robustelli-gibellina

download robustelli-gibellina

of 90

Transcript of robustelli-gibellina

Giovanni Robustelli

GibellinaLaboratorio di sperimentazione sociale

eBook per l'arteun'iniziativa

2011 eBook per l'Arte Giovanni Robustelli Prima Edizione 2011

Licenza Creative Commons 3.0 Attribuzione - Non commerciale No opere derivate http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/

In copertina Bozzetto di Fausto Melotti per il monumento Contrappunto del 1983 Fotografia di Giovanni Robustelli

I titoli di opere d'arte sottolineati e colorati in blu sono cliccabili: si aprir l'immagine dell'opera (necessaria connessione a internet).

Dedico questo testo al Senatore Ludovico Corrao, al suono delle sue parole piene di passione e di ricordi, che riempirono quella stanza bianca e austera, seduto su una poltrona rossa imponente come un trono in un caldo e lieto pomeriggio di Settembre del 2009, elegante, disponibile e gentile come si conveniva ad un uomo che ha vissuto nell'arte e per la cultura.

Premessa

Non avevo mai dedicato, fino a poco tempo fa, molta attenzione a Gibellina; ne avevo sentito parlare, certo, ma poco e male: una cittadina semi-deserta, dove campeggiano qua e l degli orrori strutturali, incomprensibili e desolanti, almeno secondo il giudizio di parenti ed amici che casualmente vi erano incappati. Sennonch un giorno, durante le lezioni di Arte Contemporanea della specializzazione in storia dellarte alluniversit di Genova, vidi scorrere sul proiettore una diapositiva con limmagine di un grosso cretto in cemento, disteso su una collina del trapanese... dove? A Gibellina. Analizzai a pelle loperazione del cretto come qualcosa di superficiale, dando svogliatamente un giudizio simile a tante altre operazioni di Land Art. Da qui iniziato il mio interesse verso questa sconosciuta cittadina siciliana, forse sfortunata, perch attorniata da una zona troppo intrisa di storia e di cultura come Palermo, Segesta, Mazara del Vallo, Trapani, Selinunte per attirare lattenzione di una rete turistica che mira ad enfatizzare principalmente la patina dei secoli, il fascino del mito, la tradizione e lospitalit gastronomica. Naturalmente, a causa di ci, si capisce il giudizio negativo dei non addetti ai lavori: Gibellina rimane purtroppo fuori da qualsiasi tradizione. Con la storia passata non ha nulla a che vedere: una citt ricostruita nuovamente, dopo un terribile terremoto, non solo senza poter riprendere nulla di quello che era crollato, ma lasciando proprio le macerie sulla collina dove sorgeva per rinascere su un altro posto, pi distante, a valle. Anche se i turisti venissero martellati dai media, giorno e notte, sulla possibilit di visitarla, non troverebbero alberghi per ospitare i loro pullman: a Gibellina si va magari con una multifamiliare, perch le stradine non permettono di raggiungere agevolmente il Grande Cretto di Burri, o la Fondazione delle Orestiadi, che ospita, oltre ad una ricca esposizione di Arte Applicata del Mediterraneo, una delle pi importanti collezioni di Arte Contemporanea del meridione dItalia.

Al massimo si alloggia nei B&B domestici, dove laccoglienza della gente non fa rimpiangere la propria casa. Mi sono recato quindi a Gibellina con lintenzione di occuparmene, conoscerla e scrivere una ricerca su questo importante fenomeno culturale, non avendo per ancora chiara lidea su quale aspetto dover esattamente focalizzare il mio studio. Soltanto dopo aver visto le opere, e la loro storia, ho capito cosa voleva dire quel fenomeno di dialogo e di confronto che si era venuto a creare durante i convegni organizzati negli anni Ottanta a Gibellina, tra le tendopoli, nelle strutture di accoglienza, tra architetti, artisti, letterati o semplici cittadini che avevano voglia di rinascere dalle macerie. A Gibellina esistono dei linguaggi unici, inusuali, che esistono perch sono stati creati l e per quella precisa destinazione o funzionalit. Quante sculture abbiamo mai visto di Rotella? Quante architetture abbiamo mai potuto incontrare di Consagra? E qual lultimo gonfalone disegnato da un artista per una processione (che non sia Antonello da Messina), se non quello di Boetti, Accardi o Isgr? Questi nomi ci sono familiari, fanno parte della pi importante storia culturale del nostro paese (e non solo) degli ultimi decenni, e siamo abituati a conoscerli per altro. Ma a Gibellina sono come rinati, cio si sono immedesimati, hanno sentito, provato e calpestato questa terra per poi rimescolarsi e rinascere per unidea unica, per unutopia che non fosse legata al mercato, al circuito della cultura ufficiale. Come dice Ludovico Corrao, nellintervista che riporto alla fine di questa ricerca, gli artisti e gli architetti invitati a Gibellina per la ricostruzione della citt, si sono recati sul posto, ascoltando e vivendo la realt sociale, culturale e spirituale; si sono espressi per la cultura ma anche per la gente, che oltre allesigenza materiale di un tetto, aveva bisogno di storia, di memoria: questo ci di cui voglio parlare nella mia ricerca, degli interventi in cui lartista riuscito ad immergersi nel sociale, nella necessit immediata di unidea di libert analizzandone soprattutto la riuscita contestuale e storica dellopera. La ricerca sar cos strutturata in una prima parte che esporr le vicende di Gibellina, dal terremoto al periodo di ricostruzione e poi di assestamento, nonch lattuale condizione di Gibellina a ventanni dalla ricostruzione e le realt culturali presenti sul territorio. In que-

sta prima parte si cercher quindi di inquadrare una storia, una premessa al nostro discorso, per contestualizzare meglio lanalisi sui processi creativi degli artisti accorsi allappello di Corrao. La seconda parte della ricerca, che inizia con lesporre i diversi esempi di interventi artistici sparsi per la rete urbana di Gibellina, comprese alcune opere allinterno ormai dei musei (sia quello civico che quello del Granaio della Fondazione Orestiadi), continuer con un approfondimento su tre esperienze in particolare, interessanti soprattutto per lattivit laboratoriale che ha caratterizzato i processi creativi in un dialogo tra artisti e artigiani locali. Laspetto principale della ricerca proprio questultimo tema, il ricontestualizzarsi dellartista non solo dal punto di vista linguistico, ma anche secondo un diverso procedere dal punto di vista progettuale e realizzativo. Gibellina viene studiata quindi come fenomeno sociale, precisamente come laboratorio sociale (per utilizzare unespressione di Achille Bonito Oliva), da cui hanno visto la luce opere inusuali, tasselli unici allinterno di illustri ricerche di altrettanti autori internazionali. La ricerca si chiude con il dialogo avvenuto con Ludovico Corrao durante il mio soggiorno a Gibellina, in cui si percorre uninteressante parabola socio-culturale, dal terremoto alla ricostruzione e in cui affiorano ulteriori spunti per ulteriori ricerche e studi. Un dialogo che oltre a riportare i fatti, ormai studiati e ancora dibattuti in numerosi testi specializzati, rispolvera episodi intimi, della politica e della cultura; una faccia pi genuina e sincera per una storia, quella di Gibellina, che ha dovuto scontrarsi spesso e volentieri con le critiche pi aspre e velenose. Questa ricerca espone quindi un modello culturale, quello di Gibellina, basato sul valore e sullimportanza dellarte, con lo scopo di nobilitare la nuova storia di una comunit o di una societ intera; ne vedremo i risultati che si possono ottenere dalla creativit se si lascia un artista nella libert espressiva pi assoluta, nel rischio sempre latente di creare oasi nel deserto.

Indice

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova Lappello del 1970: un appello di solidariet II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi III. L'artista si mette in gioco IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura Consagra e le architetture Boetti e il Prisenti di San Rocco Paladino e la scenografia per La Sposa di Messina V. Elenco dei progetti artistici a Gibellina VI. Dialogo con Ludovico Corrao Conclusione Bibliografia

11 15 27 39 51 53 57 61 66 69 83 88

Il terremoto, cieca forza duna maligna natura, un doppio disastro, fisico e umano. Spazza via in pochi secondi secoli di storia, cultura, civilt. L dove erano focolorai, rifugi per soste e riposo, coaguli di tenerezze, trame damore, dolore, eventi di vita e morte, accumuli di memoria, di colpo si fa il deserto, terreno nudo e vago. E puntualmente spuntano, su questi luoghi azzerati dalla malasorte, dalle selve della violenza e del disumano, dallantistoria dellopportunismo e del cinismo, spuntano i lupi e gli sciacalli. Ma anche il momento, dopo il terremoto, di non perdersi nel mare della disperazione e dellannientamento. il momento di ricominciare a costruire la storia. Ricostruire sulle pietre della consapevolezza e della ragione, e anche, perch no? sulle pietre della bellezza. Niente pi entusiasmante della costruzione di una nuova citt. Vincenzo Consolo1

1

Consolo V., Il drappo rosso con le spighe doro, in Labirinti anno II n.3, pp.2225, 1989.

10

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

Su Roccatonda, lo sperone roccioso pi prominente nel versante destro della valle del Belice, sorgeva Gibellina, un piccolo villaggio rurale di origine medievale a 400 metri circa di altitudine . Il centro era un agglomerato di case basse fittamente disposte su un pendio molto ripido. Chi, venendo da Partanna, alla svolta dello stradale, in contrada dellex feudo della Carcia, fissa verso oriente lo sguardo, scorge un bel panorama: una larga e pi lunga estensione di fabbricati, come addossati uno sullaltro, che vanno da mezzogiorno sul torrente Gebbia, verso mezzanotte, ove li sormonta il piacevole colle, Mulino del Vento. Cos, nel 1915, lo storico locale, il sacerdote Baldassarre Ingoglia, descriveva la topografia di Gibellina, che presentava un impianto urbano di tipo policentrico sviluppatosi lungo le linee direttrici dei due assi principali. Di questa struttura i ruderi del castello chiaramontano da un lato e la Chiesa Madre dallaltro rappresentavano i poli di riferimento spaziale e i nuclei di agglomerazione della vita cittadina, fulcri generatori di una planimetria che nella sua lenta e naturale espansione non aveva subito nel tempo sostanziali cambiamenti. Ogni corpo edilizio si addossava allaltro con le irregolarit imposte dal pendio del terreno, talvolta collegati da grandi arcate che scavalcavano il tracciato viario. Gli stessi palazzetti patrizi e i complessi ecclesiastici non avevano masse monumentali n prospetti aulici, non essendo isolati o separati dallintrensicabile e minuto ordito delle abitazioni popolari. Del paese contadino tradizionale Gibellina conservava lidentit architettonica, tutta giocata sul rapporto funzionale tra casa e strada, dimensionata luna e laltra sul declivio del suolo e sul passo delluomo e dellanimale. La strada non era che il prolungamento della casa, uno spazio frastagliato da scale esterne e sogli prospicienti, unappendice pubblica dellabitazione privata, uno slargo in cui si risiedeva, si

11

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

lavorava, si intesseva la fitta rete delle relazioni, si conservava e si giocava, pi che non si transitasse fugacemente e semplicemente. Le case, arroccate lungo svolte e pendii, secondo le curve di livello altimetrico, avevano la muratura in pietrame informe o in conci squadrati. Le facciate erano, a volte, imbiancate di calce. Pi spesso nella loro scarna nudit lasciavano in pi punti allo scoperto la tessitura delle pietre di tufo connesse dalla malta di gesso. La povert dei materiali lapidei si associava alle tonalit dellargilla, alla terracotta dei laterizi e dei vari elementi di raccolta, drenaggio e canalizzazione delle acque piovane. Embrici, doccioni e pluviali di creta disegnavano sulle facciate geometrie sobrie. [...] Unaccentuata uniformit caratterizzava la tipologia delle abitazioni, essenzialmente dovuta allomogeneit dei modi di produzione ma anche evidentemente condizionata dalla necessit di utilizzare i materiali naturali di costruzione a disposizione: tufo, canne, gesso. Unit pluricellulari sovrapposte erano aggregate lungo le strade secondo moduli nastriformi, con rampe di scale esterne che rendevano indipendente lingresso alla stalla del piano terra a quello ai locali superiori. A sostenere i soffitti dellinterno era una sapiente orditura di canne tenute insieme da legacci vegetali e rinzaffate di gesso. Il solaio era generalmente destinato a granaio. Focolare e forno, sempre vicini, costituivano il fulcro domestico attorno al quale si articolava la vita quotidiana delle famiglie contadine. La maggior parte delle strade erano strette e piccole, quasi tutte asfaltate quelle in pianura, pavimentate con acciottolati o lastre di pietra quelle costruite in pendio, sulla dorsale della collina. Gradinate e selciati di ghiaia favorivano il passaggio degli animali sui percorsi dove i dislivelli erano pi accentuati. La via principale era una, la strada grande, via Umberto: un asse pi o meno regolare della lunghezza non superiore ai 150 metri, che tagliava il paese in due, secondo la direzione nord sud, separando i quartieri pi antichi, che si addensavano a oriente attorno ai ruderi del castello, da quelli di pi recente costruzione, nelle zone di nuova espansione dellabitato. 12

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

[] Cos si presentava il paese quando le scosse di terremoto, nella notte del 15 Gennaio 1968, lo rasero definitivamente al suolo. Era un centro di circa 6.000 abitanti, per lo pi braccianti, mezzadri, piccoli e medi proprietari2. La storia si divorata Gibellina, uno dei centri pi importanti, ma isolati, della Valle del Belice. Il terremoto del 15 Gennaio del 1968 fu provocato da un movimento lungo la faglia del Belice. Almeno quattrocento i morti. Cinque i comuni maggiormente colpiti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, Montevago e Santa Margherita. I primi quattro rasi al suolo. La catastrofe nella notte fra domenica e lunedi. Il ministro Taviani giunto sul posto, oggi arriva il Presidente della Repubblica, si riunir al Consiglio dei Ministri. Gibellina, un paese di 6410 abitanti, stata quasi cancellata dal terremoto; il novanta per cento delle case crollato. uno spettacolo desolante, incredibile. Vista dallelicottero appare colorata di rosa e azzurro. Quando si pi vicini ci si accorge che queste tonalit sono date dai muri interni che, crollate le facciate, sono rimasti in piedi: erano stati tutti dipinti con questi due colori. Nellunica piazza del paese ancora riconoscibile si salvata una costruzione, la sola che, per essere moderna e in cemento armato, ha resistito3. La necessit di un riparo stato il primo problema da risolvere per circa cinquantamila senzatetto del Belice; nei primi mesi la cifra era doppia, poich la totalit degli abitanti, anche con case leggermente lesionate, abitava allaperto. Questo aspetto non era per presente a Gibellina dove le 1980 abitazioni erano tutte distrutte completamente. La prima attivit si diretta a creare dei villaggi di tende, in attesa

2

Cusumano A., Gibellina nella memoria in Pes. A., Bonifacio T., Gibellina dalla A alla Z, cat. del Museo dArte Contemporanea di Gibellina, Edizioni Comune di Gibellina e Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2003. 3 Furno L., Tra le macerie a Gibelina, in La Stampa, marted 15 Gennaio 1968.

13

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

della costruzione di pi duraturi ricoveri o baracche unifamiliari, dotate di servizi necessari a una pi prolungata permanenza, in previsione del periodo necessario per la ricostruzione definitiva. Gi la scelta delle baraccopoli e lappalto delle opere ha implicato una perdita di tempo e uno spreco di energie e di denaro. A Gibellina la costruzione degli alloggi precari non termin prima del 1971 (ben 3 anni dopo la sciagura); il costo per mq. costruito almeno triplicato, con linserimento di interessi clientelari e mafiosi nel campo dei terreni e degli appalti. I lavori vengono dati prima in appalto e poi in sub-appalti successivi, fino a tre, quattro passaggi, delegando la costruzione dal grosso appaltatore fino a piccoli gruppi di muratori improvvisati. Le aree (prescindendo dagli interessi privati) sono state scelte in due forme principali: o nei pressi delle rovine o a distanza notevole dal centro distrutto. Gibellina fu temporaneamente trasferita in due diversi villaggi: uno pi piccolo, a Santa Maria delle Grazie, a est dei ruderi da cui dista solo un chilometro, mentre laltro a ovest, Rampinzeri, che dista ben sette chilometri. Questultima baraccopoli ospitava la quasi totalit degli abitanti: qui cera anche la sede comunale provvisoria, anche se il villaggio ricadeva nei confini comunali di Santa Ninfa. Nel periodo successivo a quello dei primi soccorsi, ossia nel 1969, inizi un piano di trasferimento e ricostruzione (totale o parziale) dei quattordici comuni maggiormente colpiti. Cos la nuova Gibellina venne ricostruita in contrada Salinella, su di unarea pressoch pianeggiante, a unaltitudine di 220-240 metri. La localit si trova presso la stazione di Salemi e al confine dei territori di Salemi e di Santa Ninfa, ai quali, per la costruzione del centro, venne sottratta una parte dellarea comunale. Si determin cos un exclave contenente il centro principale e la sede comunale, mentre il rimanente del territorio gibellinese sarebbe stato unisola amministrativa. La scelta del sito di Gibellina fi in relazione con la vicinanza dello svincolo autostradale e delle stazioni ferroviarie, a cui si aggiunse la presenza di ampi spazi pianeggianti. Per la nuova Gibellina, in localit Salinella, i lavori sono stati avviati nel 1971 e solo nel 1976 stata portata a termine lurbanizzazio14

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

ne primaria. Una delle cause del ritardo (qui come altrove) stata lincertezza sulle soluzioni da adottare: il piano primitivo dallISESS (Istituto per lEdilizia Sociale, uno dei tanti Enti Pubblici operanti nel territorio) prescindeva dalle esigenze della popolazione e calava dallalto un progetto per una conurbazione del Belice in cui si dovevano raggruppare circa 30-40 mila abitanti dei vari centri distrutti. Grazie alle forti manifestazioni di disapprovazione del progetto da parte dei gibellinesi, Gibellina riusc a mantenere la propria identit. La nuova Gibellina, dunque, non il risultato desiderato e voluto da tale piano; al contrario, essa nasce dallincontro appassionato di un gruppo di uomini, coordinati da Ludovico Corrao (eletto Sindaco di Gibellina proprio nellanno seguente al terremoto), i quali intuirono con anticipo che gli antichi modelli crollavano ed era alle porte un terremoto molto pi grande di quello del Belice, con la mobilitazione e lintervento diretto della popolazione, per unelaborazione propria e democratica di base. Lappello del 1970: un appello di solidariet4 Nella notte del 15 gennaio 1968 un terremoto sconvolse la Valle del Belice, al confine della provincia di Palermo, Trapani e Agrigento, distruggendo totalmente sei paesi popolosi e poveri e danneggiandone altri. Le vittime furono 1150 (compresi i morti per mancanza di pronto intervento), 98000 persone rimasero senza casa, 100000 persone con case cadenti. Ci vollero parecchi giorni prima che tutte fossero ricoverate sotto le tende; e parecchi mesi prima che tutte fossero alloggiate in baracche. Gli uomini politici, che a gara si precipitarono sul luogo del disastro, sottraendo ore di pi urgenti e utili servizi ai pochi elicotteri di-

4

Testo firmato da Sciascia, Guttuso, Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Domiani, Zavoli, Corrao ed altri Sindaci della Valle del Belice e pubblicato e divulgato nel 1970 attraverso tutti i media; recapitato anche individualmente a tutte le personalit di spicco nel mondo della cultura.

15

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

sponibili, promisero tutti limmediata ricostruzione dei paesi distrutti e parve allora che, al di l della provata demagogia e inefficienza della classe al potere, almeno e soltanto sulla promessa di ricostruire gli abitati, si potesse contare. E diciamo soltanto perch altre ne furono fatte: di una ricostruzione economica ella zona, di radicali interventi strutturali ed infrastrutturali, nel contesto di una visione e di una volont che tenesse presente la situazione siciliana nellinsieme, quale il terremoto laveva rivelata agli uomini politici e agli inviati speciali dei giornali del nord e stranieri. Ma passato il momento emotivo e demagogico, passate le elezioni politiche che si ebbero qualche mese dopo, ad altro non si pens che alla costruzione delle baracche, e con molta improvvisazione disordine: come ad un atto di definitiva solidariet, come ad una soluzione finale del problema. Ed in un certo senso lo era: per il costo finanziario delloperazione, che ad unamministrazione pi avveduta e sagace pare sarebbe bastato per ricostruire davvero i paesi, e per gli effetti che le baraccopoli avrebbero avuto su quelle popolazioni, non dissimili da quelli di una vera e propria soluzione finale in cui a una condizione di inedia e promiscuit e agli eventi naturali, particolarmente inclementi in quella zona e in questi ultimi anni, veniva lasciato il compito, pi lungo ma ugualmente sicuro, dell'annientamento psicologico, morale e fisico che i lager nazisti pi direttamente e sbrigativamente esplicavano. Di fronte a questo stato di cose che da due anni si protrae e si aggrava, sentiamo, come uomini e come siciliani, il dovere di rivolgere allopinione pubblica mondiale e, per essa, agli uomini che la rappresentano, linvito di una riunione a Gibellina nella notte tra il 14 e il 15 Gennaio 1970, nel secondo anniversario del terremoto; perch vedano, perch si rendano conto, perch uniscano la loro proposta e denuncia a quella dei cittadini relegati nei lager della Valle del Belice, alla nostra. In un paese e con una classe di potere soltanto sensibile alla retorica, abbiamo bisogno di questa solidariet, forse retorica, anche se vogliamo che alla riunione di Gibellina venga fuori un atto di accusa da

16

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

cui lo Stato Italiano, il Governo, siano chiamati a discolparsi di fronte al mondo civile e ad uscirne. Perch ci sono tanti modi di conculcare la libert, di opprimere, di destituire luomo dal diritto e dalla dignit: e uno di questi modi quello che lo Stato e il Governo della Repubblica Italiana attuano nella Valle del Belice. Sciascia, Guttuso, Zavattini, Caruso, Treccani, Cagli, Domiani, Zavoli, Corrao ed altri Sindaci della Valle del Belice Quindi lattuale ricostruzione, risultato di un programma comunque curato dallISES5, ha comportato il trasferimento totale della popolazione nella contrada salinella, in una lieve conca alla confluenza delle principali infrastrutture viarie, dove si estendevano le terre coltivate dai contadini di Gibellina. Dalle Case Di Stefano (lantica famiglia proprietaria dei feudi e attuale sede della Fondazione delle Orestiadi), poste in alto, si ha una vista di insieme della nuova citt, distesa a ventaglio con il tracciato dei viali, mostra il senso geografico della sua recente storia urbana in progress: lestensione della piazze e il taglio delle strade; i nomi di siciliani illustri, scolpiti su cippi di travertino, formano un unico grande libro di storia. Il sistema urbano articolato in due grandi blocchi planimetrici disposti, in linee di massima, in maniera simmetrica rispetto allasse longitudinale est-ovest che intervalla zone residenziali a schiera con attrezzature pubbliche. Le arterie urbane principali e gli spazi di raccordo, cardini della citt, convergono idealmente verso il punto pi alto del colle. Un progetto, quello di urbanizzazione molto lento, travagliato e discusso attraverso i diversi convegni e incontri avvenuti dal Settamta agli anni Ottanta, nelle tendopoli, tra le baracche provvisorie degli abitanti. Si organizzarono anche mostre (come quella della citt frontale di Consagra), proprio dentro le tende, per permettere a tutti di

5

La ricostruzione inizia con i programmi di trasferimento dellISES del 1968, approvati dieci anni dopo dal comitato tecnico amministrativo del provveditorato alle opere pubbliche, senza alcun piano editoriale di coordinamento.

17

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

interagire con i progetti, con le idee, con quellutopia tanto condannata oggi, ma che ha dato lo spunto e lentusiasmo per la ricostruzione. Dir Corrao, in un suo intervento del 1979 intitolato LArte non superflua, durante un convegno pubblico tenutosi a Gibellina il 15 Gennaio, in cui si discusse sui progetti in attuazione di alcune strutture architettoniche (come quelle di Quaroni, Venezia e altri): [] Il disordinato crescere della nuova citt comporta il rischio della perdita assoluta di identit e potrebbe farla apparire come il quartiere di periferia di una qualsiasi citt. Da ci la necessit di un ancoraggio alle proprie radici storiche e culturali. Il primo problema che ci poniamo quello di recuperare quanto possibile della memoria della vecchia citt distrutta per conservarne non il documento, ma la memoria come fonte alla quale ci si possa richiamare perch luomo e la donna di Gibellina sentano che non sono nati improvvisamente in un deserto, che non vengano dal nulla o da una citt calata dal cielo, senza una loro ragione e senza una loro propria collocazione storica e culturale. [].6 Le decisioni prese da Ludovico Corrao negli anni immediatamente successivi al terremoto risultano caratterizzate da un estremo realismo, da unasciutta consapevolezza delle iniziative possibili e necessarie per interpretare ed indirizzare il sentire della gente di Gibellina senza tradirne attese e nuovi bisogni. Il realismo di Corrao si connetteva ad una tensione allo stesso tempo etica ed estetica; un luogo davvero anomalo (Gibellina) rispetto alla sostanziale anonimia degli altri luoghi del Belice, o delle superfetazioni in puro stile geometra (secondo lirridente ma terribile definizione di Federico Zeri) di innumerevoli paesi e citt, in Sicilia come nel resto dEuropa. Il problema cruciale a Gibellina quello della Citt, affrontando simultaneamente questioni come quelle dellappartenenza ad un luogo e ad una cultura, del progetto, del rapporto con il passato e col futuro. Perch la citt pu rendere liberi, in quanto toglie la nostalgia. Strana verit, ricordata da Consagra in unintervista del 1967: Avendo perduto lani-

6

Corrao L., Larte non superflua, in Gibellina, ideologia e utopia di La Monica G., ed. La Palma Renzo Mazzone, Palermo 1981, pp. 44-49.

18

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

malit, la vita spontanea, non c altro che la citt come possibilit di riprendere contatti con la naturalezza dentro se stessi. Dentro se stessi che significa? Che tu ti rifletti con tutti i contatti umani che hai. Ora, la citt d il massimo di questi rapporti, la citt ti toglie la nostalgia, assorbe al completo la tua intelligenza, te la sfoga, te la adopera. A tal proposito Giuseppe Frazzetto racconta un importante episodio: Di cosa avrebbero dovuto avere nostalgia, le due bambine che vidi una mattina del 1987 al Museo dArte Contemporanea di Gibellina? In un giorno qualunque, lontano dallufficialit delle inaugurazioni, visitavo una rassegna dedicata a Scialoja: una pittura che quasi tutti definirebbero difficile per i non esperti, priva di dati referenziali, mescolata di polvere di marmo o sabbia. Eppure, quella mattina nel Museo cerano alcuni ragazzi, della Prima o Seconda Media di Gibellina; e sentii due di loro commentare liberamente i quadri. Una, con la goffa grazia dellet, seguiva nellaria, con la mano, le curve delle pennellate. Certo, quei commenti erano ingenui, e mischiati di lingua e di dialetto e di termini inventati o distorti: ma pensai, quella mattina, ed ancora lo penso, che le due bambine manifestavano un senso di appartenenza a quei quadri, una familiarit ed infine una comprensione che probabilmente anche molti miei studenti, e non pochi artisti adulti (per non parlare di qualche sedicente critico) stentano ad avere. Quel genere di familiarit che pu formarsi solo come risultato dun permanere accanto a qualcosa con cui sacquisisce Erfahrung, consuetudine, allenamento, e perfino identificazione ed allora davvero sfumano i confini tra oggetto e soggetto, e le cose con cui ci si misura diventano anche la nostra misura, e della nostra misura. 7 La citt viene ricreata seguendo questa utopia necessaria, ricalcando forse le ideologie illuministe, soprattutto nella volont di accompagnare il cammino di una societ con i lumi dellarte e della cultura del suo tempo.

7

Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, Ed. Fondazione Orestiadi, Alcamo (Tp) 2007, pag.5.

19

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

In un certo senso Gibellina non si discosta dalla tradizione, dalla storia. La Sicilia annovera tantissimi esempi di ricostruzioni radicali di intere citt, come Grammichele, Avola, importantissimi esempi di citt ideale settecentesca; la pianta urbanistica idealizzata e visibile soltanto da un ipotetico punto di vista sovraumano, dallalto o a volo duccello. Per non parlare di tutta la Val di Noto, completamente distrutta con il terremoto del 1693 e ricostruita secondo lideologia estetica di allora, rifacendola completamente nei palazzi, nelle chiese e nella concezione urbanistica funzionale ai bisogni dellepoca; ma questo non ha sicuramente evitato di regalarci oggi uno dei luoghi pi inusuali del barocco europeo. I giardini di pietra, usando la definizione di Cesare Brandi. Si instaura cos questa fabbrica civica 8 che vedr coinvolti non soltanto gli artisti e gli intellettuali che risposero allappello del 70, ma anche le maestranze artigianali locali e gli stessi cittadini: [] Pagine di luce e frammenti di bellezza creati dagli artisti con i giovani, gli studenti, gli abitanti della citt, dando vita a veri e propri laboratori a partecipazione collettiva [].9 A Gibellina come sono stato attratto io cos diversi artisti sono stati attratti per partecipare e rispondere a quella voglia di oltrepassare le soluzioni pratiche: lestraniante oggetto utile delle necessit impellenti. Pietro Consagra10 La pianta urbana fu chiaramente il primo intervento, ragionato insieme agli ingegneri dellISES, curato principalmente da Marcello Fabbri. Richiama una figura a forma di farfalla, dove al centro troviamo i luoghi e i servizi pubblici e da cui si snodano le residenze dei cittadini. La Monica, nel suo testo Gibellina, Ideologia e Utopia, riconduce lidealizzazione della pianta ai concetti espressi nel libro di Ebe-

8

Cit. Bonito Oliva. Pes A. - Bonifacio T., Gibellina dalla A alla Z, cat. del Museo dArte Contemporanea di Gibellina, Edizioni Comune di Gibellina e Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2003, pag. 20.910

Consagra P. in Gibellina, Ideologia e utopia, La Monica G., pag. 53.

20

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

nezer Howard, Lidea della citt giardino11, come deduzione di modelli anglosassoni scandinavi, presentando (e non senza qualche punta di dissenso, soprattutto quando cita, come preambolo al discorso, una frase di Le Corbusier: larchitetto un inventore, non un deduttore) evidenti ed eclatanti esempi molto simili alla conformazione gibellinese. La pianta della citt fu poi caratterizzata dagli innumerevoli interventi degli artisti, sia attraverso opere architettoniche sia attraverso sculture che crearono un preciso assetto spaziale: [] le sculture di Gibellina ovviamente non sono decorative; ma soprattutto, non sono preposte come forme da contemplare, piuttosto appaiono tappe duna meditazione che allo stesso tempo vuole essere produzione dello spazio civico. Le sculture tentano (e certo non sempre riescono) di farsi spazio, di avere un luogo, a partire da un luogo e da uno spazio non ancora precisati, e la cui storicizzazione in corso dopera [] 12. In effetti Frazzetto vede bene, attraversando Gibellina si attraversa uno spazio creato da evidenti fulcri che sono proprio le installazioni urbane, le sculture-spazio. Molti artisti interpretarono veramente il gioco della scultura come vettore di ulteriori movimenti da e per il luogo in cui intervenivano: linstallazione scultorea doveva creare dei contesti e degli spazi, anche futuri, che acquistassero dinamicit ed energia dalle opere stesse. La struttura scultorea diviene anche il punto di riferimento: mentre nella vecchia Gibellina le poche grandi strutture, insieme alle fontane e alle piazze diventavano il mezzo di orientamento non solo geografico ma anche civile e storico, nella nuova Gibellina sono gli interventi degli artisti a creare un flusso storico, uno spazio in divenire, un riferimento che non incornicia nulla se non le azioni degli abitanti e il loro naturale divenire. Cos come in un certo senso afferma Marcella Aprile riferendosi alle case di Gibellina: Qui, nel nuovo paese, la casa esaurisce in s tutte le componenti urbane, sia pubbliche che private; lunico ogget-

11 12

G. La Monica, Gibellina, Ideologia e utopia, pag. 10. Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, pag. 18.

21

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

to capace di polarizzare lattenzione degli abitanti. la casa a stabilire le regole del gioco.13 Lattuale aspetto di Gibellina chiaramente levoluzione di un lungo percorso di interventi e progetti che, come abbiamo detto prima, provengono da numerosi convegni e tavole rotonde. La prima urbanizzazione, quella che va dal 1971 al 1975 circa, vede sorgere gi le prime architetture che caratterizzeranno lo skyline della nuova Gibellina come la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni. La struttura viene costruita nella parte pi alta della citt, e funge da elemento culminante, da punto di riferimento spirituale degli abitanti. Un aspetto tradizionale della cultura siciliana viene esposto nelluso delle forme, la sfera e il cubo, che (oltre ad essere intrise di evidenti significati metaforici come la materialit e laere, la razionalit e la fede) riportano alla memoria larchitettura arabo normanna, tanto diffusa nella Sicilia Occidentale e che diventano il simbolo di unione e scambio culturale tra diverse etnie (cos come i presupposti di Gibellina, che vuole diventare una fornace Europea della cultura). Oltre la Chiesa viene costruito laltro fulcro sociale, il Municipio, la sede dello stato. Gli architetti, Alberto Samon, Giuseppe Samon e Vittorio Gregotti, formulano una struttura che risente di un originale linguaggio architettonico riconducibile allarchitettura brutalista, nella versione tutta italiana di quegli anni: un calibrato gioco di pieni e di vuoti, di luci e di ombre rimanda ad unarchitettura che, pur nel suo ruolo di edificio emergente, dichiaratamente si oppone al monumentalismo che loccasione progettuale avrebbe potuto richiedere. Nel 1976 iniziano i lavori del Meeting e del Cimitero Comunale di Pietro Consagra, dove lanno dopo verranno installate le porte e nel 1979 collocata la scultura di Mirko.

13

Oddo M., Gibellina la nuova, Attraverso la citt di transizione, coll. Universale di architettura, a cura di Lorenzo Spagnoli, ed. Testo e Immagine, Chieri (TO) 2003, pag. 29.

22

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

Nel 1978 Nanda Vigo, con la sua Tracce Antropomorfe, realizzer un interessante luogo in cui si mescola il presente con la memoria: unarchitettura a se stante, che crea uno spazio contemplativo ma nello stesso tempo dinamico, che raccoglie in s lazione contemporanea ma anche la materia del ricordo, della storia. Nanda Vigo inserisce nel corpo della struttura elementi architettonici presi nella vecchia Gibellina e ricontestualizzati in una nuova funzionalit commemorativa. Lanno dopo, nel 1979, oltre ad altre numerose installazioni scultoree come quelle di Cappello, Messina e altre soluzioni originali come quella di Emilio Isgr, Gibellina vede nascere il Museo Civico dArte Contemporanea, che raccoglie numerose opere darte contemporanea di importanti nomi della cultura italiana e internazionale e la Chiesa di Ges e Maria di Nanda Vigo, essenziale ma nello stesso tempo costellata da simboli che rispecchiano un lato molto arcaico e tradizionale della religione, come triangoli e quadrati che formano stilizzate icone bibliche come lAlbero della vita. Il 1980 vede a Gibellina la presenza di altre grandi figure intellettuali come Alberto Burri, che realizzer una delle opere pi emblematiche dellarte contemporanea degli ultimi decenni, e Franco Purini con Laura Thermes che con la Casa del Farmacista apriranno la strada ad un progetto architettonico molto sperimentale e aperto allavanguardia contemporanea: LArchitettura eminentemente costruzione. costruzione dellidea, costruzione del progetto, costruzione delledificio, costruzione della citt 14. Unarchitettura che condensa combinazioni generative che si presentano contemporaneamente sia come principi teorici che riguardano loggetto architettonico e lambito insediativo sia come dispositivo formale, capace di essere declinato a varie scale. Nel 1981 sorge a Gibellina la scultura che poi diverr il simbolo della citt, ovvero la Stella di Consagra, lIngresso al Belice. Ed proprio la stella di Consagra che Frazzetto prende come punto di riferimento per iniziare il suo libro, Gibellina, la mano e la stella, argomentando un riferimento romantico alla Stella Polare di Goethe, che

14

Purini F., Le opere, gli scritti, la critica, Electa, Milano 2000, pag.101.

23

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

in un suo appunto datato 21 Aprile 1787, racconta di esserne stato illuminato durante una sosta proprio qui, nel trapanese 15. Consagra concepisce la stella come insegna luminosa della citt e della valle intera, e ispirandosi proprio alle luminarie tradizionali montate per le stradine dei paesi durante le feste e le ricorrenze. Nello stesso anno, avviene anche il recupero delle Case Di Stefano che, da un esemplare progetto di Marcella Aprile, Roberto Collov e Fulvio La Rocca, da uno stato di rudere vengono trasformate in uno spazio espositivo, inserendo una serie di soluzioni strutturali l dove la fabbrica era completamente distrutta. Del 1981 il progetto per il centro di Gibellina di Oswald Mathias Ungers. Un altro importante edificio Palazzo Di Lorenzo di Francesco Venezia che, come Nanda Vigo, recupera delle architetture della vecchia Gibellina per fonderle in una nuova concezione spaziale. Il palazzo diventa, attraverso un geniale incastro di piani e spazi, un percorso cronologico che va dalla memoria, dal passato, il cortile con la vecchia facciata recuperata dalla vecchia Gibellina, al presente, verso aperture sulla valle e il paesaggio contemporaneo che muta e si evolve in continuazione, trasformandosi e apparendo sempre nella sua attualit allo spettatore che arriva a conclusione di questo percorso. Al suo interno, le sculture di diversi autori, collocate strategicamente in un rapporto funzionale con larchitettura, caricano ulteriormente il percorso di simboli e suggestioni che fanno parte della tradizione e del mito. Nel 1982 inizia il progetto Il Sistema delle Piazze di Purini e Thermes che verr completato nel 1990, ma mai utilizzato, e nel 1984 il teatro di Consagra, che vedr una costruzione a pi riprese e ad uno stato attuale, a 28 anni di distanza, ancora incompiuto (ma si spera, ormai in via di ultimazione). Nel 1987 sorge la Torre Civica di Mendini, altro simbolo ormai della citt che ne scandisce il tempo e lo spazio oltre a creare un altro punto di riferimento per lorientamento nel nuovo tessuto urbano.

15

Frazzetto G., Gibellina, La mano e la stella, Ed. Fondazione Orestiadi, Alcamo (Tp) 2007, pag. 7.

24

I. Gibellina: storia dalla vecchia alla nuova

Si arriva quindi al 1990 con una delle ultime importanti strutture architettoniche di Purini e Thermes, ovvero Casa Pirello, che chiudono un primo intervento architettonico importante e massiccio nella citt. Oltre a questo breve elenco che riporta gli esempi architettonici pi eclatanti, dobbiamo aggiungere le innumerevoli installazioni scultoreo-spaziali che hanno contribuito, insieme allarchitettura, a determinare lo spazio di Gibellina e la sua coordinazione tra funzionalit e fruizione sociale. I gibellinesi usano le sculture, se ne sono appropriati con quella familiarit ingenua ma profonda che prima citavamo dal libro di Frazzetto. Come dice Purini: Linteresse dellesperimento di Gibellina, tenacemente voluto dal sindaco Ludovico Corrao, sta non tanto nella percentuale statistica di opere per abitante, superiore di gran lunga a quella di qualsiasi altra nuova citt o parte di citt e gi di per s segno di grande civilt urbana, n nellaver messo luna accanto allaltra, e qualche volta luna contro laltra, differenti vicende della ricerca plastica contemporanea in Italia, come in un grande museo en plen air, ma di aver riproposto a scala di un intero insediamento il problema del possibile ruolo dellopera darte nella configurazione dello spaio urbano, riprendendo, evidentemente con alcune visibili ma ineliminabili incertezze, un filo spezzato dalle avanguardie 16.

16

La Monica G., Gibellina, Ideologia e utopia, pag. 96.

25

uno scenario piuttosto straordinario questo abbozzo di citt abbandonata ai bordi di un villaggio e al margine dei secoli. Ho percorso una met dellemiciclo, salito la gradinata del padiglione centrale, e per un pezzo sono rimasta a contemplare questi edifici costruiti per fini utilitari e che non sono mai serviti a niente.sono solidi, esistono, eppure il fatto di essere abbandonati li trasforma in un simulacro fantastico; di che cosa, non si sa. Simone De Beauvoir17

17

De Beauvoir S., Una donna spezzata, ed. Einaudi, Torino 1999.

26

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

Liniziativa di Ludovico Corrao non ha riscosso solo consensi, ma anche una serie di critiche rivolte soprattutto a due aspetti delloperazione: una presunta estraneit delle opere darte e delle architetture alla cultura degli abitanti della citt (secondo questa critica oggetti passivi di una volont pedagogica e contraddittoriamente estetizzante calata dallalto) e una mancata integrazione tra spazi urbani, edifici e opere darte. Sono critiche sulle quali occorre senza dubbio soffermarsi, perch toccano in effetti questioni reali. Franco Purini18 Gibellina si presenta al visitatore come una realt sospesa: una sensazione comune che si prova non appena si entra nel tessuto urbano; anche se si preparati e si conosce bene la sua storia, si rimane ugualmente intimoriti e nello stesso tempo eccitati dal complesso di sculture e strutture inusuali che si incontrano ad ogni traversa, ad ogni piazza. Nonostante si avverta un sentimento laboratoriale, del fare, che traspare dalle installazioni artistiche, esiste un sentimento di inquietudine dato non tanto dallimpatto delle opere sulla persona o sul luogo, pi o meno desolato, ma soprattutto sulla consapevolezza di un mancato divenire. Le opere studiate soprattutto per realizzare eventuali percorsi, probabili vettori non solo di spazi e soluzioni vivibili ma di tutta una societ in via di sviluppo, generano questenergia propulsiva che si sente, ma che ci spinge verso una dinamica sociale e urbana che non riscontriamo. Purtroppo non esiste una risposta diretta alla propulsione spaziale che queste opere si auguravano. Sembra quasi che le opere siano troppe, sprecate, in confronto alla reale necessit degli spazi e della

18

Oddo M., Gibellina la nuova, Attraverso la citt di transizione, pag. 6.

27

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

societ stessa; sembra quasi che le sculture siano come grandi attori di un importante cast, ma che il film non sia mai stato girato. C da chiedersi perch, nonostante la citt annoveri importanti interventi artistici, che vanno dallarchitettura alla scultura, ci si senta allinterno di uno spazio povero, inquietante, desolato. Le risposte possono essere tante e si rischia di soggettivare troppo lanalisi, o addirittura si rischia di cadere in una visione troppo breve in confronto a un argomento che deve essere visto in un arco di tempo molto lungo, in quanto parliamo di una citt in via di sviluppo e non di una scultura, per esempio, circoscrivibile e analizzabile nellimmediato. Di sicuro importante riscontrare e dedurre le cause di questo sentimento comune, non solo nella gente comune ma anche tra gli addetti ai lavori. Le cause sono tante ma principalmente possiamo esporre i problemi riguardanti dati fondamentali di una citt (come di unopera darte): gli spazi e i tempi di fruizione. Si possono immaginare per esempio i ritmi di vita, di lavoro o di opportunit sociale, che potevamo trovare nella vecchia Gibellina, e che per forza di cose, in quanto gli abitanti sono rimasti gli stessi, ritroviamo qui: la differenza di queste dinamiche che qui si decontestualizzano; mentre il paesino della vecchia Gibellina, arroccato sulla collina di Roccatonda, poteva giustificare i tempi di una societ prettamente agricola ed esclusa dai ritmi spazio-temporali delle citt e della societ moderna a loro contemporanea, cui questi ritmi sono come paralleli, sospesi nei confronti di un linguaggio imperante, quello delle opere darte contemporanea, un linguaggio che si espone nel nuovo tessuto urbano. Una pianta urbanistica rispecchia la storia, lo sviluppo della societ, delle politiche e di tutto quello che riguarda la memoria di una comunit allinterno di uno spazio e un tempo che la modifica ma che si relaziona lentamente e in modo contestuale ad essa. La citt diventa quindi la parte integrante di una vita, di un modo di rapportarsi e di vedere le cose. Questo naturale scorrere del tempo e dello spazio stato raso al suolo dal terremoto, e qualsiasi tentativo di ripeterlo non esiste pi.

28

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

Se Gibellina fosse stata ricostruita mantenendo gli stessi spazi per accogliere le stesse esigenze dinamiche della popolazione, oggi il problema potrebbe essere indubbiamente differente. Potremmo avere una comunissima citt come se ne vedono a migliaia in tutta Italia, o avremmo una citt simile a Ragusa Ibla; infatti nel capoluogo ragusano il terremoto distrusse interamente la citt medievale di Ibla, ma la differenza consistette nel fatto che, contrariamente a Gibellina, si mantenne lo stesso tessuto urbano ricostruendo sulle rovine dei palazzi medievali le architetture nuove del barocco. Un po come se, a Gibellina, Purini e altri architetti avessero progettato i nuovi palazzi sulle fondamenta delle vecchie abitazioni, mantenendo gli stessi spazi vitali, ma mostrando un aspetto della storia contemporaneo a quello del terremoto. La cosa che provoca desolazione forse proprio questa netta decontestualizzazione tra esigenza e spazio, tra societ e monumento internazionale. Mentre la Chiesa di Quaroni potrebbe rientrare attraverso le sue forme, la sfera e il cubo, in una tradizione figurativa siciliana, come la chiesa di Santa Maria dellAmmiraglio a Palermo, la Torre Civica di Mendini assolutamente altro: un enorme obelisco di cemento che rispecchia le forme, gli spazi e le inquietudini o le certezze di una societ comunque lontana da quella dove sorge. Gli artisti e gli architetti che sono intervenuti a Gibellina sono puntuali testimoni del tempo contemporaneo che si esprimono attraverso un altrettanto puntuale linguaggio artistico. Ma gli artisti provengono da altre realt, da altri punti di vista che manifestano problematiche internazionali, e non strettamente connesse al luogo. La presenza dellarte contemporanea a Gibellina uno squarcio improvviso nella realt intellettuale internazionale, con i suoi pro e i suoi contro: da un punto di vista culturale la citt un incredibile laboratorio di sperimentazione e colloquio tra le diverse esperienze culturali internazionali, dallatro un mondo parallelo alla societ che lo abita; da un lato abbiamo le considerazioni e i dibattiti sullimportanza o meno dellutopia, delleccesso o del superfluo artistico, dallatro la necessit di ritrovarsi da parte della popolazione; se esistono progetti e argomentazioni su come pianificare la nuova realt urbani29

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

stica e di conseguenza della societ, dallaltra esiste la possibilit di crescere spontaneamente lungo percorsi fatti di avvenimenti che alloccorrenza del caso e degli avvenimenti si alternano nella storia. Perch c da dire che Gibellina oggi il frutto di decisioni, di pianificazioni a tavolino. La storia quella decisa, non avvenuta per caso. Quando si parla di monumento, si intende nella sua specificit qualcosa che con la sua presenza espone la memoria di una realt storica o di una data scelta. Qui tutto monumento, lintera citt una scelta a priori ed espone di conseguenza una storia decisa, imposta in ogni punto. Col terremoto labitante di Gibellina ha perso nelle case una memoria spaziale, oggettiva, perch ogni struttura crollata, anche se fosse stata ricostruita dovera, mantenendo lo stesso identico aspetto, avrebbe espresso comunque un senso di apparenza, di falso, perdendo quella patina di storia e di ricordi che ogni abitante ne ha intriso le mura; le costruzioni non sarebbero mai state i testimoni della storia, ma delle quinte, dei fantasmi di esse stesse. Il problema quindi non sarebbe stato rifare le case uguali o riproporre Gibellina vecchia, per attuare una condizione morale, etica e culturale pi giusta; la soluzione esatta, forse, si sarebbe potuta trovare applicando una concezione di ripristino degli spazi vitali della vecchia Gibellina, almeno per il centro della nuova citt. Le nuove generazioni non avrebbero avuto difficolt ad ambientarsi o a vivere i nuovi quartieri che si sarebbero sviluppati in periferia. Oggi Gibellina appare come la grande periferia di una qualsiasi citt italiana, perch essendo state realizzate nello stesso periodo, hanno un concetto di sviluppo identico. Strade ampie e scorrevoli, distribuzione dei centri amministrativi e pubblici in spazi funzionali con le case abitative private... Una periferia tollerabile nel momento in cui la si vede in un contesto pi ampio, come escrescenza attuale di una storia, di un vissuto cittadino ormai ben configurato nella comunit che lo abita. La strutturazione urbanistica contemporanea pu apparire pi o meno bella, pi o meno funzionale, ma comunque rispecchia le esigenze della societ contemporanea. La periferia e le sue costruzioni comportano anche le inquietudini, i malesseri e le necessit spesso 30

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

troppo povere della societ contemporanea. Sicuramente non sta a noi giudicare, noi che viviamo nel presente e siamo attaccati al passato, alle nostre basi culturali e architettoniche, che comunque, a loro volta, apparivano ai nostri genitori altrettanto nuove come ci appaiono le nostre periferie, dove siamo nati e cresciuti. Quindi Gibellina necessariamente la traccia puntuale della nostra concezione contemporanea, il testimone di una cultura sempre pi massificante, che non conosce luogo o storia locale, ma soltanto problematiche relative ad una storia culturale universale, ideale, funzionale a priori, calata dal cielo allimprovviso, senza guardare le specifiche esigenze. Gli abitanti di Gibellina non hanno accolto tutto questo, ma ne sono stati travolti, come una diga che cede e inonda intere valli; molti sono stati fiduciosi di non annegare ma di poter aggrapparsi a nuove prospettive. Altri hanno preferito abbandonare il paesaggio sommerso da una nuova realt, da un nuovo coinvolgimento non pi locale, ma extraterritoriale, che andava ben oltre i limiti geografici delle colline. Rimane quindi questo importante patrimonio culturale che deve essere vissuto, che sicuramente col tempo sar fruito in maniera pi intensiva, ma con i suoi tempi, quelli che richiedono la formazione di una citt. Le architetture, le installazioni e tutto quel corredo intellettuale che in questi quarantanni ha stabilito le vie di sviluppo della nuova citt, sono il giusto perno per prospettive ben auguranti. Analizzare la situazione da un punto di vista del presente significa soltanto assecondare paradossalmente la vera Utopia, che quella di andare a riproporre la vecchia Gibellina, che non esiste pi, decontestualizzata dal presente e dalle dinamiche culturali contemporanee. Se riusciamo ad accettare la realt urbanistica di Gibellina, possiamo allora poter vedere meglio perch persiste questo senso di inquietudine. Gibellina un paese che ospita poche migliaia di abitanti, appena cinquemila, ed facile passeggiare quindi anche per strade deserte; ma quello che ci aspettiamo anche il turismo che una situazione artistica come questa meriterebbe. Il turismo (e andrebbe bene anche 31

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

quello di massa) movimenterebbe il paesaggio urbanistico e nello stesso tempo aiuterebbe in qualche modo a sviluppare leconomia locale. Gibellina merita un riconoscimento turistico, culturale, ma manca completamente da parte degli abitanti la propensione ad un tipo di investimento in questo settore: un atteggiamento che frenerebbe la migrazione verso altre citt per favorire leconomia e lurbanizzazione locale. Le ragioni dellassenza di una rete turistica sono dovute alla mancanza di alberghi, di zone ricettive per numerose comitive, ma soprattutto alla difficolt di rientrare negli itinerari costituiti da centri molto vicini come Selinunte, Segesta, Palermo, Monreale, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, San Vito Lo Capo e altri ancora. Il turismo di Gibellina cosiddetto di nicchia: di addetti ai lavori, di studenti, di ricercatori, di appassionati darte contemporanea o di gente che comunque venuta a conoscenza del fenomeno e che per vero interesse o semplice curiosit si viene a sedere sotto la Torre Civica di Mendini. Gibellina offre per conto suo molte soluzioni culturali: decine e decine di interventi artistici site specific, strutture di importanti architetti contemporanei e un Museo Civico dArte Moderna e Contemporanea. Unofferta molto ricca, ma oggettiva, perch Gibellina fatta ad arte, e comunque particolarmente statica. Il Museo Civico, ad esempio, vede la sua raccolta allestita allinterno di una struttura che avrebbe dovuto accogliere una scuola media, a un piano con spazi funzionali alla vita scolastica ma sicuramente non a un allestimento museale. Questo problema strutturale influisce molto dal punto di vista scientifico e fruitivo. Il Museo assomiglia molto di pi a una raccolta alla rinfusa di opere darte, decontestualizzate da un percorso critico di qualsiasi genere; una sorta di ripostiglio di opere darte. Nonostante tutto, non si pu rimanere impassibili davanti allimportanza delle opere che comunque affiorano dal disordine espositivo: opere di Mimmo Rotella, Boetti, Vedova, Guttuso e una grande aula (la palestra) dedicata alle grandi tele realizzate da Mario Schifano a Gibellina. Un altro deficit del museo consiste nel fatto che difficilmente si allestiscono mostre temporanee, che movimenterebbero lofferta scien32

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

tifica e di ricerca culturale. Il problema derivato anche da involontari ostracismi tra la struttura museale e le istituzioni pubbliche pi interessate a investimenti di breve termine. Il Museo Civico di Gibellina ha nella sua collezione darte contemporanea delle enormi potenzialit culturali ed economiche: difficilmente si riesce a visitare un luogo con una cos alta concentrazione di opere darte contemporanea di questa caratura. La politica del Museo dovrebbe basare tutte le forze sulla curatela dellallestimento (visto che unaltra struttura significa parlare solo di utopie), sulla qualit del servizio informativo e su un programma di mostre e collaborazioni con artisti contemporanei come i workshop a tema (come a ricreare una situazione concettuale molto simile ai presupposti collaborativi tra gli artisti e Gibellina nuova). Listituzione che invece riesce in qualche modo a trainare il panorama culturale di Gibellina la Fondazione Orestiadi. LIstituto di Alta Cultura Fondazione Orestiadi Onlus fu costituito nel 1992 con la donazione Corrao, nel tempo arricchita da ulteriori donazioni e acquisizioni e ha proseguito in un certo senso lesperienza culturale iniziata nel 1968 proprio dal Senatore Corrao, con gli artisti chiamati a Gibellina dopo il terremoto. Nella sede della Fondazione Orestiadi, il Baglio Di Stefano (ex struttura baronale e ristrutturato dopo il sisma del 1968 su progetto di Marcella DAprile, Roberto Collov e Teresa La Rocca), sono rappresentati anche la Regione Siciliana, la Provincia Regionale di Trapani e il Comune di Gibellina. Dal 26 Giugno 2000, la Fondazione ha nel palazzo Dar Bach Hamba, nel cuore della medina di Tunisi, un ulteriore spazio in cui svolgere le proprie attivit. Dar Bach Hamba ospita unesposizione permanente improntata alle linee guida del Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina e frequenti iniziative, nellottica di un confronto fra artisti di diverse culture. Il Baglio Di Stefano ospita nella casa baronale il Museo delle Trame Mediterranee, istituito nel 1996 e che raccoglie nelle sue sale costumi, gioielli, tessuti darte, ceramiche e oggetti darte di popoli e culture dellarea mediterranea: Sicilia, Egitto, Tunisia, Palestina, Ma33

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

rocco, Spagna, Algeria, Albania e tutte le la nazioni comprese nel bacino. Il direttore del museo, Enzo Fiammetta, descrive cos lesposizione del museo: Il museo/officina lapprodo di anni di ricerche, incontri, dibattiti, studi e seminari promossi dalla Fondazione Orestiadi, ma tuttora unidea guida, unidea limite, la cui forza risiede nel suo carattere transnazionale e interdisciplinare. Il segno e la forma caratterizzano due delle sezioni del percorso espositivo. Nella prima possibile leggere attraverso laccostamento degli oggetti di diversa provenienza e di differenti periodi, levoluzione dei principali motivi decorativi che hanno caratterizzato lo sviluppo dellarte e dellartigianato mediterraneo. I motivi dellarabesco, della scrittura e della pseudo scrittura, delle geometrie intrecciate, rielaborati e diffusi in Occidente dagli arabi, sono utilizzati come elementi per una lettura comparata. Nel confronto tra oggetti di differente provenienza, periodo ed uso, si sono cercati i tratti comuni e i percorsi storico artistici paralleli, con la possibilit di leggerne la permanenza dei motivi decorativi nel tempo e le varianti. La sezione delle forme conserva ceramiche arabe, siciliane e spagnole del XIX secolo, che confrontate con brocche, idrie, vasi preistorici e medievali dichiarano la comune origine e permanenza di modello. La Sicilia sempre stata luogo di incontro di popoli, di sperimentazione di linguaggi. Questa peculiarit ha sempre caratterizzato la sua storia economica e artistica. Sembra a noi che oggi, lattuale situazione, caratterizzata da profonde migrazioni, possa presentare caratteri simili; la Sicilia e lItalia possono tornare a essere luogo di incontro, di passaggio di popoli, di sedimentazione e rielaborazione di elementi Enzo Fiammetta19 Lattivit culturale della fondazione Orestiadi di Gibellina non si risolve soltanto nellesposizione di mostre darte figurativa e arte ap-

19

Parole tratte dallintervista ad Enzo Fiammetta durante la mia visita alla fondazione delle Orestiadi nel mese di Settembre 2009.

34

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

plicata del mediterraneo, ma anche nellorganizzazione di eventi teatrali o musicali. Ogni anno vengono invitati dalla fondazione importanti registi e compagnie di spettacolo per esibirsi a Gibellina. Come scenario viene spesso usato il Teatro del Grande Cretto, ovvero lo spazio attiguo allopera di Alberto Burri o, spesso e volentieri, anche le placche di cemento usate come veri e propri palcoscenici. Il concetto quello di creare un collegamento forte tra la tragedia umana, reale, e quella della finzione, dellidea, del dramma. In occasione degli spettacoli teatrali e musicali vengono allestite di volta in volta scenografie nate dalla collaborazione di altrettanti artisti contemporanei con i registi e gli sceneggiatori. Si vengono a creare in questo modo opere inusuali, emblematiche, che nella maggior parte dei casi rimangono come opere in se, a prescindere dalla loro funzionalit scenica. Cos ad esempio rimane la montagna di sale di Mimmo Paladino (adesso installata nel Baglio Di Stefano e sostituendo il sale ad una colata di cemento bianco), le macchine teatrali di Pomodoro (autore di diverse scenografie a Gibellina), e tutto quel comparto artistico come manifesti, schizzi e progetti che accompagnano le opere teatrali o musicali per diventare poi oggetto di esposizione nel museo della fondazione. Lo sconfinamento e lo scambio, la conferma di un attitudine socratica che trova il proprio valore nel dialogo, lo si ha negli Atelier del Baglio Di Stefano. Atelier risponde a un progetto di sensibilizzazione territoriale sullintera geografia mediterranea, con la possibilit di soggiorno creativo per artisti di diversi paesi a Gibellina, Tunisi o in altri luoghi gestiti dalle Orestiadi. Attraverso gli atelier, lartista ha la possibilit di soggiornare a Gibellina e lavorare a stretto contatto con la terra e i luoghi con cui dovr dialogare; perch il concetto che si vuole focalizzare quello del dialogo tra artista e societ locale, tra le problematiche contemporanee, che vanno dallestetica alla politica, dalla semiotica alla religione, al confronto con i giovani e le generazioni future di Gibellina. La fondazione ospita esplicitamente unofficina non solo culturale e artistica, ma anche sociale. Il processo creativo dellartista subisce e in35

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

fluenza il luogo in cui si viene a determinare, contamina e viene contaminato dal genius loci: unampia dialettica tra lantropologia esistenziale dellartista e quella riguardante la geografia del posto. Per una maggiore apertura e un autentico pluralismo culturale non esistono fasce generazionali protette e nemmeno poetiche di artisti privilegiati. Ancora una volta le Orestiadi promuovono unattivit che gioca sul doppio versante della presenza operativa dellartista e la permanenza finale di opere che testimoniano il suo passaggio. Emerge chiaramente un ulteriore valore, quello di un multiculturalismo che ha sempre sostenuto la strategia diffusiva della Fondazione Orestiadi: un ventaglio di stili, tecniche e materiali, portatori tutti di una creativit tesa a cogliere anche lo spirito del nostro tempo. Prevale alla fine un nomadismo culturale che da fertilit alla presenza di opere per nulla statiche, capaci invece di bucare il territorio, aprirlo a sorprendenti corto-circuiti che arricchiscono la conoscenza dellarte e della problematica realt che ci circonda. Ecco un modo di far parlare una lingua universale a unarte contemporanea che, attraverso il processo creativo, trova la possibilit di sviluppare nuove lunghezze donda di conoscenza e una ulteriore speranza per le ultime fasce generazionali di giovani aperti allarte, che sembra rappresentare lunica apertura sul futuro. Achille Bonito Oliva 20 La fondazione delle Orestiadi rimane quindi, oltre a un importante museo darte contemporanea (appunto la donazione Corrao, costellata da importanti e numerose opere di altrettanti artisti moderni e contemporanei e allestita tra il Granaio e il Museo di Arte Applicata) e un importante centro di scambio culturale col Museo delle Trame Mediterranee, anche una interessante officina artistica, unica nel suo genere, che dinamizza il panorama culturale non solo regionale ma anche a livello internazionale. Le opere che vengono create negli atelier, con i laboratori e quindi gli scambi tra artista e luogo, artista e giovani generazioni, sono il frutto di un importante dialogo e di un processo intellettuale molto importante e stimolante; in generale, un

20

Oliva A.B., Ateliers, catalogo della Fondazione Orestiadi, Gibellina 2006, pag. 12.

36

II. Le realt di oggi e la Fondazione Orestiadi

esempio di museo dinamico e allavanguardia che propone soprattutto il processo creativo vero e proprio, con la possibilit non solo di entrare allinterno delle dinamiche intellettuali che creano loggetto artistico, ma anche di esserne coinvolti nella strutturazione del suo linguaggio. Allo spettatore si d quindi lopportunit di studiare il fenomeno creativo in relazione a un tema e a unidea relativa al luogo, allo spirito geografico in cui si trova e con tutte le problematiche relative, dalletica alla morale, dalla politica alla religione, dallestetica al mito... Gibellina oggi quindi una realt ancora dinamica, sia dal punto di vista critico che da quello artistico vero e proprio. Esiste una situazione artistico-architettonica importante, con altrettante collezioni darte contemporanea, ma soprattutto con un fenomeno dinamico come quella della Fondazione delle Orestiadi, che traina le vicende culturali di Gibellina e di un interessante aspetto dellarte contemporanea, ponendosi come luogo daccoglienza alla sperimentazione e al dialogo.

37

[] A Gibelina esiste lunico esempio in Italia in cui larte contemporanea si confronta con la societ. Mentre altrove, fra le opere nei musei si svolge un rapporto istituzionale, qui partecipa direttamente, perch non manda (lartista) il quadro e lo mettiamo, no, lo fa qui, lo realizza qui, ascoltando sentendo, passo per passo, la terra, le persone, gli umori, il teatro[] Ludovico Corrao21

21

Tratto dallintervista a Ludovico Corrao in occasione della mia visita alla Fondazione Orestiadi a Gibellina nel mese di Settembre 2009.

38

III. L'artista si mette in gioco

III. L'artista si mette in gioco

La ricostruzione di Gibellina stata di per s un fenomeno raro: la possibilit per lamministrazione di pianificare unintera citt, meditando sulla pianta e sulla sua funzionalit, sulla possibilit di avere a disposizione vari intellettuali tra artisti e architetti stata una situazione ideale, una possibilit che ogni singolo attore del panorama culturale ha sempre ipotizzato e sognato. Gibellina ci appare quindi come un progetto aperto, un cantiere in via di sviluppo, con i presupposti lungimiranti che si rivolgono al dialogo tra artista e societ, con un antico rapporto socio-culturale riscoperto e ancora se possibile pi diretto; lidea di Ludovico Corrao stata quella di calare la cultura tra la gente, con tutte le sue problematiche del sociale e per il sociale. Ma a Gibellina un altro fenomeno unico anche quello dellatteggiamento dellartista nei confronti di una problematica linguistica pi attenta ad un effettivo aspetto funzionale dellopera darte. Loggetto artistico per Gibellina non nasce con, allinterno del processo creativo, aspetti riguardanti il mercato o la fruizione dlite, ma secondo esigenze narrative pi generali, pi utopiche, ma paradossalmente pi vicine a una larga schiera di fruitori su pi livelli; in poche parole, lartista si cimenta nella realizzazione di un oggetto che sia di immediato impatto emotivo, linguistico e metaforico, e che riesca ad arrivare a qualsiasi individuo, a prescindere dal bagaglio culturale che esso ha. Non sempre il risultato riesce a soddisfare questa idea, ma perlomeno il prodotto artistico suggerisce sempre questa analisi dellartista attraverso luso di un linguaggio inusuale rispetto al proprio operato tradizionale. Lautore che sviluppa il suo linguaggio artistico e lo divulga attraverso una rete espositiva pi o meno pubblica, ma che rimane prevalentemente esposto in una rete (soprattutto commerciale) che comunque dlite, di un pubblico che gi preparato a ricevere un linguaggio sperimentale pi o meno efficace, si trova a dover creare 39

III. L'artista si mette in gioco

invece a Gibellina un oggetto a priori, che non tenga conto fondamentalmente n del mercato, n di un pubblico privilegiato o interessato. Gli artisti che hanno risposto allappello di solidariet di Corrao & Co. vennero man mano a Gibellina, girando il neo tessuto urbano e scegliendo il punto in cui avrebbero voluto installare il loro intervento artistico. Una scelta basata sicuramente su un proprio bisogno di fondere la funzionalit linguistica di espressione in rapporto allo spazio scelto. Un rapporto, un dialogo tra spazio e linguaggio che permetta lo sviluppo di ulteriori spazi e problematiche estetiche e vettoriali su cui riflettere e ragionare. Per Alberto Burri per esempio, il bisogno fu quello di andare oltre la Gibellina Nuova; prima gli fecero visitare la nuova cittadina, dove gi esistevano importanti installazioni e architetture, come quelle di Quaroni e Consagra, ma decise che l non cera spazio per lui: Qui non ci faccio niente di sicuro. Non riusciva a immedesimare la sua idea in quel luogo. Fu portato allora nella vecchia Gibellina e guardando i ruderi cap come doveva intervenire. La sua idea fu quella che poi lo port a realizzare il Grande Cretto: Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne lidea22. Lopera di Alberto Burri, realizzata in collaborazione con larchitetto Alberto Zanmatti, ancora oggi una delle opere pi grandi al mondo: dodici ettari di cemento che si estende sul vecchio sito distrutto di Gibellina. Le placche di cemento bianco, che si mantengono su un livello non pi alto di due metri, inglobano le masse di detriti ricavati dai ruderi delle case distrutte, simulando con la loro forma la materia dei cretti, le superfici secche, screpolate, come se ne possono trovare in natura o nelle craquelure delle superfici pittoriche. In questo caso, i solchi del Grande Cretto, che dividono le placche di cemento delineandone le sagome, coincidono per buona parte con le vecchie strade di Gibellina.

22

Zorzi S., Parola di Burri, ed. Allemandi, 1995.

40

III. L'artista si mette in gioco

Una sorta di enorme sudario, in cui allinterno delle placche di cemento riposano i ruderi, le macerie della vecchia Gibellina, percorribile allinterno come un labirinto. innegabile lincredibile impatto emotivo che unopera del genere riesce ad imprimere nello spettatore: chiunque arrivi davanti al Grande Cretto prova una sensazione di profonda inquietudine, di silenzio e di riflessione. Si immersi allinterno della collina, in mezzo al nulla, ma di fronte ad un segno cos imponente che difficilmente lascia indifferenti. Una cosa molto importante di questa operazione artistica di Alberto Burri proprio lunanimit comportamentale nei sui confronti. Nel bene o nel male il Grande Cretto ottiene un importante reazione; sicuramente conseguenza di qualcosa che comunque arriva dai tanti significati etici, morali e linguistici contenuti nellopera. un segno, al di fuori da qualsiasi referenza commerciale o propagandistica: il grande cretto quindi una presa di coscienza dellartista che insegue un livello di comprensione delle cose al di sopra di qualsiasi dinamica estetica. [] esso (il cretto) fuori dal sistema (e dal sistema artistico), dalla certezza di appartenere ad unestetica. Innesca piuttosto la referenza trascendentale dellarte senza immaginarsi nellimbuto polifunzionale della comunicazione svalutando langolazione moderna intesa come estetica e progetto estetico di intervento sul mondo.[] Italo Tomassoni23 Nellambito della sua lunga produzione artistica, Alberto Burri ha ricercato sempre di pi il dialogo tra materia e spazio, ovvero la forma come icona di una concezione spaziale ben definita, o che comunque richiamasse ulteriori problemi relativi al rapporto tra questi due elementi. Una sorta di meditazione profonda sullontologia formale e sui suoi significanti attraverso opere sempre pi grandi, laconiche e austere. Il Grande Cretto, diventa un atto finale, il capolinea se vogliamo di un lungo percorso, un magistrale esempio della ricerca di

23

De Simone G., Farina G., Fazzi S., Alberto Burri nel panorama della Land Art internazionale, atti del convegno, Gibellina 9 e 10 Ottobre 1998, Edizioni Museo Civico dArte Contemporanea, Gibellina 2004, pag. 93.

41

III. L'artista si mette in gioco

Alberto Burri. Ma lopera presente sui ruderi di Gibellina un plauso alla sua opera allinterno della societ, dei suoi drammi e della sua stessa spiritualit etica. Una prova finale che si immerge nella realt del caos acquistando un valore artistico universale. Il Grande Cretto non sarebbe quello che se non esistesse sui ruderi di Gibellina. Non a caso il Cretto stato indicato come un culmine dellepoca; il cretto un sudario che normalizza in uno spasmo raggelato la tragedia di un popolo e di una terra, ha scritto Carlo Pirovano, opera quasi insostenibile nella sua secca laconicit. Lopera di Burri offre sicuramente analisi critiche trasversali, come quelle che vanno dalla Land Art (involontariamente sorte e rifiutate dallartista stesso), e quindi il rapporto tra artista e spazio e la modificazione di questultimo come antropologizzazione semantica del luogo, a ingenui riferimenti linguistici con le opere precedenti di Burri, ma Il Grande Cretto non si limita a problematiche autoreferenziali, come opera a se stante, estrapolabile dal luogo, ma anzi il luogo ne determina ulteriori concetti e il suo stesso motivo di essere. Il Grande Cretto, ragionando per assurdo, non potrebbe essere esposto in un museo, in una struttura neutra adibita alla fruizione e allo studio. Le placche del cretto, sudari di una realt materiale, contengono al loro interno la memoria tangibile della storia: i ruderi della vecchia Gibellina. Il colore bianco, della grande superficie in cemento, rispecchia la luce, segno oggettivo del tempo; la luce, a sua volta, rivelando le cose ne incide il tempo, usurandole. I solchi del grande cretto diventano quindi la rivelazione del tempo, della storia, la traccia della memoria. Sono i percorsi del cretto i testimoni della memoria che coincidono con le vere strade della vecchia Gibellina. Le ombre della luce, il labirinto di segni che delineano le placche del grande cretto, decidono il tempo della storia e limpatto monumentale che Burri ha deciso di registrare ai posteri. Cos come la luce e il suo calore attua un processo corrosivo sulla terra (e non a caso molti territori della Sicilia sono caratterizzati da questi fenomeni climatici), che si spacca e si crepa mostrandoci le sue viscere, la sua sedimentazione, la sua storia, Burri decide di presentarci il cretto, ovvero la luce (come presente), simboleggiato dalla su42

III. L'artista si mette in gioco

perficie di cemento bianco (segno di conoscenza culturale dellartista, contenitore consapevole delle rovine, testimonianze a sua volta della tragedia storica), rivela le ombre dei solchi (il passato, il ricordo della tragedia), lentit dellazione temporale sulla materia. La superficie di cemento bianco si spacca mostrando dei solchi che si fermano nel momento in cui coincidono con la larghezza stessa delle vecchie strade di Gibellina, il simbolo della civilizzazione, linee che fanno riemergere i percorsi tangibili di una societ; un labirinto della storia da percorrere non solo mentalmente ma fisicamente. Lazione corrosiva della luce, congelata consapevolmente da Burri col cemento, rivela il tempo di quella memoria, quella di Gibellina. Il Cretto di Burri diventa un monumento emblematico in cui dialogano il tempo e lo spazio, entrambi elementi esposti come icone reali, nella loro veridicit tangibile. La luce reale, che viene esposta dal riflesso bianco del cemento, simbolo del presente, del tempo che continua inesorabile, e levidenziazione del suo negativo, lombra, lusura, il passato che poi la traccia della luce stessa; come a dire che il presente continuo figlio del passato, della memoria. E a cosa serve un monumento se non a ricordare la storia, quello che si decide di conservare di una vecchia civilt da parte di quella contemporanea? Cos il Cretto di Burri si impadronisce, oltre che della luce e, quindi, del tempo, anche dello spazio, quello storico della vecchia Gibellina, in tutta la sua estensione: uno spazio che contempla materialmente quello che stato e che non sar pi. Il cemento non poteva contenere solo una parte delle macerie, perch non avrebbe ottenuto lo stesso principio universale avuto con la luce e il tempo; non avrebbe ottenuto lo stesso dialogo linguistico e semantico tra gli elementi estetici e storici. Esiste quindi una relazione tra spazio e tempo elaborata su pi livelli: ogni elemento che costituisce il grande cretto, dagli effetti della luce, alla dimensione dello spazio su cui si estende, dal colore al contenuto delle placche di cemento, diventa complice di una complessa ma chiara trama di concetti e simboli, metafore o semplici segni monumentali. Il Grande Cretto diventa unopera che ha un contesto ben preciso, una natura e una storia unica; lopera di Burri un punto preciso del43

III. L'artista si mette in gioco

luniverso in cui diverse esperienze e diversi vettori si sono intersecati. Cos come Alberto Burri, altri artisti a Gibellina si sono immedesimati in opere pienamente contestuali o addirittura inusuali al loro linguaggio espressivo comunemente esposto in musei e gallerie. Uno di questi il calabrese Mimmo Rotella, il cui intervento gibellinese ne risulta un valido esempio. Forse si pu accertare come un vanto, per Gibellina, quello di annoverare la grande scultura in pietra di travertino, dipinta ad acrilico, intitolata Omaggio a Tommaso Campanella, come un exploit pi unico che raro da parte dellitalianissimo esponente del Nouveau Realisme. Nel 1987 Mimmo Rotella, famoso gi per la sua ricerca sul concetto di sedimentazione temporale, sul ready made informale, sul gesto che svela la casualit dellazione e della forma stessa, rintracciandola ed esponendola dal caos del contemporaneo, come gli oggetti di comunicazione prettamente commerciale come i manifesti pubblicitari, espone una scultura, spostandosi nettamente da un linguaggio che a priori si argomentava nelle due dimensioni, a una realt materica ben evidente come quella tridimensionale della scultura. Mentre Rotella ci ha abituati ai suoi ready made, ovvero strati di manifesti incorniciati, il cui aspetto formale e cromatico la conseguenza di un gesto che trova, che strappa le sedimentazioni in modo casuale e caotico, qui lui elabora una forma, un monolite circolare che riporta un fregio piatto, scavato. Diventa quindi unoperazione inusuale se si pensa che la concezione artistica di Mimmo Rotella nasce da concezioni informali e cio del libero arbitrio casuale della materia in relazione con lo spazio che la contiene, quando esponeva cio il retro dei manifesti la cui superficie riportava la densit cromatica e fisica della colla che intrappolava materia organica e intonaco dei muri da cui era stato strappato il manifesto. Una casualit scelta che diventa il segno di una consapevolezza del tempo ben definita, un ready made del contemporaneo pi esposto a problematiche classiche e poetiche; un segno che comunque si connota nellazione del levare e dello scoprire. 44

III. L'artista si mette in gioco

Qui Mimmo Rotella toglie, perch si tratta di una scultura nel senso classico, ma la forma del blocco e la forma del bassorilievo una scelta a priori ben studiata: non si espone cio la casualit del ready made trovato. Persino le pennellate di acrilico che colorano la scultura non sono conseguenza di una casualit trovata, ma di un insistente gesto che definisce e materializza definitivamente le superfici del bassorilievo. Sul monolito di travertino, rotondo, di un diametro di circa tre metri con uno spessore di sessanta centimetri, scolpito, attraverso scanalature di superfici piatte, un sole, e tutta la sua superficie dipinta con pennellate puntiformi di colore giallo e pennellate azzurre e ocra bruciata marcano le linee circolari e perimetrali del bassorilievo. Un grande sole giallo, ocra e azzurro, simbolo della Sicilia e del Mediterraneo, che diventa lastro da seguire per unidea, unutopia di citt ideale. Infatti il simbolo astronomico del grande sole un esplicito riferimento allopera filosofica scritta nel 1602 da Tommaso Campanella, La Citt del Sole. Sorge nellalta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della citt; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor dalle radici del monte [] dentro vi sono tutte larti, e linventori loro, e li diversi modi, come susano in diverse regioni del mondo 24. Cos, nelle prime battute del suo testo, il filosofo calabrese descrive la citt ideale che agli occhi di Mimmo Rotella (ed difficile biasimarlo) assomiglia molto a Gibellina, non solo per le realt artistiche che lui trova nella nuova citt, visto che nel 1987 erano state gi installate diverse opere darte e architetture importanti, ma soprattutto per gli intenti cosiddetti utopici portati avanti da Ludovico Corrao e da tutti quelli che hanno aderito alliniziativa culturale. Il testo di Campanella rappresenta il grande fermento culturale, politico e sociale di quegli anni: il risultato concreto di una grande aspirazione al cambiamento, al rinnovamento della societ dellepoca. Gibellina viene affiancata ideologicamente a questa aspirazione di

24

Tommaso Campanella, La Citt del Sole, 1602.

45

III. L'artista si mette in gioco

cambiamento, di rinnovamento, di prospettive verso nuovi presupposti culturali e sociali. Ulteriore elemento concettuale che Mimmo Rotella esprime attraverso il riferimento allopera di Tommaso Campanella anche la rivalsa culturale, politica e sociale di cui il testo si fece carico e per cui lo steso filosofo fu condannato a morte e incarcerato a vita; pochi mesi prima della stesura del libro, Campanella organizz una congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo, allabolizione della propriet, allinstaurazione di una democrazia di tipo comunistico e teocratico, proprio come esposta nelle pagine della Citt del Sole e sostanzialmente molto simile alla storia delle lotte contadine di Gibellina, dalla liberazione del latifondo e delle propriet baronali. Lomaggio a Tommaso Campanella diventa quindi la stessa Gibellina vista come idea utopica concretizzata, la nuova citt siciliana che per Rotella si candida come potenziale esempio reale della filosofia del Metafisico. Anche in questo caso, come in quello di Burri, Rotella crea unopera darte specifica, spiegabile soltanto in quel determinato contesto geografico, culturale e politico, come il risultato di diverse somme avvenute tra formulazioni concettuali, filosofiche ed esperienze individuali lontane nella storia e nei secoli, che coincidono, collimano e sfociano a Gibellina, per diventare punti fermi, unici, isolati, di un linguaggio universale e, appunto, utopico. Mimmo Rotella si sente di dare il suo contributo attraverso uno studio linguistico e poetico che non ha mai espresso nella sua opera e che ritiene necessario in quel luogo, in quella condizione sociale, per esprimere puntualmente un ennesimo prodotto della cultura, necessit etica e morale e mai superficialmente utopica. Un altro esempio importante dato dalla scultura urbana, lAratro, di Arnaldo Pomodoro, posizionata vicino la Chiesa Madre di Quaroni: un grande aratro di dodici metri di lunghezza per unaltezza massima di sei metri e quattro di larghezza, realizzata in tre materiali diversi, rame, ferro e tufo. Sullo sfondo della scultura un campo arato che si perde in lontananza, sicuramente elemento involontariamente scenografico ma comunque scelto dallartista. 46

III. L'artista si mette in gioco

Una scultura archetipica, che si sviluppa su forme estremamente stilizzate ed essenziali, che si liberano di tutti gli orpelli superficiali per mostrare la propria evidente funzionalit strutturale e concettuale, che richiama alla mente continui rimandi con associazioni semantiche e linguistiche che qui a Gibellina trovano radici profonde e coincidenze storiche molto importanti. Come prima lettura esiste infatti un evidente richiamo alla storia economica e sociale dei gibellinesi, allagricoltura, e quindi alle origini, alla memoria. Laratro come monumento di una societ basata sui ritmi e sulle esigenze della terra, sugli avvicendamenti delle stagioni, che diventa icona della memoria di una popolazione, delle sue origini e, se vogliamo, delle loro tradizioni. Nel processo di stilizzazione ed esposizione monumentale dellaratro si crea di conseguenza unargomentazione metaforica e semantica della pratica agricola. Laratro diventa il simbolo dellintelligenza umana, della conoscenza che modifica la terra, la natura, intervenendo nel cosmo della casualit per adoperarla alle proprie esigenze e necessit. Laratro come simbolo di modificazione e conoscenza del mondo e quindi come simbolo di cultura. Non a caso coltura e cultura sono come sinonimi che hanno la stessa genesi linguistica. Laratro diventa quindi la figura in cui si rispecchia la voglia di Gibellina, quella di ritornare al lavoro sui campi, quelli della societ, attraverso un essenziale strumento di ricerca e di conoscenza. Una forma costituita da elementi simbolo dellindustria, dellartigianato e dellarchitettura; il ferro, il rame e il tufo, sono elementi che richiamano anche la terra in cui sorge la scultura, in quanto i materiali, cos come tutti quelli usati dagli altri artisti per le loro opere, sono autoctoni, provengono dalle diverse parti della Sicilia. Sono anche gli stessi materiali che caratterizzando le opere archeologiche che popolano la regione del trapanese. Infine, la scultura rivendica la memoria delle continue lotte per la propriet terriera da parte dei contadini di Gibellina, diventando monumento delle rivolte antifeudali, proprio in quelle pianure su cui si installa adesso lopera di Pomodoro.

47

III. L'artista si mette in gioco

Ma la scultura di Arnaldo Pomodoro anchesso un unicum nella sua produzione artistica. Forme figurative ma essenziali come laratro di Gibellina si ritrovano soltanto in alcune scenografie curate dallartista. A Gibellina Pomodoro ha realizzato unopera di sicuro impatto sociale, in cui convergono la storia economica, culturale e politica. A differenza di Burri e Rotella, che presentano un lavoro che ha a che fare maggiormente con una referenza etica ed estetica universale, Pomodoro insiste prettamente sulla memoria sociale limitandosi, diciamo cos, a presentare un monumento della storia. Non avrebbe potuto presentare con la stessa austerit e presenza le sue solite architetture astratte: qui la scultura si immedesima nel contesto geografico e dialoga con lo spazio circostante come se fosse un elemento scenografico o semantico dellopera stessa, una voluta protuberanza vettoriale. Nomi come quelli di Alberto Burri, Mimmo Rotella e Arnaldo Pomodoro, sono gli esempi pi eclatanti tra i molti altri artisti che hanno deciso di mettersi in gioco a Gibellina, di abbandonarsi al luogo per sperimentare altro, qualcosa che non avesse riferimento con le strutture sociali ed economiche in cui il loro linguaggio si articolava in modo funzionale; gli artisti hanno ascoltato diverse necessit espressive, assorbendo completamente la storia della citt, della terra che avrebbe ospitato le loro opere. Da questo atteggiamento sono nate sculture e architetture che suggeriscono nuovi strumenti per Gibellina, che ne manifestano lidea non solo con il linguaggio ma anche attraverso i materiali stessi con cui sono costituite, elementi della terra che le ospitano e testimoni di una risorsa che ha sempre accompagnato gli avvicendamenti culturali di Gibellina e della Sicilia tutta. Gibellina come fornace di atteggiamenti culturali unici e isolati non solo dal punto di vista degli artisti, architetti e intellettuali, ma anche in relazione al panorama artistico in generale, che permette di rivalutare il linguaggio di un autore in chiave sociale. A capo di tutti i discorsi sulla crisi dellarte e sul problema di confronto tra cultura e societ, utopia ed esigenza, Gibellina diventa un evidente esempio in cui gli intellettuali si sono slacciati dallo studio di 48

III. L'artista si mette in gioco

problematiche artistiche, autoreferenziali, per lavorare su linguaggi universali, diretti ad un pubblico che esige unicona, unidea su cui riflettere.

49

A Gibellina come sono stato attratto io cos diversi artisti sono stati attratti per partecipare e rispondere a quella voglia di oltrepassare le soluzioni pratiche: lestraniante oggetto utile delle necessit impellenti. Pietro Consagra25

25

Consagra P. in Gibellina, Ideologia e utopia, La Monica G., pag. 53.

50

IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

IV. Artista e realt sociali: stato, religione e cultura

Gibellina stata loccasione propizia per inventarsi nuove prospettive, per ricostruire identit perdute, per ridare unetica pi vicina alle esperienze contemporanee, sicure del passato e prossime alla novit. Gli intellettuali hanno seguito un atteggiamento puro, a priori da qualsiasi coinvolgimento funzionale al mercato: ogni progetto stato la conseguenza di unidea universale della cultura, che nonostante tutto guardava al