Robert Fuest e L'abominevole Dottor Phibes

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RobertFuest e L’abominevole Dottor Phibes storie e misteri di una leggenda del cinema MarioGerosa EDIZIONI FALSOPIANO

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Storie e misteri di una leggenda del cinema, il personaggio di culto interpretato da Vincent Price

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storie e misteri di una leggenda del cinema

RobertFueste L’abominevole Dottor Phibes

storie e misteri di una leggenda del cinema

EDIZIONI

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RobertFueste L’abominevole Dottor Phibes

MarioGerosa MarioGerosa

EDIZIONI

FALSOPIANO

Tra i personaggi più autorevolmente bizzarri del cinema, il Dr. Phibes ha un ruolo di primopiano. Il dottore folle che consacrò la sua vita alla venerazione e alla vendetta della defuntamoglie è una figura di culto assoluto. L’uomo che ha portato il Dr. Phibes sul grande schermo,regalandogli le idiosincrasie e l’apparato di invenzioni che l’hanno reso unico, è Robert Fuest.Il regista inglese è l’ironico demiurgo di un antieroe postmoderno che ha precorso i tempi, ac-cumulando in sé decine di personaggi sedimentati nella memoria. In questo libro non si ana-lizza soltanto l’epopea del Dr. Phibes (con i suoi progetti di sequel, i gadgets e gli apocrifi),ma tutta l’opera di Robert Fuest, un autore che merita di essere riscoperto e valorizzato. Fuestè il regista degli episodi più surreali della serie Tv Agente speciale, del Mostro della stradadi campagna, “un thriller in pieno sole” e di esercizi di stile come Aphrodite e The Island. Unregista di genio, avaro di opere, come lo fu Vermeer con i suoi quadri: solo dieci film, macome accade per i quadri di Vermeer, tutte opere dagli infiniti rimandi e dalle grandi sugge-stioni, che da sole disegnano un mondo originale, visionario e mai scontato.

Mario Gerosa, giornalista, è redattore capo della rivista “AD Architectural Digest”.Laureato in architettura, nel 1986 ha vinto il “Premio Pasinetti Cinema Nuovo” con unsaggio sugli attori di Luchino Visconti. Studioso di new media e di culture digitali, membrodell’OMNSH di Parigi, ha scritto vari libri sulla teoria e l’estetica dei mondi virtuali. Hapubblicato saggi sui trailer dei videogames, sui registi di Second Life e un libro sul cinemadi Terence Young. Insegna Multimedia e paesaggi virtuali al Politecnico di Milano.

€ 19,00

ISBN 978-88-89782-13-2

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FALSOPIANO CINEMA

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EDIZIONI FALSOPIANO

RobertFueste L’abominevole Dottor Phibes

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storie e misteri di una leggenda del cinema

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© Edizioni Falsopiano - 2010via Bobbio, 14/b

15100 - ALESSANDRIAhttp://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini

Stampa: LaserGroup s.r.l. - MilanoPrima edizione - Novembre 2010

Ringraziamenti

L’autore ringrazia per la collaborazione Jane e Robert Fuest, Brian Clemens, la John Adams

Fine Art Gallery di Londra e Lawson Bell della Bell Fine Art di Winchester.

In copertina: Vincent Price in Dr. Phibes Rises Again

In seconda di copertina: Robert Fuest e Vincent Price durante la lavorazione di Dr. Phibes

Rises Again (Courtesy Robert Fuest)

In terza di copertina: Robert Fuest, Valli Kemp e una coreografa durante la lavorazione di Dr.

Phibes Rises Again (Courtesy Robert Fuest)

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INDICE

Prefazionedi Brian Clemens p. 9

IntroduzionePhibes e i suoi fratelli p. 11

Robert Fuest: la biografia p. 17

Capitolo primo

Trasgressioni televisive p. 23

Capitolo secondo

The Abominable Dr. Phibes p. 37

Capitolo terzo

Dr. Phibes Rises Again p. 71

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Capitolo quarto

L’eredità di Phibes p. 83

Capitolo quinto

Just Like a Woman p. 89

Capitolo sesto

Wuthering Heights p. 95

Capitolo settimo

And soon the Darkness p. 101

Capitolo ottavo

The Final Programme/ The Last Days of Man on Earth p. 109

Capitolo nono

The Devil’s Rain p. 115

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Capitolo decimo

The Island p. 121

Capitolo undicesimo

The Revenge of the Stepford Wives p. 125

Capitolo dodicesimo

Aphrodite p. 131

“Come un blues in dodici misure”. Fuest racconta Fuest p. 137

Immagini p. 143

Sequenze immobili: Fuest pittore p. 173

Filmografia p. 183

Bibliografia p. 207

Webgrafia p. 213

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Brian Clemens, Fuest e Albert Fennell

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Prefazione

di Brian Clemens*

Ho lavorato tante volte con Bob, anche senza conoscerlo! Nel 1961 scris-si con lui il primo episodio in assoluto di The Avengers - Bob è stato lo sce-nografo di questo e molti altri episodi su cui ho lavorato - ma per moltotempo siamo rimasti due estranei.

Dovetti aspettare altri sette anni prima di incontrarlo. Fu nel 1968, quan-do passò dalla scenografia alla regia, destinato a realizzare molti episodi dellaserie The Avengers e The New Avengers, e a diventare in breve il nostro regi-sta più assiduo e affidabile. Il suo background nella progettazione di ambien-ti emerge chiaramente nel suo lavoro: idee all’avanguardia, invenzioni visivefolgoranti, un senso dello humour sempre latente sono sempre stati parte delsuo corredo.

Non a caso i suoi film sono rifiniti con l’occhio del pittore - infatti Bob èun artista completo e molto ricercato, e sono felice di poter dire che possie-do molti suoi lavori.

Penso che se Bob non avesse scelto le arti visive sarebbe gravitato nelmondo della musica, dato che è la sua grande passione; una passione dai con-fini molto ampi - jazz, concertistica, opera, pop, ascolta tutto, con un solo cri-terio: deve essere buona musica. È un grande scopritore di talenti - spesso ilprimo a scovare un musicista sconosciuto, che prima o poi diventerà una stel-la di primo piano. State sicuri che Bob sarà il primo a scoprirlo.

Ma nulla di tutto ciò rivela quello che Bob è veramente. Ebbene, è alto,ha una zazzera di capelli ribelli, e una peculiarità che talvolta dissimula leintuizioni di un cervello fino che va sempre a pieno regime - correre tropporapidamente con idee e pensieri perché la lingua possa stare al passo. Il qua-dro generale è quello di un eterno ragazzo con un aspetto giovanile e unamanciata di idee che possono apparire sconvolgenti per la loro originalità. Haun gusto per la ricerca tipico di un giovane uomo, che lo tiene sempre uno odue passi avanti rispetto agli altri. E poi, la cosa più bella è il suo sense ofhumour, la sua risata chiassosa che lo rende uno splendido spettatore!

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Bob è un regista di grande talento, con un corpus di lavori che richiede diessere esaminato attentamente, di essere rivalutato, e che forse è ancora inattesa di un dovuto riconoscimento che ha tardato ad arrivare.

Sì, è anche un mio amico, e gli voglio veramente bene, e per questo potreiessere accusato di essere di parte, in ogni caso negli anni passati sono statoanche il suo produttore e il suo datore di lavoro. E durante tutti quegli annitra noi non c’è mai stato un dissidio, mai alcun tipo di acrimonia - è un uomobuono e gentile (come possono attestare molti attori) che cerca sempre la viadiplomatica per mettersi d’accordo. Per questo mi sento orgoglioso e privile-giato dovendo scrivere questa prefazione per un libro che spero possa illumi-nare e celebrare una vita consacrata alle immagini. E all’immaginazione.

*co-produttore The Avengers, New Avengers, And Soon the Darkness

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Introduzione

Phibes e i suoi fratelli

Dei dieci film girati da Robert Fuest, almeno cinque sono considerati cultmovies. E, cosa piuttosto rara, sono riconosciuti come film di culto non sol-tanto dal pubblico, ma anche dalla critica, che in genere si è espressa favore-volmente nei suoi confronti. Oggi, poi, le quotazioni di Fuest sono ulterior-mente in ascesa e i suoi film vengono rivalutati e riscoperti. Si apprezza e sistudia la cifra stilistica di un maestro cui si può rimproverare soltanto unacosa, di aver fatto troppo pochi film.

Lontano dal set dal 1982, l’anno in cui girò Aphrodite, oggi Robert Fuestsi dedica alla pittura, la sua prima passione. Lo fa con successo, i suoi quadrihanno buone quotazioni e sono esposti alla John Adams Gallery, una dellegallerie più influenti di Londra, nella zona residenziale di Belgravia, a pocadistanza dall’immaginaria Maldine Square in cui si trovava la residenza del-l’abominevole Dr. Phibes.

Nei dipinti di Robert Fuest ci sono paesaggi costieri, navi, villaggi. Noncercatevi organisti folli, ampolle demoniache o icone della swinging London.Non li trovereste. Non c’è più il mondo del suo cinema, cristallizzato neiricordi ma pronto a riemergere, a rivivere nei gesti di un personaggio genia-le e generoso che non si lesina mai. Gli occhi vispi, mobilissimi, la risata con-tagiosa, una gestualità cinematografica, Robert Fuest è un ragazzo di 83 anniche quando parla ti comunica tutta la sua vitalità e la sua energia.

Brio e inventiva sono anche alcuni dei modi di essere del suo cinema, checattura, coinvolge e sorprende. È un cinema dinamico, complesso, ricco disignificati possibili, strutturato su differenti livelli di lettura.

Non credete mai al cinema di Robert Fuest. Soprattutto non giudicatelomai dalle apparenze. Non sempre è quello che sembra; però, allo stessotempo, mantiene sempre più di quello che promette. Ogni suo film è come unconcentrato di tanti film, un coacervo di storie e di racconti che si intreccia-no e si rincorrono. L’opera di Fuest è sfuggente, è il regno dello scambio delleidentità, dove nulla è ciò che si potrebbe credere. Non c’è mai una sola veritànei film di Fuest, nessun luogo è veramente reale o virtuale e nessuno è maicompletamente buono o cattivo.

I film del regista inglese si discostano regolarmente dalle categorie in cuili si vorrebbe inquadrare, riescono costantemente a dribblare le intenzioni di

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chi cerca facili catalogazioni, di chi ha bisogno di trovare scuole e movimentidi riferimento. Fuest non fa parte di nessuna scuola, non vuole e non puòessere inscatolato in una definizione da dizionario, è un outsider duro e puro,non di quelli che giocano a essere trasgressivi. Robert Fuest è uno sperimen-tatore che riesce ad essere all’avanguardia col sorriso sulle labbra, utilizzan-do lo stile della parodia per affrontare ragionamenti filosofici, riuscendo acentrare sempre il cuore della questione. Il suo è un cinema d’autore che avolte flirta col cinema di genere, senza però perdere la sua aura autoriale, èun cinema denso di problematiche e di implicazioni teoriche che mantieneuna naturale leggerezza frutto di una sensibilità mozartiana.

Giocato su molteplici canali narrativi, il cinema di Fuest è incline all’e-stetica del remake, alla destrutturazione colta, alla reinvenzione, ed è stranoche non sia stata ancora messa in cantiere una nuova versione deL’Abominevole Dr. Phibes.

In questo suo mondo bizzarro, dove le storie seguono numerose biforca-zioni e i generi non sono quelli tradizionali, si scopre che L’abominevole Dr.Phibes non è ascrivibile semplicemente al filone dell’horror, che Just Like aWoman in origine doveva essere una specie di film promozionale, e che Ilmostro della strada di campagna è un thriller assolutamente rivoluzionario.

Inversioni di tendenza, scarti improvvisi, innovazioni impreviste: sonoqueste le parole chiave per interpretare il cinema di Fuest, che rispecchia unmomento magico della sperimentazione e delle illusioni degli anni Settanta.

Quello di Fuest è un cinema senza maestri, nato per partenogenesi, senzaaver avuto ispirazioni determinanti dall’esterno. A parte qualche omaggioalla maniera di guardare di Peter Hammond e una velata ammirazione perFritz Lang, Fuest non ha mai reso tributi ai maestri consolidati, ha creatoqualcosa di assolutamente nuovo, che non ha una vera continuità con altrimovimenti e con altri autori. L’unica ispirazione accertata, che ritorna anchesulla media e sulla lunga distanza, riguarda la serie televisiva di culto Agentespeciale. Fuest iniziò a lavorare come scenografo proprio per quella serie e siè sempre portato dietro quel patrimonio genetico, declinandolo di volta involta in maniera originale e convincente, creando curiose associazioni. Peresempio, Just Like a Woman nasce dalla combinazione delle atmosfere sur-reali di Agente speciale e del gusto per la Nouvelle vague francese, mentreL’abominevole Dr. Phibes è un’alchimia tra Agente speciale e Il fantasmadell’Opera. Questo gioco potrebbe continuare con altri film ma non rende-rebbe giustizia alla poetica fuestiana, che è ben più complessa, ricca di moltealtre sfumature, di citazioni indirette di altri autori che, anche se non sonostati riferimenti assoluti per un regista fortemente indipendente, hanno

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comunque rappresentato importanti passioni artistiche. Passioni che vanno dal Fellini più onirico al surrealismo quotidiano di

Marcel Pagnol, al Charlie Chaplin più teneramente romantico, evocato daPhibes che contempla un fiore mentre la sua vittima si schianta con l’aero-plano.

Estraneo all’influenza di maestri diretti, il cinema di Fuest ha invece moltidiscepoli. Tanti si sono ispirati e continuano a ispirarsi ai suoi film, renden-dogli omaggio più o meno esplicitamente. Uno per tutti l’argentino MarcosEfron, cui si deve il remake del Mostro della strada di campagna.

Di primo acchito Fuest si potrebbe definire barocco, ma in realtà ha unaregia molto asciutta: le più belle inquadrature dell’Abominevole Dr. Phibessono molto grafiche, essenziali. Fuest dice molto, inserisce tanti riferimenti,anche visuali, ma non perde mai di vista un senso dell’immagine formale, dimatrice classica. Le sue composizioni sono estremamente curate e tradisco-no la sua formazione da pittore. Anche in The Devil’s Rain, dove c’è un gran-de affollamento di segni, Fuest riesce a mantenere l’ordine, realizzandoinquadrature che di volta in volta appaiono come singoli quadri. E forse è perquesta ragione che Fuest è tornato a dipingere, perché vede l’attività di pitto-re come naturale evoluzione di un percorso partito dalla pittura, passato da uncinema spesso confinante con il senso grafico, e poi ritornato alla prima pas-sione, rivisitata in virtù delle esperienze sul set.

Attento alla composizione, alla stessa stregua di Peter Greenaway e diDavid Lynch, altri due grandi registi-artisti del nostro tempo, nei suoi filmFuest rivisita e talvolta scardina il linguaggio cinematografico, contaminan-dolo con il lessico della televisione, caratterizzandolo con le sue sequenzedinamiche, i primissimi piani e il montaggio concitato.

All’interno di questa griglia, Fuest offre sempre vari livelli di lettura: è unregista massimalista che affolla le sue sequenze di storie e di dinamiche inter-ne, accumulando percorsi narrativi ma racchiudendo tutte queste suggestionientro una grande compostezza formale.

Con queste credenziali, Robert Fuest fa parte di diritto del gruppo di regi-sti inglesi visionari che comprende anche Ken Russell e lo Stanley Kubrickdi Arancia meccanica. Ma lui è ancor più sbilanciato sul coté dell’insolito,che altri hanno indagato soltanto in alcune fasi della loro carriera. Fuest è unhabitué del gusto bizzarro. Nei suoi film aleggia sempre un’atmosfera vaga-mente inquietante, che risente del surrealismo di Paul Delvaux, degli strania-menti spazio-temporali di Magritte, di una certa malinconia nordica.Quell’atmosfera surreale nelle mani di maestri come Fuest diventa uno stilespesso propenso a virare verso la parodia colta: immagini come quella del Dr.

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Phibes vestito da sceicco in Frustrazione o di Sterling Hayden come merce-nario guerrafondaio in The Final Programme testimoniano il gusto per larivisitazione in chiave ironica di personaggi iconici e tratteggiano i linea-menti di un nuovo surrealismo.

Grande visionario, abilissimo architetto di inquadrature memorabili, Fuestè anche un solido direttore di attori, che ha sempre avuto la capacità di crea-re eroi ex novo. Eroi veri e immaginari, star del cinema e personaggi cari-smatici. Fuest ha tenuto a battesimo (o ha plasmato quando erano agli esor-di) interpreti come John Travolta, Valerie Kaprisky, Don Johnson e TimothyDalton, tutti attori che hanno cominciato ad avere successo dopo aver recita-to per lui. Nondimeno nel corso degli anni il regista ha saputo reinventare stargià affermate, come Vincent Price, William Shatner, Ida Lupino, regalandoloro ruoli insoliti, ideando per loro nuove identità.

Ma sono soprattutto i personaggi immaginari di Fuest ad affascinare,primo fra tutti il Dr. Phibes, un criminale che stravolge continuamente leregole del genere. Quando delinea i suoi personaggi, il regista lavora sudiversi piani, creando psicologie complesse, tenendo conto dell’evoluzionedi varie culture convergenti. Il suo mondo è un crocevia di ispirazioni, dovesi incontrano letteratura, pittura, cinema, fumetti e teatro; per Fuest un film èun’opera d’arte totale, in cui il regista talvolta sceglie (o addirittura scrive) lemusiche e disegna le scenografie. In quel mondo ha ampio spazio la citazio-ne, che spesso è di matrice letteraria, come testimoniano The FinalProgramme, Aphrodite, Cime tempestose, ma anche i film di Phibes.

Il cinema di Fuest ha anche varie affinità con la musica, che è profonda-mente connaturata a una poetica originalissima, non solo perché la colonnasonora è importante, con brani spesso scelti dallo stesso regista, raffinatoconoscitore di jazz e musica classica, ma perché la struttura dei film è musi-cale. I personaggi di Frustrazione hanno i nomi di famosi jazzisti, e alcuniprotagonisti dei film di Fuest sembrano o ricordano musicisti e compositori.Jon Finch, ovvero Jerry Cornelius di The Final Programme, si atteggia comeuna rockstar degli anni ’70, Phibes stesso, con i suoi gesti plateali, è una viadi mezzo tra un organista ottocentesco e un tastierista alla Keith Emerson, eScilla Alexander di Just like a Woman è una ragazza molto swinging. Sonotutti personaggi che vivono seguendo un ritmo interno alle loro storie, unritmo che sfugge alla quotidianità e che spesso riesce a sostituirsi alla vitavera, senza però dare mai l’idea di un’esistenza virtuale posticcia.

Personaggi che spesso appaiono volutamente irrisolti, con storie compli-cate che non trovano sempre una spiegazione, con vicende senza lieto fineche costringono a pensare. Opere aperte, insomma, percorsi senza un tra-

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guardo, trame che terminano con un punto interrogativo, dove Fuest nonregala risposte. Così è per tutti e dieci i film di Fuest, ma soprattutto per ilsuo capolavoro, L’Abominevole Dr. Phibes, che si conclude senza la catturadi quell’antieroe controverso, lasciando aperta la porta ai mille interrogativisulla storia e soprattutto sull’uomo.

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Robert Fuest: la biografia

Robert Fuest nasce il 30 settembre 1927 a Londra. Suo padre, di originitedesche, lavorava come assistente di linea nelle ferrovie.

A 16 anni si appassiona all’arte e alla musica jazz. Frequenta una scuolad’arte a Wimbledon, dove studia pittura e graphic design, e suona la batteriain una band di amici.

Come ha spiegato lo stesso Fuest in un’intervista, “ebbi un ottimo mae-stro d’arte che mi incoraggiò: fu molto efficace nel persuadere i miei genito-ri che sarei diventato un artista grafico. Per loro era una prospettiva pocoallettante, perché avrebbero voluto che diventassi un ingegnere o un mecca-nico” (Christoper Koetting, Mr. Fuest Rises Again, in “Fangoria”, n. 177,ottobre 1998, p. 12-17),

Dopo aver prestato servizio nella Royal Air Force, dove rimane per unbreve periodo anche una volta finita la guerra (nel 1946 viene inviato aBerlino), Fuest si diploma all’Accademia di Belle Arti. Dal 1951 al 1955 èlecturer di pittura e litografia al Southampton College of Art, e tra il 1951 eil 1956 espone le sue opere alla Royal Academy di Londra.

Nei tre anni successivi Fuest alterna varie esperienze professionali.Dapprima, per un breve periodo suona il piano in un club e lavora per laDecca Records. Poi, a 30 anni, viene presentato a Timothy O’Brien, respon-sabile della sezione Scenografia della rete televisiva ABC. Scenografo divalore, O’Brien diede un notevole impulso alle carriere di molti giovani arti-sti, come Brian Eatwell e Philip Harrison, che avrebbero lavorato in alcunifilm di Fuest.

In quel periodo Fuest si cimenta come scenografo per After Hours, uncomedy show che andava in onda in tarda serata, diretto da Richard Lester,un grande amico che gli diede importanti consigli per la sua futura carriera diregista. In quegli anni negli studi dell’ABC c’erano molti scenografi di talen-to, come Voytek (che lavorò con Polanski in Cul de sac), Ashton Gordon(Blow Up, La donna del tenente francese) e vari registi emergenti, come TedKotcheff, Philip Saville, Peter Hammond e Joe McGrath.

Nel 1961 gli commissionano le scenografie per nove episodi di TheAvengers (Agente speciale), una nuova serie poliziesca, con Ian Hendry ePatrick Macnee, che presto sarà affiancato da Honor Blackman, nota comel’intrigante Pussy Galore di Agente 007 Missione Goldfinger. In questo fran-gente ha l’occasione di lavorare a stretto contatto con Peter Hammond, ungrande professionista della regia di serie televisive, ricordato con affetto e

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ammirazione da Fuest, che gli riconosce il talento nell’ideare curiosi punti divista per le inquadrature. “Peter era capace di filmare la gente dalle imboc-cature delle grondaie! Era un uomo con un enorme senso visivo”. (AnthonyPetkovich, Robert Fuest. He was Making Mad Films, in “Psychotronic” n.41, 2004, p. 34-40). In quegli anni, dalle conversazioni tra Peter Hammond eRobert Fuest prendono forma molte delle particolarità dell’“Avengers’touch”, il marchio di fabbrica della serie di The Avengers/Agente speciale. Inparticolare, Fuest punta sullo straniamento, suggerendo al regista di ambien-tare dialoghi e situazioni in location anomale, fuori contesto, magari in unasala di obitorio o in un laboratorio di tassidermista, anziché in un ufficio.

Fuest e Hammond in quegli anni posero le basi per i set visionari in cui sisarebbero mossi Patrick Macnee e Diana Rigg, ovvero John Steed e EmmaPeel, anche se Fuest non ebbe mai la fortuna di lavorare con quest’ultima(curiosamente Diana Rigg avrebbe affiancato Vincent Price in Oscar insan-guinato, considerato da molti un Phibes apocrifo, non diretto da Fuest). Dopoaver disegnato le scene di un episodio della seconda stagione di Agente spe-ciale (1962-63), Fuest decise di lasciare l’ABC, poiché non trovava sbocchiil suo desiderio di cimentarsi come regista.

Nei quattro anni successivi lavora come freelance, ideando drammi per laBBC e dirigendo spot televisivi con gli amici Richard Lester e NicholasRoeg. Dal ’63 al ’73 dirige almeno 40 spot pubblicitari per l’agenzia JamesGarrett and Partners. Inoltre in quel periodo Fuest scrive sketch per PeterCook e Dudley Moore, impegnati nella fortunata trasmissione Not Only…But Also, che puntava su dialoghi surreali e ospiti importanti, come JohnLennon o l’attore comico Leonard Rossiter (noto anche per alcune pubblicitàdella Cinzano degli anni ’70 e ’80), e per la serie Superthunderstingcar, coni pupazzi creati da Gerry Anderson.

Nel 1966 scrive e dirige il suo primo film, Just Like a Woman, che in ori-gine era stato pensato come un documentario commerciale di 15 minuti peruna convention di produttori di arredi per il bagno, portato poi a 90 minutiper volontà degli stessi produttori, che si erano entusiasmati al progetto. Ilfilm, che vanta come operatore Billy Williams (che avrebbe poi vinto unOscar per Gandhi), viene premiato all’Edinburgh Film Festival.

Intanto, nel 1967 gli viene proposto di girare un film sul traffico d’armi inTunisia, che avrebbe dovuto avere come protagonisti Terry-Thomas e OrsonWelles. Ma quando la produzione era pronta, scoppiò la Guerra dei Sei gior-ni e il progetto naufragò.

Sempre nel 1967, Fuest viene presentato da James Hill (il regista di Natalibera, di A Study in Terror e di Il capitano Nemo e la città sommersa) a Brian

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Clemens e Albert Fennell, i produttori di Agente speciale. Dopo aver visio-nato un paio di rulli di Just Like a Woman, gli offrono di girare un episodiodella serie, allora giunta alla sesta stagione (1968-69). Fuest dirigerà ben setteepisodi, tutti con Patrick Macnee e Linda Thorson, più due della serie deiNew Avengers (Gli infallibili tre, trasmessi nel Regno Unito nel 1976/77),con Macnee, Joanna Lumley e Gareth Hunt. Tra gli episodi della sesta sta-gione, firma Game (Puzzle), considerato una delle storie di culto dell’interociclo.

Nel 1969 Fuest viene contattato da Ringo Starr, il batterista dei Beatles,che gli propone di girare un film su una rapina in banca, ma al regista nonpiace il soggetto e rifiuta l’offerta.

Lo stesso anno Albert Fennell e Brian Clemens gli propongono di dirige-re il thriller And Soon the Darkness (Il mostro della casa di campagna), unthriller psicologico ambientato nel Sud della Francia, con Pamela Franklin,l’interprete di The Legend of Hell House (Dopo la vita). Il film, il cui sog-getto è firmato da Bian Clemens e da Terry Nation, fece discutere per la suaoriginalità e venne salutato come un caso anomalo di “thriller in pieno sole”.

L’anno successivo gli americani James Nicholson e Sam Arkoff, i produt-tori dell’AIP, American International Pictures, contattano Fuest per girare unanuova versione cinematografica di Cime tempestose, il romanzo di EmilyBrontë, portato sullo schermo nel 1939 da Laurence Olivier e Merle Oberon.Fuest sceglie Timothy Dalton, destinato a diventare famoso nel ruolo di 007,e Anna Calder-Marshall. Il film viene girato in Inghilterra, nei luoghi in cuiè ambientata la storia.

Subito dopo Fuest avrebbe dovuto dirigere I’ll Massage You WithDiamonds, da un soggetto di Patrick Tilley, sceneggiatore di Cime tempesto-se, ma il progetto si arenò.

Intanto negli uffici dell’AIP c’era grande curiosità per The Curses of Dr.Phibes, un soggetto scritto da James Whiton e William Goldstein. Il copione,di circa 400 pagine, viene inviato a Fuest, che lo legge durante una vacanzaa Creta. In origine il film doveva essere assolutamente serio, senza il blackhumour che lo contraddistinguerà, che si devrà alla totale revisione delloscript da parte di Fuest.

Nasce così The Abominable Dr. Phibes (L’abominevole Dottor Phibes).Girato col titolo di lavorazione The Curse of Dr. Phibes e uscito nel 1971,avrà un’ottima accoglienza al botteghino. Tant’è che dopo pochi mesi l’AIPproporrà a Fuest di girare un sequel, Dr. Phibes Rises Again (Frustrazione),presentato nel 1972.

Ma prima del secondo Phibes, l’AIP offre a Fuest un altro copione. Forti

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del successo di Wuthering Heights, i produttori volevano continuare col filo-ne letterario e chiesero al regista di lavorare a una riduzione di The House ofthe Seven Gables (La casa dei sette abbaini) di Nathaniel Hawthorne, giàportato sugli schermi nel 1940 da Joe May, con George Sanders e VincentPrice come attori. Fuest lavorò a lungo sul copione e cercò anche le locationsadeguate, coinvolgendo l’amico produttore Albert Fennell, ma alla fine nonse ne fece più nulla. Così il regista ritornò al vendicatore pazzo, che questavolta affronta un’avventura in Egitto.

Gli offrono poi di dirigere Oscar insanguinato, con Vincent Price nelruolo di un attore scespiriano incompreso. Fuest declina l’offerta, vuole cam-biare genere e dichiara che “dopo aver ucciso 18 persone nei suoi ultimi duefilm con Vincent Price, la prospettiva di un altro massacro non era cosìattraente”. Nondimeno, ammette che fu un errore rifiutare quel film. CosìOscar insanguinato viene girato da Douglas Hickox, per il cui lavoro Fuestnutre grande ammirazione.

Nei primi anni ’70 Fuest gira molti spot pubblicitari. È anche in Italia, perrealizzare alcuni Caroselli, tra cui Il mistero dei diamanti veneziani (1974) incui si reclamizza la macchina fotografica Kodak Instamatic. Nel 1972 venneinterpellato per un possibile terzo episodio di Phibes, che avrebbe potutochiamarsi The Bride of Phibes, ma anche per un seguito di Cime tempestose,dal titolo Return to Wuthering Heights; però restarono soltanto idee sullacarta. La AIP gli offrì anche di dirigere Legend of Hell House (Dopo la vita)ma Fuest rifiutò e così il lavoro passò a John Hough.

Nel 1974 è la volta di The Final Programme, noto anche come Last Daysof Man on Earth (Alpha Omega: il principio della fine), tratto dall’omonimoracconto di Michael Moorcock, un film controverso e surreale che si inseri-sce nel filone del cinema apocalittico.

Nel 1975 Fuest gira in Messico The Devil’s Rain (Il maligno), con un caststellare che comprende tra gli altri Ernest Borgnine, William Shatner, IdaLupino e John Travolta, al suo debutto nel cinema nelle vesti di un satanista.Nel 1974 vince la Medalla Sitges en Oro de Ley al Catalonian Film Festivaldi Sitges per Dr. Phibes Rises Again e nel 1976 il premio speciale della Giuriaal Festival del cinema fantastico di Avoriaz per The Last Days of Man onEarth.

Nel 1977 dirige The Island, una produzione di HTV e Highgate, con JohnHurt come protagonista. Poi due episodi di The New Avengers: per l’occa-sione, lavora ancora una volta con Brian Clemens e Albert Fennell, ma senzapiù l’entusiasmo della prima serie.

Tra i progetti incompiuti di quegli anni, c’è The Coming, un fantasy/hor-

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ror sulla stregoneria con Barbara Bach, Anthony Franciosa e Peter Cushing.Per l’occasione Fuest fece vari sopralluoghi a Nizza con il suo art directorMichael Seymour (Alien) e il film fu annunciato al Festival di Cannes del1979, ma poi saltò.

Fuest scrisse anche un soggetto sul sensitivo Uri Geller per RobertStigwood, ma la cosa non ebbe seguito.

Alla fine degli anni ’70, Fuest si trasferì negli Stati Uniti, per lavorare perla ABC TV-Highgate Films.

A New York girò sei episodi da 40’ l’uno della serie After School Specials.L’ultimo, The Gold Bug tratto dal racconto di Poe, nell’82 vinse un EmmyAward. Successivamente si trasferì a Los Angeles, dove diresse The Revengeof the Stepford Wives per l’ABC, e poi a San Francisco per The Big StuffedDog, tratto da un racconto di Charles Schultz, l’autore dei Peanuts.

Nel 1982 gira Aphrodite, tratto dal romanzo omonimo di Pierre Louÿs.Nell’85 dirige alcuni episodi della serie C.A.T.S. Eyes, su un’agenzia investi-gativa di sole donne, sul genere delle Charlie’s Angels.

Nel 1988 Robert Fuest decide di smettere di fare film e si dedica all’atti-vità di conferenziere e di lettore all’università, oltre a insegnare alla LondonInternational Film School.

Attualmente si dedica a tempo pieno alla pittura. I suoi lavori si possonoammirare alla John Adams Fine Art Gallery, nel centro di Londra, e allaMinster Gallery di Winchester.

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Capitolo quinto

JuST LIkE A WoMAN (1967)

Protagonista di questa commedia leggera è Scilla Alexander, una ragaz-za che abbandona il marito Lewis, dopo essersi stufata delle sue sbornie edelle sue scappatelle. Così decide di andare a vivere da sola: compra un acrodi terra e vi costruisce un miniappartamento ideato da un architetto di grido.E poiché l’unica cosa di cui sente veramente la mancanza è il bagno, chiedeall’architetto di progettarle una microresidenza dove la vasca sia la prota-gonista assoluta.

In Just Like a Woman, il primo film di Robert Fuest, vengono anticipatimolti dei temi che caratterizzeranno il cinema del regista britannico. In que-sta commedia che inizialmente doveva essere soltanto un cortometraggiocommerciale per una convention di produttori di bagni, Fuest riesce a con-densare lo spirito dell’Inghilterra anni ’60 e a introdurre gran parte delle tro-vate che svilupperà poi nei suoi film. In particolare, Fuest mette a punto quiper la prima volta il suo personale codice espressivo, che coniuga cultura altae bassa, la Pop Art e la pubblicità, il lessico visivo della televisione di cultoe un immaginario che ha metabolizzato i film di Fellini e di Richard Lester.

Si delinea un sincretismo cinematografico che funziona in virtù dell’abi-lità di Fuest nel tenere insieme tutti i pezzi di un ingranaggio dai meccanismiapparentemente disomogenei, dove diversi linguaggi si scontrano e si ricom-binano e dove si procede per episodi, per gag e per intuizioni, sacrificandoparzialmente un progetto organico e unitario a un film composto soprattuttodi trovate.

Il film, che ebbe un’ottima recensione su “Sight and Sound” e che recen-temente è stato riproposto in dvd, nella collana Digital Classics di DCDMedia, entra subito nel vivo dell’azione, con marito e moglie che litigano inun appartamento della Londra anni ’60.

Già nei primi cinque minuti c’è tutto: un interior design che in poche stan-ze e qualche oggetto racconta un’epoca meglio di quanto potrebbe farloun’intera annata di una rivista d’arredamento (la scenografia è di Brian

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Eatwell, che ritroveremo nell’Abominevole Dr. Phibes), c’è il gusto di vive-re, raccontato con una regia che anticipa i videoclip degli anni ‘80, il ritmofrenetico, quasi a tempo di ballo, degli attori che interpretano il modo di esse-re della Swinging London. Come ha spiegato lo stesso regista, “Just like aWoman era un tipico film degli anni ’60: inglesi con pantaloni a zampa di ele-fante e una marea di union jack, tutti swinging da mattina a sera”.(Dall’intervista di Anthony Petkovich, Robert Fuest. He was Making MadFilms, in: Psychotronic, n. 41, 2004, p. 35). Inoltre si percepisce un retrogu-sto di Nouvelle vague francese, che rende il cinema di Fuest un po’ diversoda quello di altri suoi connazionali; il primo film di Fuest è leggermente fran-cesizzante, alla maniera del primo Godard, ma senza perdere nulla della suabritishness.

I due protagonisti, che si muovono freneticamente, come a teatro, con unamimica straordinaria, sono Wendy Craig e Francis Matthews. Lei, trenta-treenne, si era già fatta le ossa con Bette Davis in Nanny la governante e poicon Dirk Bogarde nel Servo di Losey; lui era un volto piuttosto noto dellaHammer (gli appassionati lo ricorderanno in Dracula e in Rasputin).

Qui la Craig abbandona il registro emotivo triste e malinconico delladonna soggiogata da Bette Davis per dar vita a una ragazza degli anni ’60 chesi muove come un folletto nella Londra dei Beatles e di Mary Quant.Matthews, dal canto suo, lasciati i panni del caratterista horror, appare a suoagio nel ruolo del marito infedele: agile e dinoccolato, ricorda Jean-ClaudeBrialy de La donna è donna di Godard.

Il film ha un attacco molto coinvolgente, decisamente swinging, assaimusicale, con un senso del ritmo proprio delle serie televisive.

Wendy Craig è frizzante come Anna Karina di Pierrot le fou: è elettrica,dinamica, pirotecnica, irresistibile, musicale. Scilla Alexander (questo è ilnome del suo personaggio nel film) che con i suoi capelli rossi cotonati nonstonerebbe in un episodio del Dr. Who, è molto inglese, molto scattante, maè allo stesso tempo una cugina ideale delle parigine emancipate del nuovocinema francese: ha una sensualità testarda che altre sue colleghe inglesi, ten-denzialmente più concettuali, non possiedono.

In virtù di questa presenza leggera ma ingombrante, pian piano il filmdiventa il film della Craig: Fuest la segue senza sosta, la osserva divertito, ladirige con tono vivace e appassionato, mentre l’attrice si inventa continua-mente degli sketch da “one-woman show”. E comunque già la sua presenzascenica è sufficiente, dà senso e valore a ogni inquadratura.

Scilla/Craig è un personaggio da teatro, che funziona perfettamente sia dasola, sia in coppia con Matthews. Anzi, con Matthews fa scintille e rischia di

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tenere tutto il film su un livello di brio fin troppo elevato, al punto da diven-tare indistinto. Così Fuest le affianca il pacato John Wood, flemmatico genti-luomo inglese che impersona John Martin, l’amico del cuore della Craig, chesi rifugia da lui dopo aver abbandonato il marito troppo amico delle donne edella bottiglia.

Fin dal suo primo film Fuest, che applica il meglio della tecnica appresain televisione e in pubblicità, dimostra di avere un senso innato del ritmo.Potenzialmente Just Like a Woman è un musical, nel senso che ogni sequen-za ha un suo tempo specifico, ogni movimento segue un’ideale partitura. Èun film gioioso, lieve, mozartiano, scandito da una musicalità interna, e alcu-ne sequenze ricordano il ballo improvvisato nel bistrot in Vivre sa vie diGodard e anticipano lo spirito di Un sogno lungo un giorno di Coppola. Ilsottofondo musicale è sempre presente nel film, dove tutto sembra un ballet-to, compresa la scena in cui Scilla è sola e sconsolata nella sua micro-casa-sala da bagno.

Nella sua opera prima Fuest racconta la vita quotidiana di una ragazzainglese degli anni ’60 -un po’ come fece Richard Lester con The Knack -infondendo fantasia e ritmo nella vita di tutti i giorni, ispirandosi alla recita-zione da telefilm, ma nobilitandola, trasformandola, come se dovesse affron-tare un esercizio di stile, una variazione sul tema, mostrando anche un gustoper la comicità brillante, alla Mike Nichols. Questa prerogativa, che dà vita auna regia da pièce teatrale brillante, si coglie soprattutto quando John porta acasa la nuova fidanzata e Scilla compare dopo essere stata nascosta nelbagno.

Tutto il film è pervaso da un forte senso grafico, che tradisce la formazio-ne di Fuest come pittore e scenografo. Un’attenzione notevole alla confor-mazione degli ambienti, che a volte sfocia anche in un minimalismo totaleper esempio nelle sequenze girate nello studio televisivo, dove non ci sonoscenografie, ma solo spazi bianchi e dove gli attori in un vuoto irreale.

In certe sequenze Fuest strizza l’occhio al linguaggio pubblicitario (è ilcaso della scena in cui Scilla si reca allo showroom dell’arredobagno, in altrepunta sul cinema d’autore e crea scene di ispirazione felliniana, come quellaimmaginata da una Scilla sognante, memore di Giulietta degli spiriti o delloSceicco bianco, che si figura il marito in un ambiente candido e immacolato,rannicchiato in una seduta sospesa di Nanna Ditzel, circondato di splendidedonne vestite di bianco.

In un altro caso ancora Fuest privilegia il tema della gag da serie televisi-va. Ci riferiamo alla scena di culto in cui viene presentato l’architetto Fischer,cui Scilla si rivolge per il progetto del microappartamento. Fischer è un per-

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sonaggio degno di un episodio di Agente speciale: nello studio dell’eccentri-co progettista uno degli impiegati disegna sullo spartito di un pianoforteposto su una pedana girevole e, come se non bastasse, quando l’architettoesce dal suo studio, su una lussuosa auto d’epoca, viene preceduto da micro-car Messerschmidt guidate da uomini vestiti da piloti da caccia.

Una curiosità: per l’occasione Fuest si cimentò anche come paroliere efirmò i testi delle canzoni Let’s take a chance e Just like a Woman.

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Wuthering Heights (1970)

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Capitolo sesto

WuTHERINg HEIgHTS (1970)CIME TEMPESToSE

Il soggetto, tratto dal romanzo di Emily Brontë, racconta la storia diWuthering Heights, una residenza nella campagna inglese i cui si sonointrecciati vari destini. Domina la trama la storia d’amore tra il giovaneHeathcliff, e Catherine Earnshaw, la figlia del padrone di casa. Amoreosteggiato dal fratello di lei, Hindley, al punto che Heathcliff se ne andràa Londra e Cathy sposerà il nobile Edgar Linton. Alla fine Hindley si inde-biterà giocando e sarà costretto a vendere la residenza a Heathcliff, men-tre Cathy, dopo essere quasi impazzita per l’amore impossibile perHeathcliff, muore in giovane età.

Robert Fuest si è spesso cimentato nelle rivisitazioni, nelle variazioni sultema, riprendendo e modificando i linguaggi, perseguendo una sua persona-le sperimentazione. A volte questo lavoro l’ha fatto “dall’interno”, misuran-dosi con i canoni tradizionali del cinema e modificandoli; altre volte ha scel-to una scala di riferimenti più ampia, considerando anche altre forme narra-tive o visive. In questo senso, Cime tempestose rappresenta un esempio inte-ressante da analizzare, in quanto qui Fuest si misura innanzitutto con la let-teratura (il romanzo di Emily Brontë), ma anche con la pittura (l’atmosferadel film è mutuata dall’immaginario di alcuni grandi pittori inglesi del ’700e ’800 e con i film tratti dal medesimo romanzo che l’hanno preceduto).

Partiamo dal fondo, dal discorso puramente cinematografico. All’iniziodegli anni ’70 erano due i riferimenti obbligati per chi si cimentasse con unatrasposizione di Cime tempestose: Wuthering Heights di William Wyler del1939, presentato in Italia col titolo La voce nella tempesta e Abismos de pasióndi Luis Buñuel, del 1954. Il film di Buñuel, ambientato in Messico, con i pro-tagonisti ribattezzati Catalina e Alejandro, è molto caricato, la recitazione appa-re forzata, c’è un’eccessiva derivazione letteraria. Invece il film di Wyler è unutile punto di partenza per definire il film di Fuest; in particolare, LaurenceOlivier, che ha caratterizzato il suo personaggio con una decisa brutalità, appa-re come il prototipo dell’Heathcliff interpretato da Timothy Dalton.

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Wuthering Heights (1970)

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Per certi aspetti Fuest ha impostato la sua personale rilettura di Cime tem-pestose basandosi direttamente sul film di Wyler, piuttosto che sul romanzodella Brontë. Il film di Buñuel tendenzialmente non aveva tenuto conto delfondamentale precedente fissato da Wyler e aveva scelto la strada della fonteoriginale. Fuest invece ragiona in termini cinematografici, si riferisce allafonte secondaria, e cerca di far progredire il discorso fissato da Wyler, tra-sformandolo secondo la sua sensibilità. Il metalinguaggio di Fuest quindiprescinde dal soggetto primario, il romanzo, e punta direttamente al film. Èuna scelta coraggiosa e importante, che si affianca ad altre decisioni inedite,per esempio al desiderio di stravolgere sequenze del romanzo: la differenzapiù rilevante riguarda Hindley Earnshaw, che qui non è visto esattamentecome l’oppressore di Heathcliff.

L’altra grande ispirazione è la pittura. I paesaggi che nel film di Fuestfanno da sfondo alla passione di Heathcliff e Catherine hanno la stessa poten-za dei quadri di Turner e di Gainsborough.

Il film, in cui si respira la stessa atmosfera della grande pittura ingleseromantica, evocata anche grazie al lavoro del direttore della fotografia JohnCoquillon, punta su una sintassi visiva lineare: ci sono suggestivi campi lun-ghi alternati a primissimi piani (una delle sequenze iniziali è una panoramicacon primissimi piani dei volti delle persone che assistono al funerale diCatherine) e a ritratti di interni memori della pittura di genere. Per esempio,nella carrellata all’indietro nella prima sequenza dopo i titoli di testa c’è uninterno di campagna che pare un dipinto di Wright of Derby, immerso in lucie ombre drammatiche. Il film, prodotto da Arkoff e Nicholson -gli stessi pro-duttori dei film di Phibes - è come un insieme di tableaux vivants tratti daquadri della pittura inglese d’epoca romantica: è come se i quadri si animas-sero e prendessero vita.

Cime tempestose di Fuest ha una struttura ciclica. Si apre e si chiude conil funerale di Catherine. Quindi è pensato come un lunghissimo flashback checi porta indietro negli anni, a ripercorrere tutta la vicenda della tormentatastoria d’amore di Catherine e Heathcliffe. In tal modo è come se Fuest aves-se cristallizzato tutta la storia che sta tra le due visioni del funerale, quella ini-ziale, con la panoramica sulla gente che piange davanti alla tomba, come inThe Final Programme, e quella finale, con le sequenze in cui Heathcliff vagacome un pazzo credendo di vedere la fidanzata, che appare come un fanta-sma, prima di essere ucciso da Earnshaw.

Significativo che il film si apra col ritorno alla terra: questo è un film sullanatura, molto presente, e sugli uomini che si mantengono fedeli e vicini allanatura, contrapposti a chi invece rinnega questa discendenza e diventa schia-

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Wuthering Heights (1970)

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vo delle convenzioni sociali. Heathcliff cerca disperatamente di resistere alcambiamento che gli viene imposto dalla società, è un ribelle che non volevarecidere il cordone ombelicale con la natura. Anche Phibes, un altro grandepersonaggio fuestiano, era un ribelle, ma molto diverso da Hethcliff: Phibesera l’uomo artificiale, tutto costruito, l’uomo che si era allontanato comple-tamente dalla natura. Successivamente Fuest avrebbe messo in scena un ulte-riore esempio, cioè l’uomo reinventato dagli scienziati di The FinalProgramme.

Il lavoro di Fuest sui metalinguaggi e sulle implicazioni filosofiche delfilm è supportato da un ottimo cast.

Il giovane Timothy Dalton, che qualche anno dopo vestirà i panni diJames Bond, è più che convincente: ha una recitazione molto istintiva,aggressiva, possiede un magnetismo animalesco. In tutto il film c’è il gustoper una passione istintuale, dove ci si tocca, ci si annusa, ci si ama senza com-promessi, c’è una fortissima voglia di naturalità, lontana dalle convenzioniche prescrivono di mantenere le distanze. E Dalton interpreta perfettamentequesto modo di essere, riprendendo la lezione di Olivier e spingendosi ancheoltre, giocando ad arte sul concetto di istintualità trattenuta, in una serie digrandi prove d’attore. Si disegnano così una serie di rapporti interpersonali edi relazioni più o meno rispettosi delle convenzioni, che danno vita ad altret-tanti modi di vivere lo spazio dell’altro, in un discorso affine alle teorizza-zioni di Goffman. È un tema caro a Fuest, che nel Mostro della strada di cam-pagna fece un grosso lavoro sulle distanze interpersonali da mantenere. Inquel film si tendeva a creare delle barriere invisibili invalicabili, in Cime tem-pestose invece è il contrario, si cerca di elidere le distanze, anche se natural-mente la società inglese dell’epoca prescriveva di mantenerle ben definite.

Heathcliff cerca disperatamente di infrangere le convenzioni e di elimina-re quelle barriere. Lo stesso istinto animale, il bisogno di vivere senza esseredomata né addomesticata, è reso magistralmente da Anna Calder-Marshall,un’attrice che si era vista in Pussycat, Pussycat…Ti amo e che poi avrebbelavorato soprattutto in televisione.

La Cathy di Anna Calder-Marshall e Heathcliff di Dalton sono splendida-mente animaleschi, quando litigano, quando fanno l’amore nel fienile, quan-do fanno le boccacce dietro la porta vetrata, mentre Frances suona il piano ei padroni di casa gli aizzano contro i cani.

Heathcliff è come un selvaggio, è sempre sporco, cerca il contatto fisico.Cathy invece vuol diventare pulita, asettica come i suoi padroni. Così a uncerto punto Cathy perde la sua animalità e diventa elegante, mentreHeathcliff rimane ancora per un po’ sporco e brutale e sarà trattato come un

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animale braccato. Però quando Cathy è sulla buona strada per il suo cambia-mento e Heathcliff scappa, la ragazza si ammala e tende a riappropriarsi delsuo aspetto selvaggio. Poi si riprende e si forza di essere pulita ed elegante,e si lega a Edgar.

Nella metamorfosi finale vediamo Heathcliff trasformato in un gransignore. Ed è questo il momento cruciale della storia: quando si ritrovanosoli, dopo tre anni, Cathy (sposatasi con Edgar) e Heathcliff non sanno piùcome toccarsi, quale distanza sociale tenere tra loro. C’è comunque unritorno di fiamma, un’altra ondata di istinto animalesco, ancora più forteperché sopito, quando Heathcliff si scaglia contro Edgar che aveva origlia-to dietro la porta.

Pregevole il lavoro degli altri attori: Edgar è Ian Ogilvy, il barone VonCurt dell’episodio di The Avengers They keep killing Steed, Hugh Griffith, ildottore, è il rabbino dell’Abominevole Dr. Phibes. Molto brava anche HilaryDwyer (già vista nel Grande inquisitore con Vincent Price) che interpretaIsabella. La musica è di Michel Legrand.

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Capitolo settimo

AND SooN THE DARkNESS (1970) IL MoSTRo DELLA STRADA DI CAMPAgNA

Due ragazze inglesi, Cathy e Jane, vanno in vacanza in Provenza.Durante un’escursione in bicicletta, Cathy sparisce nel bosco. Jane cerca discoprire che fine abbia fatto l’amica e si imbatte in una serie di personaggiambigui. Quando crederà di essere al sicuro, trova il cadavere dell’amica erischia di essere uccisa lei stessa da un gendarme, che si scopre essere ilmaniaco assassino.

Le condizioni meteorologiche avverse spesso sono un valido aiuto perdefinire l’atmosfera dei film thriller, come dimostrano i tanti “gaslight dra-mas” di gusto vittoriano, con gli attori perennemente avvolti nelle nebbie, oSeven di David Fincher, dove una pioggia incessante definisce una sorta discenografia psicologica che funziona molto bene ai fini della narrazione.

Nel Mostro della strada di campagna, Fuest ha voluto invece andare con-trocorrente, evitando ogni possibile ausilio, mettendo in scena un omicidioche si svolge in pieno sole. L’idea fu di Brian Clemens, uno degli ideatoridella serie The Avengers, che pensò di cambiare per una volta le regole di ungenere, evitando la nebbia, la pioggia, il buio, e creando un contrasto netto edeciso tra una vicenda oscura e una giornata sfavillante.

Nacque così un film insolito, scritto da Clemens con Terry Nation, un altrogrande autore della tv britannica, e reclamizzato come un “sun-drenchednightmare”, “un incubo immerso nel sole”.

Come abbiamo già notato, per Fuest, che nasce come scenografo, gli spazisono fondamentali ai fini dell’azione, e spesso arrivano a condizionarla, senon a determinarla: un certo décor è sempre funzionale alle decisioni chevengono prese dai personaggi. La scenografia per Fuest è tanto un’estensio-ne degli interpreti quanto una specie di prologo della storia, sintetizzata in unracconto architettonico, come avviene con l’inquietante residenza londinesedel Dr. Phibes.

Qui le cose cambiano. Almeno per la prima parte del film Fuest accetta dibuon grado sia di non avere costruzioni ben definite che facciano parte del

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As Soon the Darkness (1970)

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Immagini

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Immagini

p. 145 Vincent Price e Valli Kemp in Dr. Phibes Rises Again.

p. 146 Valli Kemp nel ruolo di Vulnavia in Dr. Phibes Rises Again.

p. 147 Vincent Price interpreta il Dr. Phibes durante il viaggio in Egitto in Dr. Phibes Rises Again.

p. 148 Vincent Price nel ruolo del Dr. Phibes in Dr. Phibes Rises Again.

p. 149 Valli Kemp interpreta Vulnavia in Dr. Phibes Rises Again.

p. 150 Il Dr. Phibes all’organo in The Abominable Dr. Phibes (Courtesy Robert Fuest).

p. 151 Vincent Price e Valli Kemp in Dr. Phibes Rises Again.

p. 152 Un momento della lavorazione di The Abominable Dr. Phibes (Courtesy Robert Fuest).

p. 153 Fuest spiega una scena a Joseph Cotten e a Peter Jeffrey sul set di The Abominable Dr. Phibes

(Courtesy Robert Fuest).

p. 154 Milton Reid in Dr. Phibes Rises Again.

p. 155 Vincent Price e Alex Scott in The Abominable Dr. Phibes.

p. 156 Vincent Price e Robert Fuest in Dr. Phibes Rises Again (Courtesy Robert Fuest).

p. 157 Vincent Price e Robert Fuest in Dr. Phibes Rises Again (Courtesy Robert Fuest).

p. 158 Valli Kemp e Vincent Price in Dr. Phibes Rises Again.

p. 159 Joseph Cotten e Vincent Price in The Abominable Dr. Phibes.

p. 160 Valli Kemp, Robert Fuest e Vincent Price in Dr. Phibes Rises Again (Courtesy Robert Fuest).

p. 161 Peter Jeffrey, Joseph Cotten e Robert Fuest in The Abominable Dr. Phibes (Courtesy Robert Fuest).

p. 162 Robert Fuest sul set di And Soon the Darkness (Courtesy Robert Fuest).

p. 163 Valli Kemp come Vulnavia in Dr. Phibes Rises Again.

p. 164 Robert Quarry e Vincent Price in Dr. Phibes Rises Again.

p. 165 Valli Kemp e Vincent Price in Dr. Phibes Rises Again.

p. 166 Vincent Price e Valli Kemp in Dr. Phibes Rises Again.

p. 167 Vincent Price, il Dr. Phibes, in Dr. Phibes Rises Again.

p. 168 Fiona Lewis, Vincent Price e Valli Kemp sul set di Dr. Phibes Rises Again.

p. 169 Virginia North durante la lavorazione di The Abominable Dr. Phibes.

p. 170 Robert Fuest spiega una scena a Pamela Franklin sul set di And Soon the Darkness (Courtesy

Robert Fuest).

p. 171 Un disegno giovanile di Robert Fuest (Courtesy Robert Fuest).

p. 172 Robert Fuest.

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Sequenze immobili: Fuest pittoredi Mario Gerosa

Negli ultimi anni Robert Fuest, lasciata la macchina da presa, si dedicasoprattutto alla pittura, che poi è il suo primo amore. Infatti all’Accademia hastudiato pittura, prima di dedicarsi alla scenografia e quindi al cinema.Appare quindi come un percorso ciclico quello dell’autore de L’AbominevoleDr. Phibes, un itinerario che paradossalmente potrebbe comportare anche unatotale rilettura della sua opera e del suo mondo, alla luce di questa grandepassione, vista come fulcro per una serie di scelte creative. A quel punto certemovenze e certi modi di atteggiarsi di Phibes, riportati in ambito artistico eovviamente epurati del coté criminoso, potrebbero fare pensare al lifestyle ealla megalomania estetica di un genio e un istrione come Salvador Dalì, esempre rimanendo in tema di epopea phibesiana, si potrebbe azzardare un’i-dentificazione tra Vincent Price attore e Vincent Price cultore delle belle arti,in un complesso gioco di specchi. A questo proposito, va ricordato cheVincent Price, grande collezionista e esperto d’arte, scrisse anche alcuni libridi una certa importanza, come I Like What I Know. A Visual Autobiography(1959), dove raccontò e analizzò molte opere della sua raccolta, e The VincentPrice Treasury of American Art (1972).

Rimandando ai capitoli dedicati al Dr. Phibes per la trattazione del con-cetto dell’assassinio come una delle belle arti - un discorso ripreso anche daHickox in Oscar insanguinato - qui sottolineiamo invece la forte ciclicità deldiscorso sulla pittura, che ritorna periodicamente a informare, in diversimodi, l’opera di Fuest.

In verità il regista non ha mai abbandonato la sua passione originaria e laspecificità della pittura ritorna in tutti i suoi film, con rimandi più o menodecisi. Just Like a Woman è un film impregnato di Pop art, inglese ma ancheamericana (Scilla Alexander, la protagonista, per certi aspetti pare l’incarna-zione di un quadro con fumetto di Roy Lichtenstein); lo stesso The FinalProgramme ridefinisce cinematograficamente alcune trovate e invenzionidell’arte contemporanea, strizzando l’occhio a Lucio Fontana e agli architet-ti della Space Age, mentre in altri frangenti Fuest punta sul classico: esem-plari sono Wuthering Heights, che risente molto dell’influenza della pitturainglese del ’700, e Aphrodite, che appare come una rivisitazione postmoder-na della pittura vittoriana di Leighton e Alma-Tadema.

La pittura appare quindi come un imprescindibile motivo dominante perFuest, che non di rado ha dato ai suoi film una costruzione artistica vicina a

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The Boat, olio su tela, cm 92 x 152, (courtesy John Adams Fine Art, Londra).

The Church, olio su tela, cm 76 x 137, (courtesy John Adams Fine Art, Londra).

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