ROM93_LA RESA DEI SENSI

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C'erano voluti quattro mesi, parecchi favori, una cassa di costoso whisky e una serata con un viscido investigatore privato che aveva commesso l'errore di pensare che ap-puntamento significasse sesso. Una ginocchiata all'ingui-ne lo aveva fatto ricredere subito. Insomma, non era stato facile, ma alla fine Dana Birch aveva incastrato il suo uomo. E ora, mentre saliva in ascensore verso l'attico di Garth Duncan, sorrise guardando il foglio che teneva in mano. Una convocazione presso il dipartimento di polizia di Dallas. Brutte notizie, per Garth. Per lei, una giornata me-morabile. «Credevi di essere furbo, eh, lurido topo?» mormorò fra sé, mentre usciva dalla cabina per avviarsi verso la porta dell'attico. «Pensavi di farla franca.» Se la vita fosse stata perfetta, lui avrebbe opposto resi-stenza e lei sarebbe stata autorizzata a estrarre la pistola. Poteva perfino partirle un colpo accidentalmente. Purtrop-po Garth era un tipo sveglio e si sarebbe limitato a chia-mare un avvocato da mille dollari l'ora. Non che gli sa-rebbe servito a molto, oggi. «Sei mio, Garth» disse, poi bussò. Nel minuto abbondante che lui ci impiegò ad aprire, Dana assaporò la vittoria. Aveva lavorato sodo per inchio-dare Garth Duncan, ma ne era valsa la pena. Lui se l'era cercata. Aveva tormentato le persone che le erano più care

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al mondo. Nessuno poteva fare una cosa simile senza ve-dersela con lei. La porta si aprì. Dana sorrise vedendo che Garth era se-minascosto dietro l'uscio. Forse aveva davvero paura, pensò con un piccolo moto di disprezzo. Gli tese il foglio. «Buongiorno. Io e te ci facciamo un giretto in città.» «Davvero?» Lui spalancò la porta, perché potesse ve-derlo da capo a piedi. «Prima, mi è concesso di vestirmi?» Una circostanza inaspettata, pensò Dana, fissando l'a-sciugamano che gli pendeva dal collo e quello che era le-gato intorno ai suoi fianchi. Gocciolava, ed era chiaro che era appena uscito dalla doccia. I capelli scuri gli stavano dritti sulla testa come se si fosse messo il gel e aveva un'e-spressione più divertita che preoccupata. «Almeno, così sai che non sono armato» scherzò Garth. «Non avrei paura neanche se avessi un bazooka.» «Questo perché non hai ancora capito di cosa sono ca-pace, agente Birch. Allora, hai deciso? Mi porti in parata nudo per le strade di Dallas o posso mettermi addosso qualcosa?» La guardava ironico, come se sapesse che lei non lo a-vrebbe prelevato con addosso solo un asciugamano. Acci-denti a lui. «Puoi vestirti» concesse. «Ma resterò con te, per assi-curarmi che non tenti la fuga.» Lui le strizzò un occhio. «Una scusa buona come un'al-tra.» Dana si irrigidì. Istintivamente portò la mano destra al manganello. «Ti assicuro che non ho la minima voglia di vedere il tuo sedere ossuto.» Un angolo della bocca di lui si sollevò. «Guarda pure, Dana. Non mi dà fastidio.» Stava giocando con lei. Cercava di provocarla. Dana si concentrò sul motivo della sua presenza lì. «Scherza pure, finché puoi. Finirai in galera.»

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«Ho una brutta notizia per te. A volte i desideri non si avverano.» «Non te la caverai, Duncan. Ho le prove.» «Ne dubito.» La voce di lui era bassa e ingannevolmen-te dolce. «Se le avessi mi arresteresti, non mi porteresti in centrale per un interrogatorio. Ammettilo, Dana. Non sei in grado di accusarmi di niente. Questa è solo una spedi-zione esplorativa.» Lei aveva una voglia matta di picchiarlo. «Comincio ad annoiarmi» lo informò, lasciando cadere il braccio lungo il fianco. «Sbrighiamoci.» «Hai tanta fretta di vedermi nudo?» Lei entrò nell'appartamento. «È uno spettacolo interes-sante? Hanno pubblicato una tua foto su Playgirl come uomo arrogante del mese?» «Mi hanno messo in copertina.» Lui chiuse la porta, poi le fece strada. Il salone era immenso. C'erano vetrate a parete da cui si vedeva tutta Dallas. Non che Dana si facesse impressiona-re da certe cose. Riportò l'attenzione sull'uomo che la precedeva e si ac-cigliò quando la luce si riflesse sulla sua schiena, eviden-ziando le cicatrici che gli solcavano la pelle. Alcune erano sottili, altre simili a cordoni in rilievo, co-me se la pelle fosse stata tagliata a più riprese. Dana ebbe una stretta allo stomaco, ma non cambiò espressione. Conosceva i fatti essenziali della vita di Garth Duncan. Era ricco, ricco da fare paura, con dozzine di aziende e soldi che scorrevano come acqua. Aveva cominciato nel ramo del petrolio e, mentre stava trivellando in America del Sud, era stato catturato da una tribù locale. Avevano tenuto prigionieri lui e un suo amico nella giungla, sotto costante tortura. Scese con lo sguardo sulle lunghe gambe muscolose di lui. Anche lì c'erano delle cicatrici, ma queste erano l'esito di interventi chirurgici. Durante la cattività gli avevano

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spezzato entrambe le gambe. L'amico lo aveva salvato portandolo in spalla. Se solo Garth fosse morto allora, sospirò Dana. Avreb-be lasciato stare le sue amiche. Lo seguì in un'elegante camera da letto, poi proseguì in un bagno grande quanto un supermercato. Sul fondo si a-priva una di quelle cabine armadio in legno scuro che si vedevano fotografate sulle riviste d'arredamento. Tutti i vestiti erano organizzati in base al colore. Le scarpe erano allineate su una rastrelliera. Dana si appoggiò contro lo stipite senza staccargli gli occhi di dosso. «Fa' pure.» Garth la fissò. Sembrava che si stesse divertendo e que-sto la mandò in bestia. Ride bene chi ride ultimo. Il sorriso di lui si accentuò. Si tolse l'asciugamano dalle spalle e lo buttò per terra. «Se non hai impegni per le prossime due ore, potremmo approfittare della mia man-canza di vestiti.» «Due ore? Oh, per favore. Se ti va bene, duri sei minuti. Smettila con i giochetti, Garth. Ho una giornata impegna-tiva. Malgrado quello che pensi, il mondo non gira intorno a te.» «Sì, agente Birch.» Lui lasciò cadere anche l'asciugamano che portava in vita. Dana tenne gli occhi fissi sul suo viso. Era lì in veste professionale. Era fiera del proprio lavoro e di quello che faceva per la comunità. I contribuenti non le pagavano lo stipendio per occhieggiare tipi come Garth Duncan. «No?» insinuò lui, completamente nudo. Allargò le braccia. «Sono tutto tuo.» Dana finse uno sbadiglio. Lui rise. Una risata piena, schietta, che esprimeva il suo divertimento e, forse, un riluttante rispetto. Per ragioni che Dana non riuscì a spiegare, fu tentata di ricambiare il sorriso. Come se tra loro ci fosse una complicità. Come se

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avessero qualcosa in comune. Come se potesse essere l'i-nizio di un'amicizia... Si girò e uscì dalla cabina armadio. «Vestiti» ordinò. «E se avessi una pistola, nascosta qui?» chiamò lui. «Ti sparerei.» Andò alla finestra della camera da letto e fissò il pano-rama. Ma vedeva solo le facce delle sue amiche. Le tre so-relle che Garth stava cercando di rovinare. Non gli era ba-stato cercare di far fallire Lexi o danneggiare la reputazio-ne della fondazione di Skye. Era arrivato al punto di atten-tare alla vita di Izzy. E a lei era venuta voglia di sorrider-gli? Garth era il nemico. Il male. Lo avrebbe mandato in ga-lera per il resto dei suoi giorni. Cinque minuti dopo, lui tornò in camera da letto. Indos-sava un completo che doveva costare più di quanto lei guadagnasse in due mesi. «Andiamo» ordinò Dana. «Prenderemo la mia macchi-na.» «Chiamerò il mio avvocato lungo il tragitto. Ci rag-giungerà in centrale.» «Puoi telefonare anche a Dio e al Congresso, per quello che mi importa.» Indicò il corridoio. «Muoviti.» Invece di avviarsi verso il salotto, Garth puntò dritto verso di lei. Per una frazione di secondo Dana si chiese se ce l'avesse avuta davvero, una pistola, nella cabina arma-dio. Si portò una mano alla fondina. Garth si fermò. «Non ho cercato di ucciderla» dichiarò con fermezza. «Non c'entro con quello che è successo a Izzy.» «Non devi convincere me.» «Sei una poliziotta. Guardami, Dana. Capirai che non mento.» La fissò negli occhi. «Non ho attentato alla vita di Izzy. Non ho provocato l'esplosione. Non me la sono mai presa con lei.» Le stava troppo vicino, pensò Dana. Non aveva paura

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che lui potesse aggredirla, ma si sentiva a disagio. Cosa le stava succedendo? Anche se detestava mostrare quel segno di debolezza, fece un passo indietro. Garth mentiva. Ne era sicura. «Suppongo che tu non abbia fatto neanche il resto» disse, afferrandolo per un braccio e tirandolo verso la porta. «Che tu sia del tutto in-nocente.» Garth si limitò a sorridere. Avrebbe potuto liberarsi facilmente, ma non lo fece, co-sì Dana si trovò nell'imbarazzante situazione di restare ag-grappata a lui. Sentiva il calore della sua pelle, i suoi mu-scoli, la stoffa morbida del suo abito. «Non provocarmi» ringhiò. «Non ho detto una parola.» Era vero. E allora perché lei si sentiva così turbata? Le debolezze non erano ammesse, si rammentò. Non con lui, né con nessun altro. «Dimmi che ti hanno picchiato prima che io arrivassi» pregò Mary Jo Sheffield mentre accompagnava Garth alla macchina. «Muoio dalla voglia di fare causa a qualcuno.» Era il suo avvocato, una bionda sulla quarantina che non gli arrivava nemmeno alla spalla, ma che sentiva il sangue col fiuto di uno squalo. Uno dei motivi per cui lui l'aveva assunta. «Spiacente di deluderti» disse, mentre aspettava che lei facesse scattare la serratura della Mercedes. «Sono stati cortesi e non hanno avvertito la stampa.» Mary Jo storse il naso. «Dimmi almeno che qualcuno ti ha minacciato o ha avuto un atteggiamento aggressivo. Dimmi che hanno maltrattato il tuo gatto quando sono ve-nuti a prelevarti a casa... Ho bisogno di qualcosa su cui la-vorare.» «Non ho gatti» disse Garth. «Pochi uomini li hanno. Non ho mai capito perché. I

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gatti trattano i loro proprietari con sussiego e Dio sa che i maschi si innamorano solo delle donne che li trattano ma-le.» Mary Jo sogghignò. «Scusa. Ignora lo sfogo. Quindi, mi stai dicendo che non posso citare il Dipartimento di Polizia di Dallas?» «Sto dicendo che non ho niente contro di loro.» «Dannazione.» La donna aprì la macchina. Garth scivolò sul sedile del passeggero. Lo avevano interrogato per quasi sei ore. Mary Jo era stata presente per tutto il tempo, a parte la prima mezz'ora. Gli avevano offerto caffè, panini e gli avevano fatto fare delle pause. Era stato facile, troppo facile. Dana Birch sarebbe rimasta delusa se avesse scoperto che non lo avevano appeso per i pollici né lo avevano ma-ciullato a colpi di sfollagente, pensò Garth divertito. Se fosse stata lei a condurre l'interrogatorio, lo avrebbe tortu-rato fino a farlo confessare e poi lo avrebbe arso vivo le-gato a un palo. Ovviamente, se Dana avesse conosciuto meglio la sua storia, avrebbe saputo che lui non parlava sotto tortura. «E l'agente?» insistette Mary Jo. «La Birch? Posso fare qualcosa contro di lei? Che diritto aveva di portarti in cen-trale per essere interrogato, a proposito? Quella donna non fa parte del Dipartimento di Dallas. È in forza a Titanvil-le. C'è qualcosa che non mi è chiaro. Potrei farla sospen-dere.» «Lascia stare Dana» sospirò Garth, mentre uscivano dal garage. Mary Jo si girò, un sopracciglio inarcato. «Dana? La conosci?» «Ci eravamo già incontrati.» «Dimmi che non vai a letto con lei, Garth! Dimmi che questo non è un fatto personale.» Lui ridacchiò. Era personale, ma non nel senso che in-tendeva l'avvocato. «No, non abbiamo una relazione, e

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non siamo nemmeno usciti insieme. Lei...» Dana era la migliore amica delle sue sorellastre. Lavo-rava nell'ufficio dello sceriffo della cittadina in cui viveva la madre di Garth. Era irritante, ostinata, e si era messa in testa di incastrarlo. «È un'amica di famiglia» disse alla fine. «Non sapevo che tu avessi una famiglia.» «Credevi che fossi nato da un uovo?» Mary Jo sospirò. «Va bene. Non citerò l'agente Birch. Ma dille di stare alla larga da me. Ho avuto a che fare con lei in passato. Conosco il tipo. È onesta e leale fino al mi-dollo. E sai anche tu quanto possano essere irritanti certe persone.» Garth lo sapeva. Un tempo aveva creduto in quei valori. Ora però, era più interessato ai risultati. Una scelta che gli era costata, ma che gli avrebbe assicurato la vittoria. E per lui contava solo vincere. «Ho preparato i documenti del prestito» lo informò Mary Jo. «Non voglio ripetermi, ma sei pazzo da legare. Jed Titan non accetterà mai le tue condizioni. Anche se a-vesse un bisogno disperato di soldi, non li vorrebbe da te.» «Lui non saprà che si tratta di me.» «Lo sospetterà.» «Non avrà scelta. Sto comprando la sua azienda, pezzo dopo pezzo. Gli azionisti cominciano a innervosirsi. San-no che sono interessato alla compagnia, ma non capiscono quale sia il mio gioco, ed è proprio ciò che voglio. Jed ha avuto un sacco di pubblicità negativa ultimamente. Anche solo il sospetto di una possibile incriminazione per alto tradimento è costato un sacco di soldi ai suoi azionisti. Il titolo è crollato.» Mary Jo gli lanciò un'occhiata, poi riportò l'attenzione sul traffico. «Trovo interessante che il prezzo delle azioni di Jed sia sceso proprio quando tu volevi comprarle.» «Una coincidenza favorevole.»