellodi Roma.I plenipotenziari cartaginesi le accettarono colla riservadella ratifica da parte del loro governo.Ma il partito dei patrioti cartaginesi non aveva intenzio-ne di rinunziare così facilmente alla lotta; la fede nellagiusta causa, la fiducia nel grande capitano, e persinol'esempio che Roma aveva dato, lo infiammava a perse-verare, fatta anche astrazione della circostanza che lapace doveva necessariamente portare al timone dellostato il partito avversario, il che doveva essere cagionedella loro rovina.Nella borghesia il partito patriottico aveva il sopravven-to; esso decise di lasciare che l'opposizione trattasse del-la pace, e di prepararsi nel frattempo ad un ultimo deci-sivo sforzo.Si mandò l'ordine a Magone e ad Annibale di ritornarecon tutta fretta in Africa. Magone, che da tre anni (dal549 al 551=205 al 203) si affaticava a far riviverenell'Italia settentrionale una coalizione contro Roma,

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Questi chiese che si cedessero i possedimenti spagnuolie le isole del Mediterraneo, si lasciasse a Massinissa ilregno di Siface, si consegnassero le navi da guerra,meno venti, e si pagasse una contribuzione di guerra di4000 talenti (circa 25.000.000 di lire), condizioni cheappaiono tanto straordinariamente favorevoli per Carta-gine da far sorgere naturalmente il dubbio che Scipionele dettasse piuttosto nel proprio interesse che in quellodi Roma.I plenipotenziari cartaginesi le accettarono colla riservadella ratifica da parte del loro governo.Ma il partito dei patrioti cartaginesi non aveva intenzio-ne di rinunziare così facilmente alla lotta; la fede nellagiusta causa, la fiducia nel grande capitano, e persinol'esempio che Roma aveva dato, lo infiammava a perse-verare, fatta anche astrazione della circostanza che lapace doveva necessariamente portare al timone dellostato il partito avversario, il che doveva essere cagionedella loro rovina.Nella borghesia il partito patriottico aveva il sopravven-to; esso decise di lasciare che l'opposizione trattasse del-la pace, e di prepararsi nel frattempo ad un ultimo deci-sivo sforzo.Si mandò l'ordine a Magone e ad Annibale di ritornarecon tutta fretta in Africa. Magone, che da tre anni (dal549 al 551=205 al 203) si affaticava a far riviverenell'Italia settentrionale una coalizione contro Roma,

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aveva appunto allora dato una battaglia sul territorio de-gli Insubri (intorno a Milano) all'esercito romano di granlunga superiore in numero, nella quale la cavalleria ro-mana era già stata respinta e la fanteria messa alle stret-te; la vittoria sembrava propendere in favore dei Carta-ginesi, quando il temerario attacco di un corpo di trupperomane contro gli elefanti e anzitutto la grave ferita ri-portata dall'amato e valoroso capitano, mutò la fortunadella giornata.L'esercito cartaginese dovette ritirarsi sulle coste dellaLiguria, ove ricevette l'ordine d'imbarcarsi e s'imbarcò.Magone morì nel tragitto in conseguenza della sua feri-ta.Annibale avrebbe forse fatto ritorno in Africa prima an-cora che glie ne giungesse l'ordine, se le ultime trattativecon Filippo non gli avessero fatto concepire la speranzadi riuscire di maggiore utilità alla sua patria in Italia chenella Libia; quando gli pervenne l'ordine in Crotone,dove in quel tempo si trovava, non tardò a piegarvisi.Egli fece ammazzare i suoi cavalli, e così pure i soldatiitaliani che non vollero seguirlo oltre il mare, e s'imbar-cò sulle navi da trasporto che da lungo tempo stavanopronte nella rada di Crotone.I cittadini romani respirarono quando il formidabile leo-ne della Libia, che nemmeno allora nessuno osava co-stringere alla partenza, volse spontaneamente le spalle alsuolo italico; in questa circostanza fu dal senato e dai

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aveva appunto allora dato una battaglia sul territorio de-gli Insubri (intorno a Milano) all'esercito romano di granlunga superiore in numero, nella quale la cavalleria ro-mana era già stata respinta e la fanteria messa alle stret-te; la vittoria sembrava propendere in favore dei Carta-ginesi, quando il temerario attacco di un corpo di trupperomane contro gli elefanti e anzitutto la grave ferita ri-portata dall'amato e valoroso capitano, mutò la fortunadella giornata.L'esercito cartaginese dovette ritirarsi sulle coste dellaLiguria, ove ricevette l'ordine d'imbarcarsi e s'imbarcò.Magone morì nel tragitto in conseguenza della sua feri-ta.Annibale avrebbe forse fatto ritorno in Africa prima an-cora che glie ne giungesse l'ordine, se le ultime trattativecon Filippo non gli avessero fatto concepire la speranzadi riuscire di maggiore utilità alla sua patria in Italia chenella Libia; quando gli pervenne l'ordine in Crotone,dove in quel tempo si trovava, non tardò a piegarvisi.Egli fece ammazzare i suoi cavalli, e così pure i soldatiitaliani che non vollero seguirlo oltre il mare, e s'imbar-cò sulle navi da trasporto che da lungo tempo stavanopronte nella rada di Crotone.I cittadini romani respirarono quando il formidabile leo-ne della Libia, che nemmeno allora nessuno osava co-stringere alla partenza, volse spontaneamente le spalle alsuolo italico; in questa circostanza fu dal senato e dai

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cittadini concessa al quasi nonagenario Quinto Fabio,all'unico ancor vivente generale romano che avesse per-corso con onore tutti gli stadi di quei difficili tempi, lacorona d'erba(32). Questa corona che, secondo il costumeromano, l'esercito liberato offriva al suo liberatore, erala più alta distinzione che fosse giammai stata conferitaad un cittadino romano, ed essa fu l'ultimo onorifico di-stintivo dell'antico duce, il quale nello stesso anno(551=203) cessò di vivere.Annibale giunse sano e salvo a Leptis, non già perchèprotetto dall'armistizio, ma per la celerità del suo viag-gio e per favor di fortuna. L'ultimo rampollo della «co-vata di leoni» d'Amilcare rimetteva di nuovo il piede sulpatrio suolo dopo trentasei anni, dacchè, quasi fanciullo,l'aveva lasciato per iniziarsi in quella carriera eroica egrandiosa, eppure così inutile.Partendo si era diretto verso occidente, ora ritornavadall'oriente dopo aver descritto un vasto circolo di vitto-rie attorno al mare di Cartagine.Ora che era avvenuto ciò che aveva voluto impedire, eche avrebbe impedito se glie ne fossero stati dati i mez-zi, ora era richiesto di salvare, ove fosse possibile, la pa-tria dall'estremo pericolo, ed egli lo fece senza querimo-nie e senza rampogne.

32 Corona obsidialis che si dava a colui che liberava una città dall'assedio.

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cittadini concessa al quasi nonagenario Quinto Fabio,all'unico ancor vivente generale romano che avesse per-corso con onore tutti gli stadi di quei difficili tempi, lacorona d'erba(32). Questa corona che, secondo il costumeromano, l'esercito liberato offriva al suo liberatore, erala più alta distinzione che fosse giammai stata conferitaad un cittadino romano, ed essa fu l'ultimo onorifico di-stintivo dell'antico duce, il quale nello stesso anno(551=203) cessò di vivere.Annibale giunse sano e salvo a Leptis, non già perchèprotetto dall'armistizio, ma per la celerità del suo viag-gio e per favor di fortuna. L'ultimo rampollo della «co-vata di leoni» d'Amilcare rimetteva di nuovo il piede sulpatrio suolo dopo trentasei anni, dacchè, quasi fanciullo,l'aveva lasciato per iniziarsi in quella carriera eroica egrandiosa, eppure così inutile.Partendo si era diretto verso occidente, ora ritornavadall'oriente dopo aver descritto un vasto circolo di vitto-rie attorno al mare di Cartagine.Ora che era avvenuto ciò che aveva voluto impedire, eche avrebbe impedito se glie ne fossero stati dati i mez-zi, ora era richiesto di salvare, ove fosse possibile, la pa-tria dall'estremo pericolo, ed egli lo fece senza querimo-nie e senza rampogne.

32 Corona obsidialis che si dava a colui che liberava una città dall'assedio.

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27. Ripresa delle ostilità.Col suo ritorno risorse apertamente il partito patriottico;fu cassata l'infame sentenza pronunciata contro Asdru-bale; mediante la destrezza d'Annibale si strinsero nuovirapporti con gli sceicchi numidi e non solo funell'assemblea del popolo rifiutata la sanzione alla paceconchiusa di fatto, ma fu anche infranto l'armistizio spo-gliando un convoglio di navi romane da trasporto, nau-fragate sulle coste africane, e persino assaltando unanave da guerra che aveva a bordo ambasciatori romani.Giustamente irritato, Scipione partì dal suo campo pres-so Tunisi (552=202) e percorrendo l'ubertosa valle delBagrada (Medscherda), non accordò più capitolazioni aipaesi, ma fece prendere e vendere in massa tutti gli abi-tanti dei villaggi e delle città.Egli si era già inoltrato di molto nel paese e si trovavapresso Naraggara (all'occidente di Sicca, ora Kef, aiconfini di Tunisi e Algeri) quando s'incontrò con Anni-bale, il quale gli si era mosso incontro da Adrumeto.Il capitano cartaginese tentò, in un abboccamento, di ot-tenere dal generale romano migliori condizioni; ma Sci-pione, che era già arrivato al massimo delle concessioni,non poteva, dopo la rottura dell'armistizio, assolutamen-te acconsentirvi, e non è credibile che Annibale, conquesto tentativo, avesse altro scopo se non quello di farcomprendere alla moltitudine che i patrioti non eranoassolutamente nemici della pace.

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27. Ripresa delle ostilità.Col suo ritorno risorse apertamente il partito patriottico;fu cassata l'infame sentenza pronunciata contro Asdru-bale; mediante la destrezza d'Annibale si strinsero nuovirapporti con gli sceicchi numidi e non solo funell'assemblea del popolo rifiutata la sanzione alla paceconchiusa di fatto, ma fu anche infranto l'armistizio spo-gliando un convoglio di navi romane da trasporto, nau-fragate sulle coste africane, e persino assaltando unanave da guerra che aveva a bordo ambasciatori romani.Giustamente irritato, Scipione partì dal suo campo pres-so Tunisi (552=202) e percorrendo l'ubertosa valle delBagrada (Medscherda), non accordò più capitolazioni aipaesi, ma fece prendere e vendere in massa tutti gli abi-tanti dei villaggi e delle città.Egli si era già inoltrato di molto nel paese e si trovavapresso Naraggara (all'occidente di Sicca, ora Kef, aiconfini di Tunisi e Algeri) quando s'incontrò con Anni-bale, il quale gli si era mosso incontro da Adrumeto.Il capitano cartaginese tentò, in un abboccamento, di ot-tenere dal generale romano migliori condizioni; ma Sci-pione, che era già arrivato al massimo delle concessioni,non poteva, dopo la rottura dell'armistizio, assolutamen-te acconsentirvi, e non è credibile che Annibale, conquesto tentativo, avesse altro scopo se non quello di farcomprendere alla moltitudine che i patrioti non eranoassolutamente nemici della pace.

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L'abboccamento non condusse a nessun risultato e cosìsi venne alla battaglia decisiva presso Zama(33) (proba-bilmente non lungi da Sicca).Annibale ordinò la sua fanteria su tre linee: nella primacollocò le truppe mercenarie cartaginesi, nella secondala milizia africana e la guardia cittadina di Cartaginenonchè il corpo dei Macedoni, nella terza i veterani cheaveva seco condotti dall'Italia. Dinanzi alla linea eranogli ottanta elefanti; alle ali i cavalieri.Anche Scipione ordinò le sue legioni su tre linee comeera costume dei Romani, e in modo che gli elefanti po-tessero muovere attraverso la linea e accanto alla mede-sima senza romperla.Questa previdenza non solo riuscì completamente, magli elefanti, sbandatisi lateralmente, misero il disordinenella cavalleria cartaginese in modo che la cavalleria diScipione, accresciuta dalle schiere di Massinissa, cherendevano le forze dei Romani molto superiori, ebbe fa-cilmente il sopravvento, e si dette ad inseguire quellanemica col ferro alle reni.Più seria fu la lotta delle fanterie. Il combattimento frale due prime linee durò lungo tempo e nella micidialemischia si disordinarono entrambe, sicchè fu loro neces-sario ripiegare sulle seconde linee per raccogliersi.I Romani vi riuscirono; la milizia cartaginese invece si33 Non sono bene indicati nè il tempo nè il luogo della battaglia. Il luogo

sarà stato la nota «Zama regia»; il tempo forse la primavera o l'estate del552. Non è sicura l'indicazione del 19 ottobre a motivo dell'eclissi solare.

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L'abboccamento non condusse a nessun risultato e cosìsi venne alla battaglia decisiva presso Zama(33) (proba-bilmente non lungi da Sicca).Annibale ordinò la sua fanteria su tre linee: nella primacollocò le truppe mercenarie cartaginesi, nella secondala milizia africana e la guardia cittadina di Cartaginenonchè il corpo dei Macedoni, nella terza i veterani cheaveva seco condotti dall'Italia. Dinanzi alla linea eranogli ottanta elefanti; alle ali i cavalieri.Anche Scipione ordinò le sue legioni su tre linee comeera costume dei Romani, e in modo che gli elefanti po-tessero muovere attraverso la linea e accanto alla mede-sima senza romperla.Questa previdenza non solo riuscì completamente, magli elefanti, sbandatisi lateralmente, misero il disordinenella cavalleria cartaginese in modo che la cavalleria diScipione, accresciuta dalle schiere di Massinissa, cherendevano le forze dei Romani molto superiori, ebbe fa-cilmente il sopravvento, e si dette ad inseguire quellanemica col ferro alle reni.Più seria fu la lotta delle fanterie. Il combattimento frale due prime linee durò lungo tempo e nella micidialemischia si disordinarono entrambe, sicchè fu loro neces-sario ripiegare sulle seconde linee per raccogliersi.I Romani vi riuscirono; la milizia cartaginese invece si33 Non sono bene indicati nè il tempo nè il luogo della battaglia. Il luogo

sarà stato la nota «Zama regia»; il tempo forse la primavera o l'estate del552. Non è sicura l'indicazione del 19 ottobre a motivo dell'eclissi solare.

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mostrò così incerta e vacillante che i mercenari si cre-dettero traditi, cosicchè vennero con quella alle mani.Annibale però non tardò a raccogliere sulle ali i restidelle due prime linee, e spinse innanzi, su tutta la fronte,le sue truppe scelte d'Italia.Scipione, per contro, raccolse nel centro tutte le truppedella prima linea atte a combattere, e fece accostare laseconda e la terza linea a destra e a sinistra della prima.Una seconda e più terribile strage incominciò allora sul-lo stesso campo; i veterani d'Annibale non si perdetterodi coraggio malgrado il maggior numero dei nemici,fino a tanto che non venne a stringerli da tutte le parti lacavalleria dei Romani e quella di Massinissa reducedall'inseguimento della sbaragliata cavalleria nemica.Così finiva la battaglia non solo, ma finiva anche l'eser-cito cartaginese; quei medesimi soldati che quattordicianni prima avevano piegato presso Canne, resero la pa-riglia presso Zama ai loro vincitori. Annibale, fuggitivo,giunse ad Adrumeto con un pugno d'uomini.

28. Pace.Dopo questa giornata nessun uomo assennato potevaconsigliare a Cartagine la continuazione della guerra.Dipendeva dal duce romano stringere immediatamented'assedio la capitale che non era nè coperta nè approvvi-gionata, e far subire a Cartagine, qualora non vi si fosse-ro frapposti casi imprevedibili, la stessa sorte che Anni-

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mostrò così incerta e vacillante che i mercenari si cre-dettero traditi, cosicchè vennero con quella alle mani.Annibale però non tardò a raccogliere sulle ali i restidelle due prime linee, e spinse innanzi, su tutta la fronte,le sue truppe scelte d'Italia.Scipione, per contro, raccolse nel centro tutte le truppedella prima linea atte a combattere, e fece accostare laseconda e la terza linea a destra e a sinistra della prima.Una seconda e più terribile strage incominciò allora sul-lo stesso campo; i veterani d'Annibale non si perdetterodi coraggio malgrado il maggior numero dei nemici,fino a tanto che non venne a stringerli da tutte le parti lacavalleria dei Romani e quella di Massinissa reducedall'inseguimento della sbaragliata cavalleria nemica.Così finiva la battaglia non solo, ma finiva anche l'eser-cito cartaginese; quei medesimi soldati che quattordicianni prima avevano piegato presso Canne, resero la pa-riglia presso Zama ai loro vincitori. Annibale, fuggitivo,giunse ad Adrumeto con un pugno d'uomini.

28. Pace.Dopo questa giornata nessun uomo assennato potevaconsigliare a Cartagine la continuazione della guerra.Dipendeva dal duce romano stringere immediatamented'assedio la capitale che non era nè coperta nè approvvi-gionata, e far subire a Cartagine, qualora non vi si fosse-ro frapposti casi imprevedibili, la stessa sorte che Anni-

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bale aveva voluto apportare a Roma. Scipione non lofece: egli concesse la pace (553=201), non però allecondizioni di prima. Oltre alle cessioni che erano staterichieste nelle ultime trattative a pro' di Roma e di Mas-sinissa, fu imposta ai Cartaginesi, per la durata di cin-quant'anni, un'annua contribuzione di 200 talenti (circa1.200.000 lire).Essi dovettero obbligarsi a non muovere guerra a Romaod a' suoi alleati e in generale a nessuno fuori dell'Afri-ca, ed in Africa a nessuno fuori del loro territorio senzaaver ottenuto il permesso di Roma; ciò che voleva dire,che Cartagine era divenuta tributaria ed aveva perduta lasua indipendenza politica. E vi è persino motivo di cre-dere che essa venisse obbligata a somministrare in certedate circostanze navi da guerra ai Romani.Scipione fu accusato di aver accordato al nemico troppofavorevoli condizioni per non lasciare al suo successore,insieme al comando supremo dell'esercito, anche l'onoredi metter fine alla guerra più difficile che Roma avessedovuto sostenere.L'accusa sarebbe stata fondata se il primo progetto fosseandato ad effetto; rispetto al secondo essa non pare giu-stificata.Le condizioni di Roma non erano tali che il predilettodel popolo avesse dovuto temere seriamente di venire ri-chiamato dopo la vittoria riportata presso Zama; tantopiù che un tentativo fatto per dargli il cambio era stato

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bale aveva voluto apportare a Roma. Scipione non lofece: egli concesse la pace (553=201), non però allecondizioni di prima. Oltre alle cessioni che erano staterichieste nelle ultime trattative a pro' di Roma e di Mas-sinissa, fu imposta ai Cartaginesi, per la durata di cin-quant'anni, un'annua contribuzione di 200 talenti (circa1.200.000 lire).Essi dovettero obbligarsi a non muovere guerra a Romaod a' suoi alleati e in generale a nessuno fuori dell'Afri-ca, ed in Africa a nessuno fuori del loro territorio senzaaver ottenuto il permesso di Roma; ciò che voleva dire,che Cartagine era divenuta tributaria ed aveva perduta lasua indipendenza politica. E vi è persino motivo di cre-dere che essa venisse obbligata a somministrare in certedate circostanze navi da guerra ai Romani.Scipione fu accusato di aver accordato al nemico troppofavorevoli condizioni per non lasciare al suo successore,insieme al comando supremo dell'esercito, anche l'onoredi metter fine alla guerra più difficile che Roma avessedovuto sostenere.L'accusa sarebbe stata fondata se il primo progetto fosseandato ad effetto; rispetto al secondo essa non pare giu-stificata.Le condizioni di Roma non erano tali che il predilettodel popolo avesse dovuto temere seriamente di venire ri-chiamato dopo la vittoria riportata presso Zama; tantopiù che un tentativo fatto per dargli il cambio era stato

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deferito ancora prima della vittoria dal senato ai cittadi-ni e da questi recisamente respinto; nè le condizionistesse della pace giustificavano questa accusa.Dopo che Cartagine ebbe così legate le mani, e dopoche le fu posto accanto un così potente vicino, non fecemai nemmeno un tentativo per sottrarsi alla supremaziaromana; non si parli poi di rivaleggiare con Roma; delresto tutti quelli che lo volevano sapere, ben lo sapeva-no, che questa guerra era stata intrapresa piuttosto daAnnibale che da Cartagine, e che il gigantesco piano delpartito patriottico non si poteva assolutamente più rin-novare.Per gli Italici sarà parsa cosa da poco vedere dare allefiamme soltanto le cinquecento navi da guerra ad essiconsegnate e non, insieme con quelle, anche la odiatacittà; soltanto il ricordo dei trascorsi pericoli poteva giu-stificare l'opinione, non essere vinto il nemico che non èdistrutto, e far biasimare colui che aveva sdegnato di pu-nire radicalmente il delitto di aver fatto tremare i Roma-ni. Scipione nutriva altri sentimenti, e noi non abbiamoalcun fondamento di ritenere che in questo caso egli ve-nisse determinato da motivi ignobili piuttosto che daquelli nobili e generosi che erano propri del suo caratte-re.Non già il pensiero del suo richiamo, o quello d'un pos-sibile cambiamento di fortuna, nè il timore dello scop-pio della guerra macedone, che certamente non era lon-tano, hanno trattenuto quell'uomo fermo e sicuro, che

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deferito ancora prima della vittoria dal senato ai cittadi-ni e da questi recisamente respinto; nè le condizionistesse della pace giustificavano questa accusa.Dopo che Cartagine ebbe così legate le mani, e dopoche le fu posto accanto un così potente vicino, non fecemai nemmeno un tentativo per sottrarsi alla supremaziaromana; non si parli poi di rivaleggiare con Roma; delresto tutti quelli che lo volevano sapere, ben lo sapeva-no, che questa guerra era stata intrapresa piuttosto daAnnibale che da Cartagine, e che il gigantesco piano delpartito patriottico non si poteva assolutamente più rin-novare.Per gli Italici sarà parsa cosa da poco vedere dare allefiamme soltanto le cinquecento navi da guerra ad essiconsegnate e non, insieme con quelle, anche la odiatacittà; soltanto il ricordo dei trascorsi pericoli poteva giu-stificare l'opinione, non essere vinto il nemico che non èdistrutto, e far biasimare colui che aveva sdegnato di pu-nire radicalmente il delitto di aver fatto tremare i Roma-ni. Scipione nutriva altri sentimenti, e noi non abbiamoalcun fondamento di ritenere che in questo caso egli ve-nisse determinato da motivi ignobili piuttosto che daquelli nobili e generosi che erano propri del suo caratte-re.Non già il pensiero del suo richiamo, o quello d'un pos-sibile cambiamento di fortuna, nè il timore dello scop-pio della guerra macedone, che certamente non era lon-tano, hanno trattenuto quell'uomo fermo e sicuro, che

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fino allora era riuscito in modo inspiegabile in tutte lesue imprese, dal compiere la distruzione dell'infelice cit-tà, distruzione che cinquant'anni dopo fu affidata ad unsuo nipote adottivo e che avrebbe certamente potutocompiersi sino da allora.È molto più verosimile che i due grandi capitani daiquali allora dipendeva la questione politica, abbiano of-ferta ed accettata la pace in quei termini, onde porre giu-sti ed assennati limiti da un lato al violento desiderio divendetta dei vincitori, dall'altro alla ostinazione ed allainsania dei vinti.La nobiltà d'animo e le doti politiche dei due grandi ri-vali, non si rivelano meno nella magnanima rassegna-zione d'Annibale alla dura necessità, che nell'aver Sci-pione saggiamente rinunciato a quanto la vittoria potevadargli di soverchio e di disonesto.Non avrà egli, l'uomo generoso ed avveduto, chiesto ase stesso quale vantaggio poteva apportare alla patria ladistruzione di Cartagine, di questa antichissima sede delcommercio e dell'agricoltura, una delle colonne della ci-viltà di quel tempo, dopo che ne era stata ridotta al nullala potenza politica? Non era ancora venuto il tempo incui gli uomini distinti di Roma si prestavano all'ufficiodi carnefici della civiltà dei vicini, e sconsideratamentecredevano lavare con una vana lacrima l'onta eterna del-la nazione.

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fino allora era riuscito in modo inspiegabile in tutte lesue imprese, dal compiere la distruzione dell'infelice cit-tà, distruzione che cinquant'anni dopo fu affidata ad unsuo nipote adottivo e che avrebbe certamente potutocompiersi sino da allora.È molto più verosimile che i due grandi capitani daiquali allora dipendeva la questione politica, abbiano of-ferta ed accettata la pace in quei termini, onde porre giu-sti ed assennati limiti da un lato al violento desiderio divendetta dei vincitori, dall'altro alla ostinazione ed allainsania dei vinti.La nobiltà d'animo e le doti politiche dei due grandi ri-vali, non si rivelano meno nella magnanima rassegna-zione d'Annibale alla dura necessità, che nell'aver Sci-pione saggiamente rinunciato a quanto la vittoria potevadargli di soverchio e di disonesto.Non avrà egli, l'uomo generoso ed avveduto, chiesto ase stesso quale vantaggio poteva apportare alla patria ladistruzione di Cartagine, di questa antichissima sede delcommercio e dell'agricoltura, una delle colonne della ci-viltà di quel tempo, dopo che ne era stata ridotta al nullala potenza politica? Non era ancora venuto il tempo incui gli uomini distinti di Roma si prestavano all'ufficiodi carnefici della civiltà dei vicini, e sconsideratamentecredevano lavare con una vana lacrima l'onta eterna del-la nazione.

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29. Risultati della guerra.Così finiva la seconda guerra punica o, come i Romanipiù propriamente la chiamarono, la guerra annibalica, acagione della quale, per lo spazio di diciassette anni,erano stati devastati e desolati i paesi e le isole tuttedall'Ellesponto alle Colonne d'Ercole.Prima di questa guerra le mire politiche dei Romani nonsi estendevano oltre il possesso della parte continentaledella penisola italica ne' suoi naturali confini, delle isolee dei mari d'Italia; dal modo con cui fu trattata l'Africanella conclusione della pace è provato all'evidenza che,anche finita questa guerra, non si riteneva di aver fonda-to un vero dominio sugli stati bagnati dal Mediterraneo,la così detta monarchia universale; ma soltanto di averreso innocuo un pericoloso rivale e di aver dato all'Italiapiù comodi vicini.È vero che i risultati della guerra, e particolarmente laconquista della Spagna, poco si accordavano con questopensiero; ma furono appunto i successi che fecero oltre-passare la vera mira; e in realtà i Romani si impossessa-rono della Spagna, si può quasi dire, per caso.Essi acquistarono la signoria dell'Italia perchè la feceroscopo dei loro assidui sforzi; l'egemonia ed il dominiodegli stati vicini al Mediterraneo, che ne furono la con-seguenza, li ottennero in certo qual modo dalle circo-stanze quasi senza averne avuto l'intenzione.I risultati immediati della guerra fuori d'Italia furono: la

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29. Risultati della guerra.Così finiva la seconda guerra punica o, come i Romanipiù propriamente la chiamarono, la guerra annibalica, acagione della quale, per lo spazio di diciassette anni,erano stati devastati e desolati i paesi e le isole tuttedall'Ellesponto alle Colonne d'Ercole.Prima di questa guerra le mire politiche dei Romani nonsi estendevano oltre il possesso della parte continentaledella penisola italica ne' suoi naturali confini, delle isolee dei mari d'Italia; dal modo con cui fu trattata l'Africanella conclusione della pace è provato all'evidenza che,anche finita questa guerra, non si riteneva di aver fonda-to un vero dominio sugli stati bagnati dal Mediterraneo,la così detta monarchia universale; ma soltanto di averreso innocuo un pericoloso rivale e di aver dato all'Italiapiù comodi vicini.È vero che i risultati della guerra, e particolarmente laconquista della Spagna, poco si accordavano con questopensiero; ma furono appunto i successi che fecero oltre-passare la vera mira; e in realtà i Romani si impossessa-rono della Spagna, si può quasi dire, per caso.Essi acquistarono la signoria dell'Italia perchè la feceroscopo dei loro assidui sforzi; l'egemonia ed il dominiodegli stati vicini al Mediterraneo, che ne furono la con-seguenza, li ottennero in certo qual modo dalle circo-stanze quasi senza averne avuto l'intenzione.I risultati immediati della guerra fuori d'Italia furono: la

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trasformazione della Spagna in una doppia provincia ro-mana, sempre però in stato d'insurrezione; l'incorpora-zione del regno di Siracusa, fino allora vassallo, collaprovincia romana della Sicilia; la fondazione del patro-nato romano sui più ragguardevoli capi numidi in luogodi quello esercitato dai Cartaginesi, e finalmente la tra-sformazione di Cartagine da un potente stato commer-ciale in un'inerme città mercantile; in una parola, si ebbel'incontestata egemonia di Roma sulla parte occidentaledel territorio bagnato dal Mediterraneo, nonchè il princi-pio di quella fusione del sistema di stati orientalicoll'occidente, che nella prima guerra punica era stataappena notata e che doveva avere per immediata conse-guenza l'ingerenza decisiva di Roma nei conflitti dellemonarchie dei successori di Alessandro.In Italia fu perciò decisa, se non lo era già prima, la di-struzione del popolo dei Celti; l'esecuzione divenne sol-tanto una questione di tempo. Entro i confini della fede-razione romana fu conseguenza della guerra la maggiordurezza della dominante popolazione latina, la cui inter-na coesione era stata sperimentata e riconosciuta nel pe-ricolo superato con leale accordo, malgrado qualche iso-lato esempio d'incostanza, e nella crescente oppressionedegli Italici non latini o latinizzati, particolarmente degliEtruschi e dei Sabelli della bassa Italia.Più dura toccò la pena, o meglio dire la vendetta, al piùpotente ed al più antico ed ultimo alleato d'Annibale,cioè al comune di Capua ed al paese dei Bruzi. La costi-

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trasformazione della Spagna in una doppia provincia ro-mana, sempre però in stato d'insurrezione; l'incorpora-zione del regno di Siracusa, fino allora vassallo, collaprovincia romana della Sicilia; la fondazione del patro-nato romano sui più ragguardevoli capi numidi in luogodi quello esercitato dai Cartaginesi, e finalmente la tra-sformazione di Cartagine da un potente stato commer-ciale in un'inerme città mercantile; in una parola, si ebbel'incontestata egemonia di Roma sulla parte occidentaledel territorio bagnato dal Mediterraneo, nonchè il princi-pio di quella fusione del sistema di stati orientalicoll'occidente, che nella prima guerra punica era stataappena notata e che doveva avere per immediata conse-guenza l'ingerenza decisiva di Roma nei conflitti dellemonarchie dei successori di Alessandro.In Italia fu perciò decisa, se non lo era già prima, la di-struzione del popolo dei Celti; l'esecuzione divenne sol-tanto una questione di tempo. Entro i confini della fede-razione romana fu conseguenza della guerra la maggiordurezza della dominante popolazione latina, la cui inter-na coesione era stata sperimentata e riconosciuta nel pe-ricolo superato con leale accordo, malgrado qualche iso-lato esempio d'incostanza, e nella crescente oppressionedegli Italici non latini o latinizzati, particolarmente degliEtruschi e dei Sabelli della bassa Italia.Più dura toccò la pena, o meglio dire la vendetta, al piùpotente ed al più antico ed ultimo alleato d'Annibale,cioè al comune di Capua ed al paese dei Bruzi. La costi-

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tuzione di Capua fu soppressa, e Capua da seconda cittàfu ridotta a primo villaggio d'Italia; si trattò persino didemolirla e di raderla al suolo.Ad eccezione di poche proprietà appartenenti a stranieriod a Campani devoti ai Romani, il senato dichiarò tuttoil suolo di pubblica proprietà, dandola d'allora in poi inaffitto temporaneo.In modo eguale furono trattati i Picentini sul Silaro, lacui capitale fu rasa al suolo; gli abitanti furono sparpa-gliati negli adiacenti villaggi.Peggiore fu la sorte che toccò ai Bruzi, i quali in massadivennero quasi servi della gleba dei Romani e furonoesclusi per sempre dal diritto di portare le armi. E dura-mente ebbero a scontare la loro colpa gli altri alleatid'Annibale; così le città greche, ad eccezione di quellepoche che avevano tenuto sempre per Roma, come iGreci della Campania ed i Reggini.Nè molto meglio furono trattati gli Arpini ed un grannumero di comuni apuli, lucani e sanniti, che quasi tuttiperdettero una parte del loro territorio.In una parte delle terre così acquistate furono fondatedelle colonie; così nel 560=194 fu stabilita una serie dicolonie di cittadini nei migliori porti della bassa Italia,fra i quali sono da annoverarsi Siponto (presso Manfre-donia) e Crotone, Salerno posta nell'antico territorio deiPicentini meridionali e destinata ad essere la loro citta-della, ma prima di tutto Pozzuoli che non tardò a popo-

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tuzione di Capua fu soppressa, e Capua da seconda cittàfu ridotta a primo villaggio d'Italia; si trattò persino didemolirla e di raderla al suolo.Ad eccezione di poche proprietà appartenenti a stranieriod a Campani devoti ai Romani, il senato dichiarò tuttoil suolo di pubblica proprietà, dandola d'allora in poi inaffitto temporaneo.In modo eguale furono trattati i Picentini sul Silaro, lacui capitale fu rasa al suolo; gli abitanti furono sparpa-gliati negli adiacenti villaggi.Peggiore fu la sorte che toccò ai Bruzi, i quali in massadivennero quasi servi della gleba dei Romani e furonoesclusi per sempre dal diritto di portare le armi. E dura-mente ebbero a scontare la loro colpa gli altri alleatid'Annibale; così le città greche, ad eccezione di quellepoche che avevano tenuto sempre per Roma, come iGreci della Campania ed i Reggini.Nè molto meglio furono trattati gli Arpini ed un grannumero di comuni apuli, lucani e sanniti, che quasi tuttiperdettero una parte del loro territorio.In una parte delle terre così acquistate furono fondatedelle colonie; così nel 560=194 fu stabilita una serie dicolonie di cittadini nei migliori porti della bassa Italia,fra i quali sono da annoverarsi Siponto (presso Manfre-donia) e Crotone, Salerno posta nell'antico territorio deiPicentini meridionali e destinata ad essere la loro citta-della, ma prima di tutto Pozzuoli che non tardò a popo-

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larsi di splendide e ricche villeggiature e ad essere lasede del lussureggiante commercio asiatico-egiziano.Turio divenne una fortezza latina, cui fu dato il nome diCopia (560=194) così Vilbo, ricca città bruzia, fu tra-sformata in fortezza sotto il nome di Valenzia(562=192).Su altri poderi del Sannio e nell'Apulia furono stabilitiisolatamente i veterani della vittoriosa armata d'Africa;il terreno rimasto disponibile fu dichiarato agro pubbli-co e i pascoli dei principali signori di Roma rimpiazza-rono i giardini ed i campi aratori dei contadini. S'intendepoi che, oltre a ciò, in tutti i comuni della penisola, perquanto lo si potè mediante processi politici e confische,fu fatta un'epurazione di tutte le più ragguardevoli per-sone non gradite al governo.I federali non latini di tutta Italia compresero che il loroera ormai un titolo vano e ch'essi erano vassalli diRoma: la sconfitta d'Annibale era stata quasi un nuovosoggiogamento d'Italia; tutta l'irritazione dei vincitori siriversava di preferenza sui federati italici non-latini.Ne porta le tracce persino la commedia romana, in queltempo priva di colore e asservita alle idee politiche.Se però le umiliate città di Capua e di Atella furono dal-le autorità abbandonate alle sfrenate arguzie della com-media romana, l'ultima particolarmente ne costituiva ilpreferito bersaglio; e se vi furono altri poeti comici, iquali spinsero i loro motteggi sino a dire che gli schiavi

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larsi di splendide e ricche villeggiature e ad essere lasede del lussureggiante commercio asiatico-egiziano.Turio divenne una fortezza latina, cui fu dato il nome diCopia (560=194) così Vilbo, ricca città bruzia, fu tra-sformata in fortezza sotto il nome di Valenzia(562=192).Su altri poderi del Sannio e nell'Apulia furono stabilitiisolatamente i veterani della vittoriosa armata d'Africa;il terreno rimasto disponibile fu dichiarato agro pubbli-co e i pascoli dei principali signori di Roma rimpiazza-rono i giardini ed i campi aratori dei contadini. S'intendepoi che, oltre a ciò, in tutti i comuni della penisola, perquanto lo si potè mediante processi politici e confische,fu fatta un'epurazione di tutte le più ragguardevoli per-sone non gradite al governo.I federali non latini di tutta Italia compresero che il loroera ormai un titolo vano e ch'essi erano vassalli diRoma: la sconfitta d'Annibale era stata quasi un nuovosoggiogamento d'Italia; tutta l'irritazione dei vincitori siriversava di preferenza sui federati italici non-latini.Ne porta le tracce persino la commedia romana, in queltempo priva di colore e asservita alle idee politiche.Se però le umiliate città di Capua e di Atella furono dal-le autorità abbandonate alle sfrenate arguzie della com-media romana, l'ultima particolarmente ne costituiva ilpreferito bersaglio; e se vi furono altri poeti comici, iquali spinsero i loro motteggi sino a dire che gli schiavi

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campani si erano già abituati a sopportare la loro sortein un clima mortifero, nel quale soccombeva persino ilpopolo sirio, che era la razza più robusta fra quelle deglischiavi, collo scherno dei vincitori si sentiva anche ilgrido di dolore delle vilipese nazioni.Come stessero le cose lo prova l'ansiosa sollecitudinecon la quale, durante la seguente guerra macedonica, fuda parte del senato mantenuta la sorveglianza dell'Italia,e lo provano i rinforzi che da Roma furono spediti allepiù ragguardevoli colonie, come a Venosa l'anno554=200, a Narni il 555=199, a Cosa il 557=197.In quale proporzione la guerra e la fame avessero dira-dato le popolazioni italiche lo prova l'esempio della cit-tadinanza romana, il cui numero durante la guerra eradiminuito quasi della quarta parte: non pare affatto esa-gerata la cifra di 300.000 Italici morti durante la guerraannibalica. È naturale che questa perdita avesse toccatodi preferenza il fiore della borghesia, la quale sommini-strava il nerbo e la massa dei combattenti.Quanto fosse grande la diminuzione nel numero dei se-natori lo prova il loro completamento dopo la battagliadi Canne, allorchè il senato era ridotto a 123 membri, econ somma difficoltà fu riportato al numero normalemediante la nomina straordinaria di altri 177.Che finalmente la guerra durata diciassette anni, com-battuta nell'istesso tempo nell'interno, in tutte le provin-ce italiche ed all'estero in tutte le quattro regioni del

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campani si erano già abituati a sopportare la loro sortein un clima mortifero, nel quale soccombeva persino ilpopolo sirio, che era la razza più robusta fra quelle deglischiavi, collo scherno dei vincitori si sentiva anche ilgrido di dolore delle vilipese nazioni.Come stessero le cose lo prova l'ansiosa sollecitudinecon la quale, durante la seguente guerra macedonica, fuda parte del senato mantenuta la sorveglianza dell'Italia,e lo provano i rinforzi che da Roma furono spediti allepiù ragguardevoli colonie, come a Venosa l'anno554=200, a Narni il 555=199, a Cosa il 557=197.In quale proporzione la guerra e la fame avessero dira-dato le popolazioni italiche lo prova l'esempio della cit-tadinanza romana, il cui numero durante la guerra eradiminuito quasi della quarta parte: non pare affatto esa-gerata la cifra di 300.000 Italici morti durante la guerraannibalica. È naturale che questa perdita avesse toccatodi preferenza il fiore della borghesia, la quale sommini-strava il nerbo e la massa dei combattenti.Quanto fosse grande la diminuzione nel numero dei se-natori lo prova il loro completamento dopo la battagliadi Canne, allorchè il senato era ridotto a 123 membri, econ somma difficoltà fu riportato al numero normalemediante la nomina straordinaria di altri 177.Che finalmente la guerra durata diciassette anni, com-battuta nell'istesso tempo nell'interno, in tutte le provin-ce italiche ed all'estero in tutte le quattro regioni del

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mondo, dovesse scuotere fino dalle fondamenta la pub-blica economia è in generale cosa evidente; ma per par-larne in dettaglio ci fa difetto la tradizione.Lo stato ritrasse nondimeno un grande profitto dalleconfische, e specialmente dal territorio della Campaniache fu d'allora in poi una sorgente inesauribile per le suefinanze. Ma appunto per questa estensione dell'ammini-strazione demaniale il benessere del popolo si ridusse,di quanto, in altri tempi, colla divisione dell'agro pubbli-co, si era avvantaggiato.Moltissimi fiorenti villaggi – se ne calcolano quattro-cento – furono rovinati e distrutti, i capitali raccolti contanta fatica furono consumati, la popolazione fu corrottadalla vita di guerra, le antiche buone tradizioni dei co-stumi cittadini e villerecci distrutte dalla capitale sinoall'infimo villaggio. Si formarono bande di assassinicomposte di schiavi e gente disperata, della cui perico-losa importanza possono darne prova le 7000 personeche, nel solo anno 569, e nell'Apulia soltanto, furonocondannate per furto.Gli estesissimi pascoli cogli schiavi pastori semi-selvag-gì favorivano questo disgraziato abbrutimento del paese.L'agricoltura italica si vedeva minacciata nelle sue basida un fatto verificatosi per la prima volta in questa guer-ra, che il popolo romano, invece di nutrirsi col grano daesso stesso raccolto, poteva venir cibato anche con quel-lo proveniente dalla Sicilia e dall'Egitto.

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mondo, dovesse scuotere fino dalle fondamenta la pub-blica economia è in generale cosa evidente; ma per par-larne in dettaglio ci fa difetto la tradizione.Lo stato ritrasse nondimeno un grande profitto dalleconfische, e specialmente dal territorio della Campaniache fu d'allora in poi una sorgente inesauribile per le suefinanze. Ma appunto per questa estensione dell'ammini-strazione demaniale il benessere del popolo si ridusse,di quanto, in altri tempi, colla divisione dell'agro pubbli-co, si era avvantaggiato.Moltissimi fiorenti villaggi – se ne calcolano quattro-cento – furono rovinati e distrutti, i capitali raccolti contanta fatica furono consumati, la popolazione fu corrottadalla vita di guerra, le antiche buone tradizioni dei co-stumi cittadini e villerecci distrutte dalla capitale sinoall'infimo villaggio. Si formarono bande di assassinicomposte di schiavi e gente disperata, della cui perico-losa importanza possono darne prova le 7000 personeche, nel solo anno 569, e nell'Apulia soltanto, furonocondannate per furto.Gli estesissimi pascoli cogli schiavi pastori semi-selvag-gì favorivano questo disgraziato abbrutimento del paese.L'agricoltura italica si vedeva minacciata nelle sue basida un fatto verificatosi per la prima volta in questa guer-ra, che il popolo romano, invece di nutrirsi col grano daesso stesso raccolto, poteva venir cibato anche con quel-lo proveniente dalla Sicilia e dall'Egitto.

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Il Romano, cui gli dei avevano concesso di vedere lafine di questa lotta gigantesca, poteva ciò non pertantoguardare con superbia al passato e con fiducia all'avve-nire.Erano stati commessi molti errori, ma si era anche sof-ferto molto: il popolo, i cui figli atti alle armi non leavevano deposte da quasi dieci anni, aveva dirittoall'assoluzione di molti falli.Quella comunanza di vita tra le diverse nazioni, in gene-rale pacifica ed amichevole, benchè alimentata da scam-bievoli ostilità – che sembra essere la mèta dello svilup-po dei popoli moderni – non era conosciuta nell'antichi-tà. Allora era mestieri essere o oppressore od oppresso;e nella gara tra i contendenti la vittoria rimase ai Roma-ni.Restava a vedere se questi avrebbero saputo trarne parti-to stringendo sempre più la nazione latina a Roma, lati-nizzando a poco a poco l'Italia, governando i popoli sog-giogati nelle province come sudditi e non come servi, ri-formando la costituzione, rianimando ed accrescendo ilceto medio che vacillava. Qualora lo si avesse saputofare, si potevano preconizzare per l'Italia tempi felici,nei quali il benessere, fondato sulle proprie fatiche e incondizioni propizie, e la più decisa supremazia politicasul mondo civilizzato di quell'epoca avrebbero procura-to ad ogni membro della grande famiglia una giusta co-scienza di se stesso, ad ogni ambizione una degna meta,ad ogni talento una carriera.

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Il Romano, cui gli dei avevano concesso di vedere lafine di questa lotta gigantesca, poteva ciò non pertantoguardare con superbia al passato e con fiducia all'avve-nire.Erano stati commessi molti errori, ma si era anche sof-ferto molto: il popolo, i cui figli atti alle armi non leavevano deposte da quasi dieci anni, aveva dirittoall'assoluzione di molti falli.Quella comunanza di vita tra le diverse nazioni, in gene-rale pacifica ed amichevole, benchè alimentata da scam-bievoli ostilità – che sembra essere la mèta dello svilup-po dei popoli moderni – non era conosciuta nell'antichi-tà. Allora era mestieri essere o oppressore od oppresso;e nella gara tra i contendenti la vittoria rimase ai Roma-ni.Restava a vedere se questi avrebbero saputo trarne parti-to stringendo sempre più la nazione latina a Roma, lati-nizzando a poco a poco l'Italia, governando i popoli sog-giogati nelle province come sudditi e non come servi, ri-formando la costituzione, rianimando ed accrescendo ilceto medio che vacillava. Qualora lo si avesse saputofare, si potevano preconizzare per l'Italia tempi felici,nei quali il benessere, fondato sulle proprie fatiche e incondizioni propizie, e la più decisa supremazia politicasul mondo civilizzato di quell'epoca avrebbero procura-to ad ogni membro della grande famiglia una giusta co-scienza di se stesso, ad ogni ambizione una degna meta,ad ogni talento una carriera.

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La cosa doveva essere diversa facendo diversamente.Ma allora che da tutte le parti facevano ritorno alle caseloro guerrieri e vincitori, che le feste di ringraziamento ei divertimenti, i doni ai soldati ed ai cittadini eranoall'ordine del giorno, che dalle Gallie, dall'Africa e dallaGrecia ritornavano ai loro focolari i prigionieri riscattatie finalmente il giovane vincitore coglieva il suo splendi-do trionfo attraversando le vie della capitale ornata a fe-sta, per deporre la sua palma nel tempio di quel dio, dacui, come i credenti sussurravansi l'un l'altro all'orec-chio, egli aveva ricevuto direttamente le ispirazioni del-le sue gesta, allora, dico, le voci allarmanti tacevanomomentaneamente e mute erano le tristi apprensioni.

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La cosa doveva essere diversa facendo diversamente.Ma allora che da tutte le parti facevano ritorno alle caseloro guerrieri e vincitori, che le feste di ringraziamento ei divertimenti, i doni ai soldati ed ai cittadini eranoall'ordine del giorno, che dalle Gallie, dall'Africa e dallaGrecia ritornavano ai loro focolari i prigionieri riscattatie finalmente il giovane vincitore coglieva il suo splendi-do trionfo attraversando le vie della capitale ornata a fe-sta, per deporre la sua palma nel tempio di quel dio, dacui, come i credenti sussurravansi l'un l'altro all'orec-chio, egli aveva ricevuto direttamente le ispirazioni del-le sue gesta, allora, dico, le voci allarmanti tacevanomomentaneamente e mute erano le tristi apprensioni.

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SETTIMO CAPITOLOL'OCCIDENTE

DOPO LA PACE ANNIBALICA

1. Guerre celtiche.La guerra annibalica aveva impedito ai Romani di esten-dere la loro signoria sino al confine delle Alpi, o comegià allora si diceva, sino ai confini d'Italia, e di prose-guire l'ordinamento e la colonizzazione del territorio deiCelti. Era naturale che ora si riprendesse l'opera dove siera lasciata, e i Celti ben presto se ne accorsero.Già fino dall'anno della pace con Cartagine (553=201)erano ricominciati i combattimenti nel paese dei Boi,come il più vicino; ed un primo successo contro la mili-zia raccolta in tutta fretta dai Romani, nonchè gli eccita-menti di un ufficiale cartaginese per nome Amilcare, ilquale all'epoca della spedizione di Magone era rimastonell'Italia settentrionale, dettero occasione nell'anno se-guente (554=200) ad una generale sollevazione non solodelle due schiatte dei Boi e degli Insubri minacciati piùda vicino, ma anche dei Liguri, cui spingeva alle armil'avvicinarsi del pericolo.Perfino la gioventù cenomana prestò questa volta di pre-ferenza orecchio all'appello dei minacciati suoi conna-zionali che non alla voce dei prudenti suoi magistrati.Delle due fortezze destinate ad impedire le invasioni dei

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SETTIMO CAPITOLOL'OCCIDENTE

DOPO LA PACE ANNIBALICA

1. Guerre celtiche.La guerra annibalica aveva impedito ai Romani di esten-dere la loro signoria sino al confine delle Alpi, o comegià allora si diceva, sino ai confini d'Italia, e di prose-guire l'ordinamento e la colonizzazione del territorio deiCelti. Era naturale che ora si riprendesse l'opera dove siera lasciata, e i Celti ben presto se ne accorsero.Già fino dall'anno della pace con Cartagine (553=201)erano ricominciati i combattimenti nel paese dei Boi,come il più vicino; ed un primo successo contro la mili-zia raccolta in tutta fretta dai Romani, nonchè gli eccita-menti di un ufficiale cartaginese per nome Amilcare, ilquale all'epoca della spedizione di Magone era rimastonell'Italia settentrionale, dettero occasione nell'anno se-guente (554=200) ad una generale sollevazione non solodelle due schiatte dei Boi e degli Insubri minacciati piùda vicino, ma anche dei Liguri, cui spingeva alle armil'avvicinarsi del pericolo.Perfino la gioventù cenomana prestò questa volta di pre-ferenza orecchio all'appello dei minacciati suoi conna-zionali che non alla voce dei prudenti suoi magistrati.Delle due fortezze destinate ad impedire le invasioni dei

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Galli, cioè Piacenza e Cremona, quella fu distrutta e sol-tanto 2.000 dei suoi abitanti ebbero salva la vita, e que-sta presa d'assalto.Le legioni accorsero in fretta per salvare ciò che ancorasi poteva salvare.Sotto le mura di Cremona fu data una grande battaglia.Gli ordini assennati e conformi all'arte della guerra, peiquali si distinse il generale cartaginese, non bastarono acompensare l'insufficienza delle sue truppe; i Galli nonressero all'impeto delle legioni, e tra i cadaveri, che ingran numero cosparsero il campo di battaglia, fu trovatoanche quello dell'ufficiale cartaginese.I Celti però continuarono la lotta: lo stesso esercito ro-mano, che aveva riportata la vittoria presso Cremona, ful'anno dopo (555=199), per colpa principalmente dellospensierato suo comandante, quasi distrutto dagli Insu-bri, e la città di Piacenza potè soltanto nell'anno556=198 essere in parte ricuperata.Ma nella lega dei cantoni, unitisi in una lotta di vita o dimorte, era nata la discordia; tra i Boi e gli Insubri nac-que contesa, ed i Cenomani non solo uscirono dalla fe-derazione nazionale, ma comperarono il perdono deiRomani col tradire vergognosamente i propri compa-triotti, mentre in una battaglia data dagli Insubri ai Ro-mani sulle sponde del Mincio essi assalirono alle spallei loro alleati e commilitoni e contribuirono così a scon-figgerli (557=197).

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Galli, cioè Piacenza e Cremona, quella fu distrutta e sol-tanto 2.000 dei suoi abitanti ebbero salva la vita, e que-sta presa d'assalto.Le legioni accorsero in fretta per salvare ciò che ancorasi poteva salvare.Sotto le mura di Cremona fu data una grande battaglia.Gli ordini assennati e conformi all'arte della guerra, peiquali si distinse il generale cartaginese, non bastarono acompensare l'insufficienza delle sue truppe; i Galli nonressero all'impeto delle legioni, e tra i cadaveri, che ingran numero cosparsero il campo di battaglia, fu trovatoanche quello dell'ufficiale cartaginese.I Celti però continuarono la lotta: lo stesso esercito ro-mano, che aveva riportata la vittoria presso Cremona, ful'anno dopo (555=199), per colpa principalmente dellospensierato suo comandante, quasi distrutto dagli Insu-bri, e la città di Piacenza potè soltanto nell'anno556=198 essere in parte ricuperata.Ma nella lega dei cantoni, unitisi in una lotta di vita o dimorte, era nata la discordia; tra i Boi e gli Insubri nac-que contesa, ed i Cenomani non solo uscirono dalla fe-derazione nazionale, ma comperarono il perdono deiRomani col tradire vergognosamente i propri compa-triotti, mentre in una battaglia data dagli Insubri ai Ro-mani sulle sponde del Mincio essi assalirono alle spallei loro alleati e commilitoni e contribuirono così a scon-figgerli (557=197).

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Avviliti e abbandonati, gli Insubri dopo la caduta diComo piegarono essi pure la fronte e conclusero unapace separata (558=196).Le condizioni imposte da Roma ai Cenomani ed agli In-subri erano senza dubbio più dure di quelle che si sole-vano accordare ai membri della federazione italica; par-ticolarmente si ebbe cura di stabilire legalmente una li-nea di separazione fra Italici e Celti, e di statuire che unmembro delle due schiatte celtiche non potesse giammaiacquistare la cittadinanza romana.Intanto fu lasciata a questi distretti celti traspadani laloro esistenza e la loro costituzione, così che essi nonformavano territori urbani, ma cantoni; e non consta cheai medesimi sia stato imposto qualche tributo: essi dove-vano servire di baluardo alle colonie romane situate amezzodì del Po, difendere l'Italia dalle invasioni dei po-poli settentrionali e dei rapaci abitatori delle Alpi chescendevano regolarmente a scorrerie in questi paesi.Del resto la latinizzazione procedette anche qui congrande rapidità; la nazionalità celtica non era evidente-mente in grado di opporre la resistenza dei più incivilitiSabelli ed Etruschi.Il celebre poeta comico latino Stazio Cecilio, mortol'anno 586=168, era un liberto insubre; e Polibio, il qua-le percorse questi paesi sullo scorcio del sesto secolo,scrive – forse con qualche esagerazione – che soltantopochi villaggi in mezzo alle Alpi, qui, erano rimasti tut-

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Avviliti e abbandonati, gli Insubri dopo la caduta diComo piegarono essi pure la fronte e conclusero unapace separata (558=196).Le condizioni imposte da Roma ai Cenomani ed agli In-subri erano senza dubbio più dure di quelle che si sole-vano accordare ai membri della federazione italica; par-ticolarmente si ebbe cura di stabilire legalmente una li-nea di separazione fra Italici e Celti, e di statuire che unmembro delle due schiatte celtiche non potesse giammaiacquistare la cittadinanza romana.Intanto fu lasciata a questi distretti celti traspadani laloro esistenza e la loro costituzione, così che essi nonformavano territori urbani, ma cantoni; e non consta cheai medesimi sia stato imposto qualche tributo: essi dove-vano servire di baluardo alle colonie romane situate amezzodì del Po, difendere l'Italia dalle invasioni dei po-poli settentrionali e dei rapaci abitatori delle Alpi chescendevano regolarmente a scorrerie in questi paesi.Del resto la latinizzazione procedette anche qui congrande rapidità; la nazionalità celtica non era evidente-mente in grado di opporre la resistenza dei più incivilitiSabelli ed Etruschi.Il celebre poeta comico latino Stazio Cecilio, mortol'anno 586=168, era un liberto insubre; e Polibio, il qua-le percorse questi paesi sullo scorcio del sesto secolo,scrive – forse con qualche esagerazione – che soltantopochi villaggi in mezzo alle Alpi, qui, erano rimasti tut-

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tora celti.Pare che invece i Veneti abbiano conservata più lunga-mente la loro nazionalità.

2. Misure contro le invasioni.La cura principale dei Romani in queste province, comeben si comprende, era quella di porre un freno alle ulte-riori calate dei Celti transalpini e di ridurre il confinenaturale tra la penisola ed il continente interno anche aconfine politico.Che il terrore del nome romano fosse penetrato nei piùvicini cantoni celtici d'oltr'Alpi lo prova l'inerzia assolu-ta con cui gli abitanti dei medesimi assistettero alla di-struzione ed all'assoggettamento dei loro connazionalicisalpini, e più ancora la disapprovazione ufficiale, checantoni transalpini – probabilmente gli Elvezi (stanziatitra il lago di Ginevra ed il Meno) ed i Carni o Taurusci(nella Carinzia, e nella Stiria) – fecero sentire agli am-basciatori romani i quali avevano elevato proteste suitentativi fatti da alcune schiere di Celti per stabilirsi pa-cificamente al di qua delle Alpi.Lo prova pure l'umile modo con cui queste schiere diemigranti chiesero al senato romano un'assegnazione diterreni; ma poi si rassegnarono senza opposizione alcu-na (568-575=186-179) alla dura intimazione di ripassarele Alpi lasciando che venisse distrutta la città, ch'essiavevano già fondata non lungi da Aquileia.

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tora celti.Pare che invece i Veneti abbiano conservata più lunga-mente la loro nazionalità.

2. Misure contro le invasioni.La cura principale dei Romani in queste province, comeben si comprende, era quella di porre un freno alle ulte-riori calate dei Celti transalpini e di ridurre il confinenaturale tra la penisola ed il continente interno anche aconfine politico.Che il terrore del nome romano fosse penetrato nei piùvicini cantoni celtici d'oltr'Alpi lo prova l'inerzia assolu-ta con cui gli abitanti dei medesimi assistettero alla di-struzione ed all'assoggettamento dei loro connazionalicisalpini, e più ancora la disapprovazione ufficiale, checantoni transalpini – probabilmente gli Elvezi (stanziatitra il lago di Ginevra ed il Meno) ed i Carni o Taurusci(nella Carinzia, e nella Stiria) – fecero sentire agli am-basciatori romani i quali avevano elevato proteste suitentativi fatti da alcune schiere di Celti per stabilirsi pa-cificamente al di qua delle Alpi.Lo prova pure l'umile modo con cui queste schiere diemigranti chiesero al senato romano un'assegnazione diterreni; ma poi si rassegnarono senza opposizione alcu-na (568-575=186-179) alla dura intimazione di ripassarele Alpi lasciando che venisse distrutta la città, ch'essiavevano già fondata non lungi da Aquileia.

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Con savio rigore il senato non permise che si deviassemenomamente dalla massima che i passi delle Alpi,d'allora in avanti, fossero chiusi per la nazione celticaprocedendo con pene severe contro quei sudditi romani,i quali dall'Italia avessero dato impulso a simili tentatividi immigrazione.Un tentativo di questo genere, che fu fatto per una viaallora poco conosciuta dai Romani, cioè pel più recondi-to recesso dell'Adriatico, e, come pare, più ancora, ilpiano di Filippo di Macedonia, di irrompere in Italiadall'oriente, come Annibale vi era entrato dall'occidente,diedero occasione alla costruzione d'una fortezza nelpunto estremo a nord-est dell'Italia, che fu Aquileia, lapiù settentrionale colonia italica (571-573=183-181), laquale era destinata non solo a chiudere per sempre que-sta via agli stranieri, ma anche a rendere sicuro quel gol-fo tanto comodo per la navigazione, ed a reprimere lapirateria, che non era stata ancora interamente estirpatain quelle acque.La fondazione di Aquileia fu cagione di una guerra con-tro gli Istriani (576-577=178-177), che finì ben prestocoll'espugnazione di alcuni castelli e colla caduta del reEpulone, la quale si rese degna di nota solo per il panicodestato nella flotta e poscia in tutta Italia dalla notiziache il campo dei Romani era stato sorpreso da unaschiera di barbari.

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Con savio rigore il senato non permise che si deviassemenomamente dalla massima che i passi delle Alpi,d'allora in avanti, fossero chiusi per la nazione celticaprocedendo con pene severe contro quei sudditi romani,i quali dall'Italia avessero dato impulso a simili tentatividi immigrazione.Un tentativo di questo genere, che fu fatto per una viaallora poco conosciuta dai Romani, cioè pel più recondi-to recesso dell'Adriatico, e, come pare, più ancora, ilpiano di Filippo di Macedonia, di irrompere in Italiadall'oriente, come Annibale vi era entrato dall'occidente,diedero occasione alla costruzione d'una fortezza nelpunto estremo a nord-est dell'Italia, che fu Aquileia, lapiù settentrionale colonia italica (571-573=183-181), laquale era destinata non solo a chiudere per sempre que-sta via agli stranieri, ma anche a rendere sicuro quel gol-fo tanto comodo per la navigazione, ed a reprimere lapirateria, che non era stata ancora interamente estirpatain quelle acque.La fondazione di Aquileia fu cagione di una guerra con-tro gli Istriani (576-577=178-177), che finì ben prestocoll'espugnazione di alcuni castelli e colla caduta del reEpulone, la quale si rese degna di nota solo per il panicodestato nella flotta e poscia in tutta Italia dalla notiziache il campo dei Romani era stato sorpreso da unaschiera di barbari.

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3. Colonizzazione del paese di qua del Po.Diversamente si procedette nel paese al di qua del Po,che il senato romano aveva deliberato d'incorporareall'Italia.I Boi, che furono i primi ad essere colpiti da questa mi-sura, si difesero col coraggio della disperazione.Essi passarono persino il Po e tentarono di indurre gliInsubri a riprendere le armi (560=194); bloccarono unconsole nel suo campo e poco mancò ch'esso non soc-combesse; Piacenza stessa resistette appena ai continuiassalti degli irritati indigeni.Presso Modena si diede finalmente l'ultima battaglia; fulunga e sanguinosa, ma la vinsero i Romani (561=193) eda quel momento non vi fu più guerra, ma caccia dischiavi.Nel paese dei Boi il campo dei Romani fu ben presto ilsolo asilo ove incominciò a rifugiarsi la miglior partedella popolazione rimasta ancora in vita; i vincitori po-tevano ben riferire a Roma senza esagerazione, che dellanazione dei Boi ormai non rimanevano che vecchi e fan-ciulli.Così dovette naturalmente rassegnarsi al destino che leera toccato.I Romani chiesero la cessione della metà del territorio(563=191): non poteva venir rifiutata, e non passò moltoche essi scomparvero anche dal suolo loro lasciato, fon-

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3. Colonizzazione del paese di qua del Po.Diversamente si procedette nel paese al di qua del Po,che il senato romano aveva deliberato d'incorporareall'Italia.I Boi, che furono i primi ad essere colpiti da questa mi-sura, si difesero col coraggio della disperazione.Essi passarono persino il Po e tentarono di indurre gliInsubri a riprendere le armi (560=194); bloccarono unconsole nel suo campo e poco mancò ch'esso non soc-combesse; Piacenza stessa resistette appena ai continuiassalti degli irritati indigeni.Presso Modena si diede finalmente l'ultima battaglia; fulunga e sanguinosa, ma la vinsero i Romani (561=193) eda quel momento non vi fu più guerra, ma caccia dischiavi.Nel paese dei Boi il campo dei Romani fu ben presto ilsolo asilo ove incominciò a rifugiarsi la miglior partedella popolazione rimasta ancora in vita; i vincitori po-tevano ben riferire a Roma senza esagerazione, che dellanazione dei Boi ormai non rimanevano che vecchi e fan-ciulli.Così dovette naturalmente rassegnarsi al destino che leera toccato.I Romani chiesero la cessione della metà del territorio(563=191): non poteva venir rifiutata, e non passò moltoche essi scomparvero anche dal suolo loro lasciato, fon-

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dendosi coi loro vincitori(34).Dopo che i Romani ebbero così sgombrato il paese, rior-ganizzarono le fortezze di Piacenza e di Cremona, man-dando nuovi coloni in luogo di quelli che negli ultimidifficili anni, erano in gran parte morti o dispersi.Nell'antico territorio dei Senoni e sue vicinanze furonofondate Potenza (presso Recanati, non lungi da Ancona)e Pesaro (570=184), e nel paese dei Boi di recente ac-quisto le fortezze di Bologna (565=189), Modena e Par-ma (571=183), la seconda delle quali era già stata fon-data prima della guerra annibalica che ne aveva soltantointerrotto il compimento.Colla costruzione delle fortezze andò, come sempre, di

34 Stando alla narrazione di Strabone, questi Boi italici sarebbero stati cac-ciati dai Romani al di là delle Alpi, e ne sarebbe sorta quella colonia di Boistanziata nell'attuale Ungheria tra il lago di Neusiedel ed il Balaton (Piat-tensee), la quale al tempi di Augusto fu attaccata e distrutta dai Geti cheavevano passato il Danubio, e diede a questo paese il nome di deserto deiBoi. Questa narrazione poco si combina colla accreditata esposizione degliannali romani, secondo la quale i Romani si accontentarono della metà delterritorio; e per chiarire la scomparsa dei Boi italici non occorre, a dirvero, attribuirla ad un'espulsione violenta, se si considera che anche le al-tre popolazioni celtiche scomparvero non molto meno rapidamente e com-pletamente dal novero delle nazioni italiche, benchè siano state moltomeno molestate dalla guerra e dalla colonizzazione. Altre relazioni voglio-no derivare i Boi stanziati sulle rive del Balaton dal ceppo principale dellanazione che anticamente era stabilito in Baviera ed in Boemia, sino a chetribù tedesche lo spinsero verso mezzodì. Ma tutte le narrazioni lasciano ildubbio se i Boi, che noi troviamo presso Bordeaux, sulle rive del Po e inBoemia, siano veramente rami d'uno stesso ceppo, o non vi sia invece sol-tanto un'analogia di nome. Sembra che l'ipotesi di Strabone non si fondiche su una deduzione di simile analogia come gli antichi spesso inconside-ratamente la applicarono pei Cimbri, pei Veneti e per altri.

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dendosi coi loro vincitori(34).Dopo che i Romani ebbero così sgombrato il paese, rior-ganizzarono le fortezze di Piacenza e di Cremona, man-dando nuovi coloni in luogo di quelli che negli ultimidifficili anni, erano in gran parte morti o dispersi.Nell'antico territorio dei Senoni e sue vicinanze furonofondate Potenza (presso Recanati, non lungi da Ancona)e Pesaro (570=184), e nel paese dei Boi di recente ac-quisto le fortezze di Bologna (565=189), Modena e Par-ma (571=183), la seconda delle quali era già stata fon-data prima della guerra annibalica che ne aveva soltantointerrotto il compimento.Colla costruzione delle fortezze andò, come sempre, di

34 Stando alla narrazione di Strabone, questi Boi italici sarebbero stati cac-ciati dai Romani al di là delle Alpi, e ne sarebbe sorta quella colonia di Boistanziata nell'attuale Ungheria tra il lago di Neusiedel ed il Balaton (Piat-tensee), la quale al tempi di Augusto fu attaccata e distrutta dai Geti cheavevano passato il Danubio, e diede a questo paese il nome di deserto deiBoi. Questa narrazione poco si combina colla accreditata esposizione degliannali romani, secondo la quale i Romani si accontentarono della metà delterritorio; e per chiarire la scomparsa dei Boi italici non occorre, a dirvero, attribuirla ad un'espulsione violenta, se si considera che anche le al-tre popolazioni celtiche scomparvero non molto meno rapidamente e com-pletamente dal novero delle nazioni italiche, benchè siano state moltomeno molestate dalla guerra e dalla colonizzazione. Altre relazioni voglio-no derivare i Boi stanziati sulle rive del Balaton dal ceppo principale dellanazione che anticamente era stabilito in Baviera ed in Boemia, sino a chetribù tedesche lo spinsero verso mezzodì. Ma tutte le narrazioni lasciano ildubbio se i Boi, che noi troviamo presso Bordeaux, sulle rive del Po e inBoemia, siano veramente rami d'uno stesso ceppo, o non vi sia invece sol-tanto un'analogia di nome. Sembra che l'ipotesi di Strabone non si fondiche su una deduzione di simile analogia come gli antichi spesso inconside-ratamente la applicarono pei Cimbri, pei Veneti e per altri.

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pari passo la costruzione delle strade militari.La via Flaminia fu prolungata col nome di via Emilia daRimini, suo punto estremo, sino a Piacenza (567=187).Dal comune di Roma fu assunta probabilmente l'anno583=171 la ricostruzione della strada che da Roma con-duceva ad Arezzo, detta via Cassia, la quale da lungotempo era via municipale, e sino dal 567=187 fu apertoil tronco che attraverso l'Appennino metteva da Arezzoa Bologna, ove si congiungeva colla nuova via Emilia,per il che si ottenne una più celere comunicazione traRoma e le fortezze poste sul Po. Con queste energichemisure fu sostituito il Po all'Appennino quale confine trail territorio celtico e l'italico.Sulla sponda destra di questo fiume fu d'allora in poi invigore essenzialmente la costituzione urbana italica, sul-la sinistra la costituzione cantonale celtica; e il paese trail Po e l'Appennino non fu più considerato come appar-tenente all'agro celtico che di nome.

4. La Liguria e le isole.Nello stesso modo i Romani procedettero nella partenord-ovest del territorio montuoso della penisola, le cuivalli e colline erano occupate specialmente dalla stirpeligure divisa in più rami.Gli abitanti residenti a settentrione dell'Arno furono di-strutti. Tale sorte toccò principalmente agli Apuani, iquali, abitando sul territorio tra l'Arno e la Magra, anda-

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pari passo la costruzione delle strade militari.La via Flaminia fu prolungata col nome di via Emilia daRimini, suo punto estremo, sino a Piacenza (567=187).Dal comune di Roma fu assunta probabilmente l'anno583=171 la ricostruzione della strada che da Roma con-duceva ad Arezzo, detta via Cassia, la quale da lungotempo era via municipale, e sino dal 567=187 fu apertoil tronco che attraverso l'Appennino metteva da Arezzoa Bologna, ove si congiungeva colla nuova via Emilia,per il che si ottenne una più celere comunicazione traRoma e le fortezze poste sul Po. Con queste energichemisure fu sostituito il Po all'Appennino quale confine trail territorio celtico e l'italico.Sulla sponda destra di questo fiume fu d'allora in poi invigore essenzialmente la costituzione urbana italica, sul-la sinistra la costituzione cantonale celtica; e il paese trail Po e l'Appennino non fu più considerato come appar-tenente all'agro celtico che di nome.

4. La Liguria e le isole.Nello stesso modo i Romani procedettero nella partenord-ovest del territorio montuoso della penisola, le cuivalli e colline erano occupate specialmente dalla stirpeligure divisa in più rami.Gli abitanti residenti a settentrione dell'Arno furono di-strutti. Tale sorte toccò principalmente agli Apuani, iquali, abitando sul territorio tra l'Arno e la Magra, anda-

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vano continuamente saccheggiando da un lato l'agro diPisa, dall'altro quello di Bologna e di Modena. Coloroche furono risparmiati dal ferro dei Romani vennero tra-sportati nella bassa Italia presso Benevento (574=180), ela nazione ligure, cui si dovè ritogliere sino dal 578=176la colonia di Modena da essa conquistata, fu, nei montiche dividono la valle del Po da quella dell'Arno, com-piutamente schiacciata.La fortezza di Luni, piantata nel 577=177 nell'antico ter-ritorio apuano, non lungi dalla Spezia, difese il confinecontro i Liguri, come Aquileia lo copriva contro i Tran-salpini, offrendo nello stesso tempo ai Romani un portoeccellente, che divenne poi la consueta stazione per ilpassaggio a Marsiglia ed in Spagna. A quest'epoca risaleprobabilmente la lastricatura della strada litoranea o viaAurelia, che da Roma conduceva a Luni, e della via tra-sversale che fra l'Aurelia e la Cassia conduceva da Luc-ca per Firenze ad Arezzo.Ma la lotta contro le stirpi liguri più occidentali, cheabitavano gli Appennini genovesi e le Alpi marittimenon sostava.Erano dei vicini incomodi che pirateggiavano sia inmare che in terra; i Pisani e i Marsigliesi risentivano nonpoco dalle loro scorrerie e dalle loro navi corsare.Ma dai continui combattimenti non si ottenne alcun ri-sultato duraturo, e forse non se n'aveva alcuno in mira,se non quello di assicurare, oltre la regolare comunica-

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vano continuamente saccheggiando da un lato l'agro diPisa, dall'altro quello di Bologna e di Modena. Coloroche furono risparmiati dal ferro dei Romani vennero tra-sportati nella bassa Italia presso Benevento (574=180), ela nazione ligure, cui si dovè ritogliere sino dal 578=176la colonia di Modena da essa conquistata, fu, nei montiche dividono la valle del Po da quella dell'Arno, com-piutamente schiacciata.La fortezza di Luni, piantata nel 577=177 nell'antico ter-ritorio apuano, non lungi dalla Spezia, difese il confinecontro i Liguri, come Aquileia lo copriva contro i Tran-salpini, offrendo nello stesso tempo ai Romani un portoeccellente, che divenne poi la consueta stazione per ilpassaggio a Marsiglia ed in Spagna. A quest'epoca risaleprobabilmente la lastricatura della strada litoranea o viaAurelia, che da Roma conduceva a Luni, e della via tra-sversale che fra l'Aurelia e la Cassia conduceva da Luc-ca per Firenze ad Arezzo.Ma la lotta contro le stirpi liguri più occidentali, cheabitavano gli Appennini genovesi e le Alpi marittimenon sostava.Erano dei vicini incomodi che pirateggiavano sia inmare che in terra; i Pisani e i Marsigliesi risentivano nonpoco dalle loro scorrerie e dalle loro navi corsare.Ma dai continui combattimenti non si ottenne alcun ri-sultato duraturo, e forse non se n'aveva alcuno in mira,se non quello di assicurare, oltre la regolare comunica-

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zione marittima colla Gallia transalpina e colla Spagna,anche una comunicazione continentale rendendo sicura,almeno sino alle Alpi, la grande strada da Luni per Mar-siglia ad Emporia. Di là dall'Alpi toccava poi ai Marsi-gliesi mantenere libera alle navi romane la navigazionelungo la costa e sicura la strada litoranea.Il paese interno, colle impraticabili sue valli e i nascon-digli delle sue rocce, coi poveri ma destri e scaltri suoiabitanti, serviva ai Romani principalmente di scuola mi-litare per esercitare ed allenare alle fatiche soldati ed uf-ficiali.Come contro i Liguri, così si facevano delle così detteguerre anche contro i Corsi, e più ancora contro gli abi-tanti dell'interno della Sardegna, i quali si vendicavanodelle spedizioni devastatrici mosse contro di essi facen-do sorprese sul litorale.Si ricorda specialmente la spedizione di Tiberio Graccocontro i Sardi (577=177) non tanto per aver essa ridona-ta la «pace» al paese, quanto pel vanto di aver egli truci-dato o fatti prigionieri 80.000 di quegli isolani e di averspedito a Roma una tal massa di schiavi da dare origineal proverbio «a vilissimo prezzo come un Sardo».

5. Cartagine.In Africa la politica dei Romani si riduceva all'unico emeschino pensiero d'impedire il risorgimento della po-tenza cartaginese mantenendo l'infelice città sotto l'incu-

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zione marittima colla Gallia transalpina e colla Spagna,anche una comunicazione continentale rendendo sicura,almeno sino alle Alpi, la grande strada da Luni per Mar-siglia ad Emporia. Di là dall'Alpi toccava poi ai Marsi-gliesi mantenere libera alle navi romane la navigazionelungo la costa e sicura la strada litoranea.Il paese interno, colle impraticabili sue valli e i nascon-digli delle sue rocce, coi poveri ma destri e scaltri suoiabitanti, serviva ai Romani principalmente di scuola mi-litare per esercitare ed allenare alle fatiche soldati ed uf-ficiali.Come contro i Liguri, così si facevano delle così detteguerre anche contro i Corsi, e più ancora contro gli abi-tanti dell'interno della Sardegna, i quali si vendicavanodelle spedizioni devastatrici mosse contro di essi facen-do sorprese sul litorale.Si ricorda specialmente la spedizione di Tiberio Graccocontro i Sardi (577=177) non tanto per aver essa ridona-ta la «pace» al paese, quanto pel vanto di aver egli truci-dato o fatti prigionieri 80.000 di quegli isolani e di averspedito a Roma una tal massa di schiavi da dare origineal proverbio «a vilissimo prezzo come un Sardo».

5. Cartagine.In Africa la politica dei Romani si riduceva all'unico emeschino pensiero d'impedire il risorgimento della po-tenza cartaginese mantenendo l'infelice città sotto l'incu-

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bo e sotto la spada di Damocle d'una dichiarazione diguerra.La disposizione del trattato di pace che garantiva, èvero, ai Cartaginesi l'integrità del loro territorio, ma altempo stesso assicurava al loro vicino Massinissa tutto ilterritorio, ch'egli o il suo predecessore avessero posse-duto entro i confini cartaginesi, sembrava fatta appostaper far sorgere dissidi e non già per evitarli.Lo stesso dicasi dell'obbligo imposto ai Cartaginesi daltrattato di non muovere guerra agli alleati dei Romani;così che essi non erano nemmeno padroni di cacciaredal territorio, che incontestabilmente loro apparteneva,il loro vicino numidico.Con tali trattati e la nessuna sicurezza in materia di con-fini che esisteva nell'Africa in generale, la situazione diCartagine, al cospetto di un vicino tanto forte quantoalieno d'ogni riguardo, e d'un padrone ch'era giudice eparte ad un tempo, non poteva non essere penosissima;ma la realtà era peggiore ancora di ogni peggiore aspet-tativa.Già nel 561=193 Cartagine si vide assalita per frivolipretesti, ed ebbe la provincia d'Emporia sulla piccolaSirte, la parte più ricca del suo territorio, saccheggiata ein parte occupata dai Numidi.Le usurpazioni andarono sempre più aumentando e iCartaginesi poterono con fatica mantenersi nelle localitàmaggiori.

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bo e sotto la spada di Damocle d'una dichiarazione diguerra.La disposizione del trattato di pace che garantiva, èvero, ai Cartaginesi l'integrità del loro territorio, ma altempo stesso assicurava al loro vicino Massinissa tutto ilterritorio, ch'egli o il suo predecessore avessero posse-duto entro i confini cartaginesi, sembrava fatta appostaper far sorgere dissidi e non già per evitarli.Lo stesso dicasi dell'obbligo imposto ai Cartaginesi daltrattato di non muovere guerra agli alleati dei Romani;così che essi non erano nemmeno padroni di cacciaredal territorio, che incontestabilmente loro apparteneva,il loro vicino numidico.Con tali trattati e la nessuna sicurezza in materia di con-fini che esisteva nell'Africa in generale, la situazione diCartagine, al cospetto di un vicino tanto forte quantoalieno d'ogni riguardo, e d'un padrone ch'era giudice eparte ad un tempo, non poteva non essere penosissima;ma la realtà era peggiore ancora di ogni peggiore aspet-tativa.Già nel 561=193 Cartagine si vide assalita per frivolipretesti, ed ebbe la provincia d'Emporia sulla piccolaSirte, la parte più ricca del suo territorio, saccheggiata ein parte occupata dai Numidi.Le usurpazioni andarono sempre più aumentando e iCartaginesi poterono con fatica mantenersi nelle localitàmaggiori.

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Essi dichiararono nel 582=172 che solamente negli ulti-mi due anni erano stati tolti loro, in violazione del tratta-to, altri sessanta villaggi.Si spedivano a Roma ambasciate sopra ambasciate; iCartaginesi scongiuravano il senato romano o di per-mettere loro di difendersi colle armi, o di nominare untribunale di arbitri colla facoltà di pronunciare il suogiudizio, o di regolare di nuovo i confini per conoscereuna volta per sempre quali dovessero essere le loro per-dite; diversamente valeva molto meglio dichiararli addi-rittura sudditi romani che abbandonarli a poco a poco inbalìa dei Libi.Ma il governo romano, che sino dal 554=200 aveva fat-to sperare al suo cliente (e come ben si comprende aspese di Cartagine) un allargamento di territorio, nonsembrava disposto ad opporsi a che egli si appropriassela preda che gli era destinata; esso frenava talvolta la ec-cessiva violenza dei Libi, i quali rendevano ora esube-rantemente la pariglia ai loro antichi tormentatori, ma insostanza i Romani avevano assegnato Massinissa per vi-cino a Cartagine appunto per queste vessazioni.Tutte le preghiere e tutte le lagnanze ebbero per risultatoo l'arrivo in Africa di commissioni inviatevi dai Roma-ni, le quali dopo profonde investigazioni nulla decideva-no, o di vedere continuamente procrastinata la decisionedelle trattative intavolate a Roma adducendo i plenipo-tenziari di Massinissa il pretesto di non avere le neces-sarie istruzioni.

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Essi dichiararono nel 582=172 che solamente negli ulti-mi due anni erano stati tolti loro, in violazione del tratta-to, altri sessanta villaggi.Si spedivano a Roma ambasciate sopra ambasciate; iCartaginesi scongiuravano il senato romano o di per-mettere loro di difendersi colle armi, o di nominare untribunale di arbitri colla facoltà di pronunciare il suogiudizio, o di regolare di nuovo i confini per conoscereuna volta per sempre quali dovessero essere le loro per-dite; diversamente valeva molto meglio dichiararli addi-rittura sudditi romani che abbandonarli a poco a poco inbalìa dei Libi.Ma il governo romano, che sino dal 554=200 aveva fat-to sperare al suo cliente (e come ben si comprende aspese di Cartagine) un allargamento di territorio, nonsembrava disposto ad opporsi a che egli si appropriassela preda che gli era destinata; esso frenava talvolta la ec-cessiva violenza dei Libi, i quali rendevano ora esube-rantemente la pariglia ai loro antichi tormentatori, ma insostanza i Romani avevano assegnato Massinissa per vi-cino a Cartagine appunto per queste vessazioni.Tutte le preghiere e tutte le lagnanze ebbero per risultatoo l'arrivo in Africa di commissioni inviatevi dai Roma-ni, le quali dopo profonde investigazioni nulla decideva-no, o di vedere continuamente procrastinata la decisionedelle trattative intavolate a Roma adducendo i plenipo-tenziari di Massinissa il pretesto di non avere le neces-sarie istruzioni.

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Ci voleva soltanto la pazienza dei Cartaginesi per sop-portare una simile posizione non solo, ma per prestarsianche con impareggiabile perseveranza ad ogni servizioe ad ogni favore richiesto e non richiesto dai dominatori,per procacciarsene la protezione, particolarmente confrequenti spedizioni di grano.

6. Annibale.Tuttavia questa arrendevolezza dei vinti non era soltantopazienza e rassegnazione.Esisteva in Cartagine ancora un partito patriottico, allacui testa trovavasi l'uomo, che, ovunque la sorte lo po-nesse, era sempre lo spauracchio dei Romani.E quel partito approfittando delle complicazioni sorte,come era facile a prevedersi, tra Roma e le potenzeorientali, non aveva rinunziato a riprendere un'altra vol-ta la guerra, e per sostenere questa nuova lotta, dopo fal-lito il grandioso piano d'Amilcare e de' suoi fidi per vir-tù dell'oligarchia cartaginese, incominciò prima di tuttocol riordinare gli affari interni.La potenza miglioratrice della necessità, nonchè lo spiri-to nobile d'Annibale, profondo conoscitore degli uomi-ni, promossero utili riforme politiche e finanziarie.L'oligarchia, che provocando una delittuosa inchiestacontro il gran capitano, per aver questi, a ragion veduta,mancato di prender Roma e per sottrazione del bottinoitalico, aveva colmata la misura delle criminose sue

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Ci voleva soltanto la pazienza dei Cartaginesi per sop-portare una simile posizione non solo, ma per prestarsianche con impareggiabile perseveranza ad ogni servizioe ad ogni favore richiesto e non richiesto dai dominatori,per procacciarsene la protezione, particolarmente confrequenti spedizioni di grano.

6. Annibale.Tuttavia questa arrendevolezza dei vinti non era soltantopazienza e rassegnazione.Esisteva in Cartagine ancora un partito patriottico, allacui testa trovavasi l'uomo, che, ovunque la sorte lo po-nesse, era sempre lo spauracchio dei Romani.E quel partito approfittando delle complicazioni sorte,come era facile a prevedersi, tra Roma e le potenzeorientali, non aveva rinunziato a riprendere un'altra vol-ta la guerra, e per sostenere questa nuova lotta, dopo fal-lito il grandioso piano d'Amilcare e de' suoi fidi per vir-tù dell'oligarchia cartaginese, incominciò prima di tuttocol riordinare gli affari interni.La potenza miglioratrice della necessità, nonchè lo spiri-to nobile d'Annibale, profondo conoscitore degli uomi-ni, promossero utili riforme politiche e finanziarie.L'oligarchia, che provocando una delittuosa inchiestacontro il gran capitano, per aver questi, a ragion veduta,mancato di prender Roma e per sottrazione del bottinoitalico, aveva colmata la misura delle criminose sue

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stoltezze – questa putrida oligarchia fu per operad'Annibale rovesciata e stabilito un governo democrati-co come lo volevano le condizioni della borghesia (pri-ma del 559=195).Colla riscossione dei denari arretrati e sottratti alle cassee con la istituzione d'un migliore controllo le finanze fu-rono sollecitamente riordinate, sì che il versamento dellacontribuzione romana fu eseguito senza imporre straor-dinari aggravi ai cittadini.Il governo romano, che appunto allora era in procinto diricominciare la pericolosa guerra col gran re d'Asia, se-guiva questi avvenimenti naturalmente con qualche ap-prensione.Non era un pericolo immaginario quello che, mentre lelegioni romane combattevano nell'Asia minore, la flottacartaginese approdasse in Italia, e vi potesse insorgereuna seconda guerra annibalica.Non si possono quindi biasimare i Romani se essi man-darono un'ambasciata a Cartagine (559=195) incaricataprobabilmente di chiedere la consegna di Annibale.Gli oligarchi cartaginesi, che nel loro rancore spedivanolettere sopra lettere a Roma, denunziando al nemico del-la loro patria l'uomo che li aveva rovesciati dal potere,incolpandolo di segrete mene colle potenze avverse aiRomani, meritano tutto il disprezzo; ma le loro relazionierano probabilmente giuste.Per quanto sia vero che in questa ambasciata si ravvisas-

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stoltezze – questa putrida oligarchia fu per operad'Annibale rovesciata e stabilito un governo democrati-co come lo volevano le condizioni della borghesia (pri-ma del 559=195).Colla riscossione dei denari arretrati e sottratti alle cassee con la istituzione d'un migliore controllo le finanze fu-rono sollecitamente riordinate, sì che il versamento dellacontribuzione romana fu eseguito senza imporre straor-dinari aggravi ai cittadini.Il governo romano, che appunto allora era in procinto diricominciare la pericolosa guerra col gran re d'Asia, se-guiva questi avvenimenti naturalmente con qualche ap-prensione.Non era un pericolo immaginario quello che, mentre lelegioni romane combattevano nell'Asia minore, la flottacartaginese approdasse in Italia, e vi potesse insorgereuna seconda guerra annibalica.Non si possono quindi biasimare i Romani se essi man-darono un'ambasciata a Cartagine (559=195) incaricataprobabilmente di chiedere la consegna di Annibale.Gli oligarchi cartaginesi, che nel loro rancore spedivanolettere sopra lettere a Roma, denunziando al nemico del-la loro patria l'uomo che li aveva rovesciati dal potere,incolpandolo di segrete mene colle potenze avverse aiRomani, meritano tutto il disprezzo; ma le loro relazionierano probabilmente giuste.Per quanto sia vero che in questa ambasciata si ravvisas-

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se un'umiliante confessione della paura che teneva inagitazione il gran popolo di fronte al semplice Sufetes diCartagine, per quanto tornasse ad onore dell'orgogliosovincitore di Zama, la protesta da lui fatta al senato con-tro quel passo umiliante, questa confessione non era al-tro che la semplice verità. Annibale era un uomo cosìstraordinario che soltanto i politici romani sentimentalilo potevano tollerare più lungamente alla testa dello sta-to cartaginese.Lo strano riconoscimento, che egli trovò nel governonemico, non gli riuscì di sorpresa. Siccome era statoAnnibale che aveva fatta l'ultima guerra e non Cartagi-ne, così la sorte dei vinti doveva colpire soprattutto lui.I Cartaginesi non potevano fare altro che rassegnarsi eringraziare la loro amica stella che Annibale, colla im-provvisata e prudente sua fuga in oriente, risparmiandoalla città nativa l'onta maggiore, lasciasse ad essa la mi-nore, quella cioè di aver bandito per sempre dalla pro-pria patria il suo più grande cittadino, di aver confiscatoi suoi beni e rasa al suolo la sua casa; sicchè si verificòin Annibale pienamente il motto profondamente sapien-te, che i prediletti degli dei sono quelli cui essi concedo-no gioie e dolori innegabili.Meno giustificabili dell'accanimento del governo roma-no contro Annibale furono i modi sospettosi e molesti,praticati dallo stesso governo contro Cartagine dopo lasua fuga. Vi continuarono veramente le agitazioni deipartiti, ma dopo l'allontanamento dell'uomo che aveva

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se un'umiliante confessione della paura che teneva inagitazione il gran popolo di fronte al semplice Sufetes diCartagine, per quanto tornasse ad onore dell'orgogliosovincitore di Zama, la protesta da lui fatta al senato con-tro quel passo umiliante, questa confessione non era al-tro che la semplice verità. Annibale era un uomo cosìstraordinario che soltanto i politici romani sentimentalilo potevano tollerare più lungamente alla testa dello sta-to cartaginese.Lo strano riconoscimento, che egli trovò nel governonemico, non gli riuscì di sorpresa. Siccome era statoAnnibale che aveva fatta l'ultima guerra e non Cartagi-ne, così la sorte dei vinti doveva colpire soprattutto lui.I Cartaginesi non potevano fare altro che rassegnarsi eringraziare la loro amica stella che Annibale, colla im-provvisata e prudente sua fuga in oriente, risparmiandoalla città nativa l'onta maggiore, lasciasse ad essa la mi-nore, quella cioè di aver bandito per sempre dalla pro-pria patria il suo più grande cittadino, di aver confiscatoi suoi beni e rasa al suolo la sua casa; sicchè si verificòin Annibale pienamente il motto profondamente sapien-te, che i prediletti degli dei sono quelli cui essi concedo-no gioie e dolori innegabili.Meno giustificabili dell'accanimento del governo roma-no contro Annibale furono i modi sospettosi e molesti,praticati dallo stesso governo contro Cartagine dopo lasua fuga. Vi continuarono veramente le agitazioni deipartiti, ma dopo l'allontanamento dell'uomo che aveva

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quasi capovolto i destini del mondo, il partito patriotticonon aveva maggior importanza in Cartagine di quelloche avesse nell'Etolia e nell'Acaia.L'idea più saggia di quelli che allora tenevano in agita-zione l'infelice città, era senza dubbio quella di unirsicon Massinissa e di tramutare l'oppressore in protettoredei Cartaginesi. Se non che, non essendo pervenuta alpotere nè la frazione patriottica del partito nazionale, nèquella che propendeva per i Libi, ma essendo esso rima-sto nelle mani degli oligarchi favorevoli ai Romani, essi,sebbene non rinunciassero alla speranza d'un miglioreavvenire, si tenevano fermi alla sola idea di salvare ilbenessere materiale e la libertà comunale di Cartaginesotto la protezione di Roma. I Romani n'avrebbero purepotuto andar tranquilli.Ma a Roma la moltitudine e gli stessi membri del gover-no di tempra comune non potevano cacciare dalla mentele ansie provate durante la guerra annibalica; i commer-cianti romani poi invidiavano Cartagine, la quale, seb-bene avesse perduta tutta la sua importanza politica,pure continuava a mantenersi in possesso di estese rela-zioni commerciali e di una ricchezza solida ed incrolla-bile.Il governo cartaginese offrì sin dal 567=187 il versa-mento immediato di tutte le rate della contribuzione sti-pulata nel trattato di pace del 553=201, ciò che i Roma-ni, come era ben naturale, declinarono, poichè ad essiimportava assai più l'obbligo del tributo di Cartagine

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quasi capovolto i destini del mondo, il partito patriotticonon aveva maggior importanza in Cartagine di quelloche avesse nell'Etolia e nell'Acaia.L'idea più saggia di quelli che allora tenevano in agita-zione l'infelice città, era senza dubbio quella di unirsicon Massinissa e di tramutare l'oppressore in protettoredei Cartaginesi. Se non che, non essendo pervenuta alpotere nè la frazione patriottica del partito nazionale, nèquella che propendeva per i Libi, ma essendo esso rima-sto nelle mani degli oligarchi favorevoli ai Romani, essi,sebbene non rinunciassero alla speranza d'un miglioreavvenire, si tenevano fermi alla sola idea di salvare ilbenessere materiale e la libertà comunale di Cartaginesotto la protezione di Roma. I Romani n'avrebbero purepotuto andar tranquilli.Ma a Roma la moltitudine e gli stessi membri del gover-no di tempra comune non potevano cacciare dalla mentele ansie provate durante la guerra annibalica; i commer-cianti romani poi invidiavano Cartagine, la quale, seb-bene avesse perduta tutta la sua importanza politica,pure continuava a mantenersi in possesso di estese rela-zioni commerciali e di una ricchezza solida ed incrolla-bile.Il governo cartaginese offrì sin dal 567=187 il versa-mento immediato di tutte le rate della contribuzione sti-pulata nel trattato di pace del 553=201, ciò che i Roma-ni, come era ben naturale, declinarono, poichè ad essiimportava assai più l'obbligo del tributo di Cartagine

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che il denaro stesso; ma dall'offerta dedussero la persua-sione, che, malgrado tutti gli sforzi fatti, Cartagine nonera rovinata, nè poteva esserlo.E in Roma continuavano a circolare notizie sulle menedegli infidi Cartaginesi. Ora era comparso in CartagineAristone da Tiro quale emissario d'Annibale per prepa-rare i cittadini all'approdo d'una flotta asiatica(561=193); ora il senato aveva dato udienza notturnaagli ambasciatori di Perseo nel tempio d'Esculapio(581=173); ora si parlava della formidabile flotta cheCartagine armava per la guerra macedonica (583=171).È verosimile che queste notizie ed altre simili non aves-sero altro fondamento che, tutt'al più, qualche impru-denza individuale; esse erano però sempre pretesto pernuovi insulti diplomatici da parte dei Romani, per nuoveusurpazioni da parte di Massinissa e sempre più chiarosi manifestava il pensiero, per quanto fosse assurdo, checon Cartagine non si poteva finirla senza una terza guer-ra punica.

7. I Numidi.Mentre dunque la potenza dei Fenici andava decadendonella patria adottiva, come da lungo tempo si era eclis-sata nella loro patria, accanto ad essi sorse un nuovo sta-to.Da tempi immemorabili, come ancora oggi, il litoraledell'Africa settentrionale è abitato da un popolo, che sidà il nome di Schillah o Tamazit, che i Greci ed i Roma-

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che il denaro stesso; ma dall'offerta dedussero la persua-sione, che, malgrado tutti gli sforzi fatti, Cartagine nonera rovinata, nè poteva esserlo.E in Roma continuavano a circolare notizie sulle menedegli infidi Cartaginesi. Ora era comparso in CartagineAristone da Tiro quale emissario d'Annibale per prepa-rare i cittadini all'approdo d'una flotta asiatica(561=193); ora il senato aveva dato udienza notturnaagli ambasciatori di Perseo nel tempio d'Esculapio(581=173); ora si parlava della formidabile flotta cheCartagine armava per la guerra macedonica (583=171).È verosimile che queste notizie ed altre simili non aves-sero altro fondamento che, tutt'al più, qualche impru-denza individuale; esse erano però sempre pretesto pernuovi insulti diplomatici da parte dei Romani, per nuoveusurpazioni da parte di Massinissa e sempre più chiarosi manifestava il pensiero, per quanto fosse assurdo, checon Cartagine non si poteva finirla senza una terza guer-ra punica.

7. I Numidi.Mentre dunque la potenza dei Fenici andava decadendonella patria adottiva, come da lungo tempo si era eclis-sata nella loro patria, accanto ad essi sorse un nuovo sta-to.Da tempi immemorabili, come ancora oggi, il litoraledell'Africa settentrionale è abitato da un popolo, che sidà il nome di Schillah o Tamazit, che i Greci ed i Roma-

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ni chiamavano Nomadi o Numidi, cioè popolo pastore,gli Arabi chiamavano Schavi, ossia pastori, e che noichiamiamo Berberi o Kabili.Questo popolo, da quanto finora si conosce dalle ricer-che fatte sulla sua lingua, non è affine a nessuna dellenazioni conosciute.Ai tempi di Cartagine queste stirpi, ad eccezione diquelle stabilite immediatamente attorno a Cartagine osulla costa, avevano in generale serbata la loro indipen-denza e continuato a condurre una vita dedicata alla pa-storizia ed ai cavalli, come ancora oggi continuano gliabitanti dell'Atlante, benchè a loro non fosse rimastoestraneo l'alfabeto ed in generale la civiltà dei Fenici, edaccadesse che gli Sceicchi dei Berberi facessero educarein Cartagine i loro figli e si unissero in matrimonio connobili famiglie fenicie.La politica romana non voleva possedimenti immediatiin Africa e preferiva lasciarvi sorgere uno stato non cosìforte da non sentire il bisogno della protezione romana,ma sufficiente per tenervi curva la potenza di Cartagineche era ormai ridotta alla sola Africa, e per impedirequalunque movimento libero alla tormentata città.Ciò che si cercava si rinvenne nei principi indigeni.Al tempo della guerra annibalica gl'indigeni dell'Africasettentrionale ubbidivano a tre signori principali, a cia-scuno dei quali, secondo il costume del paese, parecchiprincipi erano vassalli; il re della Mauritania Bocchas,

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ni chiamavano Nomadi o Numidi, cioè popolo pastore,gli Arabi chiamavano Schavi, ossia pastori, e che noichiamiamo Berberi o Kabili.Questo popolo, da quanto finora si conosce dalle ricer-che fatte sulla sua lingua, non è affine a nessuna dellenazioni conosciute.Ai tempi di Cartagine queste stirpi, ad eccezione diquelle stabilite immediatamente attorno a Cartagine osulla costa, avevano in generale serbata la loro indipen-denza e continuato a condurre una vita dedicata alla pa-storizia ed ai cavalli, come ancora oggi continuano gliabitanti dell'Atlante, benchè a loro non fosse rimastoestraneo l'alfabeto ed in generale la civiltà dei Fenici, edaccadesse che gli Sceicchi dei Berberi facessero educarein Cartagine i loro figli e si unissero in matrimonio connobili famiglie fenicie.La politica romana non voleva possedimenti immediatiin Africa e preferiva lasciarvi sorgere uno stato non cosìforte da non sentire il bisogno della protezione romana,ma sufficiente per tenervi curva la potenza di Cartagineche era ormai ridotta alla sola Africa, e per impedirequalunque movimento libero alla tormentata città.Ciò che si cercava si rinvenne nei principi indigeni.Al tempo della guerra annibalica gl'indigeni dell'Africasettentrionale ubbidivano a tre signori principali, a cia-scuno dei quali, secondo il costume del paese, parecchiprincipi erano vassalli; il re della Mauritania Bocchas,

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che comandava dall'Atlantico al fiume Mulvia (ora sulconfine marocchino francese); il re dei Massessili Sifa-ce, cui era soggetto il paese dal fiume Mulvia al cosìdetto capo Forato (fra Djidjeli e Bona) nelle odierneprovincie d'Orano e d'Algeri, ed il re dei Massilj Massi-nissa, il quale imperava sul confine che si stendeva dalcapo Forato sino al confine cartaginese nell'odierna pro-vincia di Costantina.Il più forte fra essi, Siface, re di Siga, era stato vintonell'ultima guerra combattuta tra Roma e Cartagine, fat-to prigioniero e tradotto in Italia, ove morì in carcere.I vasti suoi dominii toccarono in maggior parte a Massi-nissa, e sebbene Vermina, figlio di Siface, avesse riavu-to dai Romani, dietro umili preghiere, una piccola partedel territorio paterno (554-200), non riuscì però a sop-piantare il più antico alleato dei Romani nella posizionedi oppressore privilegiato di Cartagine.Massinissa fu il fondatore del regno numidico: di radol'elezione o la sorte posero un uomo al suo giusto posto,come Massinissa.Sano di corpo, conservò una grande agilità fino nella piùgrave età; moderato e sobrio come un arabo, atto a so-stenere qualunque disagio, capace di restare dalla matti-na alla sera al medesimo posto e di sedere a cavallo perventiquattr'ore; provato nelle bizzarre e forsennate vi-cende della sua gioventù, come soldato e come generalesui campi di battaglia in Spagna; esperto ugualmente

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che comandava dall'Atlantico al fiume Mulvia (ora sulconfine marocchino francese); il re dei Massessili Sifa-ce, cui era soggetto il paese dal fiume Mulvia al cosìdetto capo Forato (fra Djidjeli e Bona) nelle odierneprovincie d'Orano e d'Algeri, ed il re dei Massilj Massi-nissa, il quale imperava sul confine che si stendeva dalcapo Forato sino al confine cartaginese nell'odierna pro-vincia di Costantina.Il più forte fra essi, Siface, re di Siga, era stato vintonell'ultima guerra combattuta tra Roma e Cartagine, fat-to prigioniero e tradotto in Italia, ove morì in carcere.I vasti suoi dominii toccarono in maggior parte a Massi-nissa, e sebbene Vermina, figlio di Siface, avesse riavu-to dai Romani, dietro umili preghiere, una piccola partedel territorio paterno (554-200), non riuscì però a sop-piantare il più antico alleato dei Romani nella posizionedi oppressore privilegiato di Cartagine.Massinissa fu il fondatore del regno numidico: di radol'elezione o la sorte posero un uomo al suo giusto posto,come Massinissa.Sano di corpo, conservò una grande agilità fino nella piùgrave età; moderato e sobrio come un arabo, atto a so-stenere qualunque disagio, capace di restare dalla matti-na alla sera al medesimo posto e di sedere a cavallo perventiquattr'ore; provato nelle bizzarre e forsennate vi-cende della sua gioventù, come soldato e come generalesui campi di battaglia in Spagna; esperto ugualmente

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nella difficile arte di mantenere la disciplina nella nume-rosa famiglia ed il buon ordine nel suo stato; egualmen-te pronto senza alcun riguardo a gettarsi ai piedi del po-tente protettore ed a calpestare con pari indifferenza ildebole vicino; ed in aggiunta a tutto ciò avendo una per-fetta conoscenza delle condizioni di Cartagine, dove egliera stato educato e dove aveva avuto libero accesso nel-le più ragguardevoli famiglie; pieno del più acerbo odioafricano contro gli oppressori suoi e della sua nazione, –quest'uomo singolare era l'anima della rigenerazionedella sua nazione, che pareva volgesse alla dissoluzione,e della quale le buone e le cattive qualità sembravano inlui quasi personificate.La fortuna, come in ogni altra cosa, così gli fu propiziaanche lasciandogli il tempo necessario pel compimentodella sua opera.Morì di novant'anni (516-605=238-149) dopo un regnodi sessanta, fino all'ultimo istante nel pieno uso di tuttele facoltà fisiche e morali, lasciando un figlio d'un annoe fama di essere stato l'uomo più forte nonchè il miglio-re ed il più felice re dei suoi tempi.

8. Estensione e civilizzazione della Numidia.Noi abbiamo già narrato con quale calcolata precisione iRomani nell'alta direzione degli affari africani facesseroemergere la loro simpatia per Massinissa, e come questiapprofittasse sollecitamente e senza riguardo di quel ta-cito permesso per estendere il suo territorio a spese di

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nella difficile arte di mantenere la disciplina nella nume-rosa famiglia ed il buon ordine nel suo stato; egualmen-te pronto senza alcun riguardo a gettarsi ai piedi del po-tente protettore ed a calpestare con pari indifferenza ildebole vicino; ed in aggiunta a tutto ciò avendo una per-fetta conoscenza delle condizioni di Cartagine, dove egliera stato educato e dove aveva avuto libero accesso nel-le più ragguardevoli famiglie; pieno del più acerbo odioafricano contro gli oppressori suoi e della sua nazione, –quest'uomo singolare era l'anima della rigenerazionedella sua nazione, che pareva volgesse alla dissoluzione,e della quale le buone e le cattive qualità sembravano inlui quasi personificate.La fortuna, come in ogni altra cosa, così gli fu propiziaanche lasciandogli il tempo necessario pel compimentodella sua opera.Morì di novant'anni (516-605=238-149) dopo un regnodi sessanta, fino all'ultimo istante nel pieno uso di tuttele facoltà fisiche e morali, lasciando un figlio d'un annoe fama di essere stato l'uomo più forte nonchè il miglio-re ed il più felice re dei suoi tempi.

8. Estensione e civilizzazione della Numidia.Noi abbiamo già narrato con quale calcolata precisione iRomani nell'alta direzione degli affari africani facesseroemergere la loro simpatia per Massinissa, e come questiapprofittasse sollecitamente e senza riguardo di quel ta-cito permesso per estendere il suo territorio a spese di

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Cartagine.Tutto il paese interno fino ai limiti del deserto venne inpotere di quel principe indigeno e persino la valle supe-riore del Bagrada (Medscherda) colla ricca città di Vaga.Anche sul litorale a levante di Cartagine egli occupòl'antica città dei Sidoni, Leptis Magna, ed altre terre;così che il suo regno si estendeva dai confini della Mau-ritania sino a quelli della Cirenaica circondando sul con-tinente, da ogni lato, il territorio cartaginese ininterrotta-mente.Non v'è alcun dubbio, ch'egli considerasse Cartaginecome la sua futura capitale; ne è prova il partito libicoche vi esisteva.Ma non soltanto colla diminuzione del territorio egli re-cava danno a Cartagine.I pastori nomadi divennero un altro popolo sotto il granre. Seguendo il suo esempio di dissodare vastissime te-nute per lasciare a ciascuno dei suoi figli ragguardevolilatifondi, anche i suoi sudditi cominciarono ad esercitarel'agricoltura ed a rendere stabile la loro dimora.Nello stesso modo che aveva trasformato i suoi pastoriin cittadini, trasformò le sue orde di predoni in soldati,che dai Romani furono considerati degni di combattereaccanto alle legioni, e lasciò ai suoi successori un tesoroben fornito, un esercito ben disciplinato e perfino unaflotta.La sua residenza, Cirta (Costantina), fu la fiorente capi-

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Cartagine.Tutto il paese interno fino ai limiti del deserto venne inpotere di quel principe indigeno e persino la valle supe-riore del Bagrada (Medscherda) colla ricca città di Vaga.Anche sul litorale a levante di Cartagine egli occupòl'antica città dei Sidoni, Leptis Magna, ed altre terre;così che il suo regno si estendeva dai confini della Mau-ritania sino a quelli della Cirenaica circondando sul con-tinente, da ogni lato, il territorio cartaginese ininterrotta-mente.Non v'è alcun dubbio, ch'egli considerasse Cartaginecome la sua futura capitale; ne è prova il partito libicoche vi esisteva.Ma non soltanto colla diminuzione del territorio egli re-cava danno a Cartagine.I pastori nomadi divennero un altro popolo sotto il granre. Seguendo il suo esempio di dissodare vastissime te-nute per lasciare a ciascuno dei suoi figli ragguardevolilatifondi, anche i suoi sudditi cominciarono ad esercitarel'agricoltura ed a rendere stabile la loro dimora.Nello stesso modo che aveva trasformato i suoi pastoriin cittadini, trasformò le sue orde di predoni in soldati,che dai Romani furono considerati degni di combattereaccanto alle legioni, e lasciò ai suoi successori un tesoroben fornito, un esercito ben disciplinato e perfino unaflotta.La sua residenza, Cirta (Costantina), fu la fiorente capi-

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tale di uno stato possente e una delle sedi principali del-la civiltà fenicia, che trovò sollecita cura alla corte delre dei Berberi colla speranza di un futuro regno numi-dico-cartaginese.La nazione dei Libi, fino allora oppressa, s'innalzò cosìin faccia a se stessa, ed i costumi e la lingua indigenas'insinuarono nelle antiche città fenicie, come per esem-pio nella Magna Leptide.Sotto l'egida di Roma il Berbero cominciò a sentirsieguale, anzi superiore ai Cartaginesi; gli ambasciatoricartaginesi dovettero udire in Roma che essi, sul suoloafricano erano stranieri e che il paese apparteneva aiLibi.La civiltà fenicio-nazionale dell'Africa settentrionale,che esisteva ancor viva e forte perfino al tempodegl'imperatori che tutto avevano romanizzato, fu menoopera dei Cartaginesi che di Massinissa.

9. Stato della cultura in Spagna.In Spagna le città greche e fenicie del litorale, Emporia,Sagunto, Cartagena, Malaga, Cadice, si piegarono tantopiù volenterose alla dominazione romana in quanto chèabbandonate a se stesse, non sarebbero state in grado didifendersi contro gl'indigeni.Per gli stessi motivi la città di Marsiglia, sebbene piùragguardevole e più in grado di difendersi che non lesuddette, aveva stretta alleanza coi Romani, pei quali di-

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tale di uno stato possente e una delle sedi principali del-la civiltà fenicia, che trovò sollecita cura alla corte delre dei Berberi colla speranza di un futuro regno numi-dico-cartaginese.La nazione dei Libi, fino allora oppressa, s'innalzò cosìin faccia a se stessa, ed i costumi e la lingua indigenas'insinuarono nelle antiche città fenicie, come per esem-pio nella Magna Leptide.Sotto l'egida di Roma il Berbero cominciò a sentirsieguale, anzi superiore ai Cartaginesi; gli ambasciatoricartaginesi dovettero udire in Roma che essi, sul suoloafricano erano stranieri e che il paese apparteneva aiLibi.La civiltà fenicio-nazionale dell'Africa settentrionale,che esisteva ancor viva e forte perfino al tempodegl'imperatori che tutto avevano romanizzato, fu menoopera dei Cartaginesi che di Massinissa.

9. Stato della cultura in Spagna.In Spagna le città greche e fenicie del litorale, Emporia,Sagunto, Cartagena, Malaga, Cadice, si piegarono tantopiù volenterose alla dominazione romana in quanto chèabbandonate a se stesse, non sarebbero state in grado didifendersi contro gl'indigeni.Per gli stessi motivi la città di Marsiglia, sebbene piùragguardevole e più in grado di difendersi che non lesuddette, aveva stretta alleanza coi Romani, pei quali di-

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venne di grande vantaggio come stazione intermedia tral'Italia e la Spagna, assicurandosi il loro possente appog-gio.Gli indigeni invece davano immensamente da fare aiRomani.Non ci è possibile aver una chiara idea di una civiltà na-zionale-iberica. Noi troviamo presso gli Iberi una scrit-tura nazionale molto diffusa, che si divideva in due ramiprincipali; quello della valle dell'Ebro e quellodell'Andalusia, e probabilmente ciascuno di questi sisuddivideva in parecchi altri, la cui origine sembra risa-lire a remotissimi tempi ed accostarsi piuttosto all'alfa-beto greco antico che non al fenicio.Dei Turdetani (presso Siviglia) si narra perfino, che pos-sedessero delle canzoni di tempi antichissimi, che aves-sero un codice composto di 6000 versi metrici e dellememorie storiche.Certamente questa popolazione ci viene indicata comepiù incivilita e nello stesso tempo la meno bellicosa frale spagnuole, e infatti essa conduceva normalmente lesue guerre mediante mercenari.A questo paese si riferiscono probabilmente anche lenarrazioni di Polibio, dove parla dello stato fiorentedell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame in Spa-gna, per cui, mancando i mezzi d'esportazione, il granoe la carne vi si vendevano a vilissimi prezzi, e dei son-tuosi palazzi dei re, e dei vasi d'oro e d'argento pieni di

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venne di grande vantaggio come stazione intermedia tral'Italia e la Spagna, assicurandosi il loro possente appog-gio.Gli indigeni invece davano immensamente da fare aiRomani.Non ci è possibile aver una chiara idea di una civiltà na-zionale-iberica. Noi troviamo presso gli Iberi una scrit-tura nazionale molto diffusa, che si divideva in due ramiprincipali; quello della valle dell'Ebro e quellodell'Andalusia, e probabilmente ciascuno di questi sisuddivideva in parecchi altri, la cui origine sembra risa-lire a remotissimi tempi ed accostarsi piuttosto all'alfa-beto greco antico che non al fenicio.Dei Turdetani (presso Siviglia) si narra perfino, che pos-sedessero delle canzoni di tempi antichissimi, che aves-sero un codice composto di 6000 versi metrici e dellememorie storiche.Certamente questa popolazione ci viene indicata comepiù incivilita e nello stesso tempo la meno bellicosa frale spagnuole, e infatti essa conduceva normalmente lesue guerre mediante mercenari.A questo paese si riferiscono probabilmente anche lenarrazioni di Polibio, dove parla dello stato fiorentedell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame in Spa-gna, per cui, mancando i mezzi d'esportazione, il granoe la carne vi si vendevano a vilissimi prezzi, e dei son-tuosi palazzi dei re, e dei vasi d'oro e d'argento pieni di

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«vino d'orzo».Gli Spagnuoli, se non tutti, in parte adottarono con pre-murosa sollecitudine gli elementi di civiltà introdotti daiRomani, sicchè la romanizzazione fece progresso inSpagna prima che in qualunque altra provincia oltrema-rina. Così per esempio, fu introdotto fino da quell'epocapresso gli indigeni l'uso dei bagni caldi secondo il costu-me italico, e secondo tutte le apparenze fu la Spagna ilprimo paese fuori d'Italia dove la moneta romana nonsolo avesse corso, ma dove ancora venisse coniata; ciòche si comprende facilmente considerando le ricche mi-niere del paese.Il così detto «argento d'Osca» (oggi Huesca nell'Arago-na), cioè il denaro spagnuolo con iscrizioni iberiche, èricordato sino dal 559=195, e l'inizio della coniazionenon può venir fissato molto più tardi per motivo che ilconio è fatto ad imitazione di quello dei più antichi de-nari romani.Ma quand'anche nei paesi meridionali ed orientali i co-stumi degl'indigeni avessero facilitato la via alla civiltàed alla signoria romana in modo da non trovare in nes-sun luogo seri ostacoli, l'occidente ed il settentrione in-vece, e tutto l'interno del paese erano abitati da numero-se popolazioni più o meno rozze, quasi affatto ignare dicoltura – in Intercatia per esempio ancora l'anno600=154 non si conosceva l'uso dell'oro e dell'argento –le quali non vivevano in maggior armonia tra di loro checon i Romani.

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«vino d'orzo».Gli Spagnuoli, se non tutti, in parte adottarono con pre-murosa sollecitudine gli elementi di civiltà introdotti daiRomani, sicchè la romanizzazione fece progresso inSpagna prima che in qualunque altra provincia oltrema-rina. Così per esempio, fu introdotto fino da quell'epocapresso gli indigeni l'uso dei bagni caldi secondo il costu-me italico, e secondo tutte le apparenze fu la Spagna ilprimo paese fuori d'Italia dove la moneta romana nonsolo avesse corso, ma dove ancora venisse coniata; ciòche si comprende facilmente considerando le ricche mi-niere del paese.Il così detto «argento d'Osca» (oggi Huesca nell'Arago-na), cioè il denaro spagnuolo con iscrizioni iberiche, èricordato sino dal 559=195, e l'inizio della coniazionenon può venir fissato molto più tardi per motivo che ilconio è fatto ad imitazione di quello dei più antichi de-nari romani.Ma quand'anche nei paesi meridionali ed orientali i co-stumi degl'indigeni avessero facilitato la via alla civiltàed alla signoria romana in modo da non trovare in nes-sun luogo seri ostacoli, l'occidente ed il settentrione in-vece, e tutto l'interno del paese erano abitati da numero-se popolazioni più o meno rozze, quasi affatto ignare dicoltura – in Intercatia per esempio ancora l'anno600=154 non si conosceva l'uso dell'oro e dell'argento –le quali non vivevano in maggior armonia tra di loro checon i Romani.

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Caratteristico è in questi liberi Spagnuoli lo spirito ca-valleresco negli uomini, e certo non minore nelle donne.Quando una madre mandava il figlio in battaglia, essa loanimava col racconto dei fasti dei suoi avi, e la più bellavergine offriva, spontanea amante, la destra di sposa alpiù valoroso. Il duello era comune, sia per la palma delvalore, sia per comporre le differenze processuali e per-sino per le questioni ereditarie che sorgevano fra parentidi famiglie principesche.E non di rado accadeva che un guerriero di bella famacomparisse innanzi le file nemiche sfidando un avversa-rio per nome. Il campione soccombente consegnava al-lora al vincitore la spada ed il mantello e stringeva conesso relazioni d'amicizia.Vent'anni dopo finita la guerra annibalica, il piccolo co-mune celtibero di Complega (posto in vicinanza allesorgenti del Tago) mandò un messaggero al generale ro-mano invitandolo a fargli pervenire un cavallo, un man-tello ed un brando per ogni individuo rimasto morto, di-versamente gliene sarebbe derivato male.Fieri del loro onore militare in modo che sovente nonsapevano sopravvivere all'onta di venir disarmati, gliSpagnuoli erano pure pronti a seguire ogni arruolatoreed a porre a repentaglio la loro vita per qualunque estra-neo litigio.È significante l'ambasciata spedita da un generale roma-no bene informato dei costumi del paese ad una truppa

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Caratteristico è in questi liberi Spagnuoli lo spirito ca-valleresco negli uomini, e certo non minore nelle donne.Quando una madre mandava il figlio in battaglia, essa loanimava col racconto dei fasti dei suoi avi, e la più bellavergine offriva, spontanea amante, la destra di sposa alpiù valoroso. Il duello era comune, sia per la palma delvalore, sia per comporre le differenze processuali e per-sino per le questioni ereditarie che sorgevano fra parentidi famiglie principesche.E non di rado accadeva che un guerriero di bella famacomparisse innanzi le file nemiche sfidando un avversa-rio per nome. Il campione soccombente consegnava al-lora al vincitore la spada ed il mantello e stringeva conesso relazioni d'amicizia.Vent'anni dopo finita la guerra annibalica, il piccolo co-mune celtibero di Complega (posto in vicinanza allesorgenti del Tago) mandò un messaggero al generale ro-mano invitandolo a fargli pervenire un cavallo, un man-tello ed un brando per ogni individuo rimasto morto, di-versamente gliene sarebbe derivato male.Fieri del loro onore militare in modo che sovente nonsapevano sopravvivere all'onta di venir disarmati, gliSpagnuoli erano pure pronti a seguire ogni arruolatoreed a porre a repentaglio la loro vita per qualunque estra-neo litigio.È significante l'ambasciata spedita da un generale roma-no bene informato dei costumi del paese ad una truppa

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assoldata dai Turdetani combattente contro i Romani: odi ritornarsene a casa, o di entrare a servizio dei Romanicon doppio soldo, o di fissare il giorno ed il luogo per labattaglia. Quando non si presentava nessun ufficiale in-gaggiatore, si organizzavano in drappelli di volontariper saccheggiare i luoghi tranquilli e perfino per prende-re ed occupare le città, proprio come si praticava nellaCampania.Quanto fosse selvaggio e malsicuro il paese interno loprova il fatto che la deportazione nel paese posto ad oc-cidente di Cartagena era considerato presso i Romanicome una grave pena, e che in tempi anche di lieve agi-tazione i comandanti romani di quelle regioni spagnuolesi facevano scortare sino da 6000 uomini.Ancora più evidentemente lo prova il commercio singo-lare che i Greci esercitavano coi loro vicini Spagnuolinella città greco-ispana d'Emporia, che sorgeva sullapunta orientale dei Pirenei. I coloni greci, stabiliti suuna penisola separata per mezzo di mura dal quartierespagnuolo, facevano occupare questo muro tutte le nottidalla terza parte delle loro milizie, e un impiegato supe-riore era incaricato di custodire continuamente l'unicaporta che vi esisteva: nessun spagnuolo poteva metterpiede nella città greca ed i Greci recavano agl'indigenile loro merci solo accompagnati da numerose scorte.

10. Il dominio romano.Questi indigeni, irrequieti e smaniosi di guerra, che anti-

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assoldata dai Turdetani combattente contro i Romani: odi ritornarsene a casa, o di entrare a servizio dei Romanicon doppio soldo, o di fissare il giorno ed il luogo per labattaglia. Quando non si presentava nessun ufficiale in-gaggiatore, si organizzavano in drappelli di volontariper saccheggiare i luoghi tranquilli e perfino per prende-re ed occupare le città, proprio come si praticava nellaCampania.Quanto fosse selvaggio e malsicuro il paese interno loprova il fatto che la deportazione nel paese posto ad oc-cidente di Cartagena era considerato presso i Romanicome una grave pena, e che in tempi anche di lieve agi-tazione i comandanti romani di quelle regioni spagnuolesi facevano scortare sino da 6000 uomini.Ancora più evidentemente lo prova il commercio singo-lare che i Greci esercitavano coi loro vicini Spagnuolinella città greco-ispana d'Emporia, che sorgeva sullapunta orientale dei Pirenei. I coloni greci, stabiliti suuna penisola separata per mezzo di mura dal quartierespagnuolo, facevano occupare questo muro tutte le nottidalla terza parte delle loro milizie, e un impiegato supe-riore era incaricato di custodire continuamente l'unicaporta che vi esisteva: nessun spagnuolo poteva metterpiede nella città greca ed i Greci recavano agl'indigenile loro merci solo accompagnati da numerose scorte.

10. Il dominio romano.Questi indigeni, irrequieti e smaniosi di guerra, che anti-

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cipavano lo spirito del Cid e di Don Chisciotte, doveva-no ora venir frenati e possibilmente inciviliti dai Roma-ni.Militarmente il compito non era difficile; benchè essi sirivelassero non disprezzabili avversari dei Romani, nonsolo dietro le mura delle loro città, o sotto la direzionedi Annibale, ma anche soli ed in campo aperto: collaloro corta bitagliente daga che i Romani poi ricopiaro-no, e colle formidabili loro colonne d'assalto non di radofecero vacillare persino le legioni romane.Se essi fossero stati capaci di disciplinarsi militarmentee di associarsi politicamente, avrebbero forse potuto li-berarsi dalla signoria straniera loro imposta; ma il lorovalore era piuttosto quello del volontario che non quellodel soldato, e difettavano d'ogni criterio politico.Così in Spagna non si venne ad una seria guerra; manon si godette nemmeno d'una seria pace.Gli Spagnuoli, disse poi giustamente Cesare, non seppe-ro mai esser tranquilli in pace, nè valorosi in guerra.Quanto facile riusciva al generale romano farla finitacolle schiere d'insorgenti, altrettanto difficile era perl'uomo di stato trovare un mezzo adatto, per pacificare ecivilizzare questo paese; e siccome ciò che solo avrebbeeffettivamente potuto bastare, cioè una grande coloniz-zazione latina, era contrario allo scopo universale dellapolitica romana, così all'uomo di stato non rimanevanose non dei mezzi palliativi.

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cipavano lo spirito del Cid e di Don Chisciotte, doveva-no ora venir frenati e possibilmente inciviliti dai Roma-ni.Militarmente il compito non era difficile; benchè essi sirivelassero non disprezzabili avversari dei Romani, nonsolo dietro le mura delle loro città, o sotto la direzionedi Annibale, ma anche soli ed in campo aperto: collaloro corta bitagliente daga che i Romani poi ricopiaro-no, e colle formidabili loro colonne d'assalto non di radofecero vacillare persino le legioni romane.Se essi fossero stati capaci di disciplinarsi militarmentee di associarsi politicamente, avrebbero forse potuto li-berarsi dalla signoria straniera loro imposta; ma il lorovalore era piuttosto quello del volontario che non quellodel soldato, e difettavano d'ogni criterio politico.Così in Spagna non si venne ad una seria guerra; manon si godette nemmeno d'una seria pace.Gli Spagnuoli, disse poi giustamente Cesare, non seppe-ro mai esser tranquilli in pace, nè valorosi in guerra.Quanto facile riusciva al generale romano farla finitacolle schiere d'insorgenti, altrettanto difficile era perl'uomo di stato trovare un mezzo adatto, per pacificare ecivilizzare questo paese; e siccome ciò che solo avrebbeeffettivamente potuto bastare, cioè una grande coloniz-zazione latina, era contrario allo scopo universale dellapolitica romana, così all'uomo di stato non rimanevanose non dei mezzi palliativi.

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Il territorio conquistato dai Romani in Spagna durante laguerra annibalica fu sulle prime diviso in due parti: laprovincia una volta cartaginese che abbracciava gliodierni paesi dell'Andalusia, di Granata e Valenza, ed ilpaese bagnato dall'Ebro, l'Aragona e la Catalogna, doveaveva soggiornato l'esercito romano durante l'ultimaguerra; di questi territori si formarono le due provinceromane dette Spagna citeriore e Spagna ulteriore.I Romani cercavano ridurre a poco a poco sotto la lorosignoria il paese interno corrispondente all'incirca alledue Castiglie e da essi compreso sotto il nome di Celti-beria, accontentandosi d'impedire che gli abitanti deipaesi occidentali, e particolarmente i Lusitani dimorantinell'odierno Portogallo e nell'Estramadura spagnuola,facessero delle invasioni nel suolo romano, e astenendo-si affatto dal mettersi in contatto con le stirpi stanziatesulla costa settentrionale della penisola: i Galliziani, gliAsturiani ed i Cantabri.Era impossibile conservare e consolidare quanto si eraottenuto senza un presidio permanente, mentre il gover-natore della Spagna citeriore durava ogni anno grave fa-tica a tenere in freno i Celtiberi e quello della Spagnainferiore a respingere i Lusitani. Era quindi necessariotenere in Spagna un esercito permanente di quattro fortilegioni, circa 40.000 uomini; oltre a ciò, molto spesso,si doveva chiamare sotto le armi la milizia del paese perrinforzare le legioni nei paesi occupati.Ciò era di grande importanza sotto due aspetti; mentre

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Il territorio conquistato dai Romani in Spagna durante laguerra annibalica fu sulle prime diviso in due parti: laprovincia una volta cartaginese che abbracciava gliodierni paesi dell'Andalusia, di Granata e Valenza, ed ilpaese bagnato dall'Ebro, l'Aragona e la Catalogna, doveaveva soggiornato l'esercito romano durante l'ultimaguerra; di questi territori si formarono le due provinceromane dette Spagna citeriore e Spagna ulteriore.I Romani cercavano ridurre a poco a poco sotto la lorosignoria il paese interno corrispondente all'incirca alledue Castiglie e da essi compreso sotto il nome di Celti-beria, accontentandosi d'impedire che gli abitanti deipaesi occidentali, e particolarmente i Lusitani dimorantinell'odierno Portogallo e nell'Estramadura spagnuola,facessero delle invasioni nel suolo romano, e astenendo-si affatto dal mettersi in contatto con le stirpi stanziatesulla costa settentrionale della penisola: i Galliziani, gliAsturiani ed i Cantabri.Era impossibile conservare e consolidare quanto si eraottenuto senza un presidio permanente, mentre il gover-natore della Spagna citeriore durava ogni anno grave fa-tica a tenere in freno i Celtiberi e quello della Spagnainferiore a respingere i Lusitani. Era quindi necessariotenere in Spagna un esercito permanente di quattro fortilegioni, circa 40.000 uomini; oltre a ciò, molto spesso,si doveva chiamare sotto le armi la milizia del paese perrinforzare le legioni nei paesi occupati.Ciò era di grande importanza sotto due aspetti; mentre

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qui per la prima volta, almeno in una più ampia propor-zione, l'occupazione militare del paese divenne perma-nente, per cui anche il servizio militare cominciò a farsiduraturo.Il costume antico dei Romani di mandare truppe sola-mente dove lo richiedeva il momentaneo bisogno dellaguerra, e, ad eccezione di alcune difficili ed importantiguerre, di non tenere oltre un anno sotto le insegne gliuomini chiamati sotto le armi, si dimostrò incompatibilecol mantenimento dell'ordine nelle irrequiete e lontaneprovince spagnuole d'oltremare; era assolutamente im-possibile togliere di là le truppe, estremamente pericolo-so anche cambiarle in massa.I cittadini romani cominciarono ad accorgersi che il do-minio di un popolo straniero non è una piaga solo pelservo, ma anche pel padrone, e mormoravano senza rite-gno sull'odioso servizio militare in Spagna.Mentre i nuovi generali si rifiutavano con ragione dipermettere il cambio delle truppe in massa, queste siammutinavano e minacciavano che, ove non si desseloro il congedo, se lo prenderebbero esse stesse.Le guerre fatte dai Romani in Spagna non hanno per sestesse che un'importanza subordinata. Esse ebbero prin-cipio colla partenza di Scipione e durarono quanto duròla guerra d'Annibale.Dopo la pace con Cartagine (553=201) tacquero le armianche nella penisola, ma per breve tempo. L'anno

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qui per la prima volta, almeno in una più ampia propor-zione, l'occupazione militare del paese divenne perma-nente, per cui anche il servizio militare cominciò a farsiduraturo.Il costume antico dei Romani di mandare truppe sola-mente dove lo richiedeva il momentaneo bisogno dellaguerra, e, ad eccezione di alcune difficili ed importantiguerre, di non tenere oltre un anno sotto le insegne gliuomini chiamati sotto le armi, si dimostrò incompatibilecol mantenimento dell'ordine nelle irrequiete e lontaneprovince spagnuole d'oltremare; era assolutamente im-possibile togliere di là le truppe, estremamente pericolo-so anche cambiarle in massa.I cittadini romani cominciarono ad accorgersi che il do-minio di un popolo straniero non è una piaga solo pelservo, ma anche pel padrone, e mormoravano senza rite-gno sull'odioso servizio militare in Spagna.Mentre i nuovi generali si rifiutavano con ragione dipermettere il cambio delle truppe in massa, queste siammutinavano e minacciavano che, ove non si desseloro il congedo, se lo prenderebbero esse stesse.Le guerre fatte dai Romani in Spagna non hanno per sestesse che un'importanza subordinata. Esse ebbero prin-cipio colla partenza di Scipione e durarono quanto duròla guerra d'Annibale.Dopo la pace con Cartagine (553=201) tacquero le armianche nella penisola, ma per breve tempo. L'anno

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557=197 scoppiò in entrambe le province una insurre-zione generale.Il comandante della provincia ulteriore fu messo grave-mente alle strette, quello della provincia citeriore com-pletamente vinto ed anzi ucciso. Si rese assolutamentenecessario trattare la guerra seriamente, e, sebbene inquesto frattempo l'attivo pretore Quinto Minucio supe-rasse il primo pericolo, il senato decise di mandare inSpagna nel 559=195 il console Marco Catone.

11. Catone.Al suo sbarco in Emporia egli trovò difatti tutta la Spa-gna citeriore inondata dagli insorti; appena quel porto dimare, con alcuni castelli nell'interno, obbedivano ancoraai Romani.Si venne ad una battaglia campale fra gli insorti e l'eser-cito consolare, in cui dopo un ostinato combattimento acorpo a corpo la giornata fu finalmente decisa dalla stra-tegia romana colla riserva.Tutta la Spagna citeriore fece allora atto di sottomissio-ne, ma tanto di malanimo, che, appena si sparse la noti-zia della partenza del console per Roma, l'insurrezionericominciò.Ma la notizia della partenza era falsa, e Catone, dopod'avere in tutta fretta soggiogati i comuni insorti per laseconda volta, vendendone schiavi gli abitanti in massa,ordinò un disarmo generale degli Spagnuoli nella pro-

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557=197 scoppiò in entrambe le province una insurre-zione generale.Il comandante della provincia ulteriore fu messo grave-mente alle strette, quello della provincia citeriore com-pletamente vinto ed anzi ucciso. Si rese assolutamentenecessario trattare la guerra seriamente, e, sebbene inquesto frattempo l'attivo pretore Quinto Minucio supe-rasse il primo pericolo, il senato decise di mandare inSpagna nel 559=195 il console Marco Catone.

11. Catone.Al suo sbarco in Emporia egli trovò difatti tutta la Spa-gna citeriore inondata dagli insorti; appena quel porto dimare, con alcuni castelli nell'interno, obbedivano ancoraai Romani.Si venne ad una battaglia campale fra gli insorti e l'eser-cito consolare, in cui dopo un ostinato combattimento acorpo a corpo la giornata fu finalmente decisa dalla stra-tegia romana colla riserva.Tutta la Spagna citeriore fece allora atto di sottomissio-ne, ma tanto di malanimo, che, appena si sparse la noti-zia della partenza del console per Roma, l'insurrezionericominciò.Ma la notizia della partenza era falsa, e Catone, dopod'avere in tutta fretta soggiogati i comuni insorti per laseconda volta, vendendone schiavi gli abitanti in massa,ordinò un disarmo generale degli Spagnuoli nella pro-

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vincia citeriore, ed impose a tutte le città abitate dagliindigeni, dai Pirenei al Guadalquivir, di radere al suolonello stesso giorno le loro mura.Nessuno sapeva quale estensione avesse quest'ordine emancava il tempo per intendersi; la maggior parte deicomuni ubbidì ed anche dei restii pochi ebbero il corag-gio di sostenere l'assalto quando l'esercito romano com-parve poco dopo sotto le mura. Queste energiche misurefurono senza dubbio di durevole effetto.Ciò nonpertanto, i Romani avevano quasi ogni anno bi-sogno di ridurre all'obbedienza nella «pacifica provin-cia» una qualche vallata alpina od una qualche rocca; lecontinue invasioni dei Lusitani nella provincia ulterioreterminavano talvolta con gravi sconfitte dei Romani.Così nel 563=191 un esercito romano, dopo aver subìtauna grave perdita, fu costretto ad abbandonare il campoed a ritirarsi in tutta fretta ne' paesi più tranquilli. E fusolo dopo una vittoria riportata dal pretore Lucio EmilioPaolo (565=189)(35), e dopo una seconda ancora più rag-

35 Di questo luogotenente è stato trovato da poco in una lastra di rame in vi-cinanza di Gibilterra, conservata ora nel museo di Parigi, il seguente de-creto: «L. Emilio, figlio di Lucio, imperatore, ha disposto che gli schiavidegli Hastensi (Hastaregia, poco lontano da «Horas de la frontera») abitan-ti nella torre di Lascuta (nota per mezzo di monete e per mezzo di PLINIO 3,1, 15, ma di posizione incerta) dovevano essere liberi, dovevano possedereanche in seguito il suolo e il luogo che possedevano prima, finchè piacesseal popolo e al senato romano. Decreto dato nel campo il 12 gennaio (564 o565) (L. Aimilius L. f. impeirator decreivit, utei quei Hastensium servei inturri Lascutana habiterent leiberei essent. Agrum oppidunqu(e), quod eatempestate posedisent, item possidere habereque iousit, dum poplus sena-tusque Romanus vellet. Act. in castreis a. d. XII K Febr.).

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vincia citeriore, ed impose a tutte le città abitate dagliindigeni, dai Pirenei al Guadalquivir, di radere al suolonello stesso giorno le loro mura.Nessuno sapeva quale estensione avesse quest'ordine emancava il tempo per intendersi; la maggior parte deicomuni ubbidì ed anche dei restii pochi ebbero il corag-gio di sostenere l'assalto quando l'esercito romano com-parve poco dopo sotto le mura. Queste energiche misurefurono senza dubbio di durevole effetto.Ciò nonpertanto, i Romani avevano quasi ogni anno bi-sogno di ridurre all'obbedienza nella «pacifica provin-cia» una qualche vallata alpina od una qualche rocca; lecontinue invasioni dei Lusitani nella provincia ulterioreterminavano talvolta con gravi sconfitte dei Romani.Così nel 563=191 un esercito romano, dopo aver subìtauna grave perdita, fu costretto ad abbandonare il campoed a ritirarsi in tutta fretta ne' paesi più tranquilli. E fusolo dopo una vittoria riportata dal pretore Lucio EmilioPaolo (565=189)(35), e dopo una seconda ancora più rag-

35 Di questo luogotenente è stato trovato da poco in una lastra di rame in vi-cinanza di Gibilterra, conservata ora nel museo di Parigi, il seguente de-creto: «L. Emilio, figlio di Lucio, imperatore, ha disposto che gli schiavidegli Hastensi (Hastaregia, poco lontano da «Horas de la frontera») abitan-ti nella torre di Lascuta (nota per mezzo di monete e per mezzo di PLINIO 3,1, 15, ma di posizione incerta) dovevano essere liberi, dovevano possedereanche in seguito il suolo e il luogo che possedevano prima, finchè piacesseal popolo e al senato romano. Decreto dato nel campo il 12 gennaio (564 o565) (L. Aimilius L. f. impeirator decreivit, utei quei Hastensium servei inturri Lascutana habiterent leiberei essent. Agrum oppidunqu(e), quod eatempestate posedisent, item possidere habereque iousit, dum poplus sena-tusque Romanus vellet. Act. in castreis a. d. XII K Febr.).

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guardevole che riportò sui Lusitani di là del Tago l'anno569=185 il valoroso Caio Calpurnio, che in quel paesefu ricondotta per qualche tempo la quiete.Nella Spagna citeriore il dominio nominale dei Romanifu più fermamente stabilito da Quinto Fulvio Flacco, ilquale, dopo una grande vittoria riportata su di essi nel573=181, ridusse all'obbedienza almeno i più vicini can-toni, e più particolarmente dal suo successore TiberioGracco (575-576=179-178), il quale, meglio che collaforza dell'armi, sottomise trecento comuni spagnuoli as-secondando destramente i costumi di quella schietta efiera nazione.Egli seppe procacciarsi una buona clientela convincendomolti ragguardevoli Celtiberi a prendere servizionell'esercito romano; fece cessare le scorrerie assegnan-do delle terre ai nomadi e raccogliendoli nelle città,come prova la città spagnuola di Graccuri che conservòil suo nome. Regolando con giusti e saggi trattati i rap-porti delle singole popolazioni coi Romani, egli preven-ne, in quanto era possibile, ulteriori sollevazioni.Il suo nome rimase presso gli Spagnuoli in grande esti-mazione, ed il paese godette, da quel tempo in poi, diuna certa tranquillità, sebbene i Celtiberi qualche voltaancora si agitassero sotto il giogo loro imposto.

Questo è il più antico documento romano che possediamo sull'originale compi-lato tre anni prima del noto decreto dei consoli nell'anno 568 in occasionedei baccanali.

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guardevole che riportò sui Lusitani di là del Tago l'anno569=185 il valoroso Caio Calpurnio, che in quel paesefu ricondotta per qualche tempo la quiete.Nella Spagna citeriore il dominio nominale dei Romanifu più fermamente stabilito da Quinto Fulvio Flacco, ilquale, dopo una grande vittoria riportata su di essi nel573=181, ridusse all'obbedienza almeno i più vicini can-toni, e più particolarmente dal suo successore TiberioGracco (575-576=179-178), il quale, meglio che collaforza dell'armi, sottomise trecento comuni spagnuoli as-secondando destramente i costumi di quella schietta efiera nazione.Egli seppe procacciarsi una buona clientela convincendomolti ragguardevoli Celtiberi a prendere servizionell'esercito romano; fece cessare le scorrerie assegnan-do delle terre ai nomadi e raccogliendoli nelle città,come prova la città spagnuola di Graccuri che conservòil suo nome. Regolando con giusti e saggi trattati i rap-porti delle singole popolazioni coi Romani, egli preven-ne, in quanto era possibile, ulteriori sollevazioni.Il suo nome rimase presso gli Spagnuoli in grande esti-mazione, ed il paese godette, da quel tempo in poi, diuna certa tranquillità, sebbene i Celtiberi qualche voltaancora si agitassero sotto il giogo loro imposto.

Questo è il più antico documento romano che possediamo sull'originale compi-lato tre anni prima del noto decreto dei consoli nell'anno 568 in occasionedei baccanali.

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12. Amministrazione della Spagna.Il sistema d'amministrazione nelle due province spa-gnuole era simile a quello adottato per la Sicilia e per laSardegna, ma non identico. La direzione suprema eraposta in quelle province, come in queste, nelle mani didue proconsoli, la cui prima nomina fu fatta nel557=197, nel quale anno avvenne anche la regolarizza-zione dei confini e la definitiva organizzazione dellenuove province.L'assennata disposizione della legge bebia (562=192),secondo la quale i pretori spagnuoli dovevano essere no-minati sempre per due anni, non fu messa seriamente inpratica a causa della crescente concorrenza per le cari-che supreme, e più ancora per la gelosa sorveglianzaesercitata dal senato sugli impiegati, e quindi, eccettuan-do le deviazioni straordinarie, fu mantenuto in vigorel'irragionevole cambiamento annuale dei governanti ro-mani anche per queste province lontane e difficili da co-noscersi.Tutti i comuni soggetti divennero tributari; ma invecedelle decime e dei dazi, come in Sicilia e in Sardegna, lesingole città e tribù furono aggravate, appunto come loerano ai tempi dei Cartaginesi, d'imposte fisse in denaroed altre prestazioni, che il senato nel 583=171 vietò siesigessero manu militari in conseguenza delle lagnanzedei comuni spagnuoli.Le somministrazioni di grano non si facevano se non

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12. Amministrazione della Spagna.Il sistema d'amministrazione nelle due province spa-gnuole era simile a quello adottato per la Sicilia e per laSardegna, ma non identico. La direzione suprema eraposta in quelle province, come in queste, nelle mani didue proconsoli, la cui prima nomina fu fatta nel557=197, nel quale anno avvenne anche la regolarizza-zione dei confini e la definitiva organizzazione dellenuove province.L'assennata disposizione della legge bebia (562=192),secondo la quale i pretori spagnuoli dovevano essere no-minati sempre per due anni, non fu messa seriamente inpratica a causa della crescente concorrenza per le cari-che supreme, e più ancora per la gelosa sorveglianzaesercitata dal senato sugli impiegati, e quindi, eccettuan-do le deviazioni straordinarie, fu mantenuto in vigorel'irragionevole cambiamento annuale dei governanti ro-mani anche per queste province lontane e difficili da co-noscersi.Tutti i comuni soggetti divennero tributari; ma invecedelle decime e dei dazi, come in Sicilia e in Sardegna, lesingole città e tribù furono aggravate, appunto come loerano ai tempi dei Cartaginesi, d'imposte fisse in denaroed altre prestazioni, che il senato nel 583=171 vietò siesigessero manu militari in conseguenza delle lagnanzedei comuni spagnuoli.Le somministrazioni di grano non si facevano se non

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verso indennizzo, ed anche per questo il governatorenon poteva prelevare oltre la ventesima parte del prodot-to, ed in forza dell'accennata disposizione del senato ilprezzo non ne poteva essere fissato arbitrariamente.All'opposto, l'obbligo che fu imposto ai sudditi spa-gnuoli di somministrare contingenti agli eserciti romani,assunse in quelle province un'importanza ben diversa daquella che aveva assunta per lo meno nella pacifica Sici-lia, e quest'obbligo veniva regolato con precisione anchenei diversi trattati. Pare inoltre che a molte città spa-gnuole sia stato concesso il diritto di battere monetad'argento sul piede romano e che il governo romano nonvi esercitasse il monopolio monetario come in Sicilia.Roma sentiva troppo il bisogno di avere in Spagna deisudditi per usare i massimi riguardi possibili nell'intro-durvi e farvi osservare la costituzione provinciale.Nel novero dei comuni particolarmente favoriti daRoma appartenevano le grandi città marittime fondatedai Greci, dai Fenici e dai Romani: Sagunto, Cadice,Tarragona, le quali furono accolte nella lega romanacome colonne naturali della signoria romana nella peni-sola.La Spagna, in conclusione, era tanto dal lato militarecome dal lato finanziario per Roma più un peso che nonun vantaggio.Viene quindi spontanea la domanda perchè il governoromano, nella cui politica non entrava ancora assoluta-

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verso indennizzo, ed anche per questo il governatorenon poteva prelevare oltre la ventesima parte del prodot-to, ed in forza dell'accennata disposizione del senato ilprezzo non ne poteva essere fissato arbitrariamente.All'opposto, l'obbligo che fu imposto ai sudditi spa-gnuoli di somministrare contingenti agli eserciti romani,assunse in quelle province un'importanza ben diversa daquella che aveva assunta per lo meno nella pacifica Sici-lia, e quest'obbligo veniva regolato con precisione anchenei diversi trattati. Pare inoltre che a molte città spa-gnuole sia stato concesso il diritto di battere monetad'argento sul piede romano e che il governo romano nonvi esercitasse il monopolio monetario come in Sicilia.Roma sentiva troppo il bisogno di avere in Spagna deisudditi per usare i massimi riguardi possibili nell'intro-durvi e farvi osservare la costituzione provinciale.Nel novero dei comuni particolarmente favoriti daRoma appartenevano le grandi città marittime fondatedai Greci, dai Fenici e dai Romani: Sagunto, Cadice,Tarragona, le quali furono accolte nella lega romanacome colonne naturali della signoria romana nella peni-sola.La Spagna, in conclusione, era tanto dal lato militarecome dal lato finanziario per Roma più un peso che nonun vantaggio.Viene quindi spontanea la domanda perchè il governoromano, nella cui politica non entrava ancora assoluta-

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mente il programma di conquiste ultramarine, non ri-nunziasse a questi incomodi possedimenti.Le ragguardevoli relazioni commerciali, le importantiminiere di ferro e le miniere d'argento ancora più impor-tanti(36) e famose da antichissimi tempi persino nel lonta-no oriente, che erano utilizzate dai Romani come lo era-no state dai Cartaginesi, e della cui amministrazioneebbe cura particolarmente Marco Catone (559=195), viavranno senza dubbio influito; ma la ragione principaleper cui i Romani mantenevano la signoria diretta nellapenisola era quella che qui mancava uno stato similealla repubblica marsigliese nel paese dei Celti e al regnonumidico nella Libia, e che non si poteva abbandonarela Spagna senza offrire il destro ad un avventurieroqualsiasi di farvi rivivere il regno spagnuolo dei Barca.

36 1, MACCAB. VIII. 3: «E Giuda udì ciò che i Romani avevano fatto nel pae-se di Spagna per divenire padroni di quelle miniere d'argento e d'oro».

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mente il programma di conquiste ultramarine, non ri-nunziasse a questi incomodi possedimenti.Le ragguardevoli relazioni commerciali, le importantiminiere di ferro e le miniere d'argento ancora più impor-tanti(36) e famose da antichissimi tempi persino nel lonta-no oriente, che erano utilizzate dai Romani come lo era-no state dai Cartaginesi, e della cui amministrazioneebbe cura particolarmente Marco Catone (559=195), viavranno senza dubbio influito; ma la ragione principaleper cui i Romani mantenevano la signoria diretta nellapenisola era quella che qui mancava uno stato similealla repubblica marsigliese nel paese dei Celti e al regnonumidico nella Libia, e che non si poteva abbandonarela Spagna senza offrire il destro ad un avventurieroqualsiasi di farvi rivivere il regno spagnuolo dei Barca.

36 1, MACCAB. VIII. 3: «E Giuda udì ciò che i Romani avevano fatto nel pae-se di Spagna per divenire padroni di quelle miniere d'argento e d'oro».

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OTTAVO CAPITOLOGLI STATI ORIENTALI E LA

SECONDA GUERRA MACEDONICA

1. L'oriente ellenico.L'opera incominciata da Alessandro re di Macedonia unsecolo prima che i Romani conquistassero un solo pal-mo di quella terra che egli aveva chiamato sua,quest'opera, rimanendo pure il concetto fondamentale diellenizzare l'oriente, si era con l'andar del tempo a pocoa poco cambiata ed ingrandita sino alla formazione d'unsistema di stati elleno-asiatici.L'invincibile tendenza della nazione greca per l'emigra-zione, che aveva già condotto i suoi commercianti aMarsiglia ed a Cirene, sulle sponde del Nilo e del MarNero, manteneva ora quanto il re aveva acquistato, edappertutto nell'antico regno degli Achemenidi si anda-va introducendo pacificamente la civiltà greca sotto laprotezione dei falangisti.I generali che avevano raccolta l'eredità del grande capi-tano si erano messi a poco a poco d'accordo ed era statostabilito un sistema d'equilibrio, le cui oscillazioni stesseaccennavano ad una certa regolarità.Dei tre stati di prim'ordine che vi appartenevano, la Ma-cedonia, l'Asia e l'Egitto, la prima era in complesso, al-meno apparentemente, sotto Filippo V, re dal 534=220,

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OTTAVO CAPITOLOGLI STATI ORIENTALI E LA

SECONDA GUERRA MACEDONICA

1. L'oriente ellenico.L'opera incominciata da Alessandro re di Macedonia unsecolo prima che i Romani conquistassero un solo pal-mo di quella terra che egli aveva chiamato sua,quest'opera, rimanendo pure il concetto fondamentale diellenizzare l'oriente, si era con l'andar del tempo a pocoa poco cambiata ed ingrandita sino alla formazione d'unsistema di stati elleno-asiatici.L'invincibile tendenza della nazione greca per l'emigra-zione, che aveva già condotto i suoi commercianti aMarsiglia ed a Cirene, sulle sponde del Nilo e del MarNero, manteneva ora quanto il re aveva acquistato, edappertutto nell'antico regno degli Achemenidi si anda-va introducendo pacificamente la civiltà greca sotto laprotezione dei falangisti.I generali che avevano raccolta l'eredità del grande capi-tano si erano messi a poco a poco d'accordo ed era statostabilito un sistema d'equilibrio, le cui oscillazioni stesseaccennavano ad una certa regolarità.Dei tre stati di prim'ordine che vi appartenevano, la Ma-cedonia, l'Asia e l'Egitto, la prima era in complesso, al-meno apparentemente, sotto Filippo V, re dal 534=220,

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ciò che era stata sotto Filippo II padre d'Alessandro: unostato militare bene organizzato e colle finanze ben ordi-nate.Ai confini settentrionali, dopo che i flutti dell'inondazio-ne gallica si erano dileguati, erano state ripristinate leantiche condizioni; le guardie di confine tenevano (al-meno nei tempi ordinari) senza grave difficoltà in frenoi barbari dell'Illiria.A mezzogiorno non solo la Grecia in generale dipende-va dalla Macedonia, ma in gran parte tutti i paesi, comela Tessalia in tutta la sua estensione dal monte Olimpoal fiume Sperchio ed alla penisola di Magnesia, la gran-de ed importante isola di Eubea, e similmente la Locri-de, la Doride e la Focide, finalmente parecchie piazzeisolate nell'Attica e nel Peloponneso, come sarebbero ilpromontorio di Sunio, Corinto, Orcomeno. Erea ed ilterritorio trifilico erano soggetti alla Macedonia e rice-vevano presidii particolarmente le tre importanti fortez-ze di Demetria nella penisola di Magnesia, di Colchidenell'isola Eubea e di Corinto, chiamate «le tre catene de-gli Elleni».La forza dello stato però risiedeva nella madre patria, laMacedonia.La popolazione di questo vasto territorio veramente eramolto scarsa; giacchè facendo tutti i possibili sforzi, laMacedonia era appena in grado di chiamare sotto learmi quanti uomini contava uno dei soliti eserciti conso-

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ciò che era stata sotto Filippo II padre d'Alessandro: unostato militare bene organizzato e colle finanze ben ordi-nate.Ai confini settentrionali, dopo che i flutti dell'inondazio-ne gallica si erano dileguati, erano state ripristinate leantiche condizioni; le guardie di confine tenevano (al-meno nei tempi ordinari) senza grave difficoltà in frenoi barbari dell'Illiria.A mezzogiorno non solo la Grecia in generale dipende-va dalla Macedonia, ma in gran parte tutti i paesi, comela Tessalia in tutta la sua estensione dal monte Olimpoal fiume Sperchio ed alla penisola di Magnesia, la gran-de ed importante isola di Eubea, e similmente la Locri-de, la Doride e la Focide, finalmente parecchie piazzeisolate nell'Attica e nel Peloponneso, come sarebbero ilpromontorio di Sunio, Corinto, Orcomeno. Erea ed ilterritorio trifilico erano soggetti alla Macedonia e rice-vevano presidii particolarmente le tre importanti fortez-ze di Demetria nella penisola di Magnesia, di Colchidenell'isola Eubea e di Corinto, chiamate «le tre catene de-gli Elleni».La forza dello stato però risiedeva nella madre patria, laMacedonia.La popolazione di questo vasto territorio veramente eramolto scarsa; giacchè facendo tutti i possibili sforzi, laMacedonia era appena in grado di chiamare sotto learmi quanti uomini contava uno dei soliti eserciti conso-

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lari di due legioni, ed è evidente che il paese, sotto que-sto rapporto, risentiva ancora delle gravissime perditesofferte durante le guerre d'Alessandro e l'invasione deiGalli.Mentre però nella Grecia propriamente detta l'energiamorale e politica della nazione era venuta meno, ed imigliori uomini consumavano il loro tempo tra i bic-chieri, nella scherma, o sfogliando libri, giacchè sem-brava che per la nazione tutto fosse finito e che la vitanon fosse ormai più degna d'esser vissuta; mentre i Gre-ci in oriente ed in Alessandria potevano spargere semifecondi fra la folta popolazione indigena e diffondervi laloro favella e la loro loquela, la loro scienza e la loropseudo-scienza, il loro numero era appena sufficienteper somministrare alla nazione gli ufficiali, gli uomini distato e i maestri di scuola, e troppo scarso per formareun ceto medio veramente greco anche nelle sole città,esisteva per contro nella Grecia settentrionale ancorauna buona parte dell'antico energico sentimento nazio-nale, dal quale erano sorti i vincitori di Maratona.Da ciò la sicurezza colla quale i Macedoni, gli Etoli egli Acarnani, dappertutto dove si mostravano in oriente,si rivelavano e venivano riconosciuti come appartenentiad una stirpe superiore, e l'influenza ch'essi per ciò eser-citarono alle corti di Alessandria e di Antiochia.Ne è prova il fatto di quell'Alessandrino, il quale avevavissuto lungamente in Macedonia, e vi aveva adottatogli abiti ed i costumi del paese, e che tornando in patria

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lari di due legioni, ed è evidente che il paese, sotto que-sto rapporto, risentiva ancora delle gravissime perditesofferte durante le guerre d'Alessandro e l'invasione deiGalli.Mentre però nella Grecia propriamente detta l'energiamorale e politica della nazione era venuta meno, ed imigliori uomini consumavano il loro tempo tra i bic-chieri, nella scherma, o sfogliando libri, giacchè sem-brava che per la nazione tutto fosse finito e che la vitanon fosse ormai più degna d'esser vissuta; mentre i Gre-ci in oriente ed in Alessandria potevano spargere semifecondi fra la folta popolazione indigena e diffondervi laloro favella e la loro loquela, la loro scienza e la loropseudo-scienza, il loro numero era appena sufficienteper somministrare alla nazione gli ufficiali, gli uomini distato e i maestri di scuola, e troppo scarso per formareun ceto medio veramente greco anche nelle sole città,esisteva per contro nella Grecia settentrionale ancorauna buona parte dell'antico energico sentimento nazio-nale, dal quale erano sorti i vincitori di Maratona.Da ciò la sicurezza colla quale i Macedoni, gli Etoli egli Acarnani, dappertutto dove si mostravano in oriente,si rivelavano e venivano riconosciuti come appartenentiad una stirpe superiore, e l'influenza ch'essi per ciò eser-citarono alle corti di Alessandria e di Antiochia.Ne è prova il fatto di quell'Alessandrino, il quale avevavissuto lungamente in Macedonia, e vi aveva adottatogli abiti ed i costumi del paese, e che tornando in patria

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considerava sè stesso come un uomo e gli Alessandrinicome schiavi.Questo maschio vigore e questo non indebolito spiritonazionale giovarono specialmente alla Macedonia comeal più potente ed al più ordinato fra gli stati greco-set-tentrionali.È ben vero che anche qui sorse l'assolutismo control'antica costituzione, che era per così dire rappresentati-va; ma le relazioni tra il signore ed il suddito non sonoperò nella Macedonia assolutamente come in Asia e inEgitto; poichè il popolo ha ancora la coscienza della li-bertà e dell'indipendenza.Fermo nel suo coraggio contro qualsiasi nemico del pae-se, immutabile nella fedeltà verso la patria ed il governoavito, intrepido nelle più difficili prove, il popolo mace-done è fra tutti i popoli della storia antica quello che piùsi avvicina al romano, e la rigenerazione del paese dopol'invasione dei Galli, che ha del prodigioso, sta ad impe-rituro onore degli uomini che la diressero, non meno chedel popolo da essi diretto.

2. La Siria.Il secondo grande stato, la Siria, altro non era che laPersia trasformata e superficialmente ellenizzata; era ilregno del «re dei re» come il suo stesso sovrano nellasua presunzione e debolezza soleva chiamarsi; collestesse pretese d'imperare dall'Ellesponto sino al Pend-

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considerava sè stesso come un uomo e gli Alessandrinicome schiavi.Questo maschio vigore e questo non indebolito spiritonazionale giovarono specialmente alla Macedonia comeal più potente ed al più ordinato fra gli stati greco-set-tentrionali.È ben vero che anche qui sorse l'assolutismo control'antica costituzione, che era per così dire rappresentati-va; ma le relazioni tra il signore ed il suddito non sonoperò nella Macedonia assolutamente come in Asia e inEgitto; poichè il popolo ha ancora la coscienza della li-bertà e dell'indipendenza.Fermo nel suo coraggio contro qualsiasi nemico del pae-se, immutabile nella fedeltà verso la patria ed il governoavito, intrepido nelle più difficili prove, il popolo mace-done è fra tutti i popoli della storia antica quello che piùsi avvicina al romano, e la rigenerazione del paese dopol'invasione dei Galli, che ha del prodigioso, sta ad impe-rituro onore degli uomini che la diressero, non meno chedel popolo da essi diretto.

2. La Siria.Il secondo grande stato, la Siria, altro non era che laPersia trasformata e superficialmente ellenizzata; era ilregno del «re dei re» come il suo stesso sovrano nellasua presunzione e debolezza soleva chiamarsi; collestesse pretese d'imperare dall'Ellesponto sino al Pend-

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schab, e colla stessa organizzazione senza vigore, un fa-scio di stati vassalli, più o meno dipendenti, di satrapiinsubordinati e di città greche semilibere.Dell'Asia minore, che di nome faceva parte del regnodei Seleucidi, tutta la costa settentrionale e la maggiorparte dell'interno territorio orientale erano di fatto inpossesso delle dinastie indigene ed in balia delle frottedi Celti introdottivisi dall'Europa; una buona partedell'oriente era tenuta dal re di Pergamo, e le isole, non-chè le città marittime erano in parte egizie, in parte libe-re, cosicchè al gran re rimaneva poco più della parte in-terna della Cilicia, della Frigia e della Lidia ed una seriedi titoli giuridici non realizzabili verso le città libere everso principi – organizzazione simile alla signoriadell'imperatore di Germania fuori del proprio territorioparticolare.Il regno andava consumando le proprie forze negli inuti-li tentativi per scacciare gli Egizi dai paesi del litorale;nelle contese di confine coi popoli orientali, i Parti ed iBattriani; nelle guerre coi Celti stabilitisi nell'Asia mi-nore per suo malanno; nei continui sforzi per impedire itentativi d'emancipazione dei satrapi orientali e dei Gre-ci dell'Asia minore; e nei dissidi di famiglia e nei tenta-tivi insurrezionali dei pretendenti, di cui non vi fu, vera-mente, difetto in nessuno degli stati fondati dai succes-sori di Alessandro, come non vi fu, in generale, difettodi quegli orrori che accompagnano le monarchie assolu-te nei tempi depravati, ma che nella Siria erano più fu-

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schab, e colla stessa organizzazione senza vigore, un fa-scio di stati vassalli, più o meno dipendenti, di satrapiinsubordinati e di città greche semilibere.Dell'Asia minore, che di nome faceva parte del regnodei Seleucidi, tutta la costa settentrionale e la maggiorparte dell'interno territorio orientale erano di fatto inpossesso delle dinastie indigene ed in balia delle frottedi Celti introdottivisi dall'Europa; una buona partedell'oriente era tenuta dal re di Pergamo, e le isole, non-chè le città marittime erano in parte egizie, in parte libe-re, cosicchè al gran re rimaneva poco più della parte in-terna della Cilicia, della Frigia e della Lidia ed una seriedi titoli giuridici non realizzabili verso le città libere everso principi – organizzazione simile alla signoriadell'imperatore di Germania fuori del proprio territorioparticolare.Il regno andava consumando le proprie forze negli inuti-li tentativi per scacciare gli Egizi dai paesi del litorale;nelle contese di confine coi popoli orientali, i Parti ed iBattriani; nelle guerre coi Celti stabilitisi nell'Asia mi-nore per suo malanno; nei continui sforzi per impedire itentativi d'emancipazione dei satrapi orientali e dei Gre-ci dell'Asia minore; e nei dissidi di famiglia e nei tenta-tivi insurrezionali dei pretendenti, di cui non vi fu, vera-mente, difetto in nessuno degli stati fondati dai succes-sori di Alessandro, come non vi fu, in generale, difettodi quegli orrori che accompagnano le monarchie assolu-te nei tempi depravati, ma che nella Siria erano più fu-

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nesti che altrove a motivo che, per la rilassata compagi-ne del regno, essi cagionavano lo smembramento diqualche parte del paese per un tempo più o meno lungo.

3. L'Egitto.L'Egitto, in aperto contrasto colla Siria, era un paesestrettamente unito, nel quale l'intelligenza politica deiprimi Lagidi, approfittando destramente delle antichecostumanze nazionali e religiose, aveva fondato una si-gnoria di corte la più assoluta, e dove anche il peggioredei governi non avrebbe potuto provocare un tentativonè di emancipazione nè di separazione.Molto diverso dal sentimento monarchico nazionale deiMacedoni, il quale si appoggiava sulla coscienza dellapropria dignità di cui era l'espressione politica, il paeseera in Egitto affatto passivo; la capitale invece era tutto,e la capitale era una dipendenza della corte, per cui quipiù che nella Macedonia e nella Siria la rilassatezza el'inerzia dei sovrani paralizzavano lo stato mentre inve-ce nelle mani di uomini come il primo Tolomeo e Tolo-meo Evergete lo stato, ridotto ad un meccanismo, pote-va venire utilizzato immensamente.L'Egitto, di fronte ai suoi grandi rivali, aveva il partico-lare vantaggio che la sua politica non era fantastica, mamirava a scopi chiari e conseguibili.La Macedonia, patria d'Alessandro, la Siria, paese in cuiAlessandro aveva fondato il suo trono, non cessavano di

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nesti che altrove a motivo che, per la rilassata compagi-ne del regno, essi cagionavano lo smembramento diqualche parte del paese per un tempo più o meno lungo.

3. L'Egitto.L'Egitto, in aperto contrasto colla Siria, era un paesestrettamente unito, nel quale l'intelligenza politica deiprimi Lagidi, approfittando destramente delle antichecostumanze nazionali e religiose, aveva fondato una si-gnoria di corte la più assoluta, e dove anche il peggioredei governi non avrebbe potuto provocare un tentativonè di emancipazione nè di separazione.Molto diverso dal sentimento monarchico nazionale deiMacedoni, il quale si appoggiava sulla coscienza dellapropria dignità di cui era l'espressione politica, il paeseera in Egitto affatto passivo; la capitale invece era tutto,e la capitale era una dipendenza della corte, per cui quipiù che nella Macedonia e nella Siria la rilassatezza el'inerzia dei sovrani paralizzavano lo stato mentre inve-ce nelle mani di uomini come il primo Tolomeo e Tolo-meo Evergete lo stato, ridotto ad un meccanismo, pote-va venire utilizzato immensamente.L'Egitto, di fronte ai suoi grandi rivali, aveva il partico-lare vantaggio che la sua politica non era fantastica, mamirava a scopi chiari e conseguibili.La Macedonia, patria d'Alessandro, la Siria, paese in cuiAlessandro aveva fondato il suo trono, non cessavano di

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considerarsi continuazioni immediate della monarchiad'Alessandro e di elevare più o meno forti pretese se nonper ripristinarla, per lo meno per rappresentarla.I Lagidi non hanno mai tentato di fondare una monar-chia universale, nè sognato la conquista delle Indie; maessi attirarono tutto il commercio, che si faceva tral'India ed il Mediterraneo, dai porti della Fenicia a quellid'Alessandria, elevarono l'Egitto a primo stato commer-ciale e marittimo di quell'epoca ed alla signoria del Me-diterraneo orientale, delle sue coste e delle sue isole.È degno di essere rilevato, che Tolomeo III Evergete re-stituì spontaneamente a Seleuco Callinico tutte le con-quiste da lui fatte ad eccezione di quella del portod'Antiochia.Per queste misure e per la sua favorevole posizione geo-grafica, l'Egitto si trovava di fronte alle due potenzecontinentali in una eccellente situazione militare tantoper difendersi quanto per offendere.Mentre il nemico, anche dopo fortunati successi, era ap-pena in grado di minacciare seriamente l'Egitto inacces-sibile quasi da tutte le parti ad armate di terra, gli Egi-ziani potevano stabilirsi per mare non solo in Cirene, maanche in Cipro e nelle Cicladi, sulla costa fenicio-siria-ca, e su tutto il litorale meridionale ed occidentaledell'Asia minore, e persino in Europa nel Chersonesotracico.Sfruttando in modo inaudito, a vantaggio del pubblico

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considerarsi continuazioni immediate della monarchiad'Alessandro e di elevare più o meno forti pretese se nonper ripristinarla, per lo meno per rappresentarla.I Lagidi non hanno mai tentato di fondare una monar-chia universale, nè sognato la conquista delle Indie; maessi attirarono tutto il commercio, che si faceva tral'India ed il Mediterraneo, dai porti della Fenicia a quellid'Alessandria, elevarono l'Egitto a primo stato commer-ciale e marittimo di quell'epoca ed alla signoria del Me-diterraneo orientale, delle sue coste e delle sue isole.È degno di essere rilevato, che Tolomeo III Evergete re-stituì spontaneamente a Seleuco Callinico tutte le con-quiste da lui fatte ad eccezione di quella del portod'Antiochia.Per queste misure e per la sua favorevole posizione geo-grafica, l'Egitto si trovava di fronte alle due potenzecontinentali in una eccellente situazione militare tantoper difendersi quanto per offendere.Mentre il nemico, anche dopo fortunati successi, era ap-pena in grado di minacciare seriamente l'Egitto inacces-sibile quasi da tutte le parti ad armate di terra, gli Egi-ziani potevano stabilirsi per mare non solo in Cirene, maanche in Cipro e nelle Cicladi, sulla costa fenicio-siria-ca, e su tutto il litorale meridionale ed occidentaledell'Asia minore, e persino in Europa nel Chersonesotracico.Sfruttando in modo inaudito, a vantaggio del pubblico

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tesoro, la fertilissima valle del Nilo, e mercè una saggiaamministrazione delle finanze che promoveva, senza al-cun riguardo, ma con avvedutezza e criterio, gli interessimateriali, la corte d'Alessandria era anche economica-mente superiore alle sue rivali.Finalmente l'intelligente munificenza con cui i Lagidiassecondavano lo spirito del tempo, facendo fare inve-stigazioni in tutti i campi della scienza, contenendolaentro i limiti della monarchia assoluta e legandola aisuoi interessi, si risolveva non solo in immediato van-taggio dello stato, che nella costruzione delle navi e del-le macchine sentiva la benefica influenza della matema-tica alessandrina, ma riduceva anche questa nuova forzaintellettuale – la più importante e grandiosa che il popo-lo ellenico serbasse dopo il suo sminuzzamento politico– a servizio della corte d'Alessandria per quanto essapoteva prestarsi alle sue necessità.Se il regno d'Alessandro fosse rimasto in vita, la scienzae l'arte greca avrebbero trovato uno stato degno e capacedi comprenderle. Ora che la nazione era caduta in rovinaimperava in mezzo ad essa il dotto cosmopolitismo eAlessandria divenne in breve la sua calamita, come illuogo ove trovavansi mezzi scientifici e collezioni ine-sauribili, dove i re scrivevano tragedie ed i ministri lecommentavano, dove abbondavano le pensioni e le ac-cademie.I rapporti delle tre grandi potenze fra di loro risultano daquanto si è detto. La potenza marittima, che dominava i

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tesoro, la fertilissima valle del Nilo, e mercè una saggiaamministrazione delle finanze che promoveva, senza al-cun riguardo, ma con avvedutezza e criterio, gli interessimateriali, la corte d'Alessandria era anche economica-mente superiore alle sue rivali.Finalmente l'intelligente munificenza con cui i Lagidiassecondavano lo spirito del tempo, facendo fare inve-stigazioni in tutti i campi della scienza, contenendolaentro i limiti della monarchia assoluta e legandola aisuoi interessi, si risolveva non solo in immediato van-taggio dello stato, che nella costruzione delle navi e del-le macchine sentiva la benefica influenza della matema-tica alessandrina, ma riduceva anche questa nuova forzaintellettuale – la più importante e grandiosa che il popo-lo ellenico serbasse dopo il suo sminuzzamento politico– a servizio della corte d'Alessandria per quanto essapoteva prestarsi alle sue necessità.Se il regno d'Alessandro fosse rimasto in vita, la scienzae l'arte greca avrebbero trovato uno stato degno e capacedi comprenderle. Ora che la nazione era caduta in rovinaimperava in mezzo ad essa il dotto cosmopolitismo eAlessandria divenne in breve la sua calamita, come illuogo ove trovavansi mezzi scientifici e collezioni ine-sauribili, dove i re scrivevano tragedie ed i ministri lecommentavano, dove abbondavano le pensioni e le ac-cademie.I rapporti delle tre grandi potenze fra di loro risultano daquanto si è detto. La potenza marittima, che dominava i

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litorali e monopolizzava il mare, dopo ottenuto il primogrande successo, cioè la separazione politica del conti-nente europeo dall'asiatico, doveva proseguire la suaopera, ch'era l'indebolimento dei due grandi stati conti-nentali e quindi la protezione di tutti gli stati minori,mentre la Macedonia e la Siria, sebbene anch'esse rivalitra loro, ravvisavano prima d'ogni altra cosa nell'Egittoil loro comune nemico, di fronte al quale esse stavano oper lo meno avrebbero dovuto stare unite.

4. Regni nell'Asia minore.Fra gli stati di second'ordine la serie di piccoli stati –che dall'estremità meridionale del Mar Caspio finoall'Ellesponto abbracciava tutta la parte settentrionaledell'Asia minore: Atropatene (oggi Azerbagian a sud-ovest del Mar Caspio) con accanto l'Armenia, la Cappa-docia nell'interno dell'Asia minore, il Ponto nella costasud-est, la Bitinia in quella sud, ovest del Mar Nero –presentava nelle relazioni dell'oriente coll'occidenteun'importanza soltanto indiretta.Erano tutti frammenti del gran regno dei Persiani e do-minati da dinastie orientali, per la massima parte anchedinastie persiane. La montuosa e lontana provincia diAtropatene era il vero asilo dell'antica nazionalità per-siana, accanto alla quale era passata, senza lasciar trac-cia, persino la spedizione d'Alessandro. Tutti questi statisi trovavano nella stessa temporanea e superficiale di-pendenza dalla dinastia greca, che nella Siria era venuta

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litorali e monopolizzava il mare, dopo ottenuto il primogrande successo, cioè la separazione politica del conti-nente europeo dall'asiatico, doveva proseguire la suaopera, ch'era l'indebolimento dei due grandi stati conti-nentali e quindi la protezione di tutti gli stati minori,mentre la Macedonia e la Siria, sebbene anch'esse rivalitra loro, ravvisavano prima d'ogni altra cosa nell'Egittoil loro comune nemico, di fronte al quale esse stavano oper lo meno avrebbero dovuto stare unite.

4. Regni nell'Asia minore.Fra gli stati di second'ordine la serie di piccoli stati –che dall'estremità meridionale del Mar Caspio finoall'Ellesponto abbracciava tutta la parte settentrionaledell'Asia minore: Atropatene (oggi Azerbagian a sud-ovest del Mar Caspio) con accanto l'Armenia, la Cappa-docia nell'interno dell'Asia minore, il Ponto nella costasud-est, la Bitinia in quella sud, ovest del Mar Nero –presentava nelle relazioni dell'oriente coll'occidenteun'importanza soltanto indiretta.Erano tutti frammenti del gran regno dei Persiani e do-minati da dinastie orientali, per la massima parte anchedinastie persiane. La montuosa e lontana provincia diAtropatene era il vero asilo dell'antica nazionalità per-siana, accanto alla quale era passata, senza lasciar trac-cia, persino la spedizione d'Alessandro. Tutti questi statisi trovavano nella stessa temporanea e superficiale di-pendenza dalla dinastia greca, che nella Siria era venuta

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a porsi, o voleva porsi al posto dei gran re.Di maggior importanza, per le condizioni generali, è lostato dei Celti nell'interno dell'Asia minore. Fra la Biti-nia, la Paflagonia, la Cappadocia e la Frigia si erano sta-bilite tre tribù: i Tolistoagi, i Tettosagi ed i Trocmeri,senza nulla lasciare della loro lingua, dei loro costumi,della loro costituzione e del loro mestiere di predoni.I dodici tetrarchi, ciascuno alla testa d'uno dei quattrocantoni delle tre tribù, formavano col loro consiglio ditrecento membri la suprema autorità della nazione, e siradunavano sul «Sacrato» (Drunemetum), principalmen-te per pronunciare sentenze capitali.Quanto singolare sembrava agli Asiatici simile costitu-zione cantonale dei Celti, altrettanto strana riusciva lorola temerità ed il costume dei lanzichenecchi, di questiintrusi settentrionali, i quali da un lato somministravanoagli imbelli loro vicini, mercenari per qualsiasi guerra;dall'altro saccheggiavano o mettevano a contribuzione icircostanti paesi.Questi rozzi ma robusti barbari erano lo spavento delleeffeminate nazioni ch'erano attorno, e persino dei granre asiatici, i quali, dopo che più d'un esercito asiatico erastato distrutto dai Celti, e dopo che il re Antioco I Sote-ro vi aveva persino perduta la vita in una battaglia(493=261), si adattarono alla fine anche a pagare loro untributo.

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a porsi, o voleva porsi al posto dei gran re.Di maggior importanza, per le condizioni generali, è lostato dei Celti nell'interno dell'Asia minore. Fra la Biti-nia, la Paflagonia, la Cappadocia e la Frigia si erano sta-bilite tre tribù: i Tolistoagi, i Tettosagi ed i Trocmeri,senza nulla lasciare della loro lingua, dei loro costumi,della loro costituzione e del loro mestiere di predoni.I dodici tetrarchi, ciascuno alla testa d'uno dei quattrocantoni delle tre tribù, formavano col loro consiglio ditrecento membri la suprema autorità della nazione, e siradunavano sul «Sacrato» (Drunemetum), principalmen-te per pronunciare sentenze capitali.Quanto singolare sembrava agli Asiatici simile costitu-zione cantonale dei Celti, altrettanto strana riusciva lorola temerità ed il costume dei lanzichenecchi, di questiintrusi settentrionali, i quali da un lato somministravanoagli imbelli loro vicini, mercenari per qualsiasi guerra;dall'altro saccheggiavano o mettevano a contribuzione icircostanti paesi.Questi rozzi ma robusti barbari erano lo spavento delleeffeminate nazioni ch'erano attorno, e persino dei granre asiatici, i quali, dopo che più d'un esercito asiatico erastato distrutto dai Celti, e dopo che il re Antioco I Sote-ro vi aveva persino perduta la vita in una battaglia(493=261), si adattarono alla fine anche a pagare loro untributo.

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5. Attalo.Un ricco cittadino di Pergamo, Attalo, avendo affrontatocon temerità congiunta a fortuna queste orde galliche,ottenne dalla sua città natale il titolo di re, che trasmisepoi ai suoi discendenti.Questa nuova corte era in piccolo ciò che in grande eraquella d'Alessandria. Anche da questa si promovevanogli interessi materiali e si facevano fiorire le arti e la let-teratura, ed il governo seguiva una previdente e schiettapolitica di gabinetto, il cui precipuo scopo era quello difiaccare le forze dei due pericolosi vicini continentali edi fondare nella parte occidentale dell'Asia minore unostato greco indipendente.Il tesoro ben fornito contribuiva moltissimo a dare rilie-vo a codesti signori di Pergamo. Essi fecero considere-voli prestiti ai re di Siria, la cui restituzione figurò poinei trattati di pace dei Romani, e in questo modo si ef-fettuarono perfino acquisti di territorio; così ad esempiofu dagli Etoli venduta ad Attalo per trenta talenti (circa190.000 lire) l'isola d'Egina, che gli alleati romani edetoli avevano tolto nell'ultima guerra agli Achei alleatidi Filippo, e che in forza del trattato era toccata agli Eto-li.Ma malgrado lo splendore della corte e del titolo regiolo stato di Pergamo conservò sempre qualche cosa delcarattere comunale; infatti, d'ordinario, nella sua politicaandava d'accordo colle città libere.

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5. Attalo.Un ricco cittadino di Pergamo, Attalo, avendo affrontatocon temerità congiunta a fortuna queste orde galliche,ottenne dalla sua città natale il titolo di re, che trasmisepoi ai suoi discendenti.Questa nuova corte era in piccolo ciò che in grande eraquella d'Alessandria. Anche da questa si promovevanogli interessi materiali e si facevano fiorire le arti e la let-teratura, ed il governo seguiva una previdente e schiettapolitica di gabinetto, il cui precipuo scopo era quello difiaccare le forze dei due pericolosi vicini continentali edi fondare nella parte occidentale dell'Asia minore unostato greco indipendente.Il tesoro ben fornito contribuiva moltissimo a dare rilie-vo a codesti signori di Pergamo. Essi fecero considere-voli prestiti ai re di Siria, la cui restituzione figurò poinei trattati di pace dei Romani, e in questo modo si ef-fettuarono perfino acquisti di territorio; così ad esempiofu dagli Etoli venduta ad Attalo per trenta talenti (circa190.000 lire) l'isola d'Egina, che gli alleati romani edetoli avevano tolto nell'ultima guerra agli Achei alleatidi Filippo, e che in forza del trattato era toccata agli Eto-li.Ma malgrado lo splendore della corte e del titolo regiolo stato di Pergamo conservò sempre qualche cosa delcarattere comunale; infatti, d'ordinario, nella sua politicaandava d'accordo colle città libere.

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Attalo stesso, il Lorenzo dei Medici del tempo antico,fu, sinchè visse, un ricco cittadino, e la vita domesticadegli Attalidi, dalla cui famiglia, malgrado il titolo re-gio, non si era mai dipartita l'armonia e la cordialità, of-friva un grande contrasto con la dissolutezza dei costu-mi delle dinastie più nobili.

6. La Grecia.Nella Grecia europea, oltre i possedimenti romani sullacosta orientale, nei più ragguardevoli dei quali e partico-larmente in Corcira pare che abbiano risieduto magistra-ti romani, ed i territori strettamente macedoni, erano piùo meno in grado di seguire una propria politica gli Epi-roti, gli Acarnani e gli Etoli al settentrione, i Beoti e gliAteniesi nel centro, e gli Achei, i Lacedemoni, i Messe-ni e gli Elei nel Peloponneso.Fra questi le repubbliche degli Epiroti, degli Acarnani edei Beoti si trovavano in diversi modi strettamente unitecolla Macedonia, e più particolarmente gli Acarnani,perchè essi, soltanto colla protezione dei Macedoni po-tevano sottrarsi all'oppressione ond'erano minacciati da-gli Etoli; ma nessuna di queste repubbliche era impor-tante.Le condizioni interne erano assai differenti: quali essefossero lo si può in parte giudicare dal fatto che presso iBeoti – ove a dir vero le cose andavano alla peggio – eradiventata consuetudine che ogni patrimonio senza eredi

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Attalo stesso, il Lorenzo dei Medici del tempo antico,fu, sinchè visse, un ricco cittadino, e la vita domesticadegli Attalidi, dalla cui famiglia, malgrado il titolo re-gio, non si era mai dipartita l'armonia e la cordialità, of-friva un grande contrasto con la dissolutezza dei costu-mi delle dinastie più nobili.

6. La Grecia.Nella Grecia europea, oltre i possedimenti romani sullacosta orientale, nei più ragguardevoli dei quali e partico-larmente in Corcira pare che abbiano risieduto magistra-ti romani, ed i territori strettamente macedoni, erano piùo meno in grado di seguire una propria politica gli Epi-roti, gli Acarnani e gli Etoli al settentrione, i Beoti e gliAteniesi nel centro, e gli Achei, i Lacedemoni, i Messe-ni e gli Elei nel Peloponneso.Fra questi le repubbliche degli Epiroti, degli Acarnani edei Beoti si trovavano in diversi modi strettamente unitecolla Macedonia, e più particolarmente gli Acarnani,perchè essi, soltanto colla protezione dei Macedoni po-tevano sottrarsi all'oppressione ond'erano minacciati da-gli Etoli; ma nessuna di queste repubbliche era impor-tante.Le condizioni interne erano assai differenti: quali essefossero lo si può in parte giudicare dal fatto che presso iBeoti – ove a dir vero le cose andavano alla peggio – eradiventata consuetudine che ogni patrimonio senza eredi

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in linea retta spettasse alle società dei banchetti(37), el'altro, che per molte decine d'anni la prima condizioneper l'elezione a pubblici impieghi fu quella che i candi-dati si obbligassero a non concedere a nessun creditore,specialmente se forestiero, di chiamare in giudizio undebitore.Gli Ateniesi solevano essere difesi da Alessandria con-tro la Macedonia ed erano in istretta lega cogli Etoli; maessi pure erano affatto impotenti, e soltanto l'aureoladell'arte e della poesia attica distingueva ancora questifigli indegni d'uno splendido passato da una moltitudinedi piccole città dello stesso genere.Più vigorosa era la potenza della federazione etolica;l'energia del carattere dei Greci stabiliti a settentrioneera qui ancora intatta, ma aveva degenerato in orribiledissolutezza e anarchia.Era legge di stato che gli Etoli potessero servire comedisertori contro qualunque stato, e persino contro gli al-leati dell'Etolia; e sulle urgenti preghiere degli altri Gre-ci, perchè cessasse questa mostruosità, la dieta etolicadichiarava potersi più facilmente eliminare l'Etoliadall'Etolia che non quella legge dal suo codice.Gli Etoli avrebbero potuto essere di grande utilità al po-polo greco; con quel loro sistema di ladroneccio orga-nizzato, con quella loro radicata inimicizia verso la fe-derazione achea e colla malaugurata loro opposizione37 Dette Sissitia, che erano pubblici banchetti introdotti in Creta da Minosse.

Licurgo li stabilì a Sparta pei Lacedemoni sotto il nome di Fidizie.

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in linea retta spettasse alle società dei banchetti(37), el'altro, che per molte decine d'anni la prima condizioneper l'elezione a pubblici impieghi fu quella che i candi-dati si obbligassero a non concedere a nessun creditore,specialmente se forestiero, di chiamare in giudizio undebitore.Gli Ateniesi solevano essere difesi da Alessandria con-tro la Macedonia ed erano in istretta lega cogli Etoli; maessi pure erano affatto impotenti, e soltanto l'aureoladell'arte e della poesia attica distingueva ancora questifigli indegni d'uno splendido passato da una moltitudinedi piccole città dello stesso genere.Più vigorosa era la potenza della federazione etolica;l'energia del carattere dei Greci stabiliti a settentrioneera qui ancora intatta, ma aveva degenerato in orribiledissolutezza e anarchia.Era legge di stato che gli Etoli potessero servire comedisertori contro qualunque stato, e persino contro gli al-leati dell'Etolia; e sulle urgenti preghiere degli altri Gre-ci, perchè cessasse questa mostruosità, la dieta etolicadichiarava potersi più facilmente eliminare l'Etoliadall'Etolia che non quella legge dal suo codice.Gli Etoli avrebbero potuto essere di grande utilità al po-polo greco; con quel loro sistema di ladroneccio orga-nizzato, con quella loro radicata inimicizia verso la fe-derazione achea e colla malaugurata loro opposizione37 Dette Sissitia, che erano pubblici banchetti introdotti in Creta da Minosse.

Licurgo li stabilì a Sparta pei Lacedemoni sotto il nome di Fidizie.

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alla grande potenza macedone, gli recarono invece piùdanno di quello che diversamente avrebbero potuto es-sere di vantaggio.La lega achea aveva raggruppato nel Peloponneso i mi-gliori elementi della Grecia propriamente detta per for-marne una federazione basata sulla buona morale, sulsentimento nazionale e sulla pace armata.Ma la prosperità e particolarmente lo spirito marzialedella lega, malgrado l'effettivo ingrandimento della stes-sa, era venuta meno a cagione dell'egoismo diplomaticodi Arato, il quale, a causa delle infauste discordie conSparta e della ancora più lamentevole invocazionedell'intervento macedone nel Peloponneso, aveva assog-gettata la lega achea alla supremazia della Macedonia inmodo che, d'allora in poi, le fortezze principali del paeseebbero presidii macedoni e il paese prestò ogni anno aFilippo giuramento di fedeltà.Gli stati minori del Peloponneso, l'Elide, Messene eSparta erano guidati nella loro politica dall'antico astiocontro la lega achea, alimentato particolarmente da litigidi confine, ed erano propensi agli Etoli e contrari ai Ma-cedoni, perchè gli Achei tenevano per Filippo.Fra questi stati la sola monarchia militare di Sparta, chedopo la morte di Macanida era pervenuta ad un certoNabida, aveva una qualche importanza; questi con sem-pre maggiore ardimento faceva assegnamento sui vaga-bondi e sui mercenari erranti, ai quali concedeva non

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alla grande potenza macedone, gli recarono invece piùdanno di quello che diversamente avrebbero potuto es-sere di vantaggio.La lega achea aveva raggruppato nel Peloponneso i mi-gliori elementi della Grecia propriamente detta per for-marne una federazione basata sulla buona morale, sulsentimento nazionale e sulla pace armata.Ma la prosperità e particolarmente lo spirito marzialedella lega, malgrado l'effettivo ingrandimento della stes-sa, era venuta meno a cagione dell'egoismo diplomaticodi Arato, il quale, a causa delle infauste discordie conSparta e della ancora più lamentevole invocazionedell'intervento macedone nel Peloponneso, aveva assog-gettata la lega achea alla supremazia della Macedonia inmodo che, d'allora in poi, le fortezze principali del paeseebbero presidii macedoni e il paese prestò ogni anno aFilippo giuramento di fedeltà.Gli stati minori del Peloponneso, l'Elide, Messene eSparta erano guidati nella loro politica dall'antico astiocontro la lega achea, alimentato particolarmente da litigidi confine, ed erano propensi agli Etoli e contrari ai Ma-cedoni, perchè gli Achei tenevano per Filippo.Fra questi stati la sola monarchia militare di Sparta, chedopo la morte di Macanida era pervenuta ad un certoNabida, aveva una qualche importanza; questi con sem-pre maggiore ardimento faceva assegnamento sui vaga-bondi e sui mercenari erranti, ai quali concedeva non

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solo le case ed i campi, ma ancora le mogli ed i figli deicittadini, e manteneva assidue relazioni col grande em-porio di mercenari e di pirati che era l'isola di Creta, nel-la quale egli aveva anche alcuni possedimenti. Eglistrinse, anzi, con questo emporio una lega per esercitareinsieme la pirateria.Le sue scorrerie per terra e le sue navi corsare al capoMalea tenevano in agitazione gli abitanti di un gran trat-to del paese; egli stesso era personalmente odiato per lesue bassezze e crudeltà; ma la sua signoria si andavaestendendo sempre più e all'epoca della battaglia diZama era riuscito a impossessarsi persino di Messene.

7. Lega delle città greche.Infine, le libere città mercantili greche, poste sulla costaeuropea della Propontide, come pure quelle situate sullerive dell'Asia minore e nelle isole del mare Egeo gode-vano, fra gli stati mediani, la massima indipendenza:esse sono nello stesso tempo il punto più luminoso nellaconfusa multiformità che ci offre il sistema greco.Tre fra di esse principalmente, che dalla morte di Ales-sandro in poi si reggevano di nuovo in piena libertà, era-no pervenute col loro commercio marittimo ad acquista-re un ragguardevole territorio e una rispettabile forzapolitica; Bisanzio dominatrice del Bosforo, ricca e po-tente per dazi di transito e pel ragguardevole commerciodei cereali del Mar Nero; Cizico sulla costa della Pro-pontide asiatica, figlia ed erede di Mileto ed in istrettis-

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solo le case ed i campi, ma ancora le mogli ed i figli deicittadini, e manteneva assidue relazioni col grande em-porio di mercenari e di pirati che era l'isola di Creta, nel-la quale egli aveva anche alcuni possedimenti. Eglistrinse, anzi, con questo emporio una lega per esercitareinsieme la pirateria.Le sue scorrerie per terra e le sue navi corsare al capoMalea tenevano in agitazione gli abitanti di un gran trat-to del paese; egli stesso era personalmente odiato per lesue bassezze e crudeltà; ma la sua signoria si andavaestendendo sempre più e all'epoca della battaglia diZama era riuscito a impossessarsi persino di Messene.

7. Lega delle città greche.Infine, le libere città mercantili greche, poste sulla costaeuropea della Propontide, come pure quelle situate sullerive dell'Asia minore e nelle isole del mare Egeo gode-vano, fra gli stati mediani, la massima indipendenza:esse sono nello stesso tempo il punto più luminoso nellaconfusa multiformità che ci offre il sistema greco.Tre fra di esse principalmente, che dalla morte di Ales-sandro in poi si reggevano di nuovo in piena libertà, era-no pervenute col loro commercio marittimo ad acquista-re un ragguardevole territorio e una rispettabile forzapolitica; Bisanzio dominatrice del Bosforo, ricca e po-tente per dazi di transito e pel ragguardevole commerciodei cereali del Mar Nero; Cizico sulla costa della Pro-pontide asiatica, figlia ed erede di Mileto ed in istrettis-

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sime relazioni colla corte di Pergamo, e finalmente, epiù delle altre, Rodi.I Rodioti, i quali dopo la morte d'Alessandro avevanoscacciato il presidio macedone, erano divenuti, in graziadella felice loro posizione pel commercio e per la navi-gazione, i mediatori del traffico di tutto il bacino orien-tale del Mediterraneo, e la rispettabile flotta di cui di-sponevano, nonchè il coraggio che i cittadini avevanodimostrato nel famoso assedio dell'anno 450=304 li ave-va messi in grado di serbare, e all'evenienza di sostenerecon prudenza, ma insieme con energia, in quel tempo dieterne ostilità, una politica commerciale neutrale.Essi, per esempio, costrinsero colla forza delle armi iBizantini ad accordare alle loro navi il libero passaggiopel Bosforo, e non permisero ai dinasti di Pergamo dichiudere l'ingresso del Mar Nero. Rifuggivano, perquanto possibile, dalla guerra continentale, sebbeneavessero acquistato rilevanti possessi sulle coste dellaCaria che avevano dirimpetto, e la intraprendevanoquando non ne potevano fare a meno, servendosi però dimercenari.Si trovavano in relazioni amichevoli con Siracusa, conla Macedonia e colla Siria, e particolarmente coll'Egitto,ed erano tenuti in grandissimo conto presso le corti, co-sicchè non era raro il caso che nelle guerre delle grandipotenze si facesse appello alla loro mediazione.Essi si interessavano, però, più particolarmente delle cit-

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sime relazioni colla corte di Pergamo, e finalmente, epiù delle altre, Rodi.I Rodioti, i quali dopo la morte d'Alessandro avevanoscacciato il presidio macedone, erano divenuti, in graziadella felice loro posizione pel commercio e per la navi-gazione, i mediatori del traffico di tutto il bacino orien-tale del Mediterraneo, e la rispettabile flotta di cui di-sponevano, nonchè il coraggio che i cittadini avevanodimostrato nel famoso assedio dell'anno 450=304 li ave-va messi in grado di serbare, e all'evenienza di sostenerecon prudenza, ma insieme con energia, in quel tempo dieterne ostilità, una politica commerciale neutrale.Essi, per esempio, costrinsero colla forza delle armi iBizantini ad accordare alle loro navi il libero passaggiopel Bosforo, e non permisero ai dinasti di Pergamo dichiudere l'ingresso del Mar Nero. Rifuggivano, perquanto possibile, dalla guerra continentale, sebbeneavessero acquistato rilevanti possessi sulle coste dellaCaria che avevano dirimpetto, e la intraprendevanoquando non ne potevano fare a meno, servendosi però dimercenari.Si trovavano in relazioni amichevoli con Siracusa, conla Macedonia e colla Siria, e particolarmente coll'Egitto,ed erano tenuti in grandissimo conto presso le corti, co-sicchè non era raro il caso che nelle guerre delle grandipotenze si facesse appello alla loro mediazione.Essi si interessavano, però, più particolarmente delle cit-

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tà marittime greche, di cui si era disseminato il litoraledei regni del Ponto, della Bitinia e di Pergamo, nonchèdi quelle sparse sulle coste e nelle isole dell'Asia mino-re, che dall'Egitto erano state tolte ai Seleucidi, comeper esempio Sinope, Eraclea Pontica, Chio, Lampsaco,Abido, Mitilene, Smirne, Samo, Alicarnasso ed altre.Tutte queste città erano sostanzialmente libere e nonavevano nulla a che fare coi signori del territorio, eccet-tuato che chiedere la conferma dei loro privilegi e tutt'alpiù pagar loro un modesto tributo; contro eventuali at-tentati dei dinasti si difendevano ora colla pieghevolez-za, ora con misure energiche. In questo caso erano i Ro-dioti i loro principali ausiliari, i quali, per esempio, pre-starono valido appoggio a Sinope contro Mitridate re delPonto.Quanto si consolidasse la libertà di queste città dell'Asiaminore in mezzo alle guerre ed appunto in grazia dellediscordie fra i monarchi, lo dimostra il fatto, che alcunianni più tardi, nelle contese fra Antioco ed i Romani,non si disputò più sulla libertà delle città, ma se esse sidovessero o no rivolgere al re per la conferma delle lorofranchige.Questa lega di città era sotto tutti i rapporti, e quindi an-che nella sua speciale relazione di fronte ai signori delpaese, una vera lega anseatica, con a capo Rodi, la qualeoperava e stipulava trattati per conto proprio e per contodei suoi confederati.

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tà marittime greche, di cui si era disseminato il litoraledei regni del Ponto, della Bitinia e di Pergamo, nonchèdi quelle sparse sulle coste e nelle isole dell'Asia mino-re, che dall'Egitto erano state tolte ai Seleucidi, comeper esempio Sinope, Eraclea Pontica, Chio, Lampsaco,Abido, Mitilene, Smirne, Samo, Alicarnasso ed altre.Tutte queste città erano sostanzialmente libere e nonavevano nulla a che fare coi signori del territorio, eccet-tuato che chiedere la conferma dei loro privilegi e tutt'alpiù pagar loro un modesto tributo; contro eventuali at-tentati dei dinasti si difendevano ora colla pieghevolez-za, ora con misure energiche. In questo caso erano i Ro-dioti i loro principali ausiliari, i quali, per esempio, pre-starono valido appoggio a Sinope contro Mitridate re delPonto.Quanto si consolidasse la libertà di queste città dell'Asiaminore in mezzo alle guerre ed appunto in grazia dellediscordie fra i monarchi, lo dimostra il fatto, che alcunianni più tardi, nelle contese fra Antioco ed i Romani,non si disputò più sulla libertà delle città, ma se esse sidovessero o no rivolgere al re per la conferma delle lorofranchige.Questa lega di città era sotto tutti i rapporti, e quindi an-che nella sua speciale relazione di fronte ai signori delpaese, una vera lega anseatica, con a capo Rodi, la qualeoperava e stipulava trattati per conto proprio e per contodei suoi confederati.

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In queste città si manteneva la libertà contro gli interessimonarchici, e mentre intorno alle mura delle medesimeinfuriavano le guerre, qui dimoravano in relativa tran-quillità il senno cittadino e l'agiatezza, e vi fiorivano learti e le scienze senza essere calpestate da una sfrenatasoldatesca o corrotte dall'atmosfera d'una corte.

8. Filippo re di Macedonia.Così stavano le cose in oriente quando si tolse la barrie-ra che separava la politica dell'oriente da quelladell'occidente, e quando le potenze orientali, prima ditutte quella di Filippo re di Macedonia, vennero a tro-varsi coinvolte negli affari d'occidente.Si è già narrato come ciò avvenisse e come terminassela prima guerra macedone (540-549=214-205), e accen-nato a ciò che Filippo, nella seconda guerra punica,avrebbe potuto fare, e quanto poco si facesse di ciò cheAnnibale doveva aspettarsi, e su di che doveva calcola-re. E si ebbe un'altra prova che nessun gioco d'azzardo èpiù funesto della monarchia assoluta ereditaria.Filippo non era l'uomo che convenisse alla Macedonia;ciò non pertanto egli non era un uomo insignificante:era un vero re nel migliore e nel peggiore senso dellaparola.Il sentimento del dominio assoluto era la caratteristicaprincipale della sua natura; era superbo della sua porpo-ra, ma non lo era meno di altri doni, ed aveva ragione di

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In queste città si manteneva la libertà contro gli interessimonarchici, e mentre intorno alle mura delle medesimeinfuriavano le guerre, qui dimoravano in relativa tran-quillità il senno cittadino e l'agiatezza, e vi fiorivano learti e le scienze senza essere calpestate da una sfrenatasoldatesca o corrotte dall'atmosfera d'una corte.

8. Filippo re di Macedonia.Così stavano le cose in oriente quando si tolse la barrie-ra che separava la politica dell'oriente da quelladell'occidente, e quando le potenze orientali, prima ditutte quella di Filippo re di Macedonia, vennero a tro-varsi coinvolte negli affari d'occidente.Si è già narrato come ciò avvenisse e come terminassela prima guerra macedone (540-549=214-205), e accen-nato a ciò che Filippo, nella seconda guerra punica,avrebbe potuto fare, e quanto poco si facesse di ciò cheAnnibale doveva aspettarsi, e su di che doveva calcola-re. E si ebbe un'altra prova che nessun gioco d'azzardo èpiù funesto della monarchia assoluta ereditaria.Filippo non era l'uomo che convenisse alla Macedonia;ciò non pertanto egli non era un uomo insignificante:era un vero re nel migliore e nel peggiore senso dellaparola.Il sentimento del dominio assoluto era la caratteristicaprincipale della sua natura; era superbo della sua porpo-ra, ma non lo era meno di altri doni, ed aveva ragione di

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esserlo. Egli non solo diede prove di valore come solda-to e di perspicacia come capitano, ma anche di sommotalento nella direzione delle pubbliche necessità ogniqualvolta sentisse leso il sentimento dell'onore macedo-ne.Pieno di talento e di spirito, egli guadagnava i cuori dicoloro che voleva affezionarsi dando la preferenza aipiù chiari e colti ingegni, come ad esempio Flaminino eScipione; era un piacevole e buon compagno nel bere epericoloso alle donne non solo per il suo rango.Ma egli era al tempo stesso dotato d'un carattere dei piùpresuntuosi e de' più insolenti che abbiano prodotto queitempi svergognati. Egli soleva dire che temeva soltantogli dei; senonchè sembrava quasi che questi dei fosserogli stessi ai quali il suo ammiraglio Dicearco offriva re-golari sagrifici, vale a dire: l'empietà (Asebeia) e il delit-to (Paranomia).Non gli era sacra la vita nè dei suoi consiglieri, nè deisostenitori dei suoi disegni; nè disdegnava di sfogarel'ira sua contro gli Ateniesi e contro Attalo colla distru-zione di venerandi monumenti e di famose opere d'arte.Si dice ch'egli citasse come massima politica, che «co-lui, il quale fa ammazzare il padre, debba fare ammazza-re anche i figli».Può darsi che la crudeltà non fosse in lui veramente unavoluttà, ma non teneva in nessun conto la vita e le soffe-renze altrui, e l'inclinazione a mutar consiglio, che sola

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esserlo. Egli non solo diede prove di valore come solda-to e di perspicacia come capitano, ma anche di sommotalento nella direzione delle pubbliche necessità ogniqualvolta sentisse leso il sentimento dell'onore macedo-ne.Pieno di talento e di spirito, egli guadagnava i cuori dicoloro che voleva affezionarsi dando la preferenza aipiù chiari e colti ingegni, come ad esempio Flaminino eScipione; era un piacevole e buon compagno nel bere epericoloso alle donne non solo per il suo rango.Ma egli era al tempo stesso dotato d'un carattere dei piùpresuntuosi e de' più insolenti che abbiano prodotto queitempi svergognati. Egli soleva dire che temeva soltantogli dei; senonchè sembrava quasi che questi dei fosserogli stessi ai quali il suo ammiraglio Dicearco offriva re-golari sagrifici, vale a dire: l'empietà (Asebeia) e il delit-to (Paranomia).Non gli era sacra la vita nè dei suoi consiglieri, nè deisostenitori dei suoi disegni; nè disdegnava di sfogarel'ira sua contro gli Ateniesi e contro Attalo colla distru-zione di venerandi monumenti e di famose opere d'arte.Si dice ch'egli citasse come massima politica, che «co-lui, il quale fa ammazzare il padre, debba fare ammazza-re anche i figli».Può darsi che la crudeltà non fosse in lui veramente unavoluttà, ma non teneva in nessun conto la vita e le soffe-renze altrui, e l'inclinazione a mutar consiglio, che sola

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rende sopportabile l'uomo, non trovava posto nell'infles-sibile suo cuore.Egli proclamò con tanta fierezza e fermezza la massima,che un re assoluto non è vincolato da nessuna promessae da nessuna legge morale, che essa appunto fece sorge-re i più seri impedimenti all'effettuazione dei suoi piani.Nessuno può negare ch'egli possedesse avvedutezza erisolutezza, ma vi si associavano in modo singolare lalentezza e la trascuratezza; cosa che potrebbe forse tro-vare una spiegazione nella circostanza d'essere egli statoproclamato monarca assoluto sino dal suo diciottesimoanno, ed in quella che, in grazia dello sfrenato suo furo-re contro chiunque lo turbasse nella sua autocrazia, siacolla contraddizione, sia colla dissuasione, tutte le per-sone oneste si allontanavano da lui.Non è possibile dire quali motivi lo decidessero a con-durre così debolmente ed ignominiosamente la primaguerra macedone; forse quella indolente arroganza chesviluppò la sua forza soltanto all'avvicinarsi del perico-lo, forse l'indifferenza del piano non concepito da lui ela gelosia della grandezza d'Annibale, dalla quale si sen-tiva umiliato. Certo è però che dalle successive sue ge-sta non si riconosce più quel Filippo per la cui negligen-za naufragò il piano d'Annibale.

9. Macedonia e Siria contro l'Egitto.Filippo concluse nel 548-9=206-5 il trattato cogli Etoli e

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rende sopportabile l'uomo, non trovava posto nell'infles-sibile suo cuore.Egli proclamò con tanta fierezza e fermezza la massima,che un re assoluto non è vincolato da nessuna promessae da nessuna legge morale, che essa appunto fece sorge-re i più seri impedimenti all'effettuazione dei suoi piani.Nessuno può negare ch'egli possedesse avvedutezza erisolutezza, ma vi si associavano in modo singolare lalentezza e la trascuratezza; cosa che potrebbe forse tro-vare una spiegazione nella circostanza d'essere egli statoproclamato monarca assoluto sino dal suo diciottesimoanno, ed in quella che, in grazia dello sfrenato suo furo-re contro chiunque lo turbasse nella sua autocrazia, siacolla contraddizione, sia colla dissuasione, tutte le per-sone oneste si allontanavano da lui.Non è possibile dire quali motivi lo decidessero a con-durre così debolmente ed ignominiosamente la primaguerra macedone; forse quella indolente arroganza chesviluppò la sua forza soltanto all'avvicinarsi del perico-lo, forse l'indifferenza del piano non concepito da lui ela gelosia della grandezza d'Annibale, dalla quale si sen-tiva umiliato. Certo è però che dalle successive sue ge-sta non si riconosce più quel Filippo per la cui negligen-za naufragò il piano d'Annibale.

9. Macedonia e Siria contro l'Egitto.Filippo concluse nel 548-9=206-5 il trattato cogli Etoli e

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coi Romani nella ferma intenzione di addivenire ad unadurevole pace con Roma per dedicarsi in avvenire esclu-sivamente agli affari d'oriente.Non vi è dubbio ch'egli vedesse mal volentieri il rapidosoggiogamento di Cartagine, ed è probabile che Anniba-le sperasse una seconda dichiarazione di guerra dellaMacedonia, e che Filippo rinforzasse sotto mano, conmercenari, l'ultimo esercito cartaginese. Senonchè i va-sti disegni, nei quali egli in questo frattempo si era im-merso in oriente, il modo di prestare l'accennato aiuto, eparticolarmente l'assoluto silenzio osservato dai Romanisu questa rottura di pace, mentre pure cercavano unacausa per la guerra, dimostrano indubbiamente che Fi-lippo non intendeva assolutamente intraprendere nel551=203 ciò che avrebbe dovuto fare dieci anni prima.Egli aveva lo sguardo rivolto a tutt'altro.Tolomeo Filopatore, re d'Egitto, era morto nel 549. I redi Macedonia e di Siria, Filippo ed Antioco, si eranocollegati contro il cinquenne suo successore TolomeoEpifane per sfogare l'antico rancore delle monarchiecontinentali contro questo stato marittimo. Si voleva di-videre il regno egizio e cedere ad Antioco l'Egitto e Ci-pro, a Filippo la Cirenaica, la Ionia e le Cicladi.Proprio secondo il modo di agire di Filippo, il quale sirideva di certi riguardi, i due re iniziarono la guerra nonsolo senza motivo, ma persino senza alcun pretesto,«appunto come i pesci grossi mangiano i piccoli».

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coi Romani nella ferma intenzione di addivenire ad unadurevole pace con Roma per dedicarsi in avvenire esclu-sivamente agli affari d'oriente.Non vi è dubbio ch'egli vedesse mal volentieri il rapidosoggiogamento di Cartagine, ed è probabile che Anniba-le sperasse una seconda dichiarazione di guerra dellaMacedonia, e che Filippo rinforzasse sotto mano, conmercenari, l'ultimo esercito cartaginese. Senonchè i va-sti disegni, nei quali egli in questo frattempo si era im-merso in oriente, il modo di prestare l'accennato aiuto, eparticolarmente l'assoluto silenzio osservato dai Romanisu questa rottura di pace, mentre pure cercavano unacausa per la guerra, dimostrano indubbiamente che Fi-lippo non intendeva assolutamente intraprendere nel551=203 ciò che avrebbe dovuto fare dieci anni prima.Egli aveva lo sguardo rivolto a tutt'altro.Tolomeo Filopatore, re d'Egitto, era morto nel 549. I redi Macedonia e di Siria, Filippo ed Antioco, si eranocollegati contro il cinquenne suo successore TolomeoEpifane per sfogare l'antico rancore delle monarchiecontinentali contro questo stato marittimo. Si voleva di-videre il regno egizio e cedere ad Antioco l'Egitto e Ci-pro, a Filippo la Cirenaica, la Ionia e le Cicladi.Proprio secondo il modo di agire di Filippo, il quale sirideva di certi riguardi, i due re iniziarono la guerra nonsolo senza motivo, ma persino senza alcun pretesto,«appunto come i pesci grossi mangiano i piccoli».

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Gli alleati, e specialmente Filippo, avevano del resto fat-to bene i loro calcoli. L'Egitto aveva abbastanza da fareper difendersi contro il suo più vicino nemico nella Si-ria, e dovette quindi lasciare senza difesa i suoi possessinell'Asia minore e le Cicladi, quando Filippo si gettò sudi essi come sua parte di bottino.L'anno in cui Cartagine concluse la pace con Roma(553=201), Filippo ordinò che una flotta, apprestata dal-le città a lui soggette, prendesse a bordo delle truppe efacesse vela verso la costa tracica.Qui fu presa Lisimachia alla guarnigione etolica ed oc-cupata Perinto che si trovava sotto la clientela di Bisan-zio. Così fu rotta la pace coi Bizantini; e cogli Etoli, iquali avevano appunto fatto pace con Filippo, fu almenoturbata la buona armonia.Il passaggio nell'Asia non incontrò alcuna difficoltà,giacchè Prusia, re di Bitinia, era alleato della Macedo-nia; per ricompensa Filippo lo aiutò a sottomettere lecittà commerciali greche che si trovavano nel suo terri-torio. Calcedonia si sottomise. Chio, che fece resistenza,fu presa d'assalto e spianata, gli abitanti furono condottiin ischiavitù – barbarie senza scopo, e di cui Prusia stes-so, che desiderava il possesso della città senza che le ve-nisse recato danno, si crucciò; tutto il mondo ellenico nefu profondamente indignato.Ne furono particolarmente offesi anche gli Etoli, il cuigenerale aveva avuto il comando a Chio, e i Rodioti, i

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Gli alleati, e specialmente Filippo, avevano del resto fat-to bene i loro calcoli. L'Egitto aveva abbastanza da fareper difendersi contro il suo più vicino nemico nella Si-ria, e dovette quindi lasciare senza difesa i suoi possessinell'Asia minore e le Cicladi, quando Filippo si gettò sudi essi come sua parte di bottino.L'anno in cui Cartagine concluse la pace con Roma(553=201), Filippo ordinò che una flotta, apprestata dal-le città a lui soggette, prendesse a bordo delle truppe efacesse vela verso la costa tracica.Qui fu presa Lisimachia alla guarnigione etolica ed oc-cupata Perinto che si trovava sotto la clientela di Bisan-zio. Così fu rotta la pace coi Bizantini; e cogli Etoli, iquali avevano appunto fatto pace con Filippo, fu almenoturbata la buona armonia.Il passaggio nell'Asia non incontrò alcuna difficoltà,giacchè Prusia, re di Bitinia, era alleato della Macedo-nia; per ricompensa Filippo lo aiutò a sottomettere lecittà commerciali greche che si trovavano nel suo terri-torio. Calcedonia si sottomise. Chio, che fece resistenza,fu presa d'assalto e spianata, gli abitanti furono condottiin ischiavitù – barbarie senza scopo, e di cui Prusia stes-so, che desiderava il possesso della città senza che le ve-nisse recato danno, si crucciò; tutto il mondo ellenico nefu profondamente indignato.Ne furono particolarmente offesi anche gli Etoli, il cuigenerale aveva avuto il comando a Chio, e i Rodioti, i

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tentativi di mediazione dei quali erano stati resi vanidall'insolenza e dagli inganni del re.Ma quand'anche ciò non fosse avvenuto, erano posti arepentaglio gl'interessi di tutte le città commerciali gre-che. Era quindi assolutamente impossibile acconsentireche alla mite e quasi nominale signoria egiziana suben-trasse violentemente l'assolutismo macedone col qualele civiche libertà ed il commercio non potevano in nes-sun modo mettersi d'accordo; e l'orribile trattamentotoccato agli abitanti di Chio provava che non si trattavapiù del diritto di conferma delle franchige cittadine,bensì della vita e della morte di uno e di tutti.

10. La lega anseatica contro Filippo.Lampsaco era già caduta e Taso aveva subìto la stessasorte di Chio. Non v'era tempo da perdere.Teofilisco, valoroso generale di Rodi, ammonì i suoi cit-tadini di affrontare uniti il comune pericolo in modo daimpedire che le città e le isole divenissero isolatamentepreda del nemico.Rodi non tardò a decidersi e dichiarò guerra a Filippo.Bisanzio si unì a Rodi; così fece Attalo re di Pergamo,nemico politico e personale di Filippo.Mentre la flotta degli alleati si raccoglieva nelle acqueeolie, Filippo, con una parte della sua flotta, fece pren-dere Chio e Samo. Coll'altra parte comparve egli stesso

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tentativi di mediazione dei quali erano stati resi vanidall'insolenza e dagli inganni del re.Ma quand'anche ciò non fosse avvenuto, erano posti arepentaglio gl'interessi di tutte le città commerciali gre-che. Era quindi assolutamente impossibile acconsentireche alla mite e quasi nominale signoria egiziana suben-trasse violentemente l'assolutismo macedone col qualele civiche libertà ed il commercio non potevano in nes-sun modo mettersi d'accordo; e l'orribile trattamentotoccato agli abitanti di Chio provava che non si trattavapiù del diritto di conferma delle franchige cittadine,bensì della vita e della morte di uno e di tutti.

10. La lega anseatica contro Filippo.Lampsaco era già caduta e Taso aveva subìto la stessasorte di Chio. Non v'era tempo da perdere.Teofilisco, valoroso generale di Rodi, ammonì i suoi cit-tadini di affrontare uniti il comune pericolo in modo daimpedire che le città e le isole divenissero isolatamentepreda del nemico.Rodi non tardò a decidersi e dichiarò guerra a Filippo.Bisanzio si unì a Rodi; così fece Attalo re di Pergamo,nemico politico e personale di Filippo.Mentre la flotta degli alleati si raccoglieva nelle acqueeolie, Filippo, con una parte della sua flotta, fece pren-dere Chio e Samo. Coll'altra parte comparve egli stesso

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dinanzi a Pergamo, che investì inutilmente, e dovettecontentarsi di percorrere la parte piana del paese la-sciando dovunque tracce del valore macedone con la di-struzione dei templi.Partiva poi improvvisamente da Pergamo colle sue naviper ricongiungersi alla squadra che si trovava dinanzi aSamo.Ma la flotta di Rodi e di Pergamo lo inseguì e lo costrin-se ad accettare battaglia nello stretto di Chio.Il numero delle navi coperte macedoni era inferiore, mala quantità dei battelli rendeva le forze del re pari aquelle degli alleati, e i suoi soldati combatterono valoro-samente: senonchè alla fine egli fu battuto. Quasi metàdelle sue navi coperte, ventiquattro vele, furono som-merse o prese; perirono 6000 marinai e 3000 soldati, trai quali il capo della flotta Democrate; 2000 furono fattiprigionieri.Gli alleati non perdettero che 800 uomini e sei navi. MaAttalo, uno dei navarchi degli alleati, si trovò tagliatofuori dalla sua flotta e fu costretto a lasciare che la suanave ammiraglia arenasse non lungi da Eritrea; e Teofi-lisco da Rodi, il cui civile coraggio aveva promosso laguerra, ed il cui valore aveva deciso la battaglia, morì ilgiorno dopo per le ferite riportate.Mentre, dopo questo avvenimento, la flotta di Attalo ri-tornava in patria e quella di Rodi rimaneva provvisoria-mente nelle acque di Chio, Filippo, il quale a torto si at-

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dinanzi a Pergamo, che investì inutilmente, e dovettecontentarsi di percorrere la parte piana del paese la-sciando dovunque tracce del valore macedone con la di-struzione dei templi.Partiva poi improvvisamente da Pergamo colle sue naviper ricongiungersi alla squadra che si trovava dinanzi aSamo.Ma la flotta di Rodi e di Pergamo lo inseguì e lo costrin-se ad accettare battaglia nello stretto di Chio.Il numero delle navi coperte macedoni era inferiore, mala quantità dei battelli rendeva le forze del re pari aquelle degli alleati, e i suoi soldati combatterono valoro-samente: senonchè alla fine egli fu battuto. Quasi metàdelle sue navi coperte, ventiquattro vele, furono som-merse o prese; perirono 6000 marinai e 3000 soldati, trai quali il capo della flotta Democrate; 2000 furono fattiprigionieri.Gli alleati non perdettero che 800 uomini e sei navi. MaAttalo, uno dei navarchi degli alleati, si trovò tagliatofuori dalla sua flotta e fu costretto a lasciare che la suanave ammiraglia arenasse non lungi da Eritrea; e Teofi-lisco da Rodi, il cui civile coraggio aveva promosso laguerra, ed il cui valore aveva deciso la battaglia, morì ilgiorno dopo per le ferite riportate.Mentre, dopo questo avvenimento, la flotta di Attalo ri-tornava in patria e quella di Rodi rimaneva provvisoria-mente nelle acque di Chio, Filippo, il quale a torto si at-

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tribuiva la vittoria, potè proseguire la sua spedizioneverso Samo per occupare la città di Caria.Sulla costa della Caria, presso l'isoletta di Lade dinanzial porto di Mileto, i Rodioti, senza l'aiuto di Attalo, det-tero una seconda battaglia alla flotta macedone coman-data da Eracleide. Anche in questo scontro entrambi icontendenti si attribuirono la vittoria; pare però che essafosse dei Macedoni, giacchè i Rodioti si ritrassero versoMindo e quindi a Cos, mentre i Macedoni occuparonoMileto, ed una squadra comandata dall'etolo Dicearcooccupò le Cicladi.Filippo continuava frattanto sul continente della Caria laconquista dei possessi rodioti e quella delle città greche;se avesse voluto attaccare egli stesso Tolomeo, e se nonavesse voluto limitarsi alla conquista della sua parte dibottino, egli avrebbe potuto ora pensare persino ad unaspedizione in Egitto.Nella Caria non si trovava veramente alcun esercito chesi opponesse al macedone, e Filippo percorse senza in-contrare nessun intoppo il paese da Magnesia a Milaso;ma in questa regione ogni città era una fortezza e laguerra cogli assedi si trascinava a lungo senza offrire opromettere importanti risultati.Zeusi, satrapo della Lidia, soccorreva l'alleato del suosignore appunto così freddamente come Filippo si eramostrato freddo nel promuovere gli interessi del re diSiria, e le città greche somministravano i soccorsi sotto

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tribuiva la vittoria, potè proseguire la sua spedizioneverso Samo per occupare la città di Caria.Sulla costa della Caria, presso l'isoletta di Lade dinanzial porto di Mileto, i Rodioti, senza l'aiuto di Attalo, det-tero una seconda battaglia alla flotta macedone coman-data da Eracleide. Anche in questo scontro entrambi icontendenti si attribuirono la vittoria; pare però che essafosse dei Macedoni, giacchè i Rodioti si ritrassero versoMindo e quindi a Cos, mentre i Macedoni occuparonoMileto, ed una squadra comandata dall'etolo Dicearcooccupò le Cicladi.Filippo continuava frattanto sul continente della Caria laconquista dei possessi rodioti e quella delle città greche;se avesse voluto attaccare egli stesso Tolomeo, e se nonavesse voluto limitarsi alla conquista della sua parte dibottino, egli avrebbe potuto ora pensare persino ad unaspedizione in Egitto.Nella Caria non si trovava veramente alcun esercito chesi opponesse al macedone, e Filippo percorse senza in-contrare nessun intoppo il paese da Magnesia a Milaso;ma in questa regione ogni città era una fortezza e laguerra cogli assedi si trascinava a lungo senza offrire opromettere importanti risultati.Zeusi, satrapo della Lidia, soccorreva l'alleato del suosignore appunto così freddamente come Filippo si eramostrato freddo nel promuovere gli interessi del re diSiria, e le città greche somministravano i soccorsi sotto

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lo sprone della forza e della paura.Sempre più difficile si rendeva l'approvvigionamentodei viveri per l'esercito; Filippo era costretto a saccheg-giare oggi coloro che ieri avevano offerto spontanea-mente quanto occorreva, e adattarsi nuovamente a chie-dere facendo violenza al suo carattere.Così volgeva alla fine la buona stagione. Nel frattempo iRodioti avevano rinforzata la loro flotta e attirata dinuovo a sè anche quella di Attalo, cosicchè sul mareerano decisamente superiori. Sembrava quasi che potes-sero tagliare al re la ritirata obbligandolo a fissare i suoiquartieri d'inverno nella Caria, mentre le cose nel suoregno, e particolarmente l'intervento minacciato dagliEtoli e dai Romani, richiedevano urgentemente il suo ri-torno.Filippo comprese il pericolo; egli lasciò in tutto 3000uomini nei presidii, parte in Mirina, per tenere in iscac-co Pergamo, parte nelle piccole città attorno a Milaso,Iasso, Bargilia, Euromo, Pedasa, per assicurarsiquell'eccellente porto ed un punto di sbarco nella Caria;e per la negligenza colla quale gli alleati guardavano ilmare, gli riuscì di raggiungere felicemente colla suaflotta la costa della Tracia e di arrivare a casa ancor pri-ma dell'inverno 553-554=201-200.

11. Intervento diplomatico dei Romani.Nell'occidente si andava effettivamente addensando

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lo sprone della forza e della paura.Sempre più difficile si rendeva l'approvvigionamentodei viveri per l'esercito; Filippo era costretto a saccheg-giare oggi coloro che ieri avevano offerto spontanea-mente quanto occorreva, e adattarsi nuovamente a chie-dere facendo violenza al suo carattere.Così volgeva alla fine la buona stagione. Nel frattempo iRodioti avevano rinforzata la loro flotta e attirata dinuovo a sè anche quella di Attalo, cosicchè sul mareerano decisamente superiori. Sembrava quasi che potes-sero tagliare al re la ritirata obbligandolo a fissare i suoiquartieri d'inverno nella Caria, mentre le cose nel suoregno, e particolarmente l'intervento minacciato dagliEtoli e dai Romani, richiedevano urgentemente il suo ri-torno.Filippo comprese il pericolo; egli lasciò in tutto 3000uomini nei presidii, parte in Mirina, per tenere in iscac-co Pergamo, parte nelle piccole città attorno a Milaso,Iasso, Bargilia, Euromo, Pedasa, per assicurarsiquell'eccellente porto ed un punto di sbarco nella Caria;e per la negligenza colla quale gli alleati guardavano ilmare, gli riuscì di raggiungere felicemente colla suaflotta la costa della Tracia e di arrivare a casa ancor pri-ma dell'inverno 553-554=201-200.

11. Intervento diplomatico dei Romani.Nell'occidente si andava effettivamente addensando

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contro Filippo una procella che non gli consentiva dicontinuare ulteriormente lo spogliamento dell'inermeEgitto.I Romani, che nello stesso anno avevano finalmenteconchiusa la pace con Cartagine, dettandone essi stessile condizioni, cominciarono ad occuparsi seriamentedelle complicazioni nell'oriente.Fu detto da molti che dopo la conquista dell'occidente iRomani avrebbero pensato di sottomettere l'oriente; mauna più seria considerazione condurrà ad un più equogiudizio. Soltanto una stolta ingiustizia può ritenere chedi quel tempo Roma non aspirasse assolutamente alla si-gnoria degli stati mediterranei, e che altro non volessetanto in Africa come in Grecia, se non dei vicini che nonpotessero recarle molestia; e veramente la Macedonianon era un paese pericoloso per Roma.Certo che la sua forza non era spregevole, ed è evidenteche il senato romano non acconsentì che mal volentierialla pace del 348-9=206-5, la quale le lasciava intera-mente la sua integrità; ma quanto poco pensiero desse opotesse dare la Macedonia a Roma lo prova all'evidenzalo scarso contingente di soldati con cui Roma fece in se-guito la guerra, e che pure non ebbe mai da combatterecontro forze soverchianti.Il senato avrebbe voluto bensì l'umiliazione della Mace-donia; ma gli sarebbe costato troppo cara ottenerla aprezzo d'una guerra continentale fatta con truppe roma-

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contro Filippo una procella che non gli consentiva dicontinuare ulteriormente lo spogliamento dell'inermeEgitto.I Romani, che nello stesso anno avevano finalmenteconchiusa la pace con Cartagine, dettandone essi stessile condizioni, cominciarono ad occuparsi seriamentedelle complicazioni nell'oriente.Fu detto da molti che dopo la conquista dell'occidente iRomani avrebbero pensato di sottomettere l'oriente; mauna più seria considerazione condurrà ad un più equogiudizio. Soltanto una stolta ingiustizia può ritenere chedi quel tempo Roma non aspirasse assolutamente alla si-gnoria degli stati mediterranei, e che altro non volessetanto in Africa come in Grecia, se non dei vicini che nonpotessero recarle molestia; e veramente la Macedonianon era un paese pericoloso per Roma.Certo che la sua forza non era spregevole, ed è evidenteche il senato romano non acconsentì che mal volentierialla pace del 348-9=206-5, la quale le lasciava intera-mente la sua integrità; ma quanto poco pensiero desse opotesse dare la Macedonia a Roma lo prova all'evidenzalo scarso contingente di soldati con cui Roma fece in se-guito la guerra, e che pure non ebbe mai da combatterecontro forze soverchianti.Il senato avrebbe voluto bensì l'umiliazione della Mace-donia; ma gli sarebbe costato troppo cara ottenerla aprezzo d'una guerra continentale fatta con truppe roma-

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ne in Macedonia, e perciò, dopo la ritirata degli Etoli,esso fece spontaneamente la pace sulla base dello statuquo.È quindi ben lungi dall'essere provato che il governo ro-mano abbia stipulato questa pace colla ferma intenzionedi ricominciare la guerra a tempo più opportuno, mentreè certo che pel momento, considerato il totale esauri-mento del paese e l'estremo malumore dei cittadini alpensiero di ingolfarsi in una seconda guerra d'oltremare,la guerra macedone riusciva ai Romani in sommo gradoincomoda.Ma allora essa era inevitabile. Si poteva anche tollerareper vicino lo stato macedone, come esso era nell'anno549=205; ma era impossibile acconsentire che il mede-simo s'accrescesse colla miglior parte della Grecia asia-tica e colla importante Cirene, che opprimesse gli staticommerciali neutrali e così raddoppiasse la sua potenza.Oltre ciò la caduta dell'Egitto, l'avvilimento e forse ilsoggiogamento di Rodi avrebbero certamente recatoprofonde ferite anche al commercio siciliano ed italico;ed i Romani potevano rimanere tranquilli spettatori cheil commercio dell'Italia coll'oriente dipendesse dalle duegrandi potenze continentali?A Roma incombeva d'altronde il sacro dovere di difen-dere Attalo, suo fedele alleato nella prima guerra mace-donica, e d'impedire che Filippo, il quale già lo tenevaassediato nella sua capitale, lo scacciasse da' suoi domi-

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ne in Macedonia, e perciò, dopo la ritirata degli Etoli,esso fece spontaneamente la pace sulla base dello statuquo.È quindi ben lungi dall'essere provato che il governo ro-mano abbia stipulato questa pace colla ferma intenzionedi ricominciare la guerra a tempo più opportuno, mentreè certo che pel momento, considerato il totale esauri-mento del paese e l'estremo malumore dei cittadini alpensiero di ingolfarsi in una seconda guerra d'oltremare,la guerra macedone riusciva ai Romani in sommo gradoincomoda.Ma allora essa era inevitabile. Si poteva anche tollerareper vicino lo stato macedone, come esso era nell'anno549=205; ma era impossibile acconsentire che il mede-simo s'accrescesse colla miglior parte della Grecia asia-tica e colla importante Cirene, che opprimesse gli staticommerciali neutrali e così raddoppiasse la sua potenza.Oltre ciò la caduta dell'Egitto, l'avvilimento e forse ilsoggiogamento di Rodi avrebbero certamente recatoprofonde ferite anche al commercio siciliano ed italico;ed i Romani potevano rimanere tranquilli spettatori cheil commercio dell'Italia coll'oriente dipendesse dalle duegrandi potenze continentali?A Roma incombeva d'altronde il sacro dovere di difen-dere Attalo, suo fedele alleato nella prima guerra mace-donica, e d'impedire che Filippo, il quale già lo tenevaassediato nella sua capitale, lo scacciasse da' suoi domi-

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nii.La pretesa, finalmente, che Roma aveva di proteggeretutti gli Elleni, non era già una semplice frase; i Napole-tani, i Reggini, i Massalioti e gli Emporiensi potevanotestimoniare che quella protezione era un fatto, e non viè poi alcun dubbio che in quei tempi i Romani erano inpiù stretti rapporti coi Greci di qualsiasi altra nazione, epoco meno dei Macedoni ellenizzati.È cosa strana voler contendere ai Romani, nelle lorosimpatie pei Greci e per la causa dell'umanità, il dirittodi sentirsi muovere a sdegno per lo scellerato trattamen-to fatto a quelli di Chio e di Taso. Concorrevano perciòtutti i motivi politici, commerciali e morali per deciderei Romani ad intraprendere una seconda guerra contro Fi-lippo, che fu una delle più giuste che Roma abbia maifatto. E ridonda in sommo grado ad onore del senato,ch'esso vi si sia immediatamente determinato, e che nonse ne sia lasciato distogliere nè dall'esaurimento dellepubbliche finanze, nè dall'impopolarità di una tale di-chiarazione di guerra.Il governo prese quindi le sue misure; e già nel 553=201il pretore Marco Valerio Levino comparve nel mare dioriente colla flotta siciliana composta di 38 vele. Essoera però imbarazzato nel trovare il pretesto plausibile, dicui abbisognava necessariamente in faccia al popolo,quand'anche non fosse stato troppo perspicace persprezzare, a modo di Filippo, l'importanza della motiva-zione legale.

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nii.La pretesa, finalmente, che Roma aveva di proteggeretutti gli Elleni, non era già una semplice frase; i Napole-tani, i Reggini, i Massalioti e gli Emporiensi potevanotestimoniare che quella protezione era un fatto, e non viè poi alcun dubbio che in quei tempi i Romani erano inpiù stretti rapporti coi Greci di qualsiasi altra nazione, epoco meno dei Macedoni ellenizzati.È cosa strana voler contendere ai Romani, nelle lorosimpatie pei Greci e per la causa dell'umanità, il dirittodi sentirsi muovere a sdegno per lo scellerato trattamen-to fatto a quelli di Chio e di Taso. Concorrevano perciòtutti i motivi politici, commerciali e morali per deciderei Romani ad intraprendere una seconda guerra contro Fi-lippo, che fu una delle più giuste che Roma abbia maifatto. E ridonda in sommo grado ad onore del senato,ch'esso vi si sia immediatamente determinato, e che nonse ne sia lasciato distogliere nè dall'esaurimento dellepubbliche finanze, nè dall'impopolarità di una tale di-chiarazione di guerra.Il governo prese quindi le sue misure; e già nel 553=201il pretore Marco Valerio Levino comparve nel mare dioriente colla flotta siciliana composta di 38 vele. Essoera però imbarazzato nel trovare il pretesto plausibile, dicui abbisognava necessariamente in faccia al popolo,quand'anche non fosse stato troppo perspicace persprezzare, a modo di Filippo, l'importanza della motiva-zione legale.

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L'aiuto, che si riteneva Filippo avesse prestato ai Carta-ginesi dopo la pace conclusa con Roma, non si potevanaturalmente provare.I sudditi romani nell'Illiria si lamentavano, a dir vero, dalungo tempo delle violenze esercitate dai Macedoni;sino dal 551=203 un ambasciatore romano, alla testadella milizia illirica, aveva scacciato le schiere di Filip-po dal suolo illirico, ed il senato aveva perciò dichiaratonel 552=202 agli ambasciatori del re, che se questi vole-va la guerra, l'avrebbe avuta prima di quanto non la de-siderasse.Ma simili violenze non erano che i soliti delitti che Fi-lippo commetteva contro i suoi vicini; le trattative inproposito avrebbero condotto ad atti di umiliazione ed asoddisfazioni, ma non alla guerra.La repubblica romana era in relazioni amichevoli, alme-no nominalmente, con tutte le potenze belligerantinell'oriente, e sarebbe stata in facoltà di accorrere in loroaiuto nel caso di un'aggressione. Ma Rodi e Pergamo, lequali come è ben naturale, furono sollecite a chiederel'aiuto dei Romani, furono formalmente le assalitrici, el'Egitto – sebbene ambasciatori alessandrini avesseropregato il senato romano di assumere la tutela del refanciullo – pare che non si affrettasse ad invocare l'inter-vento romano per far cessare le angustie del momento,benchè nello stesso tempo aprisse l'accesso del mareorientale a quella grande potenza marittima dell'occi-dente.

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L'aiuto, che si riteneva Filippo avesse prestato ai Carta-ginesi dopo la pace conclusa con Roma, non si potevanaturalmente provare.I sudditi romani nell'Illiria si lamentavano, a dir vero, dalungo tempo delle violenze esercitate dai Macedoni;sino dal 551=203 un ambasciatore romano, alla testadella milizia illirica, aveva scacciato le schiere di Filip-po dal suolo illirico, ed il senato aveva perciò dichiaratonel 552=202 agli ambasciatori del re, che se questi vole-va la guerra, l'avrebbe avuta prima di quanto non la de-siderasse.Ma simili violenze non erano che i soliti delitti che Fi-lippo commetteva contro i suoi vicini; le trattative inproposito avrebbero condotto ad atti di umiliazione ed asoddisfazioni, ma non alla guerra.La repubblica romana era in relazioni amichevoli, alme-no nominalmente, con tutte le potenze belligerantinell'oriente, e sarebbe stata in facoltà di accorrere in loroaiuto nel caso di un'aggressione. Ma Rodi e Pergamo, lequali come è ben naturale, furono sollecite a chiederel'aiuto dei Romani, furono formalmente le assalitrici, el'Egitto – sebbene ambasciatori alessandrini avesseropregato il senato romano di assumere la tutela del refanciullo – pare che non si affrettasse ad invocare l'inter-vento romano per far cessare le angustie del momento,benchè nello stesso tempo aprisse l'accesso del mareorientale a quella grande potenza marittima dell'occi-dente.

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L'Egitto doveva prima di tutto venire aiutato dalla Siria,ciò che avrebbe coinvolto i Romani in una guerracoll'Asia e contemporaneamente colla Macedonia, cheessi, come è naturale, si studiavano di evitare, tanto piùche erano fermamente decisi a non immischiarsi per lomeno negli affari dell'Asia.Pel momento non v'era altro espediente che quello di in-viare un'ambasciata in oriente, per ottenere dall'Egittociò che, avuto riguardo alle circostanze, non era diffici-le, cioè l'intervento dei Romani negli affari dei Greci;calmare il re Antioco lasciandogli il dominio della Siria,ed infine accelerare possibilmente la rottura con Filippoe promuovere contro di lui la coalizione dei piccoli statigreco-asiatici dell'Asia minore (fine del 553=201).In Alessandria si ottenne senza difficoltà quanto si desi-derava; la corte non poteva far a meno di accogliere conriconoscenza Marco Emilio Lepido, che il senato vi ave-va inviato, affinchè, «qual tutore del re», difendesse isuoi interessi per quanto lo potesse senza un vero inter-vento.Antioco non si svincolò dalla sua lega con Filippo, nèdiede ai Romani le recise spiegazioni che essi desidera-vano; ma poi sia per rilassatezza, sia in seguito alla di-chiarazione dei Romani di non voler intervenire in Siria,egli vi proseguì i suoi piani abbandonando le cose, nellaGrecia e nell'Asia minore, a se stesse.

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L'Egitto doveva prima di tutto venire aiutato dalla Siria,ciò che avrebbe coinvolto i Romani in una guerracoll'Asia e contemporaneamente colla Macedonia, cheessi, come è naturale, si studiavano di evitare, tanto piùche erano fermamente decisi a non immischiarsi per lomeno negli affari dell'Asia.Pel momento non v'era altro espediente che quello di in-viare un'ambasciata in oriente, per ottenere dall'Egittociò che, avuto riguardo alle circostanze, non era diffici-le, cioè l'intervento dei Romani negli affari dei Greci;calmare il re Antioco lasciandogli il dominio della Siria,ed infine accelerare possibilmente la rottura con Filippoe promuovere contro di lui la coalizione dei piccoli statigreco-asiatici dell'Asia minore (fine del 553=201).In Alessandria si ottenne senza difficoltà quanto si desi-derava; la corte non poteva far a meno di accogliere conriconoscenza Marco Emilio Lepido, che il senato vi ave-va inviato, affinchè, «qual tutore del re», difendesse isuoi interessi per quanto lo potesse senza un vero inter-vento.Antioco non si svincolò dalla sua lega con Filippo, nèdiede ai Romani le recise spiegazioni che essi desidera-vano; ma poi sia per rilassatezza, sia in seguito alla di-chiarazione dei Romani di non voler intervenire in Siria,egli vi proseguì i suoi piani abbandonando le cose, nellaGrecia e nell'Asia minore, a se stesse.

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12. Ripresa della guerra.Intanto era venuta la primavera del 554=200 e la guerraera ricominciata.Filippo si gettò nuovamente sulla Tracia, dove occupòtutte le città della costa e particolarmente Maronea, Eno,Eleo e Sesto per mettere al sicuro i suoi possedimentieuropei contro uno sbarco dei Romani. Attaccò posciaAbido sulla riva asiatica, l'occupazione della quale eraper lui di non poca importanza, perchè, disponendo diSesto e di Abido, egli si trovava in più stretta relazionecol suo alleato Antioco, e non aveva più da temere chela flotta degli alleati gli intercettasse la via per l'Asia mi-nore.Questa flotta, dopo che se n'era ritirata la più grandesquadra macedone, dominava il mare Egeo.Nelle sue operazioni marittime, Filippo si limitò a tenerguarnigione nelle tre Cicladi, Andro, Citno e Paro, e adarmare bastimenti corsari.I Rodioti si recarono a Chio, di là a Tenedo, dove Atta-lo, il quale aveva svernato presso Egina dilettandosi adudire le declamazioni degli Ateniesi, si unì ad essi collasua squadra.Gli alleati sarebbero stati ancora in tempo ad accorrerein aiuto degli abitanti d'Abido, i quali si difendevano daeroi; ma nessuno si mosse e la città fu quindi costrettaad arrendersi dopo che quasi tutti gli uomini atti allearmi erano caduti combattendo sotto le mura della città.

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12. Ripresa della guerra.Intanto era venuta la primavera del 554=200 e la guerraera ricominciata.Filippo si gettò nuovamente sulla Tracia, dove occupòtutte le città della costa e particolarmente Maronea, Eno,Eleo e Sesto per mettere al sicuro i suoi possedimentieuropei contro uno sbarco dei Romani. Attaccò posciaAbido sulla riva asiatica, l'occupazione della quale eraper lui di non poca importanza, perchè, disponendo diSesto e di Abido, egli si trovava in più stretta relazionecol suo alleato Antioco, e non aveva più da temere chela flotta degli alleati gli intercettasse la via per l'Asia mi-nore.Questa flotta, dopo che se n'era ritirata la più grandesquadra macedone, dominava il mare Egeo.Nelle sue operazioni marittime, Filippo si limitò a tenerguarnigione nelle tre Cicladi, Andro, Citno e Paro, e adarmare bastimenti corsari.I Rodioti si recarono a Chio, di là a Tenedo, dove Atta-lo, il quale aveva svernato presso Egina dilettandosi adudire le declamazioni degli Ateniesi, si unì ad essi collasua squadra.Gli alleati sarebbero stati ancora in tempo ad accorrerein aiuto degli abitanti d'Abido, i quali si difendevano daeroi; ma nessuno si mosse e la città fu quindi costrettaad arrendersi dopo che quasi tutti gli uomini atti allearmi erano caduti combattendo sotto le mura della città.

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Dopo la capitolazione una gran parte degli abitanti sidiede volontariamente la morte – la clemenza del vinci-tore lasciò al resto degli abitanti tre giorni di tempo permorire di propria mano.Nel campo dinanzi ad Abido l'ambasciata dei Romani,che dopo ultimata la sua missione nella Siria e nell'Egit-to, aveva visitato e agitato i piccoli stati greci, s'incontròcol re cui comunicò gli ordini avuti dal senato ingiun-gendogli che non rompesse guerra a nessuno stato gre-co, che restituisse i possedimenti tolti a Tolomeo e si ri-mettesse ad un compromesso relativamente al danno ar-recato a quei di Pergamo e di Rodi.Lo scopo del senato di trascinare il re ad una dichiara-zione di guerra non fu raggiunto; l'ambasciatore romanoMarco Emilio Lepido non ottenne da Filippo che lascaltra risposta di prendere egli in buona parte quantogli aveva detto il giovane e bel messaggero romano, ingrazia appunto di questi tre titoli. Nel frattempo, però, sioffriva da altra parte, ai Romani, la desiderata occasioneper una dichiarazione di guerra.Nella loro sciocca e crudele vanità, gli Ateniesi avevanofatto morire due disgraziati Acarnani che per caso sierano intromessi nei loro misteri.Allorchè gli Acarnani, naturalmente indignati, chieseroa Filippo che procurasse loro soddisfazione, questi nonsi potè rifiutare di dar seguito alla giusta domanda deisuoi più fedeli alleati, e permise loro di levar gente nella

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Dopo la capitolazione una gran parte degli abitanti sidiede volontariamente la morte – la clemenza del vinci-tore lasciò al resto degli abitanti tre giorni di tempo permorire di propria mano.Nel campo dinanzi ad Abido l'ambasciata dei Romani,che dopo ultimata la sua missione nella Siria e nell'Egit-to, aveva visitato e agitato i piccoli stati greci, s'incontròcol re cui comunicò gli ordini avuti dal senato ingiun-gendogli che non rompesse guerra a nessuno stato gre-co, che restituisse i possedimenti tolti a Tolomeo e si ri-mettesse ad un compromesso relativamente al danno ar-recato a quei di Pergamo e di Rodi.Lo scopo del senato di trascinare il re ad una dichiara-zione di guerra non fu raggiunto; l'ambasciatore romanoMarco Emilio Lepido non ottenne da Filippo che lascaltra risposta di prendere egli in buona parte quantogli aveva detto il giovane e bel messaggero romano, ingrazia appunto di questi tre titoli. Nel frattempo, però, sioffriva da altra parte, ai Romani, la desiderata occasioneper una dichiarazione di guerra.Nella loro sciocca e crudele vanità, gli Ateniesi avevanofatto morire due disgraziati Acarnani che per caso sierano intromessi nei loro misteri.Allorchè gli Acarnani, naturalmente indignati, chieseroa Filippo che procurasse loro soddisfazione, questi nonsi potè rifiutare di dar seguito alla giusta domanda deisuoi più fedeli alleati, e permise loro di levar gente nella

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Macedonia e con quella e con la propria d'irromperenell'Attica senza far precedere una formale dichiarazio-ne di guerra.Questa, a dir vero, non era realmente una guerra, ed ol-tre a ciò il comandante della schiera macedone, Nicano-re, fece battere in ritirata le sue truppe (fine del553=201) appena udì le minacciose parole degli amba-sciatori romani, che si trovavano appunto in Atene. Maera troppo tardi.Un'ambasciata ateniese partì alla volta di Roma per dareragguagli sull'aggressione fatta da Filippo contro un an-tico alleato di Roma, e dal modo come il senato l'accol-se, Filippo capì quel che stava per sopraggiungergli.Perciò egli nella primavera del 554=200 commise subitoa Filocle, suo comandante supremo nella Grecia, di de-vastare il territorio attico e ridurre Atene possibilmenteagli estremi.

13. Dichiarazione di guerra dei Romani.Il senato aveva ora quanto gli occorreva ed era in gradodi proporre nell'estate del 554=200 all'assemblea del po-polo la dichiarazione di guerra da farsi «per aggressionedi uno stato alleato di Roma».Alla prima comunicazione la proposta fu respinta quasiall'unanimità: tribuni del popolo stolti o maligni lamen-tavano che il senato non voleva concedere alcun riposoal popolo. Ma la guerra era divenuta ormai una necessi-

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Macedonia e con quella e con la propria d'irromperenell'Attica senza far precedere una formale dichiarazio-ne di guerra.Questa, a dir vero, non era realmente una guerra, ed ol-tre a ciò il comandante della schiera macedone, Nicano-re, fece battere in ritirata le sue truppe (fine del553=201) appena udì le minacciose parole degli amba-sciatori romani, che si trovavano appunto in Atene. Maera troppo tardi.Un'ambasciata ateniese partì alla volta di Roma per dareragguagli sull'aggressione fatta da Filippo contro un an-tico alleato di Roma, e dal modo come il senato l'accol-se, Filippo capì quel che stava per sopraggiungergli.Perciò egli nella primavera del 554=200 commise subitoa Filocle, suo comandante supremo nella Grecia, di de-vastare il territorio attico e ridurre Atene possibilmenteagli estremi.

13. Dichiarazione di guerra dei Romani.Il senato aveva ora quanto gli occorreva ed era in gradodi proporre nell'estate del 554=200 all'assemblea del po-polo la dichiarazione di guerra da farsi «per aggressionedi uno stato alleato di Roma».Alla prima comunicazione la proposta fu respinta quasiall'unanimità: tribuni del popolo stolti o maligni lamen-tavano che il senato non voleva concedere alcun riposoal popolo. Ma la guerra era divenuta ormai una necessi-

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tà, e, considerate attentamente le cose, era già incomin-ciata, in modo che il senato non poteva assolutamenteindietreggiare. A forza di spiegazioni e di concessioni, icittadini si decisero ad acconsentirvi.È da osservarsi che queste concessioni furono fatte so-stanzialmente a spese degli alleati. I presidii della Gal-lia, dell'Italia inferiore, della Sicilia e della Sardegna,che ammontavano a circa 20.000 uomini, furono, in as-soluto contrasto alle solite massime dei Romani, prele-vati esclusivamente dai contingenti degli alleati stessi.Tutte le truppe cittadine, che dalla guerra annibalica inpoi si trovavano sotto le armi, furono licenziate. Nellaguerra macedone non si dovevano quindi impiegare chevolontari, i quali, come poi si verificò, furono per lamaggior parte volontari forzati, ciò che nell'autunno del555=199 fece nascere una seria sollevazione militare nelcampo d'Apollonia.Dei soldati nuovamente chiamati sotto le armi si forma-rono sei legioni, due delle quali rimasero a Roma, duefurono inviate nell'Etruria e due imbarcate a Brindisisotto il comando del console Publio Sulpicio Galba col-la destinazione per la Macedonia.E così una volta ancora fu dimostrato che per le compli-cate e difficili condizioni nelle quali si trovavano i Ro-mani in seguito alle loro vittorie, le assemblee popolarisovrane, colle loro decisioni così poco accorte e dipen-denti dal caso, assolutamente più non convenivano, eche il rovinoso loro immischiarsi negli affari pubblici

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tà, e, considerate attentamente le cose, era già incomin-ciata, in modo che il senato non poteva assolutamenteindietreggiare. A forza di spiegazioni e di concessioni, icittadini si decisero ad acconsentirvi.È da osservarsi che queste concessioni furono fatte so-stanzialmente a spese degli alleati. I presidii della Gal-lia, dell'Italia inferiore, della Sicilia e della Sardegna,che ammontavano a circa 20.000 uomini, furono, in as-soluto contrasto alle solite massime dei Romani, prele-vati esclusivamente dai contingenti degli alleati stessi.Tutte le truppe cittadine, che dalla guerra annibalica inpoi si trovavano sotto le armi, furono licenziate. Nellaguerra macedone non si dovevano quindi impiegare chevolontari, i quali, come poi si verificò, furono per lamaggior parte volontari forzati, ciò che nell'autunno del555=199 fece nascere una seria sollevazione militare nelcampo d'Apollonia.Dei soldati nuovamente chiamati sotto le armi si forma-rono sei legioni, due delle quali rimasero a Roma, duefurono inviate nell'Etruria e due imbarcate a Brindisisotto il comando del console Publio Sulpicio Galba col-la destinazione per la Macedonia.E così una volta ancora fu dimostrato che per le compli-cate e difficili condizioni nelle quali si trovavano i Ro-mani in seguito alle loro vittorie, le assemblee popolarisovrane, colle loro decisioni così poco accorte e dipen-denti dal caso, assolutamente più non convenivano, eche il rovinoso loro immischiarsi negli affari pubblici

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conduceva a dannose modificazioni delle misure neces-sarie dal punto di vista militare e ad una trascuratezzaancor più pericolosa dei confederati latini.La situazione di Filippo era assai scabrosa. Gli statiorientali, che avrebbero dovuto tenersi uniti contro ogniingerenza dei Romani e che sotto altre condizioni forsel'avrebbero fatto, erano ridotti principalmente per suacolpa, a tale dissidio fra loro, che, o non erano dispostiad impedire l'invasione romana, o inclinavano persino apromuoverla.La Siria, la naturale e più ragguardevole alleata di Filip-po, era stata da lui trascurata, e inoltre impedita, princi-palmente per le complicazioni con l'Egitto e per la guer-ra siriaca, di prendere una parte attiva.L'Egitto aveva urgente bisogno che il naviglio romanorimanesse lungi dal mare orientale; e un'ambasciata egi-zia faceva allora sentire appunto a Roma come la corted'Alessandria fosse pronta a togliere ai Romani il fasti-dio di intervenire nell'Attica. Ma il trattato concluso trala Siria e la Macedonia circa la divisione dell'Egitto get-tò questo importante stato addirittura nelle braccia deiRomani, ed estorse al governo d'Alessandria la dichiara-zione ch'esso non s'ingerirebbe negli affari della Greciaeuropea senza il consenso dei Romani.Le città mercantili greche, con alla testa Rodi, Pergamoe Bisanzio, si trovavano in una situazione simile, benchèancora più angustiata; in altre condizioni esse avrebbe-

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conduceva a dannose modificazioni delle misure neces-sarie dal punto di vista militare e ad una trascuratezzaancor più pericolosa dei confederati latini.La situazione di Filippo era assai scabrosa. Gli statiorientali, che avrebbero dovuto tenersi uniti contro ogniingerenza dei Romani e che sotto altre condizioni forsel'avrebbero fatto, erano ridotti principalmente per suacolpa, a tale dissidio fra loro, che, o non erano dispostiad impedire l'invasione romana, o inclinavano persino apromuoverla.La Siria, la naturale e più ragguardevole alleata di Filip-po, era stata da lui trascurata, e inoltre impedita, princi-palmente per le complicazioni con l'Egitto e per la guer-ra siriaca, di prendere una parte attiva.L'Egitto aveva urgente bisogno che il naviglio romanorimanesse lungi dal mare orientale; e un'ambasciata egi-zia faceva allora sentire appunto a Roma come la corted'Alessandria fosse pronta a togliere ai Romani il fasti-dio di intervenire nell'Attica. Ma il trattato concluso trala Siria e la Macedonia circa la divisione dell'Egitto get-tò questo importante stato addirittura nelle braccia deiRomani, ed estorse al governo d'Alessandria la dichiara-zione ch'esso non s'ingerirebbe negli affari della Greciaeuropea senza il consenso dei Romani.Le città mercantili greche, con alla testa Rodi, Pergamoe Bisanzio, si trovavano in una situazione simile, benchèancora più angustiata; in altre condizioni esse avrebbe-

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ro, senza dubbio, fatto ogni sforzo per chiudere ai Ro-mani l'accesso nel mare orientale; ma la crudele e di-struttrice politica di conquista seguita da Filippo le ave-va costrette ad entrare in una lotta disuguale, nella qualeper la propria salvezza esse dovevano porre in operaogni mezzo per involgervi la grande potenza italica.Gli ambasciatori romani, incaricati di organizzare unanuova lega contro Filippo nella Grecia propriamentedetta, trovarono anche là il terreno ben preparato dal ne-mico.Quanto al partito antimacedone, che si componeva degliSpartani, degli Elei, degli Ateniesi e degli Etoli, Filippoavrebbe forse potuto guadagnare questi ultimi, poichè lapace del 548=206 aveva riaperta una profonda ferita nonancora cicatrizzata nella loro lega con Roma; ma astra-zion fatta dagli antichi dissidii fra i due stati per avere laMacedonia rapito alla federazione etolica le città tessali-che di Eschino, Larissa, Cremaste, Farsalia e la Tebeftiotica, l'espulsione dei presidii etolici da Lisimachia eChio aveva nuovamente acceso le ire degli Etoli controFilippo.Se essi esitavano ad unirsi alla lega contro di lui, ne eracausa la discordia che regnava tra essi ed i Romani.Il peggio poi si era che persino fra gli stati greci stretta-mente vincolati agli interessi della Macedonia, comequelli degli Epiroti, degli Acarnani, dei Beoti e degliAchei, solo quelli degli Acarnani e dei Beoti si tenevano

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ro, senza dubbio, fatto ogni sforzo per chiudere ai Ro-mani l'accesso nel mare orientale; ma la crudele e di-struttrice politica di conquista seguita da Filippo le ave-va costrette ad entrare in una lotta disuguale, nella qualeper la propria salvezza esse dovevano porre in operaogni mezzo per involgervi la grande potenza italica.Gli ambasciatori romani, incaricati di organizzare unanuova lega contro Filippo nella Grecia propriamentedetta, trovarono anche là il terreno ben preparato dal ne-mico.Quanto al partito antimacedone, che si componeva degliSpartani, degli Elei, degli Ateniesi e degli Etoli, Filippoavrebbe forse potuto guadagnare questi ultimi, poichè lapace del 548=206 aveva riaperta una profonda ferita nonancora cicatrizzata nella loro lega con Roma; ma astra-zion fatta dagli antichi dissidii fra i due stati per avere laMacedonia rapito alla federazione etolica le città tessali-che di Eschino, Larissa, Cremaste, Farsalia e la Tebeftiotica, l'espulsione dei presidii etolici da Lisimachia eChio aveva nuovamente acceso le ire degli Etoli controFilippo.Se essi esitavano ad unirsi alla lega contro di lui, ne eracausa la discordia che regnava tra essi ed i Romani.Il peggio poi si era che persino fra gli stati greci stretta-mente vincolati agli interessi della Macedonia, comequelli degli Epiroti, degli Acarnani, dei Beoti e degliAchei, solo quelli degli Acarnani e dei Beoti si tenevano

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fermamente ad essa.Gli ambasciatori romani trattarono con successo cogliEpiroti; e particolarmente con Amirando re degli Ata-mani che si unì strettamente a Roma. Persino fra gliAchei Filippo si era fatti molti nemici coll'assassinio diArato: dall'altro canto aveva dato luogo ad un più liberosvolgimento della federazione, la quale, sotto la direzio-ne di Filopemene (502-571=252-183) stratega per la pri-ma volta nel 546=208, aveva rigenerato il suo esercito,aveva ritrovata nelle battaglie felicemente combattutecontro Sparta la fiducia in se stessa, e non seguiva,come al tempo di Arato, ciecamente la politica macedo-ne.Unica in tutta l'Ellade, la federazione achea, la qualenon poteva attendersi nè utile nè danno dai pianid'ingrandimento di Filippo, considerava questa guerradal punto di vista imparziale e nazionale. Essa compreseciò che non era certo difficile a comprendersi, che la na-zione ellenica con quella guerra si dava da se stessa inbalìa dei Romani prima ancora che questi lo desideras-sero e lo esigessero, e tentò quindi un componimento traFilippo e i Rodioti; ma era troppo tardi.Il patriottismo nazionale, che aveva già fatto cessare laguerra dei confederati, e che aveva contribuito essen-zialmente alla prima guerra tra la Macedonia e Roma,era spento; la mediazione achea rimase senza effetto edinvano Filippo visitò le città e le isole per riaccenderel'entusiasmo della nazione – la loro apatia era la nemesi

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fermamente ad essa.Gli ambasciatori romani trattarono con successo cogliEpiroti; e particolarmente con Amirando re degli Ata-mani che si unì strettamente a Roma. Persino fra gliAchei Filippo si era fatti molti nemici coll'assassinio diArato: dall'altro canto aveva dato luogo ad un più liberosvolgimento della federazione, la quale, sotto la direzio-ne di Filopemene (502-571=252-183) stratega per la pri-ma volta nel 546=208, aveva rigenerato il suo esercito,aveva ritrovata nelle battaglie felicemente combattutecontro Sparta la fiducia in se stessa, e non seguiva,come al tempo di Arato, ciecamente la politica macedo-ne.Unica in tutta l'Ellade, la federazione achea, la qualenon poteva attendersi nè utile nè danno dai pianid'ingrandimento di Filippo, considerava questa guerradal punto di vista imparziale e nazionale. Essa compreseciò che non era certo difficile a comprendersi, che la na-zione ellenica con quella guerra si dava da se stessa inbalìa dei Romani prima ancora che questi lo desideras-sero e lo esigessero, e tentò quindi un componimento traFilippo e i Rodioti; ma era troppo tardi.Il patriottismo nazionale, che aveva già fatto cessare laguerra dei confederati, e che aveva contribuito essen-zialmente alla prima guerra tra la Macedonia e Roma,era spento; la mediazione achea rimase senza effetto edinvano Filippo visitò le città e le isole per riaccenderel'entusiasmo della nazione – la loro apatia era la nemesi

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che vendicava Chio ed Abido.Gli Achei non potendo cambiare le cose e non volendoaiutare nessuno, rimasero neutrali.

14. Sbarco dei Romani in Macedonia.Nell'autunno del 554=200 approdava presso Apolloniail console Publio Sulpicio Galba colle sue due legioni,con mille cavalieri numidi e persino con elefanti prove-nienti dal bottino cartaginese.A questa notizia il re ritornò sollecitamente dall'Elle-sponto in Tessalia. Ma, sia per la stagione già troppoavanzata, sia per la malattia del generale romano,quell'anno non si fece altro, per terra, se non una rico-gnizione in forze, nella quale furono occupati dai Roma-ni i luoghi più vicini e particolarmente la colonia mace-done di Antipatrea.Per l'anno seguente fu organizzato un attacco combinatocontro la Macedonia d'accordo coi barbari del settentrio-ne e particolarmente con Pleurato, allora signore di Sco-dra, e con Batone, principe dei Dardani, che furono sol-leciti ad approfittare della favorevole occasione.Più importanti furono le imprese della flotta romana,che si componeva di cento vascelli coperti e di ottantaleggeri.Mentre la maggior parte di essa svernava presso Corci-ra, una squadra comandata da Gaio Claudio Centone si

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che vendicava Chio ed Abido.Gli Achei non potendo cambiare le cose e non volendoaiutare nessuno, rimasero neutrali.

14. Sbarco dei Romani in Macedonia.Nell'autunno del 554=200 approdava presso Apolloniail console Publio Sulpicio Galba colle sue due legioni,con mille cavalieri numidi e persino con elefanti prove-nienti dal bottino cartaginese.A questa notizia il re ritornò sollecitamente dall'Elle-sponto in Tessalia. Ma, sia per la stagione già troppoavanzata, sia per la malattia del generale romano,quell'anno non si fece altro, per terra, se non una rico-gnizione in forze, nella quale furono occupati dai Roma-ni i luoghi più vicini e particolarmente la colonia mace-done di Antipatrea.Per l'anno seguente fu organizzato un attacco combinatocontro la Macedonia d'accordo coi barbari del settentrio-ne e particolarmente con Pleurato, allora signore di Sco-dra, e con Batone, principe dei Dardani, che furono sol-leciti ad approfittare della favorevole occasione.Più importanti furono le imprese della flotta romana,che si componeva di cento vascelli coperti e di ottantaleggeri.Mentre la maggior parte di essa svernava presso Corci-ra, una squadra comandata da Gaio Claudio Centone si

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recò al Pireo per soccorrere gli angustiati Ateniesi.Avendo Centone trovato già abbastanza protetto il paeseattico contro le scorrerie del presidio di Corinto e controi corsari macedoni, passò oltre, e giunse improvvisa-mente dinanzi a Calcide in Eubea, la principale piazzad'armi di Filippo nella Grecia, dove erano i magazzini,le provvigioni da guerra e i prigionieri, e dove il coman-dante Sopatro s'aspettava tutt'altro che un'aggressionedei Romani.Alle mura non difese fu data la scalata, i soldati dellaguarnigione furono uccisi, vennero liberati i prigionieried arse le provvigioni: purtroppo si mancava di truppeper occupare e conservare l'importante piazza.Pervenuta a Filippo la notizia di questa sorpresa, pienod'ira partì immediatamente da Demetriade nella Tessaliaper Calcide, e, non avendovi trovata altra traccia del ne-mico che le rovine da esso lasciate, proseguì la sua mar-cia alla volta d'Atene con l'animo di rendere la pariglia.Ma la sorpresa della città andò fallita, e fallito andò an-che l'assalto, malgrado che il re mettesse a repentaglio lapropria vita.L'avvicinarsi di Gaio Claudio dal Pireo, e quello di Atta-lo da Egina, lo costrinsero a battere in ritirata. Ciò non-pertanto egli si trattenne ancora per qualche tempo inGrecia; ma i suoi successi tanto politici che militari fu-rono di poco rilievo.Invano egli tentò di accaparrarsi gli Achei, nè furono

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recò al Pireo per soccorrere gli angustiati Ateniesi.Avendo Centone trovato già abbastanza protetto il paeseattico contro le scorrerie del presidio di Corinto e controi corsari macedoni, passò oltre, e giunse improvvisa-mente dinanzi a Calcide in Eubea, la principale piazzad'armi di Filippo nella Grecia, dove erano i magazzini,le provvigioni da guerra e i prigionieri, e dove il coman-dante Sopatro s'aspettava tutt'altro che un'aggressionedei Romani.Alle mura non difese fu data la scalata, i soldati dellaguarnigione furono uccisi, vennero liberati i prigionieried arse le provvigioni: purtroppo si mancava di truppeper occupare e conservare l'importante piazza.Pervenuta a Filippo la notizia di questa sorpresa, pienod'ira partì immediatamente da Demetriade nella Tessaliaper Calcide, e, non avendovi trovata altra traccia del ne-mico che le rovine da esso lasciate, proseguì la sua mar-cia alla volta d'Atene con l'animo di rendere la pariglia.Ma la sorpresa della città andò fallita, e fallito andò an-che l'assalto, malgrado che il re mettesse a repentaglio lapropria vita.L'avvicinarsi di Gaio Claudio dal Pireo, e quello di Atta-lo da Egina, lo costrinsero a battere in ritirata. Ciò non-pertanto egli si trattenne ancora per qualche tempo inGrecia; ma i suoi successi tanto politici che militari fu-rono di poco rilievo.Invano egli tentò di accaparrarsi gli Achei, nè furono

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più felici i suoi attacchi contro Eleusi, contro il Pireo edun secondo tentativo contro Atene stessa. Altro non glirimaneva che sfogare la naturale sua irritazione in unmodo indegno, devastando il paese ed abbattendo gli al-beri dell'accademia, ritornandosene poscia verso il set-tentrione. Così passò l'inverno.

15. Tentativo d'invasione della Macedonia.Con la primavera del 555=199 il proconsole Publio Sul-picio lasciò i suoi quartieri d'inverno presso Apollonia,deciso a condurre le sue legioni per la via più corta nellaMacedonia propriamente detta.Questo attacco principale dalla parte di ponente dovevaesser sostenuto da tre attacchi secondari: a settentrioneda un'invasione di Dardani e di Illirici; ad oriente dallaflotta unita dei Romani e dei federati che si raccoglievapresso Egina, finalmente da mezzogiorno dovevanoavanzare gli Atamani e gli Etoli, quando fosse riuscitodi far loro prendere parte alla lotta.Valicati i monti divisi dall'Apso (ora Beratinò) e lasciatadietro a sè la fertile pianura dasseretica, Galba pervennealla catena dei monti che divide l'Illiria dalla Macedo-nia, superati i quali, si trovò sul vero territorio macedo-ne.Filippo si era mosso ad incontrarlo; ma nelle ampie epoco popolate regioni della Macedonia i due nemici peralcun tempo si cercarono invano; finalmente si trovaro-

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più felici i suoi attacchi contro Eleusi, contro il Pireo edun secondo tentativo contro Atene stessa. Altro non glirimaneva che sfogare la naturale sua irritazione in unmodo indegno, devastando il paese ed abbattendo gli al-beri dell'accademia, ritornandosene poscia verso il set-tentrione. Così passò l'inverno.

15. Tentativo d'invasione della Macedonia.Con la primavera del 555=199 il proconsole Publio Sul-picio lasciò i suoi quartieri d'inverno presso Apollonia,deciso a condurre le sue legioni per la via più corta nellaMacedonia propriamente detta.Questo attacco principale dalla parte di ponente dovevaesser sostenuto da tre attacchi secondari: a settentrioneda un'invasione di Dardani e di Illirici; ad oriente dallaflotta unita dei Romani e dei federati che si raccoglievapresso Egina, finalmente da mezzogiorno dovevanoavanzare gli Atamani e gli Etoli, quando fosse riuscitodi far loro prendere parte alla lotta.Valicati i monti divisi dall'Apso (ora Beratinò) e lasciatadietro a sè la fertile pianura dasseretica, Galba pervennealla catena dei monti che divide l'Illiria dalla Macedo-nia, superati i quali, si trovò sul vero territorio macedo-ne.Filippo si era mosso ad incontrarlo; ma nelle ampie epoco popolate regioni della Macedonia i due nemici peralcun tempo si cercarono invano; finalmente si trovaro-

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no non lungi dal confine nord-ovest del paese, ove ac-camparono a meno di mille passi l'uno dall'altro.L'esercito di Filippo, dopo aver tratto a sè il corpo desti-nato a presidiare i passi del settentrione, contava circa20.000 fanti e 20.000 cavalieri, l'esercito romano erapress'a poco di egual forza.I Macedoni avevano il grande vantaggio che, combat-tendo nel proprio paese e conoscendone ogni via, anziogni sentiero, si procacciavano facilmente i mezzi disussistenza, mentre i Romani, per aver posto il lorocampo tanto vicino a quello del nemico, non potevanosenza imprudenza allontanarsi di molto per approvvigio-narsi.Il console offrì ripetutamente battaglia, ma il re la rifiutòcostantemente, e i combattimenti tra le truppe leggere,sebbene i Romani ne riportassero dei vantaggi, non con-ducevano a nessun risultato decisivo.Galba fu costretto a levare il campo ed a piantarne unaltro presso Octofolo, alla distanza di un miglio e mez-zo, dove egli credeva di potersi più facilmente procac-ciare i mezzi di sussistenza.Ma anche qui i distaccamenti mandati a foraggiare furo-no distrutti dalle truppe leggere e dalla cavalleria mace-done; si dovettero chiamare in aiuto le legioni, le qualinaturalmente respinsero nel campo, con gravi perdite, laavanguardia macedone che se ne era troppo allontanata,ed in questo scontro il re stesso perdette il suo cavallo e

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no non lungi dal confine nord-ovest del paese, ove ac-camparono a meno di mille passi l'uno dall'altro.L'esercito di Filippo, dopo aver tratto a sè il corpo desti-nato a presidiare i passi del settentrione, contava circa20.000 fanti e 20.000 cavalieri, l'esercito romano erapress'a poco di egual forza.I Macedoni avevano il grande vantaggio che, combat-tendo nel proprio paese e conoscendone ogni via, anziogni sentiero, si procacciavano facilmente i mezzi disussistenza, mentre i Romani, per aver posto il lorocampo tanto vicino a quello del nemico, non potevanosenza imprudenza allontanarsi di molto per approvvigio-narsi.Il console offrì ripetutamente battaglia, ma il re la rifiutòcostantemente, e i combattimenti tra le truppe leggere,sebbene i Romani ne riportassero dei vantaggi, non con-ducevano a nessun risultato decisivo.Galba fu costretto a levare il campo ed a piantarne unaltro presso Octofolo, alla distanza di un miglio e mez-zo, dove egli credeva di potersi più facilmente procac-ciare i mezzi di sussistenza.Ma anche qui i distaccamenti mandati a foraggiare furo-no distrutti dalle truppe leggere e dalla cavalleria mace-done; si dovettero chiamare in aiuto le legioni, le qualinaturalmente respinsero nel campo, con gravi perdite, laavanguardia macedone che se ne era troppo allontanata,ed in questo scontro il re stesso perdette il suo cavallo e

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non ebbe salva la vita se non per il generoso sacrificiodi uno dei suoi cavalieri.I Romani uscivano salvi da così pericolosa posizione, ingrazia dei migliori successi che Galba seppe procacciar-si cogli attacchi secondari dei suoi alleati, o a dir me-glio, per la debolezza dell'esercito macedone.Benchè Filippo avesse fatto leve rilevanti nei suoi domi-nii, e vi avesse arruolato disertori romani ed altri merce-nari, non era riuscito a mettere in piedi – oltre i presidîdell'Asia minore e della Tracia – un esercito più nume-roso di quello col quale egli stesso stava di fronte alconsole, e per formare il quale era stato costretto asguernire i passi settentrionali del paese pelagonico.Per la difesa della costa orientale egli faceva assegna-mento in parte sulla devastazione da esso ordinata delleisole Sciato e Pepareto, che avrebbero potuto servire distazione alla flotta nemica; in parte all'occupazione diTaso e della spiaggia stessa, e sulla flotta comandata daEracleide, ancorata presso Demetriade.Per il confine meridionale egli aveva dovuto calcolareperfino sulla più che dubbia mentalità degli Etoli.Questi ora si accostarono repentinamente alla lega con-tro la Macedonia e penetrarono subito insieme cogliAtamani nella Tessalia, mentre i Dardani e gli Illiriciinondavano al tempo stesso le regioni settentrionali, e laflotta romana comandata da Lucio Apustio, salpando daCorcira, compariva nelle acque orientali, ove le si asso-

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non ebbe salva la vita se non per il generoso sacrificiodi uno dei suoi cavalieri.I Romani uscivano salvi da così pericolosa posizione, ingrazia dei migliori successi che Galba seppe procacciar-si cogli attacchi secondari dei suoi alleati, o a dir me-glio, per la debolezza dell'esercito macedone.Benchè Filippo avesse fatto leve rilevanti nei suoi domi-nii, e vi avesse arruolato disertori romani ed altri merce-nari, non era riuscito a mettere in piedi – oltre i presidîdell'Asia minore e della Tracia – un esercito più nume-roso di quello col quale egli stesso stava di fronte alconsole, e per formare il quale era stato costretto asguernire i passi settentrionali del paese pelagonico.Per la difesa della costa orientale egli faceva assegna-mento in parte sulla devastazione da esso ordinata delleisole Sciato e Pepareto, che avrebbero potuto servire distazione alla flotta nemica; in parte all'occupazione diTaso e della spiaggia stessa, e sulla flotta comandata daEracleide, ancorata presso Demetriade.Per il confine meridionale egli aveva dovuto calcolareperfino sulla più che dubbia mentalità degli Etoli.Questi ora si accostarono repentinamente alla lega con-tro la Macedonia e penetrarono subito insieme cogliAtamani nella Tessalia, mentre i Dardani e gli Illiriciinondavano al tempo stesso le regioni settentrionali, e laflotta romana comandata da Lucio Apustio, salpando daCorcira, compariva nelle acque orientali, ove le si asso-

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ciarono i vascelli di Attalo, dei Rodioti e degli Istriani.A questo annunzio Filippo abbandonò spontaneamentele sue posizioni e si ritirò verso oriente; non si saprebbeben definire se con l'intenzione di respingere l'invasio-ne, probabilmente imprevista, degli Etoli, o con quelladi attirarsi dietro l'esercito romano per annientarlo, o perattenersi, secondo le circostanze, all'uno od all'altro diquesti partiti.Egli operò la sua ritirata con tale destrezza, che Galba, ilquale concepì la temeraria risoluzione d'inseguirlo, neperdette le tracce, e Filippo potè, battendo vie laterali,aggiungere ed occupare la gola che separa la Lincestidedall'Eordea per attendervi i Romani e preparar loro unadura accoglienza.Si venne a battaglia nel luogo da lui scelto, ma le lunghelance macedoni si dimostrarono inservibili su un terrenoboscoso ed ineguale; i Macedoni furono aggirati, rotti, esoffrirono gravi perdite.

16. Ritorno dei Romani.Sebbene l'esercito di Filippo, dopo l'infausto combatti-mento, non fosse più in grado di contendere lungamenteai Romani l'ulteriore avanzata, a questi non bastò l'ani-mo di proseguire la loro marcia in un paese nemico edimpraticabile e di andare incontro ad ignoti pericoli. Siritirarono quindi in Apollonia, dopo aver devastato lefertili province dell'alta Macedonia, Eordea, Elimea,

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ciarono i vascelli di Attalo, dei Rodioti e degli Istriani.A questo annunzio Filippo abbandonò spontaneamentele sue posizioni e si ritirò verso oriente; non si saprebbeben definire se con l'intenzione di respingere l'invasio-ne, probabilmente imprevista, degli Etoli, o con quelladi attirarsi dietro l'esercito romano per annientarlo, o perattenersi, secondo le circostanze, all'uno od all'altro diquesti partiti.Egli operò la sua ritirata con tale destrezza, che Galba, ilquale concepì la temeraria risoluzione d'inseguirlo, neperdette le tracce, e Filippo potè, battendo vie laterali,aggiungere ed occupare la gola che separa la Lincestidedall'Eordea per attendervi i Romani e preparar loro unadura accoglienza.Si venne a battaglia nel luogo da lui scelto, ma le lunghelance macedoni si dimostrarono inservibili su un terrenoboscoso ed ineguale; i Macedoni furono aggirati, rotti, esoffrirono gravi perdite.

16. Ritorno dei Romani.Sebbene l'esercito di Filippo, dopo l'infausto combatti-mento, non fosse più in grado di contendere lungamenteai Romani l'ulteriore avanzata, a questi non bastò l'ani-mo di proseguire la loro marcia in un paese nemico edimpraticabile e di andare incontro ad ignoti pericoli. Siritirarono quindi in Apollonia, dopo aver devastato lefertili province dell'alta Macedonia, Eordea, Elimea,

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Orestide, ed aver assoggettata Celera, la più importantecittà dell'Orestide (ora Castoria, su una penisola del lagoomonimo), l'unica città macedone che aprisse le porte aiRomani.Nel paese illirico era stato preso d'assalto Pelio, città deiDassareti, posta sul confluente superiore dell'Apso; vi sipose poi un forte presidio perchè servisse di base peruna simile invasione avvenire.Nella sua ritirata, Filippo non molestò l'armata principa-le dei Romani, ma si volse a marce forzate contro gliEtoli e gli Atamani – i quali, nella supposizione che lelegioni tenessero a bada il re, saccheggiarono e devasta-rono arditamente e senza alcun ritegno la bella valle delPeneo – li sconfisse e costrinse quelli che non caddero amettersi in salvo alla spicciolata per i noti sentieri dellemontagne.Per questa sconfitta e per i forti arruolamenti che si fe-cero nell'Etolia per conto degli Egiziani, le forze dellafederazione furono sensibilmente diminuite.I Dardani furono da Atenagora, comandante delle truppeleggere di Filippo, facilmente e con gravi perdite ricac-ciati oltre i monti.La flotta romana essa pure non aveva fatto molto; avevascacciato il presidio macedone da Andro, visitate le iso-le d'Eubea e di Sciato e fatto dei tentativi sulla penisolacalcidica che furono vigorosamente respinti dalla guar-nigione macedone di Mende.

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Orestide, ed aver assoggettata Celera, la più importantecittà dell'Orestide (ora Castoria, su una penisola del lagoomonimo), l'unica città macedone che aprisse le porte aiRomani.Nel paese illirico era stato preso d'assalto Pelio, città deiDassareti, posta sul confluente superiore dell'Apso; vi sipose poi un forte presidio perchè servisse di base peruna simile invasione avvenire.Nella sua ritirata, Filippo non molestò l'armata principa-le dei Romani, ma si volse a marce forzate contro gliEtoli e gli Atamani – i quali, nella supposizione che lelegioni tenessero a bada il re, saccheggiarono e devasta-rono arditamente e senza alcun ritegno la bella valle delPeneo – li sconfisse e costrinse quelli che non caddero amettersi in salvo alla spicciolata per i noti sentieri dellemontagne.Per questa sconfitta e per i forti arruolamenti che si fe-cero nell'Etolia per conto degli Egiziani, le forze dellafederazione furono sensibilmente diminuite.I Dardani furono da Atenagora, comandante delle truppeleggere di Filippo, facilmente e con gravi perdite ricac-ciati oltre i monti.La flotta romana essa pure non aveva fatto molto; avevascacciato il presidio macedone da Andro, visitate le iso-le d'Eubea e di Sciato e fatto dei tentativi sulla penisolacalcidica che furono vigorosamente respinti dalla guar-nigione macedone di Mende.

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Il resto dell'estate fu impiegato nella presa di Oreonell'Eubea, che fu molto laboriosa per l'energica difesadella guarnigione macedone.La debole flotta macedone, comandata da Eracleide, sta-va inoperosa alle ancore presso Eraclea, e non aveva ilcoraggio di contendere il mare ai nemici. Questi furonosolleciti a prendere i quartieri d'inverno; i Romani re-candosi nel Pireo ed a Corcira, i Rodioti e quei di Perga-mo in patria.Filippo, in complesso, aveva motivo di esser contentodei risultati di questa campagna.Le truppe romane, dopo una campagna estremamentefaticosa, si trovavano, nell'autunno, appunto là dondenella primavera erano partite, e senza il combattimentoopportunamente sostenuto dagli Etoli, e la battaglia feli-cemente vinta al passo d'Eordea, forse di tutto l'esercitoromano nemmeno un uomo avrebbe riveduto il suolodella patria.La quadruplice offensiva aveva dappertutto mancato alsuo scopo, e Filippo vide nell'autunno non solo l'interosuo territorio sgombro dai nemici, ma potè ancora fareun tentativo, sebbene inutile, per strappare agli Etoli lapiazza forte di Taumachia posta sul confine etolo-tessa-lico e dominante la valle del Peneo.Se Antioco, pel cui arrivo Filippo supplicava invano glidei, si univa con lui nella prossima campagna, egli pote-va aspettarsi grandi successi.

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Il resto dell'estate fu impiegato nella presa di Oreonell'Eubea, che fu molto laboriosa per l'energica difesadella guarnigione macedone.La debole flotta macedone, comandata da Eracleide, sta-va inoperosa alle ancore presso Eraclea, e non aveva ilcoraggio di contendere il mare ai nemici. Questi furonosolleciti a prendere i quartieri d'inverno; i Romani re-candosi nel Pireo ed a Corcira, i Rodioti e quei di Perga-mo in patria.Filippo, in complesso, aveva motivo di esser contentodei risultati di questa campagna.Le truppe romane, dopo una campagna estremamentefaticosa, si trovavano, nell'autunno, appunto là dondenella primavera erano partite, e senza il combattimentoopportunamente sostenuto dagli Etoli, e la battaglia feli-cemente vinta al passo d'Eordea, forse di tutto l'esercitoromano nemmeno un uomo avrebbe riveduto il suolodella patria.La quadruplice offensiva aveva dappertutto mancato alsuo scopo, e Filippo vide nell'autunno non solo l'interosuo territorio sgombro dai nemici, ma potè ancora fareun tentativo, sebbene inutile, per strappare agli Etoli lapiazza forte di Taumachia posta sul confine etolo-tessa-lico e dominante la valle del Peneo.Se Antioco, pel cui arrivo Filippo supplicava invano glidei, si univa con lui nella prossima campagna, egli pote-va aspettarsi grandi successi.

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Vi fu un momento in cui parve che Antioco si dispones-se a venire; il suo esercito comparve nell'Asia minore edoccupò alcune piazze del re Attalo, il quale chiese tostol'aiuto armato dei Romani. Questi però non si mostraro-no solleciti di spingere il gran re a romperla con loro, emandarono ambasciatori i quali ottennero che il territo-rio di Attalo fosse sgomberato.Filippo non aveva da questo lato nulla da sperare.

17. Flaminino.Ad ogni modo l'avventurosa fine dell'ultima campagnaaveva talmente risollevato il coraggio o, meglio, la tra-cotanza di Filippo, che, dopo essersi di nuovo assicuratola neutralità degli Achei e della fedeltà dei Macedonicol sacrificio di alcune piazze forti e del detestato am-miraglio Eracleide, riprese egli stesso nella primaveradel 556=198, l'offensiva invadendo i paesi degli Atinta-ni, per prendere posizione e mettere un campo ben trin-cerato nella gola dove l'Aoo (Voiussa) si apre il passag-gio tra i due monti Etopo ed Asmao.Di fronte gli stava il campo dei Romani rinforzato danuove truppe e comandato prima dal console dell'annoprecedente Publio Villio e poi, dall'estate del 556=198,dal console in carica Tito Quinzio Flaminino.Appena trentenne e dotato di molto talento, Flamininoapparteneva alla giovane generazione, la quale colle an-tiche abitudini incominciava ad abbandonare anche

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Vi fu un momento in cui parve che Antioco si dispones-se a venire; il suo esercito comparve nell'Asia minore edoccupò alcune piazze del re Attalo, il quale chiese tostol'aiuto armato dei Romani. Questi però non si mostraro-no solleciti di spingere il gran re a romperla con loro, emandarono ambasciatori i quali ottennero che il territo-rio di Attalo fosse sgomberato.Filippo non aveva da questo lato nulla da sperare.

17. Flaminino.Ad ogni modo l'avventurosa fine dell'ultima campagnaaveva talmente risollevato il coraggio o, meglio, la tra-cotanza di Filippo, che, dopo essersi di nuovo assicuratola neutralità degli Achei e della fedeltà dei Macedonicol sacrificio di alcune piazze forti e del detestato am-miraglio Eracleide, riprese egli stesso nella primaveradel 556=198, l'offensiva invadendo i paesi degli Atinta-ni, per prendere posizione e mettere un campo ben trin-cerato nella gola dove l'Aoo (Voiussa) si apre il passag-gio tra i due monti Etopo ed Asmao.Di fronte gli stava il campo dei Romani rinforzato danuove truppe e comandato prima dal console dell'annoprecedente Publio Villio e poi, dall'estate del 556=198,dal console in carica Tito Quinzio Flaminino.Appena trentenne e dotato di molto talento, Flamininoapparteneva alla giovane generazione, la quale colle an-tiche abitudini incominciava ad abbandonare anche

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l'antico patriottismo(38) e pensava ancora alla patria, maancor più a sè ed ai costumi greci.Abile ufficiale e migliore diplomatico, sotto molti aspet-ti era forse adattissimo per la trattazione dei gravi affaridella Grecia; ma per Roma e per la Grecia stessa sareb-be forse stato meglio che la scelta fosse caduta su unuomo meno invaso da simpatie elleniche, e che vi fossestato inviato un generale, il quale non si fosse lasciatosedurre nè da lusinghe, nè irritare da satire mordaci, eche non avesse obliato la miserabile condizione dellecostituzioni degli stati ellenici per le loro memorie lette-rarie ed artistiche, e avesse trattato la Grecia come meri-tava di essere trattata risparmiando ai Romani gli sforziper aspirare ad ideali irraggiungibili.Il nuovo comandante in capo ebbe subito un abbocca-mento col re, mentre i due eserciti stavano ancora inope-rosi l'uno di fronte all'altro.Filippo fece delle proposte di pace; si dichiarò prontoalla restituzione di tutte le conquiste fatte ed a sottomet-

38 [Questa accusa del Mommsen a Flaminino, ci è sembrata talmente stoltache abbiamo voluto controllare tutte le edizioni precedenti della sua storiaper convincerci che non si trattasse di una deformazione filologica arbitra-ria degli stampatori. Purtroppo lo stesso testo curato dall'autore confermala definizione. Che Flaminino malgrado i suoi grandi meriti, le sue glorio-se gesta, la sua grande umanità e quel senso di equilibrio del tutto romanoche permetteva ai vincitori di usare e mai d'abusare della vittoria, riuscissepoco simpatico al Mommsen, lo si vede nei giudizi arbitrari sulla condottadi questo console dopo le sue vittorie, fino a tenerlo responsabile dellaguerra di Antioco, dimenticando che alla corte del gran re vi era Annibale.Ma accusare di scarso patriottismo Flaminino perchè concede una pacegiusta ai vinti, non onora lo spirito democratico del Mommsen].

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l'antico patriottismo(38) e pensava ancora alla patria, maancor più a sè ed ai costumi greci.Abile ufficiale e migliore diplomatico, sotto molti aspet-ti era forse adattissimo per la trattazione dei gravi affaridella Grecia; ma per Roma e per la Grecia stessa sareb-be forse stato meglio che la scelta fosse caduta su unuomo meno invaso da simpatie elleniche, e che vi fossestato inviato un generale, il quale non si fosse lasciatosedurre nè da lusinghe, nè irritare da satire mordaci, eche non avesse obliato la miserabile condizione dellecostituzioni degli stati ellenici per le loro memorie lette-rarie ed artistiche, e avesse trattato la Grecia come meri-tava di essere trattata risparmiando ai Romani gli sforziper aspirare ad ideali irraggiungibili.Il nuovo comandante in capo ebbe subito un abbocca-mento col re, mentre i due eserciti stavano ancora inope-rosi l'uno di fronte all'altro.Filippo fece delle proposte di pace; si dichiarò prontoalla restituzione di tutte le conquiste fatte ed a sottomet-

38 [Questa accusa del Mommsen a Flaminino, ci è sembrata talmente stoltache abbiamo voluto controllare tutte le edizioni precedenti della sua storiaper convincerci che non si trattasse di una deformazione filologica arbitra-ria degli stampatori. Purtroppo lo stesso testo curato dall'autore confermala definizione. Che Flaminino malgrado i suoi grandi meriti, le sue glorio-se gesta, la sua grande umanità e quel senso di equilibrio del tutto romanoche permetteva ai vincitori di usare e mai d'abusare della vittoria, riuscissepoco simpatico al Mommsen, lo si vede nei giudizi arbitrari sulla condottadi questo console dopo le sue vittorie, fino a tenerlo responsabile dellaguerra di Antioco, dimenticando che alla corte del gran re vi era Annibale.Ma accusare di scarso patriottismo Flaminino perchè concede una pacegiusta ai vinti, non onora lo spirito democratico del Mommsen].

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tersi ad un equo arbitro sui danni cagionati alle città gre-che; ma le trattative furono rotte quando si pretesech'egli rinunciasse agli antichi possedimenti macedoni eparticolarmente alla Tessalia.Quaranta giorni stettero i due eserciti inattivi nella goladell'Aoo; Filippo non volle cedere e Flaminino non sep-pe risolversi ad ordinare l'assalto lasciando il re e riten-tando la spedizione dell'anno precedente.A togliere dall'imbarazzo il generale romano venne iltradimento di alcuni fra i più nobili Epiroti, i quali in ge-nerale tenevano per la Macedonia, e particolarmente iltradimento di Carope. Questi condusse per sentieri alpe-stri un corpo di Romani di 4.000 fanti e 3.000 cavallisulle alture sovrastanti il campo macedone, e quando ilconsole attaccò di fronte l'esercito nemico, l'avanzarsiinsospettato di quel distaccamento, che discendeva dallealture dominanti, decise le sorti della battaglia.Filippo, perduto il campo e le trincee e circa 2.000 uo-mini, si ritirò immediatamente sino al passo di Tempe,che era la barriera della Macedonia propriamente detta.

18. La Grecia in potere dei Romani.Ad eccezione delle fortezze, egli abbandonò ogni altropossedimento e distrusse le città tessaliche che non po-teva difendere. La sola Fere gli chiuse le porte e si sot-trasse così alla distruzione.Mossi in parte da questi successi delle armi romane, in

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tersi ad un equo arbitro sui danni cagionati alle città gre-che; ma le trattative furono rotte quando si pretesech'egli rinunciasse agli antichi possedimenti macedoni eparticolarmente alla Tessalia.Quaranta giorni stettero i due eserciti inattivi nella goladell'Aoo; Filippo non volle cedere e Flaminino non sep-pe risolversi ad ordinare l'assalto lasciando il re e riten-tando la spedizione dell'anno precedente.A togliere dall'imbarazzo il generale romano venne iltradimento di alcuni fra i più nobili Epiroti, i quali in ge-nerale tenevano per la Macedonia, e particolarmente iltradimento di Carope. Questi condusse per sentieri alpe-stri un corpo di Romani di 4.000 fanti e 3.000 cavallisulle alture sovrastanti il campo macedone, e quando ilconsole attaccò di fronte l'esercito nemico, l'avanzarsiinsospettato di quel distaccamento, che discendeva dallealture dominanti, decise le sorti della battaglia.Filippo, perduto il campo e le trincee e circa 2.000 uo-mini, si ritirò immediatamente sino al passo di Tempe,che era la barriera della Macedonia propriamente detta.

18. La Grecia in potere dei Romani.Ad eccezione delle fortezze, egli abbandonò ogni altropossedimento e distrusse le città tessaliche che non po-teva difendere. La sola Fere gli chiuse le porte e si sot-trasse così alla distruzione.Mossi in parte da questi successi delle armi romane, in

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parte dall'assennata moderazione di Flaminino, gli Epi-roti furono i primi a staccarsi dalla lega macedone.Alla prima notizia della vittoria riportata dai Romani,gli Atamani e gli Etoli avevano fatto un'irruzione nellaTessalia, seguiti di lì a non molto dai Romani. Il paesepiano fu invaso facilmente, ma le fortezze che tenevanoper Filippo ed ottennero soccorsi da lui, caddero solodopo una valorosa difesa o resistettero persino alle forzesuperiori del nemico; così prima di tutte Atracia, sullasponda sinistra del Peneo, ove nella breccia la falangefece le veci del muro caduto.Meno queste fortezze della Tessalia ed il territorio deifedeli Acarnani, tutta la Grecia settentrionale cadde nel-le mani della coalizione.Il mezzogiorno invece – per virtù delle fortezze di Cal-cide e di Corinto che si mantenevano in comunicazioneattraverso il paese dei Beoti devoti alla Macedonia equello dei neutrali Achei, era sempre in potere di Filip-po, e Flaminino si decise, essendo la stagione troppoavanzata per entrare allora nella Macedonia, a volgereimmediatamente l'esercito e la flotta verso Corinto econtro gli Achei.La flotta, che aveva di nuovo chiamate a sè le navi diRodi e di Pergamo, si era fino allora dedicata alla con-quista e al saccheggio di due piccole città dell'Eubea,Eretria e Caristo; le quali, come Oreo, furono poi dinuovo abbandonate e rioccupate da Filocle, comandante

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parte dall'assennata moderazione di Flaminino, gli Epi-roti furono i primi a staccarsi dalla lega macedone.Alla prima notizia della vittoria riportata dai Romani,gli Atamani e gli Etoli avevano fatto un'irruzione nellaTessalia, seguiti di lì a non molto dai Romani. Il paesepiano fu invaso facilmente, ma le fortezze che tenevanoper Filippo ed ottennero soccorsi da lui, caddero solodopo una valorosa difesa o resistettero persino alle forzesuperiori del nemico; così prima di tutte Atracia, sullasponda sinistra del Peneo, ove nella breccia la falangefece le veci del muro caduto.Meno queste fortezze della Tessalia ed il territorio deifedeli Acarnani, tutta la Grecia settentrionale cadde nel-le mani della coalizione.Il mezzogiorno invece – per virtù delle fortezze di Cal-cide e di Corinto che si mantenevano in comunicazioneattraverso il paese dei Beoti devoti alla Macedonia equello dei neutrali Achei, era sempre in potere di Filip-po, e Flaminino si decise, essendo la stagione troppoavanzata per entrare allora nella Macedonia, a volgereimmediatamente l'esercito e la flotta verso Corinto econtro gli Achei.La flotta, che aveva di nuovo chiamate a sè le navi diRodi e di Pergamo, si era fino allora dedicata alla con-quista e al saccheggio di due piccole città dell'Eubea,Eretria e Caristo; le quali, come Oreo, furono poi dinuovo abbandonate e rioccupate da Filocle, comandante

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macedone di Calcide.La flotta unita fece vela per Cenerea, porto orientale diCorinto, coll'intento di minacciare questa importantepiazza forte.Dall'altro canto Flaminino entrò nella Focide ed occupòil paese, nel quale la sola Elatera sostenne l'assedio più alungo; questo paese, e particolarmente Anticira, sul gol-fo di Corinto, erano stati scelti per quartieri d'inverno.Gli Achei vedendo da un lato avvicinarsi le legioni edall'altro la flotta romana già prossima alle loro rive, ab-bandonarono la loro neutralità moralmente onorevole,ma politicamente incompatibile.Dopo che gli ambasciatori delle città maggiormente vin-colate colla Macedonia, Dime, Megalopoli ed Argo eb-bero abbandonata la dieta, questa decise di accedere allalega contro Filippo.Cicliade ed altri capi del partito macedone abbandona-rono la loro patria; le truppe degli Achei si unirono subi-to alla flotta romana e si affrettarono ad assediare Corin-to dalla parte di terra, la quale città, che era stata la citta-della di Filippo contro gli Achei, era il premio promessodai Romani per la loro entrata nella lega. Senonchè, nonsolo la guarnigione macedone, forte di 1.300 uomini,quasi tutti disertori italici, difese risolutamente la quasiinespugnabile città, ma vi sopraggiunse anche Filocle daCalcide con un corpo di 1.500 uomini, il quale liberòCorinto, invase il territorio acheo, e, d'accordo con i cit-

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macedone di Calcide.La flotta unita fece vela per Cenerea, porto orientale diCorinto, coll'intento di minacciare questa importantepiazza forte.Dall'altro canto Flaminino entrò nella Focide ed occupòil paese, nel quale la sola Elatera sostenne l'assedio più alungo; questo paese, e particolarmente Anticira, sul gol-fo di Corinto, erano stati scelti per quartieri d'inverno.Gli Achei vedendo da un lato avvicinarsi le legioni edall'altro la flotta romana già prossima alle loro rive, ab-bandonarono la loro neutralità moralmente onorevole,ma politicamente incompatibile.Dopo che gli ambasciatori delle città maggiormente vin-colate colla Macedonia, Dime, Megalopoli ed Argo eb-bero abbandonata la dieta, questa decise di accedere allalega contro Filippo.Cicliade ed altri capi del partito macedone abbandona-rono la loro patria; le truppe degli Achei si unirono subi-to alla flotta romana e si affrettarono ad assediare Corin-to dalla parte di terra, la quale città, che era stata la citta-della di Filippo contro gli Achei, era il premio promessodai Romani per la loro entrata nella lega. Senonchè, nonsolo la guarnigione macedone, forte di 1.300 uomini,quasi tutti disertori italici, difese risolutamente la quasiinespugnabile città, ma vi sopraggiunse anche Filocle daCalcide con un corpo di 1.500 uomini, il quale liberòCorinto, invase il territorio acheo, e, d'accordo con i cit-

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tadini che tenevano pei Macedoni, tolse loro la cittàd'Argo.Ma il premio di tanta devozione fu che il re consegnò ifedeli Argivi alla tirannide di Nabida di Sparta.Filippo sperava, dopo l'entrata degli Achei nella coali-zione romana, di tirare a sè anche Nabida che si era al-leato ai Romani, solamente perchè era nemico degliAchei, e che anzi dal 550=204 in poi, si trovava conquesti ultimi in guerra aperta.Ma i casi di Filippo erano ormai troppo disperati perchèqualcuno sentisse il desiderio di abbracciare il suo parti-to. Nabida accettò bensì Argo da lui, ma tradì a sua vol-ta il traditore e rimase alleato di Flaminino, il quale,nell'imbarazzo di trovarsi ora alleato con due potenze inguerra tra loro, trattò provvisoriamente un armistizio diquattro mesi tra gli Spartani e gli Achei.

19. Vani tentativi di pace.Venne l'inverno. Filippo ne approfittò ancora per ottene-re, ove fosse possibile, la pace ad eque condizioni.Egli comparve in persona ad una conferenza che fu te-nuta a Nicea, sul golfo Malea, e tentò di mettersid'accordo con Flaminino respingendo con orgoglio escaltrezza la petulante arroganza dei piccoli principi, efacendo pompa di una particolare deferenza pei Romani,come i soli avversari suoi pari, per ottenere da essi con-dizioni sopportabili.

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tadini che tenevano pei Macedoni, tolse loro la cittàd'Argo.Ma il premio di tanta devozione fu che il re consegnò ifedeli Argivi alla tirannide di Nabida di Sparta.Filippo sperava, dopo l'entrata degli Achei nella coali-zione romana, di tirare a sè anche Nabida che si era al-leato ai Romani, solamente perchè era nemico degliAchei, e che anzi dal 550=204 in poi, si trovava conquesti ultimi in guerra aperta.Ma i casi di Filippo erano ormai troppo disperati perchèqualcuno sentisse il desiderio di abbracciare il suo parti-to. Nabida accettò bensì Argo da lui, ma tradì a sua vol-ta il traditore e rimase alleato di Flaminino, il quale,nell'imbarazzo di trovarsi ora alleato con due potenze inguerra tra loro, trattò provvisoriamente un armistizio diquattro mesi tra gli Spartani e gli Achei.

19. Vani tentativi di pace.Venne l'inverno. Filippo ne approfittò ancora per ottene-re, ove fosse possibile, la pace ad eque condizioni.Egli comparve in persona ad una conferenza che fu te-nuta a Nicea, sul golfo Malea, e tentò di mettersid'accordo con Flaminino respingendo con orgoglio escaltrezza la petulante arroganza dei piccoli principi, efacendo pompa di una particolare deferenza pei Romani,come i soli avversari suoi pari, per ottenere da essi con-dizioni sopportabili.

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Flaminino era abbastanza colto per sentirsi lusingatodalle gentilezze del vinto avversario e dall'orgoglio mo-strato verso i confederati, ch'egli disprezzava non menodel re; ma le sue facoltà non erano tali da poter concede-re quanto chiedeva Filippo: consentì ad un armistizio didue mesi mediante l'abbandono della Focide e della Lo-cride, e quanto alla richiesta principale lo indirizzò alsuo governo.Nel senato romano era stato da lungo tempo stabilitoche la Macedonia dovesse rinunciare a tutti i suoi posse-dimenti esterni. Quando gli ambasciatori di Filippo arri-varono a Roma si chiese loro soltanto se avevano facol-tà di rinunciare a tutta la Grecia e particolarmente a Co-rinto, Calcide e Demetriade; sulla loro risposta negativasi troncarono subito le trattative e si decise di proseguireenergicamente la guerra.Coll'appoggio dei tribuni del popolo riuscì al senato dievitare la nociva sostituzione del comandante supremo edi prolungare la durata in carica di Flaminino, a cui fu-rono inviati ragguardevoli rinforzi, ordinando ai dueprecedenti comandanti Publio Galba e Publio Villio dimettersi sotto i suoi ordini.Anche Filippo decise di tentare un'altra volta la fortunain una battaglia campale. Per assicurarsi la Grecia, oveallora tutti gli stati, ad eccezione degli Acarnani e deiBeoti, erano in armi contro di lui, fu aumentato a 6.000uomini il presidio di Corinto, mentre egli stesso, racco-gliendo le ultime forze dell'esausta Macedonia, ed in-

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Flaminino era abbastanza colto per sentirsi lusingatodalle gentilezze del vinto avversario e dall'orgoglio mo-strato verso i confederati, ch'egli disprezzava non menodel re; ma le sue facoltà non erano tali da poter concede-re quanto chiedeva Filippo: consentì ad un armistizio didue mesi mediante l'abbandono della Focide e della Lo-cride, e quanto alla richiesta principale lo indirizzò alsuo governo.Nel senato romano era stato da lungo tempo stabilitoche la Macedonia dovesse rinunciare a tutti i suoi posse-dimenti esterni. Quando gli ambasciatori di Filippo arri-varono a Roma si chiese loro soltanto se avevano facol-tà di rinunciare a tutta la Grecia e particolarmente a Co-rinto, Calcide e Demetriade; sulla loro risposta negativasi troncarono subito le trattative e si decise di proseguireenergicamente la guerra.Coll'appoggio dei tribuni del popolo riuscì al senato dievitare la nociva sostituzione del comandante supremo edi prolungare la durata in carica di Flaminino, a cui fu-rono inviati ragguardevoli rinforzi, ordinando ai dueprecedenti comandanti Publio Galba e Publio Villio dimettersi sotto i suoi ordini.Anche Filippo decise di tentare un'altra volta la fortunain una battaglia campale. Per assicurarsi la Grecia, oveallora tutti gli stati, ad eccezione degli Acarnani e deiBeoti, erano in armi contro di lui, fu aumentato a 6.000uomini il presidio di Corinto, mentre egli stesso, racco-gliendo le ultime forze dell'esausta Macedonia, ed in-

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grossando la falange coll'arruolare e ragazzi e vecchi,mise in piedi un esercito di circa 26.000 uomini, di cui16.000 falangisti macedoni.Così cominciò nel 557=197 la quarta campagna.Flaminino mandò una parte della flotta contro gli Acar-nani, i quali furono bloccati in Leucade; nella Greciapropriamente detta si impadronì con arte di Tebe, capita-le della Beozia; per cui i Beoti si videro obbligati ad ac-cedere, almeno di nome alla lega contro la Macedonia.Soddisfatto di avere così interrotte le comunicazioni traCorinto e Calcide, egli si volse a settentrione, dove sol-tanto poteva essere portato il colpo decisivo.Le gravi difficoltà per vettovagliare l'esercito in un pae-se nemico ed in gran parte deserto, che già altre volteavevano paralizzato le operazioni, dovevano ora essererimosse dalla flotta che seguiva l'esercito lungo la costa,apportandogli le vettovaglie che giungevano dall'Africa,dalla Sicilia e dalla Sardegna.Senonchè il momento decisivo arrivò prima che Flami-nino l'avesse sperato. Nella sua impazienza e pieno di fi-ducia, Filippo non poteva reggere al pensiero di aspetta-re il nemico sul confine della Macedonia, e, dopo d'averraccolto il suo esercito presso Dione, entrò nella Tessa-lia valicando il passo di Tempe e nelle vicinanze di Sco-tussa si scontrò coll'esercito nemico.

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grossando la falange coll'arruolare e ragazzi e vecchi,mise in piedi un esercito di circa 26.000 uomini, di cui16.000 falangisti macedoni.Così cominciò nel 557=197 la quarta campagna.Flaminino mandò una parte della flotta contro gli Acar-nani, i quali furono bloccati in Leucade; nella Greciapropriamente detta si impadronì con arte di Tebe, capita-le della Beozia; per cui i Beoti si videro obbligati ad ac-cedere, almeno di nome alla lega contro la Macedonia.Soddisfatto di avere così interrotte le comunicazioni traCorinto e Calcide, egli si volse a settentrione, dove sol-tanto poteva essere portato il colpo decisivo.Le gravi difficoltà per vettovagliare l'esercito in un pae-se nemico ed in gran parte deserto, che già altre volteavevano paralizzato le operazioni, dovevano ora essererimosse dalla flotta che seguiva l'esercito lungo la costa,apportandogli le vettovaglie che giungevano dall'Africa,dalla Sicilia e dalla Sardegna.Senonchè il momento decisivo arrivò prima che Flami-nino l'avesse sperato. Nella sua impazienza e pieno di fi-ducia, Filippo non poteva reggere al pensiero di aspetta-re il nemico sul confine della Macedonia, e, dopo d'averraccolto il suo esercito presso Dione, entrò nella Tessa-lia valicando il passo di Tempe e nelle vicinanze di Sco-tussa si scontrò coll'esercito nemico.

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20. Battaglia di Cinocefale.L'esercito macedone ed il romano – questo rinforzatodai continenti degli Apolloniati, degli Atamani e deiCretesi spediti da Nabida ma principalmente da unagrossa schiera di Etoli – contavano pressochè un ugualnumero di combattenti, circa 26.000 uomini ciascuno: iRomani erano però superiori agli avversari nella caval-leria.Dinanzi a Scotussa, sull'altipiano del Cadaragh, in unagiornata fosca e piovosa, l'avanguardia romana si scon-trò inaspettatamente con quella nemica, che occupavaun'alta e scoscesa collina, detta Cinocefale, sorgente frai due campi.Respinti al basso, i Romani ebbero un rinforzo di truppeleggere con un eccellente corpo di cavalleria etolica, ecosì ricacciarono l'avanguardia macedone sulla collinaed oltre la medesima. Ma qui i Macedoni trovaronol'aiuto di tutta la loro cavalleria e della maggior partedella fanteria leggera. I Romani, che si erano impruden-temente inoltrati, furono respinti con gravi perdite sinoal loro campo, e si sarebbero volti in piena fuga, qualorala cavalleria etolica non avesse alimentato il combatti-mento nella pianura fino a tanto che Flaminino potè ac-correre colle legioni ordinate in tutta fretta.Al furibondo grido delle truppe vittoriose, che chiedeva-no la continuazione del combattimento, il re cedette edordinò in fretta anche i falangisti alla battaglia, che in

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20. Battaglia di Cinocefale.L'esercito macedone ed il romano – questo rinforzatodai continenti degli Apolloniati, degli Atamani e deiCretesi spediti da Nabida ma principalmente da unagrossa schiera di Etoli – contavano pressochè un ugualnumero di combattenti, circa 26.000 uomini ciascuno: iRomani erano però superiori agli avversari nella caval-leria.Dinanzi a Scotussa, sull'altipiano del Cadaragh, in unagiornata fosca e piovosa, l'avanguardia romana si scon-trò inaspettatamente con quella nemica, che occupavaun'alta e scoscesa collina, detta Cinocefale, sorgente frai due campi.Respinti al basso, i Romani ebbero un rinforzo di truppeleggere con un eccellente corpo di cavalleria etolica, ecosì ricacciarono l'avanguardia macedone sulla collinaed oltre la medesima. Ma qui i Macedoni trovaronol'aiuto di tutta la loro cavalleria e della maggior partedella fanteria leggera. I Romani, che si erano impruden-temente inoltrati, furono respinti con gravi perdite sinoal loro campo, e si sarebbero volti in piena fuga, qualorala cavalleria etolica non avesse alimentato il combatti-mento nella pianura fino a tanto che Flaminino potè ac-correre colle legioni ordinate in tutta fretta.Al furibondo grido delle truppe vittoriose, che chiedeva-no la continuazione del combattimento, il re cedette edordinò in fretta anche i falangisti alla battaglia, che in

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quel giorno non era attesa nè dal comandante nè dai sol-dati.Si trattava di occupare la collina, che in quel momentoera sguarnita di truppe.L'ala destra della falange, condotta dal re stesso, vi arri-vò in tempo per porsi a tutt'agio sul culmine; la sinistraera ancora indietro quando le truppe leggere dei Mace-doni, spaventati dalle legioni, salirono in fretta e in furiala collina. Filippo spinse rapidamente le schiere dei fug-gitivi lungo la falange del centro e, senza attendere cheNicanore fosse arrivato sull'ala sinistra coll'altra metàdella falange che avanzava più lentamente, comandòche la falange destra discendesse la collina colle lancein resta e si gettasse sulle legioni, mentre nello stessotempo la riordinata falange leggera le aggirava ed attac-cava di fianco.L'attacco operato dalla falange, che su un terreno favo-revole era irresistibile, sbaragliò la fanteria romana esconfisse completamente la sua ala sinistra. Quando Ni-canore, che si trovava all'altra ala, vide il re attaccare ilnemico, fece avanzare rapidamente l'altra metà della fa-lange; ma questo movimento generò confusione, e men-tre le prime file seguivano frettolosamente la vittoriosaala destra, scendendo la collina, ed erano ridotte in mag-gior disordine per l'ineguaglianza del terreno, le ultimearrivavano appena sul culmine.In queste circostanze l'ala destra dei Romani si sbarazzò

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quel giorno non era attesa nè dal comandante nè dai sol-dati.Si trattava di occupare la collina, che in quel momentoera sguarnita di truppe.L'ala destra della falange, condotta dal re stesso, vi arri-vò in tempo per porsi a tutt'agio sul culmine; la sinistraera ancora indietro quando le truppe leggere dei Mace-doni, spaventati dalle legioni, salirono in fretta e in furiala collina. Filippo spinse rapidamente le schiere dei fug-gitivi lungo la falange del centro e, senza attendere cheNicanore fosse arrivato sull'ala sinistra coll'altra metàdella falange che avanzava più lentamente, comandòche la falange destra discendesse la collina colle lancein resta e si gettasse sulle legioni, mentre nello stessotempo la riordinata falange leggera le aggirava ed attac-cava di fianco.L'attacco operato dalla falange, che su un terreno favo-revole era irresistibile, sbaragliò la fanteria romana esconfisse completamente la sua ala sinistra. Quando Ni-canore, che si trovava all'altra ala, vide il re attaccare ilnemico, fece avanzare rapidamente l'altra metà della fa-lange; ma questo movimento generò confusione, e men-tre le prime file seguivano frettolosamente la vittoriosaala destra, scendendo la collina, ed erano ridotte in mag-gior disordine per l'ineguaglianza del terreno, le ultimearrivavano appena sul culmine.In queste circostanze l'ala destra dei Romani si sbarazzò

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facilmente dell'ala sinistra del nemico; gli elefanti che sitrovavano in quest'ala bastarono da soli a distruggere lescomposte schiere macedoni. Mentre qui avveniva unterribile macello, un risoluto ufficiale romano, raccoltiventi manipoli, si gettò sull'ala vittoriosa dei Macedoni,la quale, inseguendo l'ala sinistra dei Romani, si era tan-to avanzata che l'ala destra della stessa le era alle calca-gna.La falange nulla poteva contro un attacco alle spalle, equesta mossa mise fine alla giornata.Considerato il completo dissolvimento d'entrambe le fa-langi, non deve sembrare strano che vi si contassero13.000 Macedoni tra morti e prigionieri, e in maggiornumero i morti, perchè i soldati romani non conosceva-no il segno della resa dei Macedoni, che consistevanell'elevazione delle sarisse(39); le perdite dei vincitorifurono di poco rilievo.Filippo fuggì a Larissa, e, dopo aver bruciato tutte le suecarte per non compromettere nessuno, sgombrò la Tes-salia e se ne ritornò in patria.Contemporaneamente a questa grande sconfitta, i Mace-doni soffrirono altri danni su tutti i punti da essi ancoraoccupati. Nella Caria i mercenari di Rodi sconfissero ilcorpo di truppe macedoni che vi si trovava, e lo costrin-sero a riparare in Stratonica; la guarnigione di Corintofu battuta da Nicostrato e dai suoi Achei e soffrì gravi

39 Aste assai lunghe in uso presso l'esercito macedone.

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facilmente dell'ala sinistra del nemico; gli elefanti che sitrovavano in quest'ala bastarono da soli a distruggere lescomposte schiere macedoni. Mentre qui avveniva unterribile macello, un risoluto ufficiale romano, raccoltiventi manipoli, si gettò sull'ala vittoriosa dei Macedoni,la quale, inseguendo l'ala sinistra dei Romani, si era tan-to avanzata che l'ala destra della stessa le era alle calca-gna.La falange nulla poteva contro un attacco alle spalle, equesta mossa mise fine alla giornata.Considerato il completo dissolvimento d'entrambe le fa-langi, non deve sembrare strano che vi si contassero13.000 Macedoni tra morti e prigionieri, e in maggiornumero i morti, perchè i soldati romani non conosceva-no il segno della resa dei Macedoni, che consistevanell'elevazione delle sarisse(39); le perdite dei vincitorifurono di poco rilievo.Filippo fuggì a Larissa, e, dopo aver bruciato tutte le suecarte per non compromettere nessuno, sgombrò la Tes-salia e se ne ritornò in patria.Contemporaneamente a questa grande sconfitta, i Mace-doni soffrirono altri danni su tutti i punti da essi ancoraoccupati. Nella Caria i mercenari di Rodi sconfissero ilcorpo di truppe macedoni che vi si trovava, e lo costrin-sero a riparare in Stratonica; la guarnigione di Corintofu battuta da Nicostrato e dai suoi Achei e soffrì gravi

39 Aste assai lunghe in uso presso l'esercito macedone.

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perdite; Leucade nell'Acarnania fu presa d'assalto dopoun'eroica difesa.Filippo era vinto completamente e gli Acarnani, suoi ul-timi alleati, si sottomisero dopo avuta la notizia dellabattaglia di Cinocefale.

21. Pace colla Macedonia.Spettava ora esclusivamente ai Romani dettare le condi-zioni di pace; essi usarono della loro forza senza abusar-ne.Si poteva distruggere il regno d'Alessandro, e nella con-ferenza degli alleati ne fu fatta formale richiesta dagliEtoli, ma quali sarebbero stati gli effetti di una similedecisione se non il crollo del baluardo che proteggeva laciviltà ellenica contro i Traci e i Celti?Già mentre si combatteva ancora l'ultima guerra, la fio-rente Lisimachia, nel Chersoneso tracico, era stata com-pletamente distrutta dai Traci; serio avviso per l'avveni-re.Flaminino, il quale aveva studiato profondamente le fa-tali inimicizie degli stati greci, non poteva consentireche una potenza così grande, come quella di Roma, perl'odio della confederazione etolica, assumesse quell'ese-cuzione, quand'anche le sue simpatie per la Grecia e pelre cavalleresco non lo avessero sedotto almeno altrettan-to quanto era stato leso il suo sentimento nazionale ro-mano dalla iattanza degli Etoli «vincitori di Cinocefale»

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perdite; Leucade nell'Acarnania fu presa d'assalto dopoun'eroica difesa.Filippo era vinto completamente e gli Acarnani, suoi ul-timi alleati, si sottomisero dopo avuta la notizia dellabattaglia di Cinocefale.

21. Pace colla Macedonia.Spettava ora esclusivamente ai Romani dettare le condi-zioni di pace; essi usarono della loro forza senza abusar-ne.Si poteva distruggere il regno d'Alessandro, e nella con-ferenza degli alleati ne fu fatta formale richiesta dagliEtoli, ma quali sarebbero stati gli effetti di una similedecisione se non il crollo del baluardo che proteggeva laciviltà ellenica contro i Traci e i Celti?Già mentre si combatteva ancora l'ultima guerra, la fio-rente Lisimachia, nel Chersoneso tracico, era stata com-pletamente distrutta dai Traci; serio avviso per l'avveni-re.Flaminino, il quale aveva studiato profondamente le fa-tali inimicizie degli stati greci, non poteva consentireche una potenza così grande, come quella di Roma, perl'odio della confederazione etolica, assumesse quell'ese-cuzione, quand'anche le sue simpatie per la Grecia e pelre cavalleresco non lo avessero sedotto almeno altrettan-to quanto era stato leso il suo sentimento nazionale ro-mano dalla iattanza degli Etoli «vincitori di Cinocefale»

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come essi si definivano.Egli rispose agli Etoli che non era costume romano di-struggere i vinti; che del resto essi erano liberi e padronidi farla finita colla Macedonia, se lo potevano.Il re fu trattato con tutti i possibili riguardi, e dopod'essersi dichiarato pronto ad accettare ora le condizioniche gli erano state fatte prima, gli fu da Flaminino ac-cordato, verso pagamento d'una somma in denaro e ver-so la consegna di ostaggi – fra i quali il proprio figlioDemetrio – un più lungo armistizio, di cui Filippo avevaurgente bisogno per scacciare i Dardani dalla Macedo-nia.L'ordinamento definitivo degli intricati affari greci fudal senato affidato ad una commissione composta didieci membri, presidente ed anima della quale fu ancoraFlaminino. Da questa commissione furono concesse aFilippo condizioni eguali a quelle fatte a Cartagine.Il re macedone perdette tutti i possedimenti esternidell'Asia minore, della Tracia, della Grecia e delle isoleegee; rimase invece intatta la Macedonia, eccettuati al-cuni insignificanti luoghi confinari e la provincia d'Ore-stide che fu dichiarata libera – stipulazione che riuscìassai dura per Filippo, ma che i Romani non potevanofare a meno di imporgli, poichè col suo noto carattereera impossibile lasciargli sottoposti sudditi che si eranogià ribellati contro di lui.Filippo si obbligò inoltre di non concludere alcuna al-

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come essi si definivano.Egli rispose agli Etoli che non era costume romano di-struggere i vinti; che del resto essi erano liberi e padronidi farla finita colla Macedonia, se lo potevano.Il re fu trattato con tutti i possibili riguardi, e dopod'essersi dichiarato pronto ad accettare ora le condizioniche gli erano state fatte prima, gli fu da Flaminino ac-cordato, verso pagamento d'una somma in denaro e ver-so la consegna di ostaggi – fra i quali il proprio figlioDemetrio – un più lungo armistizio, di cui Filippo avevaurgente bisogno per scacciare i Dardani dalla Macedo-nia.L'ordinamento definitivo degli intricati affari greci fudal senato affidato ad una commissione composta didieci membri, presidente ed anima della quale fu ancoraFlaminino. Da questa commissione furono concesse aFilippo condizioni eguali a quelle fatte a Cartagine.Il re macedone perdette tutti i possedimenti esternidell'Asia minore, della Tracia, della Grecia e delle isoleegee; rimase invece intatta la Macedonia, eccettuati al-cuni insignificanti luoghi confinari e la provincia d'Ore-stide che fu dichiarata libera – stipulazione che riuscìassai dura per Filippo, ma che i Romani non potevanofare a meno di imporgli, poichè col suo noto carattereera impossibile lasciargli sottoposti sudditi che si eranogià ribellati contro di lui.Filippo si obbligò inoltre di non concludere alcuna al-

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leanza estera all'insaputa dei Romani, a non inviare pre-sidî fuori dello stato, a non guerreggiare fuori della Ma-cedonia contro stati civilizzati, e in generale contro glialleati dei Romani, a non tenere oltre 5.000 uomini sottole armi, a non mantenere elefanti, e a non avere più dicinque vascelli coperti, consegnando gli altri ai Romani.E finalmente egli entrò nella simmachia dei Romani.Questo patto l'obbligava a mandare, dietro loro richie-sta, il suo contingente, e non passò molto tempo che sividero le truppe macedoni combattere insieme alle le-gioni. Egli pagò inoltre una contribuzione di 1000 talen-ti (circa L. 16.000.000).Privata la Macedonia di ogni forza politica e limitate lesue forze a quelle sufficienti a proteggere il confinedell'Ellade dalle invasioni dei barbari, i vincitori pensa-rono di disporre dei possedimenti ceduti dal re.I Romani, che appunto allora avevano fatto prova nellaSpagna che le province d'oltremare erano acquisti di uti-lità problematica, e che non avevano cominciata la guer-ra a scopo di conquiste territoriali, non trattennero nulladel bottino e obbligarono quindi anche i loro alleati allamoderazione.Essi decisero di proclamare liberi tutti gli stati dellaGrecia che fino allora erano stati sotto l'egemonia di Fi-lippo; e Flaminino ebbe l'incarico di leggere il relativodecreto ai Greci, radunati per assistere ai giuochi istmici(558=196).

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leanza estera all'insaputa dei Romani, a non inviare pre-sidî fuori dello stato, a non guerreggiare fuori della Ma-cedonia contro stati civilizzati, e in generale contro glialleati dei Romani, a non tenere oltre 5.000 uomini sottole armi, a non mantenere elefanti, e a non avere più dicinque vascelli coperti, consegnando gli altri ai Romani.E finalmente egli entrò nella simmachia dei Romani.Questo patto l'obbligava a mandare, dietro loro richie-sta, il suo contingente, e non passò molto tempo che sividero le truppe macedoni combattere insieme alle le-gioni. Egli pagò inoltre una contribuzione di 1000 talen-ti (circa L. 16.000.000).Privata la Macedonia di ogni forza politica e limitate lesue forze a quelle sufficienti a proteggere il confinedell'Ellade dalle invasioni dei barbari, i vincitori pensa-rono di disporre dei possedimenti ceduti dal re.I Romani, che appunto allora avevano fatto prova nellaSpagna che le province d'oltremare erano acquisti di uti-lità problematica, e che non avevano cominciata la guer-ra a scopo di conquiste territoriali, non trattennero nulladel bottino e obbligarono quindi anche i loro alleati allamoderazione.Essi decisero di proclamare liberi tutti gli stati dellaGrecia che fino allora erano stati sotto l'egemonia di Fi-lippo; e Flaminino ebbe l'incarico di leggere il relativodecreto ai Greci, radunati per assistere ai giuochi istmici(558=196).

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Gli uomini seri potevano chiedere senza dubbio se la li-bertà sia un bene che si doni e cosa significhi la libertàsenza l'unità della nazione; ma il giubilo era grande esincero, come sincera era l'intenzione del senato checoncedeva la libertà(40).Da questa misura generale erano esclusi soltanto i paesiillirici all'oriente di Epidamno, che toccarono a Pleurato,signore di Scodra, e questo stato di ladroni e di piratiche una generazione prima era stato umiliato dai Roma-ni, risorse e divenne il più potente di queste regioni. Nefurono eccettuati anche alcuni distretti della Tessalia oc-cidentale, già occupati da Aminandro, cui ne fu lasciatoil possesso e le tre isole di Paro, Sciro ed Imbro, toccatein dono ad Atene per le molte sue sofferenze e per i suoiancora più numerosi indirizzi di ringraziamenti e di cor-tesie d'ogni genere.Già s'intende che i Rodioti conservarono i loro possedi-menti nella Caria, e che a quei di Pergamo rimase Egi-na. Del resto gli alleati furono ricompensati soltanto in-direttamente coll'ammissione delle città liberate alle di-verse federazioni.Meglio di tutti ne uscirono gli Achei, i quali tuttaviaerano stati gli ultimi ad accedere alla coalizione controFilippo; ma, come sembra, ciò fu per l'onorevole motivoche l'Acaia era fra tutti gli stati della Grecia il più ordi-

40 Noi possediamo stateri d'oro coll'effigie di Flaminino e coll'inscrizione T.Quincti [us] coniati in Grecia sotto il governo del liberatore degli Elleni.L'uso della lingua latina è una gentilezza da notarsi.

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Gli uomini seri potevano chiedere senza dubbio se la li-bertà sia un bene che si doni e cosa significhi la libertàsenza l'unità della nazione; ma il giubilo era grande esincero, come sincera era l'intenzione del senato checoncedeva la libertà(40).Da questa misura generale erano esclusi soltanto i paesiillirici all'oriente di Epidamno, che toccarono a Pleurato,signore di Scodra, e questo stato di ladroni e di piratiche una generazione prima era stato umiliato dai Roma-ni, risorse e divenne il più potente di queste regioni. Nefurono eccettuati anche alcuni distretti della Tessalia oc-cidentale, già occupati da Aminandro, cui ne fu lasciatoil possesso e le tre isole di Paro, Sciro ed Imbro, toccatein dono ad Atene per le molte sue sofferenze e per i suoiancora più numerosi indirizzi di ringraziamenti e di cor-tesie d'ogni genere.Già s'intende che i Rodioti conservarono i loro possedi-menti nella Caria, e che a quei di Pergamo rimase Egi-na. Del resto gli alleati furono ricompensati soltanto in-direttamente coll'ammissione delle città liberate alle di-verse federazioni.Meglio di tutti ne uscirono gli Achei, i quali tuttaviaerano stati gli ultimi ad accedere alla coalizione controFilippo; ma, come sembra, ciò fu per l'onorevole motivoche l'Acaia era fra tutti gli stati della Grecia il più ordi-

40 Noi possediamo stateri d'oro coll'effigie di Flaminino e coll'inscrizione T.Quincti [us] coniati in Grecia sotto il governo del liberatore degli Elleni.L'uso della lingua latina è una gentilezza da notarsi.

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nato ed il più onesto.Tutti i possedimenti di Filippo nel Peloponneso esull'istmo, quindi particolarmente Corinto, furono incor-porati nella loro lega.Poche cerimonie si fecero invece cogli Etoli; fu loroconcesso di ammettere nella loro simmachia le città del-la Focide e della Locride, ma le loro proposte di esten-derla anche all'Acarnania ed alla Tessalia furono in partedecisamente respinte, in parte rimandate ad altro tempo;le città della Tessalia furono ordinate in quattro piccolefederazioni indipendenti.La lega delle città rodiote ebbe il beneficio della libera-zione di Taso e di Lemno, ed ebbe le città della Tracia edell'Asia minore.L'ordinamento degli affari della Grecia, tanto nelle reci-proche relazioni degli stati, quanto nelle condizioni deisingoli stati, offriva delle difficoltà.Il più urgente affare era la guerra che si conduceva dal550=204 in poi tra gli Spartani e gli Achei, la sistema-zione della quale toccava necessariamente ai Romani.

22. Guerra contro Nabida di Sparta.Ma dopo parecchi tentativi fatti per decidere Nabida adarrendersi, e particolarmente a restituire la città federaleachea di Argo, cedutagli da Filippo, a Flaminino non ri-maneva altro mezzo se non quello di far dichiarare, in

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nato ed il più onesto.Tutti i possedimenti di Filippo nel Peloponneso esull'istmo, quindi particolarmente Corinto, furono incor-porati nella loro lega.Poche cerimonie si fecero invece cogli Etoli; fu loroconcesso di ammettere nella loro simmachia le città del-la Focide e della Locride, ma le loro proposte di esten-derla anche all'Acarnania ed alla Tessalia furono in partedecisamente respinte, in parte rimandate ad altro tempo;le città della Tessalia furono ordinate in quattro piccolefederazioni indipendenti.La lega delle città rodiote ebbe il beneficio della libera-zione di Taso e di Lemno, ed ebbe le città della Tracia edell'Asia minore.L'ordinamento degli affari della Grecia, tanto nelle reci-proche relazioni degli stati, quanto nelle condizioni deisingoli stati, offriva delle difficoltà.Il più urgente affare era la guerra che si conduceva dal550=204 in poi tra gli Spartani e gli Achei, la sistema-zione della quale toccava necessariamente ai Romani.

22. Guerra contro Nabida di Sparta.Ma dopo parecchi tentativi fatti per decidere Nabida adarrendersi, e particolarmente a restituire la città federaleachea di Argo, cedutagli da Filippo, a Flaminino non ri-maneva altro mezzo se non quello di far dichiarare, in

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una grande assemblea in Corinto, la guerra da tutti gliElleni a questo ostinato filibustiere, il quale, facendo as-segnamento sul noto rancore che esisteva tra gli Etoli e iRomani, e sulla venuta d'Antioco in Europa, si rifiutavacostantemente di restituire Argo.Fu pure deciso di portarsi nel Peloponneso colla flotta ecoll'esercito romano federale, nel quale si trovavano an-che un contingente inviato da Filippo, ed un distacca-mento di emigrati lacedemoni condotti da Agesipoli, le-gittimo re di Sparta (559=195).Per schiacciare immediatamente con forze superioril'avversario, si chiamarono sotto le armi non meno di50.000 uomini, e, trascurando le altre città, fu subito in-vestita la capitale stessa; ma ciò non ostante non si rag-giunse lo scopo desiderato.Nabida aveva messo in campo un ragguardevole eserci-to ammontante a 15.000 uomini, 5.000 dei quali eranomercenari, ed aveva nuovamente consolidata la sua si-gnoria con un vero terrorismo, facendo mettere a mortein massa tutti gli ufficiali ed abitanti del territorio chegli fossero sospetti.E quando, dopo i primi successi dell'esercito e della flot-ta dei Romani, egli stesso si decise a cedere e ad accet-tare le condizioni relativamente vantaggiose offerteglida Flaminino, «il popolo» cioè la massa dei predoni acui Nabida aveva accordato domicilio in Sparta, temen-do, e non a torto, che alla vittoria seguisse il giudizio, e

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una grande assemblea in Corinto, la guerra da tutti gliElleni a questo ostinato filibustiere, il quale, facendo as-segnamento sul noto rancore che esisteva tra gli Etoli e iRomani, e sulla venuta d'Antioco in Europa, si rifiutavacostantemente di restituire Argo.Fu pure deciso di portarsi nel Peloponneso colla flotta ecoll'esercito romano federale, nel quale si trovavano an-che un contingente inviato da Filippo, ed un distacca-mento di emigrati lacedemoni condotti da Agesipoli, le-gittimo re di Sparta (559=195).Per schiacciare immediatamente con forze superioril'avversario, si chiamarono sotto le armi non meno di50.000 uomini, e, trascurando le altre città, fu subito in-vestita la capitale stessa; ma ciò non ostante non si rag-giunse lo scopo desiderato.Nabida aveva messo in campo un ragguardevole eserci-to ammontante a 15.000 uomini, 5.000 dei quali eranomercenari, ed aveva nuovamente consolidata la sua si-gnoria con un vero terrorismo, facendo mettere a mortein massa tutti gli ufficiali ed abitanti del territorio chegli fossero sospetti.E quando, dopo i primi successi dell'esercito e della flot-ta dei Romani, egli stesso si decise a cedere e ad accet-tare le condizioni relativamente vantaggiose offerteglida Flaminino, «il popolo» cioè la massa dei predoni acui Nabida aveva accordato domicilio in Sparta, temen-do, e non a torto, che alla vittoria seguisse il giudizio, e

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tratto in errore dalle solite menzogne sulla natura dellecondizioni di pace e sull'appressarsi degli Etoli e degliAsiatici, respinse la pace offertagli dal generale romanoe ricominciò la lotta.Si venne a battaglia sotto le mura della città, a cui fudato l'assalto; era questo già riuscito, allorchè il fuocoappiccato nelle contrade espugnate costrinse i Romani aritirarsi. Finalmente però l'ostinata resistenza fu vinta.Sparta conservò la sua indipendenza e non fu obbligatanè a riammettere gli emigrati entro le sue mura, nè adaccedere alla lega achea; fu lasciata intatta persino la vi-gente costituzione monarchica, e Nabida stesso rimaseal suo posto.Ma egli dovette però cedere i suoi possedimenti esterni,Argo, Messene, le città cretesi e tutta la costa; dovetteobbligarsi a non stringere leghe coll'estero e a non intra-prendere guerra, a non tenere altre navi che due vascelliscoperti, a riconsegnare finalmente tutte le prede da luifatte, a dare ostaggi ai Romani ed a pagare una contribu-zione di guerra.Le città poste sulla costa della Laconia furono assegnateagli emigrati spartani, ed a questo nuovo comune popo-lare, che per antitesi agli Spartani retti monarchicamentesi chiamò dei «liberi Laconi», fu imposto di entrare nel-la lega achea.Gli emigrati non riebbero i loro beni, considerandolicompensati col paese loro assegnato; fu però stabilito

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tratto in errore dalle solite menzogne sulla natura dellecondizioni di pace e sull'appressarsi degli Etoli e degliAsiatici, respinse la pace offertagli dal generale romanoe ricominciò la lotta.Si venne a battaglia sotto le mura della città, a cui fudato l'assalto; era questo già riuscito, allorchè il fuocoappiccato nelle contrade espugnate costrinse i Romani aritirarsi. Finalmente però l'ostinata resistenza fu vinta.Sparta conservò la sua indipendenza e non fu obbligatanè a riammettere gli emigrati entro le sue mura, nè adaccedere alla lega achea; fu lasciata intatta persino la vi-gente costituzione monarchica, e Nabida stesso rimaseal suo posto.Ma egli dovette però cedere i suoi possedimenti esterni,Argo, Messene, le città cretesi e tutta la costa; dovetteobbligarsi a non stringere leghe coll'estero e a non intra-prendere guerra, a non tenere altre navi che due vascelliscoperti, a riconsegnare finalmente tutte le prede da luifatte, a dare ostaggi ai Romani ed a pagare una contribu-zione di guerra.Le città poste sulla costa della Laconia furono assegnateagli emigrati spartani, ed a questo nuovo comune popo-lare, che per antitesi agli Spartani retti monarchicamentesi chiamò dei «liberi Laconi», fu imposto di entrare nel-la lega achea.Gli emigrati non riebbero i loro beni, considerandolicompensati col paese loro assegnato; fu però stabilito

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che le loro mogli e i loro figli non dovessero essere trat-tenuti in Sparta contro la loro volontà.Sebbene gli Ateniesi, per tali disposizioni, acquistasserocon Argo anche i «liberi Laconi», pure erano poco con-tenti; essi si attendevano di vedere allontanato il temutoed odiato Nabida, ricondotti gli emigrati ed allargata lasimmachia achea su tutto il Peloponneso. Gli uominiimparziali riconosceranno certamente che Flaminino ri-solse queste difficili vertenze con quella equità e giusti-zia che era possibile trattandosi di due partiti politici ir-ragionevoli ed ingiusti.Considerato l'antico e profondo rancore esistente fra gliSpartani e gli Achei, l'aggregazione di Sparta alla legaavrebbe significato una sottomissione degli Spartani agliAchei, e ciò sarebbe stato non meno contrario all'equitàche alla prudenza.Ricondurre gli emigrati, e restaurare completamente ungoverno cessato già da vent'anni, non avrebbe fatto altroche sostituire un governo di terrore ad un altro; la via dimezzo adottata da Flaminino era quindi la giusta, ap-punto perchè non soddisfaceva i due partiti estremi.Finalmente sembrava che fosse stata radicalmente estir-pata la pirateria spartana e che questo governo, appuntocome era, non potesse riuscire molesto che al propriocomune.È possibile che Flaminino, il quale conosceva Nabida edoveva sapere quanto fosse desiderabile il suo allonta-

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che le loro mogli e i loro figli non dovessero essere trat-tenuti in Sparta contro la loro volontà.Sebbene gli Ateniesi, per tali disposizioni, acquistasserocon Argo anche i «liberi Laconi», pure erano poco con-tenti; essi si attendevano di vedere allontanato il temutoed odiato Nabida, ricondotti gli emigrati ed allargata lasimmachia achea su tutto il Peloponneso. Gli uominiimparziali riconosceranno certamente che Flaminino ri-solse queste difficili vertenze con quella equità e giusti-zia che era possibile trattandosi di due partiti politici ir-ragionevoli ed ingiusti.Considerato l'antico e profondo rancore esistente fra gliSpartani e gli Achei, l'aggregazione di Sparta alla legaavrebbe significato una sottomissione degli Spartani agliAchei, e ciò sarebbe stato non meno contrario all'equitàche alla prudenza.Ricondurre gli emigrati, e restaurare completamente ungoverno cessato già da vent'anni, non avrebbe fatto altroche sostituire un governo di terrore ad un altro; la via dimezzo adottata da Flaminino era quindi la giusta, ap-punto perchè non soddisfaceva i due partiti estremi.Finalmente sembrava che fosse stata radicalmente estir-pata la pirateria spartana e che questo governo, appuntocome era, non potesse riuscire molesto che al propriocomune.È possibile che Flaminino, il quale conosceva Nabida edoveva sapere quanto fosse desiderabile il suo allonta-

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namento, si astenesse da questo passo solo per arrivarealla fine dell'impresa e per non turbare con incalcolabilie continuati impacci la schietta impressione dei suoisuccessi; è anche possibile, che egli si studiasse di man-tenere con Sparta un contrappeso alla potenza della legaachea nel Peloponneso. Senonchè la prima supposizioneriguarda un punto di secondaria importanza, e quantoalla seconda è poco verosimile che i Romani scendesse-ro a temere gli Achei.

23. Ordinamento finale della Grecia.La pace fra i piccoli stati della Grecia, per lo meno este-riormente, era fatta. Ma le condizioni interne dei singolicomuni occupavano ancora non poco la mente dell'arbi-tro romano.I Beoti manifestavano apertamente le loro simpatie ma-cedoniche anche dopo la cacciata dei Macedoni dallaGrecia; dopo che Flaminino, per aderire alle loro pre-ghiere, aveva permesso ai Beoti che avevano servitosotto le insegne di Filippo di ritornare in patria, essielessero Brachilla, il più deciso fautore dei Macedoni, acapo della federazione beota, e irritarono Flaminino inogni altro modo possibile.Il duce romano tutto sopportava con una longanimitàsenza pari; ma quei Beoti che parteggiavano per i Ro-mani, e che sapevano che cosa dovessero attendersi,dopo la loro partenza, decisero di dar morte a Brachilla,e Flaminino, a cui credettero doversi rivolgere per otte-

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namento, si astenesse da questo passo solo per arrivarealla fine dell'impresa e per non turbare con incalcolabilie continuati impacci la schietta impressione dei suoisuccessi; è anche possibile, che egli si studiasse di man-tenere con Sparta un contrappeso alla potenza della legaachea nel Peloponneso. Senonchè la prima supposizioneriguarda un punto di secondaria importanza, e quantoalla seconda è poco verosimile che i Romani scendesse-ro a temere gli Achei.

23. Ordinamento finale della Grecia.La pace fra i piccoli stati della Grecia, per lo meno este-riormente, era fatta. Ma le condizioni interne dei singolicomuni occupavano ancora non poco la mente dell'arbi-tro romano.I Beoti manifestavano apertamente le loro simpatie ma-cedoniche anche dopo la cacciata dei Macedoni dallaGrecia; dopo che Flaminino, per aderire alle loro pre-ghiere, aveva permesso ai Beoti che avevano servitosotto le insegne di Filippo di ritornare in patria, essielessero Brachilla, il più deciso fautore dei Macedoni, acapo della federazione beota, e irritarono Flaminino inogni altro modo possibile.Il duce romano tutto sopportava con una longanimitàsenza pari; ma quei Beoti che parteggiavano per i Ro-mani, e che sapevano che cosa dovessero attendersi,dopo la loro partenza, decisero di dar morte a Brachilla,e Flaminino, a cui credettero doversi rivolgere per otte-

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nerne il permesso, per lo meno non disse di no.Brachilla fu quindi spacciato. I Beoti, però, non contentidi perseguire gli assassini, spiarono anche i soldati ro-mani che percorrevano isolati il loro territorio e ne ucci-sero in questo modo 500.Ciò oltrepassava ogni limite; Flaminino inflisse loro lamulta di un talento per ogni soldato ucciso, e non aven-dola essi pagata, raccolse le truppe accantonate nelle vi-cinanze e strinse d'assedio Coronea (558=196). Essi ri-corsero allora alle preghiere; e Flaminino, dietro inter-cessione degli Achei e degli Ateniesi, accordò loro ilperdono riducendo la multa ad una modica somma a ca-rico dei rei; e sebbene in quel piccolo paese rimanessetuttora il partito macedone al timone dello stato, i Ro-mani non contrapposero alla puerile sua opposizione senon la longanimità di chi si sente il più forte.Anche nel resto della Grecia Flaminino si limitò, perquanto fu possibile senza ricorrere alla forza, ad eserci-tare la sua influenza sulle condizioni interne, particolar-mente nei comuni da poco liberati; a porre nelle manidei più ricchi il governo e i tribunali, e al timone dellostato il partito antimacedone, cercando di legare i comu-ni agli interessi romani col dichiarare di proprietà delcomune tutti quei beni, che in virtù del diritto di guerraerano devoluti ai Romani.Nella primavera del 560=194 tutto il lavoro era compiu-to; Flaminino raccolse un'altra volta in Corinto tutti gli

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nerne il permesso, per lo meno non disse di no.Brachilla fu quindi spacciato. I Beoti, però, non contentidi perseguire gli assassini, spiarono anche i soldati ro-mani che percorrevano isolati il loro territorio e ne ucci-sero in questo modo 500.Ciò oltrepassava ogni limite; Flaminino inflisse loro lamulta di un talento per ogni soldato ucciso, e non aven-dola essi pagata, raccolse le truppe accantonate nelle vi-cinanze e strinse d'assedio Coronea (558=196). Essi ri-corsero allora alle preghiere; e Flaminino, dietro inter-cessione degli Achei e degli Ateniesi, accordò loro ilperdono riducendo la multa ad una modica somma a ca-rico dei rei; e sebbene in quel piccolo paese rimanessetuttora il partito macedone al timone dello stato, i Ro-mani non contrapposero alla puerile sua opposizione senon la longanimità di chi si sente il più forte.Anche nel resto della Grecia Flaminino si limitò, perquanto fu possibile senza ricorrere alla forza, ad eserci-tare la sua influenza sulle condizioni interne, particolar-mente nei comuni da poco liberati; a porre nelle manidei più ricchi il governo e i tribunali, e al timone dellostato il partito antimacedone, cercando di legare i comu-ni agli interessi romani col dichiarare di proprietà delcomune tutti quei beni, che in virtù del diritto di guerraerano devoluti ai Romani.Nella primavera del 560=194 tutto il lavoro era compiu-to; Flaminino raccolse un'altra volta in Corinto tutti gli

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inviati dei comuni greci, li ammonì di usare con senno emoderazione della libertà loro concessa, e richiese qualeunico compenso a favore dei Romani, entro trenta gior-ni, la restituzione dei prigionieri italici fatti durante laguerra annibalica e che erano stati venduti schiavi inGrecia.Egli sgombrò poi le ultime fortezze ancora occupate daguarnigioni romane: Demetriade, Calcide coi piccolifortini che ne dipendevano nell'Eubea, e Acrocorinto,dando così una sonora smentita al grido lanciato dagliEtoli che Roma avesse avuto in eredità da Filippo i cep-pi della Grecia; e si mise in marcia con tutte le sue trup-pe e coi prigionieri liberati per ritornare in patria.

24. Risultati.Soltanto una disprezzabile malafede, od un meschinosentimentalismo possono negare che i Romani non ab-biano presa sul serio la liberazione della Grecia; e lacausa, per cui un piano tanto grandiosamente condottoha prodotto un così meschino risultato, si deve ricercaresoltanto nella completa dissoluzione morale e politicadella nazione greca.Non era cosa da poco, che una nazione potente abituataa considerare la Grecia quale sua prima patria e santua-rio dei suoi più alti ideali, restituisse improvvisamentecol forte suo braccio la piena libertà al paese, e liberassei comuni da ogni imposta verso l'estero e da presidî stra-nieri, dando loro illimitato diritto a governarsi da sè. Vo-

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inviati dei comuni greci, li ammonì di usare con senno emoderazione della libertà loro concessa, e richiese qualeunico compenso a favore dei Romani, entro trenta gior-ni, la restituzione dei prigionieri italici fatti durante laguerra annibalica e che erano stati venduti schiavi inGrecia.Egli sgombrò poi le ultime fortezze ancora occupate daguarnigioni romane: Demetriade, Calcide coi piccolifortini che ne dipendevano nell'Eubea, e Acrocorinto,dando così una sonora smentita al grido lanciato dagliEtoli che Roma avesse avuto in eredità da Filippo i cep-pi della Grecia; e si mise in marcia con tutte le sue trup-pe e coi prigionieri liberati per ritornare in patria.

24. Risultati.Soltanto una disprezzabile malafede, od un meschinosentimentalismo possono negare che i Romani non ab-biano presa sul serio la liberazione della Grecia; e lacausa, per cui un piano tanto grandiosamente condottoha prodotto un così meschino risultato, si deve ricercaresoltanto nella completa dissoluzione morale e politicadella nazione greca.Non era cosa da poco, che una nazione potente abituataa considerare la Grecia quale sua prima patria e santua-rio dei suoi più alti ideali, restituisse improvvisamentecol forte suo braccio la piena libertà al paese, e liberassei comuni da ogni imposta verso l'estero e da presidî stra-nieri, dando loro illimitato diritto a governarsi da sè. Vo-

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ler scorgere in ciò null'altro che un calcolo politico nonè che perfidia.Il calcolo politico dette ai Romani possibilità di effettua-re la liberazione della Grecia, che potè compiersi solo ingrazia del filellenismo appunto allora indescrivibilmentesentito a Roma, e particolarmente nell'animo dello stes-so Flaminino.Se vi è un rimprovero da fare ai Romani, è quello che lamalìa del nome ellenico impedisse a tutti, e specialmen-te a Flaminino (il quale dovette vincere i ben fondatiscrupoli del senato) di riconoscere in tutta la sua am-piezza la triste condizione in cui versavano allora glistati della Grecia, e di non impedire ai comuni quegli in-trighi, che fermentavano nel loro seno impedendo lorotanto di agire quanto di stare tranquilli.In questo stato di cose era chiara la necessità di porreuna volta per sempre un argine a quella meschina nonmeno che pericolosa libertà con una forza permanentenel paese. La debole politica sentimentale, malgradol'apparente sua umanità, era molto più crudele di quelloche non fosse la più dura occupazione.Nella Beozia, per esempio, Roma fu costretta perfino apermettere, se non a istigare, un assassinio politico, poi-chè i Romani avevano deciso di sgombrare dalla Greciae non potevano quindi impedire ai Greci del loro partitoche si aiutassero da se stessi secondo il costume del pae-se.

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ler scorgere in ciò null'altro che un calcolo politico nonè che perfidia.Il calcolo politico dette ai Romani possibilità di effettua-re la liberazione della Grecia, che potè compiersi solo ingrazia del filellenismo appunto allora indescrivibilmentesentito a Roma, e particolarmente nell'animo dello stes-so Flaminino.Se vi è un rimprovero da fare ai Romani, è quello che lamalìa del nome ellenico impedisse a tutti, e specialmen-te a Flaminino (il quale dovette vincere i ben fondatiscrupoli del senato) di riconoscere in tutta la sua am-piezza la triste condizione in cui versavano allora glistati della Grecia, e di non impedire ai comuni quegli in-trighi, che fermentavano nel loro seno impedendo lorotanto di agire quanto di stare tranquilli.In questo stato di cose era chiara la necessità di porreuna volta per sempre un argine a quella meschina nonmeno che pericolosa libertà con una forza permanentenel paese. La debole politica sentimentale, malgradol'apparente sua umanità, era molto più crudele di quelloche non fosse la più dura occupazione.Nella Beozia, per esempio, Roma fu costretta perfino apermettere, se non a istigare, un assassinio politico, poi-chè i Romani avevano deciso di sgombrare dalla Greciae non potevano quindi impedire ai Greci del loro partitoche si aiutassero da se stessi secondo il costume del pae-se.

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Ma anche Roma ebbe a soffrire delle conseguenze diquesta via di mezzo. La guerra con Antioco non sarebbeavvenuta senza l'errore politico della liberazione dellaGrecia, e non sarebbe stata pericolosa se non si fossecommesso l'errore strategico di togliere le guarnigionidalle fortezze principali poste sui confini dell'Europa.La storia ha una nemesi per ogni peccato – per l'impo-tente anelito alla libertà, come per la stolta generosità.

FINE DEL TERZO VOLUME

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Ma anche Roma ebbe a soffrire delle conseguenze diquesta via di mezzo. La guerra con Antioco non sarebbeavvenuta senza l'errore politico della liberazione dellaGrecia, e non sarebbe stata pericolosa se non si fossecommesso l'errore strategico di togliere le guarnigionidalle fortezze principali poste sui confini dell'Europa.La storia ha una nemesi per ogni peccato – per l'impo-tente anelito alla libertà, come per la stolta generosità.

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