RIVISTA n. 1-4/2010 - Diocesi Alessandria · 2012-09-14 · un suo discorso da fare per scuotere il...

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DIOCESI DI ALESSANDRIA RIVISTA n. 1-4/2010

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DIOCESI DI ALESSANDRIA

RIVISTAn. 1-4/2010

Segreteria Vescovile

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segretario: don Carlo Soldateschi

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1MONS. VESCOVO

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FESTADELLA CHIESA LOCALE

15 novembre 2009

La festa odierna della Chiesa locale vuole celebrare e rendere visibile la comunione di tutti i componenti del popolo di Dio che vive in Alessandria attorno al suo Vescovo, che, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, “rende presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, Pontefice sommo” (Lumen gentium, 21).

Ce lo ha ricordato anche S. Paolo scrivendo agli Efesini: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti”. In forza del battesimo siamo stati redenti dalla schiavitù del peccato e con la confermazione ci è stato infuso lo Spirito del Risorto per essere degni di partecipare al banchetto eucari-stico che ci rende partecipi della comunione con Cristo, nostro Redentore. La presenza di Cristo, il Dio con noi, l’Emmanuele è resa vera e visibile attraverso la successione apostolica, che è il “fondamento” della Chiesa, come popolo di credenti. Infatti, la nostra fede non è senza fondamento, perché, pur credendo in Cristo che non abbiamo veduto, crediamo in Lui sulla testi-monianza di quegli apostoli che sono stati scelti per stare con il Maestro e lo hanno visto, ascoltato e toccato quando era in vita e dopo la sua risurrezione. La fede dei cristiani, dunque, è sì la “prova di ciò che non si vede” (Eb 11,1), ma sul fondamento di coloro che hanno veduto e creduto in Colui che è realmente vissuto, morto e risorto per amore di tutti gli uomini.

E questa testimonianza degli Apostoli è giunta fino a noi per una successione ininterrotta di altre persone da loro scelte per continuare questa testimonianza e che a loro volta hanno cre-duto e testimoniato, sovente con il martirio, quella fede fondata sui primi apostoli.

Sugli apostoli e sui loro successori abbiamo risentito dall’evangelista Giovanni la preghiera accorata di Gesù che il Padre ha certamente esaudito: “Padre santo, custodisci nel

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tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi ... Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”. Questa preghiera di Gesù durante l’ultima cena ha salvato gli apostoli e, dopo l’ab-bandono nell’ora della prova, li ha resi capaci di ritrovarsi nel cenacolo il giorno di Pasqua per ricevere la pace che avevano perduto e gioire alla visione del Risorto, di cui diventeranno i testimoni intrepidi fino all’effusione del sangue.

E la stessa preghiera di Gesù in quell’ultima cena ci rassi-cura anche per i loro successori: “ Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola ... perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Come per gli apostoli, così per i loro suc-cessori nel guidare il popolo di Dio, agisce non la loro umana natura, sempre povera e debole, ma la potenza e l’efficacia della preghiera di Cristo, che il Padre continua ad esaudire perché si è compiaciuto nel Figlio obbediente: “Questo è il Figlio mio, l’amato; in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17).

Attorno agli apostoli e ai loro successore per volontà indefet-tibile di Cristo si forma l’unità della Chiesa in ogni angolo della terra dove ci sono dei credenti in Cristo. E noi sentiamo qui e ora l’adempimento della preghiera di Cristo. S. Paolo, dopo aver ricordato il fondamento della nostra fede, ricorda che la “pietra angolare” della Chiesa rimane lo stesso Cristo Gesù: “In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi, insieme con gli altri, venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”.

Dunque, se il Vescovo, successore degli apostoli è il segno che esprime l’unità della Chiesa, questo segno manifesta la realtà invisibile della presenza di Cristo su cui poggia la Chiesa come tempio santo. Il Vescovo insieme ai credenti in Cristo rimanda a Cristo che è la pietra angolare che tiene insieme l’edificio della Chiesa.

E noi dobbiamo essere grati alla schiera di Vescovi che hanno guidato questa Chiesa di Alessandria fin dal suo sorgere nel XII secolo, alcuni più noti altri meno, ma tutti trasmettitori di quella testimonianza apostolica che è fondamento della nostra fede. E mi è gradita occasione riassumere tutti i miei predecessori nella

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persona di Mons. Fernando Charrier, Vescovo emerito e mio immediato predecessore, che celebra il fausto anniversario della sua ordinazione episcopale che raggiunge i 25 anni, la maggior parte dei quali spesi a favore della diocesi di Alessandria. È da lui che ho ereditato i tesori preziosi di una Chiesa locale che a sua volta aveva ricevuto dagli altri venerati pastori, ma che ha arricchito con il suo zelo, le sue iniziative pastorali ed il suo magistero capace di creare comunione all’interno della comu-nità così come con la comunità civile mediante il dialogo con il mondo. Soprattutto magistrale è stato il suo contributo nel campo della pastorale del lavoro in cui ha tenuto vivo il signifi-cato della dottrina sociale della Chiesa come espressione della vicinanza della Chiesa a tutti coloro che spendono la loro vita nell’onesto lavoro per la edificazione della società. La recente enciclica di Papa Benedetto XVI, “Caritas in veritate” ha ripreso fortemente e sviluppato questa dottrina a conferma della intu-izione pastorale del Vescovo Charrier. Al caro mons. Charrier esprimo in questa solenne celebrazione della Chiesa locale il ringraziamento di tutta la comunità ecclesiale ed assicuro la comunione nel rendimento di grazie al Signore per questi anni di ministero episcopale, che continua pur nelle diverse circostanze dello stato attuale in cui la sua preghiera e la sua discrezione e disponibilità confortano il mio ministero di Vescovo e sono di esempio per il clero ed i laici della nostra Chiesa.

Come è noto, viviamo un particolare tempo di grazia della Chiesa alessandrina che è entrata in stato di missione a comin-ciare dalla città. Riprendendo lo spirito ed il fervore dell’ultimo Sinodo ho ritenuto opportuno convocare l’intero popolo di Dio per confermare e purificare la nostra fede per adempiere sem-pre meglio la missione che Cristo ci ha affidato di annunciare e testimoniare il messaggio di salvezza al mondo intero. Come uomini abbiamo bisogno di questi momenti straordinari per non lasciarci addormentare dalle nostre pigrizie ed abitudini che spingono al disimpegno e per rinnovare il fervore iniziale della nostra adesione a Cristo. Abbiamo sentito un esempio nella prima lettura: su ispirazione divina Mosè convoca il po-polo d’Israele per riaffermare una fede tradita ed illanguidita e ristabilire una alleanza fedele e riconoscente. Mosè non ha un suo discorso da fare per scuotere il popolo ad una adesione

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al loro Dio, ma è portatore della parola di Dio. E questa parola non è astratta e disincarnata, ma ricorda agli Israeliti la loro storia che è racconto degli interventi di Dio per liberarli dalla schiavitù di Egitto e che sono ben presenti nella loro memoria; parola che chiama ad una alleanza di amore con la promessa di farne una “nazione santa” in mezzo agli altri popoli. Il passato, il presente ed il futuro sono così interpretati come presenza dell’amore privilegiato di Dio verso gli Israeliti per convincerli ad una scelta libera, ma piena e definitiva a favore del loro Dio. Ed il popolo non può che sentirsi attratto da tanta manifestazione di amore ed aderisce alla alleanza: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo”. Sappiamo quanto ancora debole e incerta sia stata l’osservanza di quella adesione che solo in Cristo, capo del nuovo Israele, è diventata definitivamente fedele. E tuttavia esemplare per noi è lo stile di Dio che non muta nel tempo.

Ancora una volta Dio, attraverso il Vescovo, convoca il popolo dei suoi fedeli per far loro ascoltare la sua parola; ed ancora una volta la sua parola è iscritta nella storia di questo popolo alessandrino come narrazione dell’amore di Dio che è con noi per combattere e farci vincere la battaglia contro il peccato e la morte. Prima di rinnovare il nostro "sì" all’alleanza nuova in Cristo, con la missione siamo chiamati a riascoltare la Parola che interpreta la nostra storia e scalda il nostro cuore con la narrazione delle meraviglie che il Signore ha compiuto anche in questa terra. Non abbiamo fretta a rinnovare la nostra adesione, che non è in discussione, ma insieme come comunità sparse nel territorio meditiamo e preghiamo perché possiamo amare Dio veramente sopra ogni cosa e con tutto il cuore. Come vado ripetendo, solo attraverso questa lievitazione della nostra ade-sione a Cristo potremo adempiere la missione di annunciare e testimoniare il Vangelo come evento finale di questa missione. So che può sorgere l’obiezione di chi è stato frustrato da ana-loghe iniziative che non hanno sempre dato i frutti desiderati, Ma non possiamo soffocare lo Spirito che soffia dove e quando vuole e questa nuova grazia ci è data come dono che non pos-siamo rifiutare.

Invito, pertanto, i sacerdoti a farsi promotori di questo dono dello Spirito incoraggiando i laici a partecipare a tutte le ini-ziative che sono e saranno programmate, ben sapendo che il

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trovarsi insieme per pregare, riflettere e decidere nel nome del Signore e nella docilità alle sue ispirazioni è garanzia di essere comunità di discepoli che già così annuncia e testimonia l’amore di Dio. Da questa comunione di tutto il popolo di Dio aumenta il senso di corresponsabilità e di collaborazione, ciascuno se-condo la propria vocazione.

Non ci mancherà la potente intercessione della Beata Ver-gine della Salve, “di Alessandria clementissima Patrona” e di S. Baudolino, intrepido testimone delle radici della fede della nostra gente che volle le sue reliquie al centro della nascente Chiesa alessandrina.

L’Eucaristia che celebriamo ci associa alla Pasqua del Signo-re per renderci degni di essere nel mondo luce che illumina e sale che dà sapore e senso alla vita di ogni uomo. E da questa Eucaristia partiamo con la gioia nel cuore “perché buono è il Signore, eterna la sua misericordia e la sua fedeltà per ogni generazione”.

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1.1TRIDUO PASQUALE

Giovedì santo 1 aprile 2010

Gesù con i suoi apostoli si trova nel cenacolo per celebrare la pasqua ebraica il cui rito e il cui significato abbiamo ascoltato nella prima lettura di questa celebrazione. Pasqua significa passaggio e gli ebrei ricordavano, sull’ordine del Signore, di ge-nerazione in generazione, il passaggio dell’angelo sterminatore che risparmiò le loro case i cui stipiti erano stati imbevuti nel sangue dell’agnello che veniva sacrificato. E questo rito si cele-brava e si celebra fino ai tempi di Gesù: era ancora la pasqua ebraica; ma nel rito del passaggio dell’angelo sterminatore in Gesù si compie e si realizza il passaggio dall’antica alla nuova alleanza: dalla figura alla realtà, non più un animale viene sa-crificato ma l’agnello di Dio, il Verbo incarnato.

Vi è una liberazione ma non più solo dalla schiavitù dell’Egitto ma dalla schiavitù del peccato e della morte. Avviene un altro passaggio: dalla legge, che era il fondamento e il segno dell’amo-re di Dio, all’amore con cui Dio ci ha amato attraverso il suo figlio unigenito. E Gesù in quella sera compie questo passaggio che non è solo passaggio dal passato al presente, ma anticipa anche il futuro. Con l’istituzione dell’eucaristia che questa sera ricordiamo e adoriamo, Gesù dice: "Questo è il mio corpo offerto per voi; questo è il mio sangue versato per voi" prima che tutto questo si realizzi da lì a poche ore. Gesù si dimostra signore e padrone; non è l’agnello che viene catturato suo malgrado e viene sacrificato; è l’agnello che si offre, è l’agnello che è padrone di dare la vita ma anche di riprenderla per un gesto di amore.

Abbiamo sentito l’introduzione del brano dal vangelo di Gio-vanni: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino

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alla fine". E questa sua libertà, condizione inevitabile dell’amore, anticipa la sua cattura. Quando vanno a prenderlo, lui si è già donato in questo gesto libero di amore. E Giovanni, a differenza degli altri evangelisti, ci ricorda il gesto della lavanda dei piedi di Gesù nell’ultima cena, collegandolo significativamente con la stessa eucaristia perché è alla base dell’uno e dell’altro ge-sto di Gesù che offre il suo corpo e il suo sangue come cibo e bevanda per la nostra salvezza. E in Gesù che lava i piedi agli apostoli c’è lo stesso amore: abbiamo sentito Gesù spiegarlo con fatica poiché gli apostoli non capivano ancora quello che stava facendo; abbiamo sentito la resistenza di Pietro. Gesù dice: “Voi mi chiamate signore e maestro, e lo sono. Se dunque io che sono il signore e maestro lavo i piedi a voi, così anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri". Il gesto di lavare i piedi allora era il gesto più umile, riservato all’ultimo degli schiavi; non agli schiavi, ma all’ultimo degli schiavi. E Gesù lo fa per dire che anche noi dobbiamo amarci fino a volerci servire gli uni gli altri nella reciprocità dell’amore; e soprattutto chi ha responsabilità, chi ha compiti di autorità e di guida, a differenza di ciò che avviene nel mondo, deve essere ancora più servitore: “Se io che sono signore e maestro faccio questo ...” e Gesù l’ha fatto. Ecco l’amore che si esprime questa sera e che la Chiesa, da sempre, ha celebrato nell’eucaristia e nella carità verso i poveri; questo perché Gesù non solo l’ha fatto ma ha comandato che questi gesti fossero ripetuti: “Fate questo in memoria di me”. Nella consacrazione lo ripetiamo due volte sia sul pane che sul vino: “Ogni volta che bevete del sangue e del calice fate questo in memoria di me”. E anche nella lavanda dei piedi diceva ai suoi discepoli: “Se io ho fatto questo anche voi dovete farlo”.

Nella prima lettura, nella pasqua ebraica, abbiamo ascoltato come il comando fosse quello di trasmettere di generazione in generazione ciò che Dio aveva fatto al suo popolo: ai giovani che vengono dopo di voi e che non ricordano le cose passate, voi genitori dovete raccontare quello che è capitato e come l’amore di Dio, espresso nel passato, sia garanzia di un amore che ci accompagna anche oggi.

Ecco dunque la solennità, la grandezza e l’intimità di una cena che la Chiesa ricorda questa sera; e noi siamo qui, eredi di queste generazioni, per trasmettere alle generazioni future

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questa nostra fede nell’amore di Dio che si è rivelato in Cristo. Siamo qui per celebrare perché Lui ce l’ha comandato, ma an-che perché il rito venga poi attuato nella vita attraverso l’amore che spinge gli uni a lavare i piedi agli altri. Quel gesto che il Vescovo ripeterà fra poco simbolicamente, vuole essere appunto un invito per tutti i cristiani a questo amore vicendevole che diventa credibilità della nostra fede, testimonianza dell’amore di Dio, di Gesù che si perpetua nella sua Chiesa.

Per questo l’eucaristia è il centro, la fonte e lo scopo di tutta la vita della Chiesa, perché nell’eucaristia tutti questi significati sono raccolti; è nell’eucaristia domenicale, giorno settimanale della pasqua del Signore che noi siamo invitati ad obbedire a quel comando: “Fate questo in memoria di me”. Ma questo non è il rito solamente ma anche il suo significato che viene affidato a noi quando al termine della messa il celebrante ci dice: “An-date” cioè testimoniate.

Con animo dunque commosso e grato verso il Signore che per la nostra salvezza liberamente si lascia catturare nell’ora delle tenebre, vogliamo anche noi questa sera metterci alla sequela del Cristo, adorarlo presente nell’eucaristia. Domani sera celebreremo ciò che nell’eucaristia è anticipato e che si è realizzato pienamente sulla croce; la risurrezione poi darà a tutti questi avvenimenti e all'umanità intera una luce e una speranza nuova.

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Venerdì santo 2 aprile 2010

È da ieri sera che le tenebre avvolgono il mondo e la Chiesa segue gli ultimi passi della vita terrena di Gesù perché è scoc-cata l’ora della nostra salvezza attraverso la passione, morte e risurrezione del Signore. Piena di contraddizione apparente in cui gli estremi sembrano toccarsi, questa è l’ora dell’annienta-mento del Figlio di Dio, ma anche della sua gloria che è appunto la salvezza di noi uomini.

Il racconto della passione del Signore, secondo l’evangelista Giovanni, che abbiamo ascoltato con devozione, si caratteriz-za appunto nel dimostrare che è vero che il venerdì santo è il giorno della persecuzione, il giorno della vittoria del male sul bene, della morte sulla vita; ma è anche vero che nella stessa narrazione dei patimenti di Gesù al tribunale e sulla croce, emerge Gesù come il vincitore, come il re. Quante volte nel racconto abbiamo sentito questa parola: “re”; perché Gesù, fin dall’inizio del racconto della passione in Giovanni, appare come colui che ha in mano l’iniziativa. È vero che Giuda va dai sacerdoti, complotta, prende una turba di gente e va incontro a Gesù per catturarlo; ma l’evangelista Giovanni dice che è Gesù che va innanzi, che va verso di loro; è Gesù che li interroga, è Gesù che si definisce con quella frase che gli ebrei conosce-vano bene: “Io sono”; il nome di Dio stesso di fronte al quale quella turba cade per terra; e Gesù, pur avendo questa poten-za, ferma Pietro che con la spada voleva difendersi, e si mette volontariamente nelle mani dei suoi nemici. E anche quando è condotto al tribunale di fronte a Pilato, appare lui come il re, come l’autorità; è lui che si afferma di fronte alla domanda di Pilato come il vero re: “Tu lo dici, io sono re”. Ed è lui ancora che appare così, di fronte alla turba della gente, perché Pilato con ironia aveva fatto scrivere sopra la croce: “Gesù Cristo re dei giudei” nelle tre lingue conosciute, resistendo al tentativo degli scribi e dei farisei che volevano cancellare questa scritta ironica, e che smentendo tutta la loro tradizione, avevano detto

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a Pilato: “Noi non abbiamo altro re che Cesare”. Ma Pilato fa scrivere che il loro re è il crocifisso.

E mentre muore, Gesù fa nascere la Chiesa, consegna a sua madre Giovanni e Giovanni a sua madre come figura di quella Chiesa che nasce dal suo costato trafitto da cui escono simbo-licamente l'acqua che ci lava dai nostri peccati, il battesimo e il sangue segno della nostra redenzione.

Ed è lui che viene sepolto, come un re, in un sepolcro nuovo, con unguenti e lini preziosi in attesa della risurrezione. Ebbene queste caratteristiche specifiche del racconto di Giovanni evan-gelista della passione ci fanno vedere questo apparente para-dosso: non dobbiamo aspettare la domenica della risurrezione per accorgerci che Gesù è il vincitore; già nel racconto della passione c’è il riverbero di questa potenza di Dio che appare nella sua libertà e nell’infinità del suo amore.

Del resto lo avevamo già sentito nella prima lettura, dove le parole del profeta Isaia riconducono pienamente alla figura di Cristo con quelle definizioni anch’esse contraddittorie: il servo che sarà onorato, innalzato e venerato è colui che nessuno riconosce come uomo talmente è sfigurato dai peccati che non sono i suoi peccati ma quelli degli altri. Vediamo in Gesù una piena realizzazione di quella profezia che avrebbe dovuto guida-re il popolo e soprattutto i suoi capi a riconoscere in Gesù che patisce per amore e per la nostra salvezza il suo re e vincitore.

E così anche noi, che non siamo ancora giunti alla risur-rezione e che ancora portiamo il peso della croce dobbiamo vedere in essa, mentre la portiamo, il riverbero della vittoria, la consolazione di sapere che se seguiamo Gesù con libertà e amore, mentre soffriamo vinciamo, mentre siamo nel dolore e nella fatica, dietro al Signore e portando con lui la croce, sia-mo già adesso vincitori. È per questo che pur nella solennità, nella severità del rito del venerdì santo, già sentiamo il nostro cuore pieno di riconoscenza verso colui che ha portato il peso dei nostri peccati; lo adoreremo, come faremo tra pochi istanti, disponendoci non solo ad arrivare ai piedi della sua croce per baciarla ma anche per salirci sopra con lui; sappiamo, infat-ti, che la nostra sofferenza è momentanea, e che, con lui, la sofferenza si trasformerà in gloria per la salvezza nostra e del mondo intero.

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Domenica di Pasqua 4 aprile 2010

pontificale

Per farci capire pienamente la novità e la gioia della celebra-zione della pasqua di risurrezione di Gesù che, con l’abitudine, per noi cristiani, dopo tanti secoli può ridursi ad una data fissa, giustamente la Chiesa ci fa leggere il brano di Giovanni dove viene raccontato come i discepoli più vicini a Gesù, gli apostoli, le pie donne, hanno vissuto l’inizio del giorno di pasqua: un giorno drammatico e non gioioso come noi lo celebriamo.

Infatti, pur avendo Gesù preannunciato la sua passione, morte e risurrezione, costoro erano sconvolti: avevano capito il significato della morte e della sepoltura, ma non avevano com-preso e tanto meno creduto a ciò che significava risurrezione; continuavano a vivere il dramma della morte del loro maestro secondo le usanze, le abitudini e i riti che sono prescritti per la sepoltura. La pietà e la religione al morto riservano parti-colare venerazione: ecco perché al mattino del "giorno dopo il sabato" - come sottolinea Giovanni per dire che era passato il tempo antico in cui il sabato era la festa e ora, con questo av-venimento si inaugurava una nuova festa - Maria di Magdala va per prima per rendere omaggio al cadavere di Gesù messo nel sepolcro. E cominciano le sorprese: non erano, infatti, come noi credenti abituati alla pasqua come una scadenza quasi inesorabile ed inevitabile; per Maria di Magdala e poi per Pie-tro e Giovanni e gli altri apostoli il sepolcro vuoto era un altro dolore: agli uomini non rimane che la venerazione del corpo del morto e sappiamo quanto sia doloroso quando si perde un proprio caro e non si ha nemmeno la possibilità di seppellirne il corpo. Ecco quindi il dramma nuovo che si prospetta ai più fedeli discepoli del Signore: non hanno nemmeno più il corpo del maestro buono; l'avevano messo frettolosamente nel sepol-cro venerdì, era rimasto tutto il sabato perché la legge proibiva la sepoltura in giorno di sabato, e adesso non potevano più rendere quella giusta venerazione alla loro persona cara ma

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che era anche consolazione, umanamente parlando, per il loro dolore. E allora ecco il travaglio, ecco il dolore con cui inizia la pasqua, ma anche l’inizio di una realtà nuova e sconvolgente. Non solo il maestro non è più nel sepolcro, ma "non sappiamo dove l’hanno messo". E questo non sarebbe pasqua, perché la pasqua di un sepolcro vuoto è il peggiore rito del dolore. Si incaricherà Gesù stesso, il risorto, di apparire e far vedere che se il sepolcro era vuoto non era perché un ulteriore oltraggio gli era stato inflitto e tutto era "finito e compiuto", come disse sulla croce, ma perché una potenza si era sprigionata, quella stessa potenza di amore per cui si era lasciato crocifiggere ha ribaltato la pietra del sepolcro ed è risorto, è il vivente con noi.

Abbiamo sentito nella prima lettura la testimonianza di Pie-tro che, in un breve discorso, fa quell’annuncio che contiene la sostanza del Vangelo: “Dopo che è stato risuscitato il terzo giorno, volle che si manifestasse a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. È solo dopo che Gesù è apparso, dopo che Gesù li ha convinti che era risorto, che quel sepolcro vuoto è diventato non il segno di un nuovo dolore ma il segno della vittoria, il segno della pasqua, il segno della risurrezione. E dallo stupore e dalla meraviglia gli apostoli, come anche le pie donne che incontrano Gesù, passa-no alla gioia. È questa la pasqua, il passaggio dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, dalla disperazione alla speranza.

E noi che veniamo dopo tanti secoli siamo gli eredi di quella testimonianza e dobbiamo annunciare al mondo che c’è un se-polcro vuoto, perché ancora la morte è il destino dell’umanità e di ogni uomo; ma non è più una sconfitta, perché quel sepolcro vuoto è riempito da una presenza e siamo noi che dobbiamo, come Pietro, testimoniare che Cristo non è più nel sepolcro ma nel mondo, nella Chiesa, con noi.

L’allusione è chiara quando Pietro dice: “Abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”; la Chiesa ci convoca ogni domenica alla pasqua settimanale, il giorno del Signore, perché mangiamo e beviamo con lui, cioè celebriamo l’eucaristia che è il dono del risorto che con il suo Spirito si rende presente attraverso i segni del pane e del vino; è l’Emmanuele, il Dio con noi: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

Certo noi non siamo ancora nella gloria, non siamo ancora

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sotto il segno della risurrezione; noi siamo ancora sotto il segno del cammino, del viaggio, quindi ancora sentiamo il dolore e le sofferenze, e siamo retaggio di una morte che ci aspetta; ma non siamo più soli, e non abbiamo accanto solo degli amici che condividono la nostra sorte, ma abbiamo colui che ha superato la barriera della morte e del peccato, ed è ritornato a noi per ricondurci là dove ci aspetta, nella gloria.

Quindi Pasqua non è un momento in cui le cose quasi ma-gicamente cambiano attorno a noi; rimaniamo come siamo, ognuno col nostro carico di gioia, di sofferenza e tribolazione, con le nostre speranze e paure; quello che cambia è dentro di noi: la consapevolezza, la fede che non siamo soli e che con noi è il risorto.

Se Gesù fosse sempre rimasto con gli apostoli, come lo era stato, durante la sua vita prima della sua morte e risurrezione certo sarebbe stato un personaggio autorevole, avrebbe con-tinuato a fare miracoli, ma non avrebbe fatto quel passaggio decisivo che è la pasqua. La sicurezza, la speranza sicura che abbiamo della nostra vittoria è nella sua vittoria e nella certezza che è ritornato per prenderci e farci vincere con lui. Ed è per questo che, nella pasqua, dobbiamo rinforzare la nostra fede e soprattutto la nostra speranza.

S. Paolo, nella seconda lettura, scrive: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio”; questo scrive ai suoi cristiani non perché trascurino le cose di questa terra ma perché le vedano da un'altra prospettiva: non guardando dal basso all’alto, ma dall’alto verso il basso e con gli occhi di Cristo che già là ci aspetta e che ha preparato un posto che nessuno può cancellare se non un nostro “no” ostinato e definitivo; ma se diciamo il nostro “sì” ogni giorno, anche tribulato, anche debole, anche mescolato ad altri “no”, ma riprendiamo attraverso la penitenza e il perdono del Signore la sequela di Cristo, nessuno può toglierci questa speranza.

Ecco perché siamo invitati pur in mezzo alle difficoltà e alle crisi generali e personali a gioire di questa gioia che non è le-gata alle cose di quaggiù, ma alle cose di lassù che però sono ad esse ancorate. Prima di tutto dobbiamo rinforzare la nostra fede ed essere fedeli all’appuntamento domenicale che il Si-gnore ci dà perché se non facciamo esperienza di incontro e di

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comunione con Lui – "abbiamo mangiato e bevuto con lui" – il sepolcro rimane vuoto, non troviamo "colui che era nel sepolcro ed è risorto", e rimaniamo con i nostri sepolcri, pieni o vuoti, o comunque sotto la schiavitù del peccato e della morte.

Ecco perché la Chiesa insiste tanto per la celebrazione eucaristica domenicale come "fonte e culmine della vita della Chiesa"; diversamente la fede illanguidisce e le crisi, gli scan-dali, le avversità prevalgono e il popolo di Dio rimane sotto la schiavitù della paura e del peccato e non può dare credibilità alla sua fede.

Ma dobbiamo anche, dopo che ci siamo rinforzati nella nostra fede, fedeli all’appuntamento domenicale nell’eucaristia per fare comunione con Cristo, andare nel mondo e dire parole di speranza, dire quello che Cristo ha fatto e continua a fare per noi; anunciare che Cristo è vivo in mezzo a noi attraverso la sua Chiesa; una Chiesa che ha bisogno certo di convertirsi ma che non può rinunciare ad annunciare il Cristo morto e risorto per la nostra salvezza. E nessun peccato degli uomini di Chiesa può diminuire la forza di questo annuncio; dobbiamo farlo con umiltà ma dobbiamo farlo per non venir meno alla missione che Cristo ci ha affidato; s. Pietro ci ha ricordato il dovere della testimonianza: "Chiunque crede in Lui riceve il perdono dei peccati e per mezzo del suo nome è salvo".

Questo è l'augurio che ci facciamo reciprocamente: che que-sta pasqua sia un passaggio dalle nostre paure al coraggio, dalle nostre tristezze alla gioia, dalla nostra timidezza al coraggio dell’annuncio del Vangelo non solo individualmente ma come Chiesa e come Chiesa che vive in Alessandria.

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1.2MADONNA DELLA SALVE

Domenica di Pasqua 4 aprile 2010

pontificale

Per farci capire pienamente la novità e la gioia della celebra-zione della pasqua di risurrezione di Gesù che, con l’abitudine, per noi cristiani, dopo tanti secoli può ridursi ad una data fissa, giustamente la Chiesa ci fa leggere il brano di Giovanni dove viene raccontato come i discepoli più vicini a Gesù, gli apostoli, le pie donne, hanno vissuto l’inizio del giorno di pasqua: un giorno drammatico e non gioioso come noi lo celebriamo.

Infatti, pur avendo Gesù preannunciato la sua passione, morte e risurrezione, costoro erano sconvolti: avevano capito il significato della morte e della sepoltura, ma non avevano com-preso e tanto meno creduto a ciò che significava risurrezione; continuavano a vivere il dramma della morte del loro maestro secondo le usanze, le abitudini e i riti che sono prescritti per la sepoltura. La pietà e la religione al morto riservano parti-colare venerazione: ecco perché al mattino del "giorno dopo il sabato" - come sottolinea Giovanni per dire che era passato il tempo antico in cui il sabato era la festa e ora, con questo av-venimento si inaugurava una nuova festa - Maria di Magdala va per prima per rendere omaggio al cadavere di Gesù messo nel sepolcro. E cominciano le sorprese: non erano, infatti, come noi credenti abituati alla pasqua come una scadenza quasi inesorabile ed inevitabile; per Maria di Magdala e poi per Pie-tro e Giovanni e gli altri apostoli il sepolcro vuoto era un altro dolore: agli uomini non rimane che la venerazione del corpo del morto e sappiamo quanto sia doloroso quando si perde un proprio caro e non si ha nemmeno la possibilità di seppellirne

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il corpo. Ecco quindi il dramma nuovo che si prospetta ai più fedeli discepoli del Signore: non hanno nemmeno più il corpo del maestro buono; l'avevano messo frettolosamente nel sepol-cro venerdì, era rimasto tutto il sabato perché la legge proibiva la sepoltura in giorno di sabato, e adesso non potevano più rendere quella giusta venerazione alla loro persona cara ma che era anche consolazione, umanamente parlando, per il loro dolore. E allora ecco il travaglio, ecco il dolore con cui inizia la pasqua, ma anche l’inizio di una realtà nuova e sconvolgente. Non solo il maestro non è più nel sepolcro, ma "non sappiamo dove l’hanno messo". E questo non sarebbe pasqua, perché la pasqua di un sepolcro vuoto è il peggiore rito del dolore. Si incaricherà Gesù stesso, il risorto, di apparire e far vedere che se il sepolcro era vuoto non era perché un ulteriore oltraggio gli era stato inflitto e tutto era "finito e compiuto", come disse sulla croce, ma perché una potenza si era sprigionata, quella stessa potenza di amore per cui si era lasciato crocifiggere ha ribaltato la pietra del sepolcro ed è risorto, è il vivente con noi.

Abbiamo sentito nella prima lettura la testimonianza di Pie-tro che, in un breve discorso, fa quell’annuncio che contiene la sostanza del Vangelo: “Dopo che è stato risuscitato il terzo giorno, volle che si manifestasse a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. È solo dopo che Gesù è apparso, dopo che Gesù li ha convinti che era risorto, che quel sepolcro vuoto è diventato non il segno di un nuovo dolore ma il segno della vittoria, il segno della pasqua, il segno della risurrezione. E dallo stupore e dalla meraviglia gli apostoli, come anche le pie donne che incontrano Gesù, passa-no alla gioia. È questa la pasqua, il passaggio dalla morte alla vita, dalla tristezza alla gioia, dalla disperazione alla speranza.

E noi che veniamo dopo tanti secoli siamo gli eredi di quella testimonianza e dobbiamo annunciare al mondo che c’è un se-polcro vuoto, perché ancora la morte è il destino dell’umanità e di ogni uomo; ma non è più una sconfitta, perché quel sepolcro vuoto è riempito da una presenza e siamo noi che dobbiamo, come Pietro, testimoniare che Cristo non è più nel sepolcro ma nel mondo, nella Chiesa, con noi.

L’allusione è chiara quando Pietro dice: “Abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”; la Chiesa

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ci convoca ogni domenica alla pasqua settimanale, il giorno del Signore, perché mangiamo e beviamo con lui, cioè celebriamo l’eucaristia che è il dono del risorto che con il suo Spirito si rende presente attraverso i segni del pane e del vino; è l’Emmanuele, il Dio con noi: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

Certo noi non siamo ancora nella gloria, non siamo ancora sotto il segno della risurrezione; noi siamo ancora sotto il segno del cammino, del viaggio, quindi ancora sentiamo il dolore e le sofferenze, e siamo retaggio di una morte che ci aspetta; ma non siamo più soli, e non abbiamo accanto solo degli amici che condividono la nostra sorte, ma abbiamo colui che ha superato la barriera della morte e del peccato, ed è ritornato a noi per ricondurci là dove ci aspetta, nella gloria.

Quindi Pasqua non è un momento in cui le cose quasi ma-gicamente cambiano attorno a noi; rimaniamo come siamo, ognuno col nostro carico di gioia, di sofferenza e tribolazione, con le nostre speranze e paure; quello che cambia è dentro di noi: la consapevolezza, la fede che non siamo soli e che con noi è il risorto.

Se Gesù fosse sempre rimasto con gli apostoli, come lo era stato, durante la sua vita prima della sua morte e risurrezione certo sarebbe stato un personaggio autorevole, avrebbe con-tinuato a fare miracoli, ma non avrebbe fatto quel passaggio decisivo che è la pasqua. La sicurezza, la speranza sicura che abbiamo della nostra vittoria è nella sua vittoria e nella certezza che è ritornato per prenderci e farci vincere con lui. Ed è per questo che, nella pasqua, dobbiamo rinforzare la nostra fede e soprattutto la nostra speranza.

S. Paolo, nella seconda lettura, scrive: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio”; questo scrive ai suoi cristiani non perché trascurino le cose di questa terra ma perché le vedano da un'altra prospettiva: non guardando dal basso all’alto, ma dall’alto verso il basso e con gli occhi di Cristo che già là ci aspetta e che ha preparato un posto che nessuno può cancellare se non un nostro “no” ostinato e definitivo; ma se diciamo il nostro “sì” ogni giorno, anche tribulato, anche debole, anche mescolato ad altri “no”, ma riprendiamo attraverso la penitenza e il perdono del Signore la sequela di Cristo, nessuno può toglierci questa speranza.

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Ecco perché siamo invitati pur in mezzo alle difficoltà e alle crisi generali e personali a gioire di questa gioia che non è le-gata alle cose di quaggiù, ma alle cose di lassù che però sono ad esse ancorate. Prima di tutto dobbiamo rinforzare la nostra fede ed essere fedeli all’appuntamento domenicale che il Si-gnore ci dà perché se non facciamo esperienza di incontro e di comunione con Lui – "abbiamo mangiato e bevuto con lui" – il sepolcro rimane vuoto, non troviamo "colui che era nel sepolcro ed è risorto", e rimaniamo con i nostri sepolcri, pieni o vuoti, o comunque sotto la schiavitù del peccato e della morte.

Ecco perché la Chiesa insiste tanto per la celebrazione eucaristica domenicale come "fonte e culmine della vita della Chiesa"; diversamente la fede illanguidisce e le crisi, gli scan-dali, le avversità prevalgono e il popolo di Dio rimane sotto la schiavitù della paura e del peccato e non può dare credibilità alla sua fede.

Ma dobbiamo anche, dopo che ci siamo rinforzati nella nostra fede, fedeli all’appuntamento domenicale nell’eucaristia per fare comunione con Cristo, andare nel mondo e dire parole di speranza, dire quello che Cristo ha fatto e continua a fare per noi; anunciare che Cristo è vivo in mezzo a noi attraverso la sua Chiesa; una Chiesa che ha bisogno certo di convertirsi ma che non può rinunciare ad annunciare il Cristo morto e risorto per la nostra salvezza. E nessun peccato degli uomini di Chiesa può diminuire la forza di questo annuncio; dobbiamo farlo con umiltà ma dobbiamo farlo per non venir meno alla missione che Cristo ci ha affidato; s. Pietro ci ha ricordato il dovere della testimonianza: "Chiunque crede in Lui riceve il perdono dei peccati e per mezzo del suo nome è salvo".

Questo è l'augurio che ci facciamo reciprocamente: che que-sta pasqua sia un passaggio dalle nostre paure al coraggio, dalle nostre tristezze alla gioia, dalla nostra timidezza al coraggio dell’annuncio del Vangelo non solo individualmente ma come Chiesa e come Chiesa che vive in Alessandria.

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Pellegrinaggio sacerdotialla Madonna della Salve

mercoledì 21 aprile 2010

La caratteristica di questa assemblea è l’omaggio che il pre-sbiterio diocesano vuol fare a Maria santissima, Madonna della salve, patrona della Chiesa di Alessandria. Questa particolare vicinanza tra Maria e il sacerdozio è proprio indicata nella bel-la icona che abbiamo della nostra Madonna della salve che la rappresenta nel suo dolore, e accanto a Lei, ai piedi della cro-ce da cui pende il suo Figlio diletto, l’apostolo Giovanni di cui abbiamo appunto sentito il brano del Vangelo. Certo Giovanni rappresenta tutta la Chiesa, ma non possiamo dimenticare che è anche apostolo, sacerdote; ha ricevuto dal Signore questa par-ticolare chiamata a seguirlo come visibilità della sua presenza, come buon pastore che guida il gregge a lui affidato.

È sul tema della affinità, della analogia, se non addirittura della identità tra la missione di Maria e quella del sacerdote che ci soffermiamo nella nostra riflessione. Mi rivolgo soprat-tutto a voi sacerdoti, ma anche a tutto il popolo di Dio che, guardando ai suoi pastori, può essere edificato e chiamato a sostenerli nella preghiera. Il ministero sacerdotale ha una certa affinità alla duplice maternità di Maria: Maria, nella sua divina maternità, ha dato al mondo il Figlio, il Verbo incarna-to; il Dio invisibile ha potuto prendere carne, diventare come noi, attraverso la carne: il corpo di Maria santissima si è reso disponibile a diventare madre, a concepire, a partorire, ad al-levare quel corpo che sarebbe stato sacrificato poi sulla croce. Ebbene in maniera diversa anche il sacerdote è chiamato a dare al mondo, attraverso i segni dell’eucaristia, non il suo corpo, ma quello di Cristo; nella celebrazione, come lo è stato Maria, è lo strumento, in maniera imperfetta e indiretta, che lo dona al mondo. Ripetendo le parole di Cristo, sul suo invito: “Fate questo in memoria di me”, dona il corpo e il sangue di Cristo per la salvezza realizzata attraverso il sacrificio di quel corpo e

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di quel sangue. Quindi c’è una affinità, una somiglianza tra la maternità

divina di Maria e quella del sacerdozio, e ancor maggiore que-sta appare nella seconda maternità, ricevuta proprio ai piedi della croce, quella di diventare madre della Chiesa: “Ecco il tuo figlio”; in quel momento, infatti, Giovanni rappresentava tutta la Chiesa. Maria santissima da allora, come abbiamo sentito dagli Atti degli apostoli, continua a svolgere questa missione; ovviamente non è lei in prima persona, ma lei unita a Cristo perché il redimere, dare salvezza, vita eterna e perdonare i peccati viene dalla croce da cui pende il figlio; ma proprio quel figlio la chiama ad associarsi nel dolore a partorire quel figlio e quei figli che fino alla fine dei secoli saranno redenti. Maria è associata alla vita che Cristo dà attraverso di lei e con lei.

Anche il sacerdote, attraverso, soprattutto ma non solo, i sacramenti, vive questa seconda maternità: quel sangue e quell’acqua scaturiti dal costato di Cristo, attraverso i sacra-menti, rigenerano a nuova vita quegli uomini che accettano di credere in quel Dio che si è fatto uomo per amore nostro e per la nostra salvezza.

Quindi madre di Cristo e madre della Chiesa, i due titoli più belli e singolari di Maria santissima sono affini al ministero del sacerdote che è chiamato, nell’eucaristia, a dare Cristo come nutrimento che salva e che accompagna nel viaggio terreno il popolo santo di Dio, e nel suo ministero lo rigenera, lo alleva e lo porta alla maturità della fede. Ecco perché cari sacerdoti noi guardiamo a Maria, come la guarda tutta la Chiesa, per la specifica vocazione del nostro sacerdozio ministeriale come un modello da imitare.

E vorrei sottolineare tre aspetti di questa imitazione. Innan-zitutto imitare la fede di Maria Santissima: anche noi sacerdoti, considerati professionisti del credere abbiamo bisogno di un continuo cammino di crescita nella fede. Fede che significa af-fidarci al progetto di amore di Dio al di là e oltre alle apparenze. Maria Santissima non ha solo creduto quando l’angelo aveva detto quelle parole profetiche nell’annunciazione; ha creduto fino alla fine, fino alla croce, dove quelle parole dell'angelo - "il suo regno non avrà fine" - sembravano contraddette, e lei stava vivendo la fine del Figlio suo, il Salvatore. Maria sotto la

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croce ha creduto, come ha creduto anche quando non capiva le parole del figlio dodicenne e quando non capiva il motivo per cui il figlio non la riceveva subito quando lo cercava durante la sua vita pubblica. Maria meditava nel suo cuore ciò che non capiva continuando a credere e aspettando l’adempimento delle parole del Signore perché aveva fede oltre le apparenze, oltre le immediatezze.

Anche noi, cari sacerdoti, abbiamo bisogno di riaccendere giorno per giorno questa fede per non lasciarci annebbiare da una mentalità mondana che legge le cose, come fanno i giornali, con qualche commento intelligente ma sempre nell’ottica uma-na; guai se non avessimo questa fede perseverante nonostante e oltre le apparenze. E allora la fede diventa un abbandono nel mistero che non comprendiamo ma di cui ci fidiamo. È questo che ci rende credibili come annunciatori della parola che salva. Quante volte nel ministero ci sentiamo dire: "Ha delle belle pa-role ma la realtà è quella dura". È proprio in quella durezza, in quella apparente ottusità e opacità della realtà che noi dobbiamo dare non solo la parola, ma l’esempio di chi crede e di chi ha una fede che diventa abbandono fiducioso e perseverante. Non valgono le età cronologiche, bisogna sapere attendere i tempi di Dio e la pienezza dei tempi.

Oltre la fede, l’imitazione di Maria santissima ci deve spinge-re, in coerenza con questa fede, alla obbedienza alla volontà di Dio: non solo vedere e credere al progetto di Dio, ma lasciarci coinvolgere secondo quel suo piano misterioso e quella sua volontà che non è mai uguale alla nostra.

Maria santissima ci è anche modello perché ha accettato di fare il bene in modo diverso rispetto a quello che aveva pro-gettato, un bene superiore, un bene misterioso. Ecco il legame dell’obbedienza con la fede: "Non la mia, ma la tua volontà", disse Gesù. E Maria santissima ci è modello perché ha obbe-dito lasciandosi guidare là dove non voleva, dove non sapeva: "Ecco la serva del Signore avvenga di me secondo la tua pa-rola". Questa obbedienza, anche noi cari sacerdoti, dobbiamo impararla leggendo i segni con cui si manifesta. E si manifesta in diversi modi: non possiamo prendere come criterio quello che noi vogliamo, ma dobbiamo confrontarci con la volontà di Dio che si manifesta nelle varie circostanze, anche attraverso il

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Vescovo che è segno – ed è sua responsabilità il discernimento – del volere di Dio.

Dobbiamo convertirci tutti insieme per questa obbedienza, perché se cerchiamo i nostri gusti, se amiamo lo status quo, il non cambiamento, certamente facciamo la nostra volontà, ma non quella di Dio.

Oltre alla fede e all’obbedienza, Maria ci è modello per la carità, per l’amore che da Dio scende ai fratelli, a quella porzio-ne di popolo di Dio che è affidata a voi, cari sacerdoti; fede ed obbedienza che diventano spinta ad amare gli altri come Gesù ha amato il suo popolo e l’umanità intera.

Ecco quello che papa Giovanni Paolo II chiamava la carità fraterna: imitare Cristo nel dono di sé ai fratelli, saperli capire, comprendere, aiutare ed essere strumento di comunicazione e di dialogo. Ma questo esige, al di là di ogni età cronologica, uno zelo apostolico che non si accontenta di vivacchiare, ma che accetta le sfide dei tempi e le iniziative nuove con un entusiasmo non emotivo ma che nasce dalla fede, e così poter realizzare la volontà di Dio come carità verso il popolo anche quando non ci accetta o quando sembra essere indifferente.

Ecco quello che vedete in questi giorni, ma per fortuna dopo la visita del Papa a Malta sembra che il suo gesto di pacifica-zione, di mitezza, di richiesta di perdono, stia attenuando le polemiche. C’è tanto rumore attorno ai peccati della Chiesa, ai peccati anche dei sacerdoti, che certamente sono da condanna-re; ma quello che spaventa di più non sono i pochi sacerdoti che possono sbagliare, ma la paura nostra e lo dico anche per me, cari sacerdoti, e per ciascuno di voi, è quella della tiepidezza. Lo diceva già l’angelo dell’Apocalisse alla Chiesa di Laodicea: "Non sei né caldo né freddo …". Questo porta a sopravvivere, non a vivere; fa cadere la spinta missionaria della Chiesa, ci fa adagiare nelle nostre pigrizie, ci impedisce di portare al mondo, anche a quello che non viene in Chiesa, la parola e la testimo-nianza del Vangelo. Quanto esame di coscienza dobbiamo fare!

Come uscire allora dalla nostra poca fede, da una obbedienza piuttosto furba e non totale, da una tiepidezza che minaccia sempre la nostra vita anche di sacerdoti? Ce l’ha indicata la prima lettura: per potere rianimare, rivitalizzare la vita nostra di sacerdoti nell’anno del sacerdote, ad imitazione del curato

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d’Ars, lo scopo per cui quest’anno è stato bandito, ci vuole una rinnovata pentecoste; quello Spirito che abbiamo ricevuto nei sacramenti, soprattutto nell’ordinazione presbiterale, deve rinnovare, come ha fatto con la prima Chiesa, fatta di gente povera, fragile, paurosa, tiepida come noi. Ci vuole una con-cordia: "assidui e concordi nella preghiera con Maria". Ecco l’occasione di questa festa della nostra Patrona; ma non può essere di un giorno solo questa esperienza di Chiesa che si fa comunione, che invoca, attende e riceve lo Spirito Santo. “As-sidui e concordi”: quante volte ci siamo detti che il presbiterio deve costituirsi come un corpo in cui circola l’amore, evitando l’isolamento, evitando non dico le inimicizie, ma anche solo l’indifferenza tra sacerdoti. Assidui e concordi nella preghiera con Maria: in questo giorno dedicato alla devozione e all’omaggio a Maria santissima, anche noi sacerdoti vogliamo chiedere la grazia di essere assidui e concordi nella preghiera, nella fede, nella obbedienza e nella carità pastorale.

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Solennità della Madonna della salve18 aprile 2010Pontificale

La parola di Dio che la Chiesa ci propone in questo tempo dopo la Pasqua ci indica il cammino che gli apostoli Pietro e i suoi compagni hanno percorso per credere e per seguire Gesù morto e risorto. Non fu facile questo loro cammino: già fin dall’inizio chiamati a risorgere anch’essi dalla delusione per aver dovuto accogliere il suo cadavere deposto dalla croce e adagiato nel sepolcro e non più vederlo con i dubbi, fin dalle prime apparizioni, che egli non fosse veramente risorto.

Giovanni, lo abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, ci presenta la terza manifestazione di Gesù a Pietro e agli altri apostoli; già due volte era apparso loro, eppure, come dice l’introduzione del brano che abbiamo ascoltato, “essi ancora non avevano capito fino in fondo il significato di quel vivente in mezzo a loro che appariva e poi scompariva". Da qui la tentazione di Pietro e degli altri apostoli di tornare alla vita di prima: quei pescatori che Gesù aveva chiamato e che, in Pietro, aveva fatti "pescatori di uomini", in assenza della presenza fisica del Cristo risorto sono tentati di vivere come prima: "vado a pescare" ... "veniamo an-che noi con te" ... "ma in tutta quella notte non presero nulla". Certo avevano gioito le due volte che Gesù si era manifestato, ma tra una manifestazione e l’altra non avevano ancora capito che la risurrezione non riguardava solo il Cristo, ma anch’essi dovevano fare pasqua, quel passaggio dalla vita secondo le ca-tegorie umane, seppure devoti al loro maestro, alla nuova realtà che era il Cristo vivente in loro, attraverso lo Spirito che fin dalla prima apparizione, la sera stessa di pasqua, Gesù aveva loro consegnato: "Ricevete lo spirito santo", lo Spirito che è vita, che dà vita, che è amore, lo Spirito che rende capaci di amare.

Ecco la pedagogia paziente e decisa di Gesù che si manifesta attraverso dei segni: il pane e il pasto condiviso riecheggia in loro l’ultima cena, l’eucaristia come segno dell’amore; e poi le tre domande dirette a Pietro: "Mi ami tu". "Pasci i miei agnelli,

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pasci le mie pecorelle". Ora non devono più aspettarsi che sia il Cristo a manife-

starsi direttamente ma sono loro stessi, in cui è stato riversato la potenza dell’amore del Risorto, il segno visibile nel mondo della presenza di Cristo, dell’amore sacrificato sulla croce che ha vinto la morte, l’odio e il peccato. E Pietro, attraverso la sua triplice e imbarazzata risposta, lentamente capisce con gli altri apostoli che non devono aspettare di avere il Cristo ma-nifestato in mezzo a loro, ma essere loro parte di quel corpo di Cristo morto e risorto con la stessa potenza donata attraverso lo Spirito. E ne abbiamo la riprova di questo lento ma efficace cammino nella prima lettura che abbiamo ascoltato dagli Atti degli apostoli: quei pescatori, ritornati per qualche momento alla loro antica professione, ma richiamati da Cristo a fare il cammino di risurrezione e di conversione, davanti al sinedrio, cioè davanti a quegli stessi capi del popolo che avevano avuto il potere su Cristo di condannarlo e metterlo a morte in croce, e che temevano, per cui si erano rinchiusi nel cenacolo, in quel momento hanno capito che l’assenza fisica del Risorto era ne-cessaria perché fosse presente in loro; non fuori di loro, non secondo le esigenze della carne che vuole vedere ma, per mezzo della fede, capire che quel Risorto attraverso il suo spirito era in loro. Questa esperienza ha scacciato la loro paura e si sono sentiti veramente il corpo di Cristo visibile nel mondo che è la Chiesa. E Pietro che di fronte ai servi, durante la passione, ave-va tre volte rinnegato il Signore, dopo la triplice dichiarazione di amore ora è colui che prende la parola senza più paura per dire quell’annuncio cristiano che si ripeterà nei secoli e che è giunto fino a noi: "Quel Cristo che voi avete crocifisso è risorto e siede alla destra del Padre perché possiate dare ad Israele la conversione e il perdono dei peccati”. E questo è il nocciolo dell’annuncio, la buona notizia, il vangelo proclamata davanti agli avversari che avevano loro comandato: “Vi avevano detto espressamente di non insegnare in questo nome e voi avete riempito Gerusalemme di questa notizia”.

Vedete quale impulso missionario, quale forza, quale fortezza d’animo ha pervaso gli apostoli che hanno ricevuto questo dono dello Spirito; lo hanno accolto faticosamente, dubbiosamente, gradualmente, ma alla fine lo Spirito è prevalso sulla carne, e

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così lo è per chi è disposto a dire il suo “sì” a Dio pur non po-tendo vedere ma credendo fermamente. E quegli apostoli non solo annunciano ma testimoniano anche perché hanno capito da Cristo che cosa significa amare: accettare di soffrire per le persone che si amano e non capiscono di essere amate. Vengono flagellati richiamando uno dei momenti più crudi della passione stessa di Cristo: espressione che suona così incredibile in quegli uomini paurosi che "se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati considerati degni di soffrire, di subire oltraggi, per il nome di Gesù". Vedete quale trasformazione non umana ma legata alla potenza di Dio; di umano c’è l’arrendersi, c’è il riconoscere che Dio è il più forte nell’amore di ogni potenza umana, anche la più crudele, anche la più accanita, la più odiosa qual era la resistenza, l’indurimento del cuore di quei capi del popolo che anche di fronte all’evidenza non si erano arresi.

Gli apostoli e tanti altri fino ad oggi hanno aperto il cuore e si sono arresi all’amore di Dio rendendolo visibile nel mondo. Una visibilità non fatta di miracoli come vorrebbe il cuore uma-no: quanti ancor oggi vogliono cose straordinarie per credere: “se sei Dio scendi dalla croce e noi crederemo”. Se tu fai quello che io voglio, io credo in te. Dio non è così. La fede è abban-donarsi a Dio che ha un piano più grande del nostro e che è il suo progetto d’amore. Ecco allora la Chiesa come è nata: dallo Spirito che ha convertito il cuore, l’ha infiammato e ha mandato queste persone a dire francamente a chi non li voleva ascoltare: "Il Cristo che voi avete ucciso appendendolo alla croce, Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore per dare al mondo il perdono dei peccati". Ecco l’annuncio della buona no-vella che ha cominciato a riecheggiare nel mondo ed è affidato oggi a noi, noi popolo di Dio che viviamo in questo mondo, in questa Chiesa di Alessandria, in questo inizio del terzo millen-nio. E non dobbiamo aspettare tempi più maturi, che passi la crisi, che passino gli attacchi alla Chiesa: qui e ora è il tempo di essere Chiesa come è stata la Chiesa all’inizio, come è stato Pietro, uno come noi, cambiato dallo Spirito a cui aveva detto il suo “sì”.

Noi abbiamo un’altra grande risorsa: accanto agli apostoli, mentre Cristo si manifestava, all’inizio della Chiesa c’era Maria, perché Cristo aveva dalla croce affidato a lei questa maternità

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seconda: non solo dare al mondo il salvatore ma anche i sal-vati. E sappiamo quanto ne hanno tratto beneficio gli apostoli soprattutto all’inizio, quando erano ancora paurosi, quando ancora non avevano la forza dello Spirito santo e non avevano ancora detto il loro pieno “sì”, Maria già piena di Spirito santo era con loro. Come stava ai piedi della croce, così stava nel cenacolo. Non sappiamo quanto tempo Maria è stata con gli apostoli e la Chiesa primitiva; certamente è stata tutto il tempo necessario ed è ancora presente. E noi, mentre come Chiesa di Alessandria invochiamo Maria come nostra patrona con il titolo di Madonna della salve e la vediamo proprio mentre ai piedi della croce assiste al nascere della Chiesa, vogliamo, così come ci siamo messi in stato di missione, meditare, riflettere, verifi-care, convertirci per essere, come la Chiesa all’inizio, capaci di annunciare, capaci di testimoniare il Vangelo opportunamente o anche inopportunamente per poter, come gli apostoli, rendere visibile nel mondo quest’amore che salva gli uomini con il per-dono dei peccati. Abbiamo bisogno di sentire Maria accanto a noi per superare le nostre stesse paure, i nostri timori, i nostri dubbi: è questo il tempo di annunciare o è meglio aspettare, è questo il tempo di testimoniare o di ritirarci e contarci per ve-dere l’insorgere di tempi nuovi e più favorevoli alla Chiesa? No! È questo il tempo, questa è la Chiesa. E preghiamo Maria san-tissima che ci dia questa fortezza e questo coraggio attraverso l’apertura del nostro cuore allo Spirito che è certamente in noi fin dal battesimo, ma che aspetta da noi un “sì” più generoso e più coraggioso. E l’umile ancella Maria, la giovane israelita che ha accettato di essere fino in fondo la madre del salvatore e della Chiesa, interceda per noi e a tutti coloro che sfileranno qui davanti al suo simulacro in questo ottavario così sentito dal popolo di Alessandria, giunga il suo pressante invito ad accogliere l’appello che Dio fa ai cristiani di oggi di essere nel mondo gli annunciatori e i testimoni della buona novella, del suo amore per cui ha sacrificato il suo figlio.

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Solennità della Pentecoste 23 maggio 2010 Pontificale - amministrazione della s. Cresima

È certamente una grazia speciale quella che avete voi, cari ragazzi di questa comunità della parrocchia del Duomo, di ricevere ogni anno la santa cresima nel giorno stesso della pentecoste; giorno in cui la Chiesa ricorda la prima discesa dello Spirito Santo, il racconto che abbiamo ascoltato dagli Atti degli apostoli, nella prima lettura, con quegli eventi eccezionali del vento impetuoso, del fragore del tuono, delle fiamme che scendono sugli apostoli e la loro capacità di farsi capire da tutte le genti pur nelle lingue diverse. La Chiesa ricorda non solo il passato ma, come una catena interminabile, arriva a collegare quel primo evento con l’evento che qui oggi in Alessandria, in questa cattedrale, fra poco si ripeterà, non con gli stessi segni straordinari, perché quella era la prima volta, adesso è un con-tinuo ripetersi dei gesti del sacramento con l’imposizione delle mani, l’invocazione dello Spirito e l’unzione crismale.

Lo stesso Spirito che è sceso sugli apostoli scenderà su di voi a confermare quello che già nel battesimo è avvenuto: la discesa dello Spirito che vi ha resi figli di Dio, togliendovi dalla schiavitù del peccato e introducendovi nel suo regno che nel mondo è rappresentato visibilmente dalla sua Chiesa a cui tutti noi apparteniamo.

È l’intera comunità di questa parrocchia che oggi vi accom-pagna insieme alle vostre famiglie a ricevere i sette doni dello Spirito Santo come è già avvenuto agli apostoli.

Ci domandiamo ora: perché è stata necessaria l’effusione dello Spirito Santo? Gli apostoli già avevano ascoltato le parole di Gesù, avevano visto le sue opere, l’avevano visto con tanta paura e trepidazione morire, ma l’avevano visto anche risorgere e da lui avevano ricevuto, prima che salisse al cielo, la missione di andare in tutto il mondo ad annunciare il vangelo e testimo-niarlo con la loro vita. Eppure Gesù salendo al cielo dice: "Per adesso ritornate a Gerusalemme fin quando non sarà venuto

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lo Spirito, il Paraclito, il Consolatore". Non è bastata la predi-cazione e l’esempio di Gesù? Ecco la risposta: gli apostoli pur avendo ascoltato le parole di Gesù, pur avendo ricevuto da lui la missione, non avevano ancora trasformato né la loro mente né il loro cuore secondo il pensiero di Dio. Difatti avevano ascol-tato le parole di Gesù, ma non le avevano capite; e quello che non avevano capito l’avevano rifiutato, dimenticato, soprattutto quello che Gesù aveva loro preannunciato a riguardo della sua passione e morte. Pietro, che pure aveva promesso di seguirlo ovunque andasse fino a dare la sua vita per lui, a nome degli apostoli, aveva detto a Gesù: “Non devi andare a Gerusalem-me, perché là ti aspettano per ucciderti”. Non avevano capito il mistero della passione e morte del Signore; e mentre saliva al cielo, si domandavano ancora quando Gesù avrebbe restaurato il regno di Israele; in loro vi era ancora l’idea del messia come un dominio terreno e quella del popolo d’Israele che avrebbe dominato su tutti gli altri popoli. Anche il loro cuore era ancora pieno di paure: durante la passione Pietro l’ha rinnegato, Giuda l’ha tradito, gli altri sono scappati; pur avendo la buona volontà di seguirlo, di fronte alla sofferenza e alla morte il loro cuore umano si era tirato indietro.

Ebbene fin quando non è venuto in loro lo Spirito Santo il loro cuore e la loro mente erano ancora troppo umane. Ciò che S. Paolo, scrivendo ai Romani, chiama "la carne" non significa il corpo, ma la mentalità umana che vede, capisce e vuole fino ad un certo punto, ma che poi di fronte al mistero, di fronte alla sofferenza e alla morte si spaventa. Lo Spirito Santo viene non solamente a dire e a fare le cose che Gesù ha fatto, ma viene a cambiare la mente degli apostoli, a portare nel loro cuore quella fortezza e quella pace che dà loro la capacità di affrontare an-che la sofferenza e la morte per testimoniare la loro fede e per seguire Gesù. E difatti dopo quei segni prodigiosi con cui si è manifestato su di loro nel cenacolo lo Spirito Santo, che cosa è avvenuto? Gli apostoli hanno cominciato a predicare il Vangelo tutto intero e non solo quella parte che avevano capito; e men-tre prima erano con le porte chiuse per paura dei giudei, dopo che hanno ricevuto lo Spirito Santo, vanno in mezzo alla gente. Vi era tanta gente in Gerusalemme per la festa, tanti popoli erano là rappresentati, ma non hanno più paura; il loro cuore

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è stato riempito di quella pace che dà loro la sicurezza di dire: "Qualunque cosa ci possa capitare noi siamo nelle mani di Dio". Ragionano e agiscono non più secondo la carne, cioè secondo la mentalità umana, ma secondo lo Spirito, cioè secondo quel progetto di Dio che in Gesù si è realizzato fino a portarlo alla gloria con la vittoria sul peccato e sulla morte.

Lo Spirito non è qualcosa di esterno a noi ma viene dentro di noi, cambia la nostra mente e il nostro cuore: questo è il dono che Gesù ha fatto e che aveva promesso; è il dono di Gesù ri-sorto, è la vittoria più grande perché non solo lui, ma anche noi siamo trasformati e diventiamo vittoriosi sulla nostra ignoranza e sulla nostra paura.

Tutto questo accadrà anche tra noi, cari ragazzi: attraverso la confermazione, lo Spirito Santo verrà con i suoi sette doni perché la vostra mente venga trasformata e allargata; il vostro cuore venga riempito di quella fortezza che vi rende capaci di testimoniare il Vangelo; e anche se non sarete accettati, anche se sarete irrisi e in qualche modo perseguitati, avrete la mede-sima fermezza degli apostoli, che alla fine diedero la vita per la loro fede e per quel Vangelo che annunciavano e testimonia-vano. Questo è il dono che Cristo risorto fa a voi oggi e quindi la vostra gioia deve essere grande, ma grande anche il “sì” che dovete dire, perché Gesù vi manda lo Spirito Santo con i suoi sette doni, ma tocca a voi aprire la porta, tocca a voi accettare il dono, tocca a voi corrispondere.

Con la cresima siete anche chiamati, oggi, per la prima volta a partecipare all’eucaristia, e siete invitati, ogni domenica, nel giorno del Signore, la pasqua settimanale, a venire in chiesa perché attraverso la messa, l’eucaristia, potrete ascoltare la parola di Dio che è quella luce che illumina la mente. Andan-do avanti nella vita, incontrerete grandi rischi e la mentalità del mondo, la confusione circa ciò che è vero e falso, ciò che è bene e male, potrà offuscarvi ancora e potrete ricadere sotto la schiavitù del peccato. Ecco perché ogni domenica, il venire ad ascoltare la parola di Dio è come ritornare alla luce e dipanare le tenebre, i dubbi e le confusioni che durante la settimana, vivendo in mezzo agli altri, possiamo avere. Nell’eucaristia, nella celebrazione domenicale a cui siete chiamati non come obbligo ma come aiuto e un dono che si ripete – la cresima la si riceve

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una volta sola, l’eucaristia è la prima di una serie infinita fino al termine della vostra vita – ascoltate la parola e vi nutrite del corpo e del sangue di Cristo che dà quella fortezza che viene a mancare se rimaniamo lontani dal Signore. E lui ha voluto appunto fare comunione con noi attraverso il pane e il vino consacrati ed essere compagno di viaggio, nutrimento, viatico per tutta la nostra vita.

Cari ragazzi, comunicandi e cresimandi, grande è questo giorno perché vi apre ad una via nuova: avrete un dono che cambia la vostra mente e il vostro cuore attraverso la cresima, e un compagno di viaggio, Gesù, che vi aspetta ogni domeni-ca qui per aiutarvi a conservare la luce che illumina la vostra mente e rinforzare il cuore per affrontare la lotta contro il male. Saremo Chiesa tutti insieme, capaci, come gli apostoli, una volta ricevuto lo Spirito Santo, di dare la nostra testimonianza al mondo, di cui ha bisogno, anche se a volte rifiuta la nostra fede; ma di fronte a chi persevera, di chi è disposto come Cristo, come gli apostoli, a testimoniare con la propria vita ciò in cui crede, questo nostro mondo ritornerà ad avere quella speranza di cui ha tanto bisogno.

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SolennitàSS. Corpo e Sangue di Cristo3 giugno 2010Pontificale

La celebrazione eucaristica è il centro della vita della Chie-sa e ogni giorno viene celebrata; come mai, ci domandiamo, è stata istituita la festa del "Corpus Domini", del Corpo e del Sangue di Cristo? La sapienza della Chiesa, la sua tradizione di secoli vuole che il popolo cristiano non cada nell’assuefazione del ripetersi di questo sacramento che è la fonte e il culmine della vita della Chiesa. E quindi ci invita in un giorno stabilito e che per la Chiesa sarà la domenica prossima, ma che noi anticipiamo, questa sera, con questa solenne celebrazione e relativa processione eucaristica, con un momento particolare di ulteriore riflessione e di adorazione per la presenza di Cristo nella eucaristia. E vogliamo anche noi, ubbidendo alla Chiesa e unendoci alla Chiesa di Roma che anch’essa questa sera è riunita attorno al suo Vescovo, fermarci ora a meditare e ad adorare l’eucaristia. E la nostra presenza qui questa sera con-ferma appunto che l’eucaristia fa nascere la Chiesa attraverso quelle parole dette da Gesù che Paolo ci ha ricordato: “Fate questo in memoria di me”. Paolo stesso aveva appreso questo comando, come dice all’inizio del brano che abbiamo ascoltato, da altri: “Io trasmetto quello che ho ricevuto”. E questa catena di trasmissione era vicina alla sua fonte e alla sua origine.

Noi, che veniamo dopo venti secoli, sentiamo la ininterrotta trasmissione di questa nostra radice cristiana, di questa ra-dice della Chiesa: l’eucaristia; il Signore che prima di essere catturato, messo a morte, crocifisso e risorto, attraverso il rito, il segno del pane e del vino, consegna a noi il suo sacrificio. Sentiamo questa continuità con il passato della nostra fede, con il fondamento in Cristo stesso, sorgente della nostra salvezza. E questo pane spezzato, questo vino versato, segni della morte e risurrezione di Cristo, costituiscono come Paolo ci ricorda,

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il calice della nuova alleanza e la donazione della sua vita per amore nostro a riscatto della nostra colpa.

Questa nuova alleanza è il sacrificio, l’elemento costitutivo dell’eucaristia, che viene continuamente offerto in remissione dei nostri peccati. E il mondo è salvato attraverso questa nuova alleanza.

Ma l’eucaristia non è solo sacrificio, è anche partecipazione al sacrificio; il Cristo che mostra il pane e il vino dicendo che “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” lo spezza e lo dà in comunione ai suoi discepoli dicendo: “Prendete e mangiate”; “Prendete e bevete”. Non siamo spettatori di un rito, ma par-tecipi di un sacrificio che è il gesto più alto di amore che Dio, attraverso il figlio Gesù Cristo, fa per la nostra salvezza. Questa nostra partecipazione che avviene attraverso i riti, deve tradur-si in testimonianza della nostra vita; non siamo legati solo ad un passato, ma dobbiamo rendere presente questa alleanza e questo sacrificio che riconcilia l’umanità con il Padre. E, come ci ricorda sempre S. Paolo nel brano della lettera che abbiamo ascoltato, questo passato diventa presente e ci proietta nel fu-turo: “Annunciate la morte del Signore finché egli venga”.

Questa Chiesa che è costituita, che nasce dall’eucaristia e che celebra l’eucaristia è la presenza della salvezza per tutti fino alla fine dei tempi, fino al suo ritorno quando saranno aboliti tutti i segni perché vedremo Dio faccia a faccia. Ecco la profonda realtà, il profondo significato che dobbiamo meditare quando celebriamo l’eucaristia. E questa Chiesa che nasce dall’eucaristia trasmette la salvezza, avvenuta col sacrificio di Cristo, ma partecipandovi ed esprimendone ancora i segni nella vita ordinaria, nella realtà in cui noi viviamo e nella quale siamo chiamati: è la nostra vocazione. Ecco perché la Chiesa è tale se celebra l’eucaristia, se annuncia la morte del Signore, se testimonia la carità, quell’amore che ha spinto il figlio di Dio a donarsi col suo corpo e con il suo sangue per la nostra salvezza.

Dunque questa Chiesa di Alessandria, qui rappresentata que-sta sera, vuole ricordarsi di questo triplice impegno e ubbidire a questa triplice chiamata: vuole essere anzitutto una Chiesa che celebra, soprattutto nella domenica, il giorno del Signore, la pasqua settimanale in cui il Signore ha dato il suo corpo e

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il suo sangue risorgendo vittorioso; celebra, adora, ringrazia il Signore. Attorno a queste celebrazioni si costituisce la Chiesa, la nostra Chiesa particolare, le Chiese nelle nostre comunità e nelle nostre parrocchie; celebrazioni che devono essere alta-mente consapevoli che ripetiamo su ordine del Signore un rito che egli ci ha tramandato “finché egli ritorni”.

La Chiesa non può essere solo celebrativa, deve anche andare verso il mondo: ecco la Chiesa che annuncia. Al termine della messa c’è quell’invito del sacerdote: “Andate”; è la ripetizione delle parole di Gesù ai suoi discepoli prima di lasciare questo mondo: “Andate e annunciate il vangelo a tutti i popoli”. Ecco la missione che non può limitarsi entro le mura delle nostre chiese, pur con belle e solenni celebrazioni, ma deve uscire, deve annunciare il vangelo a coloro che ancora non credono o non credono più e alle nuove generazioni.

Ecco l'impegno che la nostra Chiesa di Alessandria ha assunto con la missione che è incominciata in città e che gradualmente, anche se lentamente, si diffonderà in tutta la diocesi; e questo per ubbidire non ad una devozione o a un’idea del Vescovo o dei sacerdoti, ma al comando del Signore, che ci chiede che le nostre celebrazioni non si fermino alle soglie delle nostre chiese e che questo sangue versato e questo corpo dato non sia versato e dato invano alla nostra gente, a questa nostra Italia e a questa nostra Europa che si allontana sempre più dal centro e dalla radice della sua salvezza.

Ma una Chiesa che celebra e che annuncia non può esse-re efficace se non nella testimonianza della carità. Abbiamo sentito narrare nel vangelo di un Gesù che annuncia e che ha compassione delle folle: non nutre solo lo spirito, ma, attra-verso un miracolo, provvede a sfamare le folle. Noi attraverso la carità, come gesto di donazione, interveniamo non solo ma anche materialmente e nei limiti delle nostre possibilità, come tradizionalmente la Chiesa fa e sta facendo in questo tempo nonostante tutte le critiche. Questa è la testimonianza della nostra vita, perché se noi celebriamo, se noi annunciamo, rea-lizziamo quella carità che salva gli uomini e che attira e convince il mondo, come Cristo lo ha convinto con la sua croce.

Queste poche riflessioni portiamole nel nostro cuore duran-te la celebrazione, durante la processione e anche più in là,

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perché possano alimentare la nostra fede; e la partecipazione all’eucaristia sia veramente il segno di una fede che matura e che trabocca al di là del nostro cuore portando un fuoco che infiamma la nostra missione di annunciare e testimoniare quell’amore che, col sacrificio eucaristico, ricorda quello più grande di colui che è morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.

2DECRETI

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Decreto n. 21 - 2009

Vista la comunicazione della Direttrice dell’Istituto Maria

Ausiliatrice, datata 14 settembre u.s., con la quale comunica il trasferimento delle suore Agnese Borra e Teresina Stocco, membri del Consiglio Pastorale, ad altra sede;

Vista la proposta della suddetta Direttrice;con il presente decreto

NOMINO

Suor Teresa Pasetto e Suor Rosa Maria Riccimembri del Consiglio Pastorale

Il Signore le guidi con il suo Spirito e le protegga la Beata

Vergine Maria, “Madonna della Salve”, San Baudolino e tutti santi di questa Chiesa.

Alessandria, 25 settembre 2009

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 23 - 2009

In seguito al trasferimento del rev.do don Walter Fiocchi alla parrocchia di San Giorgio in Castelceriolo (AL),

Dovendo provvedere ad assegnare un Pastore alla Parrocchia Madonna del Suffragio in Alessandria divenuta vacante;

Visto il Can. 519 del C.J.C.

NOMINO

il reverendo Monsignor Gian Paolo Orsini

Parroco e legale rappresentante della Parrocchia Madonna

del Suffragio in Alessandria, perché vi compia, sotto l’autorità del Vescovo, le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano la Beata Vergine Maria, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 29 settembre 2009Festa dei S. Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 24 - 2009

In seguito al trasferimento del rev.do Mons. Gian Paolo Orsini alla Parrocchia Madonna del Suffragio in Alessandria;

Dovendo provvedere ad assegnare un Pastore alla Parrocchia di San Giorgio in Castelceriolo (AL) divenuta vacante;

Visto il Can. 519 del C.J.C.

NOMINO

il reverendo Don Walter Fiocchi

Parroco e legale rappresentante della Parrocchia di San

Giorgio in Castelceriolo (AL), perché vi compia, sotto l’autorità del Vescovo, le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano San Giorgio, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 29 settembre 2009Festa dei S. Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 31 - 2009

Rendendosi necessario un Ufficio che si occupi della gestione operativa del cerimoniale civile e che provveda alla gestione delle celebrazioni e cerimonie vescovili nelle quali è prevista la presenza delle autorità istituzionali;

con il presente decreto,

ISTITUISCO

l’Ufficio diocesano del Cerimoniale Civile nelle persone di

Andrea Caraccio - DirettoreMons. Gian Paolo Orsini - ConsultoreMons. Carlo Soldateschi - Consultore

Diac. Luciano Orsini - Consultore Il Signore Gesù illumini e guidi il loro impegno e li protegga

la Beata Vergine Maria della “Salve”, i Santi protettori della Nostra Diocesi.

Alessandria, lì 16 novembre 2009

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 32 - 2009

Con Decreto n. 9 - 2009 datato 20 aprile 2009 P. Ezio Mosca SCJ, era stato nominato Amministratore parrocchiale della Parrocchia San Felice in Frugarolo, a norma del Can. 594 del C.J.C. perché il parroco don Giuseppe Grossi era impedito nel suo ministero pastorale per le precarie condizioni di salute;

Constatato che il rev. don Giuseppe Grossi ha sufficientemen-te recuperato la salute e intende riprendere l’attività pastorale con Parroco a pieno titolo;

Con il presente Decreto

SI DICHIARA

terminato il compito dell’amministratore parrocchiale Padre Ezio Mosca SCJ,

mentre Don Giuseppe Grossi

viene confermato titolare e legale rappresentante della parrocchia San Felice in Frugarolo

Il presente decreto sarà contestualmente notificato al sacer-

dote interessato. Alessandria, lì 22 novembre 2009

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 33 - 2009

Poiché don Francesco Gandini di anni 83, parroco della parrocchia Santi Felice e Agata in Oviglio, per le sue debilitate condizioni di salute è impedito nel pieno esercizio dell’ufficio pastorale;

Visti i Cann. 539, 540 del C.J.C.Con il presente decreto,

NOMINO

il reverendo Don Claudio Pistarino

Amministratore parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia dei Santi Felice e Agata in Oviglio (AL) Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano i Santi Felice e

Agata, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina. Alessandria, lì 29 novembre 2009Prima domenica del Tempo di Avvento

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 1- 2010

Essendo scaduti per fine del mandato statutario i membri del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Valenza Anziani con sede in Valenza, viale Manzoni n. 6;

Sentiti i pareri di Mons. Gianni Merlano e don Luigi Abele Belloli;

Visto l’art. 9 comma B dello Statuto della Fondazione;con il presente decreto,

NOMINO

il Sig. Franco Cassola, nato a Valenza il 21 maggio 1937, ivi residente

Membro del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Valenza Anziani

con sede in Valenza viale Manzoni n. 6

Il Signore lo guidi con il suo Spirito e lo protegga San Mas-simo e tutti santi di questa Chiesa.

Alessandria, lì 26 gennaio 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 3 - 2010

Dovendo provvedere al servizio pastorale della Comunità par-rocchiale di “San Felice” in Frugarolo, nell’attuale circostanza di infermità del parroco Don Giuseppe Grossi,

Ottenuto il consenso del rev.do padre Tullio Benini scj, Su-periore Provinciale dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù della Provincia Italiana Settentrionale;

A norma dei canoni dal 539 al 540 del Codice di Diritto Ca-nonico,

NOMINO

il reverendo P. Francesco Raffaelli scj

Amministratore Parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia San Felice in Frugarolo.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano San Felice, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 1 marzo 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 5 - 2010

Dovendo provvedere alla nomina di un assistente ecclesia-stico della Caritas diocesana,

con il presente decreto,

NOMINO

il reverendissimo Mons. Carlo Soldateschi

Assistente spirituale della Caritas diocesana

Il Signore lo guidi con il suo Spirito e lo protegga la Beata Vergine Maria, “Madonna della Salve”, San Baudolino e tutti santi di questa Chiesa.

Dal Palazzo VescovileAlessandria, 2 marzo 2010 seconda settimana del tempo di Quaresima

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 7 - 2010

Visto il verbale di assemblea straordinaria della Confraternita di San Rocco in Castelceriolo datato 22 febbraio 2010, Con-fraternita riconosciuta con decreto del Ministro degli Interni n. 143 in data 7.12.1998, ed iscritta nel Registro delle persone giuridiche n.579 in data 4.3.1999,

Sentito il parere del cappellano don Walter Fiocchi;

Visto l’articolo 8 dello Statuto della Confraternita;

Visto il Canone 179 C.J.C.;con il presente decreto

NOMINO

il Sig. PORRATI CARLO nato ad Alessandria 14.1.1954,

codice fiscale PRRCRL54A14A182M

Priore e legale rappresentante della Confraternita di San Roc-co in Castelceriolo,

Il Signore Gesù illumini e guidi il suo impegno, lo protegga la Beata Vergine Maria della “Salve”, San Rocco, San Giorgio e tutti santi i della nostra Diocesi.

Dal Palazzo VescovileAlessandria, 25 marzo 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 8 - 2010

Dovendo provvedere alla nomina di un cappellano del cimi-tero urbano di Alessandria;

con il presente decreto

NOMINO

il reverendo Don Primo Talpo

Cappellano del cimitero urbano di Alessandria

Il Signore guidi i suoi passi e lo protegga la beata Maria “Ma-donna della Salve” San Baudolino e tutti i santi della nostra Diocesi.

Alessandria,

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

51

Decreto n. 9 - 2010

Visto il verbale e l’atto costitutivo del Comitato Zonale ANSPI Alessandria datato 7 gennaio 2010;

Visto l’articolo 10 dello Statuto del Comitato zonale ANSPI;con il presente decreto

CONFERMO

il reverendo Don Mario Giuseppe Bianchi

Presidente del Circolo Zonale ANSPI di Alessandria

Il Signore Gesù illumini e guidi il suo impegno, lo protegga la Beata Vergine Maria della “Salve”, San Baudolino e tutti santi i della nostra Diocesi.

Dal Palazzo VescovileAlessandria, 25 marzo 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 13 - 2010

Poiché Mons. Gian Piero Gosio, parroco della parrocchia S. Dalmazio in Quargnento, per le sue debilitate condizioni di salute è temporaneamente impedito nel pieno esercizio dell’uf-ficio pastorale;

Visti i Cann. 539, 540 del C.J.C.con il presente decreto,

NOMINO

il reverendoDon Mario Giuseppe Bianchi

Amministratore parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia S. Dalmazio in Quargnento (AL)

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano i S. Dalmazio, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 7 giugno 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 25 - 2010

A seguito delle dimissioni del rev. don Giovanni Sangalli, si è reso vacante l’incarico di cappellano del carcere San Michele in Alessandria;

Dovendo provvedere a nominare un nuovo Cappellano per la cura spirituale dei detenuti dell’Istituto di pena e di tutto il personale del Carcere “San Michele” di Alessandria;

con il presente decreto

NOMINO

il reverendo Don Giuseppe Bodrati

Cappellano del Carcere “San Michele”di Alessandria

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano la Beata Vergine Maria della Salve, San Basilide e i Santi della Chiesa Alessan-drina.

Dal Palazzo Vescovile Alessandria 1 agosto 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Don Elio Dresda, V. Cancelliere

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Decreto n. 26 - 2010

Ravvisando la necessità di affidare a un rappresentante del Clero l’incarico di conservare, tutelare e catalogare le S. Reliquie presenti in diocesi;con il presente decreto;

NOMINO

il reverendo diacono Prof. Luciano Orsini

già Delegato per i Beni Culturali

Custode Diocesano delle S. Reliquie

conferendogli la facoltà di provvedere all’inventario, catalo-gazione nonché alla verifica dell’autenticità delle medesime e quando necessario, alla supervisione del restauro delle relative lapsinoteche e dei reliquiari che le contengono.

Il Signore Gesù illumini e guidi il suo impegno, lo protegga la Beata Vergine Maria della Salve e tutti Santi i della nostra Diocesi.

Alessandria, 26 agosto 2010.

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Don Elio Dresda, V. Cancelliere

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Decreto n. 28 - 2010

Dovendo provvedere al servizio pastorale della Comunità parrocchiale “San Giuseppe Artigiano” sita in Alessandria, corso Acqui, n. 396;

Accolta la proposta del rev.do don Stefano Martoglio SDB, Ispettore della Circoscrizione Speciale Piemonte-Valle d’Aosta (prot. 82/10) di nominare il rev.do don Gianfranco Avallone SDB, Parroco della parrocchia San Giuseppe Artigiano in so-stituzione del rev.do don Michele Molinar Min Beciet SDB;

A norma del Can 519, del Codice di Diritto Canonico;con il presente decreto

NOMINO

il reverendo Don Gianfranco Avallone SDB,

Parroco della Parrocchia San Giuseppe Artigiano in Alessan-dria,

dichiarandolo Legale Rappresentante

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano La Beata Ver-gine Maria, San Giovanni Bosco e i Santi Patroni della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 1 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 29 - 2010

Vista la domanda presentata in data 25 agosto 2010, prot. 109/10 dal Rev. don Stefano Martoglio, Ispettore della Circo-scrizione speciale Piemonte e Valle d’Aosta;

In conformità ai Cann. 967, 969, 971 del Codice di Diritto Canonico;

con il presente decreto

CONCEDO

al Sacerdote Salesiano Don Tiziano Sofia,

nato a Grantorto (PD) il 17/10/1936,ordinato a Bollengo (TO) il 24/03/1962,

della Circoscrizione Speciale Piemonte e Valle d’Aosta,che si trova attualmente a operare

presso l’Opera Salesiana di Alessandria.

la facoltà di ricevere le Confessioni dei fedeli, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana.

Alessandria, 1 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 30 - 2010

In seguito alle dimissioni del reverendissimo Mons. Aldo Carazza, e al termine dell’amministrazione parrocchiale di P. Domenico Parietari , si è resa vacante la parrocchia dei Santi Pietro e Pantaleone in Bosco Marengo;

Dovendo provvedere ad assegnare un Pastore alla suddetta parrocchia,

Visto il Can. 519 del C.J.C.

NOMINO

il reverendo Mons. Emanuele Rossi

Parroco e legale rappresentante della Parrocchiadei Santi Pietro e Pantaleone

in Bosco Marengo piazza Cardinale Boggiani n. 1 (AL),perché vi compia, sotto l’autorità del Vescovo,

le funzioni di insegnare, santificare e governare,anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi

e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano i Santi Pietro e Pantaleone, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 19 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 31 - 2010

A seguito del trasferimento del rev.mo Mons. Emanuele Rossi, dovendo provvedere al servizio pastorale della Comunità parroc-chiale di “San Martino” in Pietramarazzi, Piazza Umberto I n. 1

A norma dei canoni dal 539 al 540 del Codice di Diritto Ca-nonico,

NOMINO

il reverendo Don Giuseppe Di Luca

Amministratore Parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia San Martino in Pietramarazzi.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano San Martino, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 19 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 32 - 2010

A seguito del decesso del rev.do don Giovanni Battista Cossai, avvenuto in data 18 giugno 2010, si è resa vacante la parroc-chia della Natività di Maria in Predosa, piazza Matteotti n°21,

In attesa di nominare il nuovo parroco,

A norma dei canoni dal 539 al 540 del Codice di Diritto Ca-nonico,

NOMINO

il reverendo Padre Domenico Parietari

Amministratore Parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia Natività di Maria in Predosa.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano la Beata Vergine Maria, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 21 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 34 - 2010

Essendo scaduto il mandato di membro del Consiglio d’Am-ministrazione della Fondazione “Borsalino-Veglio” del rappre-sentante del Vescovo di Alessandria;

Visto l’art. 6 comma dello Statuto della Fondazione;con il presente decreto,

NOMINO

il Dott. Lucio Bassi,

residente in Alessandria, fraz. Valle San Bartolomeo,via Dazio n. 98,

Membro del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Borsalino-Veglio

Il Signore lo guidi con il suo Spirito e lo proteggano tutti santi di questa Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 28 settembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 35 - 2010

A seguito del trasferimento ad altro incarico del reverendo don Giuseppe Di Luca, amministratore parrocchiale, si è resa vacante la parrocchia Santa Maria di Ponzano in Montecastello, via della Chiesa n. 1

In attesa di nominare il nuovo parroco,

A norma dei canoni dal 539 al 540 del Codice di Diritto Ca-nonico,

NOMINO

il reverendo Don Adriano Manzato

Amministratore Parrocchiale e legale rappresentante della Parrocchia Santa Maria di Ponzano in Montecastello.

Il Signore guidi i suoi passi e lo proteggano la Beata Vergine Maria, e tutti i santi della Chiesa Alessandrina.

Alessandria, lì 1 ottobre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Can. Luigi Riccardi, Cancelliere

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Decreto n. 37 - 2010

A seguito del decesso del Rev.mo Mons. Gian Piero Gosio, avvenuto in data 29 giugno 2010, si è reso vacante l’incarico di Canonico Penitenziere del Capitolo della Cattedrale di Ales-sandria,

Con il presente decreto

NOMINO

il reverendissimo Mons. Luigi Riccardi

Canonico Penitenziere

A norma del canone 508 §1 del C.J.C. , «il Canonico Peniten-ziere ha in forza dell’ufficio la facoltà ordinaria, che però non è delegabile, di assolvere in foro sacramento dalle censure latæ sententiæ non dichiarate, non riservate alla Sede Apostolica; tale facoltà riguarda, in Diocesi, anche gli estranei e i diocesani anche fuori del territorio della Diocesi».

Il Signore lo guidi con la luce della sua sapienza e lo accom-pagnino la Beata Vergine della “Salve”, nostra clementissima Patrona, e tutti i Santi della Chiesa di Alessandria.

Alessandria, lì 19 novembre 2010

† Giuseppe Versaldi, Vescovo

Don Elio Dresda, V. Cancelliere

3AGGIORNAMENTO

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BetaniaRitiro spirituale per i sacerdoti

“Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui” (Mc.3,13.)

P. Marcello Sgarbossa, omi

Premessa

Benedetto XVI indicendo l’anno sacerdotale, ha fatto un dono sia alla Chiesa universale ma specialmente a noi sacerdoti. Lo scopo principale di quest’anno sacerdotale mi pare bene espresso in queste parole di Benedetto XVI: “In Gesù, persona e missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo 'Io filiale' che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione”.

Mai è mancata l’attenzione materna della Chiesa verso il “sacramento dell’ordine”, come mai sono mancate figure emi-nenti di confratelli che seguendo da vicino il “buon Pastore” hanno configurato la loro vita alla sua con un dono totale di sé, in una carità pastorale, che li ha spinti a dare le loro forze, la loro intelligenza, il loro lavoro, il loro cuore, a Cristo e non di rado hanno concluso il loro ministero con il dono del sangue.

Dal Concilio Vaticano II in poi si sono moltiplicati documenti, esortazioni, discorsi, lettere del giovedì santo, fino ad arrivare a quella stupenda sintesi e presentazione che troviamo nella Esortazione “Pastores dabo vobis”, di Giovanni Paolo II, come risultato del Sinodo dei vescovi. Credo che tutti noi siamo in grado di poter parlare della vocazione presbiterale, della sua dignità, della sua identità oggettiva, in quest’anno sacerdotale è conveniente rileggere e meditare quanto la Chiesa ha scritto sul presbitero e sul presbiterio. Ricordiamo le parole di Bene-detto XVI:

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“… l’anno sacerdotale vuole contribuire e promuovere l’im-pegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi.”

Questo ritiro, credo si inserisca in quell’azione di mantenere viva nei singoli e nel corpo presbiterale, la preoccupazione della formazione permanente. È vero che appena si parla di forma-zione subito si pensa all’aspetto pastorale, sociologico, etico, morale, biblico e teologico, certamente questo è sottolineato dalla Chiesa e ne siamo convinti più che mai noi, che viviamo tra la gente, immersi in rapidi cambiamenti della società. Sono certo che Dio misericordioso, e lo Spirito, ha certamente dotato la Chiesa che è in Alessandria, di persone che possono mettere disposizione i loro talenti, le loro competenze per discernere e così lavorare più efficacemente all’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa.

La formazione permanente è invocata specialmente per quella che comunemente si chiama la vita spirituale, la vita secondo lo Spirito, la vita in Cristo. Qui ognuno rimane l’agente principale della sua crescita, nelle varie tappe della vita.

In questi ritiri che mi sono stati chiesti, vorrei restare in quest’ambito. La vita spirituale del prete, convinti come siamo che non c’è evangelizzazione e missione se non è preceduta, accompagnata da una coerente e sofferta testimonianza di vita.

Non si tratta di ripercorrere i principi, i capisaldi della vita spirituale, vorrei restare al livello del vissuto, dell’esperienzia-le, alla dimensione del cuore, in quel clima che Gesù stesso instaura quando ci chiama “Amici”, in un atteggiamento di comunione e di fraternità, che ci vede tutti discepoli dell’unico Pastore del gregge. Attraverso alcuni tratti del buon Pastore, del suo essere e del suo operare, certamente conosciuti, chie-diamo allo Spirito di verità che con la sua forza soave, ci doni l’umiltà di saper confrontare tali tratti con la nostra reale vita spirituale come sacerdoti a livello della persona, a livello della comunione e della missione.

L’atteggiamento di umiltà, che poi significa verità, lo trovia-mo indicato in quelle parole del buon Pastore che dice: "… e le pecore ascoltano la sua voce … lo seguono" (Gv 10).

Vorremmo contemplare “Chi siamo nel progetto di Dio, nella Chiesa, davanti alla Chiesa e per il popolo di Dio e dal modello

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del nostro essere: Gesù, il Buon Pastore, scendere a noi, sua immagine, per ringraziare, lodare, far crescere e forse correggere, senza dubbio per avanzare, vista la massima che afferma che nella vita spirituale se non si progredisce si va indietro.

obiettivo Della Formazione

Formazione, parola sempre ripetuta e che ha riempito i nostri primi anni. Ma qual è lo scopo della formazione? La formazione mira alla crescita integrale della persona. Dura per tutta la vita e porta ognuno ad accettarsi per quello che è, e diventare colui che è chiamato a essere. Implica una costante conversione al Vangelo e ci mantiene sempre pronti a imparare e a modificare i nostri atteggiamenti per rispondere alle nuove esigenze. La formazione, così intesa, è antidoto alla sclerosi dello spirito, mantiene giovani, è un antiossidante.

La formazione quindi è il divenire della persona. Un processo che si va sviluppando tenendo conto di tutta la persona. Ha un chiaro punto di partenza “L’io” che va conosciuto secondo l’antica massima "conosci te stesso", ma è un cammino, ha un punto di arrivo, con il quale la formazione è compiuta. Come l’artista che prima guarda, studia, misura, poi disegna, fa un modello e infine lo fonde e l’opera è compiuta. Appare chiara l’importanza che occupa in questo “divenire”, l’idea di me, che non deve essere né troppo alta, né troppo bassa, ma vera e in questo abbiamo bisogno di un confronto, di un accompagna-mento.

Divenire chi?Per noi la risposta è chiara: ogni discepolo deve tendere alla

piena maturità del Cristo, tutti sono chiamati alla santità, ma ognuno la realizza secondo uno specifico, personale progetto. La via della santità è la vocazione del popolo di Dio, ognuno vi arriva seguendo la volontà di Dio su di lui. La volontà di Dio è come il raggio di luce che, se percorso fedelmente, ti conduce e immerge nel sole.

“ La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cri-sto stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo … I presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito santo, sono segnati

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da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo della Chiesa” (PO 2).

Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continua-zione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna alleanza: egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di Cristo, espressione della sua assoluta 'novità' nella storia della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali (PDV 12)

I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripre-sentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col battesimo, la penitenza e l’eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’uni-tà e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono e agiscono per l’annuncio del vangelo al mondo e per l’edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo capo e pastore. (PDV 78).

La relazione del sacerdote con Gesù Cristo e, in lui, con la sua Chiesa si situa nell’essere stesso del sacerdote, in forza della sua consacrazione e unzione sacramentale, e nel suo agire, ossia nella sua missione o ministero. In particolare "il sacerdote ministro è servitore di Cristo presente nella Chiesa mistero, comunione e missione. Per il fatto di partecipare all’un-zione e alla missione di Cristo, egli può prolungare nella Chiesa la sua preghiera, la sua parola, il suo sacrificio, la sua azione salvifica. È dunque servitore della Chiesa mistero perché attua i segni ecclesiali e sacramentali della presenza di Cristo risorto. È servitore della Chiesa comunione perché - unito al Vescovo e in stretto rapporto con il presbiterio - costruisce l’unità della comunità ecclesiale nell’armonia delle diverse vocazioni, carismi e servizi. È, infine, servitore della Chiesa missione perché rende la comunità annunciatrice e testimone del Vangelo" (PDV 16).

Da questi testi appare chiaro che la vita spirituale del sacer-

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dote è cristocentrica, mistero e ministero hanno come centro Gesù Cristo, il buon Pastore che ha cura del gregge che è la Chiesa.

Quale reazione

Le parole che sono usate dalla Chiesa per identificarci, pro-ducono stupore, meraviglia, gioia per chi crede, per noi anche senso di timore, d’indegnità, ma per il mondo, per quelli che non credono sono iperboli, modi di dire, pie esagerazioni, in ultima analisi non vere. E spesse volte guardandoci in azione ci pensano costruttori, manager, agenti sociali, dirigenti e non sanno che tutto procede, o dovrebbe, da quella carità che fa del buon Pastore uno che parla, guida, cura, lenisce, si fa carico dei problemi della singola pecora, come del gregge, che lo conduce, lo nutre, lo disseta, lo guarisce, lo porta nell’ovile e tutto questo perché ama le pecore, ama il gregge e per questo non solo da quel che ha, ma anche la sua vita. Ma il gregge raccolto che segue, non esaurisce la sua ansia, egli sa, e noi lo tocchiamo con mano, che ci sono altre pecore e quanto sono numerose, che non sono del suo ovile, anche queste devono essere oggetto del nostro amore.

Riprendiamole queste parole e lasciamo che la memoria vada alle parole di Gesù. Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna alleanza: egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore. “Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”(Lc 10,42); “ A voi è stato confidato il mistero del Regno”(Mc 4, 11); “Come il Padre ha amato me così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.” (Gv 15,9); “ Voi siete miei amici se farete ciò che vi comando ... Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 14-16); “Io in loro e tu (Padre) in me, perché siano perfetti nell’unità”(Gv 17, 23).

Il confronto è accecante! Ma non dobbiamo temere. Anzi Gesù ci dice che dobbiamo essere nella gioia, infatti abbiamo detto che è un divenire. Allora ringraziamo Dio per quello che siamo e chiediamogli di poter essere ciò che dobbiamo e quindi

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arrivare alla piena maturità di Cristo.

un itinerario esistenziale: una costante ricerca che conDuce semPre aD un nuovo incontro

"Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: 'Ecco l’agnello di Dio!'. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo segui-vano, disse: 'Che cercate?'. Gli risposero: 'Rabbi (che significa maestro), dove abiti?'. Disse loro: 'Venite e vedrete'. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono pres-so di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: 'Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)' e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: 'Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)' "(Gv 20, 9).

Questa pagina di Vangelo è una delle tante nelle quali si de-scrive il 'mistero' della vocazione, nel nostro caso il mistero della vocazione ad essere apostoli di Gesù. Una pagina significativa che si rinnova continuamente nella storia.

Qui ognuno rivede se stesso. I passi che l’hanno condotto all’oggi. La ricerca di qualcosa che desse senso alla vita. La ricerca d’ideali grandi. È il momento di ringraziare Dio per il Giovanni Battista incontrato, che ha un nome, un volto, per l’amico Andrea, per non pochi la propria famiglia; una cosa è certa: persone, fatti, avvenimenti che nella nostra avventura sono diventati segni che ci indicavano la meta: “L’Agnello di Dio”.

la ricerca esige un lasciare Per Poter trovare

Lasciare chi ci ha fatto da battistrada per seguire colui che è la via. Davanti a questa ricerca ecco che interviene lui, il Signore. Notiamo che è la prima parola del Verbo che si è fatto carne, nel vangelo di Giovanni. “ Che cercate?”, ed è una domanda, che di fatto previene il senso della ricerca. È una domanda che ha un valore universale, fatta per ogni uomo.

La risposta è immediata: Maestro dove abiti? Il dialogo pro-cede per domande. Qual è il significato profondo di questo:

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Maestro dove dimori? Significa maestro qual è la tua vita, il tuo modo di esistere, il mistero della tua persona?

Qui si svela che la ricerca dei due era autentica, cercavano non se stessi ma quel qualcuno che può dare senso al vivere. Finalmente arriva la risposta: Venite e vedrete.

L’immediatezza del racconto, il dialogo tra i due e Gesù, esprime in una sequenza rapida e coinvolgente che ha tutto il sapore dell’esperienza personale. In questo episodio ci sono tutti gli atteggiamenti e i verbi che nel linguaggio evangelico connotano la vocazione: cercare, lasciare, seguire, andare, trovare, condurre, vedere e restare. Sono verbi di movimento, che manifestano un cammino, una costante ricerca, che si sviluppa gradualmente, una ricerca che arriva a trovare, ma è sollecitata a seguire, restando nell’ambito della persona di Gesù, che gradualmente si manifesta. Siamo sollecitati a rimeditare, a rivisitare la nostra personale e originale esperienza, il legame tra la grazia e la nostra responsabilità, espresso in modo lapi-dario in altri racconti di vocazione che il Vangelo ci presenta: “Vieni e seguimi”.

In questo senso la “vocazione” è dinamica, e attraverso le cir-costanze della vita, la Parola di Dio, i fatti, ci spinge a proseguire.

La nostra contemplazione diventi preghiera: Insegnami, Si-gnore Gesù, a cercarti e mostrati quando ti cerco. Non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Dammi, Signore di trovarti e di amarti e una volta trovato dammi di cercarti ancora per amarti di più. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti (S. Anselmo).

un incontro che Diventa vocazione

“Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Gia-como di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì” (Mc 3, 13-14)

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La chiamata è una proposta quindi ci lascia nella libertà, ma allo stesso tempo è creativa. La dinamica della vocazione la conosciamo: esige sempre una dualità: uno che chiama e l’altro che risponde. La chiamata è gratuita, non dipende dai meriti, anche la risposta è gratuita. In questo incontro di gratuità ci inserisce la potenza creativa dello Spirito che fa, costituisce, quasi crea l’apostolo. Come la presenza di un germe che con-tiene tutto in sé, ma che deve svilupparsi. La vocazione non un episodio ma un 'avvenire'.

Nell’esperienza delle vocazioni che ci sono raccontate, c’è sempre un processo, una cammino: da parte di Dio c’è una promessa, da parte dell’uomo c’è una fiducia, una speranza, procedono insieme. La vocazione non è un episodio della vita, vocazione è rispondere di si a un progetto che si dipana attra-verso le pieghe della storia, che è fatta di circostanze, di avve-nimenti, il dispiegarsi della vocazione segue linee non logiche, ma la linea di Dio che è sempre imprevedibile e che richiede una fiducia provata, una costanza e perseveranza, anche quando ci sembra di non capire.

Vocazione non è un vestito da indossare, ma il proprio es-sere che è lentamente trasformato, la grazia prende la forma nel soggetto e dal soggetto che risponde. Ne risulta un unico, il collegio, ma anche ognuno resta con il proprio nome, con le proprie caratteristiche, con la propria storia, la propria cul-tura. Qui si pone il mistero del presbitero: configurato per la consacrazione a Cristo capo e buon Pastore, ma questo non nell’individualità ma nella comunione con il Vescovo. Ognuno ha la sua esperienza, ognuno è, nel suo vissuto, la risposta alla vocazione. Nella risposta alla chiamata è contenuta la tua vita, con gli entusiasmi, con i momenti di fatica, con le fermate brusche, con le riprese faticose.

siamo sPecchi … riFlettiamo la sua immagine

Memoria di quello che sei e di quello che sei chiamato a essere e che stai diventando per la grazia di Dio e la risposta personale. Ogni nostro muoversi all’interno di questa chiamata, trova riscontro nella storia di Dio con gli uomini, nella storia di Gesù con i suoi. Passiamo anche noi dall’entusiasmo di Elia alla paura e alla fuga. Dalla sicurezza di Isaia al suo ritirarsi

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quando non è ascoltato. Dall’esperienza umana di Simone, al suo stupore che gli fa esclamare: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8).

Spesso sentiamo in noi la fatica di andare controcorrente, di vivere in un momento in cui la cultura dominante è altra. Abbiamo l’impressione di esserci sbagliati, di più, di essere stati sedotti. A volte nel segreto del nostro cuore sentiamo la verità di quanto esclama il profeta Geremia: “Signore mi hai sedotto ed io mi sono lasciato sedurre”.

Ma in questo cammino, in questo mare, non sempre tran-quillo, anzi spesso con un moto ondoso in aumento, in questo nostro tempo nel quale sembra che non ci sia più posto per la verità, in cui i punti di riferimento non sono più né il buon senso e tanto meno i criteri evangelici, esclamiamo con Pietro: “Da chi andremo Signore, Tu solo hai parole di vita eterna”. E con questa fede, oggi, sulla sua parola (anche se abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso niente) getteremo le reti perché, chiamandoci, lui ci ha fatto pescatori di uomini.

la vocazione: un costante e Permanente atto Di FeDe

“Si recò a Nazareth, dove era stato allevato; ed entrò, secon-do il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli op-pressi, e predicare un anno di grazia del Signore. Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: 'Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi' ” (Lc 4,16-21).

Con Gesù di Nazareth che si presenta come l’unto del Signo-re, si realizza la promessa di Dio, vi darò un pastore secondo il mio cuore. Una promessa che attuata in Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, si prolunga e si perpetua nel tempo, in quegli uo-mini, ai quali lui costantemente dice: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15, 16).

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Siamo chiamati oggi, entro la Chiesa 'mistero' a conservare e sviluppare nella fede la coscienza della verità intera e sorpren-dente del nostro essere: ministri di Gesù Cristo e sacramento dell’amore di Dio per l’uomo. Pur nelle reali difficoltà che at-traversa oggi il sacerdozio, la nostra presenza è testimonianza della verità delle parole di Gesù: Oggi si è compiuta la scrittura.

conclusione

Abbiamo contemplato o Dio, le meraviglie del tuo amore. Siamo sacerdoti, bisogna esserlo per sapere cosa sia. Lo Spi-rito del Signore risorto, con la sua forza soave, ci aiuti a fare memoria, e quindi a rinnovare non tanto la chiamata che resta immutata perché Dio è fedele, quanto la nostra risposta. Per alcuni con l’entusiasmo degli inizi, per altri con la maturità delle prove superate.

La Vergine Maria, la madre dei sacerdoti, ci sia modello e guida nella gioiosa e costante risposta alla chiamata del Signore, il nostro "eccomi" nel suo, garanzia che il dono incondizionato della nostra vita, a Cristo capo e pastore, non sarà mai ritirato.

Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno compen-diato in poche ma quanto mai ricche parole la 'verità', meglio, il 'mistero' e il 'dono' del sacerdozio ministeriale, dicendo: "La nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da lui mandato, sacerdote sommo e buon Pastore, sia-mo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l’azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell’azione dello stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita" (PDV 18).

Entriamo in noi stessi e contemplando il modello cerchiamo ciò che in noi, di Lui, risplende e chiediamogli oggi quale ul-teriore passo perché in noi risplenda la sua luce. Certamente non sarà lo zelo ed essere deficitario, forse sarà quel tempo che lui passava in dialogo con il Padre e che a noi è “chiesto di passare con lui”.

Signore Gesù sommo ed eterno sacerdote, che ci nutri col tuo Corpo e col tuo Sangue, e ci fai partecipi del tuo sacerdozio, rendici fedeli alla nostra vocazione e insegnaci a proclamare il tuo amore con la parola e con la vita.

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BetaniaRitiro spirituale per i sacerdoti

Il curato d’ArsMons. Fernando Charrier

I cultori di storia, e se non sono anche tra di noi, ci hanno insegnato inserire il soggetto di cui si vuol parlare nel suo tem-po e nel suo mondo, tanto più se sono tempi e mondo ormai scomparsi. Non fa eccezione il Curato d’Ars, anzi per evitare “solennizzazioni” di una personalità atipica e fuori dal comune, bisogna essere un po’ rigorosi per non cadere nel “devozionismo” specie da uno come il sottoscritto che ama la storia ma non ne è certamente un cultore. Don Giovanni Barra, mio professore nel seminario di Pinerolo, mi confidava che è facile lasciarsi prendere la mano nel descrivere la vita di persone che si vogliono porre all’attenzione; e lui scrisse più di 30 agiografie.

l’ambiente

Alla nascita e durante la vita del Curato d’Ars la Chiesa francese si trovava in piena rivoluzione; il cristianesimo era combattuto e molte presenze religiose, specialmente pubbliche, impedite. Il piccolo Giovanni Maria ebbe tuttavia la fortuna di nascere l’8 maggio 1786 in una famiglia religiosa, anche se la frequentazione della Chiesa e della vita religiosa, con l’avven-to del cosiddetto “secondo terrore”, erano assai difficoltosi; lo stesso piccolo Giovanni Maria, futuro Curato d’Ars, dovette ricevere la prima comunione in una stanza della casa del conte Pingon d’Ecully. Questa sua prima eucaristia non fu seguita, se non molto tardi, da altre poiché lui si trasferì a Dardilly a fare il contadino con i suoi fratelli. A detta della sua sorella Margherita, Giovanni Maria continuò a vivere una fede sincera e una testimonianza edificante.

Durante la sua permanenza a Dardilly avrebbe voluto iniziare la sua preparazione verso il sacerdozio, e di tanto in tanto ne

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parlava ai fratelli e alle sorelle; ma per un certo tempo gli fu impossibile: il curato con questa parrocchia si era compromesso con la rivoluzione e ne aveva assunto tutte le idee. Giovanni Maria aveva ormai 17 anni ed era necessario trovare una so-luzione al problema della formazione scolastica e seminariale. Ebbe la fortuna di incontrare l’abate Groboz, un sacerdote che per non compromettersi con la rivoluzione aveva scelto l’espatrio ed era rientrato in Francia come missionario clandestino per poter esercitare il suo ministero sacerdotale. Giovanni Maria rimase ammirato di questo sacerdote tanto che quando questi con l’aiuto di alcuni cittadini mise in opera una scuola, Giovanni Maria vi si iscrisse. Il suo bagaglio culturale non era molto, e forse si fermava all’insegnamento procuratogli dal catechismo che gli aveva impartito sua sorella.

Giovanni Maria seguiva i tempi di scuola che si svolgevano solo nella stagione invernale, e all’arrivo della buona stagione tutti gli scolari si disperdevano per badare ai lavori dei cam-pi. Quanto abbia appreso in questo tempo di scuola è difficile dire; anche l’abate Fournier che aveva seguito nella formazione Giovanni Maria per un certo tempo morì senza poter dare un giudizio sulla preparazione intellettuale e sulla autenticità della vocazione sacerdotale del giovane. Giovanni Maria aveva ormai superato i 20 anni, e si era superato solo un ostacolo: si sa per testimonianza diretta della sorella Margherita che Giovanni Maria aveva ottenuto dal padre il consenso di intraprendere la via del sacerdozio e, nel frattempo, la fortuna di poter incomin-ciare la preparazione culturale con l’abate Carlo Balley. Questi si accorse subito che la formazione intellettuale del giovane era molto in ritardo a fronte degli altri discepoli, e che presenta-va molti limiti. Con la guida dell’abate Balley qualche piccolo progresso si manifestò, tuttavia il giudizio rimase per un certo tempo negativo a riguardo della sua vocazione al sacerdozio.

Anche questa esperienza fu troncata brutalmente dal ri-chiamo alle armi di Giovanni Maria; arruolato sappiamo che si ammalò e trascorse alcuni mesi in due ospedali militari, e quando fu il momento di raggiungere i suoi commilitoni, o per distrazione o per diserzione voluta, non si aggregò agli altri sol-dati evitando di prendere le armi in mano. Questa vicenda ha due versioni e non si hanno prove quale sia la veritiera; forse

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la meno fantasiosa è una decisione volontaria assieme ad un suo commilitone che lo accompagnò a Noés, una parrocchia in mezzo ai boschi; lì giunto fu presentato al primo magistrato che gli consigliò di essere prudente poiché le visite domiciliari dei Gendarmi erano assai frequenti, e la pena per la diserzione era assai pesante. Qui trovò ospitalità e cure per la sua salute, inoltre poté riprendere la sua formazione scolastica. Giovani Ma-ria non era tranquillo tanto più che un decreto dell’imperatore prometteva amnistia per i disertori nati dal 1806 al 1810; questo annuncio allarmò il padre di Giovanni Maria il quale sperava ancora che suo figlio tornasse a casa e si dedicasse al lavoro dei campi. Appreso che la sua diserzione poteva danneggiare la sua famiglia si pose il problema se restare a Noés o allonta-narsi; decise, infine, di rimanere affidandosi alla provvidenza. Ricordò questo tempo come momento di tristezza e di esilio. Nel frattempo gli giunse la notizia che suo fratello era morto nella campagna di guerra del 1813; fu per lui un dolore che portò sino alla sua morte. Accettò il rischio di andare incontro a un padre furioso per le sue scelte giudicate la causa dei mali di tutta la famiglia, e ritornò a casa sua, quella casa che aveva ospitato nel passato S. Benedetto Labre (il Santo poverissimo) che si era dedicato a dare aiuto ai sacerdoti perseguitati.

Ritrovò l’abate Balley che lo accolse nella sua casa; riprese la formazione culturale e finalmente il 28 maggio 1811 fece il primo passo verso il sacerdozio ricevendo da mons. Simon, Ve-scovo di Grenoble, l’ordinazione diaconale. Non ci sono notizie sufficienti riguardanti questo periodo della vita del futuro Curato d’Ars; forse una sola lettera scritta ad un amico fa intendere che si trova alla scuola di spiritualità dell’abate Balley; questi per parte sua presentò Giovanni Maria al seminario minore di Verrières, uno dei pochi seminari permessi da un decreto di Napoleone Buonaparte. Gli allievi erano divisi in due gruppi: il primo raggruppava tutti coloro che avevano una sufficiente cultura, il secondo dove c’erano tutti i ritardatari, e tra questi il nostro Giovanni Maria che, per di più, venne considerato inadatto al sacerdozio considerato, secondo la classifica, all’ul-timo posto cioè “debilissimus”. Ad un tale giudizio sia i profes-sori che gli educatori e lo stesso Giovanni Maria si posero la domanda: “Sarà meglio farlo ritornare a casa sua e al lavoro

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della campagna, oppure avviarlo nonostante tutto sulla via del sacerdozio? L’insistenza di monsignor Balley l’ebbe vinta e in un tempo assai burrascoso per la società francese, il 13 agosto 1815 fu ordinato sacerdote.

Tutte queste vicende danno ragione, almeno in parte, alle difficoltà che Giovanni Maria dovette superare per giungere al traguardo del sacerdozio. Non si può dire che non ce la faces-se negli studi come invece riusciva nel cammino della santità, quindi non fu solo un esame della sua spiritualità che diede il via a monsignor Simon di ordinarlo sacerdote. Anche questo contesto è forse da aggiornare, per evitare giudizi negativi sulla sua formazione; certo è che la sintonia con il suo Signore l’ha portato là dove lui l’attendeva.

giovanni maria vianney, sacerDote

Mi pare che si sia esagerato sulla semplicità, sulla povertà e sull’ignoranza del Curato d’Ars; semmai si può affermare che ha saputo, con un lavoro serio e paziente su se stesso, ovviare i vuoti della sua preparazione culturale, non certamente della sua preparazione spirituale che da sempre l’aveva orientato al traguardo del sacerdozio. D’altro canto non si può banalizzare anche gesti come quello di non rispondere alla leva per la guerra di Spagna, cioè non è stato un antesignano degli obiettori di coscienza, ma un accorto e attento a quanto poteva distoglierlo dal suo cammino, i 14 mesi sui monti della Madeleine non furo-no una fuga, per di più molto faticosa, e nemmeno un disprezzo delle leggi dello stato francese, ma una scelta motivata.

Come già affermavo, i Padri spirituali ci dicono non tanto di imitarli, quanto di ispirarci come testimoni concreti del Vangelo; infatti ognuno di noi ha la via tracciata della su avita da Dio, il quale non credo voglia “clonare” i suoi figli. In una parola ognuno ha la sua santità da realizzare, la sua unione con Dio stesso e la testimonianza dell’amore per Dio verso il prossimo, questo si addice al Curato d’Ars.

il Parroco

Quale ispirazione possiamo trarre dalla vita del Curato d’Ars? Quali insegnamenti ci offre la sua spiritualità pastorale; essa tende a portare il gregge verso una conversione che potremmo

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dire collettiva, totale, irreversibile, unanime … Ecco il pro-gramma che rivolge ai suoi cristiani: “Oh, fratelli! Cerchiamo di andare tutti in Paradiso; là vedremo Dio; quanto saremo felici! Andremo in processione, se la parrocchia sarà saggia ed il vostro curato alla vostra guida”. È una traduzione semplice – come era lui – e quasi infantile, ma è il punto di riferimento decisivo; e porta due esempi: dice il Salmo 23: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Sui pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce”. E l’apostolo Paolo riferisce: “Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1Cor 2, 9).

Ed in un altro dei suoi tanti sermoni afferma: “Infine, miei fratelli, l’uomo su questa terra, a meno che sappia mettersi dalla parte di Dio, non può essere che ‘malheureux’. Ne conoscete la causa, fratelli? No, mi risponderete. Ebbene, miei amici, ecco la vera ragione. Dio mettendoci in questo mondo come in esilio e al confino, vuole spingerci attraverso alla luce di questi nu-merosi mali a non legare il nostro cuore a questi e desiderare ardentemente i beni ben più grandi, più puri e più duraturi di quanti ne possiamo trovare in questa vita”. Queste affermazioni sono per il Curato d’Ars il ritornello che ripete sovente nelle sue prediche. È il parroco, il padre che parla e agisce.

attento ai suoi temPi

Se leggiamo tra le righe delle sue biografie abbiamo chiaro che non è stato un uomo al di fuori del suo tempo, ma incarnato anche con atteggiamenti che manifestavano la sua condizione di povero, ma più ancora le condizioni di squilibrio fra i pochi relativamente ricchi e – direbbe Leone XIII – “l’infinita moltitu-dine dei proletari”. L’ambiente in cui visse il Curato era l’am-biente rurale dell’800 con la caratteristica di essere refrattario alla religione; potremmo dire che l’avversione è un insieme di indifferenza e di disprezzo, a volte dicono: “il nià pas l’habitude d’aller à l’église”.

Anche l’istruzione dei giovani era del tutto carente, tanto che il Curato pensò di istituire una scuola nell’ambito della casa parrocchiale di Ars chiedendo a due persone della parrocchia di aiutarlo, sia nell’impegno scolastico, sia nella ricerca di aiuti

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finanziari; i frequentanti la scuola, infatti, normalmente non tornavano a casa ma rimanevano in qualche locale attrezzato alla bella meglio nella casa parrocchiale.

Dopo la rivoluzione vi fu in Francia una ridistribuzione delle terre sottraendole ai latifondisti; questo fenomeno creò una immigrazione che, come sovente avviene, portò con sé molti nuovi problemi. Anche a questi il Curato pose attenzione sot-tolineando che tutti questi impegni lo distraevano dal servizio più importante, quello cioè di essere a disposizione in chiesa per tutti coloro che volevano parlargli o, normalmente, accostarsi al sacramento della penitenza.

Non si può dire che entrasse a piè pari anche nelle proble-matiche sociali e in quelle più specificamente politiche, tuttavia non lascia da parte nella sua predicazione i doveri della giusti-zia, del rispetto della dignità di tutti gli uomini, la moralità nel lavoro e nelle famiglie, onestà nei rapporti sociali … Vi è, ad esempio, un lungo elenco di cose da non fare nella predica della XII domenica dopo Pentecoste che riguardano i rapporti sociali: vi sono coinvolti i vari mestieri e le ingiustizie perpetrate in essi; è un discorso di moralità sociale il cui fine è evitare l’inferno.

sacerDote semPlice e buono

Tanto severo nei suoi sermoni altrettanto familiare negli in-contri personali. Accoglieva tutti coloro che volevano parlargli; passava anche un tempo sufficiente con i ragazzi della sua scuola preoccupandosi che avessero il necessario per la vita. Ma la sua bontà si esprimeva molto più nei gesti che nelle parole: era povero con dei poveri; era austero in mezzo ad una popo-lazione che, come la descrive appena giunto ad Ars, è dedita ai balli, alle feste, ai divertimenti e al vino; si abbandonava alla Provvidenza divina manifestando un abbandono totale in Dio. Predicava una conversione collettiva dei suoi parrocchiani. La chiesa era sovente vuota, la riempiva lui inginocchiato davanti al tabernacolo, in meditazione e contemplazione; questi gesti, certamente non formali per lui, erano un richiamo alla fede e alla vita cristiana per i suoi parrocchiani. Così anche gli abi-tanti di Ars che avevano perso l’abitudine di andare in chiesa, come si è detto, torneranno all’ovile prima alla spicciolata e poi praticamente nella totalità.

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Comincia dai giovani; dichiara guerra a ciò che li allontana dal cristianesimo; ad esempio il ballo, le osterie, la mentalità creatasi nel tempo; ed esige un comportamento morale rigi-do, severo, inflessibile. Chiede molto ai suoi giovani e non fa concessioni di sorta, si impegna talmente che ad un certo mo-mento ipotizza di chiedere un sacerdote che lo sostituisca, o per lo meno, lo aiuti, nell’impegno pastorale che la parrocchia esige, mentre lui dedicherà tutto il suo tempo alle confessio-ni; si ha testimonianza scritta di questo progetto anche esso esigente:”Vorrebbe un sacerdote di sua fiducia e sul quale ab-bia un certo ascendente, per poter conservare il suo servizio di confessore senza preoccupazioni”.

la santità vissuta in Parrocchia

Nulla di straordinario, se non un ordinario vissuto straordi-nariamente. Ad esempio un difetto dei suoi parrocchiani era il rispetto umano, egli in tutti i modi lo combatteva ponendosi lui come esempio. Lo faceva con il suo comportamento cordiale, e, allo stesso tempo, severo; appariva quasi scialacquatore dei pochi denari che possedeva per procurare il cibo ai suoi ra-gazzi, e specialmente per abbellire con paramenti sacri la sua chiesa mentre era palese l’austerità nella sua vita; in rari ma significativi pellegrinaggi lui che amava il ritiro e il silenzio della sua chiesetta e il rapporto personale del confessionale, sapeva trasmettere ai pellegrini il significato della vita cristiana nella Chiesa. Gli rimase nella mente e nel cuore il grande pellegri-naggio alla Fourvière di Lione; ricordava la gioia e l’entusiasmo dei parrocchiani che avevano accolto l’invito a parteciparvi.

La fama e la reputazione del Curato non erano legate al me-raviglioso, non erano i miracoli a presentarlo alla gente: il suo “meraviglioso” era il “quotidiano” cioè il suo mangiar normal-mente patate, - ma sappiamo che le persone che aveva attorno sovente gli preparavano il cibo - dormire su un duro pagliericcio, il cilicio che probabilmente erano le sue ore nel confessionale ma non certamente quelle passate in ginocchio dinnanzi a Gesù eucaristia. La sua saggezza non era quella umana appresa per farsi dei discepoli, le sue prediche non erano quelle forbite di Lacordeire – si pensi che i suoi sermoni hanno la durezza del concreto; si potrebbero citare frasi come la seguente: “Tout notre

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religion n’est qu’un fauste religion et toutes nos vertus ne sont que fantômes, et nous sommes que des hypocrites aux yeux de Dieu, si nuos n’avons pas une charité universelle pour tout le monde, paur les paure gens comme puor les riches, pour tuos ceux qui nous font du mal, comem pour ceux qui nous font du bien”. I suoi sermoni non toccano le vette dell’ascetica di altre grandi personalità e santi dei suoi tempi, ma toccano profondamente il cuore degli ascoltatori che, se anche ritrosi ad accogliere i suoi inviti, rimangono tuttavia perplessi e pen-sosi. Non è possibile in questo incontro citare molti passi dei suoi sermoni; è curioso il modo con cui fa comprendere che la conversione non esclude la tentazione; afferma: “Ebbene voi non troverete un santo che non sia stato tentato dal tempo di Adamo, gli uni in un modo, altri in un altro, e i più grandi santi sono quelli maggiormente tentati … Se voi mi domandate qual è la causa delle nostre tentazioni, vi direi che è la bellezza e il valore della nostra anima che il demonio stima e ama così tanto che accetterebbe la condanna a due inferi per poter portare e legare la nostra anima nell’inferno”. All’inizio di una quaresima per convincere i suoi parrocchiani – almeno quei pochi che ave-vano accolto l’invito a frequentare la chiesa – diceva loro: “La tentazione è necessaria per farci sentire che noi siamo niente in noi stessi. Sant’Agostino ci dice che noi dobbiamo ringraziare il buon Dio innanzi tutto dei peccati da cui ci ha preservati e solo dopo di quelli di cui ha avuto la bontà di perdonarci”. Il suo era annuncio che tendeva ad una vera restaurazione delle menti e dei cuori degli uomini del suo tempo. Alcuni suoi biografi te-stimoniano che preferiva i gesti alle parole, gesti che andavano contro corrente alla cultura e alle abitudini createsi ai tempi della restaurazione; a un giovane più amante del ballo che della chiesa lo invita a guidare la processione, a una giovane che ha il timore di apparire “bigotta” le chiede di comunicarsi ogni do-menica dinnanzi a tutti i presenti alla messa, e a una donna di facili costumi le richiama con crudezza le fiamme dell’inferno.

un PaDre

Secondo alcuni suoi biografi il Curato d’Ars richiedeva ai suoi penitenti la sua stessa rigorosità; si racconta che una giovane per essere andata alla fiera dovette attendere otto anni ad avere

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l’assoluzione sacramentale; ai giovani frequentanti le osterie non dava loro la Prima comunione fino all’età di 20 anni …; al vedere questo la signora Lasagne, sua collaboratrice più fedele, avrebbe trovato il coraggio di pregare Dio perché allontani il Curato dalla sua parrocchia. Questi racconti hanno una certa verità, sappiamo infatti che un certo “giansenismo” presente, specialmente nella terra di Francia, portava ad un allontana-mento dai sacramenti la sua dottrina della “indegnità”; tuttavia credo maggiormente alla testimonianza di un pellegrino che interpellato sui comportamenti del Curato rispose: “Quello che posso dirvi, signori, è che il Curato d’Ars piange e che si piange con lui; e questo non succede da altre parti”. È maggiormente comprensibile poiché è lui che fa penitenza per i peccatori che si confessano. Era talmente umile da provare grande sfiducia in se stesso pensando alla sua nullità e alla sua miseria; af-fermava: “Quando ci penso, tremo talmente che non sono più capace di scrivere il mio nome!”. Non ci stupisce se questa sua debolezza lo portasse a sentire la presenza del demonio accanto a sé e ripetesse sovente le parole dell’apostolo Paolo: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12, 10).

uno stile Di vita

Voglio concludere con le parole del Curato stesso prese da una confidenza fatta a un giovane sacerdote, don Tailhades, venuto ad Ars per apprendere dal Curato una seria vita sacer-dotale: “Amico mio, il demonio fa poco conto della disciplina e degli altri strumenti di penitenza. Ciò che lo sbaraglia è la pri-vazione nel bere, nel magiare e nel dormire. Niente il demonio teme di più e quindi nulla è più gradito a Dio! Quando ero solo, e lo sono stato per otto o nove anni, potendo fare un poco a mio piacimento, mi è capitato di non mangiare per diversi giorni … Allora ottenevo da Dio tutto ciò che volevo per me e per gli al-tri. Ora non è la stessa cosa. Non possono stare a lungo senza mangiare; non riesco più a parlare … Ma come ero fortunato, quando ero solo! Comperavo dai poveri i pezzi di pane che erano

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stati loro offerti; passavo una buona parte della notte in chiesa; non avevo tanta gente da confessare come ora … E il buon Dio mi faceva grazie straordinarie …”.

Mi pare un commento adeguato a quanto diceva Gesù: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo se non con la preghiera e il digiuno” (Mc 9, 29). Il Curato d’Ars prendeva alla lettera il Vangelo, forse è questo che intendeva comunicare quando parlava del demonio che lo tormentava.

Ecco un’ultima sua testimonianza: “Si vuos en doutez, mes frères, écoutez saint Paul, qui ne peut vous tromper: 'Quand nous dit-il, je donnerais tuot mon bien aux pauvres, quand je ferais des miracles en resuscitant les morts, si je n’ai pas la charité, je ne suis autre qu’un hypocrite'. Mais puor mieux vous en convaincre, parcourez toute la passion de Notre Sei-gneur Jésus-Christ. Voyez toutes les vies des saints, vuos n’en trouverez qui n’ait pas cette vertu. Non, non, vous n’en verrez pas un qui n’ait préféré de faire du bien à celui qui lui aura fait quelque tort”.

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Santa ChiaraCristologia

Don Giacomo Canobbio

La figura di Gesù Cristo nel corso della storia è sempre stata sottoposta ad una molteplicità di interpretazioni; accanto al dato dogmatico le immagini di Gesù che nei diversi orientamenti sia di carattere teologico sia di carattere spirituale che sono state assunte sono state molteplici.

Qualche decennio fa era uscito un interessantissimo libro di Erikan nel quale si mostrava come in diverse congiunture storiche e in diversi ambiti dell’esistenza si fosse costruita una immagine di Gesù. In Francia sempre qualche tempo fa era apparsa una collana su “Gesù dopo Gesù”. La Morcelliana di Brescia aveva cominciato a tradurre questi volumi, ma poi ha smesso perché non c’era mercato. Non ho più seguito le pub-blicazioni francesi per vedere se loro avessero continuato. Ma è una collana interessantissima perché faceva vedere come i diversi gruppi sociali in qualche modo si fossero appropriati di Gesù e l’avessero rivestito dei propri panni. Quindi una plura-lità di visioni su Gesù è sempre esistita e per altro esiste anche all’interno del Nuovo Testamento. Quando noi parlassimo di cristologia del Nuovo Testamento diremmo una cosa che non corrisponde effettivamente alla pluralità di cristologie che il NT ci presenta. Ma da circa 30 anni la situazione si è resa partico-larmente problematica. Perché? È un conto considerare Gesù come punto di riferimento fondamentale per la propria esistenza per concepire la salvezza dell’umanità ed è un conto arrivare a dire che Gesù Cristo è uno dei possibili salvatori. Ricordiamo tutti la scena che è presentata dagli Atti degli apostoli: Pietro e Giovanni salgono al tempio e davanti alla porta trovano il pa-ralitico che domanda qualche cosa. Pietro dice: “Non ho né oro né argento ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina”. Quando poi sono interrogati dall’autorità

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religiosa giudaica, Pietro che cosa dice: “Solo nel nome di Gesù io ho potuto far camminare quest’uomo. Perché non c’è altro nome sotto il cielo nel quale si possa essere salvati”.

Qualche decennio fa il teologo statunitense Paul Knicker pubblica un’opera che è tradotta solo parzialmente in italiano dalla Queriniana, che prende quella espressione e alla fine pone un interrogativo: l’affermazione di Pietro, negli Atti degli apostoli è assertiva, Knicker dice “nessun altro nome”? La domanda esprime un orientamento che si stava maturando nella riflessione teologica. Si può ancora dire che Gesù Cristo è l’unico salvatore? Il Concilio Vaticano II l’aveva ribadito sulla base di tutta la tradizione cristiana, non solo cattolica, adesso si comincia a mettere in dubbio questa affermazione. Quali sono le ragioni che hanno portato a mettere in dubbio l’affermazione di Pietro. Il dato fondamentale del pluralismo religioso che viene riconosciuto essere non solo un dato di fatto, bensì anche un dato di diritto, anzi una disposizione di Dio. Partendo da questa constatazione con la relativa interpretazione si è stati orientati a riconoscere due tipi di esperienza che si possono fare in ogni religione. La prima è amore e compassione verso tutti; se in ogni religione si può constatare che ci sono delle persone che, notiamo bene, non prescindere dalla loro religione, ma grazie alla loro religione sono in grado di vivere amore e compassione verso tutti, bisognerà concludere che, siccome queste persone non conoscono Gesù Cristo, non possono essere salvate da Gesù Cristo. Gesù Cristo non riguarda loro. Torneremo poi sui problemi che questa prospettiva pone.

Inoltre altra esperienza, in ogni religione è possibile un pas-saggio dall’autocentrismo all’ontocentrismo; cioè le persone sono in grado grazie alle religioni nelle quali vivono di uscire da sé, di entrare, diremmo noi con il nostro linguaggio, in rapporto con la trascendenza, con Dio: riescono a pregare, rie-scono a meditare, riescono a percepire la realtà trascendente, Dio, come il fondamento della loro esistenza. Ma sono persone che entrano in rapporto con Dio prescindendo da Gesù Cri-sto. Perché Gesù Cristo tematicamente non entra nella loro esperienza. Stante questo dato di fatto, bisognerà arrivare a concludere che non è più Gesù Cristo il Salvatore di tutti, ma è Dio. A questo riguardo un altro degli esponenti della teologia

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delle religioni degli ultimi decenni John Hick usa un immagine presa dalla stoia del pensiero scientifico; ci troviamo di fronte a una rivoluzione copernicana. Se nell’antichità si pesava che il sole ruotasse attorno ala terra, con la rivoluzione copernicana ci si è resi conto che la terra ruota attorno al sole, e attorno al sole ruotano tutti i diversi pianeti. L’immagine che cosa sta ad indicare? Che anche Gesù Cristo ruota attorno a Dio. E il significato di Gesù Cristo per coloro che si riferiscono a lui è in funzione del rapporto con Dio. Ma quello che Gesù Cristo fa per i cristiani lo fa Vishnu per gli induisti, lo fa Maometto per i mussulmani; non c’è più bisogno di pensare il riferimento di tutti a Gesù Cristo.

Siamo effettivamente di fronte ad un cambiamento di para-digma. Si potrà continuare a dire che Gesù Cristo è il figlio di Dio, è il Messia; ma tutto questo non troverà una corrispondenza di valore universale. Tutto quello che si dice su Gesù ha valore semplicemente per quel gruppo di persone che si riferisce a lui. Non c’è più nessuna affermazione normativa su Gesù Cristo. E dire affermazione normativa vorrebbe dire di carattere univer-sale: allora anche l’affermazione di s. Pietro, "Non c’è nessun altro nome", perde il suo valore, perché ci sono tanti altri nomi.

A questi riguardo merita di essere ricordato il teologo Raimon Panikkar che è di padre indiano e di madre spagnola il quale dice: “Gesù per i cristiani è colui che rivela Cristo. Ma Cristo è uno dei nomi del mistero. Il mistero noi lo chiameremmo Dio, si presenta tramite Gesù ai cristiani come Cristo. Ma per gli induisti è Vishnu, perché il mistero è anche questo nome. Tutti coloro che dicono riferimento alla trascendenza, vivono la me-desima fede ma non vivono la medesima credenza. I cristiani credono nel mistero e lo chiamano Cristo; gli induisti credono nel mistero e lo chiamano Vishnu. Ma Gesù è colui che ci rivela quel nome di Dio che è Cristo ma non può essere ritenuto l’unico nome del mistero che si è rivelato agli umani".

È chiaro che una prospettiva di questo genere comporta ripensare radicalmente Gesù. E ripensarlo vuol dire far sì che tutte le affermazioni che nel cristianesimo già a partire dal NT si sono elaborate per indicare Gesù vengano relativizza-te. Cosa vuol dire? Non possono più avere valore assoluto, e quindi valore universale. Non c’è più un’affermazione su Gesù

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che pretenda di dire la verità definitiva. È chiaro che questo comporta una messa in discussione del dogma e una rilettura del NT. Cosa è il dogma cristologico? Non è nient’altro che la traduzione di affermazioni di carattere mitologico in afferma-zioni di carattere ontologico. Quando noi recitiamo il simbolo di fede cosiddetto Niceno-Costantinopolitano e diciamo “Credo in un solo Signore Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio nato dal Padre prima di tutti i secoli” che cosa facciamo? Nient’altro che la proiezione su un orizzonte universale di ciò che per noi quel Gesù significa. Se non vi scandalizzate vi dico un paragone che John Hick stabilisce. "Un ragazzo si innamora di Elena e dichiara: 'Elena è la ragazza più dolce del mondo'. Quel ragazzo non conosce tutte le ragazze del mondo, vive un rapporto con Elena che lo porta a porre affermazioni di carattere assoluto. Ma è chiaro che chi legge quell’affermazione può dire: Ma tu lo dici perché ti sei innamorato di Elena. La tua affermazione è relativa semplicemente a quello che tu sperimenti". E allora le affermazioni su Gesù: unico salvatore, Figlio di Dio, Incarna-zione di Dio, non sono nient’altro che affermazioni mitologiche indebitamente trasformate in affermazioni ontologiche. Ma come si fa a verificare questo? Bisogna ritornare all’autentico Gesù. Cioè andare dietro le affermazioni che già il NT propone e che poi il dogma ha sviluppato per risalire a Gesù così come effettivamente è stato. E qui la cristologia della teologia delle religioni incrocia un altro filone della riflessione recente: quello che è stato maggiormente divulgato. Pochi anni fa ha fatto par-lare di sé il libro intervista di Augias a Mauro Pesce. Un libro che ha venduto moltissimo, a volte ci sono delle operazioni commerciali dietro a queste operazioni culturali. Questo libro perché ha avuto successo? Nasceva sull’onda del successo di un romanzo: il 'Codice da Vinci' che per altro Augias nell’intro-duzione al libro appena citato dice che è un brutto romanzo, scritto male; però ha fatto nascere nella mente di tanti lettori un dubbio: il Gesù che ci avete raccontato, cari preti, è una bella vostra invenzione. Il Gesù vero non è quello che ci avete sempre annunciato, voi ci avete imbrogliato. Questa è, potrem-mo dire, la prospettiva che il romanzo, brutto per la verità, di Dan Brown ha fatto nascere nella mente di tanti lettori. Ma il libro di Augias-Pesce ha cavalcato quest’onda nell’intento di

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arrivare all’autentico Gesù, attraverso una ricerca di scavo nei testi evangelici e in altri testi che non sono riconosciuti dalla grande Chiesa: il Vangelo di Tommaso per esempio o i Vangeli apocrifi. Nel libro di Augias-Pesce il tentativo qual è: andiamo a verificare che cosa sia stato effettivamente quell’ebreo che si chiama Gesù, andando prima della tradizione credente: il vero Gesù lo si scopre mediante l’analisi storiografica; quella cioè che mi permette di capire che c’è una corrispondenza tra la notizia e l’avvenimento. Chi conosce un po’ la storia della ricerca su Gesù non si meraviglia di un’istanza di questo genere. 1777: un professore dell’università di Amburgo di lingue orientali, Reimarus, lascia in eredità un manoscritto e Lessing, il filosofo che era il bibliotecario di Volfenbüttel pubblica in quell’anno questo manoscritto sullo scopo di Gesù e dei suoi discepoli. Qual era lo scopo di Gesù secondo Raimarus? Era quello di fare una rivoluzione politica. È fallito; i suoi discepoli non volevano tornare a fare i pescatori e allora hanno inventato che Dio lo aveva risuscitato e così è nato il cristianesimo. Un altro libro di Augias-Cacitti: “Come si costruisce una religione” ci aiuta in questa visione. Cito questi libri perché i fedeli che pensano di essere intellettuali se li pappano tutti; e noi dobbiamo fare i conti con ciò che questi libri dicono.

Ebbene, con quel manoscritto di Reimarus incomincia una ricerca che non è mai finita; è una ricerca nella quale si pone un problema del rapporto tra l’accadimento storico, la documenta-zione storica e il significato che l’avvenimento riveste agli occhi di coloro che vi fanno riferimento. Nasce per così dire con quel manoscritto l’istanza del cosiddetto metodo storico critico, che nel suo sviluppo non era sciocco, era funzionale a salvaguarda-re un nucleo irriducibile della identità di Gesù. Oggi il metodo storico critico si è affinato; penso che tutti abbiano letto il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI, Ioseph Ratzinger; ma il metodo storico critico non basta. Perché? Non c’è nessun avvenimento che non accada agli occhi di qualcuno. L’avvenimento nella sua brutalità, permettetemi questa parola, non c’è, l’avvenimento è sempre avvenimento vissuto. Il compito dello storico qual è? È quello di raccogliere la convergenza di modi di vivere quell’avve-nimento per coglierlo nella sua capacità originante. Torniamo al Vangelo cap. 16 di Matteo. Si trovavano dalle parti di Cesarea di

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Filippo e Gesù domandò ai suoi discepoli: Che cosa dice la gente di me? Qualcuno dice che sei Giovanni Battista, qualcun altro che sei profeta … Notiamo bene: Gesù si presenta in pubblico e nascono una pluralità di modelli di lettura della sua persona. Gesù non ne scarta neanche uno, perché nella conoscenza della persona entrano indiscutibilmente dei modelli. Però Gesù dice ai suoi discepoli: "Voi chi dite io sia?". Secondo la relazione di Matteo alla quale mi sto riferendo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; “Beato te Simone figlio di Giovanni perché non la carne o il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio che sta nei cieli”, Gesù approva l’identificazione di lui che Pietro ha proposto ma l’attribuisce ad una rivelazione dall’alto. Non è più una constatazione basata su modelli, ma è una rivelazione. Che cosa vuol dire? Se tu sei arrivato a dire questo di me vuol dire che Dio ti ha condotto a scoprire la mia identità. Ma se poi procediamo alla lettura ci accorgiamo che quell’elogio di Gesù era fuori posto: perché quando Gesù comincia dire: “Adesso andremo a Gerusalemme e là mi faranno fuori”, Pietro cosa dice? “Ma questo non ti dovrà mai accadere”. Perché? Perché per Pietro, come per tutti i suoi contemporanei il Cristo, il Mes-sia non poteva essere uno sconfitto; il Cristo doveva essere il discendente di Davide, il trionfatore. E Gesù che cosa gli dice? "Passa dietro di me”. La nuova traduzione tiene conto di questo significato mentre la precedente recitava “vai lontano da me”; “passa dietro a me”: perché tu sebbene abbia confessato di me che sono il Cristo continui a pensare Cristo secondo il modello caratteristico del tuo ambiente: tu pensi non secondo Dio, ma secondo gli uomini.

Notate la contraddizione: "non la carne e il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio che sta nei cieli" e poi "tu pensi secondo gli uomini e non secondo Dio". Pietro ha usato, potremmo dire, il catechismo ufficiale della confessione di fede ma non ha usa-to collegare il catechismo ufficiale con quello della mente e del cuore. Ha continuato a pensare al significato di Cristo secondo il modello diffuso. Tornando alla nostra questione: bisogna ri-costruire allora l’autentico Gesù e ricostruire l’autentico Gesù vuol dire smontare, pezzo dopo pezzo, la confessione di fede cristiana, riconducendola – come si suol dire abitualmente – a una interpretazione. E quando si usa la parola interpretazione

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immediatamente appare l’opinione, perché io interpreto in que-sto modo, tu interpreti in quest’altro modo. Il dogma, ma già la confessione di fede neotestamentaria, sarebbe semplicemente una interpretazione. Ma se è una interpretazione, così si tende a pensare, ammette altre interpretazioni.

Torniamo alla questione che ponevo prima: "nessun altro nome, non si può affermare che ci sia un altro nome"; per voi cristiani Gesù è il nome nel quale si può ottenere la salvezza, ma questo non vale per tutti, questa è la vostra interpretazio-ne. Notate il modo di pensare è tendenzialmente questo anche nei fedeli che hanno appena recitato il simbolo di fede niceno-costantinopolitano.

Questa circostanza che potrebbe apparire dirompente, in verità è una opportunità. Perché ci permette di fare un itinerario di ricostruzione della nostra confessione di fede. Le cristologie più recenti accettano questa sfida cercando di far vedere che la confessione di fede in Gesù è lo sviluppo di una esperienza che i suoi discepoli vivono a contatto con lui. Cerco di riassumere questo itinerario, che nelle cristologie più recenti è abbastanza condiviso, per far vedere poi come si possa accettare anche la sfida del “nessun altro nome”.

Un primo dato: Gesù è un ebreo. La ricerca esegetica su Gesù in questi ultimi anni ha lavorato moltissimo sulla ebraicità di Gesù. Se avete voglia di occupare un anno c’è un’opera di Meier: "Un ebreo marginale". Sono usciti fino ad ora quattro volumi pubblicati nella biblioteca di teologia contemporanea della Queriniana di Brescia. L’opera è estremamente interessante ed è una di quelle che stanno occupando in questo momento la ricerca. A partire da Sanders il ritorno alla comprensione della ebraicità di Gesù è un dato assodato.

Gesù è soltanto un riformatore ebreo? Questa è la grande questione. Ricorderete che Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazaret cita l’opera di un rabbino statunitense Jacob Noisner; la sua opera dopo il libro del Papa è stata tradotta anche in italia-no dalla S. Paolo. Un rabbino dialoga con Gesù. È interessante quest’opera non perché abbia un particolare valore scientifico, ma perché dice la sensibilità di un ebreo dialogante in rapporto a Gesù. Noisner si presenta come rabbino che vuole seguire Gesù, e ad un certo punto però si accorge che il messaggio di

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Gesù è dirompente per l’ebraismo stesso. In particolare per due aspetti che costituiscono in qualche modo i pilastri della thorà. Il primo è il rispetto della famiglia, il quarto comandamento: Onora il padre e la madre. Gesù chiede di abbandonare la fa-miglia. Ma che cosa significa? Non semplicemente andare per la propria strada ma interrompere il legame della tradizione. E l’ebraismo si fonda sulla tradizione. Il secondo è il sabato: Gesù si dichiara Signore del sabato. Ma destituire il sabato del suo valore normativo vuol dire trasferire il sacro da una istituzione a lui stesso. E allora al termine della giornata il rabbino Noiser dice a Gesù: Mi dispiace, ho fatto un pezzo di strada con te ma adesso io ritorno là dove ero, ritorno all’Israele eterno, non ti seguo.

Gesù è un ebreo ma non è più semplicemente un ebreo. E un ebreo non solo marginale, come dice Meier, ma un ebreo originale, un ebreo che pone un interrogativo: ma chi è costui? Ricorderete tutti che nel racconto Marciano-Matteano della tempesta sedata i discepoli che hanno svegliato Gesù spaven-tati, alla fine pongono una domanda: “Ma chi è dunque costui?” (uso la redazione di Marco). Quel “dunque” sembra essere la conclusione di un percorso; io ho usato tutti gli elementi che avevo a disposizione per indicare l’identità di questa persona e alla fine resto con l’interrogativo: Chi è dunque costui? Matteo non usa più semplicemente “chi” ma “di che genere è costui”. Gesù è un ebreo originale che pone un interrogativo e nell’in-terrogativo si svela l’insufficienza di tutti i modelli interpretativi che si avevano a disposizione: non bastano.

Ma l’interrogativo provoca una apertura. E l’apertura è conseguente allo svelarsi di colui che ti sta di fronte. Gesù ti mostra di sé aspetti che tu non avevi messo in conto. E allora cominci a cercare altri modelli per poterlo dire. L’itinerario dei discepoli, che notiamo bene sono pure ebrei, è un itinerario che prima cataloga Gesù con le categorie abituali del tempo, poi si accorge che queste categorie non bastano più; i discepoli hanno bisogno di trovare altre categorie o di risignificare quelle che già avevano a disposizione.

Torniamo all’episodio di Matteo 16 che prima ricordavo. "Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente … non ti accadrà mai". Gesù rompe la comprensione del termine Cristo che i discepoli

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avevano a disposizione. E quando i discepoli chiameranno Gesù Cristo dovranno mettere in questo termine un elemento che non avrebbero mai immaginato: quello della croce. Cristo era indicatore di un trionfo, di una vittoria su tutti i nemici; ora devono chiamare Cristo uno che è crocifisso. Vi ricordate al termine del Vangelo di Marco (c. 15) il centurione che sta sotto la croce, vedendo come era morto, arriva a dire: "Quest’uomo veramente era Figlio di Dio". Matteo assieme al centurione mette anche gli altri soldati perché ha in mente la comunità, ma è sintomatico: l’identificazione di Gesù non può prescindere da quell’avvenimento tragico che è la croce e che Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, dirà essere “stoltezza per i greci, e scandalo per i giudei”. Ma perché scandalo? Precisamente perché il messia doveva essere il vincitore. Allora la ricerca provocata da quelle istanze che prima ricordavo porta a ricostruire la confessione di fede. Illogicamente porta a ricostruire anche la formazione del dogma: quello di Nicea, di Costantinopoli I, di Calcedonia, di Costantinopoli II, di Costantinopoli III, per citare i grandi concili dell’antichità. Che cosa è avvenuto? Notate bene questa è la ricerca storico dogmatica che non si accontenta più di dire che il Concilio ha detto così, ma cerca di capire perché ha detto così.

Tutti noi viviamo in un contesto culturale, e procediamo nella lettura della realtà secondo dei canoni che corrispondono al contesto culturale; e il nostro contesto culturale di fronte a delle affermazioni pone degli interrogativi: quel “ma chi è costui” non può avere un risposta perenne che è valida per sempre; quella domanda deve avere una risposta corrispondente al no-stro orizzonte culturale. Ovviamente senza permettere che sia l’orizzonte culturale a dire l’identità altrimenti cadremmo in quell’inghippo nel quale è caduto Pietro: la misura della verità di Gesù non è il contesto culturale sebbene questo sia impre-scindibile quando io voglio dire chi è Gesù, perché non potrò che dirlo con le mie categorie, con i miei modelli.

Nel momento attuale ci si trova di fronte ad un tentativo di ricostruzione dell’itinerario che ha portato all’identificazione di Gesù, ma nello stesso tempo a una pluralizzazione di immagini di Gesù, corrispondentemente alla circostanza culturale nella quale ci si trova. Se noi leggiamo oggi opere di teologi africani, non facciamo fatica a trovare la descrizione di Gesù come il

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grande antenato. Per noi dire il grande antenato sembra anti-caglia. Nelle culture rurali africane, il grande antenato è colui che sta al principio della propria esistenza.

Oppure Gesù è il guaritore perché nella concezione africana le malattie non sono guarite dalle medicine, ma dallo stregone: colui che ha dei poteri magici per intervenire sulla persona e per rimetterla in ordine. Gesù allora è il guaritore. Questo vuol dire lasciar perdere tutto quello che nella tradizione dogmatica si è affermato? No. È un tentativo di risignificare quello che in un contesto ellenistico preoccupato dell’ontologia, era stato detto di Gesù. Il fatto che si trovino termini e modelli interpretativi diversi, non sta a significare che non si dice più la verità su Gesù, la si dice in una maniera diversa. Vi ricordate che all’ini-zio del concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962, Giovanni XXIII nel discorso inaugurale, arrivò a dire, cosa che i teologi stavano dicendo da un bel po’, che un conto è la verità e un conto è il modo di esprimerla? Bastava leggere S. Agostino o S. Tommaso per trovare cose di questo genere. Quando S. Tommaso diceva che l’atto di fede non termina all’enunciato ma alla cosa, e l’ar-ticolo di fede tende verso la verità, aveva la consapevolezza che la realtà trascendente, e quindi il contenuto della fede, non si appiattisce sulla affermazione verbale; non si può prescindere dalla affermazione verbale, ma non credo alla proposizione Gesù è il Signore, ma io credo in un solo Signore. L’atto della fede è orientato dalla proposizione ma non termina con essa.

Tornando all’inizio: c’è un unico salvatore o no? Possiamo continuare a dire che Gesù Cristo è l’unico salvatore? Qual è il problema, che cosa si intende per salvezza? Salvezza è sem-plicemente il passaggio dall’autocentrismo all’ontocentrismo, è soltanto compassione verso tutti? Teniamo presente che questa espressione portava a un incrocio tra la teologia delle religioni e la teologia della liberazione. P. Knicker a partire dagli anni 80 del secolo scorso si pone nella linea liberazionista: la salvezza è uscire dallo stato di oppressione e di ingiustizia e per fare questo occorre l’amore e la compassione verso tutti. Il problema è allora che cosa si intende per salvezza. Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo guardare alla persona umana: questa vive in una storia e non si potrà semplicemente rimandare la salvezza all’eschaton; c’è una dimensione storica

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della salvezza e in questo bisogna riconoscere che l’istanza pro-veniente dalla teologie liberazioniste non può essere preterita, anche perché proprio leggendo i vangeli io scorgo che Gesù è andato incontro a quelli che avevano vita diminuita: i malati, gli emarginati, i peccatori… Quando Gesù dice al lebbroso: "la tua fede ti ha salvato", "tutti sono stati sanati", "quello che è ritornato è salvato"; o quando dice alla donna emoroissa: "la tua fede ti ha salvato", dice esperienze molto concrete.

C’è una dimensione storica imprescindibile della salvezza, ma poi arriva la morte, e di fronte alla morte salvezza è risurre-zione. Qui si comincia ad andare un po’ in tilt: risurrezione è la cifra sintetica della salvezza escatologica secondo la prospettiva cristiana e non riguarda semplicemente lo spirito dell’uomo, riguarda quest’uomo che sono io con la mia vicenda storica, con la mia realtà totale. Ma allora se salvezza è questo, ed è una dimensione antropologica imprescindibile, dove posso trovare un modello di questa salvezza. Se vado a leggere il Nuovo testa-mento lo trovo in Gesù, nel Gesù risorto. Non a caso la Lettera agli ebrei (c. 2, 5-9) cita il Salmo 8. Questo salmo esprime lo stupore di fronte alla grandezza dell’uomo: "Che cosa è l’uomo perché tu te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché tu lo visiti? Lo hai fatto poco inferiore agli dei, di gloria e di onore lo hai coro-nato, tutto hai posto sotto i suoi piedi". L’autore della Lettera agli ebrei dice: chi è questo uomo? Chi è che realizza l’umano in forma compiuta: è Gesù. Ma non il Gesù terreno, ma il Gesù risorto. Se si prende il senso antropologico della affermazione dell’identità di Gesù risorto allora si può dire che Gesù è il salvatore di tutti, perché è la causa esemplare della persona umana compiuta. Come Gesù effettivamente possa raggiungere tutti gli umani, anche coloro che non lo conoscono, questo non lo sappiamo. Certo il Concilio Vaticano II, ma anche la teologia recente fa appello allo spirito; GS 22 dice che “dobbiamo credere che lo spirito Santo associa al mistero pasquale anche coloro che senza loro colpa non hanno conosciuto Gesù Cristo". Lo Spirito Santo che cosa è? È la potenza vivificante di Dio. Come lo Spirito raggiunga queste persone, lo sa solo Dio e i teologi, quando sono onesti, tacciono.

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La famiglia oggi e la Chiesa localeRelazione all’incontro del clero

Betania di Valmadonna, 6 ottobre 2010

Don Fabrizio Casazza, delegato vescovile per la famiglia

1. Per non DisPerare

Vorrei iniziare il mio intervento con un piccolo quiz. Vi leggerò un breve testo e vediamo se indovinate l’autore.

Allora comincio:« (…) ben sovente siamo costretti a rimpiangere con ragione

il passato ed a ripetere non ostante tanti miglioramenti: in fa-miglia una volta si stava meglio. Che cosa infatti è diventata al giorno d’oggi la casa per tante famiglie? Invece di essere quel luogo di riunione, dove i membri tutti della famiglia un giorno sospiravano di trovarsi riuniti e vi si fermavano il maggior tempo possibile, la casa al giorno d’oggi per tanti è diventata come una specie di albergo, dove uno vi si ferma il tempo strettamente necessario per i pasti e per passarvi la notte; il restante di tempo disponibile si passa altrove, al circolo, al giuoco, al divertimento, in altra compagnia»1.

Sapete chi è l’autore di questo testo? È il vescovo di Ales-sandria. Ma non l’attuale! Si tratta del vescovo Nicolao Milone, che scriveva queste cose in una lettera pastorale del 1923. La famiglia come un albergo. Ripeto: 1923!

Ho voluto esordire in questo modo per significare il tono della mia relazione. Certamente la crisi della famiglia è sotto gli occhi di tutti, ma sono convinto che né il catastrofismo né il disfattismo siano le strade da percorrere per migliorare la situazione. Ovviamente analizzare con lucido disincanto la realtà non significa, specularmente, essere pessimisti ma rea-listi. Sapendo con chiarezza com’è davvero il contesto possiamo tentare di progettare soluzioni adeguate che coniughino i valori irrinunciabili da trasmettere con il necessario rinnovamento della metodologia di attuazione.

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Non abbiamo il tempo di addentrarci in disamine dettagliate e documentate. Mi limito ad enunciare alcuni aspetti di diffi-coltà della famiglia oggi, per poi passare, nella seconda parte, a delineare nuove prospettive, cercando di evidenziare le respon-sabilità e le possibilità della comunità cristiana, specialmente diocesana.

2. la Famiglia nella PostmoDernità

2.1 Frammentarietà

Una caratteristica che emerge con evidenza è la frammenta-rietà: l’uomo d’oggi si percepisce “in frammenti”, si percepisce in polvere (per dirla col sociologo Appadurai), si percepisce li-quido (per dirla con Bauman). Insomma diventa difficile quella semplificazione e unificazione interiore tanto raccomandate dai maestri di spirito (cito per tutti il certosino Pollien). Que-sta fatica si ripercuote nell’ambito della famiglia: il soggetto frammentato non riesce a «dar vita e mantenere vive nel tempo relazioni familiari stabili che siano generative»2 e fatica a defi-nirsi sessualmente nella complementarietà. Mi spiego meglio con le parole della scrittrice Susanna Tamaro: «Di cosa hanno bisogno i ragazzi veramente per crescere? Di accoglienza e di fermezza. Hanno bisogno di un femminile materno, capace di accogliere, di proteggere e di dare stabilità, e di un maschile paterno, in grado di guidare e correggere, di indicare una strada da percorre. Gli infiniti modelli culturali che si sono affastellati in questi ultimi secoli ci hanno fatto dimenticare il nostro essere costituiti in gran parte da natura, e che la natura ha le sue leggi immutabili. Queste leggi ci dicono che il vivente, per crescere, ha bisogno della stabilità di un terreno e di una direzione ver-so cui andare. La solitudine disperata di questi tempi dipende anche dall’essersi posti fuori da questo eterno movimento (…)»3.

Così prende piede la figura dell’amico che soppianta quella del genitore: un padre o una madre che affermano d’essere l’amico o l’amica dei figli stanno inconsapevolmente denun-ciando la propria insufficienza nell’espletare il loro ruolo. Di-ceva Paolo Crepet nella conferenza tenuta a San Michele il 19 maggio scorso: «I figli non hanno bisogno né di un amico né di un bancomat. Hanno bisogno di un capitano!». E i figli stessi oggi chiedono una guida perché s’accorgono che la mancanza di

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divieti e di regole li rende fragili e che il rendere precoci tutte le esperienze (la prima sbronza oggi si attesta sui 12 anni) riduce di fatto l’indipendenza e l’autonomia. Però dobbiamo realistica-mente ammettere che purtroppo il modello papà-mamma-figli trova sempre minori spazi. Secondo una recente ricerca della statunitense Heritage foundation nel 2007 in Usa solo il 57% delle nascite avviene nel contesto matrimoniale; e non si tratta di ragazze-madri, perché nei ¾ dei casi si tratta di donne tra i 19 e i 29 anni.

2.2 inDiviDualismo

Una seconda caratteristica è l’individualismo. L’io fram-mentato e confuso nella propria identità fatica a rapportarsi con l’altro; così dalla famiglia estesa, patriarcale, si passa alla famiglia nucleare e poi a quella “diversificata”, con famiglie mono-parentali, madri nubili (forte aumento in diversi paesi europei, in Svezia il fenomeno ha raggiunto il 53%), famiglia gay, famiglie frutto della biogenetica con più padri e più madri. (Non è forse un caso se il premio Nobel per la medicina è appena stato assegnato a Robert Edwards, il padre di Louise Brown, il primo essere umano nato in provetta, nel 1978). Tutte que-ste forme di vita e coabitazione tendono ad essere inquadrate come famiglia. Uno dei massimi sociologi italiani sulla famiglia, Pierpaolo Donati, sostiene che è in corso una confusione tra coabitazione e famiglia, cosicché pare che «tutte le forme di “vivere insieme” facciano famiglia»4. Tutto parte però dal fatto che i diritti di ognuno sono ritenuti prevalenti sui diritti della coppia e della famiglia, che i diritti prevalgono sui doveri e che la coscienza dell’autonomia debba prevalere sulla coscienza dell’unità.

L’individualismo si riflette anche nella privatizzazione della famiglia e in quella che potremmo chiamare la “presentizza-zione” della famiglia. Mi spiego meglio. Raramente la famiglia viene considerata come soggetto sociale: prova ne è il fatto che spesso le politiche di sostegno alla famiglia vengono confuse con le politiche contro la povertà. Invece, come spiega con chiarezza il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, la «famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene

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della società»5. Inoltre la famiglia s’appiattisce sulla dimensione del presente:

manca il senso di una catena di generazioni, ridotta spesso alle sole ricerche genealogiche negli archivi parrocchiali. Difficile richiamare le tradizioni della famiglia e, più in generale, della società, e dove sopravvivono sono non di rado ridotte a stereo-tipi privi di significato nel vissuto. Anche l’atrofia nella scelta di avere figli può essere considerata in quest’ottica come l’assenza della dimensione del futuro.

Eppure insieme al Magistero6 riconoscono anche gli studiosi più accorti – e forse anche i politici – che non ci può essere svi-luppo economico senza sviluppo demografico. Lo ha ribadito, tra gli altri, anche Ettore Gotti Tedeschi, presidente del consi-glio di sovrintendenza dello Ior nella sua conferenza tenuta ad Alessandria nei mesi scorsi. E il premio Nobel Paul Krugman scriveva di recente, prendendo spunto dalla lunga stagnazione dell’economia del Giappone: «(…) le ragioni del declino dell’eco-nomia nipponica, che va avanti dall’inizio degli anni 90, sono da ricercarsi innanzitutto nelle tendenze demografiche»7.

D’altronde i dati sono impietosi. In quasi tutti i Paesi dell’Ocse la media di figli è 1,6 per donna; e a sorpresa le famiglie straniere che vivono in Europa si stanno adeguando a questo modello. Drammatiche le conseguenze future, facilmente prevedibili, sul piano della previdenza, della salute, dell’assistenza quando le famiglie con un solo componente arriveranno al 40% del tota-le8. A sorpresa l’Africa sta diventando una terra d’infertilità: la prova di questa che sembrerebbe una deduzione contro fattuale si ha dal mercato, che sempre ha le antenne dritte alla ricerca di nuovi business. In effetti stanno prendendo piede anche nel continente nero le tecniche di fecondazione artificiale9.

E quand’anche il figlio ci sia diventa il simbolo d’un investi-mento emotivo. Come ben spiega lo psichiatra francese Daniel Marcelli, l’educazione perde il suo significato etimologico di e ducere, ossia “tirar fuori” le potenzialità del bambino, ma si riduce a se ducere, ovvero a “condurre a sé” il bimbo, compia-cendolo in ogni circostanza ed assecondandolo in ogni capriccio. Eppure una sana psicologia c’insegna che sono proprio i “no” a creare la struttura della personalità.

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2.3 relativismo Una terza caratteristica, che ben descrive la situazione

odierna insieme alla frammentarietà e all’individualismo è il relativismo. Il cardinale Ratzinger nella concelebrazione per l’apertura del conclave affermò: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie»10. Benedetto XVI ha ripreso identiche espressioni nel corso del suo viaggio in Gran Bretagna. Ai miei parrocchiani la dittatura del relativismo la spiego così. Andate in città e osservate il traffi-co. Auto in doppia fila, in curva; vedi il proprietario e, ad una timida osservazione sull’intralcio che quella vettura arreca al traffico la risposta stupita e seccata sarà: “Ma io devo andare in banca” o ad un’altra commissione.

Non abbiamo il tempo qua di approfondire e distinguere un relativismo buono da uno cattivo, per usare le espressioni del filosofo Raymond Boudon11.

Comunque, tradotto nell’ambito famigliare, questo atteggia-mento si esprime nella mancanza di vincoli forti, di progettualità e di definitività; nella ricerca prevalente del piacere e della gra-tificazione personale, in un’affettività concentrata su se stessi, nel figlio per se stessi, non come dono, in una sacramentalità impoverita: “che c’entrano Dio e la comunità con la famiglia?”.

che cosa Dice la comunità cristiana alla Famiglia Post-moDerna?Di fronte alla complessità della situazione, appena accennata,

come si pone la comunità cristiana?Credo che gli atteggiamenti utili siano soprattutto il discer-

nimento e l’annuncio. Si tratta, in altre parole, di dire con chiarezza qual è la visione cristiana sul matrimonio e la fami-glia, evidenziando le incongruenze di certe prassi e programmi attuali con il progetto di Dio, così come ce lo ha voluto rivelare. Diversamente rischieremmo di assecondare le richieste di co-loro che, come al profeta Isaia, chiedono di profetare illusioni, chiamando bene il male e male il bene (cf Is 30,10).

Occorre però che, specularmente, la Chiesa non s’accontenti di proporre l’astratta superiorità del modello tradizionale, ma che quest’ultimo spinga la forma migliore di relazione fra uomo e donna verso un forte consenso sociale. Il venerabile Giovanni

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Paolo II scriveva nella Familiaris Consortio – di cui l’anno pros-simo ricorrerà il trentesimo anniversario della pubblicazione – che «il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia»12.

Un impegno, a mio parere, ineludibile per dare forma a que-sto intendimento è l’opera educativa. Sappiamo che su questo i vescovi italiani intendono porre la sollecitazione delle Chiese particolari nel decennio corrente (a fine mese è atteso il docu-mento). In fondo era stato il Papa stesso a far convergere l’at-tenzione su questo tema parlando egli stesso per la sua diocesi di Roma di «emergenza educativa».

Certo, l’educazione è fatta di comunicazione di nozioni, da una qualche forma di “addestramento”, ma c’è dell’altro. Lo spiegava con la consueta chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI in Inghilterra:

«Come sapete, il compito dell’insegnante non è solo quello di impartire informazioni o di provvedere ad una preparazione tecnica per portare benefici economici alla società; l’educazio-ne non è e non deve essere mai considerata come puramente utilitaristica. Riguarda piuttosto formare la persona umana, preparare lui o lei a vivere la vita in pienezza – in poche parole riguarda educare alla saggezza. E la vera saggezza è inseparabile dalla conoscenza del Creatore perché “nelle sue mani siamo noi e le nostre parole, ogni sorta di conoscenza e ogni capacità operativa” (Sap 7,16)»13.

Penso che, per tendere a questi ideali, la strada maestra sia quella della testimonianza. Testimonianza, anzitutto, dei genitori cristiani. Ecco perché un piccolo passo in questa dire-zione vuol essere l’iniziativa di quest’anno pastorale dell’ufficio diocesano per la famiglia, che intende promuovere una serie di incontri per seguire meglio le coppie che curano i corsi di preparazione alle nozze. Ovviamente sarà indispensabile la collaborazione dei parroci nel segnalare – e magari nello sco-vare e nell’incoraggiare – coniugi disponibili a questa forma di apostolato. Del resto, come ricordava il Pontefice venti giorni fa al nuovo ambasciatore tedesco, la preparazione e l’accompa-gnamento degli sposi deve mirare a creare le condizioni di base per sviluppare una cultura della persona, un atteggiamento di fondo del singolo e della società14. Non a caso poi l’enciclica

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Caritas in veritate sottolinea il nesso profondo tra etica della vita ed etica sociale, spiegando che la questione sociale si pone nella nostra epoca come questione antropologica, ossia come riflessione su chi è l’uomo15.

Un settore determinante è ovviamente la catechesi. Per que-sto, da parecchi mesi, a livello regionale e diocesano gli Uffici per la catechesi e per la famiglia stanno interagendo per delineare un comune progetto educativo. Di fronte alle carenze della fa-miglia nella trasmissione dei valori e della fede la Chiesa – e la parrocchia in modo speciale – deve davvero presentarsi come «la Famiglia delle famiglie»16, secondo la felice espressione del venerabile Giovanni Paolo II.

mamma Kate

Termino raccontando brevemente la storia di una mamma inglese che, consapevole di essere in fase terminale, decide di lasciare al marito alcune regole di vita per i figli. In questa sorta di manuale per l’esistenza Kate Green si raccomanda di baciare i ragazzi, di lasciarli giocare, di cenare insieme almeno una volta alla settimana, di coltivare i girasoli, etc17. Commenta Mario Lodi, uno storico maestro della pedagogia: questa mam-ma è tutta concentrata su di sé e sui sentimenti. Manca asso-lutamente un discorso sul rispetto degli altri, sull’importanza dell’onestà, insomma: in una parola, mancano i valori veri e universali. «(…) ai bimbi si racconta la vita come un bel sogno senza ostacoli. Così crescono adulti che campano con la cocaina in tasca per non sentirsi dei falliti alla più piccola delusione»18, conclude sconfortato Lodi.

Mi sembra che questa vicenda, senza giudicarne i prota-gonisti, sia però l’emblema delle caratteristiche della famiglia postmoderna, con il trionfo della frammentarietà, dell’indivi-dualismo e del relativismo.

Credo che bisogna concentrarci nella prassi pastorale sull’educazione alla scelta libera e responsabile, cercando di far interagire le componenti della razionalità, della corporeità e della spiritualità, spezzando quel vincolo perverso che identifica l’autenticità con la verità, la spontaneità con la bontà morale, il desiderio con la sessualità, la procreazione con il mero ap-pagamento d’un bisogno affettivo. Sarebbe bello far emergere e

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condividere le best practices, le esperienze positive, che ci sono ma sono spesso sopraffatte dal buio. Anche perché un numero sempre crescente d’Italiani (attualmente il 93 %) considera im-portante la famiglia; vale la pena pertanto profondere in questo settore le nostre migliori energie.

NOTE

1 N. Milone, Lettera pastorale per la quaresima, 14 febbraio 1923, in http://www.diocesialessandria.it.

2 Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, ed., La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione (Percorsi, 122) Laterza, Roma – Bari 2009, 26.

3 Cf S. Tamaro, «Padri e figli, il grande abbandono», Corriere della Sera, 30 agosto 2010, 35.

4 P. Donati, Perché “la” famiglia? Le risposte della sociologia relazionale (Amore umano – strumenti, 3) Cantagalli, Siena 2008, 43.

5 Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2 aprile 2004, n° 213.

6 Basti citare Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n° 44.

7 P. Krugman, «Il vecchio Giappone galleggia e non affonda», Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2010, 1.

8 Cf G.C. Blangiardo, cit. in «Attenzione: siamo al punto di non ritorno», Avvenire, 1 ottobre 2010, 5.

9 Cf A. Morresi, «Paesi poveri? Fate figli in vitro», Avvenire, 1 ottobre 2010, 3; Id., «Un mercato delle provette dove mancano servizi sanitari e acqua corrente», ib.

10 J. Ratzinger, Omelia nella Messa pro eligendo Pontifice, 18 aprile 2005, in L’Osservatore Romano, 19 aprile 2005, 6-7.

11 Cf R. Boudon, Il relativismo (Universale Paperbacks, 561) Il Mulino, Bologna 2009.

12 Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n° 75.13 Benedetto XVI, Discorso a insegnanti e religiosi del St Mary’s università college

di Twieckenham, 17.09.2010, in L’Osservatore Romano, 18.09.2010, 9.14 Cf Benedetto XVI, Discorso al nuovo ambasciatore della Repubblica federale

di Germania presso la Santa Sede, 13.09.2010, in L’Osservatore Romano, 13-14.09.2010, 2.

15 Cf Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n° 75.16 Giovanni Paolo II, Omelia nella concelebrazione in occasione dell’incontro

mondiale delle famiglie, 9 ottobre 1994, n°5.17 Cf A. Malaguti, «“Mamma Kate vi dice addio con 100 consigli”», La Stampa, 2

ottobre 2010, 22.18 M. Lodi, cit. in E. Lisa, «“Ma ha dimenticato l’amore per il prossimo”», La Stampa,

2 ottobre 2010, 22.

4C.E.I.

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CONSIGLIO PERMANENTE Roma, 22-25 marzo 2010

COMUNICATO FINALE

Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episco-pale Italiana, presieduto dal Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, si è riunito a Roma per la sessione primaverile dal 22 al 25 marzo 2010. I Vescovi hanno apprezzato l’ispirazione teologica offerta dal Presidente per interpretare il momento pre-sente, con il pressante invito a una riconciliazione fondata sulla conversione di ciascuno. Condividendo la sensibilità manifestata dal Santo Padre nella 'Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda', si è ribadito che la pedofilia è "un crimine odioso, ma anche peccato scandalosamente grave che tradisce il patto di fiducia inscritto nel rapporto educativo" (prolusione, n. 2). Il peccato di alcuni non cancella però l’abnegazione di cui danno prova tantissimi sacerdoti: di essa fanno esperienza quotidiana le nostre

comunità, stimolate a un rinnovato impegno nel campo dell’educazione. Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, la cui bozza è stata puntualmente esaminata, avranno il compito di declinare nel concreto questa grande sfida che la Chiesa italiana intende raccogliere in alleanza con le componenti più avvertite della società. Anche l’approvazione della Lettera a quarant’anni dalla pubblicazione del Documento di base ‘Il rinno-vamento della catechesi’ risponde alla medesima preoccupazione e vuole promuovere una nuova stagione di evangelizzazione, soprattutto dei ragazzi e dei giovani.

L’analisi della situazione del nostro Paese ha orientato la riflessione circa il primato di quei ‘valori non negoziabili’, che Benedetto XVI ha chiaramente indicato nell’Enciclica 'Caritas in veritate' e che il Presidente ha nuovamente esemplificato.

L’ormai prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010) sarà da questo punto di vista un momento prezioso per declinare in un’agenda operativa i valori

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che rendono possibile e feconda la convivenza umana. Un’attenta riflessione è stata dedicata alla crescente presenza

in Italia di sacerdoti stranieri impegnati nel servizio pastorale e si è provveduto a un bilancio sulla fase di avvio del fondo di garanzia 'Prestito della speranza', promosso lo scorso anno dai Vescovi italiani. È stato poi autorizzato l’invio ai membri della CEI della seconda parte dei materiali destinati alla terza edizione italiana del Messale Romano.

Fra gli adempimenti amministrativi, si è presa visione della proposta di ripartizione dei fondi dell’otto per mille che perver-ranno nel 2010 e si è stabilita la misura del contributo annuale per il funzionamento dei Tribunali ecclesiastici regionali. Con l’approvazione delle relazioni finali, si è conclusa l’attività delle Commissioni Episcopali per il quinquennio 2005-2010.

1. la trasParenza è un Punto D’onore Della nostra azione Pastorale

Lo 'sgomento', il 'senso di tradimento' e il 'rimorso' per ciò che è stato compiuto da alcuni ministri della Chiesa spiegano l’atteggiamento fermo e illuminato di Benedetto XVI che, senza lasciare margini di incertezza né indulgere a minimizzazioni, invita la comunità ecclesiale ad accertare la verità dei fatti, as-sumendo nel caso i provvedimenti necessari. A lui va la piena ed affettuosa solidarietà dell’Episcopato italiano, che si stringe intorno a Pietro, grato per la cristallina testimonianza di fede e l’appassionato magistero. I Vescovi del Consiglio Permanente hanno anzitutto riaffermato la vicinanza alle vittime di abusi e alle loro famiglie, parte vulnerata e offesa della Chiesa stessa. Concordano sul fatto che il rigore e la trasparenza nell’appli-cazione delle norme processuali e penali canoniche sono la strada maestra nella ricerca della verità e non si oppongono, ma anzi convergono, con una leale collaborazione con le auto-rità dello Stato, a cui compete accertare la consistenza dei fatti denunciati. Ancora una volta, è stata confermata l’esigenza di un’accurata selezione dei candidati al sacerdozio, vagliandone la maturità umana e affettiva oltre che spirituale e pastorale. Si è pure sottolineato il valore del celibato, che non costituisce affatto un impedimento o una menomazione della sessualità, ma rappresenta, specialmente ai nostri giorni, una forma al-ternativa e umanamente arricchente di vivere la propria uma-

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nità in una radicale donazione a Cristo e alla Chiesa. Infine, si sono confermate piena fiducia e sincera gratitudine ai tanti sacerdoti che, al pari dei religiosi e delle religiose, si dedicano nel nascondimento e con spirito di abnegazione all’annuncio del Vangelo e all’opera educativa, costituendo spesso l’unico punto di riferimento in contesti sociali frammentati e sfilacciati.

2. una nuova stagione eDucativa e Di iniziazione cristiana Il Consiglio Permanente ha esaminato la bozza rivista degli

Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, dedicati al tema dell’educazione, ritenendola matura per l’invio a tutti i membri della Conferenza Episcopale, in vista della discussio-ne e dell’approvazione nel contesto della prossima Assemblea Generale, che si terrà a Roma dal 24 al 28 maggio. È stata autorizzata la pubblicazione della lettera della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, intitolata 'Annuncio e catechesi per la vita cristiana'. Suscitata dalla ricorrenza del quarantesimo anniversario della pubblica-zione del Documento di base 'Il rinnovamento della catechesi', essa riconferma la validità dell’opzione posta allora alla base del percorso catechetico della Chiesa in Italia, cioè la scelta antropologica per cui "chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre il messaggio" (n. 77). Nel contempo, sottolinea la necessità di una costante attenzione ai contenuti della dottrina cattolica, per non ridurre l’inizia-zione cristiana a una generica esperienza di animazione. La convinzione che soggetto della catechesi sia la comunità eccle-siale nel suo insieme, sia pure articolata nei diversi ministeri, rappresenta una feconda acquisizione che deve essere ancor più assimilata. Per questo si auspica che il prossimo decennio, dedicato all’educazione, sia anche l’occasione per riproporre una riflessione adeguata sull’iniziazione cristiana e per mettere a tema una più concreta dinamica di collaborazione fra associa-zioni, movimenti e gruppi ecclesiali in rapporto alla vita delle parrocchie e delle diocesi.

È stato, infine, autorizzato l’invio ai membri della CEI della seconda parte dei materiali preparati per la terza edizione ita-liana del Messale Romano.

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3. i 'valori non negoziabili' e la settimana sociale Dei cattolici italiani

Nel prendere visione della bozza del Documento preparato-rio dell’ormai imminente Settimana Sociale di Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010), la cui pubblicazione avverrà nei prossimi mesi sotto la responsabilità dell’apposito Comitato, si è dato rilievo all’impostazione e ai contenuti dell’Enciclica 'Caritas in veritate', punto di riferimento imprescindibile nel discerni-mento delle questioni che costituiranno l’agenda dell’evento. Si è in particolare ribadito che ogni questione sociale è sem-pre anche questione antropologica. A questo proposito, sono chiare ed esplicite le parole di Benedetto XVI: "Non può avere solide basi una società, che - mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace - si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata" (Caritas in veritate, n. 15). In tale contesto, si comprende appieno come i 'valori non negoziabili', richiamati nel dettaglio dal Presidente nella prolusione, rappresentino la ragione e la missione dell’impegno dei cattolici nell’azione politica e sociale. Essi sono: "la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indispo-nibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. È solo su questo fondamento - continua la prolusione - che si impianta-no e vengono garantiti altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata. Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società. Quale solidarietà sociale, infatti, se si rifiuta o sopprime la vita, specialmente la più debole?" (n. 8).

4. ulteriori Questioni eD aDemPimenti giuriDico-amministrativi Ampia attenzione è stata dedicata a un primo bilancio della

presenza di sacerdoti stranieri in Italia. Negli anni recenti, il

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numero di quanti di loro si dedicano al servizio pastorale, sia coadiuvando la pastorale ordinaria, sia prendendosi cura dei connazionali, è cresciuto in maniera significativa, e raggiunge il 5% del clero operante nel nostro Paese. Si è confermata l’esi-genza di mantenere vivi i legami con le Chiese di provenienza, nell’ottica della cooperazione missionaria, e di favorirne il pieno inserimento nel tessuto delle nostre diocesi. A tal fine, sono state approvate alcune modifiche ai modelli di convenzione in uso dal 2006.

Il Consiglio Permanente ha discusso la proposta di ripartizio-ne delle somme dell’otto per mille per l’anno corrente, in vista dell’approvazione da parte della prossima Assemblea Generale. È stata approvata la misura del contributo da assegnare ai Tribunali Ecclesiastici Regionali per le cause matrimoniali per l’anno in corso. Si tratta di un servizio che coinvolge questioni di rilevante spessore umano e cristiano e che costituiscono sem-pre casi di coscienza. Si è anche provveduto all’aggiornamento delle tariffe e dei compensi per l’attività dei Tribunali, tenendo fermo il principio di favorire l’accesso anche alle persone con limitate disponibilità finanziarie.

È stata attuata la verifica della fase di avvio del fondo di garanzia Prestito della speranza, promosso lo scorso anno dalla CEI per sostenere le famiglie numerose o con figli disabili rimaste senza lavoro. Preso atto della situazione economica del Paese, al fine di venire incontro a un maggior numero di situazioni di bisogno, si è deciso di abbassare da tre a due il numero dei figli che consente l’accesso al prestito.

È stata infine approvata una modifica dello statuto del Mo-vimento Ecclesiale di Impegno Culturale.

In conclusione del quinquennio di attività, sono state appro-vate le relazioni sull’attività delle dodici Commissioni Episcopali, verificando gli obiettivi raggiunti e le consegne da trasmettere alle Commissioni future. In questa occasione, il Cardinale Pre-sidente ha manifestato la riconoscenza dell’intero Episcopato ai Presidenti uscenti, nonché al Vice Presidente per l’area nord, S.E. Mons. Luciano Monari, che come loro concluderà in maggio il proprio mandato quinquennale.

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5. nomine Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha

provveduto alle seguenti nomine: - mons. Stefano Russo (Ascoli Piceno), Direttore dell’Ufficio

Nazionale per i beni culturali ecclesiastici, per un secondo quinquennio;

- don Claudiu Lucian Pop (Oradea), Coordinatore pastorale per gli immigrati greco-cattolici romeni;

- dott. Paolo Buzzonetti, revisore dei conti di Caritas Italiana; - p. Vincenzo Sibilio, SJ, Assistente ecclesiastico nazionale della

Comunità di Vita Cristiana Italiana (CVX); - S.E. Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo,

Assistente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane (ACISJF);

- mons. Giancarlo Santi (Milano), Presidente dell’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani.

La Presidenza della CEI, riunitasi il 22 marzo 2010, ha pro-ceduto alle seguenti nomine: - prof.ssa Maria Luisa De Natale, membro del Consiglio direttivo

del Centro Studi per la Scuola Cattolica; - rag. Ruggero Mischi, revisore dei conti della Fondazione Centro

Unitario per la cooperazione missionaria tra le Chiese (CUM).

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Conferenza Episcopale Italiana 61ª ASSEMBLEA GENERALE

Roma, 24-28 maggio 2010

Comunicato finale

Un’ampia e cordiale partecipazione ha caratterizzato la 61ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, riunita nell’Aula del Sinodo della Città del Vaticano dal 24 al 28 maggio 2010. Hanno preso parte ai lavori 237 membri, 21 Vescovi emeriti, 23 delegati di Conferenze episcopali europee, i rappresentanti di religiosi, consacrati e della Consulta nazionale delle Aggregazioni laicali, nonché alcuni esperti in ragione degli argomenti trattati.

I Vescovi hanno approvato il testo degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, incentrati sul tema dell’educazione. Il compito educativo è stato il cuore del discorso con il quale giovedì 27 maggio Papa Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti la sua parola autorevole e illuminata.

Nella prolusione il Presidente della CEI, Card. Angelo Bagna-sco, ha presentato in maniera organica e completa alcune questio-ni salienti: il dramma degli abusi sessuali commessi da sacerdoti su minori, occasione per richiamare anche il significato profondo della vocazione sacerdotale e la dimensione contemplativa della vita; la questione educativa, orizzonte nel quale valorizzare il ruolo della famiglia e della scuola e ribadire l’importanza della formazione di operatori nel campo della vita sociale e politica e della comunicazione; il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che vede “i credenti in Cristo tra i soci fondatori del Paese”.

Tra i temi pastorali, è stato oggetto di approfondimento speci-fico la presenza e il servizio dei sacerdoti stranieri in Italia.

Come ogni anno, si è dato spazio ad alcuni adempimenti am-ministrativi: l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI; la definizione dei criteri di ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2010; la presentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero.

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Distinte comunicazioni hanno illustrato la Fondazione Missio e il coordinamento degli organismi pastorali missionari; l’influsso di internet nell’azione pastorale della Chiesa in Italia; l’applicazione agli enti ecclesiastici delle normative in materia di sicurezza. Inol-tre sono stati presentati alcuni appuntamenti di saliente rilievo previsti nei prossimi mesi: la 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), la 26ª Giornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 16-21 agosto 2011) e il 25° Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 4-11 settembre 2011).

L’Assemblea ha eletto il Vice Presidente per l’area nord e i Presidenti delle dodici Commissioni Episcopali.

1. eDucare, Priorità Pastorale È una Chiesa che intende interpretare la propria missione

“senza complessi e senza menomazioni” quella che emerge dalla 61ª Assemblea Generale della CEI, approvando il testo degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020: un “orizzon-te temporale proporzionato alla radicalità e all’ampiezza della domanda educativa”, come sottolineato da Benedetto XVI nel suo discorso di giovedì 27 maggio.

In tale intervento – incentrato essenzialmente sul tema dell’educazione – il Papa ha richiamato anzitutto la necessità di superare “un falso concetto di autonomia”, in virtù del quale “l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo”. Al riguardo, ha ribadito che “solo l’incontro con il 'tu' e con il 'noi' apre l’ 'io' a se stesso”, per cui “la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione”. Vanno inoltre superati, ha spiegato il Santo Padre, “scetticismo” e “relativismo”, che escludono le “due fonti che orientano il cammino umano”, ossia la natura – intesa oggi come “una cosa puramente meccanica”, priva di “alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale, alcun orientamento dall’essere stesso” – e la Rivelazione (“considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale” o, comunque, non com-prendente “contenuti, ma solo motivazioni”). Quando tacciono la natura e la Rivelazione – ha aggiunto Benedetto XVI – “anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché diventa solo un

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agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro”.

Nell’incoraggiare la Chiesa italiana a “percorrere senza esi-tazione la strada dell’impegno educativo”, il Papa ha additato l’obiettivo di “formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria signifi-cativa, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza, che – mentre riconosce il fine trascendente della vita – orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio”.

Tale orizzonte di senso ha costituito lo sfondo anche della prolusione del Cardinale Presidente, ripresa e valorizzata da un ampio dibattito assembleare. In particolare, essa ha ribadito la necessità che “si affermi una generazione di adulti che non fug-gano dalle proprie responsabilità perché disposti a mettersi in gioco, a onorare le scelte qualificanti e definitive, a cogliere – loro per primi – la differenza abissale tra il vivere e il vivacchiare”.

Il testo degli Orientamenti pastorali è stato presentato nelle sue articolazioni: la lettera di consegna; i quattro capitoli, che evidenziano i fondamenti biblici, teologici, ecclesiali e i riferimen-ti socio-culturali dell’educazione e indicano i percorsi pedagogici e pastorali conseguenti; la proposta di alcune indicazioni relative a una possibile agenda pastorale per la scansione del decennio. Alla presentazione è seguito il dibattito in aula e nei gruppi di studio. Ascoltata la sintesi finale, l’Assemblea ha approvato il documento a larga maggioranza, demandando al gruppo redazionale di integrarlo alla luce delle osservazioni emerse e degli emendamenti votati. Il testo definitivo sarà presentato nel prossimo settembre al Consiglio Episcopale Permanente, che ne autorizzerà la pubblicazione.

2. soci FonDatori Del Paese Con i nuovi Orientamenti pastorali la Chiesa aggiunge un altro

tassello al proprio impegno sul fronte del bene comune, forte di una tradizione e di una storia millenarie, che l’hanno vista in prima linea a servizio dell’uomo e del suo sviluppo integrale. Per questo nella prolusione il Cardinale Presidente – guardan-do all’imminente ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia – non ha esitato ad affermare che “i credenti in Cristo si sentono tra i soci fondatori di questo Paese”.

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Nell’assicurare che la Chiesa – animata dalla premura per “l’interiore unità e la consistenza spirituale” dell’Italia - “non risparmierà energie morali né culturali per partecipare al signifi-cativo anniversario”, egli ha ribadito che “l’unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili: ogni auspicabile riforma condivisa, a partire da quella federalista, per essere un approdo giovevole, dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti”. Guardando al futuro, ha evidenziato due realtà strettamente connesse con il bene del Paese: la famiglia, per la quale ha domandato con urgenza “una politica che sia orientata ai figli”, anche al fine di uscire dal “lento suicidio demografico” verso il quale l’Italia sta scivolando; il lavoro, “preoccupazione che angoscia”, per cui è stato chiesto “un supplemento di sforzo e di cura all’intera classe dirigente del Paese”.

Questi temi sono stati ampiamente ripresi nel dibattito as-sembleare, nel quale è pure emersa l’opportunità di individuare un atto comune in vista della ricorrenza. Anche in questo sen-so la prossima Settimana Sociale, prevista in ottobre a Reggio Calabria, costituisce un’opportunità preziosa.

3. una verità oDiosa, aFFrontata con chiarezza I sacerdoti sono ogni giorno a servizio del bene di tutti: “Per

come stanno in mezzo al popolo, per come operano, per come si spendono – ha evidenziato il Cardinale Presidente nella pro-lusione - i nostri sacerdoti sono la gloria della nostra Chiesa. I casi di indegnità non possono oscurare il luminoso impegno che il clero italiano nel suo complesso, da tempo immemore, svolge in ogni angolo del Paese”. Il riconoscimento, condiviso dall’Assemblea, è tanto più significativo in quanto giunge in un momento in cui la Chiesa è ferita dal dramma della pedofilia, un problema “terrificante”, affrontato dal Papa “in maniera chiara ed incisiva”. Numerosi interventi hanno ribadito la necessità di una vera penitenza e conversione, unita al coraggio della verità – che, anche quando è “dolorosa ed odiosa”, non può essere taciuta o coperta – senza peraltro lasciarsi intimidire da generalizzazioni strumentali. Più voci hanno sottolineato la centralità della formazione – in particolare negli anni del semi-nario – per la quale sono richieste precise competenze, unite a

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un corretto discernimento, nonché ad una costante attenzione alla qualità umana e spirituale della vita del clero.

4. Presenza e servizio Pastorale Dei sacerDoti stranieri in italia La missione, che non conosce confini, vive di scambio e di

cooperazione tra le Chiese. Alla generosa tradizione italiana – che annovera a tutt’oggi circa diecimila missionari, fra cui cinquecento sacerdoti diocesani fidei donum – in tempi recenti si è affiancato anche il fenomeno inverso, che fa registrare una crescente presenza di sacerdoti stranieri, coinvolti a tempo pie-no nella pastorale delle diocesi italiane. Tale fenomeno è stato presentato analizzando alcune questioni di fondo: le motivazio-ni che soggiacciono a tale presenza; il rischio di impoverire le Chiese di provenienza, contribuendo nel contempo a raffreddare la disponibilità italiana alla missione; la necessità di accompa-gnare attivamente queste nuove presenze.

5. aDemPimenti Di carattere giuriDico-amministrativo L’Assemblea ha approvato la modifica dei termini per l’appro-

vazione e la comunicazione dei bilanci consuntivi degli Istituti Diocesani ed Interdiocesani per il sostentamento del clero. Come ogni anno, è stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della CEI, sono stati definiti e approvati i criteri per la riparti-zione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2010 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il sostentamento del clero.

6. comunicazioni e inFormazioni Distinte comunicazioni hanno illustrato la Fondazione Mis-

sio e il coordinamento degli organismi pastorali missionari; l’influsso di internet nell’azione pastorale della Chiesa in Italia; l’applicazione agli enti ecclesiastici delle normative in materia di sicurezza. Inoltre sono stati presentati alcuni appuntamenti di saliente rilievo previsti nel prossimo futuro: la 46ª Settima-na Sociale dei Cattolici Italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), la 26ª Giornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 16-21 agosto 2011) e il 25° Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 4-11 settembre 2011). È stata presentata la prossima Giornata per la carità del Papa, prevista per il 27 giugno, ed è stato ap-

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provato il calendario delle attività della CEI per il 2010-2011. A conclusione dei lavori, i Vescovi hanno deciso di indirizzare

una lettera ai presbiteri italiani, confermando il particolare ap-prezzamento per il loro servizio e ribadendo i valori fondamentali evidenziati nell’Anno Sacerdotale.

7. nomine Nel corso dei lavori, l’Assemblea Generale ha eletto Vice Pre-

sidente della CEI per l’area Nord S.E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo – Vescovo di Vicenza. Ha poi provveduto a eleggere i Presidenti delle dodici Commissioni Episcopali, che faranno parte del Consiglio Permanente per il prossimo quinquennio: - S.E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano, Presidente

della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’an-nuncio e la catechesi;

- S.E. Mons. Alceste Catella, Vescovo di Casale Monferrato, Presidente della Commissione Episcopale per la liturgia;

- S.E. Mons. Giuseppe Merisi, Vescovo di Lodi, Presidente della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute;

- S.E. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, Presidente della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata;

- S.E. Mons. Domenico Sigalini, Vescovo di Palestrina e Assi-stente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana, Presidente della Commissione Episcopale per il laicato;

- S.E. Mons. Enrico Solmi, Vescovo di Parma, Presidente della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita;

- S.E. Mons. Ambrogio Spreafico, Vescovo di Frosinone – Vero-li – Ferentino, Presidente della Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese;

- S.E. Mons. Mansueto Bianchi, Vescovo di Pistoia, Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo;

- S.E. Mons. Gianni Ambrosio, Vescovo di Piacenza – Bobbio, Presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università;

- S.E. Mons. Giancarlo Maria Bregantini, Arcivescovo di Cam-pobasso – Boiano, Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace;

- S.E. Mons. Claudio Giuliodori, Vescovo di Macerata – Tolenti-no – Recanati – Cingoli – Treia, Presidente della Commissione

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Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali; - S.E. Mons. Bruno Schettino, Arcivescovo di Capua, Presidente

della Commissione Episcopale per le migrazioni.

L’Assemblea Generale ha eletto membri del Consiglio per gli affari economici: S.E. Mons. Alfonso Badini Confalonieri, Vescovo di Susa; S.E. Mons. Giovanni Paolo Benotto, Arcive-scovo di Pisa; S.E. Mons. Pietro Farina, Vescovo di Caserta; S.E. Mons. Lorenzo Ghizzoni, Vescovo ausiliare di Reggio Emi-lia – Guastalla.

La Presidenza della CEI, nella riunione del 24 maggio, ha nominato Assistenti Ecclesiastici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: per la sede di Milano, P. Aldo Viscardi, IMC; per la sede di Roma, don Paolo Morocutti, dell’arcidiocesi di Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino.

Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione straordi-naria del 26 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: - don Cataldo Zuccaro, della diocesi di Frosinone – Veroli –

Ferentino, Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC), per un ulteriore triennio;

- don Paolo Mignani, dell’arcidiocesi di Torino, Assistente eccle-siastico nazionale della Gioventù Operaia Cristiana (GIOC);

- don Renzo Migliorini, della diocesi di Verona, Assistente ec-clesiastico nazionale del Movimento Apostolico Ciechi, per un ulteriore quadriennio;

- dott. Alberto Ratti, Presidente Nazionale Maschile della Fede-razione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

Il Consiglio Permanente ha aggiornato la composizione del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, per quanto concerne i membri Vescovi: S.E. Mons. Giancarlo Maria Bregantini, Arcivescovo di Campobasso – Boiano, Presidente della Commissione Episcopale per i pro-blemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; S.E. Mons. Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea; S.E. Mons. Michele Pennisi, Vescovo di Piazza Armerina. S.E. Mons. Miglio è stato confermato Pre-sidente dello stesso Comitato.

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Conferenza Episcopale ItalianaCONSIGLIO PERMANENTERoma, 27-30 settembre 2010

COMUNICATO FINALE

L’autorizzazione alla pubblicazione degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 è la principale decisione assunta dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, riunitosi a Roma dal 27 al 30 settembre 2010 sotto la presidenza del Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova. Il testo del documento, che sarà divulgato a fine ottobre e che si articola in cinque capitoli, preceduti da un’introduzione, esprime il rinnovato impegno in campo educativo della Chiesa italiana.

Nei corso dei lavori è stato approvato l’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale dei Vescovi, che si riunirà ad Assisi dall’8 all’11 novembre 2010. In vista di tale appuntamento, si è disposto l’invio ai Vescovi della prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano, che saranno esaminati in quella sede.

Il Consiglio Permanente si è dichiarato favorevole al rilancio del progetto denominato “Prestito della speranza”, finalizzato al sostegno delle famiglie numerose in difficoltà lavorativa: se ne agevoleranno le condizioni di accesso e si cercherà di contenere il tasso di interesse.

Un’attenzione specifica è stata posta al rilancio delle offerte libe-rali per il sostentamento dei sacerdoti, il cui progetto sarà illustrato nel dettaglio in occasione della prossima Assemblea Generale: accanto alle forme tradizionali di raccolta, si intende promuoverne la diffusione nelle parrocchie, ricorrendo anche ai canali di internet e della telefonia mobile.

Per il secondo anno consecutivo, il Consiglio Permanente ha de-ciso di non ritoccare il valore monetario del punto in base al quale si calcola la remunerazione del clero, adeguandolo al tasso di inflazione. È un gesto concreto chiesto a Vescovi e sacerdoti, come segno di solidarietà e condivisione con tanti cittadini che pagano

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le conseguenze del perdurare della crisi economica.Il rinnovo delle Commissioni Episcopali è stata l’occasione per un

approfondito confronto sulle modalità di lavoro di tali organismi, sul loro rapporto con gli uffici della CEI e sulla loro funzione in ordine alla comunione dell’Episcopato italiano.

1. un cantiere semPre aPerto

“Le nostre parrocchie sono simili a cantieri che non chiudono mai”, ha osservato il Cardinale Presidente nella sua prolusione, riferendosi in primo luogo alle innumerevoli iniziative – “finalizzate sempre all’educazione” – che hanno vivacizzato la stagione estiva appena conclusa (n. 1). Nel dibattito che è seguito all’apprezza-ta relazione del Card. Bagnasco, i Vescovi si sono soffermati in particolare sul tema dell’evangelizzazione. Hanno ribadito l’im-portanza di rinnovare l’azione pastorale, valorizzando in special modo le occasioni di incontro ordinario nelle parrocchie, quali la preparazione dei fidanzati e quella dei genitori in occasione della catechesi dei figli o della richiesta dei sacramenti. In particolare, si avverte l’urgenza di declinare la proposta cristiana secondo modalità educative e formative che siano in grado di raggiunge-re soprattutto le nuove generazioni. Sarà questa la strada sulla quale ci si intende muovere nei prossimi anni, alla luce dei nuovi Orientamenti pastorali.

2. Questione Di Dio e Questione Dell’uomo

I Vescovi sono consapevoli che la questione di Dio, stretta-mente congiunta a quella antropologica e quindi alla domanda sul senso della vita, è il vero problema dell’Occidente. Le stesse forme di degrado morale, che segnano tante manifestazioni del presente, più che la causa, appaiono come la conseguenza dello smarrimento del riferimento decisivo alla propria identità e li-bertà. Papa Benedetto XVI a più riprese ha dato voce all’esigenza di un nuovo annuncio cristiano, laddove vanno attenuandosi le tracce della tradizionale evangelizzazione. Il Cardinale Presi-dente, nel riproporne puntualmente il magistero, ha riaffermato un preciso impegno: “Come Chiesa pellegrina in questo Paese ci sentiamo coinvolti a far sì che il cittadino italiano non accantoni la questione-Dio, non la rimuova ritenendola anti-umana, e lasci affiorare la nostalgia che si nasconde in essa” (prolusione, n. 4).

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Si tratta di passare da una pastorale di conservazione a una di più ampio respiro missionario, che nel ripresentare Dio come “il garante della nostra felicità” sappia intersecare “le dimensioni fondamentali della vita, dal lavoro al tempo libero, dalla mobilità agli affetti” (ibid.).

3. PuriFicazione e rigore

Perché una simile testimonianza diventi efficace, la condizione indispensabile rimane la conversione a Cristo, “vera e fondamenta-le riforma della Chiesa” (prolusione, n. 2). Il Consiglio Permanente ha condiviso l’amarezza espressa dal Card. Bagnasco a fronte delle “vicende umilianti e dolorose” (ibid.) che negli ultimi mesi hanno interessato la Chiesa, e la sua sofferenza per “quei sacerdoti che si sono macchiati di inqualificabili crimini, con abusi su bambini e ragazzi” (n. 3). Nel ribadire la stima e la riconoscenza per la vita dignitosa e il servizio svolto con tanta abnegazione dalla stra-grande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi, i Vescovi hanno confermato l’impegno di proseguire con decisione nella via della purificazione, applicando le puntuali direttive emanate in materia dalla Santa Sede. La vigilanza si traduce, in particolare, in una rinnovata attenzione – fatta di esigente discernimento e rigore – alla formazione dei candidati al sacerdozio, nonché nell’impegno ad accompagnare il clero, senza smettere di additare quale meta con la quale confrontarsi la misura alta della santità.

4. Passione Per il Paese

Ampia attenzione è stata dedicata alla situazione sociale e politica del Paese, motivo di “angustia”, di “grande sconcerto” e di “acuta pena per discordie personali che, divenendo presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti appa-rentemente insanabili”, nonché per “polemiche inconcludenti”, che hanno sostituito la “necessaria dialettica” (prolusione, n. 6). È condivisa la coscienza dell’importanza della presenza nell’are-na politica di cattolici formati e appassionati a questa esigente forma di carità, uniti attorno a quei valori che costituiscono il fondamento irrinunciabile della socialità. Tale consapevolezza ha guidato anche la preparazione del Messaggio per la 33ª Giornata nazionale per la vita (6 febbraio 2011), il cui testo, approvato dal Consiglio Permanente, sarà pubblicato nei prossimi giorni.

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5. l’aPPuntamento Di reggio calabria

Assai significativo sarà in questo campo il contributo della 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14-17 ottobre 2010), finalizzata a tratteggiare “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”. Il cammino verso questo appuntamento, durato due anni, ha favorito la diffusione capillare e l’approfon-dimento della dottrina sociale della Chiesa, elemento essenziale della missione ecclesiale, nonché terreno di incontro e di dialogo con chi muove da altre visioni ideologiche e culturali. Ci sono perciò le basi perché il bene comune diventi “la bandiera che nel cuore si serve, la divisa che consente di identificare là dove sono i cattolici e non solo loro” (prolusione, n. 8). Il contributo dei cat-tolici si esprime anche nel richiamo al federalismo solidale, che esige “condizioni morali e culturali indispensabili” (n. 10), oltre che alla disponibilità ad assumere un maggiore carico di respon-sabilità a livello locale; nel richiedere una riforma fiscale ispirata criteri a equità, “a vantaggio del soggetto che per tutti – aziende, sindacato, scuole… – è decisivo, cioè la famiglia” (ibid.); nell’aver a cuore soprattutto “il destino dei giovani”, convinti che “non si procede ignorando le loro legittime aspettative” (n. 9).

6. nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alla nomina dei membri delle Commissioni Episcopali, i cui Presidenti erano stati eletti nel corso dell’Assemblea Generale tenuta nel maggio 2010. Di ciascuna Commissione Episcopale fa parte un Vescovo emerito, indicato dalla Presidenza.

Le Commissioni Episcopali per il quinquennio 2010-2015 ri-sultano così composte:

- Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

S.E. Mons. Marcello SEMERARO (Albano), Presidente; S.E. Mons Franco Giulio BRAMBILLA (aus. Milano); S.E. Mons. Giusep-pe CAVALLOTTO (Cuneo e Fossano); S.E. Mons. Diego COLETTI (Como); S.E. Mons. Sebastiano DHO (em. Alba); S.E. Mons. Dante LAFRANCONI (Cremona); S.E. Mons. Luciano MONARI (Brescia); S.E. Mons. Luigi NEGRI (San Marino – Montefeltro); S.E. Mons. Ignazio SANNA (Oristano); S.E. Mons. Lucio SORAVITO de FRAN-CESCHI (Adria – Rovigo).

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- Commissione Episcopale per la liturgiaS.E. Mons. Alceste CATELLA (Casale Monferrato), Presiden-

te; S.E. Mons. Beniamino DEPALMA (Nola); S.E. Mons. Paolo GILLET (già aus. Albano); S.E. Mons. Claudio MANIAGO (aus. Firenze); Dom Mauro MEACCI (Subiaco); S.E. Mons. Salvatore PAPPALARDO (Siracusa); S.E. Mons. Domenico SORRENTINO (Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino); S.E. Mons. Francesco Pio TAMBURRINO (Foggia – Bovino).

- Commissione Episcopale per il servizio della carità e la saluteS.E. Mons. Giuseppe MERISI (Lodi), Presidente; S.E. Mons.

Luigi BRESSAN (Trento); S.E. Mons. Armando DINI (em. Campo-basso – Boiano); S.E. Mons. Riccardo FONTANA (Arezzo – Cortona – Sansepolcro); S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO (Agrigento); S.E. Mons. Donato NEGRO (Otranto); S.E. Mons. Sergio PINTOR (Ozieri); S.E. Mons. Tommaso VALENTINETTI (Pescara – Penne).

- Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrataS.E. Mons. Francesco LAMBIASI (Rimini), Presidente; S.E.

Mons. Domenico CANCIAN (Città di Castello); S.E. Mons. Oscar CANTONI (Crema); S.E. Mons. Domenico Tarcisio CORTESE (em. Mileto – Nicotera – Tropea); S.E. Mons. Mario DELPINI (aus. Milano); S.E. Mons. Gianfranco Agostino GARDIN (Treviso); S.E. Mons. Francescantonio NOLÈ (Tursi – Lagonegro); S.E. Mons. Filippo STROFALDI (Ischia).

- Commissione Episcopale per il laicatoS.E. Mons. Domenico SIGALINI (Palestrina), Presidente; S.E.

Mons. Armando BRAMBILLA (aus. Roma); S.E. Mons. Pietro BROLLO (em. Udine); S.E. Mons. Domenico CALIANDRO (Nardò – Gallipoli); S.E. Mons. Salvatore GRISTINA (Catania); S.E. Mons. Antonio LANFRANCHI (Modena – Nonantola); S.E. Mons. Gual-tiero SIGISMONDI (Foligno); S.E. Mons. Giancarlo VECERRICA (Fabriano – Matelica).

- Commissione Episcopale per la famiglia e la vitaS.E. Mons. Enrico SOLMI (Parma), Presidente; S.E. Mons.

Benvenuto Italo CASTELLANI (Lucca); S.E. Mons. Pietro Maria FRAGNELLI (Castellaneta); S.E. Mons. Mauro PARMEGGIANI

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(Tivoli); S.E. Mons. Mario RUSSOTTO (Caltanissetta); S.E. Mons. Giulio SANGUINETI (em. Brescia); S.E. Mons. Pietro SANTORO (Avezzano); S.E. Mons. Angelo SPINILLO (Teggiano – Policastro).

- Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese

S.E. Mons. Ambrogio SPREAFICO (Frosinone – Veroli – Feren-tino); S.E. Mons. Alfonso BADINI CONFALONIERI (Susa); S.E. Mons. Francesco BESCHI (Bergamo); S.E. Mons. Flavio Roberto CARRARO (em. Verona); S.E. Mons. Giuseppe FIORINI MOROSINI (Locri – Gerace); S.E. Mons. Antonio MATTIAZZO (Padova); S.E. Mons. Michele SECCIA (Teramo – Atri); S.E. Mons. Gianfranco TODISCO (Melfi – Rapolla – Venosa).

- Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogoS.E. Mons. Mansueto BIANCHI (Pistoia), Presidente; S.E. Mons.

Michele CASTORO (Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo); S.E. Mons. Rodolfo CETOLONI (Montepulciano – Chiusi – Pien-za); S.E. Mons. Giuseppe CHIARETTI (em. Perugia – Città della Pieve); S.E. Mons. Michele DE ROSA (Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti); S.E. Mons. Bruno FORTE (Chieti – Vasto); S.E. Mons. Karl GOLSER (Bolzano – Bressanone); S.E. Mons. Santo MARCIANÒ (Rossano – Cariati).

- Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università

S.E. Mons. Gianni AMBROSIO (Piacenza – Bobbio), Presidente; S.E. Mons. Piero COCCIA (Pesaro); S.E. Mons. Salvatore DI CRI-STINA (Monreale); S.E. Mons. Lorenzo LOPPA (Anagni – Alatri); S.E. Mons. Edoardo MENICHELLI (Ancona – Osimo); S.E. Mons. Michele PENNISI (Piazza Armerina); S.E. Mons. Eugenio RAVIGNA-NI (em. Trieste); S.E. Mons. Sebastiano SANGUINETTI (Tempio – Ampurias); S.E. Mons. Claudio STAGNI (Faenza – Modigliana); S.E. Mons. Giuseppe ZENTI (Verona).

- Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace

S.E. Mons. Giancarlo Maria BREGANTINI (Campobasso – Bo-iano), Presidente; S.E. Mons. Giampaolo CREPALDI (Trieste);

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S.E. Mons. Domenico Umberto D’AMBROSIO (Lecce); S.E. Mons. Tommaso GHIRELLI (Imola); S.E. Mons. Giovanni GIUDICI (Pavia); S.E. Mons. Andrea Bruno MAZZOCATO (Udine); S.E. Mons. Giuseppe ORLANDONI (Senigallia); S.E. Mons. Giovanni RICCHIUTI (Acerenza); S.E. Mons. Giovanni SANTUCCI (Massa Carrara – Pontremoli); S.E. Mons. Bassiano STAFFIERI (em. La Spezia – Sarzana – Brugnato).

- Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali

S.E. Mons. Claudio GIULIODORI (Macerata – Tolentino – Re-canati – Cingoli – Treia), Presidente; S.E. Mons. Roberto BUSTI (Mantova); S.E. Mons. Giovanni D’ERCOLE (aus. L’Aquila); S.E. Mons. Carlo MAZZA (Fidenza); S.E. Mons. Mario MEINI (Fiesole); S.E. Mons. Luciano PACOMIO (Mondovì); S.E. Mons. Giuseppe PETROCCHI (Latina – Terracina – Sezze – Priverno); S.E. Mons. Cosmo Francesco RUPPI (em Lecce); S.E. Mons. Gastone SIMONI (Prato); S.E. Mons. Antonio STAGLIANÒ (Noto).

- Commissione Episcopale per le migrazioniS.E. Mons. Bruno SCHETTINO (Capua), Presidente; S.E. Mons.

Franco AGOSTINELLI (Grosseto); S.E. Mons. Giuseppe ANDRICH (Belluno – Feltre); S.E. Mons. Lino Bortolo BELOTTI (già aus. Bergamo); S.E. Mons. Guerino DI TORA (aus. Roma); S.E. Mons. Calogero LA PIANA (Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela); S.E. Mons. Domenico MOGAVERO (Mazara del Vallo); S.E. Mons. Paolo SCHIAVON (aus. Roma).

Il Consiglio Episcopale Permanente ha proceduto anche alle seguenti nomine:

- Consiglio per gli affari giuridiciS.E. Mons. Carlo Roberto Maria REDAELLI (aus. Milano), Pre-

sidente; S.E. Mons. Lorenzo GHIZZONI (aus. Reggio Emilia – Gua-stalla); S.E. Mons. Filippo IANNONE (Sora – Aquino – Pontecorvo); S.E. Mons. Alberto TANASINI (Chiavari); S.E. Mons. Giuseppe VERSALDI (Alessandria).

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- Collegio dei revisori dei conti della Conferenza Episcopale Italiana

S.E. Mons. Roberto BUSTI (Mantova), Presidente; S.E. Mons. Mauro PARMEGGIANI (Tivoli); Dott. Giuliano GRAZIOSI.

- Vescovi membri della Presidenza di Caritas Italiana: S.E. Mons. Riccardo FONTANA (Arezzo – Cortona – Sansepolcro); S.E. Mons. Donato NEGRO (Otranto).

- Presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di inter-vento a favore dei beni culturali ecclesiastici: S.E. Mons. Simone GIUSTI (Livorno).

- Responsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto: Mons. Giuseppe RUSSO (Taranto).

- Coordinatore nazionale per la pastorale dei cattolici filippini in Italia: Padre Paulino Elmer BUMANGLAG, SVD.

- Consulente ecclesiastico della Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana: Don Edoardo ALGERI (Berga-mo).

- Presidente della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia: Dott. Francesco ANTONETTI.

Ha proceduto altresì alle seguenti conferme:- Presidente nazionale dell’Unione Apostolica del Clero: Mons.

Vittorio PERI (Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino).- Presidente dell’Associazione Biblica Italiana: Don Luca MAZ-

ZINGHI (Firenze).

La Presidenza della CEI, riunitasi lunedì 27 settembre, ha nominato:- il Dott. Carlo BINI, Direttore Generale dell’Istituto Centrale per

il sostentamento del clero, membro del Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici e del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica;

- Don Mauro BIANCHI (Piacenza – Bobbio) Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Piacenza.

La Presidenza ha dato il benestare alla nomina di Don Valerio BERSANO (Alessandria) a Segretario Nazionale della Pontificia Opera della Propagazione della fede.

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Conferenza Episcopale Italiana62ª ASSEMBLEA GENERALE

Assisi, 8 - 11 novembre 2010

Comunicato finale La comunione cordiale e grata con il Successore di Pietro e un

clima di affetto collegiale hanno caratterizzato la 62ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, riunita in Assisi - Santa Maria degli Angeli dall’8 all’11 novembre 2010. Hanno preso parte ai lavori 211 membri, 8 Vescovi emeriti, rappre-sentanti dei religiosi, delle religiose, degli istituti secolari, della Commissione Presbiterale Italiana e della Consulta Nazionale delle aggregazioni laicali, nonché alcuni esperti in ragione degli argomenti trattati.

Con una prolusione ampiamente apprezzata, il Card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, ha offerto una lettura puntuale e approfondita di alcune questioni rilevanti: i processi di secola-rizzazione in atto e le condizioni per una nuova evangelizzazione, chiave del rinnovamento spirituale e morale; il ruolo della religione in ambito politico-sociale e il contributo dei cattolici; la vicinanza operosa e propositiva delle Chiese alle famiglie provate dalla crisi economica e dalla disoccupazione; la liturgia, incontro tra il volto dell’uomo e quello di Dio in Gesù Cristo.

Proprio l’ambito liturgico, posto al centro dei lavori, ha visto l’esame e l’approvazione della prima parte dei testi della terza edizione italiana del Messale Romano. La liturgia è stata anche il filo conduttore del messaggio del Santo Padre che, nell’espri-mere ai Vescovi affettuosa vicinanza e fraterno incoraggiamento, ha sottolineato come ogni celebrazione abbia il suo fulcro nella presenza, nel primato e nell’opera di Dio.

Un congruo spazio di riflessione e di confronto è stato dedica-to alla raccolta di proposte per l’attuazione degli Orientamenti pastorali recentemente pubblicati e incentrati sull’educazione; al rapporto tra le Chiese e l’Unione Europea; al rilancio delle erogazioni liberali per il sostentamento del clero. Accanto a una

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comunicazione sullo stato della rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, sono state fornite informazioni in me-rito alla XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 16 - 21 agosto 2011), al XXV Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 3 - 11 settembre 2011) e al VII Incontro Mondiale delle Famiglie (Milano, 30 maggio - 3 giugno 2012).

1. le chiese, “risorsa non surrogabile”Il progresso della scienza e della tecnica ha permesso di con-

seguire risultati significativi, ma vede spesso “la sfera morale confinata nell’ambito soggettivo e Dio, quando non viene negato, comunque escluso dalla sfera pubblica”.

Il rilievo, contenuto nel messaggio del Papa, è in piena sin-tonia con il pensiero dell’Episcopato italiano, mosso da una passione educativa a tutto campo. Già nella sua prolusione il Cardinale Presidente, riprendendo i temi toccati da Bene-detto XVI nel recente viaggio in Inghilterra, ha spiegato che se la ragione purifica la religione, liberandola dalle tentazioni del settarismo e del fondamentalismo, a sua volta la religione svolge un servizio altrettanto prezioso nei riguardi della ragio-ne: la illumina, permettendole di recuperare le profondità dei principi e di verificarne l’applicazione, evitando riduzionismi e manipolazioni ideologiche.

Il dibattito assembleare ha evidenziato che ripartire dalla ragione costituisce anche un modo fruttuoso per entrare in dialogo con la cultura e, più in generale, con la società. La ra-gione stessa riconosce nella natura umana quei principi o valori “non negoziabili” che, se rispettati come tali, sono garanzia della dignità di ogni persona e costituiscono una forza unitiva per l’intero tessuto sociale.

Nelle parole del Cardinale Presidente, l’apporto delle Chie-se rimane “risorsa non surrogabile” per un Paese che non si rassegni a “galleggiare”, rinunciando a quei presupposti etico-culturali indispensabili per una crescita e uno sviluppo in con-fronto serrato con situazioni sempre nuove. A tale proposito, è stata ribadita con forza la consapevolezza dell’irrinunciabilità della rilevanza pubblica della fede.

A fronte della tentazione diffusa dell’accidia, cioè di un vivere senza cura e senza slanci, i Vescovi riscontrano nelle comunità

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cristiane un interesse crescente verso la dimensione politica dell’impegno pubblico. Essi hanno espresso soddisfazione condivisa per il felice esito della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, svoltasi a Reggio Calabria nell’ottobre scorso: concorde è la scelta di non omologarsi al pessimismo dilagante, per ab-bracciare invece la prospettiva della speranza, con cui leggere e ordinare i problemi del Paese secondo un’agenda propositiva. Da ciò nasce la necessità di riprenderne e valorizzarne con co-raggio i contenuti.

Su questa stessa strada è stato sottolineato che alla debolezza dell’azione politica si deve rispondere con un maggiore impegno di formazione alla sfera sociale, anche per qualificare in tale ambito una competenza che non può essere improvvisata. Essa è piuttosto frutto di una scuola che sa muoversi in maniera continuativa sui tempi lunghi e, mentre plasma al bene comune a partire dalla dottrina sociale della Chiesa, si snoda secondo un’educazione accompagnata da buone pratiche.

Tra le situazioni difficili, nei confronti delle quali i Vescovi si sentono particolarmente solidali, c’è il disagio delle famiglie provate dalla crisi economica, degli adulti estromessi dal si-stema produttivo e dei giovani privi di un lavoro stabile: a tale riguardo, è stata accolta con favore la suggestione del Cardinale Presidente di un tavolo fra governo, forze politiche, sindacati e parti sociali per approntare un piano emergenziale sull’occu-pazione. Particolare vicinanza è stata espressa alle popolazioni italiane colpite in questi giorni da esondazioni e allagamenti. Tutte le comunità sono invitate a pregare domenica 21 novem-bre, Solennità di Cristo Re, per i cristiani dell’Iraq, che soffrono la tremenda prova della testimonianza cruenta della fede.

2. “cercatori Di Dio e Dei suoi sentieri”La Chiesa in Italia ha scelto come prioritario il versante

educativo, sul quale essa si trova ad affrontare una secolariz-zazione che, presentandosi con promesse di una libertà senza vincoli, consegna in realtà a una “solitudine senza futuro”. Per contrastare tali processi, i Vescovi rinnovano il loro impegno: “per quello che possiamo, per tutto quello che siamo e saremo in grado di mettere in campo in termini di passione educativa, di dedizione per la vocazione e la felicità delle nuove generazioni,

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noi continueremo ad esserci” (cfr prolusione). Ne è segno eloquente il documento Educare alla vita buona del

Vangelo, che contiene gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. Su di essi, i Vescovi hanno lavorato nei gruppi di studio, al fine di focalizzare indicazioni concrete per la program-mazione pastorale. Proprio la fiducia nella possibilità di educare anche in questa stagione non facile, porta ad assumersene la responsabilità, visto che “crescere non è un automatismo lega-to all’età o ai titoli di studio, ma richiede la coltivazione di sé, la capacità di riflessione, la palestra delle virtù”. In questo la Chiesa si sente sostenuta dalla consapevolezza di essere voce attesa e ascoltata sia dai credenti praticanti (secondo recenti rilevamenti demoscopici, il 27,9% degli italiani partecipa ogni domenica alla celebrazione eucaristica; il 18,9% lo fa una o due volte al mese; il 24,2% almeno qualche volta all’anno) sia, più in generale, dall’opinione pubblica, che vede nella Chiesa la forza ancora in grado di unire un tessuto sociale sfilacciato.

Negli interventi assembleari è emersa la necessità di indivi-duare percorsi formativi che aiutino ad abbracciare scelte di vita autentica. Nello specifico, è stato sottolineato il valore dell’ascesi e dello spirito di sacrificio, nonché l’urgenza di un’educazione positiva della sessualità in ordine al progetto di Dio. L’impe-gno educativo esige che sia salvaguardata l’autonomia della coscienza credente. Ciò che fa la differenza rispetto al sentire comune, è l’esperienza di fede: è questa che permette di essere “sale della terra” e “luce del mondo”. In questa direzione non sono mancati auspici per una riforma morale e intellettuale, a partire da una cura sempre più puntuale della formazione sacerdotale, al fine di far crescere pastori credibili, affidabili e capaci di interpretare i segni dei tempi. Di qui l’apprezzamento per i contenuti della Lettera recentemente indirizzata dal Papa ai seminaristi e l’invito ai giovani a riconoscere quella nostalgia incomprimibile di felicità vera, che trasforma in “cercatori di Dio e dei suoi sentieri”. Per la formazione di questi ultimi, è stata evidenziata la necessità di investire con coraggio maggiori risor-se umane ed economiche. Allo stesso modo, la convinzione del primato della famiglia deve tradursi sul fronte civile in politiche adeguate e, su quello più propriamente ecclesiale, nella scelta di non arrendersi alle gravi difficoltà, per affrontarle invece

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con spirito di misericordia, di comprensione e di chiarezza. A fronte della penuria delle risorse disponibili, non è mancato il richiamo a un rinnovato impegno a tutela e sostegno della scuola paritaria, come pure a una maggiore valorizzazione degli insegnanti di religione cattolica.

3. Per una FeDe Più trasParente e Praticabile

Al cuore dei loro lavori, i Vescovi, dopo aver affrontato alcune questioni puntuali, hanno approvato la prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano. Nella prossima Assemblea Generale (maggio 2011) saranno analizzati i restanti testi, prima dell’approvazione generale e della loro trasmissione alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacra-menti, a cui spetterà autorizzare la pubblicazione della nuova versione italiana del Messale Romano.

Nel suo messaggio, il Santo Padre ha ricordato ai convenuti che “ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si apre oltre il tempo”. La prospettiva che ha animato la revisione del Messale – finalizzata all’obiettivo di “rendere ancor più trasparente e praticabile quella stessa fede che risale all’epo-ca della Chiesa nascente” (Benedetto XVI) – ha visto i Vescovi coniugare la fedeltà ai testi originali con la consapevolezza delle mutate condizioni temporali.

4. chiese e unione euroPea

Il rapporto tra le Chiese e l’Unione Europea è stato oggetto di una relazione competente e apprezzata, che ha suscitato grande interesse. Essa ha messo in luce come, nonostante la mancata citazione nei documenti ufficiali delle radici cristiane della civiltà europea, una consapevolezza sempre più diffusa vede la reli-gione al centro del dibattito sull’identità e il futuro dell’Unione Europea, mentre si profila il difficile compito di armonizzare tradizioni e valori di una società multietnica, interculturale e multireligiosa. All’esplicito riconoscimento anche sul piano giuridico del contributo specifico che le Chiese e le comunità religiose possono apportare alla governance del sistema comu-nitario, corrisponde una crescente partecipazione dei soggetti confessionali agli sviluppi del processo di integrazione.

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Se rimangono da individuare soggetti, contenuti e modali-tà del dialogo fra l’Unione Europea e le confessioni religiose, l’apertura favorisce comunque l’inclusione delle Chiese fra gli interlocutori stabili del processo di integrazione europea. Ciò non implica l’attribuzione di un privilegio incompatibile con la democrazia, ma semmai rafforza la partecipazione democratica; non contrasta con il principio di laicità, ma lo realizza secondo una prospettiva coerente con il contenuto positivo della libertà religiosa e con il ruolo riconosciuto alle istituzioni religiose in relazione alle esigenze della persona.

5. il rilancio Delle oFFerte Per il sostentamento Del clero

Un ulteriore approfondimento ha affrontato la questione del rilancio delle offerte deducibili per il sostentamento dei sacer-doti, uno dei canali individuati al momento della riforma del sistema di finanziamento della Chiesa in Italia. I Vescovi hanno condiviso l’opportunità di promuovere nei fedeli sempre più l’educazione alla corresponsabilità, anche per rendere dispo-nibili ulteriori risorse economiche da destinare alle esigenze di culto e pastorale e alla carità.

A tale scopo sono state presentate all’Assemblea talune proposte operative nel segno della trasparenza. Esse mirano a promuovere la partecipazione attiva e responsabile di tutti e la conoscenza, mediante un libro bianco (cfr www.offertesacerdoti.it), delle opere realizzate sul territorio con i fondi dell’otto per mille.

6. comunicazioni e inFormazioni

Una comunicazione ha fornito ai Vescovi un aggiornamento sullo stato della rilevazione delle opere sanitarie e sociali ec-clesiali, avviato lo scorso anno a livello nazionale. Emerge un quadro di presenze straordinariamente ricco, animato dalla prossimità a quanti si trovano in situazione di bisogno e di disagio; esso necessita di essere ulteriormente conosciuto e meglio coordinato.

È ormai avviato da tempo in tutte le diocesi il percorso di pre-parazione alla XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 16 - 21 agosto 2011). Il principale strumento di informazione è costituito dal sito internet www.gmg2011.it, curato dal Servizio

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Nazionale per la pastorale giovanile.Con il titolo “Signore, da chi andremo?” si svolgerà ad Ancona

dal 3 all’11 settembre 2011 il XXV Congresso Eucaristico Na-zionale, che intende avere tra i suoi tratti salienti la dimensione popolare e quella territoriale. Ulteriori informazioni sono fin da ora disponibili sul sito internet www.congressoeucaristico.it.

“La famiglia: il lavoro e la festa” è il tema dell’VII Incontro Mondiale delle Famiglie (Milano, 30 maggio - 3 giugno 2012), a cui si affiancherà un convegno teologico-pastorale. Allo scopo di valorizzare riflessioni e approfondimenti, nonché di presentare appuntamenti e iniziative, è stato predisposto il sito internet www.family2012.com.

7. nomine

La Presidenza della CEI, riunitasi l’8 novembre, ha provve-duto alle seguenti nomine:

- Consiglio di amministrazione della Fondazione di religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena: S.E. Mons. Ma-riano CROCIAtA, Segretario Generale della CEI, Presidente; S.E. Mons. Dino DE ANtONI, Arcivescovo di Gorizia; S.E. Mons. Erne-sto MANDARA, Vescovo ausiliare di Roma; S.E. Mons. Salvatore NUNNARI, Arcivescovo di Cosenza – Bisignano; mons. Giampietro FASANI, Economo della CEI.

- Collegio dei revisori dei conti della Fondazione di religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena: dott. Paolo BUz-zONEttI, Presidente; rag. Fabio PORFIRI, membro effettivo; mons. Mauro RIvELLA, Sottosegretario della CEI, membro effettivo; rag. Renzo BOLDRINI, membro supplente; mons. Adolfo zAMBON, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici, membro supplente.

- Consiglio di amministrazione dell’Istituto Centrale per il sostentamento del clero per il quinquennio 2011-2015: don Giovanni SOLIGO (Treviso), Presidente, dott. Giorgio FRANCESCHI, Vice Presidente, prof. Giuseppe Maria CIPOLLA, dott. Giacomo GNUttI, dott. Federico MANzONI, dott.ssa Maria SPECIALE; membri eletti in rappresentanza del clero: don Ermenegildo ALBANESE (Oppido Mamertina – Palmi); don Simone DI vItO (Gaeta); don Claudio RUBAGOttI (Cremona).

- Collegio dei revisori dei conti dell’Istituto Centrale per il

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sostentamento del clero per il quinquennio 2011-2015: mons. Giampietro FASANI, Economo della CEI, Presidente; dott. Giulia-no GRAzIOSI, membro effettivo; mons. Luciano vINDROLA (Susa), membro effettivo, in rappresentanza del clero; dott. Paolo BUzzO-NEttI, membro supplente; don Umberto OLtOLINI (Milano), membro supplente, in rappresentanza del clero.

- Co-Presidente dell’Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica: S.E. Mons. Si-mone GIUStI, Vescovo di Livorno, Presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici.

- Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma: don Hector Eduardo QUIROS QUINtERO (Darien).

Nella riunione del 10 novembre, il Consiglio Episcopale Per-manente ha eletto S.E. Mons. Salvatore LIGORIO, Arcivescovo di Matera – Irsina, membro della Commissione Episcopale per le migrazioni.

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5CONSIGLIOPASTORALE DIOCESANO

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Martedì 28 settembre 2010 alle ore 19.20 presso l’ex Semi-nario Santa Chiara si è riunito, in seduta ordinaria, il CONSIGLIO PAStORALE DIOCESANO (CPD) per discutere il seguente Ordine del Giorno:1. Intervento del Vescovo;2. Relazione dei Responsabili delle Zone, delle Associazioni e

dei Movimenti sulla sintesi proposta dal Vescovo “Essere comunità cristiana oggi”;

3. Definizione delle Linee Pastorali diocesane;4. Presentazione del Calendario diocesano; 5. Varie ed eventuali.

Gli assenti (giustificati e non) sono rilevabili dal Registro delle firme.

Presiede Mons. Vescovo, modera Agostino Pietrasanta.“Ci sentiamo Chiesa locale unita a quella universale e a

quella italiana riunita in questi giorni dalla presidenza della Cei, amati dal Signore e chiamati a compiere una missione che è quella della evangelizzazione”: con queste parole pronunciate da Mons. Giuseppe Versaldi si sono aperti i lavori del Consiglio Pastorale Diocesano; “assistiti dallo Spirito Santo – ha continua-to il Pastore della Chiesa alessandrina - vogliamo invocarlo in particolare sulla Missione diocesana che il prossimo 2 ottobre inizierà la sua seconda fase nelle nostre tre parrocchie cittadine (S. Alessandro, S. Rocco e S. Stefano) e vogliamo pregare perché lì l’annuncio missionario possa avere tutta la sua fecondità, ma anche tutto il resto della Chiesa possa ubbidire al comando di evangelizzazione e di testimonianza e supportare l’impegno di queste comunità parrocchiali”.

1. intervento Del vescovo

Alla recita della preghiera per la Missione cittadina ha fatto seguito l’intervento introduttivo di Mons. Vescovo nel quale ha voluto contestualizzare il tema “Essere comunità cristiana oggi”, che è in perfetta continuità con l’orientamento già focalizzato da decenni nella Chiesa italiana, ossia la nuova evangelizzazio-ne; argomento questo ancora approfondito ed attualizzato nel convegno di Verona del 2006 con spunti di notevoli novità ed

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interessi. In questo senso, risulta sempre più evidente che non ci può essere una evangelizzazione e testimonianza individuale bensì comunitaria; proprio riferendosi all’articolo del teologo Castellucci alla Settimana di aggiornamento pastorale - oggetto di riflessione per il nostro incontro - si evidenzia come storica-mente nelle diverse tipologie di comunità cristiana, pur nella variazione dei tempi e dei luoghi, l’aspetto comunitario costitui-sca sempre il denominatore comune. La nuova evangelizzazione porta ad un rinnovamento continuo della Chiesa che è insieme nella continuità e nella discontinuità, perché rinnovamento non significa soltanto ripetizione del passato pur rimanendo saldamente ancorati ad esso. Al riguardo Mons. Versaldi affer-ma la propria convinzione in merito, sottolineando che “la vera tradizione è quella che sa rinnovarsi perché i momenti migliori della storia della Chiesa non sono stati quelli della stasi, bensì i tempi dell’intuizione; e ancora, i grandi riformatori - a comin-ciare dai santi e poi anche nel magistero e nella dottrina, nella teologia - sono stati quelli che, pur prendendo dal passato, non lo hanno solamente ripetuto, proprio perché i momenti statici non hanno mai portato molto progresso nella Chiesa e tanto meno evangelizzazione”. Lo stato di Missione in cui ci siamo posti come Diocesi e che si attualizza ora nella sua seconda fase di evento, che porta la Chiesa alessandrina in diretto e positivo dialogo con l’intera realtà del mondo in cui viviamo, è in perfetta continuità con questa spinta della nuova evange-lizzazione; in questo contesto, Mons. Vescovo richiama alcuni passi della prolusione che il presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, ha messo in evidenza. La prolusione si apre con un chiaro riferimento alle parrocchie: “Ci sentiamo in profonda sintonia con le comunità cristiane che costellano il territorio del nostro Paese. La parrocchia, quale luogo di generazione e di esperienza della fede – in osmosi, per quanto è possibile, con la famiglia e in aiuto della stessa – ha compiti che la inducono a osare continuamente, ad essere pronta a ricominciare da capo con chiunque incontri sui sentieri della vita”. La riflessione di Bagnasco mette in evidenza questo, in continuità con il passato ma anche come segno di unità e di novità, cioè il rinnovamento parte dal presupposto di un’analisi che i tempi cambiano e non si possono dare per scontati elementi che erano temporanei e

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che, pertanto, vanno sempre aggiornati; in questo senso, parla ancora delle parrocchie come cantieri che non chiudono mai. L’evangelizzazione è il secondo tema rilevante, che emerge in riferimento alla recente istituzione del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. È significativo che il cardinal Bagnasco inviti la comunità ecclesiale italiana a riflettere su questa iniziativa avanzata dal Papa, di una nuova evangelizzazione di tutti i Paesi di antica tradizione cristiana. Dice, appunto, il presidente della Cei: “Nonostante alcune consuete e preconcette interpretazioni, l’iniziativa introduce un movimento nuovo, e per certi versi ardito, rispetto ad una visione rassegnata dei problemi: ricorda e conferma la chiave di impegno specificamente missionario, da cui non possono ritenersi esenti i Paesi di antica tradizione cristiana. È vero che oggi bisogna fare i conti con un certo indifferentismo religioso, ma Dio non cessa di venire incontro all’uomo, anzi, non può non farlo: è questa la sua incapacità! È sempre Lui che, per primo, viene a cercare l’uomo che sembra non soffrire della sua mancanza, che vive in culture a volte eccentriche e non di rado frastornanti. Ma il suo braccio non si è accorciato: Dio è Dio sempre, anche in questo tempo. Non siamo noi a doverci esibire in numeri acrobatici, è Lui a compiere il miracolo. La Chiesa semmai deve sforzarsi di essere la sua trasparenza, deve offrire il proprio innamoramento per Dio come il suo unico tesoro”. E poi ancora parla dell’ “esigenza di un nuovo annuncio cristiano proprio là dove le tracce della prima evangelizzazione vanno at-tenuandosi. Dunque, si tratta di un’iniziativa organica” che va modulata secondo i tempi e i luoghi. A fronte del duplice ampio orizzonte dell’impegno ecclesiale locale e della nuova evangeliz-zazione, il terzo tema riguarda la ricerca e la nostalgia di Dio, perché è la 'questione Dio' il problema dell’Occidente. Afferma, infatti, il cardinale: “Come Chiesa pellegrina in questo Paese, ci sentiamo coinvolti a far sì che il cittadino italiano non accanto-ni la questione Dio, non la rimuova ritenendola anti-umana, e lasci affiorare la nostalgia che si nasconde in essa. Per questa ragione bisogna rivisitare l’intera attività pastorale ordinaria, assegnandole un più ampio respiro missionario e bisogna ri-volgerci distintamente ai giovani e ai giovani adulti. I tentativi di nuova evangelizzazione messi in campo in varie Chiese locali

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debbono essere incoraggiati. Bisogna provare a dar vita, magari su scala interparrocchiale o cittadina, a esperienze nuove nel campo della pastorale”. “E questo – conclude il suo intervento introduttivo Mons. Vescovo - mi pare colga bene anche i nostri tentativi faticosi, sofferti, incoativi perché siamo solo all’inizio e abbiamo voluto iniziare proprio dalla città di Alessandria sapendo che era l’osso duro; pertanto adesso stiamo ancora seminando, andando tra pianti e sospiri ma torneremo con i covoni, come dice il salmo”.

La parola passa al Moderatore per l’introduzione degli argo-menti.

L’ordine del giorno prevede anzitutto l’ascolto delle relazioni, sia dei Responsabili di Zona sia dei Responsabili delle Associa-zioni e dei Movimenti, con particolare riferimento alle domande proposte dal testo del Vescovo, lasciando eventuali contributi sulle tappe che stiamo attraversando per quanto concerne la Missione - soprattutto le tre comunità che stanno facendo questa esperienza - all’interno dell’intervento previsto al punto 3 dell’ordine del giorno.

2. relazione Dei resPonsabili Delle zone

Intervento scritto di Luciana Buzzi (Rappresentante Zona Città) Sono riuscita a riunire, pur con difficoltà, i referenti parroc-

chiali della zona di Alessandria, ma nell’incontro tenutosi il 21 settembre u.s., al quale hanno partecipato 14 referenti su 18, non ci sono stati confronto e discussione sulla sintesi proposta dal Vescovo 'Essere comunità cristiana oggi' quanto piuttosto un resoconto delle iniziative svolte nell’ambito delle singole comunità parrocchiali ed una esposizione dei problemi che in ciascuna di esse emergono. Poche sono state le considerazioni e le proposte avanzate; solo in alcune parrocchie il referente aveva potuto esaminare il documento con altri membri della comunità. In alcune parrocchie era programmata, ma non si era ancora tenuta, la riunione del consiglio pastorale e, quindi, il referente si dichiarava non in grado di riferire in merito perché non se ne era ancora discusso. Si è percepita la carenza della dimensione di gruppo delle comunità parrocchiali: in molte par-rocchie continuano ad esserci persone che assolvono incarichi

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in modo individuale e piuttosto settoriale, non in un’ottica di corresponsabilità e collaborazione, bensì nella rigida assunzio-ne di un ruolo fatto proprio e difficilmente condiviso con altri. Riguardo la catechesi per adulti, che nella maggior parte dei casi è curata dal parroco o da esperti, si è riflettuto sul fatto che di solito, quando si affronta il problema, se ne parla come se dovesse riguardare solo 'gli altri' mentre è ciascuno di noi che per primo deve sentire il bisogno di rinnovarsi. Abbiamo condiviso tutti l’immagine della comunità cristiana come grup-po di persone assidue nella preghiera, nell’eucaristia, nella catechesi e nella carità fraterna. Cosa fare dunque per essere veramente tali? La risposta è che è necessario porci in stato di conversione attraverso il confronto continuo con la Parola di Dio. Si è auspicata una maggiore collaborazione tra le parrocchie al fine di unire le risorse e poter creare luoghi ed occasioni di accoglienza per un cammino di fede personale e comunitario. Tutti hanno concordato che è importante riscoprire il senso di appartenenza alla Chiesa che non è ristretta in un ambito territoriale, ma va intesa in senso ampio; la Chiesa locale fa capo al Vescovo e vive nelle singole comunità che celebrano l’eucaristia. Per questo, si ritiene importante la partecipazione alle attività diocesane. A tale riguardo, si è rilevata la scarsa diffusione all’interno delle comunità parrocchiali delle comu-nicazioni sulle iniziative in atto nella Diocesi (punto critico già emerso nelle riunioni zonali passate). Si è proposto pertanto di programmare incontri periodici tra referenti della Zona per consentire una migliore circolarità delle informazioni; per que-sto si chiede che le persone coinvolte siano realmente parte viva nella propria comunità parrocchiale. Rispetto l’iniziazione cristiana, è emerso che in molte parrocchie della città si sta portando avanti il cammino secondo le indicazioni dell’Ufficio catechistico diocesano. In molte parrocchie si invitano i genitori agli incontri di riflessione sulla Parola, ma spesso la frequen-za, piuttosto elevata all’inizio, va poi diminuendo. Qualcuno ha tentato di far partecipare alcuni genitori alle attività con i bambini, ma non è stata un’esperienza positiva. Sembra essere un’occasione di aggregazione il coinvolgimento dei genitori a cene o pranzi, momenti di condivisione molto partecipati, ma limitati all’aspetto conviviale. Si lamenta in alcune parrocchie

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la carenza di catechisti ed il loro ricambio frequente. In molte parrocchie manca la dimensione di gruppo dei catechisti ed in genere una loro adeguata formazione. Solo alcuni catechisti hanno partecipato ai corsi organizzati dall’Ufficio catechistico diocesano. Sono state rese note anche iniziative di formazione in ambito salesiano. In molti casi i sacramenti sono visti dalle famiglie come tappe sociali. Sono pochissimi i ragazzi del post-cresima che rimangono uniti alla parrocchia. L’oratorio viene proposto come possibilità per accogliere questi ragazzi, ma si ritiene che sia necessario rivederne la formula. Non è più pro-ponibile l’oratorio tradizionale, che rimane valido ed aggregante solo in strutture particolarmente attrezzate, sia dal punto di vista degli spazi che degli animatori. La Missione è stata lo sti-molo per nuove iniziative di collaborazione, soprattutto nelle parrocchie del centro città. È emersa, infatti, la positiva espe-rienza delle parrocchie di San Rocco, Sant’Alessandro e Santo Stefano che, insieme, stanno svolgendo un cammino nell’ambito della Missione cittadina. Si citano i Centri di ascolto ospitati da famiglie che verranno attivati ad ottobre. Al di là delle iniziative programmate nella normale attività parrocchiale e nell’evento della Missione (Via crucis, incontri di preghiera, attività cari-tative,...) è stata sottolineata la necessità di una testimonianza cristiana più visibile nella vita ordinaria e nei luoghi in cui si incontrano normalmente le persone (luoghi di lavoro, scuola, strutture per il tempo libero ...). Nel complesso si è riscontrata in molte parrocchie una maggiore presenza attiva dei laici nella pastorale ordinaria.

Considerazione finale: Si desidera rilevare che il non essere riusciti a rispondere in modo più costruttivo alle domande pro-poste dal Vescovo non va valutato negativamente, ma solo im-putato al fatto che si è ancora nella fase iniziale dell’esperienza, da considerarsi relativamente nuova, di scambio e confronto fra referenti parrocchiali. È senza dubbio, comunque, da sottoline-are positivamente la crescita del gruppo che ha manifestato un autentico desiderio di continuare il cammino insieme.

Intervento scritto di Bovone Pietro (Rappresentante Zona Ma-rengo).

Abbiamo riflettuto sugli elementi oggettivi per essere comu-

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nità cristiana: - incontrare Cristo vivente nella Parola: oltre alle celebrazioni

domenicali è difficile convocare le persone perché manca il tempo a causa della vita frenetica odierna e la voglia di in-contrarsi.

- Ricevere la grazia attraverso i sacramenti: la domanda dei sacramenti è diffusa e forte; occorre sobrietà nella scelta degli stili di vita e disponibilità a favorire la coscienza cristiana di queste domande.

- Carità: testimoniare la carità verso gli altri; in ogni Consiglio parrocchiale monitorare il territorio per conoscere persone bisognose in difficoltà, anziani e stranieri. La catechesi per adulti viene proposta in alcune parrocchie

della Zona Marengo solo durante l’Avvento ed in Quaresima. Al fine di favorire una convinta partecipazione e conoscenza reciproca sarà proposta la programmazione di una catechesi itinerante nelle varie parrocchie della Zona Marengo. Dopo il Consiglio pastorale diocesano i referenti parrocchiali saranno convocati per esporre quanto è emerso nella seduta: sarà fatta la programmazione della catechesi ed eventuali iniziative da proporre. Si cercherà di suscitare una proficua collaborazione tra le parrocchie al fine di realizzare iniziative più partecipate.

Intervento scritto di Angelo Lanzavecchia (rappresentante Zona Orba)

Consigli e proposte per il piano pastorale.1. È emerso che i sacerdoti devono fare la catechesi degli adulti

o essere presenti dove questa viene presieduta da laici. A Predosa, Pasturana e Portanova viene fatta settimanalmente, mentre a Tassarolo durante la messa feriale. Riunirsi assieme tra le parrocchie vicine per formare gruppi più consistenti.

2. Fare una programmazione di catechesi che duri nel tempo, per far sì che, quando un parroco arriva in una parrocchia, continui il lavoro esistente. La catechesi di iniziazione ai sacramenti fatta nel modo attuale-tradizionale porta a scar-sissimi risultati; solo con la presenza dei genitori coi ragazzi all’ora di catechismo si potrà fare una catechesi di crescita comune tra figli e genitori. Una proposta da sperimentare potrebbe essere quella di fare il catechismo in famiglia, nelle

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case dei ragazzi: in città si sta già facendo in una parrocchia. 3. Le persone formate cristianamente che vivono e animano la

loro comunità parrocchiale, oltre a trasmettere la gioia del vivere in gruppo a tutti coloro che incontrano negli ambienti abituali della loro vita, possono essere più incisivi se an-dranno verso i lontani (specialmente in situazioni familiari difficili) guidati dal loro parroco.

4. Nelle parrocchie dove non ci sono associazioni ecclesiali, sarebbe opportuno che i parroci ne favorissero la nascita, ri-volgendosi alle persone più sensibili e mature della comunità. Invece, dove esiste già qualche associazione, sarà opportuno valorizzarla anziché, come succede in molti casi, considerarla quasi di inciampo da parte della comunità e dei parroci. Solo passando attraverso esperienze di fede in gruppi organizzati, si formeranno dei cristiani forti per inserirsi nella vita sociale.

Intervento di Don Mario Bianchi in rappresentanza della Zona Tanaro.

Nel Consiglio pastorale zonale erano rappresentate tutte le sei parrocchie con presenti quattro laici (su sei convocati) e due sacerdoti (su quattro convocati e assente un diacono). Si sono affrontate le prime due domande; sulla catechesi per gli adulti ci sono già delle iniziative in corso in modo variegato: ci si concentra come Zona su alcuni momenti forti (non ovunque c’è una catechesi stabile settimanale) rivolti a settori specifici come i catechisti, poi delle serate sulla Scrittura (San Paolo) e in programma vi è un corso per lettori. Ci sono i corsi di prepa-razione al matrimonio in comune e nei tempi forti soprattutto incontri per i genitori legati all’iniziazione cristiana dei fanciulli. Sull’iniziazione cristiana c’è un cammino lento di rinnovamento che pian piano si sta avvicinando ad una linea comune, anche a livello di Zona. Riguardo alla partecipazione agli incontri in preparazione alla Missione si fa un po’ di difficoltà a far inter-venire i laici della Zona, sia per la sensibilità popolare sia per la distanza; si tenta di ovviare per recuperare questo facendo sentire in modo vivo e pressante la necessità di questa forma-zione alla missione diocesana.

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Intervento scritto di Pierangelo Fracasso (Rappresentante Zona Bormida)

Il giorno 22 settembre 2010 si sono riuniti i componenti del Consiglio pastorale della Zona Bormida. Alla riunione erano presenti i sacerdoti e solo un laico era assente, assenza giu-stificata per impegni di lavoro, in totale c’erano tre sacerdoti e sette laici. Abbiamo iniziato la riunione ringraziando il Signore con la lettura di una poesia, del Card. John Henry Newman, dal titolo “Luce Gentile”, successivamente abbiamo letto il documento del Vescovo tratto dal teologo Ezio Castellucci “Es-sere comunità oggi”. La discussione si è fatta subito accesa ancor prima di arrivare alle domande del documento. Le prime riflessioni si sono concentrate sulle caratteristiche dei paesi, rispetto la città. In un paese ci sono condizioni diverse dalla città, prima riflessione, in un paese tutte le famiglie che hanno una vita attiva si conoscono, mentre ci sono famiglie che non si conoscono, in quanto hanno casa solo per dormire. Tale coppie sono irraggiungibili, di solito sono famiglie che lavorano in città o altrove e hanno trovato casa in paese solo perché è un posto tranquillo, anche le attività familiari come fare la spesa, andare al bar, frequentare la parrocchia non è in paese, quindi queste persone sono come sconosciute. Un secondo aspetto è che se nel paese si trova una scuola pubblica dove i bambini la frequenta-no, le famiglie hanno la possibilità di conoscersi e possono avere relazioni comuni, altrimenti gli alunni devono migrare in città, e le famiglie perdono questa opportunità, il paese perde quella caratteristica che lo ha sempre contraddistinto. Oggi i tempi sono cambiati, il paese attrae solo perché è un luogo tranquillo, e se non dai confidenza a nessuno puoi vivere la tua vita isolata dal mondo, nessuno ti infastidisce, puoi vivere la tua vita in assoluta solitudine. Questo è il risultato di una scelta di vita che abbiamo voluto, è il prezzo che paghiamo per avere il benessere offerto dalla società, lavoro stressante, svaghi frenetici, gente sempre di fretta anche quando non serve. Tutto questo crea alcuni problemi: uno è quello di riuscire ad avere relazioni con il nostro prossimo, diventa sempre più complicato parlare con le persone e poter esprimere le nostre idee o convinzioni, far capire certi concetti o trovare argomenti che possono attirare l’attenzione delle persone, molta gente frequenta la parrocchia

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o la messa domenicale solo per abitudine e non per fede. Se guardiamo gli oratori del paese ci accorgiamo che sono vuoti, non perché i ragazzi non li vogliono frequentare, ma perché non si può ospitare ragazzi in oratorio senza una persona che controlla ed indirizza i ragazzi a ragionamenti, atteggiamenti, comportamenti idonei, sono finiti i tempi del vice parroco che accoglieva i ragazzi e con pazienza gli faceva incontrare il Si-gnore. Oggi l’oratorio è un luogo dove si può fare quello che si vuole, tanto non c’è il personale che educa e controlla, l’unica soluzione per il parroco è quella di chiudere l’oratorio, lasciando i ragazzi abbandonati alla società. La maggioranza delle famiglie sono assenti a queste problematiche, non si rendono conto che se manca la guida della famiglia, ma soprattutto la dottrina cristiana, avranno grandi problemi in fase adolescenziale del ragazzo/a, ma lo strano è che quando questo accade i genitori dicono: “ma abbiamo fatto tutto quello che nostro figlio ci ha chiesto, abbiamo fatto sacrifici per accontentare tutte le sue richieste”. Purtroppo non hanno insegnato al loro figlio che i sacrifici li doveva fare anche lui. L’ignoranza dei genitori è quella di non educare il proprio figlio a prendere decisioni in modo autonomo, a fare rinunce, al rispetto dei genitori, al rispetto del prossimo. Ci sarebbe bisogno di seminari dove si tratta di questi argomenti, proposto nel modo giusto la partecipazione sarebbe sicuramente soddisfacente. Una idea è quella di coin-volgere Scuola e Comune, in fondo anche loro hanno gli stessi problemi. Mancano relazioni non si è più capaci a relazionarsi tra famiglie, tra genitori e figli, tra concittadini, ognuno pen-sa al meglio per sé. D’altro canto ci si rende conto che non è sufficiente essere credente solo se si frequenta la messa alla domenica, se poi non si hanno contatti con la parrocchia, non si comunica con le persone, ci si deve domandare perché sono cristiano, perché sono indifferente. L’indifferenza il problema della società di oggi, è meglio non pensare che farsi domande, lo abbiamo visto nel film il Re leone dove Simba diceva Hakuna Matata tradotto senza pensieri, ce lo ha insegnato Walt Disney, editore di film per bambini. Oggi le relazioni in parrocchia sono indirizzate nelle attività del fare, le persone sono più predisposte a occuparsi dei problemi della parrocchia in attività pratiche, pulire la chiesa, preparare da mangiare, preparare l’altare,

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leggere le letture, cantare nel coro, ma quando si deve svolgere attività di primo annuncio non si trovano persone, è difficile esprimere i propri pensieri, le proprie convinzioni, sapendo che chi ti ascolta ti vede come una persona anomala. Oggi tutti parlano, danno giudizi, fanno condanne, sparlano, e la gente ascolta e in modo ingenuo si fanno condizionare da queste dicerie, non sanno che il giudizio non è competenza dell’uomo ma solo Dio, solo lui può giudicare l’operato della nostra vita. Questo accade anche in parrocchia. Uno spiraglio però si intra-vede, oggi in questa confusione, le persone, le famiglie, i ragazzi cercano una guida che li indirizzi, non importa cosa propone, ma è importante che il leader abbia carisma, che sia visto come modello da imitare (questo vuol dire che la gente può incappare in persone con principi sani o deviati). Questa è l’occasione di mettersi in gioco, essere coscienti che il tuo prossimo aspetta la tua chiamata, questo non può essere solo compito del un sacerdote, ma è compito dei laici, dico questo perché mentre il sacerdote dedica la sua vita al prossimo per mandato, il laico lo fa per sua libera scelta quotidiana, il laico agli occhi di un altro laico, in questa situazione, è più carismatico di un reli-gioso. Alla prima domanda che chiede di come proporre in ogni parrocchia una catechesi per adulti in modo periodico ci siamo chiesti: Come proporre e cosa proporre. Nelle parrocchie della Zona Bormida si tengono attività di catechesi con ragazzi ed adulti, giornate dove genitori e ragazzi si trovano per fare espe-rienze comunitarie, la frequenza è soddisfacente, è una buona occasione d’invitare genitori a parlare di argomenti di Chiesa, in questo modo si dà l’occasione di assaporare la parola di Dio. Si tengono settimanalmente od ogni 15 giorni incontri dove si parla del Vangelo della settimana, la frequenza è molto scarsa, ma le persone che frequentano sono regolari. Alcune famiglie chiedono di trovare momenti di riflessione, sono famiglie che hanno terminato il percorso di catechismo per i ragazzi che han-no fatto la cresima e la prima comunione, non ci siamo ancora attrezzati a soddisfare questa richiesta. Un’altra idea è quella di invitare le coppie che hanno partecipato agli incontri per la preparazione al matrimonio, ad incontri negli anni successivi. Un dato riscontrato è che le famiglie accettano in modo positi-vo la chiamata agli incontri delle domeniche insieme, percorso

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iniziato circa 10 anni fa a Castellazzo. La seconda domanda è molto interessante, propone un qual-

cosa che se le forze in parrocchia fossero adeguate ciò sarebbe fatto. (Per migliorare l’iniziazione cristiana, oltre alla catechesi tradizionale, si potrebbe costituire un gruppo di genitori che accompagnano i genitori naturali (sovente assenti) perché i ragazzi facciano esperienza di comunità nuova in cui si vive la carità di Cristo). Ad oggi manca una cultura laica per poter attuare questa iniziativa, non possiamo pensare che il parroco possa svolgere tutte queste attività, si potrebbe chiedere alle Associazioni della Diocesi di aiutare le parrocchie, si potrebbe dedicare una figura religiosa da parte della Diocesi che aiuti i parroci a svolgere queste attività, ma questo lo vedo molto difficile, spesso ci si scontra con mentalità chiuse, non tutti i sacerdoti accettano di avere o dare aiuti dalla Diocesi o dai laici, nel caso di risultati positivi il merito di chi è? Gelosia ed invidia non aiutano la missione. Faccio questa considerazione non tanto per la Zona di cui rappresento, ma da quello che si è parlato in riunioni dove hanno partecipato laici e preti della Dio-cesi alessandrina. La vera missione cittadina è quella di trovare nelle persone credenti un punto in comune che è Gesù, il dire e poi il fare, non importa chi fa e chi non fa l’importante è che lo stato di missione porti la parola di Dio alla gente. Dobbiamo rendere conto solo alla nostra coscienza di fare il massimo per raggiungere questo obiettivo, è l’obiettivo che Gesù ha chiesto ai dodici apostoli e a tutti i credenti, annunciare la parola di Dio con fatti, parole ed opere.

Intervento scritto di Angelo Teruzzi in rappresentanza del movimento Comunione e Liberazione.

Nel documento su cui siamo stati chiamati a riflettere, dopo aver ricordato gli elementi oggettivi e soggettivi in ogni espe-rienza di comunità cristiana, si richiama la necessità “che ci poniamo in stato di conversione, perché la nostra testimonianza sia credibile”. Siamo infatti in un contesto culturale che può essere descritto sinteticamente con le parole di Peguy “Un mon-do … dopo Gesù, senza Gesù, per la prima volta”. Questo della conversione è un richiamo che ci siamo sentiti rivolgere anche dal Papa quando siamo stati a Roma a maggio, in piazza San

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Pietro: “Il vero nemico da temere e combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. È bello vedere oggi questa moltitudine in Piazza San Pietro come è stato emozionante per me vedere a Fatima l’immensa moltitudine, che, alla scuola di Maria, ha pregato per la conversione dei cuori. Rinnovo oggi questo appello, confortato dalla vostra presenza così numerosa”. E nel recente viaggio in Inghilterra ancora questo richiamo, con l’indicazione chiara di quale sia la sfida che la nostra fede è chiamata ad affrontare: è la sfida del secolarismo e del relativismo. Il Papa ha dato un esempio di come si può essere missionari, con il coraggio e la semplicità con cui si è presentato e con la chiarezza della pa-rola, ed è stato accolto, contrariamente a certe previsioni, con simpatia e attenzione. In particolare quando, parlando alle au-torità politiche al Westminster Hall, ha trattato il problema del rapporto tra la religione e la vita sociale e politica: riconoscendo la grandezza della democrazia pluralista inglese che attribuisce un grande valore alla libertà di espressione, ha affermato che “la religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione. In tale contesto, non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore”. Ha indicato in Newman un modello di “conversione”, un uomo che ha lottato tutta la vita contro la tendenza a considerare la religione come un fatto “privato e soggettivo”. La conversione infatti non è solo proble-ma di coerenza morale, ma anzitutto di adeguato rapporto con la realtà, un assetto nuovo della persona di fronte all’essere, perché la vita sia pienamente vita. La spinta missionaria deriva dell’esperienza della positività dell’incontro cristiano, dal fascino incontrato e vissuto. Rispondo alle domande.

1. Riguardo alla catechesi degli adulti: già l’anno scorso, ma quest’anno ancora meglio, abbiamo reso più manifesto e aperto l’incontro di scuola di comunità, rivolto non solo agli “appartenenti al Movimento”, ma a tutti coloro che lo desi-derano. È nostro impegno invitare quanto più è possibile a questo momento, che riteniamo essere una proposta valida

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per incontrare l’esperienza cristiana. Questo incontro si svolge come partecipazione, via internet, alla scuola di comunità di don Julian Carron (ogni quindici giorni) che viene poi ripresa, a gruppi, la settimana successiva.

2. Piena disponibilità, là dove qualcuno del Movimento è presente, a partecipare alle iniziative parrocchiali di iniziazione cristiana, come catechisti o come partecipi ad incontri di adulti (in particolare genitori).

3. “Fuori dal proprio gruppo”: ricordo le iniziative del Centro culturale “Torriani”, che intendono sempre avere un orienta-mento missionario, proponendo un approccio culturale a partire da una chiara identità cristiana. Prossimamente, dal 22 otto-bre, sarà proposta una Mostra didattica su Van Gogh, con la presenza del prof. Filippetti, che sarà occasione per sollecitare i visitatori a porsi le domande del “senso della vita”, così come il grande pittore le ha vissute e le ha riproposte nella sua opera. In collaborazione con il responsabile della pastorale universitaria, don Giuseppe Biasiolo, già dallo scorso anno, vengono proposti, all’interno dell’università, momenti di proposta culturale, di di-battito e di confronto. Poi ci sono dei gesti che tradizionalmente facciamo, come la colletta alimentare dell’ultima settimana di novembre, il banco di solidarietà che ha sede a Novi e tante sedi distaccate nelle parrocchie; la campagna Tende di Natale, promossa da AVSI, nel periodo di Natale, a sostegno di alcuni progetti nel mondo (per es. quest’anno ad Haiti, dopo il terre-moto). In questi gesti vengono coinvolti gruppi di giovani, della scuola superiore, così come nell’attività di volontariato presso la Casa Michel (a cadenza settimanale, a partire da novembre fino a maggio).

L’ultimo punto: ‘come valorizzare la missione dei laici’. Faccio un breve accenno alla necessità di un luogo di ascolto e di reci-proco arricchimento delle varie esperienze associative, che può essere identificato nella Consulta diocesana per l’apostolato dei laici. Penso che dovrebbe essere un luogo dove ci si racconta le proprie esperienze, di movimento in atto che vuol dire che ci si testimonia vicendevolmente che la fede dà dei frutti.

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Intervento scritto di Bovone Pietro in rappresentanza dell’Azio-ne cattolica.

L’Azione cattolica già all’inizio della Missione come Consi-glio diocesano si è posta il pressante invito a tutti gli iscritti, specialmente ai responsabili, di partecipare a tutte le iniziative diocesane, i ritiri, gli approfondimenti che sono stati tenuti specialmente nella chiesa di san Baudolino. Allora tutti i no-stri iscritti abbiamo fatto meno attività specifiche dell’Azione cattolica ma invitando tutti i responsabili, tutti gli iscritti, spe-cialmente quelli della città, a partecipare attivamente a queste iniziative. Il contributo come Azione cattolica è stato fatto da tutte queste persone che sono presenti come responsabili in più parrocchie cittadine. Abbiamo dato questa disponibilità, cioè meno attività specifiche nostre ma inserirsi attivamente nella Missione. Questo è stato un po’ il comune denominatore del nostro impegno dell’anno scorso. Dall’anno scorso in avanti abbiamo cercato di partecipare anche nei paesi, in modo che si ascolta e quando la Missione sarà trasportata anche nelle nostre parrocchie abbiamo già portato un po’ di idee anche nelle varie parrocchie. Come Zona Marengo siamo molto divisi, molto slegati. Altre realtà dei paesi siamo diversificati come distanze però occorre un pochino mettere assieme tutti questi tasselli per organizzare delle iniziative dove una parrocchia da sola non le può fare se invece si uniscono gli sforzi si sperimenta un significato di vera comunità. Abbiamo fatto anche esperienze a livello regionale: a Crea abbiamo partecipato al Convegno della terza età con cinquanta persone della diocesi di Alessandria.

Intervento scritto di Daglio Maria Rosa in Rappresentanza del Rinnovamento nello Spirito.

Come Movimento, possiamo proporre un Seminario di Vita nuova nello Spirito, consistente nel ricevere l’esperienza dell’ef-fusione dello Spirito, nella specifica spiritualità carismatica del Rinnovamento della durata di sette o dieci incontri, con temi principali come l’amore di Dio, il peccato, Gesù salva, ... per il rinnovamento della vita cristiana e praticamente è il 'carisma fondante' del Rinnovamento. È molto importante l’incontro per-sonale con il Signore nella preghiera personale, per poi poter entrare nella preghiera comunitaria carismatica del cenacolo,

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dove il Signore ha promesso la Pentecoste. Ma la discesa dello Spirito Santo non avviene solo nel cenacolo, la sua azione è ininterrotta ed insostituibile nella Chiesa quando riceviamo i sacramenti ed in ogni momento della giornata ed in ciascuno di noi. Il Signore deve essere messo al primo posto, deve diventare il Signore della mia vita, dovrò avere una nuova esperienza di Gesù salvatore che mi rende capace di testimoniare senza vergogna il vangelo della salvezza al mondo. Occorre quindi riscoprire la preghiera personale, come incontro con il Signore sulla parola di Dio, imparare a pregare la parola di Dio, vivere alla sua pre-senza per poter ricevere l’amore e la forza di una conversione e perdono permanente. È necessaria una formazione permanente (PUF= progetto unitario di formazione) che noi facciamo, sulla specificità del nostro Movimento 'corrente di grazia' fondata sullo Spirito Santo, sul Magistero della Chiesa, la Tradizione e l’esperienza e la bellezza di essere e sentirsi Chiesa - popolo di Dio chiamati ad un cammino di fede alla santità e dare la vita per la Chiesa stessa.

Don Vittorio Gatti porta a conoscenza dei membri del CPD la celebrazione di apertura dell’Anno accademico dell’Istituto superiore di Scienze religiose e dello Studio interdiocesano di Teologia che si terrà lunedì 4 ottobre; la prolusione, dedicata alla figura del beato Card. Newman, sarà tenuta da padre Cer-rato, Procuratore generale della Confederazione dell’Oratorio, alle ore 17.30 presso l’Associazione Cultura & Sviluppo. È un invito da diffondere anche alle Associazioni, alle parrocchie, alle comunità perché è un’occasione culturale interessante e molto di attualità. Un’altra iniziativa proposta dal Servizio diocesano per la catechesi riguarda il corso di formazione per catechisti e operatori pastorali, che avrà inizio lunedì 18 ottobre e la durata di sei incontri e sarà dedicato all’approfondimento dei contenuti del Documento base della CEI “Il rinnovamento della catechesi”, nel quarantesimo di pubblicazione.

L’Assemblea s’interrompe alle ore 20.45 per la cena, riprende alle ore 21.15.

Silvia Delucchi e Valeriano Cresta comunicano l’apertura

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dell’Ufficio famiglia della Diocesi di Alessandria in via Vescovado n. 3 ad Alessandria, avvenuta il 2 settembre scorso, con il se-guente orario: il giovedì dalle ore 18.00 alle 19.30. Nel suddetto ufficio operano attualmente tre coppie con il supporto di Don Fabrizio Casazza, Delegato Vescovile di detto Ufficio nonché Parroco di Cascinagrossa. Una delle finalità più interessanti, avvertita da subito come esigenza, è quella di creare una sorta di rete tra le varie parrocchie della Diocesi a livello di pasto-rale familiare. Si è pertanto iniziato a richiedere l’adesione e l’appoggio dei vari referenti pastorali per la famiglia di ogni parrocchia contattando dapprima i sacerdoti e richiedendo poi la partecipazione e la conoscenza dei referenti stessi. A tal fine, il prossimo martedì 19 ottobre alle ore 21 presso la parrocchia San Baudolino di Alessandria è stato fissato un incontro con l’intento, tra gli altri, di fare fraterna e reciproca conoscenza, verificare eventuali esigenze e diffondere le iniziative già esi-stenti, in particolare quelle relative ai Corsi di preparazione al matrimonio. Sulla base poi di quello che emergerà dalla riunio-ne a questo proposito, è prevista la possibilità di organizzare anche una serie di incontri – con relatori qualificati – per un eventuale aggiornamento dei corsi stessi. Con l’obiettivo inoltre di consolidare detta rete è stata avanzata la richiesta di poter usufruire di uno spazio esclusivo sul sito della Diocesi in modo da rendere noti gli eventi più salienti legati alla Pastorale fami-gliare delle varie parrocchie e dei Movimenti/associazioni ad essa connessi. In programma per il prossimo mese di maggio vi è pure la partecipazione alla Festa della Famiglia organizzata e patrocinata dal Comune di Alessandria che può essere vista come momento di vivo e fruttuoso coinvolgimento per la nostra realtà ecclesiale.

Mons. Vescovo precisa che il suo intento nel proporre que-sta riflessione e poi le successive domande che indubbiamente non erano esaustive, non erano le uniche possibili, era proprio quello di mettere in evidenza come nella storia della Chiesa vi è sempre stata una difficoltà a coniugare gli aspetti oggettivi e gli aspetti soggettivi. Con questo si voleva solo affermare che quello che riceviamo, in particolare i sacramenti, i segni, la par-tecipazione alla vita della comunità ecclesiale, certamente sono

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sempre stati presenti ma è cambiato il modo di attualizzarli; quello che invece non dovrebbe mutare è questa visibilità della Chiesa, articolata secondo i vari ministeri nell’ordine gerarchico, che esprimono la differenziazione ma che non devono turbarne l’unità. La problematica che si percepisce oggi è da un lato la riduzione numerica e abbiamo sentito a questo proposito di-versi interventi lamentare come sia difficile per mancanza di tempo, perché le distanze sono ampie ma sono tutte questioni che possiamo superare se c’è una convinzione di fondo. “La mia intenzione - prosegue il Pastore della Chiesa alessandrina - è quella di proporre come è possibile passare da un’analisi che non è difficile nella sua fenomenologia ad una ripresa dell’im-pegno di evangelizzazione partendo da quello che si ha, anche se il gruppo è piccolo, con il Pastore che guida, i laici che han-no all’interno della Chiesa un loro ministero, ma soprattutto il ministero primario che è quello dell’attualizzazione nel mondo. In questo senso è necessario proseguire questa riflessione e tenerci uniti per vedere come è possibile, pur continuando con tutti gli elementi oggettivi, rendere poi visibile una comunità che sia credibile. La domanda è la seguente: è possibile, partendo da quel piccolo gruppo attorno al parroco, rendere visibile una realtà diversa, convincente, anche se piccola, che vive al suo interno l’Eucaristia ma poi - ecco la spinta missionaria - si lascia vedere e va a chi è in difficoltà per proporre un ritorno all’in-terno della comunità e arricchirla anche quantitativamente?”. Mons. Versaldi invita quindi ad un’analisi della situazione con realismo, senza pessimismo né ottimismo; la nuova evangeliz-zazione riparte senza presunzione, con piccoli numeri ma che siano qualitativamente capaci non di piangersi addosso ma di unirsi a livello di parrocchia. “Ho insistito - conclude Mons. Vescovo - ma non ho trovato riscontro su questo: i gruppi non territoriali, quindi le Associazioni e i Movimenti, pur avendo non solo diritto ma dovere di un loro percorso di formazione, come possono poi inserirsi nella parrocchia senza perdere la loro connotazione? Camminiamo tutti insieme con una visione positiva sapendo che il protagonista è lo Spirito Santo e che noi siamo servi inutili, come ci ricorda il Vangelo”.

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3. DeFinizione Delle linee Pastorali Diocesane

Don Giovanni Guazzotti invita a tenere presente la sintesi “Essere comunità cristiana oggi”, poiché in questo documento viene evidenziato il primato della comunità su tutto ciò che finora è stato sottolineato, ossia le attività, le iniziative, i ca-rismi, i movimenti, le associazioni. Particolarmente rilevante è il problema della comunità cristiana: come essere comunità cristiana oggi? Una sottolineatura importante è questa – affer-ma il Vicario per la Pastorale: “Quando il Vescovo ha proposto la Missione, ha composto quella preghiera - che siamo stati invitati a recitare durante gli incontri, le celebrazioni - che ri-chiama tre aspetti molto belli: effondi su questa nostra Chiesa l’abbondanza del tuo Santo Spirito per la conversione dei nostri cuori, la santificazione delle nostre comunità, la chiara testimo-nianza della nostra fede. Che cosa significa questo? Significa che l’esperienza di comunità cristiana ha il sopravvento sui progetti specifici; è stato anche rilevato nei vari incontri che è più facile organizzare delle attività. Ecco, cosa si può fare allora? Con lo stesso impegno con cui si portano avanti le iniziative e si programmano le attività (ce ne sono tante in tutte le parroc-chie, la pastorale ordinaria è ricchissima) si dovrebbe vivere un cammino di conversione e di fede personale, perché la comunità vive poi con la ricchezza della persona e viceversa, ovviamente. Ma ciò deve essere avvertito come esigenza; nell’incontro fatto con i referenti a San Baudolino è emersa la preoccupazione di portare agli altri qualcosa, dando per scontato che noi abbia-mo già raggiunto un certo livello, anzi qualcuno ha detto che dobbiamo metterci al livello degli altri: cosa vuol dire questo? Che siamo sul piedestallo? A questo riguardo dobbiamo stare attenti: sul discorso della comunità cristiana si aprono grossi interrogativi e probabilmente bisognerà tentare di risolverli. Le nostre comunità sono momenti e spazi di gioia, di accoglienza per i bambini, per i ragazzi, per gli adulti, per i giovani, per gli anziani? La comunità cristiana è il momento e lo spazio in cui si vive e si fa esperienza della misericordia del Padre per poi essere verso gli altri segni, testimoni anche con il confronto e la discussione. Un altro aspetto che emerge sovente è la comunità cristiana che celebra l’eucaristia e anche questo è un punto dolente. Quante sono le messe? In quale orario si celebrano?

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Come si celebrano? È un discorso vecchio questo - continua don Giovanni - ma se vogliamo vivere la comunità dobbiamo anche affrontarlo con serenità. E ancora ci sono le comunità che non hanno i sacerdoti perché un parroco ha diverse par-rocchie. Dov’è allora la comunità cristiana? Le associazioni, i movimenti, i gruppi sono comunità cristiana o sono parte viva di una comunità che celebra l’eucaristia? Anche questa prospettiva è da definire perché non è chiara. E allora come organizzare un cammino che faccia crescere personalmente e contemporaneamente faccia crescere la comunità perché c’è una comunione, uno scambio. Ritengo che questa sia la preoccupa-zione primaria, la linea pastorale da portare avanti accanto a tutte le iniziative certamente, anzi bisognerà anche tramite gli Uffici pastorali vedere dove ci sono carenze da superare, dove ci sono esperienze da partecipare ad altri. Il primato della comu-nità, essere comunità cristiana oggi: credo che questo aspetto debba essere considerato in tutte le attività, in tutti gli incontri. La Missione è vivere in modo straordinario le attività ordinarie, riscoprire che c’è un tesoro che ci viene continuamente offerto e che con la vita, con le parole, con i gesti, con il comportamento partecipiamo agli altri. Anche l’incontro realizzato nelle Zone rappresenta un momento importante che dovrebbe ripetersi, perché non è l’attività che si programma, ma è il trovarsi insie-me, magari per dire una semplice preghiera, per metterci tutti in ricerca, in ascolto di quella Parola che salva in ogni occasione, anche in quella umanamente più difficile”.

Mons. Vescovo ribadisce il significato della Missione come evento straordinario che si sta svolgendo “perché i movimenti, che sono già stati conquistati dalla parola di Dio e sono convinti dell’amore che chiama, stabiliscono un rapporto personale, innanzitutto con il Signore, ma devono subito accorgersi che il Signore ama anche gli altri e quindi la tensione verso la comu-nità, e questo è fondante sia il territorio, sia l’associazione, sia il movimento. Ma nella misura in cui un credente, insieme ad altri credenti e conquistato dall’amore di Dio, incontra il Signore e si incontra con altri fratelli nel nome di Cristo, vive un’esperienza diversa di stare insieme, alternativa a quella del mondo di oggi che non è più cristiano. Tutto ciò, ovviamente - ed è l’aspetto

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straordinario della Missione che deve rimanere anche dopo - non si può poi non portarlo anche là dove si vive, e questo è affidato ai laici soprattutto”. Era una delle domande che voleva stimo-lare questo dinamismo: chiamati, radunati, mandati per poter proporre un annuncio ma anche una testimonianza, e questo è l’aspetto che Mons. Vescovo vorrà sottolineare, soprattutto con i parroci della città, per continuare anche nelle altre comunità la Missione. “Quello che sta avvenendo nelle tre parrocchie cittadine - continua Mons. Versaldi - è il passaggio dal trovarci bene insieme a san Baudolino a riflettere, con tutto lo sforzo e le difficoltà che abbiamo trovato nella fase preparatoria, al momento successivo di andare poi nelle case. Cosa vuol dire andare? Vuol dire che un gruppo di laici, una cinquantina, nelle tre parrocchie hanno dato la loro disponibilità ad accogliere nelle proprie abitazioni altre persone invitate. Io ho fatto una lettera che dà il mandato per costoro che vanno insieme ai missionari; capita, purtroppo, che i laici vedano gli altri laici come persone ‘anomale’ e questo è molto grave ma, forse, siamo ancora abi-tuati a pensare che è il prete che fa l’evangelizzazione, ma come guida, non può essere esecutore materiale nel condominio, nel lavoro, nella vita politica, nella vita sociale! Un primo risultato ottenuto è che finalmente questi cristiani escono fuori non per farsi vedere superiori agli altri, ma semplicemente per essere cristiani in una società che non lo è più e questa è la differenza. Allora nel condominio una persona che mette a disposizione la sua abitazione, quando la tendenza è ignorarsi sullo stesso pianerottolo, non è un segno di diversità? È chiaro che quan-do la gente viene attratta e conquistata dall’esempio di questi fratelli che rendono credibile l’annuncio - perché lo scopo della Missione è portarli all’eucaristia, non è semplicemente fare un passaggio pubblicitario - allora la comunità si ingrandisce e le nostre comunità devono essere accoglienti. In questo senso, possiamo trovare dei genitori capaci di essere genitori nello Spirito, anche di quei bambini che non hanno i genitori? Questa sarebbe la diversità della comunità cristiana oggi. La Missione è un piccolo tentativo per ribaltare questo clericalismo, questo modo di ingolfarci, di ridurci, di accontentarci, per rianimarci nel piccolo e ripartire, per crescere e coinvolgere il mondo in questo annuncio, in questa testimonianza. Le linee pastorali

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possono poi nell’attività concreta anche essere differenti ma, certamente, l’impegno di quei 40 o 50 laici che faranno i centri di ascolto, che daranno ospitalità, produrrà come risultato im-mediato una comunità più allargata, apostolica, missionaria e non soltanto devota e celebrante”.

4. Presentazione Del calenDario Diocesano Don Giovanni Guazzotti presenta brevemente i prossimi

principali appuntamenti.Ottobre : dal 2 al 17 – inizia la seconda fase della Missione

nel centro storico; 2 - convegno in onore di San Francesco;4 - inaugurazione Anno accademico dell’Istituto superiore

di Scienze religiose; 18 - inizia il corso per Operatori pastorali; 19 - incontro dei referenti per la Pastorale famigliare a san

Baudolino; 22 - mostra su Van Gogh; 23 - ore 21, Veglia missionaria. Novembre: 3 - corso per Operatori pastorali;7 - ore 15/18 giornata di Missione per il mondo della musica; 14 - ore 16, festa della Chiesa locale - Celebrazione in Cat-

tedrale e “mandato” ai catechisti; 28 - ore 16, Ritiro spirituale diocesano tenuto dal Vescovo; 30 - martedì di Avvento. Dicembre: 9 e 14 - incontri di Avvento; 31 - veglia di preghiera per la Pace in duomo. Gennaio: 9 - cresima degli adulti ore 18 in duomo; 18/25 - settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Febbraio: 2 - festa della Vita consacrata; 22 - Consiglio pastorale diocesano non solo per vedere le

attività realizzate o no ma per continuare quell’esperienza di comunità, di condivisione e di collaborazione che vorremmo attuare; in quest’occasione gli Uffici pastorali potranno anche relazionare sulle varie iniziative svolte.

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24 - Consiglio Presbiterale.Marzo: 9 - mercoledì delle ceneri - ore 21, Celebrazione penitenziale

in duomo a cui sono invitate in particolare le Associazioni; 13 - ore 16, ritiro spirituale diocesano;22 e 29 - Martedì di Quaresima. Aprile:5 - martedì di Quaresima; 20 - messa del Crisma Maggio: 7/15 - Ottavario della Madonna della salve; 31 - Consiglio pastorale diocesano di verifica dell’anno e

dell’esperienza fatta. Giugno: 11 - Veglia di Pentecoste; 16 - Consiglio presbiterale;16 - ore 21, processione del Corpus Domini.

Per quanto riguarda la festa della Chiesa locale, Don Silvano Sirboni si domanda se nel contesto di questo anno missionario non sarebbe meglio evitare una ennesima Celebrazione eucari-stica e proporre, invece, una celebrazione della Parola centrata sulla Missione invitando tutti i referenti delle varie parrocchie che sono interessati alla Missione oltre, ovviamente, tutto il popolo di Dio.

Don Vittorio Gatti propone di inserire il calendario diocesano sul sito internet della Diocesi e ogni volta che si aggiorna lo si aggiorna anche sul sito internet.

Il moderatore invita don Massimo Marasini ad intervenire sulla situazione che si sta promuovendo con le prime tre par-rocchie cittadine.

Intervento scritto di Don Massimo Marasini Tutti noi siamo perfettamente coscienti dell’ampio ventaglio

delle problematiche pastorali della parrocchia oggi; tentare riassunti sarebbe inutile. Alcuni aspetti sono secondo me signi-ficativi: la parrocchia come autoreferenziale - si dice oggi - cioè come comunità che non cerca altro e oltre perché ha timore di non trovare altrettanta gratificazione nel vivere il percorso

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che sta facendo e il problema della comunicazione del Vangelo a chi ne sembra disinteressato ormai per deriva culturale ma spesso anche per mancanza della prima evangelizzazione. In tal senso la missione alle porte qualcosa sta già producendo: per esempio nella riunione interparrocchiale di preparazione a quella che poi sarà l’inaugurazione comune dell’anno catechi-stico con il mandato dei catechisti, ponendosi il problema di chiamare a questo momento soprattutto tutti quei ragazzi e quei genitori che sarebbero entrati quest’anno tradizionalmente per la prima volta nel ciclo del catechismo, abbiamo incrociato i dati con gli insegnanti di religione, per la prima volta intervenuti, e abbiamo scoperto che mancano allo stato attuale nel territorio delle tre parrocchie un 20% di ragazzi che siamo sicuri, non sono né da noi né altrove. Questo vuol dire che abbiamo già una fetta consistente di famiglie - lasciando stare la componen-te cospicua che per esempio nella mia parrocchia e in quella di Santo Stefano raggiunge il 20% dei residenti non cattolici ormai come dato oggettivo - abbiamo rilevato anche una com-ponente non trascurabile di famiglie di tradizione e di origine culturale occidentale, europea e cristiana che evidentemente ritengono che il catechismo non sia importante oppure, come stiamo scoprendo adesso andandoli proprio a contattare porta su porta, aspettavano una chiamata, un imput. Vedete allora come la lettura delle situazioni sociologiche si presenta molto ambigua; magari noi pensiamo che ci sia dall’altra parte un orizzonte assolutamente ostile e indifferente dall’altra parte è sentito l’interrogativo di una presenza che non è più incisiva come si vorrebbe. L’imput - almeno personalmente in ordine al coraggio per iniziare questa Missione - mi è stato dato da un’esperienza che incidentalmente, provvidenzialmente mi è capitata. Dovendo riorganizzare la benedizione delle famiglie in territorio sempre più vasto ma anche sempre più difficoltoso e sempre più differenziato, ho voluto provare a fare una cosa diversa cercando che una famiglia credente cioè che frequenta, che ha un senso fondato di appartenenza alla celebrazione della messa domenicale si impegnasse nella propria casa a ospitare un incontro di preghiera che avrebbe preceduto la benedizione delle singole case. Perciò invece di mettere il solito cartello ripor-tante “il parroco passerà il giorno tale dalle ore tale” si è dovuto

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individuare - questa è la prima fatica certamente - una famiglia che in ogni condominio si impegnasse ad ospitare innanzitut-to questo incontro, poiché prima ancora dell’invito bisognava trovare il luogo dell’ospitalità anche inteso come presenza, come testimonianza. Prima sorpresa: nel 60% dei condomini la famiglia si è trovata e queste famiglie si sono prese l’incarico di bussare tutte le porte del loro condomini e nella maggior parte dei casi è stato espresso il desiderio che tali incontri si potessero ripetere nel corso dell’anno. Ora ho messo insieme i dati delle presenze complessive con quelli del corso biblico che ogni settimana da anni ormai porto avanti che registra come presenti 17/18 – 30/35 unità. Sommando l’insieme di tutte le persone che avevano partecipato agli incontri per le benedizioni, sono risultati 350. Questo vuol dire che 3/4/5 incontri all’an-no ai quali queste 350 persone si sono dimostrate disponibili, totalizzerebbe un numero di presenze molto più cospicuo che per l’altra iniziativa. Naturalmente il parroco deve mettere a calendario 3 sere alla settimana a partire da novembre per finire a giugno ma ben venga tale impegno pastorale! Il dato ancora più interessante è stato questo: ci sono stati dei fedeli che non hanno potuto o non se la sono sentita di organizzare l’incontro nelle case. In questi casi, per usare un tono biblico la benedi-zione del Signore non è entrata in quella casa perché non ce n’erano gli strumenti. Queste persone perciò hanno compreso e hanno capito che senza di loro la benedizione del Signore non sarebbe entrata in quella casa e allora ho visto da parte loro nel porsi nei miei confronti, nell’essere poi presenti agli incontri che sono stati organizzati, che è nata una nuova consapevolezza che veramente il laico è un protagonista, cioè ha un ruolo ormai ine-ludibile nei confronti dell’evangelizzazione, cioè che se la famiglia cristiana non si fa carico con la pastorale del pianerottolo cioè a dare dei segni di presenza, di testimonianza, di appartenenza, se non compie qualcosa di concreto, la fede cristiana rimane nel vicolo cieco del “si è sempre fatto così” e dell’ "abbiamo già dato”. Allora in questo senso, confrontandomi con i miei due confratelli di S. Alessandro e S. Stefano abbiamo scoperto che il nostro laicato era assolutamente disponibile, anzi quando abbiamo fatto l’ultimo incontro pre estivo a San Baudolino i laici hanno preso la parola e in termini assolutamente chiari

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ci hanno detto, simpaticamente ma molto fermamente, era ora cioè noi siamo stufi di vedere parroci che non si relazionino, che non vogliono condividere esperienze insieme alle altre par-rocchie. Allora abbiamo detto: partiamo. E bisogna dire che in queste prime riunioni operative e organizzative stiamo vedendo un rinnovato fervore, cioè quel desiderio che ciascuno di noi parroci ha di fare qualcosa di diverso, qualche cosa di nuovo, di dare una svolta alla propria pastorale oppure di raggiungere fedeli laddove sembra assolutamente difficile ormai o dove ci sembra di incontrare la più assoluta indifferenza, si scopre che questo tipo di coinvolgimento a qualcosa è servito. La Missione che cos’è? Certamente se non la si vive organizzandola non si può capire che cosa sia perché gli incontri che abbiamo vissuto sono stati assolutamente utili a dare le motivazioni profonde, i perché, a far sentire come sia importante questa concezione di missione integrata e anche integrale per certi aspetti, a supe-rare un certo clericalismo di fondo che poi si esprimeva sempre nella delega a senso unico. Mancando indicazioni operative da questo punto di vista però giustamente molti si sono chiesti: che cos’è questa Missione? Nel realizzarla poi abbiamo scoperto che c’è effettivamente un progetto pedagogico, pastorale, senza dubbio di spessore e di consistenza e che ci chiama veramente a progettare e a vedere la vita parrocchiale in termini diversi per-ché la grande scommessa di questa Missione non sarà quante persone verranno e riusciremo a coinvolgere nella Missione ma cosa continueremo a fare dopo. E infatti come tre parroci noi ci siamo già dati alcuni obiettivi e sono convinto che i nostri laici li condivideranno, che terminata la Missione, subito, già dalla settimana dopo ci impegneremo ad avere un incontro mensile sulla Parola di Dio interparrocchiale, perseverante, costante per tutto l’anno, che faremo tutti insieme; poi l’inaugurazione dell’anno catechistico come Zona relativamente al quale insieme presenteremo un corso di formazione per i genitori dei ragazzi, partendo dal tema della relazione dal punto di vista delle varie sfaccettature psico-pedagogiche e poi chiaramente la relazione per eccellenza è Gesù Cristo che ci mostra il volto del Padre. In questo senso sono effettivamente entusiasta, non lo sono per orgoglio istituzionale, ma perché sono convinto che questa Missione possa veramente aiutarci a dare una svolta benefica,

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virtuosa alla nostra pastorale parrocchiale.

Dopo gli interventi di don Giovanni, del Vescovo e di don Massimo, Agostino Pietrasanta esprime con sincerità la propria delusione riguardo a tutto lo svolgimento del Consiglio pastora-le. Quello che è emerso dai vari interventi o per lo meno che era in linea con quanto è stato provocato dal documento “Essere comunità cristiana oggi”, è la difficoltà di collaborazione tra le parrocchie e la difficoltà che le parrocchie collaborando diano un esempio di rivitalizzazione della comunità. I rappresentanti di Zona non hanno sottolineato quello che è emerso dagli interventi di don Giovanni, del Vescovo e di don Massimo che invece hanno evidenziato in modo molto intenso, molto preciso, ossia che le parrocchie del centro cittadino sono state capaci di collaborare nel momento in cui si sono fatte carico di una presenza della comunità cristiana nel loro ambiente. Pietrasanta ritiene che questo atteggiamento vada sottolineato in modo molto forte e che debba essere visto con molto realismo, senza pessimismo ma anche senza ottimismo, perché veramente qui troviamo la vitalità della comunità. Concludendo il suo intervento, infatti, don Massimo affermava: “Qui c’è la scommessa della continu-ità su questi argomenti: continueremo o è l’entusiasmo di un momento?” Il moderatore chiede ancora al parroco di S. Rocco: “Avete sperimentato in questa esperienza, in questo percorso la possibilità che le associazioni e i movimenti mettano a ser-vizio di questo processo i loro carismi oppure no? Oppure, i protagonisti di questa capacità di rivitalizzare la comunità sono persone che avete trovato sulla vostra strada, ma i movimenti e le associazioni sono in grado di dare un contributo a questo processo, lo hanno dato? Tu credi che possano essere strumenti di questa scommessa di continuità?”.

Intervento scritto di Don Massimo Marasini La situazione presente nelle tre parrocchie: esclusa l’Azione

cattolica presente a Sant’Alessandro da lunga e onorata tradi-zione non sono presenti nelle altre 2 parrocchie, altri movimenti di impegno ecclesiale. La parrocchia di San Rocco ha avuto nel passato una collaborazione con un movimento dandole ospita-lità per quanto riguardava l’idea di fare un cenacolo di famiglie

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ma poi di fatto questo non è avvenuto, per cui esplicitamente la realtà associativa non è presente come interlocutore collabo-rativo alla costruzione della Missione. D’altra parte però sono problemi che da decenni vengono dibattuti dalla Chiesa italiana: il rapporto tra movimento e vita parrocchiale o movimento e il contributo alla vita della Chiesa diocesana attraverso le parroc-chie. A mio avviso il compito della persona che partecipa a un movimento è quello di dare spazio e qualità a una componente o a un aspetto della spiritualità sottolineata dal movimento per poi riversarla e metterla a servizio della vita parrocchiale che ha naturalmente nella domenica, nella prossimità dell’esperienza, nella testimonianza del mondo, lì dove vivi, lì dove il Signore ti ha messo ti dà il vero senso dell’essere Chiesa diocesana. Perciò proiettando il tipo di problematica a livello diocesano e a bene-ficio della missione il problema si consuma nelle relazioni che evidentemente non riescono a comporsi in un quadro di unico respiro ecclesiale. In questo momento prevale il cristiano che magari appartiene anche al movimento ma solo in quella sede e non si sente parte attiva della vita parrocchiale.

Mons. Vescovo sottolinea che nella vita parrocchiale non è necessario che un soggetto si qualifichi esternamente, for-malmente come appartenente all’Azione cattolica o a un altro movimento, però non deve venir meno l’apporto della propria spiritualità costruita anche e soprattutto all’interno del movi-mento come formazione, bensì occorre riversarla nella comunità in maniera tale che ci sia un’uguaglianza e nessuna discrimi-nazione di superiorità o di diversità che porta a separazioni, ma le persone siano presenti col loro carisma. Si nota ad esempio come attraverso gli insegnanti di religione ci sia una forte pe-netrazione della Missione nel mondo della scuola; anche la Pa-storale giovanile ha già fatto degli incontri per armonizzare, per concordare insieme con la Missione il programma ordinario. In questo senso, l’interrogativo se i movimenti sono presenti nella parrocchia, forse va inteso non in quanto movimenti a fianco della comunità, ma movimenti che danno alle parrocchie i loro membri come parrocchiani in quel contesto.

Padre Domenico Parietari ritiene che questo sia l’unico modo

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con cui i movimenti possono partecipare alla vita ecclesiale, perché se il movimento partecipa come un gruppo che spesso si sente superiore ai laici comuni - chiamiamoli così - allora schiac-cia, invece è auspicabile che ognuno porti il proprio carisma.

Intervento scritto di Don Massimo Marasini Naturalmente questo - guardiamo anche l’altra faccia della

medaglia - richiede alla comunità parrocchiale che sia assoluta-mente aperta, disponibile all’accoglienza, che vede le differenze come un arricchimento, che non vive di protagonismi, che non fa la solita oligarchia egocentrica.

Intervento scritto di Angelo Teruzzi Non mi è piaciuto nell’intervento di Pietrasanta l’accenno

ai gruppi e alle associazioni, che non starebbero collaborando con la Missione diocesana. Nel suo intervento sento come una “pretesa”: limiti certamente ce ne sono, ma non si correggono se solo si insiste perché gli aderenti alle associazioni e ai movimenti entrino in uno “schema”. Nella parrocchia di Don Massimo qual-che anno fa è stato fatto un tentativo di collaborazione organica con il movimento di CL: il tentativo non è riuscito. Non mi sto a chiedere di chi è la colpa. Ma quante volte abbiamo fatto dei tentativi di andare in parrocchie e di avere un’accoglienza in cui ci potesse essere una presenza. Comunque, quello che don Massimo fa andando in giro a cercare tra i suoi parrocchiani gente disponibile per creare dei gruppi di ascolto della Parola, è analogo allo sforzo che anche noi facciamo andando in giro a cercare gente disponibile a partecipare alla scuola di comunità e a guidare i relativi gruppi.

Don Giovanni Guazzotti precisa che il Calendario diocesa-no è stato stampato a San Baudolino dopo una lunghissima insistenza presso i movimenti, le associazioni, i gruppi, le par-rocchie, gli Uffici pastorali di far pervenire i propri programmi. Quelli che hanno provveduto, sono inseriti in questa agenda.

Mons. Vescovo invita a prestare attenzione perché non c’è un parallelismo tra la vita diocesana e la vita delle associazioni, poiché tutte le realtà devono confluire nella Chiesa locale con

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la legittimità, non solo, ma l’incoraggiamento dei carismi che sono nei movimenti, nelle associazioni e anche nelle singole persone. In questo senso adesso, pur nella diversità delle zone della città, continueremo la Missione anche altrove e allora an-dremo a coprire tutta la realtà della Chiesa diocesana, dove c’è la ricchezza dei movimenti e delle associazioni che - ripete Mons. Vescovo - “io incoraggio. Capisco le difficoltà che sono le stesse che ha il parroco - come diceva giustamente Teruzzi - perché bisogna andare a cercarli e non è facile convincerli, portarli e poi educarli, formarli. Ma là dove ci sono realtà di associazioni, il movimento non è soltanto di coesistenza, perché la Chiesa diocesana si esprime attraverso le parrocchie in modo territo-riale e anche attraverso le associazioni e mi pare che là dove sono presenti questo movimento sia avvenuto; se non ci sono è un problema che dobbiamo affrontare come associazionismo. Ma dove sono presenti penso che confluiscano senza mettere il distintivo. Quando ci sarà la Missione - conclude Mons. Versal-di - aspetto che tutte le associazioni siano presenti e formino quel gruppo di laici che sono missionari secondo la vocazione che è primaria dei laici, nelle famiglie, nel posto di lavoro, nella scuola. Io vorrei smussare questa ipotesi di conflitto che non esiste: era solo per vedere se riusciamo ad intenderci che tutti lavoriamo per lo stesso Regno; ognuno ha dei doni che devono però confluire e il luogo di confluenza è la Chiesa locale”.

Intervento scritto di Don Mauro Bruscaini Faccio due osservazioni. Da una parte, mi domando se un

buon laico, che vive il suo cammino in un movimento, che ha una sua spiritualità, che quindi riesce ad ascoltare la Parola di Dio e vivere i sacramenti, debba necessariamente essere un laico impegnato in parrocchia. Credo che sia prima di tutto un laico impegnato in famiglia, nel mondo del lavoro, nella testi-monianza cristiana. Questo come laico, perché non tutti devono essere catechisti, non tutti devono essere animatori di oratori; faccio quindi questa osservazione per la maggior parte dei laici che stanno nei movimenti, e questo fatto me lo ricordo, quando all’inizio dell’esperienza di Èquipe Notre-Dame ci si domandava se le coppie dell’Èquipe Notre-Dame dovessero per forza poi fare qualcosa in parrocchia.

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L’altro aspetto si collega a quello che lei sta dicendo, sul fatto che le nostre comunità cristiane, o almeno la stragrande maggioranza delle nostre parrocchie, non fanno assolutamente attività legate al mondo, ma tutte rivolte alla Chiesa. Quando si andrà avanti con un discorso più missionario nelle parrocchie, probabilmente questi laici dei movimenti avranno più spazio, ma se in parrocchia si deve venire a fare le pulizie o semplice-mente a fare l’animatore in oratorio o catechismo, non mi sento di chiederlo a tutti.

Mons. Vescovo precisa che il criterio della territorialità indica l’aspetto dell’incarnazione nel mondo, nello spazio e nel tempo “perché quando un’associazione si riunisce, si riunisce in una comunità o no? C’è un luogo nella Chiesa di Alessandria che non appartenga ad una parrocchia? Allora fisicamente c’è un’incor-porazione del carisma nel territorio, nel tempo e nello spazio”. Al riguardo invita don Mauro a non confondere l’essere cristiano con i ministeri, perché uno può fare o non fare il catechista ma la vocazione dei laici è quella dell’evangelizzazione nel mondo delle realtà temporali. E ciò non appartiene a un movimento o a un altro, ma tutti i movimenti devono confluire nella vocazione laicale di evangelizzare il mondo nelle realtà temporali.

Intervento scritto di Don Massimo Marasini Qual è il desiderio vero, buono, grande, onesto di ogni parroco

in relazione a questo tipo di problematiche? Non che il gruppo di Comunione e liberazione, per esempio, venga a risolvere un problema attraverso le proprie competenze nella parrocchia; invero noi saremmo veramente contenti se il singolo apparte-nente all’associazione quando necessariamente è chiamato a condividere e onorare il giorno del Signore, lo sperimentasse e lo testimoniasse nella propria comunità parrocchiale cui ine-vitabilmente appartiene e non lo vedesse come una difficoltà o un dovere ma come un’opportunità di testimonianza, anzi quale miglior modo per propagandare l’autenticità del proprio movimento se non quello di testimoniare nella propria comunità parrocchiale lo spessore della propria identità cristiana? Susci-terebbe interrogativi e forse susciterebbe anche proseliti, per cui mi sembra che non si possa andare per contrapposizioni.

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Don Emanuele Rossi presenta il percorso che il servizio di Pastorale giovanile ha preparato per chi nelle proprie parroc-chie o associazioni incontra dei ragazzi, dei giovani. C’è anche il volantino per Madrid perché l’anno prossimo si celebrerà la giornata mondiale della gioventù. La locandina rimanda al sito internet dove si possono trovare le indicazioni per Madrid e anche tutte le altre iniziative.

Intervento scritto di Daglio Maria Rosa Come movimento abbiamo avuto questa esortazione da

parte dei Vescovi di essere già stati tanto tempo racchiusi con le nostre sedi nelle Chiese, ad uscire nel mondo perché si conosca la nostra spiritualità, assegnando al Rinnovamento un grande progetto internazionale ed opere missionarie com-piute e da compiere. Nella realtà delle nostre parrocchie, dove il gruppo ha la sede, a volte si può non venire accolti per non conoscere e condividere questo modo di pregare che diventa una chiamata specifica di appartenenza al Rinnovamento dello Spirito, movimento ed associazione. Ma pregare e condividere questa esperienza significa entrare in questa corrente di grazia e viverne l’esperienza dell’effusione. Bisogna partecipare all’in-contro di preghiera comunitaria carismatica, vivere l’esperienza della venuta dello Spirito Santo nel cenacolo con i suoi doni e carismi per capire e vivere pian piano questa spiritualità di Rinnovamento nella Chiesa denominata R.n.S. - Corrente di Grazia - movimento ed associazione di cristiani fedeli laici. È molto importante per me, sentirci accolti nella propria specificità e linguaggio per dare il meglio di se stessi con la ricchezza dei doni naturali e spirituali ricevuti in questi tempi difficili dove viviamo, lavoriamo, operiamo per difendere la Chiesa dai conti-nui attacchi, i valori morali la dignità dell’uomo e la vita stessa.

Mons. Vescovo termina i lavori di questo Consiglio pastorale diocesano affermando non solo di accogliere ma di incoraggiare i movimenti. La sua missione come pastore nella Chiesa dio-cesana comprende tutto il territorio e tutte le realtà esistenti; ovviamente quelle più visibili sono le parrocchie. Per quanto riguarda i movimenti se lo invitate “il Vescovo partecipa anche per dare non dico le finalità, perché non è il vescovo che dà i

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carismi - è lo Spirito Santo - ma viene sempre per incoraggiare questa trasmissione del carisma nella Chiesa locale, perché l’autenticità è attorno alla figura del Vescovo, non è data dal capo carismatico che ha fondato un movimento ma dal Vescovo che fonda la Chiesa locale. Quindi c’è una gerarchia e c’è altresì una confluenza nel territorio che deve, ovviamente, accettare i doni dello spirito ma poi devono confluire perché nessun mo-vimento, nessun carisma è dato per il beneficio di chi lo riceve solamente, ma anche per tutti gli altri”.

Dopo la Preghiera conclusiva, l’Assemblea si scioglie alle ore

22.45.

Letto, firmato e sottoscritto.Il Presidente

(Mons. Giuseppe Versaldi)

Il Segretario Verbalizzante (Luisa Gatti)

6IN MEMORIA

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Omelia del Vescovo nella celebrazione delle esequie di

don Ugo Barzizza

La parola di Dio che abbiamo appena ascolta-ta, le due letture, la prima dalla seconda lettera di S. Paolo a Timoteo e il brano di vangelo di Luca, illustrano due virtù e due caratteristiche della vita cristiana che ben si con-fanno a descrivere la vita del nostro confratello don Ugo. La virtù della perse-veranza e quello della vi-gilanza. Abbiamo sentito: "Se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo". E nel vangelo: "Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in ve-rità si cingerà le sue vesti e li farà mettere a tavola e passerà a servirli". Due virtù che se ben praticate assicurano, al di là di questa vita terrena, questo regno di pace, questo regno di gioia eterna che è il fondamento della nostra speranza. Perché la perseveranza significa mantenere, non solo per qualche tem-po, ma per sempre durante la vita il primato dell’amore di Dio. Mettere Dio al primo al primo posto, e nulla che lo affianchi, nulla che addirittura gli sia superiore, assicura la perseveranza nel tempo, quello che chiamiamo la fedeltà; nulla può intaccare il primato di Dio quando ci siamo lasciati conquistare dal suo amore che sorpassa ogni nostra risposta.

E la vigilanza, l’abbiamo sentita esaltare nel vangelo, indica l’attesa di qualcosa che deve venire, ma anche l’impegno nel presente, perché ognuno ha una sua vocazione, un suo mandato

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come servo del Signore per far fruttificare i talenti, i doni che ha ricevuto su questa terra ed essere trovato degno di entrare nella casa del Padre. Perseveranza come primato dell’amore di Dio ineguagliato e vigilanza come segno di un “sì” seppure lontano dal grande “sì” di Dio, ma pur sempre un "sì" operati-vo e che impegna a compiere quella missione che consiste nel manifestare l’amore ricevuto da Dio ai fratelli, soprattutto ai più deboli nei quali il Signore Gesù vuole essere riconosciuto.

Queste due virtù illustrano tra l’altro le caratteristiche di don Ugo. Il suo ministero ha due parti ben distinte ma ugualmente significative: il suo impegno in una pastorale ordinaria a Castel-lazzo Bormida, prima come viceparroco, poi per ben trent’anni come parroco di S. Martino. E poi, nella casa di riposo, come colui che conforta e amministra agli infermi, ai poveri, agli an-ziani, ai bisognosi la consolazione di Dio attraverso la liturgia e i sacramenti. La sua fedeltà e la sua perseveranza hanno avuto modo di manifestarsi anche negli ultimi anni nei quali, non potendo più egli esercitare un ministero attivo, ha offerto la sua vita come sacrificio della croce dando prova di soppor-tare con fiducia e speranza anche l’infermità e l’anzianità. La sua lunga vita è il segno di questa sua dedizione al ministero sacerdotale e della sua risposta fedele, perseverante e attiva, e quando non ha più potuto essere attiva, di offerta unita a quel sacrificio eucaristico che tante volte ha celebrato nella sua vita. Noi accogliamo questa sua testimonianza mentre preghiamo in suffragio perché il Signore lo accolga nella sua misericordia; cogliamo questa sua testimonianza, noi sacerdoti innanzitut-to insieme a tanti fedeli a cui egli ha dedicato la sua vita sia a Castellazzo come nella casa di riposo. E vogliamo cogliere questa dedizione perseverante, fedele e operosa perché anche noi sacerdoti possiamo continuare questa testimonianza. E al popolo di Dio, che prega con noi sacerdoti per questo pastore buono che ha compiuto i lunghi anni della sua missione sulla terra, chiediamo il dono della preghiera, della stima e dell’ami-cizia verso tutti quei sacerdoti che in umiltà, con perseveranza, a volte nel nascondimento, nella sofferenza e nella solitudine, continuano in tutte le nostre parrocchie a rendere presente l’azione santificatrice di Cristo che ha affidato a noi sacerdoti il ministero della grazia. E vogliamo anche pregare insieme,

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sacerdoti e fedeli, perché questo esempio di sacerdote che lascia la nostra terra per salire alla casa del Padre, sia uno stimolo per nuove vocazioni. Abbiamo bisogno di giovani che, guardando a questi sacerdoti anziani che hanno portato il peso e la gioia del ministero sacerdotale per così tanti anni, sentano l’attrattiva della chiamata del Signore. Preghiamo anche per le nostre vo-cazioni che abbiamo nel seminario, e per altre vocazioni che il Signore suscita; e preghiamo soprattutto perché anche i giovani, guardando a questi anziani che ci lasciano, possano riscoprire il senso della vita, il senso dell’amore, il senso del servizio e del ministero sacerdotale.

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Omelia del Vescovo nella celebrazione delle esequie di

Mons. Giovanni Semino

Pochi giorni dopo aver celebrato insieme la festa di S. Antonio e alla vigilia della festa di S. Biagio, due santi protettori dell’Ospedale, don Giovanni ci ha lasciato. E noi vogliamo, in questa celebra-zione eucaristica, raccogliere la sua testimonianza alla luce della parola di Dio, quella pa-rola che egli ha ascoltato fin da giovane e che lo ha chia-mato a seguire Cristo come buon pastore. Abbiamo sen-tito, nella prima lettura, dal libro del profeta Ezechiele, la promessa che, fin dall'an-tichità, Dio ha fatto al suo

popolo: prendersi egli stesso cura del suo gregge. E sappiamo che tutto questo si è realizzato in Cristo il quale a sua volta ha mandato alcuni in mezzo al popolo di Dio per essere il segno visibile del suo essere unico buon pastore venuto per radunare in un unico ovile tutto il genere umano, e per portare quella salvezza che ha ridato all’uomo la speranza.

Il progetto di Dio è un progetto di amore che non è stato irri-mediabilmente perduto con il peccato, ma restaurato attraverso la passione, morte e risurrezione di Cristo. E noi siamo ancora qui a meravigliarci, con la nostra fede che supera le abitudini e le tradizioni, di fronte alla modalità con cui questa profezia del buon pastore si è realizzata in Cristo. Infatti quella "meraviglia dei" ha fatto del buon pastore non solo colui che guida il suo gregge e che va alla ricerca della pecorella smarrita, ma soprat-

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tutto colui che dà la vita, non come il mercenario ma appunto come il buon pastore, per raccogliere le pecore perdute e ridare loro la vita, non solo quella terrena ma anche quella eterna. E anche l’ovile, rappresentato dalla Chiesa sulla terra, è stato veramente compreso e realizzato nel vero ovile che è la casa del Padre nella quale c’è un posto per ognuno di noi.

Noi vogliamo prendere questa testimonianza di don Semino non solo per un dovere di riconoscenza che viene messo sull’al-tare come rendimento di grazie, ma anche come nutrimento della nostra fede. E in questo anno sacerdotale in cui le figure concrete - il Papa ci ha indicato il Curato d’Ars - dei nostri sacerdoti, dei nostri parroci, dei nostri cappellani, dei nostri pastori di ogni giorno, diventano un riflesso, un bagliore più o meno intenso di quell’unico amore del buon pastore.

Ebbene don Giovanni fin dalla sua giovinezza ha detto "sì" al Signore; un "sì" che è una rinuncia ma ancor più un darsi, un abbandonarsi alla volontà di Dio. E negli anni del ministe-ro ordinario esercitato nel suo stesso paese, in Capriata, e poi a Spinetta Marengo, a Piovera, a Bassignana, è stato il buon pastore dell’amore di Dio. Ma è soprattutto la testimonianza specifica di questi trentatre anni, lunghi e generosi, che ha passato all’ospedale, che ci sprona ad una fede più generosa e più autentica.

L’ospedale, lo sappiamo, è il luogo di frontiera, il luogo della lotta e del combattimento, in cui l’uomo sperimenta la fragilità della sua carne nella lotta contro il male; quel male profondo che è il peccato e le cui conseguenze sone espresse nella debolezza e fragilità della carne che soffre. Ebbene nell’ospedale vengono le domande fondamentali che ogni uomo, prima o poi, deve affrontare: che cos’è questa vita umana in cui la sofferenza è parte essenziale ed inevitabile? Che significato ha la sofferenza, la fragilità umana sapendo che per tante vittorie momentanee che si possono avere, l'esito finale, umanamente parlando, sarà sempre una sconfitta? E ancora: che cosa è la morte, cos’è oltre la morte? Nell’ospedale si combatte una battaglia che tocca ognuno di noi e che, per tanto distratto che sia, o perché è ricoverato o perché visita qualcuno dei suoi cari o qualche conoscente, deve affrontare.

Ebbene la Chiesa, attraverso al presenza del sacerdote,

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che ancora nei nostri ospedali ha un ruolo importante, vuole dare una risposta a questi interrogativi per unirsi agli uomini di scienza che lottano con ogni risorsa contro la sofferenza, contro il male fisico e contro ogni male. La Chiesa è vicina agli operatori sanitari per incoraggiarli a questo ministero della salute recuperabile, ed è soprattutto vicina ai malati e ai loro familiari, perché là dove finisce il potere della scienza, e finisce sempre prima o poi, può dare risposte a quegli interrogativi ai quali la scienza non è in grado di dare da sola: che significato ha la vita umana vista dal suo termine?

La fede si trasforma in speranza, non fatta di parole ma fondata proprio su quel Cristo che è venuto a condividere, lui che poteva farne a meno, la nostra condizione, non solo di sof-ferenza ma anche di morte per potere aprire le porte che dalla vita terrena ci introducono nella vita eterna.

E qui la presenza della fede attraverso il sacerdote nei nostri ospedali diventa una integrazione a ciò che il servizio sanitario può dare. Ma perché tutto questo possa essere credibile, la fede e la speranza cristiana devono trasformarsi in carità; devono far sentire la condivisione; Cristo "non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha assunto la nostra condizione fino alla morte e alla morte di croce": ecco la credi-bilità della fede e la predicazione della speranza oltre questa vita diventa credibile se il credente è a fianco dell’ammalato, a fianco di coloro che lottano contro il male, a fianco delle famiglie toccate dalla sofferenza, dal dolore e dalla morte.

Come vedete, da questa prospettiva, la vita di don Giovanni è stata una vita di ministero riuscito. La testimonianza larga, la partecipazione larga di tutti voi qui in questi lunghi anni del suo ministero ci dice che non solo don Giovanni ha esercitato un ministero ma lo ha reso credibile attraverso la sua vita: per vivere trentatre anni in questo luogo della sofferenza, in cui certamente molti malati guariscono, ma molti altri no, don Semino ha dovuto nutrire la sua fede di tanta speranza e tra-sformarla in carità. È per questo che egli non solo ha esercitato un ministero ordinario, ma ha voluto anche portare i malati e le loro famiglie, gli operatori sanitari, il volontariato al nutrimento della loro fede e della loro speranza, andando sovente in quei luoghi che confermano la nostra fede, e in modo particolare a

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Lourdes attraverso l’OFTAL, questa istituzione rappresentata qui oggi dal suo presidente, dal cappellano, dall’assistente dio-cesano, con i suoi gonfaloni. Ma don Giovanni organizzava visite anche ai luoghi della terra santa e ad altri luoghi dove quella solidarietà attorno a Cristo fonte della nostra fede e della nostra speranza aiuta coloro che sono toccati dalla sofferenza e dal dolore a fondare la propria esperienza non su parole umane ma sulla parola di Dio. Ebbene noi sentiamo nell'esperienza di don Giovanni avverarsi le parole che abbiamo sentito nel vangelo, quella preghiera di Gesù che è già di per sé una garanzia di esaudimento da parte del Padre . “Voglio”: è la preghiera che è un comando nel rispetto della volontà del Padre, ma è il Verbo incarnato, consustanziale al Padre che parla: “Voglio che coloro che mi hai affidato siano con me per condividere la mia gloria”. Con gli occhi della fede noi vediamo non solo questa grande assemblea di sacerdoti e laici qui nel Duomo di Alessandria, oggi, per le esequie di don Semino, ma contempliamo anche la grande assemblea del cielo dove Cristo l’ha chiamato e lo accoglie con le braccia allargate della sua misericordia e dove la Vergine Immacolata, che tante volte ha visitato nei santuari, si pone a fianco del Figlio per accompagnarlo in questo suo ultimo passo. Ma in questa assemblea celeste vedo anche una folla di angeli e santi: tutti coloro che don Giovanni ha assistito, l’hanno preceduto e adesso più numerosi di quanti siamo qua, in cielo lo accolgono e fanno festa perché questo servo fedele ha visto in loro il Cristo, li ha nutriti con la fede e la speranza e li ha arricchiti della sua carità.

In quest’anno sacerdotale raccogliamo la testimonianza di don Giovanni come un seme sparso che ha già dato frutti ab-bondanti su questa terra, ma insieme preghiamo non solo per il suffragio della sua anima, ma anche per i familiari perché siano consolati, e certamente lo sono, da una testimonianza così esemplare e confortante. Ma preghiamo anche perché il Signore susciti in mezzo al popolo di Dio altre vocazioni sacer-dotali. L’esempio di questi sacerdoti anziani, dediti al ministe-ro nascosto, possa attirare tanti giovani che vogliano curare come il buon pastore questa umanità ferita e raccogliere le pecorelle sperdute non con lo stile di chi vuole una vendetta o una punizione, ma con l’animo del buon pastore come ha

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fatto don Giovanni. Negli ultimi tre anni, non solo è stato buon pastore ma anche una pecorella ferita nella sua malattia che ha condotto e ha gestito con l’animo di chi fa sue le parole che prima aveva detto agli altri. Don Giovanni ha voluto rimanere fino alla fine nel suo luogo di apostolato, e mentre andava a celebrare l’ultima messa sulla terra il Signore l’ha chiamato per celebrare la messa eterna, quel convito in cui non ci sono più lacrime e sangue ma la condivisione della gloria del Padre. Così preghiamo e così sia.

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Omelia del Vescovo nella celebrazione delle esequie di

don Gianni Cossai

“La gente vide ma non capì”. Lo abbiamo ascoltato dal libro della Sapienza; e anche noi tutti, o Signore dobbiamo confessare di fronte a Te, che abbiamo difficoltà a capire il mistero della morte in generale, ma ancor più della morte di un sacerdote, della morte prematura di un sacerdote così buono e così zelante. È per questo che vogliamo capire, attraverso la tua parola, o Signore, come il nostro cuore possa essere illuminato e consolato.

La lettura dal Libro della Sapienza che rappresenta quasi il culmine della rivela-zione dell’Antico Testamen-

to, ci dà già una risposta, seppure parziale, all’interrogativo: “Perché o Signore questa morte, la morte del giusto che muore prematuramente?”. La risposta che lungo i secoli è maturata culminerà nella sua pienezza solo in Cristo Gesù. Prima di Gesù il massimo della luce era questo: "Il giusto troverà un luogo di riposo, lascerà questo mondo - ci ha detto la Sapienza - che è malvagio, che è fatto di peccatori; il giusto, il buono è stato sottratto all’insidia del male e portato nel riposo eterno; grazia e misericordia sono per i suoi eletti e protezione per i suoi santi".

È questa già una risposta, ma ancora parziale e non piena-mente consolante perché ci dà l’idea di un bene proiettato solo

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nell’aldilà, di una terra in cui è bene non rimanere, di una ter-ra fatta di malvagità e di peccatori e nella quale il giusto deve rimanere poco per non soffrire tanto. Era già un passo avanti rispetto alla cultura dei tempi e dei popoli; una risposta solo parziale, seppure in parte già consolante sapere che il nostro don Gianni ha trovato la pace e il riposo. Ma con l’avvento e l’incarnazione del Verbo fattosi uomo per la nostra salvezza, la rivelazione diventa piena in Gesù: con le sue parole e con la sua vita ci dà una risposta definitiva che esige certamente an-cora la fede ma ci dà la pienezza di significato. Abbiamo sentito nel Vangelo quelle parole che riassumono nelle beatitudini il paradosso cristiano: un qualcosa che capovolge la logica del mondo perché coloro che il mondo chiama sfortunati, infelici, miserabili, nelle beatitudini sono appunto detti beati e felici.

Ma dobbiamo capire il significato che sta dietro a queste parole così sconvolgenti, allora come oggi, perché mentre nel libro della Sapienza c’era questa contrapposizione tra un futuro beato per i giusti e un mondo presente malvagio e infelice, nelle beatitudini i tempi saltano: Gesù, dice guardando ai suoi disce-poli: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che ora sono nel pianto perché saranno consolati”. La beatitudine non appartiene solo all’aldilà, ma è già presente in questo mondo per coloro che credono e seguono il Cristo. Beato già adesso chi segue il Cristo che si è fatto povero, che si è fatto mite, che si è fatto operatore di pace, che ha accettato per amore anche la persecuzione e la morte fino a dare la sua vita per la salvezza degli uomini. C’è già nel cuore del credente oggi, in questo mondo, una beatitudine che non è esenzione della sofferenza ma, insieme alle tribolazioni e alle persecuzioni, è vittoriosa su tutte queste avversità, perché quel futuro sicuro che Cristo ci ha meritato, quella porta aperta con la sua risur-rezione, manda una luce che - come dice il papa Benedetto XVI nella sua fondamentale enciclica sulla speranza - riverbera già, dà significato e rende sopportabile oggi il dolore, la persecuzione e tutto quanto è parte della fragilità della condizione umana. “Beati voi - dice Gesù ai discepoli - se farete come me: ero ricco e mi sono fatto povero, di fronte agli insulti rimango mite, dono la mia vita nonostante la persecuzione, perdono i miei perse-cutori; beati voi adesso, perché nessuno può sconvolgere nelle

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profondità il vostro cuore da questa certezza”. E Cristo risorto è il segno di questa vittoria, è il segno della

fondatezza della nostra speranza da non aspettare nell’aldilà solamente; certamente nell’aldilà ci sarà la pienezza: “non ci saranno più né lacrime né lutto” ci dice la parola di Dio, ma già su questa terra è sopportabile essere giusti, essere buoni pur dovendo pagare, come Cristo, il prezzo della sofferenza. E allora questa sofferenza non è senza significato, non da è fuggire: ha un significato positivo se unita a quella di Cristo.

Ecco cari fedeli, questa è la buona notizia, questo è il Vangelo, queste sono le beatitudini che lo riassumono, questo è ciò in cui don Gianni ha creduto e messo in pratica. Non so quali di queste beatitudini possono essere attribuite a lui in maniera specifica: è stato povero, si è fatto povero e non solo perché ha dato tutto quello che aveva di materiale, ma ha dato se stesso; il dono di sé nell’amicizia, nella vicinanza, nelle relazioni sempre cordiali dovunque è passato. Certamente è stato un uomo mite, un ricercatore della pace, un operatore della pace; certamente è stato uno capace di dare significato anche alle sofferenze del-la sua vita; anche nel fare il bene a volte non si è capiti e si è perseguitati: don Gianni ha assaporato anche questo nella sua vita e senza perdersi d’animo. E infine ha dato prova della sua fede, del suo amore a Dio e ai fratelli, nell’accettare, affrontare e vincere l’ultima prova della sua vita, quando anche per lui si è aperto il mistero del non poter più fare quel bene per cui era stato ordinato, del rammarico del non poter stare con i suoi come il pastore sta con il suo gregge e nel passare gli ultimi mesi della sua vita in una offerta sulla croce accettandone il significato e rimanendo fermo nella speranza cristiana: egli ri-poneva, come uomo giusto, la sua fiducia nel Signore. E nelle ultime volte che anch’io l’ho visitato esprimeva il suo abbandono fiducioso, seppur doloroso ma pieno di speranza, nell’aldilà.

Ebbene questa è una testimonianza grande come grande è la vostra partecipazione a queste sue esequie. La figura di questo pastore è una testimonianza che innanzitutto è offerta a voi, cari sacerdoti, al termine dell’anno sacerdotale, in una maniera che non avremmo voluto ma che ci è data dalla provvidenza. Una testimonianza che affido anche a voi, caro popolo di Dio e cari fedeli laici che avete conosciuto, amato e stimato don

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Gianni e che oggi col cuore addolorato siete qui numerosi in rappresentanza di una ancora più ampia cerchia di persone; abbiate fiducia nei vostri sacerdoti. Nonostante i tempi difficili - ma quando mai sono stati facili - nonostante le difficoltà e la scarsità di sacerdoti, anzi direi proprio per questo, vi invito a stimare i vostri sacerdoti: aiutateli e state loro vicini come siete stati vicini a don Gianni; e qui voglio ringraziare coloro che nella vita pastorale ma anche nella malattia gli sono stati particolarmente vicini: il Signore vi ricompenserà.

Vorrei terminare affidando questa testimonianza soprattutto ai giovani: don Gianni è stato per un breve periodo anche il de-legato per le vocazioni nella nostra Diocesi. Ebbene, nel mistero di Dio, nonostante la scarsità di sacerdoti, siamo privati di un sacerdote in età ancora non anziana; voglio affidare a lui, in quanto in mio potere ovviamente, quella carica che aveva avuto in terra per qualche tempo, adesso la riprenda dal cielo.

Vorrei invitare i giovani e non solo loro a guardare alla figu-ra di questo sacerdote come un modello di vita riuscita anche umanamente, perché chi sente e mette le condizioni per sentire la chiamata del Signore al sacerdozio, guardando a lui, trovi il coraggio di dire il suo “sì” perché non manchino nella Chiesa di Alessandria sacerdoti buoni, zelanti e santi.

Caro don Gianni affido a te, insieme a quelli che hanno qui in terra questa missione, il compito di essere il delegato vescovile dal cielo per le nostre vocazioni sacerdotali.

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Mons. Gian Piero Gosio

Nel diario di Mons. Gian Piero Gosio sono da annotare due assenze più che giustificate nel 29 giugno u.s. L’omaggio di ogni anno al santuario di N. S. di Loreto alla tomba di Mons. Pietro Giuseppe Gagnor, il Ve-scovo che lo aveva ordi-nato sacerdote nel 1957. La seconda quella enun-ciata nell’ultimo bollet-tino parrocchiale: “In occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo sarà celebrata la messa solenne con annessa indulgenza plenaria. Dal 1992 la nostra parroc-chia è stata insignita del titolo di Basilica Minore: ringraziamo il ‘Datore di

ogni bene’ di questo grande dono spirituale che ci unisce alla Sede di Pietro e viviamo questo grande momento di spiritualità accostandoci ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. Ci saranno sacerdoti a disposizione per le confessioni”.

Assenze o presenze ancora più significative di questo 29 giugno 2010? Occorre ravvivare la fede a fronte del transito di don Gian Piero proprio il 29 giugno all’ospedale civile della nostra città. Presenza quindi da leggere con gli occhi della fede e con l’amore con cui don Gian Piero ha seminato nell’arco dei suoi cinquantatre anni di sacerdozio a Quargnento e in Diocesi. Una presenza che ha lasciato tanti segni luminosi, quasi i colori

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di un arcobaleno, nei vari ambiti in cui è stato maestro della parola e suggeritore delle opere scaturite dalla fede.

Alessandria, il rione Cristo, la sua terra d’origine nel 1934. Dopo il seminario l’ordinazione sacerdotale nel 1957. Frugarolo lo accolse con l’entusiasmo giovanile delle prime esperienze pa-storali sotto la guida dell’arciprete Duilio Nanino. Da Frugarolo in cattedrale, quindi vice rettore al collegio S. Chiara, insegnante in seminario, vice assistente degli uomini di A.C., cappellano della Croce Verde. Dal 1967 arciprete a Quargnento. Di seguito direttore della Caritas diocesana dal 1979 al 1998; servizio per le vocazioni dal 1998 al 2003; Cappellano di S. S. Giovanni Paolo II dal 1982; canonico penitenziere in cattedrale dal 2005.

Quargnento borgo antico ricco di storia e tradizioni presenta caratteristiche proprie in ambito civile e religioso quali la fioritu-ra di tante vocazioni sacerdotali e religiose. Don Bosco e Madre Michel segnarono con la loro presenza le opere che seguirono.

Monsignor Gosio attento a questa singolare e preziosa ere-dità camminò con i tempi aprendo le nuove strade segnate dal Concilio Vaticano II e armonizzando la ricchezza di ieri con quanto la Provvidenza indicava nell’oggi. Vorremmo ricordare i tradizionali esercizi spirituali, nel loro valore sempre propo-sitivo, i ritiri spirituali per le varie età, le Missioni guidate dai sacerdoti e laici della Pro Civitate Christiana. Radici profonde che alimentarono la fioritura delle opere. In primo piano la parrocchia elevata a Basilica Minore con la nuova scalinata, i mosaici e lo splendore interno con tutti i rifacimenti, compresa la maestosa torre campanaria. Per i giovani e la comunità: la casa della gioventù, l’oratorio, un centro per tutte le attività spirituali e per gli incontri improntati alla gioia e alla serenità del vivere insieme. Il soggiorno estivo per i ragazzi e i giovani a Trappa di Garessio e da ultimo il dono, con i beni di famiglia, alla comunità della casa in Quargnento ove sostò S. Giovanni Bosco. Un nuovo centro con spazi per tutte le attività. Promos-se l’azione Cattolica, l’Anspi e le Acli. L’attenzione pure per la chiesa di S. Bernardo.

Con lo splendore e l’amore per la casa di Dio arricchì il suo spirito e riversò nel cuore dei fedeli la bellezza delle celebrazioni liturgiche. Nella Caritas diocesana alle sue prime esperienze avviò la lettura del valore di ogni persona umana, emergenza

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propria di tutti i tempi e di questi giorni. Non ci fu richiesta di condivisione che non lo vedesse partecipe con l’apporto dei laici. Rammentiamo il terremoto di Riciliano e, proseguendo l’opera iniziata dal suo predecessore don Giovanni Fossati, a Vendoglio nel Friuli. La liturgia della speranza cristiana per monsignor Gosio è stata celebrata con la partecipazione del Vescovo monsignor Giuseppe Versaldi, il Vescovo emerito mon-signor Fernando Charrier, il presbiterio, i diaconi e i fedeli che gremivano la basilica in ogni ordine di posti.

Nell’omelia monsignor Vescovo ha ricordato come la domanda corretta da porsi in queste circostanze non sia il perché, ma quale significato questa morte può rivestire. La risposta ci viene dalle letture che la liturgia ha proposto: la vita sacerdotale deve essere illuminata dalla promessa della vita futura, nella quale il padrone stesso accoglierà il servo buono e fedele e si metterà a servirlo. “Mentre noi preghiamo egli è già là dove non c’è più lacrima né lutto”. Monsignor Versaldi ha tratteggiato anche le qualità di don Gian Piero, ricordando pure alcuni episodi perso-nali di queste ultime settimane: una ricca umanità, uno spirito ironico, il senso dell’umorismo e una grande facilità di comuni-cazione con gli altri. Uno zelo particolare ha contraddistinto il suo ministero pastorale, vissuto per più di quarant’anni nella comunità di Quargnento, dove non si è preoccupato solo della chiesa intesa come luogo sacro, ma anche e soprattutto della Chiesa-comunità, dei giovani dell’oratorio, dell’esercizio della carità fraterna. La fede gli ha concesso pure di superare, fino a questa ultima tappa, gli acciacchi della salute. Per questo – ha detto il Vescovo concludendo l’omelia – è doveroso ringrazia-re Dio per il bene che egli stesso ha fatto attraverso la vita di monsignor Gian Piero. Il suo esempio diventa così un aiuto per la comunità diocesana tutta nel camminare più speditamente e nel domandare al Signore buoni e santi sacerdoti.

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Omelia del Vescovo nella celebrazione delle esequie di

don Francesco Gandini

Le letture che abbiamo ascoltato sono quelle, come si conviene in questo tempo forte, del giorno liturgico (Is 26, 1-6; Mt 7, 21.24-27), in questa prima settimana di Avvento. Possiamo leggere questi testi come parola di Dio, ma soprattutto vedere come si attualizzino nella vita e nel ministero di don Francesco.

Abbiamo sentito le pa-role di Gesù nel vangelo: “Beato chi non solo dice delle parole anche buone e di preghiera: 'Signore, Signore'; ma chi le mette in pratica fa’ la volontà di Dio". E quelle parole del Signore non devono solo riecheggiare come suoni, ma essere praticate come testimonianza di vita. Questo vale per tutti i cristiani, ma in particolar modo per i sacerdoti che sono i ministri della parola, posti a guida del popolo per proclamare la parola di Dio, per annunciarla, per amministrare quei sacramenti di salvezza che passano attraverso i segni. Quanto vale per il sacerdote questo ammonimento del Signore; ma non basta nemmeno per il lui essere eco della parola di Dio, abbondante, alta, ingegnosa; bi-sogna che quella parola, come è stato nella storia della salvezza, sia incarnata come il Verbo si è incarnato e si è fatto uomo, e quello che diceva lo faceva, non si accontentava di annunciare la verità ma era la verità: "Io sono la verità".

Nella sua ordinazione ogni presbitero, e qui mi rivolgo in par-

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ticolar modo ai sacerdoti, è ammonito di praticare ciò che tratta nel suo ministero; non è solo il sacerdote dell’antica alleanza che offriva il sacrificio degli animali come espiazione dei peccati del popolo; il sacerdote nel Nuovo testamento, perché ministro del sommo sacerdozio che è Cristo, il nuovo sacerdote sommo, deve anzitutto offrire se stesso; quell’amore di Dio che è rispecchiato in Cristo viene annunciato e praticato dal sacerdote.

Nel Vangelo Gesù parla della differenza che esiste tra l’uomo saggio e l’uomo stolto; noi qui possiamo tradurre la medesima similitudine parlando di sacerdote saggio e sacerdote stolto; ora saggio è colui che costruisce la casa sulla roccia, sulla parola di Dio praticata. Colui che costruisce solo con la parola umana, senza la messa in pratica della parola che viene dall’alto, è colui che costruisce sulla sabbia. E guardate che chi costruisce sulla sabbia costruisce velocemente, e finisce presto la casa perché non ha da scavare nella dura roccia. Il successo, i risultati possono essere anche più grandi nell’uomo che costruisce sulla sabbia rispetto a chi costruisce sulla roccia; ma il tempo, come dice il proverbio, è galantuomo, cioè la perseveranza nel bene, quando si tratta non di raccogliere ma di seminare, di scavare e non di innalzare, rende giustizia dei veri frutti, non passeg-geri, che possono venire solo dalla parola di Dio annunciata e messa in pratica.

Queste parole ben si adattano alla vita di don Francesco, a cominciare proprio dal fattore tempo, la cui perseveranza non è un puro dato cronologico: già in sé dice fedeltà non solo ad una parola ascoltata e proclamata, ma ad una parola vissuta e messa in pratica. Ma non solo nel tempo materiale, che è pure indicativo di una virtù non fatta di parole ma di opere, la fedeltà di don Francesco si è manifestata soprattutto nella qualità della vita e del ministero. L’ho conosciuto ormai al termine della sua vita, quando le sue forze lo stavano abbandonando ed iniziava anche per lui il momento della passione, della croce e della passività, affrontata, per quanto ha potuto, coscientemente e con quello spirito di fede che è donazione e abbandono alla vo-lontà del Padre, fino alla fine. Nel suo ministero, sia a Felizzano prima e poi a Valle S. Bartolomeo, come vice parroco, emergeva la voglia di un giovane prete nel mettere a servizio della comu-nità, e anche del parroco, le sue capacità per apprendere, per

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adattarsi, per collaborare; uno spirito, nello stesso tempo, di obbedienza e anche di intraprendenza con i giovani.

E poi qui, più di quarant’anni in questa comunità, dove ha visto passare generazioni e generazioni, e voi qui presenti siete la rappresentanza di tutti coloro che egli ha accompagnato dal battesimo fino alla casa del Padre. La comunità costruita attor-no al suo pastore aveva visto in lui, come già nelle parrocchie precedenti, il servo buono e fedele, capace di proclamare la parola di Dio e di praticarla attraverso un esempio di relazioni semplici, profonde, basate su quella parola che veniva annun-ciata e messa in pratica nell’umiltà ma anche nel coraggio dell’intraprendenza. Le opere realizzate sono la testimonianza di questa comunità che è cresciuta a questa scuola e che oggi lo venera, lo saluta con tanto affetto proprio perché ha visto in lui, pur con tutti i limiti della natura umana che sono in ciascuno di noi, l’esempio vivente del buon pastore, del sacerdote che unisce, che genera la sua comunità, che porta a Cristo e non a sé i fedeli per un culto celebrato nelle mura della chiesa, ma che poi si estende al di fuori della mura sacre per creare una comunità cristiana di amore.

Sentiamo ben rivolte a lui queste parole e vogliamo ricordarlo come sacerdote sapiente; sentiamo anche le parole della prima lettura con cui il profeta Isaia annunciava, come elemento di speranza al popolo in esilio e in attesa del ritorno in patria, il giorno in cui nella città forte, nella Gerusalemme nuova sarebbe-ro entrati non solo i potenti ma anche i passi degli umili, i passi dei poveri e sarebbero state abbattute le mura che impedivano ai poveri di entrare. Questo annuncio il profeta Isaia lo fa con il verbo al futuro “verrà”; questo futuro vale anche per noi che oggi lo ascoltiamo; non vale più per don Francesco, perché egli è entrato nell’oggi perenne di Dio: la città forte e le mura sono cadute e lui è entrato nella Gerusalemme nuova dove il Signore assicura ai suoi servi buoni e fedeli quella pace eterna che non avrà fine, e che è la vera meta di ogni buon cristiano e di ogni saggio e sapiente sacerdote.

Questa è la consolazione che lenisce il dolore di tutti noi: dei familiari ai quali partecipiamo le nostre cristiane condoglianze, e anche della comunità che l’ha visto ritirarsi negli ultimi tempi sulla croce della sofferenza a dare un esempio di abbandono

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alla volontà del Padre. La comunità deve farne tesoro di que-sta testimonianza e anche noi sacerdoti, nel presbiterio, siamo chiamati a fare non solo una memoria che ci ricorda nostal-gicamente queste figure che ci lasciano - quest’anno abbiamo avuto dei grossi momenti di perdita anche nel presbiterio - ma da questi esempi trarre la forza di ricostruire un modello e un esemplarità di vita sacerdotale. Le comunità che sono state private di questi sacerdoti come questa di don Francesco non devono vivere solo un rimpianto nostalgico ma far tesoro di quello che questi pastori hanno detto e hanno fatto.

E come sempre faccio in queste occasioni, affido ai sacerdoti che ci lasciano anche il compito di una preghiera speciale per le nuove vocazioni e per i nostri giovani che sono in seminario; ma chiedo loro una preghiera speciale perché altri giovani, in momenti così confusi nei quali sono distolti ed ingannati da una cultura che non è cristiana, vengano da questi esempi illuminati per capire dov’è la vera felicità, e per ascoltare non la voce di ciò che è utile, porta al successo e rende notorio, ma quella del Signore che li chiama ancora oggi al ministero del buon pastore nella nostra Chiesa locale e in questa comunità.

Affidiamo a don Francesco anche questa intercessione e rac-cogliamo il suo buon esempio: il dolore della sua perdita sarà allora elevato e sollevato dalla convinzione, nella fede, che egli è ancora con noi legato nella comunione dei santi per il bene della nostra Chiesa locale, della Diocesi, di questa comunità e dell’intero presbiterio.

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Omelia del Vescovo nella celebrazione delle esequie di

S. E. R. Mons. Giovanni Ferrofino

Seguendo le letture della liturgia del giorno, in prossimità del Santo Natale, troviamo motivo, non solo di riflessione, come doveroso ogni volta che viene proclamata la parola di Dio, ma anche di attualizzazione di que-sta parola mentre stiamo dando il saluto cristiano al nostro figlio di questa Chiesa di Alessandria, l’Arcivescovo Giovanni. Ci è stata presentata la figura di un altro Giovan-ni, il precursore, il bat-tezzatore; e questa figura adempie, come ci ricorda anche la prima lettura, la profezia di Malachia, con cui il Signore preannunciava il nuovo Elia che doveva venire per preparare la strada al Salvatore: “Io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore”. Ci domandiamo come mai era necessario ancora la figura di un precursore dopo tutta la lunga storia di secoli in cui Dio aveva preparato, attraverso i profeti, la via per il Salvatore; e la spiegazione, la risposta alla domanda, perché ancora un precursore dopo tanti profeti, la troviamo proprio nell’episodio che il Vangelo ci ha ricordato: l’imposizione del nome a questo bambino che doveva camminare davanti al Signore e preparagli la strada. Volevano i parenti chiamarlo, secondo tradizione, con il nome del parente più prossimo, quello del padre, Zaccaria; ma sia la madre che lo stesso Zaccaria confermano: “Giovanni

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è il suo nome”. Si rompe una tradizione e qual è la novità? La novità è esattamente il significato che ha questo nome, Gio-vanni, “Dio è misericordia”. E l’avvento del messia è appunto preparato con questa novità; mentre nel tempo la tradizione aveva aspettato e invocato la venuta del Dio come giudice che mettesse a posto nel mondo la giustizia e soprattutto che libe-rasse Israele dalla sua schiavitù e lo facesse popolo sovrano tra gli altri popoli, ecco che viene mandato un precursore per ricor-dare l’idea originale di Dio che è misericordia: Dio di fronte ai peccatori è misericordia. E questo stupisce, “grande stupore tra la gente”, ma sappiamo come anche lo stesso Giovanni Battista, che pure aveva predicato, annunciato, indicato l’Agnello di Dio venuto in questo mondo, anche lui ebbe difficoltà ad accettare questa novità: la novità che il Messia, Gesù, cominciando la sua predicazione anziché scagliarsi contro i peccatori e punirli ed esaltare i giusti, stava con gli stessi peccatori cercando di convertirli proprio perché Dio è misericordia. Non che Dio non sia anche giustizia, anche Malachia lo affermava, e l’annuncio di quello che Gesù ha fatto ci permette di comprendere meglio come il precursore veniva mandato “perché quando egli verrà non abbia a castigare gli uomini”.

Il tempo della misericordia è più lungo di quanto si aspet-tassero gli israeliti e lo stesso Giovanni Battista che mandò i suoi discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu quello che deve venire come giudice?”. Il tempo di Dio si prolunga nel tempo, per tutto il tempo, fino alla fine dei tempi. È il tempo della misericordia in cui Dio, mandando il suo Figlio, vuole convertire i peccatori. Ci sarà il tempo del giudizio, ma è spostato alla fine del tempo.

Questa novità è una buona notizia per tutti, eccetto per coloro che si ritengono giusti e che non hanno bisogno del perdono; ma questi erano coloro che Gesù chiamò ipocriti, perché nessun uomo da solo si può salvare dai suoi peccati e nessuno è senza peccato. Questa è la buona notizia: finché viviamo, finché il mondo vivrà c’è il tempo della misericordia di Dio che non vuol dire il tempo della tolleranza del peccato, ma della misericor-dia verso i peccatori. E, attualizzando le parole della Scrittura che sono state proclamate, anche la missione della Chiesa nel mondo non è quella di scagliarsi contro il mondo, contro gli uomini, ma contro il male, contro il peccato, per essere luce

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che impedisce l’inganno, la radice di ogni peccato. E questa missione della Chiesa durerà fino alla fine dei tempi.

Anche questo nostro fratello che accompagniamo in questo ultimo viaggio terreno, e che è già accolto nel regno di Dio, nei cieli, ha avuto parte a questa missione della Chiesa, in un modo singolare, umanamente si potrebbe dire di carriera, ma noi sappiamo che nella Chiesa non ci sono carriere ma vocazioni misteriose e non per i nostri meriti. Lui ha girato il mondo per rappresentare quella Chiesa che ha questa missione e che, come ai tempi di Gesù, non è sempre capita, non è sempre accolta; e chi più di questo nostro fratello, l’arcivescovo Giovanni, ha potuto conoscere, come raccontava lui stesso - io l’ho conosciu-to solo in questi ultimi anni, ma so bene quanto egli amasse raccontare delle sue vicende e della sua missione nel mondo - quanto fosse difficile spiegare l’autentica missione della Chiesa. Il mondo, infatti, è contraddittorio nell’accogliere la Chiesa; la vede solo potenza umana e la vuole come alleata o la vede come avversaria; vorrebbe una Chiesa solo spirituale, solo mistero e non anche istituzione. Il nostro Arcivescovo, come nunzio in diversi Paesi e in diverse parti del mondo, rappresentava l’unica Chiesa che è insieme visibile e invisibile, mistero, istituzione divina e umana. E sopportava, come ogni buon cristiano e tanto più come pastore, la contraddizione di una Chiesa santa ma anche peccatrice; santa nel suo capo che è Cristo, peccatrice perché composta da uomini peccatori, e lo sono anche coloro che sono chiamati a missioni speciali.

E nei diversi Paesi in cui egli rappresentava questa unica Chiesa ha avuto accoglienza ma anche difficoltà ad essere capito e ad essere seguito. Ma proprio in questo, come per Giovanni Battista, ma soprattutto come per Gesù, il suo essere nunzio non era solo una rappresentanza diplomatica, ma proprio nel sopportare anche le croci dell’incomprensione, dell’indifferenza e a volte anche della persecuzione e della espulsione, dava dimo-strazione, come Cristo, che soffrendo in silenzio, e sopportando le persecuzioni si dà una testimonianza di quell’amore che uni-camente riesce a convincere il mondo e a portare i peccatori alla conversione. L’Arcivescovo Giovanni ha fatto questa esperienza e ha dato questa testimonianza con una piena disponibilità a servire la Chiesa, perché girare il mondo non l’ha fatto come

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turista, ma in un servizio sacrificato, cambiando luoghi, per-sone e relazioni.

Ma non ha mai dimenticato la sua terra d’origine; qui è ritornato negli ultimi tempi della sua vita e qui vuole essere sepolto e noi qui lo vogliamo onorare, ringraziare e ricordare affidandolo alla misericordia del Signore, perché dopo averlo servito su questa terra possa veramente ereditare quel premio promesso ai servi buoni e fedeli.

Raccomandiamo a lui di continuare a rimanere legato dal cielo a questa terra, alla sorella, ai suoi nipoti e a tutti i suoi familiari, agli amici e a coloro che l’hanno conosciuto e stimato. Leggeremo alla fine il messaggio del Papa perché, come nun-zio apostolico, era collaboratore diretto della Santa Sede. Gli chiediamo, infine, che continui ad essere legato a questa terra di Alessandria, al suo presbiterio; vogliamo affidare anche alla sua preghiera l’intercessione per nuove e sante vocazioni per il nostro presbiterio e per la nostra Diocesi, e così possa dal cielo, come crediamo nella nostra fede, essere sempre in comunione con noi.

1. Vescovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 Festa della Chiesa locale (settembre 2009) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 Triduo Pasquale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9 Giovedì Santo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9 Venerdì Santo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12 Domenica di Pasqua - Pontificale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 Madonna della Salve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 Esposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 Pellegrinaggio dei sacerdoti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22 Pontificale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27 Pentecoste. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31 Corpus Domini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .35

2. Decreti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39

3. Aggiornamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63 Ritiro (P. Marcello Sgarbossa) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .64 Il curato d’Ars (Fernando Mons. Charrier) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .74 Cristologia (Don Giacomo Canobbio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .84 La famiglia oggi e la Chiesa locale (Don Fabrizio Casazza) . . . . . . . . .95

4. C.E.I. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .103 Consiglio Permanente (22-25 marzo 2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104 61ª Assemblea generale (24-28 maggio 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . .110 Consiglio Permanente (27-30 settembre 2010). . . . . . . . . . . . . . . . .117 62ª Assemblea generale (8-11 novembre 2010) . . . . . . . . . . . . . . . .125

5. Consiglio Pastorale Diocesano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .133 Assemblea (28 ottobre 2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .134

6. In memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .167 Don Ugo Barzizza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .168 Mons. Giovanni Semino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .171 Don Gianni Cossai . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .176 Mons. Gian Piero Gosio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .180 Don Francesco Gandini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .183 Mons. Giovanni Ferrofino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .187

SOMMARIO

Finito di stampare febbraio 2011