RONO L’AMERICA BRIERON AMÉRICA...de los arawacos con muchos españoles actuales, incluidos los...
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1
GLI AREVACI SCOPRI-
RONO L’AMERICA
Il mio amico Max, lo svizzero, sa che,
prima che Dio creasse il monto, c’era la
Spagna, cioè, “il caos”. Comunque, lui non sa
che gli aravaci, arevaci o arèvaci furono un
popolo preromano della Spagna, con capitale a
Numancia, città rasa al suolo, come tante altre,
dagli “civilizzati e anticaotici” romani, poiché
avevano paura che un giorno l’UNESCO le
dichiarasse “Patrimonio dell’Umanità”.
Neanche sa che gli arawachi, gli arapajoi
e gli araucani sono i gentilizi di alcune delle
tribù da maggiore stensione nell’América
precolombiana, tutte imparentate con gli
arevaci spagnoli, come anche i rapanui,
dell’isola di Pasqua, quelli che eressero i famosi
moai.
E perché io certamente conosco queste
cose?
Ebbene, perché la fonetica così complessa
di questi singolari gentilizi, mostra che sono
imparentati tra di loro a traverso di Arraballa, il
nome della prima Dea Solare adorata nel Nord
della Spagna da prima del “diluvio universale”.
Questa relazione filologica con la detta
deità fu scoperta da Jorge María Ribero-
Meneses proprio mentre decifrava l’etimologia
di “rapanuis”, il gentilizio degli
indigeni dell’isola di Pascua.
L’analisi linguistica gli portò, di
passaggio, al nome originale delle
tribù dette, cioè: Arrabakis,
Arrabajoi, Arrabakani, Arrabanuis.
Da questi nomi derivano gli attuali
dal modo che segue:
1.- Arrabaki > arrawaki >
arawachi.
2.- Arrabajoi > arapajoi.
3.- Arrabakani > arrawakani
> araucani.
4.- Arrabanuis > arrawanuis
> arrapanuis > rapanuis.
Annoto che la “R” a il suo
origine nella “RR”, e la “P” nella
“B”.
LOS ARÉVACOS DESCU-
BRIERON AMÉRICA
Mi amigo Max, el suizo, sabe que, antes
de que Dios creara el mundo, existía España, o
sea, “el caos”. Sin embargo no sabe que los
aravacos, arevacos o arévacos fueron un
pueblo prerromano de España, con capital en
Numancia, ciudad arrasada, como otras
muchas, por los “civilizados y anticaóticos”
romanos, pues temían que un día la UNESCO
las declarara “Patrimonio de la Humanidad”.
Tampoco sabe que los arawacos, los
arapajoes y los araucanos son los gentilicios de
algunas de las tribus de mayor extensión en la
América precolombina, todas ellas
emparentadas con los arévacos españoles, lo
mismo que los rapanuis, de la isla de Pascua,
los que erigieran los famosos moáis.
¿Y por qué yo sí sé estas cosas?
Pues porque la fonética tan
compleja de tan singulares
gentilicios, muestra que están
emparentados entre sí a través de
Arraballa, el nombre de la primera
Diosa Solar adorada en el norte de
España desde antes del “diluvio universal”.
Esta relación filológica con la citada dei-
dad la descubrió Jorge María Ribero-Meneses
precisamente mientras descifraba la
etimología del gentilicio “rapanuis”.
El análisis lingüístico le llevó, de
paso, al nombre original de las
citadas tribus, a saber: Arrabakos,
Arrabajoes, Arrabakanos,
Arrabanuis. De estos nombres
derivan los actuales del modo que
sigue:
1.- Arrabakos > arrawakos >
arawacos.
2.- Arrabajoes > arapajoes.
3.- Arrabakanos >
arrawakanos > araucanos.
4.- Arrabanuis > arrawanuis
> arrapanuis > rapanuis.
Anoto que la “R” tiene su
origen en la “RR”, y la “P” en la “B”.
2
Ebbene, tutti questi popoli rispondono al
nome della più importante etnia della Spagna
preromana, quel degli arévacos che, come
alcuni dei suoi frati americani, anche si
ornavano con delle piume.
Questo dimostra due cose:
1) Che, benché nessuno tornassi per
raccontarlo, i primi colonizzatori
delle Americhe (tra 50 e 30.000
anni fa) furono spagnoli.
2) Che gli afflussi furono
diversi.
Per corroborare quello
detto, vasta comprovare la
somiglianza fisonomica degli
arawacos con tanti spagnoli
attuali, incluso quelli de rione
madrilegno di “Arabaca” che,
almeno nel nome, sono degni
rappresentanti dei più genuini
celtiberi dell’antichità: gli arevaci.
Tutti quei popoli precolombiani riferiti
conoscevano l’agricoltura e la pesca;
possedevano un’elaborata tecnica
nell’industria testile e nella ceramica, e
giocavano al “batù”, un gioco simile al
calcio. Ecco, proprio come dal Real Madrid.
Da sua parte, le donne arrawakas usava-
no lunghe gonne (come mia nonna) e mostra-
vano pettinature con cercini o orecchioni, come
se fossero calchi della più famosa donna celti-
bera de tutti i tempi: La Dama di Elce. Guarda,
Max, quante cose belle uscirono del caos!
Pues bien, todos estos pueblos responden
al nombre de la más importante etnia de la
España prerromana, el de los arévacos que,
como algunos de sus hermanos americanos,
también se adornaban con plumas.
Esto demuestra dos cosas:
1) Que, aunque ninguno volviera
para contarlo, los primeros
colonizadores de las Américas (hace
entre 50 y 30.000 años) fueron
españoles.
2) Que las oleadas fueron varias.
Para corroborar lo dicho, basta
comprobar la semejanza fisonómica
de los arawacos con muchos
españoles actuales, incluidos los del
barrio madrileño de “Arabaca” que, al
menos por el nombre, son dignos
representantes de los más genuinos
celtíberos de la antigüedad: los
arévacos.
Los pueblos precolombinos citados
conocían la agricultura y la pesca; poseían
una elaborada técnica en la industria textil
y en la cerámica, y jugaban al “batú”, un
juego parecido al fútbol. Vamos, ¡Ni que
fueran del Real Madrid!
Por su parte, las mujeres arrawakas
usaban largas faldas (como mi abuela) y lucían
peinados con rodetes u orejeras, como si
fueran calcos de la más famosa dama celtíbera
de todos los tiempos: La Dama de Elche. ¡Mira,
Max si salieron cosas bonitas del caos!
3
Il mio amico Max neanche sa che gli
arawaci accolsero pacificamente gli spagnoli
della conquista, ed è che nessuno gli ha detto
che le proprie tradizioni li davano notizia di certi
uomini simili a loro, la cui terra matrice si
trovava in una grande isola denominata Aztelán
-situata nella riva opposta del Atlantico- e li
credevano deità o
uomini superiori.
Qualcosa simile ricordo
avere letto in certo libro
intitolato “La Leggenda
degli Dei Bianchi” verso
il 1972.
Le stesse
tradizioni anche le
conservarono gli
aztecas, il cui
gentilizio da fede della
remota Aztelán o
isola Atlántida,
affondata 12.000
anni fa fronte alle
coste asturiane.
D’altra parte gli arapajoi parenti prossimi
agli arrawaci, presentano tratti ricalcati
dell’etnia “kalé”, “ergo hispano-jitana”. E
chiarisco che, al contrario di quello che si crede,
furono i gitani, zingari o rom, e altri parenti di
loro usciti dalla Spagna, quelli che crearono la
cultura egiziana e colonizzarono il Nord
dell’Africa e l’intorno Mediterraneo. Questo a
dispetto che, alcuni anni fa, al mio ritorno di
un’escursione in Sicilia, non
mancarono rise, e incluso
risate, alla mia allusione a
Tucidide, storico dell’antica
Grecia, che lasciò per
scritto che i primi
popolatori della detta isola
furono “spagnoli”.
Dal nome degli arrapajoi si deduce che i
rapanuis dell’isola di Pascua, nella sua origine si
chiamavano arrawanuis, cioè, che erano
derivanti della stessa etnia.
Addirittura di questi dati linguistici e
etnici, mostrerò a Max alcuni altri di tipo
archeologico che neanche conosce:
Mi amigo Max tampoco sabe que los
arawacos acogieron pacíficamente a los
españoles de la conquista, y es que nadie le ha
dicho que sus tradiciones les daban noticia de
unos hombres similares a ellos cuya tierra
matriz se hallaba en una gran isla denominada
Aztelán -situada en la orilla opuesta del
Atlántico- y les creían dioses u
hombres superiores.
Algo parecido
recuerdo haber leído
en un libro titulado
“La Leyenda de los
Dioses Blancos” hacia
1972.
Idénticas
tradiciones se
conservaron entre los
aztecas, cuyo
gentilicio da fe de la
remota Aztelán, o isla
Atlántida, hundida
hace 12.000 años
frente a las costas
asturianas.
Por su parte los arapajoes, parientes
próximos de los arrawacos, presentan rasgos
calcados de la etnia kalé, “ergo hispano-jitana”.
Y aclaro que, al contrario de lo que se cree,
fueron los gitanos, y otros parientes suyos
salidos de España, los que crearon la cultura
egipcia y colonizaron el norte de África y el
entorno Mediterráneo. Esto pese a que, hace
unos años, tras una excursión
a Sicilia, no faltaron risitas, e
incluso carcajadas, a mi
alusión a Tucídides, historiador
de la antigua Grecia, que dejó
constancia de que los primeros
pobladores de dicha isla fueron
“españoles”.
Del nombre de los arrapajoes se deduce
que los rapanuis de la Isla de Pascua se
llamaban en su origen arrawanuis, o sea, que
eran primos hermanos de las otras etnias.
Además de estos datos lingüísticos y
étnicos, mostraré a Max algunos otros de tipo
arqueológico que tampoco conoce:
4
Gli investigatori statuni-
tensi Dennis Stanford e Bruce
Bradley, hanno anche
scoperto che i primi popolatori
delle Americhe procedevano
della Spagna. La prova è che
gli attrezzi “biffaci” della
cultura Clovis, la più antica
scoperta in America, sono
simile a quelle trovati in
Cantabria e Andalusia durante
lo stesso periodo del
paleolitico, e molto diverse di
quelle incontrate in Asia.
La stessa ipotesi è
suggerita dai fossili umani
ritrovati in Alaska e
“Washington”.
Per quanto riguarda all’isola di Pascua,
quella degli arrapanui > rapanui, là ci sono i
moai come prova del suo vincolo con la
Spagna. In effetti:
Lo stesso Jorge María ha dimostrato che
tra 100 e 50 mille anni fa, “il primo
luogo del Pianeta -in
parole dell’autore-
dove si sono fatte
figure umane di
fronte all’oceano, fu
la spiaggia di “San
Bizente di
Alabarzera”, nel
litorale Astur-
Kàntabro del Nord
della Spagna”. Questa
pratica senza dubbio
si rinforzò dopo
dall’amara esperienza del affondamento
dell’Atlantide di fronte alla sua costa.
E aggiunto qualcosa che non potrà
lasciare indifferente a Max:
Lo stesso autore dimostra che, la Deità
Solare Arraballa diede il nome all’Europa…, e
anche all’Arabia, secondo le seguenti
derivazioni linguistiche:
Arraballa > Oroballa > Oroba > Oropa >
Europa.
Arraballa > Araballa > Arabia.
Los investigadores
estadunidenses Dennis
Stanford y Bruce Bradley,
también han descubierto
que los primeros
pobladores de las Américas
procedían de España. La
prueba está en que las
herramientas “bifaces” de
la cultura Clovis, la más
antigua descubierta en
América, son semejantes a
las encontradas en
Cantabria y Andalucía
durante el mismo periodo
del paleolítico, sin ningún
parecido con las
encontradas en Asia.
La misma hipótesis es sugerida por fósiles
humanos hallados en Alaska y Washington.
En cuanto a la Isla de Pascua, la de los
arrapanui > rapanui, ahí están los moái como
prueba de su vinculación con España. En
efecto:
El mismo Jorge
María ha demostrado
que, hace entre 100 y 50
mil años, “el primer lugar
del Planeta -en palabras
del autor- en el que se
hincaron figuras
humanas frente al
occéano, fue la playa de
San Bizente de
Alabarzera, en el Litoral
Astur-Kántabro del norte
de España”. Esta práctica, sin duda se reforzó
tras la amarga experiencia del hundimiento de
la Atlántida frente a su costa.
Y añado algo que no podrá dejar
indiferente a Max:
El mismo autor demuestra que, la Deidad
Solar Arraballa dio el nombre a Europa…, y
también a Arabia, según las siguientes
derivaciones lingüísticas:
Arraballa > Oroballa > Oroba > Oropa >
Europa.
Arraballa > Araballa > Arabia.
5
Non per niente, amico Max, i “Pichi
dell’Europa” ci sono in Spagna. E, se adesso
l’Europa è quello che è, e dovuto a che qualche
spagnolo uscito dai detti “Pichi” fu alla parte
della Svizzera e disse: “Questo si chiamerà
Europa”, perché sono stato io chi l’ho scoperto.
E adesso io domanderei a Max:
Com’è possibile che i discendenti da un
così intrepido esploratore ci
siate dimenticati delle
vostre radici più
autentiche?
Ma guarda, perché
adesso scopro la ragione
della la famosa “Hispano-
Suiza”, quella che
patentasse le migliori
automobili e aerei del
mondo agli inizi del secolo
XX. È proprio vero: Non ci sono impossibili per
una Spagna e una Svizzera unite!
A questo punto -e poiché più fatica me
scrivere che a te, lettore, leggere, e abbastanza
mi fa male le chiappe-, mi alzerò e canterò una
“copla serrana” ai “Pichi di Arraballa”, cioè, ai
“Pichi dell’Europa”, la più alta arra > ara alla
Deità Madre:
In alto Piche d’Europa
giganti della montagna
mani scolpite da rocca
alzando il cielo di Spagna,
che dammi la mano
murenuca mea.
Dammi la mano, ‘mozuca’
per salire sulla cima
dove il cielo es più azzurro
e la neve al sole brilla
che dammi la mano
mouenuca mea.
E poiché ci siamo messi poetici, un paso
di più e entriamo nella mistica:
Addirittura della bianca spuma e l’azzurro
delle acque dell’oceano che videro nascere la
Deità Madre, la neve dei “Pichi dell’Europa” e
l’azzurro del suo cielo, mi si appaiono come due
belle ragioni per il bianchi azzurro tradizionale
delle Immacolate spagnole.
No por nada, amigo Max, los Picos de
Europa están en España. Y si ahora Europa es
lo que es, se debe a que algún español salido
de dichos Picos fue a la parte de Suiza y dijo:
“Esto se llamará Europa”, que para eso lo he
descubierto yo.
Y ahora yo preguntaría a Max:
¿Cómo es posible que los descendientes
de tan intrépido explorador
hayáis olvidado vuestras
raíces más auténticas?
Pero mira por
dónde, acabo de
descubrir la razón de la
famosa “Hispano-Suiza”,
la que patentara los
mejores coches y aviones
del mundo a principios del
siglo XX. Es verdad: ¡No
hay imposibles para una España y una Suiza
unidas!
A este punto -puesto que más me cuesta
a mí escribir que a ti, lector, leer, y harto me
duelen las posaderas-, me levantaré y cantaré
una copla serrana a los Picos de Arraballa, o
sea, a los Picos de Europa, la más alta arra >
ara a la Diosa Madre:
Arriba picos de Europa
gigantes de la montaña
manos talladas de roca
aupando el cielo de España,
que dame la mano
morenuca mía.
Dame la mano, mozuca
para subir a la cima
donde el cielo es más azul
y allí la nieve al sol brilla
que dame la mano
morenuca mía.
Y ya que nos hemos puesto poéticos, un
paso más y entremos en la mística:
Amén de la blanca espuma y el azul de
las aguas del océano que vieron nacer a la
Diosa Madre, la nieve de los Picos de Europa y
el azul de su cielo, se me antojan buenas
razones para el blanquiazul tradicional de las
Inmaculadas españolas.
6
D’altra parte, senza
detrimento al colore della
sposa del Cantico dei
Cantici, né del sempiterno
fumo delle candele al
quale altrove erano sposte
le immagine, la
“murenuca mea”
spiegherebbe il perché di
tanta Vergine nera.
A questo proposito là ci sono la Madonna
della “Peña di Francia”, in Salamanca, e
quella di Montserrat, in Catalogna,
sebbene da quest’ultima mi hanno detto
che, se si gratta un po’ -e qui lasciamo la
mistica e torniamo alla scienza-, risulta
che è bianca. Ma prima che mi accusino di
confondere scienza e politica, preferisco
lasciare il calcio.
Certamente però, lascerò costanza
che, almeno in Spagna, soltanto le brune -
“morenuche"- sono obietto del canto; le
bionde invece -non proprio in Spagna, e detto
sia con perdono- sono obietto di non poche
battute, perché bionda è sinonimo di stupida.
E seguendo con l’assunto, quello che
certamente non lascerò di dire è che fr. Bruno,
in cui accordano nome e sembiante, se è
meravigliato perché in Spagna abbiamo una
“Peña di Francia”. E dico io: A questo punto,
perché non si meraviglia che ci sia una Francia
fuori della nostra Peña?
Quello che segue è anche per Max, se per
caso si sentisse pizzicato dalla voglia
dell’investigazione per rinforzare le sue
convinzioni:
Quello primo ed ultimo dirgli che per
salire alla vetta di Arraballa, deve prendere per
mano i toponimi della regione. Ad esempio:
Di Arabedes e Araballe, monti nel cuore
dei “Pichi dell’Europa”, in Lièbana, o di Arria,
Massiccio degli stessi Pichi, che è continuazione
di Peña Arrabia > Arrubia > Rubia, Peñarrubia,
uno di cui paraggi risponde al nome di Puente
del Arrudo. Anche nella Sierra di Gredos è
rimasto il ricordo della Dea in Arévalo, il paese
d’Isabella la Cattolica, e in Alicante c’è un’altra
Peña Rubia. (*Grazie, Jorge María, per la tua correzione).
Por otra parte,
sin perjuicio del color
de la esposa del Cantar
de los Cantares, ni del
sempiterno humo de
las velas al que antaño
estaban expuestas las
imágenes, la
“morenuca mía”
explicaría el porqué de
tanta Virgen negra.
A este propósito ahí están la
Virgen de la “Peña de Francia”, en
Salamanca, y la de Montserrat, en
Cataluña, aunque de esta última tengo
entendido que, si se rasca un poco -y
aquí dejamos la mística y volvemos a la
ciencia-, resulta que es blanca. Pero
antes de que se me acuse de confundir
ciencia y política, prefiero dejar el fútbol.
Eso sí, dejaré constancia de que,
al menos en España, sólo las morenas
son objeto del canto; las rubias en cambio -no
precisamente en España, y dicho sea con
perdón- son objeto de no pocos chistes, porque
rubia es sinónimo de estúpida.
Y siguiendo con el tema, no dejaré de
decir que fr. Bruno, en quien concuerdan
nombre y semblante, se extrañó de que en
España tengamos una “Peña de Francia”. Y
digo yo: A estas alturas, ¿por qué no se extraña
de qué Francia esté fuera de nuestra “Peña”?
Lo que sigue es para Max, por si le
entrase el gusanillo de la investigación para
afianzarse en estas convicciones.
Lo primero y último decirle que para subir
a la cima de Arraballa, debe echar mano de los
topónimos de la región. Por ejemplo:
De Arabedes y Araballe, montes de
Liébana en corazón de los Picos de Europa*, o
de Arria, Macizo de los mismos Picos, que es
continuación de Peña Arrabia > Arrubia >
Rubia, Peñarrubia, uno de cuyos parajes
responde al nombre de Puente del Arrudo.
También en la sierra de Gredos ha perdurado el
recuerdo de la Diosa en Arévalo, el pueblo de
Isabel la Católica, y en Alicante hay otra Peña
Rubia. (* Gracias, Jorge María, por tu corrección).
7
Anche, tra tanti
derivati di Arraballa >
Araballa, quelli di
“urbe” (città) e “orbe”
(in allusione al primo
mondo abitato),
mostrano che la prima
dimora dell’umanità
ragionevole è stata
intorno ai “Pichi di
Arraballa” o di
“Europa”. Più ancora:
La prima Hebron nella quale gli antichi
ebrei situavano la culla dell’umanità rispondeva
al nome di Arbal o Arbah, derivato di Araballa.
E se i giudei si sentivano
originali di Araballa > Arbal,
gli arabi, com’è detto,
diedero alla sua nuova
patria lo stesso nome di
Araballa > Arabia. E non
lascia di essere significativo
che in spagnolo si continui
a denominare Arrabá a
certe decorazioni che
alcuni dicono siano arabi e
altri che etrusche, ma io
punterei che, almeno per
il nome, sono spagnole;
come arrabal, che se non incornicia porte,
incornicia città. E vada il seguente appunto in
onore di Bruno, che è un frate accogliente,
attento e libero di tanti pregiudizi:
Da Arraballa ha derivato Arrama > Rama
> Roma, per questo si ricorda ai mitici fondatori
di Roma come i “Fratelli Arbali”. Un passo più e
ci troviamo con Roma > Roa, un paese a 15
km. del mio, i cui abitanti rispondono al
gentilizio di “raudenses”, ed è che,
come ci sono i più bestie della
regione non vogliono che nessuno
gli sbagli con quelli civilizzati del
Lazio italiano. Anche il Ramayana
degli Indi deriva di Arraballa. In
conclusione: Che giudei, arabi e
indi -tra i quali, per il momento,
includiamo gli svizzeri… e i
francesi- sono uno stesso popolo
originale dei “Pichi dell’Europa”.
También, entre tantos
derivados de Arraballa >
Araballa, los de “urbe”
(ciudad, lugar de residencia)
y “orbe” (en alusión al primer
mundo habitado), muestran
que la primera morada de la
humanidad racional estuvo
en torno a los “Picos de
Arraballa” o de “Europa”.
Más cosas:
La primera Hebrón en la que los antiguos
hebreos situaban la cuna de la humanidad
respondía al nombre de Arbal o Arbah, derivado
de Araballa. Y si los judíos se sentían originarios
de Araballa > Arbal, los árabes, como hemos
dicho, dieron a su
nueva patria el mismo
nombre de Araballa >
Arabia. Y no deja de ser
significativo que en
español se siga
denominando Arrabá a
ciertas decoraciones que
unos dicen sean árabes
y otros que etruscas,
pero que, al menos por
el nombre, yo diría que
son españolas; como
arrabal que si no
enmarca puertas enmarca ciudades. Y vaya el
siguiente apunte en honor de Bruno, que es un
fraile acogedor, atento y liberado de prejuicios:
De Arraballa ha derivado Arrama > Rama
> Roma, por eso se recordaba a los míticos
fundadores de Roma como “Hermanos
Arbales”. Un paso más y nos encontramos con
Roma > Roa, pueblo a 15 km. del mío, cuyos
habitantes se llaman “raudenses”, y es
que, siendo los más brutos de la
región, no quieren que nadie les
confunda con aquellos civilizados del
Lacio italiano. También el Ramayana de
los Indios deriva de Arraballa. En
conclusión: que judíos, árabes,
romanos e indios -entre los que, de
momento, incluimos a los suizos… y a
los franceses- son un mismo pueblo
originario de los “Picos de Europa”.
8
Dopo, gli irriducibili baschi, vediamo se
almeno per una volta riconoscono che
procedono dei “Pichi Araballa” o dell’Europa,
che per questo hanno la Sierra di Aralar e, non
per niente, una delle sue provincie si chiama
Araba > Álaba che, in questo caso, ni equivale
a “saracena”.
Idem per i catalani che, devoti della
stessa Dea Madre, l’eressero ara nella valle di
Arán, che per la “commutativa” si potrebbe
chiamare Araballe o Arraballa, il nome de la
Madre Divina, che qualcuno sbaglierebbe
con “La Moreneta”.
Da parte sua gli asturiani,
accorti come nessuno di queste
cose, dai tempi proto storici
presero come capitale Oviedo,
situato ai piedi del Massiccio di
Aramo. E senza uscire della
regione, in Gijón c’è la spiaggia
di Arbellal, vicina al monte
Arebo, due varianti di Araballa,
e prossimo a ambedue c’è il
piccolo paese di Zarrazina, lo
quale spiegherebbe perché agli
arabi li si chiama anche
sarracenos, e costi che neanche
qui parliamo con secondo fine.
Diciamo per finire che, vicino a Salamanca
c’è il paese di Arraballona > Arabayona,
circondato dei seguenti toponimi affini a
Arraballa: Peña Aranda, Peña Arandilla, Villa
Aruela > Villoruela, Aldea Rubia, Palacios
Rubios, La Revilla, La
Orbada, La Orbadilla.
Anche in Burgos c’è un
Peñaranda ed io sono de
vicino a Aranda.
Così, con tanta ara
da per tutto alla Madre
Divina, bene si può
spiegare perché la
Spagna sia stata
denominata “Terra di
Maria”, la Donna dove
vengono a convergere la
figura e il ruolo dell’antica
“Divinità solare”… e la
devozione degli spagnoli.
Luego, los irreductibles vascos, a ver si
por una vez reconocen que proceden de los
“Picos de Araballa” o de Europa, que para eso
tienen la Sierra de Aralar y, no por nada, una
de sus provincias se llama Araba > Álaba que,
en este caso, no equivale a “sarracena”.
Ídem para los catalanes que, devotos de
las misma Diosa Madre, le erigieron ara en el
Valle de Arán, que por la “conmutativa” se
podría llamar Araballe o Arraballa, el nombre de
la Diosa Madre, que alguno confundiría con “La
Moreneta”.
Por su parte los asturianos,
avisados como nadie de estas
lides, desde tiempos
protohistóricos tuvieron como
capital a Oviedo, situado a los
pies del Macizo de Aramo. Y sin
salirnos de la zona, en Gijón
está la playa de Arbellal,
cercana al monte Arebo, dos
variantes de Araballa, y próximo
a ambos está el pueblecito de
Zarrazina, lo que explicaría por
qué a los árabes se les llama
también sarracenos, y conste
que aquí tampoco vamos “con
segundas”.
Digamos para terminar que, cerca de
Salamanca está el pueblo de Arraballona >
Arabayona, rodeado de los siguientes
topónimos afines a Arraballa: Peña Aranda,
Peña Arandilla, Villa Aruela > Villoruela, Aldea
Rubia, Palacios Rubios, La
Revilla, La Orbada, La
Orbadilla. También en
Burgos hay un Peñaranda
y yo soy de cerca de
Aranda.
Así, con tanta ara
por doquier a la Diosa
Madre, bien se puede
explicar que España haya
derivado en “Tierra de
María”, la Mujer donde
convergen la figura y el rol
de la antigua “Divinidad
solar”… y la devoción de
los españoles.
9
E faccio costare che
anche alle Americhe
portarono gli Arévaci spagnoli
il culto alla Dea Madre,
identificata con il Sole, come
mostra in grafico preistorico di
qui accanto, la cui ispirazione
è assolutamente cantabrica.
Più tardi porterebbero
Morenuche e Immacolate.
Per certo, e parlando
delle are: Nel Monte Castillo
(Cantabria) si è trovata il più
antico altare, fino ad oggi
conosciuto, dedicato al dio Erudino.
E prima di mettere il punto finale, un
appunto di tipo biblico se per caso svegliasse la
curiosità di Max e potesse io sodisfargliela un
giorno. Poiché siccome, incredulo lui, predica
che “L’Ispanità d’Ispanoamerica” e altri assunti
ispani “sono imprescindibili per entrare nel
Regno dei Cieli”, forse un giorno arriverà a
credere la sua predica.
Ebbene: L’antichissimo idioma bable, che
ancora si parla in Asturias (Spagna), ci farà
capire perché alla ”Fabla” (Parola) di Dio la
chiamiamo Bibbia, e anche ci orienterà verso i
Pichi dell’Europa per ubicare la primigenia
Babilonia. Ed è che in Asturias, in Galizia e in
tante altri luoghi della Spagna esistono
abbastanza tradizioni popolari non già per
ricordare, ma per localizzare nel nord della
Spagna la perduta “Babilonia”, e incluso “La
Grande Babele” che l’anteriore Economo
generale situava nelle città fondate dagli
spagnoli in America, scandalizzato della sua
apertura a tutta razza e condizione e della sua
“interculturalità perfino il matrimonio”. Per certo
che tanto in Salamanca (Spagna) come in
Milano (Italia) ci sono i rispettivi balneari che
rispondono al nome di Babilafuente. Chi
dubiterà che è lo spagnolo il più vicino alla
Grande Babele?
In ogni modo, credo che perfino il mio
amico Max riconoscerà un giorno che né i dei
né gli uomini, per molto che lo pretendano,
potranno liberarsi degli spagnoli. “Duro è
rivoltarsi contro il pungolo”; è meglio accettare
quello già disposto che provocare allergie.
Y conste que también
a las Américas llevaron los
arévacos españoles el culto
a la Diosa Madre,
identificada con el Sol, como
muestra el grabado
prehistórico adjunto, cuya
inspiración es absolutamente
cántabra. Más tarde llevarían
Morenucas e Inmaculadas.
Por cierto, y hablando
de aras: En el Monte Castillo
(Cantabria) se ha
encontrado el hasta hoy más
antiguo altar, dedicado al dios Erudino.
Y antes de poner el punto final, un
apunte de tipo bíblico por si despertara la
curiosidad de Max y pudiera yo satisfacérsela
un día. Porque ya que, incrédulo de él, predica
que “La Hispanidad de Hispanoamérica” y
demás asuntos hispanos “son imprescindibles
para entrar en el Reino de los Cielos”, tal vez
algún día llegue a creer su propia prédica.
Pues bien: El antiquísimo idioma bable,
que aún se habla en Asturias (España), nos
hará entender por qué al “Habla” de Dios se le
llama Biblia, y también nos orientará hacia los
Picos de Europa para ubicar la primigenia
Babilonia. Y es que en Asturias, en Galicia y en
muchas otras partes de España existen
suficientes tradiciones populares no ya para
recordar, sino para localizar en el norte de
España la perdida “Babilonia”, e incluso “La
Gran Babel” que el anterior Ecónomo General
situaba en las ciudades fundadas por los
españoles en América, escandalizado de su
apertura a toda raza y condición y de su
“interculturalidad hasta el matrimonio”. Por
cierto que tanto en Salamanca (España) como
en Milán (Italia) hay sendos balnearios que
responden al nombre de Babilafuente. ¿Quién
dudará que es el español el más cercano a la
Gran Babel?
De cualquier modo, creo que hasta mi
amigo Max reconocerá un día que ni los dioses
ni los hombres, por mucho que lo pretendan,
podrán librarse de los españoles. “Duro es dar
coces contra el aguijón”; es mejor aceptar lo ya
fijado que provocar alergias.