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Robert Musil

L'uomo senza qualità

II

Titolo originale: Der Mann ohne Eigenschaften.

Traduzione di Anita Rho.

Copyright 1957 Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino.

Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino.

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Indice.

L'uomo senza qualità.II. La sorella gemella.

Parte terza - Verso il Regno Millenario (I criminali)

1. La sorella dimenticata.2. Confidenza.3. Mattino nella casa in lutto.3. Mattino nella casa in lutto (continuazione).4. Avevo un camerata.5. Essi agiscono male.6. Il vecchio signore riposa finalmente in pace.7. Giunge una lettera di Clarisse.8. Famiglia in due.9. Agathe, quando non può parlare con Ulrich.10. Ulteriore decorso della gita al bastione degli svedesi. La morale del secondo passo.11. Dialoghi sacri. Inizio.12. Dialoghi sacri. Alterne vicende.13. Ulrich ritorna a casa e il generale lo informa di tutto ciò che ha perduto.14. Novità in casa di Walter e Clarisse. Un espositore e il suo pubblico.15. Il testamento.16. Incontro con il diplomatico marito di Diotima.17. Diotima ha cambiato lettura.18. La difficoltà di un moralista nello scrivere una lettera.19. Verso Moosbrugger.20. Il conte Leinsdorf dispera del capitale e della cultura.21. Getta nel fuoco tutto ciò che possiedi, anche le scarpe.22. Dalla monografia di Koniatowski sul teorema di Danielli al peccato originale. Dal

peccato originale al dilemma sentimentale della sorella.23. Bonadea ovvero la ricaduta.24. Agathe è proprio arrivata.25. I fratelli siamesi.26. Primavera nell'orto.27. Agathe è scoperta dal generale Stumm e introdotta in società.28. Troppa allegria.29. Il professor Hagauer prende la penna.30. Ulrich e Agathe cercano retrospettivamente un motivo.31. Agathe vorrebbe suicidarsi e fa la conoscenza di un signore.32. Il generale intanto accompagna Ulrich e Clarisse al manicomio.33. I pazzi salutano Clarisse.34. Si delinea un grande avvenimento. Il conte Leinsdorf e l'Inn.35. Sviluppo di un grande avvenimento. Il consigliere Meseritscher.36. Sviluppo del grande avvenimento. S'incontrano conoscenti.37. Un confronto.38. Sviluppi di un grande evento. Ma nessuno se n'è accorto.

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39. Dopo l'incontro.40. L'uomo dabbene.41. Fratello e sorella il giorno dopo.42. Sulla scala degli angeli in una casa sconosciuta.43. Il dabbene e il daccapo. Ma anche Agathe.44. Una importante spiegazione.45. Incomincia una serie di strane e meravigliose vicende.46. Raggi di luna in pieno giorno.47. Fra gli uomini.48. Ama il tuo prossimo come te stesso.49. Discorsi sull'amore.50. Difficoltà dove non se ne cercano.51. Amare è tutt'altro che semplice.52. Respiri di un giorno d'estate.

Il viaggio in paradiso.

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II

La sorella gemella

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Parte terza - Verso il Regno Millenario (I criminali)

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1.La sorella dimenticata

La sera dello stesso giorno, Ulrich, arrivato a... e uscito dalla stazione, si vide davanti una vasta piazza riarsa che alle estremità si restringeva in due strade, e la sua memoria ne ebbe quell'impressione quasi dolorosa che è propria di un paesaggio visto e rivisto e poi dimenticato.

"Le assicuro che i redditi son diminuiti del venti per cento e la vita è rincarata del venti per cento; fa il quaranta per cento, insomma!"

"Creda a me, la Corsa sei Sei giorni è un avvenimento che unisce i popoli!"Queste voci gli risonavano all'orecchio: le voci dello scompartimento. Poi sentì affermare

recisamente:"Il melodramma però io lo metto al di sopra di tutto!""È uno svago per lei?""No, una passione!"Ulrich inclinò il capo come si fa per scrollar via l'acqua dall'orecchio; nel treno affollato il viaggio era

stato interminabile; gocce di conversazione generale penetrate in lui durante il percorso rigurgitarono fuori. In mezzo al lieto trambusto dell'arrivo, che si era riversato nella quiete della piazza per la grande porta della stazione come attraverso la bocca d'un tubo, egli attese che si riducesse pian piano a uno sgocciolio e poi si trovò nel vuoto pneumatico del silenzio che segue al frastuono. E rimase lì con l'udito sconvolto, ma con un'insolita pace davanti agli occhi. Tutte le cose visibili apparivano con un maggior rilievo del solito, e laggiù in fondo alla piazza comunissime intelaiature di finestre spiccavano così nere sul pallido luccicare dei vetri come se fossero le croci del Golgota. Anche ciò che era in moto spiccava dalla quiete della strada, come non accade nelle città molto grandi. Cose mobili e cose immobili evidentemente qui avevano maggior spazio per dilatare la propria importanza. Egli lo scoprì con una certa curiosità del ritrovamento, e scrutò la città di provincia in cui aveva passato brevi ma poco piacevoli periodi della sua vita. Il carattere della cittadina, egli lo sapeva, era un miscuglio di internazionale e di coloniale. Un antichissimo nucleo di borghesia tedesca, capitato secoli innanzi in terra slava, vi era sfiorito, cosicché, tranne qualche chiesa e qualche cognome, ne era quasi sparito il ricordo; e anche dell'epoca in cui la città era stata sede degli Stati provinciali non rimaneva che un bel palazzo ben conservato; ma nel tempo dell'amministrazione assoluta, a quel passato si era sovrapposto l'apparato mastodontico di un governatorato imperiale coi suoi uffici centrali della provincia, con le scuole inferiori e superiori, le caserme, i tribunali, le carceri, il palazzo vescovile, il Casino, il teatro e tutti coloro che ne facevano parte, i mercanti e gli artigiani che tutto ciò comportava, così che infine era sorta anche un'industria d'imprenditori immigrati, le cui fabbriche avevano riempito compatte i sobborghi, influendo durante le ultime generazioni assai più di tutto il resto sulla sorte di quel lembo di terra. La città aveva una storia e aveva anche un volto, ma gli occhi non armonizzavano con la bocca, o il mento stonava con la capigliatura e dappertutto si vedevano i segni di una vita assai agitata ma intimamente vuota. Poteva darsi che questo, in certe particolari circostanze personali, favorisse sviluppi insoliti e singolari.

Per dirla con un'espressione altrettanto discutibile: Ulrich sentiva qualcosa di "spiritualmente immateriale" in cui ci si perdeva al punto d'essere tratti alle più bizzarre fantasie. Aveva in tasca lo strano messaggio del padre e lo sapeva a memoria: "Ti partecipo il mio avvenuto decesso", gli aveva fatto telegrafare il vecchio - o si doveva dire gli aveva telegrafato? - e anche qui si rivela quella sua tendenza al fantastico, perché il dispaccio era firmato: "tuo padre" Sua Eccellenza l'Autentico Consigliere Segreto non scherzava mai nei momenti gravi; la stravagante formulazione della notizia era quindi anche diabolicamente logica, perché era lui stesso che informava il figlio, quando in attesa della propria fine scriveva quelle parole o le dettava ad altri e fissava all'attimo susseguente al suo ultimo

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respiro l'entrata in vigore del documento; forse, anzi, l'evento non si sarebbe potuto esprimere più esattamente di così, eppure da quel fatto, in cui il presente tentava di dominare un futuro che non avrebbe più vissuto, spirava un sinistro odor cadaverico di volontà irosamente putrefatta.

Davanti a quell'atteggiamento, che per qualche ragione gli ricordava il gusto volutamente superficiale delle cittadine di provincia, Ulrich pensò non senza angustia alla sorella maritata, che stava per rivedere.

Durante il viaggio aveva già pensato a lei, perché non ne sapeva quasi nulla. Di tanto in tanto con le lettere del padre gli erano giunte le regolamentari notizie di famiglia, ad esempio: "Tua sorella Agathe si è sposata", seguite da commenti integrativi perché Ulrich non aveva potuto esser presente alle nozze. Dopo un anno aveva ricevuto l'annunzio di morte del giovane cognato; tre anni dopo, se la memoria non l'ingannava, il padre gli aveva scritto: "Tua sorella Agathe, con mia soddisfazione, s'è decisa a riprender marito" A quel secondo matrimonio, cinque anni prima, egli era intervenuto e per qualche giorno aveva visto la sorella; ma si rammentava soltanto che quel periodo era stato come una "Gran Ruota" di lini bianchi che girava senza posa. E del marito ricordava soltanto che non gli era piaciuto. Agathe allora doveva avere ventidue anni, e lui, Ulrich, ventisette anni, perché si era appena laureato; dunque la sorella aveva adesso ventisette anni, e lui da allora non l'aveva più veduta né era stato in corrispondenza con lei. Ricordò che il padre poi gli aveva scritto ripetutamente: "La vita coniugale di tua sorella non è purtroppo come dovrebb'essere, benché suo marito sia un ottimo uomo" E anche: "I recenti buoni successi del marito di tua sorella Agathe mi hanno molto rallegrato"

Così all'incirca dicevano quelle lettere alle quali egli disgraziatamente non aveva mai fatto molta attenzione; ma una volta, ora Ulrich lo rammentava benissimo, mentre lamentava la sterilità della figlia, il genitore aveva espresso tuttavia la speranza che il matrimonio fosse felice, anche se Agathe col suo carattere non lo avrebbe mai ammesso.

"Che aspetto avrà adesso?" pensò Ulrich. Una delle stranezze del padre, che con tanta sollecitudine li teneva reciprocamente informati delle loro vicende, era stata quella di metterli fuori di casa in tenera età, subito dopo la morte della mamma; erano stati educati in istituti diversi e a Ulrich, allievo scadente, ben di rado era stato concesso di tornare a casa per le vacanze, cosicché fin dall'infanzia, pur essendosi allora molto amati, i due non si erano quasi più visti, eccettuato un incontro abbastanza lungo quando Agathe aveva dieci anni.

Sembrava naturale ad Ulrich che date le circostanze non vi fosse mai stato tra loro nessuno scambio di lettere. Che cosa avrebbero mai potuto scriversi? Quando Agathe si era sposata la prima volta, lui era sottotenente e si trovava all'ospedale per una ferita riportata in duello: Dio che asineria da parte sua, anzi, quante asinerie diverse! Infatti gli venne in mente che quel duello e quella ferita non coincidevano affatto colla sua attività di tenente; allora egli era già quasi ingegnere e aveva "occupazioni importanti" le quali appunto lo avevan tenuto lontano dalla cerimonia familiare! E di sua sorella sentì dire più tardi che aveva molto amato il primo marito; non ricordava più da chi l'avesse udito, ma infine che cosa significa "aveva molto amato"? Son cose che si dicono. Si era rimaritata e Ulrich non poteva soffrire il secondo marito: quest'era l'unica cosa certa! Non soltanto ne aveva una cattiva impressione personale, ma non gli eran piaciuti neanche i libri di lui che aveva letto, e forse non senza intenzione da allora in poi aveva bandito la sorella dalla propria memoria. Ciò non era bello: doveva confessare che persino in quest'ultima annata, pur avendo pensato a tante mai cose, non s'era affatto ricordato di lei, nemmeno nel ricevere la notizia ferale. Ma sceso dal treno aveva chiesto al vecchio domestico venuto a incontrarlo se il cognato fosse già giunto; e udendo che il professor Hagauer era atteso soltanto per le esequie se ne rallegrò, e sebbene non potesse trattarsi che di un intervallo di due o tre giorni, gli parve un periodo illimitato di clausura da trascorrere vicino alla sorella come se loro due fossero le persone più intimamente legate di questo mondo. Sarebbe stato inutile chiedersi come mai; forse l'idea della "sorella sconosciuta" era una di quelle vaste astrazioni in cui trovan posto molti sentimenti che in nessun luogo sono veramente a casa loro.

Mentre lo occupavano tali problemi, Ulrich era entrato a poco a poco nella città nota e ignota che gli

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si dischiudeva. Si era lasciato dietro la carrozza con le valige - in cui all'ultimo momento aveva messo anche parecchi libri - e col vecchio domestico, già parte dei suoi ricordi infantili, che cumulava l'ufficio di maggiordomo, economo e bidello universitario, in un complesso di cui con l'andar degli anni si erano quasi cancellati i confini interni; era probabilmente a quell'uomo chiuso e modesto che il padre di Ulrich aveva dettato il funebre telegramma. Con lieta meraviglia i piedi di Ulrich percorrevano la strada verso casa, mentre i suoi sensi ora svegli e curiosi accoglievano le impressioni nuove con le quali ogni città in via di sviluppo sorprende chi da molto tempo ne è rimasto lontano. Giunte a un punto, che riconobbero prima di lui, le sue gambe lasciarono la strada principale, ed egli si trovò poco dopo in una via stretta, limitata da due muri di cinta. Laggiù da un lato sorgeva la casa di due soli piani con la parte centrale più alta, di fianco la vecchia scuderia, e, appoggiata al muro del giardino, la casetta dove abitava il domestico con la moglie; pareva che il vecchio padrone nonostante la fiducia li avesse confinati il più lontano possibile, cingendoli tuttavia entro le proprie mura. Soprappensiero Ulrich era giunto alla porta chiusa del giardino e aveva già lasciato cadere il battente, appeso invece d'un campanello all'uscio basso e nero, prima che il suo compagno lo raggiungesse di corsa e lo facesse accorto dell'errore.

Dovettero tornare indietro, costeggiando il muro, fino all'ingresso principale, dov'era ferma la carrozza, e solo nel momento in cui si vide davanti la chiusa facciata della casa Ulrich notò che sua sorella non era venuta alla stazione. Il domestico gli disse che la signora aveva l'emicrania e dopo mangiato era salita in camera dando ordine di svegliarla all'arrivo del signor dottore. Ulrich domandò se la signora era soggetta al mal di capo, e rimpianse subito quella inavvertenza che al vecchio uomo di fiducia della casa paterna denunziava la sua estraneità e toccava rapporti di famiglia su cui era meglio tacere.

- La signora ha dato ordine di servire il tè fra mezz'ora, - rispose contegnosamente il vecchio con un viso cieco e compassato che dava a capire com'egli non intendesse nulla di quanto esulava dai suoi doveri.

Involontariamente Ulrich guardò su verso le finestre, nella supposizione che Agathe fosse dietro i vetri a osservare il suo arrivo. "Sarà simpatica?" si chiese, e rifletté con fastidio che il soggiorno sarebbe stato assai sgradevole se ella non gli fosse piaciuta. Che non fosse venuta alla stazione né alla porta gli parve però un fatto incoraggiante, ciò dimostrava fra loro una certa affinità di sentire, perché tutto ben considerato, precipitarglisi incontro sarebbe stato assurdo quanto da parte sua correre appena arrivato al cataletto del padre. Le mandò a dire che sarebbe stato pronto fra mezz'ora e andò a mettersi un poco in ordine. La camera in cui fu condotto era al secondo piano dell'edificio centrale ed era stata la sua camera di bambino, ora stranamente integrata con alcuni mobili messi insieme a casaccio, suppellettili necessarie alle comodità degli adulti.

"Immagino che non sia il caso di spostarli, finché c'è il morto in casa", pensò Ulrich, e si sistemò su quelle macerie della sua fanciullezza, con una certa difficoltà ma anche con una sensazione piacevole che saliva come una nebbia dall'impiantito. Voleva mutarsi d'abito e gli venne l'idea d'indossare una specie di pigiama che disfacendo la valigia gli era capitato tra le mani. "Però avrebbe potuto almeno venire a salutarmi al mio ingresso in casa!" pensò, e c'era un lieve rimprovero nella scelta di un indumento così intimo, quantunque l'intuizione che sua sorella doveva avere qualche buon motivo per agire come agiva rimanesse viva in lui e conferisse al mutamento d'abito qualcosa della cortesia che è nell'espressione libera della confidenza.

Era un ampio pigiama di lana morbida quello che egli indossò, quasi un vestito da Pierrot, a quadri neri e grigi, legato ai polsi e alle caviglie come alla vita; gli piaceva perché era comodo, come ben sentiva scendendo le scale, dopo la notte di veglia e il lungo viaggio. Ma quando entrò nella stanza dove la sorella lo attendeva ebbe una grossa sorpresa, perché per uno strano capriccio del caso si trovò di fronte a un altro Pierrot, biondo, alto, vestito a quadri color gridellino e ruggine, che a prima vista gli somigliava moltissimo.

- Non sapevo che fossimo gemelli! - disse Agathe e il suo viso sorrise rischiarato.

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2.Confidenza

Non si erano abbracciati per salutarsi, ma avevan sostato cordialmente l'uno di fronte all'altra, poi cambiarono posizione e Ulrich poté esaminare la sorella. Di statura stavano bene insieme, i capelli di Agathe erano più chiari dei suoi, ma anch'ella aveva la profumata secchezza di pelle che era l'unica cosa che Ulrich amasse del proprio corpo. Il suo petto non si perdeva in sinuosità, era invece sottile e vigoroso, e le membra parevano avere l'affusolata snellezza in cui si fondono beltà e agilità naturale.

- Spero che l'emicrania ti sia passata, non se ne vede più traccia, disse Ulrich.- Non avevo l'emicrania, era soltanto una scusa, perché non potevo incaricare il domestico di un

messaggio più complicato, - ella spiegò; - si trattava di fiacca, nient'altro: dormivo. Qui mi sono abituata a dormire ogni volta che ho un minuto libero. Devi sapere che sono estremamente pigra; per disperazione, credo. E quando ebbi la notizia che tu arrivavi, mi dissi: adesso sarà l'ultima volta, spero, che mi piglia la sonnolenza; e mi abbandonai a una specie di sonno della guarigione. Per uso del domestico però, tutto ben considerato, l'ho chiamato emicrania.

- Non fai sport? - domandò Ulrich.- Un po' di tennis. Ma detesto lo sport.Mentre ella guardava, Ulrich osservò ancora una volta il viso di Agathe. Non gli parve che

somigliasse molto al suo; ma forse sbagliava, poteva somigliargli come un pastello a una scultura di legno, così che la diversità del materiale non lasciava apparire la concordanza dei lineamenti e delle superfici. Quella faccia lo inquietava per chi sa quale motivo. Dopo un po' si rese conto che era perché non riusciva a capire che cosa esprimesse. Vi mancava ciò che permette di trarre le usuali conclusioni intorno a una persona. Era un viso pieno di contenuto, ma senza nulla di sottolineato e compendiato nel modo consueto in tratti caratteristici.

- Come mai anche tu ti sei vestita così? - chiese Ulrich.- Non saprei, - rispose Agathe. - Pensavo che sarebbe stato carino.- Molto carino! - confessò Ulrich ridendo. - Ma è veramente un gioco magico del caso! E la morte di

nostro padre, a quel che vedo, non ha sconvolto neppure te, vero?Agathe si sollevò lentamente sulla punta dei piedi e si lasciò ricader giù nello stesso modo.- Tuo marito è qui? - domandò il fratello tanto per dir qualcosa.- Il professor Hagauer verrà soltanto per i funerali. - Pareva contenta dell'occasione di pronunziare

quel nome in tono così cerimonioso e di scostarlo da sé come qualcosa di estraneo.Ulrich non sapeva che cosa rispondere.- Già, me l'hanno detto, mormorò.Si guardarono di nuovo e poi, in ossequio alla consuetudine, andarono nella cameretta dov'era

esposta la salma.Fin dal mattino la stanza era stata oscurata artificialmente; era satura di nero. Fiori e candele accese

mandavano luce e odore. I due Pierrot stavano lì ritti davanti al morto e parevano guardarlo.- Non tornerò più con Hagauer! disse Agathe, perché fosse detto per sempre. Si sarebbe potuto

pensare che dovesse udirlo anche il morto.Quegli giaceva sul letto mortuario, come aveva disposto: vestito in marsina, coperto dal sudario fino

alla cintola, e ne emergevano la camicia inamidata, le mani incrociate senza crocifisso, le decorazioni. Piccole dure arcate sopraccigliari, guance incavate, labbra cascanti. Cucito nella pelle di morto, orrenda e senz'occhi, che è ancora una parte della persona ed è già estranea; la sacca da viaggio della vita. Involontariamente Ulrich si sentì scosso alle radici dell'essere, dove non vi sono sentimenti né pensieri;

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ma in nessun altro luogo. Se avesse dovuto esprimerlo, avrebbe soltanto potuto dire che era la fine di una fastidiosa relazione senza amore. Come un cattivo matrimonio rende cattive le persone che non possono liberarsene, lo stesso fa ogni legame opprimente calcolato per l'eternità, quando la vita temporale gli si affloscia sotto e non c'è più.

- Avrei avuto piacere se tu fossi venuto prima, - continuò Agathe, - ma papà non l'ha permesso. Volle dare lui tutte le disposizioni per quel che riguardava la sua morte. Credo che gli sarebbe stato penoso morire sotto i tuoi occhi. Io son qui già da due settimane; è stato spaventevole.

- Ma ti voleva bene, almeno? -domandò Ulrich.- Di tutte le disposizioni da prendere incaricò il vecchio Franz, e da allora in poi faceva l'impressione

di un uomo che non ha più niente da fare e si sente senza scopo. Ma ogni quarto d'ora circa alzava la testa e guardava se io ero in camera. Così fu nei primi giorni. In seguito diventarono mezz'ore e poi ore intere e durante gli ultimi terribili giorni non lo fece più che due o tre volte. E in tutto quel tempo non mi disse mai una parola, a meno che non lo interrogassi io.

Mentre ella narrava, Ulrich pensò: "In fondo è molto dura. Già da bambina era straordinariamente testarda con quel suo fare tranquillo. Eppure, non sembra arrendevole?" E d'un tratto lo colpì il ricordo di una valanga. In un bosco lacerato da una slavina per poco egli non aveva perduto la vita. Era una nuvola bianca di neve farinosa che smossa da una forza incoercibile era diventata dura come una montagna che precipita.

- Me l'hai mandato tu il telegramma? - domandò.- No, il vecchio Franz. Era già tutto predisposto. Papà non si lasciava neanche curare da me. Certo

non mi ha mai voluto bene e non so davvero perché mi abbia fatto venire. Io qui mi trovavo malissimo e mi chiudevo in camera più spesso che potevo. Ed è stato in un'ora così che lui è morto.

- Probabilmente voleva dimostrarti che commettevi un errore. Vieni! disse Ulrich con amarezza e la condusse fuori. - Ma forse desiderava che tu gli accarezzassi il capo? Che tu ti inginocchiassi accanto al suo letto? Se non altro perché aveva sempre sentito dire che si fa così nel momento dell'addio supremo fra padre e figli. Ma non s'è lasciato uscire di bocca quel desiderio.

- Forse, - disse Agathe.Si erano fermati sulla soglia e lo guardavano.- Tutto questo è orribile, in fondo! - disse Agathe.- Sì, - confermò Ulrich. - E se ne sa così poco. Mentre uscivano dalla stanza Agathe si fermò ancora

una volta e disse a Ulrich:- Mi dispiace di aggredirti con una notizia di cui naturalmente ti importerà poco: ma appunto

durante la malattia di papà ho deciso di non tornare in nessun caso da mio marito!Tanta protervia fece sorridere involontariamente Ulrich, perché Agathe aveva una ruga diritta fra gli

occhi e parlava con veemenza; sembrava temere che lui non avrebbe preso le sue parti, e faceva pensare a un gatto che ha molta paura e perciò passa coraggiosamente all'attacco.

- E lui è d'accordo? - chiese Ulrich.- Non gliel'ho ancora detto, - rispose Agathe. - Ma temo che non vorrà saperne.Il fratello la guardò con aria interrogativa. Ma lei scosse energicamente la testa:- Oh no, non è quel che pensi; non c'è di mezzo un terzo! - ella protestò.Per il momento il discorso terminò lì. Agathe si scusò di non aver avuto maggior riguardo per la

fame e per la stanchezza di Ulrich, lo condusse in una stanza dove il tè era pronto, e poiché mancava qualcosa andò lei stessa a prenderlo. Ulrich approfittò di quel momento di solitudine per richiamarsi alla mente, come meglio poteva, il marito di lei, allo scopo di capirla meglio. Era un uomo di statura media, con la schiena incavata, le gambe arcuate in un paio di calzoni grossolanamente tagliati, le labbra un po' tumide sotto i baffi ispidi e una predilezione per le cravatte a grossi disegni, probabilmente intese a mostrare che lui non era un professore qualunque bensì un aspirante a far carriera. Ulrich sentì risvegliarsi la sua antica diffidenza verso l'uomo scelto da Agathe, ma che egli potesse celare dei vizi

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segreti era da escludersi, bastava ricordare la luce schietta che splendeva sulla fronte e negli occhi di Gottlieb Hagauer. "È semplicemente l'uomo evoluto e capace, il valentuomo che contribuisce nel proprio campo al progresso dell'umanità senza immischiarsi nelle cose che non gli interessano", stabilì Ulrich, e ripensando anche agli scritti di Hagauer cadde in meditazioni non del tutto liete.

Persone di quel genere si qualificano già fin dai banchi di scuola. Come si suol dire, scambiando l'effetto con la causa, essi studiano non tanto coscienziosamente quanto ordinatamente e praticamente. Ad ogni compito si preparano prima, come, la sera, uno si prepara gli abiti e perfino i bottoni se al mattino vuole vestirsi in fretta e senza sbagli; non c'è nessun ragionamento che mediante cinque o dieci bottoni così preparati non si possa abbottonare saldamente al loro cervello, e bisogna convenire che il risultato non è da buttar via e resiste alla prova. In tal modo diventano ottimi scolari senza esser moralmente sgradevoli ai loro compagni, e gli individui che come Ulrich oscillano spinti dal proprio carattere fra un lieve eccesso e un altrettanto lieve difetto, vengono superati da loro con una avanzata lenta e inesorabile come il destino, anche se sono molto più dotati d'ingegno. Ulrich si accorgeva di avere una segreta avversione per quegli uomini superiori, perché la loro precisione mentale faceva apparire un po' vano il suo oscillante amore per la precisione.

"Non hanno manco un filo d'anima, - egli pensò, e son gente bonaria; dopo i sedici anni, quando i giovani si esaltano per i problemi spirituali, essi rimangono in apparenza un po' indietro agli altri e non son molto capaci di capire pensieri e sentimenti nuovi, ma anche lì lavorano con i loro dieci bottoni, e viene il giorno in cui possono dar prova di aver sempre capito tutto, "certo senza arrivare a impossibili estremi" e alla fine sono poi loro che introducono nella vita le nuove idee quando queste per gli altri sono svaniti ricordi di gioventù o esagerazioni solitarie!"

Così Ulrich, quando sua sorella ritornò, ancora non poteva immaginare che cosa le fosse accaduto, ma sentiva che una lotta contro il marito di lei, anche se ingiusta, avrebbe avuto un'abbietta tendenza a procurargli piacere.

Pareva che Agathe ritenesse inutile addurre un motivo ragionevole della sua risoluzione. Quel matrimonio, come non poteva essere altrimenti, dato il carattere di Hagauer, esteriormente appariva perfetto. Non c'eran litigi e quasi neanche divergenze d'opinione; non foss'altro perché Agathe, com'ella disse, non gli comunicava mai le proprie idee in nessun campo. Naturalmente non si trattava di eccessi: né alcolismo, né gioco. E nemmeno di abitudini da scapolo. Le entrate erano giustamente divise. L'ordine regnava nella casa. Le riunioni numerose come le serate a quattr'occhi avevano un corso tranquillo.

- Dunque, se tu lo lasci senza un motivo, - disse Ulrich, - il divorzio sarà pronunziato per colpa tua, ammesso ch'egli voglia chiederlo.

- Lo chieda pure! - dichiarò Agathe.- Forse sarebbe bene concedergli qualche facilitazione finanziaria, se lui consente a una soluzione

amichevole?- Io ho portato via solo quanto mi occorreva per un viaggio di tre settimane, - ella rispose, - oltre a

qualche ninnolo da poco, qualche ricordo di prima. Tutto il resto se lo tenga pure, io non lo voglio. Ma per l'avvenire non intendo concedergli il minimo vantaggio!

Queste frasi ella le pronunziò di nuovo con strana violenza. Si poteva interpretarlo così, che Agathe volesse vendicarsi di avere in altri tempi concesso troppi privilegi al marito. La bellicosità di Ulrich, il suo senso sportivo, la sua fervida fantasia nel superare gli ostacoli si svegliarono a un tratto, sebbene la cosa gli dispiacesse; perché era come l'azione di uno stimolante che mette in moto gli effetti esterni, mentre quelli interni rimangono ancora intoccati. Egli sviò il discorso e cercò tentativamente di veder più chiaro.

- Ho letto qualcosa di suo e ne ho anche udito parlare, - egli disse; - a quanto ne so, nel campo dell'istruzione e dell'educazione è considerato l'uomo dell'avvenire.

- Oh certo, - confermò Agathe.

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- Dalla mia conoscenza dei suoi scritti, direi ch'egli non soltanto è un pedagogo ferrato in ogni problema, ma anche uno dei primi sostenitori di una riforma dei nostri istituti superiori. Ricordo di aver letto un suo libro che descriveva il valore insostituibile dell'istruzione storico-umanistica per la formazione morale, dell'istruzione scientifico-matematica per la formazione spirituale, e infine della disciplina militare e dello spirito sportivo per l'educazione all'azione. Non è così?

- Credo bene, - disse Agathe; - ma hai osservato le sue citazioni?- Citazioni? Aspetta; mi sembra vagamente di aver notato qualcosa. Ne fa moltissime. Citazioni di

classici. Naturalmente... già, cita anche i contemporanei; ah, ecco, ho trovato: per un pedagogo egli cita in maniera addirittura rivoluzionaria non soltanto i grandi maestri della pedagogia, ma anche i costruttori d'aeroplani, gli uomini politici e gli artisti del giorno... Ma in fin dei conti è soltanto quello che ho detto poc'anzi, no...? - concluse con quel senso di liquidazione e di avvilimento con cui un ricordo che ha sbagliato binario va a sbattere contro il respingente.

- Il suo sistema, - completò Agathe, - è di citare senza esitazioni, in fatto di musica, mettiamo, fino a Richard Strauss, o in pittura fino a Picasso; ma non farà mai, neanche per confutarlo, un nome che non si sia già conquistato un certo diritto di cittadinanza nei giornali, se non altro con critiche avverse!

Proprio così. Era questo che Ulrich cercava nel ricordo. Egli alzò gli occhi. La risposta di Agathe gli piaceva, per il gusto e il dono d'osservazione che rivelava.

- Così è diventato un capo, una guida, mettendosi nelle prime file di quelli che seguono i tempi, - commentò sorridendo. - Chi arriva più tardi, lo vede già davanti a sé. Ma tu li ami i nostri capiscuola?

- Non lo so. Ad ogni modo io non faccio citazioni.- Via siamo modesti, - esortò Ulrich. - Il nome di tuo marito è un programma che per molti

rappresenta il massimo. La sua opera costituisce un progresso, piccolo ma solido. La sua ascesa non può più tardar molto. Prima o poi diventerà almeno professore d'università, anche se finora si è guadagnato il pane come insegnante di scuola media; e io vedi, che non avevo altro da fare se non quello che trovavo sulla mia strada diritta, oggi sono ridotto al punto che forse non riuscirò nemmeno a prendere una libera docenza: vuol già dire qualche cosa!

Agathe era delusa, e fu probabilmente per questo che il suo viso prese l'aspetto marmoreo e inespressivo di una gran dama, mentre rispondeva cortesemente:

- Non so; forse tu devi usare a Hagauer certi riguardi?- Quando arriva? - domandò Ulrich.- Solo per i funerali; non si concede che il tempo necessario. Ma non voglio che abiti qui in casa,

non lo permetterò assolutamente!- Come vuoi tu! - decise Ulrich di punto in bianco. - Andrò io alla stazione e lo accompagnerò in un

albergo. E lì, se tu lo desideri, gli dirò: la sua camera è questa!Agathe fu stupita e improvvisamente entusiasta.- Sarà irritatissimo, perché è una spesa, e lui s'aspetta di certo di abitare qui gratis! - La sua faccia era

cambiata di colpo e aveva ripreso un'espressione infantilmente proterva, come per una birichinata.- Come stanno le cose? - chiese il fratello. - Questa casa è tua, mia o di tutt'e due? C'è un

testamento?- Papà mi ha fatto consegnare un grosso plico che contiene tutto ciò che dobbiamo sapere -

Andarono entrambi nello studio, che era al di là della camera ardente.Passarono di nuovo fra la luce dei ceri, il profumo dei fiori, nella sfera di quei due occhi che non

vedevano più. Nella mezza luce guizzante Agathe per un attimo non fu che una nebbia luminosa d'oro, di grigio e di roseo. Trovarono il testamento, e tornarono con le carte al loro tavolino da tè, dove dimenticarono poi di aprire il pacco di documenti.

Perché, quando si rimisero a sedere, Agathe informò il fratello che essa viveva ormai come divisa dal marito, sebbene sotto lo stesso tetto; non disse da quanto tempo era già così.

La cosa fece ad Ulrich una cattiva impressione. Certe donne maritate, quando credono che un uomo

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potrebbe diventare il loro amante gli raccontano quella storiella; e quantunque Agathe avesse parlato con esitazione, anzi con impaccio, come se avesse preso la maldestra risoluzione di dare scandalo, gli dava fastidio che ella non avesse trovato niente di meglio da propinargli, e lo giudicò un'esagerazione.

- Già non ho mai capito come tu potessi vivere con quell'uomo! - replicò schiettamente.Agathe rispose che l'aveva voluto il padre; e chiese in che modo ella avrebbe potuto opporsi.- Ma allora eri già vedova, mica una ignara verginella!- Appunto per questo. Ero ritornata dal babbo; tutti dicevano che ero troppo giovane per vivere

sola, perché pur essendo già vedova avevo solo diciannove anni. E poi la vita qui mi era divenuta insopportabile.

- Ma non potevi cercarti un altro marito? O studiare per farti una vita indipendente? - domandò Ulrich senza riguardi.

Agathe si limitò a scuotere il capo. Solo dopo un breve silenzio rispose:- Ti ho già detto che sono pigra. - Ulrich sentì che non era una risposta.- Dunque avevi una ragione particolare per sposare Hagauer?- Sì.- Amavi un altro che non potevi sposare? Agathe esitò:- Amavo il mio primo marito.Ulrich rimpianse di aver usato così correntemente la parola amore, come se ritenesse inviolabile

l'importanza dell'istituzione sociale che essa designa. "Quando si vuol recare conforto, non si riesce che a fare un'elemosina!" egli pensò. Tuttavia si sentiva spinto a continuare sullo stesso tono.

- E poi hai visto che cosa ti è accaduto, e hai messo Hagauer nei guai, - osservò.- Sì, - confermò Agathe. - Ma non subito... più tardi, - soggiunse. - Molto più tardi, anzi.Qui iniziarono una piccola discussione.Si vedeva che ad Agathe quelle confessioni costavano uno sforzo, sebbene ella le facesse

spontaneamente e, come accade alla sua età, considerasse le vicende della vita sessuale un importante argomento di conversazione. Sembrava che per lei l'essenziale stesse nell'intendersi o non intendersi fin dalla prima volta, ella cercava confidenza ed era decisa, non senza generosità e passione, a conquistare il fratello. Ma Ulrich, sentendosi ancora nell'umore di chi dona, non era capace di venirle subito incontro. Nonostante la sua forza morale non era sempre libero dai pregiudizi che il suo spirito respingeva, perché troppo sovente aveva lasciato che la sua vita andasse come voleva, e il suo spirito diversamente. E avendo troppe volte usato e abusato del suo influsso sulle donne con il gusto di un cacciatore che preda e spia, s'era poi quasi sempre scontrato con l'immagine corrispondente, in cui la donna è la selvaggina che si abbatte colpita dalla lancia d'amore dell'uomo, e gli stava nella memoria la voluttà dell'umiliazione alla quale la donna innamorata si assoggetta mentre l'uomo è molto lontano da una simile dedizione. Tale concetto maschile della debolezza femminile è ancor oggi molto corrente, benché con le successive ondate di giovani generazioni siano sorte interpretazioni più nuove, e la naturalezza con cui Agathe parlava della propria dipendenza da Hagauer urtava il fratello. Pareva a Ulrich che ella avesse subito un oltraggio senza rendersene ben conto, quando s'era posta sotto l'influsso di un uomo che non le piaceva, e vi era rimasta per parecchi anni. Egli non lo disse, ma Agathe dovette leggergli in viso qualcosa di simile perché disse improvvisamente:

- Non potevo mica piantarlo subito, dal momento che l'avevo sposato; sarei parsa un'esaltata!Ulrich - sempre quell'Ulrich in una posizione di fratello maggiore e di povertà concettuale

pedagogico-benefattrice - balzò su di scatto ed esclamò:- Sarebbe davvero da esaltati sentire un'avversione e trarne subito tutte le conseguenze? Cercò di

mitigare la sua veemenza sorridendo e guardando la sorella con tutta la gentilezza possibile.Anche Agathe lo guardava e aveva il viso tutto aperto da quello sforzo di scrutare nei tratti di lui.- Una persona sana non può mica essere così sensibile alle cose sgradevoli! - ella ripeté. - Che

importanza ha in fondo?

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La conseguenza fu che Ulrich si riprese e non volle più abbandonare i suoi pensieri a una parte del suo Io. Adesso era di nuovo l'uomo della comprensione funzionale.

- Hai ragione, - disse, - che cosa importano i fatti come tali! Quel che conta è il sistema di concetti attraverso il quale li consideriamo, e il sistema personale in cui sono inseriti.

- Come dici? - chiese Agathe diffidente. Ulrich si scusò per il proprio linguaggio astratto, ma mentre cercava un esempio facile la sua gelosia fraterna tornò a galla e dominò la sua scelta:

- Supponiamo che una donna, che non ci è indifferente, sia stata violentata, - egli spiegò. - Secondo un sistema concettuale eroico ci dovremmo aspettare la vendetta o il suicidio; secondo un sistema cinico-empirico, che ella scuota via la cosa da sé, come una gallina; e quello che accadrebbe oggi in realtà, sarebbe probabilmente un miscuglio dei due: ma una tale contaminazione è più brutta di tutto.

Ma Agathe non approvava neanche questa formulazione del problema.- Ti pare proprio così terribile? - domandò semplicemente.- Non lo so. Mi pareva che fosse umiliante vivere con una persona che non si ama. Ma adesso...

Come vuoi tu!- Non è forse peggio quando una donna, volendo risposarsi meno di tre mesi dopo il divorzio, è

sottoposta per ordine dello Stato a una visita ginecologica per stabilire, a cagione del diritto ereditario, se non sia incinta? Ho letto che è così! - La fronte di Agathe sembrava arrotondarsi nell'ira della difesa e aveva di nuovo la piccola ruga verticale fra le sopracciglia. - E tutte vi si adattano, poiché non se ne può fare a meno! - ella aggiunse con disprezzo.

- Non ti posso contraddire, - replicò Ulrich; - tutti gli eventi, quando capitano veramente, passano come la pioggia e il bel tempo. Forse tu sei molto più ragionevole di me, quando consideri le cose con naturalezza; ma la natura dell'uomo non è naturale, bensì vuol mutare la natura, e perciò qualche volta si esalta - Il suo sorriso chiedeva amicizia e il suo occhio vedeva com'era giovane il viso di lei. Quando s'inquietava non s'increspava quasi; anzi ciò che accadeva al di dentro lo rendeva ancor più liscio, come un guanto nel quale la mano si stringe a pugno.

- Non ci ho mai pensato così in generale, - ella rispose infine. - Ma dopo averti ascoltato mi sembra di nuovo di esser vissuta terribilmente nell'orrore!

- È soltanto perché, - spiegò il fratello chiedendo con uno scherzo quella reciproca confessione di colpa, - perché tu mi hai già detto spontaneamente moltissimo eppure non l'essenziale. Come posso veder giusto, se tu non mi confidi nulla dell'uomo per il quale abbandoni finalmente Hagauer!

Agathe lo guardò come un bambino o come uno scolaro offeso dal suo maestro:- Deve proprio esserci un uomo? Non può succedere da sé? Ho fatto qualcosa di male perché me ne

sono andata senza un amante? Forse mentirei se dicessi di non averne mai avuto nessuno; non voglio esser così ridicola: ma adesso non ce l'ho e me l'avrei a male se tu credessi che me ne occorre assolutamente uno per lasciare Hagauer!

Al fratello non rimase che assicurarle che le donne passionali abbandonano i mariti anche senza avere un amante, e che secondo lui anzi era la cosa più degna.

Il tè per il quale s'erano incontrati era divenuto una cena antipatica e irregolare perché Ulrich era stanchissimo e aveva pregato Agathe di disporre così per andare a letto presto e prepararsi con una buona dormita al giorno dopo che prometteva molta agitazione e molto da fare. Prima di separarsi fumarono le loro sigarette, e Ulrich non vedeva chiaro nella sorella. Ella non aveva nulla della donna emancipata o zingaresca, anche se per ricevere il fratello sconosciuto aveva indossato quegli ampi calzoni. Piuttosto faceva pensare a un ermafrodito, così gli pareva adesso; il leggero abito maschile, nei movimenti della conversazione, lasciava indovinare con la semitrasparenza d'uno specchio d'acqua la forma delicata che c'era sotto, e in contrasto con le gambe libere e disinvolte ella portava i bei capelli femminilmente acconciati. Il centro di quelle espressioni contrastanti era però sempre il viso che possedeva in alta misura il fascino della donna, tuttavia con una certa riserva di cui egli non riusciva a definire l'essenza.

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E sapere così poco di lei e intrattenersi con lei così intimamente e tuttavia così diversamente che con una donna per la quale egli fosse un uomo, era una cosa molto piacevole, pur nella stanchezza cui cominciava a soccombere.

"Che cambiamento da ieri!" egli pensò.Ne era pieno di riconoscenza e si sforzò di dire ad Agathe qualcosa di affettuosamente fraterno nel

congedarsi, ma poiché non v'era abituato non trovò nulla. Così la prese soltanto fra le braccia e la baciò.

3.Mattino nella casa in lutto

Il mattino dopo Ulrich balzò dal sonno di buon'ora, liscio come un pesce che salta fuori dall'acqua; era conseguenza dell'aver smaltito senza sogni e senza residui la stanchezza del giorno prima. In cerca di una colazione gironzolò per tutta la casa. L'apparato funereo non vi funzionava ancora in pieno e soltanto un profumo di lutto aleggiava per tutte le stanze; gli ricordò un negozio già aperto di primo mattino mentre la strada è ancora deserta. Poi tolse dalla valigia il suo lavoro scientifico e andò nello studio del padre. Quando fu lì seduto, e con un bel fuoco acceso nella stufa, lo studio gli parve più umano che la sera innanzi; sebbene uno spirito pedante, abituato a pesare il pro e il contro, l'avesse organizzato meticolosamente, compresi i busti di gesso in cima agli scaffali di libri, i molti oggetti personali rimasti lì sparsi - matite, occhiali, termometro, un libro aperto, mazzi di penne e simili - davano tuttavia alla stanza la commovente vacuità di un ricettacolo appena abbandonato dalla creatura che vi abitava. Ulrich era seduto al centro, un po' più presso la finestra in verità, ma alla scrivania che era il basso continuo di quella stanza, e si sentiva stranamente fiaccato nella volontà. Dalle pareti pendevano ritratti dei suoi antenati, e una parte dei mobili risaliva ancora al loro tempo; l'abitatore della stanza aveva formato il suo uovo nel guscio della loro vita; adesso era morto e le sue masserizie stavano ancora lì, così nette, come cavate fuori dallo spazio con la lima, ma già l'ordine era in procinto di sgretolarsi, di adattarsi al successore, e si sentiva che la maggiore longevità delle cose ricominciava a spuntare, appena visibile, dietro il loro rigido aspetto luttuoso.

In quella disposizione d'animo Ulrich riaperse il suo lavoro, interrotto da settimane e mesi, e tosto lo sguardo cadde sulla pagina con le equazioni dell'acqua, oltre le quali non aveva potuto procedere. Ricordava oscuramente di aver pensato a Clarisse mentre dai tre stati dell'acqua traeva un esempio per dimostrare una nuova possibilità matematica; e il pensiero di Clarisse lo aveva sviato. Ma c'è un ricordo che non richiama la parola stessa bensì l'aria in cui è stata pronunziata, e così Ulrich pensò tutto a un tratto: "Carbonio..." ed ebbe subito l'impressione, sorgente dal nulla, di poter andare avanti, se soltanto avesse saputo sull'istante in quanti stati si trova il carbonio; ma non se ne ricordava, e invece pensò: "Quelli dell'uomo sono due: maschio e femmina" Lo pensò per un poco, apparentemente immobile dallo stupore, come se fosse Dio sa quale miracolosa scoperta, che l'uomo vive in due stati permanenti diversi. Ma sotto quell'arresto del suo pensiero si celava un altro fenomeno. Giacché si può essere duri, egoisti, ambiziosi, estroversi, e improvvisamente ci si può sentire il contrario, lo stesso Ulrich tal dei tali, ma introspettivo, disinteressato e felice in uno stato indescrivibilmente sensibile, e in certo modo anche altruistico. E si chiese: "Da quanto tempo non avevo più avuto questa sensazione?" Con meraviglia si avvide che non erano più di ventiquattr'ore. Il silenzio che circondava Ulrich era ricreante e lo stato di cui gli era tornato il ricordo non gli sembrò così straordinario come altre volte. "Già, siamo tutti organismi, - egli pensò acquietato, - che con la massima avidità ed energia devono vincerla gli uni contro gli altri in un mondo arcigno. Ma ognuno, insieme con i suoi nemici e con le sue vittime, è tuttavia una particella, un figlio di questo mondo; e forse non è così svincolato da essi, così

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indipendente come s'immagina"Ciò premesso, non gli pareva affatto incomprensibile che di tanto in tanto un presagio di unità e

d'amore sorgesse dal mondo, quasi una certezza che la palpabile miseria della vita in condizioni normali non lasci scorgere che per metà la connessione degli esseri viventi. In questo non v'era nulla che potesse offendere un uomo che sente in modo matematico-scientifico ed esatto; tutto ciò, anzi, ricordava ad Ulrich l'opera di un psicologo col quale era in rapporti personali; in essa le immagini si dividevano in due grandi gruppi opposti, il primo gruppo derivava dall'essere circondati dal contenuto degli eventi, e l'altro gruppo dal circondarli, e quell'opera suggeriva la conclusione che questo "esser dentro a una cosa" e "guardare una cosa dal di fuori", la "sensazione concava" e la "sensazione convessa", l'"essere spaziale" come l'"essere oggettivo", la "penetrazione" e la "contemplazione" si ripetono in tante altre antitesi dell'esperienza e in tante loro immagini linguistiche, che è lecito supporre all'origine un'antichissima forma dualistica dell'esperienza umana. L'opera dell'amico psicologo non apparteneva al tipo delle indagini rigorosamente obiettive, era piuttosto una di quelle anticipazioni un po' fantasiose che sorgono da un impulso estraneo all'attività scientifica quotidiana; ma le basi erano salde, e molto probabili le conclusioni che tendevano a un'unità del sentire avvolta da nebbie primordiali, dai cui frammenti variamente trasformati - così ora supponeva Ulrich - poteva aver avuto origine il comportamento attuale, che si dispone vagamente intorno a un modo di sentire maschile e uno femminile, ed è misteriosamente ombreggiato da antichi sogni.

Qui egli cercò un punto saldo, letteralmente, come durante un'ascensione pericolosa ci si aggrappa alla corda e ai chiodi, e incominciò un altro ragionamento.

"Le più remote tradizioni filosofiche, oscure e per noi quasi incomprensibili, parlano quasi tutte di un principio maschile e di uno femminile!" egli pensò.

"Le dee che nelle religioni antichissime troviamo sempre accanto agli dei, non sono più concepibili per il nostro modo di sentire. Il rapporto con queste femmine di forza sovrumana per noi sarebbe masochismo!

"Ma la natura, - egli seguitò a meditare, - dà all'uomo i capezzoli e alla donna un rudimento di organo virile, senza che se ne possa concludere che i nostri antenati fossero ermafroditi. Non lo saranno stati dunque nemmeno spiritualmente. E allora la duplice possibilità del "vedere che dona" e del "vedere che prende" deve derivare dall'esterno, come una doppia vista della natura, e in qualche modo tutto ciò è molto più antico che la differenza dei sessi, i quali più tardi hanno tratto di lì la loro forma spirituale..."

Così egli andava riflettendo, ma poi gli accadde di ricordare certi particolari della sua infanzia, che mutarono il corso dei suoi pensieri perché, cosa ormai rara, gli dava piacere rammemorarseli. Bisogna premettere che suo padre da giovane amava cavalcare e possedeva anche dei cavalli, come testimoniava la scuderia vuota lungo il muro del giardino, la prima cosa che Ulrich aveva veduto arrivando. Forse era l'unico gusto aristocratico che il padre, ammiratore dei propri amici feudali, avesse concesso a se stesso, ma Ulrich allora era un ragazzetto, e quel che di infinito, o quanto meno di incommensurabile, che un cavallo alto e muscoloso ha per un bimbo in ammirazione, adesso si ricostruiva nella memoria come una montagna magica e paurosa, rivestita dalla brughiera del pelame su cui i guizzi della pelle correvano come folate di vento.

Era, ed egli ben se ne accorgeva, uno di quei ricordi il cui splendore proviene dall'impotenza del bambino ad appagare i propri desideri; ma questo dice poco, se lo si confronta con la grandezza di quello splendore che era addirittura ultraterreno, o con lo splendore non meno meraviglioso che il piccolo Ulrich aveva toccato un po' più tardi con la punta delle dita. In quel periodo infatti erano comparsi in città i cartelloni d'un circo, raffiguranti non soltanto cavalli ma tigri, leoni e grossi magnifici cani che vivevano in amicizia con essi; e da molto tempo Ulrich ammirava quei manifesti variopinti quando riuscì a procurarsene uno, e ne ritagliò gli animali, a cui diede sostegno e rigidezza mediante piccole armature di legno. Ciò che tosto seguì si può paragonare soltanto a una bevuta che per quanto

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prolungata non spegne la sete; infatti durò per settimane e non ebbe sosta, né progresso, e fu solo un costante venir assorbito in quelle creature ammirate, che egli adesso credeva proprio di possedere, con la felicità indicibile di un bimbo solitario, pur sentendo che vi mancava qualcosa di supremo, di inappagabile, da cui appunto derivava al desiderio quella immensa irradiazione attraverso il corpo.

Insieme con questo ricordo stranamente sconfinato ecco affiorare dall'oblio come cosa naturalissima un'altra esperienza infantile, forse di poco posteriore, e nonostante la sua fanciullesca gracilità prendere possesso del grande corpo che sognava a occhi aperti. Era il ricordo della fanciullina che aveva soltanto due particolarità: quella di dovergli appartenere e quella delle lotte che egli doveva sostenere perciò con altri ragazzi. E di queste due soltanto le zuffe erano reali, perché la fanciullina non esisteva affatto. Strano periodo, in cui egli come un cavaliere errante saltava alla gola di ignoti avversari, specialmente se erano più grandi di lui e se li incontrava in una strada solitaria e adatta a celare un segreto. Aveva preso in tal modo non poche botte, e talvolta ottenuto grandi vittorie, ma qualunque fosse l'esito si sentiva sempre defraudato d'ogni soddisfazione.

E l'animo suo non accettava l'ovvia supposizione che le ragazzine da lui realmente conosciute potessero essere uguali a quella per la quale combatteva, perché, come tutti i ragazzi della sua età, in compagnia delle femmine egli rimaneva lì rigido e istupidito; finché un giorno però vi fu un'eccezione. E ora Ulrich se ne ricordò così nettamente come se l'immagine stesse nel circolo d'un cannocchiale che guardava attraverso gli anni: una sera in cui Agathe s'era vestita per un ballo di bambini. Portava un abito di velluto e i suoi capelli vi fluivano sopra come onde di velluto chiaro, cosicché improvvisamente a quella vista, sebbene travestito anche lui da terribile cavaliere, desiderò di essere una fanciullina, con lo stesso indicibile struggimento che provava per gli animali dei manifesti del circo. A quel tempo sapeva così poco di uomo e donna, che la cosa non gli pareva del tutto impossibile, e tuttavia abbastanza da non buttarsi subito a un esperimento, come fanno solitamente i bambini, per ottenere a forza la soddisfazione del proprio desiderio; e in complesso il suo stato, se oggi tentava di esprimerlo, corrispondeva piuttosto a quello di chi brancola nel buio in cerca di una porta e s'abbatte in un ostacolo caldo di sangue o dolce di calore e si stringe tenacemente ad esso, che viene teneramente incontro al suo desiderio di penetrazione, senza fargli posto. Forse somigliava anche a una specie innocua di passione vampirica che succhiava in sé l'essere desiderato, eppure quel piccolo uomo non voleva trarre a sé quella piccola donna, bensì essere completamente al suo posto, e ciò avveniva con l'abbacinante tenerezza che appartiene soltanto alle precoci esperienze del sesso.

Ulrich si alzò e stirò le braccia, stupito delle proprie fantasticherie. A meno di dieci passi da lui, dietro il muro, giaceva il cadavere di suo padre, e solo adesso egli s'avvide che già da un po' di tempo lo spazio intorno a loro due formicolava di gente come sbucata fuori dal terreno, che si dava da fare nella casa morta e sopravvivente. Vecchie donne stendevano tappeti e accendevano altre candele, sulle scale risonavano colpi di martello; si portavano fiori, si lavavano pavimenti, ed ora quell'attività coinvolgeva anche lui, perché gli vennero annunziate persone venute a prendere o a chiedere qualche cosa, e da quel momento fu una catena ininterrotta. L'università voleva sapere dei funerali, un rigattiere passò a domandare timidamente se vendevano vestiti, con molte scuse si presentò un antiquario della città, incaricato da una ditta tedesca, a proporre l'acquisto di una rara opera giuridica che probabilmente si trovava nella biblioteca del defunto, un cappellano aveva bisogno di parlare a Ulrich da parte del parroco perché c'era un dubbio da risolvere, un signore delle assicurazioni venne a fornire lunghissime spiegazioni, qualcuno cercava un pianoforte a poco prezzo, un agente d'immobili lasciò il suo biglietto di visita per il caso che volessero vender la casa, un impiegato in pensione si offrì per scrivere gli indirizzi delle partecipazioni, e così in quelle ore propizie del mattino fu un continuo andare e venire, domandare e proporre, di gente che intendeva sfruttare praticamente il decesso e sosteneva a voce e per iscritto il proprio diritto di vivere; nell'ingresso, dove il vecchio domestico rimandava indietro più gente che poteva, e di sopra, dove Ulrich doveva ricevere tutti quelli che riuscivano a passare. Egli non aveva mai immaginato quante persone aspettino cortesemente la morte degli altri e quanti cuori si

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mettano in moto nell'istante in cui il nostro cessa di battere; era un po' sorpreso, e vedeva: un insetto giace morto nel bosco, e altri insetti, formiche, uccelli e farfalle aleggianti, arrivano da ogni parte.

Giacché all'attività di quel via-vai utilitario s'aggiungeva sempre l'irrequietezza e il fermento di un oscuro profondo sottobosco. L'interesse personale riluceva attraverso i vetri degli occhi commossi come una lanterna che arde di pieno giorno, quando entrò un signore col crespo nero su un abito scuro che era una via di mezzo fra il lutto e la burocrazia, e si fermò sulla porta, come in attesa che o lui o Ulrich dovessero rompere in singhiozzi. Ma poiché non successe né una cosa né l'altra, dopo pochi minuti egli giudicò che bastava ed entrò nella stanza come avrebbe fatto qualunque uomo d'affari, dichiarò che era il direttore dell'agenzia delle Pompe Funebri e che veniva a chiedere se Ulrich era rimasto contento del servizio svolto finora. Assicurò che anche il resto sarebbe stato eseguito in un modo che avrebbe soddisfatto anche la buon'anima del signor papà, il quale, come tutti sapevano non era di facile contentatura. Cacciò in mano ad Ulrich un foglietto stampato pieno di rettangoli e lo costrinse a leggere nel modulo di contratto che contemplava vari tipi di commissione, parole come: tiro a otto e tiro a due... carro per le corone... numero... accompagnamento alla... con battistrada a cavallo, guarnimenti d'argento... accompagnamento alla... torce alla maniera di Marienburg... alla maniera di Admontà numero degli accompagnatori... tipo di illuminazione... durata dell'illuminazione... legno della cassa... piante ornamentali... nome, nascita, sesso, professione... esclusione di ogni responsabilità imprevista.

Ulrich ignorava il significato di quelle denominazioni in parte arcaiche; chiese schiarimenti, il direttore lo guardò sorpreso, non ne sapeva nulla nemmeno lui. Stava davanti a Ulrich come l'arco diastaltico del cervello umano, che collega lo stimolo con l'azione senza determinare la coscienza. La storia di secoli era affidata a quel professionista del lutto, egli poteva disporne per il suo vocabolario commerciale, gli pareva che Ulrich avesse girato una vite sbagliata e si affrettò a richiuderla con un'osservazione intesa a ricondurre alla conclusione dell'affare. Dichiarò che tutte quelle distinzioni erano purtroppo prescritte dal contratto-tipo dell'Unione Nazionale degli Impresari delle Pompe Funebri, ma che non avevano alcuna importanza e ad ogni modo nessuno vi si atteneva; e la firma di Ulrich - la signora sorella ieri non aveva voluto firmare senza il signor fratello avrebbe significato soltanto che il signore sottoscriveva la commissione già data dal defunto signor padre; e poteva star certo che non ci sarebbe stato nulla da ridire sulla perfetta esecuzione dell'ordine.

Ulrich, mentre firmava, chiese al funzionario se la città non possedeva ancora una di quelle macchine elettriche per fare salsicce, che recavano all'esterno l'immagine di san Luca, patrono dei macellai; lui ne aveva visto una a Bruxelles... ma non poté aspettare la risposta, perché accanto al primo c'era già davanti a lui un altro individuo che gli chiedeva qualcosa, un giornalista che voleva dei dati per il necrologio da pubblicarsi nella gazzetta della provincia. Ulrich li fornì e congedò l'impresario, ma mentre stava rispondendo alla domanda del cronista, quale fosse stato il fatto più importante nella vita di suo padre, non sapeva già più quali vicende fossero importanti e quali no, e il visitatore dovette venirgli in aiuto. Solo così, afferrata dalla tenaglia inquisitiva di una curiosità professionalmente addestrata a scoprire i fatti interessanti, l'intervista poté procedere, e Ulrich aveva l'impressione di assistere alla creazione del mondo. Il pubblicista, un giovanotto, domandò se la morte del vecchio scienziato era avvenuta improvvisamente o dopo lunghe sofferenze, e quando Ulrich rispose che suo padre aveva fatto lezione fino all'ultima settimana, tradusse così: in pieno vigore e attività di lavoro. Poi volarono via i trucioli dalla vita del vecchio signore, meno un paio di costole e di nodi: nato a Protiwin nell'anno 1844, frequentò le scuole tali e talaltre, nominato... là; con cinque nomine e onorificenze, l'importante era già quasi esaurito. Frammezzo, un matrimonio. Un paio di libri. Una volta, per poco non era stato nominato ministro della Giustizia; la cosa era fallita per un'opposizione da qualche parte. Il giornalista scriveva, Ulrich approvava, sì, era proprio così. Il giornalista era contento, aveva messo insieme il numero di righe necessario. Ulrich era stupito del piccolo mucchietto di cenere che rimane di una vita. Per tutte le notizie che riceveva il giornalista aveva già pronte le formule altosonanti: illustre

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scienziato, spirito universale, politico cauto e costruttivo, ingegno multiforme, eccetera eccetera; da molto tempo lì non doveva esser morto nessuno, sicché le parole erano rimaste a lungo in ozio e avevano fame d'essere adoperate. Ulrich rifletteva: gli sarebbe piaciuto dire ancora di suo padre qualcosa di bello, ma il cronista, che già riponeva i suoi appunti, aveva ormai chiesto tutto il concreto, e il resto era come voler prendere in mano il contenuto d'un bicchiere d'acqua senza il bicchiere.

Il via-vai intanto era diminuito: Agathe il giorno prima aveva rimandato tutti i visitatori al fratello, ma quell'afflusso s'era ormai esaurito, sicché Ulrich rimase solo quando il cronista si accomiatò. Si avvide di essere di pessimo umore. Non aveva ragione il padre quando trascinava i sacchi del sapere e rivoltava un poco il cumulo di grano della scienza, e poi si sommetteva semplicemente a quella vita che riteneva più forte? Pensò al proprio lavoro, rinchiuso intatto nella scrivania. Forse di lui non si sarebbe potuto dire nemmeno come del padre che era un rivangatore! Ulrich entrò nella cameretta dov'era composto il morto. Quella cella immota dai muri diritti in mezzo all'attività irrequieta che da essa emanava era straordinariamente tetra; rigido come un pezzo di legno il morto galleggiava sui flutti del tramenio, ma in certi momenti l'immagine si rovesciava, allora ciò ch'era vivo appariva immobile, e lui invece sembrava scivolare in un moto lugubremente tranquillo.

"Che cosa importa ai viaggiatori, - forse pensava il morto, - delle città che restano indietro alle fermate del treno! Io son vissuto qui e mi son comportato com'era richiesto, e adesso riparto!"

L'incertezza dell'uomo che in mezzo agli altri vuol qualcosa di diverso dagli altri serrava il cuore di Ulrich: egli guardò in faccia suo padre. Forse tutto ciò che aveva creduto una propria particolarità non era che una contraddizione dipendente da quel volto, nata chi sa quando nel fanciullo. Cercò uno specchio, ma non c'era, e soltanto quel viso cieco rifletteva luce. Vi cercò delle somiglianze. Forse c'erano. Forse c'era dentro tutto, la razza, il legame, l'impersonale, il flusso della trasmissione ereditaria, di cui si è soltanto un'increspatura, la limitazione, lo scoraggiamento, l'eterno ripetersi e girare in tondo dello spirito, ch'egli odiava con profondissima volontà di vita!

Afferrato a un tratto da quello scoramento, pensò se non era meglio far le valige e partire prima del funerale. Se davvero poteva fare ancora qualcosa nella vita, perché mai si attardava lì?

Ma appena varcata la porta incontrò nella stanza accanto la sorella che veniva a cercarlo.

4.Avevo un camerata

Per la prima volta Ulrich la vedeva in abiti femminili e dopo l'impressione di ieri gli parve addirittura che si fosse travestita. Dalla porta aperta la luce artificiale cadeva nel grigiore incerto del primo mattino, e la figura nera coi capelli biondi sembrava ritta in una grotta d'aria inondata da raggiante splendore. I capelli di Agathe erano strettamente avvolti intorno al capo e davano al suo viso un aspetto più donnesco che il giorno prima, il seno delicato s'annidava nella rigida veste nera con quel perfetto equilibrio fra cedevolezza e resistenza che fa pensare alla durezza leggerissima di una perla, e intorno alle gambe che Ulrich aveva veduto ieri lunghe, snelle, e simili alle sue, erano calate le gonne. E proprio perché oggi la figura nell'insieme gli somigliava meno, egli notò la somiglianza del viso. Era come se lui stesso fosse apparso sulla soglia e gli venisse incontro; soltanto più bello e soffuso d'uno splendore in cui egli non s'era mai visto. Per la prima volta lo colse il pensiero che sua sorella fosse una chimera ripetizione e trasformazione di se stesso; una tale idea durò solo un attimo e gli uscì tosto di mente.

Agathe era venuta per ricordare urgentemente al fratello certi doveri che lei, dormendo, aveva quasi dimenticati; teneva in mano il testamento e gli ricordò alcune disposizioni da prendere senza perder tempo. Innanzi tutto bisognava eseguire una prescrizione testamentaria un po' complicata del vecchio giurista a proposito delle proprie insegne cavalleresche, e Agathe aveva sottolineato di rosso quelle

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righe del testamento con molto zelo se pure con scarsa reverenza. Il defunto voleva esser seppellito con tutte le sue decorazioni, e ne possedeva non poche, ma non per vanità intendeva portarsele nella tomba, perciò dava di quella sua volontà una lunga e meditata motivazione di cui la figlia aveva letto solo l'inizio, lasciando al fratello la cura di spiegarle il resto.

- Come te lo posso spiegare? - disse Ulrich dopo essersi ragguagliato. Papà desidera essere sepolto con le sue insegne perché ritiene falsa la teoria individualistica dello Stato! Raccomanda invece alla nostra attenzione la teoria universalistica. Cioè, che solo dalla collettività creatrice dello Stato l'uomo riceve uno scopo superpersonale, la sua bontà e la sua giustizia; isolato egli non è nulla, e perciò il monarca rappresenta un simbolo spirituale; e insomma l'uomo quando muore deve per così dire avvolgersi nelle proprie medaglie, come un marinaio viene calato in mare avvolto nella bandiera!

- Ma mi pare di aver letto non so dove che le decorazioni si devono restituire! - disse Agathe.- Gli eredi devono restituire le decorazioni alla Cancelleria imperiale. Perciò papà si è fatto fare dei

duplicati. Ma le medaglie acquistate dal gioielliere non gli sembrano quelle buone, ed egli vuole che si eseguisca il cambio solo al momento di chiudere la bara: questa è la difficoltà! Chi sa, forse è una muta protesta contro il regolamento, una protesta che non voleva esprimere altrimenti!

- Ma ci saranno cento persone presenti e ce lo dimenticheremo! - opinò Agathe.- Possiamo anche farlo subito!- Non c'è tempo; devi leggere il resto, quello che dice del professor Schwung; Schwung può arrivare

da un momento all'altro, lo aspettavi già ieri.- E allora facciamolo dopo che Schwung sarà venuto!- È così spiacevole, - obiettò Agathe, - non accontentare il suo desiderio.- Ma lui non lo saprà. Ella lo guardò dubitosa:- Ne sei sicuro?- Come? - esclamò Ulrich ridendo. - Tu no, forse?- Io non son sicura di nulla, - rispose Agathe.- Comunque sia: egli non è mai stato contento di noi!- Questo è vero, - approvò Agathe. Dunque lo faremo più tardi. Ma ora dimmi una cosa, -

soggiunse. - Non ti curi mai di quello che ti vien chiesto?Ulrich esitò."Veste bene, - pensò. - Era inutile la mia apprensione che fosse divenuta una provinciale!" Ma

poiché a quella domanda della sorella era legata in qualche modo tutta la serata di ieri, egli desiderò di dare una risposta che potesse restar valida e giovarle:

- Non sapeva però come fare per non essere frainteso, e alla fine disse con giovanilità fuor di proposito: - Non il babbo soltanto è morto, è morto anche il cerimoniale che lo circonda. Il suo testamento è morto. Son morti quelli che vengono a condolersi. Con questo non voglio dire nulla di male; sa Iddio come bisogna esser grati, probabilmente, agli esseri che contribuiscono alla solidità della terra: ma tutto ciò è il cemento della vita, non il mare! Colse un'occhiata titubante della sorella e si accorse di parlare in un modo incomprensibile. - Le virtù della società per il santo sono vizi, concluse ridendo.

Con aria un po' protettiva oppure presuntuosa le mise il braccio intorno alle spalle; ma fu per pura perplessità. Agathe però si fece indietro con viso serio e non si prestò.

- L'hai inventato tu? - chiese.- No, l'ha detto un uomo che mi è caro.Un po' annoiata, come un bimbo obbligato a riflettere, ella così riassunse le risposte di Ulrich:- Dunque tu non chiameresti buono uno che è onesto per abitudine? Ma un ladro che ruba per la

prima volta, mentre il cuore quasi gli balza fuori del petto, quello per te è buono?Ulrich si stupì di queste parole un po' strane e si fece più serio.- Non lo so davvero, - disse brevemente. - In certe circostanze mi curo assai poco di stabilire se una

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cosa è giusta oppure ingiusta, ma non saprei dedurne una regola alla quale ci si debba attenere.Agathe staccò lentamente da lui lo sguardo interrogativo e riprese il testamento:- Dobbiamo finire questa lettura, c'è ancora qualcosa di sottolineato, - ammonì.Il vecchio giureconsulto, prima di mettersi a letto definitivamente, aveva vergato una serie di lettere,

e ne spiegava il significato e la destinazione. I passi sottolineati si riferivano al professor Schwung, e il professor Schwung era quel vecchio collega che, dopo essergli stato amico da sempre, aveva avvelenato l'ultimo anno di vita del babbo con la polemica intorno al vizio parziale di mente. Ulrich riconobbe subito le lunghe disquisizioni ben note sull'idea e la volontà, sul rigore del diritto e la indeterminatezza della natura, che suo padre prima di morire riepilogava ancora una volta, e sembrava che nulla avesse avuto a cuore il vecchio, nei suoi ultimi giorni, quanto il ripudio della Scuola Sociale di cui aveva fatto parte, "fogna - secondo le sue parole - dello spirito prussiano" Stava lavorando a un opuscolo che doveva intitolarsi Stato e Diritto, ovvero conseguenza e denunzia, quando incominciò a sentirsi stanco, e pieno d'amarezza dovette vedere il campo di battaglia in assoluta balia dell'avversario. Con quelle parole solenni, che soltanto la prossimità della morte e la lotta per il bene supremo della reputazione possono suggerire, egli imponeva ai suoi figli di non lasciar cadere in rovina l'opera sua, e specialmente a Ulrich di valersi delle sue relazioni coi circoli autorevoli, ottenute grazie alle instancabili esortazioni paterne, allo scopo di distruggere alla radice gli sforzi del professor Schwung per il trionfo delle proprie idee.

Aver lasciato simili disposizioni non esclude che ad opera compiuta o almeno prestabilita si senta il bisogno di perdonare a un ex amico gli errori suggeritigli dalla sua bassa vanità. Chi soffre molto e già patisce, nel corpo ancor vivo, il lento sfasciarsi della spoglia mortale, è incline a perdonare e a chieder perdono; se ricomincia a star meglio però si rimangia tutto, perché il corpo sano ha per natura qualcosa di implacabile: il vecchio doveva aver conosciuto entrambe quelle disposizioni d'animo nelle alterne vicende precedenti la morte, e l'una doveva essergli parsa giustificata quanto l'altra. Un simile stato però è intollerabile per un illustre giurista, e così egli con logica sperimentata aveva trovato un mezzo per trasmettere le sue intenzioni in modo che valessero intatte come ultime volontà senza ulteriori suggestioni contraddittorie del sentimento: scrisse una lettera di perdono e non la firmò né vi appose la data, ma incaricò Ulrich di aggiungervi il giorno e l'ora della sua morte e di sottoscriverla con la sorella a mo di testimoni, come si fa per un testamento orale che il morente non ha la forza di firmare.

Egli era in fondo, senza volerlo riconoscere, un'acqua cheta, quel vecchietto che si era sottomesso all'ordine gerarchico della vita e lo difendeva da servitore fedele, ma celava in sé ogni sorta di ribellioni alle quali non poteva trovare sfogo nel sistema di vita da lui scelto. Ulrich non poté a meno di pensare all'annuncio ferale che aveva ricevuto e che probabilmente era stato dettato nello stesso stato d'animo; quasi vi riconosceva un'affinità con se stesso, stavolta però non con rabbia ma con compassione, almeno nel senso che davanti a tanta sete d'esprimersi capiva l'odio per il figlio che si era agevolata la vita prendendosi illecite libertà. Giacché tali appaiono inevitabilmente ai padri le soluzioni adottate dai figli, e Ulrich fu colto da un sentimento di pietà pensando ai problemi insoluti ch'egli stesso portava dentro. Ma non ebbe più tempo di dare a tutto ciò una forma giusta e comprensibile anche ad Agathe: aveva appena incominciato quando la penombra della stanza fu invasa con grande impeto da un uomo. Questi avanzò, come scagliato dal proprio movimento, fin nella cerchia luminosa dei ceri, e là, a un passo dal cataletto si portò con largo gesto le mani agli occhi, prima che il servitore scavalcato avesse potuto raggiungerlo e annunziare il suo nome.

- Venerato amico! - esclamò il visitatore con voce sostenuta, mentre il morto giaceva con le mascelle contratte davanti al suo amico Schwung.

- Giovani amici! La Maestà del cielo stellato sopra di noi, la maestà della legge morale dentro di noi! - riprese quegli e guardò con occhi velati il collega di facoltà. - In quel petto ormai freddo viveva la maestà della legge morale! - Solo allora si svolse tutto di un pezzo e strinse la mano ai due fratelli.

Ma Ulrich profittò di quella prima occasione per sbrigarsi del suo incarico.

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- Il signor consigliere di corte e mio padre sono stati avversari, purtroppo, negli ultimi tempi? - egli scandagliò.

Parve che il canuto signore dovesse pensarci su prima di capire.- Differenze d'opinione che non mette conto di ricordare! - rispose generosamente, contemplando il

morto con tenerezza. Ma quando Ulrich insisté e lasciò capire che si trattava del testamento, la situazione si fece tesa di colpo come in una bettola, quando tutti i presenti sanno che uno ha tirato fuori il coltello sotto la tavola e fra un momento incomincerà il ballo. Il vecchio dunque aveva trovato il modo adatto per procurare contrarietà al collega Schwung anche morendo! Una così vecchia inimicizia non era più un sentimento ma una abitudine del pensiero; se qualche novità non rinfocolava i sentimenti ostili, essi non esistevano più, e il contenuto accumulato di innumerevoli procedimenti sgradevoli si conglomerava in un giudizio sprezzante, tanto indipendente dal flusso e riflusso dei sentimenti quanto una serena verità. Era così per il professor Schwung, com'era stato per il suo avversario defunto; perdonare gli pareva puerile e superfluo, perché un moto conciliante prima della fine, per giunta un semplice sentimento e non una ritrattazione scientifica, non aveva naturalmente alcuna forza dimostrativa contro le esperienze di una polemica annosa e mirava soltanto spudoratamente (così pensava Schwung) a metterlo dalla parte del torto nello sfruttamento della vittoria.

Tutt'altra cosa era, s'intende, che il professor Schwung sentisse il bisogno di dire addio all'amico morto. Mio Dio, si conoscevano da quando erano docenti e scapoli! Ti ricordi quando nei Giardini Reali bevemmo al sole calante e discutemmo di Hegel? Quanti soli saranno tramontati da allora, ma io mi ricordo specialmente di quello! E ti ricordi il nostro primo contrasto scientifico che già allora minacciò di renderci nemici? Come era bello! Adesso tu sei morto ed io, con mia gioia, sono ancora in piedi, benché dinanzi al tuo cataletto! Tali sono, com'è ben noto, i sentimenti dei vecchi alla morte dei coetanei. Quando si giunge all'età del gelo sboccia la poesia. Molti, che dopo i diciassett'anni non han più scritto un verso, compongono tutt'a un tratto un poema a settantuno, quando fanno testamento. Come nel giorno del giudizio i morti saranno chiamati per nome ad uno ad uno - benché giacciano con i loro secoli sul fondo del tempo come il carico di bastimenti naufragati! - così nel testamento le cose son chiamate col loro nome e si restituisce loro la personalità che con l'uso è andata perduta. "Il tappeto di Buchara con una bruciatura di sigaro che copre il pavimento del mio studio", sta scritto in quegli ultimi manoscritti, oppure: "l'ombrello col manico di corno che acquistai nel maggio 1887 da Sonnenschein e Winter"; persino i pacchetti azionari vengono nominati singolarmente coi loro numeri.

E non è un caso che insieme con quell'ultimo guizzo d'ogni singolo oggetto si desti anche il bisogno di legarvi una morale, un monito, una benedizione, una legge, destinati a riassumere in una formula vigorosa quella insospettata molteplicità che riemerge ancora una volta intorno alla morte. Con la poesia del periodo testamentario si risveglia quindi anche la filosofia ed è per lo più, come ben s'intende, una filosofia vieta e polverosa che si tira fuori dopo averla dimenticata cinquant'anni prima. Ulrich capì a un tratto che nessuno di quei due vecchi avrebbe potuto cedere. "La vita faccia pure quel che vuole, basta che i principî rimangano incontestati!" è un'esigenza molto ragionevole quando si sa che è questione di pochi mesi o di anni, ma certo i principî ci sopravviveranno. E si vedeva chiaramente che nel vecchio consigliere di corte i due impulsi erano ancora in lotta fra loro: il suo romanticismo, la sua gioventù, la sua poesia chiedevano un bel gesto largo e un'alata parola; la sua filosofia invece lo spingeva a esprimere l'intangibilità delle leggi della ragione con repentini slanci sentimentali e passeggeri abbattimenti d'animo, come quelli che l'amico morto gli aveva teso a guisa di trappole. Già da due giorni Schwung se l'immaginava; adesso colui è morto, e non ci sono più ostacoli alla concezione schwunghiana della diminuita capacità d'intendere e di volere; perciò il suo sentimento era sgorgato a gran fiotti verso il vecchio amico, e come un ben elaborato piano di mobilitazione che ha solo bisogno del segnale per esser posto in atto egli aveva immaginato la scena dell'addio. Ma c'era caduto dentro dell'aceto, con effetto chiarificatore. Schwung in principio era fortemente commosso, ma poi gli

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accadde come quando uno a metà di una poesia torna in senno e non si ricorda più gli ultimi versi. Così si trovano l'uno di fronte all'altro, due barbicole bianche, entrambi con le mascelle inesorabilmente serrate.

"Che cosa farà dunque?" si chiese Ulrich, che osservava ansiosamente la scena. Infine nel consigliere Schwung la lieta certezza che ormai il paragrafo 318 sarebbe stato introdotto nel Codice Penale secondo la sua proposta prevalse contro l'irritazione, ed essendosi liberato dai pensieri cattivi si sarebbe messo a cantare: "Avevo un camerata..." per dare sfogo al suo sentimento ormai benevolo e indiviso: ma poiché questo non era possibile, si volse a Ulrich e disse:

- Mi creda, caro figliolo del mio indimenticabile amico, è la crisi morale che dà l'avvio; la decadenza sociale vien dopo!

Si voltò poi verso Agathe e proseguì:- La grandezza del suo signor padre stava in questo, ch'egli era sempre pronto ad aiutare una

concezione idealistica ad aprirsi un varco nella teoria del diritto Poi afferrò una mano di Agathe e una di Ulrich, le strinse ed esclamò: - Vostro padre dava troppa importanza a piccole divergenze d'idee, inevitabili in una lunga collaborazione. Sono sempre stato convinto ch'egli col suo delicato senso giuridico dovesse fare così per non aver nulla da rimproverarsi. Domani verranno molti professori a rivolgergli l'estremo saluto, ma non ve ne sarà nessuno da confrontare con lui!

Così la scena finì serenamente, e Schwung nel congedarsi ripeté a Ulrich di contare sugli amici di suo padre se avesse mai voluto decidersi per la carriera universitaria.

Agathe era stata a sentire con occhi sgranati contemplando l'inquietante forma finale che la vita dà all'uomo.

- Era come un bosco d'alberi di gesso! - disse poi al fratello. Ulrich sorrise e rispose:- Io mi sento patetico come un cane al chiaro di luna!

5.Essi agiscono male

- Ti ricordi, - chiese Agathe dopo un poco, - che una volta, ero una bambinetta allora, tu giocando con altri ragazzi cadesti nell'acqua fino alla cintola e non volevi che si scoprisse, perciò venisti a tavola asciutto dalla vita in su, ma al batter dei denti si scoprì che dalla vita in giù eri bagnato?

Quando Ulrich, ragazzo, veniva a casa per le vacanze dall'Istituto solo quell'anno ciò era successo per un periodo abbastanza lungo - al tempo in cui il piccolo cadavere risecchito era per i figli un uomo quasi onnipotente, avveniva abbastanza spesso che Ulrich non volesse riconoscere una sua mancanza e rifiutasse di pentirsene, benché non potesse negarla. Così anche quella volta s'era preso un bel febbrone e lo si dovette mettere a letto d'urgenza.

- E ti dettero da mangiare solo una minestrina! - ricordò Agathe.- Esatto, - confermò il fratello ridendo. Ricordare quella punizione, una cosa che adesso non lo

riguardava più, fu in quel momento come vedere per terra le sue scarpette di bimbo; anche di quelle adesso non gl'importava più niente.

- Avendo la febbre non potevi mangiar altro che la minestrina, ripeté Agathe, - ma tuttavia te la somministrarono anche per punizione!

- Esatto! - approvò Ulrich ancora una volta. - Naturalmente però non lo fecero per cattiveria, ma per adempiere un cosiddetto dovere - Non sapeva a che cosa mirasse sua sorella. Egli stesso vedeva ancora le sue scarpette di bimbo. Cioè non le vedeva esattamente; le vedeva soltanto come le avrebbe vedute. Sentiva pure le umiliazioni che s'era lasciato alle spalle. Pensò: "Questa indifferenza esprime in qualche maniera il fatto che in nessun periodo della vita si è veramente dentro a se stessi!"

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- A ogni modo non t'era permesso mangiar altro che minestrina! - ripeté Agathe ancora una volta e aggiunse: - Credo di aver avuto tutta la vita una gran paura di essere forse la sola persona incapace di capire questo!

Possono i ricordi di due persone che parlano di un passato conosciuto da entrambi non soltanto integrarsi ma anche fondersi insieme ancor prima di esser detti? In quel momento accadde qualcosa di simile. Un sentimento comune sorprese anzi turbò i fratelli, come mani che spuntano fuori sotto le vesti nei punti più impensati e si afferrano inaspettatamente l'una all'altra. All'improvviso ciascuno sapeva del passato molto più di quanto aveva creduto di sapere, e Ulrich sentì di nuovo il luccichio della febbre che allora era salita dal pavimento su per le pareti, come faceva adesso, nella stanza in cui si trovavano, la luce delle candele; quella volta il padre era venuto, aveva guardato il cono luminoso della lampada e s'era seduto accanto al letto. - "Se la tua coscienza era molto impedita dalla portata della tua azione, questa si potrebbe considerare sotto una luce più favorevole, ma allora dovresti prima confessarlo a te stesso!" Forse era una frase del testamento o delle lettere sul paragrafo 318 che si frammettavano così. Egli non aveva memoria, di solito, né per i particolari né per il suono delle parole; perciò era molto singolare che un intero periodo gli si riaffacciasse alla mente; poteva dipendere da sua sorella che gli stava ritta di fronte: forse la vicinanza di lei produceva in Ulrich questo cambiamento.

- "Se hai avuto la forza di indurti a una mancanza senza urgente necessità, devi anche riconoscere di aver agito male!" - continuò poi, e affermò: - Anche a te deve aver parlato così!

- Forse non proprio così, - rettificò Agathe. - A me di solito concedeva "attenuanti determinate dalla mia indole innata" Mi ha sempre ammonito che una volizione è un atto collegato al pensiero, non un atto istintivo.

- "È la volontà, - citò Ulrich, - che col progressivo sviluppo dell'intelletto e della ragione deve saper soggiogare il desiderio, oppure l'istinto, sotto forma di riflessione e di conseguente risoluzione!"

- È vero? - domandò la sorella.- Perché me lo chiedi?- Probabilmente perché sono stupida!- Non sei stupida affatto!- Ho sempre studiato con difficoltà e capito ben poco.- Allora io sono probabilmente cattivo perché non accolgo in me quello che capisco!Stavano l'uno di fronte all'altra appoggiati agli stipiti della porta che metteva nella stanza accanto ed

era rimasta aperta dopo l'uscita del professor Schwung; la luce del giorno e dei ceri si avvicendava sui loro volti e le voci s'intrecciavano come in un responsorio. Ulrich seguitava a recitar le sue frasi come un'orazione e le labbra di Agathe rispondevano quietamente. L'antica tortura delle ammonizioni, cacciante a forza nel cervello tenero e irragionevole del bambino un ordine duro ed estraneo, era diventata per loro un piacevole trastullo.

E improvvisamente, senza una correlazione evidente, Agathe esclamò:- Ora immagino questo sistema esteso a tutte le cose: ecco Gottlieb Hagauer! - E incominciò a

imitare suo marito come una scolaretta: - "Davvero non sai che il Lamium Album è l'ortica morta?" "E come dovremmo avanzare se non percorrendo guidati da un Maestro leale lo stesso faticoso cammino dell'induzione, che con duro lavoro millenario pieno di errori ha portato passo passo il genere umano allo stato attuale della conoscenza?" "Non capisci, cara Agathe, che il pensiero è anche un dovere morale? Concentrarsi significa una continua vittoria sul proprio comodo" "La disciplina intellettuale è quel regolamento dello spirito grazie al quale l'uomo vien posto sempre più in grado di elaborare razionalmente lunghe serie di pensieri diffidando costantemente delle proprie idee, vale a dire con ineccepibili argomentazioni, con epicheremi e sillogismi, con induzioni e soriti, e infine di sottoporre così lungamente a verifica la conclusione ottenuta, finché tutti i pensieri si trovino in perfetto accordo!"

Ulrich stupì di quella prova di memoria. Sembrava che Agathe si divertisse enormemente a recitare senza un intoppo quelle frasi professorali imparate chissà dove, forse in un libro. Secondo lei Hagauer

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parlava così.Ulrich non ci credeva.- Come avresti potuto imprimerti in testa simili frasi lunghe e complicate se le avessi udite soltanto

in conversazione?- Mi son rimaste impresse, - rispose Agathe. - Io sono così.- Ma tu sai, - domandò Ulrich stupito, - che cos'è un epicherema o un sorite?- Neanche la più lontana idea! - ammise Agathe ridendo. - Forse anche lui l'ha soltanto letta in

qualche posto. Eppure parla così. Ed io ripeto quel che ho udito dalla sua bocca come una filza di parole senza senso. Per la rabbia, credo, perché lo sentivo parlare a quel modo. Tu sei diverso da me: in me le parole restano lì inerti perché non so che cosa farmene questa è la mia buona memoria. Ho una memoria deplorevolmente buona, appunto perché sono stupida! - Si fingeva convinta di enunciare una grande verità che doveva cacciar fuori prima di continuare con petulanza: - Hagauer sdottora così anche quando gioca a tennis: "Se, imparando il gioco della pallacorda, io metto per la prima volta una racchetta in una data posizione per dare alla palla, della cui traiettoria sono stato finora soddisfatto, una direzione diversa, ebbene, io intervengo nel corso delle cose: cioè compio un esperimento!"

- Gioca bene a tennis?- Io lo batto per sei a zero. - Risero entrambi.- Sai però, - disse Ulrich, - che Hagauer, in tutto quello che gli fai dire, ha perfettamente ragione? è

soltanto buffo.- Può darsi che abbia ragione, - replicò Agathe, - io già non lo capisco. Ma una volta un ragazzo della

sua scuola tradusse un passo di Shakespeare letteralmente così:

I vili muoiono più volte prima della loro morte;I prodi non gustano la morte che una volta sola.Di tutti i miracoli che udii finora narrareMi sembra il più strano, che gli uomini debbano aver pauraVedendo che la morte, una fine necessaria,Verrà quando vorrà venire.

- E lui corresse, ho veduto io stessa il quaderno:

Più volte muore il vile innanzi di morire!I valorosi gustano una sol volta la morte.Fra i miracoli tutti che mai ho udito narrare,Il più grande ai miei occhi...

- E così via, secondo lo sproloquio della traduzione di Schiegel!- Posso citarti un altro passo. Pindaro, credo, dice: "La legge della natura, regina di tutti i mortali e

immortali, governa, consentendo all'estrema violenza, con mano onnipotente!" Ed egli traduce, lavorando di lima: "La legge della natura, che regna su tutti i mortali e immortali, governa con mano onnipotente, permettendo anche la violenza"

- E non era bello, - ella domandò, che quel suo scolaretto, di cui egli si mostrò scontento, avesse tradotto le parole così esatte e tremende come le aveva trovate, come un mucchio di pietre crollato? - E ripeté: - "I vili muoiono più volte prima della loro morte - I prodi non gustano la morte più di una volta sola - Di tutti i miracoli che udii finora narrare - Mi sembra il più strano che gli uomini debbano aver paura - Vedendo che la morte, una fine necessaria - Verrà, quando vorrà venire..."

Aveva allacciato la mano alla cornice della porta come intorno al tronco d'un albero e declamava quei versi rozzamente scolpiti, così com'erano con la loro selvaggia bellezza, senza lasciarsi turbare dal

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cadavere raggrinzito che giaceva lì sotto lo sguardo dei suoi occhi irradianti l'orgoglio della giovinezza.Ulrich fissava la sorella con la fronte aggrottata."Colui che non leviga un'antica poesia ma la lascia così nel suo significato semidistrutto dall'azione

del tempo, è quello stesso che non metterà mai un naso nuovo di marmo alla statua che ne è rimasta priva, - egli pensò. - Si potrebbe chiamare senso dello stile, ma non è questo. E non si tratta neppure di un uomo dalla fantasia così viva che ciò che manca non gli dà fastidio. È piuttosto uno che non dà nessun valore alla perfezione e perciò non chiederà alle proprie sensazioni di essere complete. Certo ella avrà baciato, - concluse con una svolta improvvisa, - senza buttarcisi con tutto il corpo!" In quel momento gli pareva che di sua sorella bastasse conoscere quei versi appassionati per sapere se essa non era mai "interamente dentro" a qualcosa, che anche Agathe, come Ulrich, apparteneva alla gente di attività appassionata ma frammentaria.

Ciò gli fece persino dimenticare l'altra metà della propria personalità, quella che aspirava alla misura e alla padronanza di sé. Adesso avrebbe potuto dire con sicurezza alla sorella che nessuna delle azioni di lei s'accordava con l'ambiente più prossimo bensì erano tutte dipendenti da un ambiente più vasto e assai dubbio, senza limiti e senza fine, e le impressioni contraddittorie della prima sera avrebbero trovato così una spiegazione favorevole. Ma il riserbo divenuto abitudine fu più forte, ed egli attese con curiosità e non senza perplessità di vedere come Agathe sarebbe discesa dall'altissimo ramo su cui si era posata. Ella stava ancora nello stesso atteggiamento con il braccio sollevato e avvinto allo stipite della porta, e un piccolo istante di troppo avrebbe potuto rovinare tutto. Ulrich detestava le donne che si comportavano come se fossero state messe al mondo da un regista o da un pittore, oppure che dopo una commozione come quella di Agathe si spengono in un artistico pianissimo. "Forse, - egli pensò, potrebbe lasciarsi scivolar giù improvvisamente dalle altezze della commozione con quella faccia un po' idiota, da sonnambulo, che hanno i medium appena svegliati; non le rimase altro, e anche così sarà alquanto penoso!" Ma Agathe sembrava che lo sapesse oppure aveva letto nello sguardo del fratello il pericolo che la minacciava: saltò giù allegramente a piedi giunti dalla sua vetta e mostrò a Ulrich un palmo di lingua!

Poi però divenne seria e muta, non disse più una parola e andò a prendere le decorazioni. Così fratello e sorella si accinsero ad agire contro la volontà del padre.

Fu Agathe che compì l'opera. Ulrich provava ritegno a toccare la salma derelitta, ma Agathe aveva un suo modo di far male che non lasciava pensare al male. I movimenti dei suoi occhi e delle sue mani eran simili a quelli di una donna che assiste un malato e in certi momenti avevano qualcosa di primitivo e commovente come giovani animali che interrompono il gioco per accertarsi se il padrone li guardi.

Ulrich prendeva in consegna le decorazioni che Agathe toglieva, e le porgeva i pezzi di ricambio. Gli veniva in mente il ladro a cui il cuore batte da spezzarsi. E se intanto aveva l'impressione che le stelle e le croci nelle mani della sorella luccicassero più che nelle sue e diventassero quasi oggetti magici, ben poteva avvenire così nella camera verde cupo, densa di riflessi di grandi piante frondose; o forse invece egli sentiva la volontà esitante ma direttrice della sorella che avvinceva giovanilmente la sua; e poiché non ne risultava alcuna intenzione, scaturì nuovamente da quei momenti di incontaminato contatto un sentimento senza estensione e perciò amorfamente gagliardo della loro doppia esistenza.

Agathe si arrestò, e aveva finito. Solo qualcosa non era ancor stato fatto e dopo un breve istante di riflessione ella disse sorridendo:

- Non vogliamo scrivere ciascuno qualcosa di bello su un foglietto e metterglielo in tasca?Questa volta Ulrich capì subito ciò che ella intendeva dire, perché di quei ricordi comuni non ce

n'erano molti ed egli ricordò che a una certa età avevano avuto entrambi una predilezione per le poesie malinconiche e per i racconti in cui qualcuno moriva e veniva dimenticato da tutti. Forse era una conseguenza dell'abbandono in cui eran vissuti fanciulli e sovente immaginavano insieme storie di quel genere; Agathe però inclinava anche allora a metterle in atto, mentre Ulrich preferiva mettersi a capo di imprese più virili, crudeli e temerarie. Perciò la decisione che presero una volta di tagliarsi ciascuno

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un'unghia e di seppellirla in giardino era stata suggerita da Agathe, ed essa aveva aggiunto alle unghie anche una piccola ciocca dei suoi capelli biondi. Ulrich dichiarò fieramente che forse cent'anni dopo qualcuno avrebbe ritrovato l'involtino e si sarebbe chiesto con meraviglia chi mai potesse esser stato; c'era in lui l'intenzione di passare in tal modo ai posteri; alla piccola Agathe invece interessava il seppellimento come tale, le sembrava di nascondere una parte di se stessa e di sottrarla durevolmente alla tutela di un mondo le cui pretese pedagogiche la intimidivano senza ispirarle rispetto. E poiché proprio allora si stava costruendo in fondo al giardino la casetta per la servitù, concertarono un'altra cosa straordinaria. Avrebbero scritto su un foglietto bellissimi versi, aggiungendovi i loro nomi, e l'avrebbero murato nella casa: ma quando incominciarono a scrivere i versi che dovevano essere tanto belli, non riuscirono a comporli, né un giorno né l'altro e intanto le mura crescevano sulle fondamenta. Finalmente, poiché il tempo incalzava, Agathe scrisse una frase tolta dal libro d'aritmetica e Ulrich scrisse: "Io sono..." e poi il suo nome. Tuttavia avevano un batticuore terribile quando in giardino s'avvicinarono ai due muratori che stavano lavorando, e Agathe gettò semplicemente il suo foglietto in un cunicolo e corse via. Ma Ulrich che essendo uomo e più vecchio aveva ancor più paura che i muratori lo trattenessero e gli chiedessero stupiti cosa volesse, per l'agitazione non riuscì a muovere né mani né piedi, cosicché Agathe, incoraggiata dal fatto che non le era accaduto niente, ritornò indietro e si incaricò anche del foglietto del fratello. Con l'aria di chi passeggia innocentemente avanzò, adocchiò un mattone all'estremità di una fila appena collocata al suo posto, lo sollevò e aveva già introdotto nel muro il nome di Ulrich prima che i muratori potessero mandarla via, mentre Ulrich, che la seguiva titubante, nel momento dell'azione sentì l'angoscia che lo opprimeva orribilmente trasformarsi in una ruota di coltelli affilati che girava nel suo petto con tanta rapidità da venir tosto un sole sfavillante come la girandola d'un fuoco d'artificio.

A questo dunque alludeva Agathe, e Ulrich per molto tempo non rispose e sorrise soltanto, evasivo, perché ripetere quel gioco con un morto gli sembrava davvero una cosa illecita.

Ma Agathe s'era già chinata, e, sfilatasi dalla gamba un'altra giarrettiera di seta, che portava per non stringersi alla cintura, sollevò il sontuoso drappo mortuario e la infilò nella tasca del padre.

E Ulrich? Sulle prime non credette ai suoi occhi vedendo richiamare in vita quel lontano ricordo. Poi poco mancò che non balzasse innanzi a impedirlo, solo perché era un atto così contrario all'ordine. Ma intanto colse negli occhi della sorella un lampo che aveva la pura rorida freschezza di un mattino su cui non è ancora caduta la opaca tetraggine del lavoro quotidiano, e ciò lo trattenne.

- Che cosa fai?! - disse piano, con mite rimprovero. Non sapeva se ella intendesse chieder perdono al padre per il torto che gli aveva fatto o invece dargli un buon viatico perché lui stesso tante volte aveva commesso ingiustizie. Ulrich stava per chiederglielo, ma quell'idea barbara di donare al freddo cadavere una giarrettiera ancor calda della gamba di sua figlia gli chiuse la gola e portò nel suo cervello un grandissimo disordine.

6.Il vecchio signore riposa finalmente in pace

Il breve tempo che mancava ancora all'ora del funerale fu riempito da una quantità di piccole inconsuete occupazioni e passò presto; alla fine la serie dei visitatori, tirata come un filo nero attraverso le ore, nell'ultima mezz'ora prima della partenza del morto era diventata una festa nera e solenne. Gli impiegati delle Pompe Funebri avevano martellato e scalpicciato ancor più di prima con la serietà di chirurghi a cui uno ha affidato la propria vita e da allora in poi non deve più interloquire - e sull'intatto trantran delle altre parti della casa avevano gettato un ponte di elevati sentimenti che conduceva dal portone attraverso la scala fin nella camera mortuaria.

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I fiori e le piante, i drappeggi neri di panno e di crespo, i candelieri d'argento e le fiammelle guizzanti che accoglievano i visitatori conoscevano il loro dovere meglio che Ulrich e Agathe, i quali in nome della casata dovevano salutare chiunque venisse a porgere al morto l'estremo saluto, e di pochissimi sapevano chi fossero se il vecchio servitore del padre non richiamava discretamente la loro attenzione su condolenti particolarmente altolocati. E tutti i convenuti scivolavano verso di loro, poi scivolavano via e gettavano l'ancora, isolati o in piccoli gruppi, mettendosi a osservare immobili i due fratelli. A questi cresceva in faccia l'espressione di serio ritegno, finché l'ispettore del trasporto bagagli, ovvero il padrone dell'impresa di Pompe Funebri - quello stesso che aveva offerto a Ulrich i suoi prospetti stampati, e nell'ultima mezz'ora era corso su e giù per le scale almeno una ventina di volte schizzò su a lato di Ulrich e gli annunziò, con importanza riguardosamente ostentata, come un aiutante al suo generale in un giorno di rivista, che tutto era pronto.

Poiché il corteo doveva sfilare solennemente attraverso la città, in carrozza si sarebbe saliti più tardi, e Ulrich dovette incedere per primo dietro la bara, a fianco dell'imperial regio prefetto che alle esequie di un membro della Camera Alta aveva voluto intervenire personalmente, e all'altro lato di Ulrich procedeva una autorità altrettanto illustre, il decano di una deputazione del Senato, composta di tre membri; dietro venivano gli altri due senatori, poi il rettore e il consiglio dell'Università e solo dopo questi, tuttavia prima dell'interminabile fiumana di cilindri degli svariati personaggi d'importanza decrescente dalle prime alle ultime file, avanzava Agathe circondata da donne nerovestite, indicando il punto dove, fra le maggiori e le minori gerarchie, aveva il suo posto assegnato il dolore privato; perché la disordinata partecipazione dei semplici accompagnatori pietosi incominciava soltanto dietro a quelli che erano intervenuti in veste ufficiale, e poteva anche darsi che fosse costituita soltanto dalla coppia di vecchi domestici che camminava solitaria in coda alla processione. Così questa era principalmente un corteo di uomini, e al fianco di Agathe non c'era Ulrich ma il marito, il professor Hagauer, la cui faccia, rossa come una mela con la verruca pelosa sul labbro, nel frattempo le era diventata estranea, e attraverso il fitto velo nero che le permetteva di osservarlo nascostamente le appariva color viola scuro. Ulrich stesso che nelle lunghe ore precedenti era sempre stato insieme con la sorella aveva adesso l'impressione che l'antichissimo schieramento funebre, datante ancora dalla fondazione dell'Università, gli avesse improvvisamente strappato Agathe, e ne sentiva la mancanza senza poter neanche voltarsi a guardarla; pensava a una frase scherzosa per salutarla quando si sarebbero ritrovati, ma i suoi pensieri erano disturbati dal prefetto che camminava muto e autorevole al suo fianco, e ogni tanto gli diceva una parola sottovoce che egli doveva raccogliere; come d'altronde era stato colmato d'attenzioni da tutte quelle Eccellenze fino alle Magnificenze e alle Eminenze perché era considerato l'ombra del conte Leinsdorf e il sospetto che veniva a poco a poco destando l'Azione Patriottica gli conferiva importanza.

Sui marciapiedi e alle finestre s'affollavano i curiosi e benché Ulrich sapesse che fra un'ora, come in uno spettacolo teatrale, tutto sarebbe finito, pure quel giorno sentiva gli eventi con particolare vivezza e la generale partecipazione ai suoi casi gli gravava sulle spalle come un manto carico di fregi pesanti. Per la prima volta sentiva il vero carattere della tradizione. L'agitazione, precedente il corteo come un'onda, della folla che chiacchierava, ammutoliva e riprendeva a respirare, il prestigio del clero, il tonfo sordo delle zolle di terra sul legno che si sarebbe udito fra poco, il silenzio stagnante del mormorio, tutto ciò gli scuoteva le vertebre come un antichissimo strumento musicale, e Ulrich sentiva con meraviglia una indescrivibile risonanza dentro di sé, nelle cui vibrazioni il suo corpo si innalzava come se fosse realmente sollevato dal fermento generale. E giacché quel giorno egli era vicino agli altri più del consueto, immaginò come sarebbe stato ancora diverso se in quel momento, conforme al senso originario quasi dimenticato della parata odierna, egli davvero avesse seguito le esequie di un grande, potente personaggio. Con quel concetto la tristezza svaniva, e la morte si trasformava da angoscioso evento privato in un trapasso di poteri che avveniva con pubblica cerimonia; non s'apriva più quel vuoto orribile e fisso che ogni persona alla cui esistenza si è avvezzi lascia dietro di sé nei primi giorni dopo la scomparsa; e l'erede riprendeva il cammino al posto dell'estinto, la folla gli donava la sua

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simpatia, il rito funebre era in pari tempo una festa d'imitazione per colui che prendeva possesso della spada e per la prima volta solo e senza predecessore si metteva in cammino verso la propria morte.

"Avrei dovuto chiudere gli occhi a mio padre! - pensò Ulrich involontariamente. - Non per lui o per me, bensì..." Non seppe concludere quel pensiero; ma che il padre non gli avesse voluto bene, né lui al padre, gli parve, di fronte a quell'ordine naturale, una stima soverchia e meschina dell'importanza personale, e d'altronde davanti alla morte i pensieri personali avevano un gusto scipito d'inconcludenza, mentre tutto ciò che vi era di significativo nell'evento sembrava emanare dal corpo gigantesco del corteo lentamente avanzante in mezzo a due pareti di spettatori, anche se v'erano lì in mezzo scioperataggine, curiosità e la smania sbadata di intromettersi dappertutto.

Tuttavia la musica seguitava a suonare, era una giornata chiara, leggera, splendida, e i sentimenti di Ulrich oscillavano come il baldacchino che si porta in processione sopra il Santissimo. Di quando in quando Ulrich guardava nei vetri del carro funebre che lo precedeva, e vedeva la propria testa lì riflessa, col cappello e le spalle; ogni tanto scopriva sul fondo della carrozza, accanto alla bara stemmata, le piccole scaglie di cera dei funerali precedenti che non erano state tolte per bene, e allora suo padre gli faceva semplicemente e puramente pena come un cane che è stato investito per la strada. Il suo sguardo si inumidiva e se al di sopra di tutto quel nero egli guardava gli spettatori ritti sui marciapiedi, li vedeva come fiori spruzzati e multicolori; e l'idea che lui, Ulrich, vedeva tutto ciò, e non colui che aveva vissuto lì tutti i suoi giorni e per giunta amava molto più di lui le cerimonie, era così strana da fargli giudicare impossibile che suo padre non potesse essere presente al congedo da un mondo che nel complesso gli era piaciuto. Benché turbato, Ulrich notò che l'agente o imprenditore delle Pompe Funebri che regolava e conduceva verso il cimitero il funerale cattolico era un ebreo alto e robusto di una trentina d'anni: adorno di lunghi baffi biondi aveva le tasche piene di carte come una guida turistica, correva avanti e indietro, e qui aggiustava le tirelle a un cavallo, là sussurrava qualcosa ai suonatori della banda. A Ulrich venne anche in mente che la salma del padre l'ultimo giorno non era rimasta in casa e vi era stata riportata soltanto poco prima del funerale, conforme a una volontà testamentaria ispirata dallo spirito di ricerca, che la poneva a disposizione della scienza; ed era fuor di dubbio che dopo quell'intervento anatomico il vecchio signore doveva esser stato soltanto rimesso insieme alla svelta; dunque al centro di quella grande, bella, solenne fantasmagoria dietro le lastre di vetro che riflettevano l'immagine di Ulrich c'era soltanto una cosa mal cucita.

"Con o senza le sue decorazioni?" si chiese Ulrich perplesso; non ci aveva più pensato e non sapeva se all'Istituto d'anatomia avevano rivestito il padre prima di rimandarlo a casa chiuso nella sua cassa. Anche sulla sorte della giarrettiera di Agathe si potevano nutrire dubbi; forse l'avevano trovata, ed egli immaginò le facezie degli studenti. Tutto ciò era estremamente penoso, e in tal modo le obiezioni della realtà scomposero il suo sentimento in tanti singoli pezzi, dopo che per un attimo si era arrotondato quasi nella sfera levigata di un sogno vivente. Adesso non sentiva più che l'assurdità confusamente oscillante dell'ordine umano e di se stesso.

"Ormai sono solo al mondo, - egli pensò, - la catena di un'ancora s'è spezzata... io salgo alla superficie!" In quel ricordo della prima impressione avuta nel ricevere la notizia della morte del padre tornò a vestirsi il suo sentimento mentre egli avanzava tra le due muraglie di uomini.

7.Giunge una lettera di Clarisse

Ulrich non aveva lasciato il suo indirizzo a nessuno, ma Clarisse l'ebbe da Walter, che lo conosceva dall'infanzia.

Ella gli scrisse:

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"Mio caruccio, mio vigliaccuccio, mio uccio! Sai cos'è un uccio?Io non saprei spiegartelo. Walter è forse un deboluccio. (Il suffisso uccio era sempre sottolineato più

volte)Credi che fossi ubriaca quando son venuta da te? Io non posso ubriacarmi. (Gli uomini si ubriacano

più presto di me. È strano).Ma non so che cosa ti ho detto; non me ne ricordo. Ho paura che tu t'immagini che io abbia detto

cose che non ho detto. No, non le ho dette.Ma volevo scriverti una lettera... subito! Prima di tutto: tu sai come si aprono i sogni. Qualche volta,

quando sogni, ecco che sai: sei già stato in questo luogo, hai già parlato con questa persona, oppure... È come ritrovare la propria memoria.

Al risveglio so di aver vegliato!(Ho dei compagni di sonno)Ti ricordi ancora di Moosbrugger? Devo raccontarti una cosa:A un tratto m'è tornato il suo nome.Quelle tre sillabe musicali.Ma la musica è inganno. Voglio dire quando è sola. La musica da sola è estetismo o qualcosa di

simile: debolezza di fronte alla vita. Se però la musica si unisce alla vita, allora i muri tremano e dalla tomba del presente sorge la vita di coloro che verranno. Io non ho soltanto udito le tre sillabe musicali, le ho anche vedute. Sono emerse dalla mia memoria. Una certezza, a un tratto: dov'esse sorgono c'è anche qualcos'altro! Una volta scrissi al tuo conte una lettera su Moosbrugger: come si fa a dimenticare una cosa simile! Io adesso vedo-odo un mondo in cui le cose stanno ferme e la gente si muove, come tu la conosci da sempre, ma sonante-visibile. Non posso spiegarlo chiaramente, perché finora ne son venute fuori solo le tre sillabe. Tu mi capisci? Forse è ancora troppo presto per parlarne.

Dissi a Walter: - Voglio conoscere Moosbrugger!Walter chiese: - E chi è Moosbrugger?Io risposi: - L'amico di Ulrich, l'assassino.Leggevamo il giornale; era mattina e Walter doveva andare all'ufficio. Ricordi quel giorno che

leggemmo il giornale tutti e tre insieme? (Tu hai poca memoria, non te ne ricorderai!) Dunque io avevo spiegato il foglio che Walter m'aveva dato: un braccio a destra, un braccio a sinistra; improvvisamente sento un legno duro, sono inchiodata alla croce. Chiedo a Walter: - Il giornale non parlava solo ieri di uno scontro ferroviario presso Budweis?

- Sì, - risponde lui. - Perché lo chiedi? Una cosa da poco, un morto o due.Dopo una pausa io dico: - Perché anche in America c'è stato uno scontro. Dov'è la Pennsylvania?Lui non lo sa. - In America, - dice.Io dico: - I macchinisti non fanno mai scontrare apposta le loro locomotive!Lui mi guarda. Era evidente che non mi capiva. - Certo che no, - egli sentenzia.Domando quando viene Siegmund a trovarci. Walter non lo sa bene.E adesso vedi: si capisce che i macchinisti non fanno scontrare le loro locomotive per far un

disastro; ma allora perché lo fanno? Te lo dirò io: in quella rete mostruosa di rotaie, scambi e segnali che si tende tutt'intorno al globo, noi tutti perdiamo la forza della coscienza. Perché se avessimo la forza di riesaminarci e di riconsiderare il nostro compito, faremmo tutto il necessario ed eviteremmo l'infortunio. L'infortunio è il nostro arrestarci al penultimo passo!

Naturalmente non ci si può aspettare che Walter capisca subito. Io credo di poter acquistare questa immensa forza della coscienza e dovetti chiudere gli occhi perché Walter non vedesse il lampo che vi guizzava dentro.

Per tutte queste ragioni stimo mio dovere far la conoscenza di Moosbrugger.Come sai, mio fratello Siegmund è medico. Lui mi aiuterà.L'ho aspettato.

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Domenica venne da noi.Quando lo si presenta a qualcuno, egli dice: - Ma non sono né ebreo, né musico - Queste sono le sue

freddure. Perché siccome si chiama Siegmund non vuol essere preso né per un ebreo né per un musicomane. È stato concepito durante un'ubriacatura wagneriana. Impossibile farmi dare una risposta assennata. Mentre parlavo, brontolava sciocchezze. Tirò un sasso a un uccello e col bastone frugava nella neve. Voleva anche scavare un sentiero con la vanga; viene spesso da noi per lavorare, dice che non gli piace stare a casa con la moglie e i bambini. Strano che tu non l'abbia mai incontrato. - Voi avete Les fleurs du mal e un orto d'erbe mangerecce, dice. Molte volte gli ho tirato gli orecchi e gli ho dato dei pugni nelle costole, ma non è servito a niente.

Poi in casa raggiungemmo Walter che naturalmente sedeva al piano, e Siegmund s'era puntato su le falde della giacca e aveva le mani sporche fino ai polsi.

- Siegmund, - gli dissi davanti a Walter, - quand'è che capisci un pezzo di musica?Lui sghignazza e risponde: - Mai.- Sì, quando lo fai tu stesso dentro di te! - dissi io. - Come fai a capire una persona? Devi rifarla! -

Questo è il grande segreto, Ulrich! Devi essere come quell'altro: ma non penetrando tu in lui, sebbene lui in te! Noi lo riscattiamo, lo liberiamo, questa è la forma attiva! Intervenire nelle azioni umane, ma adempirle e innalzarsi sopra di esse!

- Scusa se mi dilungo tanto. Ma i treni si scontrano perché la coscienza non fa l'ultimo passo. I mondi non emergono se non li attiriamo. Un'altra volta te ne parlerò più diffusamente. L'uomo geniale ha il dovere di dar l'assalto! Ne ha la forza inquietante! Ma Siegmund, quel vigliacco, guardò l'orologio e chiese se si andava a cena, perché lui poi doveva tornare a casa. Sai, Siegmund si tiene sempre a metà strada fra lo scetticismo del medico esperto che non stima gran che le possibilità della sua professione e lo scetticismo dell'uomo moderno che, al di là della tradizione spirituale, è già riapprodato all'igiene della semplicità e del giardinaggio. Ma Walter esclamò: - Per l'amor di Dio, perché fate simili discorsi? Cosa volete insomma da questo Moosbrugger? - E questo ha servito.

Perché allora Siegmund disse: - O è un pazzo o è un delinquente, questo è vero. Ma se Clarisse si immagina di poterlo redimere! Io sono medico e devo permettere anche al cappellano di immaginarselo. Riscattare, dice Clarisse? Be', perché non lo potrebbe almeno vedere?

Si spazzolò i calzoni, con aria tranquilla, e si lavò le mani. A cena poi combinammo tutto.E infatti andammo dal dottor Friedenthal, l'assistente che mio fratello conosce. Siegmund spiattellò

subito che si assumeva lui le responsabilità di introdurmi sotto mentite spoglie, dicendo che ero scrittrice e desideravo vedere l'assassino.

Ma fu uno sbaglio, perché a una richiesta così precisa quell'altro non poteva che rispondere di no. - Anche se lei fosse Selma Lagerlöf, sarei felice della sua visita, e naturalmente lo sono ad ogni modo; ma qui si tien conto soltanto degli interessi scientifici!

Era molto carino passare per una scrittrice. Lo fissai negli occhi e gli dissi: - In questo caso sono più che la Lagerlöf, perché non ho scopi di studio!

Egli mi guardò e dichiarò: - L'unica sarebbe che lei si presentasse al direttore della clinica con una presentazione della sua Ambasciata M'aveva preso per una scrittrice straniera e non aveva capito che ero la sorella di Siegmund.

Alla fine decidemmo che avrei visto non il malato ma il prigioniero Moosbrugger. Siegmund mi procura la raccomandazione di una Lega Benefica e un permesso del tribunale. Dopo, Siegmund mi raccontò, che il dottor Friedenthal giudica la psichiatria più un'arte che una scienza e lo definì il direttore di un circo di demoni. A me però questo non dispiace.

Il più bello è che la clinica ha per sede un vecchio convento. Dovremmo aspettare in un corridoio; l'aula è la ex cappella, con grandi finestroni e io vi potevo guardar dentro, dal cortile. Gli ammalati vestivano di bianco e sedevano in cattedra vicino al professore. E il professore si chinava verso di loro con molta cordialità. Io pensavo: forse adesso porteranno dentro Moosbrugger. Sentivo che allora sarei

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volata dentro la sala attraverso quelle grandi vetrate. Tu dirai che io non so volare; saltar dentro la finestra, allora? No, questo no, perché questo non me lo sentivo.

Spero che tu ritorni presto. Mai ci si può esprimere. Tanto meno per lettera."Sotto c'era la firma vigorosamente sottolineata: Clarisse.

8.Famiglia in due

Ulrich dice:- Quando due uomini, o due donne, devono dividere lo stesso spazio per parecchio tempo - in

viaggio, in vagone letto o in un albergo sovraffollato - non di rado stringono una strana amicizia. Ciascuno ha una maniera sua di lavarsi i denti o di chinarsi per allacciarsi le scarpe o di salire sul letto per coricarsi. La biancheria e il vestiario, simili nel complesso, hanno nei particolari mille piccole differenze che si rivelano all'occhio. In principio - probabilmente per l'eccessivo individualismo dell'attuale modo di vivere - v'è una resistenza che somiglia a una leggera antipatia e respinge la troppa dimestichezza, la violazione della propria personalità; poi è vinta, e allora si forma una comunanza che ha un'origine inusitata come una cicatrice. Dopo quella metamorfosi molte persone si mostrano più gaie del solito; moltissime più serene, parecchie più loquaci, quasi tutte più amabili. La personalità è mutata, si potrebbe dire che sotto la pelle si è trasformata in un'altra meno singolare: al posto dell'Io fa capolino il primo accenno di un Noi, sentito chiaramente come un disagio e una diminuzione, ma tuttavia irresistibile.

Agathe risponde:- Quella ripugnanza per la vita in comune si sente soprattutto fra donna e donna. Io alle donne non

ho mai potuto abituarmi.- Si sente anche fra marito e moglie, - afferma Ulrich. - In tal caso però è coperta dai doveri del

commercio amoroso che assorbe subito l'attenzione. Ma non di rado i due "intrecciati" si svegliano di colpo e vedono - secondo il loro carattere, con stupore, o ironia, o voglia di scappare - un essere del tutto estraneo adagiato comodamente al loro fianco; a molti questo succede ancora dopo parecchi anni di matrimonio.

E non saprebbero dire che cosa sia più naturale: la loro convivenza con l'individuo estraneo o il subito rifuggirne secondo la propria unicità - l'una e l'altra cosa sono nella nostra natura. Tutt'e due questi atteggiamenti si confondono nel concetto della famiglia. La vita in famiglia non è la vita piena e compiuta; i giovani vi si sentono frodati, diminuiti, non con-se-stessi. Guarda le ragazze che rimangono zitelle: sono succhiate dalla famiglia e private del loro sangue; diventano strane creature neutre fra l'io e il noi.

La lettera di Clarisse ha messo Ulrich a disagio. Le esplosioni intermittenti in essa contenute lo inquietano molto meno che il lavorio tranquillo, in apparenza quasi ragionevole, che essa svolge dentro di sé per attuare un progetto manifestamente folle. Egli si è detto che al suo ritorno bisognerà parlarne con Walter, e da allora tratta volentieri altri temi.

Agathe, coricata sul divano, ha tirato su un ginocchio ed entra vivacemente nel ragionamento di Ulrich:

- Con ciò che dici, tu stesso spieghi perché io dovetti subito rimaritarmi! - ella esclama.- Eppure c'è qualcosa di vero nel cosiddetto sacro senso della famiglia, in quell'esser tutti presi gli uni

dagli altri, servirsi a vicenda, in quel roteare con abnegazione in un cerchio chiuso, - prosegue Ulrich senza badarle, e Agathe si meraviglia che così spesso le sue parole si allontanino da lei dopo esserle venute tanto vicino. - Di solito quell'io collettivo è soltanto un egoismo collettivo, e allora il senso della

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famiglia è la cosa più odiosa che si possa immaginare; ma quell'implicito supplire l'uno all'altro, quel lottare insieme e sopportare i colpi, si può anche interpretare come un sentimento atavico originariamente piacevole, risalente addirittura all'epoca paleozoologica - Agathe ode questo discorso e non riesce a ricavarne gran che. Neanche dalla frase che segue:

- Questo stato però degenera facilmente, come tutti gli stati di cui s'è perduta l'origine - E solo quando egli conclude con le parole: - E bisogna probabilmente che i singoli siano già gente molto ammodo perché l'insieme da essi costituito non diventi un'assurda caricatura! - ella si sente di nuovo al sicuro vicino a lui e vorrebbe, mentre lo guarda, non permettere ai propri occhi di chiudersi affinché egli non sparisca; perché è così curioso ch'egli stia lì seduto a dir cose che si perdono in alto e a un tratto ricadono, come una palla di gomma che s'è impigliata nei rami d'un albero.

Fratello e sorella s'erano ritrovati nel tardo pomeriggio in salotto; parecchi giorni erano già trascorsi dal funerale.

Quel salotto di forma oblunga era arredato non soltanto nel gusto ma con autentiche suppellettili di stile impero rustico. Tra le finestre pendevano gli alti rettangoli degli specchi racchiusi in lisce cornici dorate, e le sedie rigide e sobrie erano allineate contro le pareti, così che il pavimento vuoto sembrava aver sommerso la stanza con la brunita forbitezza dei suoi riquadri, riempiendo un bacino poco profondo in cui si poneva il piede con titubanza. Al margine di quella inospite compostezza del salone perché lo studio era rimasto a Ulrich, dopo che ci si era trattenuto la prima mattina - là dove in una nicchia d'angolo la stufa torreggiava come un austero pilastro portando un vaso sulla sommità (ed esattamente nel centro del lato anteriore, su un bordo che correva tutt'intorno, un unico candeliere) Agathe si era combinata una penisola personalissima. Aveva fatto portare un'ottomana, e vi aveva steso davanti un tappeto i cui antichi disegni rossi e blu insieme con gli arabeschi orientali del divano, assurdamente ripetuti all'infinito, erano una sfida smaccata al grigio tenue, alla linearità ragionevole e discreta che regnava nella sala per volere degli antenati. Inoltre Agathe aveva offeso quella volontà austera e signorile serbando per sé, fra gli addobbi funebri dei giorni scorsi una grande pianta dalle larghe foglie verdi, che aveva posto a capo del divano, in funzione di "boschetto", accanto all'alta lampada a stelo che doveva permetterle di leggere sdraiata, e che nel paesaggio classico del salone faceva l'effetto di un riflettore o di un'antenna. Quel salone col soffitto a cassettoni, le mezze colonne e gli armadietti impero era mutato poco in cento anni perché lo si usava di rado, e i suoi possessori di prima non l'avevano mai veramente incluso nella propria vita; forse al tempo degli avi le pareti erano rivestite di delicate tappezzerie seriche, invece dell'intonaco chiaro che portavano adesso, e la stoffa delle sedie poteva esser stata diversa, ma fin dall'infanzia, Agathe il salone l'aveva sempre veduto così come appariva adesso, e ignorava perfino se l'avevano arredato i bisnonni oppure gente estranea, perché, nata e cresciuta fra quelle mura, sapeva soltanto che in quella stanza era sempre entrata con la soggezione che si instilla ai bambini per tutto ciò che essi potrebbero facilmente guastare o insudiciare. Ormai però ella aveva deposto le vesti di lutto, ultimo simbolo del passato, per indossare di nuovo il suo pigiama, e sdraiata sull'intruso divano leggeva fin dal primo mattino libri buoni e cattivi raccolti qua e là, interrompendosi solo di quando in quando per mangiare o per addormentarsi; e quando la giornata così trascorsa volgeva alla fine ella guardava in fondo alla sala sempre più buia le tende chiare che già immerse nella penombra si gonfiavano come vele davanti alle finestre, e le sembrava di navigare nel crudo alone della sua lampada per quell'ambiente nello stesso tempo rigido e delicato, e di avervi gettato l'ancora or ora.

Così l'aveva trovata il fratello, che abbracciò con una occhiata il suo rifugio illuminato; anch'egli infatti conosceva bene la sala e seppe perfino narrarle che il primo proprietario della casa era stato un ricco mercante al quale poi erano andati male gli affari, per cui il loro bisnonno, regio notaio, si era agevolmente trovato in condizioni di acquistare la bella proprietà. Altre cose ancora Ulrich le raccontò del salone da lui conosciuto in ogni particolare, e Agathe rimase soprattutto colpita dall'assicurazione che al tempo dei bisnonni quell'arredamento severo era considerato naturalissimo; non le era facile

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convincersene, perché a lei pareva l'aborto di una lezione di geometria, e ci volle un certo tempo prima che spuntasse in lei la coscienza di un'epoca così sazia delle forme imperiose del barocco che il suo stesso comportamento simmetrico e rigido era velato dalla sottile illusione di agire nel senso di una natura incorrotta, senza fronzoli, e ritenuta razionale. Quando ebbe sott'occhi quell'evoluzione di concetti, con tutti i particolari che Ulrich andava aggiungendo, le parve bello sapere tante cose che finora, come esperienza della sua vita, aveva disprezzato; e poiché il fratello le chiese che cosa stesse leggendo si buttò svelta col corpo sopra il mucchietto dei suoi libri, pur dichiarando spavalda che le piacevano tanto le cattive letture quanto le buone.

La mattina Ulrich aveva passato qualche ora al lavoro, poi era uscito. Fino a quel giorno la sua speranza di concentrarsi non s'era adempiuta, e l'effetto stimolante che avrebbe dovuto risultare dall'interruzione della solita vita era stato annullato dagli sviamenti che le nuove circostanze portavano con sé. Solo dopo i funerali vi fu un cambiamento, quando i rapporti col mondo esterno, fino allora così animati, si strapparono di colpo. I fratelli che, per così dire in rappresentanza del padre, erano stati per qualche giorno il centro della simpatia generale e avevano sentito i molteplici legami inerenti alla loro posizione, in fondo poi non conoscevano nessuno in città tranne il vecchio padre di Walter - da poter visitare, e per riguardo al loro lutto non erano invitati da nessuno; solo il professor Schwung era venuto, oltre che alle esequie, anche il giorno dopo a informarsi se il compianto amico non avesse lasciato un manoscritto sulla diminuita capacità d'intendere e di volere, di cui ci si potesse aspettare la pubblicazione postuma.

Quel brusco trapasso da un subbuglio continuo a una quiete plumbea fu addirittura una specie di trauma fisico. Per giunta, poiché la casa non aveva stanze per gli ospiti, essi dormivano ancora in soffitta nelle loro vecchie camere di bambini su letti di fortuna, in un disadorno ambiente infantile che faceva pensare alle celle spoglie di un manicomio, e con il lustro senza onore della tela cerata sui tavoli e del linoleum sui pavimenti, nella cui noia la scatola delle costruzioni sputava un tempo le idee fisse della propria architettura, si cacciava fin dentro ai sogni. Per quei ricordi, senza senso e senza fine come la vita a cui avrebbero dovuto prepararli, i fratelli eran contenti che le loro camere, separate soltanto da un ripostiglio pieno di cose vecchie e inutili, fossero almeno contigue; e poiché la stanza da bagno era al piano di sotto, anche dopo il risveglio essi dipendevano l'uno dall'altro, si incontravano fin dal mattino nel vuoto delle scale e della casa, dovevano usarsi reciproco riguardo, risolvere insieme tutti i problemi di un'economia domestica finora estranea e d'un tratto affidata alle loro mani. In tal modo coglievano anche il lato comico di quella convivenza tanto intima quanto imprevista: era come se un naufragio buffo e avventuroso li avesse ributtati sull'isola solitaria della loro fanciullezza, e ciò li condusse, subito dopo i primi giorni, sul cui corso non avevano potuto in alcun modo influire, a cercare una certa autonomia, ma ciascuno dei due lo fece più per riguardo all'altro che per se stesso.

Perciò Ulrich si era già alzato, prima che Agathe si costruisse la sua penisola nel salone, e pian piano era scivolato nello studio, dove aveva ripreso le interrotte ricerche matematiche, più per passare il tempo, però, che nell'intento di ottenere un risultato. Ma, con sua non lieve meraviglia, nelle poche ore di una mattinata egli condusse a termine, tranne pochi insignificanti particolari, il lavoro rimasto sospeso per mesi. Lo aveva soccorso nella scoperta della soluzione inattesa uno di quei pensieri al di fuori d'ogni regola dei quali non si può dire soltanto che nascono quando uno non li aspetta più, ma piuttosto che il loro improvviso e folgorante apparire ricorda quello della donna amata, che si trova già lì in mezzo alle altre amiche prima che lo sbigottito amatore si domandi come avesse finora potuto equipararla alle altre. In simili rivelazioni è inclusa non soltanto l'intelligenza ma anche qualche speciale proprietà della passione, e a Ulrich sembrava di esser giunto in quel momento al termine e alla libertà, e anzi, poiché non distingueva né un motivo né uno scopo, pensò che aveva finito addirittura prima del tempo, ed ora l'energia residua sarebbe andata a sfociare nei sogni.

Vedeva la possibilità che il suo pensiero, dopo aver risolto quel problema, si potesse applicare a questioni assai più importanti, abbozzò giocosamente una prima fantasia di un tal sistema, e in quegli

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istanti di felice distensione si sentì persino tentato dal suggerimento del professor Schwung di ritornare alla sua professione e di cercare la via che mena all'autorità e alla fama. Ma quando dopo parecchi minuti di quella beatitudine intellettuale egli si prospettò freddamente quel che sarebbe accaduto se cedendo all'ambizione avesse imboccato con tanto ritardo la strada accademica, gli avvenne per la prima volta di sentirsi troppo vecchio per un'impresa; dall'età dell'adolescenza quel concetto quasi impersonale degli anni non gli era mai apparso come una realtà per sé stante, né mai ancora gli era sorto in mente il pensiero: c'è qualcosa che tu non puoi più fare!

Quando Ulrich lo raccontò poi alla sorella, nel tardo pomeriggio, si servì della parola "destino", che la interessò grandemente. Ella volle sapere che cos'era il destino.

- Una cosa di mezzo fra "il mio mal di denti" e "le figlie di re Lear!" rispose Ulrich. - Non sono di quelli che si baloccano volentieri con questa parola.

Ma per i giovani essa fa parte della canzone della vita; vorrebbero avere un destino e non sanno che cosa sia.

Ulrich replicò:- In tempi futuri e meglio informati la parola destino acquisterà probabilmente un significato

statistico.Agathe aveva ventisette anni. Era abbastanza giovane per aver conservato qualcosa delle vuote

forme del sentimento che si coltivano per prime; abbastanza vecchia per intuire l'altro contenuto, costituito dalla realtà. Ella obiettò:

- Anche invecchiare è già un destino! - e fu molto scontenta di quella frase, in cui la sua malinconia giovanile era espressa in una maniera che le pareva insignificante.

Ma il fratello non ci badò e addusse un esempio:- Quando divenni matematico, - egli narrò, - desideravo il successo scientifico e mi adoperai con

tutte le mie forze per ottenerlo, anche se lo consideravo soltanto un gradino verso qualcos'altro. E i miei primi lavori - naturalmente imperfetti, come sono sempre gli inizi - contenevano davvero alcuni pensieri che allora erano nuovi, e rimasero ignorati oppure incontrarono addirittura opposizione, sebbene tutto il resto ottenesse buone accoglienze. Ora, si potrebbe forse chiamare destino il fatto che io persi presto la pazienza di battere ancora con tutte le mie forze su quel cuneo.

- Cuneo? - interruppe Agathe, come se il suono di quella parola maschia e utensile le desse un immediato fastidio. - Perché lo chiami cuneo?

- Perché era proprio quello il mio primo proposito: introdurre le mie idee come un cuneo, ma poi la pazienza mi venne meno. E oggi, concludendo forse l'ultimo mio lavoro che ancora risale a quel tempo, mi rendo conto che probabilmente non a torto avrei potuto considerarmi il capo di una corrente, se allora avessi avuto un po' più di fortuna o di perseveranza.

- Ma sei ancora in tempo! - opinò Agathe. - Per l'uomo non vien così presto come per la donna il momento in cui è troppo vecchio per certe cose.

- No, - replicò Ulrich, - non ne ho più voglia. Perché è strano ma vero, che obiettivamente, per il corso delle cose, per l'evoluzione della scienza, nulla sarebbe mutato. Può darsi che io abbia preceduto i miei tempi di una diecina d'anni; ma, un po' più lentamente e per altre strade, altre persone sono arrivate anche senza di me al punto dove, tutt'al più, io le avrei condotte un po' più in fretta; mentre è assai dubbio se una tale diversità della mia vita sarebbe bastata a lanciarmi con un nuovo vantaggio al di là della meta. Ecco qua dunque un pezzetto di quel che si chiama destino personale, ma che è poi qualcosa di straordinariamente impersonale.

- Del resto, - egli continuò, - quanto più invecchio, tanto più spesso mi avvedo di aver odiato cose che più tardi e per vie indirette seguivano la mia stessa direzione, così che a un tratto non posso più negare il loro diritto d'esistere; oppure accade che mi si rivelino i difetti delle idee o degli avvenimenti per cui ho parteggiato. Se consideriamo un tratto di strada un po' lungo sembra dunque che abbia poca importanza l'essersi appassionati e in qual senso. Tutto converge allo stesso scopo e tutto serve ad uno

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sviluppo che è impenetrabile e immancabile.- Una volta lo si attribuiva agli imperscrutabili disegni di Dio, commentò Agathe corrugando la

fronte, nel tono di chi parla di esperienze proprie e con non troppo rispetto.Ulrich ricordò che Agathe era stata educata in convento. Nei lunghi calzoni stretti alle caviglie ella

giaceva sul divano ai cui piedi egli si era seduto, e l'alta lampada li illuminava entrambi, così che sul pavimento si era formata una grande lama di luce al di sopra della quale essi si trovavano al buio.

- Oggi il destino fa piuttosto l'impressione del movimento sopraordinato di una massa, - egli affermò; - ci stiamo dentro e siamo trascinati col resto - Si rammentò di aver già avuto un'altra volta il pensiero che oggi ogni verità veniva al mondo divisa nelle sue due metà, e tuttavia si poteva ottenere in quella maniera fallace e mobile un rendimento complessivo maggiore che se ciascuno in gravità e solitudine si sforzasse di adempiere il suo intero dovere. Quest'idea confitta nella sua coscienza come un uncino e non priva di una possibilità di grandezza, egli l'aveva già esposta, e una volta ne aveva perfino tratto, senza prenderla sul serio, la conclusione che si poteva fare ciò che piaceva! In realtà nulla era così lontano da lui quanto una simile conclusione; e proprio adesso che il suo destino sembrava averlo messo da banda non lasciandogli più nulla da fare, nel momento pericoloso per la sua ambizione in cui egli sotto uno strano pungolo aveva finito quel lavoro ritardato, chiudendo l'ultima partita che ancora lo legava agli anni precedenti, proprio ora dunque che egli personalmente restava a mani vuote, sentiva, invece di una remissione, la nuova tensione comparsa dopo la sua partenza. Essa non aveva nome; si sarebbe potuto anche dire che un suo giovane parente gli chiedeva consiglio, oppure qualcos'altro. Ma con straordinaria chiarezza egli vedeva la chiazza luminosa d'oro chiaro sul verde-nero della stanza, e i quadri sfumati del vestito di Agathe e se stesso e, tolta dal buio, delimitata con estrema nettezza, la congiuntura della loro riunione.

- Come hai detto? - domandò Agathe.- Ciò che oggi si chiama ancora destino personale sarà sostituito da eventi collettivi e interpretabili

mediante la scienza statistica, - ripeté Ulrich.Agathe ci pensò un momento poi sbottò a ridere.- Naturalmente capisco poco, ma non sarebbe meraviglioso se la statistica sciogliesse i nostri nodi?

L'amore da un pezzo non ci riesce più!E ciò condusse Ulrich a raccontare improvvisamente alla sorella ciò che gli era accaduto dopo aver

finito il suo lavoro, quando, uscito di casa, era andato fin nel centro della città per riempire in qualche modo l'indeterminatezza rimasta in lui.

Non aveva voluto parlarne finora perché gli sembrava una faccenda troppo personale. Perché ogni volta che i suoi viaggi lo portavano in qualche città a cui nessun interesse lo legava, godeva molto di quel particolare sentimento di solitudine che ne deriva, e di rado era stato così intenso come questa volta. Egli aveva visti i colori delle strade, delle carrozze, delle vetrine, dei portoni, le forme dei campanili, dei visi e delle facciate e quantunque essi presentassero la fisionomia comune a tutta l'Europa, lo sguardo vi correva sopra come un insetto che s'è smarrito in un campo di cui non conosce i colori di richiamo, e non vi si può fermare, benché lo desideri. Questo andare senza meta e senza chiara destinazione in una città vivacemente affaccendata con se stessa, quella accresciuta tensione del vivere unita a un'accresciuta solitudine, ancora aumentata dalla convinzione che non si tratta di uno bensì di quella somma di visi, di quei movimenti staccati dal corpo e raccolti in armate di braccia, di gambe, di denti, alle quali appartiene il futuro, può destare nell'uomo che ancora se ne va tutt'intero e concluso in sé il timore di essere un asociale e un delinquente; ma se si procede ancora per quella via, ne può anche sorgere un assurdo senso di piacere e d'irresponsabilità fisica, come se il corpo non appartenesse più a un mondo dove l'Io sensuale è racchiuso in piccoli condotti e tessuti nervosi, ma ad un cosmo inondato di sonnolenta dolcezza.

Con queste parole Ulrich descriveva alla sorella ciò che forse era la conseguenza di uno stato senza scopo e senza ambizione, oppure di un diminuito concetto della personalità, ma forse invece altro non

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era che il "mito primitivo degli dei", le "due facce della natura", quella "veggenza che dà" e "che toglie" di cui egli era appunto sulle tracce. Aspettava perciò con curiosità di vedere se Agathe avrebbe dato un segno di comprensione o rivelato che anche lei conosceva impressioni simili, ma poiché non accadde, egli spiegò ancora una volta:

- È come una piccola fenditura della coscienza. Ci si sente abbracciati, racchiusi e penetrati fin dentro al cuore da una piacevole abulica mancanza d'indipendenza; ma d'altro lato si rimane svegli e capaci di critica e persino disposti ad attaccar briga con quelle persone e cose piene di vieta presunzione. È come se in noi vi fossero due strati di vita relativamente indipendenti, che di solito si mantengono in equilibrio. E giacché si è parlato del destino, si potrebbe anche dire che abbiamo due destini: uno mobile e senza importanza, che si compie, e un altro immobile e importante, che non si conosce mai.

Allora Agathe, che aveva ascoltato a lungo senza muoversi, disse repentinamente:- È proprio come baciare Hagauer!Si era alzata sui gomiti e rideva; le sue gambe erano ancora lunghe distese sul divano. E aggiunse:

Naturalmente non era una cosa così bella come l'hai descritta tu! - E Ulrich partecipò alla sua ilarità. Non si capiva bene perché ridessero. Quel riso era venuto su di loro dall'aria o dalla casa o dai resti di stupore e di disagio che i solenni avvenimenti degli ultimi giorni, in vano contatto con l'aldilà, avevano lasciato in loro, oppure dal piacere insolito che trovavano nella conversazione; perché ogni usanza umana coltivata fino all'estremo porta già in sé il germe del cambiamento, e ogni commozione che esce dal comune è tosto appannata da un'ombra di incongruenza, di sazietà e di malinconia.

In tal modo e con quel lungo giro erano giunti infine, quasi per riposarsi, al discorso più innocuo sull'Io e sul Noi e sulla Famiglia, e alla scoperta, oscillante tra il riso e lo stupore, che loro due costituivano una Famiglia. E mentre Ulrich parla del desiderio di compagnia - di nuovo col fervore di un uomo che si infligge una pena diretta contro la propria natura, ma non sa se contro la propria natura vera od assunta - Agathe ode le sue parole venirle vicino e poi tornare ad allontanarsi, ed egli si accorge di avere, secondo la sua malaugurata abitudine, cercato a lungo nell'aspetto di lei - che pure gli sta dinanzi così inerme nell'abito capriccioso e nella luce chiara qualcosa di repulsivo; ma non ha trovato nulla, e di questo rende grazie con una tenerezza semplice e pura che non ha mai sentito. Ed è molto entusiasta della conversazione. Quando ha finito di parlare, Agathe gli chiede con naturalezza:

- Ma tu insomma sei favorevole o contrario a ciò che chiami famiglia?Ulrich risponde che non si tratta di questo, perché lui in fondo parlava di una irresolutezza del

mondo e non della propria perplessità. Agathe medita per qualche istante. Infine dice all'improvviso:- Io non posso dare un giudizio! Ma mi piacerebbe essere in accordo e in unione con te e anche...

insomma vivere così, in qualche modo! Non vorresti tentare anche tu?

9.Agathe, quando non può parlare con Ulrich

Nel momento in cui Agathe saliva in treno per iniziare l'imprevisto viaggio di ritorno alla casa del padre era accaduto qualcosa che aveva la massima somiglianza con uno strappo repentino, e i due pezzi in cui l'istante della partenza s'era diviso erano scattati così lontani l'uno dall'altro come se non fossero mai stati congiunti. Il marito l'aveva accompagnata alla stazione, s'era scoperto il capo e mentre il convoglio s'allontanava aveva sollevato a mezz'aria, come si conviene per un commiato, la bombetta nera, dura, rotonda che diventava sempre più piccola, per cui pareva ad Agathe che la tettoia della stazione filasse tanto rapida indietro quanto il treno correva avanti. Fino a quel momento ella era stata convinta che non sarebbe rimasta via più di quanto le circostanze l'avessero richiesto, ma di colpo

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decise che non sarebbe ritornata mai più e la sua coscienza divenne inquieta come il cuore di chi si vede improvvisamente scampato a un pericolo di cui era ignaro.

Quando ci ripensava, Agathe non si sentiva per nulla soddisfatta. Disapprovava il proprio contegno, che per molti aspetti le ricordava una strana malattia avuta nell'infanzia, poco dopo che aveva incominciato a frequentare la scuola. Per più di un anno, allora, aveva sofferto di febbri abbastanza alte che non salivano né scendevano, e s'era ridotta a tale magrezza da preoccupare i medici che non riuscivano a scoprirne la causa. Nemmeno più tardi s'era mai chiarito di qual malanno si trattasse. Ad Agathe sarebbe piaciuto che i dottoroni dell'università, che entravano per la prima volta nella sua stanza pieni di dignità e di saggezza, perdessero di settimana in settimana un poco della loro sicumera; e pur trangugiando ubbidiente tutte le medicine prescritte e pur essendo desiderosa di guarire come quelli pretendevano, era tuttavia contenta che i medici con le loro cure non ci riuscissero, e si sentiva in una condizione soprannaturale o almeno fuor del comune mentre si consumava come una candela. Era orgogliosa che l'ordine dei grandi non avesse alcun potere su di lei finché era malata, e non sapeva come il suo piccolo corpo potesse riuscire a tanto. Ma infine esso guarì spontaneamente e in modo altrettanto singolare.

Oggi ella ne sapeva poco di più di quanto le avevano poi narrato le persone di servizio, persuase che la bimba fosse stata stregata da un'accattona che veniva spesso per casa, ma una volta era stata duramente messa alla porta; e Agathe non aveva mai scoperto quanto vi fosse di vero in quella storia perché i domestici vi alludevano spesso e volentieri, ma non si dilungavano in spiegazioni e mostravano di temere un severo divieto del padre di Agathe. Lei stessa conservava di quel tempo una sola immagine, molto viva però, in cui vedeva suo padre inveire al colmo dell'ira contro una donna di apparenza sospetta, e percuoterne parecchie volte la guancia col palmo della mano; quell'unica volta nella vita ella aveva visto trasformato in tal modo e furibondo il piccolo uomo equo di solito fino a dar fastidio; ma credeva di ricordare che la scena non s'era svolta prima bensì durante la sua malattia, e lei infatti era a letto, e il letto invece che nella sua solita stanza era al piano di sotto, nel "quartiere dei grandi", in una delle stanze dove la servitù non avrebbe dovuto lasciar entrare la mendica, anche se era ammessa alle scale e ai locali di servizio. Anzi, ad Agathe pareva che l'episodio fosse avvenuto piuttosto verso la fine della malattia, e pochi giorni dopo ella era guarita improvvisamente, cacciata fuori dal letto dalla strana impazienza con la quale il male s'era concluso così inaspettatamente com'era cominciato.

Certo di tutti quei ricordi Agathe non sapeva bene se fossero fatti reali o invenzioni della febbre. "Probabilmente, - ella pensò scontenta, - l'unica cosa strana è che quelle immagini abbiano potuto conservarsi in me così fluttuanti tra verità e fantasia senza che io ci abbia mai trovato niente di straordinario"

Gli sbalzi della vettura che percorreva strade mal lastricate impedivano la conversazione. Ulrich aveva suggerito di approfittare della bella giornata invernale per fare una gita, e proponeva anche una meta che in fondo non era una meta ma piuttosto una ricognizione di paesaggi vagamente affiorati nella memoria. Adesso erano tutti e due su una carrozza che doveva portarli fuori dalla città.

"Certo non v'è altro di strano!" si disse Agathe ripetendo fra sé il pensiero di poco prima. Nella stessa maniera aveva sempre studiato a scuola, senza mai sapere se era stupida o intelligente, volonterosa o svogliata; le risposte che gli insegnanti pretendevano da lei le si imprimevano in mente con facilità, senza che lei si dischiudesse però lo scopo di quelle domande, contro le quali si sentiva protetta da una profonda indifferenza interiore. Dopo la malattia era tornata a scuola volentieri come prima, e poiché uno dei medici aveva detto che sarebbe stato bene toglierla alla solitudine della casa paterna e farle frequentare ragazze della sua età, l'avevano messa in un istituto religioso; anche là era considerata un'allieva serena e docile, più tardi era passata al ginnasio. Quando le dicevano che una cosa era vera o necessaria, lei si regolava in conformità, e acconsentiva di buona voglia a tutto ciò che le chiedevano perché le pareva la soluzione più comoda; e le sarebbe parso insensato rivoltarsi contro solide istituzioni che non avevano niente da fare con lei ed evidentemente appartenevano a un mondo

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costruito secondo la volontà dei padri e dei professori. Però non credeva una parola di ciò che imparava, e poiché nonostante la sua condotta apparentemente arrendevole non era affatto una scolara modello e là dove i suoi desideri contrastavano con le sue convinzioni faceva tranquillamente il piacer suo, possedeva la stima delle sue compagne e perfino quella affettuosa ammirazione che gode a scuola chi sa passarsela comodamente. Poteva anzi darsi che ella si fosse combinata così anche per la sua strana malattia infantile perché in fondo tranne quell'unica eccezione era stata sempre in buona salute e poco nervosa. "Dunque nient'altro che un carattere futile e infingardo!" concluse perplessa. Ricordava quanto le sue amiche erano state più vivaci di lei, quante volte s'erano sollevate contro la rigida disciplina e di quali principî rivoluzionari avevano adornato le loro infrazioni all'ordine; ma per quanto le era stato dato osservare proprio quelle che si erano più appassionatamente ribellate contro qualche particolare, più tardi avevano accettato nel miglior modo la vita in blocco ed erano diventate ben assestate signore che educavano i figli suppergiù com'erano state educate loro. Perciò, sebbene malcontenta di sé, non era neppure persuasa che un carattere buono ed attivo valesse più del suo.

Agathe esecrava l'emancipazione della donna, così come sdegnava il femminile bisogno della covatrice, che si fa provvedere il nido dall'uomo. Ricordava con piacere il giorno in cui aveva sentito per la prima volta il seno tenderle il vestito, e aveva portato nell'aria rinfrescante delle strade le sue labbra brucianti. Ma il dinamismo erotico femminile, che sbuca dall'involucro dell'età fanciullesca come un ginocchio ritondo dal tulle rosa, aveva sempre destato il suo disprezzo. Quando si domandava di che cosa, insomma, era certa, il suo sentimento le rispondeva che ella era chiamata a vivere qualcosa di straordinario e di diverso; e questo già allora, quando non sapeva quasi nulla del mondo e non credeva a quel poco che le avevano insegnato. E le era sempre sembrato un'attività misteriosa rispondente a quell'impressione il lasciar fare di lei tutto quel che volevano, quando capitava, senza sopravvalutare la cosa.

Agathe guardò di sottecchi Ulrich che serio e impettito dondolava nella carrozza; si rammentò che egli, la prima sera, aveva stentato a capire come mai lei non fosse scappata via dal marito fin dalla notte nuziale benché non gli volesse bene. Mentre ne aspettava l'arrivo era stata piena di timore reverenziale verso il fratello maggiore, ma adesso sorrideva fra sé ricordando l'impressione che le facevano, i primi mesi, le labbra spesse di Hagauer quando s'arrotondavano amorose sotto le setole dei baffi; allora tutta la faccia si increspava in grosse pieghe verso gli angoli della bocca, e lei sentiva come una sazietà: oh com'è brutto quest'uomo! Anche la sua mite vanità e bonarietà di pedagogo lei la sopportava come una nausea solamente fisica, più esterna che interna. Passata la prima sorpresa, lo aveva ingannato di tanto in tanto con altri. "Se si dice così, - ella pensò, quando a una creatura senza esperienza, dai sensi in letargo, le premure di un uomo che non è il marito sembrano in sul principio colpi di tuono che battono alla porta!" Infatti aveva poca disposizione per l'infedeltà: gli amanti, una volta conosciuti, le parevano non più affascinanti di un marito e presto si convinse che avrebbe potuto prender altrettanto sul serio le maschere rituali di una tribù negra quanto le maschere amorose di cui l'uomo europeo si copre il volto. Non già che non ne fosse mai rimasta turbata; ma ai primi tentativi di un bis tutto era già perduto! La teatralità e l'elaborata rappresentazione dell'amore non riuscivano a inebriarla. Quella regia dell'anima, ideata soprattutto dagli uomini, il cui sugo è che la dura vita deve avere di quando in quando un'ora di debolezza - con qualche sottospecie della debolezza: abbandonarsi, svenire, darsi, soccombere, impazzire e via dicendo - le sembrava scombiccherata e fuori del giusto, perché lei si sentiva debole a tutte le ore in un mondo così magnificamente costruito dalla forza degli uomini.

La filosofia che Agathe in tal modo aveva acquisito era semplicemente quella della femmina che non si lascia menar per il naso e senza volerlo osserva ciò che il maschio cerca di darle a intendere. Anzi non era affatto una filosofia ma soltanto un disinganno fieramente dissimulato; ancor sempre mescolato all'attesa di una soluzione sconosciuta, che forse aumentava a misura che diminuiva la ribellione esteriore. Poiché Agathe aveva letto molto, ma per natura non voleva saperne di teorie, e quando confrontava le proprie esperienze con gli ideali della letteratura e del teatro, sempre si meravigliava che

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né i suoi seduttori l'avessero imprigionata come la trappola cattura la selvaggina (secondo l'atteggiamento dongiovannesco che l'uomo soleva darsi allora quando in realtà sdrucciolava insieme con una donna) né la sua vita col marito si fosse, come in un dramma di Strindberg, mutata in una lotta fra i sessi in cui la donna prigioniera, come voleva l'altra moda del tempo, torturava a morte l'inetto dominatore con tutti gli espedienti dell'astuzia e della debolezza. Al contrario i suoi rapporti con Hagauer erano sempre rimasti buoni nonostante i riposti sentimenti che ella nutriva per lui.

La prima sera Ulrich aveva usato parole grosse come terrore, trauma e violenza, che erano proprio fuori di posto. "Spiacentissima di non potermi presentare in veste di angelo", pensava Agathe, ancora riluttante al ricordo, anzi in quel matrimonio tutto s'era svolto nel modo più naturale. Il babbo aveva perorato con argomenti ragionevoli la causa di Hagauer, lei stessa era decisa a riprender marito; ebbene, sia, bisogna accettare ciò che il matrimonio comporta; è cosa non particolarmente bella né straordinariamente piacevole! Ancora adesso le rincresceva di offendere consapevolmente Hagauer, mentre era lei che l'aveva voluto. Non cercava l'amore; aveva pensato che in qualche modo sarebbe andata bene, che lui era un uomo buono.

Invece era piuttosto uno di quegli uomini che agiscono sempre bene; in loro stessi non c'è bontà, pensava ora Agathe. Si direbbe che la bontà, via via che diventa buona volontà o buone azioni, scompaia dall'uomo! Come aveva detto Ulrich? Il ruscello che fa andare una fabbrica perde la sua portata. Sì, anche così aveva detto, ma non era quello che lei cercava. Ah, ecco: "A quanto pare solo coloro che non fanno gran che di bene sono capaci di conservare tutta la loro bontà" Ma nel momento in cui la frase le tornava alla memoria, persuasiva come Ulrich doveva averla formulata, le parve assolutamente priva di senso. Non la si poteva togliere isolata dal contesto del discorso, che ella non ricordava. Cercò di disporre le parole in un altro modo, di sostituirle con altre simili; ma risultava evidente che la prima frase era la giusta perché le altre sembravano gettate al vento e non ne rimaneva nulla. Dunque Ulrich aveva detto così, ma: "Come si può chiamare buona la gente che si conduce male? - ella pensò. - È davvero un'assurdità" Eppure ricordava che il motto, mentre lui lo pronunziava, senza avere maggior contenuto le era parso meraviglioso. Meraviglioso non era la parola adatta: ella si era quasi sentita svenire dalla felicità ascoltando quell'aforisma. Aforismi simili spiegavano tutta la sua vita. Quello, per esempio, suo fratello l'aveva enunciato durante la loro ultima importante conversazione, dopo il funerale e dopo che il professor Hagauer era già ripartito; e a un tratto ella si era accorta di aver sempre agito con molta imprevidenza, e così anche quando aveva pensato semplicemente che "in qualche modo" sarebbe andata bene con Hagauer perché era "un uomo buono"!

Ulrich faceva sovente di quelle affermazioni che per qualche istante la riempivano di gioia o di tristezza, benché quegli istanti non si potessero "conservare" Quando aveva detto, per esempio - si chiese Agathe - che in certe circostanze egli poteva voler bene a un ladro, mai però a un individuo onesto per abitudine? Lì per lì non le sovveniva, ma il bello era - e di lì a poco le tornò in mente - che non Ulrich ma lei stessa aveva fatto quell'asserzione. Del resto molte cose che lui diceva ella le aveva già pensate; senza parole, però, perché opinioni così precise, sola con se stessa com'era prima, ella non se le sarebbe mai fatte! Agathe fra i balzi e gli scrolloni della carrozza, che rotolava su strade scabrose di periferia e avvolgeva in una rete di scosse meccaniche i due inabilitati a parlare, s'era sentita finora assai bene e in mezzo ai suoi pensieri aveva anche usato il nome del marito senza ostilità, soltanto come una definizione di tempo e di materia per i pensieri stessi; ma ecco che, senza un motivo speciale, un terrore infinito la penetrò a poco a poco: Hagauer era stato accanto a lei in carne e ossa! L'equanimità con la quale lo aveva considerato finora scomparve, e la gola le si serrò amaramente.

Egli era arrivato la mattina del funerale; nonostante il ritardo aveva affettuosamente insistito per vedere il suocero un'ultima volta; era andato all'Istituto d'anatomia, aveva fatto ritardare la chiusura della bara, s'era mostrato assai commosso in maniera discreta, onesta, molto misurata. Dopo le esequie Agathe si era dichiarata esausta e Ulrich aveva dovuto pranzare col cognato fuori di casa. Come narrò poi, la presenza di Hagauer lo aveva reso furente come un colletto troppo stretto e, non foss'altro per

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questo, aveva fatto il possibile per sbrigarsela rapidamente.Hagauer si proponeva di recarsi alla capitale per un congresso pedagogico, e di passare un altro

giorno in colloqui al Ministero e in ispezioni; prima di questo s'era riservato due giorni per trascorrerli con la moglie, come si addice a un marito premuroso, e per occuparsi della di lei parte di eredità; ma, d'accordo con la sorella, Ulrich aveva inventato un pretesto per non accogliere Hagauer in casa e gli aveva annunziato che una camera era prenotata per lui nel primo albergo della città. Hagauer, come era previsto, si mostrò irresoluto: l'albergo era incomodo, costoso, e per decoro doveva pagarlo lui; d'altra parte si potevano anche dedicare due giorni invece di uno ai colloqui e alle ispezioni nella capitale, e viaggiando di notte si evitava un pernottamento. Per cui Hagauer, simulando rincrescimento, lasciò intendere che gli era difficile approfittare della premura di Ulrich, e infine manifestò la sua decisione immutabile di ripartire la sera stessa. Così non restava altro da regolare che le questioni dell'eredità, e ripensandoci Agathe sorrise di nuovo, perché per suo desiderio Ulrich aveva dato a intendere al marito che il testamento si poteva aprire soltanto dopo qualche giorno. Agathe era pur lì, gli avevano detto, per tutelare i diritti del marito, egli avrebbe anche ricevuto una comunicazione in tutte le forme legali, d'altronde per quanto riguardava mobili, oggetti, ricordi e simili, Ulrich come scapolo era pronto a subordinare i propri desideri a quelli della sorella. Alla fine Ulrich aveva ancora chiesto a Hagauer se avrebbe acconsentito eventualmente alla vendita della casa che non serviva a nessuno; senza impegno, beninteso, poiché nessuno di loro aveva ancora letto il testamento. E Hagauer aveva dichiarato, beninteso senza impegno, che per il momento non aveva nulla da obiettare, ma naturalmente si riservava di prender partito nel caso di un effettivo progetto di vendita.

Questa proposta l'aveva suggerita Agathe al fratello, e lui l'aveva ripetuta, perché non aveva opinioni in riguardo e voleva solo liberarsi di Hagauer. Ma di colpo Agathe si sentì di nuovo infelicissima, perché, dopo che tutto era stato così felicemente risolto, il marito era ancora venuto da lei in compagnia di Ulrich per accomiatarsi. E allora Agathe era stata sommamente scortese e aveva dichiarato di non poter dire neppure a un dipresso quando sarebbe ritornata. Poiché lo conosceva aveva intuito subito che lui questo non se l'aspettava ed era scontento di apparire con la sua decisione di ripartire subito come il più disamorato dei due; certo poi, retrospettivamente, gli faceva rabbia la pretesa di mandarlo a dormire all'albergo, e la freddezza con la quale era stato accolto; ma giacché era un uomo di metodo non disse nulla, risolse di spiegarsi in seguito con la moglie e la baciò, dopo essersi tolto il cappello, sulle labbra nel modo prescritto. E quel bacio, a cui Ulrich aveva assistito, parve ora annichilire Agathe. "Come mai, - ella si chiese costernata, - ho potuto resistere tanto tempo al fianco di quell'uomo? Ma non ho forse accettato senza resistenza tutta quanta la mia vita?" Si rimproverò con veemenza: "Se io valessi qualcosa non sarei mai arrivata a questo punto!"

Agathe distolse gli occhi da Ulrich, che aveva osservato fino allora, e guardò fuori del finestrino. Case basse di sobborghi, strade gelate, passanti imbacuccati: le sfilavano dinanzi immagini di desolata bruttezza, ed erano la rappresentazione della vita deserta in cui per la propria neghittosità ella era andata a incagliarsi. Adesso non sedeva più eretta, ma s'era un po' lasciata andare sui cuscini della vettura, che odoravano di vecchio, per poter meglio guardar fuori, e non mutò più quella positura non bella, in cui era sgarbatamente afferrata al ventre e sballottata dalle scosse del veicolo. Il suo corpo, così stropicciato come uno straccio, le dava una sensazione sinistra, perché, infine, era l'unica cosa che possedeva. Qualche volta, quando in collegio si svegliava nella mezza luce dell'alba, aveva avuto l'impressione di galleggiare nel proprio corpo come tra gli assi di una barca verso l'avvenire. Adesso aveva circa il doppio degli anni di allora. E nella carrozza c'era la stessa semioscurità. Ma anche ora non era capace di immaginare la sua vita e non aveva nessuna idea di come avrebbe dovuto essere. Gli uomini erano un complemento e un perfezionamento del suo corpo, ma non un contenuto spirituale; ella li prendeva, come essi prendevano lei. Il suo corpo le diceva che fra pochi anni avrebbe incominciato a perdere la propria bellezza: dunque a perdere i sentimenti che esso stesso direttamente genera finché è sicuro di sé, e che solo in piccola parte si possono esprimere in parole o in pensieri.

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Allora tutto sarebbe finito, senza che nulla mai ci fosse stato. Le venne in mente che Ulrich aveva parlato in modo simile dell'inutilità del proprio sport, e, mentre si costringeva a restare col capo rivolto verso il finestrino, decise di interrogarlo.

10.Ulteriore decorso della gita al bastione degli svedesi. La morale del secondo passo

Giunti alle ultime case della città, basse e di aspetto già paesano, i fratelli scesero dalla carrozza e s'avviarono per una strada di campagna in leggera salita, larga, solcata da carreggiate i cui orli gelati si sfaldavano sotto i piedi. Le loro scarpe si coprirono subito di una brutta polvere grigia in contrasto stridente con gli eleganti abiti cittadini, e quantunque non facesse freddo un vento assai rigido soffiava giù verso di loro, sicché le loro guance incominciarono a bruciare e un vitreo ribrezzo in bocca impediva di pronunciare parola.

Il ricordo di Hagauer urgeva Agathe a una spiegazione col fratello. Ella era persuasa che quel matrimonio sbagliato doveva riuscirgli incomprensibile sotto tutti gli aspetti, anche quello, il più semplice, delle esigenze sociali; ma pur avendo dentro le parole già pronte non poté risolversi a vincere gli ostacoli della salita, del freddo e dell'aria che le tagliava la faccia. Ulrich la precedeva, in un largo solco che serviva di sentiero; ella guardava le sue spalle larghe e scarnite ed esitava. Lo aveva sempre immaginato duro, inflessibile e un poco avventuroso, forse soltanto per le parole di biasimo che il padre e talvolta anche Hagauer dicevano su di lui, e ora aveva vergogna della propria arrendevolezza alla vita, di fronte a questo fratello evaso e straniato dalla famiglia. "Aveva ragione di non curarsi di me!" ella pensò, e si rinnovò in lei lo sgomento di aver così spesso perseverato in attitudini sbagliate. In verità c'era in lei la stessa tempestosa contraddittoria passione che sul limitare della camera mortuaria del padre l'aveva spinta a recitare quei versi veementi. Cercò di raggiungere Ulrich, il fiato le venne a mancare, e improvvisamente proruppero da lei domande che quella strada funzionale forse non aveva mai udito, e il vento fu lacerato da parole che non s'erano mai intrecciate alle voci dei venti campestri scendenti da quelle colline.

- Tu certo ricordi... - e citò alcuni esempi famosi tratti dalla letteratura: - Non mi hai detto se potresti perdonare a un ladro; ma questi assassini li giudichi buoni, non è vero?

- Certamente! - rispose Ulrich gridando a pieni polmoni. - Cioè... no, aspetta; forse quella è soltanto gente di buone disposizioni, gente di valore. E questo rimane loro anche più tardi, quando sono diventati criminali. Ma buoni no, non rimangono!

- E allora perché li ami ancora dopo il loro delitto? Non certo per le loro precedenti buone disposizioni, ma perché continuano a piacerti!

- Già, è sempre così, - disse Ulrich. - L'uomo dà il carattere all'azione, mai accade il contrario! Noi separiamo il bene dal male ma dentro di noi sappiamo che sono una cosa sola!

Un altro rossore, oltre quello del freddo, coprì le guance di Agathe quando alle sue domande appassionate che ella esprimeva e insieme nascondeva con le parole non si offerse che un riferimento libresco. L'abuso che si suol fare di problemi culturali è così grave che può accadere di giudicarli fuori di posto là dove il vento soffia e gli alberi crescono, come se la cultura umana non fosse il compendio di tutte le forme della natura! Ma Agathe aveva valorosamente lottato con se stessa, e ora, infilando il braccio sotto quello di Ulrich, gli disse quasi all'orecchio, così che non occorreva più gridare, e con una strana baldanza che le guizzava sul viso:

- Perciò noi distruggiamo i cattivi, ma offriamo loro gentilmente un ultimo pasto prima di mandarli al patibolo!

Ulrich, che intuiva qualcosa di quella passione al suo fianco, si piegò verso la sorella e le disse

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accostandole la bocca all'orecchio, ma tuttavia abbastanza forte:- Ciascuno inclina a ritenersi incapace di fare il male e a credersi un brav'uomo! Con queste parole

erano arrivati in cima, dove la strada non saliva più ma tagliava invece le ondulazioni di un vasto pianoro senz'alberi. Il vento si era calmato di colpo, e non faceva più freddo, ma nella quiete gradevole il discorso cadde come se fosse stato mozzato e non ci fu più modo di riprenderlo. Un po' più tardi Ulrich domandò:

- Come mai in mezzo a quel ventaccio ti son venuti in mente Stendhal e Dostoevskij? Se qualcuno fosse stato lì a osservarci ci avrebbe creduti pazzi!

Agathe scoppiò in una risata.- L'avrebbe giudicato incomprensibile, come un dialogo d'uccelli! Del resto son pochi giorni che mi

parlasti di Moosbrugger.Continuarono a camminare.Dopo una pausa Agathe disse:- A me però Moosbrugger non piace!- Veramente anch'io l'ho quasi dimenticato, - rispose Ulrich. Dopo aver proseguito per un tratto in

silenzio Agathe si fermò.- Dimmi un po'... - ella chiese: - tu hai commesso certamente molte storditaggini. Mi ricordo, ad

esempio, che passasti un certo tempo all'ospedale per una ferita d'arma da fuoco. Allora anche tu qualche volta agisci senza riflettere.

- Ne fai oggi di strane domande! - esclamò Ulrich. - Che cosa posso risponderti?- Non rimpiangi mai ciò che hai fatto? - ribatté Agathe pronta. - Ho l'impressione che tu non

rimpianga mai nulla. Del resto qualcosa di simile l'hai già detto tu stesso.- Dio mio, - replicò Ulrich riprendendo l'andare, - in ogni meno c'è un più. Forse ho detto questo,

suppergiù, ma non occorre prenderlo troppo alla lettera.- In ogni meno un più?- In ogni male un po' di bene. O almeno quasi in ogni male. Di solito in ogni umana variante

negativa ce n'è una positiva non riconosciuta: probabilmente volevo dir questo. E se tu ti penti di una tua azione potrai trovare proprio in questo pentimento la forza di compierne un'altra così buona che in altre circostanze non ci arriveresti mai. Il primo atto non è mai decisivo; decisivo è soltanto quello che si compie dopo!

- E se tu hai ammazzato qualcuno, qual è l'atto che puoi compiere dopo?Ulrich alzò le spalle. Aveva voglia di rispondere, solo per coerenza logica: "Forse ciò mi renderebbe

capace di scrivere un poema che doni a migliaia di persone la vita interiore, oppure di fare una grande invenzione" Ma si trattenne. "No, non sarebbe così! - pensò poi. - Solo un pazzo potrebbe nutrire tale illusione. O un esteta diciottenne. Dio sa perché, sono pensieri che contraddicono alle leggi della natura. D'altronde, - si corresse, - così accadeva all'uomo primitivo, egli uccideva perché il sacrificio umano era un grande poema religioso!"

Ulrich però non proferì né la prima né la seconda riflessione, e Agathe riprese:- Le mie saranno obiezioni stupide, ma quando ti ho sentito dire la prima volta che il primo passo ha

poca importanza e conta soltanto il secondo, ho pensato: allora se un uomo potesse interiormente volare, diciamo così volare moralmente e procedere con grande velocità verso la perfezione, non conoscerebbe il rimorso! E ti ho invidiato immensamente!

- Questo non ha senso, - ribatté Ulrich con forza. - Io ho detto che non conta il passo sbagliato, bensì quello che viene dopo. E dopo, che cosa conta? Evidentemente il successivo, no? E dopo l'ennesimo, l'ennesimo più uno? La persona di cui si tratta dovrebbe vivere senza fine e senza decisione, anzi addirittura senza realtà. Eppure è proprio così, è sempre l'azione successiva che conta. Il fatto sta che noi non possediamo il metodo adatto per trattare come si deve quella serie infinita. Mia cara, - egli concluse repentinamente, - a volte io rimpiango tutta la mia vita!

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- Eh no, questo non è possibile! opinò la sorella.- Perché no? Perché questo no?Agathe replicò: - Io non ho mai fatto niente e perciò ho avuto agio di rimpiangere le poche cose che

ho fatto. Sono convinta che tu non lo puoi conoscere uno stato così poco illuminato! Allora vengono le ombre, e ciò che fu ha potere su di me. È presente nei più piccoli particolari ed io non posso dimenticare nulla e nulla posso capire. È uno stato spiacevolissimo...

Ella parlava senza commozione, molto dimessamente. Ulrich davvero non conosceva quel fluire indietro della vita, perché la sua era sempre stata diretta a espandersi, e ciò gli ricordava soltanto che già la sorella più volte s'era lagnata esplicitamente di se stessa. Ma egli rinunziò a fare domande perché nel frattempo erano giunti sulla collina che avevano scelto a meta della loro passeggiata, e avanzavano verso il punto estremo. Quest'era una imponente elevazione del terreno che la leggenda riannodava all'assedio svedese nella Guerra dei Trent'anni perché aveva l'apparenza di un bastione, anche se era troppo vasto per ciò, un verde baluardo naturale senz'alberi né cespugli, che dalla parte rivolta verso la città finiva in una alta parete chiara di roccia. Un mondo collinare vuoto e profondo circondava il bastione; non si vedeva un villaggio, non una casa, solo ombre di nuvole e praterie grigie.

Ulrich fu di nuovo affascinato da quel luogo di cui serbava un ricordo giovanile: giù nel profondo era ancor sempre annidata la città, pavidamente stretta intorno a due o tre chiese che parevano chiocce fra i loro pulcini, talché veniva involontariamente il desiderio di fare un salto e accoccolarsi in mezzo a loro, oppure di serrarli nel palmo di una mano gigantesca.

- Quegli avventurieri svedesi dovevano aver provato una sensazione meravigliosa quando arrivarono qui dopo settimane di trotto e ritti in sella videro per la prima volta il futuro bottino! egli disse dopo aver spiegato alla sorella il significato del luogo. - Il peso della vita, quella segreta malinconia che ci grava addosso di dover tutti morire, che tutto sia così greve e probabilmente così vano! solo in momenti simili, in fondo, cade dalle nostre spalle!

- In quali momenti, hai detto? - domandò Agathe stupita.Ulrich non sapeva che cosa rispondere. Anzi non voleva rispondere affatto. Gli venne in mente che

quando, ragazzo, si trovava in quel luogo, sentiva ogni volta il bisogno di stringere i denti e di tacere. Alla fine rispose:

- Nei momenti avventurosi, in cui gli eventi ci rapiscono con sé: quelli senza senso, insomma! - E intanto si sentiva la testa sul collo come una noce vuota, in cui s'agitavano antichi detti come: "Comare Morte", oppure: "Ho puntato sul nulla"; e sentiva insieme l'ormai spento fortissimo degli anni in cui la sbarra di confine fra le speranze della vita e la vita stessa non è ancora calata. Egli pensò: "Quante vicende mi son toccate da allora che fossero univoche e felici? Nessuna"

Agathe obiettò:- Io ho sempre agito senza senso, ma questo rende soltanto infelici.Si era spinta avanti fin sull'orlo; le parole del fratello le arrivavano sorde all'orecchio, ella non le

capiva e vedeva dinanzi a sé un panorama severo e spoglio la cui tristezza si accordava con la sua. Quando si voltò, disse:

- È un posto adatto per uccidersi, - e sorrise; - il vuoto del mio cervello si dissolverebbe con infinita dolcezza nel vuoto di questo paesaggio! - Si riavvicinò a Ulrich di qualche passo. - Per tutta la vita, seguitò, - mi hanno sempre rimproverato di non avere una volontà, di non amare nulla, di non venerare nulla, in una parola di non essere una creatura risoluta a vivere. Papà me lo rinfacciava, e anche Hagauer se ne doleva. Adesso dimmi tu, per l'amor di Dio, dimmi tu una buona volta quand'è che qualcosa nella vita ci sembra necessario?

- Quando ci si volta nel letto! - dichiarò Ulrich brusco.- Che cosa vuoi dire?- Perdonami l'esempio grossolano. Ma è proprio così. Siamo malcontenti della nostra posizione;

pensiamo senza posa a cambiarla e facciamo un proposito dopo l'altro senza mai attuarlo; finalmente ci

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rinunziamo: e a un tratto ecco che ci siamo voltati! In verità bisognerebbe dire: siamo stati voltati. Così e non altrimenti ci si comporta, tanto nella passione quanto nelle risoluzioni a lungo vagheggiate - Così parlando Ulrich non guardava la sorella, rispondeva a se stesso. Sentiva ancora profondamente: "Qui sono stato, in questo luogo, ed ho voluto qualcosa che non è mai stato appagato"

Agathe sorrideva anche adesso, ma era come un guizzo doloroso che le torceva la bocca. Ritornò al suo posto e guardò muta laggiù nelle venturose lontananze. La sua pelliccia risaltava scura sul cielo e la figura snella contrastava con la vasta immobilità del paesaggio e con le ombre di nuvole che vi trascorrevan sopra. Ulrich a quella vista ebbe una sensazione indescrivibilmente forte di cose che stavano accadendo. Quasi si vergognava di esser lì in compagnia di una donna invece che accanto a un cavallo sellato. E quantunque fosse consapevole che la causa era il sereno effetto plastico che in quel momento emanava dalla sorella, aveva l'impressione che qualcosa accadesse non a lui, ma in qualche parte del mondo, qualcosa che lui si lasciava sfuggire. Si disse che era ridicolo. Eppure era giusta, in parte, l'affermazione fatta avventatamente che egli rimpiangeva la propria vita. Qualche volta desiderava esser travolto dagli avvenimenti come in una lotta a corpo a corpo, e magari avvenimenti assurdi o delittuosi, purché fossero validi. E definitivi, senza la permanente precarietà che hanno quando l'uomo resta superiore alle proprie vicende.

"Dunque concludenti e conclusivi" rifletté Ulrich che adesso cercava seriamente un'espressione, e all'improvviso quel pensiero non vagò più verso avvenimenti chimerici ma si fermò all'immagine che offriva in quel momento Agathe, e null'altro che a specchio di se stessa. Così i fratelli rimasero per un gran tratto di tempo separati l'uno dall'altro e ciascuno per sé, e una esitazione piena di contrasti non permetteva loro alcun riavvicinamento. Strano a dirsi, però, a Ulrich in quell'occasione non passò neppur per la mente che ormai qualcosa era già avvenuto, poiché per accontentare Agathe e levarselo di torno egli aveva raccontato all'ignaro cognato la favoletta di un testamento chiuso da aprirsi solo fra qualche giorno, e gli aveva anche garantito contro coscienza, che Agathe avrebbe salvaguardato anche gli interessi di lui, il che Hagauer definì più tardi favoreggiamento.

Senza essersi espressi, si mossero da quel luogo dove ciascuno era stato assorto nei propri pensieri. Il vento era di nuovo più pungente e poiché Agathe dimostrava di essere stanca Ulrich propose di cercare la casa di un pastore che egli sapeva vicina. Era una capanna di sassi, che trovarono subito, e bisognò chinar la testa per entrare, mentre la moglie del pastore li fissava con fastidio e imbarazzo. Nel gergo misto di slavo e tedesco che si parlava nella regione e che Ulrich ricordava ancora oscuramente, egli chiese per loro due licenza di riscaldarsi e di consumare al riparo lo spuntino che avevano portato seco; accompagnò così premurosamente la domanda con la moneta d'argento che la non premurosa ospite si mise a gemere afflitta di non poter meglio ricevere, nella sua povertà squallida, "dei così bei signori"

Asciugò la tavola nuda che stava davanti alla finestra, ravvivò la fiamma nel focolare e mise a scaldare il latte di capra. Agathe intanto s'era insinuata fra il tavolo e la finestra senza badare a quei complimenti, come se fosse naturale trovare un asilo e indifferente dove. Attraverso i piccoli vetri appannati ella guardava il paese che si stendeva verso l'interno, dietro il "bastione" e, poiché la vista qui non spaziava come lassù, si sentiva piuttosto come un nuotatore circondato da verdi creste di onde. Il giorno non volgeva ancora alla fine, ma aveva già oltrepassato il culmine e s'era fatto più smorto. Agathe chiese repentinamente:

- Perché non parli mai sul serio con me?Come avrebbe potuto Ulrich rispondere meglio che con una occhiata fugace che doveva esprimere

stupore e innocenza? Era occupato a disporre su un foglio di carta prosciutto, salame e uova, fra sé e la sorella.

Ma Agathe continuò:- A urtare inavvertitamente contro il tuo corpo ci si fa male e ci si spaventa per la differenza

evidente. Ma se io ti chiedo qualcosa di decisivo, tu ti dissolvi nell'aria! - Non toccò il cibo che egli le offriva, anzi nella sua ripugnanza a concludere la giornata con una merenda campestre stava così ritta

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che non sfiorava neppure la tavola. E allora si ripeté qualcosa che somigliava alla salita su per la collina. Ulrich spinse da parte i bicchieri di latte di capra, che erano appena giunti dal focolare ed esalavano verso le nari non avvezze uno sgradevolissimo odore; e il leggero senso di nausea che provava gli sgombrò l'animo, come fa talvolta un'improvvisa amarezza.

- Ti ho sempre parlato sul serio, - egli replicò. - Se non ti piace non è colpa mia; perché allora ciò che ti è sgradito nelle mie risposte è la morale del nostro tempo - In quel momento riconobbe che occorreva spiegare ad Agathe tutto ciò che ella doveva sapere per capire se stessa e anche un poco il fratello. E con la risolutezza di un uomo che giudica superflua ogni interruzione, incominciò un lungo discorso:

- La morale del nostro tempo, qualunque cosa si dica, è quella della riuscita. Cinque bancarotte più o meno dolose vanno benissimo, purché alla quinta segua un periodo di prosperità. Il buon successo cancella tutto. Se si giunge sino a finanziare elezioni e comprar quadri si acquista anche l'indulgenza dello Stato. Tutto ciò ha le sue norme non scritte: se uno dà sovvenzioni alla chiesa, a opere di beneficenza e a partiti politici, basta che spenda per ciò un decimo di quel che gli occorrerebbe se volesse dimostrare la sua buona volontà promuovendo le arti. Vi sono anche certi limiti al buon successo: ancora non si può ottenere qualunque cosa per qualunque via; alcuni principî della società, dell'aristocrazia e della corona agiscono da freno sulle persone venute dal basso. D'altra parte lo Stato grazie alla sua persona soprappersonale professa nel modo più scoperto il principio che è lecito rubare, uccidere e ingannare, sol che ne derivino potenza, civiltà e splendore. Naturalmente non sostengo che tutto ciò sia riconosciuto anche in teoria, anzi in teoria è assai poco chiaro. Ti ho esposto però fatti comunissimi. Di fianco ad essi, il ragionamento morale è solo un mezzo per un fine, un metodo di lotta a cui si ricorre all'incirca come alla menzogna. Questo è l'aspetto del mondo che gli uomini hanno creato, e io vorrei essere una donna, senonché... le donne amano gli uomini!

- Buono è considerato oggi ciò che ci dà l'illusione di condurci a qualcosa; ma questo convincimento è esattamente ciò che tu hai chiamato l'uomo che vola senza rimpianti e io il problema che non possiamo risolvere perché non conosciamo il metodo. Come uomo di formazione scientifica io sento in ogni circostanza che le mie nozioni sono imperfette, null'altro che un indicatore stradale, e che forse domani stesso sarò in possesso di una nuova esperienza che mi farà ragionare diversamente da oggi; d'altra parte anche un uomo tutto preso dal proprio sentimento, "un uomo che procede verso la perfezione" come l'hai descritto tu, considererà ciascuna delle sue azioni come un gradino da cui salire a un altro. Dunque v'è qualcosa nel nostro spirito e nella nostra anima, una "morale del prossimo gradino"; ma è soltanto la morale dei cinque fallimenti, ha davvero così profonde radici in noi questa "morale da imprenditore" del nostro tempo, o è soltanto l'apparenza di una concordanza, oppure la morale degli arrivisti è soltanto il ridicolo aborto, troppo presto venuto al mondo, di fenomeni più profondi? In questo momento non saprei darti una risposta!

La breve pausa che Ulrich qui intercalò al suo dire era soltanto oratoria, poiché egli intendeva seguitare a sviluppare le proprie argomentazioni. Ma Agathe, che aveva ascoltato finora nel modo vivace-inerte che talvolta le era particolare, sviò il discorso contrariamente ai piani del fratello col disadorno commento che la risposta le era indifferente, giacché lei voleva soltanto sapere l'opinione di Ulrich, e non era in grado di capire tutto ciò che si poteva pensare in proposito.

- Ma se tu mi chiedi, in qualsiasi forma, di fare, di compiere qualcosa, piuttosto preferisco non avere una morale di nessun genere, ella aggiunse.

- Dio sia ringraziato! - esclamò Ulrich. - Godo ogni volta di vederti così forte, giovane e bella, e poi di sentirti dire che non possiedi un briciolo d'energia. Già la nostra epoca scoppia di dinamismo. Non vuole saperne di pensieri, chiede soltanto azioni. Questa terribile energia proviene unicamente dal fatto che non si ha nulla da fare. Internamente, voglio dire. Ma infine anche esternamente ciascuno ripete per tutta la vita la stessa identica azione: entra in un'attività professionale e seguita per quella via. Mi pare che adesso siamo ritornati alla domanda che tu mi hai rivolto poco fa, sotto il cielo aperto. È così facile

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avere attività e così difficile cercare un senso alla propria attività! Pochissimi oggi lo capiscono. Perciò gli uomini d'azione sembrano giocatori di birilli che con i gesti di un Napoleone riescono a buttar per terra nove cosi di legno. Non mi stupirebbe neppure che alla fine si gettassero brutalmente gli uni sugli altri, soltanto perché non riescono a capacitarsi che tutte quelle attività non bastano!

Aveva incominciato con calore, poi si era rifatto pensieroso e tacque persino per un poco. Poi alzò il viso sorridendo e s'accontentò di dire:

- Dicevi che se io ti chiedessi uno sforzo morale tu mi deluderesti. Io ti dichiaro che se tu mi chiedessi consigli morali io ti deluderei. Voglio dire che non abbiamo nulla di preciso da pretendere vicendevolmente; noi tutti insieme, intendo: in verità non dovremmo esigere azioni gli uni dagli altri, ma prima di tutto crearne le premesse; questo è il mio sentimento!

- Ma come si può fare? - obiettò Agathe. Aveva notato che Ulrich s'era sviato dal discorso donde aveva preso le mosse, ed era caduto in un argomento che lo riguardava da vicino, ma per lei anche questo era troppo generale. Come si sa ella aveva una prevenzione contro le ricerche generiche e giudicava abbastanza inutile ogni sforzo che, per così dire, usciva fuori della sua pelle. E di ciò era sicurissima quando lo sforzo era richiesto da lei stessa, ma probabilmente estendeva questa sicurezza anche alle affermazioni generali degli altri. Tuttavia capiva molto bene Ulrich. Osservò con stupore che il fratello, mentre teneva il capo chino e argomentava pianamente contro l'energia, non smetteva di tagliuzzare il tavolo con un coltello, e tutti i tendini della sua mano erano tesi. Il movimento distratto ma quasi convulso di quella mano, e la schiettezza con cui ella aveva parlato della gioventù e della bellezza di Agathe era come un assurdo duetto sopra l'orchestra delle altre parole, al quale ella non dava un significato, se non che stava lì seduta e assisteva.

- Che cosa si dovrebbe fare? - ripeté Ulrich sempre nello stesso tono. - Una volta, in casa di nostro cugino, io suggerii al conte Leinsdorf di istituire un Segretario Mondiale dell'esattezza e dell'anima affinché anche coloro che non vanno in chiesa sappiano che cosa devono fare. Naturalmente lo dissi soltanto per scherzo, perché già da gran tempo abbiamo creato la scienza per il bisogno di verità, ma se si volesse pretendere qualcosa di simile per quel che rimane scoperto, bisognerebbe oggi quasi vergognarsi di una pazzia. Eppure tutto ciò che noi due abbiamo detto finora, ci condurrebbe a quel Segretariato! - Aveva rinunciato al suo discorso e s'appoggiò diritto allo schienale della panca. - Dirai che torno a disperdermi se aggiungo: ma come riuscirebbe!? - egli chiese. Ma Agathe non rispose, e vi fu un silenzio. Dopo un poco Ulrich disse: A volte, del resto, pare anche a me di non poter mantenere questa convinzione! Quando ti guardavo poco fa, - proseguì a mezza voce, - là ritta sul bastione, sentivo non so perché un desiderio frenetico di far qualcosa. Sì, nel passato ho agito talvolta senza riflettere; la magia di tali azioni sconsiderate stava nel fatto che, dopo, c'era ancora lì qualcosa. Io credo che un uomo può trovar la felicità anche in un delitto, perché esso gli dà un certo carico di zavorra, e forse perciò un viaggio più regolare.

Anche questa volta la sorella non rispose subito. Ulrich la guardava tranquillamente, forse addirittura la osservava, ma senza che si ripetesse l'impressione di cui aveva parlato, anzi in fondo senza ch'egli pensasse a nulla. Dopo un silenzio ella gli chiese:

- Ti adireresti con me se io commettessi un delitto?- Che cosa mai dovrei risponderti? - disse Ulrich, che adesso era di nuovo occupato col suo coltello.- Non c'è una soluzione?- No, oggi una soluzione non è possibile. - Allora Agathe disse:- Vorrei uccidere Hagauer.Ulrich si impose di non alzare gli occhi. Le parole gli erano entrate nell'orecchio lievi e leggere, ma

dopo esser passate lasciarono nella memoria come una larga traccia di ruote. Egli aveva subito dimenticato il tono, avrebbe dovuto vedere il volto per sapere come quelle parole si dovessero interpretare, ma non voleva darvi neppure tanta importanza.

- Bene, disse, - perché non lo dovresti fare? Ci può essere al mondo qualcuno che non abbia mai

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desiderato nulla di simile? Fai pure, se te ne senti capace! è lo stesso come se tu avessi detto: Vorrei amarlo per i suoi difetti!

Solo in quel punto si raddrizzò e guardò in faccia la sorella. Il viso di lei era indurito e stranamente sconvolto. Senza staccarne lo sguardo, egli spiegò quietamente:

- Qui vedi, c'è qualcosa che non corrisponde; su questo confine fra ciò che accade in noi e ciò che accade al di fuori manca oggi una qualsiasi meditazione, e il trapasso si compie solo con perdite immani. Quasi si potrebbe dire che i nostri desideri malvagi sono la parte ombreggiata della vita che realmente conduciamo e che la vita che realmente conduciamo è la parte ombreggiata dei nostri desideri buoni. Ora immagina di compiere per davvero quell'atto: non sarebbe per nulla ciò che tu credevi e ti sentiresti per lo meno terribilmente delusa...

- Forse potrei d'improvviso essere un'altra persona; questo lo hai ammesso anche tu! - interruppe Agathe.

Quando Ulrich in quel momento si guardò intorno, s'accorse che non erano soli, e che due persone ascoltavano il loro dialogo. La vecchia contadina - forse non aveva più di quarant'anni e solo le vesti cenciose e le tracce della sua vita stentata la facevano sembrare più vecchia - si era seduta benevolmente presso il focolare, e accanto a lei il marito che era rientrato nella capanna durante il colloquio, senza che i due ospiti così infervorati nel loro discorso se ne fossero accorti. I due vecchi sedevano con le mani posate sulle ginocchia e ascoltavano, a quanto pareva, stupiti e lusingati il dialogo che riempiva la loro capanna, molto soddisfatti della conversazione anche se non ne capivano una parola. Vedevano che il latte non era stato bevuto, che il salame non era stato mangiato, era uno spettacolo e, chi sa, uno spettacolo edificante. Non si scambiavano nessun commento. Lo sguardo di Ulrich affondò nei loro occhi aperti e per imbarazzo egli fece un sorriso che solo la donna ricambiò, mentre l'uomo restava serio e rispettosamente contegnoso.

- Dobbiamo mangiare, - disse Ulrich in inglese, - si meravigliano di noi!Ubbidiente, Agathe sbocconcellò un po' di pane e di carne, Ulrich mangiava risolutamente e bevve

perfino un sorso di latte. Poi ella disse a voce alta, con scioltezza:- L'idea di fargli veramente del male mi è sgradevole se scruto dentro di me. Perciò forse non vorrei

ucciderlo. Ma vorrei farlo sparire! Tagliarlo a pezzettini, pestarli in un mortaio e gettare la polvere al vento: questo vorrei! Distruggere tutto quello che è stato!

- Sai, sono un po' buffi questi nostri discorsi, - osservò Ulrich. Agathe tacque per un momento. Ma poi disse:

- Bada che tu mi hai promesso fin dal primo giorno di darmi man forte contro Hagauer!- Certo che lo farò. Ma non in quel modo.Agathe tacque di nuovo. Poi disse improvvisamente:- Se tu volessi comprare o affittare un'automobile potremmo andare a casa mia passando per Iglau e

tornare dall'altra parte, credo per Tabor. A nessuno verrebbe in mente che siamo stati là di notte.- E i domestici? Per fortuna non so neanche guidare! - Ulrich rise, ma poi scosse il capo con

indignazione. - Sono le idee d'oggi!- Lo dici tu, - replicò Agathe. Pensierosa spingeva di qua e di là con l'unghia un pezzetto di lardo e

sembrava che quell'unghia, che ne aveva riportato una macchiolina di grasso, si muovesse da sola. - Ma hai anche detto: le virtù della società sono vizi agli occhi del santo!

- Non ho detto però che i vizi della società agli occhi del santo siano virtù! - precisò Ulrich. Rise, prese la mano di Agathe e la pulì col suo fazzoletto.

- Tu ritratti sempre le tue parole! - rimproverò Agathe, e sorrise malcontenta, mentre le saliva il sangue alle gote poiché cercava di liberare il suo dito.

I due vecchi accanto al focolare, sempre attentissimi spettatori, sorrisero adesso largamente come a far eco.

- Quando parli con me così tergiversando, - proruppe Agathe a bassa voce, - mi sembra di

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guardarmi nelle schegge di uno specchio; con te non ci si può mai vedere da capo a piedi!- Infatti, - replicò Ulrich senza lasciare la sua mano, - oggi non si riesce mai a vedersi da capo a piedi,

e neanche muoversi da capo a piedi; ecco la questione!Agathe cedette e allentò il braccio d'improvviso.- Io sono certo il contrario di una santa, - dichiarò piano. - Forse nella mia indifferenza sono stata

peggio di una prostituta. E non ho alcuna intraprendenza, quindi probabilmente non potrei mai ammazzare nessuno. Ma quando tu dicesti la prima volta quella frase sul santo, già molto tempo fa, io vidi qualcosa "da capo a piedi"! - Chinò il capo per pensare o per non lasciarsi guardare in faccia. - Vidi un santo, forse stava in piedi nel mezzo di una fontana. Per dire la verità, forse non vidi nulla, ma sentii qualcosa che si doveva esprimere così. L'acqua sgorgava e anche dal santo si riversava un profluvio come se egli fosse il bacino d'una fontana che traboccava quietamente tutt'intorno. Così, io credo, bisognerebbe essere, e allora qualunque cosa si facesse sarebbe sempre ben fatto.

- Agathe si vede in questo modo traboccante di santità e tremante per i suoi peccati, e s'accorge incredula che serpenti e rinoceronti, montagne e burroni, innocui e assai più piccoli di lei, le si accucciano ai piedi. Ma allora che cosa ne facciamo di Hagauer? - disse Ulrich in tono scherzoso.

- Appunto. Lui non ci può stare. Bisogna che sparisca!- Anch'io ti voglio dire una mia impressione, - le confidò il fratello. - Tutte le volte che ho dovuto

partecipare a qualcosa di comune, a una vicenda di tutti, mi son sentito come un uomo che esce dal teatro prima dell'ultimo atto a respirare una boccata d'aria, vede il gran vuoto oscuro pieno di stelle e pianta lì cappello, pastrano e spettacolo per andarsene via.

Agathe lo guardò con occhio indagatore. Come risposta poteva andare sì e no. Anche Ulrich guardò Agathe in faccia:

- Tu pure sei spesso tormentata da un'antipatia non ancora bilanciata da una simpatia, - egli disse, e pensò: "Mi somiglia davvero?" E di nuovo gli parve: come un pastello a una silografia. Egli si considerava il più saldo. E Agathe era più bella di lui. Così piacevolmente bella. Dopo il dito egli le prese tutta la mano; era una mano lunga e calda, piena di vita, e finora egli l'aveva tenuta nella sua solo nel saluto. La sua giovane sorella era agitata e se non aveva proprio gli occhi pieni di lacrime, v'era però dentro un lucido umidore.

- Fra pochi giorni anche tu te ne andrai via da me, - ella disse, - e allora come farò per venire a capo di tutto questo?

- Possiamo anche restare insieme, tu mi raggiungeresti poi.- Come immagini una nostra vita in comune? - domandò Agathe e la piccola ruga della

preoccupazione ricomparve sulla sua fronte.- Be, per ora non l'immagino affatto; ci ho pensato solo ora per la prima volta - Si alzò e diede ai due

pastori un'altra moneta "per il tavolo tagliuzzato" Attraverso una nuvola Agathe vide i contadini ridacchiare contenti far cenni di saluto e aggiungere qualche allegro commento in brevi, incomprensibili parole. Quando passò loro accanto sentì i quattro occhi cordiali posarsi schietti e commossi sul suo viso e capì che erano stati presi per una coppia d'innamorati che avevano fatto baruffa e poi s'erano riconciliati.

- Ci hanno presi per una coppietta! - ella disse. Sbarazzina infilò il braccio sotto quello del fratello e tutta la sua gioia proruppe. - Dovresti darmi un bacio! - pretese, e strinse ridendo il braccio di Ulrich al proprio corpo mentre sostavano sul limitare della capanna e la porticina bassa si apriva sull'oscurità della sera.

11.Dialoghi sacri.

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Inizio

Per il resto del soggiorno di Ulrich si parlò poco di Hagauer, ma anche sul progetto di prolungare il loro incontro e di iniziare una vita in comune i fratelli non ritornarono per un pezzo. Tuttavia il fuoco che era divampato nel desiderio smanioso di Agathe di allontanare il marito seguitò a covare sotto la cenere. Si ravvivava in discorsi che non giungevano mai a una conclusione e ricominciavano da capo; forse sarebbe meglio dire che l'animo di Agathe cercava una nuova possibilità di bruciare liberamente.

Di solito all'inizio di tali conversazioni ella faceva una domanda precisa e personale la cui intima forma era "posso o non posso?" L'anarchia della sua natura aveva avuto finora l'aspetto malinconico e stanco del concetto: "potrei fare qualunque cosa, ma tanto non voglio"; e così le domande della giovane sorella ricordavano assai esattamente a Ulrich le domande di un bimbo, che sono calde come le manine della piccola creatura inerme.

Le risposte di lui avevano un altro carattere, non meno rivelatore: in ognuna egli prodigava volentieri i frutti migliori della sua vita e delle sue meditazioni, e, com'era solito, si esprimeva in maniera tanto franca quanto spiritualmente ardita. Non tardava mai a commentare "la morale della favola" che Agathe gli aveva narrato, la ricapitolava in termini precisi, prendeva sovente se stesso a paragone e in tal modo raccontava ad Agathe molto di sé, specialmente della sua vita anteriore e più agitata.

Agathe di sé non gli diceva nulla, ma ammirava in lui la capacità di parlare così della propria vita, e che egli traesse considerazioni morali da tutti gli spunti che lei gli offriva le sembrava giusto. Giacché la morale non è che un ordine dell'anima e delle cose comprendente l'una e le altre, e così non stupisce che i giovani, la cui volontà di vita non s'è logorata, parlino tanto di essa. Piuttosto per un uomo dell'età e dell'esperienza di Ulrich ci voleva una spiegazione, poiché gli adulti parlano di morale solo professionalmente, quando ciò fa parte del loro linguaggio tecnico, in caso diverso la parola è già stata inghiottita dalle attività della vita e non torna più a galla. Che Ulrich parlasse di morale era quindi un grave disordine, dal quale Agathe si sentiva attratta per affinità. Ora si vergognava della sua confessione, un po' semplice, di voler vivere "in perfetta armonia con se stessa" perché aveva ben inteso quali intricate condizioni vi si opponevano, e tuttavia desiderava impazientemente che il fratello giungesse più in fretta a un risultato, perché sovente aveva l'impressione che tutto ciò che egli diceva mirasse appunto a tale scopo e anzi ogni volta con maggior approssimazione, e solo all'ultimo passo si arrestasse davanti al limitare, dove ogni volta abbandonava l'impresa.

Il luogo di quell'arresto e di quegli ultimi passi, il cui effetto paralizzante non sfuggiva neanche a Ulrich, si può definire comunemente osservando che ogni proposizione della morale europea conduce ad uno di questi punti donde non si procede più oltre; sicché un uomo che rende conto di sé, sulle prime si muove come chi passa a guado un palmo d'acqua, finché si sente sotto i piedi fermi convincimenti; ma d'improvviso, appena s'avventura un po' più innanzi, annaspa come chi stia orribilmente affogando, quasi che il fondale della vita, da basso che era, diventasse pericolosamente profondo. Nei due fratelli ciò si esprimeva anche esteriormente in un modo preciso: Ulrich poteva commentare e spiegare a lungo tutto ciò che aveva messo sul tappeto, finché vi partecipava con la ragione, e lo stesso fervore sentiva Agathe nell'ascoltarlo; ma poi, quando avevano finito e tacevano, una tensione molto più ansiosa si vedeva sui loro visi. E così avvenne una volta che essi furon trascinati al di là del confine dove finora inconsciamente s'erano fermati. Ulrich aveva dichiarato:

- Il solo contrassegno fondamentale della nostra morale è che i suoi comandamenti si contraddicono. La più morale di tutte le sentenze è: l'eccezione conferma la regola!

Forse l'aveva condotto fin lì solo l'avversione per un sistema morale che si dà per inflessibile e in pratica deve cedere a ogni pressione, per cui si trova in perfetta antitesi con un sistema razionale che considera innanzi tutto l'esperienza e da tale osservazione ricava la legge. Egli conosceva naturalmente la differenza che esiste fra leggi naturali e leggi morali, tratte le une dall'immorale natura, le altre invece imposte alla meno tenace natura umana; ma a parer suo qualcosa oggi in quella distinzione non andava

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più, ed egli stava per dire che la morale si trovava sotto quell'aspetto in uno stadio dottrinale arretrato di cento anni e perciò era così difficile adattarla alle esigenze mutate. Prima però che il suo discorso fosse arrivato a quel punto, Agathe l'interruppe con un'obiezione che sembrava molto semplice, ma in quel momento lo sbalordì.

- Allora esser buoni non è bene? - ella domandò al fratello, e aveva un'espressione negli occhi come quando aveva fatto delle decorazioni del babbo qualcosa che non tutti avrebbero giudicato ben fatto.

- Hai ragione, - rispose lui, animato. - In realtà bisogna formulare una simile proposizione per sentire di nuovo il senso originario! Ma i bambini amano l'esser buoni come una leccornia...

- Anche l'esser cattivi, d'altronde, - osservò Agathe.- Ma esser buoni è poi una passione degli adulti? - chiese Ulrich. - È uno dei loro principî. Essi non

sono buoni, ciò parrebbe loro puerile, ma agiscono bene; un uomo buono è uno che ha dei buoni principî e compie delle opere buone; che con tutto ciò possa essere un individuo schifoso, è il segreto di Pulcinella!

- Vedi Hagauer, - commentò Agathe.- C'è un'assurdità paradossale in questi uomini buoni, - opinò Ulrich. Di uno stato essi fanno

un'esigenza, di una grazia una norma, di un essere uno scopo! In questa famiglia dei buoni per tutta la vita non si mangiano che rimasugli, e per giunta si fa circolare la voce che una volta ci sia stato un giorno di festa da cui quegli avanzi provengono! Certo, di tanto in tanto un paio di virtù ritornano di moda, ma subito dopo perdono di nuovo ogni freschezza.

- Non hai detto una volta che la stessa azione può essere buona o cattiva, secondo le circostanze? chiese Agathe.

Ulrich confermò. Era la sua teoria, che i valori morali non sono quantità assolute ma soltanto concetti funzionali. Se noi però moralizziamo e generalizziamo, li sciogliamo dal loro complesso naturale:

- E probabilmente è questo il punto dove qualcosa è fuori di posto sulla strada della giustizia, - egli disse.

- Come potrebbe d'altronde la gente morale essere tanto noiosa, - commentò Agathe, - mentre la sua intenzione di esser buona dovrebb'essere la cosa più deliziosa, più difficile e più piacevole che ci si possa immaginare!

Suo fratello esitò; ma a un tratto si lasciò sfuggire l'osservazione per cui si stabilì ben presto fra loro due un legame singolare.

- La nostra morale, - egli dichiarò, - è la cristallizzazione esterna di un movimento interiore pienamente diverso da essa! Di tutto ciò che diciamo, assolutamente niente è giusto. Prendi una frase qualunque, a me è venuta in mente questa: "In una prigione deve dominare il rimorso!" è una frase che si può pronunciare con coscienza tranquilla; ma nessuno la prende alla lettera, perché altrimenti si verrebbe al fuoco dell'inferno per i carcerati! Come prenderla allora? Certo pochissimi sanno che cosa sia il rimorso, ma ciascuno dice dove debba regnare. Oppure pensa a una cosa che ti solleva, t'innalza: di dove è venuta a sbattere nella morale? Quando mai siamo stati con la faccia nella polvere, così che esser sollevati ci dia la beatitudine? Oppure intendi alla lettera che "un pensiero ti afferra": nel momento in cui tu sentissi così fisicamente quest'incontro saresti già con un piede nel regno della follia! E così ogni parola vuol esser presa in senso letterale, altrimenti degenera in una bugia, ma guai se lo si fa, il mondo diventa una gabbia di matti! Una grande ebbrezza ne emerge come un oscuro ricordo e talvolta si pensa che tutte le nostre vicende siano parti staccate e sciupate di un antico tutto che un tempo è stato male integrato.

Il colloquio durante il quale Ulrich fece questo ragionamento si svolgeva nello studio-bibblioteca, e mentre il fratello aveva davanti alcuni volumi che si era portato da Vienna, la sorella rovistava tra i libri di diritto e di filosofia, di cui era coerede, e in parte ne traeva suggerimenti per le sue domande.

Dal giorno della passeggiata erano usciti pochissimo, e passavano il tempo così. Ogni tanto uscivano

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fuori nel giardino, che l'inverno aveva spogliato di tutte le foglie, sicché anche sotto i cespugli la terra gonfia di umidità rimaneva scoperta. Quella vista era tetra. L'aria era scolorita come una cosa che è stata molto tempo nell'acqua. Il giardino non era grande. I viottoli dopo breve tratto sboccavano di nuovo in se stessi. L'animo dei due che passeggiavano per quei sentieri girava in vortice come un corso d'acqua davanti a una chiusa che lo fa salire. Quando rientravano in casa, le stanze erano buie e riparate, e le finestre sembravano profondi pozzi di luce donde il giorno entrava così delicato e rigido come se fosse fatto di avorio sottile.

Dopo l'ultima vivace declamazione di Ulrich, Agathe era scesa dalla scaletta portatile dove si era seduta, e gli aveva cinto il collo col braccio senza rispondergli. Era una tenerezza insolita giacché eccetto i due baci, quello alla sera del primo incontro e l'altro di pochi giorni innanzi, all'uscita dalla capanna dei pastori, la naturale ritrosia fraterna non era ancora andata più in là di qualche parola o piccola cortesia, e anche quelle due volte l'effetto del confidenziale contatto era stato sommerso dallo stupore per l'inattesa incongruenza.

Ma questa volta Ulrich pensò subito alla giarrettiera che Agathe aveva donato al morto, invece di tanti discorsi. E gli passò anche per il capo: "Sono sicuro che ha un amante; ma pare che non gliene importi molto, se no non se ne starebbe qui tanto tranquillamente!" Evidentemente ella era una donna che aveva condotto lontano da lui una vita di donna e che avrebbe continuato a condurla. La spalla di Ulrich percepiva, non fosse che alla pacata distribuzione del peso, la bellezza del braccio di lei, e contro il fianco egli sentiva oscuramente la vicinanza della sua ascella bionda e la linea del seno. Per non star lì seduto e subire senza opposizione il silenzioso abbraccio egli le afferrò le dita che gli sfioravano il collo e con quel contatto sopraffece l'altro.

- Sai, è un po' puerile quel che stiamo dicendo, - osservò non senza malumore. - Il mondo è pieno di risoluzioni attive e noi qui, negli agi e nella pigrizia, discorriamo della dolcezza dell'esser buoni e dei vasi teorici che se ne potrebbero empire!

Agathe liberò le sue dita ma rimise la mano dov'era prima.- Che cosa vai leggendo tutto il giorno? - domandò.- Lo sai benissimo; quante volte non mi stai dietro le spalle a guardarmi nel libro?- Ma non capisco bene di che cosa si tratta.Egli non seppe risolversi a darle spiegazioni. Agathe intanto s'era presa una seggiola e accoccolata

dietro di lui teneva il viso tranquillamente posato sui suoi capelli come per dormirvi su. Quella positura gli rammentò stranamente il momento in cui Arnheim, il suo nemico, gli aveva messo un braccio intorno alle spalle, e la corrente sregolata di contatto con un altro individuo era penetrata in lui come attraverso una breccia. Questa volta però la sua natura non ributtava indietro l'estranea, ma anzi lo spingeva verso di lei qualcosa che era stato sepolto sotto il cumulo di avversione e sospetto che riempie il cuore d'ognuno che sia vissuto un po' a lungo. La sua relazione con Agathe, che ondeggiava per lui tra la sorella e la donna, la straniera e l'amica senza esattamente essere nulla di tutto ciò, non consisteva neppure egli vi aveva riflettuto molto - in un'armonia di pensieri e di sentimenti che fosse particolarmente profonda; ma, com'egli notò in quel momento quasi con meraviglia, s'identificava col fatto - reso possibile in relativamente pochi giorni da innumerevoli impressioni che non si potevano ripetere in breve - che la bocca di Agathe posava senz'altra intenzione sui suoi capelli e che i capelli si facevano caldi e umidi sotto il respiro di lei. Questo era tanto spirituale quanto fisico; infatti quando Agathe ripeté la domanda Ulrich fu assalito da un senso di gravità che dagli anni giovanili della fede non aveva più provato, e prima che si fosse di nuovo dissipata quella nuvola di serietà senza gravezza che dallo spazio dietro le sue spalle fino al libro su cui posavano i suoi pensieri aveva avvolto tutto il suo corpo, egli diede una risposta che lo sorprese più per l'accento assolutamente scevro d'ironia che per il contenuto; disse:

- Mi addottrino sulle vie della vita santa.Si era alzato; ma non per allontanarsi dalla sorella ponendosi ad alcuni passi di distanza da lei, bensì

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per vederla meglio.- Non c'è niente da ridere, - egli disse. - Io non sono religioso; considero la strada della santità

chiedendomi se non la si potrebbe percorrere anche in automobile!Agathe ribatté: - Ridevo soltanto perché aspettavo con curiosità la tua spiegazione. I libri che hai

portato con te mi sono ignoti, ma credo che non mi siano del tutto incomprensibili.- Conosci quest'impressione? - chiese il fratello, già convinto che ella la conosceva: - tu sei magari in

preda all'agitazione più violenta, ma d'improvviso l'occhio ti cade sul gioco di qualche oggetto abbandonato da Dio e dagli uomini e non te ne vuoi più staccare! A un tratto quella cosa da nulla ti solleva come una piuma che vola al vento, priva d'ogni peso e d'ogni forza!

- Tranne la "violenta agitazione" alla quale dai tanto rilievo, credo di intenderti, - disse Agathe e di nuovo le sfuggì un sorriso per il dubbio prepotente che si dipingeva sul viso del fratello e non s'intonava con la soavità delle sue parole. - Talvolta si dimentica la vista e l'udito, e si perde interamente l'uso della parola. Eppure proprio in quei momenti si capisce che per un attimo si è ritornati in sé.

- Io direi, - proseguì Ulrich con calore, - che è come contemplare una vasta superficie di acque specchianti; l'occhio crede di guardare nel buio, tanto è lucente ogni cosa, e sull'altra sponda gli oggetti non sembrano posti sulla terra ma son sospesi nell'aria con una delicata traslucidità che confonde e fa quasi male. In quell'impressione vi è tanto un arricchimento quanto un discapito. Ci si sente uniti con tutto, e a nulla ci si può avvicinare. Tu sei di qua e il mondo è di là, al di sopra dell'Io e al di sopra degli oggetti, ma entrambi quasi dolorosamente nitidi e ciò che separa e unisce le due cose di solito mescolate è un oscuro sfavillio, uno straripare, uno spegnersi, un oscillare su e giù. Voi galleggiate come il pesce nell'acqua o l'uccello nell'aria, ma non v'è sponda, non v'è ramo e null'altro che quel galleggiare!

Ulrich divagava; ma il fuoco e la saldezza del suo linguaggio spiccavano metallici sul contenuto tenue e fluttuante. Pareva che egli avesse gettato via da sé una prudenza che abitualmente lo dominava e Agathe lo guardò stupefatta ma anche con una gioia inquieta.

- E tu credi, - ella domandò, - che sotto vi sia qualcosa? Più che un "accesso" o come dice qualcun'altra di quelle parole odiose che vogliono attenuare?

- E come lo credo! - Egli ritornò alla seggiola dov'era seduto prima e sfogliò i libri lì sparsi mentre Agathe si alzava per fargli posto. Poi egli aprì uno dei volumi, dicendo: - I santi lo esprimono così, - e lesse:

- "In quei giorni ero straordinariamente inquieto. Ora restavo un po' di tempo a sedere, ora erravo qua e là per la casa. Era come una pena, e tuttavia più un piacere che una pena, perché non sentivo amarezza bensì uno strano soprannaturale diletto. Avevo superato tutte le mie facoltà fino alla forza oscura. Udivo allora senza suono, vedevo senza luce. E il mio cuore era diventato senza fondo, il mio spirito senza forma, la mia natura senza materia"

Parve a entrambi che tali parole avessero affinità con l'inquietudine che li sospingeva in giro per la casa e il giardino, e Agathe specialmente fu stupita che anche i santi chiamassero senza fondo il loro cuore e senza forma il loro spirito; ma Ulrich fu presto ripreso dalla sua ironia. Egli dichiarò:

- I santi dicono: prima ero rinchiuso, poi fui tratto fuori di me stesso e immerso in Dio senza intendimento. Gli imperatori a caccia, di cui leggevamo nei libri di lettura, lo descrivono in un altro modo: raccontano che è apparso loro un cervo con una croce fra le corna, e che lo spiedo mortale è caduto loro di mano; e poi sul luogo facevano erigere una cappella per poter continuare a cacciare indisturbati. E se tu interrogassi le signore ricche ed eleganti che io frequento ti risponderebbero subito che l'ultimo pittore che dipinse simili visioni è stato Van Gogh. Forse invece che di un pittore ti parlerebbero delle poesie di Rilke; ma in genere preferiscono Van Gogh che rappresenta un ottimo impiego di capitale e s'è tagliato un orecchio perché la sua pittura non lo soddisfaceva di fronte al fervore delle cose. La maggioranza della nostra gente invece dirà che tagliarsi gli orecchi non è una manifestazione sentimentale tedesca, mentre lo è quella inconfondibile vacuità dello sguardo di chi è in cima a un'alta montagna. Per costoro la solitudine, i fiorellini, i torrentelli croscianti sono il compendio

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dell'elevazione spirituale: e perfino in questa nobile buaggine del nudo e crudo godimento della natura sta l'ultimo effetto male inteso di una misteriosa seconda vita, e tutto sommato questa ci dev'essere o ci dev'essere stata!

- Allora faresti meglio a non scherzarci su, - obiettò Agathe, cupa per la sete di sapere e raggiante per l'impazienza.

- Io scherzo solo perché l'amo, rispose Ulrich asciutto.

12.Dialoghi sacri.Alterne vicende

Nei giorni seguenti si ammucchiò sul tavolino un numero sempre maggiore di libri, che egli aveva in parte portato da casa e in parte acquistato dopo; e talvolta egli parlava liberamente, talvolta - o per cercare una conferma o per ripetere letteralmente una massima - egli prendeva un volume e leggeva qualcuno dei molti passi segnati con striscioline di carta. Erano per lo più biografie e scritti di mistici, oppure studi sui medesimi, e di solito egli ne spiccava il discorso con le parole: - Vediamo un po', il più serenamente possibile, che cosa succede qui - Era una condotta prudente alla quale non intendeva rinunziare e perciò, infatti disse un giorno:

- Se tu potessi leggere tutti questi scritti in cui uomini e donne dei secoli passati descrivono il loro stato di posseduti da Dio, troveresti in ogni parola verità e realtà, eppure le affermazioni formate da tali parole ripugnerebbero sommamente alla tua volontà attuale - E proseguì: - Essi parlano di un chiarore che inonda. Di una vastità infinita, di un'infinita ricchezza di luce. Di una "unità" fluttuante di tutte le cose e di tutte le forze dell'anima. Di un meraviglioso e indescrivibile slancio del cuore. Di rivelazioni così fulminee, che tutto è allo stesso tempo, e simili a gocce di fuoco che cadono sul mondo. E d'altra parte parlano di un dimenticare e di un non più capire e perfino di un tramontare delle cose. Parlano di una pace immensa, inaccessibile alle passioni. Di un ammutolire, di uno scomparire dei pensieri e delle intenzioni. Di una cecità in cui vedono chiaro, di uno splendore in cui essi sono morti e sovrumanamente vivi. Lo chiamano "annientarsi" eppure sostengono di vivere più pienamente di prima. Non sono queste, anche se espresse in modo così difficile da abbagliare la vista, le stesse sensazioni che si hanno ancor oggi quando per caso il cuore, "avido e sazio", come dicono loro, capita in quelle regioni utopistiche situate in qualche luogo e in nessuno fra un'infinita tenerezza e un'infinita solitudine?

Nella piccola pausa meditativa che seguì, sorse la voce di Agathe:- È quello che tu un giorno hai definito: due strati sovrapposti che si trovano in noi.- Io? Quando?- Eri andato a zonzo per la città e t'era parso di dissolverti in essa, ma in pari tempo la detestavi; e io

ti dissi che anche a me accadde sovente.- Oh sì! E poi dicesti: Hagauer! esclamò Ulrich. - E ci mettemmo a ridere; adesso ricordo bene. Ma

non l'intendavamo proprio così. Già ti ho parlato della vista che dona e della vista che toglie, del principio maschile e femminile, dell'ermafroditismo della fantasia originaria, e simili: potrei parlarne per un pezzo! Come se la mia bocca fosse lontana da me quanto la luna, che anch'essa è sempre al suo posto quando di notte si ha bisogno di un confidente per chiacchierare! Ma ciò che raccontano quei mistici intorno alle avventure delle loro anime, - egli proseguì, mentre all'amarezza delle sue parole si mescolava di nuovo l'obiettività e anche l'ammirazione, - è scritto talvolta con la forza e con la convinzione spietata di un'analisi stendhaliana. Soltanto però, - egli si corresse, - finché si limitano a descrivere i fenomeni e non vi mescolano il loro giudizio, che è falsato dalla lusinghiera certezza di

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esser stati eletti da Dio a conoscerlo senza meditazione. Perché da quel momento in poi non ci raccontano più, s'intende, le loro percezioni difficilmente descrivibili, in cui non vi sono né sostantivi né verbi, ma parlano in frasi con oggetto e soggetto, perché credono alla propria anima e a Dio come ai due stipiti di una porta, fra i quali apparirà il Meraviglioso. E così escono in quelle asserzioni, che l'anima è stata estratta dal loro corpo e affondata in Dio, o che Dio è penetrato in loro come un amante; e dal signore vengono imprigionati, inghiottiti, abbacinati, rapiti, violentati, oppure la loro anima si allarga fino a lui, entra in lui, lo assapora, lo rinchiude nel suo amore e lo ode parlare. In tutto ciò il modello terreno è evidente; e queste descrizioni non somigliano più ormai a prodigiose scoperte, ma soltanto alle immagini un po' monotone di cui il poeta erotico adorna il suo oggetto, sul quale non può esservi che un'opinione. Per me, che sono stato educato alla riservatezza, queste narrazioni sono una tortura, perché gli eletti, proprio nel momento in cui assicurano di aver parlato con Dio, o di aver inteso il linguaggio delle piante e degli animali, tralasciano di dirmi che cosa è stato loro detto; e se lo fanno, vengono fuori soltanto faccende personali o affari ecclesiastici già noti. È un gran peccato che gli studiosi di scienze esatte non abbiano visioni! - Così egli concluse la sua lunga replica.

- Ti pare possibile? - lo tentò Agathe.Ulrich esitò un momento. Poi rispose come un confessore della fede:- Non lo so; forse a me potrebbe accadere! - Quando udì le proprie parole sorrise come per

mitigarle.Anche Agathe sorrise; sembrava che adesso avesse avuto la risposta che desiderava e il suo viso

rispecchiò il breve momento di delusione e di perplessità che segue all'improvviso allentamento di una tensione. Forse appunto per dare una nuova spinta al fratello ella volle opporre una resistenza.

- Tu sai, - ella disse, che io sono stata educata in un istituto molto pio; me ne è derivato un gusto della presa in giro che diventa addirittura irresistibile appena qualcuno parla di ideali religiosi. Le nostre educatrici portavano un abito i cui due colori formavano una croce, e certo lo scopo era di ricordare uno dei sublimi pensieri che noi dovevamo aver presente tutto il giorno; ma noi non ci pensavamo mai e chiamavamo le monache, invece, "le croceragne" per via del loro aspetto e dei loro discorsi molli come la seta. Così, anche mentre leggevi, ora mi veniva da piangere, ora da ridere.

- Sai che cosa dimostra questo? - esclamò Ulrich. - Semplicemente che l'attitudine al bene, la quale in qualche modo è pur presente in noi, corrode subito le pareti se la si richiude in una forma fissa, e attraverso quella fessura si butta al male! Ciò mi ricorda il tempo in cui ero ufficiale e io con i miei camerati costituivamo i pilastri dell'altare e del trono; mai come allora ho udito parlare irreverentemente dell'uno e dell'altro! I sentimenti non sopportano di esser legati, certi sentimenti soprattutto. Io sono sicuro che le vostre buone suore credevano fermamente a quel che vi predicavano: ma guai se la fede è vecchia di un'ora! Questo è il fatto!

Quantunque Ulrich nella fretta non si fosse espresso in modo per lui soddisfacente, Agathe capì che la fede di quelle monache che le avevano tolto il gusto della fede era soltanto una conserva in scatola. Marinata bensì nella propria natura perché non si perdesse nessuna delle qualità della fede, ma tuttavia non fresca, e anzi, in un modo non dimostrabile, passata a uno stato diverso dall'ordinario, che al discepolo fuggitivo e recalcitrante della santità in quel momento aleggiò davanti come un'intuizione.

Con tutto il resto che avevano già detto sulla morale, questo era uno dei dubbi più cocenti che il fratello le aveva instillato, e da allora ella si sentiva in uno stato di risveglio interiore che però non le era ben chiaro, giacché lo stato d'indifferenza che ella ostentava deliberatamente e favoriva in sé non aveva sempre dominato la sua vita. Una volta era accaduto qualcosa per cui quel bisogno di autocastigarsi era sorto spontaneamente da un profondo abbattimento che la faceva apparire indegna perché non si credeva in grado di serbar fede ai sentimenti nobili, e da allora si disprezzava per la propria inerzia morale.

Quel fatto stava fra la sua vita di fanciulla nella casa paterna e l'incomprensibile matrimonio con Hagauer, in uno spazio di tempo così ristretto che era sfuggito finora alle affettuose indagini di Ulrich.

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Si poteva raccontare in poche parole: a diciott'anni Agathe aveva sposato un uomo poco maggiore di lei e in un viaggio incominciato con le loro nozze e finito con la morte dello sposo egli le era stato strappato nel giro di poche settimane da una malattia contratta per via, prima ancora di aver scelto il loro futuro luogo di residenza. I medici dissero che era tifo e Agathe lo ripeteva e vi trovava un'apparenza di ordine, perché il lato dell'avvenimento si mostrava ben levigato all'occhio del mondo; ma dal lato non liscio era un'altra cosa; Agathe fino allora era vissuta con il padre, che tutti stimavano, cosicché ella sospettava di aver torto a non amarlo, e gli anni passati in istituto ad aspettare dubitosamente se stessa, con la diffidenza che quell'attesa suscitava in lei, non avevano certo consolidato il suo rapporto col mondo, più tardi invece, quando con vivacità improvvisamente ridesta, unendo i suoi sforzi a quelli dell'innamorato, aveva vinto in pochi mesi tutti gli ostacoli che si opponevano a un matrimonio precoce, benché le famiglie dei due giovani non avessero nulla da obiettare l'una contro l'altra, ecco che ella a un tratto, non essendo più sola, appunto per ciò era diventata se stessa. Questo dunque ben si poteva chiamare amore; ma vi sono innamorati che guardano nell'amore come nel sole, e divengono semplicemente ciechi; mentre ve ne sono altri che con stupore scoprono per la prima volta la vita quando l'amore la illumina: Agathe era di questi e non sapeva ancora se amava il suo compagno o qualcos'altro quando era sopravvenuto ciò che nella lingua del mondo non illuminato si chiama malattia infettiva. Era una tempesta d'orrore abbattutasi repentinamente da ignote regioni, un lottare, un vacillare e uno spegnersi, il cimento di due esseri aggrappati l'uno all'altro e lo sfacelo di una vita innocente nel vomito, nello sterco e nella paura.

Agathe non aveva mai accettato quell'avvenimento che annientava i suoi sentimenti. Sconvolta dalla disperazione era rimasta in ginocchio accanto al letto del malato persuasa di possedere la forza magica grazie alla quale aveva vinto da bambina la propria infermità; quando il collasso s'era ancora aggravato e la coscienza scomparsa, ella nella camera di un albergo straniero, incapace di capire, aveva fissato il volto abbandonato; senza pensare al pericolo aveva stretto fra le braccia il corpo del morente e senza curarsi della responsabilità affidata a un'offesa infermiera, per ore e ore non aveva fatto altro che ripeter all'orecchio sempre più sordo: - Non devi, non devi, non devi!

Quando tutto fu finito si era alzata stupefatta e senza credere né pensare nulla di particolare, solo per la bizzarria e la tendenza al sogno della sua natura solitaria, dal primo momento di quel vacuo stupore trattò dentro di sé l'accaduto come se non fosse stato definitivo. Qualcosa di vagamente simile fa ciascuno di noi, quando non vuol credere alla notizia di una sciagura o colora di speranza l'irrevocabile; ma nel contegno di Agathe era singolare la forza e l'ampiezza di quella reazione, e anzi il suo improvvisamente dichiarato disprezzo del mondo. Da allora ella accolse di proposito ogni novità come se non fosse il presente ma qualcosa di sommamente incerto; un atteggiamento che era reso molto facile dalla diffidenza che ella aveva sempre opposto alla realtà; il passato invece era rimasto irrigidito dal colpo sofferto e il tempo lo logorava molto più lentamente di quanto soglia logorare i ricordi. Ma questo non aveva nulla da fare con la voragine dei sogni, né con le stravaganze che richiedono l'intervento di un medico; al contrario, Agathe esternamente continuava a condurre la vita più chiara, virtuosa e senza esigenze, annoiandosi soltanto un poco, in una lieve esaltazione della svogliatezza di vivere, che ora era veramente simile alla febbre che da bambina aveva sofferto con così strana acquiescenza.

E che nella sua memoria, la quale già non era mai incline a dissolvere le proprie impressioni in generalità, l'evento passato e terribile rimanesse presente ora per ora come un cadavere avvolto nel suo sudario candido, ciò la faceva lieta, nonostante la sofferenza legata a una simile precisione della memoria, perché le pareva un cenno misteriosamente tardivo che non era tutto finito, e pur nell'abbattimento dell'animo le conservava un'incerta ma nobile tensione. In verità tutto ciò voleva dire soltanto che ella aveva di nuovo smarrito il senso della sua vita e che deliberatamente s'era posta in una condizione che non era adatta alla sua età; solo i vecchi infatti vivono così, attaccati alle esperienze e agli eventi di un tempo passato e non più sfiorati dal presente. Per fortuna di Agathe, all'età in cui ella si

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trovava allora si formano bensì proponimenti di durata perpetua, ma in compenso un anno pesa quasi come una mezza eternità, e così era inevitabile che dopo un certo tempo la natura repressa e la fantasia incatenata si liberassero a viva forza.

Come questo fosse accaduto era assai indifferente nei particolari; a farlo accadere fu un uomo la cui assiduità in altre circostanze non avrebbe mai potuto scuotere il suo equilibrio; egli divenne il suo amante, e quel tentativo di ricominciamento finì dopo un periodo brevissimo di fanatiche speranze in un'appassionata delusione.

Agathe si sentì allora rigettata dalla sua vita reale come dalla sua vita irreale e indegna di alti propositi. Ella era di quelle persone impetuose che possono restare a lungo immobili e in attesa, finché a un tratto incappano comechessia in tutti i sovvertimenti, e perciò, nel suo disinganno, prese ben presto una risoluzione avventata; e cioè, di punirsi nel modo opposto a quello in cui aveva peccato, condannandosi a dividere la sua vita con un uomo che le ispirasse un leggero disgusto. E l'uomo scelto per il suo castigo fu Hagauer.

"Era una risoluzione ingiusta, e poco riguardosa per lui!" confessò a se stessa Agathe e bisogna ammettere che fu la prima volta, perché giustizia e riguardo sono virtù poco coltivate dai giovani. Ad ogni modo la sua autopunizione in quella convivenza non era stata lieve, e Agathe seguitò a riesaminare fra sé i fatti.

Era andata lontano, e intanto Ulrich cercava qualcosa nei suoi libri e aveva apparentemente dimenticato di continuare il discorso. "Nei secoli passati, - ella pensò, - una persona che si fosse trovata nella mia condizione d'animo si sarebbe chiusa in convento" ed essersi invece risposata aveva qualcosa di ingenuamente umoristico che finora le era sfuggito. Il ridicolo di cui il suo spirito giovanile non aveva avuto coscienza era precisamente quello dell'epoca nostra, che soddisfa il bisogno di fuggire il mondo tutt'al più con un soggiorno in un rifugio alpino, di solito però in un albergo di montagna, ed ha la smania di ammobiliare graziosamente le case di pena. Esso è un'espressione del profondo bisogno europeo di non esagerare nulla. Nessun europeo si flagella, si copre il capo di cenere, si taglia la lingua, dà veramente se stesso oppure si ritira dal mondo, si strugge dalla passione, infligge la tortura o trafigge; ma ciascuno ne sente il bisogno, così che è difficile dire in che cosa consista ciò che si deve evitare, se nel desiderare oppure nel non far nulla. Perché dunque proprio un asceta dovrebbe star senza mangiare? Ciò lo indurrebbe soltanto a brutte fantasie. Un ascetismo ragionevole sarebbe disprezzare il cibo pur nutrendosi sovente e bene. Tale ascetismo promette di durare e consente allo spirito quella libertà che esso non può avere se si trova in dipendenza dal corpo e in appassionata ribellione. Queste spiegazioni tra l'amaro e l'ironico, imparate dal fratello, facevano molto bene ad Agathe, perché scomponevano il "tragico" - nel quale la sua inesperienza aveva per un pezzo creduto di dover credere - in ironia e in una passione che non aveva nome né scopo, e quindi non era affatto conclusa con l'esperienza da lei vissuta.

Da quando viveva col fratello ella aveva fatto in tal modo l'osservazione che nella grande scissura da lei sofferta fra vita irresponsabile e fantasia fantomatica era intervenuto un movimento che riscattava e che tornava a legare ciò che aveva riscattato. Ricordò, ad esempio, nel silenzio approfondito dai libri e dai ricordi che regnava fra lei e il fratello, la descrizione fattale da Ulrich di come egli gironzando senza meta s'era addentrato nella città e la città era penetrata in lui; ciò le parve molto simile alle poche settimane di felicità da lei godute; ed era anche giusto che ella avesse riso, anzi aveva riso senza motivo e senza senso quando Ulrich glielo aveva narrato, perché si era resa conto che qualcosa di quell'inversione del mondo, di quel beato e buffo rovesciamento di cui egli parlava, era pure nelle labbra tumide di Hagauer quando si incarnavano al bacio. Certo faceva rabbrividire; ma un brivido, ella pensò, è anche nella chiara luce del mezzogiorno, e in qualche modo le faceva sentire che non tutte le possibilità erano finite per lei. Un nulla, un'interruzione che c'era sempre stata fra il passato e il presente, negli ultimi tempi aveva preso il volo.

Si guardò intorno di nascosto. La camera in cui si trovava faceva parte dello spazio dov'era maturato

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il suo destino; ci pensava adesso per la prima volta da quando era tornata. Perché lì, quando il padre era fuori di casa, si era incontrata col suo giovane innamorato dacché avevano preso la grande risoluzione di amarsi; più tardi lì aveva anche ricevuto qualche volta "l'indegno", aveva guardato fuori dalla finestra con lacrime di furore o di disperazione, e lì infine, incoraggiato dal padre, Hagauer era venuto ufficialmente a chiedere la sua mano. Per tanto tempo scenari inosservati degli avvenimenti, i mobili, le pareti, la luce bizzarramente incassata diventavano nell'istante del riconoscimento stranamente tangibili e i casi avventurosi che vi si erano svolti costituivano un passato corporeo, non più ambiguo, come se fosse cenere o legno carbonizzato. Era rimasta soltanto la sensazione tragicomica di ciò che era stato, quel solletico strano che si sente davanti ai vecchi residui disseccati e polverizzati di se stessi e che nel momento in cui lo si sente non si può né scacciare né afferrare; ed era diventata quasi insopportabilmente forte.

Agathe si accertò che Ulrich non la guardava e si sbottonò cautamente il vestito sul petto dove portava a contatto della pelle il medaglione con il ritratto che non si toglieva da anni. Andò alla finestra e finse di guardar fuori. Con cura aperse le valve della piccola conchiglia d'oro e contemplò di nascosto l'amato morto. Egli aveva labbra piene e capelli morbidi e folti; lo sguardo ardito del ventenne spiccava da un viso che era ancor mezzo nel guscio d'uovo. Per molto tempo ella non badò ai propri pensieri, ma d'un tratto pensò: "Mio Dio, un uomo di ventun anni!"

Di che cosa parlano tra loro persone così giovani? Che significato danno alle proprie domande? Come sono sovente buffi e presuntuosi! Come scambiano le loro vivaci fantasie per idee di autentico valore! Agathe svolgeva con curiosità dalla carta velina del ricordo certi vecchi giudizi che aveva conservato lì come chi sa quali prodigi d'intelligenza: qualcuno le appariva non disprezzabile, ma anche questo non si poteva affermare se non ci si immaginava il giardino in cui era stato pronunciato, con quei fiori strani di cui non sapevano il nome, le farfalle che vi si abbattevano sopra, come ubriaconi stanchi, e la luce che inondava i visi come se cielo e terra vi fossero dentro disciolti.

In confronto, adesso era una donna matura ed esperta, sebbene il numero degli anni trascorsi non fosse grande, e un poco turbata ella notò la sproporzione di aver amato finora, lei ventisettenne, un ventenne: era diventato ormai troppo giovane per lei! Ella si chiese: "Quali dovrebbero essere i miei sentimenti se, alla mia età, ponessi davvero quell'uomo-bambino al di sopra di tutto?" Sarebbero sentimenti assai singolari: non significherebbero nulla; ella non poteva neanche farsene un'immagine chiara. In fondo tutto si dissolveva nel nulla.

Col senso di una grande dilagante rivelazione, ella riconobbe che nell'unica superba passione della sua vita era soggiaciuta a un errore, e il nocciolo di quell'errore era una nebbia ignea che non si poteva afferrare né toccare, si dicesse pure che la fede non può esser vecchia di un'ora o lo si esprimesse altrimenti; ed era sempre ciò di cui parlava il fratello da quand'erano insieme, ed era sempre di lei ch'egli in fondo parlava anche se faceva tanti rigiri e se la sua cautela era spesso troppo lenta per l'impazienza di lei. Ritornavano sempre allo stesso discorso, e Agathe era arsa dall'ansia che la fiamma di Ulrich potesse declinare.

Quando infine gli parlò, egli non s'era accorto della lunga interruzione. Ma chi non ha ancora capito da certi indizi ciò che accadeva tra fratello e sorella, metta pur via il racconto, perché vi è descritta un'avventura ch'egli non potrà mai approvare: un viaggio sul limitare del possibile, sfiorante i pericoli dell'impossibile e dell'innaturale, anzi del ripulsivo e forse talvolta facendo più che sfiorarli; un "caso-limite", come lo chiamò Ulrich più tardi, di validità limitata e particolare, che faceva pensare alla libertà con la quale la matematica si serve talvolta dell'assurdo per giungere alla verità. Lui ed Agathe erano su una via che ha qualcosa in comune col compito del posseduto da Dio, ma la percorrevano senza essere pii, senza credere in Dio né nell'anima, e nemmeno a un aldilà o a una risurrezione; come creature di questo mondo l'avevano imboccata e come tali la seguitavano; e questo appunto era degno di nota. Ulrich, che nel momento in cui Agathe gli rivolse la parola era ancora assorto nei suoi libri e nelle questioni che essi gli proponevano, non aveva tuttavia perso per un istante la memoria del discorso

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interrotto al punto della resistenza di sua sorella contro la bigotteria delle sue maestre e la propria esigenza di "visioni esatte", e rispose subito:

- Non c'è bisogno di essere un santo per farne in parte l'esperienza! Ci si può mettere a sedere su un tronco abbattuto o su una panchina in montagna e contemplare un armento che pascola, e anche soltanto così esser trasportati di colpo in un'altra vita! Ci si perde e a un tratto si ritorna in sé: tu stessa ne hai già parlato.

- Già, ma come spiegarsi quel che succede? - chiese Agathe.- Per spiegartelo devi prima di tutto capire che cos'è il normale, creatura sorella! - dichiarò Ulrich

cercando di frenare con uno scherzo il pensiero troppo precipite. - Il normale è che una mandria per noi non è altro che carne di vitello pascolante. Oppure un soggetto pittoresco con uno sfondo. Oppure non ce ne accorgiamo neanche. Armenti e greggi su viottoli di montagna fanno parte dei viottoli di montagna, e ciò che si prova alla loro vista si potrebbe misurare soltanto se al loro posto ci fosse un orologio elettrico o una banca. Altrimenti si medita se sia il caso di alzarsi o di restare seduti, si trova che le mosche svolazzanti attorno al branco sono moleste; si guarda se non c'è un toro là in mezzo; ci si chiede dove porta il sentiero; un'infinità di piccole intenzioni, preoccupazioni, calcoli e scoperte che costituiscono per così dire la carta su cui è disegnata l'immagine della mandria. Della carta non si sa nulla, si sa soltanto del branco di bovini...

- E a un tratto la carta si strappa! - interruppe Agathe.- Sì. Cioè: si strappa un contesto abitudinario che è in noi. Quello che pascola non è più un elemento

commestibile, o pittorico, esso non ti attraversa il cammino. Non ti riesce neanche più di formulare le parole pascolare e brucare; Occorrerebbe a ciò una quantità di immagini utilitarie e precise che tu improvvisamente Hai perduto. Ciò che rimane sull'orizzonte si potrebbe chiamare un mare ondoso di sensazioni che s'alza e s'abbassa oppure respira e sfavilla, come se riempisse senza contorni tutto il campo visivo. Naturalmente contiene ancora innumerevoli percezioni, colori, movimenti, corna, odori e tutto ciò che appartiene alla realtà: ma questo non è già più accettato, anche se debba essere ancora riconosciuto. Direi quasi: i particolari si spogliano di quell'egoismo mediante il quale s'impadroniscono della nostra attenzione, e sono fraternamente e intimamente, in senso letterale fra di loro congiunti. E s'intende che non c'è più un "orizzonte"; ogni cosa invece, non saprei come dire, viene a confondersi con te, senza linea di confine.

A questo punto Agathe riassunse vivacemente la descrizione:- E ora basta che tu invece di egoismo dei particolari dica egoismo umano, - ella esclamò, - ed ecco

ciò che è tanto difficile esprimere: "Ama il tuo prossimo!" non significa "amalo così quale tu sei" ma presuppone un tuo trasognamento!

- Tutti i precetti della morale, - confermò Ulrich, - indicano uno stato di trasognamento che è già sfuggito alle regole in cui lo si chiude!

- E dunque in fondo non c'è né il bene né il male, ma soltanto la fede o il dubbio! - esclamò Agathe, sembrandole adesso così vicino lo stato originario autosufficiente della fede, e anche il suo scapito di morale a cui Ulrich aveva alluso col dire che la fede non può invecchiare di un'ora.

- Sì, nel momento in cui si evade dalla vita inessenziale si stabiliscono nuove correlazioni, assentì Ulrich. - Anzi direi quasi che le cose non stanno più in alcun rapporto fra loro, perché si tratta di un rapporto sconosciuto, del quale non abbiamo nessuna esperienza, e tutte le altre correlazioni sono smarrite; ma questa nonostante la sua oscurità è così chiara che non la si può negare. È forte, ma è inconcepibilmente forte. Si potrebbe anche dire: di solito noi guardiamo qualcosa e lo sguardo è come una bacchettina o un filo teso al quale l'occhio e l'oggetto guardato si appoggiano reciprocamente, e ogni secondo che passa sorregge una trama di questo genere; mentre in questa particolare disposizione d'animo c'è piuttosto qualcosa di dolorosamente dolce che disgiunge i raggi visuali.

- Non possediamo nulla al mondo, non teniamo nulla, e nulla ci tiene, disse Agathe. - Tutto è come un albero altissimo dove non c'è foglia che si muova. E in tale condizione non si può far niente di

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basso.- Si dice che in tale condizione non può accadere nulla che non concordi con essa, - soggiunse

Ulrich. - Un bisogno di "appartenerle" è l'unico motivo, il tenero scopo e l'unica forma d'azione e di pensiero che in essa si svolgono. Essa è qualcosa di infinitamente quieto e compiuto e tutto ciò che accade nel suo ambito accresce il suo significato in tranquilla espansione; oppure non l'accresce, e allora è un male, ma il male non può accadere perché nello stesso momento si lacerano la chiarezza e la quiete, e la condizione meravigliosa finisce.

Ulrich osservò la sorella di sottecchi; aveva sempre l'impressione che fosse ormai ora di smetterla. Ma la faccia di Agathe era impenetrabile; ella pensava al lontano passato. Rispose:

- Mi meraviglio di me stessa, ma ci fu davvero un periodo breve in cui non conoscevo l'invidia, la cattiveria, la vanità, la cupidigia e simili; adesso mi pare incredibile, ma allora erano come scomparse di colpo non soltanto dal cuore ma anche dal mondo! E allora non si può comportarsi bassamente e neanche gli altri lo possono. Una persona buona rende buono tutto ciò che tocca, anche se gli altri le fanno guerra: appena entrano nel suo campo, essa li trasforma interamente!

- No, - obiettò Ulrich, - non è proprio così; anzi, questo sarebbe uno dei malintesi più antichi! Perché una persona buona non migliora affatto il mondo né influisce in alcun modo su di esso; se ne allontana soltanto!

- Ma se vi resta in mezzo?- Vi resta in mezzo, ma per lei è come se lo spazio fosse estratto fuori dalle cose o succedesse

qualcosa di immaginario: è difficile a dirsi!- Tuttavia ho l'impressione che a una persona "di alto sentire" (la parola mi viene in mente così per

caso!) nulla di vile tagli mai la strada; sarà un'assurdità, ma è un'esperienza.- Sarà un'esperienza, - ribatté Ulrich, - ma c'è anche l'esperienza opposta! O forse credi che i soldati

che crocifissero Gesù non avessero l'animo vile? Eppure erano strumenti di Dio! Inoltre anche i mistici testimoniano che vi possono essere cattivi sentimenti; essi si dolgono di uscire talora dallo stato di grazia, di conoscere l'angoscia, il dolore, la vergogna e forse persino l'odio. Solo quando ricomincia il silenzioso ardore il rimorso, l'ira, la paura e l'affanno diventano giocondi. Tutto questo è così difficile da giudicare!

- Quand'è che sei stato innamorato? - chiese Agathe bruscamente.- Io? Oh! Te l'ho già raccontato: ero fuggito via, mille chilometri lontano dall'amata, e quando mi

sentii al sicuro da ogni possibilità di reale contatto mi misi a guaire verso di lei, come un cane alla luna!Agathe gli confidò allora la storia del suo amore. Era commossa. Già aveva scoccato l'ultima

domanda come una corda troppo tesa e il resto seguì nello stesso modo. Il cuore le tremava mentre ella metteva fuori ciò che teneva celato da anni.

Il fratello però non rimase particolarmente scosso.- Di solito i ricordi invecchiano insieme con l'uomo, - egli dichiarò, - e gli episodi più appassionati

acquistano col tempo una prospettiva ridicola, come se fossero visti in fondo a una fila di novantanove porte spalancate. Ma qualche volta, se collegati a sentimenti molto forti, certi ricordi non invecchiano e trattengono presso di sé intere stratificazioni dell'animo. Questo è il tuo caso. Quasi in ogni creatura umana ci sono di questi punti, che alterano un poco la simmetria psichica; ed ecco che la sua condotta vi scorre sopra come un fiume su uno scoglio invisibile; in te questo è stato molto forte, così da equivalere quasi a una paralisi. Ma alla fine ti sei pur liberata, fino a rimetterti in movimento!

Egli ragionava con una calma quasi professionale; com'era facile a cadere nelle digressioni! Agathe era desolata. Disse, ostinatamente:

- Certo che sono in movimento, ma non parlavo di questo! Voglio sapere dov'è che per poco non sono andata a finire! - Era anche irritata, senza volerlo, solo perché doveva esprimere in qualche modo il suo turbamento; ma tuttavia continuò a parlare della sua ripresa e si sentiva girare il capo, tra la delicatezza delle proprie parole e l'irritazione latente. Così descrisse uno stato bizzarro di esaltata

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suscettività e ricettività, che produce un flusso e riflusso delle impressioni, da cui deriva la sensazione di essere congiunti con tutte le cose come in un molle specchio di acque, e di dare e ricevere senza volontà: sensazione meravigliosa di sconfinamento e di sconfinatezza interiore ed esteriore, che è comune all'amore e al misticismo!

Agathe naturalmente non usò queste parole che racchiudono già una spiegazione, e sgranò soltanto gli appassionati frammenti dei suoi ricordi; ma anche Ulrich, sebbene avesse riflettuto sovente sull'argomento, non possedeva una spiegazione di quelle vicende, e innanzitutto non sapeva se tentarne una a modo loro o secondo i comuni procedimenti della ragione; ambedue i sistemi erano ugualmente accettabili per lui, ma non per la evidente passione della sorella. Perciò quello che egli espresse nella risposta era soltanto una meditazione, una specie di esame delle possibilità. Egli alluse alla strana parentela che, nello stato di sublimazione di cui parlavano, esisteva fra pensiero e morale, così che ogni pensiero era sentito come felicità, avvenimento e dono, e non si riponeva in magazzino né tanto meno si associava col sentimento di chi si appropria di una cosa, la soggioga, la tien prigioniera e la osserva: per cui tanto nel cervello quanto nel cuore il godimento di possedere se stessi vien sostituito da un infinito autodisperdersi e autolimitarsi.

- Una volta nella vita, - gli rispose Agathe trasognata ma ferma, - tutto ciò che si fa, lo si fa per un altro. Si vede il sole splendere per lui. Egli è dappertutto, e noi stessi non siamo in nessun posto. Eppure non si tratta di un "egoismo a due" perché anche all'altro deve accadere esattamente lo stesso. Alla fine i due esistono appena l'uno per l'altro, e ciò che rimane è un mondo per sole coppie, fatto di riconoscenza, dedizione, amicizia e altruismo!

Nel buio della stanza le guance di Agathe ardevano d'entusiasmo come rose nell'ombra. E Ulrich propose:

- Adesso parliamo di nuovo più freddamente; in queste questioni si froda troppo!Ad Agathe l'osservazione non parve giusta. Forse l'irritazione, non del tutto dissipata, fece sì che il

suo fervore fosse ricacciato in secondo piano dall'evocata realtà; ma non le fu sgradevole che la linea di confine divenisse più incerta.

Ulrich prese a parlare dell'incongruenza di interpretare le vicende su cui verteva il loro discorso come se in esse non avvenisse soltanto una particolare alterazione del pensiero, bensì un pensiero sovrumano prendesse il posto di quello comune. Che ciò si chiamasse illuminazione divina o, all'uso moderno, solamente intuizione, egli lo considerava l'ostacolo principale a una comprensione profonda. Era persuaso che cedere a illusioni che non reggevano a un'attenta riprova non conduceva a nulla. - Come le ali d'Icaro, che fondevano al sole, - egli esclamò, - se non si vuol volare soltanto in sogno, bisogna imparare a servirsi di ali di metallo.

E indicando i libri continuò dopo una piccola pausa:- Queste sono testimonianze cristiane, ebraiche, indiane e cinesi; fra le une e le altre v'è talvolta più

di un millennio. Eppure in tutte si riconosce la stessa composizione del movimento interiore, che si scosta dalla norma, ma è unitaria in sé. Si distinguono le une dalle altre quasi esattamente soltanto per ciò che deriva dal legame con un sistema di teologia e di saggezza celeste, sotto il qual tetto protettore esse si sono riparate. Possiamo dunque presupporre una seconda condizione, definita straordinaria e di grande importanza, di cui l'uomo è capace, e che è più antica di tutte le religioni.

- D'altra parte le chiese, - egli soggiunse, - cioè le comunità civili di persone religiose, hanno sempre trattato quello stato con la stessa diffidenza che un burocrate oppone all'iniziativa privata. Esse non hanno mai accettato senza riserva quell'esperienza esaltante, al contrario hanno compiuto ogni sforzo per mettere al suo posto una morale disciplinata e comprensibile. Così la storia di quello stato di fervore è una continua negazione e rarefazione che ricorda il prosciugamento di una palude.

- E quando l'autorità spirituale della chiesa e la sua nomenclatura invecchiarono si giunse comprensibilmente a giudicare il nostro stato nient'altro che un'invenzione della fantasia. Perché mai la civiltà borghese, quando subentrò a quella religiosa, avrebbe dovuto essere più religiosa di quella? Di

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quell'altro stato essa ha fatto un cane che accorre portando in bocca delle cognizioni. Ci sono oggi molti che si lagnano della ragione e vorrebbero persuaderci che nei loro momenti di maggior saggezza essi pensano con l'aiuto di una speciale facoltà, di una categoria superiore al pensiero; è un ultimo residuo palese, già in tutto e per tutto razionalistico; l'estremo residuo del prosciugamento è il fango! Dunque l'antico stato è concesso, oltre che nelle poesie, soltanto alla gente incolta nelle prime settimane d'amore, come un sovvertimento passeggero; sono, per così dire, germogli tardivi che nascono qualche volta dal legno dei letti e dei pulpiti: ma quando volesse ritornare alla sua gran vegetazione originale lo si sterminerebbe senza pietà!

Il discorso di Ulrich era durato all'incirca quanto le abluzioni di un chirurgo che si lava le mani e le braccia per non portare germi nel campo operativo; e del chirurgo egli aveva anche dimostrato la pazienza, la dedizione e la calma, contrapposte all'eccitazione inerente alla fase successiva del lavoro. Ma dopo essersi ben bene disinfettato egli pensò quasi con desiderio all'infezione e alla febbre, perché non amava la freddezza per se stessa. Agathe era seduta su una scaletta che serviva a prendere i libri posti più in alto, e anche quando il fratello tacque non diede alcun segno di partecipazione; guardava fuori, nell'infinito mare grigio del cielo e ascoltava il silenzio come prima le parole. Così Ulrich riprese a parlare con un'ombra di durezza, appena velata dal tono scherzoso.

- Ritorniamo alla nostra panchina in montagna con la mandria di vitelli, - egli suggerì. - Figurati che vi sia seduto il cavalier X, impiegato, in calzoni tirolesi nuovi di zecca e bretelle verdi sulle quali è ricamato "Salve": egli rappresenta la solita sostanza della vita che si gode le ferie. Perciò la coscienza che egli ha della propria esistenza è, com'è naturale, momentaneamente cambiata. Egli guarda l'armento e non conta, non calcola, non valuta il peso vivo degli animali che pascolano davanti a lui, perdona ai suoi nemici e pensa con indulgenza alla propria famiglia. Per lui i vitelli da oggetto pratico si sono trasformati per così dire, in oggetto morale. Naturalmente può anche darsi che lui un pochino calcoli e valuti, e non perdoni del tutto, ma almeno tutto ciò è circondato dallo stormire del bosco, dal mormorio del ruscello e dalla luce del sole. A dirla breve: ciò che forma abitualmente il contenuto della sua vita gli appare "lontano" e "in fondo poco importante"

- La mentalità delle vacanze, - integrò Agathe meccanicamente.- Giusto! E se la vita lavorativa gli sembra "in fondo poco importante", ciò accade soltanto per la

durata delle ferie. Oggi dunque questa è la verità: l'uomo ha due stati di vita, due di coscienza e due di pensiero, e si difende dalla paura morale che ciò dovrebbe incutergli, prendendo gli uni per la vacanza degli altri, per la loro interruzione o riposo o qualcos'altro che crede di conoscere. Il misticismo invece andrebbe unito con l'intenzione di ferie permanenti. Il cavalier X dovrebbe giudicare ciò disonorevole, e tosto, come d'altronde fa sempre verso la fine delle vacanze, sentire che la vera vita dimora nel suo ufficio ben ordinato. E noi sentiamo forse diversamente? Se una cosa sia da mettersi in ordine oppure no, da questo dipenderà sempre la nostra risoluzione definitiva di prenderla sul serio oppure no; ed ecco che tali esperienze hanno appunto poca fortuna, perché in migliaia di anni son progredite ben poco dal disordine e dall'incompiutezza iniziale. E per cose di questo genere, ecco pronto il concetto di follia - follia religiosa o follia amorosa, come preferisci; puoi esserne certa: oggi persino delle persone religiose sono così contagiate dalla mentalità scientifica che non s'arrischiano a guardare che cosa arda nell'intimo del proprio cuore, e sarebbero sempre pronte a chiamare con termine medico follia quel fuoco interiore, anche se poi ufficialmente dicono tutt'altro!

Agathe guardò il fratello con uno sguardo che crepitava come un fuoco sotto la pioggia.- Adesso però hai manovrato in modo che ne siamo usciti fuori! - lo rimproverò quand'egli tacque.- Hai ragione, - egli concesse. - Ma ecco quel che è strano: noi abbiamo coperto tutto ciò, come un

pozzo inquinato, ma una goccia rimasta chi sa come di quella sospetta acqua miracolosa fa tuttavia un buco in tutti i nostri ideali. Nessuno di essi quadra esattamente, nessuno ci rende felici; tutti ci rimandano a qualcosa che non esiste: oggi ne abbiamo già parlato abbastanza. La nostra civiltà è un tempio di ciò che non sorvegliato sarebbe chiamato follia, ma è anche il luogo dov'è tenuto sotto

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sorveglianza, e noi non sappiamo se soffriamo di un eccesso o di un difetto.- Forse non hai mai osato approfondirlo, - disse Agathe con rimpianto e scese dalla scaletta; poiché

in fondo essi erano lì per riordinare gli scritti lasciati dal padre, e soltanto i libri prima e i loro discorsi poi li avevano sviati da quel lavoro ormai divenuto urgente.

Ricominciarono dunque a scorrere le disposizioni e le annotazioni, che in parte si riferivano alla spartizione del patrimonio, perché il giorno a cui avevano rinviato Hagauer era ormai vicino; ma prima di immergersi seriamente nel lavoro Agathe alzò gli occhi dalle carte e domandò:

- Fino a qual punto credi tu stesso a tutto quello che mi hai detto? - Ulrich rispose senza sollevare il capo:

- Immagina che in mezzo alla mandria si trovi, mentre il tuo cuore s'è stornato dal mondo, un toro maligno! Cerca di credere davvero che la malattia mortale di cui mi hai narrato avrebbe potuto avere un'altra conclusione se il tuo sentimento non avesse ceduto per un secondo! - Poi alzò la testa e additò le carte che aveva davanti. - E la legge, il diritto, la misura? Credi che tutto ciò sia inutile?

- Dunque fino a che punto credi? - ripeté Agathe.- Sì e no, - disse Ulrich.- Dunque no, - concluse Agathe.Fu allora che un incidente s'interpose nella conversazione; quando Ulrich, che non aveva voglia di

riprendere il discorso né era abbastanza calmo per pensare agli affari, raccolse le carte sparse sul tavolo, qualcosa cadde a terra. Era un pacco slegato di cose varie che per sbaglio era venuto fuori insieme col testamento da un angolo del cassetto, dove doveva esser rimasto per anni e anni dimenticato dal proprietario.

Ulrich guardò distrattamente ciò che raccoglieva, e riconobbe su alcuni fogli la scrittura del padre; ma non era la grafia della vecchiaia bensì quella della maturità; egli guardò meglio, trovò, oltre ai fogli scritti, anche carte da gioco, fotografie e piccole cianfrusaglie, e allora capì di colpo di che cosa si trattava. Era il "cassetto dei veleni" della scrivania. C'erano barzellette copiate con cura, per lo più oscene; fotografie di nudi; cartoline postali, da mandarsi in busta chiusa, con contadinelle grassocce alle quali si potevano slacciare le mutande dietro; giochi di carte che parevano innocenti, ma tutti contro luce mostravano cose tremende; ometti che premuti sulla pancia emettevano ogni sorta di cose; e così via. Certo il vecchio signore non ricordava più quella roba che aveva nel cassetto, altrimenti l'avrebbe distrutta in tempo. Evidentemente risaliva all'età in cui non pochi scapoli e vedovi che stanno invecchiando si riscaldano con simili sudicerie, ma Ulrich arrossì della incustodita fantasia del padre, che la morte aveva sciolto dalla carne. Gli balzò subito agli occhi la connessione col discorso interrotto. Tuttavia il suo primo impulso fu di nascondere quei documenti prima che Agathe li vedesse. Ma Agathe aveva già visto che gli era capitato in mano qualcosa di singolare, sicché egli cambiò idea e la chiamò.

Voleva sentire che cosa ella avrebbe detto. A un tratto fu di nuovo dominato dal pensiero che Agathe era pure una donna che doveva avere le sue esperienze; durante i discorsi più profondi egli non ne aveva più avuto coscienza. Ma sul viso di lei non si poteva leggere quel che pensava; ella esaminava seria e tranquilla il lascito illegale del padre, e ogni tanto sorrideva apertamente, tuttavia senza vivacità. Così Ulrich nonostante il proposito parlò per primo.

- Questo è l'ultimo residuo della misticità! - disse in tono mezzo arrabbiato mezzo divertito. - Nello stesso cassetto stavano le ammonizioni severe e moralistiche del testamento e quel marciume!

Si era alzato e camminava su e giù per la stanza. E aveva appena incominciato a parlare, che il silenzio della sorella lo trascinò a nuove parole.

- Mi hai chiesto che cosa credo, - egli incominciò. - Credo che tutti i precetti della nostra morale siano concessioni a una società di selvaggi.

- Credo che nessuno sia giusto.- Un altro senso vi traluce dietro. Un fuoco che dovrebbe fonderli.

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- Credo che nulla sia finito.- Credo che nulla rimanga in equilibrio e che invece ogni cosa vorrebbe sollevarsi sull'altra."Questo è il mio credo; ed è nato con me, e io con esso". Dopo ogni frase egli si era fermato, perché

non parlava forte e in qualche modo doveva dare risalto alla sua confessione di fede. Poi alzò gli occhi alle sculture classiche riprodotte in gesso che stavano lassù in cima agli scaffali; vide una Minerva, un Socrate; si ricordò che Goethe aveva nella propria camera una testa di Giunone più grande del naturale. Paurosamente lontana gli apparve tale predilezione: quella che era stata un tempo un'idea fiorente era ridotta ora a un vuoto classicismo, era divenuta una manifestazione ritardata del curialismo pedante dei contemporanei di suo padre. Era stata inutile.

- Affrontare la vita con l'aiuto della morale che ci è trasmessa è come avviarsi su una corda oscillante tesa sopra un abisso, - egli disse, - senz'altro sussidio che il consiglio: tienti ben dritto!

"A quanto pare io sono nato, senza ch'io ne abbia merito o colpa, con una morale diversa. Mi hai chiesto che cosa credo. Credo che anche se mi si dimostra mille volte che, per i motivi in vigore, una cosa è buona oppure bella, io sono e rimango indifferente, e l'unico segno sul quale regolerò il mio giudizio è: se la sua presenza mi abbassa o mi innalza.

"Se mi desta alla vita oppure no."Se soltanto la mia lingua ne parla o il mio cervello, oppure il brivido che s'irradia fino alla punta

delle dita. Ma anch'io non posso dimostrare nulla."E anzi sono convinto che un uomo che cede a questo, è perduto. Si smarrisce nel crepuscolo. Nella

nebbia e nelle puerilità. In una noia indistinta."Se tu togli dalla nostra vita l'univoco, non resta che uno stagno di carpe senza carpione."Io credo che in tal caso la furfanteria sia addirittura il buon genio che ci protegge! Dunque io non

credo!"Non credo, prima di tutto, all'inibizione del male mediante il bene, che rappresenta il miscuglio

della nostra civiltà e mi fa schifo! Dunque io credo e non credo!"Ma forse credo che fra un po' di tempo gli uomini saranno parte molto intelligenti e parte dei

mistici. Forse avverrà che anche ai nostri giorni la morale si divida in queste due componenti. Potrei anche dire: in matematica e mistica. In miglioramento pratico e avventura ignota!" Da anni non era stato così sinceramente commosso. I "forse" del suo discorso non li sentiva, gli parevano soltanto naturali.

Agathe intanto s'era inginocchiata davanti alla stufa; aveva accanto, sul pavimento, il pacco di figure e di scritti, li esaminò ancora ad uno ad uno e li cacciò nel fuoco. Non era del tutto insensibile alla volgare sensualità di quelle sciocchezze. Sentiva il proprio corpo fisicamente turbato. Le pareva che non si trattasse di lei stessa, come sentir frullare un coniglio in un aspro deserto. Non sapeva se, dicendolo al fratello, ne avrebbe provato vergogna; ma era stanca fin nel più addentro e non voleva più parlare. Non ascoltava ciò che egli diceva; il suo cuore era già stato troppo scosso da quel su e giù, e non poteva più stare attento. Sempre gli altri avevano saputo meglio di lei quel ch'era giusto; a questo ella pensava, ma, forse perché si vergognava, con segreta protervia. Seguire una strada vietata o nascosta: in questo si sentiva superiore al fratello. Lo ascoltava ritrattare sempre cautamente tutto quello che si era lasciato sfuggire e le sue parole le percotevano l'orecchio come grosse spille di felicità e di malinconia.

13.Ulrich ritorna a casa e il generale lo informa di tutto ciò che ha perduto

Quarantott'ore dopo Ulrich fece ritorno alla sua casa deserta. Era primo mattino. L'appartamento

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era riordinato con cura, lustro e senza polvere; e, così come li aveva lasciati partendo in gran furia, libri e scritti giacevano sui tavolini, rispettati dalle mani servili, ancora aperti alla pagina interrotta oppure lardellati da segni di lettura divenuti incomprensibili; alcune cartelle poi avevano ancora tra i fogli la matita da lui deposta. Ma tutto era raffreddato e indurito come il contenuto d'un crogiolo sotto il quale si è dimenticato di alimentare il fuoco.

Con penosa delusione Ulrich guardava ottusamente quel calco di un'ora passata, matrice di violente commozioni e pensieri che l'avevano riempita. Sentiva un'indicibile ripugnanza a tornare in contatto con quegli avanzi di se stesso. "Adesso, egli pensò, - il passato trabocca attraverso le porte per tutta la casa fino a quelle stupide corna di cervo giù nell'atrio. Che vita ho fatto in questi ultimi anni!" Così come stava, chiuse gli occhi per non vedere. "Fortuna che lei mi raggiungerà presto, qui cambieremo tutto!" egli pensò. Ma poi si sentì attratto a riandare le ultime ore che aveva passato lì; gli pareva di essere stato lontano per un tempo infinito, e voleva confrontare. Clarisse: non era niente. Ma prima e dopo: la strana commozione con la quale s'era affrettato verso casa e poi quell'improvviso liquefarsi del mondo! "Come ferro che diventa molle sotto una forza grandissima, - egli rifletté. - Incomincia a scorrere eppure rimane ferro. Un uomo penetra con forza nel mondo, - gli balenò, ma improvvisamente esso si chiude intorno a noi e tutto appare diverso. Non vi sono più correlazioni. Non v'è una strada dalla quale egli è venuto e che deve continuare a percorrere. Un accerchiamento baluginante là dove egli vedeva poc'anzi una meta o piuttosto il vuoto tranquillo che precede ogni meta"

Ulrich teneva ancora gli occhi chiusi. Lentamente, come un'ombra, gli ritornò il sentimento. Era come se ritornasse, nel luogo dov'egli era allora e anche adesso, quel sentimento che era più fuori nello spazio che dentro nella coscienza; in fondo non era né un sentimento né un pensiero, bensì un avvenimento sinistro. Sovreccitato e solitario com'era Ulrich, allora, avrebbe potuto credere che l'Ente Mondo si rovesciasse dall'interno verso l'esterno; e improvvisamente tutto gli fu chiaro - incomprensibile però che accadesse solo ora - ed era come una veduta tranquilla ed aperta, che già allora il suo sentimento avesse preannunziato l'incontro con la sorella, perché da quel momento in poi il suo spirito era stato guidato da forze meravigliose fino a... ma Ulrich si distolse in fretta prima di aver potuto pensare "ieri", così palpabilmente svegliato dai suoi ricordi come se avesse urtato contro uno spigolo: lì c'era qualcosa a cui non voleva ancora pensare!

Andò alla scrivania e scorse la corrispondenza, senza togliersi gli abiti da viaggio. Fu deluso di non trovare un telegramma di Agathe, benché non avesse motivo di aspettarselo. Un monte di condoglianze emergeva da comunicazioni scientifiche e bollettini editoriali. Tirò fuori due lettere di Bonadea, così spesse che si guardò bene dall'aprirle. C'era anche un biglietto del conte Leinsdorf che lo pregava di andare da lui il più presto possibile, e due letterine flautate di Diotima, che lo invitava anch'essa a farsi vivo appena tornato; lette più attentamente, l'una, la seconda, conteneva accenti non ufficiali che erano molto amichevoli, malinconici e quasi un po' teneri. Ulrich passò alle chiamate telefoniche che erano state annotate durante la sua assenza: il generale von Stumm, il capodivisione Tuzzi, due volte la segretaria del conte Leinsdorf, parecchie volte una signora che non aveva detto il suo nome e probabilmente era Bonadea, il direttore Leo Fischel, e poi varie comunicazioni d'affari.

Mentre Ulrich leggeva, ancora in piedi accanto alla scrivania, il telefono squillò e quando Ulrich sollevò il ricevitore, si annunziò "il Ministero della Guerra, Sezione Cultura e Istruzione, caporale Hirsch" che fu molto stupito di sentire inaspettatamente la voce di Ulrich, e informò premurosamente che il signor generale aveva dato ordine di telefonare ogni mattina alle dieci e sarebbe venuto subito in persona all'apparecchio.

Cinque minuti dopo Stumm comunicava di dover assistere quel mattino stesso a "conferenze straordinariamente importanti" ma di voler prima parlare con Ulrich a ogni costo; alla domanda di che cosa si trattava e perché non si poteva sbrigar la cosa per telefono, egli rispose con un sospiro e parlò di "comunicazioni, inquietudini, problemi" senza che fosse possibile fargli dire nulla di preciso. Venti

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minuti dopo una vettura del Ministero della Guerra si fermò davanti alla porta e il generale Stumm entrò in casa seguito da un attendente che portava una gran borsa di cuoio. Ulrich che ben ricordava quel ricettacolo dei crucci spirituali del generale, dai tempi delle disposizioni di marcia e dei fogli di matricola, corrugò la fronte con aria interrogativa. Stumm von Bordwehr sorrise, mandò via l'attendente, si sbottonò la giubba per prendere la chiavetta della serratura di sicurezza, appesa a una catenella intorno al collo, non disse una parola e tirò fuori dalla borsa, che non conteneva nient'altro, due pani di munizione.

- Le nostre nuove pagnotte, - dichiarò dopo una pausa studiata. - Te le ho portate ad assaggiare!- Molto gentile da parte sua, osservò Ulrich, - portarmi del pane dopo una notte passata in treno,

invece di lasciarmi dormire.- Se hai in casa un po' d'acquavite, com'è probabile, - replicò il generale, - sappi che pane e acquavite

sono la colazione più adatta dopo una notte di veglia. Mi dicesti tempo fa che il pane di munizione era l'unica cosa che ti fosse piaciuta del servizio militare, e io sostengo che nella panificazione l'esercito austriaco primeggia su tutti gli altri eserciti, soprattutto dacché l'intendenza produce questo tipo "1914"! Perciò te l'ho portato, questo è uno dei motivi della mia visita. E poi, devi sapere, che adesso faccio regolarmente così. Non sono obbligato a star seduto tutto il giorno sulla mia seggiola, né a render conto d'ogni passo che faccio fuori della stanza, questo s'intende; ma tu sai che lo Stato Maggiore vien chiamato, non per niente, il Corpo dei Gesuiti, e quando uno è spesso fuori dell'ufficio si mormora molto, e infine Sua Eccellenza von Frost, il mio capo, non ha un concetto molto esatto della capacità dello spirito, dello spirito civile, voglio dire; perciò da un po' di tempo mi porto sempre la borsa e un attendente quando ho voglia di uscire, e perché l'attendente non pensi che la borsa è vuota, ci metto sempre dentro due pagnotte di pane.

Ulrich non poté trattenersi dal ridere e il generale rise con lui, soddisfatto.- Mi sembra che la grande idea dell'Umanità ti rallegri meno di prima, no? - domandò Ulrich.- È così per tutti, - gli spiegò Stumm mentre tagliava il pane col temperino. - Adesso la parola

d'ordine è: "l'azione"- Bisognerà che tu me lo spieghi.- Son qui per questo. Tu non sei un uomo d'azione come va.- No?- No.- Non lo sapevo!- Forse non lo sapevo neanch'io. Ma lo dicono.- Chi lo dice?- Arnheim, per esempio.- Tu sei in buoni termini con Arnheim?- Si capisce! Ottimi. Se non fosse uno spirito così sublime, forse potremmo già darci del tu!- Hai da fare anche tu coi campi di petrolio?Il generale bevve l'acquavite che Ulrich aveva fatto portare, e masticò un pezzo di pane per

guadagnar tempo.- Proprio buonissimo, - pronunziò con fatica, e seguitò a masticare.- Ma certo che hai da fare coi campi di petrolio! - stabilì Ulrich improvvisamente illuminato. - È una

questione che interessa il vostro reparto di marina per la fornitura di combustibile alle navi, e se Arnheim vuole acquistare i campi e scavare i pozzi, deve promettere di farvi prezzi speciali! D'altra parte la Galizia è terreno di schieramento e bastione contro la Russia, sicché voi dovete curare che lo sfruttamento dei campi, che egli intende promuovere, sia particolarmente protetto in caso di guerra. Dunque la sua fabbrica di corazzature vi verrà di nuovo incontro, per i cannoni che volevate. Come non ci pensavo? Siete nati addirittura l'uno per l'altro!

Per precauzione il generale aveva masticato un altro pezzo di pane: adesso non poté più contenersi,

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e tra i violenti sforzi di inghiottire tutto quello che aveva in bocca, disse:- È facile dire "vi verrò incontro"! Non t'immagini com'è avaro colui! Scusa, - si corresse, - volevo

dire, con quanta dignità egli tratta un affare di questo genere! Io non avevo idea, per esempio, che dieci centesimi per ogni tonnellata trasportata per ferrovia fossero una questione morale per cui bisogna andare a scartabellare Goethe o la storia della filosofia!

- Sei tu che conduci queste trattative? - Il generale bevve un sorso d'acquavite.- Io non ho affatto parlato di trattative in corso! Per me lo puoi chiamare scambio d'idee.- E tu ne sei incaricato?- Non c'è nessun incarico. Si parla semplicemente. Qualche volta si può ben parlare d'altro che

dell'Azione Parallela. E se ci fosse un incaricato non sarei certo io. Non è mica un affare che riguardi la Sezione Cultura e Istruzione. Roba di questo genere spetta all'ufficio del presidio o tutt'al più all'Intendenza. Se io me ne occupo, sarebbe in qualità di consigliere, di pratico di problemi spirituali civili, una specie d'interprete perché Arnheim è tanto colto.

- E perché tu lo vedi continuamente grazie a me e a Diotima! Caro Stumm, se vuoi che continui a reggerti il moccolo, devi dirmi la verità!

Ma intanto Stumm si era preparato.- Perché me la chiedi, se già la sai! - rispose indignato. - Credi di potermi piantare, e che io non

sappia che Arnheim si confida con te?!- Io non so niente!- Ma se hai detto or ora che sai!- So la faccenda dei campi di petrolio.- E poi hai detto che noi abbiamo interessi comuni con Arnheim riguardo a quei campi. Dammi la

tua parola d'onore che sai questo e allora ti posso dir tutto.Stumm von Bordwehr afferrò la mano esitante di Ulrich, lo guardò negli occhi e disse malizioso:- Dunque poiché adesso mi dai la parola d'onore che sapevi già tutto, ti do la mia che sai tutto! Va

bene? Non c'è niente di più. Arnheim vorrebbe mandare avanti noi, e noi lui. Sai, qualche volta ho i conflitti d'anima più complicati per via di Diotima! - esclamò. - Ma non devi ripeter nulla a nessuno, questo è un segreto militare! - Il generale si fece allegro. - Lo sai che cos'è un segreto militare? - continuò.

- Due anni fa, quando ci fu la mobilitazione in Bosnia, al Ministero della Guerra volevano togliermi di mezzo, allora ero ancora colonnello, e mi diedero il comando di un reggimento di fanteria; naturalmente avrei potuto comandare anche una brigata, ma siccome dicono che io sono di cavalleria e poi perché volevano silurarmi, mi mandarono a un reggimento. E giacché per fare la guerra ci vuole denaro, appena arrivati laggiù mi consegnarono anche la cassa del reggimento. Ne hai mai visto una quand'eri militare? Somiglia mezzo a una bara e mezzo a una mangiatoia, è di legno spesso e tutta rinforzata di strisce di ferro come il portone di una fortezza. Ha tre serrature, e le chiavi sono affidate a tre uomini, una per ciascuno, in modo che nessuno può aprirla da solo. Il comandante e altri due addetti alla cassa. Dunque ci radunammo come per una preghiera, quando arrivai, e l'uno dopo l'altro aprimmo una serratura e tirammo fuori con reverenza i pacchetti di banconote; mi pareva di essere un arciprete con due ministranti, solo che invece che nel Vangelo le cifre si leggevano nei protocolli erariali. Alla fine richiudemmo la cassa coi cerchioni di ferro, facemmo scattare le serrature, invertendo l'ordine di prima, io dovetti dire qualcosa che non mi ricordo, e la cerimonia ebbe termine. Tale la consideravo, e l'avresti considerata anche tu, e avevo il massimo rispetto per la saldissima cautela dell'amministrazione militare in tempo di guerra! Ma allora io possedevo un volpino, il predecessore di quello che ho adesso; era una bestia intelligentissima e nessun articolo del regolamento diceva che non dovesse esser presente; solo che Spot - si chiamava così, era inglese non poteva vedere un buco senza scavare subito come un matto. Quando stavo per andarmene, vedo dunque che Spot si dà da fare intorno alla cassa e non c'è verso di portarlo via. S'è già udito raccontare che cani fedeli abbiano

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scoperto le più segrete congiure, ed eravamo quasi in guerra, sicché io penso: vediamo un po' che cos'ha Spotà e sai che cosa aveva? Ecco qui, ai reggimenti territoriali l'intendenza non fornisce proprio la roba più nuova, e così anche la cassa del reggimento era antica e venerabile, ma io non avrei mai immaginato che dietro, mentre noi tre si serrava a chiave davanti, aveva un buco, vicino a terra, che ci passava un braccio! C'era un nodo di legno, ed era cascato giù in una delle guerre precedenti. Ma che vuoi farci, l'allarme in Bosnia era giusto passato quando arrivò la cassa nuova richiesta in sostituzione, e fino allora celebrammo ogni settimana la nostra cerimonia, solo che io dovetti lasciare a casa Spot perché non rivelasse il segreto. Dunque vedi, così sono i segreti militari, in certe circostanze!

- Be, mi pare che tu non ti sia ancora aperto come il tuo scrigno, - rispose Ulrich. - Insomma, lo concludete l'affare oppure no?

- Non lo so. Ti do la mia solenne parola di ufficiale dello Stato Maggiore: non siamo ancora a quel punto.

- E Leinsdorf?- Naturalmente è all'oscuro di tutto. Del resto è impossibile avvicinarlo ad Arnheim. Ho sentito dire

che si è arrabbiato moltissimo per la dimostrazione, a cui tu hai preso parte: adesso è tutto contro i tedeschi.

- E Tuzzi? - chiese Ulrich, continuando l'interrogatorio.- Quello dev'essere l'ultimo a saper qualcosa. Guasterebbe subito tutto il progetto. Naturalmente

vogliamo tutti la pace, ma noi militari per conservarla abbiamo un altro sistema che i burocrati!- E Diotima?- Ma fammi il favore! Questi sono affari da uomini, lei non può pensare a cose simili neanche coi

guanti! Non avrei cuore di infastidirla narrandole la verità. Capisco anche che Arnheim non le racconti niente di tutto ciò.

Sai, egli parla molto e bene, e allora dev'essere un godimento tacere qualche volta su qualche cosa. Me l'immagino come una specie di amaro per lo stomaco.

- Sai che sei diventato un furfante? Alla tua salute! - disse Ulrich bevendo.- No, non un furfante, - si difese il generale. - Io sono membro di una commissione ministeriale. A

ogni seduta ciascuno dice quel che vorrebbe e quel che gli pare giusto, e alla fine ne risulta qualcosa che nessuno voleva interamente: appunto il risultato. Non so se tu mi capisci, ma non posso esprimerlo meglio.

- Certo che ti capisco. Tuttavia con Diotima ti comporti bassamente.- Mi dispiacerebbe, - disse Stumm. Ma sai, il boia è una persona spregevole, questo non si discute;

invece il fabbricante di funi, che si contenta di fornire le corde all'amministrazione del carcere, può essere membro della Società Etica. Tu di questo non tieni conto abbastanza.

- L'hai sentita da Arnheim!- Può darsi. Non so. Oggidì il nostro spirito si fa tanto complicato... - si lamentò onestamente il

generale.- E io che cosa dovrei fare, secondo te?- Be, vedi, io ho pensato che tu sei un ex ufficiale...- Va bene. Ma come lo concilii con l'"uomo d'azione"? - disse Ulrich risentito.- Uomo d'azione? - ripeté il generale senza capire.- Non hai principiato col dire che io non sono un uomo d'azione?- Ah, già. Naturalmente non c'entra per nulla. Era solo un esordio. Voglio dire che Arnheim non ti

considera precisamente un uomo d'azione; l'ha detto lui una volta. Tu non hai niente da fare, diceva lui, e così ti vengono dei pensieri. O qualcosa di simile.

- Cioè, pensieri inutili? Pensieri che non si possono trasferire "sul terreno del potere"? Pensieri che son fine a se stessi? In una parola, giusti e indipendenti! Eh? Oppure pensieri "di un esteta fuori del mondo"?

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- Sì, - consentì Stumm diplomaticamente. - Così, su per giù.- Così come? Che cosa credi sia più pericoloso per lo spirito? I sogni o i giacimenti di petrolio? Non

occorre che tu ti tappi la bocca col pane, lascia stare! Mi è indifferente quel che Arnheim pensa di me. Ma in principio tu hai detto: Arnheim, per esempio. Dunque chi sono gli altri che non mi giudicano abbastanza "uomo d'azione"?

- Be, sai, - dichiarò Stumm, - non sono pochi. Te l'ho detto, che adesso la parola d'ordine è l'"azione"

- Che cosa vuol dire?- Precisamente non lo so neanch'io. Leinsdorf ha detto che adesso bisogna fare qualcosa! è

incominciato così.- E Diotima?- Diotima dice che questo è uno spirito nuovo. E molti lo dicono, in Consiglio. Vorrei sapere se

capita anche a te: io mi sento veramente una vertigine in corpo, quando una bella donna è anche una testa quadra.

- Ma certo, lo credo, - ammise Ulrich, che non voleva lasciarsi scappare Stumm, - ma mi piacerebbe sentire che cosa dice Diotima dello spirito nuovo.

- Dicono tutti, - rispose Stumm, - dicono tutti in Consiglio che la nostra epoca sta acquistando uno spirito nuovo. Non subito, ma fra un paio d'anni, se non succede prima qualcosa di speciale. E questo spirito nuovo non dovrà contenere molti pensieri. Anche i sentimenti adesso son fuori tempo. Pensieri e sentimenti sono piuttosto per la gente che non ha niente da fare. In una parola, questo è lo spirito dell'azione; di più non so neanch'io. Ma qualche volta, soggiunge meditabondo, - mi sono chiesto se non è semplicemente lo spirito militarista.

- Un'azione deve avere un senso! - affermò Ulrich, e al di là di quello stolto dialogo screziato la sua coscienza gli ricordò con serietà profonda la prima conversazione con Agathe su quell'argomento, lassù al Bastione degli svedesi.

Ma anche il generale disse:- È appunto quello che ho detto. Se non si ha niente da fare e non si sa dove sbattersi, si è pieni

d'energia. Si strepita, ci si sbronza, si tormentano gli uomini e i cavalli. Ma d'altra parte ammetterai anche tu che se si sa perfettamente quel che si vuole, si diventa un sornione. Guarda uno di quegli ufficialetti dello Stato Maggiore, quando tace, stringe le labbra e fa una faccia come se fosse Moltke: dieci anni dopo ha sotto i bottoni una prominenza da generale, ma non è una pancia bonaria come la mia, è piena di veleno. Dunque è difficile stabilire quanto senso possa avere un'azione - Rimase soprappensiero, poi soggiunse:

- A saper vedere, s'imparano molte cose nella vita militare, me ne convinco sempre più; ma non credi che sarebbe, per così dire, la cosa più semplice trovare una buona volta quella famosa grande idea?

- No, - replicò Ulrich. - Quella era una sciocchezza.- Va bene, ma allora non rimane altro che l'azione, - sospirò Stumm. - L'ho chiarito già quasi io

stesso. Del resto, se ti ricordi, una volta ti ho avvertito di stare in guardia perché tutti questi pensieri esagerati vanno a finire nell'omicidio. E questo occorre impedirlo! - egli stabilì. Bisognerebbe che qualcuno prendesse il comando! - aggiunse in tono di lusinga.

- E qual è la parte che mi assegna la tua bontà in questa faccenda? - domandò Ulrich senza nascondere uno sbadiglio.

- Me ne vado subito, - promise Stumm. - Ma poiché ci siamo spiegati così apertamente, tu avresti ancora un dovere importante, se vuoi essere un buon camerata: fra Diotima e Arnheim c'è qualcosa che non va!

- Che cosa dici! - Il padrone di casa si animò un poco.- Vedrai coi tuoi occhi, è inutile che ti dica! E poi lei si confida ancor più con te che con me.

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- Si confida con te? E da quando?- Si è un pochino abituata a me, - disse il generale con orgoglio.- Rallegramenti.- Già. Ma devi andare presto da Leinsdorf. A mitigare la sua avversione per i Prussiani.- Me ne guardo bene.- Suvvia, lo so che non puoi patire Arnheim, ma fallo lo stesso.- Non è per questo. Ma io da Leinsdorf non ci metto piede.- Ma perché? Un vecchio signore così raffinato. È arrogante e io non lo posso soffrire, ma con te è

delizioso.- Mi ritiro. Sono stufo di tutta la storia.- Ma Leinsdorf non te lo permetterà. E neanche Diotima. E io meno di tutti! Non vuoi mica

lasciarmi solo?- È una cosa troppo stupida.- Come sempre, anche stavolta hai perfettamente ragione. Però quasi tutto è stupido a questo

mondo. Guarda, io senza di te sono stupidissimo. Dunque andrai da Leinsdorf per farmi piacere?- Ma che cosa c'è fra Diotima e Arnheim?- Non te lo dico, altrimenti non vai neanche da Diotima! - Il generale ebbe una ispirazione

improvvisa. - Se vuoi, Leinsdorf può assumere un segretario aggiunto che ti sostituisca in tutto ciò che non ti piace. Oppure se ne mando io uno dal Ministero della Guerra, tu puoi ritirarti fino a un certo punto, ma non ritrarre dal mio capo la tua mano protettrice!

- Prima lasciami smaltire il sonno, - pregò Ulrich.- Non me ne vado se prima non mi hai detto di sì.- Allora me ne consolerò dormendo, - concesse Ulrich. - Non dimenticare di rimettere nella borsa il

pane della scienza militare!

14.Novità in casa di Walter e Clarisse.

Un espositore e il suo pubblico

Lo stato d'inquietudine spinse Ulrich verso sera a visitare Walter e Clarisse. Per la strada cercò di richiamarsi alla memoria la lettera che aveva perduto o cacciato chi sa dove nel suo bagaglio, ma non ricordava i particolari, solamente l'ultima frase "spero che ritornerai presto" e complessivamente l'impressione di dover parlare con Walter, accompagnata non soltanto da rincrescimento e disagio, ma anche da una gioia maligna. Su quel sentimento passeggero e involontario, senza alcuna importanza, egli si soffermò invece di cacciarlo via, e ne provò un'impressione simile a quella di chi soffre di vertigini e s'acquieta quando può scendere giù.

Giunto vicino alla casa vide Clarisse davanti al muro in pieno sole, dov'era la spalliera di peschi; aveva le mani dietro la schiena, era appoggiata ai rami cedevoli e guardava lontano, senza accorgersi del veniente. Il suo atteggiamento aveva qualcosa di irrigidito, di oblioso di sé; ma insieme di leggermente teatrale, percettibile soltanto all'amico che conosceva le sue singolarità: sembrava che recitasse le scene significative che occupavano il suo animo, e una soprattutto l'aveva afferrata e non la lasciava più. Egli ricordò le sue parole: "Vorrei un bimbo da te!" Oggi non gli erano così sgradevoli come allora; chiamò piano l'amica e attese.

Clarisse intanto pensava: "Questa volta Meingast si trasforma in casa nostra!" La sua vita contava già parecchie strane metamorfosi e senza che egli avesse mai replicato nulla alla lunga risposta di Walter, un giorno tradusse in atto l'annunzio di un suo prossimo arrivo. Il ricordo di un dio indiano che prima

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d'ogni purificazione cambia dimora si mescolava in lei con la nozione che gli insetti scelgono un luogo preciso per fare il bozzolo e trasformarsi in crisalide, e da questo pensiero, che le dava la sensazione di essere straordinariamente sana e ben piantata nella terra, era passata al profumo sensuale di quei peschi che maturavano contro un muro riscaldato dal sole: il risultato logico di tutto ciò era che lei stava sotto la finestra, nell'ardente chiarore del sole occiduo, mentre il profeta si era ritirato nella retrostante caverna d'ombra. Il giorno prima egli aveva spiegato a lei e a Walter che la parola tedesca Knecht (servo, schiavo) corrisponde all'inglese Knight, e i significati originali erano giovinetto, ragazzo, campione, uomo d'armi ed eroe; e ora ella diceva fra sé: "Io sono il suo Knecht!" (1) e lo serviva, e proteggeva il suo lavoro: non occorrevano altre parole, ella col viso abbacinato resisteva immobile ai raggi del sole.

Quando Ulrich la chiamò ella voltò lentamente la faccia verso la voce inattesa, ed egli scoprì che qualcosa era mutato. Gli occhi che lo guardavano erano pieni di una freddezza come quella che irradiano i colori delle cose dopo che il giorno si è spento, ed egli capì subito: Da te ella non vuole più nulla! Che egli fosse stato per lei un demonio o un dio, che ella avesse voluto "estrarlo a forza dal blocco di marmo", e desiderato di fuggire con lui "attraverso lo spiraglio nella musica", e pensato di ucciderlo perché non l'amava, di tutto questo non v'era più traccia negli occhi di Clarisse. A lui ciò fu indifferente: può anche essere una piccola vicenda molto comune questo calore dell'egoismo che si è spento in uno sguardo; tuttavia era come un piccolo strappo nel velo della vita, attraverso il quale ci guarda un nulla indifferente, e quella fu l'origine di alcune cose che accaddero dopo.

Ulrich apprese che Meingast era loro ospite, e capì. Entrarono in casa pian piano, a prendere Walter, e altrettanto piano uscirono fuori tutti e tre per non disturbare il creatore. All'andare e al venire Ulrich poté scorgere di sfuggita attraverso una porta aperta la schiena di Meingast. Egli abitava una camera dell'appartamento vuota e separata; Clarisse e Walter avevano scovato chi sa dove un letto di ferro; uno sgabello di cucina e un catino di latta fungeva da lavabo e da bagno, e oltre a quelle suppellettili, nella stanza che non aveva tende alla finestra, c'era soltanto una vecchia credenza da stoviglie con dentro qualche libro, e un tavolino di legno non verniciato.

A quel tavolino era seduto Meingast e scriveva; e non voltò il capo quando essi passarono. Tutto ciò Ulrich in parte lo vide, in parte lo apprese dai suoi amici, che non avevano rimorso di aver dato al Maestro un alloggio molto più meschino del loro, ma al contrario, per qualche ragione, erano orgogliosi che egli se ne accontentasse. era commovente, e comodo per loro; Walter assicurava che quella stanza, se vi si entrava in assenza di Meingast, aveva un non so che d'indescrivibile, come un vecchio guanto logoro che sia stato portato da una mano nobile e forte! E in verità Meingast lavorava con gran piacere in quell'ambiente la cui semplicità soldatesca lo lusingava. Lì egli si sentiva padrone della sua volontà che formava le parole sulla carta. Se poi Clarisse stava come poco prima sotto la sua finestra, oppure sul pianerottolo, o anche soltanto nella propria stanza - "avvolta nel manto di un'invisibile luce boreale" come ella gli aveva confessato - la presenza dell'ambiziosa discepola da lui paralizzata accresceva la sua gioia. La penna allora spingeva innanzi a sé le idee, e i grandi occhi scuri sopra il naso adunco e vibrante gettavano fiamme. Una delle parti più importanti del suo nuovo libro doveva esser compiuta in tali circostanze, e l'opera non si poteva chiamare un libro, ma un ordine di mobilitazione per lo spirito degli uomini nuovi! Quando dal posto dov'era Clarisse una voce maschile sconosciuta gli era giunta all'orecchio, egli aveva interrotto il lavoro per guardar fuori cautamente; non riconobbe Ulrich ma si ricordava oscuramente di lui e nei passi che salivano la scala non trovò un motivo per chiudere la sua porta né per alzare il capo dai fogli. Portava uno spesso farsetto di lana sotto la giacca, e faceva mostra della propria insensibilità alla temperatura e alla gente.

Ulrich fu condotto a passeggio, ed ebbe agio di ascoltare le entusiastiche lodi del maestro mentre questi attendeva alla sua opera.

Walter disse:

1 Cioè contemporaneamente servo e difensore.

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- Quando si è amici di un uomo come Meingast, si giunge a capire la tormentosa avversione che si è sempre sentita per tutti gli altri! Nell'intimità con lui, tutte le cose, starei per dire, sono come dipinte in colori puri senz'ombra di grigio.

Clarisse aggiunse:- Nell'intimità con lui si ha l'impressione di avere un destino; si è lì con tutta la propria personalità, in

piena luce.Walter concluse:- Oggidì tutto si scompone in centinaia di strati, diventa opaco e sfocato: il suo spirito invece è come

il vetro!Ulrich replicò a entrambi:- Ci sono capri espiatori e capri premiati alle mostre; e ci sono anche le caprette che han bisogno di

loro.Walter rimbeccò:- C'era da aspettarselo che un uomo come quello non ti sarebbe andato a genio!Clarisse s'intromise:- Una volta tu dicesti che non si poteva vivere secondo l'idea: ti ricordi? Meingast invece lo può!Walter disse più cauto:- Naturalmente avrei qualcosa da obiettare contro di lui... - Clarisse lo interruppe:- Quando lo si ascolta ci si sente scossi da brividi luminosi - Ulrich osservò:- Gli uomini molto belli son quasi sempre stupidi; i filosofi molto profondi sono di solito pensatori

molto piatti; e in poesia capita molto spesso che un ingegno mediocre sia creduto grandissimo dai contemporanei.

È uno strano fenomeno quello dell'ammirazione. Limitato a semplici "accessi" nella vita del singolo, rappresenta nella collettività un'istituzione durevole. In fondo, a Walter sarebbe parso più soddisfacente esser lui al posto di Meingast nella considerazione di Clarisse e nella propria; e non capiva affatto perché non fosse così, però c'era anche qualche piccolo vantaggio. E il sentimento così economizzato ridondava a beneficio di Meingast, allo stesso modo che uno adotta per proprio un figlio altrui. E d'altra parte appunto perciò l'ammirazione per Meingast non era un sentimento puro e sano, questo lo sapeva anche Walter; era piuttosto un bisogno esacerbato di abbandonarsi a credere in lui, e ciò con deliberato proposito. Era un "con sentimento" suonato senza piena convinzione.

Anche Ulrich se ne rese conto. Uno dei più spontanei bisogni di passione, che la vita oggi frantuma e mescola fino a renderlo irriconoscibile, cercava in tal modo di aprirsi una ritirata; infatti Walter lodava Meingast con lo stesso furore col quale gli spettatori a teatro acclamano al di là dei limiti della loro vera opinione certi luoghi comuni che stuzzicano il loro bisogno di applaudire; lo lodava in uno di quegli stati critici dell'ammirazione per i quali son state inventate le feste e le celebrazioni, i grandi contemporanei o le grandi idee, e gli onori che vengon loro tributati; e a cui si partecipa senza saper bene per chi o per che cosa, e ciascuno in cuor suo si prepara ad essere il giorno dopo tre volte più volgare del solito per non doversi rimproverar nulla. Questo pensava Ulrich dei suoi amici e li teneva in moto con osservazioni mordaci fatte di tanto in tanto sul conto di Meingast; perché come tutti coloro che la sanno più lunga, gli era già toccato d'irritarsi molte volte per la capacità d'entusiasmo dei suoi contemporanei, che sbaglia quasi sempre la mira e così distrugge anche quello che l'indifferenza risparmia.

Incominciava ad annottare quando rientrarono in casa sempre conversando.- Questo Meingast vive del fatto che oggi un'idea vaga si scambia per fede, - disse Ulrich alla fine. -

Quasi tutto ciò che non è scienza si può soltanto immaginare e perciò occorre passione e cautela. Così una metodologia di ciò che non si sa è quasi lo stesso che una metodologia della vita. Voi invece, appena compare un Meingast, credete! E tutti fanno così. E quella "fede" è un guaio, press'a poco come se vi venisse in mente di sedervi con la vostra degna persona su un cestino d'uova per covarne

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l'ignoto contenuto!Erano ai piedi della scala. E improvvisamente Ulrich capì perché era venuto e perché tornava a

parlare con quei due come una volta. Non si stupì quando Walter gli rispose:- E il mondo deve fermarsi, vero, finché tu hai finito di elaborare il tuo metodo? - Era evidente che

tutti avevano poca considerazione per lui perché non capivano quanto è inselvatichita quella regione della fede che si estende fra la certezza del sapere e la nebbia dell'intuire! Vecchie idee si affollarono nel suo cervello, soffocando quasi il pensiero col loro tumulto. Ma ormai egli sapeva che non era più necessario ricominciare da capo come un tessitore di tappeti che è rimasto abbagliato da un sogno; e che solo per questo egli si trovava di nuovo lì. Negli ultimi tempi tutto era diventato molto più semplice. Le ultime due settimane avevano soppresso tutto quel che c'era prima e raccolto in un solido nodo le linee del moto interno.

Walter aspettava da Ulrich una risposta di cui potersi arrabbiare. Poi gliel'avrebbe ripagata a usura. Si era prefisso di dirgli che uomini come Meingast sono dei salvatori. "Salvo significa anche integro", egli pensò. E voleva dire: "Coloro che ti salvano possono sbagliarsi, ma fanno di te un uomo intero!" E: "Forse tu non sei nemmeno capace di immaginarlo!" voleva aggiungere. In quel momento Ulrich gli ispirava un senso di ripugnanza, la stessa che provava quando doveva andare dal dentista.

Ma Ulrich chiese soltanto distrattamente che cosa mai aveva fatto e scritto Meingast negli ultimi anni.

- Lo vedi! - esclamò Walter deluso. - Non conosci neanche i suoi ultimi lavori, e ti permetti di parlarne male!

- Oh, - replicò Ulrich, - per questo mi bastano due righe - E si dispose a salire la scala.Ma Clarisse lo trattenne per la giacca e bisbigliò:- Non si chiama affatto Meingast!- Si capisce che non si chiama così; è forse un segreto?- È diventato Meingast, una volta; e adesso che è qui da noi tornerà a trasformarsi! - sussurrò

Clarisse con impeto e misteriosità, e quel sussurro era come una miccia. Walter ci si buttò sopra per spegnerla.

- Clarisse, - scongiurò, - Clarisse, non dire cose assurde!Clarisse tacque e sorrise. Ulrich salì avanti a tutti; voleva vedere finalmente quel messaggero che dai

monti di Zaratustra era calato nella vita familiare di Walter e Clarisse; e quando arrivarono di sopra Walter ce l'aveva non soltanto con lui ma anche con Meingast.

Questi accolse i suoi ospiti nella buia dimora. Li aveva visti venire, e Clarisse andò subito a metterglisi accanto davanti alla superficie grigia della finestra, piccola ombra affilata vicino a quella alta e magra di lui; non vi fu nessuna presentazione, o meglio vi fu una presentazione a metà, solo il nome di Ulrich richiamato alla memoria del Maestro. Poi tacquero tutti; Ulrich, curioso di vedere come si sarebbero svolte le cose, si mise presso la seconda finestra, e Walter, strano a dirsi, s'accostò a lui, forse semplicemente attratto - mentre le forze repellenti per il momento si equilibravano - dal chiarore dei vetri non velati, che filtrava fioco nella stanza.

Era il mese di marzo. "Ma della meteorologia non ci si può sempre fidare, a volte ci dà una serata di giugno in anticipo o in ritardo", pensava Clarisse mentre l'oscurità fuori della finestra le appariva come una notte estiva. Laggiù, dove cadeva la luce dei lampioni a gas, la notte era laccata di giallo chiaro. Il cespuglio lì accanto era una massa nera fluttuante. Nei punti illuminati diventava verde o bianchiccio - non era facile definirlo - si smerlettava in foglie e ondeggiava alla luce dei lampioni come i capi di biancheria sciacquati in un'acqua corrente. Una cinta rada di minuscoli pali di ferro - semplice richiamo e ammonimento dell'ordine - correva per un tratto lungo il tappeto d'erba donde emergeva il cespuglio, e poi spariva nel buio: Clarisse sapeva che là cessava addirittura; forse si era pensato una volta di dare al luogo l'ornamento di un giardino, ma l'idea era presto caduta.

Clarisse si avvicinò di più a Meingast, per vedere dal suo angolo di finestra il più possibile della

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strada; schiacciò il naso contro i vetri, e i due corpi si toccavano duramente e in punti diversi come se ella si fosse sdraiata su una scala, il che talvolta le accadeva; sul braccio destro, che dovette cedere, le si posarono subito, intorno al gomito, le lunghe dita di Meingast, come gli artigli nervosi di un'aquila distratta che spiegazza un fazzolettino di seta.

Da un po' di tempo Clarisse aveva scorto là fuori un uomo il cui contegno aveva un non so che di strano: ora camminava con esitazione ora con noncuranza; si sarebbe detto che un intoppo s'attorcigliasse intorno alla sua volontà di andare, e ogni volta, dopo che egli l'aveva lacerato, l'uomo camminava per un tratto come ogni persona che non ha proprio fretta ma non s'intoppa. Il ritmo di quel moto irregolare aveva colpito Clarisse; quando l'uomo passò sotto un lampione ella cercò di vedere il suo volto, che le parve scavato e insensibile. Passato il penultimo, giudicò che era una faccia insignificante, timida e non buona; ma quando egli giunse all'ultimo che era quasi sotto la finestra, il suo volto era molto pallido, e fluttuava in qua e in là nella luce come la luce fluttuava sul buio, così che in confronto l'asta sottile del lampione appariva molto diritta e concitata, e spiccava d'un verde molto più vivo del normale.

Tutti e quattro a poco a poco s'erano messi a osservare quell'uomo che si credeva non visto. Egli notò infine il cespuglio che era inondato di luce e gli rammentò le merlettature di una sottoveste femminile, così fitte non ne aveva mai viste, ma gli sarebbe piaciuto vederle. In quel momento prese una risoluzione. Scavalcò i paletti bassi, e fu sul prato che era come la lanuggine verde sotto gli alberi di una casina di bambola, per qualche istante si guardò i piedi perplesso, poi parve svegliarsi, si sbirciò intorno guardingo, e si nascose nell'ombra, com'era sua abitudine. Rincasavano i gitanti che la giornata tiepida aveva attirati verso la campagna, di lontano si udiva la loro rumorosa allegria. L'uomo si sentì pieno di paura, e scappò a sfogarla sotto la gonnella di foglie. Clarisse seguitava a non capire quello strano contegno. L'uomo saltava fuori ogni volta che passava un gruppo di gente e gli occhi abbagliati dalla luce dei lampioni diventavano ciechi nel buio. Allora, senza far passi, scivolava fino al margine del cerchio luminoso come uno che in riva al mare bagna appena le piante dei piedi. Clarisse notò il pallore dell'uomo, la sua faccia era come un disco livido. Ella sentì per lui una viva pietà. Ma l'uomo faceva piccoli movimenti strani che lei per un bel pezzo non capì, finché inorridita dovette cercare un appiglio per la propria mano; e poiché Meingast la teneva ancora sul braccio, non consentendole di fare ampi movimenti, ella agguantò i calzoni larghissimi dell'amico e cercando protezione si aggrappò alla stoffa che garriva lungo la gamba del Maestro come una bandiera al vento. Così rimasero entrambi senza lasciare la presa.

Ulrich, credendo di aver capito per primo che l'uomo sotto la finestra era uno di quei malati che con l'anormalità della loro vita sessuale provocano la viva curiosità della gente normale, per un poco si domandò con inutile affanno come Clarisse, così poco salda, avrebbe preso la scoperta. Poi non ci pensò più e chiese invece a se stesso che cos'è che accade in una creatura di quel genere. "Il cambiamento, - egli pensò, - dev'essere già così totale, fin dal momento in cui l'uomo scavalca la staccionata, che non lo si può nemmeno descrivere nei particolari" E così, naturalmente come se fosse stato un paragone adatto, gli venne fatto di pensare a un cantante che, appena finito di mangiare e di bere, va al pianoforte, incrocia le mani sulla pancia, e mentre apre la bocca al canto è in parte un altro, in parte no. Ulrich ricordò anche il conte Leinsdorf, che poteva inserirsi tanto in un circuito etico-religioso quanto in uno spregiudicato e bancario. La compiutezza di quella trasformazione, che si svolge interiormente ma esternamente trova la sua convalida nella condiscendenza del mondo, lo incantava; gli era indifferente il processo psicologico, ma immaginava come la tensione dovesse gonfiare a poco a poco la testa dell'uomo allo stesso modo che il gas entra in un pallone, probabilmente per giorni e giorni, pian piano, mentre egli restava sempre sospeso alle corde che lo legavano al terreno, finché un ordine silenzioso, un motivo casuale o semplicemente il termine del tempo prescritto, che trasforma in causa una cosa qualunque, scioglieva quelle funi, e la testa senza legame col mondo degli uomini fluttuava nel vuoto dell'innaturale.

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E veramente l'uomo col suo viso scarno e inespressivo stava al riparo del cespuglio, in agguato come una belva. Per attuare il suo proposito avrebbe dovuto aspettare che i passanti diventassero più rari e quindi il luogo più sicuro per lui; ma ogni volta che tra un gruppo e l'altro passava una donna sola, e talvolta perfino quando una, ridendo vivace e protetta, si agitava in mezzo ad uno di quei gruppi, ecco che quelli non erano più uomini per lui ma soltanto burattini che la sua coscienza riduceva assurdamente a piacer suo. Si sentiva crudele e spietato contro di essi come un assassino, e al loro terrore della morte non avrebbe fatto il minimo caso; ma nello stesso tempo egli stesso era un po' tormentato dall'idea che avrebbero potuto scoprirlo e cacciarlo via come un cane prima che fosse arrivato al culmine dell'incoscienza e la lingua gli tremava in bocca per la paura. Aspettò col cervello intontito e lentamente si spense l'ultimo chiarore del crepuscolo. Ecco, una donna sola s'avvicinò al suo nascondiglio e quando i lampioni ancora lo dividevano da lei egli poteva già vederla, staccata da quanto la circondava, comparire e scomparire nell'alternarsi di chiarore e di oscurità, e prima ancora di esser vicina a lui era un ammasso nero grondante di luce.

Anche Ulrich notò che era una donna informe di mezza età. Il corpo pareva un sacco pieno di ghiaia, e il viso non ispirava simpatia, anzi aveva un'espressione prepotente e litigiosa. Ma l'uomo pallido fra i cespugli sapeva come avvicinarsi a lei non visto prima che fosse troppo tardi. I movimenti goffi delle gambe e degli occhi di lei probabilmente gli palpitavano già nella carne ed egli si apprestava, prima che la donna preparasse una difesa, ad aggredirla col proprio aspetto che doveva sopraffarla, comunque ella si dibattesse.

L'eccitamento gli fremeva nei ginocchi, nelle mani e in gola; così almeno pareva a Ulrich mentre osservava l'uomo strisciare avanti, attraverso la parte del cespuglio che era già in mezza luce, e disporsi a balzar fuori nel momento decisivo e a mostrarsi. L'infelice, aggrappato all'ultima resistenza dei rami, guardava spiritato il brutto volto che appariva e spariva, e il suo respiro ansava obbediente nel ritmo della sconosciuta.

"Griderà la donna?" pensò Ulrich. Quella rozza creatura era capacissima di arrabbiarsi e di passare all'attacco, invece di aver paura: in tal caso il pazzo vigliacco si sarebbe dato alla fuga, e la libidine interrotta gli avrebbe piantato nella carne l'elsa smussata dei suoi pugnali! In quel momento di tensione Ulrich sentì le voci ignare di due uomini che venivano su per la strada, e così come egli le udiva attraverso i vetri, esse dovettero anche là sotto soverchiare il sibilo dell'eccitazione, perché l'uomo sotto la finestra lasciò richiudersi cautamente il velo già semiaperto dei cespugli e si ritrasse senza rumore in una zona buia.

- Che porco! - sussurrò nello stesso istante Clarisse al suo vicino, con forza ma senza alcun sdegno. Meingast prima della metamorfosi si era spesso sentito rivolgere da lei quella qualifica, provocata allora dal contegno libero che la turbava, e la parola poteva quindi esser definita storica. Clarisse supponeva che anche Meingast dovesse ricordarsene, nonostante la propria trasformazione, e infatti le parve che le dita di lui le stringessero lievemente il braccio a mo di risposta.

Già quella sera nulla era accidentale; anche quell'uomo non aveva scelto a caso la finestra di Clarisse per mettersi lì sotto: ella era fermamente convinta di esercitare una crudele attrattiva sugli uomini anormali, e n'aveva avuto frequenti conferme. In complesso le sue idee non erano tanto confuse, quanto piuttosto mancanti di anelli di congiunzione, oppure imbevuti di affetti in certi punti dove gli altri non dispongono di tali sorgenti interiori. La sua persuasione di essere stata lei a trasformare Meingast in modo così radicale non era in sé e per sé priva di fondamento; se si rifletteva poi com'era stato incoerente quel cambiamento, perché avvenuto lontano e in anni di scarso contatto, e anche si misurava la sua portata - giacché aveva fatto di un frivolo gaudente un profeta - e infine come dopo il commiato di Meingast l'amore fra Walter e Clarisse fosse giunto a quell'acme di conflitti ove permaneva tuttora, allora anche la supposizione di Clarisse, che Walter e lei avevano dovuto prendere su di sé le colpe del Meingast non ancora trasformato per rendergli possibile l'ascesa, non aveva un fondamento peggiore di tante idee rispettate che oggi si professano. Ne risultava quel rapporto servizievole e

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cavalleresco in cui Clarisse si sentiva col reduce, e se ora ella parlava della sua "metamorfosi" invece che di un semplice cambiamento, ciò esprimeva soltanto il suo stato d'esaltazione. La consapevolezza di trovarsi in un rapporto così significativo poteva letteralmente esaltare Clarisse. Non si sa bene se si debbano dipingere i santi con una nuvola sotto i piedi o semplicemente sospesi nell'aria a due dita da terra, e lo stesso accadeva a lei da quando Meingast aveva scelto la sua casa per compiervi il suo grande lavoro che probabilmente aveva un retroscena profondo. Clarisse non era innamorata di lui come una donna, ma piuttosto come un ragazzo che ammira un uomo; beato quando gli riesce di mettersi il cappello come il suo eroe, e pieno di una segreta ambizione di sorpassarlo.

Walter lo sapeva. Non poteva udire quel che si bisbigliavano i due, né il suo occhio percepiva altro che una massa d'ombra confusa nella fioca luce della finestra, tuttavia egli indovinava tutto senza eccezione. Anche lui aveva capito le manovre dell'uomo fra i cespugli, e il silenzio che pesava sulla stanza opprimeva lui più di tutti. Ben s'accorgeva che Ulrich, immobile accanto a lui, guardava fuori ansioso, e supponeva che i due all'altra finestra facessero lo stesso.

"Perché nessuno rompe questo silenzio? - egli pensò. - Perché nessuno apre la finestra e caccia via quel mostro?" Gli venne in mente che sarebbe stato loro dovere chiamare la polizia, ma non c'era telefono in casa ed egli non aveva il coraggio di fare qualcosa che poteva provocare il disprezzo degli altri. Non voleva certo essere un "borghese scandalizzato", la cosa gli dava soltanto fastidio. L'atteggiamento "cavalleresco" di sua moglie verso Meingast egli lo capiva benissimo, perché Clarisse, anche in amore, non poteva immaginare di elevarsi senza sforzo; non dalla sensualità ma esclusivamente dall'ambizione ella si sentiva incalzata. Egli ricordò com'era stata terribilmente viva, due o tre volte, fra le sue braccia, quand'egli ancora s'occupava di opere d'arte; ma per vie più dirette non aveva mai saputo riscaldarla.

"Forse tutti gli uomini sono efficacemente esaltati solo dall'ambizione?" egli si chiese dubbioso. Non gli era sfuggito che Clarisse montava la guardia, mentre Meingast lavorava, per proteggere col proprio corpo i suoi pensieri, benché quei pensieri ella non li conoscesse neppure.

Con dolore Walter osservava l'egoista solitario fra i suoi cespugli e quell'infelice gli dava un esempio ammonitore dello sfacelo che può avvenire in un animo troppo solitario. Intanto lo martoriava la persuasione di sapere esattamente che cosa provava Clarisse nell'assistere alla scena.

"Sarà leggermente eccitata, come se avesse salito la scala troppo in fretta", egli pensò. Egli stesso nel quadro che aveva sott'occhio sentiva una pressione, come se vi fosse abbozzolata dentro una crisalide che voleva strappare il suo involucro, e capiva che in quella misteriosa pressione, percepita anche da Clarisse, s'agitava la volontà di non stare soltanto a vedere ma di agire subito, in qualche modo, e di gettarsi nella cosa che avveniva, per liberarla. In altre persone i pensieri derivano dalla vita, ma in Clarisse ciò che ella viveva proveniva sempre dai suoi pensieri; invidiabile follia! E Walter propendeva più per le esagerazioni della sua donna forse demente che per il raziocinio del suo amico Ulrich che s'illudeva d'essere prudente e audace: in qualche modo la dissennatezza gli era più gradita, forse essa lo lasciava intatto, si rivolgeva alla sua passione; certo è che molti preferiscono i pensieri assurdi a quelli difficili, e Walter era quasi soddisfatto che Clarisse bisbigliasse al buio con Meingast, mentre Ulrich era condannato a star lì vicino a lui, ombra muta; gli faceva piacere che subisse da Meingast una tale sconfitta.

Ma di tanto in tanto lo tormentava il timore che Clarisse spalancasse la finestra o si buttasse giù per le scale per correre verso i cespugli; allora odiava le due ombre maschili e la loro muta e sconveniente inattività, che rendeva di minuto in minuto più critica la condizione del povero piccolo Prometeo in sua custodia, così esposto a tutte le tentazioni dello spirito.

A quell'ora, nel malato rintanatosi fra i cespugli vergogna e piacere contrastato s'erano confusi generando una delusione che riempiva come una massa amara la sua figura cava. Quando egli fu giunto nel buio più profondo si raggomitolò, si lasciò cadere al suolo, e la testa gli penzolava dal collo come una foglia. Il mondo vendicatore gli si ergeva di fronte ed egli vedeva la propria posizione press'a poco

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come l'avrebbero vista i due passanti di poc'anzi se lo avessero scoperto. Ma dopo che l'uomo ebbe pianto per un poco su se stesso a occhi asciutti, avvenne di nuovo in lui il cambiamento di prima, questa volta unito a una maggior dose di rancore e di insolenza. E ancora una volta egli fallì. Una ragazza di una quindicina di anni, che doveva essersi attardata in qualche posto, venne a passare e gli parve bella, un piccolo ideale frettoloso: il degenerato sentì che adesso avrebbe dovuto uscir fuori e parlarle gentilmente, ma l'idea lo precipitò subito in un folle terrore. La sua fantasia pronta a mettergli innanzi ogni possibilità che una donna può anche vagamente rappresentare, si fece timida e goffa di fronte all'unica naturale possibilità di ammirare nella sua bellezza la fanciullina che se ne veniva avanti indifesa. Ella procurava tanto meno piacere al suo Io notturno quanto più pareva adatta a piacere al suo Io diurno, e invano egli cercò di odiarla poiché non la poteva amare. Così rimase incerto al limite fra luce e ombra e si scoprì. Quando la piccina si accorse del suo segreto gli era già passata accanto e si trovava a sette otto passi da lui; dapprima aveva guardato quel punto dove le foglie si muovevano, senza capire che cos'era, e quando capì poteva già sentirsi abbastanza al sicuro da non sbigottire troppo; rimase a bocca aperta per un attimo, poi gettò un grido acuto e si mise a correre; parve anzi che la bricconcella si divertisse a voltarsi, e l'uomo con vergogna si sentì piantato in asso. Sperò rabbiosamente che una stilla di veleno le fosse almeno rimasta negli occhi e più tardi potesse roderla fino al cuore.

Quello scioglimento relativamente innocuo e ridicolo fu un sollievo per l'umanità degli spettatori, che questa volta avrebbero preso partito se la scena non si fosse risolta così, e rimasti sotto quell'impressione non si curarono troppo di vedere come là sotto si concludeva la faccenda; che una conclusione ci fosse stata lo dedussero poi dal fatto che "lo sciacallo", come disse Walter, era finalmente scomparso. Fu una creatura mediocre sotto ogni aspetto quella che permise all'uomo di giungere al suo scopo; lo guardò smarrita e con ripugnanza, involontariamente si fermò un attimo spaventata e poi fece finta di non essersi accorta di niente. L'uomo con il suo tetto di foglie e con tutto il mondo rovesciato da cui era emerso si sentì sprofondare nello sguardo riluttante dell'inerme. Così doveva essere stato, o forse anche altrimenti. Clarisse non vi aveva fatto attenzione. Si raddrizzò respirando profondamente dopo che già da un poco lei e Meingast si erano lasciati e scostati l'uno dall'altra. Le parve di toccar terra di colpo con la pianta dei piedi, e un turbine di voluttà sinistra e indescrivibile s'agitò nel suo corpo. Era persuasa che tutto l'incidente aveva un significato speciale, inteso apposta per lei; e per quanto possa apparire strano, quella scena repellente le aveva dato l'impressione di essere una sposa alla quale era stata fatta una serenata, e nel suo capo i propositi che voleva liquidare riddavano selvaggiamente con quelli appena formati.

- Buffo! - esclamò improvvisamente Ulrich nel buio, rompendo per primo il silenzio. - È davvero maledettamente strano pensare che a quell'individuo si sarebbe interamente guastata la testa se avesse mai saputo che eravamo qui a osservarlo! - Dal nulla si staccò l'ombra di Meingast e si fermò rivolta verso la voce di Ulrich, esile condensazione dell'oscurità.

- Si dà un'eccessiva importanza alle cose del sesso, - disse il Maestro. - Questi sono in verità i giochi satireschi delle velleità contemporanee.

Non aggiunse altro. Ma Clarisse che alla frase di Ulrich aveva sussultato senza volerlo, sentì che le parole di Meingast, benché così oscure da non indicare una direzione, la portavano avanti.

15.Il testamento

Quando Ulrich tornò a casa, più scontento di prima per la scena a cui aveva assistito, non volle più rimandare una risoluzione e si richiamò alla mente con la maggior esattezza possibile "l'incidente";

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parola con la quale definiva mitigandolo ciò che era accaduto nelle ultime ore trascorse presso Agathe, pochi giorni dopo il grande colloquio.

Ulrich aveva già fatto tutti i preparativi per prendere un treno a vagoni-letto che transitava tardi nella notte, e i fratelli pranzavano insieme per l'ultima volta; avevano già combinato che Agathe avrebbe seguito Ulrich a breve distanza e la separazione sarebbe durata press'a poco dai cinque ai quindici giorni.

A tavola Agathe disse:- Prima però c'è ancora una cosa da fare!- Che cosa? - domandò Ulrich.- Dobbiamo cambiare il testamento.Ulrich ricordava di aver guardato la sorella senza stupore: nonostante tutto quello che si erano già

detto, egli si aspettava uno scherzo. Ma Agathe guardava il suo piatto e aveva alle radici del naso la ben nota ruga del pensiero. Disse lentamente:

- Di mio non deve restargli fra le dita più di quello che avanza quando si brucia un filo di lana...!Negli ultimi giorni ci doveva essere stato dentro di lei un gran lavorio. Ulrich voleva dirle che quel

lambiccarsi il cervello per danneggiare Hagauer gli pareva illecito e che non desiderava discuterne: in quel momento però entrò il vecchio servitore di casa che portava le pietanze, e poterono parlare solo con velati accenni.

- Zia Malwine... - disse Agathe strizzando l'occhio al fratello, - ti ricordi di zia Malwine...? Aveva destinato tutto il suo patrimonio a nostra cugina; era cosa stabilita, tutti lo sapevano! Perciò a questa fu assegnata nel testamento paterno solo la parte legittima, e il resto al fratello, affinché nessuno dei due, amati dal padre con uguale tenerezza, dovesse avere più dell'altro. Te ne ricordi, no? la rendita annuale che Agathe... cioè Alexandra, tua cugina, - si corresse ridendo, - riceveva da quando s'era sposata fu sempre dedotta da questa legittima (era una faccenda complicatissima), per lasciare a zia Malwine tutto il tempo di morire...

- Non ti capisco, - aveva brontolato Ulrich.- Ma è facilissimo da capire! Zia Malwine è morta, ma prima di morire aveva perso tutto quel che

possedeva; bisognò anzi soccorrerla. Adesso basta che papà per una ragione qualunque abbia dimenticato di annullare la propria modificazione del testamento, ed ecco che Alexandra non erediterà niente, anche se al suo matrimonio è stata concordata la comunanza dei beni!

- Non lo so, credo che ci sarebbe molto da discutere, - disse Ulrich involontariamente. - E poi debbono esserci state precise assicurazioni da parte del babbo. Non avrà testato in quel modo senza parlarne col genero! Sì, ricordava perfettamente di aver risposto così, non potendo tacere davanti al pericolo che la sorella si mettesse in un guaio. Anche il sorriso col quale ella gli aveva risposto era ancora davanti ai suoi occhi.

"È fatto così! - pareva pensare Agathe. Basta presentargli una cosa come se fosse non carne e sangue ma un'astrazione e poi lo si può menare pel naso dove si vuole" E dopo aveva chiesto brevemente:

- C'erano accordi scritti? - e rispose a sé stessa: - Non ne ho mai udito parlare, e dovrei pur saperlo! Ma papà era strano in tutte le cose!

In quel momento il servitore girava col piatto, ed ella approfittò di quella presenza che disarmava Ulrich per aggiungere:

- Le promesse verbali si possono sempre contestare. Ma se il testamento fu di nuovo cambiato quando zia Malwine diventò povera, tutto fa pensare che questo secondo ritocco sia andato smarrito!

Ulrich si lasciò di nuovo indurre a un'osservazione, e disse:- Resta sempre la legittima che è abbastanza considerevole; quella non si può portar via ai figli

carnali!- Ma ti ho già detto che è stata versata già tutta quando papà era ancora in vita! Alexandra si è pur

maritata due volte! - Per il momento erano soli, e Agathe soggiunse in fretta:

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- Quel punto l'ho studiato bene: basta cambiare poche parole per far credere che la legittima mi sia già stata data prima. E oggi chi vuoi che lo sappia? Quando papà dopo i rovesci della zia ci assegnò di nuovo parti eguali, lo fece in un foglio aggiunto che si può distruggere; del resto potrei anche aver rinunciato alla mia parte legittima per lasciarla a te, per una ragione qualunque!

Ulrich la guardò sbalordito, e così perse l'occasione di dare a quelle trovate la risposta di dovere; quando incominciò erano di nuovo in tre, e dovette mascherare le sue parole.

- Davvero, - incominciò titubante, non bisognerebbe neanche pensare una cosa simile!- E perché mai? - ribatté Agathe.Tali domande son molto semplici quando stanno lì quiete; ma fan l'effetto di quei serpenti che

arrotolati sembrano innocui e poi di colpo diventano mostri terribili. Ulrich ricordò di aver risposto:- Perfino Nietzsche prescrive agli "spiriti liberi" di rispettare certe regole esteriori per amore della

libertà interiore! - Lo aveva detto con un sorriso, sentendo però che era vile celarsi dietro le parole d'un altro.

- Quello è un principio sbagliato! - decretò Agathe brevemente. - Secondo quel principio purtroppo mi son sposata!

E Ulrich pensò:"Sì, è veramente sbagliato" Si direbbe che coloro che a certe domande particolari hanno risposte

nuove e rivoluzionarie, con tutto il resto concludano poi un compromesso che permette loro di vivere una conciliazione morale in pantofole; tanto più che questo sistema, che cerca di serbare costanti tutte le condizioni tranne quell'unica che vuol cambiare, corrisponde perfettamente alla feconda economia del pensiero da essi praticata.

Anche a Ulrich questo era sembrato austerità piuttosto che incuria, ma quando si svolse quel dialogo fra lui e la sorella, si sentì colpito; non sopportò più l'irresolutezza che aveva prediletto e gli parve che proprio Agathe avesse avuto la missione di portarlo a quel punto. E mentre le poneva davanti tuttavia la regola degli spiriti liberi, ella rise e gli chiese se non s'accorgeva che nel momento in cui cercava di enunciare regole generali un altro uomo parlava per lui.

- E quantunque tu certo lo ammiri a buon diritto, in fondo egli ti è del tutto indifferente! - ella osservò. Guardava il fratello spavalda e con aria di sfida. Egli si sentì di nuovo impacciato a risponderle, tacque aspettando a ogni istante un'interruzione e non poteva risolversi a troncare il discorso. Agathe ne fu incoraggiata.

- Nel nostro breve periodo di convivenza, ella continuò, - tu mi hai dato per la mia vita consigli così meravigliosi come non avrei mai osato sognare, ma ogni volta mi chiedevi se erano poi validi! Mi sembra che la verità nelle tue mani sia una forza che maltratta!

Agathe non sapeva donde le venisse il diritto di fargli tali rimproveri; la sua propria vita le pareva così priva di valore, che avrebbe dovuto tacere. Ma attingeva il coraggio in lui stesso, ed era una condizione così stranamente femminile, questa di appoggiarsi a lui mentre lo attaccava, che anch'egli lo sentì.

- Tu non hai la minima comprensione, - disse, - per il desiderio di compendiare il pensiero in grandi masse articolate; le esperienze guerresche dello spirito ti sono estranee; tu ci vedi soltanto delle colonne che marciano in cadenza, l'impersonalità di molti piedi che sollevano la verità come una nuvola di polvere!

- Ma non mi hai descritto tu stesso, con una precisione e una chiarezza di cui io non sarei mai stata capace, i due stati in cui tu puoi vivere? - ella rispose.

Una nube di fuoco, dai contorni rapidamente mutevoli, le passò sul volto. Voleva portare il fratello a un punto di dove egli non potesse più tornare indietro. A quell'idea si sentiva bruciare dalla febbre, ma non sapeva ancora se le sarebbe bastato il coraggio, e tirò in lungo la fine del pranzo.

Questo Ulrich lo sapeva, lo indovinava; ma ormai si era riscosso, e la rassicurò. Le stava di fronte, gli occhi assenti, la bocca costretta con la forza a parlare, e aveva l'impressione di non essere in sé, ma di

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essere rimasto alle proprie spalle e di gridarsi dietro quel che diceva.- Supponi, - egli disse, - che in viaggio mi venga voglia di rubare il portasigarette d'oro a uno

sconosciuto; ti chiedo, non è semplicemente impensabile? Dunque non stiamo a discutere se una risoluzione come quella che tu vagheggi si possa giustificare o no con la libertà spirituale. Può anche darsi che sia giusto infliggere un danno a Hagauer. Ma tu immagina che io, nel mio albergo, senza essere né un bisognoso né un ladro di professione, né un minorato psichico con deformazioni della mente o del corpo, senza avere un'isterica per madre o un beone per padre, mi metta tuttavia a rubare: io ti ripeto che un caso simile non si può dare! Non c'è mai stato da che mondo è mondo! Lo si può dichiarare impossibile con assoluta sicurezza scientifica!

Agathe rise forte.- Ma Ulrich! E che vuoi fare, se tuttavia quella cosa assurda succede?A quella replica, che non aveva previsto, anche Ulrich non poté trattenere il riso; balzò in piedi e

spinse vivacemente indietro la seggiola, per non incoraggiare Agathe col suo consenso. Agathe si alzò da tavola.

- Non devi farlo! - egli la pregò.- Ma Ulrich, - ribatté lei, - non pensi mai in sogno, o non sogni mai qualcosa che accade?Quella domanda gli ricordò la propria affermazione di qualche giorno prima, che tutte le esigenze

della morale indicano una specie di sonnambulismo, il quale sparisce quando esse sono compiute e pronte. Ma Agathe, dopo aver parlato, era andata nello studio del padre, che si vedeva illuminato oltre due porte aperte, e Ulrich, che non l'aveva seguita, la scorgeva entro quella cornice. Ella teneva una carta sotto la lampada e la leggeva. "Non ha dunque l'idea di ciò che vuole accollarsi?" egli si chiese. Ma il mazzo di chiavi dei concetti contemporanei, come inferiorità nervosa, fenomeno deficitario, debilità congenita e simili non apriva nulla, e nella bella visione che offriva Agathe mentre compiva il suo reato non si vedeva traccia di avidità né di vendetta né di alcun'altra bruttura. E sebbene, con l'aiuto di quei concetti anche le azioni di un delinquente o di un mentecatto potessero sembrare a Ulrich relativamente addomesticate e civili perché allora i motivi che la vita quotidiana distorce e sposta riappaiono nella profondità, la risolutezza dolce-spietata della sorella, in cui si mescolavano purità e delinquenza, in quel momento lo sconcertava interamente. Non poteva accettare il pensiero che quella creatura manifestamente in procinto di commettere una cattiva azione fosse una creatura cattiva, e intanto doveva stare a vedere come Agathe toglieva dalla scrivania una carta dopo l'altra, la scorreva, la metteva da parte e cercava con cura determinate annotazioni. La sua risoluzione sembrava discesa sul piano delle risoluzioni comuni da un altro mondo.

Mentre la osservava, Ulrich si domandava inquieto perché mai aveva persuaso Hagauer a partire tranquillamente. Gli pareva di essersi comportato fin da principio come lo strumento della volontà di sua sorella e sino alla fine, pur contraddicendola, le aveva dato risposte che la confortavano ad andare avanti. La verità maltratta l'uomo, ella aveva detto. "Molto giusto, ma lei ignora che cosa sia la verità! rifletté Ulrich. - Con gli anni ciò ti procura un'artrite che t'inchioda, ma in gioventù è una vita di caccia e di regate a vela!"

Era tornato a sedersi. D'improvviso gli parve che Agathe avesse preso da lui non soltanto ciò ch'ella diceva a proposito della verità, ma anche che lui le avesse prescritto ciò ch'ella stava facendo nella camera accanto. Le aveva pur detto che nella condizione più sublime dell'uomo non c'è il bene e il male, ma soltanto la fede e il dubbio; che nella fede non si può fare nulla di basso; che l'intuizione è uno stato più fervido che la verità. E Agathe adesso era sul punto di abbandonare il terreno recinto della morale e di avventurarsi in quell'abisso senza confini dove non v'è altra risoluzione se non salire o precipitare. Ella faceva questo come a suo tempo gli aveva tolto di mano le decorazioni paterne per scambiarle, e in quel momento egli l'amò senza curarsi della sua incoscienza, con la strana sensazione che erano i suoi propri pensieri quelli che si erano comunicati da lui a lei e che ora da lei ritornavano a lui, diventati più poveri di ponderatezza, ma balsamicamente odorosi di libertà come una creatura

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selvaggia. E mentre egli tremava per lo sforzo di dominarsi le propose cautamente:- Rimanderò la mia partenza di un giorno e andrò a informarmi dal notaio o da un avvocato. Forse è

terribilmente facile da scoprire quello che tu vuoi fare!Ma Agathe ormai sapeva che il notaio di cui suo padre si era servito non era più in vita.- Nessuno ne sa più niente, - ella disse, - lascia stare!Ulrich vide che ella aveva preso un foglio di carta e cercava di imitare la scrittura del babbo.Attirato, era venuto a mettersi dietro le sue spalle. Ecco lì mucchi di fogli sui quali la mano di suo

padre aveva vissuto, e se ne poteva quasi sentire ancora il movimento; eppure Agathe produceva magicamente come in un gioco scenico quasi gli stessi segni. Era uno spettacolo bizzarro. Lo scopo a cui tutto ciò era diretto, una falsificazione, scompariva. E in verità Agathe non se l'era chiesto. Intorno a lei aleggiava una giustizia cinta di fiamme invece che sorretta da argomentazioni logiche. Bontà, onestà e correttezza quali virtù a lei note attraverso il professore Hagauer, le erano apparse appena come macchie tolte da un vestito; ma l'ingiustizia che in quel momento l'avvolgeva era invece come il mondo che annega nella luce d'un tramonto. Le sembrava che giustizia e ingiustizia non fossero più concetti generali e un compromesso combinato per milioni di uomini, ma incontri magici del Tu e dell'Io, follie della prima creazione, non ancora paragonabili con nulla e non misurabili con alcun metro.

In fondo ella faceva dono a Ulrich di un delitto col darsi in sua mano, piena di fiducia che egli dovesse capire la sua sconsideratezza, e simile ai bambini che quando vogliono fare un regalo e non hanno niente escogitano le cose più impensate. E Ulrich ne indovinava la maggior parte. Seguire i movimenti di lei gli dava un piacere mai gustato perché c'era una specie di assurdità fiabesca in quel cedere interamente e senza cautela a ciò che faceva un'altra persona. Anche quando gli balenò il ricordo che in pari tempo si faceva del male a un terzo, durò appena un attimo come una mannaia che cade, ed egli si acquetò rapidamente ragionando che in fondo l'azione di sua sorella non riguardava nessuno; non era stabilito che quei tentativi dovessero servire a qualcosa e ciò che faceva Agathe fra le sue quattro pareti rimaneva affar suo finché l'effetto non si espandeva fuori di casa.

In quel momento ella chiamò il fratello, si volse e fu stupita di vederselo alle spalle. Si destò. Aveva scritto tutto quel che voleva scrivere, e lo annerì risoluta alla fiamma di una candela per dargli l'aspetto di un vecchio documento. Tese a Ulrich la mano libera, egli non la prese ma non riuscì neppure ad aggrottare il viso in rughe severe. Allora Agathe disse:

- Senti! Quando una cosa è una contraddizione e tu l'ami in tutti e due i suoi aspetti, l'ami per davvero! non l'abolisci già per questo fatto stesso, che tu lo voglia oppure no?

- La domanda è posta con troppa leggerezza, - brontolò Ulrich. Ma Agathe sapeva com'egli avrebbe giudicato nel suo "secondo pensiero" Prese un foglio pulito e vi scrisse sopra baldanzosa, nella scrittura antiquata che sapeva così bene imitare; "La mia cattiva figlia Agathe non mi dà alcun motivo di mutare queste mie disposizioni già prese una volta per sempre a favore del mio buon figlio Ulrich!" Ma non le bastò, e su un secondo foglio scrisse: "Mia figlia Agathe dovrà essere educata ancora per un po' dal mio buon figlio Ulrich"

Così dunque era stato, ma dopo che Ulrich ebbe rievocato ogni particolare, alla fine non sapeva meglio di prima quello che si sarebbe dovuto fare.

Non avrebbe dovuto partire senza rimettere le cose a posto; questo era fuori di dubbio! E certo il pregiudizio moderno che non si debba prender nulla troppo sul serio gli aveva giocato un tiro suggerendogli di sgomberare per intanto il terreno e di non aumentare con una resistenza di uomo sentimentale l'importanza della questione controversa. Il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge; dalle più violente esagerazioni, se lasciate a se stesse, nasce col tempo una nuova mediocrità; non si potrebbe salire su un treno e per la strada bisognerebbe sempre tener pronta una pistola senza sicura se non si potesse fidare nella legge della media che rende automaticamente improbabili le possibilità oltrepassate: a questo empirismo europeo aveva ubbidito Ulrich partendo per Vienna nonostante i suoi

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scrupoli. In fondo era persino contento che Agathe si fosse mostrata sotto un nuovo aspetto.Tuttavia la conclusione di quell'incidente non poteva essere che quella legittima; Ulrich doveva al più

presto ricuperare il tempo perduto. Bisognava mandare senza indugio alla sorella un espresso o un telegramma, ed egli si raffigurò che dentro avrebbe dovuto scrivere, suppergiù: "Rifiuto ogni corresponsabilità nel caso che tu...!" Ma non aveva nessuna intenzione di farlo, anzi per il momento gli sarebbe stato assolutamente impossibile.

D'altronde quella scena infausta era stata preceduta dalla risoluzione di vivere o almeno di abitare insieme di lì a poche settimane, e nel poco tempo che li separava dall'addio avevano dovuto parlare specialmente di questo. Prima di tutto s'erano messi d'accordo "per la durata della separazione" affinché Agathe non restasse senza appoggio e senza consiglio. Ma ora, ripensandoci, Ulrich ricordò anche un'affermazione precedente della sorella di voler "ammazzare Hagauer" e certo quel "progetto" era maturato in lei prendendo una forma nuova. Ella aveva molto insistito perché i beni stabili della famiglia fossero venduti subito, e probabilmente nell'intento che la proprietà si volatilizzasse, sebbene la cosa apparisse consigliabile anche per altre ragioni; ad ogni modo i fratelli avevano incaricato della vendita un'agenzia immobiliare e fissato le condizioni.

Sicché Ulrich adesso dovette anche ponderare che cosa sarebbe stato di Agathe dopo che lui fosse ritornato alla sua vita indolente e provvisoria, da lui stesso disapprovata. La condizione in cui ella si trovava non poteva durare a lungo. Anche se in quel breve tempo si erano avvicinati in maniera così sorprendente - in apparenza l'incontro di due destini, pensò Ulrich, benché prodotto probabilmente da ogni sorta di sconnessi particolari; mentre Agathe forse ne aveva un concetto avventuroso - tuttavia sapevano pochissimo l'uno dell'altro sotto il rispetto delle varie relazioni superficiali da cui dipende una vita in comune. Se pensava obiettivamente alla sorella, Ulrich trovava anzi molti problemi non risolti e anche del suo passato non sapeva formarsi un giudizio esatto; il maggior lume gli veniva ancora dalla supposizione che ella trattasse con molta negligenza tutto ciò che succedeva a lei o per lei, e vivesse molto incertamente e forse fantasiosamente fra speranze che correvano allato della sua vita reale, giacché tale spiegazione era anche suggerita dal fatto che ella era vissuta tanto tempo con Hagauer e poi aveva rotto così in fretta. E rientrava nel quadro anche la spensieratezza con la quale ella considerava il suo avvenire: era andata via da casa, per ora ciò le bastava, ed evitava di chiedersi e di sentirsi chiedere che cosa sarebbe accaduto dopo.

Nemmeno Ulrich riusciva a immaginare che lei sarebbe ormai rimasta senza marito, ad aspettare non si sa che come una ragazzina, ma neppure poteva raffigurarsi l'uomo adatto per Agathe, e glielo aveva anche detto poco prima del commiato.

Lei però con sgomento - e forse con uno sgomento volutamente un po' pazzerello - lo aveva guardato in faccia e gli aveva chiesto:

- Non potrei per i primi tempi vivere semplicemente con te senza stabilire tutto fin d'ora?Così, senza maggior determinatezza, era stata confermata la risoluzione di far casa comune. Ma

Ulrich capiva che con quell'esperimento doveva concludersi l'esperimento della sua "vita in vacanza" Non voleva domandarsi quali ne sarebbero state le conseguenze, ma non vedeva di malocchio che la sua vita fosse sottoposta d'ora innanzi a certe limitazioni, e per la prima volta pensò di nuovo al circolo e in particolare alle donne dell'Azione Parallela. L'idea, collegata al nuovo cambiamento, di ritirarsi da tutto gli parve meravigliosa. Così come in una sala basta sovente mutare qualche piccolo particolare perché uno sgradevole rimbombo diventi una magnifica risonanza, nella sua fantasia la sua piccola casa diventò una conchiglia ove si udiva come un fiume lontano il mormorio della città.

E poi anche nell'ultima parte di quel dialogo c'era ancora stato un piccolo dialogo particolare.- Vivremo come eremiti, - aveva detto Agathe con un gaio sorriso, - ma nelle questioni d'amore

s'intende che ciascuno rimane libero. Tu almeno non avrai inciampi! - ella assicurò.- Lo sai, - aveva risposto Ulrich, che noi entriamo nel Regno Millenario?- Che cos'è?

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- Abbiamo già tanto parlato di quell'amore che non scorre come un ruscello verso la meta, ma, come il mare, è una condizione! E ora sii sincera: quando a scuola ti raccontavano che gli angeli in paradiso non fanno nient'altro che stare al cospetto del Signore e cantar le sue lodi, riuscivi a immaginarti quel beato far nulla e pensar nulla?

- Me lo son sempre immaginato un po' noioso, ma certo la colpa è della mia imperfezione, - era stata la risposta di Agathe.

- Ma dopo tutto quello su cui ci siamo intesi, adesso quel mare devi immaginartelo come una solitudine e una immobilità piena di continui eventi di puro cristallo. Le età antiche hanno cercato di raffigurare una simile vita anche sulla terra: questo è il Regno Millenario, fatto a nostra immagine e tuttavia diverso da tutti i Regni che conosciamo! E così noi vivremo! Ci spoglieremo di ogni egoismo, non faremo collezione né di beni né di cognizioni né di amanti né di principî né di noi stessi: così il nostro intelletto si scioglierà, si schiuderà verso gli uomini e le bestie e si aprirà in modo che noi non potremo più essere noi, e ci terremo in piedi intrecciati a tutto il mondo!

Quel piccolo dialogo nel dialogo grande era stato uno scherzo. Ulrich aveva lì carta e matita, faceva annotazioni e intanto parlava con la sorella di ciò che l'aspettava se si fosse venduta la casa e il mobilio. Era ancora irritato e non sapeva bene se la sua era una bestemmia o una fantasticheria. E così non avevano più avuto tempo di mettere in chiaro la faccenda del testamento.

Anche ora quella varia maturazione del loro progetto era il motivo per cui Ulrich non perveniva in alcun modo a un rimorso attivo. Nel colpo di mano escogitato da sua sorella non tutto gli dispiaceva, sebbene il vinto fosse lui; doveva ammettere che in tal modo l'uomo che vive "secondo la regola degli spiriti liberi" al quale egli aveva concesso dentro di sé troppi comodi, veniva a trovarsi da un momento all'altro in pericolosa contraddizione con l'indeterminato dal quale la vera serietà prende le mosse. Non voleva poi eludere il fatto rimediandovi in fretta e nel solito modo: ma allora non c'era più regola e bisognava lasciar maturare l'evento.

16.Incontro con il diplomatico marito di Diotima

Il mattino non trovò Ulrich più sereno della vigilia; e nel pomeriggio avanzato - per alleviare la gravità che l'opprimeva - egli si risolse a visitare la cugina "occupata a liberare l'anima dall'incivilimento"

Con sorpresa, prima ancora che Rachel ritornasse dalla stanza di Diotima, egli vide il capodivisione Tuzzi venirgli incontro per riceverlo.

- Mia moglie oggi non si sente bene, - spiegò l'addestrato marito con quella distratta tenerezza nella voce che l'uso mensile ha già ridotta a una formula in cui il segreto domestico è lì scoperto. - Non so se la potrà ricevere - Era vestito per uscire, ma si dispose volonterosamente a tener compagnia a Ulrich.

Questi approfittò dell'occasione per chieder notizie di Arnheim.- Arnheim è stato in Inghilterra e ora si trova a Pietroburgo, - raccontò Tuzzi. A quella notizia

insignificante e naturalissima Ulrich, sotto l'impressione delle proprie opprimenti vicende, sentì il mondo, la pienezza e il movimento affluirgli incontro.

- Ottima cosa, - opinò il diplomatico. - È bene ch'egli viaggi in lungo e in largo. Potrà fare le sue osservazioni e raccogliere molti elementi utili.

- Dunque lei continua a credere che lo Zar gli abbia affidato una missione pacifista? - chiese Ulrich divertito.

- Lo credo più che mai, - affermò modestamente il funzionario responsabile per la politica austro-ungarica. Ma Ulrich si chiese se Tuzzi era davvero così ingenuo o si fingeva tale per prenderlo in giro; un po' stizzito lasciò stare Arnheim e domandò:

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- È vero che adesso la parola d'ordine è: "agire"?Come sempre Tuzzi pareva godersela a recitar la parte dell'astuto e del neutrale nei rispetti

dell'Azione Parallela; alzò le spalle e sorrise:- Non voglio prevenire mia moglie, racconterà tutto lei se potrà riceverla! - Ma un momento dopo i

baffetti che gli ornavano il labbro superiore cominciarono a tremare e i grandi occhi scuri nel viso color cuoio s'accesero di un dubbio doloroso. - Anche lei è un dottore della legge, - egli disse titubante; saprebbe forse spiegarmi che cosa vuol dire "un uomo che ha anima"?

Sembrava che Tuzzi volesse davvero discutere tale argomento, e la sua perplessità dava realmente l'impressione ch'egli soffrisse.

Poiché Ulrich non rispondeva, egli continuò:- Quando si dice "un'anima buona" s'intende una persona onesta, sincera, che fa il suo dovere; uno

dei miei capiufficio è proprio così: ma infine si tratta di una qualità da inferiori! Oppure l'anima è una qualità delle donne: all'incirca come dire che piangono e arrossiscono più facilmente degli uomini...

- Sua moglie ha anima, - lo corresse Ulrich in tono così serio come se affermasse che ella aveva capelli neri.

Un leggero pallore passò sulla faccia di Tuzzi.- Mia moglie è uno spirito eletto, - disse lentamente, ella passa giustamente per una donna d'ingegno.

Qualche volta io la tormento e le rimprovero di essere un'intellettuale. Allora va in collera. Ma questa non è anima... Meditò un poco. - Lei non è mai andato da un'indovina? Sanno leggere l'avvenire nella mano o in una ciocca di capelli, qualche volta in maniera stupefacente; è un dono o un trucco, non so. Ma può lei immaginare qualcosa di sensato quando un tale viene a raccontarle, per esempio, che i segni annunciano l'avvento di un'era nuova in cui le nostre anime si vedranno quasi senza la mediazione dei sensi? Aggiungo subito, - integrò in fretta, - che questo non va inteso soltanto letteralmente; oggi, che siamo già nella fase di risveglio dell'anima, se lei non è buono, lo si riconosce molto più chiaramente che nei secoli passati! Lei ci crede?

Con Tuzzi non si sapeva mai se il pungiglione era rivolto contro se stesso o contro l'interlocutore, e Ulrich a ogni buon conto rispose:

- Al posto suo mi rimetterei alla prova sperimentale!- Non scherzi, mio caro; è sleale quando ci si trova al sicuro, - si lamentò Tuzzi. - Ma mia moglie

pretende che io capisca sino in fondo simili massime, anche se poi non dovessi approvarle, e io sono obbligato a capitolare senza potermi difendere. Così in questo brutto frangente mi son ricordato che anche lei è un interprete delle Scritture...

- Le due affermazioni sono di Maeterlinck, se non erro, - suggerì Ulrich.- Ah sì? Di...? già, può essere. È quel...? Benissimo; forse è quello stesso che dice che la verità non

esiste? Tranne che per chi ama, egli dice. Se amo una creatura, devo immediatamente partecipare a una Verità misteriosa più profonda che quella d'ogni giorno. Invece se noi affermiamo qualcosa sulla base di una precisa osservazione e conoscenza dell'uomo, naturalmente sarà senza valore. Anche questo pare che l'abbia detto quel Mae... quel tale?

- Davvero non saprei. Può darsi. Mi pare probabile.- Io m'ero fitto in capo che l'avesse detto Arnheim.- Arnheim ha preso molto da lui, e lui molto da altri; sono entrambi eclettici di notevole ingegno.- Davvero? Son cose vecchie, dunque? Allora mi spieghi, per l'amor di Dio, come si possono

stampare oggi simili cose? - implorò Tuzzi. - Quando mia moglie mi dice: "L'intelligenza non dimostra nulla, i pensieri non giungono fino all'anima!" oppure: "Al di sopra dell'esattezza c'è un regno della saggezza e dell'amore, che le parole meditate possono soltanto profanare!": io capisco come ciò accada; lei è una donna e in tal modo si difende contro la logica maschile! Ma un uomo come può fare simili affermazioni? - Tuzzi venne più vicino e posò una mano sul ginocchio di Ulrich: - La verità nuota come un pesce in un principio invisibile: appena la si tira fuori, ecco ch'è morta: lei che ne dice? Questo non

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si ricollega alla differenza fra erotismo e sessualità?Ulrich sorrise:- Vuole davvero che glielo dica?- Ardo dall'impazienza!- Non so come incominciare.- Lo vede! Fra uomini certe cose non si riesce a dirle. Se lei però avesse un'anima, adesso

considererebbe e ammirerebbe semplicemente l'anima mia. Noi giungeremmo a un'altezza dove non vi sono né pensieri, né parole, né azioni, bensì forze misteriose e un silenzio sconvolgente. A un'anima è permesso fumare? - egli domandò, e si accese una sigaretta; solo allora si ricordò dei suoi doveri di padrone di casa e tese il portasigarette anche a Ulrich. In fondo era orgoglioso di aver letto i libri di Arnheim, e proprio perché gli erano odiosi lo lusingava come una scoperta personale aver intravveduto la possibile utilità di quelle espressioni fluenti per le intenzioni insondabili della diplomazia. In realtà nessun altro avrebbe voluto compiere invano un lavoro così difficile, e al suo posto ciascuno avrebbe ceduto al desiderio di addurre a mo di prova questa o quella citazione o di rivestire con uno di quei nuovi pensieri irritantemente ambigui qualcosa che ad ogni modo non si può esprimere chiaramente.

Ciò vien fatto con riluttanza, perché la nuova veste sembra ancora ridicola, ma l'assuefazione è rapida, e così lo spirito del tempo muta impercettibilmente nelle sue forme d'applicazione, e in particolare Arnheim avrebbe potuto essersi conquistato un nuovo ammiratore. Perfino Tuzzi era già disposto ad ammettere che raggrupparsi nella necessità di fondere anima e buon governo, nonostante tutte le opposizioni di principio, poteva già rappresentare qualcosa di simile a una psicologia dell'economia, e chi incrollabilmente lo proteggeva contro Arnheim era in fondo soltanto Diotima. Perché allora fra lei e Arnheim s'era già iniziato - ignoto a tutti - un raffreddamento che inficiava tutte le dissertazioni di Arnheim sull'anima col sospetto che si trattasse soltanto di pretesti; e di conseguenza Tuzzi con maggior irritazione che mai si vedeva buttare in faccia quelle sentenze. Era perdonabile che date le circostanze egli ritenesse in fase crescente il rapporto di sua moglie col forestiero; che non era un amore contro il quale un marito potesse prendere provvedimenti, bensì una "condizione amorosa" e un "pensiero amoroso" e così al di sopra di ogni basso sospetto che Diotima stessa parlava apertamente dei pensieri che esso le ispirava, anzi negli ultimi tempi pretendeva perfino, con scarso riguardo, che Tuzzi vi partecipasse spiritualmente.

Si sentiva sommamente incompreso e vulnerabile, circondato da quella "condizione" che lo accecava come una luce solare dardeggiante da ogni parte senza una sede fissa che consenta di trovare ombra e rifugio.

E ascoltava Ulrich che gli diceva:- Vorrei suggerirle di riflettere a quanto segue. In noi s'alterna di solito un afflusso e deflusso della

vita vissuta. Le commozioni che si formano in noi sono suscitate dall'esterno e tornano a uscire sotto forma di azioni o parole. Se lo può immaginare come un gioco meccanico. E poi supponga un guasto: non crede che vi sarà un ristagno? Un'uscita dagli argini? In certe condizioni potrebbe anche essere soltanto un gonfiore...

- Lei almeno parla ragionevolmente, anche se sono assurdità, - commentò Tuzzi in tono elogiativo. Non aveva capito subito che lì stava davvero sbocciando una spiegazione, ma serbò il proprio contegno dignitoso e mentre di dentro si perdeva nell'angoscia, sulle sue labbra il piccolo sorriso maligno era rimasto lì così fiero che egli ben poteva tornare a rintanarsi nella sua perplessità.

- Se ben ricordo, a detta dei fisiologi, - continuò Ulrich, - ciò che noi chiamiamo azione cosciente consegue dal fatto che lo stimolo, per così dire, non affluisce e defluisce semplicemente attraverso un arco riflesso, bensì è costretto a fare un giro; e allora il mondo che noi sperimentiamo e il mondo in cui agiamo, sebbene ci sembrino la stessa identica cosa, somigliano in realtà alle acque di afflusso e di deflusso in una roggia di mulino, collegate da una sorta di "stagno della coscienza" dalla cui altezza e vigore dipende la regolamentazione appunto del flusso e del deflusso. O in altre parole: se a uno dei

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due capi si verifica un guasto, un disgusto del mondo o una ripugnanza all'azione, non si potrebbe ragionevolmente supporre che in tal modo si formi anche una seconda coscienza, superiore, più alta? O lei crede di no?

- Io? - esclamò Tuzzi. - Be, devo dirle che mi par proprio indifferente. I signori professori si risolvano pure il problema fra di loro, se lo credono importante. Ma sotto l'aspetto pratico... - egli schiacciò pensosamente la sigaretta nel portacenere e poi alzò gli occhi irritato, - sono gli uomini con due ingorghi o quelli con uno solo che definiscono il mondo?

- Credevo che lei desiderasse sapere da me come mi figuro la genesi di simili pensieri.- Se per caso lei me l'ha detto, confesso che purtroppo non l'ho capito, - rispose Tuzzi.- Ma è semplicissimo: lei non possiede il secondo ingorgo, dunque non possiede il principio della

saggezza e non capisce una parola di quel che dicono gli uomini che posseggono un'anima. E allora non mi resta che congratularmi con lei!

A poco a poco Ulrich s'era reso conto che in forma oltraggiosa e in strana compagnia egli esprimeva pensieri che potevano essere abbastanza adatti a spiegare i sentimenti dai quali il suo cuore era agitato. La supposizione, che un'accresciuta ricettività possa produrre uno straripamento e un riflusso delle esperienze vissute, il quale immenso e morbido come uno specchio d'acqua lega i sensi a tutte le cose, risvegliò in lui il ricordo dei lunghi colloqui con Agathe e involontariamente la sua faccia prese un'espressione mezzo irrigidita, mezzo trasognata. Tuzzi lo osservava sotto le ciglia pigramente alzate e dal tipo del sarcasmo di Ulrich dedusse che lui stesso non era l'unico dei due di cui gli "ingorghi" non corrispondevano ai desideri.

Nessuno dei due aveva notato quanto a lungo Rachel fosse rimasta assente: la ragazza era stata trattenuta da Diotima perché l'aiutasse a mettere rapidamente in ordine se stessa e la camera da letto: un ordine da malata, sciolto e tuttavia abbastanza corretto da poter ricevere Ulrich. E ora la ragazza recò l'ambasciata, che il visitatore non se ne andasse ma avesse ancora un po' di pazienza, poi se ne tornò lesta dalla sua signora.

- Tutte le frasi che lei mi ha citato sono naturalmente delle allegorie, - riprese Ulrich dopo quell'interruzione, per sdebitarsi verso il padrone di casa della cortesia che gli usava facendogli compagnia. - Una specie di linguaggio delle farfalle! E la gente come Arnheim mi fa l'impressione di trincare quel nettare quasi etereo a crepapancia. Cioè, soggiunse in fretta, ricordandosi in tempo che non poteva offendere anche Diotima, - è proprio lui, Arnheim, che mi fa quest'impressione, come pure quella ch'egli porti la sua anima nella tasca interna della giacca come un portafogli!

Tuzzi tornò a posare i guanti e la borsa che aveva raccolto all'ingresso di Rachel e rispose vivacemente:

- Sa che cos'è? Intendo ciò che lei mi ha spiegato in un modo così interessante. Secondo me non è altro che lo spirito del pacifismo - Fece una pausa per lasciare che l'asserzione producesse il suo effetto. - Il pacifismo nelle mani dei dilettanti racchiude senza dubbio un grave pericolo, - aggiunse con enfasi.

Ulrich stava per ridere, ma Tuzzi era mortalmente serio e aveva messo insieme due cose che in verità erano lontanamente affini, per quanto potesse anche apparir ridicolo porre il legame tra amore e pacifismo nel fatto che entrambi in un uomo come lui facevan l'effetto di intemperanze dilettantesche. Così Ulrich, non sapendo che cosa rispondere, approfittò soltanto dell'occasione per ritornare all'Azione Parallela, osservando che in essa era stata per l'appunto lanciata la parola d'ordine del passaggio all'azione.

- Quella è un'idea di Leinsdorf, - commentò Tuzzi in tono sprezzante. - Ricorda l'ultima riunione tenuta qui da noi, poco prima che lei partisse? Leinsdorf disse allora: "Bisogna fare qualcosa" Ed è tutto qui, è questo che adesso si chiama parola d'ordine del passaggio all'azione! E naturalmente Arnheim cerca di sostituirvi il suo pacifismo russo. Ricorda che io fin d'allora espressi le mie riserve? Ho paura che dovranno ancor ripensare alle mie parole! In nessun paese la politica estera è complicata come da noi, e già allora io dissi: chi oggi ha la presunzione di poter realizzare idee politiche fondamentali, deve

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aver le caratteristiche del bancarottiere e del delinquente!Questa volta Tuzzi era proprio uscito dal suo riserbo, forse perché Ulrich poteva esser chiamato

presso sua moglie da un momento all'altro, oppure perché in quella conversazione non voleva fare lui solo la parte di chi ascolta.

- L'Azione Parallela ha destato sospetti nel mondo internazionale, egli informò, - e l'impressione suscitata all'interno che si tratti di un movimento ostile tanto ai tedeschi quanto agli slavi, ha le sue ripercussioni anche all'estero. Ma perché lei possa intendere pienamente la differenza fra il pacifismo dei dilettanti e quello degli specialisti, le dirò questo: l'Austria potrebbe impedire ogni guerra per almeno trent'anni se partecipasse all'Entente cordiale! E in occasione del Giubileo potrebbe farlo naturalmente con un gesto bellissimo in favore della pace, e in pari tempo assicurare la Germania del proprio amore fraterno, affinché la segua oppure no. La maggioranza delle nostre popolazioni ne sarebbe entusiasta. Coi crediti francesi e inglesi potremmo rafforzare il nostro esercito tanto che la Germania non ci faccia più paura. L'Italia ce la toglieremmo dai piedi. La Francia senza di noi non potrebbe far niente: in una parola, noi saremmo la chiave per la pace o la guerra e guideremmo noi i grandi affari politici. Con ciò non le rivelo nessun segreto: è un semplice calcolo diplomatico che qualunque addetto d'ambasciata potrebbe fare. Perché non si può metterlo in atto? Sono gli imponderabili della Corte: a Corte C.M. è così impopolare che si troverebbe indecoroso cedergli; oggidì le monarchie si trovano in vantaggio perché devono fare i conti con il decoro! Ci sono poi gl'imponderabili del cosiddetto spirito pubblico: ed eccoci all'Azione Parallela. Perché non cerca essa di educarlo questo spirito pubblico? Perché non gli mette innanzi concetti obiettivi? Vede... ma qui le considerazioni di Tuzzi persero alquanto della loro credibilità e facevano piuttosto l'impressione di un malcelato disagio, - quell'Arnheim mi diverte proprio con quel suo scritto! Non l'ha inventato lui, e ieri sera, poiché tardavo ad addormentarmi, ho avuto tempo di rifletterci su. Ci sono sempre stati uomini politici che scrivevano romanzi o opere teatrali, per esempio Clemenceau o addirittura Disraeli; Bismarck non fece mai nulla di simile, ma Bismarck era un distruttore. E ora guardi un po' questi avvocati francesi che oggi stanno al timone: invidiabili! Profittatori della politica, ma consigliati da un'eccellente diplomazia professionale che dà loro le direttive, tutti quanti prima o poi hanno scritto con la massima disinvoltura commedie o romanzi, almeno in gioventù, e pubblicano libri ancor oggi. Lei crede che questi libri valgano qualcosa? Io credo di no. Ma le giuro che ieri sera ho pensato: alla nostra diplomazia manca qualcosa, perché essa non produce libri, e le dirò perché: primo, un diplomatico, come uno sportivo, deve sudare il proprio sudore; secondo, è una garanzia di sicurezza. Lei sa che cos'è l'equilibrio europeo...?

Furono interrotti da Rachel, venuta ad annunziare che Diotima aspettava Ulrich. Tuzzi si fece dare cappello e soprabito.

- Se lei fosse un patriota... - disse mentre infilava le maniche aiutato da Rachel.- Che cosa farei? - domandò Ulrich guardando i neri occhi stellati della piccola cameriera.- Se lei fosse un patriota attirerebbe l'attenzione di mia moglie o del conte Leinsdorf su queste

difficoltà. Io, come marito, non posso, sarei giudicato d'animo gretto.- Ma qui nessuno mi prende sul serio, - rispose Ulrich tranquillo.- Oh, non lo dica! - esclamò Tuzzi con vivacità. - Non la prendono sul serio nella maniera che

prendono sul serio gli altri, ma da un pezzo hanno tutti una gran paura di lei: temono che dia al conte Leinsdorf qualche consiglio pazzesco. Lei sa che cos'è l'equilibrio europeo? - ripeté il diplomatico con insistenza.

- All'incirca, credo di sì, dichiarò Ulrich.- In tal caso, son io che mi congratulo con lei! - ribatté Tuzzi stizzito e depresso. - Noi diplomatici di

professione non lo sappiamo. È ciò che non bisogna turbare, affinché non si prendano tutti per i capelli. Ma che cos'è che non bisogna turbare, nessuno lo sa di preciso. Pensi un momento a tutto quel che negli ultimi anni è successo e succede intorno a lei: guerra italo-turca, Poincaré a Mosca, questione

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di Bagdad, intervento armato in Libia, tensione fra l'Austria e la Serbia, problema adriatico... È equilibrio questo? Il nostro indimenticabile barone Ahrenthal... ma non voglio trattenerla più a lungo!

- Peccato, - disse Ulrich. - Se l'equilibrio europeo va considerato così, allora in esso si esprime nel modo migliore lo spirito europeo!

- Già, questo è l'interessante, replicò Tuzzi dalla soglia, sorridendo rassegnato. - E in tal senso il contributo spirituale della nostra Azione non è trascurabile!

- Perché lei non lo impedisce? Tuzzi alzò le spalle.- Da noi, quando un uomo nella posizione di Sua Signoria vuole qualcosa, non ci si può opporre. Si

può soltanto tenere gli occhi bene aperti!- Come va, Rachel? - chiese Ulrich, appena scomparso Tuzzi, alla piccola sentinella bianca e nera che

lo conduceva da Diotima.

17.Diotima ha cambiato lettura

- Caro amico, - disse Diotima quando Ulrich entrò, - non volevo lasciarla andar via senza averle parlato, ma devo riceverla così! - Portava una veste da camera in cui la maestà delle sue forme, per una positura momentanea, poteva sembrare gravidanza, il che dava al corpo superbo, che non aveva mai partorito, qualcosa della talora amabile impudicizia della maternità; accanto a lei sul sofà c'era una stola di pelliccia, con la quale evidentemente si era riscaldata, e intorno alla fronte aveva una compressa contro il mal di capo; lasciata lì perché le stava come un'infula greca.

Sebbene fosse tardi, la luce non era accesa, e l'odore di medicamenti e palliativi contro un male ignoto era nell'aria mescolato a un profumo forte, buttato su tutti i singoli odori come una coperta.

Ulrich si curvò profondamente, nel baciare la mano di Diotima, come per fiutare al profumo del braccio i cambiamenti avvenuti in sua assenza. Ma la pelle mandava soltanto il buon odore fresco e pulito di tutti i giorni.

- Oh caro amico, - ripeté Diotima, - son contenta che sia ritornato... Ahi! - gemé all'improvviso, sorridendo, - ho una nausea terribile!

Questa comunicazione, che fatta da una persona semplice e naturale è semplice e naturale come una notizia meteorologica, in bocca a Diotima acquistava tutta l'intensità di un tracollo e di una confessione.

- Cugina! - esclamò Ulrich e si piegò sorridendo per guardarla in viso. I delicati accenni di Tuzzi al malessere di sua moglie in quel momento si confusero con il sospetto che Diotima fosse incinta e la crisi risolutiva ormai imminente.

Ella indovinò a mezzo e abbozzò stancamente un gesto elusivo. In verità aveva soltanto forti dolori mestruali, il che però non le era mai accaduto prima e pareva oscuramente connesso con le sue oscillazioni fra Arnheim e il marito, che da qualche mese erano accompagnate da tali disturbi. Quando seppe del ritorno di Ulrich ne fu tutta consolata e salutò in lui il confidente delle sue lotte; perciò lo aveva ricevuto. Più distesa che seduta, travagliata dagli spasimi, ella era lì davanti a lui come un campo aperto senza siepi né tabelle di divieti, cosa che le accadeva abbastanza di rado. Fingere una dispepsia nervosa le era parso un pretesto plausibile e anche un segno di sensitività innata; altrimenti non si sarebbe fatta vedere.

- Prenda qualche calmante, -suggerì Ulrich.- Ah, - sospirò Diotima, - sono le continue agitazioni. I miei nervi non reggeranno più a lungo!Seguì un breve silenzio, perché Ulrich adesso avrebbe dovuto chieder notizie di Arnheim, ma era

curioso di apprendere qualcosa di ciò che riguardava lui stesso e non seppe trovare subito un bandolo. Alla fine domandò:

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- La liberazione dell'anima dai vincoli della civiltà procede molto a rilento? - e soggiunse: Purtroppo devo vantarmi di averle già predetto da un pezzo che i suoi sforzi per aiutare lo spirito a farsi strada nel mondo falliranno miseramente!

Diotima ricordava di aver piantato in asso i suoi ospiti e di esser rimasta a lungo con Ulrich seduta sulla cassapanca in anticamera: quel giorno era avvilita quasi come oggi, eppure di mezzo c'erano state innumerevoli alternative di speranza e di scoraggiamento.

- Com'era splendido, amico mio, - ella disse, quando credevamo ancora nella grande Idea! Oggi posso ben dire che il mondo ci ascolta, ma quanto sono delusa io stessa!

- In fondo, perché? - chiese Ulrich.- Non lo so. Probabilmente è colpa mia.Ella stava per parlare di Arnheim, ma Ulrich volle sapere come avevano preso la dimostrazione; il

suo ultimo ricordo era che non aveva trovato Diotima quando il conte Leinsdorf l'aveva mandato da lei per prepararla a un intervento risoluto e nello stesso tempo per rassicurarla.

Diotima fece un gesto sprezzante.- La polizia arrestò alcuni giovanotti e poi li rilasciò; Leinsdorf era molto arrabbiato, ma che altro si

poteva fare? Adesso s'è attaccato più che mai a Wisnietzky e dice che bisogna fare qualcosa; ma Wisnietzky non può scatenare una propaganda se non si sa per che cosa!

- Ho sentito dire infatti che la parola d'ordine è l'azione, - osservò Ulrich. Il nome del barone Wisnietzky, il suo ministero era stato rovesciato dall'opposizione dei partiti tedeschi e ciò doveva destare gravi sospetti in seno al Comitato che cercava appoggi per la grande idea ignota dell'Azione Parallela, gli richiamò vivamente alla memoria l'attività politica di Sua Signoria, della quale era quello il risultato. I ragionamenti spregiudicati del conte Leinsdorf - forse rafforzati dal previsto fallimento di tutti gli sforzi per scuotere lo spirito del paese e quello dell'Europa intera mediante la collaborazione dei suoi uomini più eminenti - parevano aver condotto soltanto alla persuasione che la cosa migliore era dare un colpo a quello spirito, da qualunque parte il colpo fosse menato. Forse Sua Signoria aveva anche tenuto conto del fatto sperimentato che qualche volta ai pazzi furiosi fa bene esser scrollati e sgridati senza pietà; ma quella frettolosa supposizione a cui Ulrich era giunto prima che Diotima potesse replicare fu ora interrotta dalla risposta di lei. Anche questa volta la sofferente si servì dell'appellativo "caro amico"

- Caro amico, - ella disse, - c'è qualcosa di vero. Il nostro secolo è assetato d'azione! Un'azione ci vuole...

- Ma quale azione? Quale specie d'azione? - interruppe Ulrich.- È indifferente! Nell'azione si è pessimisti verso le parole: non neghiamo che in passato si sono

sempre fatti soltanto dei discorsi; noi siamo vissuti per parole e ideali grandi ed eterni, per un arricchimento dell'umano, per la nostra più intima individualità, per una sempre maggiore pienezza di vita. Noi aspiravamo a una sintesi, vivevamo per molti godimenti della bellezza e nuovi valori della felicità, e io non voglio negare che la ricerca della verità è un gioco di bambini rispetto alla difficoltà terribile di diventare noi stessi una verità. Ma era una stravaganza, giacché l'anima oggi ha un ben scarso contenuto di realtà, e noi siamo vissuti in una sognante nostalgia, diciamo pure, per niente! - Diotima si era energicamente sollevata su un gomito. - È un segno di sanità morale, oggi, rinunziare a cercare l'accesso ostruito dell'anima, e sforzarsi piuttosto di prender la vita com'è! ella concluse.

Adesso Ulrich oltre quella ipotetica di Leinsdorf possedeva anche un'altra interpretazione accreditata della parola d'ordine. Diotima, a quanto pareva, aveva cambiato il genere delle sue letture; egli ricordò che entrando l'aveva vista circondata da molti libri, ma s'era fatto già troppo buio per decifrarne i titoli, e poi su una parte di essi stava adagiato come un grosso serpente il corpo della pensosa giovane donna che ora si era tirata ancora più su e lo guardava piena di speranza. Dopo essersi nutrita fin da fanciulla di libri molto sentimentali e soggettivi ella era stata travolta evidentemente, come Ulrich deduceva dalle sue parole, da quella forza spirituale di rinnovamento che è sempre occupata a non scoprire nemmeno

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con le nozioni dei prossimi vent'anni ciò che non ha trovato con quelle del ventennio trascorso; dal che derivano forse in ultima analisi quei grandi cambiamenti d'umore della storia, oscillante fra umanità e crudeltà, passione e indifferenza o altre contraddizioni per le quali non v'è motivo del tutto accettabile. Balenò alla mente di Ulrich che il piccolo residuo non svelato di indeterminatezza che avanza in ogni vicissitudine morale, e di cui aveva tanto parlato con Agathe, doveva in fondo essere la causa di quest'incertezza umana; ma non volendo concedersi la gioia che il ricordo di quelle conversazioni gli procurava, costrinse i suoi pensieri a distogliersene e a rivolgersi piuttosto al generale, che per il primo gli aveva annunziato l'avvento di uno spirito nuovo e in modo tale che la sana collera così provocata non permetteva di abbandonarsi al piacere di dubitare. E giacché stava già pensando al generale, gli tornò in mente la sua preghiera di occuparsi dell'ordine turbato fra sua cugina e Arnheim, e così all'orazione funebre di Diotima sull'anima egli rispose semplicemente:

- Dunque "l'amore sconfinato" non le giova?- Oh Dio, lei è sempre lo stesso! - sospirò la cugina e si lasciò ricadere sui cuscini chiudendo gli

occhi; perché in assenza di Ulrich si era disavvezzata da quelle domande dirette, e ora doveva prima ricordare fino a che punto gli si era confidata. D'un tratto la presenza di lui rimise in moto ciò ch'ella aveva dimenticato. Diotima si ricordò di un dialogo con Ulrich sull'"amore senza limiti" ripreso anche nel loro ultimo o penultimo incontro, in cui ella aveva giurato e spergiurato che le anime possono uscire dalla prigione del corpo, o almeno, per così dire, sporgersi mezze al di fuori; al che Ulrich aveva risposto che quelli erano vaneggiamenti della fame d'amore, e le consigliava di concedersi una soddisfazione con Arnheim, con lui stesso o con qualcun altro; anzi ella ricordò che Ulrich aveva nominato anche Tuzzi a questo proposito: suggerimenti di quel genere si tengono a mente meglio che gli altri discorsi fatti da un uomo come Ulrich. E probabilmente con ragione ella l'aveva giudicata allora un'impertinenza; ma come il dolore passato se confrontato col presente pare un vecchio amico innocuo, così l'impertinenza godeva oggi del privilegio di trasformarsi in un ricordo confidenziale. Diotima dunque riaprì gli occhi e disse:

- Probabilmente a questo mondo non ci è dato di amare in modo perfetto!Così dicendo ella sorrideva, ma sotto la benda greca c'erano rughe dolorose che nella penombra

davano al viso un'espressione stranamente stravolta. Nelle questioni che la toccavano personalmente Diotima non rifuggiva dal credere a possibilità soprannaturali. Perfino l'inaspettata apparizione del generale von Stumm al "Concilio" l'aveva spaventata come l'opera degli spiriti, e da bambina ella soleva pregare Dio di non farla morire mai. Perciò non le era stato difficile porre nelle sue relazioni con Arnheim una fede miracolistica o per dir meglio quella incerta non-fede, quel non-ritener-nulla-escluso che sono la religione-base del mondo odierno.

Se Arnheim non fosse stato soltanto capace di estrarre dalla sua e dalla propria anima qualcosa di invisibile che si congiungeva nell'aria a quattro o cinque metri di distanza da entrambi, o se i loro sguardi incontrandosi avessero potuto lasciar qualche residuo, un chicco di caffè, un granello di semola, una macchia d'inchiostro, insomma un segno di uso o anche soltanto un progresso, Diotima si sarebbe aspettata, un giorno, di andare ancor più oltre, in una di quelle relazioni ultraterrene che sono tanto difficili a immaginare esattamente quanto la maggior parte delle terrene. Sopportava anche con pazienza che Arnheim negli ultimi tempi partisse sovente e rimanesse via più a lungo di prima, e anche nei giorni che passava a Vienna fosse straordinariamente impegnato nei suoi affari. Ella non si permetteva il minimo dubbio che nella vita di Arnheim l'amore per lei fosse ancor sempre il grande avvenimento, e quando, raramente, s'incontravano da soli, l'elevazione delle anime era così immediata e il loro contatto così integrale che i sentimenti ammutolivano spaventati, e anzi se non era possibile parlare di qualcosa d'impersonale s'apriva un vuoto che si lasciava dietro un amaro esaurimento. Come era quasi sicura che questo fosse passione, così ella non dubitava giacché il tempo in cui viveva l'aveva abituata a considerare tutto ciò che non era pratico soltanto oggetto di fede, appunto di quella incerta non-fede - non dubitava che sarebbe seguito ancora qualcosa di opposto a tutte le ipotesi ragionevoli.

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Ma nel momento in cui, aperti gli occhi, li fissò su Ulrich, vedendolo soltanto come una massa d'ombra che non dava risposta, ella si chiese: "Che cosa aspetto? Che cosa dovrebbe accadere, in fondo?"

Finalmente Ulrich parlò:- Ma Arnheim non voleva sposarla? - Diotima tornò a sollevarsi sul braccio e disse:- Si può forse risolvere il problema dell'amore con un divorzio o con un matrimonio? "Niente

gravidanza, m'ero sbagliato", constatò silenziosamente Ulrich, non sapendo come rispondere all'esclamazione della cugina. Poi però disse, di punto in bianco:

- Io le avevo detto di guardarsi da Arnheim!Forse in quel momento si sentiva in dovere di informarla che il nababbo aveva legato le loro due

anime con i propri affari, ma vi rinunziò subito, giacché gli pareva che in quella conversazione ogni parola avesse il suo vecchio posto come gli oggetti nella sua stanza che al ritorno aveva trovato accuratamente spolverati, quasi egli fosse rimasto morto per un minuto. Diotima lo guardò:

- Non voglio che la prenda così alla leggera. Fra Arnheim e me c'è un'amicizia profonda; e se talvolta c'è anche fra noi qualcosa che vorrei chiamare una grande paura, ciò proviene appunto dalla sincerità. Io non so se lei l'ha mai sperimentato o se ne è capace: fra due persone giunte a una certa altezza di sentimenti, ogni menzogna può divenire talmente impossibile, che quasi non si riesce più a scambiare parola!

All'orecchio fine di Ulrich quel rimprovero rivelò che la porta dell'anima di sua cugina gli era più aperta del solito, e poiché l'aveva molto rallegrato la sua confessione involontaria di non poter parlare con Arnheim senza mentire egli sottolineò la propria sincerità tacendo anche lui per un poco, poi, siccome Diotima si era riadagiata sui guanciali, si chinò sul suo braccio per baciarle la mano con affettuosa dolcezza. Leggera come midollo di sambuco la mano di lei riposava nella sua e vi restò dopo il bacio. Sotto le punte delle dita egli le sentiva battere il polso. Il profumo vicino, fine come cipria, gli aderì al volto. E quantunque quel bacio fosse stato null'altro che uno scherzo galante, aveva in comune con un'infedeltà il gusto amaro lasciato dal piacere, l'essersi piegato su un'altra persona, come per bere da essa e non vedere più riflessa nell'acqua la propria immagine.

- A che cosa pensa? - domandò Diotima.Ulrich si limitò a scuotere il capo e le offerse - nel buio appena rischiarato da un ultimo riverbero di

velluto - di nuovo l'occasione di fare studi comparati sui vari silenzi. Una bellissima frase le tornò alla memoria: "Vi sono persone con le quali il più grande degli eroi non avrebbe il coraggio di tacere" Se non era esattamente così era qualcosa di simile. Le pareva che fosse una citazione, ad ogni modo era Arnheim che lo aveva detto, e lei l'aveva applicato a se stessa. E dalla prima settimana di matrimonio nessuna mano, tranne quella di Arnheim, era rimasta nella sua più di due secondi, solo ora le succedeva con Ulrich. Nel suo imbarazzo ella non fece attenzione al seguito, ma un momento dopo si trovò gradevolmente convinta di aver avuto ragione nel non voler aspettare inattiva l'ora forse prossima forse impossibile dell'amore supremo, e nel profittare invece del tempo in cui la decisione era ancora sospesa per dedicarsi un po' di più a suo marito. La gente sposata ha questa fortuna: ciò che per gli altri sarebbe infedeltà alla propria amata, per loro diventa compimento del proprio dovere; e poiché Diotima si diceva che qualunque cosa accadesse lei doveva intanto fare il proprio dovere al posto dove l'aveva messa il destino, aveva intrapreso il tentativo di compensare i difetti di suo marito e di insufflargli un poco più d'anima. Di nuovo si rammentò il detto di un poeta: diceva suppergiù che non v'è maggior pena che intrecciare il proprio destino a quello di una persona non amata, e anche questo dimostrava che lei doveva sforzarsi di sentire qualcosa per Tuzzi finché il destino non li aveva ancora separati. In ragionato contrasto con gli incalcolabili moti dell'anima che lei non voleva più a lungo fargli scontare, ella s'era messa sistematicamente a tale opera; e palpò con orgoglio i libri fra i quali era coricata, perché essi trattavano della fisiologia e della psicologia del matrimonio; che fosse buio, che ella avesse accanto quei libri, che Ulrich le tenesse la mano, che ella gli avesse fatto intendere il proprio grandioso pessimismo forse già prossimo a manifestarsi anche pubblicamente con la rinuncia agli ideali, tutto ciò

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in qualche modo si integrava a vicenda; e fra questi pensieri Diotima di tanto in tanto stringeva la mano di Ulrich, come se i bauli fossero già pronti, per dire addio a tutto il passato. Dava poi un breve lamento, e una leggera ondata di sofferenza le passava, giustificatrice, per tutto il corpo; Ulrich ogni volta ricambiava amorevolmente la stretta con la punta delle dita, e quando ciò si fu ripetuto più volte Diotima pensò che in fondo era troppo, ma non osò più ritirare la mano, perché essa riposava così leggera e asciutta in quella di lui, e qualche volta tremava: inammissibile sintomo di fisiologia erotica che ella a nessun prezzo intendeva tradire con una fuga intempestiva.

Fu Rachel, divenuta da un po' di tempo stranamente indiscreta, che affaccendandosi nella camera attigua e accendendovi improvvisamente la luce pose fine alla scena. Diotima ritrasse bruscamente la sua mano; in quella di Ulrich rimase per qualche istante uno spazio che era stato pieno di imponderabilità.

- Rachel, - chiamò piano Diotima, - accendi la luce anche qui!Accesa la luce, i volti illuminati apparvero come venuti a galla, quasi ancora bagnati di oscurità.

Intorno alla bocca di Diotima c'erano ombre che la facevano gonfia e madida; i cuscinetti madreperlacei sul collo e sotto le gote, che di solito parevan fatti per la delizia di un intenditore di cose prelibate, erano duri come linoleum e violentemente ombreggiati d'inchiostro. Anche la testa di Ulrich spiccava nella luce inconsueta con forti contrasti di bianco e nero, come quella di un selvaggio sul sentiero di guerra. Egli sbatté le palpebre sforzandosi di leggere i titoli dei libri sparsi intorno a Diotima, e dalla scelta delle opere dedusse con stupore la smania di Diotima di appropriarsi tutto lo scibile intorno all'igiene dell'anima e del corpo.

"Un giorno o l'altro Ulrich mi farà del male!" ella pensò seguendo lo sguardo di lui improvvisamente inquieta, ma non diede questa forma al suo pensiero; si sentiva soltanto troppo nelle mani del cugino, così in piena luce sotto i suoi occhi, ed ebbe bisogno di darsi un'apparenza sicura. Con un gesto che doveva essere un atto di superiorità, come si conviene a una donna "indipendente" da tutto ciò che esiste, accennò alle proprie letture e disse nel tono più distaccato che le fu possibile:

- Vuol credere che l'adulterio mi sembra talvolta una soluzione fin troppo semplice dei conflitti coniugali?

- In ogni caso è il più innocuo! rispose Ulrich, irritandola col suo tono scherzoso. - Direi che non può far male a nessuno.

Diotima gli gettò un'occhiata di rimprovero e fece segno che Rachel poteva ascoltare dalla stanza accanto. Poi disse ad alta voce:

- Non l'intendevo certo in quel senso! - e chiamò la cameriera che comparve imbronciata, e con amara gelosia apprese che era spedita fuori dalle stanze della padrona. Grazie all'incidente però i sentimenti erano tornati al loro posto; la sensazione, favorita dalla penombra, di commettere insieme una piccola infedeltà, sia pure indefinibile e contro nessuno, svanì al lume della lampada, e Ulrich passò agli argomenti pratici che erano ancora da trattare, per poter tosto prendere commiato.

- Non le ho ancora detto che lascio le mie funzioni di segretario, - egli incominciò.Diotima però ne era già informata e sentenziò che egli doveva restare, assolutamente.- Il lavoro che dobbiamo ancora svolgere è enorme, ella perorò. - Abbia un po' di pazienza, presto il

problema sarà risolto. Si potrà metterle a disposizione un segretario vero.Quel vago "si" destò l'attenzione di Ulrich che volle sapere qualcosa di più preciso.- Arnheim ha offerto di prestarle uno dei suoi segretari.- No, grazie, - rispose Ulrich. - Ho l'impressione che l'offerta non sia del tutto disinteressata - In quel

momento egli ebbe di nuovo una gran voglia di spiegare a Diotima l'ovvia correlazione coi campi di petrolio, ma lei non notò nemmeno l'ambiguità della risposta e seguitò semplicemente:

- Del resto anche mio marito s'è dichiarato pronto a cederle uno dei suoi impiegati.- Lei lo approverebbe?- Per dire la verità non lo vedrei tanto di buon occhio, - ammise Diotima questa volta con maggiore

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risolutezza. - Tanto più che non manchiamo di collaboratori: anche il suo amico, il generale, mi ha detto che sarebbe ben lieto di prestarle uno dei suoi subordinati.

- E Leinsdorf?- Queste tre offerte mi sono state fatte spontaneamente, sicché non avevo motivo di consultare

Leinsdorf; ma certo egli non arretrerebbe davanti a un sacrificio.- Mi viziano - Così Ulrich riassunse la sorprendente prontezza di Arnheim, di Tuzzi e di Stumm ad

assicurarsi con poca fatica un certo controllo su tutta l'attività dell'Azione Parallela. - Ma forse il meglio sarebbe che io assumessi l'uomo di fiducia di suo marito.

- Via, caro amico...! - protestò ancora Diotima, però non sapeva bene come continuare, e forse per questo ne venne fuori qualcosa di molto imbrogliato. Ella si sollevò di nuovo sul gomito e disse vivacemente: - Io giudico l'adulterio una conclusione troppo grossolana dei contrasti tra coniugi, gliel'ho detto! Ma tuttavia nulla è così difficile come l'esser legati per la vita e per la morte a un uomo che non si ama abbastanza!

Questo era un grido del cuore interamente privo di spontaneità. Ma Ulrich imperterrito insisté nella sua risoluzione.

- Senza dubbio il signor Tuzzi vorrebbe acquistare in tal modo un mezzo di influire su quel che lei intraprende: ma lo stesso vorrebbero anche gli altri! - egli le spiegò. - Tutti e tre l'amano e ciascuno deve in qualche modo conciliare questo fatto con il proprio dovere.

Era stupito che Diotima non capisse né il linguaggio dei fatti né quello delle spiegazioni che egli le dava, e alzandosi per congedarsi concluse ancor più ironicamente:

- L'unico che le porta un affetto disinteressato sono io; perché io non ho niente da fare e non ho doveri di nessun genere. Ma i sentimenti senza diversione sono distruttivi; l'ha sperimentato lei stessa, e ha sempre avuto per me una diffidenza giustificata, sebbene puramente istintiva.

Diotima non sapeva perché, ma forse proprio per questa ragione talvolta così simpatica sentì che le faceva piacere vedere Ulrich prendere partito per casa Tuzzi nella questione del segretario, e non lasciò la mano che egli le aveva offerto.

- E come si accorda il suo affetto per me con l'amicizia con "quella" signora? - ella chiese in tono birichino, per quanto Diotima fosse così poco capace di birichineria da far pensare a un atleta che gioca con una piuma.

Ulrich non capiva a chi alludesse.- La moglie del magistrato che mi ha presentato lei!- Lei sa qualcosa, cugina?!- Me ne ha fatto cenno il dottor Arnheim.- Davvero? Sono molto lusingato che egli creda di potermi così danneggiare presso di lei. Ma

naturalmente i miei rapporti con quella signora sono irreprensibili, - disse Ulrich difendendo nel modo tradizionale l'onore di Bonadea.

- Durante la sua assenza s'è recata solo due volte a casa sua! - Diotima rideva.- La prima volta l'abbiamo vista per caso, la seconda lo abbiamo saputo per altra via. La sua

discrezione è dunque inutile. Invece mi piacerebbe capire! E non ci riesco!- Mio Dio, come posso spiegarlo proprio a lei?- Provi! - ordinò Diotima. Aveva messo su la sua espressione di "impudicizia ufficiale", una specie di

aria occhialuta che prendeva quando la sua intellettualità la costringeva ad ascoltare o a dire cose che veramente sarebbero state vietate alla sua anima di gentildonna. Ma Ulrich ricusò e tornò a dire che sul conto di Bonadea egli doveva limitarsi a fare qualche supposizione.

- Va bene, - ammise Diotima. - La sua amica stessa però non ci risparmia le allusioni! Si direbbe che creda di dover giustificare un'offesa fatta a me. Ma se preferisce parli pure come se si trattasse soltanto di congetture!

Adesso la curiosità di Ulrich era risvegliata; egli apprese che Bonadea era già stata ricevuta più volte

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da Diotima e non solamente per questioni che concernevano l'Azione Parallela o la posizione di suo marito.

- Devo confessare che la giudico una bella donna, - ammise Diotima, - e di animo molto elevato. In fondo sono in collera con lei, cugino, che pretende la mia confidenza e mi ha sempre negato la sua!

In quel momento il voto di Ulrich era, all'incirca: "Andate tutti a quel paese...!" Voleva spaventare Diotima e punire Bonadea per la sua intromettenza, oppure sentì per un momento tutta la distanza fra sé e la vita che aveva accettato di condurre.

- Ascolti dunque, - dichiarò con viso apparentemente tetro: - Quella donna è ninfomane, e questa è un'attrazione per me irresistibile!

Diotima sapeva "ufficialmente" che cos'è la ninfomania. Vi fu un silenzio, poi ella rispose strascicando le parole:

- Povera donna! E a lei questo piace?- È una cosa così idiota! - disse Ulrich.Diotima voleva saperne "di più"; egli dovette commentarle il "fenomeno deplorevole" e "renderlo

umano" Ulrich lo fece un po' superficialmente e tuttavia si impadronì di lei a poco a poco un senso di soddisfazione che aveva per fondamento la ben nota gratitudine al Signore di non essere così, ma poi si perdeva nello sgomento e nella curiosità ed era destinato a influire sui suoi successivi rapporti con Ulrich. Ella disse pensierosa:

- Dev'essere addirittura orribile tener fra le braccia una creatura di cui non si è intimamente persuasi!- Le pare? - replicò il cugino innocentemente. A quella impertinenza Diotima sentì vampe di sdegno

e di ribrezzo salirle al viso, ma non poteva mostrarlo; s'accontentò di lasciare andare la mano di Ulrich e si riadagiò sui cuscini con un gesto di congedo. - Non avrebbe dovuto raccontarmi tutto questo! - ella disse di laggiù. - Lei si è comportato molto male verso quella donna e ha mancato di discrezione!

- Io non ho mai commesso indiscrezioni! - protestò Ulrich, ridendo fra sé della cugina. - Lei è davvero ingiusta. È la prima donna alla quale faccio confidenze a proposito di un'altra, ed è stata lei a tirarmi!

Diotima fu lusingata. Stava per dire che senza trasfigurazione spirituale ci si priva della parte migliore; ma non vi riuscì perché d'un tratto si sentì direttamente in causa. Alla fine il ricordo di uno dei libri sparsi all'intorno le suggerì una risposta innocente, quasi protetta da limiti ufficiali: - Lei commette l'errore di tutti gli uomini, - gli rinfacciò.

- Tratta la sua partner non come un'eguale ma come un'integrazione di se stesso, e poi ne è deluso. Non si è mai posto la domanda se la via verso un amore alato e armonioso non passi attraverso una più dura autoeducazione?

Ulrich restò quasi a bocca aperta; ma a involontaria difesa di quell'attacco dottoresco replicò:- Sa che anche il signor Tuzzi oggi mi ha interrogato sulle possibilità educatrici e formatrici

dell'anima?Diotima fece un salto:- Come, Tuzzi le parla dell'anima? - domandò stupefatta.- Ma certo; vuole imparare cos'è, asserì Ulrich, ma non si lasciò più trattenere e promise soltanto che

forse un'altra volta avrebbe mancato al dovere della discrezione e raccontato anche questo.

18.La difficoltà di un moralista nello scrivere una lettera

Con la visita a Diotima sparì l'inquietudine che tormentava Ulrich fin dal suo ritorno; il giorno dopo, verso sera, egli si sedette alla scrivania, ridivenutagli in quell'atto cara e familiare, e incominciò a scrivere

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una lettera ad Agathe.Era chiaro per lui - chiaro e trasparente com'è talvolta un giorno senza vento - che l'inconsulto

progetto di Agathe era sommamente pericoloso; ciò che era accaduto finora poteva ancora passare per uno scherzo avventato, che riguardava solo lui e lei, a patto di essere interrotto prima che rischiasse di diventare reale, e ogni giorno tale pericolo aumentava. Ulrich aveva già scritto tutto questo quando si arrestò e prima di tutto sentì che era imprudente affidare alla posta una lettera in cui simili fatti erano discussi senza veli. Si disse che sarebbe stato a ogni modo più opportuno partire lui stesso col primo treno invece della lettera; ma naturalmente anche questo gli parve assurdo, dacché per giorni e giorni non si era più curato della cosa, e sapeva che non sarebbe partito.

Si accorgeva che alla base v'era qualcosa di saldo come una risoluzione: il desiderio di lasciare che l'accaduto producesse i suoi effetti. Dunque il problema per lui era solo di stabilire fino a che punto lo voleva veramente e chiaramente, e una folla di pensieri che menavan lontano gli si agitava nel capo.

Così fece subito l'osservazione che finora tutte le volte che si era comportato in maniera "morale" s'era sempre trovato in una condizione spirituale peggiore di quando le sue azioni e i suoi pensieri erano stati, come si usa dire, "immorali" Questo è un fenomeno universale: infatti negli avvenimenti che pongono in contrasto col proprio ambiente, ognuno spiega tutte le sue forze, mentre là dove fa soltanto quello che deve si comporta semplicemente come quando paga le tasse; ne consegue che il male viene compiuto con maggiore o minore fantasia e passione, mentre il bene si distingue per una innegabile grettezza e povertà d'affetti. Ulrich ricordava che sua sorella aveva espresso molto naturalmente quella indigenza morale con la domanda se l'esser buoni non fosse più un bene. Aveva detto che doveva essere difficile ed eccitante e si era meravigliata che, tuttavia, la gente "morale" fosse quasi sempre noiosa.

Ulrich sorrise soddisfatto e sviluppò così il ragionamento: Agathe e lui solidalmente si trovavano in una particolare opposizione con Hagauer, che si poteva definire all'incirca quella degli uomini che erano cattivi alla maniera buona con l'uomo che era buono alla maniera cattiva. E fatta astrazione del vasto centro della vita, occupato di diritto da uomini nei cui pensieri le comuni parole bene e male non compaiono più da quando essi si sono staccati dalle gonne materne, ecco che i due lati, dove si compiono ancora volontari sforzi morali, oggi sono davvero riservati a questi cattivi Buoni e buoni Cattivi, di cui gli uni non hanno mai visto il Bene volare e cantare e perciò pretendono che tutti i loro simili s'entusiasmino con loro per un regno di natura della morale dove uccelli impagliati stanno su alberi senza vita; mentre gli altri, i buoni Cattivi, stimolati dai loro concorrenti, mettono zelantemente in mostra, almeno nei pensieri, una tendenza al male, come se fossero convinti che solo nelle cattive azioni, non ancora così logore come le buone, palpiti ancora un po' di vitalità morale. Cosicché il mondo senza, s'intende, che Ulrich fosse pienamente consapevole di questa previsione - aveva allora la scelta fra due modi di andare in rovina: per la sua morale paralitica o per il suo immoralismo volubile; e fino a oggi non sa quale via abbia finito per scegliere con sicuro successo, a meno che quella maggioranza che non ha mai tempo di occuparsi della morale in genere, per una volta tanto l'abbia fatto avendo perso la fiducia nel proprio stato e quindi probabilmente anche in qualcos'altro; giacché, di cattivi Cattivi, che tanto facilmente sono incolpati di tutto quanto accade, ce n'erano pochi allora come oggi, e i buoni Buoni sono un problema remoto come una nebulosa. Ma proprio a loro pensava Ulrich, mentre tutto quello a cui pensava in apparenza gli era assai indifferente.

E diede ai suoi pensieri una forma ancor più generale e impersonale, ponendo al posto del Bene e del Male la relazione che esiste fra gli imperativi: "Fai!" e "Non fare!" Infatti finché una morale - e questa vale tanto per lo spirito dell'amore del prossimo quanto per quello di un'orda di Unni - si trova in ascesa, il "Non fare!" è soltanto il rovescio e la conseguenza naturale del "Fai!"; fare e non fare sono di fuoco e gli errori che portano con sé non hanno molta importanza perché sono gli errori di eroi e di martiri. In tale condizione il bene e il male sono la stessa cosa che la felicità e l'infelicità dell'individuo. Tuttavia appena l'idea in discussione ha ottenuto il potere, ha esteso il proprio dominio, e il suo

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adempimento non presenta più speciali difficoltà, il rapporto fra esigenza e divieto attraversa necessariamente uno stato decisivo in cui il dovere non rinasce ogni giorno nuovo e vivente, bensì lisciviato e scisso in "ma" e in "se" - vien tenuto pronto per vari usi; e incomincia così un processo nel cui corso successivo la virtù e il vizio, per la provenienza dalle stesse regole, leggi, eccezioni e limitazioni, vengono a rassomigliarsi sempre più, finché ne risulta quella contraddizione strana ma in fondo intollerabile da cui Ulrich aveva preso le mosse: che la differenza fra il bene e il male perde ogni significato di fronte al piacere suscitato da un operare puro, profondo e spontaneo, che può sprizzare come una scintilla tanto da eventi leciti quanto da illeciti. Anzi, chi se lo chiede senza preconcetti riconoscerà probabilmente che i divieti della morale hanno una carica elettrica più forte che non i suoi precetti. Mentre sembra relativamente naturale che certe azioni definite "cattive" non si debbano commettere o almeno, se si commettono lo stesso, non si sarebbero dovute commettere, come per esempio l'appropriarsi della roba d'altri o il godere sfrenatamente, le corrispondenti tradizioni affermative dell'etica - in questo caso la passione di donare o il piacere di mortificare la carne - sono già quasi perdute, e dove sussistono ancora sono privativa di pazzi e di acchiappanuvole, o di pallidi farisei. Tale condizione, in cui la virtù è malaticcia e il comportamento morale consiste principalmente nella limitazione dell'immorale, può facilmente far sì che questo appaia non soltanto più originale e più robusto di quello ma addirittura più morale, se è permesso usare questa parola non nel senso di legge e diritto ma come misura di tutta la passione che ancora suscitano i problemi della coscienza. Ma può forse esserci qualcosa di più contraddittorio che favorire interiormente il male perché, con il residuo di anima che ancora rimane, si cerca il bene?

Questa contraddizione Ulrich non l'aveva mai sentita così forte come nel momento in cui l'arco ascendente percorso dalla sua riflessione l'ebbe ricondotto ad Agathe. La naturale prontezza di lei a servirsi di una forma d'espressione buona-cattiva per adoperare ancora una volta quel termine provvisorio -, che si era tradotta nella grave infrazione alle volontà paterne, offendeva in lui un'uguale disposizione innata, che però aveva assunto una forma intellettuale: quella, si poteva dire, dell'ammirazione di un pastore d'anime per il diavolo, mentre lui personalmente non soltanto viveva alla meglio, ma, a quanto vedeva, non voleva nemmeno essere disturbato. Con melanconica soddisfazione e altrettanta ironica chiarezza egli riconobbe che il suo interesse teorico per il male in fondo lo portava soltanto a proteggere contro i loro cattivi autori le cose cattive e ingiuste, e sentì un improvviso desiderio di bontà, come uno che dopo aver vagabondato inutilmente in paese straniero immagina di tornare a casa e di andare diritto a dissetarsi alla fontana del suo villaggio. Se non gli fosse venuto in mente prima quel paragone, forse si sarebbe accorto che il suo tentativo di vedere in Agathe una persona moralmente ambigua, come ce ne sono tante oggidì, era solo un pretesto per difendersi da una prospettiva che lo sgomentava molto di più. Infatti il comportamento di sua sorella, che egli doveva biasimare se lo esaminava coscientemente, esercitava su di lui una seduzione inebriante se invece anch'egli si abbandonava a quel sogno; poiché allora svaniva ogni dissidio e ogni contrasto, e si formava l'impressione di una bontà appassionata, affermativa, fattiva, che accanto alle proprie forme comuni e svuotate di forza poteva apparire come un antichissimo vizio.

Ulrich non amava permettersi quest'esaltazione dei suoi sentimenti, e ancor meno avrebbe dovuto farlo davanti alla lettera che doveva scrivere, perciò rivolse di nuovo la sua mente a considerazioni più generali. Sarebbero state incomplete se egli non si fosse ricordato come spesso e volentieri in quei tempi l'aspirazione a un dovere totale avesse condotto la gente a tirar fuori dal magazzino ora l'una ora l'altra delle virtù disponibili e a farla oggetto di una chiassosa adorazione. Erano state in onore virtù nazionali, cristiane, umanistiche, una volta l'acciaio, e un'altra volta la bontà, ora la personalità e ora la comunità, oggi il decimo di secondo e il giorno prima l'impassibilità storica: i cambiamenti di umore della vita pubblica riposavano in fondo sul susseguirsi di queste idee guida. Ma ciò aveva sempre lasciato Ulrich indifferente, solo l'aveva portato a sentirsi in disparte. Anche adesso gli pareva soltanto un'integrazione del quadro generale, perché solo una mezza conoscenza può far credere che si possa

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accostarsi all'arcano indecifrabile della vita, postosi ormai su un piano di complicazioni eccessive, con una delle interpretazioni in essa già contenute. Tali tentativi somigliano soltanto ai movimenti di un infermo che, irrequieto, cambia posizione mentre la paralisi che lo inchioda al suo giaciglio progredisce inesorabilmente. Ulrich era convinto che lo stato in cui ciò accade fosse inevitabile e determinasse il gradino a partire dal quale ogni civiltà prende a declinare perché nessuno finora ha mai saputo sostituire con una nuova tensione la tensione interna che è andata perduta. Era anche persuaso che a ogni morale futura accadrà ciò che è accaduto a ogni morale passata. Giacché l'afflosciamento morale non dipende dalla portata dei comandamenti e dalla osservanza, è indipendente dalle loro diversità, è inaccessibile alla severità esteriore, è un procedimento tutto interiore, equivalente alla perdita del significato d'ogni azione e alla fede dell'unità della loro giustificazione.

E così i pensieri di Ulrich, senza ch'egli lo volesse, ritornarono a quello che, rivolgendosi ironicamente al conte Leinsdorf, egli aveva definito "segretariato generale della precisione e dell'anima"; e sebbene non avesse mai parlato se non con impertinenza o per scherzo, capiva adesso che da quando era un uomo si era sempre comportato come se un "segretariato generale" di tal genere si trovasse nell'ambito delle cose possibili. Forse, lo poteva dire a propria giustificazione, ogni individuo pensante porta in sé una simile idea dell'ordine, giusto come uomini adulti portano sotto le vesti la medaglia benedetta che la mamma gli ha appeso al collo quando eran bambini, e questa immagine dell'ordine che nessuno osa prendere sul serio ma nemmeno deporre, deve apparire press'a poco così: da una parte rappresenta oscuramente l'aspirazione a una legge della vita retta, che sia inflessibile e naturale, che non ammetta eccezioni e non ometta obiezioni, che sia liberatrice come un'ubriacatura e sobria come la verità; d'altro lato rispecchi invece la persuasione che i nostri occhi non vedranno mai una legge siffatta, che mai i nostri pensieri la penseranno, che non potrà essere prodotta dal messaggio e dalla violenza di un singolo ma soltanto dallo sforzo di tutti, ammesso che non sia semplicemente una chimera. Per un attimo Ulrich esitò. Senza dubbio egli era un credente che però non credeva in nulla; la sua massima dedizione alla scienza non aveva mai potuto fargli dimenticare che la bellezza e la bontà degli uomini derivano da ciò che essi credono e non da ciò che essi sanno. Ma la fede era sempre stata legata al sapere, sia pure un sapere soltanto immaginario, sin dai primordi della sua magica fondazione. E quella parte vecchissima della scienza è marcita da tempo e ha trascinato la fede con sé nella stessa putrefazione: oggi si tratta dunque di costruire quel legame. E, s'intende, non col portare semplicemente la fede "all'altezza della scienza" ma piuttosto col farle spiccare il volo da quell'altezza. L'arte di elevarsi al di sopra del sapere dev'essere di nuovo coltivata. E poiché nessun singolo individuo può fare questo, tutti dovrebbero intendere la loro mente a tale scopo, dovunque l'abbiano rivolta; e se Ulrich in quel momento pensava a un piano decennale, secolare o millenario che la umanità doveva proporsi per dirigere i propri sforzi secondo una meta che in realtà non può ancora conoscere, non gli occorreva meditare molto per comprendere che se l'era immaginato già da molto tempo sotto diversi nomi come la vita veramente sperimentale. Infatti per lui la parola fede non significava quel rachitico voler sapere, l'ignoranza credula che di solito essa designa, ma piuttosto l'intuizione consapevole, qualcosa che non è né scienza né immaginazione, però neppure fede, bensì "quell'altra cosa" che esula da tali concetti.

Ratto tirò a sé la lettera, ma poi la spinse via.La sua faccia, fino a quel momento ardente e severa, si spense, e l'insidioso pensiero favorito gli

parve ridicolo. Come gettando uno sguardo fuori d'una finestra aperta di colpo, egli sentì quello che in realtà lo circondava: i cannoni, i commerci d'Europa. L'idea che uomini i quali vivevano in quel modo potessero mai accordarsi per una navigazione giudiziosa del loro destino spirituale era semplicemente impensabile, e Ulrich dovette riconoscere che anche l'evoluzione storica non s'era mai compiuta in pianificata concordanza d'idee, come può avvenire in caso di necessità nella mente del singolo individuo, bensì sempre con spreco e con tanta prodigalità come se la mano d'un rozzo giocatore la scaraventasse sulla tavola. Ulrich ne provò addirittura un po' di vergogna. Tutto ciò che aveva pensato

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in quell'ora ricordava in modo sospetto una certa "Inchiesta per la stesura di una risoluzione e studio sui desideri dei circoli interessati della popolazione", anzi i suoi stessi ragionamenti moralistici, quelle meditazioni teoriche che contemplano la natura alla luce di una candela, gli parvero sommamente innaturali; poiché invece l'uomo semplice, avvezzo alla luce del sole, tende sempre la mano verso la cosa più vicina e non si pone mai altri problemi tranne quello ben definito se debba osare quel gesto oppure no.

In quel momento i pensieri di Ulrich dagli argomenti generali rifluirono verso lui stesso ed egli sentì l'importanza di sua sorella. A lei egli aveva mostrato quella condizione strana e illimitata, incredibile e indimenticabile dove tutto è un "sì" La condizione in cui non si è capaci di nessun altro moto dello spirito se non quello morale, l'unico dunque in cui vi sia una morale senza interruzione, anche se consiste soltanto in questo: che tutte le azioni vi galleggiano senza base. E Agathe non faceva nient'altro che tendere la mano in quella direzione. Essa era la creatura che stende la mano, e al posto delle riflessioni di Ulrich apparvero i corpi e le immagini del mondo reale. Tutto ciò che egli aveva pensato gli sembrò allora temporeggiamento e trapasso. Voleva "stare a vedere" ciò che sarebbe venuto fuori dal capriccio di Agathe, e in quel momento non gli importava niente che la misteriosa promessa avesse avuto inizio con un'azione disonorevole secondo i concetti comuni. Non c'era altro da fare che vedere se la morale del "salire e scendere" si poteva applicare al caso come quella semplice dell'onestà. E Ulrich ricordò che la sorella gli aveva chiesto appassionatamente se lui stesso credeva a quel che le diceva; ma oggi come allora non avrebbe potuto rispondere di sì. Dovette confessare a se stesso che aspettava Agathe per darle una risposta.

Trillò il telefono; era Walter che lo investì subitamente con precipitose spiegazioni, in un flusso di parole affastellate. Ulrich ascoltò indifferente e cortese, e quando depose il ricevitore e si raddrizzò sentiva ancor sempre il segnale del campanello finalmente cessato; profondità e oscurità tornarono a riempire benefiche lo spazio, ma egli non avrebbe saputo dire se si trattava di suono o di colore, era come una profondità di tutti i sensi. Prese sorridendo il foglio di carta sul quale aveva incominciato la lettera alla sorella e prima di uscire dalla stanza lo lacerò lentamente in minutissimi pezzi.

19.Verso Moosbrugger

Alla stessa ora Walter, Clarisse e il profeta Meingast erano seduti intorno a una zuppiera piena di ravanelli, mandarini, mandorle tostate, ricotta e grosse prugne secche di Bosnia e mangiavano quella cena squisita e sana, come tutte le sere. Sul torso un po' scarno il profeta indossava soltanto la sua giacca di lana, e di tanto in tanto elogiava i piaceri naturali che gli erano offerti, mentre Siegmund, il fratello di Clarisse, seduto un po' in disparte con guanti e cappello, riferiva un nuovo colloquio avuto col dottor Friedenthal, assistente della Clinica psichiatrica, allo scopo di ottenere a "quella pazza" di sua sorella un incontro con Moosbrugger.

- Friedenthal insiste nel dichiarare che ci vuole un permesso del Tribunale, - concluse disinvolto, - e il Tribunale non si accontenta della richiesta della Lega Assistenziale "Ultima ora" che io vi ho procurato, ma pretende una presentazione dell'Ambasciata, giacché purtroppo abbiamo inventato che Clarisse è forestiera. Sicché non c'è altro da fare: bisogna che il dottor Meingast vada domani alla Legazione Svizzera.

Siegmund rassomigliava alla sorella, il suo naso però era meno espressivo, quantunque egli fosse il maggiore. A chi guardava i fratelli l'uno accanto all'altro, naso, bocca e occhi nella faccia smorta di Clarisse apparivano come crepe in una terra arida, mentre gli stessi tratti nel volto di Siegmund avevano le linee molli e un po' cancellate di un terreno erboso, benché egli fosse tutto rasato tranne un piccolo

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paio di baffi. Il suo aspetto non aveva ancora perso quanto quello di Clarisse il carattere borghese, e gli dava una inconsapevole naturalezza, anche nel momento in cui disponeva con tanta sfacciataggine del tempo prezioso di un filosofo. Nessuno si sarebbe meravigliato se la folgore si fosse abbattuta sul piatto di ravanelli, ma il grand'uomo accolse la proposta con benignità - fatto considerato dai suoi ammiratori come un memorabilissimo avvenimento - e sbatté gli occhi come un'aquila che tollera accanto a sé sul ramo un passerotto.

Tuttavia la tensione sorta improvvisamente e non sufficientemente scaricata fece perdere a Walter il controllo di sé. Egli spinse via il piatto, era rosso come una nuvoletta all'aurora, e dichiarò con energia che una persona normale, se non era medico o infermiere, non aveva nulla da fare in un manicomio. Anche questa affermazione fu approvata dal Maestro con un ammiccare quasi impercettibile. Siegmund, che lo vide e che nel corso della sua vita aveva molto imparato, integrò quell'assentimento con le sane parole:

- In verità è una schifosa abitudine della borghesia benestante quella di vedere nei pazzi e nei delinquenti alcunché di demoniaco.

- E allora spiegatemi una buona volta, - esclamò Walter, - perché volete tutti aiutare Clarisse a far qualcosa che non approvate e che la renderà ancor più nervosa!

La moglie non lo degnò di una risposta. Fece un viso sgradevole, con un'espressione lontana dalla realtà che destava un senso di disagio; due solchi lunghi e alteri scendevano giù lungo il naso, e il mento era duro e aguzzo. Siegmund non si riteneva né in dovere né in diritto di parlare per altri. Così alla domanda di Walter seguì un breve silenzio, finché Meingast disse piano e tranquillo:

- Clarisse ha avuto un'impressione troppo forte, bisogna tenerne conto.- Quando? - chiese Walter ad alta voce.- Pochi giorni fa; quella sera alla finestra.Walter impallidì, perché era l'unico che non lo sapeva ancora, mentre Clarisse evidentemente si era

confidata con Meingast e perfino col fratello. "Ma è fatta così!" pensò.Ebbe a un tratto, al di là della zuppiera con la frutta, la sensazione - in fondo abbastanza gratuita -

che essi tutti fossero di una diecina d'anni più giovani. Era il tempo in cui Meingast, ancora il vecchio Meingast prima della metamorfosi, si congedava, e Clarisse si decideva per Walter. Più tardi ella gli aveva confessato che Meingast, pur avendo già rinunziato a lei, qualche volta l'aveva ancora baciata e accarezzata. Il ricordo era come l'ampio movimento di un'altalena. Sempre più in alto era salito Walter, e tutto allora gli riusciva anche se ogni tanto precipitava in basso. Ed anche allora Clarisse, quando Meingast era vicino, non poteva parlare con Walter; gli toccava sovente apprendere dagli altri ciò che ella faceva e pensava. In sua compagnia s'irrigidiva.

- Quando tu mi tocchi, mi sento tutta rigida! - gli aveva detto. - Il mio corpo diventa serio, è tutt'altra cosa che con Meingast! - E quando Walter la baciò per la prima volta, ella gli disse:

- Ho promesso alla mamma di non fare mai una cosa simile!Eppure gli confessò in seguito che Meingast le faceva sempre piedino sotto la tavola. Ma era

l'influsso di Walter! Il rigoglio di fioritura interiore che egli aveva suscitato in lei le impediva di lasciarsi andare liberamente, così egli spiegava la cosa a se stesso.

E ricordò le lettere scambiate in quel tempo con Clarisse; era persuaso ancor oggi che per passione e originalità potessero reggere a ogni confronto, anche se si fosse frugata la letteratura mondiale. In quel periodo tempestoso egli puniva Clarisse fuggendo via quando lei permetteva a Meingast di starle vicino, e poi le scriveva una lettera; e anche lei gli scriveva lettere in cui lo assicurava della sua fedeltà, e lo informava sinceramente che ancora una volta Meingast le aveva baciato un ginocchio attraverso la calza. Walter aveva avuto l'idea di pubblicare quell'epistolario in volume e ancora adesso pensava talvolta che un giorno o l'altro l'avrebbe fatto. Disgraziatamente finora non ne era nato nient'altro che un malinteso, ricco di conseguenze, con l'istitutrice di Clarisse. A costei infatti Walter aveva detto un giorno: - Vedrà, entro pochissimo tempo riparerò a tutto!

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Egli l'aveva inteso a modo suo, immaginando cioè la grande giustificazione che avrebbe ottenuto davanti alla famiglia quando la pubblicazione delle Lettere l'avesse reso celebre; perché, a rigore, qualcosa tra lui e Clarisse non era precisamente come doveva essere. Ma l'istitutrice di Clarisse un'eredità di famiglia alla quale passavano vitto e alloggio sotto l'onorevole scusa che era una specie di vicemadre - lo capì alla rovescia e secondo il proprio punto di vista, cosicché si sparse tosto nella famiglia la voce che Walter voleva far qualcosa per poter ottenere la mano di Clarisse; e quando ciò venne fuori, ne sorsero stranissime felicità e costrizioni. La vera vita era sbocciata di colpo: il padre di Walter dichiarò che non voleva più provvedere a suo figlio se lui da sé non guadagnava qualcosa; il futuro suocero lo fece venire nel suo studio e gli parlò delle difficoltà e delle delusioni dell'arte pura, che fosse figurativa, musicale o poetica, per Walter stesso e per Clarisse l'idea divenuta a un tratto concreta di metter su casa, con stanza da letto in comune e futuri bambini, fu come un graffio nella pelle che non può guarire perché involontariamente si continua sempre a grattare. Così accadde che Walter poche settimane dopo la sua affermazione prematura si fidanzò per davvero con Clarisse, il che li fece entrambi molto felici ma anche molto agitati, perché da allora incominciò quella ricerca di stabilità nella vita resa tanto difficile dal fatto (complicato con tutte le difficoltà in cui si dibatteva l'Europa) che la posizione vagheggiata da Walter nel suo incostante errare non era determinata soltanto da ragioni finanziarie ma anche dalle sei ripercussioni risultanti, su Clarisse, su di lui, sull'erotismo, la poesia, la musica e la pittura. In fondo erano usciti dai vortici successivi, che li avevano travolti nel momento in cui egli s'era lasciato andare alla loquacità in presenza della vecchia Mademoiselle, solo quando lui aveva ottenuto il posto alla sovrintendenza ai monumenti ed era entrato con Clarisse nella modesta casa dove il loro destino avrebbe continuato a svolgersi.

E in fondo, pensava Walter, sarebbe stata una bella cosa se il destino ormai li avesse lasciati in pace; in tal caso la fine non sarebbe stata proprio come prometteva il principio, ma le mele, quando sono mature, cadono dall'albero all'ingiù e non all'insù.

Così pensava Walter e guardava intanto, al di là dell'insalatiera col suo variopinto contenuto vegetale, la testolina di sua moglie; Clarisse si sforzava con la massima obiettività, anzi con l'obiettività dello stesso Meingast, di integrarne le parole.

- Bisogna che io faccia qualcosa per diminuire quell'impressione; Meingast dice che è stata troppo forte per me, - ella spiegò, e aggiunse di suo: - Certo non è accaduto per caso che quell'uomo si sia cacciato fra i cespugli proprio sotto la mia finestra!

- Sciocchezze! - protestò Walter, come un dormiente che scaccia una mosca: - Era anche la mia finestra!

- La nostra finestra, allora! - rettificò Clarisse con un sorriso che le divideva appena le labbra e nella sua ambiguità non lasciava indovinare se esprimesse amarezza o ironia. L'abbiamo attirato noi. E vuoi che ti dica come si può chiamare quello... che l'uomo faceva? Era un furto di soddisfazione sessuale!

Walter si sentiva dolere la testa: era piena zeppa di passato, e il presente vi si incuneava dentro senza che la differenza fra presente e passato fosse convincente. C'erano ancora cespugli che nel capo di Walter si addensavano in chiare masse di fogliame attraversate da viottoli per le biciclette. La temerarietà di lunghe gite e passeggiate era come rivissuta. Di nuovo ondeggiavano gonne di fanciulle, che in quegli anni per la prima volta scoprivano audacemente le caviglie e negli inconsueti gesti sportivi lasciavano spumeggiare l'orlo di candide sottovesti. L'ammissione di Walter che fra lui e Clarisse vi fosse allora "qualcosa che non era come avrebbe dovuto essere" era un'interpretazione assai benevola della realtà, perché a dire il vero durante quelle gite in bicicletta nella primavera del loro anno di fidanzamento era successo tutto quello che può succedere senza che una fanciulla cessi di restare giusto giusto vergine. "Quasi incredibile in una ragazza per bene", pensò Walter ripensandoci con delizia. Clarisse lo chiamava "prender su di sé i peccati di Meingast" il quale allora portava ancora un altro nome ed era partito da poco per l'estero. - Sarebbe una vigliaccheria non più essere sensuali perché lui lo è stato! - Così diceva Clarisse, e aveva proclamato: - Ma noi lo vogliamo spiritualmente!

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Walter talora si crucciava che quei procedimenti fossero troppo strettamente connessi con colui che da poco aveva sgombrato il terreno, ma Clarisse replicava:

- Quando si hanno alte aspirazioni, come noi ad esempio nel campo dell'arte, non è lecito tormentarsi per altro.

E così Walter ricordava con quanto zelo avevano distrutto il passato ripetendolo in uno spirito nuovo, e con quanto piacere avevano scoperto la magica facoltà di scusare gli illeciti godimenti fisici attribuendo loro una funzione superpersonale. Clarisse in quel periodo aveva sviluppato effettivamente nella lascivia la stessa specie di energia che aveva posto in seguito nel rifiutarsi, ammise Walter fra sé, e, lasciando per un attimo la coerenza, un pensiero ribelle gli disse che i seni di lei erano ancor oggi rigidi come allora. Tutti lo potevano vedere anche attraverso i vestiti. Anzi Meingast stava proprio guardandole il seno forse senza saperlo. "I suoi seni sono muti!" declamò Walter fra sé con ricchezza di sottintesi, come se fosse un sogno o una poesia; e intanto quasi allo stesso modo anche il presente si fece strada attraverso l'imbottitura del sentimento.

- Dica, Clarisse, che cosa pensa! - egli udì Meingast esortare Clarisse in tono incoraggiante come un medico o un maestro; per chi sa quale ragione ogni tanto il reduce ricadeva nel "lei".

Oltre a ciò, Walter notò che Clarisse guardava Meingast con aria interrogativa.- Lei mi ha raccontato di un certo Moosbrugger, un falegname... - Clarisse l'osservava.- Chi altri faceva il falegname? Il Redentore! Non l'ha detto lei? mi ha persino narrato di aver scritto

per questo una lettera a non so quale personaggio influente.- Smettetela! - interruppe Walter. Gli girava la testa. Ma appena espressa la sua ribellione, si accorse a

un tratto che anche di quella lettera non sapeva niente, e straccamente disse:- Che cos'è questa lettera?Nessuno gli diede risposta. Meingast non gli badò e disse: - è uno dei principali problemi del nostro

tempo. Noi non siamo in grado di liberarci da soli, su ciò non v'è dubbio; questo noi lo chiamiamo democrazia, ma è soltanto il termine politico per la condizione psichica: si può fare così ma anche in altro modo. Noi siamo l'epoca della scheda elettorale. Ogni anno eleggiamo col voto il nostro ideale sessuale, la reginetta di bellezza, e se abbiamo fatto della scienza positiva il nostro ideale spirituale, ciò vuol dire soltanto mettere la scheda in mano ai cosiddetti fatti perché votino essi in nostra vece. Il tempo presente è antifilosofico e vile, non ha il coraggio di decidere che cosa ha valore e che cosa non ne ha, e democrazia, per dirlo con la massima concisione, significa: "Fai quello che accade" Sia detto di sfuggita, è uno dei più vergognosi circoli chiusi che ci sia stato finora nella storia della nostra razza.

Il profeta aveva rotto e sgusciato rabbiosamente una noce, e ora ne introduceva in bocca i pezzetti. Nessuno lo aveva capito. Egli interruppe il discorso per mettere le proprie mascelle in un lento moto masticatorio al quale partecipava anche la punta del naso leggermente schiacciata, mentre il resto del volto rimaneva asceticamente immobile; ma non staccò da Clarisse lo sguardo posato suppergiù sul suo seno. Senza volerlo anche gli occhi degli altri due uomini abbandonarono il viso del Maestro e seguirono il suo sguardo assente. Clarisse si sentì avvolta da una forza di attrazione e risucchio come se, alla lunga, quei sei occhi potessero farla uscire fuori di se stessa. Ma il Maestro inghiottì con sforzo l'ultimo pezzetto di noce e riprese il suo argomento:

- Clarisse ha scoperto che la leggenda cristiana assegna al Salvatore il mestiere di falegname: anzi, non è proprio esatto, il falegname veramente è il padre putativo. Clarisse naturalmente sbaglia nel voler trarre una conseguenza dal fatto che un delinquente dal quale lei è rimasta impressionata faccia per caso il falegname. Intellettualmente la cosa è al di sotto d'ogni critica. Moralmente è una leggerezza. E tuttavia dimostra un certo coraggio: questo sì!

Meingast si fermò per lasciare che la parola "coraggio" pronunciata con energia producesse il suo effetto. Poi continuò tranquillamente:

- Pochi giorni fa, come è successo anche a noi, ella ha visto uno psicopatico esibizionista; e ne esagera l'importanza; già oggidì si sopravvalutano sempre i fatti sessuali; ma Clarisse dice: "Non è puro

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caso, che quell'uomo sia venuto proprio sotto le mie finestre" Ed ora cerchiamo di vederci chiaro! L'affermazione è sbagliata, perché dal punto di vista causale l'incontro è naturalmente un caso fortuito. Tuttavia Clarisse dice: "Se io considero ogni cosa come già spiegata, l'uomo non potrà mai mutare nulla nel mondo" Ella giudica inspiegabile che un assassino, chiamato, se non erro, Moosbrugger, sia per l'appunto un falegname; giudica inspiegabile che uno sconosciuto, malato di pervertimenti sessuali, venga a mettersi proprio sotto la sua finestra, e allora si è abituata a considerare inspiegabili anche altri fatti che le accadono, cosicché... - e di nuovo Meingast lasciò per un attimo in sospeso l'uditorio; all'ultimo la sua voce aveva fatto pensare ai movimenti di un uomo risoluto che avanza con somma cautela sulla punta dei piedi, ed ora ecco l'uomo attaccava: - E perciò ella farà qualcosa! - dichiarò Meingast con fermezza.

Clarisse si sentì venir freddo.- Ripeto, - disse Meingast, - che intellettualmente non la si può criticare. Ma l'intellettualità, come

ben sappiamo, non è che l'espressione, o lo strumento, di una vita inaridita; per conseguenza ciò che Clarisse esprime proviene probabilmente già da un'altra sfera: quella della volontà. Si può prevedere che Clarisse non potrà mai spiegare ciò che le accade. Ma forse lo potrà risolvere: ed essa lo chiama già molto giustamente "liberazione", il suo istinto le suggerisce la parola esatta. Ben potrebbe infatti uno di noi dire che gli sembra una follia o che Clarisse è debole di nervi; ma ciò non avrebbe nessuno scopo: al presente il mondo è così privo di follia che di nessuna cosa sa mai se debba odiarla o amarla, e poiché tutto è bivalente, tutti gli uomini sono nevrastenici e pusillanimi. In una parola, - concluse il profeta improvvisamente, - per il filosofo non è facile rinunziare alla conoscenza, ma forse la grande scoperta del ventesimo secolo è che bisognerebbe farlo. Per me la presenza a Ginevra di un maestro francese di boxe è oggi un fatto più importante che non l'avervi un tempo Rousseau svolto le sue analisi.

Meingast, ormai lanciato, avrebbe seguitato a parlare. Primo, sul concetto di liberazione che è sempre stato antintellettuale. "Nulla di meglio si può dunque augurare al mondo che una buona potente follia", questa frase l'aveva già addirittura sulla punta della lingua, ma poi l'aveva ringhiottita a favore dell'altra conclusione. Secondo, sul significato anche fisico del concetto di liberazione, il quale ci dice che solo le azioni possono liberare, vicende cioè che coinvolgono tutto quanto l'individuo. Terzo, avrebbe voluto dire che il superintellettualismo dell'uomo può portare in date circostanze la donna ad assumere istintivamente l'iniziativa dell'azione, e Clarisse ne era uno dei primi esempi. Finalmente avrebbe descritto l'evolversi della idea del riscatto attraverso la storia dei popoli in generale, e spiegato come in questa evoluzione il secolare predominio della credenza che l'idea di un riscatto derivi soltanto dal sentimento religioso ceda ormai il posto all'intuizione che essa deve essere suscitata da una fermissima volontà e se è necessario anche dalla violenza. Giacché la liberazione del mondo mediante la violenza era per il momento il fulcro dei suoi pensieri. Ma Clarisse intanto aveva sentito divenire insopportabile quella suggente forza dell'attenzione a lei rivolta e tagliò la parola al Maestro rivolgendosi a Siegmund come al punto di minor resistenza e dicendogli a voce molto alta:

- Te l'ho detto: si può capire soltanto ciò che noi pure si fa: perciò dobbiamo andare anche noi in manicomio!

Walter che per darsi un contegno pelava un mandarino, in quel momento tagliò troppo profondo e uno schizzo bruciante gli entrò nell'occhio, cosicché egli diede un balzo e cercò il fazzoletto. Siegmund, vestito come sempre con molta cura, contemplò dapprima con interesse l'effetto del liquido corrosivo sull'occhio del cognato, poi i guanti di cinghiale che come una natura morta della rispettabilità gli posavano sulle ginocchia insieme con la bombetta dura e rotonda; e solo quando fu certo che la sorella non gli toglieva gli occhi di dosso e che nessuno rispondeva per lui, guardò in su crollando gravemente il capo e mormorò con rassegnazione:

- Non ho mai messo in dubbio che tutti quanti ci staremmo benissimo in manicomio. - Clarisse allora si rivolse a Meingast e disse:

- Dell'Azione Parallela ti ho già raccontato: anche quella sarebbe un'immensa possibilità e un dovere

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di farla finita col lasciar correre e col "si può far questo ma anche il contrario" che è il delitto del secolo!Il Maestro si schermì sorridendo.Clarisse, riboccante d'entusiasmo per la propria importanza, esclamò con protervia, in parole un po'

rotte:- Una donna che accorda a un uomo ciò che gli indebolisce lo spirito è anch'essa una delinquente

sessuale!Meingast ammonì:- Dobbiamo pensare solo ai casi comuni! D'altronde per quel che dicevi prima ti posso rassicurare;

già da un pezzo mando i miei osservatori e i miei fiduciari a quelle assemblee un po' ridicole in cui la democrazia moribonda si sforza ancora di partorire una grande missione!

A Clarisse parve di avere del ghiaccio alla radice dei capelli.Inutilmente Walter tentò nuovamente di scongiurare la burrasca. Lottando con grande rispetto

contro Meingast, in tono ben diverso da quello che avrebbe usato, ad esempio, con Ulrich, gli rivolse queste parole:

- Tu dici precisamente quello che io vado predicando da tanto tempo: che bisogna dipingere soltanto con colori puri. Bisogna abolire le mezze tinte, le sbiaditure, i compromessi con la vacuità, con la vigliaccheria dello sguardo che non osa più vedere che ogni cosa ha un contorno fermo e un colore locale; io lo dico in termini di pittura e tu di filosofia. Ma anche se siamo della stessa opinione... improvvisamente egli s'impappinò e sentì che non poteva dire davanti agli altri perché temesse l'incontro di Clarisse col mentecatto: - No, non desidero che Clarisse lo faccia, esclamò, - e non lo farà col mio consenso!

Il Maestro aveva ascoltato benignamente e poi gli rispose con gentilezza come se nessuna di quelle importanti dichiarazioni gli fosse penetrata nell'orecchio:

- Del resto Clarisse ha espresso molto bene un'altra cosa: ha detto che noi tutti oltre alla "forma peccaminosa" sotto cui viviamo, abbiamo anche una forma innocente: una bella interpretazione di quest'idea sarebbe che la nostra immaginazione, indipendentemente dal mondo meschino cosiddetto dell'esperienza, ha adito a un mondo di splendore dove noi nei momenti di chiarezza sentiamo muovere la nostra immagine secondo una dinamica mille volte diversa! Come aveva detto, Clarisse? - le chiese incoraggiante, rivolgendosi a lei. - Non aveva sostenuto che se le riuscisse di abbracciare senza ribrezzo la causa di quello scellerato, di entrare nella sua cella e ivi suonare il pianoforte giorno e notte instancabilmente, potrebbe trarre fuori da lui i suoi peccati, prenderli su di sé e sollevarsi con essi? Naturalmente, osservò rivolgendosi di nuovo a Walter, - questo non va preso alla lettera, è un processo intimo dell'anima contemporanea che, sotto il velame della parabola di quest'uomo, si consegna alla sua volontà...

In quel momento era incerto se dire ancora qualcosa sulla relazione di Clarisse con la storia del concetto di redenzione o se non sarebbe stato più attraente spiegarle ancora una volta a quattr'occhi la sua missione di guida; ma ormai ella era balzata su dal suo posto come un bimbo troppo eccitato, lanciò in alto il braccio col pugno chiuso, sorrise tra vergognosa e dispotica e tagliò corto agli elogi con il grido stridulo:

- Avanti, andiamo da Moosbrugger!- Ma non abbiamo ancora trovato nessuno che ci procuri il colloquio, - osservò Siegmund.- Io non ci vengo, - affermò Walter risolutamente.- Io non posso accettare favori da uno Stato che si arroga il privilegio della libertà e dell'eguaglianza

applicandolo a tutti i prezzi e le condizioni, - dichiarò Meingast.- Allora il permesso ce lo deve procurare Ulrich! - esclamò Clarisse.Gli altri aderirono volentieri alla proposta che dopo sforzi certamente gravosi li dispensava fino a

nuovo ordine, e anche Walter nonostante la sua riluttanza dovette accettare l'incarico di telefonare dal negozio più vicino all'amico di cui s'invocava l'aiuto. La lettera che Ulrich stava scrivendo ad Agathe fu

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interrotta definitivamente da quella telefonata. Con stupore egli udì la voce di Walter e ascoltò l'ambasciata. C'eran vari modi di giudicare la cosa, soggiunse Walter di suo, ma non lo si poteva considerare un puro capriccio. Forse da qualche parte bisognava incominciare e non era poi tanto importante da quale. Naturalmente anche l'entrare dell'individuo Moosbrugger in quella concatenazione di fatti era soltanto un caso; ma Clarisse possedeva una così strana spontaneità; il suo pensiero era sempre immediato; come i quadri moderni a tinte pure, non mescolate, che appaiono duri e tutti d'un pezzo, ma, quando se ne è assimilato lo spirito, spesso si rivelano sorprendentemente veri. Al telefono non poteva spiegarsi fino in fondo; pregava Ulrich di non piantarlo in asso...

Ulrich era contento di esser stato distolto dalla sua lettera e accettò l'invito benché non vi fosse un rapporto ragionevole fra la lunghezza del percorso e il breve quarto d'ora che poteva passare con Clarisse; perché ella era invitata a cena dai suoi genitori con Walter e Siegmund. Durante il tragitto Ulrich si stupì di non aver più pensato a Moosbrugger da tanto tempo; toccava sempre a Clarisse di ricordarglielo, e sì che una volta quell'uomo gli si riaffacciava quasi continuamente al pensiero. Neppure nella zona buia che Ulrich attraversava dall'ultima stazione della tranvia alla casa dei suoi amici v'era posto per quello spettro; il vuoto donde usciva si era richiuso. Ulrich ne prese atto con soddisfazione e con quel leggero senso d'incertezza che risulta dai cambiamenti la cui importanza è più chiara della loro causa. Tagliava compiaciuto l'oscurità rada con la nerezza più solida del proprio corpo quando Walter, che aveva paura in quel luogo solitario ma che desiderava parlargli prima che s'incontrasse con gli altri, gli venne incontro a passi malcerti. Walter riprese vivacemente le sue spiegazioni al punto dove le aveva interrotte. Aveva l'aria di voler difendere sé e anche Clarisse dalle interpretazioni errate. Anche a giudicare sconclusionate le fantasie di sua moglie, egli disse, ci si scontrava dappertutto a un elemento patologico che faceva veramente parte del tempo; era la facoltà più curiosa di Clarisse, e l'assomigliava alla bacchetta d'un rabdomante che rivela le cose nascoste. In questo caso la necessità di sostituire di nuovo i "valori", il comportamento passivo, esclusivamente intellettuale e sensibile, dell'uomo contemporaneo; l'intelligenza del tempo presente infatti non aveva lasciato sussistere nemmeno un punto solido, e per conseguenza solo la volontà, e se non era possibile altrimenti anche soltanto la violenza poteva stabilire una nuova gerarchia di valori dove l'uomo avrebbe trovato il principio e la fine della propria essenza intima... così egli ripeteva con esitazione e tuttavia con entusiasmo le parole udite da Meingast.

Ulrich, che lo indovinò, gli chiese irritato:- Perché ti esprimi con tanta magniloquenza? è il vostro profeta, scommetto! Prima non c'era mai

nulla per te di abbastanza semplice e naturale!Walter lo lasciò dire per amore di Clarisse, perché l'amico non rifiutasse il suo aiuto; ma se ci fosse

stato un solo filo di luce in quella notte senza luna gli si sarebbero visti lampeggiare i denti nella bocca impotentemente contratta. Non replicò ma la collera repressa lo infiacchiva, e anche la vicinanza del muscoloso compagno che lo proteggeva contro la solitudine un poco inquietante. All'improvviso disse:

- Immaginati di avere una moglie che ami e di incontrare un uomo che ammiri; ti accorgi che anche tua moglie lo ammira e lo ama; ed entrambi sentite con amore, gelosia e ammirazione la superiorità irraggiungibile di quest'uomo.

- Non ho voglia di fare questo sforzo d'immaginazione! - Ulrich avrebbe dovuto ascoltarlo, ma alzò le spalle ridendo mentre lo interrompeva.

Walter gli lanciò un'occhiata velenosa. Aveva voluto chiedere: "Che cosa faresti tu in un simile caso?" Ma tra i due amici d'infanzia si ripeté il vecchio gioco. Mentre attraversavano la penombra dell'androne, egli esclamò:

- Non fingere: non sei poi presuntuoso fino all'insensibilità!E poi dovette correre per raggiungere Ulrich e sulla scala dirgli ancora sottovoce tutto ciò che

doveva sapere.- Che cosa ti ha raccontato Walter? - domandò Clarisse quando furon di sopra.

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- Lo posso dire, - rispose Ulrich senz'altro, - ma dubito che sia una cosa ragionevole.- Hai sentito? la sua prima parola è "ragionevole", - esclamò Clarisse ridendo, rivolta a Meingast.

Andava e veniva fra l'armadio dei vestiti, il lavabo, lo specchio e la porta semiaperta che metteva dalla sua stanza in quella dov'erano rimasti gli uomini. Ogni tanto la si vedeva; col viso bagnato e i capelli sciolti, con le trecce appuntate, con le gambe nude, con le calze e senza scarpe, con la lunga gonna dell'abito da sera ma con il busto ancora avvolto in un accappatoio che pareva un camice da ospedale... quell'apparire e sparire le faceva bene.

- Ballo su una corda di luce! - gridò rivolta verso la stanza. Gli uomini sorrisero, solo Siegmund guardò l'orologio e la invitò pedantemente a spicciarsi. Tutto quell'andirivieni gli pareva un esercizio ginnastico.

Poi Clarisse "su un raggio di luce" scivolò in un angolo della camera per prendere una spilla e sbatté il cassetto del comodino.

- Mi preparo più presto di un uomo! - replicò rivolta a Siegmund, ma allibì notando il doppio senso di quel "prepararsi" che in quel momento significava per lei tanto abbigliarsi quanto apparecchiarsi per un misterioso destino. Terminò in fretta di vestirsi, sporse la testa dalla porta e guardò con viso serio gli amici, l'uno dopo l'altro. Chi non l'interpretava come uno scherzo avrebbe potuto sentirsi sgomento, perché in quella faccia grave si era spenta ogni espressione di salute e di normalità. Clarisse si inchinò davanti ai quattro uomini e disse in tono solenne:

- Ecco, mi sono preparata al mio destino! - Ma quando si rialzò aveva ripreso l'aspetto consueto, anzi era più graziosa che mai, e suo fratello esclamò:

- Avanti, marsc! A papà non piace che si arrivi tardi per cena!Mentre andavano tutti e quattro verso il tram - Meingast era scomparso senza salutare - Ulrich

rimase un po' indietro con Siegmund e gli chiese se negli ultimi tempi non si crucciava per la sorella. La sigaretta accesa di Siegmund descrisse nel buio un arco ascendente.

- Senza dubbio non è normale, - egli rispose. - Ma è normale Meingast? O lo stesso Walter? E suonare il piano è forse normale? è uno stato emotivo fuori della norma, collegato con un tremito delle articolazioni delle mani e dei piedi. Per un medico non v'è nulla di normale. Ma se lei me lo chiede seriamente, ecco la mia risposta: mia sorella è un po' sovreccitata e io credo che migliorerà quando il Gran Maestro sarà partito. Che cosa pensa di lui, Ulrich? - Egli aveva sottolineato i due futuri con un pizzico di malignità.

- È un chiacchierone! - sentenziò Ulrich.- Nevvero? - esclamò Siegmund contento. - Disgustoso, proprio disgustoso!- Ma la sua filosofia è interessante, non lo si può negare! aggiunse poi dopo un breve silenzio.

20.Il conte Leinsdorf dispera del capitale e della cultura

Così fu che Ulrich ritornò dal conte Leinsdorf.Trovò Sua Signoria a tavolino, circondato da silenzio, devozione, solennità e bellezza; aveva davanti

il giornale, appoggiato a un alto mucchio di documenti, e lo stava leggendo. Il conte scosse la testa angosciato dopo aver ripetuto a Ulrich le proprie condoglianze.

- Suo padre era uno degli ultimi autentici rappresentanti del capitale e della cultura, - egli disse. - Ricordo benissimo gli anni in cui sedevo con lui al Parlamento boemo: egli ben meritava la fiducia che sempre riponemmo in lui!

Per cortesia Ulrich chiese quali progressi avesse compiuto l'Azione Parallela durante la sua assenza.- Dopo quel tafferuglio davanti a casa mia, al quale lei pure ha assistito, s'è iniziata una "Inchiesta per

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registrare i desideri dei circoli interessati della popolazione riguardo alla riforma amministrativa", - riferì il conte Leinsdorf. - Il presidente del consiglio in persona ha voluto per ora affidarla a noi, perché con la nostra iniziativa patriottica ci siamo guadagnati per così dire la fiducia generale.

Con viso serissimo Ulrich assicurò che il nome ad ogni modo era molto ben scelto e garantiva un certo effetto.

- Sì, molto dipende da un'espressione felice, - opinò Sua Signoria con aria meditabonda, e improvvisamente chiese: - Che ne dice di quella storia con gli impiegati municipali di Trieste? Mi sembra che era proprio ora che il governo prendesse un atteggiamento risoluto!

Fece per porgere a Ulrich il giornale che al suo ingresso aveva ripiegato; ma all'ultimo momento cambiò idea, lo spiegò egli stesso e con vivacità lesse al suo visitatore un lunghissimo comunicato. - Crede che vi sia al mondo un altro Stato dove possono succedere simili cose? - chiese quando ebbe finito. - Da anni la città austriaca di Trieste assume soltanto impiegati italiani, per affermare la sua appartenenza all'Italia e non all'Austria. Mi trovai là una volta nel giorno anniversario dell'Imperatore: non vidi in tutta Trieste una sola bandiera, tranne che al Governatorato, all'Esattoria, alle carceri e alle due o tre caserme! Se invece lei entra in un ufficio di Trieste nel giorno natalizio del re d'Italia non trova un impiegato senza un fiore all'occhiello!

- E perché lo si è tollerato finora? - s'informò Ulrich.- Perché non si dovrebbe tollerarlo? - ribatté il conte Leinsdorf di malumore. - Se il governo

costringesse il municipio di Trieste a licenziare gli impiegati stranieri si direbbe subito che noi vogliamo germanizzarlo. E qualsiasi governo teme un'accusa di questo genere. Anche Sua Maestà ne ha paura. Non siamo mica prussiani!

A Ulrich pareva di ricordare che la città costiera e portuale di Trieste era stata fondata su suolo sloveno dalla Repubblica di Venezia e oggi conteneva una grossa popolazione slava; anche a considerarla una faccenda privata dei suoi abitanti benché fosse inoltre la porta di commercio con l'Oriente e la sua prosperità dipendesse dunque dall'Austria-Ungheria - non si poteva ignorare il fatto che la piccola borghesia slava, assai numerosa, contestava vivacemente alla privilegiata alta borghesia di lingua italiana il diritto di considerarsi padrona della città. Ulrich lo disse.

- Esatto, - ammonì il conte Leinsdorf, - ma appena si dica che noi germanizziamo ecco gli sloveni far subito lega con gli italiani, anche se si sono accapigliati fino al giorno prima! In tal caso gli italiani avrebbero l'appoggio di tutte le altre nazioni. S'è già visto più volte. Se vogliamo essere realisti dobbiamo riconoscere, volenti o nolenti, che il pericolo per la nostra concordia è la Germania! - Il conte Leinsdorf aveva parlato con aria molto pensosa, e così rimase per un poco, giacché aveva toccato la grande concezione politica che lo travagliava senza apparirgli finora nettamente. A un tratto si rianimò e concluse rasserenato: - Ma questa volta almeno glielo abbiamo detto chiaro!

Con un fremito d'impazienza si rimise gli occhiali sul naso e lesse a Ulrich, assaporando le parole, tutti i passi del decreto emanato dal governatore di Trieste che più gli erano piaciuti.

- "I moniti ripetuti delle Autorità Governative non hanno finora portato alcun frutto... Nocumento ai figli della Nazione... Di fronte a questo contegno ostinatamente mantenuto a malgrado delle ordinanze governative, il Governatore di Trieste si è veduto costretto a intervenire per far rispettare le disposizioni di legge" Non le sembra un linguaggio molto dignitoso? - egli osservò interrompendo. Alzò il capo ma lo riabbassò subito perché correva già col desiderio alla frase finale la cui urbana solennità burocratica fu dalla sua voce sottolineata con estetica soddisfazione: - "Inoltre, - recitò, il governatorato si riserva di sottoporre a benevolo esame ogni eventuale richiesta di cittadinanza, in quanto un lungo servizio presso il Comune nonché un contegno irreprensibile la rendano degna di essere presa eccezionalmente in considerazione; e l'imperial-regio Governatorato è disposto in tali casi a procrastinare fino a nuovo ordine, pur mantenendo completamente il proprio punto di vista, l'immediata esecuzione del presente decreto!" Così avrebbe sempre dovuto parlare il Governo! esclamò il conte Leinsdorf.

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- Non pare a Vostra Signoria che quella conclusione... lasci tutto al punto di prima? - chiese Ulrich dopo una pausa, quando il serpente di quella eloquenza curialesca gli fu sparito negli orecchi con tutta la coda.

- Sì, questa è la questione! - rispose Sua Signoria, e per un buon minuto fece girare un pollice intorno all'altro, com'era sua abitudine quando lo travagliavano gravi meditazioni. Poi guardò Ulrich con aria indagatrice e gli aprì il suo pensiero.

- Ricorda che il Ministro degli Esteri, quando presenziammo all'inaugurazione della Mostra della Polizia, accennò all'avvento di uno "spirito di severità e di assistenza"? Ebbene, io non pretendo che si mettano in prigione tutti gli elementi sovversivi che hanno fatto baccano sotto le mie finestre, però il Ministro avrebbe dovuto trovare davanti al Parlamento degne parole di deplorazione! - disse con amarezza.

- Io credevo che durante la mia assenza questa deplorazione fosse stata espressa! - esclamò Ulrich fingendo abilmente stupore; perché sentiva che una vera sofferenza affliggeva l'animo del suo protettore e amico.

- Un fico secco! - dichiarò Sua Signoria. Fissò ancora una volta su Ulrich lo sguardo penetrante dei suoi occhi sgranati dal corruccio e seguitò ad aprirgli l'animo suo:

- Ma qualcosa accadrà! - Si raddrizzò e tacendo si addossò allo schienale della poltrona.Aveva chiuso gli occhi. Quando li riaprì cominciò nel tono pacato di una dichiarazione: - Vede, caro

amico, la nostra costituzione dell'anno 1861 ha dato indiscutibilmente alla nazionalità tedesca, e implicitamente alla proprietà e alla cultura tedesche, la preminenza nel sistema di vita che in via sperimentale il Paese ha adottato. Fu un dono grande e generoso di Sua Maestà, la quale dimostrò ai suoi sudditi una fiducia forse prematura; che cosa sono diventate infatti, da allora, la proprietà e la cultura? - Il conte Leinsdorf alzò una mano e con aria rassegnata la lasciò cadere sull'altra. - Quando Sua Maestà nel 1848 salì al trono nella città di Olmütz, e quindi si può ben dire in esilio... - riprese lentamente, ma poi lo colse un senso d'incertezza o di impazienza, con mani tremanti trasse fuori di tasca un foglio di appunti, combatté affannosamente con gli occhiali per metterli ben a posto sul naso e lesse il resto, qua e là con voce rotta e sempre decifrando con sforzo il suo scritto: -.gli tumultuava intorno la sfrenata brama di libertà dei popoli. Egli riuscì a domarne l'esuberanza. Alla fine, pur con qualche concessione alla libertà popolare, rimase lui il vincitore e per giunta un vincitore grazioso e clemente, che aveva perdonato le infrazioni dei suoi sudditi e gli aveva teso la mano per una pace onorevole anche per loro. La costituzione e le altre libertà erano state concesse da lui, veramente, sotto la spinta degli avvenimenti, tuttavia erano un libero atto di volontà del monarca, il frutto della sua saggezza e della sua comprensione, e della fede nel progresso civile dei popoli. Ma questo felice rapporto fra l'Imperatore e il popolo è stato turbato in questi ultimi anni da elementi sovversivi e demagogici... Qui il conte Leinsdorf interruppe la sua esposizione storico-politica, in cui ogni parola era pesata e collocata con cura, e contemplò pensosamente il ritratto del suo antenato, maresciallo e cavaliere di Maria Teresa, che pendeva dalla parete di fronte. E quando lo sguardo di Ulrich in attesa della continuazione attirò il suo, egli disse: - Il resto non si sa ancora.

- Ma come lei vede, negli ultimi tempi io ho molto meditato su queste correlazioni, - soggiunse. - Quel che le ho letto è l'inizio della risposta che il ministro avrebbe dovuto dare al Parlamento dopo la dimostrazione svoltasi contro di me, se egli avesse saputo degnamente occupare la sua carica! L'ho elaborata da me a poco a poco, e posso confidarle che avrò occasione di sottoporla a Sua Maestà appena sarà terminata. Perché, noti bene, la costituzione del 1848 ha dato di proposito la supremazia alla proprietà e alla cultura; in ciò doveva esservi una garanzia; ma dove sono la proprietà e la cultura oggigiorno?

Sembrava molto in collera contro il ministro degli Interni, e per distrarlo Ulrich osservò candidamente che oggi almeno si poteva dire che la proprietà oltre che nelle mani della giustizia era anche in quelle provate della nobiltà feudale.

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- Io non ho niente contro gli ebrei, - assicurò il conte Leinsdorf spontaneamente, come se Ulrich avesse detto qualcosa che richiedeva quella rettifica. - Sono intelligenti, attivi, e fermi nei propositi. Però si è commesso un grave errore dando loro dei nomi poco adatti. Rosenberg e Rosenthal per esempio son nomi patrizi; Löw, Bär (2) e bestie simili sono animali araldici; Meier (3) deriva dalla proprietà fondiaria; Gelb, Blau, Rot, Gold (4) sono colori di stemmi; tutti questi nomi ebraici, - confidò Sua Signoria inaspettatamente, - non furono altro che insolenze della nostra burocrazia contro la nobiltà. Era la nobiltà che si voleva colpire e non gli ebrei, perciò si son dati agli ebrei oltre a quelli anche altri nomi come Abeles, Jüdel o Tröpfelmacher. Questo risentimento della nostra burocrazia contro l'antico patriziato lei lo potrebbe osservare non di rado ancor oggi, - egli prognosticò cupo e dispettoso, come se la lotta dell'amministrazione centrale col feudalesimo non fosse stata già da un pezzo sopravanzata dalla storia e del tutto scomparsa alla vista degli uomini oggi viventi. E in realtà nulla irritava Sua Signoria quanto i privilegi sociali goduti dagli alti funzionari grazie alla loro posizione, anche se portavano i cognomi più plebei. Il conte Leinsdorf, un bisbetico junker, desiderava ragionare da uomo moderno, e quei nomi non gli davano fastidio né in un parlamentare, foss'anche ministro, né in un privato influente; né si sognava di negare l'importanza politica ed economica della borghesia, ma proprio gli alti funzionari con nomi borghesi provocavano in lui uno sdegno che era l'ultimo resto di venerande tradizioni.

Ulrich si chiese se Leinsdorf facendo quest'ultima osservazione non pensasse al marito di sua cugina; non era impossibile, ma il conte Leinsdorf seguitò a parlare e, come gli accadeva sempre, un'idea che da lungo tempo andava vagheggiando lo sollevò al di sopra dei casi personali.

- Il cosiddetto problema ebraico sarebbe risolto definitivamente se gli israeliti si decidessero a parlare ebraico, a riprendere i loro antichi nomi e a vestire alla maniera orientale, - egli dichiarò. - Io capisco che la vista di un galiziano, arricchito qui da noi, a passeggio sull'Esplanade di Ischi in abito tirolese con lo spazzolino di camoscio sul cappello possa essere sgradevole. Ma gli faccia indossare una veste lunga e fluente, magari preziosa, che gli copra le gambe, e vedrà come il suo viso e i larghi gesti vivaci armonizzano con quell'abbigliamento! Tutto ciò che oggi ci permettiamo di prendere in giro sarebbe allora al suo posto; perfino gli anelli costosi di cui amano adornarsi. Io sono nemico dell'assimilazione come la pratica l'aristocrazia inglese: è un processo lungo e poco sicuro. Ma restituiamo agli ebrei il loro vero carattere e li vedremo diventare una gemma, anzi un'aristocrazia addirittura fra gli altri popoli che si schierano devoti intorno al trono di Sua Maestà, o se vogliamo esprimerci in modo più ordinario e più chiaro, che vanno a spasso per il nostro Ring, il quale è unico al mondo appunto perché vi si può incontrare, frammezzo alla più raffinata eleganza europea, anche un maomettano col fez, uno slovacco in pelliccia di pecora o un tirolese con le gambe nude!

A questo punto Ulrich non poté fare a meno di esprimere la propria ammirazione per l'acutezza di Sua Signoria, alla quale spettava ormai l'onore di aver scoperto il "vero ebreo".

- Vede, la fede cattolica educa a vedere le cose come sono realmente, spiegò il conte con benevolenza. - Ma lei non indovina certo come ci sono arrivato. Non per mezzo di Arnheim, ora non parlo dei prussiani. Ma ho un banchiere, naturalmente di religione mosaica, col quale da molto tempo debbo conferire a intervalli regolari, e in principio il suo accento mi recava un certo fastidio, per cui non potevo concentrare la mia attenzione sugli affari di cui trattavamo. Perché, vede, egli parla esattamente come se volesse persuadermi che è mio zio; voglio dire, come se fosse appena smontato da cavallo o ritornasse dal Circolo dei nobili; insomma, come parlano i nostri, capisce.

In breve: ogni tanto però, quando si scalda, se ne dimentica, e allora ricade in quei suoi modi da ebreuccio. Ciò mi dava molto fastidio, come credo di averle già detto; e siccome succedeva sempre nel momento in cui si discutevano gli affari più importanti, io involontariamente lo aspettavo al varco e

2 Leone, orso.3 Fattore, massaro.4 Giallo, blu, rosso, oro.

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infine non badavo più al resto o tutt'al più ne coglievo soltanto qualcosa. E così mi venne l'idea: ogni volta che cominciava a parlare in quel modo, mi figuravo che parlasse la lingua ebraica: avesse sentito che bellezza di suono! Incantevole! proprio come un linguaggio liturgico; una specie di melopea... deve sapere che io ho una grande sensibilità musicale; in una parola, da allora egli mi fa assorbire i più astrusi calcoli di sconto o d'interesse composto come se me li sonasse sul pianoforte - Per qualche suo motivo il conte Leinsdorf nel dir così sorrideva malinconicamente.

Ulrich si permise di osservare che forse coloro a cui andava la così benevola comprensione di Sua Signoria avrebbero respinto il suo suggerimento.

- Si capisce che non ne vorrebbero sapere! - ammise il conte. - Ma bisognerebbe obbligarli ad accettare la loro fortuna! La monarchia, con questo, adempirebbe una missione addirittura mondiale, e in tal caso non importa che l'interessato sulle prime voglia o non voglia! Come lei sa, vi sono altri casi in cui c'è voluta la costrizione. Ma pensi anche che cosa vorrebbe dire essere più tardi alleati con uno Stato ebraico riconoscente, invece che con i prussiani e i tedeschi del Reich! Quando la nostra Trieste fosse per così dire l'Amburgo del Mediterraneo, senza contare il fatto che diverremmo invincibili sul terreno diplomatico avendo dalla nostra oltre al papa anche gli ebrei!

Aggiunse poi di punto in bianco:- Deve riflettere che adesso io mi occupo anche di questioni valutarie!E di nuovo sorrise stranamente malinconico e distratto. Era curioso che Sua Signoria, dopo aver

preteso con insistenza la visita di Ulrich, adesso che egli era lì non gli parlava più dei problemi del giorno ma invece gli sciorinava dinanzi prodigalmente le proprie idee. Ma forse, nel periodo in cui l'ascoltatore gli era mancato, molti pensieri gli erano nati in mente, ed erano come api irrequiete che sciamano lontano, ma a tempo debito ritorneranno col loro miele.

- Lei potrebbe obiettare, - ricominciò il conte Leinsdorf benché Ulrich tacesse, - che io in altre occasioni ho dimostrato viva ripugnanza per le attività finanziarie. Non lo nego: quel che è troppo è troppo, e nella nostra vita odierna la finanza occupa troppo posto; ma appunto per questo dobbiamo occuparcene! Mi segua: la cultura non ha serbato l'equilibrio con la ricchezza, questo è tutto il segreto degli avvenimenti dopo il 1861! E perciò dobbiamo occuparci del capitale.

Sua Signoria fece una pausa brevissima, appena quanto bastava ad avvertire l'ascoltatore che ora gli avrebbe rivelato il segreto del capitalismo, poi riprese con fosca familiarità:

- Vede, la cosa più importante di una civiltà è ciò che essa proibisce all'uomo: non ne fa parte, punto e basta. Una persona civile, ad esempio, non mangerà mai la salsa col coltello; Dio sa perché; non lo si può spiegare a scuola. È la cosiddetta buona educazione, per cui occorre uno stato privilegiato a cui la cultura s'ispira, un ideale di civiltà, in breve un'aristocrazia, se così posso dire. Le concedo che la nostra non è sempre stata come avrebbe potuto essere. E proprio in ciò sta il senso, il tentativo veramente rivoluzionario della costituzione elargita nel 1861: il capitale e la cultura avrebbero dovuto prender posto a fianco della nobiltà. Ne son stati capaci? Hanno saputo sfruttare la grande occasione offerta loro dalla bontà del Sovrano? Lei non vorrà certo sostenere che le esperienze da noi fatte settimanalmente partecipando al nobile sforzo di sua cugina giustifichino tali speranze!

Con voce più viva egli esclamò:- Davvero è molto interessante notare quante cose oggi si chiamano "spirituali"! Ne parlavo

recentemente con Sua Eminenza il Cardinale a Mürzsteg durante una partita di caccia no, è stato a Mürzbruck, al matrimonio della piccola Hostnitz - e lui giunse le mani e scoppiò a ridere: "Tutti gli anni qualcosa di nuovo! - egli disse. - Vedi come siamo modesti noialtri: da quasi duemila anni raccontiamo alla gente sempre la stessa storia!" Ed è verissimo! La fede infatti consiste principalmente nel credere sempre le stesse cose, anche, starei per dire, se fossero eresie. "Vedi, - dice lui, - io vado sempre a caccia perché ci andava anche il mio predecessore sotto Leopoldo di Babenberg. Però non ammazzo mai una bestiola - (si sa che lui non spara mai un colpo) - perché un'intima ripugnanza mi dice che non si confà con l'abito che porto. E a te lo posso dire perché siamo andati insieme da ragazzini alla scuola di ballo.

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Ma non mi metterò mai a dire in pubblico: A caccia non devi sparare! Dio mio, chi sa se è vero, e ad ogni modo non è un precetto della Chiesa. Invece la gente che s'incontra dalla tua amica pronuncia di queste sentenze appena gli si affacciano alla mente. È quello che oggigiorno si chiama "spirito"" L'amico cardinale può ridere, - continuò il conte Leinsdorf, - perché il suo ufficio è permanente. Noi laici invece abbiamo il grave compito di trovare il bene anche nelle vicende mutevoli. E glielo dissi. Gli chiesi: "Perché mai Dio ha permesso che ci siano la letteratura, la pittura, eccetera, quando in fondo ci sono così uggiose?" Mi diede una risposta interessantissima. "Hai mai sentito parlare di psicoanalisi?" mi chiese. Io non sapevo bene che cosa mi fosse lecito rispondere. "Be, - disse Sua Eminenza, - tu forse mi dirai che è una sudiceria. Di questo non staremo a discutere, lo dicono tutti; eppure affollano le sale d'aspetto di quei medici alla moda più che i nostri confessionali. Ti dico, ci corrono perché la carne è debole! Si fanno commentare i loro peccati segreti perché ci provano gusto, e quando criticano, senti a me, è perché si critica quel che si vuol comprare. Però ti potrei anche dimostrare che quello che i loro medici miscredenti s'immaginano di aver scoperto è semplicemente quello che la Chiesa ha sempre fatto fin dagli inizi: scacciare il diavolo e guarire gli ossessi. L'analogia col rituale dell'esorcismo s'estende fino ai particolari, ad esempio quando essi tentano coi loro mezzi di portare l'indemoniato a parlare del demonio che lo possiede; anche secondo la dottrina ecclesiastica quello è il punto cruciale, in cui il diavolo si dispone per la prima volta a far fagotto! Soltanto che noi abbiamo tralasciato di adattarci in tempo alle condizioni mutate; al posto di sozzura e di diavolo bisognava cominciare a dire psicosi, subcosciente e tutto quel gergo moderno!" Non trova che è molto interessante? - s'interruppe il conte. - Ma diventa più interessante ancora, perché: "Non stiamo a ripetere che la carne è debole, - dice Sua Eminenza, - diciamo una buona volta che è debole anche lo spirito! E qui la Chiesa è stata in gamba e non s'è lasciata passare avanti! L'uomo infatti, anche se finge di combatterlo, teme il diavolo che gli entra in corpo molto meno che non l'illuminazione che gli viene dallo spirito. Tu non hai studiato la teologia, ma almeno ne hai rispetto, e questo è più di quanto un filosofo mondano abbia mai saputo fare nel suo accecamento; io ti posso dire: la teologia è così difficile che uno, dopo essersi dedicato ad essa esclusivamente per quindici anni, sa soltanto che in verità non ne capisce un'acca! E naturalmente nessuno vorrebbe avere la fede se sapesse com'è difficile in fondo; tutti ci maledirebbero e basta! Ci coprirebbero di insulti, capisci adesso? - ha proseguito maliziosamente Sua Eminenza, - proprio come fanno contro gli altri, contro quelli che scrivono libri e dipingono quadri e sostengono tesi. E noi oggi facciamo largo con cuore giocondo alla loro presunzione, giacché, credi a me: quanto più uno di quelli fa sul serio, quanto meno si preoccupa del suo benessere e di guadagnare forte, e quindi serve Dio alla propria maniera sbagliata, tanto più la gente lo trova noioso e ne parla male. Non è quella la vita! essi dicono. Noi invece sappiamo qual è la vera vita e gliela mostreremo; e poiché possiamo anche aspettare, forse farai ancora in tempo a vederli ritornare di corsa fra le nostre braccia, pieni di furore contro l'inutile intelligenza. Lo puoi già osservare nelle nostre stesse famiglie: i nostri padri, ai loro tempi, non han forse creduto di fare del cielo un'Università?"

- Non potrei garantire, - disse il conte Leinsdorf chiudendo questa parte delle sue comunicazioni e aprendone una nuova, - che fosse tutto da prendere per oro colato. Gli Hostnitz di Mürzbruck, devi sapere, hanno un famoso vino del Reno che il generale Marmont dimenticò e lasciò lì nel 1805 dovendo marciare in tutta fretta su Vienna; e lo servirono al ricevimento di nozze. Ma in massima parte il Cardinale azzeccava certamente giusto. E se mi domando come lo devo intendere, posso dire solo questo: è giusto di sicuro, però non combina. Cioè, non v'è dubbio che la gente da noi invitata perché si dice che rappresenti lo spirito del nostro tempo non ha niente da fare con la vita reale, ed è anche vero che la Chiesa può aspettare tranquilla; ma noi politici laici non possiamo aspettare, noi dobbiamo spremere il bene dalla vita così com'è. L'uomo non vive di solo pane, ma anche di anima; ci vuole l'anima, me lo lasci dire, perché egli possa digerire bene il pane; e perciò è necessario... - Il conte Leinsdorf era d'opinione che la politica deve stimolare l'anima. Vale a dire, deve succedere qualcosa, - egli disse, - il nostro secolo lo esige. Oggi tutti hanno questa sensazione, non soltanto gli uomini

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politici. Sembra di vivere in una specie di interim, e alla lunga nessuno ci regge.S'era formato l'idea che bisognava dare un colpo all'oscillante equilibrio delle idee, su cui posava il

non meno oscillante equilibrio delle potenze europee.- Non ha molta importanza di quale colpo si tratti! - egli assicurò a Ulrich, il quale con simulato

terrore dichiarò che Sua Signoria durante la loro separazione era diventato quasi un rivoluzionario.- E perché no? - ribatté il conte Leinsdorf lusingato. - Anche Sua Eminenza naturalmente era

dell'opinione che sarebbe almeno un piccolo passo avanti poter convincere Sua Maestà a porre in altre mani il Ministero degli Interni, ma a lungo andare simili modeste riforme, quantunque necessarie, giovano a poco. Sa che qualche volta nelle mie presenti riflessioni penso addirittura ai socialisti? - Lasciò tempo al suo interlocutore di riprendersi dalla stupefazione secondo lui inevitabile, poi riprese con risolutezza:

- Creda a me, il vero socialismo non sarebbe affatto così terribile come lo si presume. Forse lei mi obietterà che i socialisti sono repubblicani: certo, non si può starli a sentire quando parlano, ma a prenderli con realismo politico si può esser quasi sicuri che una repubblica socialdemocratica con un sovrano forte a capo sarebbe una forma di governo tutt'altro che assurda. Per conto mio scommetto che andando loro incontro solo un pochino rinunzierebbero ben volentieri all'uso della violenza e recederebbero dai loro abominevoli principî; si vede già che tendono a un'attenuazione della lotta di classe e della condanna della proprietà. E, bisogna dirlo, vi sono alcuni fra loro che antepongono ancora lo Stato al partito, mentre i borghesi dopo le ultime elezioni sono del tutto radicalizzati nelle loro contraddizioni nazionali.

- Resta il Kaiser, - egli seguitò velando confidenzialmente la voce. - Le ho già accennato prima che noi dobbiamo imparare a pensare in termini di economia politica; la politica unilaterale del principio di nazionalità ha disautorato il Reich; l'Imperatore, di tutta quell'insalata libertaria ceco-tedesco-italo-polacca... non so come dire... be, se ne frega altamente. Quello che Sua Maestà ha profondamente in cuore è il desiderio che i progetti di legge sulla difesa militare passino senza emendamenti, affinché il Reich sia forte, e poi una viva avversione contro tutte le albagie del mondo intellettuale borghese, che egli probabilmente conserva dal 1848. Ma con questi due sentimenti Sua Maestà non è altro, mi lasci dire, che il primo socialista dello Stato: immagino che ora lei riconosca la grande prospettiva di cui parlo! Resta soltanto la religione, e lì v'è un contrasto insormontabile, ma di ciò dovrei parlare ancora una volta con Sua Eminenza.

Il conte si sprofondò nella muta convinzione che la storia, soprattutto però quella della sua patria, sarebbe stata entro poco tempo costretta dallo sterile nazionalismo ove s'era smarrita a fare un passo verso l'avvenire; per cui s'immaginava la storia come una creatura a due gambe, d'altra parte però come una necessità filosofica. Era quindi spiegabile che egli, d'improvviso e con occhi irritati come un sommozzatore che s'è tuffato troppo profondamente, rispuntasse alla superficie.

- Ad ogni modo dobbiamo prepararci a compiere il nostro dovere!- In che cosa vede Vostra Signoria il nostro dovere presentemente? - domandò Ulrich.- Il nostro dovere? Ma è appunto di compiere il nostro dovere! è l'unica cosa che sempre si possa

fare. Ora, per parlar d'altro... - Il conte parve ricordarsi solo in quel momento del mucchio di giornali e di carte su cui posava il suo pugno. - Ascolti, il popolo oggi chiede una mano forte; ma una mano forte ha bisogno di belle parole, se no il popolo non vi si acconcia. E lei, proprio lei, secondo me, possiede questa facoltà in grado eminente. Quel che lei disse l'ultima volta prima della sua partenza quando ci trovammo tutti in casa della signora Tuzzi - si ricorda? -: che si sarebbe dovuto ormai istituire un comitato generale per la beatitudine eterna, allo scopo di farla concordare con la nostra terrena puntualità di pensiero... be, tanto semplice non sarebbe, ma Sua Eminenza ne rise di cuore quando glielo raccontai; a dire il vero glielo misi sotto il naso, come si suol dire, un po' ruvidamente e anche se lui ride sempre di tutto so benissimo se lo scherzo gli viene dal fegato o dal cuore. Caro dottore, noi non possiamo assolutamente privarci di lei...

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Mentre tutti gli altri discorsi del conte Leinsdorf avevano avuto quel giorno la natura di sogni complicati, l'augurio che seguì allora, che Ulrich "rinunziasse definitivamente, almeno per il momento" a deporre l'ufficio onorifico di segretario dell'Azione Parallela fu espresso con tanta risoluta precisione, e il conte Leinsdorf posò la mano sul braccio di Ulrich con piglio tanto aggressivo che questi ebbe il sospetto non troppo soddisfacente che tutte quelle divagazioni prolisse, più astutamente di quanto gli era parso, avessero avuto l'unico scopo di assopire la sua vigilanza. In quel momento era molto arrabbiato con Clarisse che l'aveva messo in quella posizione; ma poiché s'era già rivolto alla cortesia del conte Leinsdorf, appena una pausa del colloquio gliene aveva offerto l'occasione, e il nobile signore, volendo senza indugio riprendere il discorso, aveva subito dato il richiesto consenso, non gli rimase altro che saldare, pur con riluttanza, il conto.

- Tuzzi mi ha anche mandato a dire, - soggiunse il conte Leinsdorf soddisfatto, - che forse lei si risolverà ad assumere un impiegato dei suoi uffici per fargli sbrigare le incombenze più fastidiose. "Bene, gli ho risposto, - purché lo faccia davvero!" In fine le daranno un individuo che ha prestato giuramento; e il mio segretario, che metterei volentieri a sua disposizione, è disgraziatamente un cretino. Solo le carte riservate sarà meglio non mostrargliele, perché non è tanto piacevole che l'uomo ci sia stato raccomandato per l'appunto da Tuzzi; ma del resto s'accomodi come meglio le piace! - Così Sua Signoria concluse benignamente quel fruttuoso colloquio.

21.Getta nel fuoco tutto ciò che possiedi, anche le scarpe

Nel frattempo, e da quando era rimasta sola, Agathe viveva in un totale rilassamento di tutti i rapporti e in una grata e malinconica lontananza della volontà; condizione che era come una vetta di dove si vede soltanto il gran cielo azzurro. Tutti i giorni per suo piacere andava un po' a zonzo in città; quand'era in casa leggeva; sbrigava le sue faccende: godeva con lieta riconoscenza quella dolce insignificante attività di vivere. Niente disturbava il suo stato, nessun attaccamento al passato, nessuno sforzo per l'avvenire; se posava lo sguardo su un oggetto lì intorno, era come vezzeggiare un agnellino: o quello si muoveva mansueto per venirle vicino oppure non si curava di lei ma non accadeva mai che ella se lo appropriasse di proposito, con quel gesto di intima presa di possesso che dà alla fredda comprensione qualcosa di violento e tuttavia di inutile poiché mette in fuga la gioia che è nelle cose. In tal modo tutto ciò che la circondava le pareva molto più comprensibile dell'usato, ma soprattutto la occupavano ancora i colloqui con il fratello. Secondo la particolare struttura della sua memoria singolarmente fedele, non deformata da proponimento né pregiudizio alcuno, le rinascevano intorno le parole vive, le piccole sorprese dell'accento e dei gesti di quelle conversazioni, senza molta coerenza e piuttosto così com'erano stati ancor prima che Agathe li avesse bene compresi e penetrati nelle loro intenzioni. Eppure tutto era straordinariamente ricco di significato; il suo ricordo in cui tanto sovente aveva predominato il rimorso era questa volta pieno di tranquilla tenerezza, e in qualche modo carezzevole il tempo passato restava aderente al calore del corpo invece di perdersi come al solito nel gelo e nelle tenebre che accolgono ciò che è stato inutilmente vissuto.

E così, avvolta in una luce invisibile, Agathe discuteva anche con gli avvocati, notai e agenti con cui aveva da fare. Non li trovava mai ostili; tutti si davan premura di accontentare i desideri della affascinante giovane donna raccomandata dal nome paterno. Lei stessa si presentava piena di sicurezza, ma come assente di spirito; da ciò che aveva risoluto non recedeva ma era come una cosa al di fuori di lei, e l'esperienza acquistata nella vita - anche questa, quindi, ben distinta dalla persona - seguitava a lavorare intorno alla risoluzione presa come un servo accorto che sfrutta tranquillamente i vantaggi offerti dalle sue mansioni. Di tendere con tutte le sue azioni a preparare un inganno - questo significato

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della sua attività che saltava agli occhi dei non interessati - restava in quel periodo assolutamente fuori della sua comprensione. L'unità del suo animo l'escludeva. Lo splendore della sua coscienza eclissava quel punto oscuro, che nondimeno, come il nocciolo nella fiamma, rimaneva al suo centro. Agathe stessa non avrebbe saputo esprimerlo; il suo proposito la poneva in una condizione che era a distanza astronomica da quel proposito malvagio.

Fin dal mattino in cui era partito il fratello, Agathe si era esaminata minuziosamente; per caso aveva incominciato dal viso, perché il suo sguardo vi era caduto sopra e non aveva più lasciato lo specchio. E così fu presa, come accade certe volte, che non si avrebbe nessuna voglia di camminare eppure si fanno cento passi e poi sempre altri cento finché s'arriva a un oggetto scorto solo all'ultimo momento, dove si intende tornare indietro senza fallo e invece si continua. Allo stesso modo ella fu presa senza vanità dal paesaggio del proprio io che sotto un velo di vetro le si stendeva davanti. Osservò i capelli che erano ancor sempre come velluto chiaro. Sbottonò il colletto della sua immagine e le abbassò l'abito intorno alle spalle; poi lo tolse del tutto, e si scrutò con attenzione fino alla rosea calotta delle unghie, dove il corpo termina in mani e piedi e quasi non appartiene più a se stesso. Tutto era ancora come il giorno radioso che s'avvicina allo zenit, ascendente, puro, preciso e ancora impegnato in quel divenire che è come un mattino avanzante verso il mezzogiorno, e in un animale o in un essere umano s'esprime nello stesso modo indescrivibile come in una palla lanciata non ancora giunta al punto più alto ma appena poco al disotto.

"Forse lo sta toccando proprio in questo momento", pensò Agathe. Quel pensiero l'atterriva. Tuttavia il meriggio poteva essere ancora lontano; ella aveva soltanto ventisette anni. Il suo corpo non forzato da maestri di ginnastica e massaggiatori e neppure da maternità e allattamenti non era stato plasmato che dal suo proprio sviluppo. Se lo si fosse potuto esporre ignudo in uno di quei paesaggi grandiosi e solitari, come sarebbe il lato rivolto al cielo di un'alta catena alpina, il vasto e sterile ondeggiamento di quelle cime l'avrebbe portato come una dea pagana. In una natura così fatta il mezzodì non versa più nembi di luce e di colore, sembra elevarsi ancora un poco al di sopra del suo punto culminante e poi impercettibilmente trapassa nella declinante aerea bellezza del pomeriggio. Lo specchio rifletteva l'impressione un po' inquietante dell'ora indefinibile.

In quel momento Agathe aveva pensato che anche Ulrich lasciava trascorrere la sua vita come se dovesse durare sempre. "Forse sarebbe stato meglio conoscerci solo da vecchi, - ella disse fra sé ed ebbe la malinconica visione di due banchi di nebbia che a sera calano sulla terra. - Non sono belli come il radioso meriggio, - ella pensò, - ma che importa a quelle due informi masse grigie come le vedono gli uomini? La loro ora è venuta, ed è dolce come la più bruciante!" Aveva già quasi voltato le spalle allo specchio, ma l'umore del momento che induceva all'esagerazione la provocò improvvisamente a girarsi di nuovo, e le venne da ridere al ricordo di due corpacciuti villeggianti di Marienbad che aveva sorpreso anni prima su una panchina verde intenti a scambiarsi le più tenere carezze. "Anche il loro cuore batteva agile in mezzo al lardo e immersi nella reciproca contemplazione non s'accorgevano del divertimento che procuravano al prossimo", rifletté Agathe, e fece un viso estatico sforzandosi di gonfiare il proprio corpo e di comprimerlo in pieghe di grasso. Passato quel momento di malizia, parve che minuscole lacrime di stizza le fossero spuntate negli occhi, e riprendendo un freddo dominio di sé ella tornò all'esame minuzioso della propria immagine. Sebbene potesse considerarsi snella, notò con interesse nelle proprie membra la possibilità di un appesantimento. Forse anche il torace era troppo largo. Sulla pelle molto bianca, che il biondo dei capelli adombrava come la luce di una candela accesa di giorno, il naso si staccava un po' troppo, e da un lato la sua linea quasi classica era lievemente schiacciata. In verità la forma essenziale simile a una fiamma poteva celarne un'altra più larga e più malinconica, come una foglia di tiglio capitata fra rami di lauro. Agathe si contemplava incuriosita, come se si stesse guardando per la prima volta. Così dovevano averla vista forse gli uomini a cui si era concessa, e lei stessa non ne aveva saputo nulla. A quell'idea non si sentì troppo a suo agio. Ma in qualche guisa della fantasia ella udiva al di là di tutte le vicende vissute il lungo, fervido, intenso grido

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d'amore dell'asino che sempre l'aveva stranamente commossa: grottesco e stolto oltre ogni dire, ma appunto per questo non v'è forse un altro eroismo d'amore che sia così sconsolatamente dolce. Ella scrollò le spalle sulla propria vita, e si rivolse di nuovo allo specchio con la ferma volontà di scoprire un punto dove la sua immagine già cedesse all'età. C'erano le piccole zone presso gli occhi e gli orecchi, che son le prime a cambiare e in principio sembrano soltanto essersi spiegazzate nel sonno, oppure il contorno del seno, che così facilmente perde la sua nettezza; in quel momento le avrebbe fatto piacere, come una promessa di pace, scoprire qualche mutamento, ma ancora non se ne vedeva alcuno, e la bellezza del corpo si librava quasi inquietante nelle profondità dello specchio.

A un tratto parve ad Agathe molto strano essere la signora Hagauer, e così forte era la differenza fra le correlazioni precise e folte conseguenti a tal fatto e l'incertezza che dall'esterno esso immetteva in lei che ella si sentì come smateriata, e il suo corpo nello specchio apparteneva invece alla signora Hagauer: vedesse un po' lei come cavarsela con quel corpo che si era impegolato in situazioni al di sotto della sua dignità. Anche in questo c'era qualcosa del piacere ondeggiante della vita, che a volte è come una paura, e la prima risoluzione presa da Agathe dopo essersi rapidamente rivestita la condusse in camera da letto a cercare una capsula che doveva esser là nei suoi bagagli. La piccola capsula ben chiusa, che ella possedeva all'incirca da quando aveva sposato Hagauer e che portava sempre con sé, conteneva in quantità minima una sostanza di dubbio colore, la quale, a quanto le avevano garantito, era un veleno potente. Agathe ricordò certe concessioni che aveva dovuto fare per entrare in possesso di quella sostanza proibita, di cui conosceva soltanto l'effetto che le avevano descritto e il nome, uno di quei nomi chimici simili a una formula magica che il profano si deve imprimere in mente senza capirli. Ma evidentemente tutti i mezzi che, come il possesso di veleni e di armi o la ricerca di pericoli sostenibili, avvicinano un poco la fine, ricadono nel romanticismo della gioia di vivere; e può essere che la vita dei più sia così oppressa, così fluttuante, con tanto buio nella luce e tutt'insieme così strampalata che solo una lontana possibilità di troncarla sprigiona la gioia in essa contenuta. Agathe si sentì più tranquilla quando posò gli occhi sul piccolo oggetto di metallo, il quale nell'incertezza che le stava dinanzi le parve un portafortuna e un talismano.

Questo non significava affatto che Agathe fin da allora avesse avuto intenzione di uccidersi. Al contrario ella temeva la morte, come qualunque persona giovane a cui capita di pensare, per esempio, la sera a letto prima di addormentarsi dopo una giornata sanamente trascorsa: è inevitabile che una sera, dopo una giornata bella come oggi, io sia lì morto. E del resto non fa venir voglia di morire assistere alla morte di un altro, e la fine di suo padre l'aveva tormentata con impressioni d'orrore che si rinnovavano dacché era rimasta sola nella casa dopo la partenza di Ulrich. Ma la sensazione: "Io sono un poco morta", Agathe la provava sovente, e proprio in momenti come quello - in cui aveva appena rilevato l'armonia e la salute del suo giovane corpo, quella bellezza scattante che nelle sue misteriose componenti è così imperscrutabile come la decomposizione degli elementi nella morte - le accadeva facilmente di passare da una condizione di felice sicurezza a un'altra di angoscia, di stupore e di taciturnità, come quella di chi da una stanza piena di gente e di animazione esce di colpo al chiarore delle stelle. Noncurante dei propositi che si agitavano in lei e nonostante la soddisfazione di essere riuscita a salvarsi da una vita mancata, ella si sentiva adesso un po' slegata da sé, attaccata a se stessa solo con limiti vaghi. Pensava freddamente alla morte come a uno stato in cui si è dispensati da tutte le fatiche e da tutte le immaginazioni e se lo immaginava come un assopirsi dolcemente: si giace nella mano di Dio, e quella mano è come una culla o come un'amaca legata a due grossi alberi che il vento dondola lievemente. Immaginava la morte come una grande stanchezza e acquietamento, liberazione da ogni volontà e da ogni sforzo, da ogni attenzione e da ogni riflessione, simile al piacevole dileguar delle forze che si prova nelle dita quando il sommo le scioglie cautamente da un ultimo oggetto del mondo che esse tengono stretto. Senza dubbio però s'era fatta del morire un'idea assai comoda e neghittosa, appunto corrispondente ai bisogni di una persona poco incline alle fatiche della vita, e alla fine sorrise osservando che tutto ciò ricordava il divano da lei fatto trasportare nell'austero salone paterno, per

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sdraiarsi sopra a leggere: l'unico cambiamento che lei di sua iniziativa avesse introdotto nella casa.Tuttavia il pensiero di rinunziare alla vita era per Agathe tutt'altro che un gioco. Le sembrava molto

verosimile che a una agitazione così ingannevole dovesse seguire uno stato la cui pace beata prendeva involontariamente nella sua fantasia una specie di contenuto corporeo. Ella sentiva così perché non aveva nessun bisogno della eccitante illusione che il mondo dovesse essere migliorato, ed era pronta a rinunziare alla sua parte di mondo in qualsiasi momento, purché ciò accadesse in una maniera gradevole; inoltre durante quella strana malattia da lei sofferta al limite fra l'infanzia e la fanciullezza aveva avuto un singolare incontro con la morte. Allora, fu un quasi impercettibile declinare delle forze, che pareva introdursi fin nei più brevi periodi di tempo e nell'insieme tuttavia procedeva veloce e inarrestabile, di giorno in giorno nuove parti del suo corpo si erano disgiunte da lei e come annullate; ma di pari passo con quella decadenza e quel distacco dalla vita si era svegliata in lei un'indimenticabile aspirazione verso una nuova meta, che bandiva dalla malattia tutta l'inquietudine e la paura ed era uno stato stranamente pieno di contenuto, in cui ella poteva persino esercitare un certo dominio sugli adulti che le stavano intorno e che diventavano sempre più perplessi. Forse quel vantaggio da lei ottenuto in circostanze così impressionanti aveva formato più tardi il nocciolo della sua disposizione spirituale a fuggire in modo analogo la vita i cui eccitamenti non corrispondevano per qualche ragione alla sua attesa; più probabile però l'interpretazione contraria, e cioè che quella malattia per cui si era sottratta agli obblighi della scuola e della casa paterna fosse la prima manifestazione dei suoi rapporti col mondo, cristallini e come trasparenti al raggio di un sentimento che ella non conosceva. Giacché Agathe, originariamente semplice di natura, si sentiva calda, vivace, anzi persino gioconda e facile da accontentare; infatti aveva saputo adattarsi alle più diverse condizioni di vita, e mai le era avvenuto di piombare nell'indifferenza, come tante donne che non possono più sopportare i loro disinganni; ma anche nella risata o nel tumulto di una avventura erotica, che tuttavia continuavano, c'era sempre la svalutazione, che la faceva stanca in ogni fibra del corpo e bramosa di qualcos'altro che ben si poteva definire il nulla.

Questo nulla aveva un contenuto definito benché indefinibile. Per molto tempo in molte occasioni ella aveva ripetuto tra sé le parole di Novalis: "Che cosa posso dunque fare per la mia anima, che abita in me come un enigma insoluto? che lascia all'uomo visibile la massima licenza perché non può in alcun modo dominarlo?" Ma la luce vacillante di questa frase, dopo averla illuminata un istante come un lampo, si spegneva ogni volta nel buio, poiché ella non credeva all'anima, parendole cosa presuntuosa ed eccessivamente definita per lei. Altrettanto poco però ella credeva alla materia. Per capir bene il suo pensiero, basta rappresentarsi che tale rifiuto dell'ordine terreno senza fede in un ordine ultraterreno è cosa profondamente naturale, giacché in ogni cervello accanto al pensiero logico, col suo semplice e rigoroso senso dell'ordine che è il riflesso delle condizioni esterne, v'è anche il pensiero effettivo, la cui coerenza se di coerenza si può parlare corrisponde alle particolarità dei sentimenti, delle passioni e degli umori, cosicché le leggi di entrambi stanno suppergiù le une alle altre come quelle di un deposito di legnami, dove i pezzi di legno ben squadrati e pronti per la spedizione sono disposti in cataste ordinate, a quelle oscure e intricate del bosco col suo stormire e col suo pullulare. E giacché gli oggetti del nostro pensiero non sono affatto indipendenti dalle sue condizioni, non solamente questi due modi di pensare si mescolano in ogni individuo, ma fino a un certo punto possono anche porlo di fronte a due mondi diversi, almeno immediatamente prima e dopo quel "momento misterioso e indescrivibile" che secondo un famoso filosofo religioso sopraggiunge in ogni percezione sensuale prima che sentimento e opinione si dividano l'uno dall'altro e occupino i posti in cui si è abituati a trovarli: come un oggetto nello spazio e una meditazione che è ora racchiusa nel meditatore.

Perciò qualunque sia il rapporto fra le cose e il sentimento nell'immagine ormai matura che si fa del mondo l'uomo incivilito, ciascuno conosce tuttavia i momenti inebrianti in cui la bipartizione non s'è ancora compiuta quasi che l'acqua e la terra non si fossero ancora divise e le onde del sentimento si trovassero sullo stesso orizzonte con le alture e con le valli da cui è costituita la figura delle cose. Non

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occorre neppure presumere che Agathe vivesse tali momenti con insolita frequenza e intensità, solo li percepiva più vivacemente o se si vuole anche più superstiziosamente poiché era sempre pronta a credere nel mondo o anche a non credervi, come faceva fin dagli anni di scuola e non aveva disappreso più tardi quando s'era trovata alle prese con la logica maschile. In questo senso molto lontano dall'arbitrio e dal capriccio, Agathe avrebbe potuto sostenere, se fosse stata più sicura di sé, di essere la più illogica di tutte le donne. Ma non le era mai venuto in mente di vedere altro che una singolarità personale nei sentimenti distaccati che ella provava. Solo l'incontro col fratello aveva provocato in lei un cambiamento. Nelle stanze vuote, incavernate nell'ombra della solitudine, che fino a poc'anzi erano state animate di colloqui e d'una comunanza che compenetrava le anime, si perdeva involontariamente la distinzione fra lontananza materiale e presenza spirituale, e Agathe, mentre i giorni scorrevano senza nulla di notevole, sentiva profondamente come non mai lo strano incanto dell'onnipresenza e dell'onnipotenza che è congiunto col passaggio dal mondo dei sentimenti a quello delle percezioni. La sua attenzione sembrava aperta non soltanto nei sensi ma anche nel profondo dell'animo che non soffriva illuminazioni se non da ciò che dava la sua stessa luce; e, incurante dell'ignoranza di cui soleva accusarsi, credeva ricordando le parole udite dal fratello di capirne tutto il significato senza doverci riflettere. E come in tal modo il suo spirito era così pieno di se stesso che anche l'idea più vivace aveva qualcosa dell'ondeggiamento silenzioso di un ricordo, tutto ciò che le accadeva si allargava in un presente illimitato; anche quando faceva qualcosa, si dissolveva in fondo, fra lei che l'eseguiva e ciò che stava succedendo, null'altro che una separazione; e il suo moto sembrava la via lungo la quale tutte le cose avanzavano quando ella tendeva il braccio verso di loro. Quel mite potere, la sua conoscenza e la presenza parlante del mondo erano però - s'ella si chiedeva con un sorriso che cosa andasse facendo - a malapena distinguibili dall'assenza, dall'impotenza e dal mutismo spirituale. Esagerando un poco la sua impressione Agathe avrebbe potuto dire che ormai non sapeva più dove si trovasse. Era tutta circondata da qualcosa d'immoto entro cui si sentiva in pari tempo innalzata e nascosta. Avrebbe potuto dire: "Sono innamorata ma non so di chi" L'animava una chiara volontà, di cui prima aveva sempre sentito la mancanza, ma non sapeva che fare in quella chiarezza, perché tutto quel che c'era stato nella sua vita di male e di bene era senza significato.

Così Agathe, non soltanto quando guardava la capsula col veleno, ma tutti i giorni, pensava che le sarebbe piaciuto morire, o almeno che la felicità della morte doveva somigliare alla felicità in cui trascorreva il suo tempo mentre aspettava di raggiungere il fratello, e intanto faceva appunto ciò che egli l'aveva scongiurata di non fare. Non poteva figurarsi che cosa sarebbe accaduto quando ella fosse stata a Vienna presso Ulrich. Quasi risentita ella ricordò di averlo udito accennare con noncuranza che ella nella capitale avrebbe avuto grandi successi e trovato ben presto un altro marito o almeno un amante; questo non sarebbe mai stato, lei ne era certa! Amore, bambini, bei giorni, lieta compagnia, viaggi e un poco d'arte... la vita buona è così semplice, ella ne capiva gli allettamenti e non vi era insensibile. Ma, sebbene pronta a giudicarsi inutile, per quella facile semplicità aveva in sé tutto il disprezzo di chi è nato ribelle. La cosiddetta vita assaporata fino in fondo è in verità inconsistente; le manca alla fine, e proprio alla vera fine, cioè alla morte, sempre qualche cosa. Somiglia - ella cercò un'espressione adatta - a un cumulo di oggetti che non sono stati ordinati da una più alta esigenza: così misera nella sua sovrabbondanza, il contrario della semplicità, null'altro che una confusione accettata con la gioia dell'abitudine! E con una digressione improvvisa ella pensò: "È come un mucchio di bambini estranei che uno osserva con educata benevolenza, pieno di paura crescente perché non gli riesce di scorgere fra essi il proprio!"

La calmava il proposito di togliersi la vita se anche dopo l'ultima volta che le stava dinanzi essa non dovesse mutare. Come il fermento nel vino fluiva in lei la speranza che morte e terrore non fossero l'ultima parola della verità. Non sentiva il bisogno di pensarci, anzi aveva paura di quel bisogno a cui Ulrich cedeva così volentieri, ed era una paura battagliera. Infatti, lo sentiva bene, tutto ciò da cui era presa con tanta forza non era interamente scevro dal costante sospetto che si trattasse di mera

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apparenza. Ma era altrettanto certo che l'apparenza conteneva una realtà fluida, scorrevole; forse una realtà non ancora divenuta terra, ella pensava; e in uno di quei momenti meravigliosi in cui il luogo dov'ella si trovava pareva dissolversi nell'indefinito, non le fu difficile credere che dietro a lei, nello spazio dove non si può mai figgere lo sguardo, forse c'era Dio. Era troppo, ed ella ne rimase atterrita! Un senso atroce di vuoto sterminato la colse all'improvviso, una chiarità senza fine oscurò il suo spirito e precipitò il suo cuore nella paura. La sua giovinezza - incline alle apprensioni suscitate dall'inesperienza - le suggeriva che si trovava in pericolo di veder crescere i primi segni di una incipiente follia: arretrò sbigottita. Con violenza si rimproverò di non credere in Dio. E infatti non credeva, da quando le avevano insegnato a credere, e questa era una sottospecie della differenza che ella sentiva per tutto ciò che le avevano insegnato. Non era per nulla religiosa in quel senso fermo e saldo che basta per una convinzione ultraterrena o anche soltanto morale. Ma esausta e tremante dopo un po' dovette confessarsi ancora una volta di aver sentito "Dio" così chiaramente come un uomo che stesse ritto dietro di lei e le ponesse un mantello intorno alle spalle.

Dopo aver riflettuto a sufficienza ed essersi rinfrancata, ella scoperse che il significato di quanto s'era svolto in lei non stava in quell'"oscuramento del sole" che aveva colpito le sue sensazioni fisiche, ma era soprattutto morale. Un cambiamento subitaneo del suo stato più intimo, e conseguentemente di tutte le sue relazioni col mondo le aveva dato per un momento quell'"unità della coscienza coi sensi" che finora aveva conosciuto solo in scarsi accenni bastanti soltanto per improntare la vita quotidiana a un senso di sconforto e di appassionata mestizia, sia che Agathe cercasse di agir bene oppure male. Le sembrava che quel cambiamento fosse stato un'effusione impareggiabile, fluente tanto dal suo spazio ambiente quanto da lei a questo, l'unificazione del significato massimo col moto infimo dello spirito, che quasi non si distingue dallo sfondo delle cose. Le cose erano state penetrate dai sentimenti e i sentimenti dalle cose in maniera così convincente che Agathe sentiva di non esser stata nemmeno sfiorata da tutto ciò a cui aveva applicato finora la parola convinzione. Ed era accaduto in circostanze che secondo un normale modo di vedere impedivano che ci si potesse dare per convinti.

Così il significato dell'esperienza che Agathe andava facendo in solitudine non stava nella parte che tale esperienza poteva sostenere psicologicamente, come indicazione di una personalità eccitabile o facile ad essere annientata; non stava infatti nella persona bensì nell'universale oppure nel rapporto della persona con l'esperienza che Agathe non senza ragione definiva morale, nel senso che la giovane donna delusa di sé riteneva che se avesse sempre potuto vivere come nei momenti dell'eccezione e anche non fosse stata tanto debole da indugiarvisi, avrebbe potuto amare il mondo e prenderlo in buona; e diversamente non ci sarebbe riuscita! Adesso sentiva un appassionato desiderio di tornare indietro, ma i momenti della massima elevazione non si possono ricreare a forza; e chiara come una giornata pallida dopo il tramonto del sole ella vide, con l'inutilità dei suoi sforzi tempestosi, l'unica cosa che poteva aspettarsi e che infatti aspettava con impazienza nascosta soltanto dalla sua solitudine: quella singolare prospettiva descritta e definita una volta mezzo per scherzo da suo fratello "il Regno Millenario" Egli avrebbe anche potuto scegliere un altro nome perché per Agathe non era altro che il suono persuasivo e rassicurante di qualcosa che sta per venire. Però ella non avrebbe osato affermarlo. Non sapeva affatto se fosse veramente possibile. Aveva subito dimenticato tutte le parole dette dal fratello per dimostrare come dietro la visione che le riempiva lo spirito di nebbie luminose si aprissero possibilità sterminate. Ma finché egli le era rimasto vicino, le era sembrato che dalle sue parole sorgesse un paesaggio, e non immaginario ma proprio saldo sotto i suoi piedi. Che Ulrich a volte ne avesse parlato ironicamente, e in genere che egli volesse alternare sentimento e freddezza, dapprima l'aveva turbata, ma ora nella sua solitudine la rallegrava come una garanzia di verità, privilegio degli umori bisbetici di fronte a quelli estatici. "Probabilmente io pensavo alla morte appunto perché temevo che Ulrich non dicesse abbastanza sul serio", ella confessò a se stessa.

L'ultimo giorno che doveva trascorrere in solitudine la colse di sorpresa; a un tratto tutta la casa era sgombrata e in ordine, e non rimaneva che darla in consegna ai due vecchi domestici, marito e moglie,

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che, provvisti per testamento vita natural durante, sarebbero rimasti nel padiglione della servitù fino all'ingresso di un nuovo proprietario. Agathe non aveva voluto trasferirsi in un albergo e sarebbe rimasta lì fino alla partenza che doveva aver luogo fra la mezzanotte e il mattino. La casa era impacchettata e imballata. Avevano improvvisato un'illuminazione di fortuna. Bauli accostati formavano tavolo e sedia. Su una terrazza di casse, all'orlo di un precipizio Agathe si era fatta apparecchiare la cena. Il vecchio servitore di suo padre andava e veniva reggendo in equilibrio i piatti attraverso luce e ombra; lui e sua moglie avevano insistito per provvedere alla giovane signora dalla loro cucina l'ultimo pasto nella casa paterna. E improvvisamente Agathe, fuori dello spirito in cui aveva passato quei giorni, si chiese: "Chi sa se si sono accorti di qualche cosa?" Poteva darsi che lei non avesse distrutto tutti i fogli su cui si era esercitata per cambiare il testamento. Sentì il gelo dello spavento, quel tremendo peso sognato che si attacca a tutte le membra, il gretto terrore della realtà che non dà nulla allo spirito ma lo depreda soltanto. In quell'attimo ella sentì con forza appassionata il desiderio di vivere che si era ridestato in lei. Si ribellava violento contro la possibilità che ella ne fosse impedita. Quando il vecchio servitore tornò, Agathe lo scrutò risoluta. Ma il vecchio andava su e giù senza malizia, sorridendo discreto, e sentiva qualcosa di muto e solenne. Ella non poteva vedergli dentro, come al di là di un muro, e non sapeva se dietro quella cieca lucentezza ci fosse in lui qualcos'altro. Anche lei adesso aveva un senso di solennità, di silenzio, di tristezza. L'uomo era sempre stato il confidente di suo padre, inesorabilmente pronto a riferirgli tutti i segreti dei suoi figli che veniva a scoprire: ma Agathe era nata in quella casa e tutto ciò che era accaduto dopo giungeva oggi alla fine; e Agathe era commossa di essere lì loro due, soli e solenni. Risolse di lasciargli in dono una piccola somma di denaro, e con improvvisa debolezza si propose di dirgli che era da parte del professor Hagauer; e lo escogitò non per astuzia, ma come una penitenza e con l'intenzione di nulla trascurare, benché le fosse chiaro che era tanto inutile quanto superstizioso. Prima che il domestico ritornasse guardò ancora i suoi due medaglioni, e quello col ritratto dell'amante indimenticato lo cacciò dopo aver contemplato il giovane per l'ultima volta, corrugando la fronte sotto il coperchio di una cassa male inchiodata che doveva restare in magazzino per un tempo indeterminato e pareva contenere utensili da cucina oppure lampade, perché si sentì metallo battere contro metallo, come cadono giù i rami di un albero; la capsula col veleno invece Agathe la ripose dove prima portava il ritratto.

"Come sono poco moderna! - pensava intanto sorridendo. - Certo vi son cose più importanti che le vicende d'amore!" Ma non lo credeva.

In quel momento non si sarebbe potuto dire né che ella desiderasse stringere legami illeciti col fratello, né che ne rifuggisse.

Dipendeva dal futuro; ma nella sua condizione presente nulla corrispondeva alla determinatezza di un problema simile.

La luce dipingeva di bianco abbagliante e di nero profondo le casse che le stavano intorno. E una maschera altrettanto tragica, che dava qualcosa di sinistro al suo significato pur semplice, portava il pensiero che quella era l'ultima sera in una casa dove ella era stata messa al mondo da una donna che non era mai riuscita a ricordare, e dalla quale anche Ulrich era nato. S'insinuò in lei una remota impressione di essere circondata da pagliacci, con volti serissimi e strani strumenti. Essi si misero a suonare. Agathe riconobbe un sogno a occhi aperti che faceva da bambina. Non poteva udire la musica ma tutti i clowns la guardavano. Si disse che in quel momento la sua morte non sarebbe stata una perdita per nessuno e per nulla, e per lei stessa soltanto la conclusione esteriore di uno spegnimento interiore. Così ella pensava mentre i pagliacci innalzavano suoni fino al soffitto; e apparentemente era seduta in mezzo a un circo cosparso di segatura e le lacrime le gocciolavano sulle dita. Era un sentimento di profonda assurdità, che da ragazzetta aveva provato sovente, e pensò: "Forse sono rimasta sempre infantile, ancor oggi?" il che non le impediva di pensare contemporaneamente, come qualcosa che attraverso le sue lacrime appariva immenso, che al loro primo rivedersi lei e il fratello si eran trovati di fronte vestiti così da pagliacci. "Perché quello che io ho in me doveva trovare

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rispondenza proprio in mio fratello? Che cosa vuol dire?" ella si domandò. E improvvisamente ecco che piangeva davvero. Non avrebbe potuto dirne il motivo, se non che accadeva per un impulso del cuore, e scosse violentemente il capo come se ci fosse dentro qualcosa che ella non riusciva né a dividere né a mettere insieme.

Con naturale ingenuità ella però pensava che Ulrich avrebbe trovato risposta a tutte le domande; finché ritornò il vecchio e contemplò commosso la sua commozione.

- Povera signora! - esclamò scuotendo il capo anche lui. Agathe lo guardò confusa, ma quando capì il malinteso di quella commiserazione rivolta al suo dolore filiale si risvegliò in lei la petulanza della giovinezza.

- Da alle fiamme tutto ciò che hai, comprese le scarpe. Quando non possiedi più nulla, non pensare neanche al sudario e gettati nudo nel fuoco! - gli disse. Era un'antica massima che Ulrich le aveva letto un giorno con entusiasmo e il vecchio, all'impeto grave e piano di quelle parole, pronunciate da lei con occhi che ardevano fra le lacrime, abbozzò un sorriso monco d'intesa e seguendo la mano accennante della padrona che voleva alleggerirlo con una falsa interpretazione. Guardò le casse ammonticchiate che sembravano quasi un rogo. Alla parola sudario il vecchio aveva approvato con comprensione, pronto a seguire anche se la strada gli pareva un poco impervia; ma dopo la parola nudo si irrigidì, e quando Agathe ripeté ancora una volta la frase, il vecchio assunse la maschera compassata del servitore, la cui espressione garantisce di non voler né vedere né sentire né giudicare.

Finché aveva servito il suo vecchio padrone, quella parola non era mai stata pronunciata davanti a lui, tutt'al più si diceva "spogliato"; ma adesso i giovani erano diversi ed egli non avrebbe più potuto servirli in modo soddisfacente. Con serenità vespertina egli sentì che il suo lavoro era finito. L'ultimo pensiero di Agathe prima della partenza fu invece: "Ulrich butterebbe davvero ogni cosa nel fuoco?"

22.Dalla monografia di Koniatowski sul teorema di Danielli al peccato originale.

Dal peccato originale al dilemma sentimentale della sorella

Lo stato in cui Ulrich lasciò il palazzo del conte Leinsdorf e uscì nella strada era molto simile a una prosaica sensazione di appetito; egli si fermò davanti a una colonna per le affissioni e placò la sua fame di borghesia con cartelloni e manifesti. La superficie di parecchi metri era coperta di parole.

"In fondo si potrebbe ammettere, - egli rifletté, che proprio queste parole ripetute per tutta la città abbiano un valore di giudizio" Gli parvero affini alle espressioni stereotipe usate dai personaggi di romanzi nei momenti importanti della vita, e lesse:

"Avete mai portato un indumento così piacevole e pratico come le calze di seta Topinam?"; "Sua Altezza si diverte"; "La notte di San Bartolomeo in una nuova elaborazione"; "Serata allegra al Cavallino Nero"; "Brio, amore e danze al Cavallino Rosso" Gli diede anche nell'occhio un manifesto politico intitolato "Macchinazioni delittuose" Ma non si riferiva all'Azione Parallela bensì al prezzo del pane. Venne via e dopo pochi passi si fermò davanti alla vetrina di un libraio. "La nuova opera del grande poeta", lesse su un cartiglio posto accanto a quindici volumi uguali allineati. Nell'altro angolo della vetrina un cartiglio uguale al primo celebrava un'altra opera: "Il signore e la signora si sprofondano con lo stesso entusiasmo nella "Babele dell'Amore" di..."

"Sarebbe questo il "grande" poeta?" pensò Ulrich. Ricordava di aver letto un solo libro di quell'autore e di essersi detto che non occorreva leggerne un secondo: tuttavia nel frattempo l'uomo era diventato famoso. E davanti a quella mostra dell'intellettualità germanica, gli tornò in mente un vecchio scherzo di quand'era soldato. "Mortadella" chiamavano i suoi commilitoni un generale impopolare, dal popolare salume italiano, e a chi chiedeva il perché rispondevano "mezzo asino, mezzo porco" Ulrich

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era invogliato a portare più avanti il paragone, ma fu interrotto da una donna che gli rivolse la parola:- Anche lei aspettava il tram? - Allora si accorse di non esser più fermo davanti alla libreria.Senza avvedersene, nel frattempo era andato a piantarsi immobile accanto al palo d'una fermata

tranviaria. La signora che lo richiamò in sé portava gli occhiali e il sacco da montagna; era un'astronoma che egli conosceva, assistente all'Istituto, una delle poche donne che in quella disciplina virile avessero combinato qualcosa di buono. Ulrich notò che il naso e le zone sotto gli occhi nell'abituale sforzo del pensiero avevano preso l'aspetto di sottascelle di gomma; poi in basso vide una corta gonna di loden, in alto una penna di gallo su un cappello verde che si librava sul dotto volto della donna, e sorrise:

- Va in montagna? - domandò.La dottoressa Strastil andava per tre giorni in montagna "a scopo distensivo".- Che ne dice del lavoro di Koniatowski? - chiese a Ulrich. Ulrich non ne diceva niente. - Kneppler

si arrabbierà, - opinò la scienziata. - Ma la critica di Koniatowski alla deduzione di Kneppler della teoria di Danielli è interessante: non le pare? Quella deduzione la ritiene possibile?

Ulrich alzò le spalle.Egli era di quei matematici chiamati logicisti che non trovavano mai nulla di giusto e costituivano

una nuova dottrina fondamentale. Ma egli non riteneva del tutto giusta neanche la logica dei logicisti. Se avesse continuato a lavorare sarebbe ritornato ad Aristotele; su questo aveva le sue opinioni.

- Per me tuttavia la deduzione di Kneppler non è mancata, è soltanto sbagliata, - dichiarò la dottoressa Strastil. Avrebbe anche potuto affermare che riteneva mancata la deduzione ma tuttavia nelle grandi linee non sbagliata; ella sapeva ciò che intendeva dire ma nella lingua usuale in cui le parole non sono definite nessuno può esprimersi univocamente; sotto il suo cappello sportivo, mentre lei si serviva di quel linguaggio di vacanze, s'intravedeva l'espressione di timoroso orgoglio che il mondo laico sensuale deve suscitare in un frate quand'egli incautamente lo accosta.

Ulrich prese il tram con la signorina Strastil, non sapeva perché. Forse perché la critica di Koniatowski al teorema di Kneppler le pareva così importante. Forse voleva parlarle di letteratura, di cui ella non capiva niente.

- Che cosa farà in montagna? - le chiese. Voleva andare sul Hochschwab.- Troverà ancora molta neve. Con gli sci non si può più salire e senza sci non ancora, - la consigliò

Ulrich che conosceva la montagna.- Allora resterò più in basso, disse la signorina. - Già un'altra volta rimasi tre giorni nelle baite della

Färsenalm, che sono a metà costa. Voglio soltanto godermi un po' di natura!La faccia che faceva l'egregia astronoma pronunziando la parola natura punse Ulrich a chiederle che

scopo aveva quel desiderio di natura.La dottoressa Strastil era profondamente indignata. Poteva stare tre giorni coricata sul prato senza

muoversi: come una rupe! proclamò.- Forse, perché è una scienziata! osservò Ulrich. - Un contadino si annoierebbe!Questo la dottoressa Strastil non lo capiva. Parlò delle migliaia di persone che ogni domenica vanno

in cerca della natura, a piedi, in barca, sulle ruote.Ulrich parlò dei contadini che fuggono dalla campagna, attirati in città.La signorina Strastil mise in dubbio che egli fosse capace di sentimenti abbastanza elementari.Ulrich dichiarò che la comodità era elementare quanto il cibo e l'amore, non così lo star sdraiati su

un prato. - Il sentimento naturale che si suppone provochi tale impulso è invece un rousseauismo moderno, un atteggiamento sentimentale e complicato.

Sentiva di non pesar le parole, ma non gliene importava nulla, continuava soltanto perché non era ancora quello che egli voleva cavarsi di dentro. La signorina Strastil gli lanciò un'occhiata sospettosa. Non era in grado di capirlo; la sua esperienza nell'investigazione dei concetti puri non le serviva a niente, ella non poteva né congiungere né disgiungere le idee con le quali egli pareva soltanto baloccarsi lestamente; immaginava che egli chiacchierasse senza riflettere. Ascoltare quei discorsi con il cappello

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tirolese in capo era la sua unica consolazione e le faceva meglio pregustare le gioie della solitudine a cui andava incontro.

In quell'istante Ulrich posò lo sguardo sul giornale di un vicino e lesse su un annunzio pubblicitario, in caratteri cubitali: "Il secolo pone dei problemi, il secolo li risolve" Poteva essere la reclame di un cuscinetto ortopedico per piedi difettosi o l'annunzio di una conferenza, oggidì son cose impossibili a distinguersi, ma i suoi pensieri infilarono subito la via ch'egli cercava. La sua compagna si sforzava di essere obiettiva e confessò titubante:

- Purtroppo m'intendo poco di letteratura, non si ha mai tempo, noialtri. Forse non conosco neppure quello che è doveroso conoscere. Ma X, ad esempio, - e nominò un autore assai letto, - mi ha donato moltissimo. Quando un poeta sa farci sentire così vivi, è davvero una cosa grande, mi pare! - Ulrich però, stimando di aver già goduto abbastanza quel connubio di una straordinaria intelligenza scientifica con una notevole idiozia spirituale, si alzò lietamente, rivolse alla collega un complimento smaccato e scese a precipizio con la scusa di aver già oltrepassato la propria fermata. Era già nella strada e salutava un'ultima volta quando la signorina Strastil si ricordò di aver udito criticare i lavori più recenti di Ulrich e si sentì rimescolare da un'onda di commozione dovuta a quel galante congedo; il che, dati i principî dell'ottima signorina, non poteva farglielo riguardare di buon occhio. Adesso però Ulrich sapeva, sebbene non ancora interamente, perché i suoi pensieri ruotavano intorno alla letteratura e che cosa cercavano colà, dall'interrotto parallelo con "Mortadella" all'involontaria istigazione a confessioni letterarie della buona Strastil. Infine la letteratura non lo riguardava più, da quando a vent'anni aveva scritto gli ultimi versi; prima però per un certo periodo aveva avuto l'abitudine abbastanza regolare di una segreta attività letteraria e non vi aveva rinunziato perché era diventato adulto o perché si fosse accorto di aver troppo poco ingegno, ma per motivi che sotto le impressioni presenti si sarebbero potuti definire con una parola significante uno sbocco nel vuoto dopo molti sforzi.

Ulrich infatti era di quei bibliofili che non vogliono più leggere perché leggere e scrivere rappresenta per loro una mostruosità. "Se la buona Strastil vuole che la "facciano sentire", - egli pensò, (ed ha ragione! Se l'avessi contraddetta mi avrebbe tirato fuori la musica come prova definitiva!) - e, come spesso accade, in parte dava al suo pensiero forma parlata, in parte il ragionamento agiva sulla coscienza come un intervento senza parole: - che dunque la ragionevole dottoressa Strastil voglia "sentire" è precisamente ciò che esigono tutti gli altri, cioè che l'arte li scuota, commuova, diverta, sorprenda, che li porti ad annusare sublimi pensieri, in una parola che li faccia sentire "vivi" e li persuada di essere per sé e per gli altri una straordinaria "vicenda"" Ulrich d'altronde non intendeva condannarli. Ebbe un altro pensiero accessorio, che finiva in un misto di leggera commozione e di riluttante ironia. "Il sentimento è abbastanza raro. Non lasciare che una certa temperatura del sentimento si raffreddi significa probabilmente conservare il calore d'incubatrice dove si cova ogni crescita spirituale. E se una persona viene innalzata momentaneamente dal suo viluppo di intenzioni intelligenti che la irretiscono con innumerevoli oggetti estranei a una condizione senza scopo, per esempio se ascolta una musica, si trova quasi nella condizione di vita d'un fiore sul quale cadono il sole e la pioggia".

Ulrich voleva ammettere che un'eternità più eterna di quella che era lo spirito umano nella sua attività sta nelle sue pause e nei suoi riposi; ma aveva pensato ora "sentimenti" e ora "esperienza, vicenda" e questo portava con sé una contraddizione. Infatti c'erano pure le esperienze della volontà! C'erano le esperienze culminanti! Forse però si poteva ammettere che ognuna di esse, quando raggiunge la sua suprema irradiante amarezza, non è più altro che sentimento; ma allora non sarebbe ancor più grave la contraddizione, che lo stato del "sentire" nella sua piena purezza sia un "riposo", una caduta dell'attività? Oppure questa contraddizione non sussiste? C'è una strana correlazione, per cui la massima attività sarebbe immobile al centro? Qui però diveniva evidente che quella serie di idee era un pensiero indesiderato piuttosto che un pensiero accessorio, infatti Ulrich con improvvisa resistenza contro la piega sentimentale che le sue considerazioni andavan prendendo le respinse risolutamente.

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Non aveva alcuna intenzione di meditare su certe condizioni particolari né, ragionando sui sentimenti, cadere lui stesso nel sentimento.

Tosto gli balenò alla mente che l'oggetto delle sue riflessioni si poteva assai meglio e senza ambagi definire inutile attualità o eterna istantaneità della letteratura. Forse che essa ha un risultato? O è un gran giro vizioso da vicenda a vicenda e torna a congiungersi con se stessa, oppure è un insieme di stati di eccitazione da cui non deriva nulla di preciso.

"Ciascuno, senza volerlo, egli pensò, - prova molto più sovente e più fortemente l'impressione della profondità davanti a una pozzanghera che davanti all'oceano, per il semplice motivo che si ha più occasione di incontrare pozzanghere che oceani" Lo stesso, gli sembrava, succedeva anche col sentimento, e perciò appunto i sentimenti comuni passano per i più profondi. Poiché l'anteporre il sentire al sentimento, come fanno tutti i sentimentali, equivale - esattamente come il desiderio di "far sentire" e di "esser fatti sentire" che è il compendio di tutte le istituzioni tributarie del sentimento - ad avvilire il grado e la natura dei sentimenti di fronte al loro momento come a una condizione personale, e porta poi a quell'aridità, a quell'arresto di sviluppo, a quell'assoluta irrilevanza di cui non mancano esempi comuni.

"Certo un criterio di questo genere, pensò Ulrich complementarmente, - deve ripugnare a tutti coloro che si trovano bene nei loro sentimenti come il gallo nelle sue piume, e magari sono ancor fieri che con ogni "personalità" l'eternità ricominci da capo!" Aveva davanti la chiara immagine di una mostruosa demenza, commisurata addirittura a tutta l'umanità, ma non poteva esprimerla in modo soddisfacente, perché le correlazioni erano troppo vaste e complesse.

Così riflettendo, guardava i tram che passavano e ne aspettava uno che lo riportasse verso il centro. Vedeva la gente scendere e salire e il suo occhio non privo di esperienza tecnica si baloccava distratto con quegli elementi concatenati: fusione e fucinatura, lamine e chiavarde, calcolo e fabbricazione, evoluzione storica e stato presente, da cui era risultata l'invenzione di quelle baracche rotolanti di cui la gente si serviva. "Alla fine una rappresentanza dell'amministrazione tranviaria si presenta in fabbrica e decide sul rivestimento di legno, la vernice, l'imbottitura, l'applicazione di braccioli e maniglie, di portacenere e via discorrendo, - egli seguitò a pensare, - e proprio queste piccolezze e il colore verde o rosso del carrozzone e la facilità con cui riescono a salire sul predellino sono per migliaia e migliaia di persone le sole cose che contano, tutto ciò che rimane e che sentono dell'ingegno che quelle cose ha creato. Questo gli foggia il carattere, gli dà sveltezza e comodità, gli fa sentire familiari i tram rossi e estranei quelli azzurri e forma quell'inconfondibile odore di piccoli fatti che i secoli portano sui loro vestiti" Non si poteva quindi negare, e a un tratto si riconnetteva col resto, il ragionamento principale di Ulrich, che in gran parte anche la vita sbocca in attualità insignificanti oppure, volendo usare un'espressione tecnica, che il suo coefficiente di successo è molto basso.

E improvvisamente, mentre sentiva se stesso arrampicarsi con slancio sulla vettura, pensò: "Devo inculcare ad Agathe che la morale è: coordinare ogni stato momentaneo della nostra vita in modo da farne uno stato duraturo!" Quella frase gli era balenata di colpo alla mente a guisa di definizione. Idee non del tutto sviluppate e articolate avevano però preceduto questo pensiero rifinito e forbitissimo, e lo seguirono integrandone l'intendimento. Ciò significa imporre al sentire, occupazione di per sé innocua, un impegno, un'impostazione di problemi, un severo ordinamento gerarchico: i sentimenti devono servire oppure appartenere a uno stato non ancora descritto, che giunge fino agli estremi ed è grande come un oceano senza rive. Dobbiamo dire che è un'idea, oppure una nostalgia, un desiderio? Ulrich non poté andar oltre, perché nel momento in cui nella mente gli era passato il nome della sorella l'ombra di lei aveva oscurato i suoi pensieri. Come sempre quando la ricordava gli sembrava di aver mostrato nel periodo trascorso in sua compagnia una disposizione di spirito inconsueta. Sapeva anche di desiderare fervidamente il ritorno a quella disposizione. Ma lo stesso ricordo lo copriva di vergogna per essersi comportato da presuntuoso, buffone e ubriaco, non meglio di un uomo che nell'ebbrezza si butta ai piedi di gente che il giorno dopo non oserà guardare in faccia. Di fronte ai rapporti spirituali tra

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fratello e sorella, misurati e repressi, tutto ciò era immensamente esagerato e se non giudicarlo del tutto infondato bisognava però considerarlo soltanto come la contropartita di sentimenti che non avevano ancora figura. Egli sapeva che Agathe sarebbe arrivata fra pochi giorni, e non l'aveva intralciata in nulla. Aveva ella fatto qualcosa di male? Si poteva supporre che, calmandosi il suo capriccio, ella avesse rinunziato a tutto. Ma un intuito molto vivo gli diceva che Agathe non aveva receduto dai suoi propositi. Sarebbe stato meglio chiederle. Sentì di nuovo il dovere di scriverle per metterla in guardia. Ma invece di tradurre in atto tale intenzione cercò d'immaginare che cosa potesse avere indotto Agathe a quello strano comportamento; lo vedeva come un gesto straordinariamente impetuoso, col quale ella gli donava la propria fiducia e si poneva in sua mano. "Ha poco senso della realtà, - egli pensò, - ma un modo meraviglioso di fare ciò che vuole. Sconsiderata, si potrebbe dire; ma perciò anche accesa. Quando è in collera vede il mondo scarlatto!" Sorrise affettuosamente e guardò i passeggeri che aveva d'attorno. Cattivi pensieri ciascuno di loro ne aveva, questo era certo, e ciascuno li reprimeva, e nessuno se la prendeva troppo a male; ma nessuno aveva quei pensieri al di fuori di sé, in una persona che donava loro la magica inaccessibilità di una vicenda sognata.

Poiché Ulrich non aveva terminato la lettera si rese conto per la prima volta che non aveva più scelta, e si trovava già nella condizione che lo rendeva perplesso. Secondo le sue leggi - si permetteva l'orgogliosa ambiguità di chiamarle sacre l'errore di Agathe non poteva provocare rimorso, ma soltanto esser riparato da avvenimenti che ne conseguissero, il che corrispondeva poi al senso originale del rimorso che è uno stato di ardore e di purificazione, non di mortificazione. Risarcire del danno sofferto l'incomodo marito di Agathe sarebbe stato nient'altro che riprendersi indietro il danno; cioè quella doppia e paralizzante negazione di cui è costituito il cosiddetto buon comportamento, internamente si riduce a zero. Per riportare Hagauer al pareggio però, per sollevarlo così come un peso, bisognava avere per lui un affetto profondo, e a questo non si poteva pensare senza spavento. Così, secondo la logica alla quale Ulrich cercava di adattarsi, si poteva soltanto riparare non al danno ma a qualcos'altro, e questa cosa - Ulrich non aveva su ciò ombra di dubbio - era la vita sua e della sorella.

"Con una certa protervia, - egli pensò, - ciò equivale a dire: Saulo non ha riparato a tutte le conseguenze dei suoi peccati trascorsi, ma è diventato Paolo!" Contro questa logica bizzarra però il sentimento e la convinzione ribatterono come al solito che sarebbe stato più onesto e non avrebbe pregiudicato i voli futuri saldare innanzi tutto i conti al cognato e pensare dopo alla vita nuova. Quell'etica che tanto lo allettava non era fatta per mettere a posto le questioni finanziarie e i contrasti che ne seguivano. Al confine tra quell'altra vita e la vita d'ogni giorno dovevano sorgere perciò casi irrisolvibili e contraddittori che forse era meglio non lasciar diventare dei casi-limite, ma piuttosto toglier di mezzo coi metodi abituali e spassionati dell'onestà. Ma viceversa ecco che Ulrich sentiva pure che non ci si può attenere ai soliti termini della bontà se ci si vuole avventurare nella cerchia della bontà assoluta. Il compito impostogli di fare un passo verso il nuovo non si poteva alleggerire in alcun modo.

L'ultima trincea che ancora lo difendeva era presidiata dalla sua violenta avversione per il fatto che concetti come Io, Sentimento, Bontà, altra Bontà, Male, di cui egli aveva fatto largo uso, erano così personali e nello stesso tempo così alto-miranti e rarefatti come è proprio delle considerazioni di gente molto più giovane. Gli succedeva quel che succederà di certo ad alcuni di quelli che seguono la sua storia: traeva fuori rabbioso singole parole e si domandava, ad esempio: "Produzione e risultato di un sentimento? che concetto meccanico, razionale, ignaro dell'uomo! La morale il problema di uno stato duraturo a cui si subordinano tutti gli altri stati e nient'altro? che cosa disumana!" A guardarlo con gli occhi di una persona ragionevole tutto appariva mostruosamente rovesciato. "L'essenza della morale oggi si fonda esclusivamente sul presupposto che i sentimenti importanti rimangono sempre gli stessi, - pensò Ulrich, - e tutto ciò che il singolo individuo ha da fare è di agire in accordo con essi!" Ma proprio in quel momento, i limiti del campo mobile che lo circondava si fermarono in un punto dove il suo occhio, vedendo dall'interno del veicolo moderno e senza volerlo facendo ancor parte di esso, cadde su una colonna di pietra che dai tempi del barocco s'ergeva sull'orlo della strada, cosicché la comodità

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tecnica inconsciamente accettata della creazione razionale si trovò improvvisamente in contrasto con l'irrompente passionalità del gesto antico che non era dissimile da una colica pietrificata. L'effetto di quella collisione ottica era una conferma straordinariamente violenta dei pensieri ai quali Ulrich aveva finora tentato di sottrarsi. Avrebbe mai potuto la scapestrataggine della vita rivelarsi più evidente che in quello spettacolo casuale? Troppo dotato di gusto per prendere partito per l'allora o per l'oggi, come è d'uso in tali contrapposizioni, il suo spirito non esitò un momento a sentirsi abbandonato tanto dal nuovo quanto dall'antico tempo, e vi scorse soltanto la grande presentazione di un problema che in fondo è bene un problema morale. Non poteva dubitare che la transitorietà di ciò che si considera stile, civiltà, tendenza del secolo o sentimento della vita e come tale si ammira, è soltanto un'infermità morale. Perché nel gran metro dei tempi non significa altro se non ciò che sarebbe, nel metro più piccolo della propria vita, lo sviluppare la propria capacità in una direzione sola e disperdersi in esagerazioni inconcludenti, non trovar mai la misura della propria volontà, non coltivarsi fino a una formazione compiuta e in balia di passioni incoerenti fare un po' questo un po' quello. Perciò anche quello che suol chiamarsi mutamento o addirittura progresso dei tempi gli sembrava soltanto una parola per esprimere che nessun tentativo giunge fin là dove tutti debbano unirsi, sulla via verso una convinzione che abbraccia tutto, e solo così alla possibilità di evoluzione costante, di godimento durevole e di quella solennità della grande bellezza, di cui oggi cade tutt'al più qualche volta l'ombra sulla nostra vita.

Naturalmente pareva a Ulrich una mostruosa protervia presumere che tutto dovesse esser stato nulla. Eppure era così. Smisurato come essere, caos come senso. Per lo meno, secondo i risultati a cui egli era giunto, nulla più di ciò da cui s'è formata l'anima del presente, dunque abbastanza poco. Mentre Ulrich faceva queste riflessioni, si abbandonò però a questo "poco" con tale piacere come se fosse l'ultimo posto che le sue intenzioni gli concedevano alla tavola della vita. Era sceso dal tram e aveva preso una via che lo riportasse rapidamente al centro della città. Gli sembrava di uscire da una cantina. Le strade squittivano di piacere ed erano prematuramente piene di calore come per una giornata estiva. Il dolce gusto velenoso di parlare con se stesso gli dileguò dalla bocca; tutto era comunicativo ed esposto al sole. Ulrich si fermava davanti a quasi tutte le vetrine. Quelle bottigliette di tanti colori, profumi suggellati e innumerevoli varietà di forbicine per le unghie; che somma di genio era contenuta anche soltanto in una bottega di parrucchiere! Un negozio di guanti: quali concatenazioni e invenzioni, prima che una pelle di capra venga tesa sulla mano di una signora e la spoglia di un animale sia divenuta assai più nobile che l'animale vivo! Egli ammirava quell'infinità di ovvii, graziosi strumenti del benessere come se li vedesse per la prima volta. Che bellezza quel prodigioso accordo della vita associata! Sparita senza lasciar traccia la crosta di terra della vita, le strade non lastricate della passione e persino... sì, l'inciviltà dell'anima! Agile e chiara l'attenzione si posava su un giardino di frutti, stoffe, pietre preziose, forme e allettamenti, che occhieggiavano suasivi e penetranti in tutte le gradazioni di colori. A quel tempo piacevano le carnagioni bianchissime e occorreva proteggerle dal sole, sicché qualche ombrellino variopinto ondeggiava già sulla folla stendendo seriche ombre su pallidi visi di donna. Lo sguardo di Ulrich colse con delizia passando davanti a una mescita l'oro opaco di bicchieri di birra posti su tovaglie tanto candide che all'orlo dell'ombra parevano formare chiazze azzurrine. Poi incontrò una vettura comoda e pesante, tutta rosso cupo e violetto all'interno; doveva essere la carrozza dell'arcivescovo, perché aveva un aspetto molto prelatizio e due poliziotti si misero sull'attenti e salutarono il vicario di Cristo senza pensare ai loro predecessori che avevano ficcato a quello stesso Cristo una lancia nel costato.

Con tale fervore Ulrich si era abbandonato a quelle impressioni, da lui definite poc'anzi "l'inutile attualità della vita", che a poco a poco l'appagamento lo riportò all'opposizione di prima. Adesso egli sapeva esattamente quale era il punto debole delle sue riflessioni. "Che senso ha, - egli si chiese, - davanti a questa autocrazia andare ancora a cercare un risultato che stia al di sopra, al di sotto, al di là? Sarebbe una filosofia, quella? Una convinzione che tutto comprende, una legge? Oppure il dito di Dio?

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O in suo luogo l'ipotesi che alla morale sia mancata finora una mentalità induttiva, che esser buoni sia molto più difficile di quanto s'è creduto e che esiga una collaborazione altrettanto infinita quanto quella che occorre in tutti i campi della ricerca? Io sostengo che la morale non esiste perché non la si può dedurre da qualcosa di stabile, ma che vi sono soltanto delle regole per l'inutile conservazione di condizioni transitorie; e sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda; ma mi sembra però uno stato innaturale e sbiadito questo star qui a meditarci su, e poi non è affatto quel che voglio!"

Molto più semplicemente in verità avrebbe potuto chiedersi: "Che impegno mi sono addossato?" e infatti così fece. La domanda però toccava più la sua sensibilità che il suo pensiero, anzi interruppe quest'ultimo e aveva già tolto a Ulrich, pezzo per pezzo, la voglia sempre desta di far piani strategici, prima che egli la afferrasse. Al principio era stata come una nota cupa che gli risonava all'orecchio, poi il suono era dentro di lui, solo un'ottava più in basso di tutto il resto, e alla fine Ulrich fu tutt'uno con la sua domanda e apparve a se stesso come un suono stranamente profondo nel mondo limpido e duro, che era circondato da un largo intervallo. Che impegno dunque aveva preso su di sé con solenne promessa?

Si concentrò nello sforzo. Sapeva di non aver usato per scherzo, anche se soltanto come allegoria, l'espressione "il Regno Millenario" Prender sul serio quella promessa equivaleva al desiderio di vivere, con l'aiuto di un amore reciproco, in una condizione terrena così elevata che si può soltanto più sentire e fare ciò che innalza e conserva tale condizione. Che una simile condizione umana potesse esistere almeno per accenni era stato per lui sempre una certezza da quando aveva l'uso della ragione. Era incominciato come "storia con la moglie del maggiore" e le esperienze successive non erano grandi, però sempre le stesse. Ricapitolando, dunque, si poteva concludere approssimativamente che Ulrich credeva alla "caduta nel peccato" al "peccato originale" Cioè, egli avrebbe addirittura potuto ammettere che c'è stato, una certa volta, un cambiamento radicale nel comportamento umano, all'incirca come quando un innamorato ritorna in sé: egli vede di colpo tutta la verità, ma qualcosa di molto più grande s'è lacerato, e la verità è soltanto come un pezzo rimasto in più che s'è ricucito al resto. Forse era stato per davvero il frutto della conoscenza che aveva cagionato quel mutamento nello spirito e cacciato via il genere umano da una condizione originaria alla quale solo dopo esser diventato saggio attraverso il peccato e le infinite esperienze avrebbe potuto ritornare. Ma Ulrich non credeva a simili storie così come vengono tramandate, bensì come le aveva scoperte lui: ci credeva come un calcolatore che ha spiegato davanti a sé il sistema dei propri sentimenti e dal fatto che nessuno di essi si può giustificare deduce la necessità di adottare una ipotesi la cui natura si possa riconoscere per intuizione. Non era cosa da poco! Sovente egli aveva pensato qualcosa di simile, ma non era mai stato in condizione di dover decidere entro pochi giorni se doveva essere una cosa di serietà vitale.

Si sentì leggermente madido di sudore sotto il cappello e il colletto, e la vicinanza delle persone che gli si affollavano intorno lo agitò. Ciò che egli pensava significava il taglio di quasi tutte le relazioni vive. Oggi infatti si vive divisi, e con parti intrecciate ad altre persone; ciò che si sogna è connesso col sognare e con quello che sognano gli altri; le nostre azioni sono interdipendenti ma ancor più dipendenti dalle azioni degli altri; e ciò di cui siamo convinti è in correlazione con altre convinzioni che noi solo in minima parte condividiamo: voler agire nella propria piena realtà è dunque una pretesa sommamente irreale. E lui appunto in tutta la sua vita era sempre stato persuaso che bisogna dividere le proprie opinioni, che bisogna avere il coraggio di vivere in mezzo alle contraddizioni morali, perché solo così si raggiunge il massimo rendimento. Era almeno convinto di quel che pensava sulla possibilità e sul significato di un altro modo di vivere? Per nulla affatto! Tuttavia non poteva impedire che il suo sentimento vi si indugiasse come davanti ai segni inconfondibili di un fatto che aveva atteso per anni.

Ora doveva pur chiedersi con quale diritto pretendeva, come un innamorato di se stesso, di non far più nulla che all'anima fosse indifferente. Ciò ripugna al carattere della vita attiva, che oggi ciascuno reca in sé, e anche se in tempi di religiosità profonda una tale tendenza si può sviluppare, ha sempre finito per svanire come l'alba davanti al sole che diventa più forte. Ulrich si sentiva addosso un

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profumo di solitudine e di dolcezza, che ripugnava sempre più al suo gusto. Perciò si sforzò di limitare, appena gli fu possibile, i suoi pensieri intemperanti e deplorò, sebbene non tanto sinceramente, che la strana promessa fatta alla sorella di un Regno Millenario, a considerarla con ragionevolezza, non era altro che una specie di opera benefica; la convivenza con Agathe doveva insomma esigere da lui uno sforzo di tenerezza e d'altruismo che finora era troppo mancato. Ricordò, come si ricorda una nube straordinariamente diafana passata nel cielo, certi momenti trascorsi insieme che erano già stati così. "Forse il contenuto del Regno Millenario altro non è che l'ingrossare di quella forza, che in principio si mostra soltanto a due, fino a divenire la tumultuante comunità di tutti?" rifletté un poco turbato. Cercò di nuovo consiglio nella sua "storia con la moglie del maggiore": lasciando da parte le chimere dell'amore, poiché erano state nella loro immaturità la cagione dell'errore, concentrò tutta la sua attenzione sui sentimenti delicati di bontà e di adorazione di cui era stato capace allora nella sua solitudine, e gli parve che sentire affetto o confidenza, oppure vivere per un altro doveva essere una felicità commovente fino alle lacrime, una cosa bella come l'infocato tramontare del giorno nella pace della sera e anche altrettanto lacrimevolmente povera di piacere e spiritualmente silenziosa. Giacché nel frattempo anche il suo proposito gli apparve ridicolo, un po' come la risoluzione di due vecchi scapoli di far vita comune, e quei sussulti della fantasia gli fecero sentire come il concetto del provvido amore fraterno era poco atto a soddisfarlo. Con relativo distacco egli si confessò che al rapporto fra lui e Agathe era mescolata fin dall'inizio una buona dose di asocialità. Non soltanto la faccenda di Hagauer e del testamento, ma anche tutta la gamma dei sentimenti rivelava qualcosa di violento e senza dubbio in quella fratellanza c'era tanto amore quanta ostilità per il resto del mondo. "No! - pensò Ulrich. - Voler vivere per un altro non è che il fallimento dell'egoismo, che apre lì accanto un negozio nuovo insieme con un socio!"

In verità la sua tensione interna nonostante quell'idea così brillantemente sfaccettata aveva già oltrepassato il punto culminante fin dal momento in cui egli si era sentito tentato di racchiudere in una lampadetta terrena la luce vaga che aveva dentro; e quando fu chiaro che era stato un errore, mancava già al suo pensiero l'intenzione di cercare uno scioglimento ed egli si lasciò di buon grado sviare. Poco distante, due uomini erano andati a sbattere l'uno contro l'altro e si coprivano d'improperi come se stessero per venire alle mani; egli assisté all'incidente con rinnovata attenzione, e appena rivolto altrove il suo sguardo incontrò quello di una donna che era come un fiore polposo oscillante sullo stelo. In quell'umore gradevole che è fatto per metà di attenzione desta e per metà di sentimento, egli si rese conto che all'esigenza ideale di amare il proprio prossimo la gente reale obbedisce in due tempi, di cui il primo consiste nel non poter soffrire i propri simili, mentre il secondo compensa il primo con l'annodare legami erotici con quelli dell'altro sesso. Senza riflettere ritornò tosto sui suoi passi per seguire la donna, fu un moto solamente meccanico, conseguente all'incontro dei loro sguardi. Egli vedeva la figura di lei sotto le vesti come un gran pesce bianco che è vicino alla superficie dell'acqua. Gli sarebbe piaciuto fiocinarlo virilmente e vederlo dibattersi, e v'era in quel desiderio tanta ripulsione quanta attrazione. Segni quasi impercettibili gli dicevano che la donna s'accorgeva di esser seguita o lo accettava. Cercò di capire a quale classe sociale ella appartenesse e decise per l'alta borghesia, dov'è difficile definire l'esatta posizione. "Famiglia di commercianti? Di funzionari?" si domandò. Ma immagini diverse si presentarono, fra cui anche quella di una farmacia; egli sentiva l'odore acuto e dolciastro addosso al marito che ritorna alla sera; l'atmosfera compatta della casa che non rivela più gli spasimi da cui è stata scossa poco prima sotto la lanterna cieca di un ladro. Senza dubbio ciò era orribile ma aveva un fascino perverso.

E mentre Ulrich continuava a seguire la donna e in verità temeva che si sarebbe fermata davanti a una vetrina costringendolo a passare oltre stupidamente oppure a rivolgerle la parola, qualcosa in lui era ancor sempre sveglio, limpido e non sviato dall'incontro. "Che cosa vorrà da me Agathe, in fondo?" egli si domandò per la prima volta. Non lo sapeva. Poteva supporre che fosse simile a ciò che egli voleva da lei, ma non avrebbe potuto addurre che motivi sentimentali. Non era strano che tutto fosse

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accaduto in modo così rapido e imprevisto? Tranne qualche ricordo infantile non aveva saputo niente di lei e le poche notizie apprese, per esempio il legame con Hagauer, che durava già da qualche anno, gli erano piuttosto dispiaciute. Anche ora ricordava la strana esitazione, la riluttanza quasi, con cui arrivato da Vienna s'era avvicinato alla casa paterna. E d'improvviso s'annidò in lui l'idea: "Il mio sentimento per Agathe è pura immaginazione!" "In un uomo che sempre ha volontà diverse da chi sta intorno, - egli pensò di nuovo seriamente, - in un uomo così fatto, che sente sempre l'avversione e non arriva mai fino all'attrazione è facile che la tiepida bontà e la tradizionale benevolenza dell'umanità si scompongano e diventino fredda durezza sulla quale fluttua una nebbia di amore impersonale" Una volta egli l'aveva chiamato amore serafico. Pensò che si sarebbe anche potuto dire: amore senza ricambio, o anche: amore senza sessualità. Già oggigiorno si ama soltanto coi sensi. Tra uguali non ci si può soffrire, e nell'incrocio sessuale ci si ama con rivolta sempre maggiore contro l'eccessiva stima che si fa di tale coazione. L'amore serafico invece è libero dall'uno e dall'altro. È l'amore sciolto dalle controcorrenti delle avversioni sociali e sessuali. Lo si potrebbe davvero chiamare - questo sentimento che in ogni luogo s'accompagna con la crudeltà della vita odierna - l'amore sororale di un secolo che non ha posto per l'amore fraterno; così egli pensò con un sussulto d'indignazione.

Ma pur pensando così, sognava intanto e frattanto di una donna che non si può in alcun modo raggiungere. Ella gli aleggiava dinanzi come gli ultimi giorni d'autunno in montagna, quando l'aria è come dissanguata e morente, ma i colori invece bruciano in un'estrema passione. Egli vedeva gli azzurri sguardi lontani, senza fine nelle loro preziose enigmatiche gradazioni. Aveva dimenticato la donna viva e vera che gli camminava davanti, era lontano dal desiderio e forse vicino all'amore.

Fu distolto dallo sguardo agganciante di un'altra donna, simile a quello della prima, ma meno sfacciato e appiccicoso, anzi delicato e distinto come un pastello; e che tuttavia s'imponeva in una sola frazione di secondo; guardò meglio e in uno stato di estremo esaurimento interno vide una signora molto bella, nella quale riconobbe Bonadea.

La giornata stupenda l'aveva attirata fuori di casa. Ulrich guardò l'orologio; passeggiava da un quarto d'ora appena e dacché aveva lasciato palazzo Leinsdorf erano passati meno di quarantacinque minuti. Bonadea disse:

- Non sono libera, oggi.Ulrich pensò: "Com'è dunque lunga un'intera giornata, un anno; e un proponimento di vita, poi!"

Incommensurabile.

23.Bonadea ovvero la ricaduta

Così avvenne che Ulrich poco tempo dopo ricevette la visita dell'amica abbandonata. L'incontro per la strada non gli era bastato per rimproverarla di aver abusato del suo nome allo scopo d'insinuarsi nell'amicizia di Diotima; né Bonadea aveva avuto il tempo di rinfacciargli il lungo silenzio e di difendersi non soltanto dall'accusa di indiscrezione e chiamar Diotima "serpente volgare" ma anche di dimostrarlo. Perciò fra lei e l'amico fuori attività era stato combinato in fretta un incontro per le reciproche spiegazioni.

Quella che comparve non era più la Bonadea che guardandosi nello specchio con occhi socchiusi si proponeva di essere pura e nobile quanto Diotima e si attorceva i capelli per darsi un aspetto il più greco possibile, né quell'altra che, in notti rese frenetiche da quella cura di disintossicazione, malediceva senza vergogna e con femminile esperienza il suo modello, ma era di nuovo la cara Bonadea di una volta, coi ricciolini che, secondo la moda, coprivano o scoprivano la fronte non molto intelligente, e nei cui occhi c'era qualcosa di simile all'aria che sale da un fuoco. Mentre Ulrich si accingeva a farsi spiegare

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perché ella avesse parlato a sua cugina del loro segreto legame, ella si tolse con cura il cappello davanti allo specchio e quando egli cercò di sapere precisamente fino a che punto si era confidata, ella descrisse tranquilla e minuziosa come aveva raccontato a Diotima di aver ricevuto una lettera in cui Ulrich la pregava di provvedere affinché Moosbrugger non fosse dimenticato e le suggeriva di rivolgersi alla donna di cui le aveva sovente esaltato l'animo nobile. Poi si sedette sul bracciuolo della poltrona di Ulrich, gli baciò la fronte e dichiarò modesta che in fondo era tutto vero, salvo la lettera. Un gran calore emanava dal suo seno.

- E allora perché hai chiamato serpente mia cugina? un serpente sei tu! - disse Ulrich.Bonadea staccò gli occhi da lui e li volse pensosamente al soffitto.- Ah, non lo so, - rispose. - È così carina con me. Mi dimostra tanta simpatia!- Che cosa intendi dire? - esclamò Ulrich. - Ti sei messa a lavorare con lei per il Bello, il Buono e il

Vero?Bonadea rispose:- Mi ha spiegato che nessuna donna può vivere per il suo amore in modo corrispondente alle sue

forze: né lei né io. E perciò ognuna deve fare il suo dovere nel luogo dove l'ha posta il destino. È straordinariamente per bene, continuò Bonadea ancor più pensierosa. - Mi consiglia di essere indulgente con mio marito, e sostiene che una donna superiore deve trovare una notevole felicità nel far andar bene il proprio matrimonio; secondo lei è molto più nobile che tradire il marito. E in fondo anch'io ho sempre pensato così!

Ed era verissimo; infatti Bonadea non aveva mai pensato diversamente, aveva soltanto agito diversamente e perciò poteva approvare a cuore leggero. Ulrich, quando glielo disse, si attirò un altro bacio, questa volta un po' più giù della fronte.

- Tu, vedi, turbi il mio equilibrio poligamo! - ella disse con un piccolo sospiro per scusare la contraddizione sorta fra il suo pensare e il suo agire.

Grazie a molte domande si poté stabilire che ella aveva inteso dire "equilibrio poliglandolare", un termine fisiologico che a quei tempi era comprensibile soltanto agli iniziati, e che si potrebbe tradurre "equilibrio dei succhi", secondo la presunzione che alcune glandole immettendo i loro umori nel sangue determinino con i loro stimoli e divieti il carattere e in particolar modo il temperamento, soprattutto quella specie di temperamento che in certe circostanze signoreggiava Bonadea sino alla sofferenza.

Ulrich corrugò la fronte incuriosito.- Insomma una questione di glandole, - disse Bonadea. - È già abbastanza tranquillante sapere di non

poterci far niente! - Sorrise tristemente all'amico perduto: - E se l'equilibrio si turba rapidamente ne conseguono quasi sempre esperienze sessuali mal riuscite!

- Ma Bonadea, - esclamò Ulrich meravigliato, - come parli?- Come ho imparato. Tu sei un'esperienza sessuale fallita, dice tua cugina. Ma dice anche che si

possono evitare le conseguenze sconvolgenti per l'anima e per il corpo, se si tien presente che nulla di quel che facciamo è una questione puramente personale. È molto buona con me: secondo lei il mio peculiare difetto è che in amore m'attacco troppo a un particolare invece di considerare la vita amorosa nel suo complesso. Capisci, quel che lei intende per "particolare" sarebbe ciò che lei chiama anche "cruda esperienza": spesso è molto interessante questo suo modo di illustrarti un fatto del genere. Una cosa però non mi va giù: lei, pur dicendo che una donna forte cerca di svolgere l'opera della sua vita nella monogamia e deve amarla come un artista, ha in riserva ben tre uomini, e con te forse quattro, mentre io per la mia felicità adesso non ne ho nemmeno uno!

Lo sguardo col quale ella contemplò il suo riservista disertore era caldo e titubante. Ma Ulrich finse di non accorgersene.

- Parlate di me? - s'informò sospettoso.- Oh, solo qualche volta, - rispose Bonadea. - Quando tua cugina cerca un esempio oppure quando

c'è il tuo amico, il generale.

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- Magari partecipa anche Arnheim a queste conversazioni?- Arnheim ascolta con dignità il dialogo delle nobili signore, - rise Bonadea non senza mostrare un

certo talento per l'imitazione discreta, ma poi soggiunse con viso grave: - Il suo contegno con tua cugina non mi piace affatto. Di solito è via, in viaggio; ma quando c'è parla troppo con tutti e quando lei porta ad esempio la signora von Stern e le...

- La signora von Stein, forse? - suggerì Ulrich.- Naturalmente, volevo dire la Stein; Diotima la tira fuori tutti i momenti. Dunque, quando lei parla

dei rapporti fra la signora von Stein e le altre, la Vul... be, come si chiama, quella che ha un nome un po' scabroso?

- Vulpius.- Appunto. Vedi, lì sento tante parole straniere che non ricordo più nemmeno le più comuni! Allora,

quando paragona la von Stein con l'altra, Arnheim mi guarda continuamente come se accanto alla sua adorata io fossi tutt'al più una come quella lì che hai detto tu!

A questo punto Ulrich pretese la spiegazione di tanto cambiamento.Si scoprì che Bonadea, da quando vantava il titolo di confidente di Ulrich aveva anche fatto grandi

progressi nella confidenza di Diotima.La fama di ninfomane, leggermente palesata da Ulrich sotto l'influsso della collera, aveva prodotto

sulla cugina un effetto incalcolabile. Accolta nel suo salotto la nuova venuta come una signora che si occupava in modo imprecisato di beneficenza, ella l'aveva osservata più volte di nascosto, e quell'intrusa dagli occhi come una molle carta asciugante che assorbivano l'immagine della sua casa non le aveva ispirato soltanto un profondo disagio ma anche tanta curiosità quanto orrore. A dire il vero quando Diotima pronunciava la parola "malattia venerea" provava dei sentimenti incerti come quando immaginava i traffici della sua nuova conoscente, e con la coscienza inquieta s'aspettava da una volta all'altra una condotta inammissibile e scandalo e vergogna. Bonadea però era riuscita a mitigare quella diffidenza con la sua tattica ambiziosa che corrispondeva al contegno irreprensibile di certi bambini maleducati posti in un ambiente che stimola il loro spirito d'emulazione. Ella giunse perfino a dimenticare la sua gelosia per Diotima, e questa notò con stupore che la sua inquietante protetta era attratta quanto lei dai nobili ideali. A quel tempo infatti la "sorella traviata" come ormai si chiamava, era già diventata una protetta, e tosto Diotima le dedicò un attivo interesse perché dalla propria condizione si sentiva portata a vedere nel vergognoso segreto della ninfomania una versione femminile della spada di Damocle e sosteneva che poteva anche pendere da un filo sottilissimo sul capo di una Genoveffa.

- Lo so, bimba mia, - ella diceva in tono didattico e consolatore alla sua quasi coetanea, - nulla di più tragico che abbracciare un uomo di cui non si è intimamente persuase! - e la baciava sulla bocca impura con uno sforzo di coraggio che sarebbe bastato a farle premer le labbra sui baffi insanguinati di un leone.

La posizione in cui Diotima si trovava allora era quella fra Arnheim e Tuzzi; posizione orizzontale, si poteva dire figuratamente, sulla quale l'uno poneva troppo peso e l'altro troppo poco. Ulrich stesso al suo ritorno aveva ancor trovato la cugina con la testa fasciata e i panni caldi; ma le sofferenze femminili, nella cui violenza ella indovinava la protesta del corpo contro le istruzioni contraddittorie che esso riceveva dall'anima, avevano ridestata in Diotima anche quella nobile risolutezza che le era propria quando non voleva essere simile a ogni altra donna. Da principio, s'intende, era dubbio se quel compito dovesse essere intrapreso dal corpo o dall'anima, oppure meglio risolto da un cambiamento di contegno verso Arnheim o verso Tuzzi; ma l'andazzo del mondo le venne in aiuto, giacché mentre l'anima e i suoi enigmi amorosi le sfuggivano come un pesce che si vuol tenere nella mano nuda, la cercatrice sofferente trovò con meraviglia abbondanza di consigli nei libri riflettenti lo spirito del tempo, quando risolse per la prima volta di agguantare il proprio destino all'altra estremità fisica, che era rappresentata dal marito. Ella non sapeva che il tempo nostro, avendo probabilmente smarrito il concetto della passione amorosa perché è un concetto piuttosto religioso che sessuale, sdegna come

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cosa puerile l'occuparsi ancora dell'amore, e in compenso volge i suoi sforzi al matrimonio, i cui naturali processi investiga in tutte le varietà con nuova attenzione. Già allora erano usciti molti di quei libri che con la pura mentalità di un maestro di ginnastica parlano di "conversione della vita sessuale" e vogliono aiutare la gente ad essere sposata e tuttavia contenta. In quei libri l'uomo e la donna non erano più chiamati altrimenti che "i portatori di ghiandole riproduttrici maschili o femminili" o anche "i partner sessuali" e la noia fra i due, che doveva essere scacciata grazie a ogni sorta di accorgimenti fisico-spirituali aveva il nome di "problema sessuale" Quando Diotima fece conoscenza con questa letteratura corrugò la fronte, ma poi la spianò; era un colpo al suo orgoglio che le fosse sfuggito fino allora un nuovo grande movimento dello spirito moderno, e alla fine, ammaliata, non si poteva capacitare di aver saputo additare al mondo una meta (sebbene non fosse ancora ben stabilito quale) ma di non esser mai giunta alla scoperta che anche le deprimenti spiacevolezze del matrimonio si potevano trattare con spirito superiore. Tale possibilità s'accordava bene con le sue inclinazioni e le aperse di colpo l'animo alla speranza di poter trattare come un'arte e una scienza i suoi rapporti col coniuge, che finora non eran stati per lei altro che sofferenza.

- Perché andare a cercar lontano, quando il bene è così vicino, commentò con enfasi Bonadea, sempre incline ai luoghi comuni e alle citazioni. Era accaduto infatti che la protettrice Diotima aveva fatto di lei la propria allieva e discepola in tali questioni. Applicava così il principio pedagogico "imparare insegnando" e da un lato ciò aiutò Diotima a trarre fuori dalle impressioni ancora parecchio disordinate e a lei stessa poco chiare delle sue nuove letture qualcosa di cui era incrollabilmente persuasa - guidata dall'intuizione che si fa centro quando si divaga, dall'altro lato anche Bonadea ne ebbe un vantaggio che le permise la reazione senza la quale l'allievo rimane infruttuoso anche per il migliore dei maestri: la sua vasta sapienza pratica, anche se ella la dissimulava con discrezione, era per la teorica Diotima una fonte d'esperienza timorosamente osservata, da quando la moglie del capodivisione Tuzzi si era accinta a rettificare, libri alla mano, l'andamento della propria vita coniugale.

- Vedi, io son certo molto meno intelligente che tua cugina, - dichiarò Bonadea, - ma spesso nei suoi libri ci son cose di cui io stessa non avevo idea, e allora lei si perde d'animo e dice scorata: "Questo non si può risolvere così, senza saperne nulla, su un letto matrimoniale; purtroppo ci vuole una gran pratica, una vasta esperienza sessuale acquistata su materiale vivo!"

- Ma, per l'amor del cielo, esclamò Ulrich già sopraffatto dal riso all'idea della sua casta cugina smarrita fra i meandri della "scienza sessuale", - che cosa si propone, insomma?

Bonadea si richiamò alla mente il felice connubio degli interessi scientifici moderni con un'inconsiderata maniera di esprimersi.

- Si tratta del perfezionamento e del regolamento del suo istinto sessuale, - rispose poi nello spirito della sua maestra. - E la sua opinione è che la via verso un erotismo elevato e armonioso deve passare attraverso una durissima autoeducazione.

- Vi educate di deliberato proposito? E per di più durissimamente?! Tu parli in un modo straordinario! - esclamò di nuovo Ulrich. - Ma vorresti avere la cortesia di spiegarmi a che cosa si educa Diotima?

- In primo luogo, naturalmente, educa suo marito! - rettificò Bonadea. "Poveraccio!" pensò Ulrich involontariamente, e riprese:

- Be, allora vorrei sapere come fa: non diventare riservata, tutt'a un tratto!In verità Bonadea a quelle domande si sentiva impacciata dall'orgoglio come uno scolaro modello

all'esame.- La sua atmosfera sessuale è avvelenata, - dichiarò cautamente. - E per salvare quest'atmosfera

occorre che Tuzzi e lei rivedano con la massima cura le proprie azioni, è l'unico modo. Non vi sono regole generali. Bisogna che ciascuno si sforzi di osservare l'altro nelle sue reazioni. E per poter compiere bene queste osservazioni ci vuole una profonda conoscenza della vita sessuale. Bisogna poter confrontare l'esperienza pratica acquistata con il risultato dell'indagine teorica, dice Diotima. Oggi la

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donna ha preso una posizione nuova e diversa di fronte al problema sessuale: essa non esige dall'uomo la semplice azione soltanto: bensì gli chiede di agire per esatto riconoscimento della femminilità! - E per sviare Ulrich oppure perché ci si divertiva, aggiunse allegramente:

- Figurati un po' l'effetto che deve fare a suo marito, il quale di queste cose nuove non ha la più pallida idea e le impara per lo più in camera da letto mentre si sveste, quando Diotima, diciamo, coi capelli mezzo sciolti cerca le forcine e si stringe le gonne fra le ginocchia, e incomincia a parlarne improvvisamente. Ho fatto la prova con mio marito e per poco non è rimasto secco: una cosa dunque la si può ammettere, se dev'essere "vincolo perenne", almeno ha il vantaggio di estrarre dal compagno della nostra vita tutto il contenuto erotico; e questo è quanto Diotima cerca di ottenere da Tuzzi, che è un pochino volgaruccio.

- Per i vostri mariti corrono tempi assai duri! - la stuzzicò Ulrich. Bonadea rise, ed egli ne dedusse quanto sarebbe stata lieta di sfuggire ogni tanto all'opprimente serietà della sua scuola d'amore.

Ma la volontà investigatrice di Ulrich non cedette; sentì che la sua amica mutata gli taceva qualcosa di cui in fondo avrebbe preferito parlare. Fece la confidenziale obiezione che a quanto aveva udito, la pecca dei due mariti incriminati era stata finora piuttosto quella di una "carica erotica" eccessiva.

- Già, tu pensi sempre a quello soltanto! - protestò Bonadea, e accompagnò il rimprovero con una lunga occhiata che aveva in fondo un piccolo uncino, il che si poteva benissimo interpretare come rimpianto per il candore da poco riacquistato. - Anche tu abusi della debolezza fisiologica della donna!

- Che cosa? oh, hai trovato una magnifica definizione per la storia del nostro amore!Bonadea gli diede uno schiaffetto e con dita nervose si ravviò i capelli davanti alla psiche.

Guardandolo nello specchio, disse:- La definizione è in un libro!- Già. In un libro notissimo.- Ma Diotima dice che non è vero. Ha trovato qualcosa in un altro libro; s'intitola L'inferiorità

fisiologica dell'uomo. È scritto da una donna. Credi che sia davvero una cosa tanto importante?- Non so di che cosa parli e non posso rispondere!- Bene, sta attento! Diotima muove da una scoperta che lei chiama "la costante disposizione al

piacere" della donna. Capisci che cosa vuol dire?- Trattandosi di Diotima, no!- Non essere così volgare! - lo biasimò la sua amica. - È una teoria molto delicata e proverò a

spiegarti in modo che tu non tragga conclusioni sbagliate dalla circostanza che sono sola con te in casa tua. Dunque questa teoria si fonda sul fatto che una donna può essere amata anche quanto non vuole. Adesso capisci?

- Sì.- La cosa è innegabile, purtroppo. L'uomo, invece, anche quando vuole amare, molto spesso non

può. Diotima dice che è provato scientificamente. Tu che ne dici?- Pare che accada.- Non saprei... - dubitò Bonadea. Ma Diotima dice che, considerato alla luce della scienza, si capisce

da sé. Perché, in contrasto con la disposizione della donna, sempre pronta all'amore, l'uomo o per dirla breve la parte più maschile dell'uomo, facilmente s'intimidisce - Il suo viso era color del bronzo quand'ella lo distolse dallo specchio.

- Mi stupisce da parte di Tuzzi, - disse Ulrich evasivo.- Non credo neanch'io che sia sempre stato così, - disse Bonadea, - ma succede come conferma della

teoria, perché lei gliela espone tutti i giorni. Diotima la chiama la teoria del "fiasco" Infatti, il portatore di organi riproduttivi maschili, facendo così facilmente fiasco, si sente sessualmente sicuro soltanto quando non ha da temere nella donna nessuna superiorità morale, di qualsiasi genere, ed è per questo che gli uomini non hanno quasi mai il coraggio di affrontare una donna che sia loro uguale. Almeno, cercano subito di schiacciarla. Diotima dice che il motivo-guida di tutte le azioni amorose dell'uomo, e

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soprattutto dell'arroganza maschile, è la paura. Anche grandi uomini la rivelano, essa dice, e intende parlare di Arnheim. Uomini di minor valore la dissimulano con un comportamento fisico brutale e insolente, e calpestano la vita spirituale della donna: intendo parlare di te! E lei di Tuzzi. Quel famoso "o subito - o mai!" col quale tante volte ci fate cadere, è soltanto una specie di super... di super...

- Supercompensazione, - suggerì Ulrich.- Appunto. Così vi sottraete all'impressione della vostra inferiorità fisica.- E che cosa avete deciso di fare? - domandò Ulrich compunto.- Dobbiamo sforzarci di esser carine con gli uomini! E perciò son venuta da te. Vedremo un po'

come la prendi!?- Ma Diotima?- Oh Dio, che cosa t'impicci di Diotima! Arnheim fa degli occhi come un lumacone quando lei gli

dice che gli uomini di alto intelletto trovano purtroppo la piena soddisfazione solo con donne di poco valore, mentre con donne di uguale statura morale falliscono, il che è scientificamente dimostrato dalla signora von Stein e dalla Vulpius. (Vedi, adesso non ho più difficoltà a dire il suo nome. Ma che lei fosse la famosa partner sessuale dell'Olimpico invecchiante naturalmente l'ho sempre saputo!)

Ulrich cercò di riportare il discorso su Tuzzi, per allontanarlo da sé. Bonadea incominciò a ridere: aveva un certo compatimento per la condizione penosa del diplomatico, che come uomo non le dispiaceva affatto, e sentiva solidarietà ma anche gioia maligna per il fatto che egli dovesse soffrire sotto la disciplina dell'anima. Raccontò che Diotima nella cura praticata al marito partiva dall'idea di doverlo liberare dalla paura di lei, e che perciò si era anche un po' riconciliata con la sua "brutalità sessuale" Ella ammetteva che l'orrore della sua vita era stato di essere una donna troppo importante per l'ingenuo bisogno di superiorità del consorte, e cercava di correggerlo nascondendo la propria superiorità spirituale dietro una civettuola adattabilità erotica.

Ulrich la interruppe vivacemente chiedendo che cosa intendeva dire.Lo sguardo di Bonadea lo scrutò gravemente.- Per esempio, lei gli dice: "Finora abbiamo guastato la nostra vita rivaleggiando nel dar prova di noi

stessi" E poi aggiunge che l'effetto funesto della smania maschile d'autorità domina anche la vita pubblica...

- Ma questo non è né civettuolo né erotico! - obiettò Ulrich.- Eppure sì! Devi riflettere che un uomo, se è veramente appassionato, si comporta con una donna

come il carnefice con la sua vittima. Questo fa parte del "bisogno di affermarsi", come si dice adesso. E d'altronde non vorrai negare che l'impulso sessuale sia importante anche per la donna?!

- Certo no!- Bene. Ma i rapporti sessuali per svolgersi felicemente devono fondarsi sull'uguaglianza. Il

compagno, se si vuole ottenerne un amplesso soddisfacente, dev'essere considerato un uguale e non soltanto un complemento di noi stessi, privo di volontà, - ella continuò, cadendo nello stile della sua maestra come uno che, capitato su una superficie liscia, nolente e spaventato si sente portar via dal proprio movimento. Difatti, se in nessun altro rapporto umano si può reggere a un continuo opprimere ed essere oppressi, figuriamo poi nel rapporto sessuale...!

- Evviva! - protestò Ulrich.Bonadea gli strinse il braccio, e i suoi occhi brillarono come una stella cadente.- Sta zitto! - ella proruppe. - A voialtri uomini manca la conoscenza vissuta della psiche femminile. E

se vuoi che seguiti a parlarti di tua cugina... - ma ormai era giunta al limite delle sue forze e le pupille sfavillavano come quelle di una tigre in gabbia che si vede passar davanti un pezzo di carne. - No, non ne posso più neanch'io! - esclamò.

- Parla davvero così? - domandò. - Sul serio, l'ha proprio detto?- Ma tutti i giorni non si sente dir altro che esperienza sessuale, amplesso riuscito, punti focali

dell'amore, ghiandole, secrezioni, desideri repressi, allenamento erotico e regolazione dell'istinto

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sessuale! Probabilmente ciascuno ha la sessualità che si merita, così, almeno, afferma tua cugina, ma io ne debbo proprio meritare una dose così alta?!

Il suo sguardo s'agganciò a quello dell'amico.- Non credo che tu debba, - disse Ulrich lentamente.- Infine si potrebbe anche dire che la mia eccessiva sensibilità rappresenta un plusvalore fisiologico?

- interrogò Bonadea con una risatina felice e ambigua.Non ci fu risposta. Quando, parecchio tempo dopo, cominciò a destarsi in Ulrich una resistenza,

attraverso le fessure delle finestre zampillava già il giorno vivo e la stanza oscurata sembrava il sepolcro di un sentimento raggrinzito fino a essere irriconoscibile. Bonadea giaceva con gli occhi chiusi e non dava più segno di vita. Le sue sensazioni fisiche non erano dissimili da quelle di un bambino la cui protervia è stata spezzata dalle busse. Ogni fibra del suo corpo, totalmente sazio ed esausto, invocava la tenerezza di un'assoluzione morale. Da chi? Certamente non dall'uomo di cui occupava il letto, e che ella aveva scongiurato di ucciderla perché la sua voluttà non poteva essere spenta né col da capo né col crescendo. Teneva gli occhi chiusi per non doverlo vedere. Solo per prova si disse: "Sono nel suo letto!" E: "Non mi lascio mai più cacciar via di qui!" aveva gridato fra sé poco prima; adesso ciò esprimeva soltanto una posizione dalla quale non poteva uscire senza penosi procedimenti. Pigra e lenta Bonadea riannodò i suoi pensieri nel punto dove si erano strappati.

Pensò a Diotima. Un po' alla volta riaffiorarono nella sua mente parole, pezzi di frasi e frasi intere; ma soprattutto la soddisfazione di esser presente, che la pervadeva quando le frusciavano all'orecchio, nelle conversazioni, vocaboli incomprensibili e difficili da ricordare, come ormoni, glandole, cromosomi, zigoti e secrezione interna. La pudicizia della sua maestra non conosceva limiti quando questi erano cancellati dalla luce della scienza. Diotima era capace di dire davanti ai suoi ascoltatori: "La pratica sessuale è un mestiere che non s'impara, sarà sempre l'arte più alta che ci sia dato apprendere nella vita!" senza sentire nulla di non scientifico, come quando parlava del "punto di congiunzione" o del "punto d'equilibrio".

E di tali espressioni la discepola si ricordava ora con precisione. Illuminazione critica dell'amplesso, chiarimento fisico della situazione, zone erogene, modo di procurare alla donna la perfetta estasi erotica, uomini esperti, attenti alle reazioni della loro compagna... quasi un'ora prima Bonadea era stata volgarmente ingannata da quelle espressioni scientifiche, intellettuali e così elevate che di solito ammirava tanto. Con suo sommo stupore si era accorta che quelle parole avevano un significato non soltanto per la scienza ma anche per il senso, quando dal loro lato sensuale non vigilato già lingueggiavano le fiamme. Sentiva di odiare Diotima. "Parlare di simili cose in modo da fartene passare il gusto!" aveva pensato, e fra terribili sentimenti di vendetta s'era persuasa che Diotima, la quale aveva per sé quattro uomini, a lei non permetteva nulla e così la gabbava. Sì, Bonadea aveva preso davvero per un intrigo di Diotima le dottrine illuminate di cui la scienza sessuale si serviva per toglier di mezzo certi oscuri procedimenti del sesso. Adesso non lo capiva più come non capiva il suo appassionato desiderio di Ulrich. Cercava di richiamare alla memoria gli istanti in cui tutti i suoi pensieri e sentimenti erano entrati in delirio; altrettanto incomprensibile deve apparire a uno che sta per morire dissanguato l'impazienza che poc'anzi l'ha travolto a strappare le bende protettrici!

Bonadea pensò al conte Leinsdorf che aveva definito il matrimonio un alto ufficio e paragonato i libri di Diotima sull'argomento a metodi per render più razionale il servizio; pensò ad Arnheim, che era multimilionario e aveva definito attuale e necessario il ravvivamento della fedeltà tra i coniugi grazie al nuovo concetto dei rapporti fisici; e pensò ai molti altri personaggi famosi che aveva conosciuto in quel periodo senza ricordar nemmeno se erano grassi o magri, se avevano gambe lunghe o corte; perché di loro scorgeva soltanto l'irraggiante celebrità, integrata da un'indefinita massa corporea, così come alle tenere pareti di un piccioncino arrosto si dà il contenuto di un sostanzioso ripieno marezzato di erbe. Fra tali ricordi Bonadea giurò a se stessa di non lasciarsi mai più travolgere da una di quelle bufere improvvise che mettono tutto a soqquadro; e lo giurò così vivamente che già si vedeva - se fosse

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rimasta saldamente fedele ai suoi propositi - in spirito e senza definizione corporea come l'amante del più amabile di tutti gli uomini, che si sarebbe scelto fra gli adoratori della sua grande amica. Ma poiché per il momento era innegabile che ella si trovava ancora, assai poco vestita, nel letto di Ulrich, senza voler aprire gli occhi, ecco che quel sentimento così compiuto di volonterosa contrizione, invece di continuare a darle sicurezza e conforto, si trasformava in collera meschina e miserevole.

La passione che divideva la vita di Bonadea in simili contrasti non aveva la sua profonda origine nella sensualità, bensì nell'ambizione. A questo stava pensando Ulrich, che conosceva bene l'amica; e taceva per non destarne i rimproveri, osservando il suo viso che gli negava lo sguardo. La forma prima di tutte le concupiscenze di Bonadea egli la vedeva in una sete di onori che aveva imboccato una strada sbagliata, anzi una diramazione nervosa sbagliata. E perché mai una superlativa ambizione sociale, invece di cercar la sua gloria nel bere la massima quantità di whisky o nell'appendersi al collo enormi pietre preziose, non potrebbe manifestarsi, come nel caso di Bonadea, in mania erotica? Adesso, dopo che era ormai accaduto, ella ripudiava con rammarico quella forma d'espressione, Ulrich lo vedeva bene, e capiva anche che proprio la pedantesca innaturalità di Diotima doveva avere un'attrazione paradisiaca per lei, che il diavolo aveva sempre cavalcato senza sella. Osservò i globi dei suoi occhi che riposavano esausti e pesanti nei loro involucri; vedeva davanti a sé il naso un po' bruno che spiccava risoluto, e le narici rosse e appuntite; alquanto confuse percepiva le linee varie di quel corpo; là, dove sul rigido corsetto delle costole posava il seno sviluppato e rotondo; e là dove dal bulbo dei fianchi cresceva il dorso falcato; e le rigide affusolate tavolette delle unghie sulle dolci sommità delle dita. E mentre infine considerava con orrore qualche peluzzo che spuntava dalle nari dell'amante, anche lui ricordava perplesso come era apparsa seducente ai suoi sensi la stessa creatura poco prima. Il sorriso vivace e ambiguo col quale Bonadea aveva iniziato la "spiegazione", il modo naturale in cui aveva respinto tutti i rimproveri o descritto un tratto nuovo di Arnheim, l'esattezza questa volta quasi arguta delle sue osservazioni: era davvero cambiata in meglio, sembrava divenuta più indipendente, le forze che la tiravano in basso e in alto si mantenevano in un equilibrio più libero, e quella mancanza di pesantezza morale era stata un gradevole ristoro per Ulrich che negli ultimi tempi aveva molto sofferto della propria serietà; ancora adesso sentiva come l'aveva ascoltata volentieri osservando sul suo viso il gioco dell'espressione che era come il sole e le onde. E improvvisamente mentre guardava la faccia di Bonadea, ormai immusonita, pensò che in fondo solo una persona seria può essere cattiva. "La gente allegra, - egli pensò, - è immune, si può dire, da cattiveria. Così come l'intrigante del melodramma è sempre in basso!" In modo non del tutto chiaro ciò voleva dire anche per lui stesso che profondità e tenebra stan bene insieme; infatti è certo che ogni colpa diventa più lieve se un uomo allegro la commette "dalla parte leggera"; d'altronde poteva anche darsi che ciò valesse soltanto per l'amore, in cui i seduttori malinconici appaiono molto più distruttivi e imperdonabili che i seduttori frivoli, anche se poi fanno le stesse cose. Così egli andava rimuginando, ed era non soltanto deluso perché l'ora d'amore incominciata con lievità finiva in tetraggine, ma anche inaspettatamente eccitato.

Tutto ciò gli fece dimenticare la presente Bonadea, senza ch'egli sapesse bene come, e le aveva pensierosamente girato le spalle, il capo sorretto dal braccio e lo sguardo rivolto attraverso la parete verso cose lontane, quando ella dal suo perfetto silenzio si sentì indotta ad aprire gli occhi. In quel momento egli stava pensando ignaro che una volta gli era capitato in viaggio di scender dal treno prima di arrivare alla meta, perché il limpido giorno, misterioso prosseneta, gli svelava tutto il paese e attiratolo fuori della stazione l'aveva indotto a una lunga passeggiata per abbandonarlo al cader della sera in un luogo remotissimo, senza bagaglio. Invero gli pareva di ricordarsi di aver sempre avuto la tendenza a restar fuori imprevedibilmente e non tornar mai indietro per la stessa strada; ed ecco, da un cantuccio in cui non frugava mai, un lontanissimo ricordo infantile gettò una luce improvvisa sulla sua vita. Per una impercettibile frazione di minuto gli parve di sentire nuovamente l'arcano desiderio da cui un bambino è tratto verso un oggetto che vede, per toccarlo o addirittura per metterselo in bocca, così che l'incanto finisce come in un vicolo cieco; per la stessa durata di tempo gli parve probabile che né

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peggiore né migliore di quello fosse anche il desiderio degli adulti che li spinge verso ogni lontananza per trasformarla in vicinanza, desiderio che dominava lui pure e che una certa mancanza di contenuto mascherata da curiosità marcava chiaramente come una costrizione, e finalmente l'immagine primitiva si mutò per la terza volta nel precipitoso e deludente episodio in cui era sfociato, non voluto da entrambi, l'incontro con Bonadea. Gli parve sommamente puerile quel giacere insieme in un letto.

"Ma allora che cosa vuol dire il contrario di questo, il fermo, immobile amore lontano, che è incorporeo come una giornata di primo autunno? - egli si chiese. - Forse anche quello non è che un gioco infantile diverso", pensò dubitoso, e gli tornarono in mente gli animali imbottiti e variopinti che da bambino aveva amato molto più teneramente che non oggi l'amica. Ma proprio allora Bonadea si stufò di contemplare la sua schiena misurandone la propria disgrazia, ed esclamò:

- È stata colpa tua!Ulrich si volse sorridendo verso di lei e disse senza riflettere:- Fra qualche giorno arriverà mia sorella e verrà a stare con me; te l'avevo già detto? Allora sarà

difficile che ci possiamo vedere.- Per quanto tempo? - chiese Bonadea.- Per sempre, - rispose Ulrich e sorrise di nuovo.- E con questo? - opinò Bonadea. - Che impedimento c'è? Non vorrai mica raccontarmi che tua

sorella non ti permette di avere un'amante!- È proprio quello che intendo dire, - ribatté Ulrich. Bonadea rise.- Oggi sono venuta da te in tutta innocenza e tu non mi hai neanche lasciato finir di parlare! - gli

rinfacciò.- Il mio carattere è una specie di macchina per deprezzare continuamente la vita! - replicò Ulrich. -

Voglio diventare diverso! Ella non poteva capire, ma si ricordò protervamente che amava Ulrich. A un tratto non fu più il fluttuante fantasma dei propri nervi, ma trovò una naturalezza persuasiva e disse con semplicità:

- Ti sei messo a far l'amore con lei!Ulrich protestò, più seriamente di quanto voleva.- Mi son proposto di non amare per molto tempo nessuna donna altrimenti che se fosse mia sorella,

- dichiarò e tacque.Quel silenzio fece a Bonadea per la sua durata un'impressione di risolutezza che forse non gli

spettava per il suo contenuto.- Ma dunque sei un pervertito! - esclamò improvvisamente, nel tono di una profezia ammonitrice, e

saltò giù dal letto per tornare da Diotima, alla sua scuola di saggezza amorosa, le cui porte restavano inconsapevolmente spalancate alla penitente rifocillata.

24.Agathe è proprio arrivata

La sera di quello stesso giorno arrivò un telegramma, e l'indomani Agathe.La sorella di Ulrich giunse con pochi bagagli, così come si era sempre immaginata di fare nel lasciar

tutto dietro di sé, tuttavia il numero delle valigie non corrispondeva interamente al proposito: getta tutto nel fuoco, anche le scarpe. Quando Ulrich udì di quel progetto, ne rise: persino due cappelliere erano sfuggite alle fiamme.

La fronte di Agathe prese una leggiadra espressione di offesa e di vana meditazione sulla medesima.Se Ulrich avesse ragione di criticare l'imperfetta traduzione in atto di un sentimento che era stato

forte e travolgente non si poté chiarire, perché Agathe tacque: giocondità e disordine suscitati

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involontariamente dal suo arrivo le fremevano negli orecchi e negli occhi, così come una danza ondeggia intorno a una musica di ottoni: ella era molto allegra e appena un poco delusa, sebbene non si fosse figurata niente di speciale e anzi durante il viaggio si fosse astenuta di proposito da ogni aspettativa. D'improvviso però si sentì molto stanca ripensando alla precedente notte di veglia. Fu contenta quando Ulrich le confessò dopo un poco che il telegramma non era arrivato in tempo perché egli potesse disdire un impegno in quel pomeriggio; promise di tornare fra un'ora e con una premura che faceva sorridere accomodò la sorella sul divano del suo studio.

Quando Agathe si svegliò, l'ora era trascorsa da un pezzo, e Ulrich non c'era. La camera era immersa nell'ombra e le parve così estranea che il pensiero di trovarsi pur tuttavia dentro alla nuova vita sognata le fece paura. Per quel poco che scorgeva le pareti eran coperte di libri come già quelle dello studio paterno, e i tavoli carichi di carte. Curiosa, aprì una porta ed entrò nella camera accanto: trovò armadi di abiti, scaffali di scarpe, pallone d'allenamento, estensori elastici, scala svedese. Andò avanti e trovò altri libri. Poi giunse alle acque, alle essenze, alle spazzole e ai pettini della stanza da bagno, al letto del fratello, ai trofei di caccia nell'atrio della casa. Il suo passaggio era segnalato dall'accendersi e spegnersi delle luci, ma il caso volle che Ulrich non se ne accorgesse benché fosse già in casa; egli aveva rinunziato all'idea di svegliarla per lasciarla riposare più a lungo, e così si incontrarono sulla scala poco usata che portava alla cucina sotterranea. Ulrich era sceso laggiù per veder di prepararle uno spuntino, giacché quel giorno, per imprevidenza, mancava in casa qualsiasi servizio. Quando si trovarono accanto, Agathe sentì infine ricollegarsi le impressioni ricevute sin qui senza alcun ordine, e fu con un disagio che la sbigottì, come se la cosa migliore fosse darsela subito a gambe. Erano le cose accumulate in quella casa con noncuranza, con capricciosa indifferenza, che le mettevano paura.

Ulrich, che se ne accorse, le chiese scusa e le diede spiegazioni scherzose. Le descrisse come aveva trovato quella casa e ne raccontò la storia minutamente, a cominciare dai trofei di caccia che possedeva senza andare a caccia, fino al pallone da allenamento che fece ballare sotto gli occhi di Agathe. Agathe tornò a guardare ogni cosa con una gravità inquietante e ogni volta che usciva da una stanza si girava persino indietro a gettare ancora un'occhiata indagatrice: Ulrich cercava di trovar divertente quell'esame, ma la ripetizione gli faceva apparir la sua casa sempre più sgradita. Si vedeva ora ciò che di norma era coperto dall'abitudine, cioè che egli abitava solo certe stanze più necessarie e le altre erano aggiunte a queste come un inutile ornamento. Quando ebbero finito il giro Agathe domandò:

- Ma perché l'hai fatto, se non ti piace?Il fratello le servì il tè e tutto quello che offriva la casa e volle assolutamente mostrarsi ospitale sia

pure in ritardo, affinché il secondo incontro per sollecitudine materiale non fosse inferiore al primo. Correndo su e giù, dichiarò:

- Ho messo su casa con leggerezza, in un modo sbagliato che non ha niente da fare con me.- Ma è tutto molto grazioso, - lo consolò Agathe. Ulrich ammise che se fosse stato diverso forse

sarebbe riuscito ancor peggio.- Non posso soffrire le case fatte spiritualmente su misura, - spiegò. - Mi sembrerebbe di aver

ordinato anche me stesso a un ambientatore!E Agathe disse:- Anch'io ho paura di simili case.- Tuttavia non può restare com'è, rettificò Ulrich. Adesso era seduto a tavola con lei, e il fatto stesso

che avrebbero dovuto d'ora in poi mangiare sempre insieme implicava una quantità di problemi. In fondo egli stupiva di dover riconoscere che ormai molte cose dovevano proprio cambiare; gli sembrava un'impresa eccezionale che gli veniva richiesta, e in principio aveva tutto lo zelo del novellino.

- Un uomo solo, - replicò alla compiacente proposta di lasciar tutto com'era, - può avere una debolezza: essa si confonde fra le altre sue qualità e ne è sommersa. Ma quando due persone condividono una debolezza, questa in confronto con le qualità non comuni a entrambi acquista un peso doppio e diventa quasi una opinione voluta.

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Agathe non riusciva a trovarsi d'accordo.- In altre parole, come fratello e sorella non possiamo concederci certe cose che isolatamente ci

permettevamo; appunto per questo vogliamo vivere insieme.Questo piacque ad Agathe. Tuttavia il concetto negativo che essi sarebbero vissuti insieme solo per

astenersi da certe cose non la soddisfaceva, e dopo un po', ritornando all'arredamento fornito da ambientatori alla moda, ella domandò:

- Eppure non capisco bene. Perché ti sei lasciato ammobiliare la casa così, se non ti pareva adatto?Ulrich raccolse il suo sguardo gaio e osservava intanto il suo viso che al di sopra dell'abito da viaggio

un po' spiegazzato parve d'un tratto liscio come l'argento e così stranamente presente che gli era tanto vicino quanto lontano, oppure che vicinanza e lontananza si annullavano in quella presenza, così come dall'immensità dei cieli la luna appare improvvisamente sul tetto del vicino.

- Perché? - ripeté sorridendo. - Non saprei più dirlo. Forse perché sarebbe stato altrettanto facile far diverso. Non sentivo nessuna responsabilità. Meno sicuro sarei se volessi spiegarti che l'irresponsabilità nella quale trascorriamo oggi la nostra vita potrebbe già essere il primo gradino verso una nuova responsabilità.

- In che modo?- Oh, in molti modi. Lo sai bene: la vita di una singola persona forse non è altro che una piccola

oscillazione intorno al più probabile valore medio di una serie. E così via.Agathe udì soltanto quel che le appariva chiaro. Disse:- Il risultato è "proprio carino" e "carino tanto" Presto non ci si avvede più di vivere orribilmente.

Ma a volte si gela il sangue nelle vene, come a svegliarsi sepolti vivi in un sotterraneo!- Com'era la tua casa? - interrogò Ulrich.- Da borghesi. Da Hagauer. "Tanto carina" Falsa come la tua!Ulrich intanto aveva preso una matita e stava abbozzando sulla tovaglia la pianta della casa e la

nuova distribuzione delle stanze. Fu così facile e rapido che il gesto femminile di Agathe per proteggere la tovaglia giunse troppo tardi e finì inutilmente sulla mano di lui. Le difficoltà però sorsero di nuovo intorno ai principî dell'arredamento.

- Adesso abbiamo una casa, - ammonì Ulrich, - e dobbiamo riambientarla per noi due. Ma oggi nel complesso questo problema è ozioso e sorpassato. "Metter su una casa" è come erigere una facciata dietro la quale non c'è niente; le condizioni sociali e individuali non sono più abbastanza salde per farsi delle case, presentare un aspetto di solidità e di durata non può ormai dare autentica gioia a nessuno. Una volta invece lo si faceva, e col numero delle stanze e dei servi e degli ospiti si mostrava quel che si era. Oggi quasi tutti sentono che una vita senza forma è l'unica forma che s'addice alle molteplici volontà e possibilità di cui è piena la vita, e i giovani amano o la nuda semplicità che è come un palcoscenico senza mobili, oppure sognano di bauli-armadio e di gare di bobsleigh, di campionati di tennis e di alberghi di lusso su autocarovaniere con campi di golf e musica della radio in tutte le camere. - Così egli disse, e parlava in tono abbastanza salottiero come se avesse un'estranea davanti a sé; in fondo cercava di risalire alla superficie perché la combinazione di iniziale e di definitivo in quel loro convegno lo metteva a disagio.

Ma dopo aver lasciato che terminasse il discorso, la sorella gli chiese:- Allora che cosa proporresti, di vivere in albergo?- No di certo! - s'affrettò ad assicurare Ulrich. - Tutt'al più qualche volta, quando saremo in viaggio.- E per il resto del tempo dobbiamo costruirci una capanna di frasche su un'isola oppure una baita di

tronchi su una montagna?- S'intende che resteremo qui, rispose Ulrich più serio di quanto non comportasse il discorso.

Tacquero per un certo tempo, lui si era alzato e girellava per la stanza. Agathe si dava da fare con l'orlo del suo vestito, e ritrasse il capo dalla linea lungo la quale i loro sguardi s'erano finora incontrati. All'improvviso Ulrich si fermò e disse con una voce che usciva a fatica ma era sincera:

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- Cara Agathe, c'è un cerchio di domande che ha una grande circonferenza e nessun centro: e quelle domande significano tutte "come devo vivere?"

Anche Agathe si era alzata ma seguitava a non guardarlo. Alzò le spalle.- Bisogna tentare! - ella disse. Il sangue le era salito alla fronte; quando sollevò il capo però i suoi

occhi erano scintillanti e birichini e solo sulle guance il rossore indugiava come una nuvola che passa.- Se dobbiamo restare insieme, - ella dichiarò, - dovrai prima di tutto aiutarmi a disfar le valige, a

mettere a posto la roba e a cambiarmi d'abito, perché non ho visto l'ombra d'una cameriera!La cattiva coscienza piombò su Ulrich come una scossa elettrica e gli mise nelle braccia e gambe la

mobilità necessaria a rimediare con l'aiuto e la guida di Agathe alla propria trascuratezza. Vuotò gli armadi come un cacciatore sbudella una bestia, e sgomberò la camera da letto giurando che apparteneva ad Agathe e che lui si sarebbe trovato un divano da qualche parte. Con premura portava di qua e di là gli oggetti di uso quotidiano che finora, quieti come i fiori di un'aiuola, eran vissuti ai loro posti, aspettando dalla mano che li sceglieva le sole vicende del loro destino. Gli abiti si ammucchiarono sulle sedie; sulle mensole di vetro della stanza da bagno, riuniti con cura tutti gli arnesi per la cura del corpo, fu istituito un reparto maschile e uno femminile; quando tutto l'ordine fu trasformato in disordine, non c'erano più di Ulrich che le lucide pantofole di cuoio abbandonate per terra, e sembravano un cagnolino offeso che è stato scacciato dal suo cesto, misera immagine della comodità distrutta nella sua natura tanto piacevole quanto vana. Ma non c'era tempo di commuoversene, perché ora toccava alle valige di Agathe, e anche se erano parse poche di numero, si rivelarono inesauribilmente piene di cosettine finemente piegate che uscendo fuori si allargavano e fiorivano in aria come le centinaia di rose che un prestigiatore cava dal suo cappello. Dovevano venir appese e distese, scosse e accatastate e poiché Ulrich prestava aiuto vi furono molti incidenti e risate.

Fra tante faccende egli però pensava soltanto e continuamente che per tutta la vita e fino a poche ore prima era vissuto solo. E adesso c'era Agathe. Quella piccola frase: "Adesso c'è Agathe" si ripeteva come le onde, somigliava allo stupore di un bimbo a cui è stato donato un giocattolo, aveva in sé qualcosa che intorpidiva lo spirito, ma d'altra parte era anche quasi incomprensibilmente satura di presenza; e tutto riconduceva alla fine a quel breve pensiero: "Adesso c'è Agathe" "Dunque è alta e snella?" si domandò Ulrich e la osservò di soppiatto. Ma no, niente affatto; era più piccola di lui e aveva spalle larghe da creatura sana. "È graziosa?" Neanche questo si poteva dire: il suo naso orgoglioso, per esempio, visto di lato era un po' all'insù; ne emanava un fascino assai più intenso che quello della grazia. "Sarebbe bella, per caso?" si chiese Ulrich in maniera un po' strana. La domanda infatti non gli era facile, sebbene Agathe - lasciando da parte le convenzioni - fosse per lui una donna estranea. Non esiste alcun intimo divieto di considerare con affetti maschili una consanguinea, si tratta soltanto di costume o di complicazioni dell'igiene e della morale; anche il fatto di non esser stati allevati insieme aveva impedito fra Ulrich e Agathe il formarsi di quei sentimenti fraterni sterilizzati che dominano nella famiglia europea; tuttavia bastava già la tradizione per togliere da principio ai loro sentimenti reciproci, anche a quello innocente della bellezza soltanto pensata, una punta estrema la cui mancanza fu rivelata in quel momento a Ulrich dal suo chiaro stupore. Trovar bella una cosa probabilmente vuol dire innanzi tutto trovarla: sia che si tratti di un'amante o di un paesaggio è lì che si offre e guarda verso il lusingato scopritore e sembra aver aspettato lui, lui unico e solo; e così, con quella letizia di appartenergli e di voler esser scoperta da lui, sua sorella gli piaceva oltre ogni misura e tuttavia egli pensava: "Non si può veramente trovar bella la propria sorella, tutt'al più si può esser lusingati che la trovino bella gli altri" Ma poi, dove prima era silenzio, egli udì per minuti la sua voce, e quella voce com'era? Ondate di profumo accompagnavano il moto delle sue vesti, e com'era quel profumo? I suoi movimenti erano ora un ginocchio, ora dita delicate, ora la disubbidienza di un ricciolo. L'unica cosa che se ne poteva dire era: è qui. Era lì, dove prima non c'era nulla. La differenza di intensità fra il momento in cui Ulrich aveva pensato più fortemente alla sorella non ancor giunta e il più vuoto dei momenti presenti era un'altra delizia così grande e chiara come quando il sole riempie di colore un

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luogo ombroso, e del profumo di erbe che s'aprono!Anche Agathe s'accorse che il fratello la osservava ma non lo mostrò. Nei momenti di silenzio, in

cui si sentiva seguita dal suo sguardo, mentre domande e risposte si diradavano o piuttosto parevano una barca che scivola a motore spento su acque insidiose e profonde, anch'essa godeva l'acuita presenza e la tranquilla intensità che accompagnavano quella riunione. E quando ebbero finito di disfar le valige e di metter tutto a posto, e Agathe rimase sola nel bagno, ne derivò un caso che voleva irrompere come il lupo in quel pacifico idillio perché ella si era spogliata, meno la biancheria, nella camera dove adesso Ulrich, fumando sigarette, era rimasto di guardia. Immersa nell'acqua, Agathe si chiedeva come fare. Cameriere non ce n'erano, suonare il campanello era probabilmente inutile quanto chiamare, e dunque non restava altro che avvolgersi nell'accappatoio di Ulrich, picchiare alla porta e mandarlo via dalla stanza. Ma Agathe si chiese sorridendo se era lecito, data la seria confidenza che fra loro non era ancora cresciuta però era già nata, comportarsi così da forestiera e pretendere che Ulrich si ritirasse; e decise di bandire ogni malintesa femminilità e di apparirgli davanti come la creatura naturale e familiare che doveva essere per lui anche quand'era poco vestita.

Ma quando entrò risoluta sentirono entrambi una commozione inaspettata del cuore. Entrambi cercarono di non mostrarsi turbati. Per un attimo non poterono allontanare da sé la naturale incongruenza secondo la quale è permessa al mare la quasi nudità mentre in una stanza l'orlo della camicia o delle mutandine diventa un sentiero del contrabbando romantico. Ulrich sorrise impacciato quando Agathe, con la luce del vestibolo dietro di sé, comparve sulla porta come una statua d'argento appena avvolta in una nuvola lieve di batista, e chiese con una voce esageratamente disinvolta le calze e il vestito che però erano nella stanza attigua. Ulrich vi condusse la sorella e con segreta delizia vide che camminava un po' troppo come un ragazzo, prendendovi quasi un gusto protervo, come fanno sovente le donne quando non si sentono protette dalle loro vesti. Poi vi fu qualcosa di nuovo quando Agathe un po' più tardi restò lì con l'abito agganciato solo a metà, e chiamò Ulrich in aiuto. Mentre lui trafficava dietro la sua schiena, ella sentì, senza gelosia fraterna anzi con una sorta di soddisfazione, che egli s'intendeva benissimo di vestiario femminile, e lo aiutò sollecita con i gesti richiesti dalla situazione.

Ulrich intanto, chino sulla pelle viva, tenera e pur soda delle belle spalle, e intento all'opera inconsueta che gli arrossava la fronte, fu avvolto da una sensazione difficile a esprimere in parole; forse si potrebbe dire che il suo corpo era turbato di aver una donna come di non avere nessuna donna tanto vicina: oppure che egli si trovava senza dubbio nella propria pelle ma tuttavia si sentiva attratto fuori di se stesso come se gli venisse assegnato un secondo corpo molto più bello.

Perciò quando si fu raddrizzato disse alla sorella:- Adesso ho capito chi sei tu: sei il mio amor proprio! La frase suonava strana, ma descriveva bene

ciò che Ulrich sentiva. - Un vero amor proprio come lo posseggono gli altri mi è sempre mancato, in un certo senso, - egli spiegò. - E adesso mi pare evidente che, per errore o per destino, era personificato in te! - aggiunse senz'altro.

Fu il suo primo tentativo, quella sera, di fermare in un giudizio l'arrivo di sua sorella.

25.I fratelli siamesi

Più tardi, quella sera stessa, ritornò sull'argomento.- Devi sapere, - cominciò a dire, - che io non conosco un certo genere d'amor proprio, quel tenero

affetto per se stessi che sembra naturale alla maggior parte degli uomini. Non so bene come spiegarmi. Potrei dire, poniamo, che ho sempre avuto con le mie amanti dei rapporti sbagliati. Esse erano illustrazioni di improvvise fantasie, caricature dei miei capricci; cioè in sostanza semplici esempi della

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mia incapacità di entrare in relazioni naturali con altre persone. Anche questo è connesso al rapporto col proprio io. In fondo mi son sempre scelto delle amanti che non amavo...

- Ma è giusto! - interruppe Agathe. - Se io fossi un uomo non mi farei scrupolo di trattare le donne nel modo più infido. Le desidererei solo per distrazione e per meraviglia!

- Sì? Davvero? È carino da parte tua!- Sono ridicoli parassiti. Si dividono col cane la vita dell'uomo! Agathe proferì quest'affermazione

senz'ombra di indignazione moralistica. Era gradevolmente stanca, teneva gli occhi chiusi; si era coricata presto e Ulrich che era venuto a salutarla la vedeva in letto al proprio posto.

Ma era anche il letto che trentasei ore prima aveva occupato Bonadea. Perciò forse Ulrich tornò a parlare delle sue amanti.

- Da quello volevo solo dedurre la mia inettitudine a un tranquillo rapporto con me stesso, ripeté sorridendo. - Se devo vivamente partecipare a qualcosa bisogna che ciò sia legato a un nesso, che sia subordinato a un'idea. La vicenda stessa preferirei in fondo averla già dentro di me, nel ricordo; il dispendio di sentimento mentre è in atto mi sembra spiacevole, ridicolo e fuori di posto. Così è, se cerco di descrivermi senza riguardi. E l'idea più spontanea e più semplice, almeno negli anni giovanili, è di essere un tipo nuovo e diabolico che il mondo stava aspettando. Ma non dura oltre i trent'anni! - Stette a pensare un momento, poi disse: - No! è così difficile parlare di sé: in fondo dovrei dire schietto che non sono mai rimasto a lungo sotto il dominio di un'idea. Non l'ho mai trovata. Un'idea bisognerebbe amarla come una donna. Esser beato quando si ritorna a lei. E averla sempre dentro! E cercarla fuori, dappertutto! Idee così non le ho trovate mai. Sono sempre stato in un rapporto da uomo a uomo con le cosiddette grandi idee: forse anche con quelle che a buon diritto si chiamavano così. Non mi credevo nato per assoggettarmi a esse, mi facevano venir voglia di abbatterle per sostituirle con altre. Sì, forse proprio questa gelosia mi ha portato alla scienza, le cui leggi vengono cercate in comune e mai considerate inviolabili!

Tacque di nuovo e rise di sé o del proprio racconto.- Ma sia come sia, - riprese facendosi grave, certo è che l'esser legato a nessuna idea oppure a tutte

mi ha fatto disimparare a prender sul serio la vita. In fondo mi eccita molto di più leggerla in un romanzo dove è semplificata da un'interpretazione; ma se devo viverla in tutte le sue lungaggini, la trovo già antiquata e prolissa e sorpassata come nesso logico. Non credo che sia colpa mia. Perché oggi gli uomini sono quasi tutti uguali. È vero che molti si fingono una prorompente gioia di vivere, così come si insegna ai bambini delle elementari a saltellare allegramente tra i fiorellini, ma v'è sempre in questo una certa intenzione ed essi lo sentono. In verità sono capaci tanto di sbudellarsi l'un l'altro a sangue freddo quanto di vivere in buona armonia. Il nostro secolo non prende certo sul serio gli avvenimenti e le avventure di cui è zeppo. Quando accadono destano eccitazione. Tosto suscitano nuovi eventi, una specie di rappresaglia, una necessità di dire l'alfabeto da B a Z perché si è detto A. Ma queste vicende della nostra vita hanno meno vita che un libro perché non hanno un senso coerente.

Così parlò Ulrich. Con scioltezza e volubilità. Agathe non rispose; teneva ancora gli occhi chiusi, ma sorrideva. Ulrich disse:

- Non so più quel che ti sto raccontando; credo di non saper più ritornare all'inizio. Vi fu un silenzio. Egli poté osservare a suo agio il viso della sorella, non difeso dallo sguardo degli occhi. Era lì, un pezzo di carne nuda, come le donne in un bagno femminile. Il cinismo naturale e non sorvegliato di quella vista non destinata all'uomo aveva sempre un effetto particolare su Ulrich, anche se non più così violento come nei primi giorni della loro convivenza, quando Agathe aveva subito accampato il proprio diritto di sorella di parlare con lui il più scopertamente possibile giacché per lei egli non era un uomo come gli altri. Egli ripensò allo sgomento misto di meraviglia che provava da bambino quando vedeva per strada una donna incinta o una nutrice col lattante al petto; segreti accuratamente occultati al ragazzo si mostravano al sole, schietti e palpabili. E forse per molto tempo egli aveva serbato in sé avanzi di quelle impressioni perché a un tratto gli parve di sentirsene perfettamente libero. Che Agathe

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fosse donna e dovesse aver avuto le sue esperienze era un'idea comoda e piacevole; non occorreva stare all'erta come con una ragazzina parlando con lei, anzi gli pareva naturale e commovente che in una donna le concezioni morali fossero più rilassate. Provava anche il bisogno di prenderla sotto la sua protezione e con qualche bontà compensarla di qualche cosa. Si propose di fare per lei tutto quello che poteva. Perfino di trovarle un altro marito. E quello slancio di bontà, senza che egli quasi se ne accorgesse, gli fece ritrovare il filo perduto del discorso.

- Io credo che negli anni della maturazione sessuale il nostro amor proprio si trasformi, - disse senza preamboli. - Perché allora un prato di tenerezza dove ci si è trastullati finora viene falciato al fine di ottenere foraggio per un determinato istinto.

- Perché la vacca dia latte, - soggiunse Agathe dopo una frazione di secondo, cinica e dignitosa ma senza aprire gli occhi.

- Sì, è tutto collegato, - confermò Ulrich, e proseguì: - V'è dunque un momento in cui la nostra vita perde quasi tutta la sua tenerezza, e questa si concentra in quell'unica attività che ne rimane quindi sovraccarica: non sembra anche a te che su tutta la terra regni una spaventosa siccità, mentre in un solo luogo piove senza mai smettere?

Agathe disse:- A me pare di aver amato le mie bambole più di qualsiasi uomo. Dopo la tua partenza trovai in

soffitta una cesta piena di bambole vecchie.- Che cosa ne hai fatto? - chiese Ulrich. - Le hai date via?- A chi dovevo darle? Le ho bruciate nel camino. - Ulrich riprese vivacemente:- Se ripenso alla mia più remota infanzia direi che l'interno e l'esterno non erano quasi separati.

Quando andavo striscioni verso un oggetto, esso mi veniva incontro volando; e quando succedeva qualcosa d'importante non soltanto noi ma le cose stesse erano in ebollizione. Non dico che allora fossimo più felici che dopo. In fondo non possedevamo ancora noi stessi, anzi non esistevamo ancora, la nostra condizione personale non era chiaramente distinta da quella del mondo. Sembra un'affermazione strana ma pure è vera: i nostri sentimenti, le nostre volizioni e il nostro io non erano ancora interamente dentro di noi; ma, più strano ancora, si potrebbe anche dire che non erano ancora del tutto staccati da noi. Infatti se tu oggi, mentre credi di essere interamente in possesso di te stessa, ti chiedessi per eccezione chi sei, faresti questa scoperta. Tu ti vedrai sempre dall'esterno come un oggetto. Ti renderai conto che in un'occasione diventi triste e in un'altra t'arrabbi, così come il tuo cappotto una volta è bagnato e un'altra volta caldo. Avrai un bell'osservarti, riuscirai tutt'al più a scoprirti, mai però a entrarti dentro. Tu resti al di fuori di te stessa, qualunque cosa tu faccia, meno quei pochi momenti appunto in cui la gente direbbe che sei fuori di te. In compenso noi adulti siamo giunti a poter pensare in ogni occasione "Io sono", se questo ci diverte. Tu vedi una carrozza e in qualche modo vedi anche come un'ombra: "Io vedo una carrozza" Tu ami o sei malinconica, e vedi che lo sei. In senso assoluto però non c'è né la carrozza né la tua malinconia né il tuo amore, e compiutamente non ci sei nemmeno tu stessa. Nulla più esiste proprio così com'era una volta, nella fanciullezza. Invece tutto quello che tocchi è relativamente assiderato fino al tuo intimo appena tu giungi a essere una "personalità" e ne avanza soltanto, avviluppata in un'esistenza assolutamente esteriore, una nebbia spettrale di presunzione e di torbido egoismo. Che cosa c'è che non combina? Si ha l'impressione che qualcosa si potrebbe ancora salvare! Non si può poi mica sostenere che un bambino senta in tutt'altro modo che un uomo! Non conosco risposte definitive a tali problemi, chi pensa questo e chi pensa quello. Ma da molto tempo io l'ho risolta così: si è perduto ogni amore per questa specie di Io e per questa specie di mondo.

Ulrich era contento che Agathe avesse ascoltato senza interromperlo perché aspettava tanto poco risposta da lei quanto da se stesso ed era persuaso che una risposta come l'intendeva lui nessuno per ora gliela poteva dare. Tuttavia non temette nemmeno per un istante che il suo discorso potesse sembrarle troppo difficile. Non lo considerava un ragionamento filosofico e non gli pareva neppure un

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argomento fuor del comune; così come un giovane anch'egli si trovava in una simile posizione - per nulla sgomento della difficoltà di esprimersi persiste a trovare tutto semplice quando, stimolato da un altro, scambia con lui le eterne domande: "Chi sei? Io sono così" La sicurezza che la sorella potesse seguirlo parola per parola gli veniva dalla presenza di lei e non da un ragionamento. La guardava assorto e trovava in quel volto qualcosa che lo rendeva felice. Così, a occhi chiusi, senza riflessi, aveva per lui un fascino immenso, e anche come un'attrazione verso un abisso senza sbocco.

Intento alla contemplazione non incontrava in nessun luogo il fondo fangoso delle resistenze contro cui sbatte chi si è immerso nell'amore, prima di risalire all'asciutto. Ma essendo abituato a sentire l'inclinazione per la donna come un'avversione violentemente capovolta per il genere umano, il che - sebbene egli lo disapprovasse - dà una certa garanzia di non perdersi in essa, lo sgomentava quasi come una perdita d'equilibrio la pura tenerezza in cui, incuriosito, affondava sempre più; così che presto fuggì quella condizione e nella sua letizia ricorse a uno scherzo un po' fanciullesco per richiamare Agathe alla vita quotidiana: con il tocco più leggero possibile cercò di aprirle gli occhi. Agathe li spalancò ridendo ed esclamò:

- Per essere io il tuo amor proprio mi tratti con ben poca creanza!La risposta era sbarazzina come l'atto che l'aveva provocata e i loro sguardi si sfidarono come due

ragazzi che vorrebbero azzuffarsi ma non ci riescono dal gran ridere. Improvvisamente Agathe cedette e domandò in tono serio:

- Conosci il mito che Platone riporta da qualche testo più antico, secondo il quale l'uomo in origine era una creatura unica divisa poi dagli dei in due parti, maschio e femmina? Si era sollevata sul gomito e di colpo si fece rossa, avvedendosi che chiedere a Ulrich se conosceva quella storia ben nota era un po' ingenuo. Perciò aggiunse recisamente: - Adesso le disgraziate metà fanno ogni sorta di sciocchezze per ricongiungersi; questo è scritto in tutti i libri di scuola; purtroppo non dicono perché non ci si riesce!

- Posso dirtelo io, - intervenne Ulrich, felice di riscontrare com'ella lo aveva capito bene. Nessuno sa qual è, fra le tante che vanno attorno, la metà che gli manca. Ne agguanta una che gli par quella giusta e fa i più vani sforzi per diventare una cosa sola con lei, finché s'accorge che non c'è riuscito. Se ne è nato un bimbo, le due metà credono almeno per qualche anno di essersi fuse nel figlio; ma invece non è che una terza metà la quale manifesta prestissimo la tendenza ad allontanarsi il più possibile dalle prime due per cercarsene una quarta. Così l'umanità continua a "dimezzarsi" fisiologicamente e la vera unificazione è là come la luna davanti alla finestra della camera da letto.

- Si potrebbe pensare che i fratelli debbano già aver fatto metà del cammino! - interruppe Agathe con voce improvvisamente rauca.

- I gemelli, forse.- Non siamo gemelli noi?- Certo! - Ulrich divenne evasivo. Gemelli ve ne sono pochi. Gemelli di sesso diverso poi sono una

rarità; se per giunta son di età differente e per molto tempo non si sono quasi conosciuti diventano un fenomeno veramente degno di noi! - egli dichiarò gaiamente, cercando un terreno più saldo.

- Ma noi ci siamo incontrati come gemelli! - insisté Agathe senza lasciarsi sviare.- Perché casualmente eravamo vestiti in modo quasi uguale?- Forse. E ad ogni modo! Tu puoi dire che è stato un caso; ma che cos'è il caso? Io credo che sia

precisamente il destino o il fato o come lo vuoi chiamare. Non t'è mai sembrato un caso che tu sia nato proprio così come sei? E tanto più l'esser nati fratelli! Così concluse Agathe, e Ulrich si sottomise a quella saggezza.

- Noi due dunque ci dichiariamo gemelli! - consentì. - Creature simmetriche di un capriccio della natura, d'ora in poi avremo la stessa età, la stessa statura, gli stessi capelli e andremo per le strade degli uomini con gli stessi abiti a righe e lo stesso fiocco sotto il mento; però ti avverto che essi ci guarderanno mezzo commossi e mezzo ironici come sempre accade quando qualcosa gli ricorda i misteri della loro creazione.

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- Possiamo anche vestirci in modo opposto, - ribatté Agathe divertita. L'uno giallo quando l'altro è azzurro, oppure uno rosso e l'altro verde, con i capelli tinti di rosso e di viola, ed io mi faccio una gobba e tu una pancia: e nonostante tutto siamo gemelli.

Ma lo scherzo era esaurito, l'appiglio ormai sfruttato, e ammutolirono entrambi.- Lo sai, - disse poi Ulrich all'improvviso, - che stiamo parlando di cose molto serie?

Immediatamente Agathe calò di nuovo sugli occhi i ventagli delle palpebre e nascondendosi dietro la sua pronta attenzione lo lasciò parlare solo. La stanza era oscura, la lampada, più che far scernere, si riversava in superfici chiare su tutti i contorni. Ulrich aveva detto:

- Come al mito dell'uomo diviso in due si potrebbe anche pensare a Pigmalione, all'Ermafrodito, o a Iside e Osiride: resta sempre lo stesso in aspetti diversi. Questo bisogno di un doppione nell'altro sesso è antichissimo. Esso vuole l'amore di una creatura che ci somigli perfettamente, ma sia un'altra da noi, una figura magica che è noi stessi, ma che è tuttavia una figura magica e che sopravanza tutte le cose soltanto immaginate per il suo afflato di libertà e di indipendenza. Innumerevoli volte questo sogno del fluido d'amore che, indifferente alle limitazioni della materia, s'incontra in due forme uguali-diverse, s'è già innalzato in solitaria alchimia dagli alambicchi dei cervelli umani...

Poi s'era inceppato; evidentemente gli era venuto un pensiero che lo turbava, e aveva concluso con parole quasi brusche:

- Anche nelle situazioni più comuni dell'amore se ne trovano tracce: nell'attrattiva che è legata a ogni mutamento e travestimento, come nel valore della concordanza e della ripetizione di sé nell'altro. Vedere una gran dama per la prima volta nuda o vedere una di quelle ballerine nude per la prima volta in abito accollato è sempre lo stesso piccolo incanto, e le grandi passioni travolgenti si scatenano tutte perché un individuo s'immagina che il suo Io più segreto lo spii dietro il sipario di un paio d'occhi altrui.

Pareva che egli la pregasse di non sopravvalutare ciò che stavano dicendo. Agathe però ripensava al sentimento fulmineo di sorpresa che l'aveva colpita quando si erano incontrati la prima volta quasi travestiti nei loro abiti da casa. E rispose:

- Questo dunque avviene da mille e mille anni; è forse più facile intenderlo affermando che si tratta di due illusioni?

Ulrich tacque.E dopo qualche istante Agathe disse allegramente:- Eppure in sogno accade a volte così! Ci si vede trasformati in qualcos'altro. Ho sognato

d'incontrare me stessa, sotto forma di uomo. E son stata buona con lui come non son mai stata con me. Probabilmente tu dirai che sono sogni erotici; ma a me sembra invece che siano molto più antichi.

- Ne fai spesso di questi sogni? - domandò Ulrich.- Qualche volta, di rado.- Io quasi mai, - confessò lui. - Da tempo immemorabile non m'è più capitato.- Eppure mi hai spiegato una volta, - disse Agathe, - credo che fosse appena in principio, ancora là

nella vecchia casa, che l'uomo migliaia d'anni fa ha conosciuto esperienze molto diverse!- Ah, vuoi dire la vista "che dà" e la vista "che prende"? - replicò Ulrich, e sorrise benché Agathe

non lo vedesse. - Lo spirito "che cinge" e "che è cinto"? Già, anche di quella misteriosa bisessualità dell'anima avrei dovuto parlare, naturalmente! E di quant'altro ancora! Ve ne son tracce dappertutto. Persino in ogni analogia c'è un resto dell'incanto di essere uguali e non uguali. Ma non hai osservato? in tutti questi comportamenti di cui abbiamo discorso, nel sogno, nel mito, nella poesia, nell'infanzia e perfino nell'amore la parte maggiore del sentimento la si paga con una mancanza di comprensione, vale a dire con una mancanza di realtà.

- Tu dunque non ci credi realmente? - chiese Agathe. Ulrich non rispose, ma dopo un po' disse:- Se lo traduciamo nell'empio linguaggio moderno, ciò che oggi è spaventosamente scarso per tutti si

potrebbe chiamare la percentuale di partecipazione dell'individuo alle proprie azioni e vicende. In sogno sembra che sia il cento per cento, da svegli non è neanche la metà! L'hai capito tu stessa dalla mia

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casa; ma le mie relazioni con le persone, come tu vedrai, non sono diverse. L'ho definito una volta - e in verità, se non erro, devo aggiungere che fu durante un colloquio con una donna, dove veniva molto a proposito l'acustica del vuoto. Se in una stanza vuota cade a terra un ago, il rumore prodotto ha qualcosa di sproporzionato, di addirittura enorme; ma lo stesso accade quando il vuoto è fra le persone. Non si sa più: si sta gridando o è un silenzio di tomba? Perché tutto ciò che è falso e storto acquista la forza attrattiva di una mostruosa tentazione, se non vi si può opporre nulla. Non pare anche a te? Ma scusami, - egli s'interruppe, - devi essere stanca e io non ti lascio riposare. Forse ho paura che qualcosa ti dispiaccia nella mia casa e nella mia compagnia.

Agathe aveva sollevato le palpebre. Dopo essere rimasti a lungo nascosti i suoi occhi esprimevano qualcosa di molto difficile a definirsi, che Ulrich sentì diffondersi intensamente per tutto il proprio corpo. Subito egli seguitò a raccontare:

- Quand'ero più giovane tentai di considerare questo fatto una forza. Non si ha nulla da opporre alla vita? Bene, allora la vita fugge via dall'uomo e si rifugia nelle sue opere! Così pensavo all'incirca. E in verità c'è qualcosa di impressionante nell'aridità, nell'assenza del senso di responsabilità del mondo odierno. Direi che è un secolo nell'età dell'adolescenza, e perché non ci dovrebb'essere anche per i secoli un'età dello sviluppo, come c'è per gli individui? Come tutti i giovani io in principio mi buttai a capofitto nel lavoro, nelle avventure e nei piaceri; mi pareva indifferente quel che facevo, pur di farlo con tutto me stesso. Ricordi che parlammo una volta della "morale dell'attività"? è l'immagine congenita in noi secondo la quale ci regoliamo. Man mano che s'invecchia, però, s'impara che quell'apparente esuberanza, quell'indipendenza e mobilità in tutte le cose, quella sovranità degli stimoli e degli impulsi - tanto i tuoi verso te stesso quanto i tuoi verso il mondo esterno - in breve tutto ciò che come uomini d'oggi noi abbiamo ritenuto una forza e una particolarità che ci distingueva, in ultima analisi non è che una debolezza dell'intero di fronte alle sue parti. Con la passione e con la volontà non puoi venirne a capo. Appena vuoi immergerti tutto dentro e nel cuore di una cosa, subito ti vedi ributtato al margine: questa è oggi la vicenda in tutte le vicende!

Agathe con gli occhi ormai aperti aspettava che nella voce di lui si compiesse qualcosa; ma poiché ciò non avvenne e il discorso di Ulrich si spezzò come un viottolo che si dirama da una strada e non vi fa più ritorno, ella disse:

- Dunque, secondo la tua esperienza, non si può mai agire per vera convinzione e non lo si potrà mai. Non intendo per convinzione la scienza, - si corresse poi, - e neanche la disciplina morale che ci hanno inculcata; voglio dire il sentirsi interamente vicini a se stessi e anche vicini a tutto il resto, riempire ciò che ora rimane vuoto, insomma qualcosa da cui si prende le mosse e a cui si ritorna. Ah, non so neanch'io quello che vorrei dire, - s'interruppe bruscamente, speravo che me lo spiegassi tu!

- Tu intendi precisamente quello di cui abbiamo parlato, - rispose Ulrich dolcemente. - E sei anche l'unica persona al mondo con la quale posso parlare così. Ma non avrebbe senso che io ricominciassi per aggiungere qualche altra parola seducente. Devo dire piuttosto che "l'immergersi dentro", uno stato di indisturbata "interiorità" della vita - se non si intende la parola in senso sentimentale ma in quello che le abbiamo dato poc'anzi - probabilmente non si può ottenere con un sano raziocinio - Si era piegato in avanti, le toccò un braccio e la guardò a lungo negli occhi. Forse è una incapacità umana! - disse piano. - Vero è soltanto che ne soffriamo acutamente. Perché proprio da quella impotenza deriva il desiderio di fratellanza che è un contorno dell'amore comune, nell'immaginaria direzione di un amore senza nessuna miscela di aridità e di incomprensione - E dopo una pausa soggiunse: - Tu sai come son comuni, nei discorsi erotici, le variazioni sul tema "fratellino e sorellina" Gente che sarebbe capace di assassinare i propri fratelli carnali, a letto bamboleggia con quegli appellativi.

Nella penombra il suo viso era contratto dall'autoironia. Ma la fede di Agathe era sospesa a quel viso e non alla confusione delle parole. Ella aveva visto altre facce similmente convulse, che il momento dopo le piombavano sopra; questa non si avvicinava, pareva scorresse a velocità immisurabile su una strada infinitamente lontana. Rispose brevissimamente:

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- Esser fratelli non basta!- Abbiamo già detto "fratelli gemelli", - replicò Ulrich, alzandosi senza rumore, perché gli pareva che

la grande stanchezza la stesse ormai sopraffacendo.- Bisognerebbe essere una coppia di fratelli siamesi, - mormorò ancora Agathe.- Benissimo, fratelli siamesi, ripeté Ulrich. Cercava di sciogliere dalla propria la mano di lei per

deporla cautamente sulla coperta, e le sue parole sonarono lievi, ancora aleggianti senza peso dopo che lui aveva lasciato la stanza. Agathe sorrise e affondò a poco a poco in una solitaria malinconia le cui nebbie si convertirono presto nell'oscurità del sonno, senza che lei nella sua spossatezza se ne avvedesse. Ulrich invece si ritirò nel suo studio e per due ore, senza poter lavorare, fece conoscenza con lo stato di chi si sente prigioniero di scrupoli, finché si sentì stanco lui pure. S'accorse con stupore quanto gli sarebbe piaciuto far qualcosa che producesse rumore e dovesse essere soffocato. Era una sensazione nuova per lui. E quasi lo eccitava un poco, sebbene cercasse di figurarsi con la massima applicazione come doveva essere sentirsi per davvero concresciuto con un'altra persona. Ignorava come funzionassero due sistemi nervosi attaccati come due foglie a un gambo solo e collegati l'uno all'altro non soltanto dal loro sangue ma ancor più dall'assoluta dipendenza reciproca. Era da supporsi che ogni eccitamento psichico dell'uno fosse sentito anche dall'altro mentre il fatto causale si svolgeva in un corpo che nell'essenziale non era il suo. "Un abbraccio, ad esempio; tu vieni abbracciato nell'altro, - egli pensò. - Forse non approvi neppure, ma l'altro tuo Io immette in te una preponderante ondata di approvazione! Che cosa t'importa che tua sorella sia baciata? Ma il suo eccitamento tu lo devi amare con lei! Oppure sei tu che ami, e in qualche modo la devi render partecipe, non puoi infliggerle soltanto degli assurdi processi fisiologici...!" Quel pensiero suscitava in Ulrich una forte commozione e un grande disagio; gli sembrava difficile tracciare la linea di confine fra criteri nuovi e distorsione di criteri comuni.

26.Primavera nell'orto

L'elogio di Meingast e le nuove idee da lui suggerite avevano prodotto su Clarisse un'impressione profonda.

L'irrequietezza spirituale e l'eccitabilità, di cui talora ella stessa si preoccupava, erano diminuite senza far luogo stavolta ad avvilimento, malinconia e disperazione, bensì a una eccezionale chiarezza, a una straordinaria trasparenza interiore. Di nuovo Clarisse esaminò se stessa criticamente e si comprese. Senza incertezze, anzi con una certa soddisfazione si rese conto di non essere particolarmente intelligente: già aveva studiato troppo poco. Ulrich invece, quando pensava a lui durante quell'esame comparativo, Ulrich era come un pattinatore che su una levigata superficie spirituale si avvicinava o si allontanava a volontà. Quando diceva una cosa, non si capiva mai donde venisse, e nemmeno quando rideva, quando andava in collera, quando i suoi occhi lampeggiavano, quando stava lì e con le sue spalle larghe toglieva lo spazio a Walter. Se voltava la testa, anche solo per curiosità, i tendini del collo gli si tendevano come le funi di un veliero che salpa nel vento e nel sole. Così c'era sempre in lui qualche cosa che le restava inaccessibile e teneva desto il desiderio di buttarsi su di lui a corpo morto per afferrarla. Ma la vertigine che la travolgeva allora - tanto che una volta non v'era stato più nulla di saldo al mondo se non l'anelito di avere un figlio da lui adesso era sparita senza lasciarsi dietro neppure quei frammenti di cui il ricordo, dopo l'intepidirsi delle passioni, è incomprensibilmente cosparso. Clarisse tutt'al più, le poche volte che le succedeva, s'irritava ripensando al suo fiasco in casa di Ulrich; ma la sua sicurezza di sé era intatta e pronta a nuovi cimenti. Tale effetto avevano avuto appunto le nuove idee di cui l'ospite filosofo l'aveva rifornita; senza contare le eccitazioni immediate che le aveva procurato il

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ritrovarsi con l'amico trasformato. Così trascorsero molti giorni in una tensione varia, mentre tutti nella casetta già inondata dal sole primaverile aspettavano che Ulrich recasse il permesso di visitare Moosbrugger nella sua lugubre dimora.

E un pensiero soprattutto dominava nella mente di Clarisse: il Maestro aveva detto che il mondo era così esente da manie, che di nessuna cosa sapeva più se dovesse amarla oppure odiarla; e da allora Clarisse era convinta che bisognasse abbandonarsi a una mania se si aveva la fortuna di esserne colti. Perché un'idea fissa è un dono della sorte. Chi sapeva più se uscendo di casa doveva andare a destra o sinistra, a meno di avere come Walter una professione, che in compenso lo opprimeva, oppure come lei un appuntamento coi genitori o coi fratelli, che l'annoiava? Per chi ha un'idea fissa, invece, la cosa è ben diversa. Allora la vita è organizzata colla praticità di una cucina moderna: si sta seduti al centro, quasi non occorre muoversi e di lì si possono manovrare tutti gli apparecchi. Tali cose a Clarisse eran sempre piaciute molto. E d'altronde per lei una fissazione era semplicemente ciò che si suol chiamare volontà, però particolarmente rafforzata. Finora l'aveva scoraggiata il fatto di sapersi spiegare solo pochissime delle cose che avvengono in questo mondo, ma dopo il ritorno di Meingast poter amare, odiare e agire a proprio talento le era apparso come un privilegio suo particolare. Giacché, a sentire il Maestro, il genere umano aveva bisogno di volontà più che di ogni altra cosa, e questo bene di poter fortissimamente volere ella l'aveva sempre posseduto! A pensarci Clarisse si sentiva ardere di responsabilità e agghiacciare di gioia. Naturalmente la sua volontà non aveva niente da fare con l'ottuso sforzo di imparare un pezzo per pianoforte o di trionfare in un litigio, era piuttosto forte accettazione del reggimento della vita, pieno possesso di se stessi, scorreria nella felicità.

E alla fine ella non poté trattenersi dal comunicarne qualcosa a Walter. Lo informò che la sua coscienza diventava di giorno in giorno più forte. Ma Walter esasperato, ignorando la sua ammirazione per Meingast, supposta causa di questi fatti, replicò:

- È proprio una fortuna che Ulrich non riesca, mi pare, a ottenere il permesso! Sulle labbra di Clarisse passò una smorfia, che però tradiva pietà per tanta inconsapevolezza e pervicacia.

- Che cosa ti aspetti, poi, da quel criminale che non ci riguarda minimamente? - chiese Walter concitato.

- Lo capirò quando sarò là, - rispose Clarisse.- Mi sembra che dovresti già saperlo adesso, - osservò virilmente Walter.La mogliettina sorrise, come faceva sempre prima di ferirlo profondamente. Poi disse tranquilla:- Farò qualche cosa.- Clarisse! - protestò Walter fermamente. - Tu non puoi far niente senza il mio permesso; sono

secondo la legge tuo marito e tutore!Il tono era nuovo per lei. Ella si ritrasse e fece due o tre passi, turbata.- Clarisse! - ripeté Walter alzandosi per seguirla. - Farò io qualcosa contro la pazzia che circola in

questa casa!Allora ella capì che la forza salutare della sua decisione era già operante nell'energia accresciuta di

Walter. Si voltò di scatto.- Che cosa farai? - domandò, e dalla fessura dei suoi occhi un lampo saettò nelle brune pupille umide

e sgranate di lui.- Vedi, - diss'egli conciliante, e indietreggiò sorpreso da quella precisa richiesta di una spiegazione, -

ce l'abbiamo tutti dentro di noi questa tendenza spirituale al morboso, al raccapricciante e al problematico, noi intellettuali; però...

- Però lasciamo via libera ai filistei! - interruppe Clarisse trionfante. Adesso lo seguiva da vicino, non gli staccava gli occhi di dosso. Sentiva che la sua forza guaritrice lo avvolgeva e lo dominava. Il cuore le si riempì all'improvviso di una gioia rara e inesprimibile.

- Però non vi diamo tanta importanza, - concluse Walter di malumore. Dietro di sé, all'orlo della giacca, sentiva una resistenza; tastando trovò lo spigolo di uno dei tavolinetti leggeri dalle gambe sottili

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che pullulavano nella sua casa e a un tratto gli parvero odiosi: pensò che se faceva ancora un passo indietro l'avrebbe ridicolmente buttato a gambe all'aria; così resistette al desiderio improvviso di essere mille miglia lontano da quella lotta, su un prato di un bel verde vivo sotto gli alberi in fiore, fra persone la cui sana allegria lavasse e tergesse le sue ferite. Era un desiderio tranquillo, denso, abbellito da donne che ascoltavano le sue parole con grata ammirazione. E nel momento in cui Clarisse gli fu vicina ne ebbe un senso di trasognata squallida molestia. Ma con sua meraviglia Clarisse non esclamò: tu sei un vigliacco! Disse invece:

- Walter! Perché siamo infelici?Al suono di quella voce allettante e chiaroveggente egli sentì che l'infelicità con Clarisse non poteva

essere compensata dalla felicità con un'altra donna.- Perché dobbiamo! rispose con uguale slancio.- Ma no che non dobbiamo! - assicurò Clarisse in tono conciliante. Teneva la testa inclinata da una

parte, cercando un argomento per convincerlo. In fondo poteva essere qualunque cosa, non faceva differenza: si stavano di fronte come un giorno senza sera, che trasmette di ora in ora un fuoco mai languente. - Mi concederai, - ella principiò a dire con accento timido e ostinato a un tempo, - che i grandi delitti non si compiono perché qualcuno li commette, ma perché noi lasciamo che si compiano!

Walter indovinò quel che sarebbe venuto dopo, e fu per lui una delusione violenta.- Oh Dio! - esclamò impaziente. - So anch'io che l'indifferenza e la facilità con cui ci si può

procurare oggi una coscienza tranquilla distruggono assai più vite umane che la cattiva volontà dei singoli! E adesso, o meraviglia, tu dirai che ciascuno deve aguzzare la propria coscienza e riflettere profondamente su ogni passo prima di farlo!

Clarisse aprì la bocca ma poi cambiò idea e non parlò.- Penso anch'io alla povertà, alla fame, alle miserie d'ogni genere che noi tolleriamo, ai crolli nelle

miniere dove i consigli d'amministrazione per economia trascurano gli impianti protettivi, seguitò Walter dimesso, - tutte queste cose ti ho già detto che le riconosco.

- Ma allora anche due amanti non possono amarsi se la loro condizione non è di "felicità pura", - osservò Clarisse. - E il mondo non diverrà migliore finché non vi saranno degli amanti così!

Walter giunse le mani.- Ma non capisci come sono ingiuste tali pretese enormi, stupefacenti, assolute! - esclamò. - Lo

stesso avviene per questo Moosbrugger che di tanto in tanto ti gira nella testa come una turbina! In fondo, hai ragione di sostenere che non bisogna darsi pace finché simili disgraziati animali umani vengono semplicemente uccisi perché la società non sa che cosa fare di loro; ma, ancora più in fondo, ha pure ragione la sana coscienza popolare di respingere tali raffinatissimi dubbi. Vi sono certe proprietà ultime del sano ragionamento che non si possono dimostrare, ma che bisogna avere nel sangue!

Clarisse rimbeccò:- Secondo il tuo sangue "in fondo" è sempre: "in fondo" no.Walter crollò la testa, offeso, dimostrando di non volerle rispondere. Era stanco di dover sempre

ammonire che una dieta di idee unilaterali è dannosa, e forse alla lunga anche lui si sentiva incerto.Ma Clarisse, con la sensibilità nervosa che lo stupiva ogni volta, gli lesse nel pensiero e alzando il

capo saltò tutti i gradini intermedi per balzargli accanto sul punto culminante con la domanda posta in tono basso e stringente:

- Ti puoi immaginare Gesù direttore di una miniera? - Il suo volto rivelava che per Gesù intendeva veramente lui stesso, per una di quelle esagerazioni in cui l'amore non si distingue dalla follia. Egli si schermì con un gesto che era insieme di protesta e di sconforto.

- Non così, Clarisse! - pregò. - Non si deve parlare così direttamente!- Ma sì! - replicò Clarisse. Proprio così, invece! Se non abbiamo la forza di salvar lui, non avremo

nemmeno la forza di salvare noi stessi!

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- E infine che cosa importa se crepa! - esclamò Walter con violenza. Gli parve di assaporare in quella risposta grossolana il gusto liberatore della vita, deliziosamente mescolato al gusto della morte e della rovina irrimediabile, evocata dalle parole di Clarisse.

Clarisse lo guardò sospesa. Ma Walter sembrava soddisfatto del suo sfogo oppure taceva per irresolutezza. E come un giocatore costretto a mostrare l'ultima carta irresistibile, ella disse:

- Io ho ricevuto un segno!- Pura immaginazione! - gridò Walter rivolto al soffitto, che teneva luogo di cielo. Ma Clarisse con le

sue ultime parole imponderabili abbandonò il colloquio e non gli lasciò più dir nulla.La vide invece più tardi parlare animatamente con Meingast. L'impressione di essere osservato, che

infastidiva il Maestro, perché fin laggiù non ci vedeva bene, era giustificata. Infatti Walter non partecipava all'intenso lavoro di giardinaggio di suo cognato Siegmund, che, venuto in visita nel frattempo, era inginocchiato in un solco con le maniche rimboccate e faceva qualcosa che, aveva detto Walter, bisognava fare nel giardino in primavera se si voleva essere un uomo e non un piatto segnalibro nei volumi della propria materia.

Walter invece spiava senza parere la coppia che si trovava all'altra estremità dell'orto.Non credeva che nell'angolo da lui tenuto sotto sorveglianza accadessero cose illecite. Tuttavia

sentiva un freddo innaturale alle mani, esposte all'aria primaverile, e alle gambe, bagnate qua e là perché ogni tanto egli s'inginocchiava per dare istruzioni a Siegmund. Gli parlava con arroganza, come fanno i deboli e gli umiliati quando possono sfogare su qualcuno il loro malumore. Sapeva che Siegmund essendosi messo in testa di venerarlo non ci avrebbe rinunziato tanto facilmente. Ciò nonostante gli pareva di sentire addirittura una solitudine-dopo-il-tramonto, un gelo di tomba, mentre osservava che Clarisse non guardava mai dalla sua parte ma con segni continui di interesse non staccava gli occhi da Meingast. Eppure ne era anche fiero. Dacché Meingast stava in casa sua, egli era tanto orgoglioso dei crepacci che vi si aprivano quanto indaffarato a turarli. Dall'alto della sua positura eretta lasciò cadere queste parole su Siegmund accovacciato per terra:

- Conosciamo e sperimentiamo tutti in noi stessi una certa tendenza al problematico, al morboso! - Egli non era un ipocrita. Dopo che Clarisse l'aveva definito filisteo, lui aveva elaborato fra sé il concetto delle "piccole viltà della vita"

- Una piccola viltà può essere buona o dolce oppure acida, - egli così ammaestrò il cognato, - ma noi abbiamo il dovere di maturarla dentro di noi finché torni a onore della sanità morale. E per piccola viltà intendo tanto il nostalgico patteggiare con la morte, in cui si cade udendo la musica del Tristano, come l'attrazione segreta che ci ispirano quasi tutti i delitti sessuali, anche se noi non vi cediamo! Giacché io chiamo vile e antiumano tanto l'elementarismo a cui ci si abbandona nel dolore, nella miseria, nella malattia, quanto le esagerazioni della coscienza e della spiritualità che vorrebbero violentare la vita. Tutto ciò che vuol superare i confini a noi assegnati, è vile! Il misticismo è vile, come l'illusione di poter ridurre la natura a una formula algebrica. E l'intenzione di andare da Moosbrugger è altrettanto vile quanto... - qui Walter s'interruppe un momento per cogliere nel centro, e chiuse con le parole: -.quanto invocare Iddio in punto di morte!

Certo così si era detto qualcosa di sodo, e anzi la professionale e involontaria umanità del medico era chiamata a riconoscere che il proposito di Clarisse e i suoi stravaganti motivi oltrepassavano i limiti permessi. Ma, in confronto a Siegmund, Walter era un genio, tant'è vero che Walter dal suo sano ragionamento era stato portato a tali professioni di fede, mentre l'ancor più sana salute di suo cognato su quella materia problematica si esprimeva in ostinato silenzio. Siegmund ammucchiava la terra con le mani e ogni tanto senza aprir bocca piegava la testa su una spalla o sull'altra come per vuotare una provetta o semplicemente come se il suo orecchio fosse ormai pieno. E quando Walter tacque vi fu una quiete profonda e paurosa, nella quale risonò un giudizio che Clarisse doveva aver già proferito anche con Walter, infatti egli non lo udì con la vivezza di un'allucinazione, ma quasi rimasto nel silenzio di uno spazio vuoto: - Nietzsche e Cristo sono stati portati alla rovina dal loro essersi fermati a mezza

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strada! - E in modo un po' sospetto, che faceva pensare al "direttore della miniera", egli ne restò lusingato. Così era una posizione bizzarra la sua: lui, la salute in persona, in quel giardino fresco, fra un uomo che egli guardava dall'alto in basso e due scalmanati di cui osservava i gesti muti con superiorità eppure con desiderio. Giacché Clarisse era, infine, la piccola viltà di cui la sua salute aveva bisogno per non languire, e una voce arcana gli diceva che Meingast era in procinto di ingrandire a dismisura la piccolezza accettabile di questa vigliaccheria. Egli lo ammirava come il parente oscuro ammira il parente celebre, veder lui e Clarisse bisbigliare come due congiurati gli ispirava, più che gelosia, invidia, un sentimento questo che colpisce dentro con maggior violenza di quello; ma per qualche verso anche lo innalzava, cosciente della propria dignità egli era risoluto a non andare in collera, si vietava di avvicinarsi e di disturbarli, di fronte al loro infervoramento si sentiva superiore, e da tutto ciò risultava, egli stesso non sapeva come, un pensiero ibrido e confuso, nato a dispetto d'ogni logica: che i due laggiù, in modo disinvolto e biasimevole, stessero invocando Dio.

Se è lecito chiamar pensiero una così strana mescolanza di sentimenti diversi, era ad ogni modo uno di quei pensieri impossibili a esprimersi, perché la chimica della loro oscurità è immediatamente guastata dal chiaro influsso della parola. Walter del resto, come aveva dimostrato davanti a Siegmund, non collegava al nome di Dio nessun sentimento religioso, e dopo che quel nome gli era balenato alla mente si era fatto all'intorno un vuoto timoroso: perciò la prima cosa che Walter disse al cognato dopo un lungo silenzio fu ben lontana da tutto ciò.

- Sei un asino, gli buttò in faccia, - se non ti credi in diritto di sconsigliarle energicamente quella visita; perché fai il medico, allora?

Siegmund non se la prese neanche stavolta.- È una faccenda che dovete risolvere fra voi due soli, - rispose guardando tranquillamente in su, e

poi tornò a immergersi nel suo lavoro.Walter sospirò.- Clarisse, si sa, è una donna fuor del comune! - egli riprese. - Io la capisco benissimo. Ammetto

anche che non ha torto di professare opinioni tanto rigorose. Se pensi alla miseria, alla fame, al marcio d'ogni specie di cui il mondo è pieno, ai crolli nelle miniere, per esempio, che avvengono perché l'amministrazione fa economia sui lavori di sostegno...

Siegmund non manifestò la minima intenzione di pensarci.- Ebbene, lei ci pensa, - ripigliò Walter con severità. - Ed è molto bello da parte sua. Noi tutti ci

mettiamo a posto la coscienza con troppa facilità. E Clarisse è migliore di noi quando ci chiede di cambiare e di avere una coscienza più attiva, una coscienza, per così dire, infinita. Ma ecco quello che volevo chiederti: tutti questi scrupoli morali non portano a un'ossessione, se non sono già qualcosa di simile? Questo tu devi pur sapermelo dire!

A quella domanda stringente Siegmund si sedette su una gamba e squadrò il cognato.- È pazza! - dichiarò. - Ma non in senso clinico.- E come giudichi, - seguitò a chiedere Walter dimentico della propria superiorità, - la sua

affermazione di aver ricevuto dei segni?- Ha detto questo? - chiese Siegmund impensierito.- Ma sì! Quell'assassino pazzo, ad esempio! E pochi giorni fa un porco sotto le nostre finestre!- Un porco?- No, una specie di esibizionista.- Ah sì? - disse Siegmund, riflettendo. - Anche tu ricevi dei segni quando trovi qualcosa da dipingere.

Solo che lei si esprime con maggior esagerazione di te, - decise infine.- E quando dice che deve prender su di sé i peccati di questi uomini, anche i miei e i tuoi e non so di

chi altri? - esclamò Walter incalzante.Siegmund si era alzato e si puliva le mani sporche di terra.- Si sente oppressa dal peccato? - chiese superfluamente, e ammise in tono cordiale, come

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rallegrandosi di poter infine dar ragione al cognato: Questo è un sintomo!- È un sintomo? - ripeté Walter costernato.- L'ossessione del peccato è un sintomo, - confermò Siegmund nel tono staccato del professionista.- Le cose però stanno così, - disse Walter, ricorrendo subito in appello contro il giudizio da lui stesso

provocato: - Prima di tutto tu ti devi chiedere: il peccato esiste? Sì, esiste, naturalmente. Ma allora c'è anche un'ossessione del peccato che non è pazzia. Forse tu non lo capisci perché è al di sopra dell'empirismo. È l'offesa all'umano senso di responsabilità per una vita più alta.

- Ma lei dice anche di aver ricevuto dei segni! - obiettò allora il tenace Siegmund.- Ma tu dici che ne ricevo anch'io! - ribatté Walter vivacemente. - E sappi che certe volte vorrei

pregare in ginocchio il mio destino di lasciarmi in pace: invece mi manda sempre nuovi segni, e i più impressionanti per mezzo di Clarisse! - Poi ripigliò più tranquillo: Adesso per esempio lei sostiene che Moosbrugger rappresenta lei e me nella nostra "forma colpevole" e ci è stato inviato come un ammonimento; ma bisogna intenderlo così: ciò esprime simbolicamente che noi abbiamo trascurato le più alte possibilità della nostra vita, la sua "immagine luminosa", insomma. Molti anni fa, quando Meingast ci lasciò...

- Ma l'ossessione del peccato è un sintomo di certe alterazioni! - gli ricordò Siegmund con la disperata imperturbabilità del tecnico.

- Tu naturalmente non conosci che sintomi! - esclamò Walter difendendo con veemenza la sua Clarisse. - Perché il resto supera i limiti della tua esperienza. Ma forse è proprio qui la colpa e l'"immagine colpevole" della nostra vita: in questa superstizione che tratta come malattia tutto quel che non coincide con la più volgare esperienza! E Clarisse sente l'esigenza di combatterla con un'azione interiore. Già molti anni fa, quando Meingast andò via di casa nostra, noi... - Egli avrebbe voluto raccontare come Clarisse e lui "prendevano su di sé" i peccati di Meingast, ma era impresa disperata spiegare a Siegmund il processo di un risveglio spirituale, e così concluse vagamente con le parole: - Infine non vorrai negare che vi sono sempre stati degli uomini che si assumono il carico delle colpe di tutti, oppure le condensano in sé!

Il cognato lo guardò soddisfatto.- Finalmente! - rispose in tono cordiale. - Adesso dimostri tu stesso quello che io ho affermato fin

dal principio. Credersi oppressi dal peccato è un comportamento tipico in certe alterazioni. Ma nella vita s'incontrano anche comportamenti atipici. Non ho detto nulla di più.

- E la gravità esagerata che ella mette in tutte le sue azioni? domandò Walter dopo un po' sospirando. - Un simile rigorismo non si può mica chiamare normale?

Intanto Clarisse appartata laggiù con Meingast aveva una conversazione molto importante.- Tu hai detto, gli ricordò, - che gli uomini che si vantano di capire e di spiegare il mondo, non lo

faranno mai cambiare minimamente?- Sì, - confermò il Maestro. - "Vero" e "falso" sono i pretesti di coloro i quali non vogliono mai

giungere a una risoluzione. Perché la verità è una cosa senza fine.- Perciò hai detto che bisogna avere il coraggio di decidersi fra "valore" e "non-valore"? - seguitò a

indagare Clarisse.- Sì, - disse il Maestro un po' annoiato.- Meravigliosamente sdegnosa è anche la tua massima, - esclamò Clarisse, che nella vita odierna gli

uomini fanno soltanto quello che accade!Meingast si fermò e guardò a terra; poteva sembrare che tendesse l'orecchio oppure che

contemplasse un sassolino sull'orlo del viottolo, alla sua destra. Ma Clarisse non seguitò a porgergli il miele della lode; anch'essa aveva piegato il capo, così che il mento riposava quasi nella fontanella della gola, e il suo sguardo era fisso sul terreno, fra le punte degli stivali di Meingast: un lieve rossore le coprì il viso cinereo mentre smorzando discretamente la voce, ella continuava: - Tu hai detto che la sessualità non è altro che il salto del caprone.

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- Sì, l'ho detto in un'occasione particolare. La volontà di cui il nostro secolo difetta viene sperperata, a parte la cosiddetta attività scientifica, in sessualità!

Clarisse esitò un attimo, poi disse:- Per me, io ho molto volontà, ma Walter fa soltanto il salto del caprone.- Che cosa sta succedendo fra voi due? - chiese il Maestro incuriosito, ma soggiunse subito, quasi

con ribrezzo: - Posso immaginarlo, naturalmente.Erano in un angolo del giardino senza piante, inondato dal sole primaverile, e nell'angolo

diagonalmente opposto Siegmund stava accovacciato per terra mentre Walter in piedi accanto a lui gli parlava con animazione. Il giardino aveva la forma di un rettangolo appoggiato al muro più lungo della casa, e intorno alle aiuole di fiori e di ortaggi correva un viottolo inghiaiato, con due viottoli trasversali che disegnavano una croce sul terreno ancora brullo. Clarisse, gettando un'occhiata guardinga verso gli altri due uomini, rispose:

- Lui forse non ne ha colpa: devi sapere che io attraggo Walter in un modo che non è come dovrebb'essere.

- Me lo posso immaginare, - replicò questa volta il Maestro con uno sguardo comprensivo. - Tu hai qualcosa di un ragazzo.

A quell'apprezzamento Clarisse sentì la felicità balzarle per le vene come chicchi di grandine.- Ti eri accorto "allora" che io mi vesto (5) più in fretta di un uomo? - gli domandò pronta.La faccia del filosofo, atteggiata a benevolenza, diventò attonita. Clarisse fece una risatina.- È una parola con due sensi, - spiegò. - Ve ne sono anche altre: delinquenza sessuale, per esempio.Ora il Maestro pensò bene di non mostrarsi per nulla stupito.- Già, già, - rispose, - lo so. Tu dicesti una volta che spegner l'amore con il solito amplesso è

delinquenza sessuale - Ma ora, voleva sapere di quell'"attrazione"- Il consenso è assassinio, dichiarò Clarisse con la velocità di uno che sul suolo levigato sfoggia la sua

perizia con tanto slancio che fa un capitombolo.- Senti, - confessò Meingast, adesso sul serio non capisco più niente. Stai di nuovo parlando di quel

tale, il falegname. Ma che vuoi da lui?Clarisse pensierosa raspò col piede la ghiaia.- È sempre lo stesso, - rispose. E a un tratto guardò in faccia il Maestro. - Credo che Walter

dovrebbe imparare a rinnegarmi, disse recisamente.- Io non posso giudicare, - osservò Meingast dopo aver aspettato invano che ella compisse la frase, -

ma certo le soluzioni radicali son sempre le migliori.L'aveva detto così, in generale. Ma Clarisse riabbassò il capo, affissando lo sguardo su un punto

qualunque della giacca di Meingast, e dopo qualche istante avvicinò lentamente la mano all'avambraccio di lui. Di colpo desiderò sfrenatamente di stringere quel braccio duro e scarno sotto l'ampia manica e di toccare il Maestro che si fingeva ignaro delle parole illuminanti dette su Moosbrugger. Mentre così le accadeva era dominata dalla sensazione di trasmettere a lui una parte di sé, e nella lentezza con cui gli insinuava la mano su per la manica, in quell'ondeggiante lentezza vorticavano frammenti di una incomprensibile voluttà nata dalla percezione che il Maestro stava immobile e si lasciava toccare da lei.

Meingast intanto fissava annichilito la mano che ghermiva in quel modo il suo braccio e lo risaliva come un animale dalle molte zampe si stende sulla sua femmina; vedeva palpitare sotto le palpebre abbassate della piccola donna qualcosa d'insolito; intuiva un oscuro processo che lo commuoveva appunto perché si svolgeva così palese.

- Vieni! - le propose, scostandole gentilmente la mano. - Se restiamo qui, tutti ci vedono; passeggiamo un po', come prima!

Mentre camminavano su e giù, Clarisse raccontò:- Io mi vesto molto in fretta; più in fretta di un uomo, se occorre. I vestiti mi volano addosso,

5 "Attirare" e "vestire" è in tedesco lo stesso verbo: anzieben.

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quando io sono, come devo dire? quando sono così, ecco! Forse è una specie di elettricità: io attraggo quel che mi appartiene. Ma di solito è un'attrazione funesta. (6)

Meingast sorrise di quei giochi di parole che gli restavano incomprensibili e cercò a caso una risposta efficace.

- Dunque tu attiri i tuoi abiti come un eroe il suo destino? - egli disse.Con sua meraviglia Clarisse si fermò esclamando:- Sì, esattamente! Chi vive in tal modo sente così, si tratti di vesti, di scarpe, di coltello o forchetta!- C'è qualcosa di vero, - concesse il Maestro a quell'affermazione oscuramente persuasiva. Poi chiese

senza ambagi: - Come ti comporti con Walter?Clarisse non capiva. Lo guardò e scorse improvvisamente nei suoi occhi nuvole gialle che parevano

spinte da un vento di bufera.- Hai detto, seguitò Meingast esitante, - che tu lo attiri in un modo che non va. che non va a te,

insomma? Come sarebbe? Sei frigida forse?Clarisse non conosceva il vocabolo.- Frigida, - spiegò il Maestro, - è una donna a cui l'amplesso degli uomini non procura piacere.- Ma io conosco solo Walter, - obiettò Clarisse timidamente.- Va bene, ma da quello che hai detto pare che tu sia così. - Clarisse era sbalordita. Rifletté. Non

sapeva.- Io? Ma io non posso, io devo appunto impedirlo! - ella disse. - Non lo posso permettere!- Che cosa dici? - Adesso il Maestro rideva indecentemente. - Devi impedirti di godere? O insomma

che Walter sia compensato delle sue fatiche?Clarisse arrossì. Ma adesso capiva più chiaramente quel che doveva dire.- Se si consente, tutto annega nel piacere sessuale, - replicò seria. - Io non permetto al piacere degli

uomini di staccarsi da loro e di diventare il mio piacere. Perciò li ho sempre attratti, fin da quand'ero una ragazzina. Nel piacere degli uomini qualcosa è fuori di posto.

Per diverse ragioni Meingast preferì non approfondire.- Sei così capace di dominarti? - domandò.- Be, questo varia, - ammise Clarisse sinceramente. - Ma come t'ho già detto, sarei un'assassina se

consentissi! - Infervorandosi seguitò: - Le mie amiche dicono che "vanno in estasi" nelle braccia di un uomo. A me non è mai accaduto. Nelle braccia di un uomo non sono mai andata in estasi. Ma so che cos'è l'estasi al di fuori dell'amplesso. Lo sai anche tu, certamente, giacché hai detto che il mondo è troppo povero di illusioni...!

- Meingast protestò con un gesto, come a dire che ella non lo aveva capito bene. Ma ormai per Clarisse tutto era fin troppo chiaro.

- Quando tu dici che bisogna decidersi contro l'inferiorità a favore della superiorità, - ella esclamò, - ciò significa: Si può vivere in una voluttà che è prodigiosa e sterminata! Ma non è la voluttà del sesso, è la voluttà del genio. Ed è quella che Walter tradirebbe se io non glielo impedissi!

Meingast crollò la testa. Rifiutava quella versione trasformata e passionale di quello che lui aveva detto; era un rifiuto spaurito, quasi sgomento, e di tutto ciò che conteneva egli disse il più casuale:

- Resta da vedersi se potrebbe far diverso! Clarisse s'arrestò come se fulmineamente avesse messo radici nel terreno.

- Ma deve! - esclamò. - Proprio tu ci hai insegnato che si deve!- È vero, - ammise il Maestro a malincuore, e cercò vanamente col suo esempio di smuoverla di lì. -

Ma tu che cosa vuoi, infine?- Vedi, io non volevo ancora nulla, prima che tu venissi, - rispose Clarisse sommessamente. - Ma è

così orribile questa vita che da un oceano di gioie non sa trarre fuori che un misero godimento sessuale! E adesso voglio qualcosa.

6 Cfr. nota a p. 88.

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- È quello che ti chiedo, - disse Meingast incoraggiante.- Bisogna vivere per uno scopo. Bisogna essere "buoni" a qualcosa. Altrimenti tutto rimane

terribilmente confuso, - fu la risposta di Clarisse.- Ha un rapporto con Moosbrugger quello che tu vuoi? - interrogò Meingast.- Non si può dirlo. Si vedrà che cosa ne vien fuori! - replicò Clarisse. Poi soggiunse meditabonda: Lo

farò fuggire, susciterò uno scandalo!La sua espressione divenne misteriosa. - Ti ho osservato, - disse improvvisamente. - Gente molto

strana ti frequenta. Tu li inviti quando credi che noi non siamo in casa. Sono ragazzi e giovanotti! Tu non dici che cosa vengono a fare!

Meingast la guardò sconcertato.- Tu prepari qualcosa, - continuò Clarisse, - chi sa che cosa stai architettando! Ma io... - ella sibilò, -

anch'io sono abbastanza forte da potermi mantenere in amicizia con parecchi alla volta! Io ho acquistato il carattere e i doveri di un uomo! Vivendo con Walter ho imparato sentimenti maschili! Di nuovo ella attanagliò il braccio di Meingast. Era evidente che non se ne accorgeva. Le dita sporgevano dalla manica adunche come artigli. - Io ho una doppia personalità, - ella bisbigliò, - per tua regola! Ma non è una vita facile. Hai ragione di dire che in un caso simile non è lecito rifuggire dalla violenza!

Meingast la guardava perplesso. Non l'aveva mai vista così. Il senso delle sue parole gli era incomprensibile. A Clarisse, quand'era in quello stato, l'idea di una doppia personalità appariva semplicissima, ma Meingast si chiedeva se ella aveva indovinato i suoi segreti maneggi e vi facesse allusione. Non c'era ancor molto da indovinare; solo di recente, in consonanza con la sua filosofia maschile, egli si era reso conto di un mutamento nel suo modo di sentire e aveva cominciato a frequentare dei giovani che gli erano qualcosa di più che discepoli. Forse per questo aveva cambiato dimora ed era venuto lì, fiducioso di non essere osservato; non aveva mai pensato a tale possibilità, e ora quella personcina divenuta inquietante ecco che si rivelava capace di cogliere il suo mutamento. Il braccio di Clarisse s'allungava sempre più fuori della manica, senza che la distanza fra i due corpi così collegati fosse cambiata, e quell'avambraccio nudo e sottile con la mano abbracciata a Meingast aveva in quel momento un aspetto così strano che nella fantasia dell'uomo andò a catafascio tutto ciò che poco prima era ancora al suo posto.

Ma Clarisse non pronunciò più le parole che stava per dire, sebbene l'idea fosse chiarissima in lei. Le parole ambivalenti erano segni sparsi nel linguaggio come ramoscelli spezzati o foglie disseminate sul terreno per far trovare una strada nascosta. Tanto "delitto sessuale" quanto "attrazione", e molte, molte, forse tutte le parole avevano due significati, uno dei quali segreto e personale. Ma un doppio linguaggio vuol dire una vita doppia. Quello comune è evidentemente quello del peccato, l'arcano invece è il linguaggio della creatura luminosa. Così ad esempio "fretta" nella forma del peccato è la fretta comune, logorante, diuturna, mentre nella forma luminosa "si affretta" scattando in balzi giocondi. Ed ecco che allora invece di creatura luminosa si può anche dire creatura innocente o creatura forte e d'altra parte chiamare la forma del peccato con tutti i nomi che esprimono l'avvilimento, la fiacchezza, la perplessità della vita comune. Erano strani rapporti fra le cose e l'Io, per cui ogni azione produceva effetti assolutamente imprevisti; e tanto meno Clarisse riusciva a spiegarsi, tanto più urgenti nascevano in lei le parole e fuggivano così rapide che non si potevano mettere insieme. Ma una convinzione era già da tempo radicata il lei: il dovere, il privilegio, il compito di ciò che si chiama coscienza, illusione, volontà è di trovare la forma forte, la forma luminosa. Quella ove nulla è casuale, ove non v'è posto per i tentennamenti, ove felicità e obbligo coincidono. Altri lo chiamano "il vivere essenziale", parlano di "carattere intelligibile", affermano che l'istinto è innocenza e intelletto è peccato. Clarisse non poteva pensare così, ma aveva scoperto che si può mettere in moto una vicenda, e qualche volta particelle della creatura luminosa vi si aggregano da se stesse e sono in tal modo incorporate. Per motivi anzitutto collegati con l'ozio fervoroso di Walter, nonché per un'ambizione eroica alla quale i mezzi avevan sempre fatto difetto, ella era giunta al pensiero che ciascuno può proporsi mete straordinarie mediante

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un'impresa violenta e poi viene trascinato da esse. Perciò non vedeva chiaramente che cosa s'aspettava da Moosbrugger, e non poteva rispondere alla domanda di Meingast.

D'altronde non voleva. Walter le aveva proibito di dire che il Maestro stava di nuovo mutando forma, ma indubbiamente lo spirito di lui era volto al misterioso apprestamento di un'azione a lei ignota, che poteva essere meravigliosa come lo spirito da cui doveva scaturire. Dunque egli doveva capirla, anche se fingeva il contrario. Quanto meno ella diceva, tanto più gli dimostrava la sua consapevolezza. Poteva anche toccarlo, e lui non poteva impedirglielo. Con ciò egli riconosceva l'intenzione di Clarisse, ed ella penetrava in quella di lui e vi partecipava. Anche questo in qualche sorta era una doppia essenza e così forte da apparirle confusa. Attraverso il braccio tutta la forza che ella possedeva e di cui non conosceva la misura si trasformava in un flusso inesauribile verso il misterioso amico, lasciandola estenuata, svuotata fin nel midollo più che per qualunque commozione d'amore. Non poteva far altro che contemplare sorridendo la propria mano, oppure guardar lui in faccia. E anche Meingast fissava Clarisse e la mano di Clarisse, alternativamente.

A un tratto accadde una cosa che non trovò Clarisse del tutto impreparata, ma la travolse subito in un turbine d'estasi dionisiaca. Meingast aveva cercato di serbare in viso un sorriso di superiorità che doveva salvarlo dal tradire la propria trepidanza; ma questa cresceva di minuto in minuto, costantemente rinnovata da qualcosa che appariva incomprensibile, giacché prima di ogni atto affrontato fra i dubbi v'è un intervallo di debolezza che corrisponde ai momenti di rimorso dopo l'azione, anche se nello svolgersi naturale dell'evento quasi non appare. Le opinioni e le vive immagini da cui l'atto compiuto riceve approvazione e sostegno non hanno ancora raggiunto il loro pieno sviluppo e oscillano nella passione affluente, incerte e labili all'incirca come vacilleranno o si romperanno più tardi nella passione rifluente del rimorso. In quello stato delle sue intenzioni Meingast era stato sorpreso. Gli fu doppiamente penoso, per motivi del passato e anche della considerazione di cui godeva ora presso Walter e Clarisse, e per di più ogni viva commozione modifica l'immagine della realtà in maniera da poterne ricavare nuovo accrescimento: l'inquietudine da cui Meingast era agitato gli rendeva inquietante Clarisse, la paura ne faceva qualcosa di pauroso, e gli sforzi di pensare oggettivamente al vero non facevano che accrescere con la loro inanità la costernazione. Così il sorriso di Meingast invece di simulare una serena superiorità prese da un momento all'altro un che di rigido, anzi si potrebbe dire una rigidità fluttuante che infine parve fluttuar via dura come sui trampoli. In quel momento il contegno del Maestro era quello di un grosso cane davanti a un animale piccolissimo che non osa assalire, bruco, rospo o serpente: si raddrizzava sempre più sulle lunghe gambe, storceva le labbra e il dorso, e improvvisamente le ondate di perplessità lo trassero via dal luogo onde esse scaturivano, senza ch'egli fosse in grado di velare la sua fuga con un gesto o con una parola.

Clarisse non abbandonò la presa: ai primi passi titubanti poteva ancora sembrare una premura innocente, ma già poco dopo egli se la trascinava dietro e non trovava nemmeno le parole atte a spiegarle che voleva scappare in camera e lavorare. Solo nel vestibolo riuscì a liberarsi interamente di lei, e fin là era stato spinto unicamente dal desiderio di fuga, incurante delle parole di Clarisse e soffocato dalla cautela che doveva usare per non attirare l'attenzione di Walter e di Siegmund. Davvero Walter aveva potuto penetrare quella condotta nel suo insieme. Vedeva che Clarisse chiedeva appassionatamente a Meingast qualcosa che egli rifiutava, e la gelosia gli si conficcò nel petto come una vite a filo doppio; giacché pur soffrendo crudelmente all'idea che Clarisse offrisse i suoi favori all'amico, era ancor più gravemente offeso credendo di vederla disprezzata. Alla fine egli avrebbe costretto Meingast ad accettare Clarisse e poi dall'impulso dello stesso moto interiore sarebbe stato gettato nella disperazione. Dolore ed eroismo si agitavano in lui. Mentre la sorte di Clarisse era sospesa a un filo, gli era intollerabile sentirsi domandare da Siegmund se le margotte si piantavano in terreno molle o se bisognava battere le zolle all'intorno. Doveva dire qualcosa e si sentiva nella condizione di un pianoforte nel centesimo di secondo fra il calar giù di un potente accordo a dieci dita e il suono dello stesso. Luce era nella sua gola, parole che avevano significati diversi dal solito. Ma inaspettatamente ciò

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che riuscì a profferire era del tutto discorde:- Non lo sopporterò! - egli disse, rivolto più al giardino che a Siegmund. Ora però si vide che questi,

applicato in apparenza soltanto a piantar margotte, aveva anche osservato gli avvenimenti e se n'era persino preoccupato. Infatti s'alzò, si ripulì le ginocchia e diede al cognato un consiglio:

- Se ti pare che lei vada troppo oltre, dovresti sviarla verso altre idee, - egli disse come se fosse evidente che in tutto quel tempo egli aveva meditato con scrupolosità scientifica su quanto Walter gli aveva confidato.

- E come dovrei fare?! - esclamò Walter attonito.- Come fa un marito, - disse Siegmund. - Gli ahi e gli ohi delle donne si curano tutti nello stesso

modo! - Con Walter egli era molto tollerante, e la vita è piena di simili rapporti in cui uno pesta e opprime l'altro che non si ribella. A ben guardare e secondo la salda opinione di Siegmund proprio la vita sana è così. Il mondo infatti sarebbe finito già al tempo delle migrazioni di popoli se ognuno si fosse difeso fino all'ultima goccia di sangue. Invece i più deboli si son sempre ritirati docilmente e hanno cercato altri vicini che potessero esser sloggiati da loro; secondo questo modello si svolgono in gran maggioranza le relazioni umane anche oggi, e col tempo tutto s'aggiusta da sé. Nel cerchio domestico, dove Walter era considerato un genio, Siegmund era sempre stato trattato un po' da stupido, lo aveva accettato e sarebbe stato ancor oggi umile e arrendevole ogni volta che era in ballo la gerarchia familiare. Giacché da anni il vecchio ordinamento aveva perso importanza di fronte alle nuove condizioni di vita che si erano stabilite e proprio perciò era rimasto com'era nella tradizione. Siegmund non soltanto s'era fatto una buona clientela - e il medico, diversamente dall'impiegato, non domina per potenza altrui ma per capacità propria, e sta fra persone che da lui s'aspettano aiuto e gli obbediscono docilmente ma aveva anche una moglie ricca che in breve tempo gli aveva donato se stessa e tre bambini, e che egli ingannava con altre donne, non molto spesso ma regolarmente se gli faceva comodo. Perciò era perfettamente in grado, se voleva, di dare a Walter un consiglio competente e sicuro.

In quel momento Clarisse tornò fuori in giardino. Non ricordava più quel che aveva detto nel precipitarsi in casa. Sapeva, sì, che il Maestro s'era dato alla fuga davanti al lei, ma quel ricordo aveva perduto i particolari, si era chiuso e ripiegato. Qualcosa era accaduto! Con quell'unica idea in mente, Clarisse si sentiva come uno che uscito appena da una tempesta è ancora carico di forza sensuale dalla testa ai piedi. Davanti a lei, a pochi metri dalla scaletta di pietra dov'era ritta, un merlo nerissimo col becco color fuoco stava divorando un grosso verme. Nell'uccello oppure nei due colori contrastanti v'era una straordinaria energia. Non si sarebbe potuto dire che ciò suggerisse un pensiero a Clarisse; piuttosto qualcosa le rispondeva da tutte le parti. L'uccello nero era l'incarnazione del peccato nel momento dell'uso della violenza. Il verme era l'incarnazione del peccato d'una farfalla. La sorte aveva messo le due bestiole sul suo cammino, per ammonirla ad agire. Si vedeva il merlo assorbire attraverso il fiammante becco arancione i peccati del verme. Non era quello "il genio nero"? Così come la colomba è "lo spirito bianco"? I segni non formavano una catena? L'esibizionista col falegname, con la fuga del Maestro...? Non una di queste idee era dentro di lei in forma precisa, stavano invisibili nei muri della casa, chiamate ma tenendo ancora per sé la loro risposta; ciò che Clarisse sentiva in realtà, mentre in piedi sui gradini guardava l'uccello divorare il verme, era l'inesprimibile concordanza dell'avvenimento interno con quello esterno.

Anche Walter la sentì, stranamente; la sua impressione corrispose subito a quello che egli aveva chiamato "invocare Dio"; stavolta egli ne fu conscio senza alcuna incertezza. Non poteva penetrare ciò che avveniva in Clarisse, la lontananza era troppo grande; ma vedeva nel suo atteggiamento qualcosa di non casuale, mentre ella stava lì davanti al mondo nel quale la gradinata scendeva come nell'acqua la scaletta d'una piscina. Era come un'elevazione. Non era l'atteggiamento della vita consueta. Walter comprese di colpo che era la non-casualità a cui pensava Clarisse quando diceva: "Quell'uomo non è venuto per caso sotto la mia finestra!" Egli stesso, guardando la moglie, sentiva che la pressione di forze

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ignote penetrava nelle cose e le riempiva. Nel fatto che Clarisse era laggiù ed egli doveva voltarsi a guardare lungo una linea obliqua per vederla bene: ecco che, già in questo semplice rapporto, la vita faceva prevalere la sua logica sulla naturale casualità. Dalle immagini che si affollavano in copia davanti all'occhio emergeva qualcosa di geometrico, di lineare, di non comune. così poteva accadere quando Clarisse trovava un significato in concordanze quasi immateriali, come nel fatto che un uomo stava sotto le sue finestre e un altro era falegname; gli avvenimenti dunque avevano un modo di sovrapporsi che era diverso dal solito, appartenevano a un complesso ignoto che mostrava loro altri lati e togliendoli dai loro segreti nascondigli autorizzava Clarisse a sostenere che era lei stessa ad attirare gli avvenimenti: era difficile esprimerlo con semplicità ma infine Walter scoprì che era profondamente affine a un'impressione a lui ben nota, cioè quel che succede quando si dipinge un quadro. Anche un quadro esclude inesplicatamente ogni colore e linea che non concordi con la sua forma fondamentale, col suo stile, con la sua tavolozza, e per converso estrae dalla mano ciò che gli occorre in forza di leggi geniali che non sono quelle della natura. In quel momento non v'era più nulla in lui di quel chiaro benessere della buona salute, da lui poc'anzi elogiato, che cerca nelle deformità della vita il partito che se ne potrebbe trarre; ma piuttosto la sofferenza di un ragazzo che non s'arrischia a un gioco.

Siegmund però non era uomo da lasciar cadere così facilmente ciò che una buona volta aveva preso in mano.

- Clarisse è ipernervosa, - egli dichiarò. - Ha sempre voluto passare attraverso i muri e adesso s'è cacciata in capo qualcosa. Devi intervenire con molta energia, anche se lei si ribella!

- Voi medici non capite un'acca di processi psicologici! - esclamò Walter. Cercava un secondo punto d'attacco e lo trovò. - Tu discorri di segni, - riprese, e alla sua irritazione si sovrappose la gioia di poter parlare di Clarisse, - e ti chiedi impensierito quando i segni indicano uno squilibrio e quando no; ma io invece ti dico: il vero stato dell'uomo è quello in cui tutto è un segno! Semplicemente tutto! Tu forse puoi guardare in faccia la verità; mai però la verità guarderà in faccia te; questo sentimento divinamente incerto tu non lo conoscerai mai!

- Ma siete matti tutti e due! - commentò Siegmund asciutto.- Naturale! - esclamò Walter. - Tu manchi di fantasia creatrice: non hai mai saputo che cosa sia

"esprimersi", che per l'artista vuol dire soltanto "capire" L'espressione che noi diamo alle cose sviluppa il senso che porta all'interpretazione giusta. Io capisco quel che voglio io, o quel che vuole un altro solo nell'eseguirlo! Questa è la nostra esperienza viva, a differenza della tua che è morta! Naturalmente tu, medico, col tuo principio di causalità dirai che questo è un paradosso, che io confondo causa ed effetto!

Ma Siegmund non lo disse; ripeté invece imperterrito:- È certo molto meglio per lei che tu non ceda a tutte le sue pretese. Le persone nervose hanno

bisogno di una certa severità.- E quando io suono il piano presso la finestra aperta, - chiese Walter senza fare attenzione

all'ammonimento del cognato, - che cosa faccio? Sotto passa la gente, forse vi sono delle ragazze, chi vuole si ferma; io suono per coppie d'innamorati e per vecchi solitari. Certi sono intelligenti e certi son stupidi. Io non posso donar loro la ragione. Non è ragione quello ch'io suono. Io mi comunico a loro. Seggo invisibile al pianoforte e invio loro dei segni: qualche suono, ed è la loro vita ed è la mia vita. Potresti proprio dire che anche questa è pazzia...! - Ammutolì di colpo. Il sentimento d'ambizione fondamentale che è in ogni uomo di media capacità creativa smanioso di comunicarsi e che gli fa pensare: ah, saprei ben dire qualcosa a voi tutti! si sgonfiò. Ogni volta, quando Walter nel morbido vuoto della sua stanza lasciava fluire la sua musica fuori della finestra aperta con l'alta consapevolezza dell'artista che allieta migliaia di sconosciuti, quel sentimento s'apriva come un ombrello, ma s'afflosciava vuoto appena egli cessava di suonare. La facilità, la lievità si dileguavano, le cose avvenute erano come non avvenute ed egli finiva per dirsi che l'arte aveva perduto ogni connessione col popolo e che tutto andava male. Se ne ricordò e si perse d'animo. Cercò di reagire. E Clarisse aveva detto: "Bisogna suonare la musica sino alla fine" Clarisse aveva detto: "Si capisce una cosa soltanto finché la si

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condivide!" ma aveva anche detto: "Perciò dobbiamo andare anche noi in manicomio!" L'ombrello interiore di Walter era semichiuso e sbattuto da raffiche di tempesta. Siegmund disse:

- Le persone nervose devono esser guidate con mano ferma, è per il loro bene. Hai detto tu stesso che non vuoi più esser debole. Come uomo e come medico non posso darti altro consiglio: mostrale che sei un uomo; so che lei si ribella, ma infine le piacerà!

Siegmund come una macchina ben funzionante ripeteva senza stancarsi ciò che era ormai il suo "risultato"

Walter in una "raffica" rispose:- Questo gran caso che fanno i medici della vita sessuale è cosa ormai sorpassata! Se io suono,

dipingo o penso, agisco sui vicini e sui lontani senza togliere agli uni ciò che do agli altri. Al contrario! Lascia che ti dica che oggi probabilmente il nostro concetto di vita privata non ha nessuna giustificazione! Nemmeno nel matrimonio!

Ma la pressione più forte era dalla parte di Siegmund, e Walter veleggiò verso Clarisse da cui durante quel dialogo non aveva mai staccato gli occhi. Gli era sgradevole che si potesse dire di lui che non era un uomo: voltò le spalle a quell'affermazione, lasciandosi spingere da essa verso la moglie. E a metà strada sentì, fra i denti che gli si scoprivano per il timore, che doveva incominciare con la domanda: "Che cosa significa questo discorrer di segni?"

Ma Clarisse lo vide venire. Si accorse che egli stava per muoversi quando era ancora fermo. Poi i suoi piedi si staccarono dalla terra e lo portarono verso di lei. Clarisse aderiva a tutto ciò con piacere selvaggio. Il merlo frullò via spaventato portandosi via il suo verme. Adesso il terreno era tutto libero per l'attrazione. Ma all'improvviso Clarisse mutò proposito e per questa volta evitò l'incontro, allontanandosi lentamente, lungo il muro della casa, senza staccar lo sguardo da Walter ma più in fretta di quanto lui, esitante, potesse dal campo dell'effetto a distanza passare in quello di domanda e risposta.

27.Agathe è scoperta dal generale Stumm e introdotta in società

Da quando Agathe s'era riunita a lui, i rapporti di Ulrich col largo cerchio d'amicizie di casa Tuzzi gli imponevano doveri sociali che occupavano molto del suo tempo, perché l'animata stagione invernale non era ancora finita sebbene la primavera fosse vicina e la simpatia che gli amici gli avevano dimostrata alla morte del padre esigeva che per compenso egli non tenesse Agathe nascosta, anche se entrambi per il loro lutto eran dispensati dal partecipare a grandi feste. Il lutto anzi, se Ulrich avesse profittato sino in fondo del vantaggio che esso gli offriva, sarebbe bastato per evitare a lungo ogni contatto sociale e uscire così da un giro di persone fra cui era capitato solo per uno strano caso. Invece, dacché Agathe gli aveva affidato la propria vita, Ulrich agiva in contrasto con i suoi sentimenti, e ad una parte di sé, incasellata sotto la tradizionale designazione "doveri di un fratello maggiore", rimetteva molte decisioni verso le quali come personalità intera si comportava in modo incerto, seppur non le biasimava del tutto. Tra questi doveri di un fratello maggiore c'era principalmente il proposito che la fuga di Agathe dalla casa di suo marito non dovesse finire altrimenti che nella casa di un marito migliore. Quando venivano a parlare di certe disposizioni da prendere per la loro vita in comune, egli osservava:

"Se continua così, presto riceverai qualche proposta di matrimonio o almeno qualche dichiarazione d'amore"; e se Agathe faceva progetti per più di poche settimane, lui replicava:

"Di qui ad allora tutto può cambiare"Ella ne sarebbe rimasta ancor più ferita se non avesse capito la contraddizione da cui lui era

combattuto, il che per il momento la tratteneva anche dall'opporsi violentemente quando Ulrich

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riteneva opportuno allargare ancora il già vasto cerchio di conoscenze. Così fu che dopo l'arrivo di Agathe fratello e sorella si buttarono a frequentare la società molto più di quanto aveva fatto Ulrich da solo.

Il vederli apparire insieme, dopo che per molto tempo s'era sempre visto Ulrich solo e mai s'era udita da lui una parola sulla sorella, destò non poco rumore. Un giorno il generale Stumm si ripresentò in casa di Ulrich con il suo attendente, la sua borsa di cuoio e la sua pagnotta di pane, e annusò intorno con aria sospettosa. Fiutava un profumo indefinibile. Poi scoprì una lunga calza che pendeva dalla spalliera di una seggiola e commentò burbero:

- Già, questi giovanotti!- Mia sorella, - spiegò Ulrich.- Ma taci! Tu non hai nessuna sorella! - ammonì il generale. - Noi ci dibattiamo fra i più gravi crucci

e tu sei qui rintanato con una ragazzina!Proprio in quel momento Agathe entrò nella stanza e il generale perse la bussola. Vide la

rassomiglianza, e alla naturalezza di quell'ingresso sentì che Ulrich aveva detto la verità, senza essere tuttavia distolto dall'idea di aver davanti a sé un'amica di Ulrich che però gli somigliava in maniera incomprensibile e sconcertante.

- Non so dirle il mio sbalordimento, signora, - raccontò più tardi a Diotima; - non avrebbe potuto esser diverso se me lo fossi visto improvvisamente davanti come quand'era allievo ufficiale!

Infatti, piacendogli Agathe enormemente, Stumm nel vederla era stato colpito da quello stupore che aveva imparato a riconoscere come un segno di profonda commozione. Un po' corpulento e di natura sensibile, in circostanze così delicate l'impulso lo spingeva a una ritirata precipitosa, e Ulrich nonostante tutti gli sforzi per indurlo a restare, non apprese granché delle gravi preoccupazioni che avevano condotto da lui il colto generale.

- No! - si rimproverò Stumm. - Per nulla al mondo è lecito disturbare come sto facendo io!- Ma non disturbi affatto! - assicurò Ulrich ridendo. - Perché mai dovresti disturbare?- No, no, s'intende, - s'affrettò a dire il generale sempre più scombussolato. - Certo no, in un certo

senso. Ma tuttavia! Senti, è meglio che torni un'altra volta!- Ma dimmi almeno per che cosa sei venuto, prima di scappar via! - insisté Ulrich.- Per niente! Proprio niente! Una piccolezza! - buttò lì il generale nella sua fretta di svignarsela. -

Credo che sia incominciato il "grande avvenimento"!- Un cavallo! Un cavallo! Imbarchiamoci per la Francia! - gridò Ulrich allegramente.Agathe lo guardò stupita.- Chiedo scusa, - disse il generale rivolto a lei. - La signora forse non sa di che si tratta.- L'Azione Parallela ha trovato l'idea conclusiva! - integrò Ulrich.- No, - attenuò il generale, - non ho detto questo. Volevo solo dire che l'avvenimento da tutti atteso

incomincia a svolgersi!- Tutto lì! - commentò Ulrich. - Questo si sapeva fin dal principio.- No, - dichiarò Stumm, serio. - Non è tutto lì. Adesso si sente indubbiamente nell'aria un certo

nonsoché. Ci sarà presto da tua cugina una riunione decisiva. La signora Drangsal...- Chi è? - interruppe Ulrich a quel nome nuovo.- Ti sei tenuto così in disparte! lo rimproverò il generale, e si volse verso Agathe per un'immediata

riparazione. - La signora Drangsal è la protettrice del poeta Feuermaul. Non conosci neanche lui? - domandò girando di nuovo il suo corpo rotondo, poiché dalla parte di Ulrich non giungeva alcun suono.

- Ma sì. Il lirico.- Scrive versi... - arrischiò il generale, evitando con sospetto il termine a lui poco familiare.- Buoni. E anche opere teatrali.- Non sapevo. Non ho qui i miei appunti. Ma è quello che dice: l'uomo è buono. In una parola la

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signora Drangsal sostiene la tesi che l'uomo è buono, e dicono che è una tesi europea e che Feuermaul ha un grande avvenire. La signora ha avuto per marito un medico famoso in tutto il mondo, e probabilmente vorrebbe fare anche di Feuermaul un uomo famoso: ad ogni modo c'è il pericolo che tua cugina perda il timone e che se lo prenda la signora Drangsal; anche il suo salotto è frequentato da tutte le celebrità.

Il generale s'asciugò il sudore dalla fronte; a Ulrich non pareva che la cosa fosse molto grave.- Ma senti! - lo biasimò Stumm. - Tu sei in buoni rapporti con tua cugina, come puoi parlare così?

Non sembra anche a lei, signora, ch'egli si dimostri deplorevolmente ingrato e infedele verso una donna deliziosa?

- Non conosco affatto mia cugina, confessò Agathe.- Oh! - esclamò Stumm, e con una frase in cui l'intenzione galante si mescolava con l'involontaria

scortesia in un oscuro fervore per Agathe, soggiunse: - Certo negli ultimi tempi è andata un po' giù!Né Ulrich né Agathe gli diedero risposta e il generale sentì di dover spiegare le proprie parole.- E tu sai bene il perché! - disse a Ulrich in tono allusivo. Egli disapprovava l'interesse per i problemi

sessuali che aveva distratto la mente di Diotima dall'Azione Parallela, e si crucciava perché la relazione con Arnheim non migliorava, ma non sapeva fino a che punto gli fosse lecito parlare di tali argomenti davanti ad Agathe, il cui viso diventava sempre più freddo. Ulrich invece replicò con calma:

- La tua faccenda del petrolio non fa progressi, se la nostra Diotima non ha più l'antico potere su Arnheim, vero?

Stumm fece un gesto deprecativo come per impedire a Ulrich uno scherzo sconveniente in presenza di una signora, ma intanto lo fissò negli occhi con acutezza ammonitrice. Trovò anche la forza di alzare il proprio corpo massiccio con giovanile sveltezza e si lisciò l'uniforme. Della prima diffidenza verso Agathe glien'era rimasta abbastanza da non voler sciorinare davanti a lei i segreti del Ministero della Guerra. In anticamera afferrò per il braccio Ulrich che l'aveva accompagnato e bisbigliò roco, con una risatina:

- Per l'amor di Dio, bada di non tradire la patria! - e gli spiegò che in presenza di terzi, e fosse pur sua sorella, non doveva far motto dei campi di petrolio.

- Va bene, - disse Ulrich, - ma è mia sorella gemella. Neanche una sorella gemella! - ribadì il generale, a cui la sorella era già parsa così inverosimile che la sorella gemella non lo turbava più oltre: Promettimelo!

- Promettere non serve a niente, - replicò Ulrich, - tanto siamo gemelli siamesi, non capisci?Finalmente Stumm capì che Ulrich lo prendeva in giro, con quel suo solito modo di non dire mai un

sì chiaro e tondo.- Potevi inventare uno scherzo migliore che non quello di appioppare a una donna così deliziosa, sia

pur dieci volte tua sorella, la disgustosa deformità di essere mostruosamente unita con te! - disse in tono di rimprovero. Ma poiché la sua diffidenza era già stata risvegliata dal riserbo di Ulrich gli fece ancora qualche domanda per saggiarlo: - È già venuto da te il nuovo segretario? Sei andato da Diotima? Hai mantenuto la promessa di far visita a Leinsdorf? Sai che cosa succede fra tua cugina e Arnheim? Giacché sapeva tutto naturalmente, il sospettoso riscontrava in tal modo la veridicità di Ulrich, e il risultato lo soddisfece.

- Adesso dunque fammi il piacere di non venir troppo tardi alla seduta decisiva, - pregò mentre si abbottonava il pastrano, ancora un po' senza fiato per il faticoso percorso attraverso le maniche. Prima ti telefonerò ancora una volta e poi passerò a prenderti, sarà la cosa migliore!

- Per quando è fissata questa seccatura? - domandò Ulrich piuttosto svogliato.- Mah, sarà fra una quindicina di giorni, - rispose il generale. Dobbiamo portare da Diotima l'altro

partito, ma bisogna che ci sia anche Arnheim, ed è ancora via - Picchiò con un dito sulla dragona dorata che gli pendeva dalla tasca del pastrano. - Senza di lui "noi" non ci abbiamo gusto: lo puoi ben capire. Però, stammi a sentire, - aggiunse con un sospiro, - nonostante tutto io mi auguro soltanto che la guida

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spirituale resti nelle mani di tua cugina; dovermi adattare a circostanze interamente nuove mi farebbe terrore!

Fu dunque per via di quella visita che Ulrich rientrò con sua sorella in quel giro di relazioni sociali che aveva lasciato da solo, e avrebbero dovuto riprendere quelle frequentazioni anche se non l'avesse voluto perché non poteva restar nascosto con Agathe un giorno di più e supporre che Stumm si sarebbe tenuto per sé una scoperta così piacevole da diffondere. Quando i "siamesi" fecero visita a Diotima, ella si mostrò già informata, sebbene non ancora entusiasta di quell'appellativo inconsueto e ambiguo. Infatti la Divina, nota per le persone celebri e strane che si incontravano in casa sua, da principio aveva preso molto male l'inopinato avvento di Agathe, perché una cugina che non le fosse piaciuta avrebbe messo in pericolo assai più di un cugino la sua posizione sociale, e della nuova parente ella sapeva tanto poco quanto aveva saputo a suo tempo di Ulrich, il che per la onniscente era già di per sé un motivo d'irritazione, com'ella confessò al generale. Perciò ella aveva destinato ad Agathe l'epiteto di "sorella abbandonata", un po' per ammansire se stessa, un po' per usarlo in una cerchia più larga a titolo di precauzione, e con tale animo accolse i due cugini. Fu gradevolmente sorpresa dalla disinvolta signorilità di Agathe, e questa - memore della buona educazione ricevuta in un pio collegio e portata da un'ironica disposizione, di cui s'accusava con Ulrich, ad accettare la vita - riuscì da quel momento quasi senza volerlo ad assicurarsi la benigna simpatia della potente giovane signora le cui vaste ambizioni le erano incomprensibili e indifferenti. Ella ammirò Diotima con ignara fiducia, allo stesso modo che avrebbe ammirato una centrale elettrica nella cui misteriosa funzione di produrre luce non viene in mente di immischiarsi. E Diotima, una volta conquistata, tanto più dopo essersi accorta che Agathe piaceva assai, continuò a prendersi a cuore il successo mondano della cugina e ad accrescerlo sempre più volgendolo anche a proprio onore. La "sorella abbandonata" destò interesse e simpatia, che nei conoscenti più prossimi cominciò con lo stupore di non aver mai udito parlare di lei, e allargandosi il cerchio d'amicizie si mutò in quell'indefinito gusto per le novità e per le sorprese che lega le case regnanti e le redazioni dei giornali.

Avvenne anche che Diotima, la quale possedeva il talento di scegliere per istinto fra parecchie possibilità la peggiore che garantisce un pubblico successo, compì l'intervento per cui Agathe e Ulrich ebbero per sempre il loro posto nella memoria della società elegante; la loro protettrice infatti trovò a un tratto delizioso, e perciò si affrettò a propagarlo, quello che s'era detto da principio, cioè che fratello e sorella, ritrovatisi in circostanze romantiche dopo una separazione quasi assoluta, si chiamavano adesso i gemelli siamesi sebbene per cieco volere del fato fossero stati finora press'a poco il contrario. Perché poi ciò piacesse tanto, prima a Diotima e poi a tutti gli altri, e come facesse giudicare tanto straordinaria quanto comprensibile la risoluzione dei due di vivere insieme, lì stava appunto l'autorità di Diotima: infatti accadde sia l'una che l'altra cosa, dimostrando che nonostante tutte le macchinazioni della concorrenza ella esercitava ancor sempre il suo mite potere. Arnheim quando lo seppe tenne a un circolo scelto di ascoltatori un lungo discorso che finiva con l'elogio delle forze aristocratico-popolari. In qualche modo si diffuse anche la voce che Agathe, prima di trovar rifugio presso il fratello, avesse contratto un matrimonio infelice con un famoso scienziato straniero; e poiché a quel tempo la società che dava il tono non era favorevole al divorzio, secondo i principî della proprietà immobiliare, e se la cavava con l'adulterio, la risoluzione di Agathe apparve a parecchi anziani proprio come quel doppio aspetto della vita elevata, fatto di forza di volontà e di edificazione, che il conte Leinsdorf, particolarmente affezionato ai "gemelli", aveva definito un giorno con le parole:

- Si rappresentano sempre sulla scena passioni così orribili; il Burgtheater farebbe meglio a prendere per modello un fatto così!

Diotima, che era presente, rispose:- Molta gente, seguendo una moda, dice che l'uomo è buono; ma quando si impara a conoscere,

come sto facendo io attraverso i miei studi, gli sviamenti e gli errori della vita sessuale, si sa come sono rari simili esempi!

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Con ciò ella intendeva limitare o accentuare la lode di Sua Signoria? Non aveva ancora perdonato a Ulrich, definendola mancanza di fiducia, di non averle annunziato a suo tempo il prossimo arrivo della sorella; ma era orgogliosa del successo al quale partecipava, e nella sua risposta si mescolavano i due sentimenti.

28.Troppa allegria

Agathe sfruttò con naturale accortezza i vantaggi che le si offrivano in società, e il suo contegno sicuro in un circolo sommamente presuntuoso piacque al fratello. Gli anni in cui ella era stata la moglie di un professore di scuole medie in provincia parevano esserle caduti di dosso senza lasciare traccia. Ma per il momento Ulrich scrollando le spalle così riassunse il risultato ottenuto:

- All'alta nobiltà piace sentirci chiamare i fratelli siamesi; essa ha sempre avuto maggior interesse per i circhi equestri che, mettiamo, per l'arte.

In tacito accordo essi accoglievano come un intermezzo tutto ciò che succedeva. Sarebbe stato necessario, e se n'erano accorti fin dal primo giorno, mutare o addirittura trasformare parecchio nell'andamento di casa; ma non lo fecero, temendo la ripetizione di un discorso i cui confini non si potevano definire. Ulrich, che aveva ceduto la sua camera da letto ad Agathe, si era stabilito nella guardaroba, e in seguito aveva anche sgomberato per la sorella la maggior parte degli armadi. Non voleva sentirsi commiserare per questo e si richiamava scherzosamente alla graticola di san Lorenzo; ma Agathe non pensava seriamente di aver turbato la sua vita di scapolo, poiché egli le assicurava di essere felicissimo, e lei d'altronde si faceva un'idea molto vaga di quale potesse essere lo stato di felicità in cui Ulrich viveva prima. Adesso le piaceva quella casa così poco borghese coll'inutile pompa di sale e di locali accessori intorno alle poche stanze utili e ora stipate; faceva pensare alla cortesia cerimoniosa dei tempi andati, inerme contro l'insolenza godereccia dei tempi moderni, ma qualche volta la muta protesta delle belle sale contro il disordine trionfante era anche triste, come corde ingarbugliate e rotte su una cassa armonica dai leggiadri intagli. Agathe vide allora che il fratello aveva scelto quella casa discosta dalla strada non senza entusiasmo e comprensione benché volesse far credere il contrario, e le vecchie pareti parlavano un linguaggio della passione che non era né del tutto muto né del tutto percettibile. Ma né lei né Ulrich volevano accettare null'altro che il piacere del disordine. Vivevano scomodamente, facevano venire i pranzi dall'albergo e da tutto ricavavano un'allegria un po' esagerata, come succede in un picnic, quando sui prati verdi si mangia molto peggio che a tavola.

Mancava anche un servizio adatto alle circostanze. Il domestico esperto che Ulrich prendendo possesso della casa aveva assunto solo per poco tempo - perché era già un uomo anziano che voleva lasciare il lavoro e aspettava soltanto che fosse definito qualcosa di inerente alla sua pensione - non poteva far molto e Ulrich pretendeva da lui il meno possibile; da cameriera perciò doveva fungere lui stesso, perché la stanza per una vera domestica era ancora allo stato di progetto come tutto il resto e alcuni tentativi per risolver la cosa altrimenti avevano dato pessimi risultati. Ulrich dunque faceva grandi progressi come scudiero nell'armare la sua cavaliera per i trionfi mondani. Per di più Agathe s'era data a rinnovare il proprio vestiario e gli acquisti riempivano la casa; non essendovi camere specialmente arredate per una signora, ella aveva preso l'abitudine di considerare tutta l'abitazione come suo spogliatoio, cosicché Ulrich volente o nolente doveva esser partecipe di tutte le nuove compere. Le porte fra una stanza e l'altra erano spalancate, gli attrezzi ginnastici servivano da attaccapanni; ogni tanto Agathe per prendere una decisione strappava il fratello dalla scrivania come Cincinnato dall'aratro. Tali intralci alla sua volontà di lavoro, ancora esistente seppure in stato di quiescenza, egli li sopportava non soltanto nella persuasione che fossero passeggeri, ma anche con un piacere che gli era

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nuovo come un ringiovanimento. La vivacità apparentemente sfaccendata della sorella scoppiettava nella sua vita solitaria come un focherello nella stufa finora gelata. Chiare ondate di gaiezza e di grazia, scure ondate di confidenza umana riempivano le stanze e toglievano loro il carattere di uno spazio in cui egli s'era mosso fino allora solo a proprio arbitrio. Più di tutto però in quella inesauribilità di una presenza lo stupiva il fatto strano che le innumerevoli inerzie di cui era composta addizionate insieme davano una somma enorme e ben diversa: l'insolenza di sciupare il proprio tempo, quella sensazione implacabile che in tutta la vita non l'aveva mai lasciato, a qualsiasi occupazione considerata grande e importante egli si dedicasse, era con sua meraviglia interamente scomparsa e per la prima volta egli viveva senza pensiero alcuno la sua vita quotidiana.

Anzi egli tratteneva il fiato con esagerata compiacenza quando Agathe seria come sono le donne in simili circostanze sottoponeva alla sua ammirazione le mille graziose frivolezze di cui aveva fatto acquisto. Pareva irresistibilmente costretto alla partecipazione dalla curiosa scoperta che la natura femminile, a parità d'intelligenza, è più sensibile di quella maschile e appunto perciò più incline a ornarsi in una maniera brutale che s'allontana ancor più dell'altra dall'equilibrio e dal metodo. E forse era davvero così. Infatti le piccole, delicate, buffe fantasie con cui era alle prese: agghindarsi con perle di vetro, con capelli arricciati, con le linee assurde di merletti e ricami, con colori di sfacciato richiamo - queste seduzioni da fiera che ogni donna intelligente valuta per quel che sono senza smettere minimamente di sentirne l'attrattiva - cominciarono ad avvilupparlo nella loro rete di smagliante follia. Tutte le cose, anche se sceme e di cattivo gusto, spiegano, per chi se ne occupa seriamente ponendosi allo stesso grado, una loro armonia particolare, esclusiva, il profumo inebriante del loro egoismo, la volontà innata di operare e di piacere. Così fu per Ulrich, fra le occupazioni che lo legavano all'equipaggiamento di sua sorella. Egli trasportava oggetti di qua e di là, ammirava, approvava, dava consigli, aiutava durante le prove. Stava con Agathe davanti allo specchio. Presente, quando l'aspetto di una donna ricorda quello di un pollo ben spennato e bruciacchiato che non causa troppi imbarazzi, diventa difficile immaginarsela com'era prima in tutto il fascino dell'appetito lungamente procrastinato, che intanto è naufragato nel ridicolo: la lunga veste che pare cucita al pavimento dal sarto eppure cammina per miracolo racchiude indumenti segreti e leggeri, petali variopinti di seta il cui moto ondeggiante si converte poi in spume bianche ancora più morbide che sole accarezzano il corpo, e se questo vestire fa pensare alle onde per il gioco alterno che alletta e respinge, è anche un sistema di baluardi e fortificazioni intorno a meraviglie sapientemente difese e con tutta la sua innaturalezza un sagace teatro d'amore la cui tenebra inquietante è solo rischiarata dalla luce fioca della fantasia. Questo compendio di tutti i preparativi Ulrich lo vedeva giornalmente, e per così dire dal di dentro, demolire pezzo per pezzo. E se i segreti femminili da molto tempo non erano più segreti per lui perché per tutta la vita li aveva percorsi in fretta come anticamere o cortili, ora però che non v'era né meta né scopo gli facevano tutt'altro effetto. La tensione che era in tutte quelle cose riscattava indietro, e Ulrich non avrebbe saputo dire quali mutamenti provocasse. Egli si attribuiva a ragione normali sentimenti virili e gli pareva comprensibile che un uomo come lui amasse vedere anche sotto un altro aspetto ciò che tante volte aveva desiderato, ma qualche volta gli appariva quasi sinistro, e vi si ribellava ridendo.

- Come se dalla sera alla mattina mi si fossero innalzate intorno le mura di un educandato, intrappolandomi senza scampo! - egli protestava.

- È così terribile? - domandò Agathe.- Non lo so, - rispondeva Ulrich.Poi diceva che lei era una pianta carnivora e lui un povero insetto capitato nel suo calice luminoso.- Mi ci hai chiuso dentro, - egli diceva, - ed ora sono prigioniero fra colori, luci e profumi; e aspetto,

divenuto contro la mia natura una parte di te, i maschi che noi attireremo!E davvero aveva sensazioni strane quando era testimonio dell'impressione prodotta dalla sorella

sugli uomini: lui, il cui maggior cruccio era appunto di "collocarla" Non era geloso, - che diritto ne aveva? - anteponeva il suo bene al proprio e le augurava di incontrar presto un uomo degno di toglierla

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dallo stato transitorio in cui si trovava dopo la separazione da Hagauer: e tuttavia quando la vedeva al centro di un gruppo di corteggiatori che la colmavano di premure, o se per la strada un uomo la guardava fisso, attratto dalla sua bellezza e incurante dell'accompagnatore, non sapeva neanche lui quel che provava. Spesso, poiché gli era preclusa la semplice scusa della gelosia maschile, gli sembrava che gli si chiudessero intorno un mondo in cui non era mai penetrato. Conosceva per esperienza le capriole dell'uomo come la più guardinga tecnica amorosa della donna, e quando vedeva Agathe esporsi alle une ed esercitare l'altra, ne soffriva, gli pareva di assistere ai richiami di cavalli o di topi; nitriti e fremiti, smorfie e sogghigni, con cui persone estranee si presentano l'una all'altra con vanità o compiacenza, gli ripugnavano, considerandoli senza simpatia, come un greve intronamento che veniva su dalle viscere. E se tuttavia si metteva nei panni della sorella, secondo il profondo impulso dei suoi sentimenti, poco mancava che dopo, turbato dalla propria tolleranza, soffrisse la stessa vergogna di un uomo retto al quale sotto qualche pretesto s'è avvicinato qualcuno che non è tale. Quando lo confessò ad Agathe, ella ne rise.

- Fra le nostre conoscenze ci sono parecchie donne che civettano per conquistarti, - fu la sua risposta.

Che cos'era questo? Ulrich disse:- In fondo è una protesta contro il mondo! - E disse anche:- Tu conosci Walter; da molto tempo non ci capiamo più; eppure se anche lui mi irrita e io pure lo

irrito, sento sovente al solo vederlo una specie di tenerezza, come se concordassi con lui così interamente come appunto non concordo. Vedi, nella vita si capiscono tante cose senza approvarle; e consentire a priori con una persona prima di capirla è quindi un'assurdità meravigliosamente bella, come in primavera quando l'acqua scorre giù nella valle da tutti i pendii!

E sentiva: "Adesso è così"! E pensava: "Appena riesco a non aver più verso Agathe nessun amor proprio, nessun egoismo e nessun sentimento basso o indifferente, ella cava fuori da me tutte le mie qualità come la favolosa montagna magnetica estrae i chiodi dal bastimento! Mi trovo moralmente in uno stato di disintegrazione atomica in cui non sono più né io né lei! Forse è questa la felicità?" Ma disse soltanto:

- È così divertente starti a guardare! Agathe divenne scarlatta e chiese:- Perché è divertente?- Mah, non lo so. Qualche volta hai vergogna davanti a me, - spiegò Ulrich. - Ma poi pensi che sono

soltanto tuo fratello. Un'altra volta invece non ti vergogni affatto di esser sorpresa in condizioni che per un signore estraneo sarebbero molto seducenti, ma poi di colpo ti viene in testa che non è uno spettacolo per i miei occhi, e m'imponi subito di volgerli altrove...

- E perché tutto questo ti diverte? - domandò Agathe.- Forse dà gioia seguire un altro con gli occhi senza sapere perché, disse Ulrich. - Ricorda l'amore del

bimbo per le sue cose; senza l'impotenza spirituale del bambino...- Forse ti diverte giocare a fratello e sorella perché sei arcistufo di giocare a uomo e donna? - suggerì

Agathe.- Anche, - ammise Ulrich e la guardò. - In origine l'amore è semplicemente l'istinto di avvicinarsi e di

afferrare. Lo si è separato nei due poli uomo e donna, con le pazze tensioni, arresti, sbalzi e guasti che ne risultano. Di questa gonfia ideologia oggi ne abbiamo fin sopra i capelli: è quasi ridicola come una gastrosofia. Sono sicuro, Agathe, che i più sarebbero contenti se si potesse sciogliere quel legame fra uno stimolo epidermico e tutta la condizione umana! E presto o tardi sorgerà un'epoca di ovvio cameratismo sessuale, in cui ragazzi e ragazze in concordia discorde staranno davanti a un cumulo di vecchie molle spezzate che prima costituivano l'uomo e la donna!

- E se io ti dicessi che Hagauer e io siamo stati pionieri di questa nuova era, mi biasimeresti di nuovo! ribatté Agathe con un sorriso acerbo come un buon vino secco.

- Io non biasimo più nulla, - disse Ulrich, e sorrise. - Un guerriero che si toglie l'armatura! Per la

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prima volta da tempo immemorabile sente sulla pelle l'aria della natura invece del ferro battuto, e vede il suo corpo diventare così tenero e stanco che i passeri potrebbero portarlo via!

E con quel sorriso sulle labbra, dimenticando di cancellarlo, contemplò la sorella che sedeva sull'orlo d'un tavolino e dondolava la gamba rivestita di seta nera; oltre la camicia ella non indossava che un paio di mutandine corte: erano però immagini staccate dalla loro destinazione e divenute singoli emblemi. "Ella è il mio amico e mi rappresenta deliziosamente una donna, - pensò Ulrich. - Che trama realistica ch'ella sia donna per davvero!"

E Agathe chiese:- Ma l'amore non esiste proprio?- Certo che esiste! - disse Ulrich. - Ma è un'eccezione. Bisogna distinguere: c'è anzitutto un

eccitamento fisico che appartiene alla classe degli stimoli epidermici; questo si può provocare come puro piacere anche senza contorno morale, anzi senza sentimento. Poi ci sono, di solito, turbamenti dell'animo che però sono strettamente legati alla sensazione fisica, tuttavia con poche varianti restano uguali in tutti gli esseri umani; questi momenti principali dell'amore nella loro forzata monotonia dobbiamo calcolarli piuttosto fra le vicende fisico-meccaniche che fra quelle della psiche. Terzo c'è l'amore che è in fondo una commozione spirituale; non ha necessariamente da fare con le altre due forme. Si può amare Dio, si può amare il mondo; forse anzi non si può amare che Dio e il mondo. Ad ogni modo non è necessario che si ami una creatura umana. Se però accade, allora il corpo travolge tutto, cosicché il mondo è come capovolto... - Ulrich s'interruppe.

Agathe aveva il viso in fiamme.Se Ulrich avesse voluto dosare e regolare le proprie parole in modo da ispirare ipocritamente ad

Agathe le inevitabili immagini del processo amoroso avrebbe ottenuto lo scopo.Cercò un fiammifero, solo per spezzare in qualche modo il nesso che aveva creato senza volerlo.- Comunque sia, - disse poi, - l'amore, se è amore, è un caso eccezionale e non può servire d'esempio

per ciò che accade tutti i giorni.Agathe aveva preso i lembi del tappeto e s'era coperte le gambe.- Se degli estranei ci vedessero e ci udissero, non penserebbero a un sentimento contro natura? -

domandò improvvisamente.- Assurdo! - dichiarò Ulrich. - Ciò che sente ciascuno di noi è il fantomatico doppio di se stesso nella

natura opposta. Io sono uomo, tu sei donna; si dice che l'essere umano porti in sé di ogni sua qualità anche la qualità opposta, vagamente abbozzata oppure repressa: ad ogni modo ne ha la nostalgia, a meno che sia irrimediabilmente contento di sé. Dunque il mio opposto venuto alla luce ha preso dimora in te, e il tuo in me; e stanno perfettamente bene nei corpi scambiati, per il semplice motivo che non hanno troppa considerazione per il loro posto di prima e per il panorama che vedevano di lì.

Agathe pensò:"Di tutto questo ha già parlato altre volte, molto di più; perché adesso cerca di attenuare?" Il

discorso di Ulrich armonizzava con la vita che essi conducevano come due camerati che talvolta, quando la compagnia degli altri gliene lascia il tempo, si meravigliano di esser un uomo e una donna e insieme gemelli. Quando fra due persone c'è una simile concordanza, i loro rispettivi rapporti col mondo acquistano un fascino particolare: stare invisibilmente nascosti l'uno nell'altro, scambiarsi gli abiti e i corpi, mistificare gaiamente gli ignari sotto l'apparenza di maschere diverse. Ma quell'allegria giocosa e troppo accentuata - come i bambini che talvolta fanno rumore invece di essere rumore! - non si conciliava con la serietà la cui ombra celante da grande altezza faceva tacere a volte il cuore dei gemelli. Così una sera che s'eran incontrati per caso ancora una volta prima di andare a letto, Ulrich vedendo la sorella nella lunga camicia da notte volle scherzare e disse:

- Cent'anni fa avrei esclamato: "Angelo mio!" Peccato che la parola sia passata di moda! - Poi ammutolì e pensò turbato: "Non è l'unica parola che dovrei usare per lei! Non amica, non donna! Una volta si diceva anche: "Divina!" Forse sarebbe un po' ridicolo e altisonante, sempre meglio, però, che

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non avere il coraggio di credere a se stessi!"E Agathe pensò:"Un uomo in veste da notte non somiglia a un angelo!" Ma egli era così forte e largo di spalle; ed ella

improvvisamente si vergognò di desiderare che quel viso fiero dai capelli scomposti le oscurasse la vista. I suoi sensi erano naturalmente e innocentemente eccitati; il sangue le scorreva nelle vene a ondate violente e ardeva sotto la pelle togliendole ogni forza di dentro. Non essendo fanatica come il fratello, ella sentiva quel che sentiva. Quando era tenera, era tenera, senza la lucidità di idee o l'illuminazione morale che in lui ella amava quanto temeva.

E ad ogni ora, giorno per giorno, Ulrich riassumeva tutto ciò nel pensiero: in fondo è una protesta contro la vita! Passeggiavano a braccetto per la città. Una coppia ben assortita per statura, per età, per modo di pensare. Procedendo così a fianco a fianco non potevano guardarsi molto. Alte figure reciprocamente gradevoli, andavano in giro così per puro piacere e ad ogni passo sentivano il soffio del loro contatto in mezzo alla folla estranea. Siamo fatti per stare insieme! Questa convinzione, poco meno che straordinaria, li rendeva felici; e mezzo consenziente e mezzo ribelle Ulrich disse:

- È strano che noi siamo così contenti di essere fratello e sorella. Per tutti gli altri è un rapporto normalissimo e noi ci mettiamo qualcosa di speciale!

Forse così dicendo l'aveva offesa. Soggiunse:- Io però l'ho sempre desiderato. Quand'ero ragazzo mi proponevo di sposare soltanto una donna

che avessi preso con me fin da bambina, e allevata ed educata. So benissimo che molti uomini hanno simili idee, sono assai comuni. Ma poi da adulto mi son proprio innamorato di una bambina così, anche se durò solo due o tre ore! - E continuò la sua narrazione: - Accadde in tram. Era una ragazzina di undici o dodici anni, salita dopo di me con un padre molto giovane o un fratello più vecchio. Come entra, si siede, porge incurante al bigliettario il denaro per tutti e due, è dama da capo a piedi, ma senza traccia di leziosaggine infantile. Nello stesso modo parlava con l'accompagnatore o lo ascoltava in silenzio. Era bellissima: bruna, le labbra piene, le sopracciglia folte, il naso un poco schiacciato: forse una polacca dai capelli scuri o una slava del sud. Se ben ricordo portava anche un vestito che arieggiava non so qual foggia nazionale, con tunica lunga, vita stretta, galloncini e gale al collo e ai polsi, perfetto nel suo genere come tutta la persona minuta. Un'albanese forse? Ero troppo lontano da lei per udire quel che diceva. Notai che i lineamenti della sua faccia seria erano più avanti dei suoi anni e sembravano già da grande; eppure non era il volto di una donna piccina bensì, senza alcun dubbio, quello di una bimba. E tuttavia la faccia infantile non era per nulla la prefigurazione immatura di una persona adulta. Pare che qualche volta a dodici anni il viso femminile sia già compiuto, formato anche spiritualmente di primo getto come i grandi capolavori, cosicché ogni ritocco guasta soltanto l'originale perfezione. Ci si può innamorare a morte di un'apparizione così, follemente e in fondo senza desiderio. Ricordo che mi volsi timidamente a guardare le altre persone perché mi sembrava che ogni ordine crollasse. Scesi poi dietro la piccola e la seguii finché la persi in mezzo alla folla, - così egli concluse il suo piccolo racconto.

Agathe attese qualche istante, poi chiese sorridendo:- E come si concilia tutto questo con il fatto che il tempo dell'amore è passato e rimangono soltanto

la sessualità e il cameratismo?- Non si concilia affatto! - esclamò Ulrich ridendo.La sorella pensò un poco e poi osservò stranamente acerba - era come una ripetizione intenzionale

delle parole di Ulrich la sera della loro riunione:- Tutti gli uomini amano giocare a fratellino e sorellina. Deve essere una cosa davvero sciocca.

Fratellino e sorellina si chiamano reciprocamente papà e mamma quando hanno preso una piccola sbronza.

Ulrich sussultò. Agathe aveva ragione, e poi le donne intelligenti sono osservatrici spietate degli uomini che amano; però non hanno teorie e quindi non fanno uso delle loro scoperte, salvo che

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vengano provocate. Ulrich si sentiva un po' offeso.- C'è la sua spiegazione psicologica, disse esitante. - D'altronde è chiaro che anche noi due

psicologicamente appariamo sospetti. Tendenza incestuosa, dimostrabile fin dalla prima infanzia come l'asocialità e l'atteggiamento di protesta contro la vita. Forse anche monosessualità non abbastanza consolidata, quantunque per conto mio...

- Oh, neanch'io! - interruppe Agathe e rise di nuovo, benché contro voglia. - Le donne non mi piacciono per niente!

- Fa lo stesso, - opinò Ulrich. - Son sempre gli organi interni della psiche. Puoi anche dire che c'è un "bisogno del sultano" di adorare e di essere adorato escludendo tutto il resto del mondo; nell'antico oriente ha prodotto l'harem, e oggi invece abbiamo la famiglia, l'amore e il cane. E io posso dire che la smania di possedere una persona così esclusivamente che altri non possa neanche avvicinarla è un segno della solitudine individuale nella comunità umana, che perfino i socialisti negano raramente. Se vuoi considerarla così, noi non siamo altro che pervertiti borghesi. Guarda che splendore!... - s'interruppe e la tirò per il braccio.

Erano sul margine di un piccolo mercato fra case antiche. Intorno al monumento classicistico di un qualche celebre letterato s'ammonticchiavano le verdure variopinte, s'aprivano gli ombrelloni grezzi delle bancarelle; villani dalle facce rosse rovesciavano frutta; trascinavano panieri, scacciavano i cani che annusavano quelle meraviglie. L'aria era piena di voci rumorose e affaccendate, e odorava di sole che brilla su tutte le attività terrene.

- Non si dovrebbe amare il mondo, quando lo si vede e lo si odora soltanto? - esclamò Ulrich entusiasmato. - E noi non possiamo amarlo perché non siamo d'accordo con quel che succede dentro i cervelli... - soggiunse poi.

Non era una distinzione secondo il gusto di Agathe, ed ella non rispose. Ma si strinse al braccio del fratello, e per tutti e due fu come se ella gli ponesse dolcemente una mano sulla bocca.

Ulrich disse ridendo:- Non posso soffrire neanche me stesso! Ecco la conseguenza quando si trova in tutti qualcosa da

criticare. Ma anch'io devo amare qualcuno, e dunque una sorella siamese che non è né me né lei ed è tanto me quanto lei, è evidentemente l'unico punto d'intersezione!

Era di nuovo allegro. E di solito il suo buon umore si comunicava anche ad Agathe. Ma come nella prima notte che s'erano riveduti, o prima ancora, non parlarono mai più. Svanito, come i castelli di nuvole: quando torreggiano sulle strade affollate di una città, invece che sulla campagna solitaria, non ci si crede più molto. Forse il motivo era che Ulrich non sapeva quale grado di solidità attribuire alle vicende ond'era agitato; ma Agathe pensava sovente che egli le vedesse soltanto come un eccesso della fantasia. E non poteva dimostrargli che era diverso: parlava sempre meno di lui, non ci riusciva e non osava. Sentiva soltanto che egli rifuggiva da ogni decisione che non avrebbe dovuto. Così si rifugiarono entrambi nella loro scherzosa letizia senza profondità e senza peso, e Agathe se ne rattristava ogni giorno di più, benché ridesse tanto spesso quanto il fratello.

29.Il professor Hagauer prende la penna

Le cose mutarono grazie a quel marito di Agathe, così poco apprezzato.Una mattina, che pose fine a quelle giornate di gioia, ella ricevette una lettera pesante in formato

d'ufficio, chiusa da una grossa ostia gialla e rotonda; in lettere bianche portava l'intestazione Regio Imperiale Liceo Rudolfino di... Dal nulla emersero immediatamente, mentre ancora ella teneva in mano la lettera chiusa, case a due piani con il muto riflesso di finestre ben terse, con termometri bianchi

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applicati alle cornici scure, uno per piano, per saggiare il tempo, con timpani greci e conchiglie barocche sulle finestre, teste sporgenti dai muri e altre sentinelle mitologiche, che sembravano prodotte in una ebanisteria artistica e poi dipinte uso marmo. Scure e bagnate le strade tagliavano la città, dove erano affluite come strade provinciali, con carreggiate profonde; e i negozi stavano ai due lati con vetrine nuovissime, e tuttavia sembravano signore di trent'anni fa che rialzano le lunghe sottane e non sanno decidersi a scendere dal marciapiede nel fango della strada: la provincia nel ricordo di Agathe! Fantasmi che erano ancora incomprensibilmente presenti, sebbene ella se ne fosse creduta liberata per sempre! Ancora più incomprensibile: esser mai stata legata a quel mondo! Ella vedeva la via che dalla porta di casa conduceva alla scuola lungo una fila di case ben note, via che Hagauer faceva quattro volte al giorno e che lei pure nei primi tempi percorreva sovente per accompagnare il marito al lavoro, nel periodo in cui non rinunziava a una sola goccia del suo calice amaro. "Chi sa se Hagauer adesso pranza al ristorante? - ella si chiese. - Se strappa lui i foglietti del calendario che io toglievo ogni mattina?" Tutto ciò aveva acquistato a un tratto una così assurda virtù attiva, come se non potesse mai morire, ed ella sentì risvegliarsi dentro di lei, con tacito orrore, quella ben nota sensazione di timidezza che era fatta d'indifferenza, di coraggio perduto, di sazietà del brutto, uno stato infine di trepidante labilità. Con una specie di bramosia aperse la lettera spessa che il marito le inviava.

Quando il professore Hagauer era ritornato al suo posto di lavoro dopo le esequie del suocero e una breve gita alla capitale, il suo mondo l'aveva accolto come sempre dopo i suoi viaggi; vi era rientrato con la piacevole consapevolezza di aver sbrigato con cura le proprie faccende, lieto di scambiare gli stivali da viaggio con le pantofole, che rendono il lavoro tanto più agevole. Si recò a scuola e il bidello lo salutò con ossequio; tutti gli insegnanti inferiori di grado gli diedero il benvenuto; nella sala dei professori lo aspettavano le carte e gli affari che nessuno in sua assenza aveva osato affrontare; mentre s'affrettava lungo i corridoi lo accompagnava la sensazione che il suo passo desse ali all'istituto: Gottlieb Hagauer era un personaggio e lo sapeva; incoraggiamento e allegria irradiavano dalla sua fronte sull'edificio scolastico a lui sottoposto, e quando fuori di scuola qualcuno gli chiedeva notizie della lontana consorte egli rispondeva con la tranquilla sicurezza dell'uomo che si sa felicemente ammogliato. È noto che un individuo di sesso maschile finché rimane capace di procreare considera le piccole interruzioni della vita coniugale come il temporaneo scarico di un leggero giogo, anche se non ha cattive esperienze e al termine della vacanza si riprende rinfrancato in spalla la sua felicità. Così anche Hagauer da principio accettò senza sospetto l'assenza della moglie e non s'accorse nemmeno della sua lunga durata.

Lo richiamò alla realtà quel calendario che nella memoria di Agathe, col suo foglietto staccato ogni giorno, era il simbolo orribile della loro vita; strenna di una cartoleria, era rimasto appeso al muro della sala da pranzo come una macchia fuori di posto da quando Hagauer l'aveva portato a casa, e per il suo squallore Agathe lo aveva non soltanto tollerato ma persino amato. Sarebbe stato logico che Hagauer dopo la partenza della moglie avesse provveduto lui a staccare i foglietti di quel calendario perché era contrario alle sue abitudini abbandonare al disordine anche un solo pezzetto di parete. Ma d'altra parte egli sapeva sempre esattamente la settimana e il giorno di navigazione sull'oceano dell'infinito, inoltre aveva un calendario anche a scuola; e infine, proprio quando si disponeva nonostante tutto ad alzar la mano per ristabilire in casa sua la giusta misurazione del tempo, aveva sentito una strana, sorridente resistenza interna, uno di quegli impulsi nei quali, come si doveva verificare più tardi, si manifesta il destino, ma che egli sulle prime prese per un sentimento delicato e galante di cui fu stupito e orgoglioso: risolse in segno di onore e di ricordo di non toccare, fino al giorno del ritorno, il foglietto con la data in cui Agathe era partita di casa.

Così il calendario divenne a poco a poco una ferita in suppurazione che ricordava continuamente a Hagauer la prolungata assenza di sua moglie. Parco nei sentimenti e nelle spese egli le scriveva cartoline postali in cui le comunicava le proprie notizie e le chiedeva con sempre maggiore insistenza la data del suo ritorno. Non ebbe mai risposta. Ormai non si mostrava più allegro quando i conoscenti gli

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chiedevano in tono compunto se la signora sarebbe rimasta ancora via un pezzo per l'adempimento dei suoi tristi doveri, ma per fortuna aveva sempre molto da fare perché ogni giornata, oltre il lavoro per la scuola e per le associazioni a cui apparteneva, gli portava anche una quantità di inviti, circolari, questionari, appelli da firmare, bozze da correggere, e libri importanti; la persona di Hagauer viveva in provincia, facendo parte delle impressioni non troppo favorevoli che ne riporta il viaggiatore di passaggio, ma il suo spirito era cittadino del mondo, e ciò gli impedì per parecchio tempo di comprendere in tutto il suo significato il silenzio di Agathe. Un giorno però la posta recò una lettera di Ulrich che gli comunicava seccamente quel che c'era da comunicare, cioè che Agathe non aveva intenzione di tornare da lui e gli chiedeva di acconsentire al divorzio. Lo scritto, nonostante la forma cortese, era così asciutto e conciso da non lasciar dubbi all'indignato Hagauer che Ulrich fosse indifferente ai sentimenti del destinatario quanto il giardiniere che toglie un insetto da una foglia. Il suo primo moto istintivo di difesa fu: è un capriccio che non bisogna prender sul serio! La notizia era apparsa come uno spettro beffardo nel giorno chiaro zeppo di impegni improrogabili e di onorifici riconoscimenti. Solo verso sera Hagauer tornato nella sua casa vuota si sedette alla scrivania e informò Ulrich con dignitosa brevità che non intendeva tener conto della sua comunicazione e la considerava come non avvenuta. Ma a volta di corriere giunse un'altra lettera di Ulrich che respingeva quell'atteggiamento, ripeteva la richiesta di Agathe, e in modo un po' più gentile e particolareggiato invitava Hagauer a facilitare il più possibile i passi necessari, come si addiceva a un uomo della sua elevatezza morale, e com'era auspicabile onde evitare gli spiacevoli accidenti di una spiegazione pubblica. Questa volta Hagauer capì che la cosa era seria e si concesse tre giorni di tempo per escogitare una risposta su cui non ci fosse niente da ridire.

Per due di quei tre giorni fu come se gli avessero dato un colpo al cuore. "È un brutto sogno!" ripeteva fra sé pateticamente e senza uno sforzo di concentrazione non riusciva a credere che la cosa fosse vera. Un profondo senso di pena gli travagliava il petto come amore ferito e vi si accompagnava inoltre una vaga gelosia, che non era già rivolta contro un amante da lui ritenuto causa della condotta di Agathe bensì contro un che di inafferrabile al quale si sentiva sacrificato. Era una specie di umiliazione, non diversa da quella di una persona molto ordinata che ha commesso una malefatta o una dimenticanza: qualcosa che da tempo immemorabile aveva un suo posto fisso, che non si nota più ma da cui dipende moltissimo, a un tratto eccolo ridotto a pezzi. Pallido e sconvolto da una vera angoscia che non bisognava sottovalutare anche se mancava di bellezza. Hagauer andava in giro ed evitava la gente, rabbrividendo all'idea delle spiegazioni che avrebbe dovuto dare e delle umiliazioni che avrebbe dovuto sopportare. Solo il terzo giorno il suo stato si consolidò alquanto; Hagauer provava per Ulrich la stessa avversione che Ulrich provava per lui, e tale antipatia non mai dimostrata esplose a un tratto, per cui egli imputò con chiaroveggenza al cognato tutta la colpa del voltafaccia di Agathe, alla quale evidentemente quel fratello irrequieto come uno zingaro aveva stravolto il cervello; si sedette quindi alla scrivania e in un brevissimo scritto chiese l'immediato ritorno della consorte, dichiarando con rigida fermezza che tutto il resto intendeva discuterlo a quattr'occhi con lei.

Da Ulrich arrivò un rifiuto che era altrettanto breve e irremovibile.Allora Hagauer si risolse ad agire direttamente su Agathe; fece le copie del carteggio con Ulrich, vi

accluse una lettera lunga e ben ponderata, e questo era l'incartamento che Agathe si trovò davanti quando aprì la grande busta col bollo d'ufficio.

A Hagauer era parso inconcepibile tutto ciò che si stava abbattendo sul suo capo. Disimpegnate le sue mansioni quotidiane, la sera era rientrato nella "casa deserta" e, come a suo tempo Ulrich, s'era seduto davanti a un foglio bianco e non aveva saputo come incominciare. Ma nella sua vita egli aveva già ripetutamente applicato con buon successo il noto "procedimento dei bottoni" e vi ricorse anche questa volta. Esso consiste nell'esercitare una pressione metodica sui propri pensieri, anche davanti a problemi angosciosi, così come uno fa apporre bottoni ai propri vestiti perché se credesse di spogliarsi più in fretta senza bottoni dovrebbe riscontrare una perdita di tempo. Lo scrittore inglese Surway, ad

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esempio, di cui Hagauer consultò l'opera perché pur nel dolore gli premeva di confrontarla con le proprie teorie, distingue cinque tipi di codesti bottoni nello sviluppo d'un ragionamento efficace: a) osservazioni intorno a un evento che fa presagire immediate difficoltà d'interpretazione; b) più accurato accertamento e delimitazione di queste difficoltà; c) ipotesi di una possibile soluzione; d) svolgimento ragionato delle conseguenze di tale ipotesi; e) ulteriore meditazione onde accettarla o respingerla, e quindi buon esito del ragionamento.

Di quel metodo, Hagauer s'era già servito con piena soddisfazione per uno scopo molto mondano, cioè per imparare al circolo degli impiegati statali il gioco del tennis, e perciò tale sport aveva acquistato ai suoi occhi una notevole attrattiva intellettuale, in pure questioni sentimentali però non l'aveva mai applicato; poiché l'attività quotidiana del suo spirito era costituita per la massima parte da contatti professionali e nel campo più personale da quei "giusti affetti" che sono un miscuglio di tutti i sentimenti possibili nel caso specifico e aventi corso fra la gente di razza bianca, con una certa proporzione di generalità locali, professionali e di casta. Alla straordinaria pretesa d'Agathe di ottenere il divorzio egli non poteva dunque applicare i bottoni che con un'esperienza un po' scarsa, e i "giusti affetti" per l'appunto hanno la proprietà di rompersi facilmente nello scontro con difficoltà strettamente personali. Da una parte Hagauer pensava che un uomo moderno come lui era moralmente impegnato a non opporre resistenza allo scioglimento di un legame fondato sulla reciproca fiducia, ma d'altra parte, quando si è riluttanti, si trovano molti argomenti che assolvono da quell'impegno, perché la leggerezza che trionfa in tal campo oggigiorno è assolutamente da condannare. In simili casi, Hagauer lo sapeva, un uomo moderno deve "distendersi", cioè distrarre la propria attenzione, rilassare le membra e ascoltare la voce che sale dal fondo dell'anima. Perciò egli sospese prudentemente le sue riflessioni, fissò il vedovo calendario e prestò orecchio alle voci interne; poco dopo infatti una risposta gli giunse dagli intimi penetrali che stanno al di sotto del pensiero cosciente, proprio quella che aveva già pensato: la voce disse che una richiesta infondata come quella di Agathe egli non aveva nessun obbligo di accoglierla.

Ma così la mente del professor Hagauer era già venuta a trovarsi inopinatamente davanti ai bottoni a) b) c) d) e) della serie di Surway o di una serie equivalente, e sentì con nuova vivezza la difficoltà di interpretare i fatti presentati alla sua osservazione. "Sono io, Gottlieb Hagauer, - si domandò il professore, per caso colpevole di questo avvenimento increscioso?" Fece un esame accurato e non trovò la minima pecca nella propria condotta. "Un altro uomo, da lei amato, potrebbe essere la causa?" seguitò egli nella ricerca di una possibile soluzione. Ma stentava ad ammetterlo perché dopo essersi costretto a una meditazione obiettiva non riuscì a scoprire che cosa un altro uomo potesse offrire di meglio ad Agathe. Tuttavia questo problema poteva essere influenzato più d'ogni altro dalla vanità personale, perciò egli lo trattò con la massima diligenza; gli si aprirono allora prospettive mai immaginate e di colpo secondo il punto c), cfr. Surway, egli si sentì sulle tracce di una possibile soluzione che portava ancor oltre, ai punti d) ed e): per la prima volta dalle nozze lo colpì un gruppo di fenomeni che a quanto gli constava si riferivano solo a donne in cui l'amore per l'altro sesso non è né profondo né appassionato. Con doloroso stupore non trovò nei suoi ricordi nessuna prova di quella dedizione aperta o sognante che prima, quand'era scapolo, aveva incontrato in certe donne la cui vita era indubbiamente immorale; in compenso però si poteva escludere con sicurezza scientifica che la sua felicità coniugale fosse stata distrutta da un terzo. Il contegno di Agathe si riduceva quindi automaticamente a una rivolta personale contro la felicità; poiché ella era partita senza il minimo segno premonitore e in così breve tempo non poteva essere avvenuto in lei un cambiamento giustificato, Hagauer ne dedusse che il misterioso comportamento della moglie poteva spiegarsi soltanto come una tendenza a dire di no alla vita; tendenza che s'afferma a poco a poco ed è sovente riscontrabile nei caratteri che non sanno ciò che vogliono.

Ma era poi proprio quello il carattere di Agathe? Restava ancora da dimostrarsi, e Hagauer si masticò pensosamente i baffi insieme col portapenne. Di solito ella si poteva giudicare una "compagna

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accomodante", come lui soleva dire, però davanti alle questioni che più appassionavano il marito ella dimostrava una grandissima inerzia, per non dire freddezza! In fondo Agathe non pareva concordare mai con lui né con gli altri né con i loro interessi; non vi si opponeva, questo no; rideva o si faceva seria ogni volta che la situazione lo richiedeva, ma, a ripensarci bene, in tutti quegli anni gli aveva sempre fatto l'impressione di essere un po' distratta. Aveva l'aria di ascoltare quello che le si comunicava o spiegava, ma di non prestarvi fede. A dirla schietta, era di un'indifferenza addirittura patologica. Qualche volta sembrava incapace di capire ciò che le stava intorno...

E d'improvviso la penna di Hagauer incominciò a correr da sola sulla carta con energici tratti."Dio sa che cosa presumi, - egli scrisse, quando ti stimi troppo per amare la vita che io sono in grado

di darti e che, quantunque semplice, è una vita piena e onesta; tu l'hai sempre presa con sospetto e avversione, come ora m'avvedo. Tu hai rifiutato la ricchezza morale e umana che pure una vita modesta può offrire, e anche ammesso che tu ti sentissi in qualche modo a ciò giustificata, avresti tralasciato la volontà morale di rinnovarti, scegliendo invece una soluzione artificiosa e fantastica!"

Rifece il suo ragionamento. Ripensò a tutti i discepoli passati per le sue mani di educatore, in cerca di un caso che potesse illuminarlo; ma ancor prima di terminare l'esame trovò da solo il pezzo mancante, di cui aveva sentito l'essenza con indefinito disagio. In quel momento Agathe non fu più per lui un caso assolutamente individuale, inaccessibile a una comprensione comune; infatti riflettendo a quanto ella era pronta a sacrificare senza essere accesa da una particolare passione, egli fu portato inevitabilmente, con sua grande gioia, alla conclusione fondamentale, ben nota alla pedagogia moderna, che ad Agathe doveva mancare la capacità della riflessione soprasoggettiva e il saldo contatto spirituale col mondo. Scrisse rapidamente:

"Immagino che tu non abbia un concetto ben chiaro del passo a cui ti accingi; ma ti metto in guardia prima che tu prenda una risoluzione definitiva! Tu sei, credo, la perfetta antitesi di una persona pratica ed esperta della vita, come sono io invece, ma appunto perciò non dovresti privarti alla leggera del sostegno che io ti fornisco!"

Veramente Hagauer avrebbe voluto scrivere qualcos'altro, giacché l'intelligenza di una persona non è un patrimonio chiuso e finito, le sue manchevolezze portano seco altre manchevolezze etiche, infatti si parla di ottusità morale, e d'altronde quelle manchevolezze, anche se ciò avviene più raramente, possono a volontà deviare o anche accecare le forze intellettuali. Hagauer aveva dunque in mente un tipo concluso che egli, riattaccandosi a classificazioni già stabilite, era incline a definire "una varietà in complesso abbastanza intelligente dell'ottusità morale, che si rivela soltanto in certi precisi disturbi della secrezione interna" Non si risolse però a usare quella definizione, in parte perché non voleva irritare ancor più la fuggiasca consorte, in parte perché i profani di solito interpretano male simili espressioni quando vengono applicate a loro. Restava tuttavia stabilito che i fenomeni in questione appartenevano alla vasta categoria del "non molto sensato"; e infine Hagauer si cavò da quel conflitto fra coscienza e cavalleria con la conclusione che i fenomeni osservati in sua moglie risalivano alla ben nota inferiorità femminile e si potevano definire torbidità sociale. In tale disposizione d'animo terminò la sua lettera con parole veementi. Respinto come amante e come pedagogo sfogò la sua rabbia descrivendo in tono profetico la natura di Agathe come una "variante negativa" che mai affrontava i problemi della vita con l'energia e originalità che il tempo presente impone ai suoi figli, ma invece "separata dalla realtà da una parete di vetro" rimane in volontario isolamento sempre sull'orlo del pericolo patologico.

"Se qualcosa in me ti dispiace, avresti dovuto combatterlo, - egli scrisse, - ma la verità è che il tuo animo è impari alle energie del tempo nostro e ne schiva gli imperativi. Ecco che ti ho messo in guardia contro il tuo carattere, concluse, - e ripeto che tu più di altri hai necessità di un valido sostegno. Nel tuo interesse ti invito a fare immediatamente ritorno, e dichiaro che la mia responsabilità di marito mi vieta di accedere al tuo desiderio."

Prima di firmare, Hagauer rilesse l'epistola, la trovò molto insoddisfacente nella descrizione del tipo in questione, ma non mutò più nulla; si limitò ad aggiungere in fine - espirando energicamente

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attraverso i baffi l'insolito sforzo fieramente compiuto di meditare così a lungo sulla moglie, e meditando quante cose avrebbe dovuto aggiungere sul capitolo "tempi moderni" - una nobile frase sul prezioso retaggio del genitore estinto, dopo la parola "responsabilità"

Lo strano fu che Agathe alla lettura di quella lettera non mancò di restare impressionata dal succo delle argomentazioni. Lentamente rilesse parola per parola lo scritto che aveva percorso in piedi senza concedersi il tempo di sedere, poi lasciò cadere le pagine e le passò a Ulrich che aveva osservato con meraviglia la commozione della sorella.

30.Ulrich e Agathe cercano retrospettivamente un motivo

E ora, mentre Ulrich leggeva, Agathe lo osservava scoraggiata. Egli teneva il viso reclinato sui fogli, e l'espressione sembrava incerta fra l'ironia, la gravità, il dolore e il disprezzo. In quel momento ella sentì pesarsi addosso un carico greve; la opprimeva da tutte le parti, come se l'aria fosse diventata insopportabilmente spessa mentre prima era stata di una deliziosa innaturale levità: la manomissione del testamento paterno per la prima volta le pesava sulla coscienza. Ma non poteva bastare che ella misurasse a un tratto la propria colpa; quella valutazione reale le appariva anzi legata con tutto il resto, anche con il fratello. Si sentì a un tratto straordinariamente lucida. Ciò che aveva fatto le sembrava incomprensibile. Aveva parlato di uccidere il marito, aveva falsificato un testamento, ed era venuta a stare con Ulrich senza chiedere se non gli rovinava la vita: l'aveva fatto in uno stato di ebbrezza pieno di fantastiche immagini. E soprattutto arrossì in quel momento di non aver avuto il pensiero più immediato e più ovvio, giacché ogni altra donna che si libera da un uomo aborrito se ne cercherà uno migliore oppure si rifarà con imprese di genere diverso ma altrettanto naturali. Anche Ulrich sovente vi aveva fatto allusione, ma lei non se n'era mai data per inteso. Adesso stava lì a guardarlo e si chiedeva che cosa gli avrebbe detto. Le pareva davvero di essersi comportata come un'irresponsabile, e dava ragione a Hagauer che a modo suo le aveva posto davanti uno specchio; quella lettera nelle mani di Ulrich la turbava, come accade a una persona che, già sotto accusa, riceve uno scritto pieno di riprovazione dal suo antico maestro. Certo ella non aveva mai ammesso che Hagauer potesse avere su di lei un influsso qualsiasi; eppure adesso quasi gli riconosceva il diritto di dirle: "mi ero illuso sul tuo conto" oppure "purtroppo non mi sono mai illuso sul tuo conto e ho sempre pensato che tu finirai male!" Impaziente di liberarsi da quell'impressione ridicola e tormentosa, interruppe Ulrich che era ancora immerso nella lettura e pareva non dovesse più finirla.

- In fondo mi descrive molto esattamente, - dichiarò con apparente indifferenza, ma con un accento di sfida che tradiva il desiderio di sentirsi contraddire. - E anche se non lo dice è pur vero: o sono stata incosciente quando l'ho sposato senza ragione oppure sono incosciente adesso che, sempre senza ragione, lo voglio abbandonare.

Ulrich, intento a rileggere per la terza volta i passi che costringevano la sua fantasia a essere testimonio involontario di rapporti coniugali, rispose distrattamente qualcosa d'incomprensibile.

- Ma stammi a sentire! - pregò Agathe. - Sono io forse la moglie moderna, con un'attività casalinga o intellettuale? No. Sono la moglie innamorata? Nemmeno. Sono la buona compagna e madre che concilia, semplifica e costruisce il nido? Men che meno. Che cosa rimane dunque? Che cosa faccio in questo mondo? La vita di società, te lo confesso, mi è indifferente. E credo che potrei fare anche a meno della musica, della poesia e dell'arte come t'è offerta nei circoli colti. Hagauer invece non se ne saprebbe privare: gli servono se non altro per le sue dotte citazioni. Almeno lui gode le gioie ordinate del collezionista: non ha dunque ragione quando mi rimprovera di non far nulla, di respingere "i tesori della bellezza e della morale", e mi ammonisce che solo presso di lui posso ancor trovare comprensione

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e indulgenza?Ulrich le restituì lo scritto e rispose tranquillo:- Guardiamo le cose in faccia: tu, insomma, socialmente sei proprio deficiente! Sorrideva, ma nel suo

tono si sentiva l'irritazione che certi particolari intimi della lettera avevano lasciato in lui.Ma Agathe fu scontenta di quella risposta, che acuiva la sua pena. Chiese con timida ironia:- Perché, allora, gli hai dichiarato tanto fermamente, senza dir nulla a me, che io dovevo divorziare, e

perdere così il mio unico protettore?- Mah, - rispose Ulrich evasivo, - forse perché è meravigliosamente facile comportarsi con fermezza

virile. Io ho picchiato il pugno sul tavolo, e lui ha fatto altrettanto; allora naturalmente ho dovuto picchiare ancora più forte. Credo che la ragione sia stata questa.

Sebbene il suo malumore le impedisse di rendersene conto, Agathe finora s'era rallegrata che il fratello avesse fatto segretamente il contrario di quello che manifestava al tempo dei loro scherzosi rapporti fraterni; infatti recare offesa a Hagauer non poteva avere avuto altro scopo che innalzare una barriera per impedire ad Agathe ogni pentimento. Ma ora al posto di quella gioia occulta c'era soltanto il vuoto, e Agathe ammutolì.

- Bada bene, - seguitò Ulrich, - che a modo suo Hagauer riesce magnificamente a fraintenderti quasi alla perfezione, se così si può dire. vedrai che senza ricorrere a un investigatore, solo riflettendo sulle insufficienze dei tuoi rapporti con l'umanità, egli finirà per scoprire che tu hai alterato il testamento di nostro padre. E allora come ci difenderemo?

Per la prima volta dacché erano insieme il discorso cadeva sul tiro felice-infelice che Agathe aveva giocato a Hagauer. Ella alzò le spalle e fece un vago gesto deprecatorio.

- S'intende che Hagauer è nel suo diritto, - ammonì Ulrich dolce ma fermo.- Niente affatto! - protestò lei vivacemente.- Be, almeno in parte, - disse Ulrich accomodante. - In una situazione così pericolosa dobbiamo

incominciare col riconoscere chiaramente i nostri errori. Quello che hai fatto ci può portare in galera tutti e due.

Agathe lo guardò con occhi sgranati dallo spavento. In fondo lo sapeva ma non l'aveva ancora sentito affermare così nettamente.

Ulrich rispose con un gesto affettuoso.- Questo non è il peggio, - continuò. - Ma come salvare la tua azione, e anche il modo come l'hai

compiuta, dall'accusa che... - Cercò un'espressione soddisfacente e non la trovò. - Be, diciamo semplicemente che è un po' come dice Hagauer: una cosa che sconfina nel territorio dell'ombra, dei disturbi patologici, degli sbagli causati da qualche deficienza... Hagauer rappresenta la voce del mondo, anche se in bocca sua suona ridicola.

- Adesso vien fuori la tabacchiera, - esclamò Agathe scoraggiata.- Certo, - rispose Ulrich inesorabile. - Devo dirti qualcosa che mi tormenta da un pezzo.Agathe non voleva lasciarlo parlare.- Non è meglio fare come se nulla fosse accaduto? - ella chiese. - Forse potrei parlargli

amichevolmente e offrirgli qualche giustificazione?- Ormai è troppo tardi. Potrebbe servirsene per costringerti a ritornare da lui, - spiegò Ulrich.Agathe tacque.Ulrich ripeté la storia del ricco che ruba in albergo una tabacchiera. La teoria di Ulrich era che vi

possono essere tre motivi soltanto per un simile delitto contro la proprietà: bisogno, mestiere, oppure disordine psichico.

- Una volta che ne parlammo, tu osservasti che lo si poteva fare anche per convinzione, - soggiunse.- Ho detto soltanto che lo si poteva semplicemente fare! - protestò Agathe.- Sì, giusto: per principio.- No, non per principio!

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- Eccoci al punto! - esclamò Ulrich. - Un atto di tal genere, deve almeno risalire a una convinzione! Di qui non si scappa! Nulla si fa "semplicemente"; è sempre condizionato o dall'interno o dall'esterno. La distinzione non è facile, ma adesso non stiamo lì a filosofare; io dico soltanto: se si ritiene giusta una cosa del tutto priva di ragione, o se una risoluzione scaturisce dal nulla, allora è lecito sospettare una disposizione patologica o una deficienza...

Ecco che Ulrich aveva detto di più e di peggio di quanto voleva. Coincideva però con i suoi scrupoli.

- È tutto quel che hai da comunicarmi? - domandò Agathe quietamente.- No, non è tutto, - ribatté Ulrich con amarezza. - Quando non si ha alcun motivo bisogna cercarne

uno!Nessuno dei due ignorava dove lo si dovesse cercare. Ma Ulrich vi si rifiutò e disse pensoso dopo un

breve silenzio:- Nel momento in cui tu esci dall'armonia con gli altri, non saprai mai più, in eterno, quello che è

bene e quello che è male. Se vuoi essere buona, dunque, devi essere persuasa che il mondo è buono. E noi non siamo buoni né l'uno né l'altro. Viviamo in un tempo in cui la morale è in crisi o in dissoluzione. Ma dobbiamo mantenerci puri, in vista di un mondo che può ancora venire!

- Credi che questo influisca sul suo avvento o non avvento? - interrogò Agathe.- No, non lo credo purtroppo. Tutt'al più credo questo: se gli uomini che vedono e intendono non

agiscono rettamente, quel mondo non verrà certo e la decadenza non si potrà arginare!- Che cosa t'importa se fra cinquecento anni le cose saran cambiate o no?Ulrich esitò.- Io faccio il mio dovere, capisci? Come un soldato, direi. Forse Agathe in quel mattino disgraziato

aveva bisogno di un conforto diverso e più tenero di quello che Ulrich le offriva, perché disse:- Magari soltanto come il tuo generale! - Ulrich tacque.Agathe non poté trattenersi.- Non sai neanche se sia proprio il tuo dovere, - seguitò. - Fai così perché sei così e perché ci godi.

Precisamente quello che ho fatto anch'io!Di colpo smarrì la padronanza di sé. C'era qualcosa di molto triste. Le lacrime le riempirono gli

occhi e un singulto le strinse la gola. Per sottrarsi alla vista del fratello gli gettò le braccia al collo e nascose il viso sulla sua spalla. Ulrich s'accorse che piangeva, scossa da brevi sussulti. Un senso fastidioso d'imbarazzo lo colse; si sentì diventare di gelo. I teneri e felici affetti che credeva di nutrire per Agathe, in quel momento che avrebbe dovuto commuoverlo non c'erano più; la sua sensibilità era inceppata e non voleva funzionare. Accarezzò Agathe e le sussurrò qualche parola consolante, ma di malavoglia. E poiché mancava la risonanza spirituale, il contatto dei due corpi gli parve quello di due covoni di paglia. Vi mise fine conducendo Agathe a una poltrona e sedendosi su un'altra a qualche passo da lei. Poi rispose alla sua osservazione:

- Questa storia del testamento non ti dà certo nessun piacere. E non te ne darà mai perché è un'infrazione all'ordine.

- Ordine? - esclamò Agathe fra le lacrime. - Dovere?In fondo era smarrita solo perché Ulrich si comportava con tanta freddezza. Ma già sorrideva di

nuovo. Capiva che doveva cavarsela da sé. Le sembrava che il sorriso faticosamente prodotto fluttuasse molto lontano dalle sue labbra di gelo. Ulrich invece era ormai fuori d'imbarazzo, anzi si rallegrava di non aver sentito il solito turbamento fisico; risolse che anche questo fra loro doveva cambiare. Ma non ebbe tempo di pensarci, perché vide che Agathe soffriva, e perciò si mise a parlare.

- Non offenderti per quel che ho detto, - pregò, - non avertene a male! Forse non avrei dovuto scegliere parole come "ordine" e "dovere"; fanno pensare a una predica. Ma perché diavolo, - sbottò, - perché diavolo le prediche sarebbero da schernire? Dovrebbero essere invece la nostra maggiore fortuna!

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Agathe non ebbe voglia di rispondere, e Ulrich lasciò cadere l'argomento.- Non credere che io voglia atteggiarmi a uomo giusto! - egli pregò. - Non intendevo affermare di

aver sempre agito con rettitudine. Ma fare il male occultamente, questo no, non mi piace. Amo i masnadieri della morale, e non i ladri. Vorrei dunque far di te un bambino, - egli scherzò, - e non ti permetto di peccare per debolezza!

- In queste cose non ho punto d'onore! - replicò la sorella molto al di là di quel suo sorriso lontano.- È assai comico che vi siano tempi come i nostri, in cui tutti i giovani sono invaghiti del male! -

osservò Ulrich ridendo, per portare il discorso fuori dell'ambito personale. - Questa moderna predilezione per il moralmente abominevole è, ben s'intende, una debolezza. Forse una borghese sazietà del bene, spremuto ormai fino in fondo. Anch'io una volta pensavo che si dovesse dir di no a tutto; han pensato tutti così quelli che sono oggi fra i venticinque e i quarantacinque anni; ma naturalmente non era altro che un dirizzone, una moda; si può benissimo immaginare che venga presto una svolta e con essa una gioventù che si rimetterà all'occhiello la moralità invece dell'immoralità. E allora i vecchissimi somari che mai in vita loro han sentito la forza eccitante della morale e si sono accontentati di enunciare dei luoghi comuni moralistici, di colpo diventano precursori e pionieri di un nuovo carattere.

Ulrich si era alzato e camminava irrequieto in su e in giù.- Forse possiamo dire così, - propose: - Il bene è già per sua natura un luogo comune, il male invece

è critica. L'immorale si guadagna il suo diritto divino come critica attiva del morale. Ci dimostra che la vita può anche andare diversamente. Dà delle smentite. Di questo lo rimuneriamo con una certa indulgenza. Che vi siano falsificatrici di testamenti assolutamente deliziose dovrebbe dimostrare che l'intangibilità della proprietà è cosa discutibile. Forse di questo non occorrono prove: ma qui incomincia il nostro compito: giacché dobbiamo considerarci delinquenti potenziali giustificati a ogni specie di delitto, anche all'infanticidio o ad altri crimini orrendi...

Aveva cercato invano di cogliere lo sguardo della sorella, mentre la stuzzicava con le allusioni al testamento. Infine ella fece un gesto involontario di difesa. Non era una teorica, lei, poteva trovare scuse solo per il proprio delitto; in fondo il paragone di Ulrich l'aveva di nuovo offesa.

Ulrich rise.- Sembra uno scherzo, ma ha il suo significato, - egli affermò, - questa nostra inclinazione ai giochi

di bussolotti. Dimostra che nella valutazione del nostro agire c'è qualcosa che non va. E infatti è così: in una compagnia di falsificatori di testamenti tu stessa saresti probabilmente per l'intangibilità delle disposizioni testamentarie; soltanto in una compagnia di giusti le cose si confondono e si rovesciano. Dirò di più, se Hagauer fosse un mascalzone tu saresti stata ardentemente legalitaria; è davvero una disgrazia ch'egli sia un onest'uomo! Così si è sballottati di qua e di là... - Aspettava una parola che non venne; alzò le spalle e riprese:

- Cerchiamo un motivo per te. Abbiamo stabilito che la gente per bene ama commetter delitti, s'intende solo nella fantasia. Possiamo aggiungere che i criminali, in compenso, vorrebbero esser tutti considerati persone oneste. Dunque si potrebbe addirittura formulare una definizione: i delitti sono la confluenza nei signori peccatori di tutto ciò che gli altri uomini lasciano defluire in irregolarità spicciole, cioè nella fantasia e in mille cattiverie quotidiane e meschinità d'idee. Si potrebbe anche dire che i delitti stanno nell'aria e si cercano una via di minor resistenza che li conduce a determinati individui. Si potrebbe addirittura affermare che sono, sì, azioni di individui senza senso morale, ma principalmente espressioni sintetiche di qualche erroneo comportamento umano nella distinzione fra il bene e il male. È questo che ci ha spinti fin dalla giovinezza a una critica che i nostri contemporanei non hanno superato!

- Ma che cosa sono dunque il bene e il male? - osservò Agathe, e Ulrich non s'avvide di torturarla con la sua disinvoltura.

- Be, non lo so davvero! - rispose ridendo. - Noto soltanto adesso e per la prima volta che detesto il

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male. Sul serio, fino a oggi non me n'ero accorto, almeno a tal punto. Oh, Agathe, non immagini cos'è, - gemette poi, soprappensiero, - ad esempio la scienza! Per un matematico, poniamo, meno cinque non è peggiore di più cinque. Uno scienziato non deve aver ribrezzo di nulla, e in certe circostanze un bel caso di cancro lo ecciterà piacevolmente più che una bella donna. Il sapiente sa che nulla è vero e che la verità assoluta si trova alla fine dei tempi. La scienza è amorale. Questo meraviglioso addentrarsi nell'ignoto ci disabitua dalla cura personale della nostra coscienza, anzi non ci concede neppure la soddisfazione di prenderla molto sul serio. E l'arte? Non è essa sempre la creazione di immagini che non coincidono con quella della vita? Non parlo del falso idealismo o dell'inflazione di nudi in tempi in cui si vive vestiti fino alla punta del naso, - egli riprese celiando. Ma pensa a una vera opera d'arte: non ti è mai sembrato, guardandola, di sentire l'odor di bruciaticcio che manda un coltello quando lo affili su una pietra? Un odore cosmico, di meteora, di temporale, divinamente angoscioso?

Fu questo il solo punto in cui Agathe l'interruppe volontariamente.- Non scrivevi poesie anche tu, una volta? - domandò.- Te ne ricordi ancora? Quand'è che te l'ho confessato? - chiese Ulrich. - Già tutti facciamo dei versi,

prima o poi nella vita; io li facevo addirittura quand'ero matematico, egli ammise. - Ma diventavano sempre peggio con l'andar degli anni; e non tanto per mancanza di talento, credo, come per crescente avversione contro il disordine e la zingaresca romanticheria di quegli sbandamenti...

La sorella crollò il capo lievemente, ma Ulrich non ci badò.- Credimi! - egli insisté. - Una poesia non dev'essere soltanto uno stato d'eccezione, come non

dev'essere soltanto un atto di bontà! Ma, se è lecito, che cosa segue poi, dimmi un po', al momento d'elevazione? Tu ami la poesia, lo so: ma io voglio dire che non basta aver nel naso l'odore di fuoco, fino a che si dilegua. È un comportamento insufficiente, che ha il suo preciso riscontro nel campo della morale, dove si esaurisce in critiche lasciate a mezzo - E tornando improvvisamente al nocciolo della questione, dichiarò alla sorella: - Se nella faccenda Hagauer io mi comportassi come te l'aspetti tu, dovrei fare lo scettico, l'indolente, l'ironico. I figli certamente virtuosissimi che tu e io potremmo forse ancora avere, direbbero di noi che siamo vissuti in un periodo molto sicuro e molto borghese, senza crucci o tutt'al più con preoccupazioni inutili. Eppure ci siamo già dati tanta pena con le nostre convinzioni...!

Probabilmente Ulrich voleva aggiungere dell'altro; in fondo esitava soltanto a pronunciare la proposta che aveva pronta per sua sorella, e sarebbe stato bene se lo avesse fatto. Perché bruscamente ella si alzò e con una vaga scusa si preparò a uscire.

- Dunque rimane assodato che io sono moralmente deficiente? - chiese poi con un tentativo forzato di scherzare. - Con tutto quel che hai detto in contrario, non ti seguo più!

- Tutti e due siamo moralmente deficienti! - assicurò Ulrich, cortese. - Tutti e due! - Ed era un po' dispiaciuto della fretta con cui Agathe lo lasciò senza dirgli quando sarebbe tornata.

31.Agathe vorrebbe suicidarsi e fa la conoscenza di un signore

In verità era fuggita via per non offrire di nuovo al fratello la vista di lacrime che non poteva più trattenere. Era triste come una persona che ha perduto tutto. Ma non sapeva perché. Era incominciato mentre Ulrich parlava, ma neanche di questo sapeva il perché. Egli avrebbe dovuto far qualcos'altro invece di parlare. Ma non sapeva che cosa. Era giusto che egli non avesse dato importanza allo "stupido incontro" fra l'agitazione di Agathe e la lettera, e avesse continuato a parlare come faceva sempre. Ma Agathe aveva dovuto fuggire.

In principio sentiva solo il bisogno di correre. S'era allontanata di casa a precipizio. Anche se talvolta

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era costretta a svoltare, manteneva però la direzione. Fuggiva, come fuggono uomini e animali da un cataclisma. Non si chiedeva perché. Solo quando fu stanca, capì quel che intendeva fare: non tornar più a casa!

Voleva camminare fino alla sera. Lontano, sempre più lontano. Pensava che se si fosse fermata al limite della sera, anche la sua risoluzione sarebbe già presa. Era la risoluzione di uccidersi. O piuttosto l'idea che a notte tale risoluzione sarebbe maturata. Dietro a quest'attesa, un disperato vorticoso scompiglio nella sua testa. Non aveva nulla con sé, per uccidersi. La piccola capsula di veleno era in qualche cassetto o valigia. Della sua morte era già accertato solo il desiderio di non dover più tornare indietro. Voleva andarsene da questo mondo. Per questo camminava. Passo per passo, stava già lasciando la vita.

Quando sentì la stanchezza, le venne nostalgia dei prati e dei boschi, desiderio di errare nel silenzio, sotto il cielo. Ma fin là non poteva andare a piedi. Prese un tram. Era stata educata a padroneggiarsi davanti agli estranei. Perciò quando prese il biglietto e chiese un'indicazione, la sua voce non tradiva nessun turbamento. Poi sedette tranquilla e diritta, senza un tremito nelle dita. E mentre sedeva così, vennero i pensieri. Certo sarebbe stato meglio poter dare in smanie; con le membra legate i pensieri restavano come grossi involti che lei si sforzava vanamente di far passare attraverso un'apertura. Ce l'aveva con Ulrich per quel che aveva detto. Ma non avrebbe voluto avercela. Negava a se stessa tale diritto. Che cosa faceva per lui? Gli turbava il suo tempo e non gli dava nulla in cambio; disturbava il suo lavoro e le sue abitudini. Pensando alle sue abitudini provò un dolore acuto. Dacché c'era lei nessuna donna era entrata in casa. Agathe però era convinta che suo fratello doveva aver sempre una donna. Dunque si sacrificava per colpa sua. E lei, non potendolo ricompensare in nessun modo, era egoista e cattiva. In quel momento sarebbe tornata indietro subito per chiedergli teneramente perdono. Ma le tornò in mente com'egli era stato freddo. Certo rimpiangeva di averla accolta in casa sua. Quanti progetti, quanti discorsi aveva fatto prima di stancarsi di lei! Adesso non ne parlava più. Il grande disinganno, che era venuto con la lettera, torturò di nuovo il cuore di Agathe. Era gelosa. Insensatamente, volgarmente gelosa. Avrebbe voluto imporsi al fratello, e sentiva l'appassionato e impotente attaccamento della creatura che insorge contro una ripulsa. "Per lui sarei capace di rubare o di battere il marciapiede!" pensò, e capì ch'era ridicolo, ma non poteva pensare diversamente. I discorsi di Ulrich, con le battute scherzose e la superiorità apparentemente obiettiva, le sembravano uno scherno. Ella ammirava quella superiorità e tutte le esigenze spirituali che oltrepassavano le sue. Ma non vedeva perché tutti i pensieri dovessero sempre valere lo stesso per tutti gli uomini. Lei, nella sua umiliazione, aveva bisogno di conforto personale e non di ammaestramenti generali! Non voleva esser forte! E subito dopo si rimproverò di esser così com'era e accrebbe il suo dolore con la convinzione di non meritare da Ulrich nient'altro che indifferenza.

Questo sminuirsi, al quale né il contegno di Ulrich né la penosa lettera di Hagauer avevano dato motivo sufficiente, era una manifestazione della sua natura. Tutto ciò che Agathe, da quando non era più bambina, sentiva come inettitudine propria di fronte alle esigenze della vita associata, era causato dal fatto che ella aveva la sensazione di vivere senza o addirittura contro le sue più intime inclinazioni. Erano inclinazioni all'abbandono e alla confidenza perché ella nella sua solitudine non si era mai sentita a posto come il fratello; ma se finora le era stato impossibile abbandonarsi con tutta l'anima a un uomo o a una causa, ciò avveniva perché ella portava in sé la capacità di una dedizione ancora più grande, che poteva tender le braccia verso il mondo oppure verso Dio. Una strada ben nota verso la dedizione a tutta l'umanità è il non andar d'accordo con i propri vicini, e parimenti un segreto e fervido desiderio di Dio può sorgere in un individuo antisociale che sia provveduto di un grande bisogno d'amore: in questo senso il criminale religioso non è peggior contraddizione che la zitella religiosa che non ha trovato marito, e l'atteggiamento di Agathe verso Hagauer, che aveva la forma assolutamente assurda di una condotta egoistica, era la manifestazione di una volontà impaziente, così come la violenta accusa che ella rivolgeva a se stessa di essere stata destata alla vita da Ulrich e di doverla di nuovo prendere per

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la propria debolezza.Non resisté a lungo nel tram che rotolava placidamente; quando le case cominciarono a diventare

più basse e più agresti ella scese dal carrozzone e fece il resto della strada a piedi. Le fattorie erano aperte, attraverso gli androni e al di sopra delle siepi basse l'occhio scorgeva animali, bambini e lavori rurali. L'aria era piena di una pace nella cui vastità sonavano voci e martellavano strumenti; con i moti dolci e irregolari di una farfalla quei rumori fluttuavano nell'aria limpida mentre Agathe come un'ombra scivolava verso le vicine pendici erte di vigneti e di boschi. Ma una volta si fermò davanti a una cascina dov'erano bottai e il suono schietto dei tini percossi dalle mazze. Le era sempre piaciuto stare a guardare il buon lavoro, l'opera modesta sagace e industriosa delle mani. Anche stavolta godeva senza saziarsene il ritmo dei magli e il procedere degli artefici intorno alle botti. Per qualche momento dimenticò i suoi crucci e s'abbandonò senza pensieri a una piacevole comunione col mondo. Nutriva sempre ammirazione per gli uomini che sanno eseguire i compiti molteplici e naturali imposti da necessità universalmente riconosciute. Ella stessa però non amava lavorare, benché avesse qualche capacità intellettuale e pratica. La vita era completa anche senza di lei. E a un tratto, prima ancora di capire perché, udì rintocchi di campane e solo a stento poté reprimere il pianto. La chiesetta suburbana scampanava già da un bel pezzo, ma Agathe se ne accorgeva solo ora, e tosto sentì quanto quei suoni inutili, che solcavano appassionatamente l'aria, esclusi dalla buona fertile terra, fossero affini con la sua vana esistenza. In fretta riprese il cammino e lasciandosi indietro le ultime case, sempre seguita dallo scampanio che adesso non le usciva più dagli orecchi, giunse ai piedi delle colline che in basso erano coperte di vigne e di radi cespugli che bordavano i sentieri, mentre in alto occhieggiava il verde chiaro del bosco. Ora sapeva anche dove si sentiva attratta, ed era un bel sentimento, come se a ogni passo ella si addentrasse più profondamente nella natura. Il cuore le batteva di delizia e di fatica, quand'ella si fermava talvolta per accertarsi che le campane ancora l'accompagnavano sebbene nascoste lassù nell'aria e appena percettibili. Le sembrava di non aver mai sentito suonare le campane in un giorno qualunque, senza una particolare ragione festiva, democraticamente mescolate alle attività consapevoli e naturali. Ma di tutte le lingue della città dalle mille voci quest'era l'ultima che le parlava, e aveva qualcosa di travolgente, come se dovesse sollevarla e portarla su per il monte, ma poi ogni volta la lasciava andare e si perdeva in un piccolo rumore metallico, per nulla superiore agli altri rumori della campagna, ronzii, stridi, sussurri. Agathe dunque camminava e saliva da forse un'ora quando si trovò improvvisamente davanti al luogo silvestre che aveva portato nella memoria. Il boschetto custodiva una tomba negletta, dove cent'anni prima s'era ucciso un poeta e conforme al suo ultimo desiderio era stato anche inumato. Ulrich aveva detto che non era stato un grande poeta, sebbene famoso, e aveva avuto parole di critica severa per la poesia alquanto miope che si esprime nel desiderio d'esser sepolto in un luogo panoramico. Ma Agathe amava l'epigrafe sulla gran lastra di pietra, da quando ne avevano decifrato insieme, durante una passeggiata, i bei caratteri ottocenteschi dilavati dalla pioggia, e si chinò sulle catene nere fatte di grandi maglie angolari, che, recingendolo, proteggevano contro la vita il quadrato della morte.

"Fui nulla per voi", aveva fatto scrivere sul suo tumulo il poeta pessimista, e Agathe pensò che anche di lei si poteva dire lo stesso. Quel pensiero, dall'alto di una tribuna silvestre affacciata sui vigneti verdeggianti e sull'immensa arcana città che sotto il sole antimeridiano moveva lentamente le sue spire di fumo, la commosse di nuovo. All'improvviso s'inginocchiò e appoggiò la fronte a uno dei pilastri che reggevano le catene; la positura inconsueta e il contatto fresco della pietra le raffigurarono la pace inerte, un po' rigida, della morte che l'aspettava. Cercò di raccogliersi, ma non vi riuscì subito. Gridi d'uccelli le giungevano all'orecchio, tanti gridi diversi che la stupirono; i rami frusciavano, e, non sentendo il vento, le parve che gli alberi stessi agitassero i loro rami; in un silenzio improvviso si udiva un leggero calpestio; la pietra a cui s'appoggiava era così liscia, come se fra essa e la sua fronte vi fosse un pezzo di ghiaccio che non permetteva una vera aderenza. Le occorse un po' di tempo per capire che nelle cose che la distraevano era espresso proprio ciò che lei voleva farsi presente; il sentimento

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fondamentale della propria inutilità; ella non avrebbe saputo esprimerlo che nel modo più semplice, dicendosi che la vita era completa anche senza di lei, ed ella non vi avrebbe mai trovato nulla da fare. Questa crudele persuasione non era in fondo né disperata né risentita; Agathe vedeva e ascoltava, come aveva sempre fatto, però senza slancio, anzi senza la possibilità di partecipare. Quell'esclusione le dava un senso di tranquillità, di sicurezza, così come vi è uno stupore che si dimentica di far domande. Ella poteva benissimo andarsene. Dove? Un dove ci doveva pur essere. Agathe non era di quelle persone nelle quali anche l'idea radicata della nullità di tutti i concetti può suscitare una specie di soddisfazione che equivale alla continenza battagliera o sorniona con cui si accetta un destino insoddisfacente. In tali questioni era generosa e irriflessiva, diversa da Ulrich che opponeva ai propri sentimenti tutte le difficoltà immaginabili per vietarseli se fallivano la prova. Già, era una stupida, ella si disse. Non voleva riflettere. Caparbia, premette la fronte contro le catene di ferro che cedettero un poco, poi si tesero di nuovo. Nelle ultime settimane aveva incominciato a credere in qualche modo in Dio, ma senza pensarci. Certe situazioni, in cui il mondo le era sempre sembrato diverso da come appare, e tale che anche lei non viveva più esclusa bensì in una fiducia radiosa, erano state portate da Ulrich molto presso a una trasformazione intima, a un vero rivolgimento. Agathe sarebbe stata disposta a immaginare un Dio che apre il suo mondo come un luogo segreto. Ma Ulrich aveva detto che non occorreva, era dannoso anzi immaginare più di quel che si poteva apprendere. E toccava a lui giudicare di simili cose. Ma allora egli doveva anche guidarla e non abbandonarla così. Egli era il limitare fra due vite, e il desiderio struggente che Agathe provava per l'una, e la fuga dell'altra portavano prima di tutto a lui. Lo amava spudoratamente, così come si ama la vita. Al mattino quando apriva gli occhi ella lo sentiva ridestarsi entro di sé, in tutte le sue membra. Anche adesso dal cupo specchio del suo dolore egli la fissava: e solo allora Agathe ricordò di volersi uccidere. Per far dispetto a Ulrich era fuggita da casa verso Dio, proponendosi il suicidio. Ma ora il proposito era caduto, e ritornato alla sua origine il risentimento contro Ulrich che l'aveva offesa. Era in collera con lui, lo sentiva ancora, ma gli uccelli cantavano e li udiva di nuovo. Non era meno turbata di prima, ma adesso era un turbamento gioioso. Voleva fare qualcosa, ma in modo da colpire Ulrich e non soltanto se stessa. Mentre si rialzava, l'intirizzimento della lunga genuflessione si sciolse al calore del sangue che tornava a scorrerle vivace nelle vene.

Quando volse l'occhio intorno, si vide accanto un signore. Ne fu confusa perché non sapeva da quanto tempo egli stesse lì ad osservarla. Posando su di lui lo sguardo ancora oscurato dalla perplessità s'accorse che egli la guardava con non dissimulata simpatia e con l'aria di volerle ispirare fiducia, era alto e magro, vestito di scuro, e una corta barba bionda gli copriva il mento e le guance. Al di sotto dei baffi si potevano scorgere le labbra morbide, un po' arrovesciate, in giovanile contrasto con i capelli già misti di grigio, come se il tempo le avesse dimenticate. Non era un volto facile da decifrare. La prima impressione faceva pensare a un professore di scuola media, la severità di quel viso non era intagliata in un legno duro, pareva piuttosto qualcosa di tenero che si fosse indurito a opera di piccole angustie quotidiane. Ma al di là di quella mitezza, dove la barba virile sembrava come innestata per soddisfare un ordine seguito dal suo possessore, si notavano poi nel disegno originariamente femmineo certi quasi ascetici particolari di forma che evidentemente una volontà salda e costante aveva tratto dalla materia malleabile. Agathe non sapeva che cosa risolvere, attrazione e repulsione si bilanciavano in lei, ed ella capiva soltanto che l'uomo la voleva aiutare.

- La vita offre occasioni tanto per rafforzare la volontà quanto per indebolirla; non bisogna fuggire gli ostacoli ma cercare di vincerli! disse lo sconosciuto e per vederci meglio si forbì gli occhiali che si erano appannati. Agathe lo guardò stupefatta. Doveva averla osservata a lungo, perché quelle parole venivano dal mezzo di un discorso interiore. Il signore si tolse il cappello con precipitazione, compiendo in ritardo un gesto che non è lecito dimenticare; ma subito si ricompose e riprese:

- Mi permette di chiederle se posso esserle d'aiuto? - domandò. - Io credo che in un dolore, o addirittura in uno sconvolgimento profondo, come quello che vedo in lei, ci si confida più facilmente a

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un estraneo.Lo sconosciuto parlava con un certo sforzo; aveva l'aria di aver compiuto un dovere di carità

rivolgendo il discorso alla bella donna, e ora che camminavano l'uno accanto all'altro faticava a trovar le parole. Agathe infatti s'era alzata semplicemente e a passi lenti s'allontanava in sua compagnia dalla tomba; eran fuori dagli alberi, sull'orlo della collina, ancora indecisi se scendere al basso, e per quale strada. Perciò passeggiarono discorrendo in su e in giù, nessuno sapeva dove fosse diretto l'altro, e volevano usarsi reciprocamente riguardo.

- Dunque, non vuol dirmi perché piangeva? - ripeté l'uomo con la voce suadente del medico che chiede dove fa male. Agathe scosse il capo.

- Non mi sarebbe facile spiegarglielo, - ella disse, e all'improvviso pregò: - Risponda lei piuttosto a una mia domanda: che cosa le dà la certezza di potermi aiutare senza conoscermi? Io credo invece che non si possa mai dare aiuto a nessuno!

L'accompagnatore non le rispose subito. Si provò due o tre volte a parlare, ma si sarebbe detto che si costringeva ad attendere. Infine disse:

- Probabilmente possiamo soccorrere soltanto in un dolore di cui noi stessi abbiamo fatto l'esperienza personale.

Tacque. Agathe rise forte all'idea che quel signore pretendesse di conoscere per esperienza propria una sofferenza che gli avrebbe fatto orrore se l'avesse appresa. Il suo compagno parve non udire quella risata, o considerarla come uno scatto dei nervi. Pensò un poco, poi disse tranquillo:

- Naturalmente non intendo dire che ci si possa illudere d'insegnare a un altro cosa deve fare. Però, vede, in una catastrofe la paura è contagiosa e... È contagiosa anche la fuga. Voglio dire la semplice fuga, come in caso d'incendio. Tutti perdono la testa e corrono tra le fiamme. Come sarebbe utile uno, uno solo, che stesse di fuori e facesse segno e gridasse che c'è una via d'uscita...

Agathe ebbe di nuovo voglia di ridere per le terribili fantasie di quel buon uomo; ma, proprio perché esse non concordavano con lui, davano al suo viso di morbida cera un'impronta quasi sinistra.

- Lei parla come un pompiere! - ella disse imitando con intenzione il tono frivolo e salottiero per nascondere la propria curiosità. - Ma avrà pur cercato di immaginare qual è la catastrofe che attraverso! - Contro il suo volere però la serietà traspariva dallo scherzo, perché l'idea che colui la volesse aiutare l'indispettiva per la gratitudine che destava in lei. L'ignoto la guardò con stupore, poi si riprese e ribatté in tono quasi di rimprovero:

- Forse lei è troppo giovane per sapere che la nostra vita è molto semplice. Sembra inestricabilmente complicata solo quando si pensa a se stessi; ma nel momento in cui non si pensa più a sé e ci si domanda come si potrebbe porgere aiuto a un altro, diventa semplicissima!

Agathe non rispose. Rifletteva. E fosse il silenzio di lei o la vastità incoraggiante in cui le sue parole prendevano il volo, lo straniero seguitò, senza guardarla:

- Dare un valore esagerato ai propri casi personali è una superstizione moderna. Oggi si parla troppo di coltivare la personalità, di dire di sì alla vita, di viverla fino in fondo. Ma coloro che enunciano propositi così indefiniti, così ambigui, rivelano solo di aver bisogno di nebbia per coprire il vero significato della loro rivolta. A che cosa bisogna dire di sì? A tutto, in disordine e alla rinfusa? Lo sviluppo è sempre legato alla repressione, ha detto uno scienziato americano. Non possiamo sviluppare un lato della nostra natura senza reprimere il rigoglio dell'altro. E che cosa dobbiamo coltivare in noi? Lo spirito o gli istinti? I capricci o il carattere? L'egoismo o l'amore? Se dobbiamo affermare la parte più nobile della nostra natura, quella meno nobile deve imparare la rinuncia e l'obbedienza.

Agathe si domandava perché dovesse esser più facile aiutare gli altri che se stessi. Ella era una di quelle persone niente affatto egoiste che pensano sempre a sé ma non si prendono cura di sé, e questo è molto più lontano dall'egoismo comune avido di vantaggi che la carità soddisfatta di coloro che corrono in aiuto del loro prossimo. Così le idee del suo accompagnatore le erano estranee fin dalla radice, ma in qualche modo la toccarono e le singole parole pronunziate con tanta energia si

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muovevano inquietanti davanti a lei come se il loro significato fosse da afferrare più con la vista che con l'udito. Per di più stavano camminando su un ciglione donde Agathe godeva la meravigliosa veduta della valle profonda, mentre lo sconosciuto evidentemente considerava il luogo come un pulpito o una cattedra. Ella si fermò e col cappello che per tutto quel tempo aveva tenuto in mano con negligenza tracciò un rigo sul discorso del compagno.

- Dunque un'idea di me lei se l'è pur fatta, ella disse, - la vedo trapelare, e non è lusinghiera!Il signore alto trasalì perché non aveva voluto offenderla, e Agathe lo guardò con un sorriso gentile.- Pare che lei mi scambi per il diritto della libera personalità. E una personalità alquanto nervosa e

parecchio sgradevole, per giunta! - ella esclamò.- Ho solo parlato della prima condizione della vita personale, egli si scusò, - e certo la situazione in

cui l'ho trovata mi giustificava a credere che un consiglio le poteva giovare. La condizione essenziale della vita oggi è sovente misconosciuta. Il nervosismo moderno con tutti i suoi eccessi è prodotto soltanto da un'atmosfera interiore troppo fiacca in cui la volontà fa difetto, giacché senza un particolare sforzo della volontà nessuno può ottenere la fermezza e la coerenza che lo innalzano sull'oscuro caos dell'organismo.

Ecco di nuovo due parole, fermezza e coerenza, che ridestavano in Agathe nostalgie e autoaccuse.- Mi spieghi che cosa intende dire, - ella pregò. - La volontà può averla soltanto chi tende già a uno

scopo, non è così?- Non ha importanza ciò che intendo io! - fu la risposta, rude e gentile insieme. - I grandi documenti

dell'umanità non dicono forse già con chiarezza insuperabile quello che dobbiamo e che non dobbiamo fare?

Agathe era sbalordita.- Per proporre ideali universali di vita, - continuò l'accompagnatore, - ci vuole una così profonda

conoscenza della vita e degli uomini e in pari tempo un superamento così eroico dell'egoismo e delle passioni, che nel corso dei secoli solo pochissimi grandi sono stati chiamati a tanto. E questi maestri dell'umanità hanno proclamato in tutti i tempi la medesima verità.

Agathe si mise involontariamente sulla difensiva, come tutti i giovani che antepongono la loro carne e il loro sangue alle mummie dei saggi.

- Ma le leggi umane emanate migliaia d'anni fa sono assolutamente inadatte alle condizioni odierne! - ella esclamò.

- Non tanto quanto lo asseriscono gli scettici che hanno rinunziato all'esperienza e a conoscer se stessi! - replicò il compagno occasionale con amaro compiacimento. - La grande verità di vita non emerge dai dibattiti, l'ha già detto Platone; l'uomo la discerne come viva interpretazione e realizzazione di se stesso. Mi creda: quel che fa veramente libero l'uomo o gli toglie la libertà, quel che gli dà la vera felicità o la distrugge non soggiace al progresso; ogni uomo che viva sinceramente lo sa nel profondo del cuore, purché ne ascolti la voce!

La "viva interpretazione" piacque ad Agathe, ma le era venuta improvvisamente un'idea.- Lei è un religioso forse? - ella domandò con un'occhiata piena di curiosità. Egli non rispose. - Non

sarà per caso un pastore? - ripeté Agathe, e si tranquillizzò grazie alla barba, giacché per il resto l'aspetto di lui giustificava una simile sorpresa. Bisogna dire a suo onore che ella non si sarebbe meravigliata di più se lo sconosciuto avesse detto incidentalmente: "Il nostro amato sovrano, il divino Augusto"; ella sapeva che la religione ha una parte grandissima nella politica ma si è così abituati a non prendere sul serio le idee a servizio del pubblico, che il supporre che i partiti della fede siano composti di gente religiosa pare altrettanto esagerato quanto il pretendere che un impiegato postale sia un filatelico.

Dopo una lunga pausa un po' titubante, lo straniero replicò:- Preferirei non rispondere alla sua domanda; lei è troppo lontana da queste cose.Ma Agathe era in preda a un'ardente curiosità.- Adesso vorrei proprio sapere chi è lei! - insisté, e in fondo era un privilegio femminile che non le si

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poteva negare. Di nuovo fu evidente nello sconosciuto l'esitazione un po' ridicola di prima, quando si era scappellato in ritardo; sembrava che il braccio gli prudesse dall'impulso di sollevare un'altra volta cerimoniosamente il cappello, ma poi qualcosa s'irrigidì, un esercito di pensieri diede battaglia a un altro e riportò la vittoria invece della giocosa soluzione di un episodio senza importanza.

- Mi chiamo Lindner e sono professore al ginnasio Franz Ferdinand, - egli rispose e soggiunse dopo una breve considerazione: - Anche libero docente universitario.

- Allora conosce mio fratello, probabilmente! - esclamò Agathe contenta, e disse il nome di Ulrich. Se non sbaglio, ha tenuto una conferenza pochi giorni fa alla Società Pedagogica, sul tema "Matematica e Umanità" o qualcosa di simile.

- Lo conosco solo di nome. Alla conferenza sì, ho assistito, - ammise Lindner. Parve ad Agathe che la risposta fosse elusiva, ma lo dimenticò udendo il seguito:

- Suo padre era il famoso giurista? - domandò Lindner.- Sì, è morto da pochi mesi, e io ora vivo con mio fratello, - disse Agathe franca. - Verrà a farci

visita?- Purtroppo non ho tempo per la vita di società, - rispose Lindner burbero, con gli occhi bassi.- Allora non avrà niente in contrario, - riprese Agathe senza curarsi della sua riluttanza, - se vengo io

a trovarla! - Egli l'aveva sempre chiamata "signorina" - Sono sposata, - ella soggiunse, - e il mio nome è Hagauer.

- Ma allora, - esclamò Lindner, - lei è la consorte del professor Hagauer, l'illustre pedagogo? - Aveva cominciato la frase con vivo entusiasmo, ma verso la fine l'attenuò, incerto. Perché Hagauer aveva due aspetti: era pedagogo, ed era progressista; Lindner veramente militava in un campo opposto; ma quale sollievo scoprire un nemico tanto familiare fra le nebbie indefinite di una psiche femminile che aveva appena espresso l'idea assurda di far visita a un uomo in casa sua! Il passaggio dalla seconda alla prima impressione s'era riflettuto nel tono della sua domanda.

Agathe l'aveva notato. Non sapeva se informare Lindner dei mutati rapporti con il marito. Poteva finir tutto immediatamente fra lei e il nuovo amico, se glielo diceva; di questo aveva l'impressione ben netta. E le sarebbe dispiaciuto; molti tratti di Lindner provocavano il suo scherno, ma appunto per questo egli le ispirava anche fiducia. L'impressione, ben suffragata dell'apparenza che l'uomo non volesse nulla per sé, la costringeva singolarmente a essere sincera; egli faceva tacere ogni pretesa, e la sincerità veniva a galla da sola.

- Sono in procinto di divorziare! - ella confessò finalmente. Seguì un silenzio; Lindner sembrava costernato, e Agathe pensò che dunque era un uomo meschino. Alla fine Lindner disse con un sorriso afflitto:

- Ho immaginato qualcosa di simile quando l'ho vista!- Allora anche lei è contrario al divorzio? - esclamò Agathe lasciando libero corso al suo sdegno. -

Ma certo, dovevo aspettarmelo! Sa che è una posizione alquanto retriva?- Perlomeno, non riesco a considerare il divorzio un fatto così naturale come lo considera lei, - si

difese Lindner pensosamente; si tolse gli occhiali, li pulì, se li rimise sul naso e guardò Agathe con attenzione. - Io credo che lei difetti di volontà, - stabilì poi.

- Di volontà? La mia volontà di divorziare è saldissima, - protestò Agathe, e s'accorse che non era una risposta ragionevole.

- Non è questo ch'io intendo, ammonì Lindner dolcemente. - Son pronto ad ammettere che lei possa avere i suoi fondati motivi. Ma io la penso diversamente: i liberi costumi ai quali oggi s'indulge, in pratica sono sempre un segno che l'individuo vive immobilmente inchiodato al proprio io e non è capace di agire e di vivere movendo da più vasti orizzonti. I signori poeti, - egli soggiunse malignamente con un tentativo di scherzare sul pellegrinaggio di Agathe, che in bocca sua sonava un po' acrimonioso, - i quali lusingano i sentimenti delle giovani signore e quindi son tenuti da loro in gran conto, hanno scelto un atteggiamento più comodo del mio: io invece le dico che il matrimonio è una

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scelta di responsabilità e di dominio sulle passioni. Ma prima che un singolo si dichiari libero dalle difese esterne che l'umanità, giustamente diffidando di sé, ha elevato contro la propria fallacia, dovrebbe pensare che l'isolamento e il rifiuto d'obbedienza alle leggi supreme, son danni peggiori che le delusioni del corpo da noi tanto temute!

- Pare un regolamento militare per arcangeli, - disse Agathe, - ma non mi sembra che lei abbia ragione. L'accompagnerò per un tratto. Deve spiegarmi come si può ragionare così. Dove va adesso?

- Devo tornare a casa, - rispose Lindner.- Sua moglie avrebbe qualcosa in contrario se io l'accompagnassi fino a casa sua? possiamo prendere

una carrozza rientrando in città. Io ho tutto il tempo!- Mio figlio rientra da scuola, disse Lindner schermendosi con dignità. - Mangiamo sempre alla stessa

ora precisa. Per questo debbo rincasare. Quanto a mia moglie, è morta qualche anno fa, - egli rettificò la falsa supposizione di Agathe, e guardando l'orologio aggiunse spaventato e un po' irritato: - Bisogna che m'affretti!

- Allora me lo spiegherà un'altra volta; badi che è importante, dichiarò Agathe vivacemente. - Se non vuol venire da noi, verrò io a casa sua.

Lindner restò senza fiato. Finalmente disse:- Come potrebbe lei, una signora, venire da me?- Ma certo, - assicurò Agathe. - Un bel giorno mi vedrà comparire. Però non posso dirle quando.

Non c'è niente di male! - Con questo lo salutò e s'avviò per una strada diversa.- Lei difetta di volontà! - mormorò a mezza voce cercando di imitare Lindner, ma la parola volontà

sonava fresca e audace nella sua bocca. V'erano collegati sentimenti come orgoglio, energia, sicurezza; un'intonazione dignitosa del cuore: l'uomo le aveva fatto bene.

32.Il generale intanto accompagna Ulrich e Clarisse al manicomio

Mentre Ulrich era solo in casa una telefonata dal Ministero della Guerra chiese se il capo della Sezione Educazione e Cultura avrebbe potuto conferire con lui personalmente venendo a visitarlo fra una mezz'ora; e trentacinque minuti dopo, la carrozza di servizio del generale von Stumm galoppò su per la piccola rampa.

- Una bella storia! - Così il generale investì l'amico, il quale notò subito che questa volta non c'era l'attendente col pane dello spirito. una bella storia m'hai combinato! ripeté. - Stasera c'è seduta plenaria da tua cugina. Non ho ancora potuto informare il mio principale. E adesso scoppia la notizia che dobbiamo andare al manicomio; bisogna esser là fra un'ora al massimo!

- Ma perché mai? - chiese Ulrich, ovviamente. - Di solito si prendono accordi prima!- Non far tante domande! - pregò il generale. - Piuttosto telefona subito alla tua parente, amica o che

cos'è, che passiamo a prenderla.Mentre Ulrich telefonava alla bottega dove Clarisse faceva i suoi piccoli acquisti, e aspettava che ella

fosse chiamata all'apparecchio, apprese il guaio che era piombato sul generale. Questi, per accontentare il desiderio di Clarisse trasmessogli da Ulrich, s'era rivolto al capo del servizio militare, che a sua volta era ricorso all'illustre collega borghese, direttore della Clinica Universitaria dove Moosbrugger attendeva una superperizia. Per un malinteso dei due medici era stato subito fissato il giorno e l'ora, e Stumm l'aveva appreso con molte scuse solo all'ultimo momento, insieme con la notizia che per sbaglio era stato annunciato lui stesso all'illustre psichiatra, il quale attendeva lusingatissimo la sua visita.

- Mi vien male! - egli dichiarò. Era una formula consuetudinaria per dire che desiderava un cicchetto.Quando l'ebbe bevuto, la tensione dei suoi nervi s'allentò.

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- Me ne importa un fico di vedere un manicomio! Solo per colpa tua mi tocca andarci! - egli imprecò. - E che cosa devo dire a quello stupido di un dottore se mi chiede perché son venuto?

In quel momento risonò all'altro capo del filo un giubilante grido di guerra.- Bene! - disse il generale imbronciato. - Ma bada che voglio ancora assolutamente parlarti di questa

sera. E devo anche riferire a Sua Eccellenza, che va via alle quattro! - Guardò l'orologio, ed era così sconsolato che non si mosse dalla seggiola.

- Ma io sono pronto! - dichiarò Ulrich.- La signora non viene? - chiese Stumm meravigliato.- Mia sorella non è in casa.- Peccato! - rimpianse il generale. - Tua sorella è la donna più ammirevole che io abbia mai

conosciuto!- Credevo che fosse Diotima! - obiettò Ulrich.- Anche lei, - replicò Stumm. Anche lei è ammirevole. Ma da quando si dedica ai problemi sessuali

mi sento come uno scolaretto. M'inchino alla sua superiorità, giacché, mio Dio, come ripeto sempre, far la guerra è un mestiere semplice e rozzo. Ma proprio nel campo sessuale ripugna, per così dire, all'onore militare lasciarsi trattare da profano!

Intanto eran saliti in carrozza ed erano partiti di gran carriera.- La tua amica è carina, almeno? - s'informò Stumm diffidente.- È un tipo, la vedrai, - rispose Ulrich.- Dunque stasera, - sospirò il generale, - capiterà qualcosa. M'aspetto un avvenimento.- Lo dici tutte le volte che ci vediamo, - ribatté Ulrich sorridendo.- Può darsi, tuttavia è vero. E stasera assisterai all'incontro fra tua cugina e la signora Drangsal. ( 7)

Dunque la Drangsal ha assillato tua cugina finché l'ha spuntata; è andata a scocciare tutti, e oggi le due signore si troveranno a colloquio. Abbiamo soltanto dovuto aspettare Arnheim, perché anche lui potesse formarsi un giudizio.

Ulrich non sapeva che Arnheim, mai più visto da tanto tempo, fosse ritornato.- Ma certo. Per un paio di giorni, - dichiarò Stumm. - Abbiamo dovuto prendere noi in mano la

cosa... - Di colpo s'interruppe e scattò su verso la cassetta con un'agilità di cui non lo si sarebbe creduto capace. - Imbecille, - ruggì severo nell'orecchio dell'attendente, che travestito da cocchiere in borghese guidava i cavalli ministeriali, mentre scosso dalle oscillazioni della carrozza s'aggrappava alla schiena dell'ingiuriato. - Questa non è la strada diretta! - Il soldato mantenne la schiena diritta come una tavola, insensibile ai tentativi di salvezza ai quali il generale la sottoponeva, fece con la testa un giro di novanta gradi esatti cosicché non poteva vedere né il suo superiore né i suoi cavalli e comunicò, segnando fiero una retta perdentesi nel vuoto, che una parte della via più breve non si poteva percorrere a cagione di certi lavori stradali, ma che la si sarebbe raggiunta fra poco.

- Be, però avevo ragione! - esclamò Stumm ricadendo sui cuscini, e giustificò, in parte per l'attendente e in parte per Ulrich il suo vano scatto d'impazienza: - Costui mi fa fare un gran giro, e io devo ancora riferire a Sua Eccellenza, che alle quattro vuole andare a casa e prima deve lui stesso conferire col ministro! Perché il ministro, sai, questa sera ha annunciato la sua presenza in casa Tuzzi! - aggiunse più piano, solo per l'orecchio di Ulrich.

- Che cosa hai detto!? - Ulrich si mostrò sbalordito dalla notizia.- Non ti vado ripetendo da un pezzo che c'è qualcosa in aria? Adesso Ulrich voleva sapere che

cos'era questo qualcosa.- Su, dimmi dunque che cosa vuol fare il ministro!- Non lo sa neanche lui, - rispose Stumm placidamente. - Così, ha la sensazione che questo è il

momento. Anche il vecchio Leinsdorf ha la sensazione che è il momento. E pure il capo di Stato Maggiore. Se sono in tanti ad avere la stessa sensazione, ci sarà bene qualcosa di vero.

7 Drangsal ug. "calamità"

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- Ma il momento di che cosa? - continuò a indagare Ulrich.- Non è necessario saperlo! - gl'insegnò il generale. - Sono impressioni, così, assolute! E dimmi,

quanti saremo oggi? - chiese poi, pensieroso oppure distratto.- Che razza di domanda! - ribatté Ulrich stupito.- Volevo dire adesso, - spiegò Stumm, - quanti per la visita al manicomio. Scusami! Buffo, no, questo

equivoco? Eh, ci son giornate in cui ti capitano troppe cose in una volta. Dunque, quanti saremo?- Non so precisamente; da tre a sei persone.- Volevo dire, - disse il generale meditabondo, - che se siamo più di tre bisogna prendere ancora una

carrozza. Perché sono in uniforme, capisci.- Naturalmente, - lo tranquillò Ulrich.- E allora non posso andare in giro come in una scatola di sardine.- Certo. Ma spiegami quella faccenda delle impressioni assolute!- E troveremo una carrozza là fuori? - s'impensierì Stumm. - Son posti dove non si vede mai

un'anima.- Ne prenderemo una per strada, - rispose Ulrich risoluto. - E adesso dimmi, per favore com'è che

avete tutti l'impressione assoluta che sia il momento di non si sa cosa?- Non c'è niente da spiegare, - ribatté Stumm. - Quando dico di un'impressione che è assoluta e non

può essere diversa, significa appunto che non la so spiegare! Tutt'al più si potrebbe aggiungere che la Drangsal è una specie di pacifista, perché Feuermaul, da lei lanciato, dice nelle sue poesie che l'uomo è buono. Molti ci credono, oggi.

Ulrich non si fidava.- Ma se pochi giorni fa mi dicevi proprio il contrario: che adesso son tutti per l'azione, per la maniera

forte, eccetera!- Anche, - concesse il generale. - E vi sono circoli influenti che appoggiano la Drangsal; in queste

cose lei è abilissima. Si chiede all'Azione Patriottica un atto di umana bontà.- Davvero? - esclamò Ulrich.- Sì. Tu poi non ti curi proprio di niente! Gli altri se ne preoccupano seriamente. Permettimi di

ricordarti, ad esempio, che la guerra fratricida del '66 è scoppiata perché tutti i Tedeschi s'erano dichiarati fratelli al parlamento di Francoforte. Con ciò non voglio dire che il ministro della Guerra o il capo di Stato Maggiore abbiano di queste paure; sarebbe sciocco da parte mia. Ma insomma una cosa s'aggiunge all'altra: è così! Mi capisci?

Non era chiaro, ma era giusto. E il generale fece un'altra osservazione molto saggia.- Vedi, tu pretendi sempre la chiarezza, - rimproverò al suo compagno. - Ti ammiro per questo, ma

dovresti anche una buona volta pensare storicamente: come possono i partecipanti a un evento sapere in precedenza se sarà un grande evento? Tutt'al più perché si immaginano che lo sarà! Quindi, se mi permetti il paradosso, vorrei concludere che la storia del mondo si scrive prima di quel che si faccia; in principio non sono che chiacchiere. E allora le persone energiche devono svolgere un compito molto arduo.

- Hai ragione, - lo elogiò Ulrich. - Adesso però raccontami tutto!Ma il generale, benché oppresso com'era desiderasse anche lui parlarne, mentre gli zoccoli dei cavalli

incominciavano a calcare una carraia molle fu preso improvvisamente da altre preoccupazioni:- Ho dovuto agghindarmi come un albero di Natale, per il caso che il ministro mi mandi a chiamare,

- esclamò indicando la sua giubba azzurra e le file di decorazioni. - Non credi che se mi mostro ai pazzi così vestito potrebbe nascerne qualche incidente sgradevole? Cosa faccio, ad esempio, se qualcuno offende l'uniforme? Non posso mica sguainare la spada, ma anche tacere sarebbe per me pericolosissimo!

Ulrich lo rassicurò, informandolo che avrebbe indossato sulla divisa un camice bianco da dottore, ma prima che Stumm si dichiarasse soddisfatto della soluzione si vide Clarisse in sontuoso

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abbigliamento estivo, che impaziente veniva loro incontro accompagnata da Siegmund. Ella comunicò che Walter e Meingast avevano rifiutato di partecipare alla visita. E, poiché si era scovata un'altra carrozza, il generale contento disse a Clarisse:

- Signora, quando l'ho vista venir giù per la strada mi è proprio sembrata un angelo del Paradiso!Ma quando scese dalla carrozza, davanti alla clinica, Stumm von Bordwehr era rosso in faccia e un

po' stralunato.

33.I pazzi salutano Clarisse

Clarisse rigirava i guanti fra le mani, guardava su verso le finestre e non stava quieta un momento, mentre Ulrich pagava la carrozza. Stumm von Bordwehr voleva opporvisi, e il vetturino seduto a cassetta sorrideva lusingato aspettando che uno dei due signori vincesse la competizione. Siegmund, come al solito, si toglieva con la punta delle dita qualche pagliuzza dall'abito, oppure fissava nel vuoto. Il generale disse piano a Ulrich:

- Una strana donna la tua amica. Per via mi ha spiegato che cos'è la volontà. Non ho capito un'acca!- È così, - disse Ulrich.- È carina, - sussurrò il generale. - Come una ballerinetta dell'Opera. Ma perché dice che siamo

venuti qui per abbandonarci alla nostra "illusione"? Il mondo è troppo "privo di illusioni" dice lei. Ne sai qualcosa di più? Ero così a disagio, non son stato capace di dire una parola!

Il generale mandava per le lunghe il rinvio della carrozza apposta per fare queste domande; ma prima che Ulrich potesse rispondergli giunse un inviato a recare il saluto del direttore della clinica e, scusando il suo superiore trattenuto da un lavoro urgente, introdusse i visitatori in una sala d'aspetto. Clarisse non perdeva un particolare della scala e dei corridoi, e anche nel salottino, che con le seggiole di velluto verde sbiadito ricordava le vecchie sale d'aspetto di prima classe delle stazioni, il suo sguardo era in continuo lento movimento. Lì i quattro rimasero soli, e dapprima non scambiarono parola, finché Ulrich per rompere il silenzio domandò scherzosamente a Clarisse se non si sentiva già la pelle d'oca all'idea di vedere Moosbrugger a faccia a faccia.

- Oh! - esclamò Clarisse sprezzante. - Quel poveraccio ha conosciuto soltanto donne di ripiego; perciò non poteva andare diversamente!

Il generale volle riguadagnare il terreno perduto, perché in ritardo qualche idea gli era venuta in mente.

- La volontà adesso è all'ordine del giorno, - egli disse. - Anche nell'Azione Patriottica ci occupiamo molto di questo problema.

Clarisse gli sorrise e stirò le braccia per allentarne la tensione.- Quando si deve aspettare così, si sente nelle membra quello che sta per venire come se si guardasse

attraverso un cannocchiale, - ella osservò.Stumm von Bordwehr fece un altro sforzo mentale, ben deciso a non restare più indietro.- Giusto! esclamò. - Forse dipende dalla moderna cultura fisica. Anche di quella ci interessiamo

moltissimo.Finalmente arrivò il clinico nonché Consigliere aulico con il suo stuolo di assistenti e di volontarie, si

mostrò assai cortese, specialmente con Stumm, accennò a impegni improrogabili e si dichiarò dolente di dover limitare la sua accoglienza a quel saluto e di non poter accompagnare personalmente i visitatori. Presentò il dottor Friedenthal, che li avrebbe guidati in sua vece. Il dottor Friedenthal era un uomo alto, snello e un po' femmineo, con un gran ciuffo di capelli, e durante la presentazione sorrideva come un acrobata che sale la scaletta per eseguire il salto mortale. Quando il Consigliere si ritirò, furono

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portati i camici.- Per non agitare i pazienti, spiegò il dottor Friedenthal.Mentre infilava il suo, Clarisse sentiva uno strano accrescimento di forze. Eccola lì come un piccolo

medico. Le parve di essere molto virile e molto bianca.Il generale cercò uno specchio. Gli fu difficile trovare un camice adatto al particolare rapporto fra la

sua statura e la sua corpulenza: quando infine riuscì ad avvolgersi tutto, pareva un bambino con una camicia da notte troppo lunga.

- Non crede che dovrei togliermi gli speroni? domandò al dottor Friedenthal.- Anche i medici militari portano gli speroni! - ribatté Ulrich.Stumm fece ancora un tentativo impacciato e vano di gettare uno sguardo alla propria schiena dove

il camice da dottore scendeva in ampie pieghe fin sopra gli speroni; poi il corteo si mosse. Il dottor Friedenthal li avvertì di non lasciarsi sconcertare per nessun motivo.

- Finora è andata abbastanza bene, - sussurrò Stumm all'amico. - Ma in fondo tutto questo non m'interessa minimamente; piuttosto parliamo un po' di stasera. Dunque senti, m'hai detto di raccontarti tutto sinceramente; ecco qui: è molto semplice: tutti si armano. I Russi hanno un'artiglieria da campagna modernissima. Mi segui? I Francesi hanno approfittato della loro ferma di due anni per riorganizzare magnificamente l'esercito. Gli Italiani...

Avevano ridisceso l'antico scalone gentilizio salito poco prima, eran svoltati da qualche parte, e si trovarono in un labirinto di piccole stanze e di minuscoli corridoi dalle travature sporgenti e imbiancate. Per la maggior parte erano camere adibite al servizio e all'amministrazione, ma per via della mancanza di spazio che opprimeva il vecchio edificio avevano qualcosa di innaturale e di tetro. Erano popolate di persone parte in abito borghese, parte nell'uniforme dell'istituto. Su una porta stava scritto: "Accettazione", su un'altra: "Uomini" Al generale le parole morirono in bocca. Presentiva incidenti che potevano nascere da un momento all'altro e che per il loro carattere inconfrontabile esigevano grande presenza di spirito. Contro la sua volontà lo tormentava anche il problema di come cavarsela se un bisogno irresistibile l'avesse costretto ad appartarsi e poi, da solo senza accompagnamento di gente pratica, in un luogo dove tutti sono eguali, si fosse incontrato con un mentecatto. Clarisse invece precedeva sempre di mezzo passo il dottor Friedenthal. Il dover portare il camice bianco, come aveva detto il dottore, per non spaventare i malati, la sorreggeva come una vescica natatoria sulla corrente delle impressioni. Pensieri prediletti le occupavano la mente. Nietzsche: "Esiste un pessimismo della forza? Un'inclinazione intellettuale per l'orrido, il malvagio, il crudele, il problematico della vita? Un'aspirazione al terribile come a un nemico degno? E potrebbe la pazzia non essere necessariamente un sintomo di degenerazione?" Ella non ricordava letteralmente, bensì nell'insieme; la sua mente aveva compresso il concetto in un formato piccolissimo che occupava il minimo spazio come l'armamentario di un ladro. Per lei quella visita era mezzo filosofia mezzo adulterio. Il dottor Friedenthal si fermò davanti a una porta di ferro e tolse di tasca una chiave. Quand'ebbe aperto, un chiarore abbagliante avvolse i visitatori; essi uscirono dal riparo della casa e nello stesso tempo echeggiò un grido lacerante e spaventoso come Clarisse non aveva mai udito in vita sua; nonostante il suo coraggio ella diede un balzo.

- È solo un cavallo! - disse il dottor Friedenthal e sorrise.Infatti si trovarono su un pezzo di strada che dall'ingresso, costeggiando il fabbricato dov'erano gli

uffici, portava verso la fattoria dell'istituto. Non differiva in nulla dalle altre vie di campagna con vecchie carreggiate e bonarie erbacce, e un sole ardente la dardeggiava. Ma tutti i visitatori furono stupiti, anzi trasecolati e indignati di trovarsi su una qualsiasi strada onesta e sana dopo aver già percorso un lungo cammino avventuroso. Al primo momento la libertà aveva qualcosa di sconcertante, sebbene assai piacevole, e bisognava assuefarsi di nuovo. In Clarisse, dove tutte le collisioni erano immediate, la tensione si risolse in una risata squillante.

Il dottor Friedenthal attraversò la strada sorridendo e aprì una pesante porticina di ferro nel muro di

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un parco.- Incomincia solo adesso! - disse dolcemente.E ora erano davvero in quel mondo che da settimane attirava inesplicabilmente Clarisse, e non solo

col brivido dell'inconfrontabile e del precluso, ma come se fosse suo destino vivere lì una vicenda che non riusciva a immaginare. Sulle prime quel mondo non si distingueva affatto da un gran parco antico che da una parte saliva a un piccolo poggio dove fra gruppi di alberi maestosi sorgevano edifici bianchi simili a villette. Nello sfondo l'ampio cielo prometteva una bella vista, e Clarisse osservò lassù ammalati con infermieri, quali seduti e quali in piedi, che sembravano angeli bianchi. Il generale von Stumm ritenne adatto il momento per riprendere la conversazione con Ulrich.

- Dunque, voglio seguitare a prepararti per questa sera, - egli incominciò. - Italiani, Russi, Francesi e anche Inglesi, hai capito, si armano fino ai denti, e noi...

- Voi volete la vostra artiglieria, lo so già, - interruppe Ulrich.- Anche questo! - continuò il generale. - Ma se non mi lasci mai finire saremo di nuovo in mezzo ai

matti e non potremo parlare in pace. Volevo dire che noi siamo al centro e ci troviamo in una posizione molto pericolosa dal punto di vista militare. E in questa posizione si pretende da noi, parlo dell'Azione Patriottica, nient'altro che bontà e comprensione umana!

- E voi vi ribellate. L'ho già capito!- Ma al contrario! - protestò von Stumm. - Non ci ribelliamo affatto. Consideriamo il pacifismo una

cosa molto seria. Però vorremmo attuare il nostro programma d'armamenti. E se possiamo farlo per così dire a braccetto col pacifismo saremmo protetti nel modo migliore contro il sospetto d'imperialismo e l'accusa di voler turbare la pace! Perciò ammetto che ci siamo un po' concertati con la Drangsal. Ma d'altra parte bisogna procedere con precauzione; perché ora infatti abbiamo nell'Azione Patriottica anche il partito avverso, la corrente nazionalistica, che è contraria al pacifismo e favorevole al rafforzamento dell'esercito!

Il generale non terminò e dovette inghiottire il resto con faccia amareggiata perché erano quasi arrivati in cima e il dottor Friedenthal aspettava il suo gruppetto. Il praticello degli angeli bianchi era cinto da una leggera cancellata e la guida l'oltrepassò senza darvi importanza, come un semplice preludio.

- Un "reparto tranquillo", - spiegò il medico.C'erano soltanto donne; avevano i capelli sciolti sulle spalle e i loro visi erano repulsivi, con

lineamenti molli, enfiati, deformi. Una di esse corse subito dal medico e gli consegnò una lettera.- È sempre la stessa storia, - disse Friedenthal e lesse forte: - "Adolfo mio adorato! Quando vieni?

Mi hai dimenticata?" - La donna, più che sessantenne, ascoltava con aria ebete.- La spedirai subito, vero? - ella pregò.- Certo! - promise il dottor Friedenthal e sotto i suoi occhi strappò la lettera ammiccando alla

sorvegliante. Clarisse lo rimproverò:- Come può agire così? - esclamò con sdegno. - I malati bisogna prenderli sul serio!- Venga via! - esortò Friedenthal. Non mette conto di fermarsi qui. Se vuole le posso mostrare

centinaia di lettere simili. Avrà osservato che la vecchia è rimasta indifferente quando ho strappato il suo biglietto.

Clarisse era allibita perché ciò che diceva il dottore era vero ma le sconvolgeva le idee. E prima che fossero riordinate furono confuse di nuovo perché mentre lasciavano il luogo un'altra vecchia che era rimasta in agguato sollevò il grembiulone e mostrò ai signori che le passavano accanto le sue brutte cosce di vecchia, sopra le grosse calze di lana, fino alla pancia.

- Uh, che vecchia troia! - borbottò nauseato Stumm von Bordwehr, e per lo schifo dimenticò un momento la politica.

Clarisse aveva scoperto che le gambe della demente somigliavano alla faccia. Probabilmente mostravano le stesse stigmate di decadenza fisica, ma in Clarisse sorse per la prima volta l'impressione

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di bizzarre attinenze e di un mondo in cui le cose vanno diversamente da quel che si può intendere coi concetti ordinari. Allo stesso tempo pensò anche che non aveva percepito la metamorfosi degli angeli bianchi in quelle femmine, e che anzi pur trovandosi in mezzo a loro non aveva saputo distinguere le malate dalle loro guardiane. Si girò a guardare, ma erano già svoltati intorno a una casa ed ella seguì i compagni incespicando come un bambino che cammina col capo volto all'indietro. Dal susseguirsi d'impressioni cominciò a non formarsi più il limpido ruscello di avvenimenti, quale noi vediamo la vita, bensì un turbinio schiumoso con qualche superficie liscia che emergeva talvolta e restava nella memoria.

- Anche qui siamo in un reparto tranquillo. Per uomini, questo, avvertì il dottore raccogliendo la sua piccola schiera e quando s'avvicinarono al primo letto presentò l'occupante ai visitatori, con voce cortesemente smorzata, come un "caso di demenza paralitica depressiva"

- Un vecchio sifilitico. Delirio di colpa. Psicosi di annullamento, - bisbigliò Siegmund alla sorella. Clarisse si trovò dinanzi a un vecchio signore sulla sessantina che aveva l'aria di aver appartenuto un tempo all'altissima società. Sedeva diritto sul letto, il colore della sua pelle era bianchissimo, e altrettanto bianchi erano i capelli folti che gli incorniciavano il volto ben curato e spiritualissimo; un volto così inverosimilmente nobile come se ne trovan descritti solo nei peggiori romanzi.

- Non si potrebbe fargli fare il ritratto? - chiese Stumm von Bordwehr. - L'incarnazione della bellezza spirituale: vorrei regalare il quadro a tua cugina! - dichiarò a Ulrich. Il dottor Friedenthal sorrise malinconicamente e replicò:

- L'espressione nobile è causata dal rilassamento dei muscoli del viso Poi fece notare ai visitatori con un gesto fugace la fissità della pupilla e li condusse oltre: il tempo era scarso, data l'abbondanza del materiale. Il vecchio signore, che aveva annuito dolorosamente a tutto ciò che era stato detto al suo capezzale, rispondeva ancora sommesso e angosciato quando i cinque erano già alcuni letti più in là presso il secondo caso scelto dal dottor Friedenthal.

Questa volta si trattava di un artista, un pittore grasso e allegro, il cui letto era accanto alla finestra; sulla coperta aveva fogli e matite e passava tutta la giornata a disegnare. Clarisse fu subito colpita dalla gaia irrequietezza dei suoi movimenti. "Così dovrebbe dipingere Walter!" ella pensò. Friedenthal, accortosi del suo interesse, prese un foglio al grassone e lo tese a Clarisse; il pittore ridacchiò, comportandosi come una ragazza pizzicata da un giovanotto. Clarisse intanto contemplava stupefatta l'abbozzo di un grande quadro schizzato con perfetta sicurezza, molto descrittivo e persino triviale: un'infinità di figure aggrovigliate su vari piani prospettici in una sala riprodotta così minuziosamente che il lavoro sembrava uscito dall'Accademia di Belle Arti tanto era sano e professionale.

- Straordinariamente ben fatto! - ella esclamò senza volerlo. Friedenthal sorrideva lusingato.- Prendi su! - gli gridò tuttavia il pittore. - Vedi che al signore piace? Mostragliene degli altri. Il

signore ha detto "straordinariamente ben fatto"! Mostragli qualche altra cosa. Lo so già che tu ridi di me, ma a lui invece la mia roba piace! - Aveva parlato con bonomia e pareva in buoni rapporti col medico anche se questi non apprezzava la sua arte.

- Oggi non abbiamo tempo per te, gli rispose Friedenthal, e rivolto a Clarisse riassunse così la sua critica: - Non è schizofrenico; purtroppo in questo momento non ne abbiamo altri, e sovente sono grandi artisti, molto moderni.

- E ammalati? - dubitò Clarisse.- Perché no? - sospirò Friedenthal pateticamente. Clarisse si morse le labbra.Intanto Stumm e Ulrich erano già sulla porta dell'altra camera e il generale disse:- Adesso che vedo costoro, mi pento di aver dato dell'idiota al mio attendente, poc'anzi; non lo farò

mai più! Stavano appunto affacciati alla stanza degli idioti gravi.Clarisse non li aveva ancora visti e pensava: "Dunque anche un'arte rispettabile e rispettata come

l'accademia ha una sorella rinnegata, defraudata e tuttavia quasi identica in manicomio?" Quel pensiero la colpì ancor più che la frase di Friedenthal esprimente la speranza di mostrarle alla prossima occasione

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dei pittori espressionisti. Ma anche su questa idea bisognava ancora riflettere.Teneva la testa china e seguitava a mordersi le labbra. Qui c'era qualcosa che non andava. Era uno

sbaglio manifesto chiudere in manicomio gente dotata di tanto ingegno; i medici s'intendevano di malattie, ella pensò, ma forse non di arte in tutta la sua portata. Ella sentiva che qualcosa doveva accadere, ma non sapeva bene che cosa. Tuttavia non si perse d'animo, giacché il pittore l'aveva chiamata "il signore" e questo le pareva un buon segno.

Friedenthal la osservava con curiosità.Sentendo il suo sguardo Clarisse gli rivolse un fine sorriso e gli si avvicinò, ma prima di poter dire

qualcosa un'impressione terribile spense in lei ogni pensiero. Nei letti della nuova stanza eran seduti o buttati una serie di orrori. Tutto di quei corpi era storto, imbrattato, contraffatto o paralitico. Dentature guaste. Teste ciondolanti. Crani troppo grandi, troppo piccoli e tutti deformi. Mascelle cascanti, colanti di saliva, bocche macinanti a vuoto, animalescamente, senza cibo né parole. Sembrava che fra quelle anime e il mondo vi fossero barriere di piombo, spesse metri e metri, e dopo le risa sommesse e il brusio dell'altra stanza, qui colpiva l'orecchio un cupo silenzio rotto soltanto da grugniti e mugolii. Le sale dei gravemente affetti da idiozia sono fra gli spettacoli più raccapriccianti che si posson trovare nelle brutture di un manicomio, e Clarisse si sentì sprofondare in una tenebra fitta e spaventosa dove non distingueva più nulla.

Ma il dottor Friedenthal, la guida, ci vedeva anche al buio, e additando certi letti disse:- Questi son casi di idiozia, e quegli altri di cretinismo. - Stumm von Bordwehr aguzzò gli orecchi:- Un cretino e un idiota non sono la stessa cosa? - domandò.- No, sotto l'aspetto medico son due cose diverse, - lo informò il medico.- Interessante, - disse Stumm. - Non lo si penserebbe mai, nella vita quotidiana! Clarisse andava da

un letto all'altro. Scrutava intensamente i malati, sforzandosi al massimo senza poter capir nulla di quei visi che non s'accorgevano di lei. Tutte le immagini vi si spegnevano. Il dottor Friedenthal la seguiva spiegando:

- Idiozia familiare amaurotica. Sclerosi ipertrofica tuberosa. Idiozia timica. Il generale che s'era stufato di vedere ebeti e lo stesso supponeva di Ulrich, guardò l'orologio e disse:

- Dov'eravamo rimasti? Bisogna approfittare del tempo! - E partì bruscamente: - Dunque ricordati, per favore: il Ministero della Guerra si vede a fianco i pacifisti da una parte e dall'altra i nazionalisti...

Ulrich, meno agile di lui nello svincolarsi dall'ambiente, lo guardava sbalordito.- Ma non sto scherzando! - esclamò Stumm. - Sto parlando di politica! Bisogna far qualcosa.

L'abbiamo detto poco fa. Se non si combina nulla, viene il genetliaco dell'Imperatore, e ci facciamo una bella figura! Ma che cos'è che bisogna fare? La domanda è logica, non è vero? E dunque, riassumendo un po' volgarmente quello che t'ho già detto, i primi ci chiedono di aiutarli ad amare tutta l'umanità, i secondi di permetter loro di fregare gli altri affinché vinca il sangue più nobile, o come diavolo si dice. Entrambe le idee hanno del buono. E perciò, in conclusione tu dovresti metterle d'accordo perché non nascano guai!

- Io? - protestò Ulrich quando l'amico ebbe fatto scoppiare così la sua bomba, e si sarebbe messo a ridere se il luogo fosse stato più adatto.

- Proprio tu! - ripeté il generale fermamente. - Io ti sosterrò volentieri, ma tu sei il segretario dell'Azione e il braccio destro del conte Leinsdorf!

- Ti cerco un posto qua dentro, dichiarò Ulrich risoluto.- Va bene, - disse il generale, che aveva imparato alla Scuola di Guerra come per superare un

ostacolo imprevisto occorra mostrarsi impassibili. - Se mi fai ricoverare qui forse troverò colui che ha inventato l'idea più grande del mondo. Fuori s'è perso il gusto delle grandi idee - Guardò di nuovo l'orologio. - Pare che ci siano qua dentro certi che si credono il papa o il padreterno: non ce ne hanno ancora mostrato neanche uno, ed erano proprio quelli che desideravo vedere. La tua amica è terribilmente meticolosa, - egli si lamentò.

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Il dottor Friedenthal staccò cautamente Clarisse dalla contemplazione degli oligofrenici. L'inferno non è interessante, è spaventoso. Anche gli scrittori più forniti di fantasia, quando invece di renderlo umano - come ha fatto Dante, che l'ha popolato di letterati e di gran personaggi, distraendo così l'attenzione dalla tecnica del castigo - hanno tentato di darne un quadro esemplare, non son riusciti che a descrivere goffe torture e poco immaginose distorsioni di usanze terrene. Invece proprio il vuoto pensiero del castigo e del tormento, infiniti, inimmaginabili e perciò ineluttabili, il presupposto di un peggioramento inaccessibile ad ogni sforzo in contrario, ha l'attrazione dell'abisso. Così sono anche i manicomi. Sono case di poveri. Hanno un poco la mancanza di fantasia dell'inferno. Ma molta gente che non conosce le cause delle malattie mentali nulla teme, accanto alla possibilità di perdere il suo denaro, quanto la possibilità di perdere un giorno la ragione; ed è stranamente grande il numero di coloro che son tormentati dalla paura di perdere improvvisamente se stessi. La sovrestimazione del proprio valore porta probabilmente all'esagerazione degli orrori di cui i sani si figurano popolate le case dei malati.

Anche Clarisse soffriva di una leggera delusione provocata da una vaga attesa assimilata con la sua educazione. Per il dottor Friedenthal avveniva il contrario. Era abituato a quel trantran. Ordine come in una caserma o in ogni altra comunità, alleviamento delle principali sofferenze e incomodi, prevenzione dei peggioramenti evitabili, ogni tanto un miglioramento, una guarigione: questi erano gli elementi della sua attività quotidiana. Osservare molto, sapere molto, ma senza ricavarne un quadro soddisfacente delle correlazioni, era la sua parte spirituale. Nella visita attraverso le varie sezioni, ordinare oltre ai rimedi contro la tosse, il raffreddore, la stitichezza e le ferite, qualche sedativo, qualche calmante, era il suo lavoro di sanitario. Solo quando un contatto col mondo normale evocava il contrasto, egli percepiva la spettrale abiezione del mondo in cui viveva; non tutti i giorni, ma le visite offrono tali occasioni, e perciò lo spettacolo che si svolgeva davanti a Clarisse era ordinato con un certo senso della regia e dopo averla svegliata dai suoi pensieri continuò subito con qualcosa di nuovo e di più altamente drammatico.

Infatti appena ebbero lasciato il reparto si unirono a loro parecchi uomini grandi e grossi, con larghe spalle, facce da bravi caporali e camici puliti. Ciò accadde in un tale silenzio da far l'effetto d'un rullo di tamburo.

- Adesso entriamo in un reparto di agitati, - annunziò Friedenthal, e già s'avvicinavano a uno schiamazzo, a un gridio, che pareva erompere da un'immensa gabbia d'uccelli. Giunti davanti alla porta si vide che questa non aveva maniglia, ma uno dei guardiani l'aprì con una chiave e Clarisse si preparò a entrare per prima, come aveva fatto fino allora; ma il dottor Friedenthal fu svelto a tirarla indietro.

- Qui bisogna aspettare! - egli disse senza scusarsi, in tono stanco e significativo. Il guardiano che aveva schiuso la serratura aprì un poco il battente coprendo lo spiraglio col suo corpo poderoso, e dopo aver prima origliato poi spiato verso l'interno, s'infilò dentro lestamente e un altro infermiere lo seguì ponendosi all'altro lato dell'ingresso. A Clarisse il cuore incominciò a battere forte. Il generale disse in tono d'approvazione:

- Avanguardia, retroguardia, copertura dei fianchi!E così protetti entrarono e furono accompagnati da un letto all'altro dai colossali infermieri. Tutti i

pazzi roteavano gli occhi e le braccia, eccitati e urlanti; era come se ciascuno vociasse in uno spazio esistente solo per lui, e tuttavia parevano tutti presi in una frenetica conversazione, come uccelli esotici rinchiusi in una voliera, dove ciascuno parla il linguaggio di una terra diversa. Alcuni erano liberi, altri erano legati all'orlo dei letti con cinghie che lasciavano pochissimo gioco alle mani.

- Pericolo di suicidio, - spiegò il medico, e nominò le malattie: paralisi, paranoia, demenza precoce e altre erano le razze a cui appartenevano quegli uccelli forestieri.

Clarisse in principio si sentì di nuovo intimidita da quell'impressione confusa e non trovava un punto d'appoggio. Così le parve un segno incoraggiante che uno da lontano le facesse cenni vivaci e le gridasse parole mentre lei era ancora a parecchi letti di distanza. Il malato si dimenava sul suo giaciglio,

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come se volesse disperatamente liberarsi per correrle incontro, dominava tutto il coro con le sue accuse e scoppi d'ira e attirava sempre più l'attenzione di Clarisse. Mentre gli si avvicinava la turbava via via maggiormente la sensazione che egli parlasse a lei soltanto, tuttavia ella non capiva affatto ciò che l'uomo si sforzava di esprimere. Quando finalmente furono accanto al suo letto, il capo infermiere bisbigliò qualcosa al medico, così piano che Clarisse non l'intese, e Friedenthal diede qualche disposizione con faccia molto seria. Poi rivolse la parola al malato in tono scherzoso. Il pazzo non rispose subito, però chiese improvvisamente:

- Chi è quel signore? - e puntava il dito verso Clarisse. Friedenthal indicò il fratello e rispose che era un medico di Stoccolma.

- No, questo! - insisté il malato, sempre additando Clarisse. Friedenthal sorrise e disse che era una dottoressa viennese.

- No. Questo è un signore, - rimbeccò il malato, poi tacque. Clarisse sentiva il cuore batterle in gola. Anche questo dunque la prendeva per un uomo!

Infine il pazzo disse lentamente:- È il settimo figlio dell'Imperatore.Stumm von Bordwehr diede una gomitata a Ulrich.- Non è vero, - contraddisse Friedenthal, e continuando il gioco si rivolse a Clarisse coll'invito: - Gli

dica lei stessa che s'inganna.- Non è vero, amico mio, - mormorò Clarisse, che per la commozione quasi non riusciva a parlare.- Sì che sei il settimo figlio, ripeté l'altro, ostinato.- No, no, - assicurò Clarisse ed era così turbata che gli sorrise come in una scena d'amore con labbra

irrigidite dalla febbre della ribalta.- Sei tu! - esclamò il malato, fissandola con uno sguardo che Clarisse non avrebbe saputo come

definire. Nessuna risposta le veniva più in mente, ed ella guardava negli occhi, perplessa e amichevole, il malato che la credeva un principe, seguitando a sorridergli. Dentro di lei intanto accadeva qualcosa di strano: si andava formando la possibilità di dargli ragione. Sotto il peso di quell'affermazione reiterata qualcosa in lei si scioglieva, ella perdeva in qualche modo la padronanza sui propri pensieri e si formavano nuove connessioni di idee che prendevan contorno nella nebbia: non era il primo, colui, che volesse sapere chi era e la scambiasse per un "signore" Ma mentre ancora, impigliata in quello strano groviglio, lo guardava nel viso di cui non riusciva a cogliere l'età né gli altri avanzi di vita libera che vi rimanevano impressi, avvenne in quel viso e in tutto l'uomo qualcosa di assolutamente incomprensibile. Fu come se lo sguardo di Clarisse diventasse a un tratto troppo greve per gli occhi su cui posava, perché in questi ella vide un tentennamento, un crollo. Ma anche le labbra si misero in moto, e, come grosse gocciole che cadevano sempre più fitte, si mischiarono al volubile chiacchierio aperte oscenità. Clarisse fu così sconcertata da quella sgusciante trasformazione come se a lei stessa qualcosa scivolasse via, e involontariamente alzò le braccia verso l'infelice: e prima che qualcuno potesse impedirlo, il pazzo le balzò incontro: buttò via la coperta e già, in ginocchio sul letto, maneggiava il suo membro, come le scimmie che si masturbano in cattività.

- Non far porcherie! - disse il medico pronto e severo, e nello stesso momento gli infermieri afferrarono l'uomo e le coperte e ne fecero istantaneamente un involucro che giacque immoto. Ma Clarisse aveva la faccia in fiamme; si sentiva sconvolta come certe volte in ascensore quando si perde il contatto con la terra. Le parve improvvisamente che tutti gli ammalati già visti le gridassero dietro, e quelli non ancora visitati le gridassero incontro. E il caso volle, o la forza contagiosa dell'agitazione, che anche il malato seguente, un vecchietto gentile, che già da lontano aveva rivolto frasi scherzose e bonarie ai visitatori, nell'istante in cui Clarisse gli passò accanto saltò su e incominciò a inveire con parole scurrili che gli lasciavano sulla bocca una schiuma disgustosa. I pugni degli infermieri afferrarono anche lui, come grossi martelli che stritolano ogni resistenza.

Ma il mago Friedenthal sapeva ben graduare le sue esibizioni. Protetti come all'ingresso dai solidi

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accompagnatori, lasciarono la sala uscendo dalla parte opposta, e di colpo l'orecchio fu avvolto da un grande silenzio. Si trovarono in un corridoio nitido col pavimento di linoleum e incontrarono gente vestita coi panni della domenica e graziosi bambini, che salutavano il medico pieni di fiducia e di cortesia. Erano i parenti dei malati, che aspettavano di essere ammessi alla visita, e di nuovo l'impressione del mondo sano fu molto singolare; quelle persone modeste e gentili coi loro abiti migliori sembravano al primo momento bambole o fiori artificiali, molto ben imitati. Ma Friedenthal passò in fretta, avvertendo gli amici che ora li avrebbe portati in un reparto di assassini e altri vari pazzi criminali. Le cautele e i visi degli accompagnatori infatti, quando si trovarono davanti a un'altra porta di ferro, annunziavano il peggio. Entrarono in un cortile chiuso, con una galleria tutt'intorno, che somigliava ai giardini d'arte moderni dove ci sono molte pietre e poche piante. Come un dado di silenzio vi stava dentro l'aria vuota, solo dopo un po' si scopriva che uomini taciturni eran seduti lungo le pareti. Vicino all'ingresso erano accoccolati ragazzi idioti, mocciosi, sporchi e immobili, come se un grottesco capriccio di scultore li avesse applicati ai pilastri della porta vicina, il primo della fila un po' scostato dagli altri era un uomo del popolo che indossava ancora il vestito scuro della festa, però senza colletto; doveva esser stato ricoverato da poco ed era indicibilmente patetico nella sua non appartenenza ad alcun luogo. Clarisse si figurò improvvisamente il dolore che avrebbe dato a Walter se l'avesse lasciato, e poco mancò che non scoppiasse in pianto. Le accadeva per la prima volta, ma si rimise rapidamente, perché gli altri malati davanti a cui passarono destavano soltanto quell'impressione di muta abitudine che si osserva nelle prigioni; salutavano timidi e gentili e facevano piccole richieste. Solo uno, un giovane, divenne insistente e cominciò a lamentarsi; Dio solo sapeva da quale oblio egli fosse emerso. Pretendeva che il medico lo lasciasse uscire e voleva sapere perché l'avevano rinchiuso, e quando Friedenthal rispose evasivo che non a lui ma solo al direttore spettava ogni decisione, non si diede per vinto; le sue preghiere cominciarono a ripetersi come una catena che gira sempre più in fretta, e a poco a poco il tono si fece perentorio, crebbe fino alla minaccia e da ultimo fino alla sfida tra incosciente e animalesco. Quando fu giunto a quel punto, i giganti lo ricacciarono giù sulla panca ed egli tornò a raggomitolarsi come un cane nel suo silenzio, senza aver ottenuto risposta. Clarisse ormai queste cose le conosceva già, e si confondevano soltanto con l'eccitazione generale a cui era in preda.

D'altronde non ebbe il tempo d'indugiare perché all'estremità opposta del cortile c'era un'altra porta blindata e lì stavano bussando i guardiani. Era una novità perché finora avevano aperto le porte con precauzione ma senza preavviso. Questa volta invece picchiarono quattro volte col pugno e tesero l'orecchio all'agitazione che trapelava al di fuori.

- A questo segno tutti, dentro, devono schierarsi lungo le pareti o sedersi sulle panche, - spiegò Friedenthal.

E infatti, mentre la porta s'apriva a grado a grado, si vide che tutti i malati, mentre prima circolavano, quali silenziosi, e quali schiamazzanti, avevano obbedito come disciplinatissimi carcerati. E tuttavia gli accompagnatori continuavano a stare talmente in guardia che Clarisse all'improvviso s'attaccò al braccio del dottor Friedenthal e chiese sgomenta se fra quelli c'era Moosbrugger. Friedenthal negò col capo, senza parlare. Non aveva tempo. Ammonì in fretta i visitatori che dovevano rimanere a due passi almeno di distanza da ogni ricoverato. La responsabilità dell'impresa pareva tuttavia pesargli alquanto. Erano sette contro trenta, in un cortile remoto, murato, abitato soltanto da pazzi che quasi tutti avevano già commesso un omicidio. Gli uomini avvezzi a portar armi si sentono più inermi degli altri quando non ne portano; perciò non si può biasimare il generale, che aveva lasciato la sciabola nella sala d'aspetto, se domandò al medico:

- Ma lei non ha con sé nessun'arma?- Attenzione ed esperienza! - rispose Friedenthal, che era rimasto lusingato della domanda. - Tutto

sta nel saper soffocare in germe ogni segno di rivolta.E infatti, appena uno faceva anche il più piccolo movimento fuori dei ranghi, i guardiani gli si

gettavano addosso e lo ricacciavano così precipitosamente al suo posto, che queste aggressioni

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sembravano i soli atti di violenza occorrenti. Clarisse li disapprovava. "I medici forse non capiscono, - ella pensava, - che tutti costoro, pur rimanendo sempre chiusi qua dentro senza sorveglianza, non si fanno male gli uni agli altri; e sono pericolosi solo per noi, che veniamo da un mondo estraneo!"

Voleva parlare con uno di essi; si sentì certa, a un tratto, che sarebbe riuscita a trovare il modo giusto per capire e farsi capire. Vicino alla porta, in un angolo, c'era un uomo robusto di media statura con la barba bruna e occhi acutissimi; era addossato al muro, a braccia conserte, e osservava rabbiosamente gli intrusi. Clarisse fece un passo verso di lui, ma subito il dottor Friedenthal le posò una mano sul braccio e la trattenne.

- Non questo, - disse a mezza voce. Scelse per Clarisse un altro assassino e gli parlò. Piccolo, tozzo, col cranio aguzzo e rasato del galeotto, il medico lo sapeva socievole; infatti l'interpellato si mise subito sull'attenti e rispondendo con premura scoperse due file di denti che ricordavano sinistramente due file di pietre tombali.

- Provi a chiedergli perché è qui, suggerì il dottor Friedenthal al fratello di Clarisse, e Siegmund interrogò il tracagnotto dalla testa a punta:

- Perché sei qui dentro?- Lo sai benissimo, - fu la secca risposta.- No, non lo so, - replicò Siegmund scioccamente, non volendo darsi subito per vinto. - Suvvia,

dimmelo!- Lo sai benissimo! - ripeté l'altro con maggior forza.- Perché sei così poco gentile con me? - domandò Siegmund. - Ti assicuro che non lo so!"Oneste menzogne!" pensò Clarisse, e si rallegrò che il malato rispondesse semplicemente:- Perché voglio! Io posso fare quel che voglio! - ripeté l'uomo digrignando i denti.- Ma non bisogna essere scortesi senza ragione! - brontolò il povero Siegmund che, come il pazzo,

non trovava di meglio da dire.Clarisse era furente di vederlo recitare la parte stupidissima d'uno che al giardino zoologico stuzzica

una belva in gabbia.- Non ti riguarda! Io faccio quello che voglio, hai capito? Quello che voglio! - gridò il pazzo

strepitando come un sottufficiale, e rise in qualche modo col viso, ma non con gli occhi né con la bocca, che invece erano colmi entrambi di una collera bieca.

Perfino Ulrich pensò: "Non vorrei esser solo con quel tipo" Siegmund durava fatica a rimanere al suo posto: il demente gli si era piantato di fronte, e Clarisse sperò che prendesse il fratello per il collo, e gli morsicasse la faccia. Tranquillamente Friedenthal assisteva alla scena senza intervenire, giacché di un collega ben si poteva fidare, e d'altronde si divertiva molto del suo imbarazzo. Lasciò che il battibecco giungesse al punto culminante e solo quando Siegmund rimase senza parole diede il segno della partenza. Ma intanto era sorto di nuovo in Clarisse quel desiderio d'intromettersi; aveva preso forza man mano che le domande e risposte s'incalzavano, e a un tratto ella non si poté più trattenere, avanzò verso il malato e dichiarò:

- Io vengo da Vienna!Era senza senso, come un suono qualsiasi, uno squillo di tromba. Ella ignorava che cosa se ne

ripromettesse e come le fosse venuto in mente, né si era chiesta se il malato sapesse in che città si trovava; e se lo sapeva, la frase aveva meno senso che mai. Ma Clarisse la pronunciò con fiduciosa sicurezza.

E in verità accadono ancora miracoli, sebbene quasi esclusivamente nei manicomi; mentre Clarisse tutta ardente di commozione diceva quelle parole, una luce si stese sulla faccia dell'assassino; i suoi denti di lupo scomparvero dietro le labbra e lo sguardo pungente divenne benevolo.

- Oh, la meravigliosa Vienna! Una città incomparabile! - egli esclamò con l'orgoglio dell'antico borghese che sa tornire i suoi periodi come si deve.

- Mi congratulo con lei! - disse ridendo il dottor Friedenthal.

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Ma agli occhi di Clarisse l'episodio era di grande importanza.- E adesso si va da Moosbrugger! - annunziò Friedenthal.Ma non ne ebbero più il tempo. Erano usciti guardinghi dai due padiglioni e si stavano avviando

verso un edificio isolato, sull'alto del parco, quando giunse di corsa un inserviente che aveva l'aria di averli già cercati dappertutto. Costui prese in disparte il dottor Friedenthal e gli fece sottovoce una lunga ambasciata che a giudicare dalla faccia del dottore, il quale ogni tanto interrompeva con domande, doveva essere importante e poco piacevole. Infine Friedenthal tornò verso il gruppo in attesa, e con un gesto solenne si scusò di dover terminare il giro perché doveva recarsi in una delle sezioni chiamatovi da un incidente di cui non poteva prevedere la durata. S'era rivolto soprattutto al personaggio di maggior riguardo, in uniforme di generale sotto il camice bianco; ma Stumm von Bordwehr dichiarò con riconoscenza che ormai della perfetta organizzazione e disciplina dell'istituto aveva avuto un quadro più che sufficiente e dopo quanto s'era visto un assassino di più poco contava. Clarisse invece fece un viso così costernato e deluso che Friedenthal suggerì che ritornassero prossimamente per la visita a Moosbrugger e a qualche altro caso, e promise di telefonare a Siegmund per stabilire il giorno.

- Molto gentile da parte sua, - ringraziò il generale a nome di tutti, - ma io per mio conto non so se i miei impegni mi consentiranno di intervenire.

Gli accordi furono presi con quella riserva, e Friedenthal scomparve tosto dietro l'altura, mentre gli altri accompagnati dall'inserviente s'avviarono all'uscita. Lasciarono la strada e presero una scorciatoia che scendeva fra bei gruppi di faggi e di platani. Il generale s'era tolto il camice e lo portava disinvoltamente sul braccio come una spolverina in gita, ma non fu più possibile avviare un discorso. Ulrich non aveva nessuna voglia di farsi ancora indettare per la prossima serata, e anche Stumm era già troppo occupato del ritorno a casa. Però mentre camminava galantemente alla sinistra di Clarisse sentiva il dovere di rivolgerle ogni tanto qualche frase briosa. Ma Clarisse era distratta e taciturna. "Chi sa, forse si vergogna ancora per la scena di quel sudicione?" egli pensò, e avrebbe voluto spiegarle perché, date le circostanze, non aveva potuto cavallerescamente frammettersi in sua difesa; d'altra parte capiva che il meglio era non parlarne. Così il ritorno fu silenzioso e adombrato.

Solo quando ebbe affidato Clarisse e il fratello alle cure di Ulrich e fu salito sulla sua carrozza Stumm von Bordwehr ritrovò il suo buonumore; e con esso gli venne anche un pensiero che rimetteva un certo ordine in quelle angosciose visioni. Aveva tolto un sigaro dall'astuccio di cuoio e, ben adagiato sui cuscini, lanciò le prime nuvolette azzurre nell'aria piena di sole. Placidamente si disse:

"Dev'essere proprio terribile essere matti a quel modo! To, solo ora mi viene in mente che là dentro non ho visto fumare nessuno. Davvero non sappiamo quanto stiamo bene, noialtri sani!"

34.Si delinea un grande avvenimento. Il conte Leinsdorf e l'Inn

A quella giornata tempestosa seguì il "grande ricevimento" in casa Tuzzi.L'Azione Parallela si dispiegava in tutta la sua gloria. Sfolgoravano occhi, sfolgoravano gioielli,

sfolgoravano nomi, sfolgorava lo spirito. Un malato di mente avrebbe magari potuto concludere che occhi, gioielli, nomi e spirito, in una serata del genere, sono tutt'uno: non avrebbe avuto interamente torto. C'era tutta la società che non si trovava in Riviera o sui laghi italiani, tranne pochi che a quel tempo dell'anno, verso la fine della stagione, per principio non ammettevano più alcun "avvenimento"

Al loro posto c'era molta altra gente mai vista prima. Il lungo intervallo aveva aperto lacune nell'elenco degli inviti e per riempirle s'era ricorso in fretta a nomi nuovi, secondo le avvedute consuetudini di Diotima; anche il conte Leinsdorf aveva dato all'amica una lista di persone da invitare

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per opportunità politica, e una volta sacrificata a queste superiori considerazioni l'esclusività del suo salotto ella era stata meno rigida delle altre volte. Del resto Sua Signoria era la sola causa di quel solenne convegno; Diotima era dell'opinione che all'umanità si può giovare solo procedendo a coppie. Ma il conte Leinsdorf insisteva nel suo parere:

- Patrimonio e cultura non hanno fatto il loro dovere nell'evoluzione storica; dobbiamo compiere un ultimo tentativo!

Il conte Leinsdorf ci ritornava su ogni volta.- Mia cara, non s'è ancora decisa? - egli soleva chiedere. - Il tempo stringe. Gente d'ogni sorta

manifesta tendenze distruttive: dobbiamo offrire alla cultura un'ultima occasione di mantenere l'equilibrio - Ma Diotima, distratta dalle multiformità dell'accoppiamento umano, era dimentica di tutto il resto.

Infine il conte Leinsdorf le fece delle rimostranze:- Badi, mia cara, questo da lei proprio non me l'aspettavo. Adesso abbiamo trasmesso a tutti la

parola d'ordine: azione. Io stesso ho provocato... be, a lei posso confidarlo... ho provocato le dimissioni del ministro degli Esteri; se n'è parlato solo in alto, anzi in altissimo loco; ma era già un vero scandalo, e nessuno aveva il coraggio di porvi fine! Dunque rimanga fra noi, - seguitò, - e ora il presidente del Consiglio prega che noi ci dedichiamo più intensamente all'inchiesta per stabilire i desideri della popolazione riguardo alla riforma amministrativa, perché il nuovo ministro non ci si raccapezza ancora. E proprio in questo momento vuol piantarmi in asso, lei che è sempre stata la più tenace? Dobbiamo, dobbiamo assolutamente offrire quest'ultima occasione al Patrimonio e alla Cultura! Ci pensi bene: o così, o in un altro modo!

Questa conclusione un po' sconclusionata egli la pronunciò in tono assai minaccioso, per cui era chiaro che egli sapeva quel che voleva, e infatti Diotima si affrettò a promettere la sua pronta collaborazione; ma poi se ne dimenticò e non ne fece nulla.

Sicché un giorno il conte Leinsdorf fu preso dalla sua famosa energia e piombò da lei portato da quaranta cavalli.

- S'è fatto qualcosa? - egli domandò, e Diotima dovette convenire di no.- Conosce l'Inn, mia cara? - egli seguitò. Naturalmente Diotima conosceva quel fiume, il più noto

dopo il Danubio, e strettamente legato alla geografia e alla storia del Paese. Fissò l'interrogante un po' perplessa, pur sforzandosi di sorridere.

Ma il conte Leinsdorf era moralmente serio.- Se da Innsbruck, - egli le spiegò, - si guarda la vallata dell'Inn, che paesucoli da nulla son tutti quelli

che si vedono, e che fiume imponente è invece l'Inn qui da noi! Anch'io non ci avevo mai pensato - E crollò la testa. - Ma oggi per caso ho guardato una carta automobilistica e mi sono accorto che l'Inn viene dalla Svizzera. Probabilmente lo sapevo già - lo sappiamo tutti - ma non mi ero mai soffermato sull'idea. Nasce dal Maloja, è un ruscelletto ridicolo, come da noi il Kamp o la Morava. Ma che cosa ne hanno fatto gli Svizzeri? L'Engadina! Una regione di fama mondiale! L'Engad-Inn, mia cara! Lo sapeva che tutta quanta l'Engadina deriva dalla parola Inn? Io me ne sono accorto solo oggi: e noi con la nostra insopportabile modestia austriaca naturalmente non sappiamo mai mettere in valore quello che è nostro!

Dopo quella conversazione Diotima convocò prontamente la famosa adunata, un po' perché riconosceva di dover aiutare Sua Signoria, un po' perché temeva, se non lo assecondava, di spingere l'illustre amico a risoluzioni estreme.

Ma quando glielo disse, il conte Leinsdorf ammonì:- E per favore, mia cara, questa volta non dimentichi di invitare la... sì, quella tale, quella che

chiamate la "Calamità"; la sua amica, la Wayden, non mi dà pace per questo da settimane e settimane!Diotima promise; eppure in altri tempi avrebbe considerato quest'indulgenza verso la sua emula

come un'infrazione al dovere verso la patria.

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35.Sviluppo di un grande avvenimento. Il consigliere Meseritscher

Quando le sale risplendettero di luce e di invitati "si notò" non soltanto Sua Signoria accanto ad altri luminari della nobiltà di cui egli aveva sollecitato l'intervento, ma anche Sua Eccellenza il ministro della guerra e al suo seguito il generale Stumm von Bordwehr col viso spiritualizzato dall'eccesso di fatica intellettuale. "Si notò" Paul Arnheim. (Assai più efficace lasciare da parte il titolo. Il cronista lo fece a ragion veduta. È quel che si chiama litote, ingegnosa semplicità d'espressione per cui uno si toglie per così dire un niente dal proprio corpo, come il re si sfila un anello, e lo mette al dito di un altro) Poi furono notati tutti quelli che avevano un nome nei Ministeri (il ministro dell'Istruzione e della Cultura durante una seduta della Camera Alta s'era personalmente scusato col conte Leinsdorf di non poter intervenire perché quel giorno stesso doveva recarsi a Linz per l'inaugurazione di una cancellata d'altare) Fu notato altresì che le Ambasciate e Legazioni straniere avevano mandato un'élite a rappresentarle. Si registrò poi la presenza dei personaggi più illustri "dell'arte, della scienza e dell'industria", e quell'inalterabile associazione di tre attività borghesi rispondeva a una vecchia allegoria dell'operosità, che s'impadroniva da sé della penna del cronista. Infine questa alata penna non trascurava le signore: beige, rosa, cerise, crema... ricamati, a crespe, con tre frappe o aderenti sotto la vita; e fra la contessa Adlitz e la moglie del consigliere commerciale Weghuber era nominata la famosa Melanie Drangsal, vedova del chirurgo di fama mondiale "solita anch'essa ad accogliere amabilmente nella sua dimora il fiore dell'intellettualità" Veniva poi alla fine di quest'elenco Ulrich von * e sorella, senz'altra designazione; perché il cronista era rimasto in dubbio se scrivere: "di cui è nota la disinteressata attività al servizio della meritoria intrapresa che onora la Patria e la Cultura", o addirittura: "un uomo di domani" Gli è che di questo beniamino del conte Leinsdorf si mormorava da un pezzo che un giorno o l'altro avrebbe trascinato il suo protettore a qualche sbaglio clamoroso, e la tentazione di mostrarsene informati era grande. Ma la profonda soddisfazione di colui che sa è sempre stata il silenzio, soprattutto se egli è un uomo prudente; e a ciò dovevano Ulrich e Agathe la nuda citazione dei loro nomi che venivano buoni ultimi, precedendo immediatamente quei personaggi della società e della cultura, che, non più nominati personalmente, erano solo destinati alla fossa comune di "tutto ciò che ha nome e fama" In quella fossa erano stati scaraventati molti, fra cui il celebre giurista professor Schwung, consigliere aulico, che si trovava di passaggio in città per un'inchiesta ministeriale, e, ancora per questa volta, il giovane poeta Friedel Feuermaul, perché pur sapendosi che egli aveva genialmente collaborato a promuovere la serata, non era ancora ben certo che con ciò si fosse già conquistato quel valore di tipo più solido che spetta naturalmente ai titoli e alle toilettes. Gente come il direttore Leo Fischel e famiglia - che avevano ottenuto l'accesso ai saloni di Diotima dopo grandi sforzi e per istanza di Gerda, senza disturbare Ulrich, e quindi solo grazie all'indulgenza momentaneamente regnante - furono sotterrati in un cantuccio. E solo la consorte di un giurista - che era assai conosciuto, ma in quella società restava al di sotto del limite di percezione - col suo nome segreto di Bonadea, ignoto persino alla Penna, fu in seguito disseppellita e collocata fra le toilettes, perché la sua apparizione era stata notata e ammirata universalmente.

Questa Penna, la vegliante curiosità del giornalismo, era naturalmente un uomo; di tali cronisti ve ne son sempre in quantità, ma a quel tempo nella metropoli di Cacania uno emergeva sopra tutti gli altri, ed era il consigliere governativo Meseritscher, editore, redattore capo e capocronista del Corriere del Parlamento e della Società da lui fondato. Nato a Meseritscher in Valacchia (onde il suo nome) verso l'anno sessanta del secolo precedente era migrato, giovanotto, nella capitale, deciso a scambiare la balcanica bettola paterna con la professione del giornalista e attratto dal fulgore del liberalismo che era allora

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all'apogeo. E subito aveva portato il suo contributo alla nuova era aprendo un'agenzia che forniva ai giornali piccole notizie locali di carattere poliziesco. Grazie alla diligenza e scrupolosità del proprietario quella forma iniziale del suo "Corriere" non solo ottenne la fiducia dei giornali e della polizia, ma fu presto notata anche da altre autorità e utilizzata per diffondere opportune notizie di cui non intendevano rispondere esse stesse; quindi preferita alle altre agenzie e provvista di materiale, finché occupò una posizione privilegiata nel campo dell'informazione ufficiosa. Uomo di grande energia e di instancabile passione al lavoro, Meseritscher, vedendo quel felice successo, aveva esteso la sua attività al reportage aulico e mondano, anzi si può dire che senza quell'allettamento non si sarebbe mai trasferito dal suo paese alla capitale. Liste di intervenuti senza un'omissione erano la sua specialità. Aveva una memoria straordinaria delle persone e di tutto ciò che si raccontava di esse, il che gli procurava ottimi rapporti sia con i salotti sia con gli ambienti criminali. Conosceva il gran mondo meglio di coloro che vi appartenevano e con inesauribile amore faceva conoscere gli uni agli altri quelli che si erano incontrati in società il giorno prima, come un vecchio gentiluomo al quale si confidano da anni i progetti matrimoniali e gli affari di famiglia. Così in ogni festa e solennità quell'ometto premuroso, zelante, sempre servizievole e sempre in moto, era una figura a tutti nota e, col tempo, proprio lui colla sua presenza conferiva a quelle cerimonie un valore che non si poteva più mettere in discussione.

La sua carriera era giunta al sommo con la nomina a consigliere governativo, e su tale nomina c'è qualcosa da osservare: la Cacania era il paese più pacifico del mondo, ma a un bel momento, nell'ingenua persuasione che guerre non ce ne sarebbero più state, aveva ideato di dividere i suoi funzionari in classi equiparate ai gradi dell'esercito, con uniformi e insegne corrispondenti. Da allora un consigliere governativo equivaleva a un tenente colonnello; in sé non era un grado molto alto, ma il conferimento a Meseritscher aveva questo di particolare: che il cronista, per un'usanza intrasgredibile alla quale, come tutte le cose intrasgredibili, si trasgrediva solo eccezionalmente, avrebbe dovuto invece esser nominato consigliere imperiale. Infatti un consigliere imperiale non era, come parrebbe a giudicare dal senso della parola, più di un consigliere governativo, ma meno: consigliere imperiale equivaleva soltanto a capitano. E Meseritscher doveva diventare consigliere imperiale perché quel titolo oltre che agli impiegati di cancelleria si dava solo ai liberi professionisti, come parrucchieri di corte, carrozzieri, eccetera, e per la stessa ragione anche a scrittori e artisti, mentre consigliere governativo era un vero titolo di funzionario. Nel fatto che Meseritscher lo ottenesse come primo e ultimo s'esprimeva dunque qualcosa di più che la sola importanza della carica e il giornaliero memento a non prender troppo sul serio quel che succedeva nel paese: il titolo ingiustificato confermava in modo fine e discreto all'infaticabile cronista la sua stretta appartenenza alla corte, allo stato e alla società.

Meseritscher era preso a modello da molti giornalisti del suo tempo e presiedeva importantissime associazioni di scrittori. Correva voce che si fosse fatta fare un'uniforme coi galloni d'oro, ma che l'indossasse soltanto qualche volta in casa sua. Però non poteva esser vero, perché Meseritscher serbava sempre ricordo della sua bettola di paese, e un buon oste non beve vino. Un buon oste sa anche i segreti di tutti i suoi avventori, ma non fa uso di tutto quello che sa; non s'immischia mai con le proprie opinioni in un discorso altrui, però racconta e tiene a mente fatti, aneddoti, motti di spirito. E così Meseritscher, che assisteva a tutte le feste come cronista autorizzato delle belle donne e degli uomini ragguardevoli, per conto suo non s'era mai sognato di andare da un bravo sarto; conosceva tutti i retroscena politici, ma di politica non scriveva neanche una riga; sapeva di tutte le invenzioni e scoperte del secolo, ma non ne capiva nessuna. Gli bastava sapere che tutto ciò era attuale e presente. Amava sinceramente il suo tempo, e questo lo ricambiava con un certo affetto, perché quotidianamente egli dava ragguaglio della sua esistenza.

Quando egli entrò, Diotima lo vide e lo chiamò a sé con un cenno.- Caro Meseritscher, - ella disse con l'accento più amabile, - non avrà mica pensato che il discorso di

Sua Signoria al Senato esprima le nostre convinzioni, e tanto meno che vada preso alla lettera?!Sua Signoria infatti, in connessione con la caduta del ministro e irritato dai propri crucci, non solo

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aveva tenuto ai senatori un discorso molto commentato in cui rinfacciava alla sua vittima di esser venuto al vero spirito costruttivo della collaborazione e del rigore, ma s'era anche lasciato trascinare dal suo zelo a considerazioni generali che un po' oscuramente culminavano in un giudizio sulla stampa, nel quale egli rimproverava a questa "istituzione promossa al rango di grande potenza" quasi tutto quello che un uomo di alto sentire, indipendente, obiettivo e cristiano può rimproverare a un istituto che secondo lui non ha nessuna di queste qualità. Era a questo che Diotima cercava diplomaticamente di metter riparo, e mentre ella trovava parole sempre più belle e meno comprensibili per spiegare la vera mentalità del conte Leinsdorf, Meseritscher l'ascoltava soprappensiero. Ma a un certo punto egli le pose una mano sul braccio e la interruppe, magnanimo:

- Per carità, signora, non è il caso che lei si agiti, - egli riassunse. - Sua Signoria è pur sempre il nostro buon amico. Ha un po' esagerato; ma perché no, se è un gran signore?! - E per confermare subito che i rapporti non avevano subito danno, soggiunse: - Ora vado da lui.

Ecco com'era Meseritscher! Ma prima di muoversi bisbigliò ancora confidenzialmente a Diotima:- E che cosa dobbiamo pensare di Feuermaul, signora? Diotima sorrise e alzò le belle spalle.- Proprio nulla di sconvolgente, caro consigliere. Non sia mai detto che noi respingiamo chi ci

dimostra la sua buona volontà."Buona volontà; questa è buona!" pensò Meseritscher facendosi strada verso il conte Leinsdorf; ma

prima di giungergli accanto, anzi prima di concludere il pensiero di cui lui stesso avrebbe voluto sapere la fine, fu arrestato amabilmente dal padrone di casa.

- Caro Meseritscher, le fonti ufficiali anche questa volta fanno difetto, - incominciò sorridendo il capodivisione Tuzzi, - e io mi rivolgo all'informazione ufficiosa; può dirmi qualcosa di questo Feuermaul che stasera è qui fra noi?

- Che cosa vuol che ne sappia, signor capodivisione? - sospirò Meseritscher.- Si dice che sia un genio!- Lieto di saperlo! - rispose Meseritscher.Se si vuole poter riferire presto e bene ogni novità, bisogna che il nuovo non sia troppo diverso dal

vecchio che è già noto. Nemmeno il genio fa eccezione, cioè il genio vero e riconosciuto, sulla cui importanza i contemporanei son tutti d'accordo. Le cose stanno diversamente per il genio che non tutti riconoscono per tale. Questo ha, per così dire, qualcosa di niente affatto geniale, ma in fondo non se ne può esser certi, e un errore è facile in ogni direzione. Per il consigliere Meseritscher dunque c'era un fondo stabile di genî che lui coltivava con amorosa cura, ma non amava le nuove acquisizioni. Via via che accumulava anni d'esperienza s'era abituato addirittura a riguardare i genî in ascesa, e soprattutto quelli letterari, che per professione gli stavano più vicini, come frivoli disturbi della sua attività giornalistica, e li odiava di cuore, finché non diventavano maturi per la rubrica delle notizie personali. Ma Feuermaul non era ancora a quel punto, tutt'altro, e bisognava portarcelo. E Meseritscher aveva molti dubbi in proposito.

- Dicono che sia un grande poeta, ripeté il capodivisione Tuzzi, incerto, e Meseritscher replicò fermamente:

- Chi lo dice? I critici di terza pagina. Che importanza ha, signor capodivisione? Dovrebbero essere i competenti, va bene. Ma alcuni dicono il contrario. E vi sono esempi di critici che oggi dicono bianco e domani nero. Contano poi veramente? Una vera gloria deve essere evidente anche ai profani, allora sì che ci si può fidare! Se mi permette di dirle quel che penso: di un uomo importante non si deve sapere quel che fa, ma soltanto i suoi arrivi e le sue partenze!

Si era malinconicamente animato, parlando, e guardava fisso il signor Tuzzi. Questi taceva scoraggiato.

- Che cosa accade qui, stasera, signor capodivisione? - domandò Meseritscher.Tuzzi scrollò le spalle, sorridendo distratto.- Niente. Niente di speciale. Un po' di vanagloria. Lei ha letto qualche libro di Feuermaul?

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- So quel che c'è dentro: pace, amicizia, bontà e così via.- Dunque non ne ha un gran concetto? - dedusse Tuzzi.- Oh Dio! - esclamò Meseritscher dimenandosi, - son forse un competente, io? - Ma in quel

momento la signora Drangsal veleggiò verso i due e Tuzzi dovette gentilmente andarle incontro di qualche passo; Meseritscher, vedendo uno spiraglio nel cerchio che si stringeva intorno al conte Leinsdorf, ne approfittò con subitanea risoluzione e senza lasciarsi trattenere gettò l'ancora accanto a Sua Signoria. Il conte conversava col ministro e con altri signori; ma appena il consigliere Meseritscher ebbe presentato a tutti i suoi ossequi, egli lo trasse in disparte.

- Meseritscher, - disse Sua Signoria energicamente, - mi prometta che non ci saranno malintesi; i signori giornalisti non sanno mai quel che devono scrivere. Dunque: dall'ultima volta non c'è assolutamente niente di mutato. Forse qualcosa muterà. Non lo sappiamo. Per adesso non bisogna disturbarci. Perciò, la prego, anche se è interrogato da qualcuno dei suoi colleghi, di dire che questa serata è semplicemente una faccenda privata della signora Tuzzi!

Le palpebre di Meseritscher s'abbassarono lente e compunte ad assicurare che aveva capito la superiore disposizione. E poiché una confidenza ne vale un'altra, le sue labbra s'inumidirono di un luccichio che sarebbe stato meglio negli occhi, ed egli chiese:

- E Feuermaul, signor conte, se è permesso sapere...?- Perché non dovrebb'esser permesso? - ribatté il conte stupito. - Non c'è niente di particolare. È

stato invitato perché se no la baronessa Wayden non dava pace. Che altro motivo? Lei sa qualcosa, forse?

Il consigliere Meseritscher finora non aveva dato molto peso alla questione Feuermaul, ritenendola una delle tante rivalità mondane che si vedono tutti i giorni. Ma il fatto che adesso il conte Leinsdorf ne negasse così risolutamente l'importanza gli fece cambiare parere e ormai era convinto che si preparava qualcosa di grosso. "Che mai staranno escogitando?" egli rimuginava tra sé, e mentre girellava a caso passò in rivista le più audaci possibilità di politica estera e interna. Ma dopo un po' concluse risoluto: "Non sarà niente!" e tornò a dedicarsi alla sua attività di cronista. Per quanto potesse sembrare in contraddizione col contenuto della sua vita, Meseritscher non credeva ai grandi avvenimenti, anzi non li amava affatto. Quando si è persuasi di vivere in un'epoca molto importante, molto bella e molto grande, non si gradisce l'idea che in essa possa accadere ancora qualcosa di particolarmente grande, importante e bello. Meseritscher non era alpinista, ma se lo fosse stato avrebbe detto che questo era giusto come il fatto che si costruiscono torri-belvedere a mezza montagna e non sulle alte cime. Non potendo fare simili paragoni si accontentò della sua insofferenza e della risoluzione di non nominare affatto Feuermaul nel suo pezzo di cronaca.

36.Sviluppo del grande avvenimento.

S'incontrano conoscenti

Ulrich, che era rimasto accanto alla cugina mentre ella parlava con Meseritscher, le chiese poi, un momento ch'erano soli:

- Son venuto troppo tardi, mi dispiace; com'è stato il primo incontro con la Calamità? Diotima sollevò le ciglia pesanti per un unico sguardo di universale stanchezza, poi le lasciò ricadere.

- Delizioso, s'intende, - ella disse. - È venuta lei per la prima a parlarmi. Questa sera prenderemo non so quali accordi. D'altronde è così indifferente!

- Lo vede! - esclamò Ulrich. Pareva la conclusione finale dei colloqui d'un tempo.Diotima volse il capo e guardò il cugino con aria interrogativa.

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- Gliel'ho detto prima. Tutto è già quasi passato e non mai stato, - disse Ulrich. Aveva bisogno di parlare; quand'era tornato a casa nel pomeriggio Agathe c'era, ma presto se n'era andata, avevano scambiato solo poche brevi parole prima di uscire insieme per venire dai Tuzzi. Agathe per vestirsi s'era fatta aiutare dalla moglie del giardiniere. - L'avevo avvertita di guardarsi! - disse Ulrich.

- Da che cosa? - chiese Diotima lentamente.- Ah, non lo so. Da tutto!Era la verità. Dalle sue idee, dalla sua ambizione, dall'Azione Parallela, dall'amore, dallo spirito,

dall'Anno Mondiale, dagli affari, dal suo salotto, dalle sue passioni; dalla sensibilità e dal pigro lassismo, dall'intemperanza e dalla correttezza, dall'adulterio e dal matrimonio; non c'era nulla da cui non l'avesse ammonita di guardarsi. "È fatta così!" egli pensò. Gli pareva ridicolo tutto ciò che ella faceva, ma era così bella che gli metteva malinconia. L'avevo messa in guardia, - ripeté Ulrich. - A quanto pare adesso lei non si occupa più che di sessuologia?

Diotima non gli badò.- Crede che abbia ingegno quel beniamino della Calamità? - domandò.- Certo, - rispose Ulrich. - Dotato, giovane, immaturo. Il successo e quella donna lo rovineranno.

Noi roviniamo già i bambini in fasce, dicendo loro che sono meravigliosamente istintivi e che lo sviluppo intellettuale non può che guastarli. Qualche volta quel ragazzo ha pensieri geniali, ma non può stare dieci minuti senza dire una sciocchezza - S'avvicinò all'orecchio di Diotima. - Lei conosce bene la signora?

Diotima scosse appena la testa.- È pericolosamente ambiziosa, - disse Ulrich. - Ma lei, dati i suoi nuovi studi, dovrebbe trovarla

interessante: là dove le belle donne una volta avevano una foglia di fico, questa qui ha una foglia di lauro! Un genere che io esecro!

Diotima non rise, e neppure sorrise; solo continuò a prestare orecchio al cugino.- Lui come uomo che impressione le fa?- Triste, - bisbigliò Diotima. - Come un agnellino prematuramente affetto da obesità.- Che importa? Nell'uomo la bellezza è una caratteristica sessuale secondaria, - opinò Ulrich. - Lo

stimolo principale emanante da lui è la promessa di un fortunato successo nella vita. Fra dieci anni Feuermaul avrà fama internazionale; vi provvederà la Calamità con le sue relazioni, e poi lo sposerà. Se la sua gloria dura, sarà un matrimonio felice. Diotima, dopo aver riflettuto, ammonì gravemente:

- La felicità nel matrimonio dipende da condizioni che non si possono giudicare senza un disciplinato studio compiuto su se stessi!

Poi lo lasciò lì, come una nave superba abbandona la banchina a cui era ormeggiata. I suoi doveri di padrona di casa la chiamavano altrove, ed ella gli fece un segno impercettibile senza guardarlo mentre levava l'ancora. Ma non era irritata; anzi la voce di Ulrich le era parsa un'antica melodia udita in gioventù. Si chiese persino a quali risultati sarebbe giunta facendolo oggetto di un'indagine erotologica. Chi sa perché non aveva ancora mai applicato a lui le sue accurate ricerche in tal campo?

Ulrich si guardò intorno e attraverso un varco fra gli invitati, una specie di canale ottico che forse già l'occhio di Diotima aveva seguito prima di lasciare bruscamente il suo posto, scorse due sale più in là Paul Arnheim a colloquio con Feuermaul, e la signora Drangsal che li sorvegliava amorosamente. Li aveva presentati lei l'uno all'altro. Arnheim teneva alzata la mano che reggeva un sigaro, sembrava un inconsapevole gesto di difesa, ma il suo sorriso era amabilissimo; Feuermaul parlava animatamente, anche lui teneva un sigaro fra due dita, e tra una frase e l'altra lo succhiava con l'avidità di un vitello che sfrega il muso alla mammella materna. Ulrich poteva immaginare i loro discorsi, ma non se ne prese la pena. Rimase in felice solitudine e cercò con gli occhi la sorella. La scoprì in un gruppo di uomini a lui più o meno sconosciuti, e un senso di gelo passò attraverso la sua distrazione. In quel momento Stumm von Bordwehr lo toccò leggermente fra le costole, e contemporaneamente si avvicinava dall'altra parte il consigliere aulico professor Schwung, ma fu trattenuto a qualche passo di distanza da un collega.

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- Finalmente ti trovo! - bisbigliò il generale sollevato. - Il ministro vorrebbe sapere che cosa sono le idee-guida.

- Come mai le idee-guida?- Non lo so. Su, dimmi cosa sono. Ulrich diede la definizione:- Eterne verità che non sono né vere né eterne, e hanno validità per un certo periodo, il quale le

elegge a propria norma. È un'espressione filosofica e sociologica di uso poco frequente.- Ah, benissimo, - approvò il generale. - Infatti Arnheim sosteneva che la teoria: "l'uomo è buono" è

soltanto un'idea-guida. Feuermaul ha replicato che non sapeva cosa fosse un'idea-guida, ma che l'uomo è buono, e questa è una verità eterna! Allora è intervenuto Leinsdorf: "Giustissimo. Uomini cattivi non ne esistono, perché nessuno può volere il male: sono soltanto sviati. La gente oggidì è nervosa perché in tempi come i nostri molti sono i dubbiosi che non credono saldamente in nulla" Ho pensato: quello avrebbe dovuto esser con noi nella visita al manicomio! Ma del resto anche lui intende dire che se la gente non vuol capire bisogna costringerla. E adesso il ministro vuol sapere che cosa sono queste idee-guida; corro a dirglielo e torno subito; resta qui, ch'io possa ritrovarti! Devo assolutamente parlarti di un'altra cosa e poi ti conduco dal ministro!

Prima che Ulrich potesse chiedere spiegazioni, Tuzzi passandogli accanto con le parole "non la si vedeva da un pezzo a casa nostra" lo prese sottobraccio e seguitò:

- Si ricorda la mia profezia che avremmo avuto da fare con una invasione di pacifismo?! - Intanto guardava amichevolmente negli occhi anche il generale, ma Stumm aveva fretta e rispose soltanto che lui come militare aveva naturalmente un altro concetto-guida, ma tuttavia ogni convinzione sincera... Il resto della frase si dileguò con lui perché Tuzzi lo irritava immancabilmente e questo non è favorevole all'elaborazione dei pensieri.

Il capodivisione ammiccò allegro alle spalle del generale, poi si rivolse di nuovo al cugino.- La storia del petrolio naturalmente è solo una lustra.Ulrich lo guardò meravigliato.- Lei non ne sa niente, per caso?- Ma sì, - rispose Ulrich. - Mi meravigliavo soltanto che lo sapesse lei - E per non essere scortese

soggiunse: - Ha saputo nasconderlo in modo meraviglioso!- Lo so da molto tempo, - dichiarò Tuzzi lusingato. - Quel Feuermaul l'ha fatto venire Leinsdorf per

desiderio di Arnheim. Lei ha letto i suoi libri?Ulrich disse di sì.- Un arcipacifista! - dichiarò Tuzzi. - E la Calamità, come la chiama mia moglie, lo protegge con

tanta ambizione che per il pacifismo passerebbe su mucchi di cadaveri, benché in fondo non il pacifismo ma solo gli artisti la interessino!

Tuzzi tacque per un po' soprappensiero, poi confidò a Ulrich: - Naturalmente il pacifismo è la cosa principale, i giacimenti di petrolio non sono che una manovra diversiva; apposta si manda innanzi Feuermaul col suo pacifismo, così la gente pensa: "Ah già, questo è lo schermo!" ed è convinta che dietro c'è la faccenda del petrolio! Bellissimo, ma troppo sottile per non mostrar la corda. Perché se Arnheim avrà gli idrocarburi e un contratto di fornitura col Ministero della Guerra, bisognerà bene che difendiamo le frontiere. Dovremmo istituire dei depositi di petrolio per la Marina anche sull'Adriatico, e l'Italia si inquieterà. Ma se irritiamo così i nostri vicini cresce naturalmente il bisogno di pace e la propaganda pacifista, e se allora lo zar salta fuori con un'idea qualsiasi di pace perpetua, troverà il terreno psicologicamente preparato. Ecco quello che vuole Arnheim!

- E lei ha qualcosa in contrario?- No certo, - disse Tuzzi. - Ma come lei forse ricorda le ho già spiegato una volta che non c'è nulla di

pericoloso come la pace ad ogni costo. Dobbiamo guardarci dal dilettantismo!- Ma le industrie di Arnheim sono industrie belliche, - osservò Ulrich sorridendo.- Si capisce, - ribatté Tuzzi un po' irritato. - Per l'amor di Dio, non ragioni su queste cose in modo

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così semplicistico! Lui ha i suoi contratti in tasca. E tutt'al più si armeranno anche le nazioni vicine. Vedrà: al momento decisivo egli si rivelerà pacifista. Il pacifismo è il terreno sicuro e durevole per l'industria degli armamenti; la guerra invece è un rischio!

- Io non credo che i militari abbiano cattive intenzioni, - riprese Ulrich, - vogliono soltanto con l'aiuto di Arnheim ottenere l'ammodernamento della loro artiglieria, null'altro. Del resto ai giorni nostri in tutto il mondo ci si arma soltanto per la pace; perciò i militari penseranno che è corretto farlo una volta con l'aiuto dei pacifisti!

- E come si figurano la realizzazione? - chiese Tuzzi senza raccogliere lo scherzo.- Non credo che siano ancora a tal punto; per adesso la loro posizione è soltanto sentimentale.- S'intende! - esclamò Tuzzi energicamente, come se fosse proprio quello che si aspettava. - I militari

non dovrebbero pensare che alla guerra e per tutto il resto rivolgersi agli organi competenti. Ma piuttosto che far così preferiscono mettere in pericolo il mondo intero con il loro dilettantismo. Le ripeto: nulla è così pericoloso in diplomazia come ciarlare a vanvera di pace! Ogni volta che il bisogno di pace cresce fino a un certo punto e non si può più contenere, ecco che ne risulta una guerra. Glielo posso dimostrare documenti alla mano!

In quel momento il consigliere aulico professor Schwung s'era liberato del collega e si rivolse con molta cordialità a Ulrich per farsi presentare al padrone di casa. Ulrich lo accontentò, e soggiunse che il giudizio del celebre penalista sul pacifismo, dal punto di vista giuridico, concordava perfettamente con quello dell'autorevole capodivisione dal punto di vista politico.

- Ma per l'amor del cielo, - protestò Tuzzi ridendo, - allora lei mi ha interamente frainteso! - E anche Schwung dopo aver atteso un momento, si associò rassicurato alla protesta, dichiarando che non si doveva assolutamente intendere come sanguinaria e inumana la sua teoria sulla parziale infermità di mente.

- Al contrario! - esclamò il vecchio attore tribunalesco, gonfiando enfaticamente la voce in luogo delle braccia. - La pacificazione umana esige appunto da noi una certa rigidezza! Posso lusingarmi che il signor capodivisione sia al corrente della campagna da me intrapresa in tal senso? - Si rivolgeva ora direttamente a Tuzzi, che pur non sapendo niente della polemica intorno alla diminuita capacità d'intendere e di volere di un criminale malato, approvava tuttavia premurosamente ogni parola. Schwung, molto contento dell'impressione prodotta, cominciò a elogiare la serietà di concetti a cui s'ispirava la riunione di quella sera, e raccontò che porgendo orecchio qua e là alle conversazioni aveva udito più volte ripetere le espressioni "severità virile" e "sanità morale"

- La nostra cultura è troppo inquinata da gente inferiore e moralmente inetta, - egli soggiunse, poi chiese: - Ma qual è in sostanza lo scopo di questa serata? Passando da un gruppo all'altro mi son giunte all'orecchio con sorprendente frequenza teorie sull'innata bontà dell'uomo echeggianti addirittura Rousseau!

A tale domanda Tuzzi oppose un sorridente silenzio, ma proprio allora il generale ricomparve in cerca di Ulrich, e Ulrich che desiderava sfuggirgli lo presentò a Schwung definendolo come il più adatto fra tutti i presenti a dargli risposta. Stumm von Bordwehr protestò vivacemente, ma Schwung e Tuzzi non lo mollarono; e Ulrich giubilante stava già per iniziare la ritirata quando una vecchia conoscenza lo arrestò con le parole:

- Anche mia moglie e mia figlia son qui - Era Leo Fischel, il direttore di banca.- Hans Sepp ha fatto l'esame di stato, - egli annunciò. - Che ne dice? Ora non gli manca più che un

esame per la laurea. Siamo tutti laggiù, - e indicò la stanza più remota. Conosciamo pochissima gente qua dentro. A proposito, è molto tempo che non viene da noi! Suo padre, vero?

Hans Sepp ci ha procurato l'invito per questa sera, mia moglie lo voleva a tutti i costi: in queste cose il ragazzo se la sa sbrigare. Adesso son mezzo fidanzati, Gerda e lui. Non lo sapeva? Ma quella figliola, vede, io non capisco bene se lo ami o se se lo sia soltanto cacciato in testa. Suvvia, venga a far due chiacchiere con noi...!

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- Vengo più tardi, - promise Ulrich.- Sì, mi raccomando, - ripeté Fischel e tacque. Poi bisbigliò: Quello è il padrone di casa? Mi vuol

presentare? Non ne abbiamo ancora avuto occasione. Non conosciamo né lui né lei.Ma mentre Ulrich vi si accingeva, Fischel lo trattenne.- E il grande filosofo? Che cosa fa? - domandò. - Mia moglie e Gerda vanno pazze per lui,

naturalmente. Ma com'è la faccenda del petrolio? Ora dicono che era tutta una storia: io non lo credo. Le smentite non voglion dir niente. Sa com'è: quando mia moglie s'arrabbia con la cameriera, si mette a dire che è bugiarda, che è scostumata, che è impertinente... insomma tutte imperfezioni dell'anima. Ma se io di nascosto prometto alla ragazza un aumento di salario, per stare in pace, ecco che l'anima di colpo scompare. Non se ne parla più, tutto va a posto, e mia moglie non sa perché. È così, non è vero? I giacimenti petroliferi hanno troppa probabilità commerciale perché si possa credere alle smentite.

E poiché Ulrich taceva, Fischel volendo tornare da sua moglie con l'aureola di chi sa tutto, ricominciò a far domande.

- Non c'è che dire, è proprio una bella serata. Ma mia moglie vorrebbe sapere perché fanno discorsi così strani. E chi è quel Feuermaul? Gerda dice che è un grande poeta; Hans Sepp dice che è semplicemente un arrivista, e che la gente vi ha abboccato...!

Ulrich opinò che la verità era probabilmente a mezza strada.- Sante parole! - approvò Fischel! La verità tien sempre il mezzo, e tutti se lo dimenticano, oggi non

vi son più che estremisti! Lo dico sempre a Hans Sepp: opinioni ciascuno ne può avere, ma durevoli sono soltanto quelle con cui si guadagna qualcosa perché ciò dimostra che sono accettate anche da altri! - Qualcosa d'importante era impercettibilmente mutato in Leo Fischel, ma Ulrich trascurò di approfondire e s'affrettò soltanto a passare il padre di Gerda al gruppo del capodivisione Tuzzi.

In quel gruppo, nel frattempo Stumm von Bordwehr non essendo riuscito a impossessarsi di Ulrich aveva trovato un altro sfogo al suo prepotente bisogno di esprimersi ed era diventato facondo.

- Il significato di questa riunione? - egli esclamò ripetendo la domanda del consigliere Schwung. Secondo il suo senso ben ponderato io direi: nessuno! Non è uno scherzo, signori, - egli spiegò non senza modesto orgoglio. - Proprio oggi ho dovuto mostrare la clinica psichiatrica della nostra università a una giovane signora, e chiacchierando le chiesi che cosa si proponeva con quella visita, per poterle dare spiegazioni più pertinenti. Mi diede una risposta molto acuta, che induce alla riflessione. Disse: "Se occorre spiegare tutto, l'uomo non muterà mai nulla alle cose del mondo!"

Schwung dissentì da quell'affermazione con un crollar del capo.- In che senso l'intendesse, io non lo so, - si difese Stumm, - e non voglio far mia quella frase, ma si

sente subito che c'è qualcosa di vero! Vede, io per esempio son debitore di molti insegnamenti al mio amico, che è consigliere di Sua Signoria e quindi dell'Azione, - e indicò cortesemente Ulrich, - ma ciò che va formandosi stasera è una certa avversione per gl'insegnamenti. E così si ritorna a quello che sostenevo prima!

- Ma lei ha intenzione, - osservò Tuzzi, - voglio dire, corre voce che i signori del Ministero della Guerra vogliano provocare una iniziativa patriottica: una pubblica sottoscrizione, o qualcosa di simile, per il riarmo dell'artiglieria. Naturalmente la cosa dovrebbe avere soltanto un valore dimostrativo, per poter premere sul Parlamento mediante la volontà pubblica.

- Così appunto mi piacerebbe interpretare certe frasi udite stasera! - approvò il consigliere Schwung.- La faccenda è molto più complicata, signor capodivisione! disse il generale.- E il dottor Arnheim? - chiese Tuzzi senza perifrasi. - Per parlar schietto: è sicuro lei che anche

Arnheim miri soltanto ai giacimenti petroliferi della Galizia, questione abbinata, per così dire, con quella dell'artiglieria?

- Posso soltanto parlare di me e della parte che mi riguarda, signor capodivisione, - dichiarò Stumm ancora una volta, - e allora la situazione è molto più complicata!

- S'intende! - ribatté Tuzzi sorridendo.

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- Naturalmente abbiamo bisogno di cannoni, - disse il generale accalorandosi, - e forse sarà consigliabile collaborare con Arnheim nel modo da lei accennato. Ma ripeto che io posso parlare soltanto come referendario culturale, e quindi le chiedo: a che servono i cannoni senza lo spirito?

- E allora perché si son dati tanto da fare per l'acquisto di Feuermaul? chiese Tuzzi sarcastico. - È il disfattismo incarnato!

- Mi permetta di contraddirla, disse risolutamente il generale. - Io direi invece che è lo spirito del nostro tempo. Esso si divide in due correnti. Sua Signoria ad esempio sta conversando nell'altra sala col ministro, io vengo di là - Sua Signoria dice che la parola d'ordine è "azione" perché tale è l'esigenza dei tempi. E infatti, la gente è oggi molto meno attratta dai grandi ideali dell'umanità che non, diciamo, cent'anni or sono. Ma d'altro lato anche le dottrine umanitarie hanno un certo fascino; Sua Signoria però dice: se qualcuno non vuole esser felice, in certe circostanze bisogna costringervelo! Sua Signoria dunque è per questa corrente, ma non si sottrae neppure all'altra!

- Non ho capito, - obiettò il professor Schwung.- Infatti non è molto facile, - ammise Stumm con premura. - Proviamo allora a prender le mosse dal

fatto che io noto esservi due correnti nello spirito dei tempi. Secondo l'una, l'uomo è buono per sua natura, purché, diciamo così, lo si lasci in pace...

- Buono? - interruppe Schwung.- Come? Chi può ragionare oggi in modo così ingenuo? Non viviamo mica più nel mondo spirituale

dell'Ottocento!- Qui non sono affatto d'accordo, -protestò il generale, offeso. - Pensi ai pacifisti, ai crudisti, ai

nemici della violenza, ai naturisti, agli antiintellettualisti, agli obiettori di coscienza... nella fretta ne dimentico chi sa quanti... bene, tutti costoro che, per così dire, ripongono la loro fiducia nell'uomo, formano una corrente larghissima. Ma se vuole, soggiunse con quello spirito conciliante che era così amabile in lui, - possiamo anche incominciare dall'opposto. Partiamo dunque dal fatto che l'uomo dev'essere assoggettato, perché spontaneamente e volontariamente non fa mai quello che è giusto: in questo è probabile che siamo tutti della stessa opinione. La massa ha bisogno di una mano forte, ha bisogno di capi che la trattino con energia e non con sole chiacchiere, in una parola ha bisogno di sentire al di sopra di sé lo spirito dell'azione; la società umana infatti è costituita soltanto da un piccolo numero di volontari, che posseggono la necessaria preparazione, e da milioni di gente senza ambizioni superiori, coercitivamente asservita: non è così, all'incirca? E poiché questo convincimento, in base alle esperienze acquisite, s'è fatto strada a poco a poco anche nel nostro movimento, ecco che la prima corrente (perché quella che ho descritto era già la seconda corrente dello spirito dei tempi), la prima corrente dunque ha avuto paura che la grande idea dell'amore e della fede nell'uomo potesse andare perduta, e sono intervenute forze che hanno immesso Feuermaul nella nostra Azione, per tentare ancora, all'ultimo momento, di salvare il salvabile. Così tutto appare molto più facile che in principio, non è vero?

- E che cosa accadrà? - chiese Tuzzi.- Nulla, credo, - rispose Stumm.- Abbiamo già avuto molte correnti in seno all'Azione. - Ma fra queste due v'è una contraddizione

inconciliabile, - esclamò il professor Schwung che, come giurista, non poteva accettare una simile mancanza di chiarezza.

- A guardar bene, no, - lo contraddisse Stumm. - Anche l'altra corrente, ed è naturale, si proclama umanitaria; ma sostiene che prima di amare l'uomo bisogna trasformarlo con la forza: in fondo è soltanto una differenza di tecnica.

Qui il direttore Fischel prese la parola:- Essendo venuto dopo, non ho seguito purtroppo tutto il ragionamento; ma se me lo permettono

vorrei osservare che il rispetto per l'uomo deve stare, come principio, più in alto del suo opposto! Questa sera ho udito da molti, e speriamo si tratti di eccezioni, esprimere giudizi incredibili sulla gente

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di altre idee e specialmente sulla gente di altra razza! - con i suoi scopettoni divisi dal mento rasato e lo stringinaso di traverso, sembrava un lord inglese proclamante i grandi ideali della libertà dell'uomo e del commercio; e tacque che le opinioni biasimate le aveva udite da Hans Sepp, suo futuro genero, il quale nella "seconda corrente dello spirito dei tempi" si trovava proprio nel suo elemento.

- Giudizi crudi? - chiese il generale pronto a fornire spiegazioni.- Estremamente crudi, - confermò Fischel.- Forse si parlava di dar loro un indirizzo, una formazione, - suggerì Stumm.- No, no! - esclamò Fischel. - Erano teorie offensive, addirittura rivoluzionarie! Lei forse non

conosce la nostra gioventù aizzata, generale! Mi stupisce di veder qui certa gente; non si dovrebbe nemmeno lasciarla entrare.

- Teorie rivoluzionarie? - ripeté Stumm, indignato, col sorriso più freddo che il suo viso tondo gli permetteva. - Mi spiace dirle, caro direttore, che io non sono affatto contrario alle idee rivoluzionarie! Purché, s'intende, la rivoluzione non si faccia davvero. Sovente sono piene di idealismo. E quanto alle persone ammesse stasera, le farò osservare che l'Azione dovendo comprendere tutta la Patria, non ha diritto di respingere forze fresche e costruttive, in qualunque modo esse si esprimano!

Leo Fischel rimase muto. Al professor Schwung interessava ben poco l'opinione di un dignitario che non apparteneva all'amministrazione civile. Tuzzi fantasticava: "Prima corrente... seconda corrente..." Ricordava vagamente altre due espressioni simili: "primo ristagno... secondo ristagno" ma non le parole precise né la conversazione con Ulrich in cui erano state dette. Si svegliò tuttavia in lui un'incomprensibile gelosia per la moglie, gelosia connessa da invisibili, inestricabili legami con quel generale così poco pericoloso. Quando il silenzio lo richiamò in sé, volle dimostrare al rappresentante dell'esercito che non si sarebbe lasciato fuorviare da discorsi altisonanti.

- Riassumendo, generale, incominciò, - le intenzioni del partito militare sarebbero...- Ma signor capodivisione, non esiste nessun partito militare! - lo interruppe subito Stumm. - Ci

sentiamo sempre ripetere: il partito militare, mentre si sa che l'esercito è per sua natura al di sopra d'ogni partito!

- Be, allora diciamo l'ambiente militare, - replicò Tuzzi abbastanza brusco. - Lei ha detto che non basta dare cannoni all'esercito, bisogna anche suscitare lo spirito adatto. Da quale spirito vorrebbe far caricare le sue artiglierie?

- Lei va troppo lontano, signor capodivisione! - protestò Stumm. Dovevo spiegare al signore il significato di questa serata, e ho detto che in fondo non c'è niente da spiegare: è l'unica affermazione che mantengo! Infatti se lo spirito dei tempi ha veramente le sue correnti di cui ho parlato, né l'una né l'altra sono propense alle "spiegazioni" Oggi si è per le forze dell'istinto e del sangue, e così via: certo io non condivido tali idee, però qualcosa di vero c'è!

A quelle parole il direttore Fischel bollì di nuovo e dichiarò immorale che l'esercito in certe situazioni accettasse di uniformarsi anche all'antisemitismo pur di ottenere le sue artiglierie.

- Via, signor direttore! - lo rabbonì Stumm. - Prima di tutto che cosa conta quel pizzico di antisemitismo, quando la gente è sempre "anti", i tedeschi contro i cechi e i magiari, i cechi contro i magiari e i tedeschi, e così via, ciascuno contro tutti. E poi proprio il corpo degli ufficiali austriaci è sempre stato internazionale, basta guardare quanti nomi italiani, francesi, scozzesi e che so io... Abbiamo persino un generale di fanteria von Cohen, che comanda il corpo d'armata di Olmütz!

- Tuttavia temo che lei pretenda troppo, - intervenne Tuzzi, interrompendo l'interruzione. - Le forze armate sono internazionali e agguerrite, ma vorrebbero concludere un affare con le correnti nazionaliste e con quelle pacifiste: è quasi più di quel che potrebbe ottenere un diplomatico di carriera! Fare della politica militarista col pacifismo è il problema che assorbe oggi i più astuti diplomatici europei.

- Ma non siamo certo noi che facciamo della politica! - tornò a difendersi Stumm, in tono di stanca protesta contro tanta incomprensione. - Sua Signoria voleva offrire alla proprietà e alla cultura un'ultima occasione di unificare il proprio spirito: fu appunto il motivo di questa serata. Naturalmente se lo

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spirito della borghesia non dà prova di concordia, verremo a trovarci in una posizione...- In quale posizione? È proprio quello che interesserebbe sapere! - esclamò Tuzzi precipitosamente,

attizzando la parola che stava per venire.- Una posizione difficile, - opinò Stumm prudente e modesto.Mentre i quattro signori così conversavano, Ulrich se l'era svignata discretamente e cercava Gerda,

dopo aver girato al largo dal gruppo di Sua Signoria e del ministro della Guerra per non essere chiamato a farne parte.

Da lontano la scorse seduta con le spalle al muro, accanto alla madre che guardava impettita il salone, e Hans Sepp le stava vicino dall'altro lato, irrequieto e sdegnoso. Dopo quell'ultimo disgraziato incontro con Ulrich era ancora dimagrita, e quanto più egli le si avvicinava, tanto più la sua testa, sempre più spoglia di ogni leggiadria, ma appunto perciò tanto più pericolosamente affascinante, si stagliava con le spalle esili sullo sfondo della stanza. Alla vista di Ulrich ella avvampò di un improvviso rossore, poi si sbiancò tutta ed ebbe un movimento involontario del torso, come chi ha male al cuore e per qualche ragione non può portarvi le mani. Gli balenò alla mente la scena in cui egli, bestialmente travolto dal desiderio che suscitava in lei, aveva abusato della sua volontà: ora quel corpo, per lui visibile sotto il vestito, sedeva su una seggiola, riceveva dalla volontà offesa l'ordine di comportarsi con dignità, e fremeva da capo a piedi. Gerda non gli serbava rancore (di questo Ulrich era certo), ma voleva ad ogni costo "farla finita" con lui. Egli rallentò il passo per assaporare più a lungo tutto ciò, e quel voluttuoso indugio ben si conveniva al rapporto fra i due, che mai avevano potuto veramente accostarsi.

E quando Ulrich le fu vicino e non vedeva più altro che il tremito di quel volto aspettante, cadde su di lui qualcosa che non aveva peso, come un'ombra o una striscia di sole, ed egli s'accorse di Bonadea che gli passava accanto muta ma non senza intenzione, e lo salutava. Il mondo è bello se lo si prende com'è: per un attimo l'elementare contrasto fra esiguità e floridezza, com'era espresso nelle due donne, gli parve grande come quello fra il prato e la roccia, ed ebbe l'impressione di emergere dall'Azione Parallela, se pur con un sorriso colpevole. Quando Gerda vide scendere lentamente su di sé quel sorriso, le sue ciglia tremarono.

In quel momento Diotima vide che Arnheim conduceva il giovane Feuermaul verso il gruppo di Sua Signoria e del ministro della Guerra, e da manovratrice esperta tagliò tutti i collegamenti facendo irrompere nelle sale la servitù con i rinfreschi.

37.Un confronto

Di conversazioni come quelle descritte ve n'erano a dozzine, e tutte avevano in comune qualcosa che è difficile spiegare, ma che d'altronde non si può tacere, a meno di presentare, come il consigliere Meseritscher nelle sue cronache mondane, un puro e semplice elenco: c'erano il tale e la tale, vestivano così e così, dicevano questo e quello; nel che, d'altronde, molti ravvisano la pura essenza dell'arte narrativa. Friedel Feuermaul dunque non era un volgare adulatore, no di certo, però ebbe l'ispirazione opportuna nel momento adatto, quando disse di Meseritscher:

- In fondo egli è l'Omero dei nostri giorni! In verità, - aggiunse poiché Meseritscher abbozzava un gesto evasivo, quell'epico immutabile "e" col quale ella accosta uno all'altro avvenimenti e persone, è veramente a parer mio qualcosa di grande! - Era riuscito ad agguantare il capo dell'Agenzia Parlamentare e Mondana, giacché questi non voleva andar via senza aver presentato i suoi omaggi ad Arnheim; ma tuttavia Meseritscher non gli fece l'onore di una speciale menzione.

Basterà ricordare, senza giungere alla distinzione più sottile fra idioti e cretini, che un idiota di un

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certo grado non giunge più a formarsi il concetto di "genitori", mentre quello di "papà e mamma" gli è familiare. La semplice modesta congiunzione "e" era appunto quella con cui Meseritscher collegava cose e persone della società. Ricorderemo inoltre che gli idioti nella elementare oggettività del loro pensiero possiedono qualcosa che secondo l'esperienza di tutti gli osservatori tocca misteriosamente il cuore; e che anche i poeti fanno appello specialmente al sentimento, inquantoché sogliono distinguersi per una mentalità il più concreta possibile. Se dunque Friedel Feuermaul proclamava Meseritscher poeta, avrebbe potuto ugualmente - cioè per le stesse sensazioni che gli fluttuavano oscuramente dinanzi, il che per lui equivaleva a una improvvisa illuminazione avrebbe potuto ugualmente proclamarlo idiota, e in modo significativo anche per l'umanità: giacché l'universale, di cui si tratta, è una disposizione d'animo che non è retta da grandiosi concetti, né purificata da astrazioni e distacchi; la sua composizione è semplicissima, come s'esprime nel restringimento alla più elementare delle congiunzioni, quel misero "e" elencativo che sostituisce nel debole di spirito più complicati rapporti; e si può affermare che anche il mondo, nonostante tutta l'intelligenza che contiene, si trova in questo stato affine all'imbecillità, cosa che non deve perder d'occhio chi voglia spiegare dall'insieme tutti gli avvenimenti che vi si svolgono.

Ciò non significa che i promotori e partecipi di questa considerazione siano i soli intelligenti. Qui non si tratta del singolo, né delle mire che persegue, e che tutti coloro che erano intervenuti al ricevimento di Diotima perseguivano con maggiore o minore avvedutezza. Se infatti, ad esempio, il generale von Stumm dopo l'interruzione s'ingolfò subito in un dialogo con Sua Signoria, durante il quale lo contraddisse con cortese tenacia e rispettosa schiettezza dicendo: - Mi perdoni, conte, se dissento recisamente da lei; ma nell'orgoglio di razza non c'è soltanto ambizione, c'è anche qualcosa di simpaticamente nobile! - sapeva assai bene cosa intendeva con quelle parole, però non sapeva bene che cosa volessero dire, perché in tali discorsi civili c'è sempre un di più, come voler prendere un cerino dalla scatola calzando guanti spessi. E Leo Fischel, che non aveva mollato Stumm quando s'era accorto che il generale tendeva impaziente verso Sua Signoria, aggiunse:

- Bisogna giudicare le persone non secondo la razza, ma secondo il merito! - E anche la replica di Sua Signoria fu coerente:

- Che se ne fanno i borghesi della razza? Hanno sempre considerato albagia che i ciambellani abbiano sedici antenati nobili, e adesso che cosa fanno anche loro? Li scimmiottano ed esagerano ancora. Più di sedici antenati è semplicemente snobismo! Sua Signoria aveva i nervi, ed era logico che parlasse così. Nessuno contesta che l'uomo sia dotato di ragione, si tratta soltanto di come se ne serve nella vita associata.

Sua Signoria era irritata per l'intrusione di elementi razzisti nell'Azione, che lui stesso aveva favorito. Varie considerazioni politiche e sociali ve l'avevano costretto; lui personalmente riconosceva soltanto la comunità statale. I politici suoi amici lo avevano consigliato: - Niente di male se stai a sentire i loro discorsi sulla razza e l'integrità e il sangue; le parole volano, chi le prende sul serio? - Ma costoro parlano dell'uomo come se fosse una bestia! - aveva protestato il conte Leinsdorf il quale pur essendo gran proprietario di terre aveva della dignità umana un concetto cattolico, che gli impediva di ammettere che si potessero applicare ai figli di Dio gli ideali degli allevamenti di polli e di cavalli. I suoi amici avevano ribattuto: - Non occorre guardar tanto lontano! E poi non è meglio così, forse, che se cianciassero di dottrine umanitarie e di simili idee rivoluzionarie importate dall'estero, come hanno sempre fatto finora? - Da ciò il conte era rimasto persuaso. Ma era anche irritato perché quel Feuermaul, da lui fatto invitare al ricevimento di Diotima, l'aveva deluso portando solo nuova confusione nell'Azione Parallela. La baronessa Wayden ne aveva detto mirabilia, ed egli s'era arreso alle sue insistenze.

- Ella dice benissimo, aveva convenuto Sua Signoria, - che così come si son messe le cose, corriamo il rischio di esser qualificati germanofili. Ed è vero che non sarebbe male invitare anche un poeta, che predica l'amore fra tutte le creature umane. Ma, vede, non posso far questo alla Tuzzi!

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La Wayden però non aveva ceduto e doveva aver trovato altre ragioni convincenti perché infine il conte Leinsdorf aveva promesso di chiedere l'invito a Diotima.

- Non lo faccio volentieri, aveva detto, - ma una mano forte ha bisogno di una bella parola per farsi intendere dalla gente; in questo le do ragione. E convengo anche con lei, che negli ultimi tempi s'è camminato poco, non c'è più lo slancio di una volta!

Adesso però non era contento. Sua Signoria non giudicava stupidi gli altri, anche se si riteneva più intelligente di loro, e non capiva perché quelle persone intelligenti tutte insieme facessero su di lui una così cattiva impressione. Anzi, tutta la vita gli appariva come se accanto a uno stato di intelligenza nel singolo nonché negli affari pubblici, tra i quali egli com'è noto annoverava la religione e la scienza, esistesse anche uno stato di assoluta irresponsabilità. Sorgevano di continuo idee ancora ignote, accendevano le passioni e l'anno dopo erano scomparse; la gente inseguiva ora l'una ora l'altra e cadeva da una superstizione in un'altra superstizione; ora si acclamava Sua Maestà, ora si tenevano in Parlamento orribili discorsi rivoluzionari; ma da tutto questo non era mai uscito fuori un bel nulla! Se si fosse potuto rimpicciolirlo milioni di volte e ridurlo per così dire alla misura di una testa sola, si sarebbe ottenuta l'esatta immagine dell'irresponsabilità, della smemoratezza, dell'ignoranza e dello stolto saltellio di un pazzo, come se lo figurava il conte Leinsdorf benché finora avesse avuto poche occasioni di pensarci su. Svogliato stava in mezzo agli altri signori, ricordando che proprio l'Azione Parallela avrebbe dovuto rivelare il vero, e non riusciva a esprimere un certo pensiero sulla fede, di cui sentiva soltanto il gradevole effetto lenitivo come l'ombra di un'alta muraglia, e forse era un muro di chiesa.

- Strano! - disse dopo un poco a Ulrich rinunziando a quel pensiero. - Tutto ciò, se guardato con un certo distacco, fa pensare agli storni che d'autunno popolano gli alberi da frutto.

Ulrich aveva lasciato Gerda. La conversazione non aveva mantenuto quel che prometteva l'inizio; dalla bocca di Gerda non erano più uscite che poche risposte brevi, faticose, sminuzzate da qualcosa che le stava nel petto come un cuneo; tanto più, invece, aveva chiacchierato Hans Sepp, atteggiandosi a suo guardiano, e non dimostrandosi per nulla intimidito da quella società tarata.

- Conosce Bremshuber, il grande etnologo? - aveva chiesto a Ulrich.- Dove vive? - aveva domandato Ulrich.- A Schärding sulla Laa, - aveva risposto Hans.- Qual è la sua professione?- Che importa? Adesso vengono su uomini nuovi. Fa il farmacista.Ulrich aveva detto a Gerda:- Ho sentito che ora siete fidanzati ufficialmente. - E Gerda aveva risposto:- Bremshuber propugna la eliminazione inesorabile di tutto ciò che è estraneo alla razza: è certo

meno crudele che la tutela e il disprezzo! - Le sue labbra tremarono di nuovo mentre pronunciava con sforzo quelle parole spezzate.

Ulrich s'era accontentato di guardarla scuotendo il capo.- Queste cose non le capisco! - aveva detto, e strettale la mano se n'era andato; e ora stava accanto a

Leinsdorf e si sentiva innocente come una stella nello spazio infinito.- Se invece non si considera con distacco, - continuò il conte Leinsdorf svolgendo adagio il suo

nuovo pensiero, - allora gira nel cervello come un cane che tenta di addentarsi la coda. Vede, - soggiunse poi, - io ho dato retta agli amici, e alla baronessa Wayden; i nostri discorsi a sentirli fanno un certo effetto eppure proprio in questi elevati rapporti spirituali che vorremmo instaurare tutto appare estremamente arbitrario e confuso!

Intorno al ministro della Guerra e a Feuermaul, presentatogli da Arnheim, s'era formato un gruppo, e Feuermaul perorava calorosamente, amando tutta l'umanità; mentre intorno ad Arnheim che si era scostato alquanto, un altro gruppo s'era raccolto, in cui Ulrich scorse poi anche Gerda e Hans Sepp. Si udì Feuermaul esclamare:

- La vita non s'intende con lo studio ma con la volontà: bisogna aver fede nella vita!

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La signora Drangsal gli stava accanto e approvava:- Anche Goethe non aveva laurea!Ella vedeva una gran somiglianza tra Feuermaul e il poeta. Il ministro della Guerra tutto impettito

sorrideva senza interruzione, così come durante una rivista teneva continuamente la mano alla visiera.Il conte Leinsdorf chiese:- Mi dica, chi è insomma questo Feuermaul?- Suo padre ha parecchie fabbriche in Ungheria, - rispose Ulrich. - Fra le quali una dove si lavora col

fosforo, e dove nessun operaio arriva ai quarant'anni. La malattia professionale è la necrosi delle ossa.- Va bene, ma il figlio? - La sorte dei lavoratori a Leinsdorf era indifferente.- Ha dovuto fare l'università; s'è laureato in legge, credo. Il padre s'è fatto da sé ed era irritatissimo

che il figlio non avesse voglia di studiare.- Perché non aveva voglia di studiare? - s'informò il conte Leinsdorf che quel giorno era molto

preciso.- Oh Dio, - fece Ulrich alzando le spalle, - probabilmente la solita storia: padri e figli. Se il padre è

povero, i figli amano il denaro; se il padre è ricco, i figli amano l'umanità. Non ha mai sentito parlare del "problema del figlio" ai giorni nostri, conte?

- Sì, vagamente. Ma perché Arnheim protegge Feuermaul? C'entrano i giacimenti di petrolio? - chiese Leinsdorf.

- Vostra Signoria lo sa?! - esclamò Ulrich.- Naturalmente, io so tutto, - ribatté il conte Leinsdorf paziente. - Ma ecco quel che non capisco: s'è

sempre saputo che gli uomini devono amarsi l'un l'altro e che perciò lo Stato deve avere una mano forte; perché a un tratto questo deve diventare un aut-aut?

Ulrich rispose:- Lei ha sempre auspicato una manifestazione sorgente dalla collettività: questo è l'aspetto che deve

avere!- Ah, non è vero...! - protestò il conte Leinsdorf animato, ma prima che potesse continuare fu

interrotto da Stumm von Bordwehr che veniva in gran fretta dal gruppo di Arnheim e voleva sapere qualcosa da Ulrich.

- Conte, mi perdoni il disturbo, - egli pregò. Poi si rivolse a Ulrich: - Dimmi, si può davvero sostenere che l'uomo obbedisce solo ai suoi affetti e mai alla ragione?

Ulrich lo guardò vacuamente.- C'è là un marxista, - spiegò Stumm, - il quale afferma che la sottostruttura economica d'un

individuo determina interamente la sua sovrastruttura ideologica. E uno psicanalista lo contraddice: sostiene invece che la sovrastruttura ideologica è il prodotto della sottostruttura istintiva.

- Non è tanto semplice, - sentenziò Ulrich desideroso di svignarsela.- Lo dico anch'io! Ma non serve a niente! - esclamò il generale senza mollarlo. Il conte Leinsdorf

riprese la parola.- Appunto, - disse a Ulrich, - anch'io volevo mettere in discussione qualcosa di simile. Per me, che la

sottostruttura sia economica oppure sessuale... be, ecco quel che stavo per dire prima: mi spiega perché, in quanto a sovrastrutture, c'è sempre così poco da fidarsi? Si suol dire che il mondo è pazzo; talvolta vien fatto di credere che sia proprio vero!

- Questa è psicologia di massa, caro conte! - intervenne il dotto generale. - Finché si tratta della massa, capisco tutto benissimo. La massa è spinta soltanto da certi istinti, e precisamente da quelli che sono comuni alla maggior parte degli individui; questo è logico! Cioè, è illogico giacché la massa è illogica, delle idee logiche si serve solo come ornamento. Si lascia veramente guidare soltanto dalla suggestione. Se io potessi disporre della stampa, della radio, dell'industria cinematografica, e magari di altri due o tre mezzi di cultura, m'impegnerei - come m'ha detto una volta il mio amico Ulrich a trasformare in un paio d'anni gli uomini in cannibali. Appunto perciò l'umanità ha bisogno di essere

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retta col pugno di ferro. Il conte del resto lo sa meglio di me. Ma che anche l'uomo singolo, talvolta tanto al di sopra degli altri, debba essere illogico, questo non posso crederlo, sebbene Arnheim lo dia per certo.

Che aiuto avrebbe potuto dare Ulrich a Stumm in quella assai fortuita controversia? Come s'impiglia talvolta in un amo invece d'un pesce un mannello d'erba così al problema del generale s'attaccava un confuso groviglio di teorie. L'uomo obbedisce soltanto ai suoi affetti? fa, sente, e perfino pensa soltanto ciò a cui l'inconscia corrente del desiderio o la più mite brezza del piacere lo spinge - come si ritiene oggigiorno? O non obbedisce piuttosto alla ragione e alla volontà - come oggigiorno parimenti si ritiene? E obbedisce specialmente a certi affetti particolari, per esempio all'impulso sessuale - come oggi molti affermano o non invece innanzitutto all'effetto psicologico di circostanze economiche - come affermano molti altri? Un quadro così complesso lo si può considerare da molti lati e scegliere come punto focale ora questo ora quello; ne risultano verità parziali, dalla cui reciproca compenetrazione emerge pian piano la Verità: ma emerge davvero? Non è mai senza gravi conseguenze accettare per la sola valida una verità parziale. D'altra parte non si giungerebbe a questa verità parziale se non la si fosse sopravvalutata. Così la storia della verità e quella del sentimento sono variamente intrecciate, ma quella del sentimento rimane tuttavia al buio. Anzi, secondo la convinzione di Ulrich non era una storia, ma un caos. Buffo, ad esempio, che nel medioevo le convinzioni religiose, e quindi anche passionali, riguardo all'uomo tenessero per certa la sua ragione e la sua volontà, mentre oggi molti sapientoni, che tutt'al più hanno la passione del fumo, considerano il sentimento come base di tutto ciò che è umano. Tali pensieri passavano per la mente di Ulrich, e naturalmente gli toglievano la voglia di rispondere ai discorsi di Stumm che d'altra parte non attendeva risposta ma voleva soltanto calmarsi un poco prima di procedere oltre.

- Conte Leinsdorf! - disse Ulrich dolcemente. - Ricorda che un giorno le consigliai di istituire un segretariato generale per tutti i problemi che richiedono una ugual dose di anima e precisione?

- Certo, me ne ricordo, - rispose Leinsdorf. - L'ho anche raccontato a Sua Eminenza che ne ha riso di cuore. Però ha soggiunto che lei arriva in ritardo.

- Eppure è proprio quello di cui lei poco fa sentiva la mancanza! - riprese Ulrich. - Lei nota che il mondo non ricorda oggi quello che voleva ieri, che le sue disposizioni d'animo cambiano senza un motivo convincente, che è in perpetua agitazione, che non giunge mai a un risultato; e che se ci si figurasse raccolto in un solo cervello ciò che accade nei cervelli degli uomini, ne risulterebbe innegabilmente una serie di manifestazioni deteriori che si potrebbero definire di imbecillità...

- Perfettamente giusto! - esclamò Stumm von Bordwehr, che si sentiva di nuovo vincolato dall'orgoglio per le cognizioni acquistate in quel pomeriggio. - È proprio il quadro che... be, non mi ricordo come si chiama quella malattia mentale, ma è esattamente così!

- No, - disse Ulrich sorridendo, - questo non è il quadro di una precisa malattia mentale, giacché quel che distingue un sano da un infermo di mente è appunto che il sano ha tutte le malattie mentali, e l'infermo soltanto una!

- Molto profondo! - esclamarono Stumm e Leinsdorf come un sol uomo, quantunque con parole leggermente diverse, e aggiunsero allo stesso modo: - Però, che cosa vuol dire?

- Vuol dire questo - spiegò Ulrich: - Se per morale io posso intendere il regolamento di tutte le correlazioni che comprendono il sentimento, la fantasia e simili, allora entro quest'ambito il singolo si regola su tutti gli altri e così acquista apparentemente una certa saldezza, ma tutti insieme non si innalzano al di sopra di uno stato di follia!

- Via, questo è troppo! - dichiarò bonariamente il conte Leinsdorf, e anche il generale disse:- Ma senti, ogni uomo deve avere una morale propria, non si può prescrivere a nessuno di preferire i

cani ai gatti o viceversa!- Si può, conte? - domandò Ulrich fervidamente.- Be, una volta, - rispose diplomaticamente il conte Leinsdorf quantunque in preda alla sua pia

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convinzione che in tutti i campi esiste "il vero", - una volta era meglio. Ma oggi?- E così abbiamo in permanenza la guerra di religione, - concluse Ulrich.- La chiama guerra di religione, lei? - domandò curioso il conte Leinsdorf.- In che altro modo la dovrei chiamare?- Be, mica male. È una buonissima definizione della vita attuale. Del resto ho sempre saputo che lei,

in fondo in fondo, non è affatto un cattivo cattolico!- Pessimo! - ribatté Ulrich. - Io non credo che Dio sia venuto, bensì che debba ancora venire. Ma

solo se gli si renderà il cammino più breve di quanto si sia fatto finora!Sua Signoria preferì esimersi con le dignitose parole:- Questo per me è troppo difficile!

38.Sviluppi di un grande evento. Ma nessuno se n'è accorto

Il generale invece esclamò:- Purtroppo devo tornare immediatamente da Sua Eccellenza, ma tutto questo me lo dovrai

spiegare, bada che non mi scappi! Tornerò più tardi, se i signori permettono!Leinsdorf aveva l'aria di voler dire qualcosa, i pensieri lo travagliavano duramente, ma Ulrich e lui,

rimasti soli un istante, si videro circondati da gente portata lì da involontari rigurgiti e trattenuti dalla avvincente personalità di Sua Signoria. Non si parlò più, naturalmente, di quel che aveva detto Ulrich, e nessuno, tranne lui, ci pensava; quando un braccio si agganciò al suo, ed ecco Agathe al suo fianco.

- Hai già trovato qualche pretesto per difendermi? - ella domandò con malizia carezzevole.Ulrich non lasciò andare il suo braccio e con lei si allontanò dal gruppo.- Non potremmo tornarcene a casa? - chiese Agathe.- No, - disse Ulrich, - ancora non posso andar via.- Ti trattiene l'avvenire, per il quale devi serbarti puro? - lo canzonò Agathe.Ulrich le strinse il braccio.- Mi sembra molto lusinghiero il fatto che il mio posto non è qui bensì in prigione! - ella gli sussurrò

all'orecchio.Cercarono un luogo dove poter rimanere soli. Ormai la serata stava sbollendo e gli invitati

circolavano più lenti. Ancora si distinguevano i due tipi di raggruppamenti: intorno al ministro della Guerra si discorreva di pace e di amore, intorno ad Arnheim si affermava che la mitezza tedesca prosperava meglio all'ombra della forza tedesca.

Egli ascoltava benevolo, perché non respingeva mai un'opinione sincera e aveva una speciale predilezione per le idee nuove. Si chiedeva con inquietudine se la faccenda del petrolio avrebbe suscitato difficoltà in Parlamento. Calcolava come inevitabile l'opposizione dei deputati slavi ed era ansioso di conoscere l'umore dei tedeschi. Nei circoli governativi l'affare marciava bene, a parte una certa ostilità del Ministero degli Esteri, cui il conte non dava molta importanza. Il giorno dopo sarebbe partito per Budapest.

Osservatori di parte avversa ce n'erano abbastanza intorno a lui e alle altre persone importanti. Si riconoscevano dal fatto che rispondevano di sì a tutto e si mostravano amabilissimi, mentre gli altri erano per lo più di opinione diversa.

Tuzzi cercò di convincere uno di costoro affermando:- Quello che si dice non significa nulla. Non ha mai il minimo significato! - L'altro gli credette. Era

un parlamentare. Ma non mutò il proprio convincimento, già fatto, che tuttavia stavano succedendo lì cose preoccupanti.

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Sua Signoria invece, dialogando con un altro, sostenne l'alto significato della riunione con le parole:- Mio caro, perfino le rivoluzioni, dal 1848 in poi, si fanno solo a furia di chiacchiere!Sarebbe errato vedere in tali divergenze null'altro che una lecita deviazione dalla monotonia solita

della vita; e tuttavia questo errore grave per le sue conseguenze si ripete quasi altrettanto sovente come la frase: "È questione di sentimento!" di cui la nostra struttura intellettuale non può fare a meno. Questa frase indispensabile divide nella vita ciò che dev'essere da ciò che può essere.

- Divide, - disse Ulrich ad Agathe, - l'ordine stabilito da uno spazio sgombro riservato ai giochi personali. Divide ciò che è razionale da ciò che passa per irrazionale. Usata nella maniera corrente, equivale all'ammissione che la condizione umana nelle cose importanti è una coazione, nelle secondarie un arbitrio sospetto. Si crede che la vita sarebbe una galera se non fossimo liberi di preferire il vino o l'acqua, di essere atei o bigotti, e con questo non s'intende affatto che nei "fatti sentimentali" si possa davvero agire a proprio talento; vi sono invece, senza che il confine sia chiaramente segnato, fatti sentimentali leciti e illeciti.

Quello fra Ulrich e Agathe era illecito, quantunque i due, che a braccetto cercavano invano un posto tranquillo, parlassero soltanto del ricevimento sentendo una gioia tacita e rapinosa di essere di nuovo insieme dopo la separazione. Invece il dilemma, se amare i propri simili oppure distruggerne prima una parte, era evidentemente un "fatto sentimentale" di ambigua liceità, altrimenti non sarebbe stato così calorosamente discusso in casa di Diotima e in presenza di Sua Signoria, quantunque dividesse per giunta la società in due partiti accaniti l'uno contro l'altro. Ulrich asseriva che l'invenzione della "questione di sentimento" aveva reso alla causa del sentimento un pessimo servizio, e quando egli s'accinse a spiegare a sua sorella l'impressione singolare che quella serata produceva in lui, si mise a parlare in un modo che involontariamente integrava il discorso interrotto al mattino e probabilmente doveva giustificarlo.

- Veramente, - egli disse, - non so di dove cominciare senza annoiarti. Posso dire ciò che intendo per morale?

- Ti prego, - rispose Agathe.- La morale è la norma del comportamento nell'ambito di una società, in primo luogo quella dei suoi

impulsi interiori, quindi dei pensieri e dei sentimenti.- Questo sì che è un progresso raggiunto in poche ore! - esclamò Agathe ridendo. - Stamattina hai

detto di non sapere che cosa sia la morale!- Certo che non lo so. Eppure posso darne una dozzina di definizioni. La più antica è che Dio ci ha

rivelato l'ordinamento della vita in tutti i suoi particolari...- Questa sarebbe la più bella! - disse Agathe.- La più probabile invece, - affermò Ulrich, - è che la morale come ogni altra regola nasce dalla

costrizione e dalla violenza! Un gruppo di uomini giunto al potere impone semplicemente agli altri i precetti e le massime che gli servono ad assicurare il suo dominio. Nello stesso tempo però è attaccato ai precetti e alle massime che hanno reso possibile la sua ascesa. E in tal modo si propone ad esempio. E ne subisce i contraccolpi, che producono cambiamenti: tutto ciò naturalmente è più complicato di quanto si possa descrivere in breve, e poiché non accade senza raziocinio, ma neppure per merito del raziocinio bensì della pratica, ne risulta infine un groviglio inestricabile che, in apparenza indipendente come il cielo di Dio, si stende sopra tutte le cose. Ora, tutto si riconduce a questo cerchio, ma questo cerchio non si riconduce a nulla. In altre parole: tutto è morale, ma la morale stessa non è morale!

- Molto carino da parte sua, - disse Agathe. - Ma lo sai che oggi ho trovato un uomo buono?Ulrich si meravigliò un poco di quell'interruzione, ma quando Agathe incominciò a raccontargli

l'incontro con Lindner, cercò di farlo rientrare nel proprio ragionamento:- Gente buona ne puoi trovare a dozzine anche qui, ma devi apprendere perché ci sono anche i

cattivi, se mi lasci parlare ancora un poco.Così discorrendo erano giunti, per sfuggire al pigia-pigia, fino all'anticamera, e Ulrich dovette

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decidere dove dirigersi: pensò alla camera di Diotima, e anche alla stanzetta di Rachel, ma non ci voleva andare e così rimasero entrambi fra i vuoti indumenti appesi nel vestibolo. Ulrich non sapeva come continuare.

- In fondo dovrei ricominciare da capo, - dichiarò con un gesto impaziente e perplesso. E improvvisamente soggiunse: - Tu non vuoi sapere se hai agito bene o male, ma ti inquieta il fatto che agisci in un modo o nell'altro senza una ragione solida!

Agathe confermò col capo. Egli le aveva preso tutt'e due le mani.La pelle di Agathe, d'un opaco splendore, col profumo di aromi a lui sconosciuti che saliva dalla

veste appena scollata, perse per un attimo ogni senso terreno. L'urto del sangue pulsò da una mano all'altra. Il solco profondo d'una origine non terrestre li isolava entrambi in un paese chimerico.

A Ulrich mancarono improvvisamente i termini per definirlo; non trovava neppure quelli già usati tante volte.

"Non dobbiamo agire nell'ispirazione del momento, ma in uno stato durevole, perpetuo" "Così, da essere portati fin nel centro, di dove non si torna più indietro per ritrattare" "Non dal margine e dai suoi stati mutevoli, ma dall'unica immutabile felicità"

Tali frasi gli salivano alle labbra e avrebbe anche potuto pronunciarle, però soltanto in conversazione; ma per l'uso immediato a cui dovevano servire in quel momento fra lui e la sorella sentì d'un tratto che era impossibile. Ne fu turbato e perplesso. Agathe però capì chiaramente. Ella avrebbe dovuto esser felice che per la prima volta il guscio intorno a lui si rompesse e il "duro fratello" mostrasse quel che aveva dentro come un uovo caduto a terra. S'accorse tuttavia con meraviglia che questa volta il suo sentimento non era del tutto disposto ad accordarsi con quello di lui. Fra il mattino e la sera c'era stato lo strano incontro con Lindner, e sebbene l'uomo avesse destato in lei soltanto stupore e curiosità, bastava quel granellino per non lasciare che si formasse la rifrazione all'infinito dell'amore eremitico.

Ulrich lo sentì nelle mani di lei, prima che ella rispondesse, e Agathe... non rispose.Egli indovinò che quell'inatteso rifiuto dipendeva dalla vicenda di cui aveva udito or ora il racconto.

Confuso, e turbato dal contraccolpo del suo sentimento non ricambiato, disse crollando la testa:- È irritante che tu ti faccia tante illusioni sulla bontà di costui!- Forse hai ragione, - ammise Agathe.Egli la guardò. Capiva che per sua sorella quell'incontro era più importante che tutti gli omaggi

ricevuti finora mentre era sotto la sua protezione. D'altronde quell'uomo egli lo conosceva, sebbene di sfuggita; Lindner aveva un'attività pubblica; era stato lui che nella prima seduta dell'Azione Patriottica aveva pronunciato in un silenzio penoso quel breve discorso dedicato al "momento storico" o qualcosa di simile, goffo, schietto e insignificante... Senza volerlo Ulrich si guardò intorno, ma non ricordava di aver notato Lindner fra i presenti, e sapeva anche che questa volta non era più stato invitato. Doveva averlo incontrato altrove, forse nei circoli scientifici, e aver letto qualcosa di suo, giacché, spremendosi la memoria, da ultramicroscopiche tracce di ricordo stillò come una goccia viscosa e nauseante il giudizio: - Un insipido ciuco! Chi voglia restare a un certo livello di vita spirituale, un uomo simile non lo può prendere più sul serio del professore Hagauer!

Lo disse ad Agathe.Agathe tacque. E gli strinse persino la mano."È una cosa assurda ma non si potrà più fermare!" fu la percezione di Ulrich.In quel momento arrivò gente nel vestibolo, e i due furono separati.- Vuoi che ti riaccompagni nelle sale? - domandò Ulrich. Agathe disse di no e cercò una via di

scampo.Di colpo Ulrich ricordò che per sfuggire agli altri non rimaneva che rifugiarsi in cucina.In cucina si stavano riempiendo batterie di bicchieri e caricando vassoi di tartine. La cuoca

sfaccendava con gran zelo, Rachel e Soliman aspettavano i rifornimenti, ma invece di bisbigliare

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insieme come nelle altre occasioni stavano ciascuno immobile al suo posto. La piccola Rachel fece la riverenza quando entrarono fratello e sorella, Soliman invece sgranò soltanto gli occhi, e Ulrich chiese:

- Di là fa troppo caldo, potete offrirci un rinfresco qui?Si sedette con Agathe sulla panca davanti alla finestra e pose lì davanti pro forma piattini e bicchieri,

per aver l'aria, se qualcuno lo scovava, di due intimi di casa che si permettessero un piccolo scherzo. Disse poi, con un breve sospiro:

- Dunque è solo questione di sentimento giudicare buono o insopportabile questo professor Lindner!

Agathe era occupata a svolgere la carta di un cioccolatino.- Vale a dire, - seguitò Ulrich, - che il sentimento non è né vero né falso. Il sentimento è una

questione personale! Rimane in balia della suggestione, dell'immaginazione, della persuasione. Tu ed io non siamo diversi da quegli altri di là! Sai che cosa vogliono quelli?

- No. Ma non è indifferente?- Forse no. Perché formano due partiti, di cui l'uno ha altrettanto torto o ragione che l'altro.Agathe disse che le pareva meglio credere nella bontà umana piuttosto che nei cannoni e nella

politica; anche se il modo di credere era ridicolo.- Come quest'uomo di cui hai fatto la conoscenza? - chiese Ulrich.- Ah, come si fa a spiegarlo? Ma certo è buono! - rispose la sorella, e rise.- Su quel che ti pare buono tu puoi fare sì poco affidamento quanto Leinsdorf su quel che par

buono a lui! ribatté Ulrich accigliato.I due visi erano tesi e turbati pur nel riso: intralciato da più profonde controcorrenti il lieve fluire

della cortese gaiezza. Rachel lo sentiva sotto la sua cuffietta fino alla radice dei capelli; ma lei stessa era così giù che le sue sensazioni erano attutite, come un ricordo di tempi migliori. Le sue belle guance tonde erano lievemente infossate, il fuoco nero dei suoi occhi velato dallo scoramento: se Ulrich avesse avuto voglia di paragonare la sua bellezza con quella di Agathe si sarebbe accorto che il bruno splendore di Rachel s'era rotto come un pezzo di carbone schiacciato da un carro pesante. Ma lui non la guardava. Ella era incinta, e nessuno lo sapeva tranne Soliman che senza intendere la realtà della sciagura vi rispondeva con progetti romantici e balordi.

- Da secoli, - riprese Ulrich, - il mondo conosce la verità del pensiero, e quindi fino a un certo punto la libertà del pensiero. Nel tempo stesso il sentimento non conosceva né la severa scuola della verità né quella della libertà d'azione. Ogni morale infatti nel periodo in cui vigeva ha regolato il sentimento, e rigidamente, solo in quanto certi principî e sentimenti-base le erano necessari per agire ad arbitrio; il resto lo ha lasciato al talento, alle passioni personali, agli incerti conati dell'arte e dell'interpretazione accademica. La morale dunque ha adattato i sentimenti ai bisogni della morale e così ha trascurato di svilupparli benché essa stessa dipenda da loro. Essa infatti è l'ordine e l'umanità del sentimento.

Qui s'interruppe. Sentiva su di sé lo sguardo affascinato di Rachel, anche se la camerierina non poteva più avere tutto l'entusiasmo di una volta per le faccende dei "grandi"

- Forse è comico che io parli di morale anche qui in cucina, - disse confuso.Agathe lo guardava attenta e pensosa. Egli si piegò su di lei, avvicinandosi ancora, e soggiunse piano

con un sorriso scherzoso e guizzante:- Ma è semplicemente un altro modo di esprimere uno stato di passione che si arma contro tutto il

mondo!S'era ripetuto senza che Ulrich lo volesse il contrasto del mattino, in cui egli appariva nella poco

gradevole figura dell'ammonitore. Ma non poteva far diverso. La morale non era per lui né costrizione né saggezza, bensì l'infinito complesso delle possibilità di vivere. Egli credeva a un potere d'accrescimento della morale, a gradini della sua esperienza, e non soltanto, come si usa comunemente, a gradini della sua conoscenza, come se essa fosse qualcosa di stabile per cui l'uomo, soltanto, non è abbastanza puro. Egli credeva nella morale senza credere in una morale definita. Di solito s'intende per

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essa una specie di regolamento di polizia che serve a mantenere in ordine la vita; e poiché la vita non obbedisce neppure a tali regole, esse appaiono quasi impossibili a seguirsi, e, pur in questo modo meschino, acquistano l'apparenza d'un ideale. Ma non è lecito mettere la morale su questo piano. La morale è fantasia. Ecco ciò che Ulrich voleva dimostrare ad Agathe. E in secondo luogo: la fantasia non è arbitrio. Se abbandonata all'arbitrio, la fantasia si vendica. In bocca a Ulrich, le parole palpitavano. Era stato lì lì per parlare di una distinzione troppo poco considerata: le diverse epoche sviluppano a modo loro l'intelligenza, ma la fantasia morale l'hanno fissata e stabilita a modo loro. Stava per parlarne perché la conseguenza è questa: una linea ascendente dell'intelligenza e delle sue creazioni, che sale più o meno diritta, nonostante i dubbi, attraverso i mutamenti della storia; e in contrapposto un monte di macerie dei sentimenti, delle idee, delle possibilità di vita, disposti a strati così come si formarono, eterne cose di poco conto, e lì abbandonati. E un'altra conseguenza: che alla fine vi sono infinite possibilità di avere delle opinioni, ma nessuna di armonizzarle. E un'altra ancora: che queste opinioni cozzano l'una contro l'altra perché non possono accordarsi. E finalmente che l'affettività delle creature umane ondeggia di qua e di là come l'acqua in una botte che non ha un posto stabile. Per tutta la sera Ulrich era stato perseguitato da un'idea; era una sua vecchia idea, ma quella sera aveva avuto continue conferme, ed egli s'era proposto di dimostrare ad Agathe dove stava lo sbaglio e come si poteva correggere, se tutti l'avessero voluto; e in fondo non era che la dolorosa intenzione di comprovare che non si poteva nemmeno aver fiducia nelle scoperte della propria fantasia.

E Agathe disse con un piccolo sospiro, come una donna insidiata che tenta ancora una difesa prima di arrendersi:

- Dunque bisogna fare ogni cosa "per principio"? - E lo guardò rendendogli il sorriso.Ulrich rispose:- Sì, ma per un solo determinato principio! - E non era affatto quello che aveva inteso dire. Veniva

di nuovo dal paese dei fratelli siamesi e del Regno Millenario, dove la vita cresce come un fiore, in un silenzio incantato, e anche se non era campato in aria era però ai confini del pensiero che sono solitari e fallaci. Gli occhi di Agathe erano come diaspro spezzato. Se in quel momento egli avesse detto una parola di più o avesse posato la mano su di lei, sarebbe accaduto qualcosa che ella poco dopo non avrebbe più potuto spiegare perché passò subito. Giacché Ulrich non aggiunse altro. Prese un frutto e un coltello, e si mise a sbucciare. Era felice che la lontananza di poco fa fra lui e la sorella si fosse fusa in una vicinanza estrema, ma fu anche contento che qualcuno venisse a interromperli.

Era il generale affacciato all'uscio della cucina con l'aria astuta d'un comandante di pattuglia che sorprende il nemico a bivacco.

- Chiedo scusa se disturbo! - esclamò entrando. - Ma non sarà un delitto grave trattandosi di un tête à tête col fratello, vero, signora? - E poi si rivolse a Ulrich: - Ti cercano per mare e per terra!

E Ulrich allora disse al generale quello che aveva voluto dire ad Agathe. Ma prima chiese:- Chi è che mi cerca?- Ma se dovevo condurti dal ministro! - lo rimproverò Stumm. Ulrich fece un gesto evasivo.- Be, ormai è troppo tardi, - disse il buon generale. - Se n'è già andato. E adesso, appena la signora si

sarà scelta una compagnia migliore della tua, intendo esercitare il mio diritto di chiederti spiegazioni sulla "guerra di religione", se ricordi ancora le tue parole di poco fa.

- Ne stiamo appunto parlando, rispose Ulrich.- Oh, interessantissimo! - esclamò von Stumm. - Dunque anche lei, signora, si occupa di morale?- Mio fratello non parla d'altro, spiegò Agathe sorridendo.- Quest'oggi l'argomento è addirittura all'ordine del giorno! sospirò il generale. - Due minuti fa, per

esempio, Leinsdorf mi ha detto che la morale è altrettanto importante che il mangiare. Io non sono d'accordo! E si chinò voglioso sui dolci che Agathe gli porgeva. Faceva per scherzo, naturalmente. Agathe lo consolò:

- Non sono d'accordo neppure io.

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- Gli ufficiali e le donne devono avere una morale, ma non ne parlano volentieri, - seguitò il generale. - Non ho ragione, signora?

Rachel aveva portato una seggiola da cucina, e la stava spolverando premurosa col grembiule; quelle parole la toccarono nel cuore, e quasi le vennero le lacrime agli occhi. Stumm ricominciò a stuzzicare Ulrich:

- Be, com'è questa storia della guerra di religione? - Ma prima che Ulrich potesse dire qualcosa, lo interruppe di nuovo: - Ho l'impressione che tua cugina ti vada cercando per tutta la casa, e io l'ho preceduta solo in grazia della mia educazione militare. Perciò devo sfruttare la mia priorità. Non è bello, sai, quel che succede là dentro. Ci renderemo ridicoli! E lei, come devo dire? lei ha lasciato cadere le briglie. Sai che cosa hanno stabilito?

- Ma chi?- Molti sono già andati via. Alcuni sono rimasti e stanno bene attenti a quel che succede, - raccontò

il generale. - Sicché non si può dire chi sia stato.- Allora sarà meglio che tu mi dica innanzitutto di quale risoluzione si tratta, - suggerì Ulrich.Stumm von Bordwehr alzò le spalle.- Va bene. Ma per fortuna non si può parlare di una risoluzione regolamentare, - spiegò poi. - Tutte

le persone responsabili, grazie a Dio, s'erano già ritirate. Si può dire perciò che è soltanto una risoluzione particolare, una proposta o un voto di minoranza. Io sosterrò che ufficialmente noi non ne sappiamo nulla. Devi però avvertire il tuo segretario, perché non lo metta a verbale. Perdoni, signora, - aggiunse rivolto nuovamente ad Agathe, - questi discorsi professionali!

- Ma che cos'è accaduto, insomma? - domandò anch'ella. Stumm fece un largo gesto con ambo le braccia.

- Quel Feuermaul, forse la signora ricorda, che abbiamo invitato solo perché... come posso dire? perché è un esponente dello spirito dei tempi e perché tanto dovevamo anche invitare gli esponenti opposti... Bene, si sperava che nonostante queste presenze, e anzi col vantaggio di certi impulsi spirituali avremmo potuto parlare di ciò che purtroppo è in gioco. Suo fratello lo sa, cara signora; bisognava far incontrare il ministro con Leinsdorf e con Arnheim, per vedere se Leinsdorf non aveva prevenzioni contro talune concezioni patriottiche. E non sono affatto scontento, - commentò confidenzialmente rivolto a Ulrich, perché in quanto a questo tutto è andato a posto. Ma nel frattempo il Feuermaul, - qui Stumm si vide costretto ad aggiungere qualche spiegazione per Agathe, - che è il rappresentante di una concezione secondo la quale l'uomo è una creatura affettuosa e pacifica da trattare benignamente, s'è messo a litigare con i rappresentanti di una concezione all'incirca opposta, che afferma la necessità di una mano ferrea per mantener l'ordine eccetera eccetera, e prima che lo si potesse impedire hanno preso una deliberazione comune!

- Comune?! - si accertò Ulrich.- Già. L'ho raccontato come se fosse una barzelletta, - dichiarò Stumm, colpito in ritardo, e

lusingato, dell'involontaria comicità della sua descrizione. - Chi poteva aspettarselo? E se ti dico qual era questa deliberazione, non ci vorrai credere! E poiché oggi ho fatto quasi una visita ufficiale a Moosbrugger, tutto il Ministero sarà convinto che lì sotto c'è il mio zampino!

A questo punto Ulrich scoppiò in una risata e nello stesso modo seguitò a interrompere di tanto in tanto le spiegazioni di Stumm. Solo Agathe capiva la ragione di quell'ilarità, mentre il generale osservò ripetutamente, un po' offeso, che l'amico pareva nervoso. Ma quel che era accaduto somigliava troppo al quadro da lui schizzato poco prima alla sorella perché egli potesse trattenersi dal riso. Il gruppo Feuermaul era saltato fuori all'ultimo momento per salvare il salvabile. In simili casi lo scopo è meno chiaro che l'intenzione. Il giovane poeta Friedel Feuermaul chiamato Pepi nell'intimità, perché era innamorato della Vecchia Vienna e si sforzava di rassomigliare al giovane Schubert, pur essendo nato in una cittadina ungherese - credeva fermamente nella missione dell'Austria nonché nell'umanità. Era chiaro che un'impresa come l'Azione Parallela, se egli non era chiamato a collaborarvi, doveva

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inquietarlo fin da principio. Come poteva un'impresa umanitaria in chiave austriaca o un'impresa austriaca in chiave umanitaria prosperare senza di lui? Questo egli aveva detto, crollando il capo, alla sua amica Drangsal; e costei, nella sua qualità di vedova che faceva onore alla patria e per di più titolare di un salotto estetico-intellettuale che solo in quest'ultimo anno era stato superato da quello di Diotima, l'aveva ripetuto a tutte le persone influenti che le erano capitate a tiro. Così era sorta la voce che l'Azione Parallela era in pericolo, a meno che... questo "a meno che" e questo "pericolo" naturalmente erano rimasti nel vago, perché prima bisognava costringere Diotima a invitare Feuermaul, e poi si sarebbe potuto vedere. Ma l'annuncio di un pericolo proveniente dall'Azione Patriottica fu subito colto da quei politici vigilanti che non riconoscevano una patria comune, ma soltanto una nazione madre che viveva con lo Stato in connubio forzato, subendone i maltrattamenti: da molto tempo essi sospettavano che dall'Azione Parallela sarebbe scaturita soltanto una nuova oppressione. E anche se cortesemente facevano finta di nulla gli premeva meno stornare questo pericolo - poiché umanitari disperati ve ne sarebbero sempre stati fra i tedeschi, ma nell'insieme rimanevano sempre oppressori e sfruttatori! - che ottenere dai tedeschi stessi l'ammissione che il loro nazionalismo era pericoloso.

Perciò la signora Drangsal e il poeta Feuermaul si sentivano sostenuti da una simpatia per i loro sforzi donde, pur senza analizzarla, traevano beneficio, e a Feuermaul, che era notoriamente un uomo di sentimento, balenò l'idea di suggerire pensieri di pace e d'amore allo stesso ministro della Guerra. Perché proprio al ministro della Guerra, e quale parte gli si dovesse assegnare, non si curò di mettere in chiaro, ma l'idea era così abbagliante e drammatica che non gli occorreva davvero l'aiuto altrui. Questa opinione era condivisa da Stumm von Bordwehr, il generale infedele che la smania di cultura spingeva ogni tanto a frequentare il salotto della signora Drangsal all'insaputa di Diotima; per merito di questi, poi, il concetto che l'industriale Arnheim, produttore di armi, costituisse una componente del pericolo, cedette alla convinzione che il pensatore Arnheim fosse un elemento importante di ogni iniziativa rivolta al bene.

Finora dunque tutto era proceduto secondo il previsto, e anche il fatto che dal colloquio del ministro e di Feuermaul nonostante la cooperazione della signora Drangsal non fosse scaturito che qualche mirabile tratto di spirito del poeta, pazientemente ascoltato da Sua Eccellenza, era nell'ordine naturale delle cose. Ma Feuermaul aveva dentro di sé ancora delle riserve; e poiché le sue milizie erano composte di letterati giovani e vecchi, di consiglieri aulici, bibliotecari, e alcuni pacifisti, in breve gente d'ogni età e professione, uniti da un affetto comune per la vecchia patria e per la sua missione sulla terra, pronti a lottare con pari impegno per il ripristino degli omnibus a cavalli con lo storico tiro a tre, oppure per le porcellane viennesi; e poiché questi fedeli nel corso della serata eran venuti in vari modi a contatto con gli avversari, i quali, si sa, non brandivano ostensibilmente il coltello, si erano intrecciate molte conversazioni con caotiche mescolanze dei più vari punti di vista. A questa tentazione si trovò esposto Feuermaul quando il ministro della Guerra lo congedò e la sorveglianza della signora Drangsal si allentò per ignote ragioni. Stumm von Bordwehr seppe soltanto riferire che Feuermaul aveva avuto un vivacissimo dialogo con un giovanotto che dalla descrizione era presumibilmente Hans Sepp. Ad ogni modo era uno di quelli che si servono sempre di un capro espiatorio al quale accollano tutti i mali che non sanno risolvere; l'orgoglio nazionale è uno di questi casi, in cui per pura convinzione si sceglie un capro espiatorio che non sia consanguineo ed abbia la minor somiglianza possibile con l'interessato. Com'è risaputo è un grandissimo sollievo, quando ci si arrabbia, scaricare su qualcuno la propria collera, anche se non ci ha né colpa né peccato; non così noto è che si possa dire altrettanto dell'amore. Anche l'amore, non avendo altra occasione, deve spesso sfogarsi su qualcuno che non ne può niente. Così Feuermaul era un giovane industrioso, che nella lotta per la vita poteva essere assai perverso, ma il suo "capro amatorio" era l'uomo, e quand'egli pensava all'uomo in generale diventava un oceano di bontà inappagata. Hans Sepp invece era in fondo un buon figliolo che non aveva nemmeno cuore d'ingannare il direttore Fischel, e il suo capro espiatorio era "l'uomo non tedesco" al quale addossava tutta la sua rabbia per le cose che non poteva mutare. Sa il cielo che cosa s'erano detti in principio; dovevano aver

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cavalcato ciascuno il suo "capro" lanciandolo contro l'altro, perché Stumm raccontò:- Non capisco proprio come sia accaduto: a un tratto furono circondati di gente e in un batter

d'occhio si formò un vero assembramento, tutti i presenti nelle sale erano intorno a loro!- E sai di che cosa discutevano? - chiese Ulrich. Stumm alzò le spalle:- Feuermaul gridava all'avversario: "Lei vorrebbe odiare, ma non ci riesce! Perché l'amore è ingenito

in ogni creatura umana!" Insomma qualcosa di simile. E l'altro strepitava di rimando: "E lei vorrebbe amare? Ma neanche lei ci riesce, meno che meno, lei, lei..." Be, non so dirti esattamente perché per via dell'uniforme che porto dovevo tenermi a una certa distanza.

- Oh, - disse Ulrich, - mi hai già detto l'essenziale - E si voltò verso Agathe, con uno sguardo che cercava quello di lei.

- Ma l'essenziale era la conclusione! - insisté Stumm. - Prima sembrava che volessero sbranarsi, e poi di punto in bianco ne è venuta fuori una risoluzione comune... nei due sensi della parola!

Stumm, così perfettamente rotondo, dava l'impressione di una conchiusa serietà.- Il ministro è andato via subito, - riferì.- Ma dunque, com'è questa risoluzione? - chiesero i due fratelli.- Proprio di preciso non saprei dirlo, - rispose Stumm, - perché sono sparito anch'io

immediatamente, si capisce; e quelli non avevano ancora finito. D'altronde è difficile ricordare parola per parola roba di quel genere. Era qualcosa in pro di Moosbrugger e contro il militarismo.

- Moosbrugger? E come mai? - rise Ulrich.- Come mai? - ripeté il generale, rabbioso. - Tu fai presto a ridere, ma per me è una bella fregatura.

O almeno un bel lavoro: mi toccherà scarabocchiare per intere giornate. Con gente di quel genere, che vuoi che ti dica "come mai"? Forse la colpa è di quel vecchio professore che oggi non ha smesso di perorare per il capestro e contro la mitezza. Oppure è successo perché in questi ultimi giorni la stampa ha ripreso a parlare di quel criminale. Hanno rimesso in tavola la questione. Bisogna farla finita! - dichiarò poi con una risolutezza per lui insolita.

In quel momento entrarono in cucina, a breve distanza l'uno dall'altro, Arnheim, Diotima e persino Tuzzi e il conte Leinsdorf. Arnheim aveva sentito le voci dall'anticamera. stava per svignarsela approfittando del trambusto, nella speranza di sottrarsi ancora per questa volta ad una spiegazione con Diotima: il giorno dopo sarebbe partito per qualche settimana. Ma la curiosità lo spinse a gettare un'occhiata in cucina, e poiché Agathe l'aveva visto la cortesia gli vietava di tirarsi indietro. Stumm lo bersagliò subito di domande sulla situazione.

- Le posso ripetere addirittura il testo originale, - rispose Arnheim sorridendo. - Era così buffo che non ho saputo trattenermi dal prenderne nota di nascosto.

Trasse dal portacarte un foglietto e decifrando l'appunto stenografato lesse lentamente il testo della risoluzione:

- "L'Azione Parallela, su proposta dei signori Feuermaul e... l'altro nome non l'ho capito afferma: ciascuno può difendere le proprie idee con la vita, ma chi induce altri a morire per le idee altrui è un assassino!" Questo è il testo proposto, - aggiunse poi, - e non ho l'impressione che muteranno qualcosa.

Il generale esclamò:- Sì, è proprio così, l'ho udito anch'io! Sono ripugnanti questi dibattiti intellettuali! Arnheim disse

con indulgenza:- È la gioventù moderna che esprime la sua esigenza di un saldo indirizzo.- Ma non è soltanto la gioventù, ribatté Stumm nauseato. - C'erano anche delle teste pelate che

approvavano tutt'in giro! - Allora è il bisogno d'essere guidati tout court, - disse Arnheim con un cenno cordiale. - Tutti lo sentono, oggi. Del resto la risoluzione è presa da un libro contemporaneo, se ben ricordo.

- Davvero? - esclamò Stumm.- Sì, - disse Arnheim. - E naturalmente si fa come se non esistesse. Però varrebbe la pena di

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utilizzare il bisogno spirituale che essa manifesta.Il generale si mostrò un poco preoccupato; si volse a Ulrich:- Hai un'idea di quel che si potrebbe fare?- Naturalmente! - rispose Ulrich. L'attenzione di Arnheim fu accaparrata da Diotima.- Su dunque! - disse il generale a bassa voce. - Fuori l'idea! Preferirei che la guida restasse nelle nostre

mani!- Devi renderti ben conto di come stanno le cose, - disse Ulrich senza affrettarsi. - Quelli là non

hanno torto quando l'uno dice all'altro che vorrebbe amare, se soltanto potesse, e l'altro replica che lo stesso vale anche per l'odio. In verità, vale per tutti i sentimenti. L'odio ha oggi in sé qualcosa di conciliante, e d'altra parte per provare per un altro quello che sarebbe vero amore bisognerebbe... Io dico, - affermò Ulrich brevemente, - che questi due non sono ancora venuti!

- Questo è certamente interessantissimo, - interruppe pronto il generale, - perché non capisco affatto come puoi sostenerlo. Ma io domani devo scrivere un rapporto sugli avvenimenti di oggi e perciò ti scongiuro di tenerne conto! Fra noi militari l'essenziale è poter sempre annunziare qualche progresso; un certo ottimismo è indispensabile anche nella sconfitta, lo comporta il mestiere: dunque, come posso descrivere come progresso quel che è successo oggi?

- Scrivi, - disse Ulrich strizzando l'occhio: - è stata la vendetta della fantasia morale!- Ma non si può scrivere così per i militari! - replicò Stumm indignato.- Allora, - riprese Ulrich gravemente, - scrivi così: Tutti i periodi creativi sono sempre stati seri. Non

v'è profonda felicità senza morale profonda. Non v'è morale che non si possa dedurre da qualcosa di saldo. Non v'è felicità che non posi su una convinzione. Neanche gli animali vivono senza morale. Ma l'uomo, oggi, non sa più con quale...

Stumm interruppe anche questo dettato che in apparenza fluiva spassionatamente:- Caro amico, io posso parlare di morale della truppa, di morale del combattimento e anche di

morale di una donna; ma sempre di singoli casi; senza questa precauzione non si parla di morale in un documento militare, così come non si parla di fantasia o del buon Dio: lo sai anche tu!

Diotima guardava Arnheim ritto presso la finestra della sua cucina: un quadro stranamente domestico, dopo che tutta la sera non avevano scambiato che poche parole prudenti. A un tratto provò il desiderio contraddittorio di seguitare con Ulrich la conversazione interrotta. Nel suo cervello regnava quella piacevole disperazione che, irrompendo in parecchie direzioni a un tempo, si placa e si annulla quasi in una serena tranquilla attesa. Il fallimento del "Consiglio", da molto tempo previsto, le era indifferente. Anche l'infedeltà di Arnheim le pareva indifferente. Egli la guardò mentre ella entrava, e per un attimo ecco di nuovo la nota sensazione di uno spazio vivo che li univa. Ma ella ricordò tosto che Arnheim da settimane la evitava e il pensiero: "Disertore dell'amore!" restituì alle sue ginocchia la forza di andargli dignitosamente incontro. Arnheim vide tutto: lo sguardo, l'esitazione, l'annullamento della distanza; sui sentieri ghiacciati che innumerevoli correvano fra di loro, si stendeva il presentimento che forse avrebbero ancora potuto sgelarsi. Arnheim s'era messo in disparte, ma all'ultimo momento lui e Diotima fecero una conversazione che li condusse accanto a Ulrich, al generale Stumm e agli altri.

Dalle ispirazioni del genio fino alle manifestazioni del cattivo gusto che accomuna i popoli, ciò che Ulrich chiamava la fantasia morale, o più semplicemente il sentimento, è un'unica secolare incessante fermentazione. L'uomo è un essere che non può vivere senza entusiasmo. E l'entusiasmo è uno stato in cui tutti i suoi sentimenti e pensieri hanno la stessa forza vitale. Tu credi, invece, che sia lo stato in cui un sentimento prevale sugli altri - esser rapiti in estasi! - e tutto travolge? No, non volevi dir questo? Eppure è così. È anche così. Ma la forza di un simile entusiasmo non ha sostegno. Sentimenti e pensieri acquistano durevolezza solo vicendevolmente, nel loro complesso, devono in qualche modo avere la stessa direzione e trascinarsi l'un l'altro. E con tutti i mezzi, con droghe, fantasie, suggestioni, con la fede, il convincimento, spesso anche con l'influsso semplificante della stupidità, l'uomo si sforza di creare uno stato simile a quello. Egli crede nelle idee, non perché a volte son vere, ma perché ha

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bisogno di credere. Perché deve tenere in ordine i propri affetti. Perché deve turare con un'illusione il buco nei muri della sua vita, attraverso il quale i suoi sentimenti si disperderebbero se no ai quattro venti. Giusto sarebbe, invece di abbandonarsi a condizioni apparenti e passeggere, cercare almeno le premesse del vero entusiasmo. Ma sebbene, tutto sommato, il numero delle decisioni dettate dal sentimento sia infinitamente più grande di quello delle decisioni prese dalla nuda ragione, e tutti gli avvenimenti che commuovono l'uomo nascano dalla fantasia, pure soltanto i problemi del raziocinio stanno al di sopra della persona e per il resto non è accaduto nulla che meriti il nome di sforzo comune o che denoti almeno il riconoscimento della sua disperata necessità.

Così all'incirca parlò Ulrich fra le comprensibili proteste del generale.Negli eventi della serata, benché fossero stati abbastanza tumultuosi e dovessero dimostrarsi in

seguito carichi di conseguenze per colpa di interpretazioni maligne, egli vedeva soltanto un esempio di illimitato disordine. Il signor Feuermaul gli appariva in quel momento tanto indifferente quanto l'amore del prossimo, il nazionalismo quanto il signor Feuermaul, e invano Stumm gli chiese come si sarebbe potuto distillare da una presa di posizione così personale il pensiero di un progresso tangibile.

- Riferisci, - rispose Ulrich, - che questa è la millenaria guerra di religione. E che mai gli uomini sono stati male agguerriti come in quest'epoca, in cui le scorie dei "sentimenti provati invano", ammucchiate di età in età, sono alte ormai come una montagna, senza che nessuno ci faccia nulla. Così il Ministero della Guerra può aspettare tranquillamente la prossima catastrofe di massa.

Ulrich vaticinava senza averne il sospetto. D'altronde non gli importava niente dei fatti reali, egli combatteva soltanto per la sua salvezza eterna. Cercava di frapporre ogni ostacolo che potesse impedirla. Perciò rideva e cercava di ingannare gli altri con l'apparenza dello scherno e dell'esagerazione. Esagerava per Agathe. In verità elevava contro di lei un baluardo di pensieri e sapeva che in un certo punto c'era un piccolo chiavistello: bastava tirarlo, e tutto sarebbe stato sommerso e sepolto dal sentimento! E in fondo egli pensava incessantemente a quel chiavistello.

Diotima gli stava accanto e sorrideva. Sentiva il travaglio di Ulrich per la sorella, era triste e commossa, aveva dimenticato la sessuologia, e qualcosa s'era dischiuso: forse l'avvenire, certo però anche le sue labbra.

Arnheim chiese a Ulrich:- E lei crede... che si potrebbe far qualcosa per rimediarvi? - Il tono della domanda faceva capire che

egli attraverso l'esagerazione riconosceva la serietà, ma trovava esagerata anche quella.Tuzzi disse a Diotima:- Ad ogni modo bisogna impedire che qualcosa ne giunga all'orecchio del pubblico.Ulrich rispose ad Arnheim:- Non è evidente? Oggi ci vediamo davanti troppe possibilità di sentimento e di vita. Ma questa

difficoltà non è uguale a quella che la ragione sa dominare quando è posta di fronte a una quantità di fatti e a una storia delle teorie? E per essa abbiamo trovato un comportamento non rigido e tuttavia severo che non ho bisogno di descriverle. Ora le chiedo: non si potrebbe far qualcosa di simile per il sentimento? Vorremmo sapere certamente perché viviamo; è l'origine principale di tutte le violenze di questo mondo. Le altre epoche l'hanno tentato coi loro mezzi insufficienti, ma il grande secolo dell'esperienza a partire dal suo spirito non ha ancora...

Arnheim, che capiva subito e amava interrompere, gli pose deprecativamente una mano sulla spalla:- Ma questo sarebbe un rapporto progressivo con Dio! - esclamò in tono sommesso e ammonitore.- Be, è poi una cosa così terribile? - obiettò Ulrich non senza ironia per quel timore prematuro. - Ma

io non sono ancora arrivato a tal punto!Arnheim si riprese subito e sorrise.- Fa piacere ritrovare qualcuno immutato dopo una lunga assenza; è così raro oggigiorno! - disse. E

in verità si rallegrava davvero, una volta postosi al sicuro grazie a quella benevola obiezione. Ulrich avrebbe potuto ritornare sulla questione dell'impiego, e Arnheim gli era grato di disprezzare nella sua

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irresponsabile indipendenza ogni contatto con la terra. - Bisognerà parlarne, una volta o l'altra, soggiunse cordialmente. - Non capisco bene come lei immagina questa trasposizione del nostro contegno teorico in campo pratico.

Ulrich sapeva di non avere infatti un'idea chiara. Non intendeva né una vita di sperimentatore né una vita "alla luce della scienza", bensì una "ricerca del sentimento" simile alla ricerca della verità, solo che non si trattava della verità. Guardò Arnheim che si avvicinava ad Agathe. Lì accanto c'era anche Diotima; Tuzzi e il conte Leinsdorf passeggiavano su e giù. Con tutti Agathe scambiava parole e pensava: "Perché Ulrich parla con tutti? Avrebbe dovuto andar via con me! Egli svaluta quel che mi ha detto!" Qualcuna delle frasi colte a volo le piacque, ma pure le facevano male. Tutto ciò che veniva da Ulrich la faceva di nuovo soffrire, adesso, e per la seconda volta nella stessa giornata sentì improvviso il bisogno di fuggir via da lui. Disperava ormai di bastargli, nella propria unilateralità, e l'idea di andarsene fra poco a casa come due persone qualsiasi che commentano la serata le era insopportabile!

Ulrich invece seguitava a pensare: "Arnheim non capirà mai! - E integrò la sua spiegazione: - L'uomo scientifico è appunto limitato nel sentimento, l'uomo pratico poi ancora di più. Questo è necessario, come lo star saldamente piantati sulle gambe quando con le braccia si vuole afferrare qualcosa" Anche lui era così, nelle circostanze abituali. Quando meditava, e forse pure sul sentimento in persona, lasciava entrare il sentimento solo con molta circospezione. Agathe diceva ch'era freddezza; lui però sapeva: se si vuol essere interamente quell'altro, bisogna prima rinunziare alla vita, come in un'avventura fatale, perché non si può immaginare quel che accadrà! In quel momento egli ne aveva voglia e non lo temeva più. contemplò a lungo la sorella. Il vivace gioco della parola sul volto più profondo che ne rimaneva intatto. Voleva invitarla a venir via con lui. Prima ch'egli potesse lasciare il suo posto, Stumm s'era di nuovo avvicinato, e lo interpellava.

Il buon generale voleva bene a Ulrich; gli aveva già perdonato gli scherzi sul Ministero della Guerra, anzi in qualche modo quel discorso sulla guerra di religione gli era piaciuto perché aveva qualcosa di festosamente militare come le fronde di quercia sul berretto o le grida di urrah nel giorno natalizio dell'imperatore. Mise il braccio sotto quello dell'amico e pilotò Ulrich fuori della portata degli orecchi altrui.

- Vedi, mi sembra molto bello il tuo concetto che tutti gli avvenimenti nascano dalla fantasia, egli incominciò; - naturalmente questo mio giudizio è più privato che ufficiale - Offrì a Ulrich una sigaretta.

- Devo andare a casa, - dichiarò Ulrich.- Tua sorella si diverte un mondo, perché disturbarla? - disse Stumm. - Arnheim le sta facendo la

corte a tutto spiano. Ah, quel che volevo dirti: ormai la gente non s'interessa più molto al grande ideale dell'umanità: dovresti riportarli tu all'entusiasmo. Voglio dire: nel secolo spira uno spirito nuovo, e dovresti essere tu a dirigerlo!

- Che diavolo ti viene in mente? - chiese Ulrich pieno di diffidenza.- Ecco come vedo la cosa - Stumm ripassò i suoi argomenti e riprese incalzante: - Anche tu sei per

l'ordine, lo si capisce da tutto ciò che dici. Ed ecco che io mi chiedo: l'uomo è buono o ha bisogno piuttosto di una mano forte? Si sente oggi un certo bisogno di risolutezza. Tutto sommato ti ho già detto che sarei più tranquillo se tu riprendessi la tua attività direttiva nell'Azione. Se no, alla fine non si sa che cosa succede con tutti quei discorsi!

Ulrich rise.- Sai che cosa faccio adesso? Non verrò mai più qui! rispose felice.- Ma perché? - protestò Stumm. - Così darai ragione a quelli che dicono che non sei mai stato una

forza dell'Azione!- Se io rivelassi alla gente quello che penso lo direbbero ancora di più! - ribatté Ulrich ridendo, e si

svincolò dal suo amico.Stumm era arrabbiato, ma poi la sua bonarietà ebbe il sopravvento; salutando Ulrich egli disse:- Queste storie sono maledettamente complicate. Certe volte penso che il meglio sarebbe

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l'intervento di un imbecille, sai, una specie di Giovanna d'Arco, forse quello ci potrebbe giovare!Lo sguardo di Ulrich cercava la sorella e non la trovava. Quando chiese di lei a Diotima, Leinsdorf e

Tuzzi tornando dalle altre stanze annunziarono che era cominciato l'episodio generale.- Ho detto subito, - riferì allegramente Sua Signoria alla padrona di casa, - che i discorsi fatti non

rispecchiavano le vere opinioni. E la Calamità ha avuto un'idea veramente salvatrice, cioè si è stabilito di continuare un'altra volta la riunione di stasera. Ma quel Feuermaul, o come si chiama, leggerà una sua poesia molto lunga, così la serata trascorrerà più calma. Naturalmente, data l'urgenza, mi sono permesso di accettar subito in suo nome, cara amica!

Solo allora Ulrich apprese che Agathe s'era congedata improvvisamente e da sola aveva lasciato la casa; gli riferirono che non aveva voluto disturbarlo con la sua subitanea risoluzione.

39.Dopo l'incontro

Colui che presso la tomba del poeta era entrato nella vita di Agathe, il professore August Lindner, vedeva davanti a sé, scendendo a valle, immagini di salvezza.

Se ella dopo il congedo lo avesse seguito cogli occhi avrebbe notato che saltellava impettito giù per il viottolo pietroso, poiché era un'andatura singolarmente tranquilla, fiera e tuttavia cauta. Lindner portava il cappello in mano e di tanto in tanto si accarezzava i capelli; si sentiva così libero e lieto.

"Come sono pochi, - pensò, - coloro che posseggono veramente un'anima compassionevole!" Egli si figurava un'anima capace di trasferirsi tutta nel suo simile, di soffrire i suoi più celati dolori e calarsi nelle sue più segrete debolezze. "Quale prospettiva! - esclamò dentro di sé. - Qual mirabile vicinanza della pietà divina, qual conforto e qual giorno di festa!" Ma subito gli venne in mente com'erano poche le persone disposte anche soltanto ad ascoltare con attenzione il loro prossimo; poiché lui era di quei benevoli che passano dal grande al piccolo senza vedervi nessuna differenza. "Chi, ad esempio, pone sul serio le usuali domande sulla salute dell'interlocutore? - egli si domandò. - Provi costui a descrivere minuziosamente che cosa veramente prova in fondo all'animo, e si vedrà subito di fronte una faccia annoiata e distratta!"

Bene, lui non era caduto in quell'errore. Secondo i suoi principî, proteggere il debole era la necessaria e particolare regola igienica del forte, che senza tale benefica autolimitazione inclina facilmente all'asprezza; ed anche la cultura aveva bisogno di carità per combattere i pericoli ad essa inerenti. A chi vuole spiegarci che cosa sia "cultura universale", egli asserì dentro di sé, deliziosamente rianimato da uno strale rivolto al collega Hagauer, "si dovrebbe prima impartire il consiglio: renditi conto di quel che sentono gli altri! Imparare mediante la compassione è mille volte più importante che imparare dai libri!" A quanto pareva era un'antica divergenza di opinioni che egli esprimeva da un lato sul concetto liberale di cultura, dall'altro sulla consorte del collega; infatti i suoi occhiali balenavano attorno come i due scudi d'un guerriero doppiamente armato. In presenza di Agathe s'era sentito confuso; se ella lo avesse visto adesso, le sarebbe sembrato un capitano, ma non certo il capitano di una truppa spensierata. Giacché un'anima veramente virile è soccorrevole, ed è soccorrevole perché è virile. Egli si pose il problema se aveva agito bene con la bella donna, e la risposta fu: "Sarebbe errato lasciare l'orgoglioso imperativo della sottomissione alla legge a coloro che sono troppo deboli per ciò; e sarebbe scoraggiante che solo sciocchi pedanti fossero custodi e formatori del costume: perciò a coloro che son vivi e forti è imposto il dovere di pretendere il limite e la disciplina a partire dal proprio istinto di forza e di salute; essi devono sorreggere i deboli, scuotere gli ignari e trattenere gli sfrenati!" Gli sembrava per parte sua di averlo fatto.

Come l'anima pia dell'esercito della salvezza si serve dell'uniforme e degli usi militari, così Lindner

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aveva adottato certe forme mentali soldatesche, anzi non aveva paura di fare alcune concessioni all'uomo-potenza di Nietzsche, che per lo spirito borghese di quell'epoca era ancora una pietra dello scandalo; per Lindner però era anche una cote per affilare. Di Nietzsche soleva dire: "Non si può sostenere che sia stato un uomo cattivo, ma le sue dottrine sono esagerate ed estranee alla vita, e il motivo è: che egli nega la compassione; e perciò non ha riconosciuto il meraviglioso contraccambio del debole: di render tenero il forte!" Ed opponendo a tutto ciò le proprie esperienze, pensava ora pieno di liete intenzioni: "Gli uomini veramente grandi non professano affatto un vuoto culto dell'Io, sebbene suscitino negli altri il sentimento della loro elevatezza abbassandosi verso di loro, e se necessario, per loro sacrificandosi!" Guardò trionfalmente negli occhi, con uno sguardo vittorioso e un mite biasimo esortante alla virtù, una coppia di giovani innamorati che venivano su verso di lui stretti stretti; ma era una coppia delle più ordinarie, e il giovane mariuolo che ne costituiva la parte maschile gli ricambiò lo sguardo con una strizzata d'occhi, tirò fuori repentinamente la lingua e disse: - Uhm! - Lindner, che non era preparato allo scherno e alla volgare minaccia, sussultò; ma finse di non accorgersene. Egli amava l'energia, e cercò con lo sguardo un poliziotto che avrebbe dovuto trovarsi nei pressi per garantire la sicurezza delle persone perbene; ma nel volgersi inciampò in un sasso, il moto brusco spaventò uno stormo di passeri che banchettava allegramente alla tavola di Dio, su un bel mucchio di sterco cavallino; il frullo dei passeri mise in guardia Lindner, che, all'ultimo momento, quando stava per cadere ignominiosamente, saltò il doppio ostacolo con una specie di passo di danza. Non si guardò indietro, e dopo un po' si sentì molto in pace con se stesso. "Duri come il diamante e teneri come una madre, così si dev'essere!" commentò con una vecchia definizione secentesca.

Poiché stimava molto anche la virtù della modestia, in nessun altro momento avrebbe detto una cosa simile riguardo a sé, ma tale era il turbamento che Agathe gli aveva provocato nel sangue! Il polo negativo dei suoi sentimenti era che quella donna divinamente fragile, da lui incontrata in lacrime come l'Angelo trovò Maria Maddalena piangente nel giardino - oh, non voleva darsi troppe arie, ma l'indulgere alla poesia, come rende presuntuosi! - quindi riprese più austeramente: era che quella disgraziata donna era sul punto di rompere una promessa resa nelle mani di Dio; giacché così egli vedeva la sua smania di divorziare. Si rimproverava di non averglielo detto con la risolutezza necessaria, gli occhi negli occhi - oh Dio, quale vicinanza anche in queste parole! già, purtroppo non l'aveva dichiarato con la fermezza che ci voleva; ricordava soltanto di aver parlato in generale di costumi rilassati e di mezzi per prevenire questo rilassamento. Certo il nome di Dio non gli era venuto sulle labbra, se non forse come vuota intenzione; e la naturalezza, il tono disinvolto, quasi irriverente con cui Agathe gli aveva chiesto se credeva in Dio lo feriva ancora nel ricordo. Poiché l'uomo veramente pio non si permette di cedere a un semplice impulso e di pensare a Dio con rozza e scoperta immediatezza. Anzi ricordando tale pretesa Lindner detestò Agathe, come se avesse posato il piede su un serpente. Risolse fermamente - se mai potesse trovarsi in grado di ripeterle le sue ammonizioni - di lasciar parlare solo la possente ragione, che è commisurata alle faccende umane ed esiste al mondo proprio per impedire che qualunque indiscreto si permetta di disturbare Iddio con le sue perplessità, da un pezzo risolte; e perciò prese subito a servirsi di essa, e gli vennero in mente alcune parole adatte per una donna che pericola. Ad esempio, che il matrimonio non è un affare privato ma un'istituzione pubblica; che ha l'alto compito di sviluppare il senso di responsabilità e di solidarietà, e la funzione di temprare un popolo mediante la sopportazione di gravi difficoltà; ed anzi, ma questo bisognava dirlo con molto tatto, rappresenta alla lunga la miglior salvaguardia contro l'eccessivo appetito carnale. Gli uomini, forse non a torto, egli li vedeva come un sacco pieno di diavoli, che bisognava tenere ben legato; e la corda era fatta di principî incrollabili.

Come quell'uomo comprensivo, la cui parte corporea, tranne che nell'altezza, non eccedeva in alcuna direzione, fosse giunto al convincimento che bisogna continuamente reprimersi e dominarsi, era certo un mistero che si poteva chiarire soltanto conoscendone la contropartita. Quand'egli giunse alle falde della collina incontrò una fila di soldati e contemplò con affettuosa commozione quei giovanotti

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sudati che s'erano spinti i berretti fin sulla nuca e con le facce intontite dalla stanchezza sembravano un corteo di bruchi polverosi. Il suo orrore per la leggerezza con cui Agathe aveva trattato il problema del divorzio fu a tale vista trasognatamente attenuato dal piacere che ciò dovesse succedere al suo collega, il libero pensatore Hagauer; e quell'impulso valse in ogni modo a ricordargli l'indispensabile sfiducia nei confronti della natura umana. Si prefisse quindi di ammonire Agathe, spietatamente - nel caso che l'occasione si ripresentasse per davvero e senza sua colpa - che in ultima analisi le forze egoistiche sono soltanto distruttive e che ella doveva subordinare il suo personale sconforto, per quanto grande, al riconoscimento morale che la vera pietra di paragone della vita è proprio la convivenza.

Ma l'occasione si sarebbe offerta davvero? Questo era evidentemente il punto intorno al quale turbinavano, così stimolati, i pensieri di Lindner. "Vi sono molti individui forniti di nobili qualità non ancora raccolte in una salda convinzione", intendeva dire ad Agathe; ma come gliel'avrebbe detto, se non la rivedeva? E tuttavia l'idea che lei potesse venire a cercarlo contrastava con tutti i suoi concetti di delicata e intatta femminilità. "Bisognerebbe farglielo subito capire, molto recisamente!", egli stabilì, e poiché aveva preso questa risoluzione non dubitò più che ella sarebbe venuta per davvero. Esortò se stesso a rivivere con lei spassionatamente, prima di persuaderla dei suoi errori, i motivi ch'ella avrebbe addotto a propria giustificazione; con pazienza inalterabile l'avrebbe colpita al cuore, e dopo aver immaginato anche questo, discese nel suo animo un nobile sentimento di rispetto e di sollecitudine, di sacra fraternità; ed egli si rese ben conto che tale sentimento doveva fondarsi sempre sulle relazioni intercorrenti fra i sessi. "Pochissimi uomini, - egli esclamò edificato, - sanno quanto profondamente una nobile creatura femminile aspiri ad un uomo eletto, che coltivi schiette relazioni con lei come essere umano, senza che queste siano subito complicate dai turbamenti della sensualità!" Questi pensieri dovevano avergli dato le ali, giacché senza sapere come, egli si trovò a un tratto davanti al capolinea del tram, e prima di salire si tolse gli occhiali per nettarli del vapore di cui i suoi infocati ragionamenti li avevano appannati. Poi con un balzo andò a sedere in un angolo, si guardò intorno nella carrozza vuota, preparò il denaro per il biglietto, guardò in faccia il fattorino, e si sentì perfettamente a posto per intraprendere il viaggio di ritorno grazie a quell'ammirevole istituzione civica che è la tranvia comunale. Con un piacevole sbadiglio si liberò dalla stanchezza della passeggiata, indurendosi per nuovi doveri, e riassunse le singolari digressioni a cui s'era abbandonato nella sentenza: Però, dimenticare se stessi è per l'uomo la cosa più sana che vi sia!"

40.L'uomo dabbene

Contro i moti imprevedibili di un cuore appassionato non v'è che un rimedio efficace: metodicità mantenuta ad ogni costo; e Lindner, che l'aveva acquistata per tempo, le doveva tanto i buoni successi della sua vita quanto la convinzione di esser stato in origine un uomo passionale e difficile da disciplinare. La mattina si alzava presto, estate ed inverno alla stessa ora, e in un piccolo catino di ferro si lavava la faccia, il collo, le mani e una settima parte del corpo, ogni giorno un pezzo diverso, s'intende; dopodiché strofinava il resto con un asciugamano bagnato, così il bagno completo - operazione lunga e voluttuaria - poteva essere fatto solo una volta ogni due settimane. V'era in ciò la vittoria dell'intelligenza sulla materia; e chi abbia avuto occasione di considerare gli impianti igienici insufficienti e i giacigli scomodi di cui si accontentarono personaggi divenuti storici non avrà potuto fare a meno di sospettare una correlazione fra letti di ferro e uomini di ferro, anche se non è il caso di esagerare, perché se no si dovrebbe dormire addirittura su letti di chiodi. Dunque qui era imposto al pensiero anche un compito di mediazione, e Lindner lavatosi nel riflesso di esempi stimolanti sfruttava con la molta misura l'operazione successiva per dare un po' di moto al corpo con l'uso sagace

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dell'asciugatoio. È infatti uno sbaglio funesto fondare la salute sulla parte animalesca dell'uomo, mentre invece la saldezza fisica procede dalla nobiltà spirituale e morale; e se questo non accade sempre nei singoli casi, è tanto più vero in generale, perché la forza di un popolo è conseguenza dello spirito giusto, e non vale l'inverso. Perciò le frizioni di Lindner erano regolate in modo da evitargli di cadere, con gesti sconsiderati, nel solito feticismo maschile, e in compenso impegnavano tutta la sua personalità perché i movimenti del corpo erano collegati con bei compiti interiori. Egli aborriva particolarmente il culto rompicollo dell'audacia, che, venuto fuori, adesso anche in patria era diventato l'ideale di alcuni; e uno dei suoi esercizi mattutini era appunto il distogliersene. Lo sostituiva molto cautamente con un contegno assai più diplomatico nell'uso ginnastico delle proprie membra, e univa la tensione della volontà a un'opportuna cedevolezza, il superamento del dolore ad una comprensiva umanità, e quando come ultimo esercizio di bravura saltava una seggiola rovesciata lo faceva tanto con riservatezza quanto con sicurezza. Questo spiegamento delle più varie qualità umane faceva dei suoi esercizi ginnastici, che da tanti anni eseguiva, veri esercizi di virtù.

Bisognerebbe però accennare rapidamente allo spirito nefasto di supremazia che sotto il pretesto di cultura fisica s'è impadronito dell'ideale sportivo, in origine sano. E anche alla forma femminile di questo spirito, che è la cura della bellezza. Lindner si lusingava di appartenere ai pochi che sanno distribuire equamente luce e ombra, e così com'era pronto a cavar sempre dallo spirito dei tempi un nocciolo non guasto, riconosceva anche il dovere morale di apparire sano e gradevole quanto più era possibile. Egli stesso ogni mattina si curava meticolosamente la barba e i capelli, teneva le unghie corte e pulitissime, metteva sulla testa un po' di brillantina, e un po' di pomata lenitiva sui piedi che di giorno sopportavano tanti sforzi. Chi invece potrebbe negare che nella giornata di una donna di mondo l'attenzione dedicata al corpo occupi un tempo eccessivo? Ma se era proprio una cosa ineluttabile - Lindner era volentieri indulgente con le donne, soprattutto quando si potevano trovare fra loro anche le mogli di uomini potenti - che acque e lozioni, creme e maschere, cure delle mani e dei piedi, massaggiatori e parrucchieri si susseguissero quasi ininterrottamente, egli raccomandava come compenso a quella unilaterale cultura estetica ciò che egli, in un pubblico discorso, aveva definito cultura della bellezza interiore, o semplicemente cultura interiore. Per esempio, le abluzioni ci richiamino all'intima purezza, le unzioni ai doveri verso l'anima, il massaggio alla mano del destino che ci tiene; e limandoci le unghie dei piedi non dimentichiamo che anche il nostro io più riposto deve offrire uno spettacolo di bellezza. Così egli trasferiva la sua immagine sulle donne, lasciando a loro stesse la cura di adattarne i particolari ai bisogni del loro sesso.

Certo avrebbe potuto darsi che un ignaro, alla vista di Lindner intento al servizio della bellezza e della salute, e soprattutto mentre si lavava e asciugava, non potesse trattenere il riso; infatti i suoi movimenti facevano pensare a un collo di cigno che si torce, ma quelle volute non erano rotonde bensì costituite da elementi aguzzi come ginocchi e gomiti; gli occhi miopi, privi di occhiali, fissavano il vuoto con espressione di martire, come se lo sguardo fosse tagliato via con le forbici a poca distanza dalle pupille, e sotto i baffi le labbra molli erano contratte nel dolore dello sforzo. Chi invece sapeva vedere spiritualmente, poteva scorgere le forze esterne ed interne suscitarsi l'un l'altra in ponderata e matura elaborazione; e se Lindner intanto pensava alle povere donne che trascorrono ore nel bagno e nello spogliatoio e si scaldano la fantasia soltanto con il culto del corpo, raramente poteva scacciare il pensiero che sarebbe stato loro molto utile vedere i suoi esercizi. Innocentemente, puramente, esse salutano con favore la moderna cultura fisica e l'adottano perché nella loro ignoranza non sospettano che la troppa attenzione dedicata alla parte animale desta in esse troppe pretensioni che possono distrugger la vita se non sono rigidamente disciplinate.

Già Lindner tramutava tutto quel che toccava in una esigenza morale; e che fosse vestito o no, ogni ora del giorno fino all'avvento di un sonno senza sogni era piena di un contenuto importante a cui rimaneva per sempre consacrata. Dormiva sette ore; i suoi impegni di insegnamento, che il ministero aveva ridotto in considerazione della sua bene accetta attività letteraria, gli richiedevano da tre a cinque

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ore al giorno, nelle quali era compresa la lezione di pedagogia che egli teneva all'università due volte la settimana; cinque ore consecutive - quasi ventimila in dieci anni! - erano dedicate alla lettura; due e mezzo alla stesura dei suoi libri, che fluivano senza intoppo come un'acqua sorgiva dalle rocce della sua personalità; i pasti gli prendevano un'ora al giorno; un'altra ora era assegnata al passeggio e nello stesso tempo alla elaborazione di importanti problemi dell'insegnamento e della vita, mentre un'altra serviva agli spostamenti necessari e contemporaneamente a ciò che Lindner chiamava la meditazione minore, il raccoglimento spirituale sul contenuto dell'occupazione terminata o da iniziare; altri ritagli di tempo, alcuni una volta per tutte, altri varianti secondo i giorni, erano previsti per vestirsi e per spogliarsi, far ginnastica, scriver lettere, sbrigare affari, conferire con le autorità e avere utili rapporti sociali. S'intende poi che l'esecuzione di questo programma non si svolgeva soltanto secondo le sue linee grandi e rigorose, ma recava anche molte varianti come la domenica con i suoi doveri non quotidiani, la grande passeggiata in campagna che cadeva ogni quindici giorni, o il bagno intero, e che comportava anche altre attività giornaliere non mentovate, come ad esempio la conversazione di Lindner col figlio durante i pasti, oppure, quando doveva vestirsi in fretta, l'esercizio del carattere mediante la paziente sopportazione di difficoltà impreviste.

Tale disciplina mentale non soltanto è possibile ma anzi utilissima, e Lindner aveva per essa una spontanea predilezione. "Nelle piccole cose che io faccio bene io vedo l'immagine di tutte le cose grandi che si fanno bene nel mondo", ha detto Goethe; e in tal senso un desinare può quanto una missione del destino servir d'occasione al dominio su se stessi e alla vittoria sulla cupidità; e anche dalla resistenza, sorda ad ogni ragionamento, del bottone di un colletto, la mente più penetrante saprà imparare addirittura a trattare coi bambini. Naturalmente Lindner si guardava bene dal considerare in tutto Goethe come un modello; ma quale squisita umiltà non aveva già gustata nel cacciare a martellate un chiodo nella parete, ricucire da solo un guanto strappato o riparare un campanello rotto! Se nel fare ciò si schiacciava un dito o si pungeva, il dolore, magari non subito ma dopo qualche secondo sgradevolissimo, era superato dal piacere dell'industrioso spirito umano che sta persino in quelle modeste abilità e nel loro apprendimento, e al quale l'intellettuale, con proprio grande svantaggio, si crede oggi orgogliosamente superiore. Con soddisfazione aveva allora sentito risorgere in sé lo spirito goethiano e l'aveva tanto più goduto in quanto si sentiva pur tuttavia, grazie ai procedimenti di un'epoca più recente, al di sopra del dilettantismo pratico del poeta classico e della sua gioia occasionale per le ragionate abilità manuali acquistate. In generale Lindner andava immune dall'idolatria per l'antico poeta, che era vissuto in un mondo illuminato solo a metà e perciò esageratamente infatuato dell'illuminismo; e lo prendeva ad esempio più nelle amabili piccolezze che nelle cose serie e grandi, lasciando da parte poi la famigerata sensualità dell'affascinante ministro del duca di Weimar.

La sua venerazione dunque era accuratamente dosata. Tuttavia da qualche tempo faceva capolino in essa uno strano fastidio che sovente induceva Lindner alla meditazione. Egli aveva sempre creduto di avere dell'eroico una concezione più giusta di Goethe. Degli Scevola che mettono la mano sul fuoco, delle Lucrezie che si trafiggono, delle Giuditte che mozzano la testa agli insidiatori del loro onore - "motivi" che Goethe avrebbe sempre trovato interessanti, anche se non li trattò mai - Lindner non aveva un'alta opinione; anzi a dispetto dell'autorità dei classici era persuaso che questi uomini e donne, i quali commisero delitti in nome dei loro convincimenti personali, oggi non meriterebbero il coturno, bensì il banco degli accusati. Alla loro inclinazione per le gravi lesioni corporali egli contrapponeva una concezione "spiritualizzata e sociale" del coraggio. Nei discorsi e nei pensieri giungeva addirittura a preferire una nota ben meditata nel registro di classe o una ponderata risoluzione sul modo di rimproverare la domestica per zelo intempestivo, perché in tali casi si deve non soltanto seguire le proprie passioni ma anche tener conto dei motivi altrui. E quando esprimeva tali opinioni gli pareva di contemplare, vestendo un civile abito moderno, il tronfio costume moralistico di un secolo passato.

La sfumatura di ridicolo legata a simili esempi non gli sfuggiva, ma lui la chiamava il riso dello spirito plebeo; e aveva due buone ragioni. In primo luogo sosteneva che ogni motivo può servire tanto al

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rafforzamento quanto all'indebolimento della natura umana, solo che i motivi minori gli sembravano più adatti al rafforzamento che non le grandi occasioni, poiché nel glorioso esercizio della virtù viene involontariamente eccitata anche l'umana tendenza all'orgoglio e alla vanità; mentre la modesta pratica quotidiana è fatta di virtù pura e semplice. In secondo luogo un'amministrazione pianificata del "patrimonio morale della stirpe" (Lindner amava quest'espressione, accanto alla parola soldatesca "disciplina", perché pur essendo nuova di zecca ha in sé qualche cosa di rustico) non poteva trascurare le piccole occasioni, anche perché l'empia dottrina diffusa dai "liberali e frammassoni", che le grandi imprese umane procedano da un nulla, anche se lo si vuol chiamare genio, stava già allora invecchiando. Nella luce intensificata dell'attenzione pubblica, l'"eroe", che un tempo era apparso una figura arrogante, diventava un instancabile lavoratore in piccolo, che con lo studio e la diligenza si prepara alla scoperta; atleta, deve vegliare sul proprio corpo come un cantante d'opera sulla propria voce; rinnovatore politico della stirpe, deve ripetere innumerevoli volte le stesse cose in adunate e comizi. E di tutto ciò, Goethe - che in vita sua era stato un pigro borghese aristocratico - non aveva avuto sospetto, Lindner invece ne vedeva l'avvento! Era dunque comprensibile che egli credesse di difendere la parte migliore di Goethe contro quella più effimera, quando al tragico preferiva il prudentemente socievole che quegli possedeva in così letificante misura; inoltre si potrebbe sostenere che se Lindner, solo perché era un pedante, si considerava un uomo minacciato da pericolose passioni, lo faceva a ragion veduta.

In verità poco tempo dopo una delle più diffuse possibilità umane è diventata quella di sottomettersi ad un "regime", il che porta al medesimo buon successo sia che si tratti di una cura dimagrante, quanto di politica e della vita spirituale. In tal modo pazienza, docilità, metodicità, calma ed altre virtù molto ordinate diventano le principali componenti dell'uomo allo stato privato, mentre tutte le sbrigliatezze, le violenze, le cupidige e le audacie, di cui egli, come sfrenato romantico, non vuole tuttavia fare a meno, hanno nel regime un magnifico posto. Probabilmente questa strana tendenza a sottoporsi a un regime o a condurre una vita faticosa, sgradevole e stentata, secondo i precetti di un medico, di un maestro di sport o d'un altro tiranno - il che si potrebbe tralasciare con insuccesso altrettanto buono - è già un passo verso l'avvento dello stato dei lavoratori, dei guerrieri e delle formiche, a cui il mondo è prossimo; ma lì stava anche il confine che Lindner non era più capace di varcare e dove il suo occhio più non giungeva, perché glielo impediva la sua parte di retaggio goethiano.

La sua religiosità non era inconciliabile con ciò, perché egli lasciava a Dio quel che è di Dio e ai santi la santità non diluita, però non poteva tollerare il pensiero di rinunciare alla propria personalità, e il suo vago ideale d'un mondo perfetto era una comunità di persone morali e responsabili, che, come una borghese milizia di Dio, combattesse bensì contro l'instabilità della bassa natura e trasformasse la vita quotidiana in un sacrario, ma ornasse poi questo sacrario di grandi opere dell'arte e della scienza. Se qualcuno avesse esaminato la sua tabella oraria, avrebbe visto che assommava soltanto a ventitre ore, mancavano dunque sessanta minuti, e di questi, quaranta erano dedicati una volta per tutte alla conversazione e al benevolo esame della natura e degli sforzi del suo prossimo inclusa la frequentazione di mostre, concerti e riunioni. Egli odiava tali cose. Quasi ogni volta ne era ferito; secondo lui in quelle manifestazioni disordinate e sopravvalutate si sfogava il ben noto nervosismo del nostro tempo, con le sue eccitazioni vane e i suoi autentici dolori, con la sua insaziabilità e instabilità, la sua bramosia di cose nuove e la sua inevitabile decadenza morale. Sorrideva turbato, sotto i suoi baffi radi, quando in tali occasioni vedeva uomini e donne con guance accese al servizio idolatra della cultura. Essi ignoravano che la forza vitale si accresce con la compressione e non con la dispersione. Erano invasati dalla paura di non aver tempo per tutto, e non sapevano che aver tempo significa precisamente non aver tempo per tutto. Lindner aveva capito che il cattivo stato dei nervi non è cagionato dal lavoro e dalla fretta, ma al contrario dalla cultura e dall'umanesimo, dai riposi, dalle interruzioni del lavoro, dai minuti lasciati liberi, in cui l'uomo vorrebbe vivere per se stesso e cerca qualcosa che possa sembrargli bello o gradevole o importante; da tali minuti salgono i miasmi dell'impazienza, dell'infelicità e dell'assurdità.

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Egli sentiva così e se avesse potuto fare a modo suo, cioè secondo le visioni che aveva in quei momenti, avrebbe scopato via con una scopa di ferro tutti quei templi dell'arte; feste del lavoro e dell'edificazione, inserite subito dopo l'attività quotidiana, avrebbero sostituito quei cosiddetti avvenimenti spirituali; non ci sarebbe stato altro da fare che toglier via da un'epoca intera pochi minuti al giorno, che devono la loro grama esistenza ad un male inteso liberalismo. Ma non aveva mai avuto la forza di sostenerlo seriamente e pubblicamente e fuori che in qualche fiacca allusione.

E Lindner alzò gli occhi improvvisamente; mentre così sognava e ragionava era ancor sempre in tram, e si sentiva irritato e oppresso, come lo si è per indecisione e impotenza, ed ebbe per un momento la confusa impressione di aver pensato continuamente ad Agathe. La quale aveva avuto l'onore che era andato a fondersi con lei un dispetto incominciato innocentemente con una lieta reminiscenza goethiana, sebbene non se ne vedesse proprio la ragione. Secondo la sua abitudine, Lindner s'ammonì da se stesso: "Dedica una parte della tua solitudine alla tranquilla meditazione sul tuo prossimo, specialmente se tu dovessi non concordare con esso; forse allora capirai meglio ciò che ti urta, e imparerai a servirtene; e saprai essere indulgente per la sua debolezza e incoraggiare la sua virtù che probabilmente è soltanto intimidita!" egli sussurrò senza muovere le labbra. Era una delle massime da lui coniate contro le mene sospette della cosiddetta cultura ed egli ne ricavava di solito la serenità per sopportarle; ma non ottenne il risultato voluto, e evidentemente non era l'equanimità questa volta che gli faceva difetto. Tirò fuori l'orologio, e si rese conto che aveva donato ad Agathe più tempo di quanto aveva a disposizione. Ma non avrebbe potuto farlo se nel suo orario giornaliero non vi fossero stati venti minuti d'avanzo per perdite di tempo inevitabili; e vide che di quel conto perdite, di quella riserva di tempo le cui gocce preziose erano l'olio lubrificante del suo ingranaggio quotidiano, anche in quel giorno straordinario sarebbero rimasti ancora dieci minuti quando egli fosse rincasato. Questo non avrebbe dovuto sollevargli lo spirito? Gli venne in mente un'altra delle sue massime, e oggi era la seconda volta: "Quanto più incrollabile la tua pazienza, - disse Lindner a Lindner, - tanto più sicuramente colpirai l'altro nel cuore!" E colpire al cuore gli dava un piacere che corrispondeva al lato eroico della sua natura; che i così colpiti non potessero mai restituire il colpo non aveva nessunissima importanza per lui.

41.Fratello e sorella il giorno dopo

Di quest'uomo Ulrich e la sorella capitarono a parlare di nuovo quando si rividero la mattina dopo l'inopinata scomparsa di Agathe dal ricevimento di Diotima. La sera prima anche Ulrich aveva abbandonato poco dopo di lei l'adunanza battagliera, ma non era più arrivato in tempo a chiederle perché se ne era andata così repentinamente; ella si era chiusa in camera, e dormiva già, oppure aveva preferito lasciare senza risposta la sommessa domanda di Ulrich attraverso la porta, s'ella vegliasse ancora. Così la giornata dell'incontro con lo strano signore sconosciuto si chiuse bizzarramente come si era iniziata. Anche il giorno dopo non fu possibile ottenere da lei spiegazione alcuna. Lei stessa non conosceva le proprie reali sensazioni. Se pensava alla lettera del marito, che non poteva risolversi a leggere una seconda volta benché se la vedesse a portata di mano, le pareva incredibile che fosse arrivata da un giorno appena, tante erano le disposizioni d'animo attraverso le quali ella era passata. Qualche volta le sembrava che quella lettera meritasse davvero la lugubre definizione "fantasmi del passato"; tuttavia ne aveva anche una paura reale. E ogni tanto suscitava in lei solamente un certo senso di disagio come la vista inattesa di un orologio fermo; altre volte invece la immergeva in una rigida pensosità l'idea che il mondo da cui la lettera proveniva avesse la pretesa di essere per lei il suo mondo reale. Ciò che, intimamente, non la sfiorava nemmeno, dal di fuori la circondava invisibile e seguitava

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ad avvolgerla. Involontariamente fece un raffronto tra questo e quel che era accaduto fra lei e il fratello dopo l'arrivo della lettera. Erano appunto dialoghi, e sebbene uno di questi l'avesse addirittura indotta a pensare al suicidio non ne ricordava più il contenuto, benché fosse probabilmente pronto a tornare a galla e non fosse ancora superato. Non era molto importante, in fondo, l'argomento di una conversazione, e pesando da una parte la sua vita attuale, sentimentalmente così ricca, e dall'altra la lettera, provò l'impressione di un movimento profondo, costante, incomparabile ma impotente. Per tutto questo, quel mattino ella si sentiva da un lato stanca e svuotata, dall'altra tenera e inquieta, come un febbricitante dopo che la temperatura è caduta.

Era perciò incongruo soltanto in apparenza che ella dicesse a un tratto:- Partecipare, in modo da sentire noi stessi quello che sente un altro, dev'essere indicibilmente

difficile!Ulrich replicò:- Vi sono persone che s'immaginano d'esserne capaci.Era scontroso e di malumore, e l'aveva capita soltanto a metà. Alle parole di lei qualcosa si fece da

parte, cedendo il posto a una collera che era rimasta lì dal giorno prima, anche se egli ne aveva disprezzato. Per il momento la conversazione terminò lì.

Il mattino era venuto con la pioggia, chiudendo i fratelli in casa. Le foglie degli alberi rilucevano sperdute davanti alle finestre come linoleum bagnato; la strada negli spazi fra i rami specchiava come una soprascarpa di gomma. Gli occhi stentavano ad afferrare una vista così inzuppata. Agathe sospirò e disse:

- Oggi il mondo ricorda le nostre camere di bambini.Alludeva alle nude stanzette a mansarda nella casa del padre, che entrambi avevano rivisto con

compunta meraviglia. Questo ricordo sembrava un po' fuori luogo, ma essa aggiunse:- È la prima tristezza dell'uomo in mezzo ai suoi giocattoli, che sempre poi lo riprenderà!Dopo un periodo di bel tempo stabile avevano atteso involontariamente un'altra giornata di sole e

ora l'aspettativa delusa riempiva l'animo di un'impaziente malinconia. Anche Ulrich s'affacciò alla finestra. Dietro il grigio muro scorrente di pioggia ondeggiavano contorni indefiniti di passeggiate, campagna verde, mondo sconfinato; e forse il desiderio fantomatico di restare una volta soli e di muoversi liberamente in tutte le direzioni, desiderio il cui dolce dolore è la storia della passione ed anche già la risurrezione dell'amore. Si volse alla sorella con qualcosa ancora di tutto questo nell'impressione del viso e del corpo, e quasi con violenza le chiese:

- Allora io non conto fra coloro che sanno partecipare fino a identificarsi con gli altri?- Oh no, no di certo! - ella rispose, e gli sorrise.- Ma proprio ciò che quella gente lì s'immagina di poter fare, - egli riprese, comprendendo solo allora

che lei parlava molto sul serio, - cioè soffrire insieme con gli altri, riesce loro impossibile come a qualsiasi altro. Tutt'al più hanno la sagacia di certe infermiere, di indovinare quello che il paziente desidera sentirsi dire...

- E dunque sanno quel che gli fa bene, - obiettò Agathe.- Niente affatto! - ribatté Ulrich intestandosi. - probabilmente danno conforto per il semplice fatto di

discorrere: chi chiacchiera molto scarica a goccia a goccia il dolore dell'altro, come una pioggia scarica l'elettricità di una nuvola. È la nota attenuazione della sofferenza mediante lo sfogo verbale.

Agathe tacque.- Le persone come il tuo nuovo amico, - sentenziò Ulrich provocante, - ottengono forse l'effetto di

certi rimedi per la tosse: non eliminano il catarro ma ne alleviano l'irritazione, e poi spesso finisce per guarire da solo!

In ogni altra circostanza avrebbe potuto contare sull'approvazione della sorella, ma quell'Agathe che da ieri aveva idee così strane con la sua improvvisa debolezza per un uomo di cui Ulrich metteva in dubbio il valore, sorrideva inflessibile e giocava colle proprie dita. Ulrich balzò in piedi e disse calcando

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le parole:- Ma io lo conosco, benché di sfuggita; l'ho udito parlare due o tre volte.- L'hai anche definito un asino che non sa di nulla, - osservò Agathe.- E perché no? - si difese Ulrich. Uomini come quello son meno capaci di chiunque altro di mettersi

all'unisono con qualcuno. Non sanno neppure cosa significhi. Non sentono neanche la difficoltà, la terribile problematicità di una simile impresa!

Agathe chiese:- Perché l'impresa ti pare problematica?Ora fu Ulrich a tacere. Si accese anche una sigaretta per confermare che non avrebbe risposto, tanto

ne avevano già parlato abbastanza il giorno prima. Anche Agathe lo sapeva, e non voleva provocare nuove spiegazioni. Quelle spiegazioni erano così incantevoli e annichilanti, come guardare il cielo quando vi si vedono città di marmo grigio, rosa e giallo fatte di nubi. Ella pensò: "Come sarebbe bello se lui dicesse soltanto: Ti voglio amare come me stesso, e posso amarti così meglio che ogni altra donna, perché sei mia sorella!" E poiché lui non lo voleva dire, Agathe prese un paio di forbicine e tagliò con cura un filo che veniva fuori da qualche parte, come se in quel momento fosse l'unica cosa al mondo a meritare la sua piena attenzione. Ulrich la osservava altrettanto attento. La sentiva in tutti i suoi sensi più seducentemente presente che mai, e indovinava qualcosa di quello che ella gli nascondeva, seppure non tutto, giacché nel frattempo ella era giunta ad una conclusione: se Ulrich poteva dimenticare che lei stessa rideva del signore sconosciuto che presumeva di poterla aiutare, lei certo ora non glielo avrebbe lasciato capire. E inoltre aveva anche di Lindner un presentimento pieno d'attesa. Non lo conosceva, ma che egli le avesse offerto, con convinzione e abnegazione, il suo aiuto doveva ben ispirarle fiducia, poiché una lieta melodia del cuore, una salda fanfara di volontà, di sicurezza e d'orgoglio, beneficamente contrapposta al suo stato, pareva risonarle incontro rianimante, malgrado i lati comici del caso. "Per grandi che siano le difficoltà, non vogliono dire nulla per chi veramente vuole!", ella pensò, e fu colta inaspettatamente dal rimorso, cosicché ruppe ora il silenzio all'incirca come si spezza un fiore perché due teste vi si possano chinare sopra, e alla sua prima domanda aggiunse la seconda:

- Ti ricordi di aver detto più volte che "ama il prossimo tuo" è così diverso da un dovere come un diluvio di beatitudine da una goccia di contentezza?

Stupì della violenza con la quale Ulrich le rispose:- Non mi è ignota l'ironia della mia condizione. Da ieri, e forse da sempre, non ho fatto altro che

radunare un esercito di motivi per cui questo amore del prossimo non è una felicità ma un problema straordinario, immenso, quasi impossibile da risolvere. Nulla dunque è più comprensibile del fatto che tu cerchi protezione presso qualcuno che di tutto ciò è completamente ignaro, e al tuo posto lo farei anch'io!

- Ma non lo faccio, non è niente vero! - ribatté Agathe brevemente.Ulrich non poté trattenersi dal lanciarle uno sguardo tanto riconoscente quanto sospettoso.- Lasciamo stare, - disse poi. - In fondo io non volevo parlarne - Esitò un attimo e continuò: - Ma

vedi, anche se si vuole amare qualcuno come se stesso, e per quanto grande sia l'amore che gli si porta, questo amore resta pur sempre un ingannare, un ingannare anche se stessi, perché non si può, semplicemente non è possibile, sentire come gli fa male la testa o il dito. È una cosa intollerabile che non si possa veramente esser parte di una persona amata, eppure è così semplice. Il mondo è fatto così. Portiamo la nostra pelliccia animale coi peli verso l'interno e non ce ne possiamo spogliare. E questo terrore nella tenerezza, quest'incubo dell'avvicinamento che rimane a mezzo, la brava gente - i buoni per definizione - non l'hanno mai conosciuto. Anzi, ciò che essi chiamano la loro partecipazione, la loro simpatia, non è che un surrogato destinato ad impedir loro di sentirne una qualsiasi mancanza!

Agathe dimenticò di aver detto poco prima qualcosa che poteva essere una bugia come poteva non esserlo. Vedeva che nelle parole di Ulrich il disinganno era rischiarato dalla visione di una

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compartecipazione reciproca, di fronte alla quale le consuete prove di amore, di bontà, di simpatia perdevano il loro significato; e capiva che perciò egli parlava più sovente del mondo che di se stesso, perché bisognava bene staccarsi con tutta la realtà come una porta dal cardine, se doveva trattarsi di qualcosa di più che di una vana fantasticheria. In quel momento ella era mille miglia lontana dall'uomo con la barba rada e l'austerità timida che voleva farle del bene. Ma non era capace di dirlo. Si accontentava di guardare Ulrich, poi volgeva lo sguardo altrove senza parlare. Si diede quindi da fare qua e là, dopo di che si guardarono ancora. Dopo brevissimo tempo il silenzio fra loro parve durare da ore.

Il sogno di essere due creature e una sola...: in verità l'affetto di questa fantasia in certi momenti non era diverso da quello di un sogno uscito dai confini della notte, e anche adesso ella oscillava tra fede e negazione in uno stato d'animo cui la ragione non poteva più dar ordini. Era innanzi tutto l'insindacabile struttura dei corpi che respingeva il sentimento indietro nella realtà. Questi corpi davanti allo sguardo indagatore sciorinavano il loro essere, poiché si amavano, in meraviglie ed estasi che si rinnovavano come una ruota di pavone trascinata nei gorghi del desiderio; ma appena lo sguardo si staccava dai cento occhi dello spettacolo che l'amore dà all'amore, e cercava di inoltrarsi verso l'essere che, dietro l'apparenza, pensava e sentiva, quei corpi si trasformavano in carceri crudeli. Di nuovo, come tante volte prima, l'uno si trovava di fronte all'altro e non sapeva che cosa dire, perché per tutto quello che il desiderio avrebbe ancora avuto da dire o da ripetere ci voleva un impeto troppo scagliato verso l'altra sponda, che non aveva né fondamento né appiglio.

E dopo non molto tempo, involontariamente anche gli slanci corporei rallentavano e si fermavano. Fuori delle finestre la pioggia seguitava a riempire l'aria con una cortina palpitante di gocce e con rumori addormentanti attraverso la cui monotonia la desolazione scorreva giù dai cieli. Sembrava ad Agathe che fossero secoli che il suo corpo era solitario, e il tempo fluiva come se defluisse dal cielo insieme con la pioggia. Nella stanza c'era adesso una luce come un dado cavo d'argento. Da sigarette lasciate negligentemente bruciare, spire di veli azzurri e dolciastri cingevano Agathe e Ulrich. Ella non sapeva più se era sensibile e tenera fin nell'intimo oppure impaziente e cattiva verso il fratello, di cui ammirava la tenacia. Cercò i suoi occhi e li trovò che fluttuavano irrigiditi come due lune in quell'atmosfera incerta. E nello stesso momento accadde qualcosa che non sembrava venire dalla sua volontà ma dall'esterno: l'acqua che sgorgava davanti alle finestre divenne improvvisamente carnosa come la polpa di un frutto e la sua turgida mollezza parve insinuarsi fra lei e Ulrich. Forse Agathe si vergognava o addirittura odiava un poco se stessa per questo, ma una completa sfrenatezza sensuale - e non soltanto quello che si chiama scatenamento dei sensi, ma piuttosto soprattutto un libero e volontario distacco dei sensi dalle cose del mondo - cominciò a impadronirsi di lei; ed ella poté giusto giusto prevenirlo, e persino nasconderlo a Ulrich, invocando il primo pretesto venutole alla mente, di aver dimenticato di fare qualcosa, balzando in piedi ed uscendo dal salotto.

42.Sulla scala degli angeli in una casa sconosciuta

Ciò fatto, risolse però di andare a visitare lo strano uomo che le aveva offerto il suo aiuto e si accinse tosto a mettere in atto il progetto. Voleva confessargli di non saper più che fare di se stessa. Non aveva di lui un'idea precisa; un uomo visto tra lacrime asciugatesi poi in sua compagnia, è difficile che appaia quale realmente egli è. Perciò ella rifletté su di lui cammin facendo. Credeva di ragionare obiettivamente; ma in verità era ancora una fantasticheria. Ella camminava in fretta per le strade e portava davanti agli occhi la luce della stanza di Ulrich. Ma non era stata una vera luce, ella rifletté: preferiva dire piuttosto che gli oggetti nella stanza avevano a un tratto perso il controllo o una specie di

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ragione che dovevano pur avere. Ma se invece era soltanto lei stessa che aveva perduto il controllo o la ragione, la cosa non sarebbe rimasta limitata a lei, perché anche negli oggetti aveva determinato una liberazione, qualche moto miracoloso. "Un momento dopo saremmo stati sbucciati dai nostri vestiti come da un coltello d'argento senza che movessimo realmente un dito!", ella pensò.

Ma a poco a poco si calmò sotto la pioggia innocua e grigia che le bagnava scrosciante il cappello e il soprabito, e i suoi pensieri presero un corso più tranquillo. Forse a ciò giovò anche il vestiario semplice, indossato di furia, perché dirigeva i suoi ricordi verso indifesi tragitti casa-scuola e vita innocente di scolara. Inattesa le tornò in mente un'estate spensierata trascorsa con un'amica e i genitori di questa in una piccola isola del nord: là fra gli austeri splendori del mare e del cielo avevano scovato un luogo dove nidificavano gli uccelli marini, una piccola insenatura piena di piume morbide e bianche. E ora lo sapeva: l'uomo verso il quale si sentiva attratta la faceva pensare a quel porticciuolo. L'idea la rallegrò. Certo allora, con la severa sincerità che è inerente al bisogno d'esperienza proprio dei giovani, non si sarebbe concessa di abbandonarsi, così illogicamente come faceva adesso con tanto zelo, da giovinetta immatura, ad un brivido ultraterreno nell'immaginare quella morbidità e quel biancore. Il brivido era per il professor Lindner; ma l'ultraterreno pure.

Il presentimento pieno di certezza che tutto ciò che le accadeva avesse un legame fiabesco con qualcosa di nascosto le era già noto da tutti i periodi agitati della sua vita; lo sentiva come una vicinanza, dietro le sue spalle, e inclinava ad aspettare l'ora del miracolo, in cui non avrebbe avuto altro da fare che chiudere gli occhi e distendersi. Ulrich invece non vedeva il vantaggio delle celesti fantasticherie e la sua attenzione sembrava per la maggior parte impegnata dallo sforzo di trasformare lentissimamente il contenuto da ultraterreno in terreno. Agathe capì che era quello il motivo per cui ella lo aveva già lasciato tre volte in ventiquattr'ore, fuggendo nella confusa speranza di qualcosa che l'avrebbe presa sotto la sua protezione e lasciata riposare dalle fatiche o anche soltanto dall'impazienza delle due passioni. Appena acquetata, era di nuovo dalla parte di lui e scorgeva tutte le possibilità di salvezza nei suoi insegnamenti; e anche questa volta fu così per un poco. Quando però si impose più vivo in lei il ricordo di quello che era "quasi" accaduto a casa - e per l'appunto però non era accaduto! - si sentì di nuovo smarrita fino in fondo all'anima. Ora tentava di convincersi che la sfera sconfinata dell'inconcepibile sarebbe venuta in loro soccorso, se avessero tenuto duro ancora un momento; ora si rimproverava di non aver aspettato quel che avrebbe fatto Ulrich; alla fine sognò che la cosa più giusta sarebbe stata cedere semplicemente all'amore e sulla vertiginosa scala degli angeli, che essi stavano salendo, concedere un gradino di riposo alla natura dalla quale troppo si era preteso. Ma appena fatta questa concessione le sembrò di essere uno di quegli inetti personaggi di fiaba che non sanno dominarsi e nella loro femminea debolezza rompono prima del tempo il silenzio o un altro voto; dopo di che tutto crolla fra tuoni e fulmini.

Se ora volgeva di nuovo la sua speranza all'uomo da cui aspettava consiglio, trovava in lui non solo i grandi vantaggi che l'ordine, la certezza, la severità benevola e il contegno forte e sereno possiedono di fronte ad un comportamento incivilmente disperato; anzi quello sconosciuto aveva anche il particolare pregio di discorrere di Dio con insensibilità e sicurezza come se andasse a trovarlo tutti i giorni a casa sua e potesse lasciare intendere che colà si disprezza tutto ciò che è soltanto passione e immaginazione. Che cosa poteva dunque aspettarsi da lui? Quando si pose questa domanda premette più fortemente i piedi sul suolo nel camminare e respirò il freddo della pioggia per recuperare tutto il suo sangue freddo; e allora le apparve verosimile che Ulrich, anche se giudicava Lindner in modo unilaterale, agiva più rettamente di lei, perché prima dei suoi colloqui con lui, quando le sue impressioni erano ancora quelle spontanee, aveva considerato anch'essa con molta ironia l'ottimo uomo. Fu stupita che i suoi piedi la portassero tuttavia verso di lui, e prese persino un omnibus per arrivarci più presto.

Sballottata fra passeggeri che erano come grossolani indumenti bagnati, le fu difficile preservare intatto il tessuto dei suoi pensieri, ma stette in piedi tra la folla con viso ostinato, cercando di non lasciarlo lacerare. Voleva portarlo sano e salvo da Lindner. Anzi, lo rimpicciolì. Il suo rapporto con Dio

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- se tal nome si poteva applicare ad un simile caso avventuroso - si limitava a questo: che ella vedeva sempre aprirsi davanti a sé una penombra quando la vita diventava troppo opprimente ed odiosa, oppure, e qui stava il nuovo, troppo bella. Allora ella ci si buttava dentro, cercando. Onestamente non avrebbe saputo dirne niente di più. E ad un risultato non era mai giunta. Così ella pensò ora, fra gli spintoni. E intanto s'avvide che ora in fondo era curiosissima di scoprire come il suo sconosciuto avrebbe risolto la faccenda che gli veniva affidata, quasi in rappresentanza di Dio; a tal scopo doveva pure aver ricevuto dal grande Inaccessibile anche il dono di una certa onniscienza, giacché lei, schiacciata fra gente d'ogni genere, s'era intanto fermamente proposta di non fargli a nessun costo una confessione intera subito. Quando scese scoprì tuttavia stranamente in sé la convinzione profondamente nascosta che questa volta sarebbe stato diverso, e che era risoluta a trarre l'Incomprensibile dalla penombra alla luce, anche agendo di testa sua. Forse avrebbe subito cancellato questa espressione esagerata se soltanto le fosse pervenuta alla coscienza; ma in questa non c'era in quel punto un'espressione verbale, sebbene soltanto un sentimento colto di sorpresa che le metteva il sangue in subbuglio, come se fosse fuoco.

L'uomo verso cui andavano sentimenti e immaginazioni così ardenti era frattanto seduto a tavola con il figlio Peter per il pranzo di mezzogiorno, che, secondo una buona regola del tempo antico, essi consumavano ancora effettivamente a mezzogiorno preciso. All'intorno non v'era lusso, o non v'era soverchio, come meglio si direbbe con parola un po' antiquata: poiché questa parola ci schiude un significato che la prima ci nasconde. Infatti il lusso implica l'idea del superfluo e del non necessario, come è ciò che i ricchi oziosi si dilettano di accumulare; invece il soverchio non è tanto superfluo - e in ciò equivalente al lusso - quanto piuttosto anche traboccante, e allora indica un'imbottitura dell'esistenza che si solleva leggermente al di sopra delle strutture di questa, ovvero quella ridondante comodità e cordialità della vita europea che manca soltanto ai poverissimi. Lindner distingueva questi due concetti di lusso, e quanto il primo di essi faceva difetto al suo appartamento, tanto vi era presente il secondo. Già quando la porta d'ingresso si apriva offrendo la vista di un'anticamera piuttosto grande, si riceveva questa peculiare impressione di cui non si poteva dire donde provenisse. Se poi ci si guardava attorno, si constatava che non mancava nessuno degli oggetti destinati a servire l'uomo grazie a un'ingegnosa invenzione. Un portaombrelli di lamiera decorato a smalto accoglieva i parapioggia. Un tappeto di fibra dura toglieva alle scarpe i residui di sporco che la spazzola poteva ancora avervi lasciato. In una sacca appesa al muro c'erano due spazzole di abiti, e non mancava l'attaccapanni per appendere i soprabiti. Una lampada elettrica rischiarava l'anticamera, c'era persino uno specchio, e tutti questi arnesi erano in ottimo stato e venivano rinnovati per tempo quando si logoravano. Ma la lampadina era debolissima, bastava appena a vedersi intorno; l'attaccapanni aveva solo tre ganci; lo specchio poteva contenere appena quattro quinti di una faccia di adulto; e lo spessore e la qualità del tappeto erano tali da lasciar tuttavia sentire il pavimento, e non certo affondare nella mollezza. Anche se è vano tentar di descrivere con questi particolari l'atmosfera del luogo, bastava tuttavia entrare per sentirla nell'insieme come qualcosa di singolarmente presente che non era né severo né indulgente, né ricco né povero, né sapido né insipido, ma qualcosa di simile all'affermazione che si ottiene con due negazioni; per esempio si potrebbe dire: mancanza di spreco. Tuttavia non era esclusa, nelle stanze più interne, una ricerca di bellezza, e addirittura di raffinatezza, che si poteva riscontrare dappertutto. Alle pareti c'erano bellissime stampe ben incorniciate, la finestra a fianco della scrivania di Lindner aveva una vetrata raffigurante un cavaliere che con gesto contegnoso liberava una vergine da un drago, e nella scelta di alcuni vasi dipinti con dentro leggiadri fiori di carta, nell'acquisto di un portacenere da parte di un non fumatore, e in tante altre piccolezze che immettevano un raggio di sole nell'austera cerchia di doveri costituiti dal mantenimento e dal governo di una casa, Lindner s'era abbandonato liberamente ai suoi gusti. Però la linea severa della stanza a dodici facce informava tutto, come per ricordare la durezza della vita che non si deve dimenticare neanche fra gli agi; e anche dove, residuo di tempi passati, qualcosa di femminilmente indisciplinato, una tovaglietta a punto in croce, un cuscino con rose o una

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gonnella di paralume rompeva quell'unità, essa era tuttavia abbastanza forte da mantenere l'elemento sregolato dentro i propri limiti.

Eppure Lindner quel giorno, e non per la prima volta dalla vigilia, era venuto a mangiare con un quarto d'ora quasi di ritardo. La tavola era apparecchiata; i piatti, tre per ciascuno dei due posti, guardavano con l'occhio rotondo del rimprovero, i piccoli cavalletti di vetro su cui coltello cucchiaio e forchetta poggiavano come canne di cannone sull'affusto, e i tovaglioli arrotolati nei loro anelli erano schierati come un esercito piantato in asso dal suo generale. Lindner aveva intascato rapidamente la posta che di solito apriva prima di mangiare, era corso in camera da pranzo con cattiva coscienza e nel suo imbarazzo non sapeva che cosa gli stesse prendendo... doveva essere qualcosa di simile alla diffidenza, perché nello stesso momento suo figlio Peter era entrato dall'altra porta, frettoloso anch'egli, come se avesse aspettato soltanto suo padre per comparire.

43.Il dabbene e il daccapo. Ma anche Agathe

Peter era un giovanotto massiccio di circa diciassette anni, in cui l'altezza allampanata di Lindner s'era contratta e abbreviata in una forma più larga; giungeva appena alle spalle del padre, ma la sua testa, che somigliava a una grossa palla da birilli ammaccata, era piantata su un collo muscoloso, la cui circonferenza equivaleva a una coscia del padre. Peter, invece che a scuola, era stato a giocare al calcio, e sfortunatamente sulla via del ritorno aveva incontrato una ragazza alla quale la sua maschia bellezza aveva strappato una mezza promessa d'appuntamento; giunto perciò in ritardo era scivolato in casa senza farsi notare e s'era avviato alla porta della camera da pranzo, indeciso fino all'ultimo momento sulla scusa da scegliere, ma con suo stupore non aveva visto nessuno, era entrato a precipizio e proprio mentre stava per assumere l'aria annoiata di chi ha dietro di sé una lunga attesa, lo scontro col padre l'aveva ricacciato nell'imbarazzo. La sua faccia rossa si coprì di macchie ancora più rosse, egli mise subito fuori un profluvio di parole, guardando di sottecchi con sgomento il genitore quando questi guardava altrove, e fissandolo invece impavido quando dirigeva gli occhi verso di lui. Era un contegno ben calcolato e sovente sperimentato, con lo scopo di dar l'impressione d'un ragazzo franco ed esperto fin all'ingenuità, capace di tutto, ma non di nascondere il minimo fatto. Ma se questo non bastava, Peter arrivava perfino a pronunciare, apparentemente per svista, parole irriverenti o altrimenti sgradite a suo padre, che fungevano come punte per attirare il fulmine e sviarlo da strade più pericolose. Perché Peter temeva suo padre come l'inferno teme il cielo, con il senso di reverenza del dannato cotto a fuoco lento a cui lo Spirito guarda dall'alto. Amava il gioco del calcio, ma anche lì gli piaceva di più stare a vedere una partita con aria saputa ed emettere giudizi da esperto, che affaticarsi a giocarla lui stesso. Voleva diventare aviatore e compiere un giorno imprese eroiche, ma non lo considerava uno scopo da conseguire con un duro lavoro, bensì come una disposizione personale, come se gli uomini che ne sono dotati, un bel giorno divenissero capaci di volare. Che la sua avversione al lavoro contrastasse con gli insegnamenti della scuola poco lo turbava; questo figlio di un noto pedagogo s'infischiava di essere stimato dai suoi professori; gli bastava di essere il più forte, fisicamente, della sua classe, e se un compagno gli pareva troppo intelligente era pronto a stabilire l'equilibrio con un pugno sul naso o nello stomaco. Si sa che in questo modo si può farsi rispettare, e il metodo aveva il solo svantaggio di non poter essere usato in casa col padre, il quale anzi doveva saperne il meno possibile. Giacché davanti a quell'autorità spirituale che l'aveva allevato e lo teneva dolcemente stretto, la turbolenza di Peter si spezzava in miseri conati di ribellione, che Lindner senior chiamava il pietoso schiamazzare degli appetiti. Familiarizzato fin da piccolo con i migliori principî, riusciva difficile a Peter chiudersi alla loro verità, e poteva soddisfare il suo onore e la sua combattività solo col ricorrere ad astuzie da pellirossa

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che evitano la battaglia aperta. Si serviva anche, per adeguarsi al suo avversario, di molte parole, ma non s'abbandonava mai all'impulso di dire la verità, che secondo lui era ciarliero e poco virile.

Così anche questa volta zampillarono le sue assicurazioni e smorfie, ma non trovarono reazioni da parte del padre. Il professor Lindner aveva fatto rapidamente il segno della croce sulla minestra e mangiava in fretta, serio e silenzioso. Solo ogni tanto il suo occhio si posava fugacemente e distrattamente sulla scriminatura del figlio. La scriminatura quel giorno era stata tracciata con pettine, acqua e molta brillantina attraverso i folti capelli rossastri, come una ferrovia a scartamento ridotto attraverso una giungla ostile e ribelle. Quando Peter si sentiva addosso lo sguardo paterno chinava il capo per coprire col mento la cravatta di un bel rosso sgargiante che il genitore non conosceva ancora. Perché un momento dopo l'occhio poteva allargarsi dolcemente per la scoperta, e la bocca seguirlo, emettendo parole come "sommissione ai dettami di pagliacci e bellimbusti" che offendevano Peter. Questa volta però non accadde niente e solo un po' più tardi, mentre i piatti venivano cambiati, Lindner disse vago e bonario (non si capiva niente se alludesse alla cravatta o se fosse stato indotto all'ammonimento da qualche altro fatto inconsciamente percepito):

- Coloro che hanno ancora da lottare con la propria vanità dovrebbero evitare ogni stravaganza nel loro aspetto esteriore.

Peter approfittò dell'inattesa distrazione di suo padre per esporre la storia di un cinque che sosteneva d'aver preso per cavalleria: interrogato dopo un compagno, egli s'era mostrato di proposito impreparato per non far fare brutta figura a quell'allievo mediocre insidiato da domande troppo difficili.

Il professor Lindner si accontentò di scuotere il capo.Ma quando fu portata via la pietanza e venne in tavola il dolce, sentenziò calmo e pensoso:- Vedi, proprio negli anni del maggiore appetito è dato conseguire le più importanti vittorie su se

stessi; e questo non infliggendosi la fame, che non sarebbe igienico, ma rinunciando ad un piatto gradito dopo essersi sufficientemente nutriti.

Peter tacque e mostrò di non capire, ma la sua faccia si fece di nuovo scarlatta fino agli occhi.- Sarebbe inutile, - continuò il padre, accorato, - che io ti punissi per quel cinque; tu stai anche

mentendo bambinescamente e dimostri così una tale mancanza di concetto morale dell'onore che prima occorre dissodare il terreno sul quale il castigo possa fruttare. Perciò ti chiedo soltanto di riconoscere la cosa e sono certo che allora ti punirai da te stesso.

Peter protestò vivacemente la sua poca salute come pure l'eccesso di lavoro causa del suo scarso rendimento a scuola negli ultimi tempi, per cui riteneva impossibile temprarsi il carattere con la rinuncia all'ultima portata.

- Il Comte, filosofo francese, rispose placidamente il professor Lindner, - alla fine del pranzo in luogo del "dessert" soleva masticare un pezzo di pane asciutto, anche senza un motivo particolare, soltanto per pensare a coloro che non hanno neanche un pezzo di pane. È un tratto gentile, e ci ricorda che ogni esercizio di frugalità e di semplicità ha un profondo significato sociale.

Peter aveva già da un bel pezzo una meschina opinione della filosofia, ma suo padre gli ricordò che era odiosa anche la poesia, proseguendo:

- Anche Tolstoi dice che la temperanza è il primo gradino della libertà. L'uomo ha molte bramosie che lo tengono schiavo e affinché la lotta con tutte sia vittoriosa, bisogna incominciare dalle più elementari: la gola, l'ozio e la lussuria.

Il professor Lindner pronunciava quelle tre parole, che comparivano spesso nei suoi ammonimenti, l'una come l'altra nell'identico tono incolore; e molto prima di poter collegare con la parola lussuria un concetto ben definito, Peter aveva imparato a conoscere la lotta contro la lussuria a lato delle altre due senza pensare a nulla di speciale, proprio come suo padre che non ne pensava più nulla perché era persuaso che l'istruzione elementare nell'autocontrollo incominci di qui. Così avvenne che Peter, quel giorno in cui aveva conosciuto la lussuria, non ancora nella sua forma più agognata, ma insomma sfiorandole le gonne, provò per la prima volta una furiosa ribellione contro il collegamento stabilito da

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suo padre con la gola e la pigrizia; non poteva naturalmente dirlo a chiare note, dovette mentire ed esclamò:

- Io sono uno qualunque, non posso paragonarmi con poeti e filosofi! - Nonostante la sua agitazione aveva scelto le parole con una certa cura.

Il suo educatore tacque.- Ho fame! - aggiunse Peter ancor più appassionatamente. Lindner sorrise triste e sprezzante.- Io mi ammalerò, se non mangio abbastanza! - esclamò Peter quasi piagnucolando.- La prima risposta dell'uomo a tutti gli interventi o attacchi esterni è data con lo strumento della

voce! - lo ammaestrò il padre.E il "pietoso grido degli appetiti", come lo chiamava Lindner, morì. In quel giorno particolarmente

virile Peter non voleva piangere, ma si sentiva tremendamente oppresso dalla necessità di sviluppare in sé un eloquente spirito di difesa. Non gli venne più nulla in mente e in quel momento odiò anche la bugia perché bisogna parlare per servirsene. Nei suoi occhi si alternavano il desiderio di uccidere e la desolazione. A quel punto il professor Lindner gli disse bonariamente:

- Tu devi esercitarti assiduamente al silenzio, affinché non parli in te l'individuo impulsivo ed incolto, ma quello riflessivo e educato, che pronuncia parole emananti pace e fermezza - Poi si mise a riflettere con viso cordiale. - Per rendere buoni gli altri, non saprei suggerire altro metodo, - disse dopo un po' comunicando il risultato a suo figlio, - che esser buoni noi stessi; lo dice anche Matthias Claudius: Non saprei consigliar di meglio che essere noi stessi come vogliamo diventino i nostri figli! E con quelle parole il professor Lindner spinse via benevolmente e risolutamente il dolce senza toccarlo, benché fosse il suo preferito - riso al latte con zucchero e cioccolato costringendo con la sua affettuosa implacabilità il figliolo a fare lo stesso digrignando i denti.

Fu allora che la domestica venne ad annunciare Agathe. August Lindner si alzò in piedi sconvolto. "È venuta, nonostante tutto!" gli disse con voce muta, terribilmente chiara. Era incline a sentirsi in collera, ma anche a provare una fraterna indulgenza, e questi due sentimenti contrastanti con un grande seguito di principî morali incominciarono una ridda sfrenata in tutto il suo corpo prima che gli riuscisse di ordinare semplicemente che la signora fosse introdotta nel salotto.

- Tu mi aspetti qui! - ingiunse a Peter, e si allontanò a grandi passi.Peter però aveva osservato nel padre qualcosa di straordinario, pur non sapendo cos'era; tuttavia

bastò a dargli il coraggio di cacciarsi in bocca dopo breve esitazione un cucchiaio di cioccolato pronto per esser versato sul dolce, poi un cucchiaio di zucchero e infine un mestolo pieno di riso, zucchero e cioccolato, il che fu ripetuto più volte prima che egli lisciasse accuratamente i piatti, per ogni evenienza.

E Agathe rimase seduta per un poco nella casa sconosciuta aspettando il professor Lindner, il quale andava su e giù in un'altra stanza e raccoglieva i suoi pensieri prima di affrontare la donna bella e pericolosa. Ella si guardava intorno e improvvisamente ebbe paura, come se si fosse smarrita fra le branche di un albero sognato e temesse di non ridiscendere salva da quel mondo di rami contorti e di migliaia di foglie. Una quantità di particolari la turbava, e al gusto meschino che essi esprimevano s'intrecciava bizzarramente un'asprezza repellente con il suo contrario, a cui nella sua agitazione ella non seppe trovare un nome. L'aspetto repellente poteva magari richiamare alla mente la rigida durezza dei disegni fatti a pastello, ma la stanza sembrava anche che odorasse, come dominata da una tenera nonna, di medicinali e di unguenti, e in essa aleggiavano fantasmi desueti e femminei, sgradevolmente solleciti delle sofferenze umane. Agathe annusava. E quantunque l'aria non contenesse che le sue fantasie si sentiva a poco a poco ricondurre indietro nel passato dai suoi sentimenti, e ricordò allora l'angosciante "profumo del cielo", quell'odore d'incenso mezzo svanito e disaerato di cui erano impregnate le tonache dei suoi insegnanti quando lei era una ragazzina assai poco pia, educata con altre piccole coetanee in un pio istituto. Giacché per quanto edificante sia quel profumo per coloro che lo collegano con quel che trovano giusto, nei cuori delle fanciulline mondane e ribelli non suscitava che vivi ricordi di odori-protesta, così come si collegano immaginazione e prima esperienza con i baffi di un

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uomo o con le sue guance muscolose, profumate di acute essenze e velate di borotalco. Lo sa Iddio, anche questo profumo non mantiene quel che promette! E mentre Agathe sedeva aspettando su una delle rinunciatarie seggiole imbottite di Lindner, il vuoto odore del mondo si chiuse inesorabilmente intorno a lei insieme col vuoto odore del cielo, come due mezze sfere cave, e l'assalì il presentimento che stava per ricuperare una lezione della scuola della vita seguita di malavoglia.

Adesso sapeva dov'era. Anche esitante ma disposta, ella cercava di adattarsi all'ambiente e di ricordare gli insegnamenti dai quali forse troppo presto s'era lasciata distogliere. Ma, pur consenziente, il suo cuore recalcitrava come un cavallo inaccessibile alle esortazioni, e in preda a un terrore selvaggio incominciò a correre, come accade quando vi sono sentimenti che vorrebbero mettere in guardia la ragione e non trovano parole. Tuttavia ritentò dopo un poco; e per darsi aiuto pensò a suo padre che era stato un liberale e aveva sempre ostentato lo stile un po' arido dell'illuminista, ma tuttavia s'era risolto a farla educare in un istituto religioso. Si sentiva incline ad interpretarlo come una specie di sacrificio espiatorio e come il tentativo, imposto da una segreta incertezza, di fare una volta tanto il contrario di quello che si ritiene il proprio convincimento; e poiché si sentiva affine ad ogni incongruenza, la situazione in cui s'era messa da sé le parve per un istante un atto arcano di inconscia sottomissione filiale. Ma anche questo secondo brivido religioso, liberamente provocato, non ebbe lunga durata; verosimilmente, da quando era stata messa sotto una custodia spiritualmente troppo imperiosa, ella aveva perduto la capacità di trovare in una fede l'ancoraggio per le sue agitate intuizioni. Le bastò infatti riesaminare quel che le stava intorno, e col crudele fiuto della gioventù per la distanza che divide l'infinito di un insegnamento dal finito dell'insegnante, e anzi porta facilmente a dedurre dal servitore la qualità del padrone, la dimora che la circondava, dove s'era consegnata prigioniera e piena di speranza, a un tratto irresistibilmente la mosse al riso.

Ma involontariamente conficcò le unghie nel legno della seggiola, perché si vergognava della sua irresolutezza. Avrebbe voluto scagliare, il più presto possibile e tutto in una volta, ciò che la opprimeva in faccia allo sconosciuto che presumeva di confortarla, appena si fosse degnato di comparire: i brutti maneggi col testamento, assolutamente imperdonabili, a pensarci senza caparbietà. Le lettere di Hagauer, che la descrivevano orribile come in uno specchio deformante, senza che la somiglianza si potesse negare del tutto. E poi ancora, che voleva annientare suo marito, ma non realmente ammazzarlo, e che molto tempo prima l'aveva bensì sposato, ma anche questo non realmente, bensì accecata dal disprezzo per se stessa. C'erano tante cose fatte a mezzo nella sua vita; ma alla fine, tirando le fila di tutto, si sarebbe anche dovuto venire a parlare del presagio sospeso tra lei e Ulrich, e questo tradimento ella non avrebbe mai e poi mai potuto commetterlo! Si sentiva scontrosa come un bambino al quale è stato assegnato un compito troppo arduo. Perché la luce che qualche volta vedeva, subito si spegneva come una lanterna che oscilla lontana nel buio, e le tenebre ora ne inghiottono ora ne restituiscono lo scintillio? Era incapace di ogni risoluzione e per giunta si ricordò che Ulrich aveva detto, una volta: chi cerca quella luce deve passare sopra una voragine che non ha né fondo né ponte. Dunque nel suo intimo non credeva neppure lui alla possibilità di quel che cercavano insieme? Così pensava Agathe e sebbene non osasse propriamente dubitare, si sentiva tuttavia molto scossa. Nessuno dunque poteva aiutarla se non la voragine stessa! Una voragine era Dio: ahimè, lei che cosa ne sapeva? Con ripugnanza e disprezzo esaminò i ponticelli che volevano portarla al di là, l'umiltà della stanza, le immagini piamente appese ai muri, tutto quello che simulava un rapporto amichevole con lui. Era tanto prossima ad umiliarsi quanto a trarsi indietro con orrore. E forse più di tutto avrebbe voluto di nuovo fuggir via; ma pensò che fuggiva sempre via, e ricordò Ulrich, e si giudicò "spaventosamente vile" Il silenzio che si era fatto tra loro a casa era già stato come la calma prima della tempesta, ed ella era stata buttata lì dalla pressione di quella bufera incombente. Così le pareva adesso, non senza lo sbocciar di un sorriso, e fu naturale che le tornasse a mente un'altra frase di Ulrich: "Nessuno si considera interamente un vigliacco, perché se qualcosa gli fa paura ne corre via lontano, esattamente fino al punto dove si considera di nuovo un eroe!" Ed ecco che lei era arrivata a quel punto!

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44.Una importante spiegazione

In quel momento Lindner entrò, e s'era prefisso di dire né più né meno della sua visitatrice, ma quando si trovarono di fronte, fu tutto diverso. Agathe andò subito all'attacco con parole che - dovette notare stupita erano molto più comuni di quel che comportava l'antefatto.

- Lei ricorderà che le avevo chiesto di spiegarmi alcune cose, - ella incominciò. - Eccomi qua, non ho dimenticato ciò che lei ha detto a proposito del mio divorzio. Anzi, forse adesso l'ho capito ancor meglio!

Erano seduti a un gran tavolo rotondo, divisi da tutta la lunghezza del suo diametro. Agathe, in confronto con gli ultimi istanti di solitudine, si sentì al primo incontro sprofondata in basso, ma poi subito su terreno solido; gettò la parola "divorzio" come un'esca, benché la sua curiosità di conoscere l'opinione di Lindner fosse anche sincera. Questi rispose quasi nello stesso momento:

- So benissimo perché lei mi chiede questa spiegazione. Le avranno sempre bisbigliato all'orecchio che la fede del divino e l'obbedienza ai comandamenti che ne traggono origine son cose da medioevo! che tali favole sono state ormai sfatate dalla scienza! Però, mi dica, è ben sicura che sia così?

Agathe s'avvide con meraviglia che ogni tre parole le labbra di Lindner s'avventavano in su, sotto i baffi radi, come due assalitori. Ella non rispose.

- Ci ha riflettuto? - seguitò Lindner severo. - Conosce le infinite questioni che ne dipendono? Lo vedo: non le conosce! Ma liquida tutto quanto con un bel gesto della mano e probabilmente non sa neppure di agire sotto l'influsso di una violenza altrui!

S'era gettato nel pericolo, non si capiva bene a che influssi pensasse; si sentiva come travolto. Il suo discorso era una galleria scavata attraverso un monte per sbucare su un concetto: "menzogne dei liberi pensatori", che campeggiava là in una luce di millanteria. Non parlava né di Ulrich né di Hagauer, ma di entrambi e di tutti.

- E anche se avesse riflettuto, - esclamò forzando audacemente la voce, - e si fosse convinta di queste dottrine false: che il corpo non è che un sistema di corpuscoli morti, l'anima un gioco delle ghiandole, la società un involto cencioso di leggi meccaniche ed economiche; e perfino se tutto ciò fosse giusto, il che non è - ebbene, io negherei a questa teoria la conoscenza della verità della vita! Perché ciò che si chiama scienza non è minimamente qualificato a spiegare col suo metodo esteriore ciò che vive nell'uomo come intima certezza spirituale. La verità della vita è una conoscenza che non ha inizi, e i fatti della vita vera non si trasmettono mediante prove: chi vive e soffre li ha dentro di sé come misteriosa forza di più alte esigenze e come la viva interpretazione di se stesso!

Lindner s'era alzato in piedi. Gli occhi scintillavano come due predicatori in pulpito; giù dall'altezza del suo lungo corpo guardava Agathe dall'alto in basso con sentimenti di superiorità. "Perché parla subito tanto? - pensava lei. - E che cos'ha contro Ulrich? Lo conosce appena, eppure è evidente che parla contro di lui!" La pratica femminile nell'eccitare sentimenti le suggerì, più rapida che il pensiero, la certezza che Lindner parlava così perché in preda a una ridicola gelosia. Guardò su verso di lui con un sorriso incantevole. Egli le torreggiava davanti, alto, vacillante ed armato, e le parve una gigantesca pugnace locusta di preistoriche età. "Santo cielo, - ella pensò, - adesso dirò di nuovo qualcosa che lo irriterà, e lui si metterà ad inseguirmi: Dove sono? A che gioco sto giocando?" La turbava sentirsi da lui eccitata al riso, e insieme non potersi liberare da certe sue parole come "conoscenza che non ha inizi" e "viva interpretazione", parole così estranee al mondo presente, ma a lei misteriosamente familiari come se le avesse sempre usate, senza poter nemmeno ricordare di averle mai udite prima. Pensò: "È terribile,

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ma alcune delle sue parole egli me le ha già seminate in cuore come dei figli!"Lindner s'avvide di averla vivamente scossa, e la soddisfazione lo rese un po' più indulgente. Vedeva

davanti a sé una giovane donna nella quale sembravano ambiguamente alternarsi emozione e indifferenza simulata, anzi addirittura protervia; e poiché credeva di essere un profondo conoscitore della psiche femminile non si lasciò trarre in inganno, ben sapendo che una donna bella è singolarmente indotta alla superbia e alla vanità. Del resto egli raramente riusciva a contemplare un bel volto senza sentire una punta di compassione. Coloro che avevano quel privilegio erano a parer suo sempre martiri di uno splendido aspetto che li portava alla presunzione con tutto il suo strisciante seguito di aridità di cuore e di superficialità. Tuttavia può anche succedere che dietro un viso leggiadro vi sia un'anima, e quanta insicurezza non si dissimula sovente dietro la superbia, quanta disperazione dietro la frivolezza! Spesso si tratta addirittura di persone particolarmente nobili, alle quali è soltanto mancato il soccorso di giuste e incrollabili convinzioni. E Lindner a poco a poco si sentiva trascinato a riflettere che l'uomo al quale ha arriso il successo deve mettersi nei panni dello sfortunato; e mentre lo faceva, osservò che il volto e le forme di Agathe possedevano quella placidità amabile che appartiene soltanto alla grandezza e alla nobiltà; anzi il ginocchio sotto le pieghe della veste gli parve addirittura quello di una Niobe. Fu stupito che gli si imponesse un confronto a parer suo così poco acconcio, ma probabilmente la nobiltà della sua sofferenza morale si era combinata con l'idea ambigua di molti figli, infatti si sentiva non meno attratto che spaventato. Osservò anche il seno di Agathe che respirava in rapide piccole onde. Gli parve di soffocare e se non gli fosse di nuovo venuta in aiuto la sua conoscenza della vita si sarebbe sentito perplesso: essa gli sussurrò però nel momento del più profondo imbarazzo che quel seno doveva racchiudere qualcosa di non detto, e che tale segreto, dopo tutto ciò che egli aveva saputo, doveva riferirsi al divorzio dal collega Hagauer; e questo lo salvò da una vergognosa sciocchezza, offrendogli la possibilità di desiderare lo svelarsi del segreto anziché quello del seno. Lo fece con tutte le forze, e la combinazione del peccato con la cavalleresca uccisione del drago simboleggiante il peccato stesso gli stette dinanzi in colori smaglianti come nella vetrata del suo studio.

Agathe interruppe quelle riflessioni con una domanda fatta in tono rattenuto anzi sommesso, dopo essersi di nuovo ripresa.

- Lei sostiene che io agisco spinta da suggerimenti, da una forza altrui: che cosa intende dire precisamente?

Lindner alzò meravigliato lo sguardo che posava sul seno di Agathe e la guardò negli occhi. Cosa che non gli era mai accaduta, non ricordava più l'ultima frase che aveva detto. In quella giovane donna egli vedeva una vittima dello spirito che sconvolge il nostro tempo, e nella gioia del trionfo l'aveva dimenticato.

Agathe ripeté la sua domanda mutandola un poco:- Le ho confidato che voglio divorziare dal professor Hagauer, e lei mi ha risposto che qualcuno mi

spinge. Mi sarebbe molto utile sapere che cosa lei intende dire. Le ripeto che non valgono i motivi consueti; neppure l'avversione è stata insormontabile, secondo i concetti del mondo. Soltanto, io sono giunta alla convinzione che non è lecito sormontarla, e che anzi deve essere aumentata smisuratamente!

- Per opera di chi?- Questo è appunto il problema che lei deve aiutarmi a risolvere - Lo guardò di nuovo con un

sorriso soave, che era, se così si può dire, terribilmente scollato e la denudava nel suo intimo, come un seno appena velato da un merletto nero.

Senza volerlo Lindner si protesse gli occhi con un gesto della mano, fingendo di raddrizzare gli occhiali. La verità era che il coraggio, tanto nella sua concezione del mondo, quanto nei sentimenti che Agathe suscitava in lui, era ugualmente timoroso. Egli era fra coloro che hanno capito come l'umiltà trionfi più facilmente se prima ha abbattuto l'albagia, e la sua cultura gli faceva temere più d'ogni altro l'albagia della libera scienza, che rimprovera alla fede di essere non scientifica. Se gli si fosse detto che i santi con le loro mani vuote e alzate verso il cielo in atto di preghiera erano antiquati e che adesso

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bisognava raffigurarli con sciabola e pistola in pugno, o con strumenti ancora più moderni, ciò l'avrebbe sdegnato; ma non voleva vedere inibire alla fede le armi della scienza. Questo era quasi un errore totale, ma egli non era il solo a commetterlo; e perciò aveva investito Agathe con parole che avrebbero meritato un posto onorevole nelle sue pubblicazioni - e che probabilmente di fatto ve l'occupavano -, ma che di fronte a colei che gli si confidava erano inopportune. Vedendo davanti a sé, modesta e pensierosa, la messaggera di parti del mondo a lui nemiche, mandata nelle sue mani da un destino buono o demoniaco, anch'egli ebbe coscienza di quell'inopportunità ed era imbarazzato a rispondere.

- Ah! - disse, nel modo più generico e sprezzante possibile, e per caso non colpì lontano dal bersaglio: - Io alludevo allo spirito che domina oggi e per cui i giovani hanno paura di sembrare stupidi e addirittura non scientifici se non si accodano a tutte le superstizioni moderne. Chi sa quali "slogan" può avere lei in mente: Vivere secondo l'inclinazione! Dire di sì alla vita! Coltivare la personalità! Libertà del pensiero o dell'arte! Tutto, insomma, tranne i precetti della morale semplice ed eterna.

La felice gradazione: "stupidi e addirittura non scientifici" gli piacque per la sua finezza e rianimò i suoi spiriti battaglieri.

- Lei si stupirà, - proseguì poi, - di sentirmi lodare la scienza, senza ch'io sappia se lei se ne sia occupata molto o poco...

- Proprio niente! - interruppe Agathe. - Io sono una donna ignorante - Lo disse con energia, e sembrava che ci provasse gusto, forse perché voleva scandalizzarlo.

- Ma è il suo ambiente! - rettificò Lindner. - E che si tratti di libertà di costumi o di libertà della scienza, tutt'e due vogliono dire la stessa cosa: lo spirito distaccato dalla morale!

Anche queste parole parvero ad Agathe ombre fiacche, proiettate tuttavia da qualcosa di più scuro che era lì vicino. Non intendeva nascondere la sua delusione, anzi la manifestò ridendo:

- Mi ha consigliato l'altro giorno di non pensare a me stessa, e ora mi parla continuamente di me, obiettò in tono canzonatorio. Lindner ripeté:

- Lei ha paura di non essere abbastanza moderna!Gli occhi di Agathe ebbero un guizzo di dispetto.- Non so che dire, le sue affermazioni si adattano a me così poco!- Ed io le dico: "Siete comprate a caro prezzo, non diventate schiave degli uomini!" - Il tono, che

contrastava con l'uomo come un fiore pesante con un fragile stelo, rasserenò Agathe. Ella chiese insistente e quasi ruvida:

- Dunque, che cosa devo fare? Aspetto da lei una risposta precisa. Lindner inghiottì e si concentrò tanto da divenir rosso.

- Faccia il suo dovere!- Non so quale sia il mio dovere!- Allora deve crearsi dei doveri!- Ma io non so che cosa siano i doveri! Lindner sorrise trucemente.- Ecco qui la libertà della personalità! - esclamò. - Pura illusione! Lo vede su di se stessa: quando

l'uomo è libero, è infelice. Quando l'uomo è libero, è un fantasma! - soggiunse poi, alzando ancora un po' la voce perché era imbarazzato. Poi la riabbassò e conchiuse in tono convinto: - Il dovere è ciò che l'umanità ha contrapposto con giusta consapevolezza alla propria fragilità. Il dovere è la verità che è nota a tutte le individualità spiccate, e che esse ci additano con spirito profetico. Il dovere è il risultato di una esperienza secolare e dell'occhio antiveggente degli eletti. Ma il dovere è anche ciò che l'uomo più semplice ben conosce nel suo intimo, purché viva con sincerità.

- Questo era proprio un cantico fra le candele accese, - constatò Agathe in tono d'approvazione.Era spiacevole che anche Lindner si rendesse conto di aver cantato in un tono sbagliato. Avrebbe

dovuto dire qualcos'altro, ma non s'arrischiava a riconoscere in che cosa consistesse la deroga dalla voce genuina del suo cuore. Si permetteva soltanto il pensiero che quella giovane creatura doveva

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essere rimasta profondamente delusa dal marito per infierire così violenta ed amara contro se stessa, e che nonostante ogni biasimo che provocava sarebbe stata degna di un uomo più forte; lui però aveva l'impressione che a quel pensiero ne sarebbe seguito uno assai più pericoloso. Intanto Agathe scuoteva la testa, lentamente ma assai risoluta, e con l'involontaria sicurezza con la quale una persona turbata viene indotta a ciò che porta al precipizio una delicata situazione, continuò:

- Ma stiamo parlando del mio divorzio! e perché oggi non dice più niente di Dio? Perché non mi dice semplicemente: "Dio comanda che lei rimanga accanto al professor Hagauer"? Vede, non posso immaginare che egli voglia comandare qualcosa di simile!

Lindner alzò involontariamente le spalle aguzze; anzi con quel movimento all'insù parve quasi sollevarsi nell'aria.

- Io non le ho mai parlato di questo, solo lei l'ha tentato! rispose ruvidamente. - E quanto al resto, non creda che Dio s'interessi del piccolo meschino traffico dei nostri sentimenti! C'è la sua legge, invece, alla quale dobbiamo obbedire. O forse non le pare abbastanza eroico, dacché oggi l'uomo in tutte le cose aspira a manifestazioni "personali"? Ebbene, io contrappongo alle sue pretese un eroismo più sublime, quello della sottomissione eroica!

Ogni parola diceva assai più di quanto avrebbe dovuto permettersi un profano, anche soltanto nei suoi pensieri; Agathe, per contro, davanti a tanta irrisione non poteva far altro che sorridere continuamente, per non essere costretta ad alzarsi e a porre fine alla visita; e lo faceva naturalmente con tanto garbo, che Lindner si sentiva sempre più turbato ed eccitato. Con inquietudine vedeva zampillare le proprie idee e crescere sempre più un'ebbrezza ardente che gli toglieva la capacità di riflettere, e in cui si manifestava la volontà di spezzare la protervia e di salvare forse l'anima che gli si opponeva. Il nostro dovere è doloroso! esclamò.

- Il nostro dovere può essere ripugnante e disgustoso! Non creda ch'io voglia fare l'avvocato di suo marito e mi schieri per mia natura al suo fianco. Ma lei deve obbedire alla legge, perché solo essa ci dà una pace perenne e ci difende contro noi stessi.

Agathe ora gli rise in faccia; s'era accorta dell'arma che le davano in mano le impressioni prodotte dal suo divorzio, e rigirò il coltello nella ferita.

- Io capisco poco di tutto questo, - disse. - Ma posso confessarle sinceramente una mia sensazione? Quando lei va in collera diventa un po' lubrico!

- Ah, non parli così! - protestò Lindner. Era indietreggiato e aveva un solo desiderio, quello di non permettere a nessun costo una cosa simile. Alzò la voce protestando e scongiurò il fantasma peccaminoso che gli stava di fronte. - Lo spirito non deve prosternarsi alla carne, ai suoi allettamenti e ai suoi orrori! Neppure in forma di ribrezzo! Ed io le dico: il superamento dell'avversione fisica, che a quanto pare la scuola del matrimonio le impone, può essere doloroso, e tuttavia non è lecito sottrarvisi. Perché nella creatura umana v'è un bisogno di liberazione e noi non dobbiamo essere schiavi né delle ripugnanze né delle voluttà della nostra carne! Questo è, senza dubbio, ciò che lei voleva sentirsi dire, altrimenti non sarebbe venuta da me! - egli concluse, non meno solenne che maligno.

Stava ritto davanti ad Agathe, i baffi sul labbro si muovevano su e giù. Mai aveva detto simili parole a una donna, tranne che alla sua defunta moglie, e allora i sentimenti erano stati diversi. Ora, infatti, erano misti a voluttà, come se egli vibrasse una sferza per fustigare il mondo, ed anche a paura, quasi che, come un cappello portato via dal vento, egli volasse in mezzo a quella bufera penitenziale che l'aveva travolto.

- Anche adesso ha parlato in un modo ben strano! - osservò Agathe spassionatamente, e avrebbe voluto tagliare con qualche parola asciutta l'insolenza di lui; ma poi misurò il crollo gigantesco che gli avrebbe dato, e preferì umiliarsi dolcemente, continuando con una voce che sembrava appannata dal rimorso: - Sono venuta solo perché desideravo che lei mi guidasse.

Lindner, con fervore perplesso, brandì nuovamente il flagello della parola; sospettava che Agathe lo inducesse volutamente in errore, ma non seppe ritrarsi e si affidò all'avvenire.

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- Essere avvinti per tutta la vita a un uomo senza sentirsene attratti fisicamente è certo un grave castigo, - sentenziò. Ma se il coniuge non è degno, non ci siamo meritato il castigo per non aver dato sufficientemente ascolto ai segni della vita interiore? Molte donne si lasciano affascinare da circostanze esteriori, e chi sa se la punizione non è destinata a scuoterci? - A un tratto la sua voce si ruppe. Agathe aveva accompagnato le sue parole con cenni di consenso. Ma doversi figurare Hagauer come un affascinante seduttore fu troppo per lei, e i suoi occhi giocondi lo rivelarono. Lindner, interamente fuori di strada, strombettò in falsetto: - Il padre che risparmia la frusta odia suo figlio; il padre che l'ama, lo punisce!

La resistenza della vittima aveva trasformato il filosofo della vita al sicuro nella sua torre in un poeta dei castighi e delle loro eccitanti circostanze accessorie. Era inebriato da una sensazione finora ignota, prodotta dal connubio fra i rabbuffi morali inflitti alla visitatrice e una viva agitazione della sua virilità, connubio che simbolicamente, come capiva lui stesso, si poteva definire voluttuoso.

Ma l'arrogante conquistatrice, che ormai avrebbe dovuto esser spinta alla disperazione dalla vanità della propria mondana bellezza, riattaccandosi realisticamente alle minacce di flagellazione chiese tranquilla:

- Chi mi dovrebbe punire? Lei a chi pensa? A Dio?E questo era impossibile a dirsi! Di colpo Lindner prese il coraggio. Gocce di sudore gli spuntarono

fra i capelli. Impossibile nominare il nome di Dio collegandolo a simili discorsi. Il suo sguardo, proteso come i denti di una forchetta, si ritrasse lentamente da Agathe. Agathe lo sentì. "Dunque non ci riesce neanche lui!", ella pensò. Aveva una voglia pazza di spremere ancora quell'uomo finché non gli uscisse di bocca quello che egli non voleva confessarle. Ma per questa volta poteva bastare; il dialogo era arrivato ai suoi limiti estremi. Agathe capì che era stato soltanto un pretesto scottante, e reso trasparente dall'ardore, per non dover dire la cosa decisiva. Del resto anche Lindner sapeva ormai che tutto ciò che aveva detto, tutto ciò che l'aveva agitato, e persino l'esagerazione stessa, era derivata dalla paura delle esagerazioni, tra le quali la più sfrenata gli pareva quella di essersi avvicinato con temerari strumenti del sentimento e dei sensi - spinto evidentemente da quella giovane donna esagerata - a ciò che deve rimaner ammantato di alte e nobili parole. Tra sé lo definiva ora "un'offesa alla decenza della fede" Perché in quel momento il sangue rifluì dalla testa di Lindner e riprese il suo corso ordinario; ed egli si svegliò come uno che si trovi nudo, molto lontano da casa sua, e si ricordò che non poteva mandar via Agathe senza averla confortata e illuminata. Traendo un respiro profondo si allontanò da lei, si accarezzò i baffi e disse severo:

- Lei ha un Io irrequieto e fantastico!- E lei ha una strana specie di galanteria! - replicò Agathe fredda, perché adesso non aveva più voglia

di continuare.Lindner giudicò necessario al ristabilimento della propria dignità aggiungere ancora qualcosa:- Alla scuola della realtà lei dovrebbe imparare a tenere saldamente le redini delle sue tendenze

soggettive; chi non vi riesce sarà sbalzato a terra dalla fantasia e dall'immaginazione...! - Si fermò perché quella strana donna gli faceva uscire la voce dal petto in un modo del tutto indesiderato. - Guai a chi si scioglie dal costume morale, poiché si scioglie anche dalla realtà! - aggiunse a voce bassa. Agathe alzò le spalle.

- Spero la prossima volta di vederla a casa nostra! - ella propose.- Sono costretto a risponderle: mai! - rispose Lindner con violenza, tornato ormai assolutamente

terreno. - Suo fratello ed io abbiamo concezioni di vita talmente opposte che è meglio evitare ogni rapporto, aggiunse poi come scusa.

- Allora dovrò venire io diligentemente alla scuola della realtà, - disse Agathe.- No! - ripeté Lindner, ma chissà perché le tagliò la strada quasi minaccioso, giacché lei con quelle

parole si disponeva ad andarsene. Non è possibile! Lei non può mettermi nella penosa situazione, col collega Hagauer, di ricevere senza che egli lo sappia le visite di sua moglie!

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- Lei è sempre appassionato come oggi? - domandò Agathe in tono canzonatorio, e così lo costrinse a sgombrarle il cammino. Adesso, alla fine, si sentiva svuotata, ma più forte. La paura che Lindner tradiva di fronte a lei la incitava ad azioni che erano estranee alla sua disposizione d'animo: ma mentre le pretese di suo fratello la scoraggiavano facilmente, quest'uomo le restituiva la libertà di disporre a suo talento del proprio intimo, e le era di conforto metterlo a disagio.

"Mi sono forse lasciato andare un po' troppo?" si chiese Lindner rimasto solo. Raddrizzò le spalle e marciò alcune volte su e giù per la stanza. Infine decise di restare in rapporto con Agathe, e riassunse il proprio malessere, che era abbastanza forte, con queste marziali parole:

- Bisogna dimostrare saldezza e valore contro tutte le cose penose!Mentre Agathe si congedava, Peter se l'era svignata in fretta di dietro la porta, dove aveva origliato

con stupore i discorsi di suo padre con "quell'oca"

45.Incomincia una serie di strane e meravigliose vicende

Poco dopo quella visita si ripeté "l'impossibile" che già fluttuava quasi materialmente intorno ad Agathe e Ulrich; accadde veramente, senza che nulla accadesse.

I fratelli si vestivano per una serata e non c'era nessuno in casa, tranne Ulrich, per aiutare Agathe; non avevano incominciato in tempo e perciò per un quarto d'ora s'erano affrettati il più possibile, poi vi fu una piccola pausa. Sugli appoggi e sui piani della stanza era sparso pezzo per pezzo tutto l'armamentario che una donna adopera in tali occasioni, e Agathe si chinava verso il suo piede con tutta l'attenzione che esige l'infilare una sottile calza di seta. Ulrich stava dietro di lei. Vedeva il capo, il collo, le spalle e quella schiena quasi nuda; il corpo era piegato un po' di lato, verso il ginocchio rialzato, e sul collo la tensione formava tre pieghe che attraversavano, agili ed allegre come tre frecce, la pelle chiara: la leggiadra corposità di quell'immagine, scaturita da un silenzio improvviso, pareva aver perso la sua cornice e si trasmise così immediata e incomunicabile al corpo di Ulrich, che questi lasciò il suo posto e, non proprio inconscio quanto una bandiera spiegata dal vento, ma pur senza una risoluzione consapevole, s'avvicinò in punta di piedi, piombò sulla reclina e con dolce furore morse una di quelle frecce, mentre il suo braccio cingeva la sorella. Poi i denti di Ulrich si staccarono con la stessa cautela; con la mano destra egli aveva ghermito il ginocchio di Agathe e mentre col braccio sinistro stringeva a sé il suo corpo la strappò su scattando sui garetti. Agathe gettò un grido di spavento.

Finora tutto si era svolto allegramente e scherzosamente, come in tanti episodi precedenti, e anche se era tinto dai colori dell'amore, era pur sempre solo con l'intenzione timida in fondo, di nascondere, sotto questa veste severamente familiare, la natura insolita e più pericolosa di quell'amore. Ma quando Agathe ebbe vinto il proprio sgomento e non si sentì sospesa bensì adagiata nell'aria, libera a un tratto da ogni peso, e guidata invece dalla dolce costrizione del movimento sempre più rallentato, ecco che per uno di quei casi che nessuno può dominare ella si trovò meravigliosamente placata e anzi affrancata da ogni inquietudine terrena; con un movimento che mutò l'equilibrio del suo corpo e che mai avrebbe saputo ripetere ella strappò anche l'ultimo filo di seta della costrizione, si volse cadendo verso il fratello, continuò ad ascendere pur nella caduta, e giacque precipitando come una nuvola di felicità nelle braccia di Ulrich. Egli la portò, stringendola dolcemente a sé, attraverso la stanza che si oscurava, fino alla finestra, e le stette accanto nella penombra mite della sera che le inondava la faccia come un fiotto di lacrime. Nonostante la forza che tutto questo esigeva, e la violenza che Ulrich aveva esercitato sulla sorella, tutto ciò che essi facevano parve loro stranamente remoto dalla forza e dalla violenza; si sarebbe forse potuto paragonare con lo strano e meraviglioso fervore di un quadro, che per la mano che lo afferra dall'esterno non è altro che una ridicola superficie pitturata. Così essi non avevano in

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mente null'altro che l'evento corporeo che occupava tutta la loro coscienza, eppure accanto alla sua natura di scherzo innocente e all'inizio anche un po' rozzo che metteva in moto tutti i muscoli, esso presentava una seconda natura che paralizzava delicatissimamente tutte le membra e al tempo stesso le cingeva con inesprimibile sensività. Con aria interrogativa essi si avvinsero le braccia intorno alle spalle. Divennero partecipi della figura fraterna dei loro corpi, come cresciuti entrambi da una stessa radice. Si guardarono l'un l'altro negli occhi, come se vedessero per la prima volta qualche cosa di simile. E anche se non avrebbero saputo raccontare ciò che era accaduto perché la loro partecipazione era troppo fervida, sapevano tuttavia di essersi trovati all'improvviso, per un attimo, proprio dentro a quello stato comune al cui limite avevano spesso esitato, che tante volte s'erano descritto a vicenda e che pure avevano sempre contemplato solo dal di fuori.

Esaminando l'accaduto a sangue freddo - e così, nascostamente, cercavano di fare entrambi - esso sembrava poco più che un caso fortuito e affascinante, che tra un istante, o almeno col ritorno di un'occupazione, si sarebbe dissolto nel nulla, tuttavia ciò non accadde. Al contrario, essi vennero via dalla finestra, accesero la luce, ripresero le loro attività, ma ben presto tornarono ad abbandonarle; e senza aver preso accordi, Ulrich andò al telefono e informò la casa dov'erano aspettati che non sarebbero venuti. Egli era già vestito da sera, ma l'abito di Agathe pendeva ancora sbottonato alle spalle, e solo adesso ella incominciava a riordinarsi i capelli. Il suono della sua voce nell'apparecchio e la comunicazione col mondo esterno non avevano minimamente disincantato Ulrich; egli si sedette di fronte alla sorella, che interruppe quel che stava facendo, e quando i loro occhi s'incontrarono, nulla fu così certo come il fatto che la risoluzione era presa e che ogni divieto era ormai indifferente. Tuttavia le cose andarono diversamente. Il loro accordo si manifestava ad ogni respiro; era l'accordo ostinatamente sofferto di sciogliersi infine dalla malinconia dello struggimento, ed era così soavemente sofferto che le immagini dell'avveramento si strappavano quasi da loro e li riunivano nella fantasia, così come la tempesta sferza davanti alle onde un velo di spume; ma un desiderio ancora più grande impose loro la quiete, e non furono più capaci di toccarsi. Lo avrebbero voluto, ma i gesti della carne erano divenuti impossibili, e sentirono un divieto inspiegabile, che non aveva nulla da fare con i comandamenti morali. Fu come se dal mondo della congiunzione più perfetta, benché ancora fantomatica, assaporata prima come in una immagine fantastica, li avesse colpiti o ispirati un più alto comandamento, un più alto presagio, curiosità o divinazione.

I fratelli rimasero turbati e pensosi, e quando le loro sensazioni si furono sopite incominciarono a parlare, con esitazione.

Ulrich disse scioccamente, come si parla nel vuoto:- Tu sei la luna... Agathe capì. Ulrich disse:- Sei volata nella luna, e la luna ti ha restituito a me...Agathe tacque; i discorsi lunari sono così frusti. Ulrich disse:- È un'immagine. "Eravamo fuori di noi" "Avevamo scambiati i nostri corpi senza toccarci" Anche

queste sono immagini. Ma che cosa significa un'immagine? Un po' di realtà con molta esagerazione. Eppure giurerei, quant'è vero che è impossibile, che l'esagerazione è stata molto piccola e la realtà quasi già grandissima!

Tacque. Pensava: "Di quale realtà parlo? Ce n'è un'altra?"Lasciando a questo punto il dialogo dei due fratelli per seguire un possibile termine di paragone che

aveva almeno concorso alla sua formulazione, dovremmo dire che questa realtà è invero affine a quella straordinariamente trasfigurata nelle notti di luna. Anche questa non si capisce se si vede in essa soltanto un'occasione per la fantasticheria, che di giorno è meglio reprimere, e per essere nel vero occorre invece farsi presente il fatto incredibile che realmente su un pezzetto di terra tutti i sentimenti mutano come per incanto appena esso, uscendo dalla vuota attività del giorno, s'immerge nella sensibile corporeità della notte. Non solo si dissolvono i rapporti esteriori e si riplasmano nel bisbigliante connubio di luce e di ombra, ma anche quelli interiori si raggruppano in modo nuovo: la parola parlata

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perde l'egoismo e acquista altruismo. Tutte le assicurazioni esprimono soltanto un'unica fluttuante vicenda. La notte chiude tutte le contraddizioni nelle sue fulgide braccia materne, e nel suo seno nessuna parola è vera e nessuna è falsa, ciascuna è quella nascita incomparabile dello spirito dell'oscurità che l'uomo sperimenta in ogni nuovo pensiero. Così tutto ciò che accade nelle notti di luna ha la natura dell'irripetibile, la natura dell'intensità, la natura della munificenza e della spoliazione altruista. Ogni comunicazione è una spartizione senza insidia. Ogni dono donato è un dono ricevuto. Ogni concezione è intrecciata in mille modi con la commozione della notte. Essere così è l'unico adito alla conoscenza di ciò che avviene. Giacché l'Io in quelle notti non trattiene nulla, nessuna condensazione del possesso in sé, quasi neppure un ricordo; l'Io sublimato s'irradia di una immensa abnegazione. E queste notti son piene dell'assurdo presentimento che sta per accadere qualcosa di mai accaduto, tale che l'impoverito senno del giorno non riesce neanche ad immaginare. E non la bocca freme, ma il corpo, da capo a piedi, è teso sopra l'oscurità della terra e sotto la luce del cielo in una commozione che vibra fra due astri. E il sussurrare con i compagni è pieno di una sensualità sconosciuta, che non è la sensualità di una persona, ma quella di ciò che è terreno, di ciò che penetra nel sentimento; la tenerezza del mondo subitamente svelata che senza tregua tocca tutti i nostri sensi e dai nostri sensi è toccata.

Veramente Ulrich non aveva mai osservato in sé una particolare predilezione per le fantasticherie lunari; ma come si trangugia di solito la vita senza sentimento, così accade talvolta di sentire sulla lingua, molto più tardi, il suo sapore divenuto spettrale. E allo stesso modo, tutto quello che aveva perduto di tali fantasticherie, tutte le notti che aveva trascorso, prima di conoscere la sorella, indifferente e solitario, gli parvero improvvisamente un'immensa boscaglia inondata d'argento, macchie di luna sull'erba, penduli rami di melo, gelo scricchiante e buie acque dorate. Erano tutti particolari che non erano in rapporto fra loro e non erano mai stati insieme, che ora però si mescolavano come il profumo esalato dalle molte erbe di un liquore inebriante. E quando egli lo disse ad Agathe, lo sentì anche lei.

Perciò Ulrich compendiò tutto il già detto in un'unica frase:- Quello che ci ha portati l'uno verso l'altro, fin dal primo momento, ben potrebbe chiamarsi una

vita di notti lunari!E Agathe trasse un respiro profondo. Poteva voler dire qualunque cosa; e probabilmente voleva

dire: "Perché non conosci anche un incantesimo che impedisca che ciò ci divida all'ultimo momento?" Sospirò così naturale e spontanea che ella stessa non se ne accorse.

E in tal modo incominciò di nuovo un impulso che li spingeva l'un verso l'altro e li metteva divisi. Ogni commozione profonda che due persone hanno provato insieme sino alla fine lascia in loro la nuda intimità dell'esaurimento; anche un litigio produce tale effetto, e quanto di più la tenerezza di sentimenti che svuotano l'ossa riducendole quasi a flauti! Così anche Ulrich, udendo il suo lamento senza parole, per poco non abbracciò Agathe, commosso ed estatico come un amante la mattina dopo i primi fervori. Già le sfiorava la spalla ancora scoperta, ed ella a quel contatto rabbrividì sorridendo; ma negli occhi le balenò la non voluta dissuasione. Strane immagini sorsero allora nella mente di Ulrich: Agathe dietro grate di ferro, o accennante sgomenta sempre più di lontano, trascinata via dalla separatrice violenza di braccia sconosciute.

Oppure invece egli non era soltanto l'abbandono impotente, ma voleva lui stesso la separazione... Forse erano le eterne immagini del dubbio d'amore, logorate dalla vita mediocre, o forse no. Volentieri gliene avrebbe parlato, ma Agathe adesso aveva volto lo sguardo verso la finestra aperta e s'alzò titubante. La febbre dell'amore era nei loro corpi, che però non osavano ricominciare, e fuori della finestra dalle tende dischiuse stava ciò che aveva rapito loro la fantasia, senza la quale la carne è soltanto bruta e disanimata. Quando Agathe fece i primi passi a quella volta, Ulrich, indovinando il suo consenso, spense la luce per meglio vedere la notte. La luna era sorta dietro le vette degli alberi, che si staccavano densi e nero-verdi sull'indaco dorato del cielo e sul pallido luccichio delle lontananze. Svogliata Agathe contemplò quel profondo pezzetto di mondo.

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- Dunque null'altro che romanticismo da chiaro di luna? - ella chiese.Ulrich la guardò senza risposta. Nella penombra, sullo sfondo della notte biancastra, i capelli biondi

sembravano accesi, le labbra erano dischiuse da ombre, la sua bellezza era dolorosa e irresistibile.Probabilmente anche lui le appariva così, con le orbite azzurre nel viso bianco, perché ella riprese.- Sai a chi somigli? Al Pierrot lunaire! è un consiglio di prudenza! - Voleva fargli un po' torto, presa da

una commozione che quasi l'induceva al pianto. Nella pallida maschera del lunare solitario Pierrot s'erano visti tempo addietro tutti i giovani inutili: capricciosi e dolenti, il volto coperto di cipria gessosa, le labbra rosso sangue, abbandonati da una Colombina che non avevano mai posseduto; la predilezione per le notti di luna ne risultava notevolmente volta al ridicolo. Ma Ulrich, aggravando da principio il dispiacere della sorella, aderì prontamente.

- Anche il "Ridi pagliaccio!" ha fatto correre brividi di intimo consenso giù per la schiena a migliaia di filistei, - egli commentò amaro. Poi soggiunse quasi bisbigliando: - Tutto questo cerchio di sentimenti è davvero sospetto! Eppure in questo momento mi appari così, che vorrei dare in cambio tutta la memoria della mia vita! - La mano di Agathe aveva trovato quella di Ulrich. Egli continuò piano, appassionatamente: In questo nostro tempo s'intende per gioia del sentimento soltanto il vuoto sentimentalismo, e l'ebbrezza lunare è degradata a un'orgia di romanticume. Non s'immagina che, se non è un'incomprensibile perturbazione mentale, dev'essere il frammento di un'altra vita!

Queste parole - forse appunto perché esagerate - avevano la fede e quindi le ali dell'avventura.- Buona notte! - disse Agathe improvvisamente, e se le portò via. Aveva ritratto la mano e chiuse le

tende così in fretta che l'immagine di loro due ritti al chiaro di luna sparì di colpo; e prima che Ulrich accendesse la luce, ella era fuori della stanza.

Ulrich d'altronde gliene lasciò il tempo.- Questa notte dormirai irrequieta come prima di una lunga gita! - le gridò dietro.- Bene, è quel che voglio fare! - rispose Agathe chiudendo la porta.

46.Raggi di luna in pieno giorno

Quando si rividero al mattino fu dapprima, da lontano, come scorgere in una casa ben nota un quadro insolito, o nella libera disordinata natura un'importante opera plastica; allora sorge imprevista, materialmente reale, un'isola di significato, un'elevazione e condensazione dello spirito dalla liquida bassura dell'esistenza. Quando però mossero l'un verso l'altro, erano impacciati, e della notte passata si vedeva nei loro occhi soltanto lo sfinimento, che li adombrava di calda tenerezza.

Chi sa d'altronde se l'amore sarebbe tenuto in così gran conto, se non rendesse così stanchi! Sentendo lo strascico della commozione di ieri essi ne furono felici, come gli amanti sono orgogliosi di essere stati vicini a morire di voluttà. Tuttavia la gioia che reciprocamente si donavano non era soltanto un sentimento di questo genere, era anche una eccitazione della vista: le forme e i colori che essi scambievolmente si offrivano erano dissolti e sfumati, eppure spiccavano come un mazzo di fiori su un'acqua buia. Parevano più evidenti del solito, ma in modo tale che non si poteva dire se dipendesse dalla chiarezza della figura o dalla sua più profonda commozione. Tale impressione rientrava tanto nell'ambito preciso della percezione e dell'attenzione quanto in quello assai vago del sentimento; e proprio questo lo faceva fluttuare fra il dentro e il fuori come il fiato trattenuto e sospeso fra inspirazione ed espirazione; e, in singolare contrasto con la sua forza, non permetteva di distinguere se appartenesse al mondo fisico o se traesse origine soltanto dall'accresciuta partecipazione interiore. I due non volevano d'altronde saperlo, perché una specie di vergogna della ragione li teneva indietro, e per molto tempo ancora li costrinse a stare lontani l'uno dall'altro, sebbene la loro sensibilità perdurasse e

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potesse anche far credere che a un tratto la linea di confine fra di essi e con il mondo fosse un poco mutata.

Era di nuovo tempo d'estate e i due fratelli stavano molto all'aperto; nel giardino fiorivano aiuole e alberelli. Quando Ulrich contemplava un fiore abitudine nuova in lui un tempo così impaziente - era qualche volta un'osservazione senza fine e, per dir tutto, senza principio. Se per caso ne conosceva il nome, era un salvataggio dal mare dell'infinito. Allora le stelline auree su uno stelo nudo volevano dire "botton d'oro" e quelle foglie e corimbi precoci erano "lilla" Se invece il nome gli era ignoto chiamava il giardiniere; allora il vecchio pronunciava un nome sconosciuto, tutto era a posto, e l'antichissima magia del possesso della parola esatta che protegge contro l'indomata selvatichezza delle cose esercitava il suo potere lenitivo come diecimila anni fa. Ma poteva anche accadere che Ulrich si trovasse abbandonato e perplesso davanti a un fiorellino o a un ramoscello, e non ci fosse neppure Agathe per condividere l'ignoranza: allora gli pareva del tutto impossibile capire il verde chiaro di una giovane foglia, e la misteriosa pienezza di forme di un piccolo calice diventava un cerchio ininterrotto di mutamenti infiniti. Di più, un uomo come lui, se non mentiva a se stesso cosa che non doveva essere, se non altro per amor di Agathe - non aveva gran possibilità di credere ad un timido appuntamento con la natura, i cui sussurri e battiti di palpebre, beatitudine e musica muta, son piuttosto privilegio di creature semplici, persuase che appena posano la testa sull'erba Iddio solletica loro il collo, pur non avendo nei giorni feriali nulla in contrario a che la natura venga contrattata sui mercati. Ulrich esecrava quel misticismo di bassa lega che nel fondo della sua eterna commozione religiosa è sciatto oltre misura, e perciò preferiva rassegnarsi all'incapacità di definire con le parole un colore di plastica evidenza o di descrivere forme che parlavano così efficacemente per se stesse. Giacché la parola non taglia, in questo stato, e il frutto resta sul ramo anche se pare già di averlo in bocca: questo è probabilmente il primo segreto del misticismo chiaro come il giorno. E Ulrich si sforzava di spiegarlo alla sorella, sebbene con il dissimulato intento di non vederlo svanire un giorno come un'illusione.

Così però dopo questo stato passionale si stabiliva una conversazione più tranquilla, quasi distratta, che serviva loro di schermo reciproco, benché trasparente. Di solito erano distesi in giardino su due sedie a sdraio che trascinavano di qua e di là seguendo il sole; quel sole di prima estate illuminava per la milionesima volta l'incantesimo che produce anno dopo anno; e Ulrich diceva parecchie cose che gli stavano passando per la mente e s'arrotondava cauto, come la luna che adesso era tutta pallida e un po' sporca, o anche come una bolla di sapone. E così gli accadde, molto presto, di accennare alla stramba e spesso maledetta contraddizione per cui il comprendere presuppone una specie di superficialità, una propensione per la superficie, il che d'altronde s'esprime nella parola "comprendere" ed è in relazione col fatto che le esperienze originali non vengono capite ad una ad una, bensì l'una con l'aiuto dell'altra, e perciò inevitabilmente sono collegate più in superficie che in profondità. Continuò poi:

- Dunque se io dico che quel prato lì davanti è verde, sembra un'affermazione molto precisa, però io non ho detto gran che. In verità non di più che se ti dicessi di un uomo che passa: quello lì si chiama Verde di cognome. Dio sa quanti Verde ci sono! Allora è meglio accontentarsi di notare che quel prato verde è per l'appunto color verde prato, o addirittura che è verde come un prato sul quale è caduta da poco una leggera pioggia... - Ammiccò pigro sull'erba fresca illuminata dal sole e disse: Così probabilmente lo descriveresti tu, perché avendo a che fare con le stoffe degli abiti ti sei avvezzata a figurazioni visive. Io invece potrei magari misurare il colore: potrebbe, a occhio e croce, avere una lunghezza d'onda di cinquecentoquaranta milionesimi di millimetro; e allora questo verde in apparenza sarebbe dunque pure prigioniero e inchiodato da un tempo preciso! Ma già mi sfugge di nuovo, perché, vedi, in questo colore del suolo c'è anche qualcosa di materiale che non si può definire con il nome di un colore giacché lo stesso verde sarebbe diverso se si trattasse di seta o di lana. Ed eccoci di nuovo alla profonda scoperta che l'erba verde è appunto verde-erba!

Agathe chiamata in causa trovò molto naturale che si potesse non capire nulla, e replicò:- Prova a guardare uno specchio di notte: è scuro, è nero, tu non vedi quasi niente; eppure quel

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niente è senz'altro diverso dal niente dell'altra oscurità. Tu intuisci il vetro, il raddoppiamento della profondità, non so quale rimasta capacità di brillare... e tuttavia non vedi nulla di nulla!

Ulrich rise nel trovare la sorella così pronta a negare ogni onore al sapere: egli non intendeva dire che i concetti non servissero a nulla, e ne conosceva bene il valore, pur non avendone l'aria. Ciò che gli premeva sottolineare era l'inafferrabilità delle esperienze singole, di quelle esperienze che per ragioni evidenti bisogna vivere soli e solitari, anche se si è in due. Ripeté:

- L'Io non intende mai le proprie impressioni e produzioni singolarmente, ma sempre in correlazione, in reali o immaginarie, in simili od opposte concordanze con altro; così tutte le cose che hanno un nome si reggono a vicenda in serie, in rapporti, membri di complessi immensi e impenetrabili, gli uni poggianti sugli altri, e percorsi da tensioni comuni. Ma proprio perciò, - continuò, con mutamento improvviso, - se per qualsiasi motivo le correlazioni fanno cilecca e le serie dei ragionamenti non collimano, ci si trova di nuovo davanti alla creazione indescrivibile e disumana, anzi ripudiata ed informe! - Così erano ritornati al punto di partenza; ma Agathe sentiva al di là l'oscura creazione, l'abisso Mondo, il Dio che doveva soccorrerla. Il fratello disse:

- La comprensione cede il posto a uno stupore inesauribile, e il più piccolo fatto, quel filo d'erba e i suoni gentili emessi dalle tue labbra quando dici una parola, diventa incomparabile, unico al mondo, ha un'individualità insondabile e produce un profondo sbalordimento...

Tacque, torcendo irresoluto fra le mani uno stelo verde, e fu lieto quando Agathe senza fermarsi ad almanaccare o approfondire, riportò il discorso su terreno solido. Disse:

- Se fosse più asciutto vorrei coricarmi sul prato! Perché non partiamo? Mi piacerebbe starmene sdraiata fra l'erba, umilmente tornata alla natura come una scarpa gettata via!

- Ma questo vuole soltanto dire prender congedo da tutti i sentimenti, - obiettò Ulrich. - E Dio solo sa che cosa ne sarebbe di noi se essi non fossero presenti a schiere, questi amori e odi e sofferenze e bontà che ciascuno crede di possedere solo. Saremmo privi di ogni facoltà di agire e di riflettere, perché la nostra anima è creata per ciò che si ripete, e non per ciò che esce interamente dalle file... - Era angustiato, gli pareva di essersi spinto avanti nel nulla e scrutò inquieto il volto della sorella, increspando la fronte.

Ma il volto di Agathe era ancora più limpido dell'aria che l'accarezzava e giocava con i suoi capelli, mentre ella gli dava una risposta tratta dalla memoria.

- Non so dove sono, né mi cerco, né voglio saperlo, né averne notizia. Sono così immersa nella fonte del suo amore come se fossi sott'acqua nel mare e da nessun lato potessi vedere o sentire altro che acqua.

- Di chi è? - chiese Ulrich con curiosità e solo allora s'avvide che ella teneva in mano un libro della biblioteca di lui.

Agathe, senza rispondergli, lesse:"Ho vinto tutte le mie facoltà fino all'oscura forza. Allora udii senza suono, vidi senza luce. Allora il

mio cuore divenne senza fondo, la mia anima senza amore, il mio spirito senza forma e la mia natura senza realtà"

Finalmente Ulrich riconobbe l'opera e sorrise, e solo allora Agathe disse:- È uno dei tuoi libri - E a memoria, chiudendo il volume, terminò la citazione: - "Sei tu stesso, o

non lo sei? Io non lo so, ne sono ignara e sono ignara di me. Sono innamorata ma non so di chi; non sono né fedele né infedele. Che cosa sono dunque? Sono ignara perfino del mio amore; ho il cuore pieno d'amore e vuoto d'amore a un tempo!"

La sua buona memoria non amava trasformare i ricordi in concetti, li conservava invece singoli e sensuali, come si ricordano le poesie; per cui v'era sempre nelle sue parole, ma difficilmente descrivibile, la partecipazione del corpo e dell'anima, anche quando si esprime senza il minimo risalto. Ulrich ripensò all'episodio prima delle esequie del padre quando ella gli aveva recitato i bei versi impetuosi di Shakespeare. "Com'è selvaggia la sua natura in confronto alla mia! - egli pensò. Ben poco, oggi, mi son

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permesso di dire!" Riesaminò mentalmente la spiegazione della "mistica chiara come il giorno" che le aveva dato: tutto sommato egli non aveva fatto altro che ammettere la possibilità di deviazioni passeggere dall'ordine consueto e sperimentato; e a considerarla così, le loro esperienze obbedivano semplicemente a una legge fondamentale un po' più ricca di sentimento che quella dell'esperienza comune, e parevano ragazzi della borghesia capitati in una compagnia teatrale ambulante. Non avrebbe osato dire di più sebbene ogni pezzetto di spazio fra lui e la sorella fosse pieno da giorni di avvenimenti incompiuti. E a poco a poco sorse in lui la domanda, se non sarebbe stato possibile credere più di quanto egli si era concesso.

Dopo il vivace culmine della conversazione, Agathe e lui s'erano riadagiati sulle sdraie e il silenzio del giardino aveva coperto l'eco delle parole. Poiché abbiamo detto che Ulrich aveva incominciato a volgere in sé una domanda, dobbiamo osservare che molte risposte precedono le relative domande, come uno che s'affretta precede il suo mantello aperto e svolazzante. Era un'idea sorprendente quella che occupava la mente di Ulrich, e in fondo non richiedeva fede, ma produceva stupore per la sua presenza, e l'impressione che un simile impulso non si poteva mai più dimenticare, il che, considerate le sue esigenze, metteva un poco a disagio. Ulrich era abituato a ragionare non tanto da negatore di Dio quanto da uomo che sta al di fuori di Dio, il che secondo l'uso della scienza significa lasciare in balia del sentimento ogni possibile moto verso Dio poiché questo non può promuovere la conoscenza ma soltanto condurre all'assurdo. Egli in quel momento non aveva alcun dubbio che questo fosse il solo atteggiamento giusto, tanto è vero che i migliori e più evidenti successi dell'intelletto umano si sono avuti quasi solo da quando esso sta alla lontana da Dio. Ma il pensiero che lo tentava disse: E se questa libertà da Dio non fosse altro che la via moderna verso Dio?! Ogni tempo ha avuta una via diversa, secondo le sue più possenti forze spirituali; non sarebbe dunque nostro destino, il destino di un secolo di intelligente e intraprendente esperienza, negare tutti i sogni, le leggende e i concetti lambiccati, solo perché giunti al sommo della ricerca e delle scoperte ci volgeremo di nuovo a lui e stabiliremo con lui un rapporto di incipiente esperienza?!

Questa conclusione non aveva nessuna forza dimostrativa. Ulrich se ne rendeva ben conto; anzi ai più sarebbe parsa follia, e questo non lo turbava affatto. In fondo non avrebbe dovuto pensarlo neanche lui. Il procedimento scientifico - da lui spiegato e dichiarato giusto poco prima consiste oltre che nella logica, nel calare i concetti ottenuti alla superficie dell'"esperienza" nella profondità dei fenomeni e spiegare questi da quelli; si devasta e si appiattisce ciò che è terreno per poterlo dominare, e viene da sé l'obiezione che ciò non si deve estendere all'ultraterreno. Ma Ulrich lo metteva in dubbio; il deserto non è un'obiezione, è sempre stato una culla di visioni celesti; e per di più, prospettive che non sono state raggiunte non si possono prevedere! Non s'accorgeva intanto di trovarsi forse in una seconda contraddizione con se stesso, o di aver preso una strada che deviava dalla sua: san Paolo definisce la fede "confidente attesa di cose sperate e certezza di cose invisibili", e l'opposizione a questa definizione volutamente precisa, e diventata il convincimento della gente colta, era tra i sentimenti più forti che Ulrich portava in cuore. La fede come rimpicciolimento del sapere ripugnava alla sua natura, essa è sempre "contro la miglior conoscenza"; però gli era dato di riconoscere nel "presentimento di una conoscenza ottima" uno stato particolare e un territorio da esplorare per spiriti intraprendenti. Più tardi doveva ancora costargli qualche fatica il fatto che questa opposizione s'era ormai attenuata; ma per il momento egli non s'avvedeva di nulla, perché un nugolo di idee accessorie lo occupava e lo divertiva.

Ne traeva degli esempi. La vita si faceva sempre più monotona e impersonale. In tutti gli svaghi, impressioni, diporti, e perfino nelle passioni penetrava qualcosa di stereotipo, di meccanico, di statico, di fatto in serie. La volontà di vivere diveniva larga e piatta come un fiume che esita davanti alla foce. La volontà artistica era già quasi sospetta a se stessa. Si sarebbe detto che il tempo presente incominciasse a svalutare il singolo individuo, senza poter sostituire la perdita con nuove creazioni collettive. Tale era il suo volto. E questo volto, che era così difficile da capire; che in passato egli aveva amato e cercato di ricreare poeticamente nel cratere di lava di un rimbombante vulcano, poiché si

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sentiva giovane come mille altri; e al quale, come quei mille, aveva voltato le spalle perché non ne sopportava più la vista spaventevole e contraffatta; questo volto si trasfigurava, diventava sereno, argutamente bello, e illuminato come di dentro da un solo pensiero! Infatti come sarebbe se fosse Dio stesso che scema il valore del mondo? Il mondo non riacquisterebbe allora a un tratto senso e piacere? E non sarebbe Dio costretto a scemarlo di valore accostandoglisi anche soltanto di un brevissimo passo? E l'ombra protesa di esso non sarebbe l'unica avventura reale? Questi pensieri avevano l'irragionevole logica di una serie di avventure ed erano così estranei alla mente di Ulrich che gli pareva di sognare. Ogni tanto sogguardava con cautela la sorella come temendo ch'ella leggesse in lui, e intanto contemplava la testa bionda come luce nella luce del cielo e l'aria che le scherzava tra i capelli era la stessa che giocava con le nuvole.

Ogni volta anche Agathe si raddrizzava un poco e si guardava intorno con meraviglia. Cercava allora di figurarsi d'essersi emancipata da tutti i sentimenti della vita. Perfino lo spazio, questo dato invariabile senza contenuto, adesso era cambiato, pensava. Tenendo gli occhi chiusi per qualche attimo e riaprendoli così che il giardino appariva intatto al suo sguardo, come appena creato, ella osservava, chiaro e incorporeo come una visione, che la linea d'unione tra lei e il fratello si distingueva fra tutte le altre: il giardino era sospeso intorno a quella linea, e sebbene gli alberi, i viottoli e le altre parti del luogo reale non fossero mutati, come ella ben vedeva, quella linea era l'asse intorno a cui tutto si volgeva, e per cui tutto si era invisibilmente mutato, in modo visibile. Sembrava una contraddizione: ella avrebbe anche potuto dire che il mondo lì era più dolce, forse anche più doloroso; ma lo strano era che pareva di vederlo con gli occhi. Era altrettanto sorprendente che tutte le forme all'intorno stessero lì in misterioso abbandono eppure, dotate di un fascino misterioso, apparissero vive dando l'apparenza di una tenera morte o di un appassionato deliquio, appena abbandonate da qualcosa d'inesprimibile che conferiva loro una sensualità e una sensibilità addirittura umane. E come per l'impressione dello spazio, qualcosa di simile era accaduto per il senso del tempo; quel nastro corrente, quella scala movente con le sue misteriose correlazioni con la morte, pareva fermarsi in certi momenti, in altri scorreva senza collegamenti. Per un solo istante esteriore poteva interiormente scomparire senza che si potesse dire se era mancata per un attimo o per un'ora.

Una volta Ulrich sorprese la sorella in questi tentativi e dovette indovinare qualcosa perché disse a voce bassa, sorridendo:

- Dicono che per gli dei un millennio non sia che un battito di palpebre! - Poi tutti e due si riappoggiarono indietro e seguitarono ad ascoltare le sognanti parole del silenzio.

Agathe pensava:"Tutto questo è soltanto merito suo; eppure egli dubita sempre quando sorride" Ma il sole col suo

calore costante cadeva tenue come un sonnifero sulle labbra dischiuse di Ulrich, Agathe lo sentiva sulle proprie e si sapeva una con lui. Cercò di trasferirsi nel fratello e di indovinare i suoi pensieri, ciò che fra di loro era considerato illecito perché veniva dall'esterno e non dalla partecipazione creativa; ma come deviazione dalla norma era tanto più clandestino. "Egli non vuole che ne venga fuori soltanto una storia d'amore", ella pensò; e soggiunse: "Anch'io sono d'accordo" E subito dopo pensò: "Non amerà un'altra donna dopo di me, perché questa non è più una storia d'amore: è addirittura l'ultima storia d'amore che vi possa mai essere!" E commentò, fra sé: "Noi saremo una specie di Ultimi Mohicani dell'amore!" In quel momento era capace di parlare in quel tono anche con se stessa, perché, a rendersene onestamente ragione, anche quel giardino incantato dove si trovava con Ulrich era più desiderio che realtà. Ella non credeva realmente che il Regno Millenario, come l'aveva chiamato il fratello, fosse già incominciato, nonostante quel nome che evocava un terreno solido. Si sentiva anzi molto abbandonata dalle sue facoltà sognatrici, e amaramente sobria in quella ragione - quale? dove di solito nascevano i suoi sogni. Ricordò che prima del periodo di Ulrich le era stato in fondo più facile fantasticare che un sonno a occhi aperti come quello che adesso cullava la sua anima potesse condurla al di là della vita, ad un risveglio dopo la morte, vicino a Dio, verso forze pronte ad accoglierla, o semplicemente a lato della

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vita verso un'estinzione delle idee e un trapasso a selve e prati di immagini: non aveva mai capito bene di che si trattasse! Così adesso si sforzò di rammentare quelle antiche immagini. Ma le tornò alla memoria soltanto un'amaca sospesa fra due gigantesche dita, e dondolata da un'infinita pazienza; poi qualcosa che la sovrastava in silenzio, come alti alberi fra i quali ci si sente sollevare e sparire; e infine un nulla che aveva un contenuto incomprensibilmente tangibile. Dovevano essere tutte le forme intermedie fra l'ispirazione e l'immaginazione, dalle quali il suo desiderio aveva un tempo tratto conforto. Ma erano state davvero soltanto figurazioni intermedie o incompiute? Con sua meraviglia Agathe incominciò a poco a poco a scoprire qualcosa di molto strano. "Davvero, ella pensò, - è proprio come quando si dice: mi si è accesa una luce! E quanto più dura tanto più si diffonde!" Infatti quello che aveva immaginato un tempo ella lo ritrovava, guardandosi intorno, quasi in tutto ciò che ora le si presentava, saldo e tranquillo. Era entrato nel mondo senza far rumore. È vero che diversamente da quanto sarebbe accaduto ad un credente ortodosso Dio era rimasto fuori della sua avventura, ma in compenso nell'avventura ella non era più sola: questi erano i due soli mutamenti che distinguevano l'adempimento dalla predizione, e ciò a vantaggio della naturalezza terrena.

47.Fra gli uomini

Nel periodo che seguì essi si tennero lontani dai loro conoscenti e li meravigliarono adducendo il pretesto di un viaggio e non facendosi mai trovare in nessun modo. Se ne stavano per lo più nascosti in casa, e quando uscivano evitavano i luoghi dove avrebbero potuto incontrare persone della loro società; però frequentavano luoghi di svago, piccoli teatri dove credevano di essere al sicuro, e in generale seguivano semplicemente, non appena usciti di casa, le correnti della grande città, che rispecchiano le necessità delle masse, e, secondo l'ora, con esattezza consona ai tempi, le comprimono in un posto e le risucchiano altrove. Vi si abbandonavano senza precisa intenzione. Piaceva loro di fare quel che molti facevano e partecipare a un modo di vivere che toglieva loro temporaneamente la responsabilità psicologica del proprio. E mai la città dove vivevano era parsa loro così bella e così ignota. Le case nel loro complesso offrivano un grande spettacolo anche se nei particolari o prese ad una ad una non erano belle. Il frastuono scorreva nell'aria rarefatta dal calore come un fiume alto fino ai tetti; nella luce forte, che giungeva attenuata al fondo delle strade, la gente sembrava più appassionata e più misteriosa di quanto probabilmente non meritasse di essere considerata. Tutto risuonava, si esibiva, odorava - insostituibile e indimenticabile quasi che volesse mostrare come appariva a se stesso nella sua attualità momentanea; e fratello e sorella non accettavano malvolentieri quell'invito a volgersi verso il mondo.

Tuttavia ciò accadeva non senza riserbo, perché essi sentivano il dissidio. Il segreto e l'indefinito che li univa l'uno all'altro, benché non potessero parlarne liberamente, li divideva dagli altri uomini; ma la stessa passione che sentivano costantemente, perché non si era infranta tanto contro un divieto quanto contro una promessa, li aveva lasciati in uno stato che somigliava alle gravose interruzioni di un'unione fisica. Il piacere senza sbocco ripiombava nei corpi e li riempiva di una tenerezza che era vaga come una giornata di tardo autunno o di primavera precoce. E quantunque essi non trovassero certo per ciascun individuo e per il mondo intero i sentimenti che provavano l'uno per l'altro, sentivano però ricadersi sul cuore l'ombra leggiadra del "come sarebbe", e il cuore non poteva né credere pienamente alla soave illusione né pienamente sottrarvisi, qualsiasi cosa gli accadesse. I due volontari gemelli ne riportavano l'impressione di essere diventati, grazie alla loro attesa e alla loro ascesi, sensibili a tutte le simpatie del mondo che restano sogni incompiuti, ma anche ai limiti che vengono posti ad ogni sentimento dalla realtà e dalla lucidità: e distinguevano assai bene la strana duplice quantità della vita che smorza ogni alta aspirazione contrapponendogliene una bassa. Ad ogni progresso essa lega un

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regresso e ad ogni forza una debolezza; non dà a nessuno un diritto che non sia tolto ad un altro, non risolve un imbroglio senza creare nuovo disordine e sembra addirittura produrre il sublime solo per ammucchiare alla prima occasione sul volgare gli onori che al sublime spetterebbero. Così un nesso quasi impossibile a sciogliersi e forse profondamente necessario lega tutti i nobili sforzi umani con la realizzazione del loro contrario e fa sì che la vita - al di là di tutti gli altri contrasti e fazioni - per gli uomini d'ingegno o anche soltanto di mezzo ingegno sia abbastanza difficile da sopportare, ma li spinge anche a cercare la spiegazione.

Questa collusione del lato diritto della vita col suo rovescio è stata molto variamente giudicata. Più disprezzatori del genere umano vi hanno scorto un effetto della fragilità terrena; i matamori la considerano il piatto più gustoso che la vita possa offrire; i mediocri si trovano così bene in quel contrasto come fra la loro mano sinistra e quella destra; e chi ragiona con cautela dice semplicemente che il mondo non è fatto in modo da corrispondere ai concetti umani. Si consideri dunque come imperfezione del mondo o delle idee dell'uomo, si accetti con infantile fiducia o con tristezza o con indifferenza ostile, in fin dei conti il decidere al proposito può parere più un fatto di temperamento che un compito obiettivo e rispettabile della ragione. Ora però, se è certo che il mondo non è fatto per corrispondere alle esigenze umane, è altrettanto certo che i concetti umani son fatti per corrispondere al mondo, poiché questo è il loro compito; e perché non ci riescano mai proprio nell'ambito del giusto o del bello, rimane in fin dei conti una questione stranamente aperta. I sentimenti disordinati del giardino sembravano presentare questo interrogativo come un libro di figure, e ne scaturivano dialoghi accompagnati da commozioni alterne nello sfogliare le pagine. Nessuno di questi dialoghi esauriva sostanzialmente e compiutamente il suo oggetto, ciascuno si volgeva nel tempo secondo le più diverse concatenazioni; e intanto il tessuto delle idee si allargava sempre più nel suo insieme, la struttura di motivi vivi e coordinati cedeva progressivamente sommersa da fervidi ragionamenti; e così si continuava a lungo, ora perdendo ora guadagnando terreno, prima che il risultato emergesse inequivocabile. Così Ulrich - per caso o no, convinto o senza riflessione - ammise innanzi tutto la possibilità che tanto il limite posto al sentimento quanto gli avanti e indietro o almeno i su e giù della vita, per dirla in breve la sua inafferrabilità spirituale, abbia forse da svolgere un ufficio non inutile, e cioè quello di produrre e conservare uno stato di vita medio. Egli non pretendeva che il mondo fosse l'eden del genio. Solo nelle punte, se non nelle anomalie, la storia del mondo è quella del genio e delle sue opere; per la più gran parte essa è la storia della mediocrità. L'uomo medio è la materia con cui il mondo lavora e che sempre rinasce da esso. Forse ne derivava un momento di stanchezza, forse Ulrich pensava semplicemente che tutto ciò che è comune e medio è molto vigoroso e ha le migliori probabilità di garantire la conservazione della propria specie; bisognerebbe ammettere che la prima legge della vita è quella della conservazione, e può darsi che sia così. Certo in questo inizio è contenuto anche un altro punto di vista. Poiché, dato pure per certo che la storia umana non riceve dall'uomo medio proprio le sue spinte in avanti: se prendiamo tutto insieme - genio e stupidità, eroismo e abulia - è pur sempre la storia dei milioni di slanci e di resistenze, di qualità, risoluzioni, istituzioni, passioni, rivelazioni ed errori, che l'uomo medio riceve da ogni lato e da ogni lato ridistribuisce. In lui ed in essa si mescolano gli stessi elementi; e in tal modo essa è in ogni caso la storia della media, o se si vuole la media di milioni di storie; e anche se dovesse rotare eternamente intorno alla mediocrità, che cosa ci sarebbe infine di più assurdo che rimproverare ad una media la sua mediocrità?

Fra questi pensieri si insinuava anche il ricordo del calcolo delle medie, come si fa nel calcolo delle probabilità. Le regole delle probabilità cominciano con imperturbabile, quasi sfrontata freddezza con l'ammettere che gli avvenimenti siano ora così, ora diversi, ora addirittura suscettibili di trasformarsi nel contrario di quel che sono. Per arrivare a una media e consolidarla occorre che di valori maggiori e particolari ve ne siano molto meno che di medi, anzi quasi nessuno, e ciò vale anche per i valori sproporzionatamente bassi. Gli uni come gli altri restano nel migliore o nel peggiore dei casi valori-limite, e ciò non soltanto seguendo le istruzioni del calcolo, ma anche nell'esperienza, sempre quando si

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danno condizioni accidentali. Questa esperienza sarà magari derivata dai calcoli per le assicurazioni contro la grandine o delle tabelle di mortalità; ma alla scarsa probabilità dei valori-limite corrisponde chiaramente nel campo storico il fatto che situazioni eccezionali e attuazioni integrali di esigenze eccessive non hanno quasi mai avuto lunga durata. E se da un lato ciò può sembrare un ibrido compromesso, da un altro è servito sovente alla salvezza dell'umanità contro l'intraprendenza del genio non meno che contro la stupidità che si dà da fare!

Involontariamente Ulrich traspose le sue considerazioni sulle probabilità ad avvenimenti spirituali e storici, e il concetto meccanico di medietà a concetto morale; e così ritornò alla duplicità della vita donde era partito. Giacché i limiti e le vicende delle idee e dei sentimenti, la loro inutilità, il misterioso e ingannevole legame tra il loro senso e l'attuazione del loro contrario, tutto ciò e altro ancora è già dato come conseguenza insita nell'ipotesi che una cosa sia tanto possibile quanto l'altra. Questa ipotesi è però il concetto fondamentale donde il calcolo delle probabilità attinge il proprio contenuto, ed è la sua definizione del concetto di caso; il fatto che essa caratterizzi anche l'andamento del mondo permette dunque la conclusione che questo non sarebbe molto diverso da quel che è, se tutto venisse unicamente abbandonato al caso.

Agathe domandò se equiparare il corso del mondo al caso non offuscava con intenzione capricciosa la verità e non era un pessimismo romantico.

- Neanche per sogno! - protestò Ulrich. - Abbiamo preso le mosse dall'inutilità delle sublimi aspettazioni e ci è sembrato che essa fosse un mistero maligno. Ma se ora la confrontiamo con la regola della probabilità spieghiamo questo mistero - che potremmo chiamare con antifrasi ironica di un termine famoso "la disarmonia prestabilita" della creazione -, molto modestamente così: che nulla di contrario vi si oppone!

Lo svolgimento rimane abbandonato a se stesso, non è sottoposto a leggi spirituali ordinatrici; obbedisce apparentemente al caso; e se pure così non può derivarne il vero, lo stesso presupposto crea almeno il verosimile, cioè il probabile! Nel medesimo tempo, a partire dal probabile spieghiamo anche la mediocrità che, unica, si stabilizza, deplorandone tuttavia la funesta diffusione. In questo non v'è nulla di romantico e nulla che offuschi la verità; sebbene piuttosto, piaccia o non piaccia, audace spirito di ricerca!

Tuttavia non volle dir altro e abbandonò la sagace impresa senza essere andato oltre l'introduzione.Sentiva di aver toccato, goffamente e prolissamente, qualcosa di grande: la profonda duplicità del

mondo, per cui esso sembra andare tanto avanti che indietro, ora sbigottisce ora entusiasma; e non può fare altra impressione su una persona intelligente già per il solo fatto che la sua storia non è quella degli uomini egregi, ma soltanto quella della gente comune, di cui essa riflette i lineamenti confusi e ambigui. Questa fulminea conclusione era stata però pedantescamente appesantita dal tentativo di dare alla ben nota essenza dell'uomo medio uno sfondo di novità non ancor bene investigata mediante il confronto con la probabilità. L'idea che stava alla base di questo confronto era apparentemente semplice: il mediocre è sempre anche probabile e l'uomo medio è il sedimento di ogni probabilità. Se però Ulrich paragonava quel che aveva detto con quel che c'era ancora da dire, quasi disperava della continuazione di ciò che aveva iniziato col suo raffronto fra la probabilità e la storia.

Agathe disse con malizioso indugio: - La portinaia sogna il gioco del lotto e spera di vincere! Se io dunque son stata degna di capirti, il compito della storia sarebbe di lasciarsi dietro una razza umana sempre più mediocre e di motivarne l'esistenza; tesi in favore della quale parlano, o almeno sussurrano, parecchie cose. E a tale scopo non saprebbe far niente di più e di meglio che abbandonarsi semplicemente al caso e lasciare alle sue leggi la distribuzione e la composizione degli avvenimenti? Ulrich approvò col capo. - È un periodo ipotetico. Se la storia umana avesse un compito, e se fosse questo, allora non potrebbe essere migliore di quello che è, e giungerebbe stranamente al suo scopo col non averne alcuno! - Agathe rise. - E perciò tu asserisci che il basso soffitto sotto cui viviamo svolge un ufficio "non inutile"? - Un ufficio profondamente utile: asseconda la mediocrità! - confermò Ulrich.

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- E questo scopo impedisce che sentimenti e volontà crescano fino al cielo. - Magari succedesse il contrario! - dichiarò Agathe. - Non mi consumerei gli orecchi ad ascoltare per voler saper tutto!

Un simile discorso intorno al genio, la mediocrità e la probabilità sembrava ad Agathe tempo perso perché occupava solo l'intelligenza senza sfiorare il sentimento. Non così era per Ulrich, benché egli fosse profondamente scontento di quanto aveva detto. Non conteneva nulla di solido, tranne la frase: se una qualsiasi cosa fosse un gioco del caso, avrebbe per risultato la stessa ripartizione di vincite e perdite come la vita. Ma se la seconda parte di questa proposizione condizionale è vera, non ne consegue affatto che sia vera la prima! Per essere credibile la reversibilità del rapporto avrebbe bisogno di un paragone più preciso, che rendesse possibile di trasferire i concetti di probabilità ad avvenimenti storici e spirituali e di mettere a raffronto due campi così diversi.

Ulrich non ne aveva la minima voglia; ma quanto più sentiva la svogliatezza, tanto più riconosceva l'importanza del problema toccato. Non solo l'influsso crescente di masse spiritualmente deboli, che rende l'umanità sempre più mediocre, ha conferito importanza ad ogni problema concernente la struttura del mediocre - ma per di più il problema fondamentale dell'assenza del probabile sembra anche per altri motivi, fra cui alcuni di natura generale e spirituale, volersi sempre più sostituire al problema dell'essenza della verità, sebbene in origine sia stata soltanto uno strumento per la soluzione di singole questioni.

Tutto questo si sarebbe anche potuto esprimere dicendo che a poco a poco "l'uomo probabile" e "la vita probabile" incominciavano ad occupare il posto dell'"uomo vero" e della "vita vera", che erano pura immaginazione e illusione; come d'altronde Ulrich aveva già accennato affermando che tutta la questione non era che la conseguenza di uno sviluppo abbandonato a se stesso. Evidentemente il senso di tutte queste considerazioni non gli era ancora ben chiaro, ma grazie appunto a tale debolezza esse gettavano luce lontano come lampi, ed Ulrich conosceva tanti esempi della vita e del pensiero contemporaneo a cui s'addicevano, da sentirsi vivamente sollecitato a trasformare in un concetto più chiaro quello sentimentale che già aveva di loro. Così non mancava neanche la necessità di una continuazione, ed egli decise di non trascurarla, presentandosene l'occasione.

Dovette sorridere della propria meraviglia nel riconoscersi già avviato, senza volerlo, ad informare Agathe di una cosa remota che tempo addietro egli aveva bizzarramente chiamato "il mondo delle stesse cose che ritornano" Era il mondo dell'irrequietezza senza senso che scorre come un ruscello nella sabbia senza erba; adesso egli lo chiamava "il mondo dell'uomo probabile" Con curiosità ridesta mirava le fiumane di uomini lungo le cui rive essi procedevano, e come le loro passioni, abitudini e ignoti godimenti li distraessero da loro stessi: era il mondo di quei godimenti e di quelle passioni e non il mondo di una possibilità non sognata fino al suo esaurimento. Così era anche il mondo delle barriere che limitano anche il sentimento più sfrenato, e del modo di vivere medio. Per la prima volta egli pensava, non solo sentimentalmente ma così come si aspetta una cosa reale, che la differenza per cui in un caso è impossibile al sentimento mondano giungere alla pace e a un durevole adempimento, e nell'altro trovare un'attività mondana e progressiva, è da ricondurre a due disposizioni o nature dell'animo fondamentalmente diverse.

Interrompendosi disse: - Guarda! - e tutti e due ricuperarono la coscienza della vita. Accadde mentre traversavano una piazza nota e, se così si può dire, generalmente rispettata. Sorgeva lì la Nuova Università, un edificio d'imitazione barocca, sovraccarico di ornamenti meschini; non lontano c'era una chiesa "neogotica" con due torri, che era costata moltissimo e sembrava un bello scherzo di carnevale; e lo sfondo era costituito, oltre a due case insignificanti che facevano parte dell'ateneo, e al palazzo di una banca, da un grande tribunale-prigione, tetro e spoglio, più vecchio di parecchi decenni.

Veicoli veloci e massicci attraversavano il quadro, e bastava uno sguardo per abbracciare la prosperità già raggiunta come pure le premesse di futuro progresso, e per ispirare l'ammirazione per l'attività umana nonché avvelenare lo spirito con un lievissimo fondiglio di insipidezza. E senza cambiare argomento, Ulrich seguitò: - Supponi che una banda di briganti si sia impadronita del mondo,

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e disponga soltanto dei più rozzi istinti e dei principî più primitivi. Dopo qualche tempo, anche da quel terreno selvaggio crescerebbero manifestazioni dello spirito! E nuovamente, più tardi, quando lo spirito si fosse perfezionato, contrasterebbe già la strada a se stesso. La messe aumenta, e il suo contenuto diminuisce; come se i frutti avessero sapore d'ombra, quando tutti i rami sono carichi! Non se ne chiese il perché. Aveva scelto la similitudine solo per esprimere che secondo lui la maggior parte di ciò che si chiama civiltà è a mezza strada fra lo stato della banda di briganti e quello di un'oziosa maturità; e se era così poteva essere anche una giustificazione per tutto il discorso a cui s'era lasciato trascinare, sebbene l'inizio fosse stato un lieve soffio di tenerezza.

48.Ama il tuo prossimo come te stesso

Di molte cose si potrebbe dire che avevano forse determinato le parole di Ulrich od erano state chiaramente o fugacemente collegate con i suoi pensieri. Non era passato molto tempo, ad esempio, dacché egli aveva parlato ad Agathe, e perfino ad altri, in quel disgraziato ricevimento da Diotima, del grande disordine di sentimenti al quale dobbiamo la storia propriamente detta come pure i minori sconvolgimenti di opinioni e i brutti episodi come quello accaduto proprio allora. Ma adesso, non appena diceva qualcosa che poteva avere un significato generale, aveva la sensazione che quelle parole gli uscissero di bocca con qualche giorno di ritardo. Gli mancava il desiderio di occuparsi di fatti che non lo riguardavano direttamente, oppure questo desiderio durava molto poco; poiché la sua anima era prontissima a darsi con tutti i suoi sensi al mondo, qualunque esso fosse. Il suo giudizio in tal caso non contava, si può dire, affatto, anzi non significava quasi niente che qualcosa gli piacesse oppure no. Perché tutto, insomma, lo commoveva più che egli non potesse capire. Ulrich era abituato ad occuparsi degli altri, ma sempre così come comportano sentimenti e opinioni che devono valere in generale, e adesso succedeva in piccolo, singolarmente, attenendosi senza fondamento ad ogni particolare; ed era quasi uno stato per il quale egli aveva ispirato persino ad Agathe il dubbio che si trattasse piuttosto del desiderio di compartecipazione di una natura che in verità non partecipava a niente, che di una vera partecipazione. Era accaduto quando, per una non trascurabile divergenza di opinioni sull'importanza della persona a lui poco nota del professor Lindner, egli aveva enunciato l'offensiva opinione che a nessuno e a nessuna cosa si partecipa così come si dovrebbe. E in verità, quando lo stato in cui si trovava ora era durato un po' e aveva raggiunto il colmo della misura, gli diventava sgradevole o appariva ridicolo, e allora in modo ugualmente assurdo era pronto tanto alla dedizione quanto a revocare questa dedizione.

Ma questa volta Agathe, a modo suo, non aveva sentimenti molto diversi. La sua coscienza era oppressa quando le mancava lo slancio; perché aveva preso uno slancio troppo potente e si sentiva esposta ai giudizi come una donna sull'altalena. In quei momenti temeva la vendetta del mondo per l'arbitrio con cui trattava gli uomini che parlavano seriamente della realtà, come il provocato consorte e colui che ne coltivava la memoria e che tanto si preoccupava per l'anima di lei. Tra le mille attraenti attività di cui è piena giorno e notte la vita, non si sarebbe trovata una sola occupazione alla quale Agathe avrebbe potuto attendere con tutto il cuore; e ciò che ella stessa ardiva intraprendere poteva sicuramente contare su critiche, disistima o addirittura disprezzo da parte degli altri. Eppure ella trovava una pace singolare proprio in questo. Forse si può dire, mutando un noto proverbio, che una cattiva coscienza è quasi un miglior guanciale per la sua coscienza buona, purché sia cattiva abbastanza!

L'incessante attività secondaria dello spirito, quando è intesa a ricavare come conclusione da tutte le ingiustizie in cui esso è coinvolto una buona coscienza personale, allora si arresta e lascia nell'animo un senso di sconfinata indipendenza.

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Delicata solitudine, orgoglio immenso, versavano talvolta il loro splendore su queste trasvolate. Accanto alle sensazioni proprie, il mondo appariva in tali momenti goffo e gonfio come un pallone frenato, fra voli di rondini, o ridotto ad uno sfondo piccolo come un bosco all'orlo dell'orizzonte. I trasgrediti doveri civili sgomentavano appena, come un rumore lontano che avanza; erano irrilevanti, se non irreali. Un ordine immane che in fine non era che una immane assurdità, ecco cos'era allora il mondo. Eppure proprio per questo, ogni particolare che Agathe incontrava aveva la tensione, il carattere funambolesco dell'"una volta e mai più", l'eccitazione della propria scoperta personale che è di natura magica e non ammette ripetizioni; e quando voleva parlarne era consapevole che nessuna parola si può dire due volte senza cambiar il significato. Tutto questo insieme conferiva all'irresponsabilità di quel vagare in mezzo agli uomini una responsabilità difficile a capirsi.

In quel periodo dunque il comportamento di Agathe e Ulrich era una manifestazione non del tutto ineccepibile di interesse per il prossimo fatta di consenso e di dissenso coesistenti l'uno accanto all'altro in uno stato di commozione fluttuante come un arcobaleno, invece di mescolarsi stabilmente come s'addice allo stato di quotidianità sicuro di se stesso. Così accadde che il dialogo, un giorno prendesse una direzione che definiva il loro comportamento reciproco col mondo, pur non portandoli certo più oltre di quel che già sapevano.

Ulrich domandò: - Che cosa vuol dire in fondo il precetto "Ama il prossimo tuo come te stesso?" Agathe lo guardò con la coda dell'occhio.

- Evidentemente: ama anche il più lontano e distante! - proseguì Ulrich. - Ma che cosa significa: come te stesso? In che modo uno ama se stesso? Nel mio caso la risposta sarebbe: niente affatto! In moltissimi altri: più d'ogni altra cosa!

Ciecamente! Senza domande e senza freno!- Tu sei troppo aggressivo: chi lo è con se stesso lo è anche con gli altri, - rispose Agathe scuotendo

la testa. - E se non basti a te stesso, come dovrei bastarti io? - Lo disse in un tono che stava fra il dolore sopportato serenamente e la cortesia discorsiva. Ma Ulrich non le badò e restò sulle generali, guardando fisso nel vuoto. - Forse farei meglio a dire: di solito ognuno ama se stesso più di tutto, e si conosce meno di tutto. Allora "ama il prossimo tuo come te stesso" significherebbe: amalo senza conoscerlo e in qualunque caso.

E, cosa strana (se lo scherzo è permesso), anche nell'amore del prossimo come in ogni altro amore ci sarebbe il peccato originale: mangiare il frutto dell'albero della conoscenza!

Agathe alzò lentamente gli occhi.- Mi piacque quando mi dicesti una volta che io ero il tuo amore per te stesso, che avevi perduto e

ritrovato.Ma adesso dici che non ami te stesso e che ami me, secondo la logica e l'esempio, solo perché non

mi conosci!Non deve dunque offendermi se io sia il tuo amore per te stesso? - Il dolore nella voce aveva ceduto

ora interamente il posto alla gaiezza.Anche Ulrich si mise a scherzare.Chiese se sarebbe stato meglio che la amasse benché la conoscesse. Perché anche questo rientra

nella definizione dell'amore del prossimo; descrive l'impiccio in cui mette la maggior parte della gente. Si amano l'un l'altro ma non si piacciono. - Si dispiacciono a vicenda, o sanno che dopo più lunga conoscenza si dispiaceranno; e si danno troppa spinta in senso contrario! - egli affermò.

L'allegria di quelle battute era fittizia. Tuttavia anch'esse servirono a esplorare i confini di un pensiero e di un sentimento la cui annunciazione - qualunque cosa fosse accaduta o non accaduta in seguito - era già incominciata allora, quando Ulrich, al capezzale della sorella affaticata dal viaggio e dall'arrivo, aveva detto per la prima volta: tu sei l'amore per me stesso, che avevo perduto; in quel discorso, aveva confessato di aver perduto l'amore per il suo io e per il mondo, ed alla fine si erano dichiarati "fratelli siamesi" A quella indagine fu poi utile tutto ciò che era osservazione della vita

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comune e media, benché essi fossero rimasti feriti or ora essi stessi dalla superficiale giocondità che ci avevano messo.

Con trapasso improvviso ad un tono più arcigno, Ulrich ammonì: - Avremmo dovuto dire semplicemente che "ama il prossimo tuo come te stesso" non è altro che l'utile norma: "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te" Come prima, Agathe scosse il capo, ma il suo sguardo si riscaldò. - È un precetto pieno di generoso ardore e di nobile serenità, - ella esclamò in tono di rimprovero. - Le sue esemplificazioni sono "Ama i tuoi nemici! Ricambia il male col bene! Ama senza chieder nulla!" - A un tratto s'arrestò e guardò il fratello sconcertata. - Ma che cosa si ama in un uomo se non lo si conosce? domandò candidamente. Ulrich non rispose subito.

- Hai mai notato quanto mette a disagio, in fondo, incontrare una persona che ci piace ed è così bella che le si vorrebbe dire qualcosa d'appropriato? - Agathe accennò di sì. - Dunque il nostro sentimento, - ella ammise, - non dipende dall'uomo reale e dal mondo reale?

- Bisognerebbe quindi rispondere alla domanda: A che parte è rivolto il nostro sentimento, o a quale trasformazione e trasfigurazione del mondo reale e dell'uomo reale? integrò Ulrich piano.

Questa volta fu Agathe che non diede subito una risposta; ma il suo sguardo era eccitato e fantasticante. Alla fine rispose timida con una controproposta. - Forse dietro quella comune apparirà allora la grande verità?

Ulrich crollò la testa con l'aria di volersi schermire, ma l'esitante interrogazione di Agathe aveva a suo favore una cristallina evidenza. La gioia e l'aria di quelle giornate erano così tenere e serene da far sorgere l'impressione involontaria che gli uomini e il mondo avrebbero dovuto mostrarvisi più reali del reale. Un piccolo fremito immateriale avventuroso era in quella trasparenza, come nella fluida limpidità di un ruscello che lascia arrivare lo sguardo fino al fondo, ma quando esso giunge ondeggiante fin là gli rivela i sassi, colorati e misteriosi, come una pelle di pesce sotto la cui levigatezza quello ch'esso aveva creduto di scoprire è più che mai inaccessibile. Bastava che Agathe allentasse un poco lo sguardo per sentire, immersa nel sole, che era capitata in un reame soprannaturale; per un attimo allora le era facilissimo credere di aver sfiorato una più alta realtà e verità o almeno di esser giunta ad un punto dell'esistenza dove una porticina segreta conduce dal giardino terreno all'ultraterreno. Ma se ridava allo sguardo la solita tensione e lasciava affluire vigorosamente la vita, vedeva ciò che era lì per davvero: una bandierina, ad esempio, che sventolava allegra ma senza significato recondito nella mano di un bimbo; un furgone della polizia, con la vernice nero verdastra che luccicava al sole; un uomo con un berretto colorato che spazzava via di tra i veicoli lo sterco dei cavalli, e infine un drappello di soldati coi fucili in spalla, le canne rivolte verso il cielo. E tutto era inondato di un qualche cosa ch'era affine all'onore; inoltre tutti gli uomini sembravano più disposti del solito ad aprirsi a questo sentimento; ma credere che fosse realmente incominciato il regno dell'amore, disse infine Ulrich, sarebbe stato purtuttavia difficile come immaginare che in quel momento nessun cane potesse mordere e nessun uomo commettere cattive azioni.

Sembra forse strano che vi siano tanti tentativi di spiegazione; e che alcuni di essi davanti a quella disposizione nuziale dell'uomo considerino che in quegli istanti di raccoglimento e d'amore dietro l'individuo ordinario, terrestre, buono-cattivo ma che tuttavia è lì di sicuro, deve spuntarne un altro autentico e lontano. I fratelli esaminarono ad uno ad uno quei tentativi pieni di buone intenzioni, e nessuno li persuase. Non la saggezza domenicale secondo la quale la natura nei suoi giorni di festa fa saltar fuori tutto il buono e il bello che sta nascosto nelle creature. Non l'opinione, piuttosto psicologica, che l'uomo pur in quella tenera trasparenza non si riveli un altro, ma mostri amabilmente come vorrebbe esser visto: trasudando fuori come miele il suo egoismo e l'indulgenza verso se stesso. E neppure l'altra variante, che gli uomini manifestano la loro buona volontà, la quale non gli impedisce mai di far del male, ma in quei giorni emerge dalla cattiva volontà, che per lo più li signoreggia, incolume come Giona dalla pancia della balena. E certo non credevano nemmeno alla spiegazione più breve e più inebriante, ancora una volta timidamente accennata da Agathe: che si trattava forse del

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retaggio immortale tralucente a volte dal mortale. Il tratto comune di quelle solenni interpretazioni era che tutte cercavano la salvezza dell'uomo in una condizione che fra le solite condizioni insostanziali non arriva ad imporsi; e come i suoi presagi sono chiaramente rivolti verso l'alto, così occorre pure far cenno di un secondo, non meno ricco gruppo di autoillusioni, che altrettanto chiaramente si dirigono verso il basso. Sono tutte le famose confessioni e proclamazioni, più d'una volta entrate addirittura nella Storia, secondo le quali l'uomo avrebbe perduto per orgoglio intellettuale e per altri malanni della civiltà l'innocenza di una vita naturale, la sua naturale innocenza.

C'erano dunque due "uomini veri" che nella stessa occasione puntualmente si offrivano ai sentimenti; ma - in quanto l'uno doveva essere un superuomo celeste, l'altro una creatura imperturbabile - si trovavano ai due lati opposti dell'uomo reale, e Ulrich disse asciutto: - Il tratto comune è soltanto che l'uomo reale anche nei momenti di esaltazione non si crede vero: sarebbe più o meno qualcosa per cui egli si vede incantevolmente irreale!

Ora i fratelli nella loro esercitazione ermeneutica erano arrivati da un caso limite all'altro e per ultimo non restava che una sola possibilità di spiegare quell'amore così soave che tutto unisce senza distinzioni, simile a un rorido mattino. Agathe citò anche quella possibilità, sospirando con grazioso dispetto: - Così il sole splende e si è presi da un impulso incosciente, come una scolaretta e uno scolaretto!

- Ulrich integrò: - Al calore del sole i bisogni sociali si dilatano come il mercurio nel tubo, e a spese dei bisogni egoistici che normalmente li equilibrano! - Fratello e sorella erano ormai stanchi di sentire, e accadeva talvolta che una conversazione intorno ai loro sentimenti gli facesse tralasciare di provarli. Anche perché la piena delle commozioni, se non trovava alcuno sbocco, in fondo faceva soffrire, ed essi la ricambiavano all'occasione con un po' d'ingratitudine. Ma quando ebbero parlato entrambi così, Agathe guardò di nuovo di sbieco il fratello e si affrettò a ritrattarsi: - Però non è neanche così semplice come nel caso di studentelli che vorrebbero abbracciare il mondo intero e non sanno perché!

E appena ebbe esclamato ciò, ambedue sentirono di nuovo di essere esposti non a un'immaginazione soltanto, ma a un imprevedibile divenire. Nel sentimento straripante c'era verità, dietro l'apparenza c'era realtà e la trasformazione del mondo occhieggiava fantomaticamente dal mondo stesso! Era però una realtà stranamente insostanziale, ben poco tangibile quella di cui si sentivano in attesa; ed una mezza verità, tanto familiare quanto ineffettuabile, che ambiva ad essere creduta: una realtà e verità non buona per tutti, bensì segreta, solo per amanti. Evidentemente però non si trattava semplicemente di arbitrio o di illusione; essa sussurrava misteriosamente: "Devi abbandonarti a me senza sospetto, così apprenderai tutta la verità!" Ma era difficile udirlo espresso in chiare parole, giacché il linguaggio dell'amore è un linguaggio segreto, e nella sua più alta perfezione è muto come un abbraccio.

Agathe inarcò le sopracciglia sorridendo e guardò la folla: Ulrich la imitò e insieme contemplarono la fiumana di gente che li accompagnava e veniva loro incontro. Percepivano essi la potenza e l'oblio di sé, la gioia, la bontà, l'alta e profonda timidezza che dominano in una comunità umana, e sia pure in quella di una strada affollata, così che appare incredibile che contenga brutture e contrasti? Se ne staccava con bizzarro risalto la loro propria esistenza, dai netti contorni e dalla difficile collocazione, e anche quella di ogni altro che procedeva oscuro in quel nubifragio e alluvione di tenerezza portandone lo splendore negli occhi.

In quel momento, che ripeteva in forma plastica tutti gli interrogativi sul "regno dell'amore" e sul significato e dubbi dell'amore per il prossimo e vi rispondeva integralmente, Ulrich si chinò verso Agathe per vederla in viso e le chiese: - Saresti capace di amare qualcuno se non come un'ombra, quando non vi è né convincimento morale né desiderio fisico?

Da quando facevano insieme quelle passeggiate era la prima volta che egli le rivolgeva una domanda così scoperta.

Agathe per il momento non rispose.

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Ulrich chiese: - E che cosa succederebbe se noi ora fermassimo uno di costoro e gli dicessimo "resta con noi, fratello!" oppure "arrestati, anima che t'affretti! Noi vogliamo amarti come noi stessi!"?

- Ci guarderebbe sbalordito, rispose Agathe. - E poi raddoppierebbe il passo.- Oppure farebbe il villano e chiamerebbe un poliziotto, - aggiunse Ulrich. - Infatti crederebbe di

aver da fare con innocui dementi oppure con gente che vuole burlarsi di lui.- E se noi gli gridassimo subito "Criminale zoticone!"? - propose Agathe.- Allora potrebbe darsi che non ci prendesse né per pazzi né per buontemponi, ma soltanto per

gente che non la pensa come lui; appartenenti a un altro partito che rivolgendogli la parola hanno preso abbaglio. Perché certamente le associazioni di ciechi per l'odio del prossimo non hanno, tutte insieme, meno aderenti che quella per l'amore.

Agathe fece un cenno di consenso; poi scosse il capo e guardò in aria.L'aria era precisa come prima. Guardò in terra, e qualche umile particolare, la finestra di una cantina,

una foglia di verdura perduta, parvero dolcemente accese dalla luce del cielo. Infine ella cercò qualche cosa che le piacesse semplicemente di per sé, un volto, o un oggetto in vetrina, e lo trovò. Ma quel piacere reale era una macchia cieca nel fulgore del giorno; Ulrich aveva già detto qualcosa di simile, ma ora il contrasto le apparve più forte. Turbava l'amore universale per la gente e per il mondo, invece di accrescerlo col suo piccolo contributo. Così Agathe rispose: - è tutto così irreale! e oggi non so neanch'io se amo la gente e le cose reali, né se amo realmente qualcosa!

- Sarebbe questa la risposta alla mia domanda, - volle sapere Ulrich, cambiando un poco questa domanda, - se un amore, per quanto grande, senza compimento fisico possa essere più che l'ombra di un amore? In ogni desiderio che non dà qualcosa da fare anche ai sensi, c'è già un silenzioso cordoglio.

- Sono piena d'amore e vuota d'amore, e tutt'e due a un tempo, - si lamentò Agathe sorridendo, e indicando la folla con un piccolo gesto desolato. Era il lamento del cuore dove Dio è penetrato così profondamente come una spina, che le dita non possono afferrare. Nelle confessioni dei mistici che lo desiderano con tutta la loro anima e materia umane, quella peculiare disperazione viene sempre a interrompere gli istanti della trasfigurazione che gli si era avvicinata a portata di mano; e i fratelli ricordarono entrambi l'ora in giardino, quando Agathe da un libro aveva letto a Ulrich esempi simili.

Dopo che se lo furono detto, Ulrich osservò: - Un po' di quel misticismo è anche nell'amore del prossimo; tutti lo sentono e gli obbediscono, senza capirlo. E forse ogni grande amore contiene qualcosa di mistico, forse anche ogni grande passione. Forse perfino nella vita ordinata, in tutti i momenti di profonda apertura la partecipazione agli uomini e alle cose è una partecipazione mistica, assai diversa da quella reale!

E che cos'è una "partecipazione mistica" se non semplicemente una che non è reale? - domandò Agathe.

Ulrich non rifletteva, però esitava.Alla fine disse con molta risolutezza: - Vedi, si è pieni e vuoti d'amore a un tempo. Si ama tutto, e

nulla in particolare. Non ci si può sciogliere dalla più trascurabile inezia e intanto si sente che tutto quanto è senza importanza. Sono contraddizioni: le due cose in apparenza non possono essere reali contemporaneamente.

Eppure sì, sono entrambe reali: non avrebbe senso negarlo. Se dunque non posso pregarti di intendere per partecipazione mistica una magia religiosa, rimane soltanto l'ipotesi che vi siano due maniere di vivere la realtà, che più o meno ci s'impongono.

Qualche volta in un istante propizio e strettamente unite nascono le risposte a molte domande che staccate ed esitanti hanno cagionato alterne inquietudini. Qualche volta questo accorciamento prospettico inganna; ma resta sempre una preveggenza. Un minuto simile era quello della scoperta che vi sono al mondo due specie di realtà, o per dir meglio due specie di realtà profana. Quando ciò fu detto, e ancor prima che fratello e sorella si fossero convinti che era credibile, non vi fu più problema nella loro vita che non fosse stato toccato da quella risposta. Veramente le molte vicende e congetture

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degli ultimi tempi, straordinarie e infinitamente intricate, e gli accenni fatti in precedenza, non trovarono spiegazioni, ma tutto fu pervaso da una rinnovata confidenza. Così una fiamma si smorza e langue e trattiene il respiro, prima di risplendere più alta.

49.Discorsi sull'amore

L'uomo, giustamente chiamato l'animale parlante, è l'unico che, anche per la riproduzione, abbia bisogno di parlare. E non parla, mentre vi provvede, solo perché sa parlare; pare invece che in lui l'ebbrezza dell'amore sia consostanziale all'ebbrezza del discorrere, e ciò in modo così profondo e misterioso da far quasi pensare agli antichi, secondo la cui filosofia Dio, gli uomini e le cose sono sorti dal "logos", intendendo alternativamente lo Spirito Santo, la ragione e la favella. Ora, nemmeno la psicoanalisi e la sociologia hanno insegnato qualcosa di essenziale a tale proposito, benché queste due giovanissime scienze facciano già a gara col cattolicesimo nell'immischiarsi di tutto ciò che è umano. Bisogna dunque cercare da sé di veder chiaro nel fatto che nell'amore il dialogo è quasi ancora più importante di tutto il resto. L'amore è il più loquace di tutti i sentimenti ed è fatto in massima parte di loquacità. Se l'individuo è giovane, quei discorsi che trattano tutti gli argomenti sono una manifestazione di crescenza: se è maturo sono la sua ruota di pavone, che anche se spennacchiata egli vi spiega tanto più volonteroso quanto più è avanti negli anni. Il motivo potrebbe essere il risveglio del pensiero contemplativo operato dai sentimenti dell'amore, e il suo legame durevole con essi; ma allora la questione sarebbe per intanto semplicemente spostata, poiché anche se la parola contemplazione viene usata quasi altrettanto spesso per la parola amore, non diventa perciò più chiara.

Se poi quel che univa Agathe e Ulrich si dovesse denunciare come amore oppure no, non si può - su tale base - decidere, quantunque essi parlassero l'uno con l'altro insaziabilmente. Anche quel che dicevano concerneva sempre in qualche modo l'amore, questo è vero. Ma vale per l'amore ciò che vale per gli altri sentimenti: che il loro ardore si manifesta tanto più abbondantemente in parole quanto più sono ancora lontani dall'azione; e dopo le precedenti commozioni dell'animo, violente e confuse, ciò che portava fratello e sorella ad abbandonarsi ai colloqui e appariva loro talvolta come un incantesimo era prima di tutto il non sapere come avrebbero potuto agire. Il conseguente timore del proprio sentimento, ed il penetrarvi curiosamente dall'esterno facevano sì che talora i discorsi prendessero un aspetto più superficiale di quanto non fosse il loro intimo contenuto.

50.Difficoltà dove non se ne cercano

Che dire del tanto famoso quanto volenterosamente sperimentato esempio dell'amore fra due cosiddette persone di sesso diverso? è un caso particolare del comandamento: Ama il prossimo tuo, senza sapere com'è; e un saggio del rapporto che esiste fra amore e realtà.

Ciascuno fa dell'altro la bambola con la quale ha già giocato nei sogni d'amore.E ciò che l'altro intende, pensa ed è in realtà, non c'entra per niente?Finché lo si ama poiché lo si ama tutto appare incantevole; ma non è vero l'inverso. Mai e poi mai

una donna ha amato un uomo per le sue opinioni e pensieri, o un uomo una donna. Opinioni e pensieri hanno soltanto una considerevole parte secondaria. È lo stesso che per la collera: se si capisce senza prevenzioni ciò che l'altro intende, non soltanto la collera è disarmata, ma contro ogni attesa per lo più

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anche l'amore.Ma specialmente in principio il fatto più importante non è spesso la gioia per la concordanza delle

opinioni? L'uomo ascoltando la voce della donna si sente ripetuto da un'orchestra meravigliosamente profonda, e le donne sono i ventriloqui inconsci; senza che vengano dalla loro bocca, si sentono dare le risposte più acute.

Ogni volta è una piccola annunciazione; una creatura esce dalle nuvole e si pone a fianco d'un'altra, e tutto ciò che dice pare a quest'ultima una corona celeste, fatta proprio sulla misura della sua testa!

Più tardi naturalmente ci si sente come un ubriaco che ha smaltito la sbornia.Ma allora le opere! Le opere dell'amore, la fedeltà, i sacrifici e le sollecitudini, non sono la più bella

prova? Eh, le opere sono ambigue come tutto ciò che è muto! Se si ripensa alla propria vita come a una catena varia di avvenimenti e di azioni, essa somiglia a un'opera teatrale del cui dialogo non si ricorda una sola parola, e i cui atti culminano con molta monotonia tutti allo stesso modo!

Dunque non si ama secondo i meriti e i pregi, e nel coro alterno degli spiriti immortali mortalmente innamorati?

Non essere amate come si meritano è il cruccio di tutte le zitellone di ambo i sessi!Fu Agathe che rispose così: La bella e inquietante mancanza di causalità dell'amore, e la lieve

ebbrezza dell'ingiustizia spiravano da trascorse passioni e la riconciliavano persino con la mancanza di dignità e di serietà di cui per il suo gioco col professor Lindner talora s'accusava e sempre si vergognava quand'era di nuovo con Ulrich. Ma Ulrich aveva intavolato il discorso e mentre durava gli era venuta voglia di approfondire i ricordi di Agathe, poiché ella giudicava quelle preziose memorie similmente a come lui giudicava le proprie.

Agathe lo guardò ridendo. Non t'è mai capitato di amare immensamente qualcuno e di disprezzarti per questo?

- Posso dire di no; ma l'ipotesi non mi sdegna, - rispose Ulrich.- Avrebbe potuto accadermi benissimo.- Non hai mai amato una persona nonostante l'inquietante convinzione, - seguitò Agathe

infervorata, - che questa persona, sia essa munita di barba o di seno, che noi stimiamo e crediamo di conoscere bene, che parla senza posa di sé e di te, in fondo dall'amore è soltanto in visita? Si potrebbe lasciar da parte le sue idee e i suoi meriti, mutare il suo destino, darle una barba diversa o un altro paio di gambe: si potrebbe quasi eliminare la persona stessa, eppure si continuerebbe ad amarla! Naturalmente in quanto la si ama per davvero! aggiunse poi smorzando.

La sua voce aveva un tono intenso, con una sonorità inquieta nel fondo, come un fuoco. Ella si sedette, sentendosi colpevole, perché nel suo fervore involontario era saltata su dalla seggiola.

Anche Ulrich si sentiva un po' colpevole per quella conversazione, e sorrise. Non era stata certo sua intenzione parlare dell'amore come uno di quei moderni sentimenti equivoci che oggi è gran moda chiamare "ambivalenti", il che vuol dire press'a poco che l'anima, come accade fra truffatori, ammicca sempre con l'occhio sinistro mentre giura con la mano destra. Egli si era soltanto divertito a spiegare che all'amore, per nascere e per durare, non occorre nulla d'importante. Cioè, si ama una certa persona nonostante tutto, e anche per nessuna ragione; e ciò significa che il tutto è un'illusione, o che quest'illusione è un tutto, com'è un tutto il mondo, dove non si muove foglia senza che l'Onnisenziente se ne accorga.

- Insomma non dipende assolutamente da nulla! - concluse Agathe. - Né da quello che è l'essere amato, né da quello che pensa, né da quello che vuole, né da quello che fa.

Erano ben consci di parlare della sicurezza dell'anima, o meglio, per evitare una parola così grossa, dell'insicurezza che essi - usando questa volta la parola in generale, con umile imprecisione -, sentivano nell'anima. E che parlassero dell'amore mentre ne ricordavano l'incostanza e i travestimenti accadeva solo perché esso è uno degli affetti più definiti e più impetuosi, e tuttavia un sentimento così sospetto di fronte al severo sentimento della conoscenza giudicante, che fa vacillare persino questo. Di lì

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avevano preso le mosse, appena usciti al sole dell'amore del prossimo; e ricordando la norma per cui, in quel soave stordimento, è difficile capire se si amano in realtà gli esseri umani e se si amano quelli reali, oppure, e per quale particolarità, si sia gabbati da una fantasia e da una trasfigurazione, Ulrich si mostrò lealmente pronto a fissare con un nodo - almeno adesso e così come risultava dal dialogo appena cessato - il problematico rapporto esistente fra sentimento e conoscenza.

- Queste contraddizioni non mancano mai e formano un tiro a quattro, egli affermò. - Si ama una persona perché la si conosce; e perché non la si conosce. E la si conosce perché la si ama, e non la si conosce perché la si ama. E a volte ciò arriva al punto di diventare tangibile di colpo. Sono i momenti famigerati in cui Venere attraverso Apollo e Apollo attraverso Venere vedono un vuoto manichino e si stupiscono gravemente di aver veduto qualcos'altro fino a poco prima. Se l'amore è più forte dello stupore, i due si danno battaglia, e qualche volta l'amore benché esausto, disperato e inguaribilmente ferito, ne esce vittorioso ancora una volta. Ma se non è tanto forte, si viene a una lotta fra le due persone che si credono ingannate: e sono brutali irruzioni nella verità, offese, vituperi estremi che dovrebbero risarcire di essere stati così balordi... - Egli s'era trovato abbastanza spesso in quelle bufere d'amore da poterle oggi descrivere agevolmente.

Agathe però troncò il discorso.- Se non ti dispiace vorrei osservare che queste questioni d'amore coniugali e non coniugali

nell'insieme vengono molto sopravvalutate! - ella obiettò cercandosi una posizione comoda.- Tutto l'amore è sopravvalutato! Il pazzo visionario che tira fuori il coltello e scanna un innocente

venuto a trovarsi nel luogo della sua allucinazione, in amore è l'individuo normale! - concluse Ulrich ridendo.

51.Amare è tutt'altro che semplice

Una posizione comoda e un sole amabile, carezzevole senza essere indiscreto, favorivano questi dialoghi, che s'intessevano per lo più fra due sedie a sdraio poste non tanto al riparo e all'ombra della casa quanto nella luce ombreggiata che, venendo dal giardino, era limitata nella sua libertà dai muri ancora mattinali. Certo non bisogna credere che le sedie fossero lì perché fratello e sorella - indotti dalla sterilità dei loro rapporti, effettiva in senso ordinario e forse minacciosa in senso più alto - avessero per intento di scambiarsi opinioni sull'ingannevole essenza dell'amore in stile indio-schopenhaueriano, e difendersi mediante un'analisi distruttiva da quella follia che spinge alla riproduzione della specie; la loro scelta della penombra, della dolcezza e di una curiosità riservata aveva una spiegazione più semplice.

L'argomento stesso della conversazione era tale che nell'infinità d'esperienze da cui emerge il concetto dell'amore si scorgevano le più varie vie di comunicazione fra un problema e l'altro. Così i due problemi di amare un prossimo che non si conosce, e se stessi che si conosce ancor meno, conducevano la loro curiosità verso un nuovo problema che li comprendeva entrambi: sapere, semplicemente, come si ama, o con altre parole, che cosa sia, "insomma", l'amore. A prima vista la questione può sembrare pedantesca e in verità anche troppo ragionevole per una coppia d'innamorati. Ma diventa assai conturbante se la si estende ai milioni di amanti tutti diversi fra loro.

Questi milioni di coppie si differenziano non soltanto per le loro persone (il che li riempie d'orgoglio) ma anche per le loro azioni, scopi e rapporti. Ma a volte di coppie non si può parlare, ma d'amore sì; altre volte di coppie sì, ma non d'amore, e il caso è un po' più ordinario. Il termine in sé poi comprende tante contraddizioni quanto la domenica in una cittadina di provincia, dove i giovani contadini alle dieci ascoltano la messa grande, alle undici vanno al bordello in una viuzza adiacente e a mezzogiorno si ritrovano per bere e mangiare all'osteria di piazza. Ha senso far l'esame di una parola

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così fatta? Ma quando la si adopera si agisce inconsciamente come se avesse, a dispetto di tutte le differenze, un'essenza comune! Non c'è nulla di più diverso che amare un bastone da passeggio oppure l'onore, e a nessuno verrebbe in mente di citar le due cose in un fiato, se non fossimo abituati a farlo tutti i giorni. Altre varietà di ciò che è mille e una cosa, eppure la stessa, si possono citare dicendo: amare la bottiglia, il tabacco, o veleni ancora peggiori. Amare gli spinaci e le passeggiate all'aperto.

Lo sport o lo spirito. La verità. La donna, il bambino, il cane. Loro che ne parlavano, aggiungevano: Dio. La bellezza, la patria e il denaro. La natura, l'amico, la professione e la vita. La libertà. Il successo, il potere, la giustizia o, così senza specificare, la virtù. Tutto questo si può amare. In breve ci sono quasi tanti oggetti dell'amore quante maniere di desiderare e modi di dire.

Ma quali sono le differenze e i punti in comune di questi amori?Forse sarà utile far presente la parola "forchetta" e i suoi derivati.Vi sono forchette per mangiare, forconi per il letame, forcelle della bicicletta e dello stomaco,

forcine dei capelli, e a tutti questi termini è comune "l'esser forcuto" Il carattere distintivo è la forma biforcata, negli oggetti svariatissimi che ne traggono il nome. Se si parte da essi ci si rende conto che risalgono tutti allo stesso concetto; se si parte dall'impressione iniziale di "forcuto", ci si rende conto che tale impressione è sostenuta e completata dalle impressioni prodotte dai vari oggetti forcuti. Quel che è comune è dunque una forma o una struttura, e le differenze stanno innanzi tutto nelle diverse fogge che possono assumere; poi, per gli oggetti così conformati, nella loro materia, nel loro uso, e via discorrendo. Ma mentre ogni forca o forchetta può essere immediatamente confrontata con un'altra ed è percettibile ai sensi, non foss'altro con un tratto di matita o con l'immaginazione, così non accade per le diverse forme dell'amore; e tutta l'utilità dell'esempio si riduce alla questione di sapere se anche qui, come per il carattere forcuto delle forchette, non ci sia un'esperienza capitale, qualcosa di amabile, di amoroso e di amatorio che è comune a tutti i casi. Ma l'amore non è un oggetto di conoscenza sensibile che si possa afferrare con uno sguardo o anche con un sentimento, bensì un avvenimento morale come lo sono l'assassinio premeditato, la giustizia e il disprezzo: e questo significa fra l'altro che è possibile fra tutti i suoi esempi una catena di comparazioni con molte varianti e con fondamenti di ogni genere, i cui estremi possono essere molto dissimili, anzi diversi fino alla contraddizione, e tuttavia sono legati da un'assonanza che corre dall'uno all'altro. Trattando dell'amore, si può dunque giungere fino all'odio; e tuttavia la causa non è la famosa "ambivalenza", il dualismo del sentimento, ma appunto l'unità stessa della vita.

Eppure, anche un'espressione come quella avrebbe potuto precedere il seguito della conversazione. Infatti, lasciando da parte forche, forchette e simili innocenti ausiliari, la conversazione della gente colta sa oggi trattare senza impaccio il nocciolo e l'essenza dell'amore, e tuttavia esprimersi in modo così appassionante come se quel nucleo essenziale fosse contenuto in tutte le manifestazioni dell'amore, come il "forcuto" nelle forchette da frutta o nelle forche da letame. Si dice allora - e anche Ulrich e Agathe avrebbero potuto esservi trascinati dall'abitudine generale - che nell'amore l'essenziale è la libido, oppure l'eros. La storia delle due parole non è la stessa, tuttavia considerando l'epoca presente le due storie si possono paragonare. Quando la psicoanalisi (perché un'epoca che rifugge dappertutto dall'approfondimento intellettuale s'accorge con meraviglia di possedere una psicologia del profondo) incominciò a diventare la filosofia del giorno e spazzò la noia della vita borghese, tutto quanto venne spiegato e interpretato con la libido cosicché alla fine di questo concetto-chiave (o chiave falsa) è tanto difficile dire quel che non è quanto quello che è. E la stessa cosa succede con l'eros; però è stato sempre così fin da principio per tutti coloro che con molta convinzione riconducono ad esso tutte le correlazioni fisiche e psichiche di questo mondo. Sarebbe inutile tradurre libido con istinto e desiderio, sessuale e presessuale; ed eros invece con tenerezza spirituale o addirittura soprasensibile: sarebbe necessario aggiungere una dissertazione storica a parte. La sazietà di questo filosofeggiare trasforma l'ignoranza in piacere. Così accadde che la conversazione fra le due sedie a sdraio, invece di prendere la direzione indicata, trovò attraente e riposante quel procedimento primitivo e inadeguato che consiste

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nell'elencare come in un gioco il maggior numero possibile di esempi del cosiddetto amore, senza nessuna prevenzione e senza disdegnare nemmeno i più sciocchi.

Classificarono così, conversando piacevolmente, tutti i casi che ricordavano, secondo il sentimento, secondo l'oggetto che l'aveva suscitato e gli atti in cui si manifestava. Era anche utile osservare prima il comportamento e stabilire se meritava il suo nome in senso reale o traslato. Così raccolsero un materiale vario, proveniente da tutte le direzioni. Ma in primo luogo, senza volerlo, s'era discorso di sentimento: poiché a quanto pare la natura dell'amore è tutta un "sentire" Tanto più stupefacente è la risposta che nell'amore il sentimento è quel che meno costa. Per l'inesperienza bruta sarebbe come lo zucchero e il mal di denti: non proprio altrettanto dolce né altrettanto doloroso, e così inquieto come bestiame tormentato dai tafani. Forse a coloro che soffrono le torture dell'amore questo esempio non sembrerà geniale. Tuttavia le descrizioni tradizionali non sono poi molto diverse: trepidare e agognare, tormenti e struggimenti, e vaghi farneticamenti! Da tempi immemorabili, pare che non si sappia dire nulla di più preciso su questo stato. Ma tale mancanza di originalità non è caratteristica dell'amore soltanto.

Anche quando siamo felici o tristi non lo distinguiamo così irrevocabilmente e immediatamente come distinguiamo il liscio dal ruvido; e vi sono altri sentimenti che non si possono identificare al sentire, si potrebbe quasi dire "al tatto" Perciò a questa svolta del discorso c'era da fare un'osservazione, che avrebbe potuto convenientemente integrarlo, sulla disuguaglianza delle pendenze e degli sviluppi dei sentimenti. Questi furono i termini introdotti da Ulrich; e avrebbe anche potuto dire tendenze, sviluppi e consolidamenti.

Infatti incominciò col ricordare un'esperienza naturale: che ogni sentimento porta con sé una certezza convincente della propria esistenza, il che evidentemente fa parte del suo nocciolo; e aggiunse che per ragioni altrettanto universali bisogna ammettere che da quel nocciolo incomincia altresì la differenziazione dei sentimenti. E citò qualche esempio. L'amore per un amico ha altra origine e altre caratteristiche che l'amore per una ragazza, l'amore per una donna tutta sbocciata è diverso da quello per una donna chiusa in sacro mistero. E sentimenti ancor più divergenti fra loro fin dalla radice sono, per restare in argomento, l'amore, la venerazione, la concupiscenza, il servaggio, o le varietà dell'amore e della ripugnanza.

Ammesse queste due ipotesi, tutti i sentimenti dal principio alla fine dovrebbero essere solidi e trasparenti come il cristallo. E tuttavia nessun sentimento è incontestabilmente quello che sembra essere; né l'osservazione di sé né le azioni che produce lo garantiscono. Questa differenza fra la sicurezza di sé e l'incertezza dei sentimenti è tutt'altro che piccola.

Ma se consideriamo il sorgere del sentimento in rapporto con le sue cause tanto psicologiche quanto sociali, diventa naturalissima. Le cause infatti abbozzano a grandi linee, per così dire, solo la specie del sentimento, senza definirne i particolari; a ogni istinto e a ogni situazione che lo suscita fa riscontro tutto un fascio di sentimenti corrispondenti. E quello che già ne è presente fin dal principio si può ben chiamare il nucleo del sentimento, che si trova ancora fra l'essere e il non essere; volendolo descrivere, comunque esso sia non si potrebbe dire nulla di più adeguato se non che è un qualche cosa che nel corso della sua evoluzione e secondo ciò che verrà o non verrà ad aggiungervisi, si configurerà nel sentimento che era destinato a divenire. Così ogni sentimento, oltre alla sua tendenza originaria, ha anche un destino; e per il fatto che la sua evoluzione successiva dipende più che mai dalle circostanze che sopravverranno, non ve n'è alcuno che fin dall'inizio sia infallibilmente se stesso, e forse neppure che sia indubbiamente e unicamente un sentimento. In altre parole, da questa cooperazione delle tendenze e degli sviluppi risulta che nel campo dei sentimenti non predomina il puro evento e l'adempimento univoco, bensì un'approssimazione progressiva e un adempimento approssimativo. E qualcosa di simile si può affermare di tutto ciò che per capire ha bisogno di sentimento.

Così si concluse l'osservazione di Ulrich, e le spiegazioni s'erano succedute press'a poco in quest'ordine. Poco meno asciutta ed esagerata dell'affermazione che il sentimento costituisce la parte

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più trascurabile dell'amore era stata l'altra, che l'amore essendo un sentimento, non si può riconoscere dal sentimento. Si capiva più chiaramente perché Ulrich aveva definito l'amore un avvenimento morale. Le tre parole, tendenza, sviluppo e consolidamento, erano stati i nodi principali che legavano l'ordinata comprensione del fenomeno sentimento; almeno in una certa opinione di principio, a cui Ulrich si volgeva volentieri quando aveva bisogno di una spiegazione simile. Ma poiché una giusta esposizione dell'intero problema gli avrebbe imposto esigenze più grandi e più dottrinali di quanto non fosse disposto ad assumersi, interruppe a tal punto il discorso incominciato.

Il seguito puntò in due direzioni.Secondo il programma della conversazione, adesso si sarebbe dovuto parlare dell'oggetto e

dell'azione dell'amore, per determinare quel che provoca l'estrema varietà delle due manifestazioni; e infine stabilire che cosa sia, "insomma", l'amore. Perciò dell'intervento delle azioni nel determinare il sentimento si era già discorso a proposito dell'origine di questo, e ciò doveva a maggior ragione essere ripetuto a proposito delle due ulteriori vicende. Ma Agathe fece ancora una domanda: non era possibile - e lei aveva motivo se non di sospettarlo, almeno di temere che lo si sospettasse - che la spiegazione adottata dal fratello valesse soltanto per un sentimento debole oppure per un'esperienza che rifuggiva dall'intensità?

Ulrich rispose: - No assolutamente!È proprio nel momento della maggiore intensità che il sentimento è più incerto. Nell'estremo terrore

si è paralizzati o si grida, invece di fuggire o di difendersi. Nell'estrema felicità v'è spesse volte una sofferenza singolare. Anche un eccesso di ardore, come si suol dire, "È dannoso" E in generale si può affermare che al massimo dell'intensità i sentimenti trascolorano e svaniscono, come per abbagliamento. Forse tutto il mondo del sentimento che noi conosciamo è fatto soltanto per un'esperienza media e cessa ai gradi maggiori così come non comincia ai gradi più bassi - Di questo faceva parte, indirettamente, l'esperienza che si fa osservando i propri sentimenti, soprattutto mettendoli "sotto la lente" Diventano indefiniti e difficili a distinguersi.

Quel che perdono allora di chiarezza dovuta all'intensità, dovrebbero però riguadagnarlo almeno in parte grazie all'attenta osservazione; ma ciò non avviene.

Così rispose Ulrich, e questo riscontro fra l'estinguersi del sentimento nell'autoanalisi come nei più alti gradi dell'eccitazione non era casuale. Perché entrambi sono stati in cui l'azione è abolita o disturbata; e siccome il rapporto fra sentire e agire è tanto stretto che molti lo ritengono un'unità, i due esempi si integravano non senza ragione.

Ciò che Ulrich però fece a meno di dire era quello che sapevano tutti e due per esperienza personale: che al grado più alto del sentimento amoroso può essere legato uno stato di indebolimento spirituale e di smarrimento fisico. Perciò, con una certa violenza, egli stornò il discorso dall'importanza che l'azione ha per il sentimento, con l'intenzione apparente di tornare alla classificazione dell'amore secondo i suoi oggetti. A prima vista questa possibilità alquanto fantasiosa sembrava più adatta allo scopo di rimettere ordine in quel concetto dei molti sensi. Se infatti, per cominciare con un esempio, è blasfemo denominare con la stessa parola l'amore di Dio e l'amore per la pesca, ciò dipende senza dubbio dalla differenza fra i due oggetti a cui l'amore è rivolto; e l'importanza dell'oggetto si può misurare anche da altri esempi. Ciò che introduce enormi differenze fra amore e amore non è dunque l'amore stesso ma il "che cosa" si ama. Così vi sono oggetti che rendono l'amore ricco e sano; e altri che lo fanno povero e malato, come se ciò dipendesse da essi soli. Vi sono oggetti che devono contraccambiare l'amore perché questo possa spiegare tutta la sua forza e le sue qualità; e altri per i quali quest'esigenza sarebbe assurda a priori. È appunto la distinzione fra l'amore per gli esseri animati e quello per gli inanimati; ma anche inanimato, l'oggetto è il vero compagno di gioco dell'amore, e le sue qualità influiscono su quelle dell'amore.

Più disuguale è il valore del compagno, e più l'amore è squilibrato, per non dire sfigurato dalla passione.

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- Confronta, - ammonì Ulrich, - il sano amore reciproco di due giovani, e quello ridicolo ed esagerato di un solitario per il suo cane, il suo gatto o il suo canarino. Guarda la passione fra un uomo e una donna spegnersi o diventar fastidiosa come un accattone respinto quando è, o non è interamente, ricambiata. Non dimenticare che in relazioni disuguali come quella tra genitori e figli, padrone e servitore, o fra un uomo e l'oggetto della sua ambizione o del suo vizio, il rapporto di reciprocità diventa la parte più incerta, più corruttibile. Sempre, quando il naturale scambio regolatore fra l'amore e l'oggetto dell'amore è difettoso, l'amore degenera come un tessuto ammalato!

In quell'idea c'era qualcosa che pareva sedurlo. Avrebbe potuto svilupparla in molti modi e con molti esempi; ma mentre li stava cercando, qualcosa che egli non s'aspettava ma che animava di viva attesa il cammino previsto, come un profumo che giungesse attraverso i campi, spostò quasi per sbaglio il suo pensiero su ciò che in pittura si chiama Stilleben (vita ferma), o in altre lingue, secondo un procedimento opposto ma altrettanto valido, natura morta. - Sotto un certo aspetto, riprese Ulrich improvvisamente, - è ridicolo ammirare un'aragosta ben dipinta, grappoli d'uva luccicanti e una lepre appesa per le gambe, insieme con l'inevitabile fagiano; perché l'appetito umano è una cosa ridicola e l'appetito dipinto è ancor più ridicolo di quello naturale - E tutti e due sentirono che quella considerazione andava più in là di quel che pareva, ed era il seguito di quanto non avevano detto di se stessi.

Giacché nelle vere nature morte oggetti, animali, piante, paesaggi e corpi umani immobilizzati dalla magia dell'arte - si vede qualcosa di diverso da ciò che rappresentano, e cioè il mistero demoniaco della vita dipinta. Di tali quadri ve ne sono di famosi; Ulrich e Agathe sapevano di che cosa si trattava. Ma è meglio parlare non di quadri determinati, ma di una specie di opere pittoriche che d'altronde non fanno scuola ma nascono senza regola al cenno dello spirito creatore. Agathe chiese in che modo si riconosceva. Ulrich però non volle indicarle un carattere decisivo, disse invece lentamente, sorridendo e senza esitare: - La sua eco commovente, indistinta, infinita!

E Agathe capì. Non si sa come, ci si sente su una spiaggia. Ronzano piccoli insetti. L'aria porta odori di prato, a centinaia. Pensiero e sentimento procedono insieme, indaffarati. Ma davanti agli occhi c'è il deserto del mare, senza risposta, e quello che ha senso sulla riva si perde nell'emozione uniforme dello spettacolo infinito. Agathe pensò che tutte le vere nature morte possono suscitare quella felice inesauribile malinconia. Quanto più si contemplano, tanto più chiaro appare che gli oggetti rappresentati sembrano ritti sulla sponda colorata della vita, l'occhio colmo d'immensità e la lingua paralizzata.

Ulrich riprese con un'altra parafrasi. - In fondo, tutte le nature morte dipingono la vita al sesto giorno della creazione: quando Dio e il mondo erano ancora soli, senza gli uomini! - E a un sorriso interrogativo della sorella rispose: - Cosicché le emozioni che destano nell'uomo sarebbero gelosia, curiosità del mistero, e angoscia!

Questa era quasi una "trovata", e nemmeno delle peggiori: Ulrich se ne accorse con dispetto, perché non gli piacevano quelle trovate, tornite come palle e superficialmente indorate. Ma non fece nulla per correggersi né sua sorella glielo chiese. Una strana analogia con la propria vita impediva ad entrambi di esprimersi fino in fondo sull'arte inquietante delle "vite ferme" o nature morte.

Quest'analogia aveva una parte importante. Senza voler ripetere nei suoi particolari ciò che risaliva a comuni ricordi d'infanzia, ciò che era stato ridestato dal rivedersi e che da allora dava un colore singolare a tutte le loro vicende e a molti dei loro dialoghi, non si può tuttavia tacere che vi si percepiva sempre l'alito come immobilizzato dalla natura morta; ne risultò più o meno il dialogo seguente, che arrotolava e srotolava il discorso come un fuso.

Dover impetrare qualcosa da un volto irremovibile che non dà risposta getta l'uomo in un'ebbrezza di disperazione, d'aggressività o di bassezza.

Altrettanto sconvolgente, ma inesprimibilmente bello, è invece inginocchiarsi davanti a un volto immoto sul quale la vita di poche ore s'è spenta lasciando un riflesso come di tramonto.

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Questo secondo esempio è anzi un luogo comune del sentimento, se mai ve ne fu uno! Il mondo parla di sacra dignità della morte; da centinaia se non da migliaia d'anni è motivo poetico ricorrente quello dell'amata nella sua bara a cui si ricollega tutta una poesia e soprattutto un lirismo della morte. V'è probabilmente in questo un che di adolescente. Chi s'immagina che la morte gli doni la più sublime delle amanti, se non colui al quale manca il coraggio o la possibilità di averne una viva?

Da tale poesia da adolescenti una linea retta conduce ai brividi delle evocazioni di spiriti e di trapassi; una seconda agli errori dell'autentica necrofilia; e forse una terza a quelle due contraddizioni morbose che sono l'esibizionismo e la violenza carnale.

Forse tali avvicinamenti potranno stupire, e certuni sono assai poco appetitosi. Ma se non ci lasciamo sgomentare e li consideriamo sotto un aspetto, per così dire, medico-psicologico, vedremo che hanno un tratto comune: un'impossibilità, un'incapacità, una mancanza di coraggio naturale o di coraggio a vivere naturalmente.

Se ci avventuriamo a far paragoni audaci, scopriremo ancora che il silenzio, l'impotenza e ogni imperfezione del compagno di gioco hanno per effetto di mettere l'animo in stato di sovratensione.

Così si ripete quanto è già stato detto prima: che un compagno di valore disuguale squilibra l'amore; occorre però aggiungere che non di rado è già uno squilibrio del sentimento quello che provoca una simile scelta. E inversamente, il compagno che risponde, che è vivo e attivo, determina e ordina i sentimenti, senza di che essi degenerano in finta.

Ma lo strano fascino della natura morta non è anch'esso una finta? Anzi, quasi un'eterea necrofilia?Ed un'analoga finta si svolge negli sguardi degli amanti felici, come espressione della loro estasi

suprema.Si guardano negli occhi, non possono staccarsi, e annegano in un sentimento che si può tendere

all'infinito, elastico come il caucciù.Così all'incirca era incominciata la conversazione, ma a questo punto era rimasta incagliata per un

bel po', prima di rispondere. Ulrich e Agathe infatti s'erano guardati davvero, ed erano ammutoliti.Se è necessaria un'osservazione per spiegare questo silenzio e soprattutto per giustificare ancora una

volta questi dialoghi ed esprimerne il senso, si potrebbe forse dire ciò che in quel momento Ulrich, comprensibilmente, aveva preferito lasciare allo stato di tacito pensiero, cioè che amare non è neanche lontanamente tanto semplice come vorrebbe farci credere la natura, affidando gli strumenti dell'amore ad ogni acciabattone del creato.

52.Respiri di un giorno d'estate

Il sole intanto era salito più in alto; i due avevano lasciato le due sdraio nell'ombra piatta vicino alla casa, come barche tirate in secco, ed erano coricati su un prato sotto la piena intensità della giornata estiva.

Erano già lì da un bel po', e quantunque la scena fosse cambiata, quasi non percepivano il mutamento, e neanche il silenzio; il discorso s'era interrotto senza che si sentisse lo strappo.

Un tacito turbinio di fiori opachi, venendo da un gruppo di alberi sfiorenti, fluttuava nella luce del sole; e il fiato che lo reggeva era così tenue che non una foglia si muoveva. Il verde del tappeto erboso invece di recarne le ombre pareva oscurarsi dall'interno come un occhio.

Tutt'intorno piante e cespugli, dalla giovane estate rivestiti prodigamente di tenere fronde, sorgevano di fianco o formavano lo sfondo, dando l'impressione di spettatori sbalorditi che, sorpresi e ammaliati nei loro abiti festivi, prendessero parte al corteo funebre e alla festa della natura. Primavera e Autunno, linguaggio e silenzio del creato, e anche incanto di vita e di morte erano intrecciati nel quadro; i cuori

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sembravano arrestarsi, essere strappati dal petto, per unirsi al silenzioso aereo corteggio. Agathe ricordò la frase di un mistico: "Allora il cuore mi fu tolto dal petto" Ricordava anche di averla letta lei ad Ulrich trovandola in uno dei suoi libri.

Qui in giardino era accaduto, non lontano dal posto dove si trovavano adesso. Il ricordo diventò più preciso. Le vennero in mente altri detti che ella gli aveva richiamato alla memoria: "Sei tu stesso, o non lo sei? Non so dove io sia; né voglio sapere!" "Ho vinto tutte le mie facoltà, fino all'oscura forza! Amo, e non so chi! Ho il cuore pieno d'amore e vuoto d'amore a un tempo!" Così risuonava in lei il lamento dei mistici, nel cui cuore Dio è penetrato così profondamente come una spina che le dita non possono afferrare. Molti di quei lamenti estatici ella aveva letto allora ad Ulrich. Forse adesso non li citava con esattezza, la memoria è un po' prepotente con ciò che desidera udire; ma ella ne capiva il senso e prese una risoluzione. Come in quel momento dunque, del corteo di fiori, il giardino era già apparso altra volta arcanamente deserto e animato; e proprio nell'ora in cui le erano venute in mano le mistiche professioni trovate tra i libri di Ulrich. Il tempo s'era fermato, un millennio era lieve come l'aprirsi e il chiudersi di un occhio, era giunto al Regno Millenario, Dio stesso forse si faceva sentire. E mentre ella, sebbene il tempo non dovesse più esistere, sentiva queste cose una dopo l'altra; e mentre il fratello, perché in questo sogno ella non dovesse patire angoscia, era vicino a lei, e neppure lo spazio paresse più esistere, il mondo, incurante di queste contraddizioni, appariva colmo di gloria in ogni sua parte.

Ciò che ella aveva sentito dopo d'allora non poteva sembrarle che moderatamente eloquente in confronto a quanto era avvenuto prima; ma quale accrescimento e rafforzamento doveva pur dare, anche se aveva perduto l'immediatezza, quasi il calore animale, dalla prima ispirazione! In tali circostanze Agathe decise di affrontare questa volta con cautela l'estasi che già in quel giardino l'aveva colta come un sogno. Ella vi collegava il nome del Regno Millenario, ma non sapeva perché. Era una parola chiara al sentimento e quasi palpabile come un oggetto, ma alla ragione rimaneva oscura. Perciò ella poteva covare quella fantasia come se il Regno Millenario potesse avere inizio da un momento all'altro.

Si chiama anche il Regno dell'Amore, questo Agathe lo sapeva pure; ma solo per ultimo ella pensò che i due nomi sono tramandati fin dai tempi della Bibbia e indicano il regno di Dio sulla terra, il cui prossimo avvento è inteso in senso perfettamente reale.

D'altronde anche Ulrich, senza credere perciò alle Scritture, usava talvolta quelle parole con la stessa disinvoltura della sorella; e così questa non si meravigliava di sapere senz'altro, in apparenza, come ci si dovesse comportare nel Regno Millenario.

"Bisogna starsene quieti quieti, - le diceva una voce. - Non lasciar posto a nessun desiderio, neanche a quello di far domande. Bisogna spogliarsi anche dell'accortezza con cui si bada ai propri affari. Privare il proprio spirito di tutti gli strumenti e impedirgli di servire di strumento.

Bisogna togliersi il sapere e il volere, liberarsi della realtà e del desiderio di volgersi a essa.Concentrarsi in sé, finché mente, cuore e membra siano tutto un silenzio. Se si attinge così la

suprema abnegazione, allora infine il fuori e il dentro si toccano, come se fosse saltato via un cuneo che divideva il mondo...!" Forse questa non era la cautela obiettiva che Agathe s'era proposta.

Le parve però che, con ferma volontà, si sarebbe potuto arrivarci; e si raccolse tutta, come per fingersi morta. Ma l'arresto dei pensieri, dei sensi e della volontà si dimostrò ben presto un compito impossibile, com'era stato nell'infanzia quello di non commettere alcun peccato fra la confessione e la comunione; e dopo qualche sforzo ella vi rinunciò del tutto. Si sorprese a mantenere il proposito solo esteriormente, mentre l'attenzione s'era sviata da un pezzo.

Questa era intenta per il momento ad una questione molto estraniata, un piccolo mostro di alienazione: si stava cioè chiedendo nel momento più assurdo, e molto attaccata a questa assurdità: "Sono mai stata veramente violenta, maligna, astiosa e infelice?" Le tornò alla memoria un uomo senza nome; il nome gli mancava perché ella lo portava e se l'era portato via con sé. Quando pensava a lui sentiva il proprio nome come una cicatrice; ma non aveva più odio per Hagauer, ed ora si ripeteva la

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domanda con la fissità un po' malinconica con cui si contempla un'onda che si allontana. Dov'era andato il desiderio di ferirlo quasi a morte? L'aveva perduto quasi distrattamente, e credeva in apparenza di doverselo trovare ancora vicino. Del resto Lindner poteva essere addirittura un surrogato per quel bisogno di ostilità; poiché ella si chiese anche questo, dedicandogli un pensiero fuggevole. Forse le parve sorprendente tutto ciò che le era già accaduto; la meraviglia per quanto hanno già dovuto provare è più ovvia nei giovani che nelle persone mature, per le quali la mutevolezza delle passioni e delle circostanze è diventata abitudine come i cambiamenti di tempo. Ma che cosa avrebbe potuto toccare Agathe più del fatto che al momento stesso, sulla svolta della vita, sulla fuga delle passioni e condizioni umane, sul capriccioso flusso del sentimento dove la gioventù, alquanto ignara, si crede per altro istintiva e sublime tornasse misteriosamente a stagliarsi il cielo adamantino del trasognamento immobile da cui s'era appena svegliata?

I suoi pensieri dunque erano ancora nel cerchio magico del corteo floreale e funebre; ma non si muovevano più con esso e in quel suo modo silenzioso e solenne; Agathe ora pensava "di qua e di là", come si potrebbe dire in opposizione alla condizione spirituale in cui la vita dura "mille anni" senza un battito d'ali. Quella differenza di due condizioni spirituali le era chiarissima; e un po' sconcertata ella riconobbe quante volte appunto essa, o qualcosa di molto affine, fosse già stata toccata nei suoi colloqui con Ulrich. Involontariamente si volse a lui e senza perdere d'occhio lo spettacolo che aveva dinanzi, domandò raccogliendo il fiato: - Non sembra anche a te che in un momento simile, e al paragone, tutto il resto sia effimero?

Quelle poche parole ruppero le nubi pesanti del silenzio e del ricordo.Anche Ulrich infatti aveva contemplato la spuma di fiori che se ne andava senza meta per la sua

strada, e poiché i suoi pensieri e ricordi erano intonati a quelli della sorella non occorreva altra introduzione per fargli dire ciò che rispondeva anche ai taciti pensieri di lei. Stirò lentamente le membra e disse: - Da tanto tempo - già nella situazione in cui parlavamo di ciò che si chiama natura morta, e in fondo tutti i giorni - volevo dirti una cosa, anche se non dovesse centrare il bersaglio: vi sono, caricando il contrasto, due maniere di vivere appassionatamente e due tipi di gente appassionata. C'è chi a volta a volta urla dal furore o dalla disperazione o dall'entusiasmo come un bambino e si libera del suo sentimento in un turbine breve e futile. In tal caso, ed è il più frequente, il sentimento è alla fin fine l'intermediario quotidiano della vita quotidiana; e quanto più è violento e facile a suscitarsi, tanto più fa pensare all'irrequietezza d'una gabbia d'uccelli rapaci quando è l'ora del pasto e arrivano i pezzi di carne cruda, e subito dopo ecco la sazietà stanca. Non è così? L'altra maniera di essere appassionati e di agire appassionatamente è questa: si tiene duro e non si dà minimamente luogo all'azione verso la quale ogni sentimento attrae e sospinge. E in questo caso la vita è come un sogno un po' inquietante, dove il sentimento s'innalza fino alle vette degli alberi, alle cime delle torri, al sommo del cielo...! è fin troppo probabile che pensassimo a questo quando ancora fingevamo di parlare d'immagini e di quelle soltanto.

Agathe si tirò su incuriosita.- Non dicesti già una volta, domandò, - che ci sono due possibilità di vivere fondamentalmente

diverse e che equivalgono addirittura a due differenti intonazioni del sentimento?L'una sarebbe quella del sentimento "mondano" che non giunge mai alla pace ed all'appagamento;

l'altra, non so se le hai dato un nome... ma dovrebb'essere quella del sentimento "mistico" che risuona perennemente, ma non arriva mai alla "piena realtà"? Sebbene titubante, aveva parlato con precipitazione e tacque, confusa.

Tuttavia Ulrich riconobbe abbastanza bene il proprio discorso; e lo inghiottì come se avesse avuto in bocca qualcosa di troppo caldo; e tentò di sorridere. Disse: - Se ho detto così, devo ora esprimermi con minori pretese. Secondo un esempio ben noto chiamerò dunque i due tipi del vivere appassionato: l'appetitivo e, come suo opposto, il non appetitivo, anche se non suona troppo bene. Perché in ogni uomo v'è una fame e si comporta come una bestia feroce; e non v'è fame, bensì qualcosa che matura delicatamente come un grappolo d'uva al sole autunnale, esente da sazietà e da brama. Anzi, in ognuno

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dei suoi sentimenti, vi è tanto l'una che l'altra cosa.- Dunque addirittura una tendenza vegetale se non vegetariana, accanto a quella animale? - Nella

domanda di Agathe c'era un accento divertito e burlesco.- Quasi! - rispose Ulrich. - Forse intendere l'animale e il vegetale intesi come contrasto fondamentale

degli istinti sarebbe una gran trovata per un filosofo! Ma io non pretendo di esserlo! Tutto quello che m'arrischio a dire è appunto ciò che ho detto poco fa: che i due tipi del vivere appassionato hanno in ogni sentimento il loro modello e forse addirittura la loro origine. In ogni sentimento si possono distinguere questi due lati, egli seguitò. Ma poi continuò a parlare - e questo è interessante soltanto del lato che aveva definito appetitivo. Esso urge all'azione, al moto, al godimento; per suo effetto il sentimento si tramuta in un'opera, o anche in un'idea e convinzione, oppure in una delusione. Sono tutte forme del suo rilassarsi, ma possono anche essere forme di un cambiamento e rafforzamento di tensione. Giacché in tal modo il sentimento si trasforma, si logora, si disperde nel suo buon successo e vi trova fine; oppure vi si incapsula e muta la sua forza viva in una forza immagazzinata, che quella viva gli restituisce in seguito e magari spesso con l'interesse composto. - E non si comprende da ciò una cosa almeno: che la gagliarda attività del nostro sentire mondano e la sua caducità, sulla quale tu hai così gradevolmente sospirato, non fanno una gran differenza per noi, anche se profonda? - concluse Ulrich per il momento.

- Hai ragione da vendere! - convenne Agathe. - Mio Dio, tutta questa storia del sentimento, la sua ricchezza mondana, questo volere e gioire, fare e tradire, per niente se non perché esso ci sospinge! incluso tutto ciò che s'impara e si dimentica, si pensa e si vuole appassionatamente, eppure si dimentica del pari! è bello, sì, come un albero pieno di mele di tutti i colori, ma è anche informe e monotono come tutto ciò che ogni anno nello stesso modo s'arrotonda e poi cade!

Ulrich approvò con un cenno quella risposta pervasa da un soffio d'impetuosità e di rinuncia. - Alla parte "appetitiva" dei sentimenti il mondo è debitore di tutte le opere, di tutta la bellezza e di tutto il progresso, ma anche di tutte le inquietudini e infine del suo ciclo insensato! - egli rincarò. - Sai tu, d'altronde, che per "appetitiva" s'intende semplicemente la parte che i nostri istinti innati hanno in ciascun sentimento? Dunque, - egli soggiunse, - dobbiamo concludere che agli istinti il mondo deve la bellezza e il progresso!

- E la confusione e l'inquietudine, - ripeté Agathe.- Di solito si dice proprio così; perciò mi sembra utile non lasciar fuori il resto. Giacché è per lo

meno sorprendente che l'uomo deva per l'appunto il suo progresso a ciò che propriamente appartiene al livello animale! Ulrich sorrideva. Anche lui s'era tirato su e stava voltato verso la sorella come per illuminarla; ma continuò a parlare con misura, come uno che innanzi tutto vuole illuminare se stesso con le parole che cerca. Senza dubbio i sentimenti attivi dell'uomo, e con ragione tu hai parlato di tendenze animali, hanno per nocciolo gli stessi due o tre istinti che troviamo anche nella bestia.

Questo è chiarissimo nei sentimenti principali: nella fame, collera, gioia, testardaggine o amore, il velo spirituale copre a mala pena la nuda volontà...!

Aveva tutta l'aria di voler continuare allo stesso modo. Ma quantunque il dialogo - sorto da un sogno della natura, la visione del corteo di fiori che ancora, stranamente inalterabile, sembrava fluttuare nell'anima - non rinnegasse con alcuna parola il problema del loro destino; e anzi dalla prima all'ultima stesse sotto l'influsso di quel simbolo, e fosse dominato dall'arcana percezione di qualcosa "che accada senza che nulla accada" e si svolgesse in un'atmosfera di blanda oppressione: quantunque tutto fosse così, pure il dialogo infine aveva condotto al contrario di quella percezione e della sua atmosfera; quando Ulrich cioè non poté evitare di mettere in rilievo l'attività costruttiva di forti istinti accanto a quella distruttiva. Un così chiaro salvataggio dell'onore degli istinti, e inclusivamente dell'uomo istintivo, e in genere dell'uomo attivo - poiché significava anche questo - avrebbe potuto appartenere ad un senso della vita "occidentale e faustiano", così chiamato in linguaggio libresco a differenza di quello che secondo lo stesso linguaggio autofecondativo sarebbe "orientale" o "asiatico" Egli ricordava quelle

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affettate locuzioni di moda. Ma non era nelle intenzioni sue e della sorella, né avrebbe corrisposto alle loro abitudini, dare mediante tali concetti avventizi mal radicati un significato ingannevole ad una vicenda che li commuoveva profondamente; anzi, tutto quello che essi si dicevano era inteso come vero e reale, anche se aveva origine in un trascorrer di nuvole.

Perciò Ulrich s'era divertito a inserire nella nebbia leggera del sentimento una interpretazione da scienziato naturalista; e ciò - anche se in apparenza appoggiava il "faustiano" - solo perché lo spirito naturalistico prometteva di escludere tutto ciò che è smodata immaginazione.

Per lo meno egli aveva accennato a una spiegazione di questo genere. Certo però era tanto più strano che la sua allusione si riferisse soltanto a ciò che egli chiamava "il sentimento appetitivo", tralasciando del tutto di applicare un ragionamento analogo anche al "sentimento non appetitivo" sebbene all'inizio non avesse dato minor peso a quest'ultimo. Ciò accadeva non senza motivo. O l'analisi psicologica e biologica di questo modo di sentire gli appariva più ardua, oppure egli la considerava soltanto un mezzo sgradevole: poteva essere tanto l'uno che l'altro; ma la ragione principale era un'altra, e del resto egli l'aveva lasciata intravedere più d'una volta, a partire dal momento in cui il sospiro di Agathe aveva tradito il doloroso e delizioso contrasto fra le passate tempestose passioni e quella apparentemente eterna che era di casa nel silenzio fuori del tempo sotto la nevicata di fiori. Giacché per ripetere ciò che egli aveva già variamente ripetuto - non solo in ogni singolo sentimento sono distinguibili due disposizioni, mediante e secondo le quali esso può svilupparsi fino alla passione, ma vi sono anche due tipi di uomini, o in ogni uomo tempi della sua vita che sono diversi a seconda che prevalga l'una o l'altra disposizione.

Nei due tipi egli vedeva una grande differenza. Gli uomini dell'uno, è stato già detto, ghermiscono vivacemente tutto ciò che trovano e sono sempre all'attacco, come un torrente passano su tutti gli ostacoli oppure si scavano schiumando un letto diverso; le loro passioni sono forti e mutevoli, e il risultato è una vita veemente e violenta, null'altro che un rumoroso passaggio. Agli uomini di questo tipo andava l'epiteto di "appetitivi" di cui Ulrich aveva fatto l'uno dei concetti principali della vita appassionata; l'altro tipo contrapposto a questo, è esattamente il contrario: timido, trasognato, vago, irresoluto, pieno di fantasie e di desideri e introverso nelle sue passioni. Talvolta - in pensieri di cui ora non era il caso di parlare Ulrich li definiva anche "contemplativi", una parola che di solito ha un significato diverso e magari quello appena tiepido di "riflessivo"; per lui però voleva dire di più, anzi equivaleva addirittura all'orientale non-faustiano già ricordato. Forse in questo tipo contemplativo, e soprattutto in unione all'appetitivo come suo contrario, s'esprimeva una differenza fondamentale della vita: questo attraeva Ulrich più fortemente che una dottrina. Ma questa elementare possibilità di spiegazione, il poter ricondurre a una duplice essenza, che è in ogni sentimento, tali concetti superbi e pretenziosi, era per lui anche una grande soddisfazione.

Naturalmente si rendeva ben conto che i due modi in questione d'essere uomini non potevano significare altro che un uomo "senza qualità" opposto a quello con tutte le qualità possibili in un uomo. L'uno si poteva anche chiamare un nihilista che sogna i sogni di Dio; in contrasto con l'attivista che però nel suo impaziente agire è anche lui una specie di sognatore di Dio, e tutt'altro che un realista che si dà da fare con mondana chiarezza e dinamicità. "Perché non siamo realisti?" si chiese Ulrich. Non lo erano né lui né lei, su questo da gran tempo i loro pensieri e azioni non lasciavano dubbi; ma nihilisti e attivisti sì, lo erano, e ora l'uno ora l'altro, secondo i casi.

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Il viaggio in paradiso

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Qui si arresta il romanzo nella stesura definitiva. Come abbiamo avvertito nella Nota introduttiva, esistono numerosi abbozzi precedenti o contemporanei all'Uomo senza qualità, e spesso di uguale valore artistico. Ne diamo un esempio, e cioè il frammento Il viaggio in paradiso (scritto probabilmente nel 1925), in cui l'amore fra Ulrich (allora chiamato Anders) e Agathe (allora sua sorella gemella e non più giovane di lui come nell'Uomo senza qualità) viene descritto al suo acme.

1.

Sotto c'era una sottile striscia di terra con un po' di sabbia. Barche tirate in secco, che viste dall'alto sembravano chiazze di ceralacca verdi e azzurre; a guardar meglio si vedevano bidoni d'olio, reti, uomini coi calzoni rimboccati sulle gambe abbronzate; odore d'aglio e di pesce; casette rabberciate, cadenti.

Quell'operosità sulla sabbia calda era piccola e lontana come una vita d'insetti. Ai due lati era incorniciata da scogli come da pilastri di pietra ai quali fosse agganciata la baia; più oltre, fin dove giungeva lo sguardo, solo la costa rigida che con mille particolari aggrovigliati declinava nel mare meridionale; scendendo con prudenza si poteva avanzare sui massi della scogliera, fuori nel mare che riempiva di acqua tiepida e di strani animaletti le conche e le vasche di pietra.

Ad Anders e Agathe sembrava che un frastuono si fosse staccato da loro e volato via. Fiamme bianche vacillanti risucchiate e cancellate dall'aria calda, essi stavano là circondati dal mare. Era un paese qualunque dell'Istria o sulla costa orientale d'Italia, o sul Tirreno. Loro stessi lo sapevano appena. Avevano preso tanti treni e viaggiato in tante direzioni, da non saper più come ritrovare il cammino.

2.

Il ricordo di Ancona spiccava fra gli altri. Si sarebbe potuto credere che significasse un delitto o una giornata fatale, ma non era così...

Mal di mare... Erano arrivati stanchissimi e avevano bisogno di dormire. Era di mattina presto e chiesero una stanza. A letto mangiarono zabaglione e bevvero caffè nero, il cui peso fu come sollevato in cielo dalla spuma dei tuorli sbattuti.

Riposarono, sognarono. Quand'erano addormentati, pareva loro che le tendine bianche delle finestre s'alzassero e s'abbassassero in un magico flusso d'aria ristoratrice; erano i loro respiri. Quando erano svegli vedevano fra i lembi scostati il gioco amabile della vita, il mare d'un azzurro bronzeo, e le vele colorate delle barche che entravano o uscivano dal porto si gonfiavano come le penne calde dei grandi uccelli esotici.

Di quel mondo nuovo non capivano niente, e tutto era come le parole d'una poesia.Erano partiti senza passaporti e una lieve paura di essere scoperti e puniti li accompagnava.

All'albergo li avevano presi per una coppia di sposi e assegnato loro quella bella camera con il "letto matrimoniale", (8) che in Germania non usa più. Non avevano osato rifiutarla.

Stando a letto, si notava a destra della porta, in alto e quasi in un angolo della stanza, situata cioè in

8 In italiano nel testo (N.d.T.)

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un punto assolutamente incomprensibile, una finestra ovale della dimensione e forma di un oblò; il vetro era opaco e colorato, inquietante come uno spioncino segreto, ma la cornice recava una ghirlanda leggera di rose dipinte.

3.

Quando scesero la prima volta in strada: un brusio di gente. Come una banda di passeri che fruga allegramente nella sabbia. Occhiate curiose senza timidità, che si sentivano a casa loro. Alle spalle dei gemelli, che scivolavano cauti fra quella calca, c'era ancora la camera da letto, la veglia che s'agita sotto il sonno come un'increspatura di vento, il beato sfinimento nel quale è impossibile difendersi contro alcunché, ma si ode lontano il mondo come un rumore affievolito dai profondi meandri dell'orecchio.

4.

Più avanti. Come nomadi, in apparenza. In verità spinti dall'inquietudine di trovare un luogo degno di viverci e di morirci.

Molte cose erano belle, lusingavano, trattenevano. Ma in nessun posto la voce interiore diceva: siamo giunti.

Finalmente qui. In fondo ve li aveva portati un caso incolore, e non percepivano nulla di speciale. Poi la voce si fece udire sommessa ma decisa.

Forse, senza saperlo, erano stanchi di quei viaggi in tutte le direzioni.

5.

Qui, dove s'erano fermati, un giardino naturale saliva dalla lingua di spiaggia stretta fra le due braccia rocciose della costa come una ghirlanda di fiori e di fronde premuta sul petto, con viottoli che si snodavano in dolce e lungo pendio, verso un albergo piccolo, bianco, nascosto, e perfettamente deserto in quella stagione. Poco più in su non c'era altro che pietra vischiosa sfavillante nel sole, sotto i passi ginestre gialle e cardi rossi, e, lanciato verso il cielo, l'immenso spigolo diritto e aspro dell'altipiano. Chi saliva ad occhi chiusi e poi li apriva di colpo, vedeva improvvisamente il mare immobile, come un ventaglio che s'è aperto con un rumore di tuono.

Il sovrumano è bene l'ampiezza dello slancio nella linea dei contorni; quel largo gesto sicuro, abbracciante?

Oppure soltanto l'immenso deserto del colore turchino cupo, estraneo alla vita? O ancora la campana del cielo che in nessun luogo incombe così direttamente sulla vita? O l'aria e l'acqua alle quali non si pensa mai?

Di solito sono ancelle bonarie e incolori. Ma qui, a casa loro, s'ergevano improvvisamente inavvicinabili come una coppia di genitori regali.

Le leggende di quasi tutti i popoli antichi raccontano che l'uomo è nato dall'acqua e l'anima è un soffio d'aria. Cosa strana: la scienza ha stabilito che il corpo umano è fatto quasi interamente d'acqua. Si diventa piccoli. Scesi dal treno sul quale avevano attraversato in lungo e in largo la stessa rete delle

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energie europee, e giunti rapidamente lassù ancora vibranti di quell'agitazione, i gemelli stettero di fronte alla calma del mare e del cielo come avrebbero potuto stare centomila anni prima.

Agathe ebbe gli occhi pieni di lacrime e Anders chinò la testa.Sotto braccio e le mani intrecciate, ridiscesero nell'azzurro della sera verso il loro nuovo luogo

patrio.Nella piccola sala da pranzo scintillava il candore delle tovaglie e i bicchieri erano un luccichio

bianco.Anders ordinò pesci, vino e frutta, e ne discusse meticolosamente col capo cameriere; la cosa non

stonava. Le figure nere scivolavano intorno a loro o se ne stavano lungo le pareti.Posate e denti lavoravano. I gemelli conversavano perfino, per non attirare l'attenzione. Anders

parlò anche dell'impressione che avevano avuto lassù. Come se gli uomini centomila anni prima avessero avuto una rivelazione immediata, ecco, era così; se si pensa come fu possente l'esperienza di quei primi miti, e come poco da allora... Anche questo non stonava; tutto ciò che accadeva era come annidato nel chioccolio d'una fontana.

Anders guardò a lungo la sorella; non era nemmeno bella adesso; neppure questo esisteva. Su un'isola, che di giorno non si vedeva, scintillava una fila di case; era bello; ma molto lontano, gli occhi vi si posavano fugacemente e poi tornavano a guardare nel vuoto.

6.

Il mare in estate e l'alta montagna in autunno sono le due grandi prove dell'anima. Nel loro silenzio v'è una musica più alta d'ogni altra musica terrena; v'è un tormento delizioso nell'impossibilità di seguirla, di allargare il ritmo dei gesti e delle parole fino a che s'inseriscano nel suo; gli uomini non possono mettersi al passo col respiro degli dei.

L'indomani mattina Anders e Agathe trovarono un posto lassù fra le rupi sotto l'orlo dell'altipiano e poi un altro più in basso, una minuscola insenatura di sabbia fra gli scogli.

Quando vi giunsero, ecco venir loro incontro, come una creatura che vivesse lì e li avesse attesi, la sensazione: qui nessuno conosce la nostra esistenza. Avevano seguito un piccolo sentiero naturale, la costa svoltava, infatti s'avvidero che l'albero bianco non si vedeva più. Era un banco di roccia lungo e stretto, in pieno sole, con sabbia e sassi. Si spogliarono. Sentivano il bisogno di essere nudi, inermi, piccoli come bambini per piegare i ginocchi e allargare le braccia davanti alla grandezza del mare e della solitudine.

Non se lo dissero, e avevano vergogna, ma ognuno tentava da sé, nascondendosi dietro i movimenti necessari per spogliarsi e cercare un posto dove distendersi.

Il silenzio li inchiodava alla croce.Sentirono che ben presto non avrebbero più potuto resistere e si sarebbero messi a gridare come

uccelli impazziti.Perciò furono a un tratto vicini, l'uno nelle braccia dell'altro. La pelle s'incollò alla pelle; quel piccolo

sentimento sbocciò timidamente nella grande solitudine come una pianta minuscola piena di linfa che cresce tutta sola fra i sassi, e li rassicurò. Piegarono l'arco dell'orizzonte come una ghirlanda attorno ai loro fianchi e guardarono in cielo. Erano ritti adesso come su un alto balcone, allacciati l'uno all'altro e all'inesprimibile come due amanti che stanno per precipitarsi nel vuoto. Precipitarono. E il vuoto li sorresse. L'attimo si arrestò, senza scendere né salire. Agathe e Anders provarono una felicità che non sapevano se fosse tristezza, e solo la certezza di essere eletti per vivere l'Eccezionale li trattenne dal piangere.

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7.

Ma scoprirono presto che se volevano non c'era nessun bisogno che lasciassero l'albergo. Dalla loro stanza una larga porta a vetri portava a una piccola terrazza sul mare. Si poteva sostare non visti nel riquadro della finestra, gli occhi rivolti a quel mare che non rispondeva mai, le braccia allacciate in cerca di protezione. Una fessura azzurra, dove il vivo calore del giorno restava fino a notte fonda come un pulviscolo d'oro, saliva dal mare. I corpi, mentre le anime in essi restavano diritte, si trovarono come animali che cercano il calore. E allora per i corpi accadde il miracolo. Anders fu ad un tratto in Agathe, o Agathe in lui.

Agathe alzò gli occhi sgomenta.Cercava Anders fuori di se stessa, ma lo trovò nel centro del proprio cuore.Vedeva bene la sua persona sporgersi fuori nella notte, avvolta dalla luce delle stelle, ma non era lui,

era soltanto il suo involucro luminoso e leggero; ed ella guardò le stelle e le ombre, senza capire che erano lontane.

Il suo corpo era agile e pronto, le sembrava di librarsi nell'aria. Uno slancio grande e meraviglioso le aveva afferrato il cuore, così rapido che ancora le pareva di sentirne l'urto leggero. In quel momento i gemelli si guardarono attoniti.

Sebbene per settimane ogni giorno li avesse preparati a questo, per un secondo temettero di aver perduto la ragione. Ma tutto in essi era chiaro.

Nessuna visione. Piuttosto una chiarezza smisurata. Eppure sembrava che avessero perso e deposto non soltanto la ragione ma anche tutte le loro facoltà; non un pensiero si muoveva dentro di loro, non erano capaci di prendere risoluzioni, le parole erano scomparse, la volontà era inerte; tutto ciò che s'agita nell'uomo era arrotolato e immobile come le foglie in una torrida calma di vento. Tuttavia quell'abulia simile alla morte non pesava su di loro, era invece come se una pietra tombale che li schiacciava fosse stata rimossa.

Ciò che si faceva udire nella notte singhiozzava senza suono e senza misura, ciò che essi scorgevano era senza forma e senza modo e aveva tuttavia in sé la gioia voluttuosa di tutte le forme e di tutti i modi. In fondo era meravigliosamente semplice: con le forze limitatrici s'erano perduti tutti i limiti e poiché non percepivano più alcuna separazione, né in sé né nelle cose, erano diventati uno solo.

Si guardarono intorno con cautela.Era quasi una sofferenza. Erano del tutto sperduti, lontani da se stessi, situati in uno spazio dove si

smarrivano. Vedevano senza luce e udivano senza suono. La loro anima era smisuratamente tesa, come una mano che perde tutta la sua forza, la loro lingua era come mozzata. Ma era una sofferenza dolce come una viva meravigliosa chiarezza.

E dopo si avvidero che le forze limitatrici non si perdevano affatto, ma in verità s'erano come rovesciate, e con esse s'erano rovesciati tutti i limiti. Si avvidero che non erano diventati muti, anzi parlavano, ma non sceglievano le parole: erano le parole che sceglievano loro; nessun pensiero si muoveva nella loro mente, ma tutto il mondo era pieno di mirabili pensieri, ed essi potevano credere che loro due e così pure le cose, non fossero più corpi chiusi che si combattevano, bensì forme aperte e alleate. L'occhio che per tutta la vita osserva soltanto i piccoli disegni che gli uomini e le cose proiettano sull'immane sfondo, si era rovesciato di colpo, e l'immenso sfondo giocava con le immagini della vita come un oceano con i fiammiferi.

Mezzo svenuta, Agathe s'abbandonò sul petto di Anders. In quel momento si sentiva abbracciata dal fratello in un modo così ampio, calmo e puro che non v'era al mondo nulla di simile. I loro corpi non si muovevano e non erano mutati, però erano invasi da una felicità dei sensi di cui non avevano mai conosciuto l'uguale. Non era un pensiero e non era immaginazione.

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Dovunque si toccassero - i fianchi, le mani, o una ciocca di capelli -, essi penetravano l'uno nell'altro.In quel momento tutti e due erano convinti di non essere più soggetti alle separazioni umane.

Avevano superato quel gradino del desiderio che sperpera la sua energia in un atto e in una breve esaltazione, e il compimento non avveniva soltanto in una determinata parte del loro corpo, ma in tutte, così come un fuoco non diminuisce quando da esso s'accende un altro fuoco. Erano affondati in quel fuoco che invadeva tutto, vi nuotavano dentro come in un mare di voluttà, vi si cullavano a volo come in un cielo di delizie.

Agathe piangeva di felicità. Quando si muovevano, il ricordo di essere due cadeva come un grano d'incenso nel dolce fuoco d'amore e vi si scioglieva; quelli erano forse i momenti più belli, in cui non erano un solo tutto. Perché su quell'ora, più fortemente che sulle altre, sentivano un soffio di malinconia e di caducità, come ombre o fantasmi, una frustrazione, una crudeltà, una tensione ansiosa di forze indefinite contro la paura di essere nuovamente trasformati. Alla fine quando sentirono come una distensione si separarono senza parole, sfiniti.

8.

L'indomani Anders e Agathe si erano separati di muto accordo e non si videro in tutta la giornata. Non potevano far diverso; il sentimento della notte non s'era ancora disperso e li portava con sé, entrambi avevano bisogno di fare il punto con se stessi, senza accorgersi che questo era in contraddizione con l'esperienza che li aveva travolti.

Involontariamente se ne andarono tutti e due a vagabondare lontano in direzioni opposte; facendo sosta in ore diverse, cercarono un luogo dove riposarsi in vista del mare e pensarono l'uno all'altro.

Può essere strano che il loro amore sentisse così presto quel bisogno di separazione, ma era così grande che ne diffidavano e volevano metterlo alla prova.

Ora si può sognare. Star coricati sotto un cespuglio, e le api ronzano; o guardare il calore che tesse la sua tela, l'aria sottile, il vuoto vivo. I sensi s'assopiscono e nel corpo si riaccendono i ricordi, come le stelle dopo il tramonto. Esso è di nuovo carezzato e baciato, e la magica linea di separazione, che distingue anche i più intensi ricordi dalla realtà, è varcata da questi ricordi sognanti.

Essi aboliscono il tempo e lo spazio come si scosta una tenda, e riuniscono gli amanti non solo nel pensiero, ma fisicamente; però non sono i loro corpi pesanti, ma corpi intimamente mutati, che sono fatti interamente di tenera mobilità. Solo se si pensa che durante quell'unione, più perfetta e più felice di quella corporea, non si sa quel che l'altro abbia fatto finora né quel che farà fra un istante, il mistero attinge la sua massima profondità. Anders supponeva che Agathe fosse rimasta in albergo. La vedeva sul piazzaletto bianco davanti alla casa bianca chiacchierare col direttore. Sbagliava. Forse era col giovane professore tedesco arrivato da poco che si era presentato a loro, o parlava con Luisina, la cameriera dai begli occhi, e rideva delle sue risposte frivole. Come poteva ridere adesso? Lacerava lo stato di grazia; un sorriso era già il massimo che esso potesse sopportare... Quando Anders si volse per tornare indietro, ecco che Agathe, a un tratto, era lì veramente.

Veramente? Era venuta camminando sugli scogli, facendo un gran giro, la sua veste svolazzava al vento, ella gettava un'ombra intensa sul suolo caldo e rideva ad Anders. Felice realtà reale; doleva come quando gli occhi che hanno fissato lontano devono riadattarsi rapidamente agli oggetti vicini.

9.

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Agathe sedette vicino a lui.C'era anche una lucertola; piccola fiamma guizzante di vita che lingueggiava cheta accanto alla loro

conversazione. Anders l'aveva notata subito. Agathe no. Ma quando Agathe, che aveva paura di tutti gli animaletti, la vide, sussultò e sorridendo nervosa volle cacciarla via con un sasso. Per farsi coraggio l'inseguì battendo le mani e la bestia fuggì.

Anders, che aveva guardato la lucertola come uno scintillante specchio magico, pensò: che in questo momento siamo stati tanto diversi è triste come l'esser nati insieme e dover morire in tempi diversi. Seguiva con l'occhio e l'orecchio quel corpo estraneo di Agathe. Ma a un tratto vi si ritrovò profondamente immerso, al fondo dell'esperienza dalla quale Agathe l'aveva scacciato.

Non poteva farsene un'idea netta, ma in quella chiarezza scintillante sulle pietre, dove tutto si trasformava, la felicità in tristezza e anche la tristezza in felicità, quel momento penoso acquistava bruscamente la voluttà segreta dell'ermafrodito che si trovava separato in due esseri autonomi, il cui segreto è ignoto a chi li tocca. Com'è meraviglioso pensò il fratello di Agathe - che lei sia diversa da me, che possa fare cose che io non indovino e che tuttavia appartengono anche a me in virtù della nostra misteriosa simpatia. Gli tornarono alla mente sogni che di solito non ricordava mai e che tuttavia dovevano aver occupato sovente il suo pensiero. Talvolta in sogno aveva incontrato la sorella di un'amante, sebbene l'amante non avesse sorelle; e questa persona familiare e ignota ad un tempo irradiava tutta la felicità del possesso e tutta la felicità del desiderio. Oppure udiva una voce morbida che parlava. O anche vedeva svolazzare una veste che apparteneva certo a una sconosciuta, ma senza dubbio quella sconosciuta era la sua amante. Come se fra gli esseri vi fosse soltanto un'inclinazione irreale, assolutamente libera.

All'improvviso Anders ebbe paura e credette di capire con estrema chiarezza che due non sono mai un essere solo.

- Com'è meraviglioso, Agathe, disse Anders, - che tu possa fare cose che io non indovino.- Sì, - rispose lei, - tutto il mondo è pieno di simili cose. Mentre vagabondavo sull'altipiano, sentivo

di poter andare ormai in tutte le direzioni.- Ma perché sei venuta da me?Agathe tacque.- È così bello esser diversi da come si è nati, - seguitò Anders. - Ma poco fa ne ho avuto paura.Le raccontò i sogni che aveva ricordato, e anche lei li conosceva.- Ma perché hai paura? - domandò Agathe.- Perché ho pensato: se il senso di questi sogni, e potrebbe ben darsi che ne fossero l'ultimo ricordo,

è che il nostro desiderio non è di fare di due creature una sola, bensì di evadere dalla nostra prigione, dalla nostra unità, di diventare due in una congiunzione, ma meglio ancora dodici, mille, un numero infinito, di sfuggire a noi stessi come in sogno, di bere la vita a cento gradi di fermentazione, di essere rapiti a noi stessi o comunque si debba dire, perché non lo so esprimere; allora il mondo contiene altrettanta voluttà quanto estraneità, non è una nuvola d'oppio, ma è fatto tanto di tenerezza quanto di attività, è piuttosto un'ebbrezza sanguinaria, un orgasmo della battaglia, e il solo sbaglio che potremmo commettere sarebbe d'aver disimparato la voluttà dell'estraneità e immaginarci di fare chi sa quali meraviglie dividendo l'uragano dell'amore in magri ruscelletti che scorrono su e giù fra un essere e l'altro...

Era balzato in piedi.- Ma come si dovrebbe essere? chiese Agathe semplice e pensierosa.Gli fece male che ella potesse impadronirsi così facilmente della sua idea, amata e maledetta ad un

tempo.- Bisognerebbe poter donare, - ella continuò, - senza prendere. Esser così, che l'amore non

diminuisca quando è diviso. Allora è possibile.Non considerare l'amore come un tesoro, - aggiunse ridendo. - Non si dice forse anche

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correntemente "tesoro" all'amato?Anders raccolse alcuni sassi grandi come teste e li scagliò lontano nel mare che mandò minuscoli

spruzzi; da molto tempo non faceva lavorare i muscoli.- Ma poi? - continuò Agathe.- Quel che tu dici non è semplicemente quel che si legge tante volte nei libri, il bere a grandi sorsate

tutto il piacere del mondo? Il volersi moltiplicare per mille, perché una volta sola non basta? - Lo disse un po' comicamente, accorgendosi a un tratto che la cosa non le piaceva.

- No! - ribatté Anders con forza. Non è mai quello che ne dicono gli altri! - Gettò a terra il sasso che aveva in mano con tanta rabbia che il calcare fragile si sbriciolò. - Ci siamo dimenticati di noi, - disse dolcemente prendendo Agathe sotto braccio e traendola via. - Ci sarebbero sempre una sorella e un fratello, anche divisi in mille pezzi.

D'altronde è soltanto un'idea come un'altra.

10.

Vennero anche giorni in cui solo la superficie si muoveva. Sugli scogli bagnati che nel mare gettavano barbagli. Una creatura muta, un pesce come un fiore nell'acqua. Agathe lo inseguiva saltando follemente di roccia in roccia, finché s'immergeva, penetrava nel buio come una freccia e spariva. "Ebbene?" pensava Anders.

Agathe era in piedi sulla scogliera, lui sulla riva; una melodia di eventi si spezzava, un'altra deve continuare.

Come si volgerà Agathe, come sorriderà verso la riva? Leggiadramente. Come ogni perfezione. Agathe si volse con una perfetta grazia di movimenti; le improvvisazioni dell'orchestra della sua bellezza, che suonava apparentemente senza direttore, erano sempre travolgenti. Eppure ogni bellezza perfetta - un animale, un quadro, una donna - non è che l'ultimo pezzo d'un cerchio; una curva è perfetta, lo si vede, ma si vorrebbe conoscere il cerchio. Se è un cerchio di vita ben noto, per esempio quello di un grand'uomo, allora un cavallo di razza o una bella donna sono come la fibbia alla cintura, che la chiude e per un momento sembra reggere tutta l'apparizione; allo stesso modo si può ammirare un bel cavallo maremmano, perché in esso si riflette come in uno specchio tutta la pesante bellezza dei campi e della vita rurale. Ma se dietro non c'è niente? Niente di più che dietro i raggi del sole che danzano sulle pietre? Se questo infinito di acqua e di cielo è inesorabilmente aperto? Allora si è presso a credere che la bellezza è qualcosa di segretamente negativo, qualcosa d'imperfetto e d'imperfettibile, una felicità senza scopo, senza senso. Ma che cos'ha, se non ha nulla? Allora la bellezza è una pena che fa ridere e piangere, un solletico che spinge a rotolarsi nella sabbia con la freccia d'Apollo nel fianco.

La chiarezza di quei giorni era come fumo che offuscava la limpidità delle notti.

11.

Agathe aveva un po' meno fantasia di Anders. Poiché non aveva meditato quanto lui, il suo sentimento non era così mobile come quello del fratello, ma ardeva come una fiamma diritta su dal suolo dove si trovava.

Il romanzesco della fuga, la coscienza un po' turbata dalla paura d'essere scoperti, infine il nascondiglio di quella cesta di fiori fra la parete carsica, il mare e il cielo le ispiravano a volte una gaiezza infantile e tracotante. Allora ella tratta la sua strana vicenda come un'avventura; uno spazio

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proibito dentro di lei, che si spia al di sopra d'una siepe, o nel quale si penetra col batticuore, con la gola stretta e i piedi appesantiti dalla terra umida che vi è rimasta attaccata durante il cammino percorso in segreto.

Qualche volta ella aveva una sua maniera giocosa di lasciarsi toccare con gli occhi aperti ma velati; di ritornare; una tenerezza insaziabile.

Egli l'osservava di nascosto, vedeva per la prima volta - o per la prima volta con commozione - quel gioco dell'amore con il corpo che ha la delizia di un sorriso e l'oppressione di una forza della natura. Oppure venivano ore, in cui ella non lo guardava, era fredda con lui, quasi in collera perché era troppo commossa; come una persona in una barca che non osa muoversi, così era lei nel proprio corpo. O reazioni ritardate; prima come uno sbarramento e poi, apparentemente senza ragione, una piena. Lasciarsi cullare da quelle ispirazioni era appassionante e meraviglioso, esse abbreviavano le ore ma obbligavano la vista ad assuefarsi agli oggetti vicini e alle piccole osservazioni. Anders opponeva resistenza. Era un resto di terra che galleggiava nel fuoco limpido e lo intorbidava, uno stimolo alle spiegazioni, come il fatto che Agathe non aveva mai appreso l'esatta relazione fra amore e sesso. Come per la maggior parte della gente tutta la forza della sessualità si era dapprima accompagnata in lei con una piccola scintilla di simpatia, quando aveva sposato Hagauer che allora non le era ancora antipatico. Invece di esser travolta con una persona quasi soltanto in compagnia di una persona in una tempesta quasi impersonale come gli elementi, e osservare solo dopo, con una scoperta ancora senza nome, che le gambe di quella persona non sono vestite nello stesso modo delle sue, che l'anima anela a cambiar nascondiglio...

Ma anche quei pensieri erano come una canzone cantata in tono sbagliato. Anders non voleva ammettere con se stesso quella maniera di capire. Capire un essere amato non vuol dire spiarlo, dev'essere un dono che esce da una sovrabbondanza di felici ispirazioni. Si deve riconoscere soltanto ciò che arricchisce. Si dispensano qualità con l'infallibile sicurezza di un accordo predestinato, di una separazione che non c'è mai stata.

12.

C'era fra le rocce e le ginestre un'antichissima colonna, caduta ai tempi di Venezia, della Grecia o di Roma; ogni scanalatura del fusto e del capitello era approfondita dal bulino, aguzzo come un raggio, dell'ombra meridiana. Starsene a giacere lì sotto, era vivere le grandi ore dell'amore.

Quattro occhi contemplavano.Null'altro che luce meridiana, la colonna, i quattro occhi. Se lo sguardo di due occhi vede

un'immagine, un mondo: perché non è lo stesso per due paia d'occhi?Quando due paia d'occhi s'immergono a lungo gli uni negli altri, sul ponte dello sguardo le due

creature s'incontrano, e resta soltanto un sentimento che non ha più corpi.Quando due paia d'occhi, in un'ora misteriosa, guardano un oggetto e si uniscono in esso - ogni

oggetto fluttua laggiù in un sentimento, e le cose stanno salde soltanto se quel suolo è duro - il mondo rigido incomincia a muoversi lentamente e incessantemente. S'alza e s'abbassa inquieto al ritmo del sangue. I gemelli si guardano. In piena luce non si vedeva se respirassero ancora o se fossero lì come pietre da migliaia d'anni. La colonna di marmo era ancora abbattuta o s'era alzata senza rumore e si librava nell'aria?

V'è una notevole differenza fra il modo di considerare gli esseri umani e quello di considerare le cose. La mimica del volto di una persona con cui si parla appare estremamente strana se la si considera come un fenomeno che si svolge nel mondo esterno e non come un continuo scambio di segnali fra due anime; quanto agli oggetti, siamo abituati a vederli muti e immobili, e se entrano in una relazione

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più animata con noi, crediamo di avere delle angosciose visioni. Ma siamo soltanto noi stessi che li consideriamo in modo che ai piccoli mutamenti della nostra fisionomia non risponde nessun mutamento del nostro sentire; e per cambiare tutto questo è sufficiente, in fondo, di non considerare il mondo intellettualmente, ma di lasciare che invece dello strumento di misura dei nostri sensi siano toccati da esso i nostri sentimenti morali. Nei momenti in cui uno spettacolo ci arricchisce e ci appaga, l'emozione diventa così forte che nulla più sembra reale se non uno strato fluttuante che al di là degli occhi si condensa in oggetti, e al di qua in pensieri e sentimenti senza che i due aspetti possano essere separati. Ciò che ha arricchito l'anima, si fa innanzi; ciò che ne ha perduto la forza si dissolve sotto i nostri occhi.

Nel silenzio sfavillante fra le rocce regnava un timore panico. Pareva che il mondo fosse soltanto il lato esteriore di un certo comportamento interno e che potesse esser scambiato con esso. Ma mondo ed Io non erano solidi; erano impalcature innalzate su un fondo molle; si sostenevano reciprocamente per uscire dall'informe. Agathe disse piano ad Anders: - Tu sei te stesso o non lo sei? Non ne so nulla. Lo ignoro, come sono ignara di me.

Anders tacque.Agathe seguitò: - Sono innamorata, ma non so di chi. Non sono né fedele né infedele. Che cosa

sono dunque? Ho il cuore pieno d'amore e vuoto d'amore al tempo stesso... - Ella bisbigliava.Un terrore silenzioso come il meriggio pareva attanagliarle il cuore.

13.

La grande prova era sempre di nuovo il mare. Sempre di nuovo, quando salivano il pendio stretto con i molti sentieri, con i molti lauri, ginestre, fichi e sciame di api e sboccavano lassù nel vasto altipiano, era come quando, dopo essersi accordata, l'orchestra attacca la prima grande nota. Come bisognerebbe essere per poterlo sopportare a lungo? Anders propose di piantare una tenda in quel luogo. Ma non diceva sul serio; ne avrebbe avuto paura. Non c'erano più avversari quassù, si era soli; l'urto che prova un uomo ricco di fantasia quando deve strapparsi dalla vita quotidiana si era già attutito, adesso si trattava dell'ultima lotta per la risoluzione. Il mare era come un'amante e rivale implacabile; ogni minuto era un esame di coscienza schiacciante. Davanti a quell'immensità che assorbiva ogni resistenza essi temettero di venir meno.

Quell'immensa distesa era... un po' noiosa. La responsabilità per il minimo gesto - dovettero confessarlo era alquanto vuota, se paragonata alla giocondità delle ore in cui non si imponevano simili esigenze, e i corpi giocavano con l'anima come bei giovani animali con una palla di legno che fanno rotolare qua e là.

Un giorno Anders disse: - è vasto e pastorale; fa pensare a un pastore d'anime! - Risero. Poi si spaventarono dello scherno rivolto contro se stessi.

L'albergo aveva una piccola torre con una campana al centro del tetto.All'una la campana suonava per il pranzo. Poiché erano ancor sempre quasi i soli ospiti, non

avevano bisogno di affrettarsi, ma il cuoco avvertiva che era pronto; e i suoni limpidi tagliavano il silenzio come un coltello affilato taglia una pelle che poc'anzi rabbrividiva e che al contrario s'è calmata. - Com'è bello, - disse Anders uno di quei giorni, mentre discendevano, - essere costretti dalla necessità. Così come si spingono le oche con un bastoncino, o come si attirano i polli col mangime. E non succede tutto per via di un mistero... - L'aria tremula, bianco-azzurra, rabbrividiva davvero come una pelle d'oca, quando la si fissava a lungo. I ricordi incominciavano allora a tormentare Anders singolarmente; d'improvviso vedeva davanti a sé ogni statua e ogni particolare architettonico di una città qualsiasi da lui visitata anni prima, che ne aveva a dovizia; Norimberga gli stava innanzi, o Amiens,

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benché non l'avessero mai affascinato; o un gran libro rosso che doveva aver visto chi sa quanti anni fa in una vetrina; un esile ragazzo abbronzato - forse era un'antitesi di Agathe creata dalla sua fantasia, ma gli sembrava d'averlo davvero incontrato in qualche posto, però non sapeva dove - occupava la sua mente; pensieri che gli erano venuti non si sa come, e da tanto tempo svaniti; cose senza suono, poco luminose, a buon diritto dimenticate volteggiavano nel silente meriggio e invadevano quella vastità deserta.

L'impazienza che fin dal principio era stata mescolata a tutta questa bellezza incominciò a infuriargli nell'anima.

Gli capitava di sedere davanti a uno scoglio, dimentico del mondo, assorto nella contemplazione, e torturato da quella frenetica impazienza. Era giunto all'estremo, aveva tutto accolto dentro di sé, e correva pericolo di mettersi a parlare forte da solo, per tornare a raccontarsi tutto da capo.

- Ecco, si sta qui seduti, - dicevano i suoi pensieri, - e tutto quel che si può fare è raccontarsi ancora una volta ciò che si vede. Gli scogli sono di un particolare color verde e il loro luccichio si riflette nell'acqua... Esatto. Proprio così. Ed hanno forme come di cartone... Ma tutto questo non serve a niente e vorrei andarmene via. Talmente è bello!

Ricordò: a casa, talvolta dopo anni e talvolta solo per caso, quando non si sa più affatto com'era, ecco che d'improvviso una luce cade di dietro le nostre spalle, dal passato, e il cuore agisce come in sogno. Aveva nostalgia del passato.

- È semplicissimo, - disse ad Agathe, - e tutti lo sanno tranne noi: la fantasia viene eccitata soltanto da ciò che non possiede più o non ancora; il corpo vuole, ma l'anima non vuole.

Ora comprendo gli sforzi sovrumani che fanno gli uomini a questo scopo. Com'è stupido che quel tizio, il commesso viaggiatore artistico, paragoni questo fiore a una gemma o questo sasso a un fiore: se non fosse l'intelligenza stessa a trasformarlo per un attimo in qualcos'altro. E come sarebbero sciocchi tutti i nostri ideali, poiché ciascuno, se preso sul serio, ne contraddice un altro: non devi ammazzare, quindi devi morire? Non devi desiderare i beni del tuo prossimo, dunque devi vivere in povertà?, se il loro senso non risiede appunto nell'impossibilità di metterli in pratica, ragione per cui essi infiammano l'aria! E che fortuna per la religione che Dio non si possa vedere né comprendere! Che mondo è questo, però? Una striscia fredda e buia fra i due fuochi del Non più e del Non ancora!

- Un mondo da far paura, - disse Agathe, - hai ragione - Lo disse in tono grave e nei suoi occhi c'era una vera angoscia.

- E se è così? - rise Anders. - Per la prima volta in vita mia penso che dovremmo avere una gran paura di avere le vertigini se il cielo non ci desse l'illusione di una delimitazione del mondo che non esiste.

Evidentemente tutto ciò che è assoluto, vero, al cento per cento, è completamente contro natura.- Anche fra due esseri, vuoi dire fra noi due?- Adesso ho capito perfettamente che cosa sono i visionari: i cibi senza sale sono immangiabili, ma il

sale da solo in grandi quantità è veleno; i visionari sono persone che vorrebbero vivere di solo sale. Non è giusto?

Agathe alzò le spalle.- Guarda la nostra cameriera, una sciocchina allegra che odora di sapone da bucato. L'osservavo

l'altro giorno mentre faceva la camera: mi sembrava carina come un cielo lavato di fresco.La confessione sollevò Anders, ma sulla bocca di Agathe si torse un piccolo verme di ribrezzo.

Anders lo ripeté, non voleva coprire con la sonorità della campana cupa quella piccola disarmonia. - È una disarmonia, no? E ogni astuzia giova all'anima per mantenerla feconda. Essa muore d'amore più volte di seguito. Ma... - e disse una cosa che riteneva una consolazione, anzi un nuovo amore: -.se tutto è così triste e illusorio, e non si può più credere in niente, non è allora che abbiamo più che mai bisogno l'uno dell'altro? La canzone della sorellina, - disse sorridendo, - una musica quieta pensosa che non soffoca altri suoni; una musica di accompagnamento; un amore dell'assenza d'amore che tende

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dolcemente le mani...?Agathe rimase muta. Qualcosa s'era spento. Era stanca fino in fondo all'anima. Il cuore le era stato

portato via di colpo e la torturava una paura intollerabile del vuoto interiore, della sua indegnità e della sua ritrasformazione in ciò che era prima. Così sentono i rapiti in estasi quando Dio si allontana da loro e non risponde più nulla ai loro fervidi appelli.

14.

Il commesso viaggiatore artistico, come lo chiamavano, era un professore universitario che veniva da qualche città italiana mentalmente equipaggiato con la rete per acchiappare farfalle e il vascolo per erborizzare dello storico dell'arte che viaggia. S'era fermato lì per riposarsi qualche giorno e riordinare il materiale prima di tornare a casa.

Poiché erano quasi i soli ospiti dell'albergo, si era presentato ai gemelli fin dal primo giorno; dopo i pasti, o quando s'incontravano scambiavano qualche parola, ed era innegabile che quell'uomo, anche se Anders rideva di lui, in certi momenti portava una gradita distensione.

Era profondamente convinto della propria importanza come uomo e come studioso, e fin dal primo incontro, appena saputo che i due non erano in viaggio di nozze, fece la corte ad Agathe con molta risolutezza. Le diceva: - Lei somiglia alla bella... nel quadro di... e tutte le donne con quell'espressione, che si ripete nei capelli sulla fronte e nelle pieghe dell'abito, hanno la caratteristica di... - Agathe, quando voleva raccontarlo ad Anders, aveva già dimenticato i nomi; ma era gradevole, come la pressione salda di un massaggiatore, trovare un uomo che sa quel che tu sei, mentre ti sentivi così disfatta da confonderti col silenzio del mattino.

Il commesso viaggiatore artistico diceva: - Le donne son state create per farci sognare, sono un accorgimento della natura per fecondare lo spirito virile S'illuminò di gioia per il suo paradosso che rovesciava il senso della fecondazione. Anders rispose: Però ci sono delle differenze nel modo di questi sogni!

L'uomo sosteneva che nell'amplesso con una "donna veramente grande" si deve poter pensare alla Creazione di Michelangelo. - Ci si tira sopra il soffitto della Sistina ( 9) e sotto si è nudi, tranne i bas bleus, lo canzonava Anders. No, lui ammetteva che la realizzazione esige molto tatto, ma come principio, tali creature potevano diventare "due volte più grandi" delle altre. - In fin dei conti il problema di una vita morale è quello di congiungere le nostre azioni con ciò che portiamo in noi di più alto! - In teoria non era facile confutarlo, quantunque in pratica fosse ridicolo.

- Ho scoperto, - diceva lo storico dell'arte, - che vi sono sempre stati due tipi umani nel corso della storia.

Io li chiamo gli statici e i dinamici.Se preferite, gl'imperiali e i faustiani. Gli statici possono sentire una felicità presente. In quale modo

essi sono contraddistinti da un equilibrio. Ciò che hanno fatto e ciò che faranno s'ingrana mediante ciò che stanno facendo, è armonico e possiede una forma, come un quadro o una melodia. Ha, per così dire, una seconda dimensione, ad ogni istante brilla come una superficie. Il Papa, ad esempio, o il Dalai-Lama: è semplicemente impensabile che facciano qualcosa al di fuori del quadro di ciò che rappresentano. I dinamici, per contro: sono quelli che si staccano sempre, che guardano solo avanti o indietro, che dipanano se stessi, sono gl'insensibili con missioni da compiere, gl'insaziabili, gl'insistenti, gli sfortunati - che sempre sconfiggono gli statici per tenere in moto la storia del mondo...

- A farla breve, egli lasciava intendere di recare in sé entrambe le disposizioni.- Mi dica, - chiese Anders, con aria molto seria, - i dinamici non sono anche quelli che in amore non

9 Gioco di parole: Deche significa sia soffitto che copertina (N.d.T.)

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sembrano sentire nulla, sia perché hanno già amato con la fantasia, sia perché ameranno soltanto ciò che sarà loro nuovamente sfuggito? Non si potrebbe sostenere anche questo?

- Giustissimo! - disse il professore.- Sono immorali e sognatori, questi uomini che non sanno mai trovare il punto giusto fra passato e

futuro...- Be, non arriverei a dir tanto...- Ma sì, ma sì. Per impazienza possono commettere azioni insensate, perché il presente non significa

nulla per loro.Lo storico dell'arte non seppe che cosa rispondere e pensò che Anders non lo capiva.

15.

L'inquietudine cresceva.L'estate diventava torrida. Il sole divampava come un incendio fino all'orizzonte. Gli elementi

invadevano l'esistenza fino al punto che gli uomini non avevano quasi più posto ed erano appena tollerati.

Un giorno, verso sera, i gemelli andarono a passeggiare sulla scogliera all'ora che l'aria bruciante aveva già leggere increspature di freddo.

Cespugli gialli di ginestre balzavan fuori dall'ardore delle rocce e s'ergevano di fronte all'anima; grigi come schiene d'asino i monti sotto il velo verde dell'erba carsica; il verde caldo e cupo dei lauri. Lo sguardo che vi si posava bramoso affondava in profondità sempre più fresche.

Ronzavano miriadi d'api: il ronzio si fondeva in una profonda nota metallica che gettava piccoli dardi quando con una virata improvvisa giungeva presso l'orecchio. Eroica, immane la cresta levigata e ardua dei monti che veniva avanti in tre ondate successive.

- Eroica? - chiese Anders. - O non è soltanto ciò che abbiamo sempre esecrato perché è considerato eroico?

Quel paesaggio mille volte dipinto e inciso, greco, romano, nazareno e neoclassico, quel paesaggio virtuoso, professionale e idealistico? E alla fine non ci sembra imponente solo perché lo vediamo in realtà? Così come si disprezza un uomo influente pur essendo lusingati di conoscerlo?

Ma le poche cose alle quali qui apparteneva lo spazio si rispettavano, restavano a distanza le une dalle altre e non sovraccaricavano d'impressioni la natura come in Germania. Lo scherno era inutile; come in alta montagna, dove il terrestre diventa sempre più piccolo, quel paesaggio non era più lo sfondo di abitazioni umane, ma un pezzo di cielo nelle cui pieghe erano ancora annidate alcune varietà d'insetti.

E dall'altra parte (di quell'umiltà) c'era il mare. La grande amante, ornata della coda di pavone. L'amante con lo specchio ovale. L'occhio spalancato dell'amante. L'amante divenuta Dio. L'esigenza implacabile.

L'occhio doleva ancora e doveva volgersi altrove, colpito dalle lance di luce riscagliate indietro dal mare.

Ma presto il sole scenderà più in basso. Resterà soltanto un lago circoscritto, d'argento limpido.Allora bisogna guardar fuori sul mare! Contemplarlo. Agathe e Anders temevano quel momento.

Che cosa si può fare per tener testa a quella rivale immensa, che vi guarda, che vi sfida, gelosa? Come amarsi? Cadere in ginocchio? Come avevano fatto il primo giorno? Stendere le braccia? Gridare?

Si può abbracciarsi? è ridicolo, come urlare irosamente contro qualcuno mentre lì accanto rombano tutte le campane di una cattedrale. Di nuovo il vuoto terribile li imprigionò da tutte le parti.

Anders scosse il capo. - Bisogna essere un po' limitati per trovar bella la natura. Essere uno come

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quello laggiù che preferisce parlare invece di ascoltare chi gli è superiore. Bisogna che essa ti ricordi componimenti scolastici e mediocri poesie, e poterla trasformare di colpo in un'oleografia. Se no si è sopraffatti. Bisogna essere più stupidi di lei per poterle resistere, e chiacchierare per non perdere la parola.

Per fortuna la loro pelle non poté resistere al calore. Cominciarono a sudare. Fu una diversione e una scusa; si sentirono dispensati dal loro compito.

Ma mentre tornavano all'albergo, Agathe si accorse che la rallegrava la sicurezza d'incontrare laggiù il viaggiatore forestiero. Anders aveva certamente ragione, ma era di grande conforto la compagnia ciarliera e invadente di quell'uomo.

16.

V'erano momenti terribili in camera dopo pranzo. Fra la tenda a righe rosse tesa al di fuori e la balaustra di pietra del balcone correva un palmo di nastro d'un azzurro rovente. Il calore liscio, la luce smorzata avevano scacciato dalla stanza tutto ciò che non era solido.

Anders e Agathe non avevano portato niente da leggere; tale era stata la loro intenzione; avevano lasciato alle spalle tutto ciò ch'era pensiero, condizione morale - foss'anche la più sagace -, legame con la vita di tutt'i giorni: adesso le loro anime erano come due mattoni calcinati, senza più una goccia d'acqua. Quella vita contemplativa, nella natura, li aveva messi in una dipendenza inaspettata dagli elementi più primitivi.

Finalmente venne un giorno la pioggia. Il vento frustava. Il tempo rinfrescando diventò più lungo. Essi si riebbero come piante. Si baciarono.

Le parole che si dissero li ristorarono. Furono di nuovo felici.Aspettare ad ogni momento già il successivo è soltanto un'abitudine; chiudi la diga e il tempo

straripa come un lago. Le ore scorrono, è vero, ma sono più larghe che lunghe. Si fa sera, ma il tempo non è passato.

Vi fu un secondo giorno di pioggia; un terzo. Quello che era sembrato un nuovo crescendo finì per ricadere. Il più piccolo aiuto, l'idea che quel tempo era un fato personale, un destino straordinario, e la stanza si riempie di una strana luce acquatica, o è come scavata in un dado d'argento cupo. Ma quando non v'è soccorso: di che cosa parlare? Si può ancora sorridersi da un'immensa distanza abbracciarsi - stancarsi fino a un languore simile alla morte, che separa gli esausti come una pianura sterminata; si può dire, attraverso la lontananza: ti amo; oppure: sei bella; oppure: preferirei morire con te che vivere senza di te; oppure: quale miracolo che tu ed io, due esseri così divisi, siamo stati alitati uno verso l'altro. E si può piangere di nervosismo, quando pian piano la noia comincia a corrodere tutto ciò...

Terribile potenza della ripetizione, divinità terribile! Attrazione del vuoto che trascina sempre più giù, come l'imbuto d'un vortice le cui pareti s'allargano. Baciami, e io mordo le tue labbra piano e sempre più forte e sempre più selvaggiamente, sempre più ebbro e più assetato di sangue, spiando il grido che invoca pietà, scendendo nell'abisso del dolore, finché alla fine restiamo sospesi alla parete verticale, e abbiamo paura di noi stessi. Allora vengono a soccorrerci i profondi empiti del respiro che minaccia d'abbandonare il corpo, lo splendore degli occhi si spegne, lo sguardo si stravolge, si stende sul viso l'espressione dell'agonia. Turbinano nell'estasi mille delizie e stupori reciproci. Un volo raccolto in pochi minuti attraverso la beatitudine e la morte, che finisce, che riprende, i corpi vibrano come campane mugghianti.

Ma si sa bene, alla fine non è stato altro che un profondo peccato originale, la caduta in un mondo dove per i cento gradini della ripetizione si scende, librandosi, sempre più in basso. Agathe gemette: - Tu mi abbandonerai.

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- No! Dolcezza mia! Mia complice! - Anders cercava parole d'entusiasmo eccetera.- No! - protestò piano Agathe, - non riesco a sentire più niente...Ormai era detto, e Anders divenne di gelo e rinunciò ai suoi sforzi.- Se avessimo creduto in Dio, continuò Agathe, - avremmo capito il linguaggio delle montagne e dei

fiori.- Tu pensi a Meingast? - inquisì Anders.- No, allo storico dell'arte Agathe sorrise stanca e dolorosa. Era sdraiata sul letto, Anders aveva

spalancato la porta del balcone, il vento gettava raffiche di pioggia nella stanza. - È lo stesso, diss'egli brusco. - Pensa a chi vuoi.

Dobbiamo cercare un terzo. Che ci guardi, c'invidi o ci rimproveri - Si fermò davanti a lei e disse lentamente: - Fra due persone sole l'amore non è possibile! - Agathe si sollevò su un gomito ed era là riversa con gli occhi dilatati come se aspettasse la morte.

- Noi abbiamo seguito un impulso che è contrario all'ordine, - ripeté Anders. - Un amore può nascere per sfida, ma non può consistere in una sfida. Può sussistere solo se è inserito in una società. Non è un contenuto di vita. È invece una negazione, un'eccezione a tutti i contenuti di vita. Ma un'eccezione ha bisogno di una regola di cui è appunto l'eccezione. Di una pura negazione non si può vivere.

- Chiudi la finestra, - pregò Agathe. Si alzò e si rassettò il vestito. - Allora partiamo?Anders alzò le spalle. - Tanto, è tutto finito.- Ricordi a quale condizione siamo venuti qui?Anders rispose vergognoso: Volevamo trovare la porta del paradiso.- E ucciderci, - disse Agathe, - se non ne fossimo stati capaci.Anders la guardò calmo. - Vuoi?Forse Agathe avrebbe potuto rispondere di sì. Ma, non sapeva per quale ragione, le parve più

sincero scuotere il capo e dire di no. Abbiamo perduto anche questa risoluzione, - ella constatò. Si alzò disperata. Parlò con le mani sulle tempie, ascoltando le proprie parole: - Aspettavo... Ero già quasi troppo matura e ridicola... Perché, nonostante la mia vita, aspettavo ancora. Non lo potevo definire né descrivere. Era come una melodia senza suono, una immagine senza forma.

Sapevo che sarebbe venuto a me, un giorno, dall'esterno, e che sarebbe stato ciò che mi ama e col quale non mi sarebbe più accaduto nulla di male né in vita né in morte...

Anders, che si era voltato improvvisamente verso di lei, intervenne parodiandola con una malignità che torturava lui stesso: è una nostalgia, qualcosa che manca: la forma c'è, manca soltanto la materia. Poi arriva un impiegato di banca o un professore, e questo piccolo animale riempie pian piano il vuoto che era teso come un cielo al tramonto.

- Mia cara, nella vita ogni movimento viene dal male, dalla brutalità. Il bene si addormenta. È una goccia di profumo; ma ogni ora è quello stesso buco, quello stesso figlio della morte, che sbadiglia e che dev'essere riempito di ciotoli pesanti. Dicevi poco fa: se potessimo credere in Dio! Ma può servire anche una partita a scacchi, un solitario, un libro. Ormai l'uomo ha scoperto che può consolarsi anche così. Basta che sia qualcosa da potervi appoggiare un asse dopo l'altro per farti attraversare il vuoto dell'abisso.

- Ma dunque non ci amiamo più?! esclamò Agathe.- Non bisogna dimenticare, - rispose Anders, - fino a che punto tale sentimento dipenda da quel che

lo circonda. Il suo contenuto lo riceve dal fatto che ci si figura una vita in comune, cioè una linea dritta in mezzo alla folla degli altri. Dipende anche dalla buona coscienza, perché tutti quanti si rallegrano di vedere come si amano quei due, o anche dalla coscienza cattiva...

- Che cosa abbiamo provato? Non possiamo ingannare noi stessi: io non ero pazzo quando volevo cercare il paradiso. Potevo determinarne la posizione, come si determina un pianeta invisibile da certi suoi effetti. E che cosa è successo? Si è disciolto in un'illusione ottico-psichica e in un meccanismo

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fisiologico a ripetizione. Come in tutti gli esseri umani!- È vero, - disse Agathe, - siamo vissuti per moltissimo tempo di ciò che tu chiami il male:

d'inquietudine, di piccole distrazioni di fame e di saziamento del corpo.- Eppure, - replicò Anders come in una visione dolorosissima, - quando sarà dimenticato tu

aspetterai di nuovo. Verranno giorni in cui al di là di molte porte qualcuno farà rullare il tamburo. Un rullo sordo e ostinato, che ricomincia sempre. Giorni che saranno come se aspettassi in un postribolo lo scricchiolio della scala: sarà un caporale o un impiegato di banca, che il destino ti manda per tenere in movimento la tua vita? E tuttavia sarai sempre mia sorella.

- Ma che cosa sarà di noi? - Agathe non vedeva nulla davanti a sé.- Devi sposarti o prenderti un amante... È quello che volevo dire prima.- Dunque non siamo più un essere solo? - ella domandò tristemente.- Anche l'essere unificato è doppio.- Ma se io amo te? - esclamò Agathe.- Dobbiamo vivere l'uno senza l'altro... L'uno per l'altro. Vuoi lo storico dell'arte? - Anders lo disse

con la freddezza di un grande sforzo.Agathe rifiutò con un'alzata di spalle. - Ti ringrazio, - disse Anders, e cercò di prendere e di

accarezzare la mano floscia di lei. Nemmeno io mi sento ancora così... così convinto...Tacquero per un poco. Agathe aperse e richiuse cassetti e incominciò a far le valige. La tempesta

scuoteva le porte. Poi Agathe si voltò e chiese al fratello, tranquilla e diversa: - Ma ti puoi immaginare che arriviamo a casa domani o dopodomani, che troviamo le stanze così come le abbiamo lasciate, e cominciamo a far visite...?

Anders non capì con quanta resistenza Agathe si ribellava a quell'idea. Neanche lui riusciva a immaginare tutto ciò. Ma sentiva una qualche nuova tensione, anche se il compito era triste. In quel momento non faceva abbastanza attenzione ad Agathe.