Rivista di Informazione sull’HIV CROI 2002 · Cristian Davi’ - Iuri Bedini 13 PATOLOGIE...

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E ’ stata la frase ripetuta in varie occasioni con cui Jorma Koskinen, membro dell’EATG, ha aperto la Conferenza ECCATH di Atene lo scorso mese di ottobre. Si riferiva al lungo cammino che hanno affrontato e che debbono affrontare le persone con HIV per convincere i ricercatori, i medici, le industrie, le istituzioni, ad ascoltarne la voce, le richieste, le esigenze, le necessità. In questi mesi un ulteriore passo avanti è stato compiuto: Boehringer Ingelheim Italia e Abbott International hanno invitato, rispettivamente il 10 gennaio a Roma e il 7 febbraio a Tenerife, due membri di Nadir (Mauro Guarinieri e Filippo von Schloesser) a pre- sentare le “Patients Perspectives” alle rispettive forze di marke- ting e vendita. Abbiamo descritto la nostra visione del ruolo che in una patologia come quella dell’HIV svolgono associazioni come EATG e NADIR ed in particolare il paziente informato che partecipa alle scelte terapeutiche che riguardano la propria salute: uno dei cateti del triangolo medico/terapia/paziente. Abbiamo descritto le difficoltà nell’assunzione dei farmaci ART e HAART, salvataggio, rescue o GIGHAART, dei rischi di fallimento, dei rischi di resistenza, di quelli degli effetti collaterali che diven- tano sempre meno gestibili con l’avanzare dell’età e con gli anni di terapia. Abbiamo anche ipotizzato un farmaco “ideale”, privo di effetti collaterali, in un dosaggio semplice con un’AUC così alta che non vi siano rischi di fallimento e di resistenza. Abbiamo chiesto aiuto a capire il linguaggio, spesso complesso dell’industrie farmaceutiche, a volte non in linea con le urgenze dei pazienti o con l’impegno sociale che ci dichiarano le industrie che producono farmaci salvavita. Le forze vendita dell’industrie ci hanno confermato che le nostre presentazioni sono state fondamentali per permettere loro di capi- re che cosa succede nella quotidianeità delle persone che assu- mono farmaci e al di là di quello che sono i brevi incontri con i medici dei centri clinici a cui essi si rivolgono. Desideriamo ringraziare Abbott International e Boehringer Ingelheim per la sensibilità dimostrata nel coinvolgerci in un momento di formazione interna. CROI 2002 SEATTLE Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c legge 662/96 Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001 n.4 Primavera 2002 Rivista di Informazione sull’HIV HIV E USO DI STEROIDI ANABOLIZZANTI Cristian Davi’ - Iuri Bedini 13 PATOLOGIE PSICHIATRICHE E ABUSO DI SOSTANZE IN PERSONE CON HIV Starace, Ciafrone, Nardini 14 CROI: CONFERENCE OF RETROVIRUSES AND OPPORTUNISTIC INFECTIONS Guarinieri, Osorio, Schloesser 16 IL VACCINO ANTI - TAT dell’I.S.S. Simone Marcotullio 20 IT’S A LONG WAY - editoriale - NADIR 1 HIV, SISTEMA SCHELETRICO E HAART Marco Bordieri 2 ASSISTENZA RIPRODUTTIVA A COPPIE CON HIV Hollander, Vucetich, Mor, Semprini 3 HIV e CUTE - parte II Carla Valenzano 10 BOCCA E HIV David Osorio 12 IT’S A LONG WAY... IN QUESTO NUMERO NADIR

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E’ stata la frase ripetuta in varie occasioni con cui JormaKoskinen, membro dell’EATG, ha aperto la Conferenza ECCATH

di Atene lo scorso mese di ottobre. Si riferiva al lungo camminoche hanno affrontato e che debbono affrontare le persone con HIVper convincere i ricercatori, i medici, le industrie, le istituzioni, adascoltarne la voce, le richieste, le esigenze, le necessità.In questi mesi un ulteriore passo avanti è stato compiuto:Boehringer Ingelheim Italia e Abbott International hanno invitato,rispettivamente il 10 gennaio a Roma e il 7 febbraio a Tenerife, duemembri di Nadir (Mauro Guarinieri e Filippo von Schloesser) a pre-sentare le “Patients Perspectives” alle rispettive forze di marke-ting e vendita. Abbiamo descritto la nostra visione del ruolo che in una patologiacome quella dell’HIV svolgono associazioni come EATG e NADIRed in particolare il paziente informato che partecipa alle scelteterapeutiche che riguardano la propria salute: uno dei cateti deltriangolo medico/terapia/paziente. Abbiamo descritto le difficoltà nell’assunzione dei farmaci ART e

HAART, salvataggio, rescue o GIGHAART, dei rischi di fallimento,dei rischi di resistenza, di quelli degli effetti collaterali che diven-tano sempre meno gestibili con l’avanzare dell’età e con gli anni diterapia. Abbiamo anche ipotizzato un farmaco “ideale”, privo dieffetti collaterali, in un dosaggio semplice con un’AUC così altache non vi siano rischi di fallimento e di resistenza. Abbiamo chiesto aiuto a capire il linguaggio, spesso complessodell’industrie farmaceutiche, a volte non in linea con le urgenze deipazienti o con l’impegno sociale che ci dichiarano le industrie cheproducono farmaci salvavita.Le forze vendita dell’industrie ci hanno confermato che le nostrepresentazioni sono state fondamentali per permettere loro di capi-re che cosa succede nella quotidianeità delle persone che assu-mono farmaci e al di là di quello che sono i brevi incontri con imedici dei centri clinici a cui essi si rivolgono.Desideriamo ringraziare Abbott International e BoehringerIngelheim per la sensibilità dimostrata nel coinvolgerci in unmomento di formazione interna.

CCRROOII 22000022SSEEAATTTTLLEE

Spedizione in A.P. - art.2comma 20/c

legge 662/96Reg.Trib. Roma n.373

del 16.08.2001

nn.. 44PPrriimmaavveerraa 22000022

Rivista di Informazione sull’HIV

HIV E USO DI STEROIDI ANABOLIZZANTICristian Davi’ - Iuri Bedini 13

PATOLOGIE PSICHIATRICHE E ABUSO DI SOSTANZE IN PERSONE CON HIVStarace, Ciafrone, Nardini 14

CROI: CONFERENCE OF RETROVIRUSES ANDOPPORTUNISTIC INFECTIONSGuarinieri, Osorio, Schloesser 16

IL VACCINO ANTI - TAT dell’I.S.S.Simone Marcotullio 20

IT’S A LONG WAY - editoriale - NADIR 1HIV, SISTEMA SCHELETRICO E HAARTMarco Bordieri 2ASSISTENZA RIPRODUTTIVA A COPPIE CON HIVHollander, Vucetich, Mor, Semprini 3HIV e CUTE - parte IICarla Valenzano 10

BOCCA E HIVDavid Osorio 12

II TT ’’ SS AA LL OO NN GG WW AA YY .. .. ..

IINN QQUUEESSTTOO NNUUMMEERROO

NADIR

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11999900Emblematicamente, la prima segnalazione del potenziale pericolo non arriva da un infettivologo, bensì da un patolo-go molecolare tedesco, Werner Mellert, che studia da anni la suscettibilità in vitro all’HIV di diverse linee cellulari,ed ha già all’attivo in questo senso alcuni lavori sul Sistema Nervoso Centrale (SNC). Sulla scia di Tateno e diWerner, nel 1990 a Monaco Mellert dimostra che sia i fibroblasti sia gli osteoblasti sono potenziali bersagli targetdell’HIV, chiamato ancora spesso nell’articolo, vista l’acerbità dell’era, HTLV-III. Poi, Mellert tornerà ai suoi ‘mice’ dilaboratorio e agli esperimenti sul SNC, ma l’eredità che ci consegna è preziosa: l’HIV è in grado di infettare diretta-mente l’osteoblasto.

11999933Hernandez Quero è un infettivologo spagnolo che si occupa per lo più di leishmaniosi, epatite da HCV ed infezionipolmonari. Nel 1993 a Granada decide però di andare a studiare gli indicatori ematici e urinari del turnover osseo, edimostra una significativa riduzione dello stesso nelle persone con infezione da HIV. Da qui Hernandez Quero con-gettura, senza l’autorizzazione di Mellert, che alla base delle ridotta attività osteoblastica vi possa essere un’au-mentata produzione di citochine.

EEssppeerriieennzzee

Come vedremo in seguito, già dal 1990 ci sono statemolte segnalazioni sui potenziali seri rischi in propo-

sito, a posteriori certamente non sopravvalutate.Fra i diversi autori che hanno scritto sul metabolismoosseo, quello che più di tutti ha avuto il merito di fareaffiorare (o per lo meno di rendere meno sommerso) ilproblema è stato forse Pablo Tebas, il cui cognomeriporta automaticamente e inevitabilmente il pensiero (ela memoria) alla città greca di Tebe, famosa dall’antichi-tà per una donna e un enigma.La domanda che la Sfinge ora pone alla nostra intelli-genza, e che nessun emule d’Edipo ha ancora saputorisolvere, è la seguente: è l’HIV o l’HAART a ferire ilsistema scheletrico?

Rispondere a questo quesito non è pura e sempliceaccademia, perché le implicazioni pratiche che ne con-seguono sono non solo dissimili, ma diametralmenteopposte.Da un punto di vista strettamente etimologico, i dueimputati possono essere entrambi parimenti colpevoli, inquanto ‘farmacos’ è un termine greco che significa vele-no, e ‘virus’ una parola latina per indicare un veleno.Pertanto lo scontro fra un farmaco e un virus è semprela lotta fra due veleni, e in questo caso il campo di bat-taglia è lo scheletro di una persona con infezione da HIV.Vediamo ora una rassegna in ordine temporale deimomenti principali e dei protagonisti nella cronacaormai più che decennale di questa storia.

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EEssppeerriieennzzee ddeell ppaassssaattooImpegnata in un confronto quotidiano con le tante

problematiche legate a tossicità, aderenza agli sche-mi terapeutici, rischio di farmacoresistenza o minacciadi lipodistrofia, la persona con infezione da HIV ègeneralmente portata a pensare al metabolismo osseocome a quel bellissimo e indispensabile complessodelle trasformazioni attraverso le quali il proprio siste-ma scheletrico ogni giorno continuamente si conservae si rinnova, rara oasi serena al riparo dalle tante quo-tidiane potenziali aggressioni da parte del virus o degliantiretrovirali.Ad un’analisi più attenta, però, proveniente sia dallostudio della letteratura specialistica più recente inmerito sia da un colloquio ed una collaborazione piùintensa fra medico e paziente, alcuni segnali ci avver-tono che fra le pagine del sempre più ampio e volumi-noso vocabolario delle complicanze legate all’infezioneda HIV e/o al suo trattamento si stanno silenziosa-mente inserendo (minacciosi e inattesi) nuovi terminicome osteopenia, osteoporosi ed osteonecrosi, conetimi certamente non rassicuranti.

‘Poros’ è, infatti, un passaggio, una rarefazione (del-l’osso); ‘necrosis’ è addirittura la morte cellulare, un

processo quindi come tale irreversibile. Possiamo per-tanto ragionare, più o meno intelligentemente, sullareversibilità del prestito lipodistrofico o sulla redimibi-lità del danno morfologico, ma dobbiamo sapere chedall’osteonecrosi non vi è ritorno.L’osteoporosi, come ben noto, è un’importante malat-tia metabolica del sistema scheletrico caratterizzatada una riduzione progressiva della massa ossea e daun concomitante sovvertimento microarchitetturale

della struttura stessa dello scheletro, che predisponead un elevato rischio di fratture in seguito a traumi diminima entità. Negli ultimi anni, dopo l’avvento dellaterapia HAART, è sempre più frequente il riscontro dipersone con infezione da HIV che presentano una ridu-zione della massa ossea e una contemporanea disor-ganizzazione strutturale della colonna vertebrale, conscomparsa prima delle trabecole orizzontali (vertebra‘a palizzata’), e poi di quelle verticali (vertebra ‘in cor-nice’), ed un aumento di fratture spesso in assenza ditraumi evidenti. Un aspetto peculiare da rilevare infat-ti è che solitamente le fratture vertebrali (soprattuttodorso-lombari) non si presentano con una chiara sin-tomatologia dolorosa, ma si caratterizzano invece dauna lenta deformazione del corpo vertebrale (condiminuzione fino al 20% della sua altezza), in assenzadi un evento fratturativo improvviso, con progressivacifosi a largo raggio, dolenzia alla schiena o ai fianchiper contrattura riflessa antalgica dei muscoli paraver-tebrali sollecitati in modo anomalo che, anche sesegnalata dal paziente, a volte rischia di essere sotto-valutata o difficilmente diagnosticata dal medico. Oggiben sappiamo che la relazione tra osteoporosi erischio di fratture è nettamente superiore a quelle benpiù celebri esistenti tra ipercolesterolemia e rischiod’infarto del miocardio, o tra ipertensione arteriosa erischio d’ictus; ciò nonostante, si ha come l’impressio-ne che la portata del problema non sia stata ancoracolta nella sua piena entità, nonostante le miglioriconoscenze sulle alterazioni metaboliche e le semprepiù numerose segnalazioni in merito che già da qual-che anno sono riportate.

HHIIVV,, SSIISSTTEEMMAA SSCCHHEELLEETTRRIICCOO ee HHAAAARRTT((LLaa nnuuoovvaa ssffiiddaa))

Marco BorderiDipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale

Sezione di Malattie Infettive - Università degli Studi di BolognaPoliclinico S.Orsola-Malpigh - Bologna

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11999955Serrano è un eclettico patologo spagnolo che da molti anni studia il sistema scheletrico. Nel 1995 a Barcellona, ese-gue quello che a tutt’oggi rimane il più elegante e vasto studio istomorfometrico sul problema: mediante doppia mar-catura tetraciclinica, Serrano dimostra che la riduzione del turnover osseo segnalata da Hernandez Quero non avviene(come nell’osteoporosi primitiva) per un ridotto reclutamento osteoblastico, bensì per una riduzione della quantitàmedia di matrice ossea prodotta da ogni singolo osteoblasto. Patologo come Mellert, e spagnolo come HernandezQuero, Serrano aggiunge un elemento importante a sostegno dell’ipotesi di un’infezione diretta dell’osteoblasto daparte dell’HIV, con conseguente alterazione funzionale.

11999977Nicolas Paton è un infettivologo inglese che da tempo lavora sul metabolismo, sulla composizione corporea e sullabioimpedenziometria. Nel 1997 a Londra dimostra che il danno osseo è prevalente sulla colonna vertebrale a livello dlL1-L4, ove maggiore è la componente d’osso trabecolare, al quale compete più dell’80% dell’omeostasi metabolica delcalcio. Successivamente Paton si dedicherà anche allo studio della sindrome lipodistrofica nelle persone asiatiche(Antiviral Therapy, 2000), che ha probabilmente qualche momento eziopatogenetico comune con l’alterazione metabo-lica ossea.

11999988Haug, internista norvegese, studia da anni i micobatteri e il metabolismo della vitamina D, pertanto trova naturale esa-minare più a fondo la riduzione degli indici di turnover osseo descritta tre anni prima da Hernandez Quero. Nel 1998ad Oslo Haug dimostra: 1) una riduzione dei livelli plasmatici della Vitamina D parallela al progredire dell’infezione daHIV, 2) una diminuzione dei livelli plasmatici d’osteocalcina (indice importante di neoformazione ossea, insieme all’i-soenzima osseo della fosfatasi alcalina), 3) una correlazione diretta con la diminuzione dei CD4+, 4) un aumento delTumor Necrosis Factor. Haug andrà avanti su quest’ipotesi e, l’anno successivo, insieme con Aukrust, dimostrerà neglistessi pazienti una ripresa significativa di questi parametri dopo terapia HAART.

11999999Nel corso di quest’anno, Joseph Kovacs al convegno sulla nutrizione di Cannes, ma anche il tedesco Meyer, il canade-se Daniel Johns, lo statunitense Timpone ed altri, segnalano l’aumento imprevisto di casi di necrosi ossea avascolare(AVN) a carico della testa del femore, anche bilateralmente, nelle persone con infezione da HIV. Ma anche qui, a benguardare, già dal 1990 reumatologi (lo svizzero Gerster, lo spagnolo Belmonte, lo statunitense Rademaker), ortopedi-ci (il francese Chevalier, lo statunitense Stovall) ed altri ancora ne avevano descritto casi. Le correlazioni interessantitrovate erano essenzialmente due: la presenza d’anticorpi antifosfolipidi e soprattutto l’ipertrigliceridemia.Sempre nel 1999, Cunney (un microbiologo irlandese che da Dublino si è trasferito a Hamilton, in Canada) pubblica unimportante lavoro in cui correla il danno osseo ai bassi livelli sierici di testosterone (dato poi non confermato da Tebas,e sul cui cut-off non c’è accordo unanime) e soprattutto, dato esplicitato per la prima volta, all’uso di regimi contenentiinibitori della proteasi (PI).

22000000Pablo Tebas è un infettivologo spagnolo di Madrid che nel 1994 si trasferisce alla Washington University di St. Louis(la stessa della Rita Levi Montalcini) nel gruppo di William Powderly, e comincia a pubblicare lavori quasi tutti sui PI.Anticipato da un abstract alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections di San Francisco, esce su AIDSil celebre e discusso lavoro in cui i pazienti in terapia con regimi contenenti PI presentano percentuali maggiori d’o-steopenia, sia a livello lombare (osso trabecolare) che femorale (osso corticale). Sempre Tebas, su Antiviral Therapy,segnala negli stessi pazienti un aumento degli indici di turnover osseo, contrariamente quindi a quanto descritto pre-cedentemente da Hernandez Quero e da Haug. Weiel e Lenhard contesteranno duramente questi dati su AIDS, ponendo l’accento sulle modeste dimensioni del cam-pione, l’assenza di un dato di baseline e, soprattutto, di un’analisi inter- ed intra-classe, necessaria per distinguere lediverse responsabilità dei farmaci utilizzati. La risposta di Tebas, sempre su AIDS, sarà molto diplomatica: egli dirà dinon aver attribuito la responsabilità dell’osteopenia ai PI, ma di avere semplicemente osservato una maggior frequen-za di ridotta densità minerale ossea (BMD) nei pazienti sottoposti a regimi contenenti PI.Adriana Dusso è una nefrologa della stessa Università di Tebas, la Washington University di St. Louis, e da tempo stu-dia il metabolismo della vitamina D. La Dusso osserva che i PI inibiscono in vitro l’attività dellaa-1-idrossilasi renale(della famiglia del citocromo P450), con conseguente blocco del ciclo della vitamina D. Come avviene in vivo, quest’i-nibizione è maggiore per ritonavir>indinavir>nelfinavir.Tebas nota che esiste una correlazione fra osteopenia e lipodistrofia, ma a suo avviso non statisticamente significati-va, come se si trattasse di due complicanze indipendenti della terapia con regimi contenenti PI, e confermerà l’osser-vazione alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections di Chicago l’anno successivo. Due ricercatoriaustraliani, però, non sono d’accordo: David Nolan, di Perth, ritiene che vi sia significatività statistica, e Hoy, diMelbourne (estendendo un follow-up già anticipato alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections diSan Francisco), aggiunge un dato molto interessante, l’assenza di miglioramento dell’osteopenia dopo la sostituzionedel PI, lasciando supporre quindi la possibile responsabilità degli inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI)nell’eziopatogenesi dell’alterazione ossea.Andrew Carr, del St. Vincent’s Hospital di Sidney, divenuto celebre per l’ipotesi eziopatogenetica che legherebbe i PIalla lipodistrofia (per omologia fra la regione catalitica dell’HIV e le due proteine CRABP-1 e LPR), parte dall’osserva-zione di Hoy per dimostrare, all’analisi multivariata, che l’osteopenia è correlata in misura statisticamente significativaal basso Body Mass Index pre-terapia e, soprattutto, agli alti livelli plasmatici d’acido lattico. Carr si avvicina così all’i-potesi eziopatogenetica di Brinkman che legherebbe gli NRTI alla sindrome lipodistrofica (per inibizione della DNA-poli-merasi-g mitocondriale), ma non spiega ancora il meccanismo con cui l’alta lattatemia possa provocare l’osteopenia.Graham Moyle, del gruppo di Gazzard del Chelsea and Westminster Hospital di Londra, riscontra all’opposto un effet-to protettivo dell’HAART sulla massa ossea, con una minor percentuale d’osteopenia nei soggetti trattati rispetto ainaive, in sintonia quindi con le precedenti osservazioni di Haug e Aukrust.Non mancano, ovviamente, nel 2000 le segnalazioni sull’osteonecrosi (AVN): Glesby a New York ne descrive 14 casi,Clumeck a Bruxelles 5, Roudiere a Parigi 7, e vi sono segnalazioni anche di Scribner su AIDS, di Low alla Conference

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CCAAVVEEAATTSS ((LLaa rreeaallttàà ccaappoovvoollttaa))

Le conclusioni cui sono pervenute gli studi appena elencati posso-no a prima vista apparire discordanti o persino contraddittorie, e

ricordare la celebre rassegna sulla lipodistrofia che Sharon Safrinpubblicò su AIDS nel 1999 analizzando allora dodici studi di autoridiversi, ma in realtà occorre considerare attentamente alcuni para-metri fondamentali: 1) Le caratteristiche del campione esaminato: in alcuni studi ipazienti sono tutti uomini giovani, mentre in altri si tratta di gruppimisti di età diverse; nello studio di Tebas, ad esempio, il gruppo interapia con inibitori della proteasi ha un’età media di 41 anni vs. 33degli altri (dopo il raggiungimento del picco di massa ossea iniziauna graduale e progressiva riduzione della BMD, che ammonta aduna perdita dello 0,5-1 % per anno), spesso non è descritto comesono scelti i pazienti e i controlli, e non è mai valutato l'intake ali-mentare del Calcio. 2) Le caratteristiche dei controlli: in alcuni studi i risultati sono rap-portati ai valori standard della taratura delle macchine densitome-triche utilizzate, e non ad un reale gruppo di controllo. 3) I limiti dell’indagine densitometrica: i dati ottenuti usando la den-sitometria a raggi X (DEXA-Dual X-ray Absorptiometry) determina-no bene la BMD e predicono il rischio di frattura da osteoporosi, ma

non permettono di valutare l’entità del turnover scheletrico, defini-bile solo dal dosaggio ematico o urinario dei markers rilasciatidurante la neoformazione od il riassorbimento del tessuto osseo, enon tutti gli studi hanno preso in considerazione le alterazioni delmetabolismo calcio-fosforo e dei markers del turnover osseo. 4) I limiti legati al breve tempo di osservazione: a) la sequenza dellevarie fasi del rimodellamento osseo (attivazione>riassorbimen-to>formazione) richiede almeno 100 giorni, b) il 10% dello schele-tro è continuamente sede di rimodellamento attivo, c) occorre 1anno perché la mineralizzazione ossea sia completa, d) lo scheletronecessita complessivamente di 8-10 anni per essere completamen-te rinnovato, e) a partire dai 40 anni di età l’attività degli osteobla-sti non è più sufficiente per colmare le lacune scavate dagli osteo-clasti, perciò si verifica sempre un bilancio scheletrico negativo conperdita di massa ossea. Se consideriamo allora che l’HAART ècomunemente impiegata da non più di cinque-sei anni, e che l’etàmedia delle persone con infezione da HIV si sta elevando costante-mente, è verosimile che il problema osseo assuma un’entità di pri-maria importanza nei prossimi due-quattro anni. Sarebbe pertantodoloso farsi trovare allora impreparati di fronte a questo nuovoaspetto correlato all’infezione da HIV e/o al suo trattamento.

on Retroviruses and Opportunistic Infections di San Francisco, diBrown al 38th Annual Meeting of the IDSA di New Orleans. Fra letante responsabilità sospettate (PI, ipertrigliceridemia, lipodistrofia,immunoricostituzione), la sola associazione statisticamente significa-tiva rilevata è con una pregressa polmonite da Pnemocysti Carini(PCP), verosimilmente trattata con corticosteroidi.Henry Masur, ricercatore del National Institute of Health (NIH) diBethesda, studia con risonanza magnetica nucleare 339 persone coninfezione da HIV asintomatica e, al 38th Annual Meeting of the IDSAdi New Orleans, l’8 Settembre descrive il riscontro di ben 15 casi diAVN in fase iniziale, ancora asintomatica, con un’incredibilmente altapercentuale del 4.4%. Le correlazioni che Masur trova sono: l’uso difarmaci ipolipemizzanti per l’ipertrigliceridemia, la terapia con testo-sterone o corticosteroidi, la pratica del body-building. Non nota inve-ce alcun legame con i valori di CD4+ o col progredire dell’infezione.L’altissima prevalenza riscontrata da Masur suscita molto scalpore,tanto che la notizia è subito ripresa il giorno dopo da LawrenceAltman, editorialista del New York Times.

22000011Soltanto quattro mesi dopo l’osservazione di Masur, alla Conferenceon Retroviruses and Opportunistic Infections di Chicago (e successi-vamente su JAIDS) Jeanne Keruly descrive 17 casi di AVN aBaltimora, pone l’accento sull’aumento dell’incidenza ma, a differen-za di Masur, trova una correlazione statisticamente significativa conbassi livelli di CD4+ e lunga durata d’infezione da HIV.Andrew Carr su AIDS tenta di spiegare quanto aveva precedente-mente descritto su Antiviral Therapy e alla Conference onRetroviruses and Opportunistic Infections: a suo avviso gli NRTI ini-

biscono la DNA-polimerasi-g mitocondriale, portando ad un aumentodei livelli sierici dell’acido lattico, conseguente acidosi metabolica erimozione di basi dall’osso, sistema tampone necessario per mante-nere l’equilibrio acido-base. I limiti del lavoro di Carr sono da lui stes-so denunciati: si tratta di uno studio non prospettico né randomizza-to, su pazienti tutti di sesso maschile, senza un gruppo di controllo, econ esami densitometrici (DEXA) di solo total body.Jeannie Huang, endocrinologa di Boston, parte dalle osservazioni diNolan e Hoy sulla correlazione fra osteopenia e lipodistrofia, e trovauna densità minerale ossea inversamente proporzionale all’accumulodi tessuto adiposo viscerale, a tal punto da farle pensare che sia pro-prio l’accumulo di tessuto adiposo nel midollo osseo a provocare leanomalie dell’osteogenesi. La Huang, però non trova una responsabi-lità diretta da parte dei farmaci; anzi, i pazienti trattati con regimicontenenti NNRTI avrebbero addirittura una densità minerale osseasuperiore a quella riscontrata nei soggetti naive.Altri dati pubblicati su AIDS nel corso del 2001 sono estremamentecontrastanti: Adeyemi Lawal, a New York, trova le stesse percentua-li di osteopenia fra epoca pre- e post-HAART, dato confermato daHernando Knobel a Barcellona. David Nolan, a Perth, osserva che ipazienti in terapia con regimi contenenti indinavir hanno addiritturauna BMD superiore a quella riscontrata nei soggetti naive. AntoniaMoore, a Londra, come Cunney e Tebas nota una correlazione stati-sticamente significativa fra uso di PI e ridotta BMD.Inoltre il Clinical Infectious Diseases pubblica due lavori sull’AVN, esu Antiviral Therapy sono raccolti i sei studi e la comunicazione oraledel gruppo di Tebas sull’istomorfometria, presentati al 3rdInternational Workshop on Adverse Drug Reaction and Lipodystrophyin HIV di ottobre ad Atene.

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Alla luce della letteratura citata e di queste ultime considerazioni, si può pertanto affermare che verosimilmente la genesi del-l’alterazione ossea nelle persone con infezione da HIV è un fenomeno multifattoriale che riconosce momenti eziopatogenetici dif-ferenti, potendo ricondursi:- direttamente all’HIV, con ingresso del virus nelle cellule ossee, conseguente alterazione dei normali processi citologici,

e riduzione del turnover osseo - all’uso degli antiretrovirali, che possono alterare processi metabolici coinvolti, a vari livelli, nella regolazione

del turnover osseo, con conseguente aumento dello stesso- ad alterazioni del sistema immunitario che accompagnano il controllo efficace sul virus

(citochine prodotte da linfociti T attivati)- a tutti e tre i meccanismi insieme.Appare quindi chiara la necessità di studi longitudinali, condotti su casistiche il più ampie possibili, volti alla valutazione:- della densità minerale ossea (non solo la DEXA, ma anche la TAC, che distingue tra componente corticale e spongiosa

dell’osso, riesce a quantificare il contenuto minerale a livello dell’osso trabecolare delle vertebre) - delle alterazioni metaboliche che potrebbero sottendere alla perdita di massa ossea- dell’incidenza di fratture.Solo così, come con la prosecuzione di lavori istomorfometrici, si potrà dare risposta ai numerosi interrogativi che ancora osta-no ad una corretta identificazione del problema, e tutelare al meglio le persone con infezione da HIV dalle eventuali possibili con-seguenze. Tali studi appaiono particolarmente importanti soprattutto perché potrebbero essere in grado di valutare l’utilità del-l’impiego dei farmaci notoriamente attivi sul metabolismo osseo, come calcio, vitamina D o bifosfonati.Importanti passi avanti sono stati indubbiamente compiuti, ma molti ancora vanno tentati, per vincere questa nuova sfida fra laSfinge e la nostra intelligenza, nella convinzione che presto ci sarà qualcuno (e non sarà una DEXA, una BIA, un’ECO, una TACo una RMN, ma più verosimilmente un essere che cammina con quattro, due e tre gambe) che, armato del desiderio di cono-scere, forzerà i propri dubbi e svelerà alfine l’enigma di HIV, HAART e metabolismo osseo.

Nel prossimo numero di DELTA il Dr. Borderi affronterà la complessa tematica della prevenzione e della terapia.

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AAssssiisstteennzzaa rriipprroodduuttttiivvaa aa ccooppppiiee ccoonn HHIIVV

AAssssiisstteennzzaa rriipprroodduuttttiivvaaee pprreevveennzziioonneeddeellllaa ttrraassmmiissssiioonnee

Molte persone infette con il virus HIV-1 potrebbero desiderare diavere un figlio. Infatti, l’infezione da HIV colpisce prevalente-

mente persone giovani, in età fertile. Queste persone vivono piena-mente le dimensioni sentimentali e familiari delle quali il progetto digenitorialità fa parte integrante. Per moti anni le discussioni sullavita familiare delle persone sieropositive furono influenzate da timo-ri connessi all’infezione del partner e/o dei figli, e a quelli di “crea-re degli orfani”. Come spesso accade nel caso dell’HIV, questi timo-ri non si applicano ad altre malattie altrettanto contagiose e peri-colose.Negli ultimi anni le aspettative di vita e di salute sono migliorategrazie alla disponibilità di terapie antiretrovirali di combinazione.Questo fatto, accanto alla disponibilità di metodiche che permetto-

no di ridurre il rischio di infezione sessuale e verticale avrebberodovuto riportare in primo piano il tema della famiglia e della genito-rialità come diritto fondamentale della persona e componente irri-nunciabile della sua qualità della vita. Purtroppo oggi in Italia non ècosi.L’offerta di servizi di concepimento assistito e di riproduzione assi-stita alle coppie sieropositive e sierodiscordanti è infatti limitata apochissimi centri pubblici senza adeguata disponibilità sul territorionazionale. Infine, l’informazione disponibile circa questi servizi è adir poco insufficiente. In sostanza l’assistenza riproduttiva alle cop-pie con HIV consiste nell’offrire la possibilità di un concepimento edella nascita di un bambino sano. Ne consegue che l’assistenzariproduttiva (detta anche A.R.T.) ha due scopi fondamentali:

1. PPrreevveennttiivvo - consiste nell’adozione di tecniche e metodiche che limitino al massimo il rischio di infezione del partner sieronegativo e/o del bambino

2. RRiipprroodduuttttiivvoo - rappresentato dal superamento di eventuali problemi di fertilità della coppia e nell’offerta della tecnica riproduttiva più adatta a ciascuna coppiaLe coppie eterosessuali con HIV si dividono in tre categorie, ciascuna delle quali rappresenta bisogni differenti dal punto di vista dell’assistenza riproduttiva:

- CCooppppiiaa HHIIVV ddiissccoorrddaannttee - Uomo sieropositivo, donna sieronegativa- CCooppppiiaa HHIIVV ddiissccoorrddaannttee - Donna sieropositiva, uomo sieronegativo- CCooppppiiaa HHIIVV ppoossiittiivvaa - Entrambi i partner sono sieropositivi. Una ulteriore distinzione determina

se i partner sono affetti da HIV di ceppi diversi o dallo stesso ceppo di HIV.

Il tema della prevenzione sessuale nelle coppieHIV discordanti riveste un enorme importan-

za. Diversi dati pubblicati rivelano che molte diqueste coppie non praticano il sesso sicuro inmodo continuo e consistente ed esistono molteevidenze che il tentativo di procreare è uno deimotivi per l’abbandono dell’uso del preservati-vo. Il seguente riquadro riporta i risultati dialcuni degli studi pubblicati negli ultimi anni.

Nelle coppie che tentano il concepimento laprevenzione della trasmissione per via sessualesi attua essenzialmente limitando il contatto delpartner non infetto (o nel caso di partner infet-to con ceppo di HIV diverso) con liquidi conte-

Lital Hollander, Alessandra Vucetich, Gil Mor, Augusto Enrico SempriniESMAN Medical Consulting

RRiipprroodduuzziioonnee,, HHIIVV ee ccoouunnsseelllliinngg La complessità dell’argomento della riproduzione assistita e del tema della genitorialità per lafamiglia con uno o due genitori HIV positivi impone la necessità di counseling a tutti gli indivi-dui che considerano un concepimento. Come in altri tipi di counseling sull’HIV esiste il bisognodoppio di fornire informazione e di assistere l’individuo a identificare e gestire i propri vissuti,timori e aspettative a riguardo dell’argomento in questione. Il seguente elenco, tutt’altro cheesauriente, riporta alcuni dei temi del counseling sulla A.R.T. nelle coppie con HIV:

- Elaborazione del desiderio di avere figli e del suo significato per la persona/coppia

- Esplorazione di eventuali pressioni sociali/familiari/religiose sul tema della famiglia e dei figli

- Identificazione ed elaborazione di timori ed ansia il rischio d’infezione al partner

sieronegativo e/o al figlio e sulla morte del/i genitore/i infetto/i

- Rinforzo dei benefici della prevenzione della trasmissione sessuale / verticale

- Esplorazione delle aspettative dell’esperienza di avere figli

- Offerta d’informazione veritiera, comprensibile e priva di giudizio sulle metodiche esistenti,

e i risultati pubblicati, sull’iter medico e diagnostico da seguire, sui costi

- Counseling sulla gravidanza, sul parto e sull’allattamento al seno

- I De Vincenzi e il “European Study Group of Heterosexual Transmission of HIV (N Engl J Med 1994): su 245 coppie HIV discordantisolo il 48,4% riferisce di utilizzare il preservativo in modo consistente, il 23,8% lo usa nel 50% dei rapporti, il 23,4% lo usa “raramenteo mai”

- JH Skurnick et al (Clin Infect Dis, 1998). Un confronto tra 224 coppie HIV discordanti e 78 coppie HIV concordanti ha rivelato che irapporti vaginali non protetti dopo la rivelazione dello stato di sieropositività del partner maschile è stato uno dei fattori significativa-mente correlati con la concordanza sierologica (cioè l’infezione secondaria della donna)

- NL Beckerman (AIDS Patient Care STDS, 2002): Uno studio che indagato sulle maggiori difficoltà emotive delle coppie HIV discor-danti ha rivelato che il dilemma sull’impatto dell’HIV sulle scelte riproduttive è uno dei problemi più frequentemente riscontrati nellecoppie HIV discordanti per sieropositività maschile

- N Devanter et al (AIDS Patient Care STDS, 1998): Lo studio, condotto in 71 coppie HIV discordanti per sieropositività maschile inAmerica (dove non esiste il metodo di lavaggio dello sperma) ha rivelato che i tassi di gravidanza nella coppia erano simili a quelli dellapopolazione generale nelle stesse fasce di età.

nenti materiale virale. In altre parole, il concepimento non può avvenire tramite un rapporto sessuale non protetto, ma tramite insemina-zione. Nel caso in cui è la donna a essere HIV positiva si tratta semplicemente del prelievo dello sperma dal partner maschile e il suo posiziona-mento in vagina. La procedura potrebbe addirittura essere eseguita in casa mediante l’auto-inseminazione. In questo modo si evita sempli-cemente il contatto sessuale e il rischio d’infezione all’uomo sieronegativo. Viceversa, quando il partner maschile è portatore del virus (indi-pendentemente dallo stato sierologico della donna), lo sperma può essere un veicolo d’infezione. In questo caso andrebbe applicata la meto-dologia dello sperm washing (lavaggio dello sperma). Non esistono tuttora metodi che prevengano la trasmissione verticale, dalla madre sieropositiva al nascituro. Tuttavia, il trattamento far-macologico in gravidanza, associato al taglio cesareo elettivo (prima cioè dell’inizio del parto, segnalato da rottura delle membrane) hamostrato di ridurre il rischio dell’infezione al bambino dal 20% fino all’1-5% dei casi, secondo le diverse casistiche.Questo articolo si focalizza soprattutto sui dati riguardanti il trattamento delle coppie HIV discordanti mediante sperm washing, e le indi-cazioni per il trattamento dell’infertilità nelle coppie con HIV.

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LLaa rriipprroodduuzziioonnee aassssiissttiittaa nneellllee ccooppppiiee HHIIVVddiissccoorrddaannttii ppeerr ssiieerrooppoossiittiivviittàà mmaasscchhiilleeLa decisione di avere un figlio potrebbe risultare molto difficile per

una coppia sierodiscordante per il virus HIV. In queste coppie ilrischio maggiore è rappresentato dall’infezione della donna e, solosecondariamente del figlio. Esistono evidenze, nella popolazione diqueste coppie, che il tentativo di concepimento attraverso rapportisessuali non protetti può rappresentare un significativo fattore dirischio di trasmissione dell’HIV. Mandelbrot e colleghi hanno ripor-tato la loro esperienza decennale con coppie sierodiscordanti cheabbiano ottenuto una gravidanza in seguito a concepimento natura-le con il metodo noto con il nome “timed intercorse”. Questo meto-do mira di limitare il rischio di trasmissione grazie al monitoraggioecografico della donna e la limitazione dei rapporti sessuali non pro-tetti al giorno dell’ovulazione. Su 104 gravidanze consecutive, in 92coppie seguite, sono state riportate due sieroconversioni al settimomese di gravidanza, e due nel periodo postparto (percentuale di tra-smissione pari al 4.4% per gravidanza) (L. Mandelbrot et al. Lancet1997; 349: 850).

Il principale fattore di rischio per la trasmissione sessuale è rappre-sentato dalla carica virale seminale. Questa è stata messa in corre-lazione con elevata carica virale plasmatica e con conteggi più bassidi CD4. Tuttavia, in alcune persone sono stati osservati valori alta-mente discrepanti con carica virale seminale elevata in presenza divalori bassi o addirittura negativi di viremia (PL Vernazza et al. AIDS1997; 11: 8: 987 – 993). Il metodo di lavaggio dello sperma è stato messo a punto dal Dr.Augusto Enrico Semprini nel 1989 dietro pressioni di coppie siero-discordanti pronte a concepire a tutti i costi. La ricerca di questometodo è partita dall’osservazione che il virus HIV non sembra esse-re associato agli spermatozoi in quantità rilevanti. Viceversa, la cari-ca virale seminale è rappresentata da virus libero nel liquido semi-nale e da una seconda frazione associata ai leucociti seminali, unapopolazione cellulare equivalente ai macrofagi del sangue che hannofunzioni immunitarie, di protezione del seme da infezioni (figura 1).

La metodica di sperm washing è un procedimento relativamentesemplice che consiste in tre fasi (vedi figura 2):

1. Centrifugazione a gradiente (metodo Percoll): lo sperma vienecentrifugato in un fluido a densità variabile (gradiente). La compo-nente cellulare: spermatozoi e leucociti seminali, essendo più pesan-ti del fluido rimangono da una parte. Il liquido seminale, più leggero,viene spinto sotto il potere della centrifuga e si separa dalla partecellulata.

2. Secondo lavaggio: la componente cellulare viene lavata perrimuovere le tracce di liquido seminale.

3. Migrazione (swim-up) spermatozoale: la parte cellulare vieneposta in un apposito terreno che mantiene la vitalità delle cellule. Glispermatozoi hanno la caratteristica peculiare di essere dotati dimobilità intrinseca. Pertanto migreranno nel mezzo, mentre i leuco-citi seminali rimarranno nel punto di partenza. Se si raccoglie ilmezzo posto a una certa distanza dal “punto di partenza” si ha la

certezza di raccogliere solo spermatozoi mobili e non cellule semi-nali infette.

I livelli del virus HIV nella frazione seminale mobile si riducono ameno dello 0,1% del contenuto originale nel campione seminale etale frazione non è risultata infettiva quando incubata in vitro concolture di linfociti del sangue periferico. Nella pratica di oggi, ognifrazione seminale viene sottoposta a test della carica virale, conmetodo PCR. Soltanto preparati risultati negativi al test PCR ven-gono utilizzati per le inseminazioni.

Dal 1989 è stata accumulata una notevole esperienza con l’utilizzodel metodo per la riproduzione assistita. In Italia sono state finoraeseguite oltre 2,700 procedure di lavaggio dello sperma, seguite daaltrettanto cicli di assistenza riproduttiva. Lo stesso metodo è statoadottato da alcuni centri Europei: due centri in Spagna, sei inGermania, uno in Gran Bretagna, tre in Francia, e uno in Svizzera.La tabella seguente riassume l’esperienza maturata in questi centri.

Al giorno d’oggi il numero dei cicli di sperm washing seguito da assi-stenza riproduttiva eseguiti in Italia supera i 2,500. Nessun caso disieroconvesione della donna è mai stato riportato. Ne consegue che,

in confronto ai dati dello studio Madelbrot riportati sopra, lo spermwashing seguito da A.R.T. è in grado, se non di eliminare del tutto ilrischio d’infezione, almeno di ridurlo notevolmente.

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AAssssiisstteennzzaa rriipprroodduuttttiivvaa ee ffeerrttiilliittàà ddeellllaa ccooppppiiaa

LLee mmeettooddiicchhee ddii aassssiisstteennzzaarriipprroodduuttttiivvaa

IMPORTANZA DELLE CAUSE DI INFERTILITA’ SUL PROLUNGA-MENTO DEI TENTATIVI SPONTANEI O ADDIRITTURA IMPOSSIBI-LITA’ A CONCEPIRE.Il 10% delle coppie desiderose di un figlio incontra difficoltà a otte-nere un concepimento e necessita di trattamenti per infertilità eriproduzione assistita. Nelle coppie HIV discordanti è stata osser-vata una prevalenza maggiore di alcuni dei fattori che contribuisco-no all’infertilità di coppia (vedi tabella). Questi fattori sono essen-zialmente riconducibili alla maggiore presenza di infezioni del trattogenitale maschile e femminile che, in alcuni casi si traducono inostruzione tubarica nella donna. Inoltre, la qualità seminale risultacompromessa in oltre il 15% dei maschi sieropositivi. Non sappiamose questa frequenza di dispermia nei maschi sieropositivi sia dovu-ta all’infezione da HIV, ai farmaci necessari per controllare la malat-tia oppure può essere riconducibile alle infezioni genitali che sonoparticolarmente frequenti in questa situazione.

FFaattttoorrii ddii iinnffeerrttiilliittàà ffrreeqquueenntteemmeennttee oosssseerrvvaattii iinn ccooppppiieeHHIIVV ddiissccoorrddaannttiiLa diagnosi d’infertilità della coppia è di fondamentale importan-za nella coppia con HIV per: 1. evitare che la coppia si assumi i rischi legati ai tentativi di con-cepimento spontaneo se tale concepimento non può avvenire; 2. evitare ripetuti e inutili tentativi di inseminazione artificialeche hanno bassissime probabilità di riuscita e coinvolgono costipsicologici e logisticiLo scopo del servizio di assistenza riproduttiva alle coppie conHIV è quello di offrire alla coppia l’ottenimento di una gravidan-za, possibilmente entro 12 mesi, salvaguardando la salute del/lapartner non infetto/a e del nascituro. Pertanto, questi centridovrebbero effettuare la valutazione dei fattori d’infertilità dellacoppia e proporre, a ciascuna coppia, la metodica assistenzialepiù adatta.

Il concepimento assistito può essere ottenutograzie all’impiego di uno dei seguenti metodi:

- inseminazione intrauterina (IUI) su ovulazione spontanea- IUI su ovulazione stimolata- Fertilizzazione in Vitro con Embrio Transfer (FIVET)- Iniezione Intracitoplasmatica di Spermatozoi (ICSI)

La scelta del metodo più adeguato si basa sulla valutazionedella presenza e gravità di fattori d’infertilità della coppia.Le indicazioni dei diversi metodi sono riassunte nellatabella 3.

IInnsseemmiinnaazziioonnee IInnttrraa--UUtteerriinnaassuu cciicclloo ssppoonnttaanneeoo ((IIUUII))Questa è la metodica più semplice, nella quale non è necessarioalcun intervento farmacologico sulla donna. Sono previsti unaserie di controlli con ecografia vaginale che permettono di indivi-duare il giorno di maggiore fertilità della donna. Il ginecologoinfatti controlla la dimensione del follicolo ovarico in crescitaall’interno dell’ovaio, fino a poterne stabilire il giorno ovulatorio. Ilmonitoraggio ecografico dell’ovulazione viene iniziato all’8° - 9°giorno dall’inizio del flusso, e viene eseguito circa ogni 48 ore perla durata di circa una settimana. Il ciclo si conclude il giorno in cui viene eseguita la preparazioneseminale e viene effettuata l’inseminazione intrauterina.

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IIUUII ssuu cciicclloo ssttiimmoollaattooIn un ciclo mestruale naturale giunge a maturazione un solo ovoci-

ta alla volta. L’ovocita si trova all’interno del follicolo (piccola cistifisiologica in cui esso matura). Il follicolo si accresce grazie alla sti-molazione ormonale regolata dall’ipofisi. Verso la metà del ciclo unaumento dell’ormone luteinizzante (LH) consenta la maturazionecompleta e l’espulsione dal follicolo dell’ovulo che, a questo punto,è pronto per essere fecondato.1. Induzione ovulatoria multipla con la somministrazione di gonado-tropine, farmaci che stimolano le ovaie a produrre ovociti. I farmacivengono somministrati giornalmente, verso sera, a partire dal terzogiorno del ciclo mestruale.

2. Monitoraggio ecografico della crescita follicolare durante la sti-molazione farmacologica.3. Induzione dell’ovulazione, mediante iniezione dell’ormone lutei-nizzante (hCG 5000), responsabile della maturazione e dell’espul-sione degli ovociti dai follicoli. Avviene normalmente tra il 10° ed il17° del ciclo, quando i follicoli hanno raggiunto un ottimale grado disviluppo (18 mm).I rischi legati al ciclo stimolato sono rappresentati dalla possibileformazione di cisti ovariche, dall’aumento delle gravidanze multige-mellari e dalla possibilità di eccessiva risposta follicolare dell’ovaio“sindrome da iperstimolazione”.

FFIIVVEETT –– FFeerrttiilliizzzzaazziioonnee IInn VViittrroo ccoonn EEmmbbrriioo TTrraannssffeerrLa FIVET (Fecondazione in Vitro con Embrio transfer) è una tecnicaattraverso cui si ottiene in laboratorio la fertilizzazione dell’ovocitada parte di uno spermatozoo: in questo modo l’embrione si originaal di fuori della sede naturale: l’apparato genitale femminile. Il ricorso a questa tecnica è indicato in donne con alterazioni delletube o con endometriosi e quando vi sia un problema nel liquidoseminale del partner quali un ridotto numero ed una ridotta motilitàdegli spermatozoi.Qualunque sia l’indicazione per la FIVET, la preparazione ed il pro-gramma di trattamento è il medesimo. I ciclo della FIVET della durata media di circa sei settimane, calco-late dall’inizio del trattamento farmacologico fino al test di gravi-danza, si articola nelle seguenti fasi:1. Soppressione della normale ovulazione, mediante la somministra-zione di farmaci “analoghi del GnRH”. 2. Induzione ovulatoria multipla con la somministrazione di gonado-tropine. 3. Monitoraggio ecografico della crescita follicolare.

4. Induzione dell’ovulazione con profasi 5000.5. Prelievo (pick up) degli ovociti. Effettuato in anestesia generalein regime di day hospital. Ha una durata media di 15-20 minuti eviene effettuato sotto guida ecografica. Attraverso la vagina sigiunge tramite un ago sottile, all’interno dei follicoli ovarici, aspi-randone il liquido che contiene gli ovociti.6. Fertilizzazione in vitro. Gli ovociti prelevati vengono trasferiti inlaboratorio e conservati in un incubatore a 37° in speciali terreni dicoltura. In seguito gli verrà aggiunto il preparato seminale risultatodalla sperm washing.7. Embrio Transfer. Gli embrioni ottenuti vengono depositati con unsottile catetere di plastica all’interno della cavità uterina. Per evita-re il rischio di multifetalità non vengono trasferiti più di due-treembrioni alla volta. Gli altri embrioni possono essere congelati e uti-lizzati in un ciclo successivo. Ogni embrione trasferito ha una per-centuale di impianto di meno del 20%, mentre la percentuale di gra-vidanza per ogni transfer di 2 o 3 embrioni è stimabile intorno al30%.

IICCSSII –– IInnttrraaCCyyttooppllaassmmiicc SSppeerrmm IInnjjeeccttiioonnNei casi in cui lo spermiogramma (esame del liquido seminale)

abbia evidenziato gravi alterazioni, può rendersi necessario pro-cedere all’esecuzione della FIVET con tecnica ICSI (iniezione intra-citoplasmatica di spermatozoi). Non vi sono sostanziali differenze nella preparazione ad un ciclo diICSI rispetto ad un ciclo di FIVET. Una procedura differente deve essere invece adottata in laborato-rio. In questo caso si effettua in laboratorio l’inserimento di un sin-golo spermatozoo all’interno dell’ovocita utilizzando un microscopio

ad alta risoluzione ed una specifica apparecchiatura denominatamicromanipolatore - uno strumento in grado di ridurre al minimo imovimenti manuali della biologa. Il giorno successivo all'iniezioneintracitoplasmatica si controlla l'avvenuta fertilizzazione, e dopocirca 48–72 ore dal prelievo ovocitario si procede al transfer embrio-nario. L’efficacia della ICSI è molto elevata. I dati recentemente presentati su 65 cicliICSI hanno evidenziato tassi di gravidanza pari al 50% delle coppie con graviproblemi di infertilità maschile (Vucetich A et al, 2002).

SSppeerrmm wwaasshhiinngg ee aassssiisstteennzzaa rriipprroodduuttttiivvaa –– llaa ssiittuuaazziioonnee iittaalliiaannaaNonostante la facilità di esecuzione del metodo di sperm washing,

e gli ottimi risultati in termini di sicurezza e di efficacia la suaestensione sul territorio nazionale non è avvenuta. Infatti, il serviziodi IUI è tuttora disponibile in un solo ospedale pubblico (SACCO diMilano), mentre le FIVET vengono eseguite presso l’ospedale SanPaolo, anch’esso situato a Milano. L’inserimento del servizio FIVETall’ospedale SACCO è previsto entro la fine dell’anno. La metodica ICSI non è al momento disponibile in nessuna struttu-ra pubblica, e può essere eseguita sotto il coordinamento dello stu-dio del Dr. Semprini a Milano.Un elenco di indirizzi e numeri di telefono è disponibile alla fine diquesto articolo, insieme alla lista di esami che dovrebbero eseguirele coppie che intendono avvalersi dei servizi di assistenza riprodut-tiva in una delle strutture sovramenzionate.L’assistenza riproduttiva alle donne HIV positive con problemi di

infertilità.Le coppie nelle quali è HIV positiva la donna (indipendentementedallo status sierologico dell’uomo) possono ricorrere alla tecnica diauto inseminazione nel caso di buona fertilità della coppia.Nel caso di esistenza di fattori di infertilità della coppia si crea lanecessità di procedere con FIVET e ICSI. Siccome in questi casi lafertilizzazione è extracorporea, non esiste il problema dell’infezioneal partner maschile. Tuttavia, il liquido follicolare aspirato nel corso del pick up ovocita-rio è infettivo. Pertanto il laboratorio che si occupa della feconda-zione degli ovociti dovrebbe essere munito di strutture dedicate altrattamento di materiale biologico infetto. In Italia non esiste tuttora un laboratorio FIVET “sporco” e l’unicocentro europeo che offre questo servizio è localizzato a Barcellonain Spagna. I contatti di questo centro sono forniti di seguito.

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EEssaammii ppeerr iill ppaarrttnneerr mmaasscchhiillee

11.. TTaammppoonnee bbaatttteerriioollooggiiccoo uurreettrraallee ccoonn rriicceerrccaa ddii ccllaammiiddiiaa,,ttrriiccoommoonnaass ee mmiiccooppllaassmmaa

22.. CCoollttuurraa bbaatttteerriioollooggiiccaa ddeelllloo ssppeerrmmaa ((ssppeerrmmiiooccoollllttuurraa))33.. RRiicceerrccaa ddii aannttiiccoorrppii aannttii HHIIVV ccoonn tteesstt EELLIISSAA

ee WWeesstteerrnn bblloott44.. VViirreemmiiaa ppeerr HHIIVV ((PPCCRR qquuaannttiittaattiivvaa))55.. VVaalluuttaazziioonnee CCDD44 ee CCDD8866.. EEmmooccrroommoo,, ffoorrmmuullaa lleeuuccoocciittaarriiaa,, ppiiaassttrriinnee77.. HHBBss--AAgg,, aannttii--HHBBss,, aannttii--HHBBcc,, aannttii--HHCCVV88.. SSee aannttii HHCCVV ppoossiittiivvoo:: vviirreemmiiaa ppeerr HHCCVV,, AAnnttiiccoorrppii aannttii

HHGGVV ee ppCCRR ppeerr HHGGVV99.. TTrraannssaammiinnaassii,, GGOOTT ee GGPPTT1100.. VVDDRRLL TTPPHHAA ((tteesstt ddeellllaa ssiiffiilliiddee))1111.. PPrroollaattttiinnaa,, LLHH,, FFSSHH,, TTSSHH,, tteessttoosstteerroonnee1122.. AAnnttiiccoorrppii aannttii CCMMVV1133.. EEssaammee ddeell ccaarriioottiippoo –– ppeerr ccooppppiiee cchhee ffaannnnoo FFIIVVEETT

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EElleennccoo eessaammii ppeerr llaa ccooppppiiaa HHIIVV ddiissccoorrddaannttee

CCoonnttaattttii ppeerr sseerrvviizzii AARRTT

OOssppeeddaallee SSAACCCCOOtel: 02 38203413email: [email protected]

OOssppeeddaallee SSaann PPaaoollooTel: 02.81841

SSttuuddiioo SSeemmpprriinniiTel: 02 5832 0182Email: [email protected]

DDrr.. OOrriiooll CCoollllClinica eugin BarcelonaTel: 00 34 93 322 11 22Email: [email protected] web: www.eugin.net

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HHIIVV ee CCUUTTEE PPaarrttee 11II°°MMaanniiffeessttaazziioonnii ddeerrmmaattoollooggiicchhee aa ccaarraatttteerree iinnffeettttiivvooiinn pprreesseennzzaa ddii HHIIVV

1100

Carla Valenzano

Nella maggior parte dei pazienti la primo-infezione da HIV è asintomati-ca, ma nel 10-20 % dei casi è possibile la comparsa di una sindrome

simil-influenzale che compare 3-6 settimane dopo l’esposizione (figura 1).Il 75% dei pazienti con infezione primaria sintomatica presenta manifesta-zioni cutanee.L’esantema è caratterizzato dalla comparsa di macule eritematose di aspet-to morbilliforme (figura 2) o roseoliforme localizzate al tronco e alle estre-mità e lesioni papulo-squamose localizzate a palme e piante, simili allelesioni della sifilide secondaria. In alcuni casi sono state descritte forme acarattere orticarioide, emorragico, necrotico o pustoloso. E’ possibileanche un coinvolgimento mucoso con esantema orofaringeo, genitale ederosioni o ulcerazioni esofagee.

Le manifestazioni cutaneo-mucose sono inoltre accompagnate da una sin-drome simil-mononucleosica con febbre, astenia, faringite, glossite, cefa-lea, rigonfiamento dei linfonodi e artralgie.Il rash perdura per 4-5 giorni per poi risolvere completamente. I pazientiaffetti sono altamente infettivi, e l’HIV può essere ritrovato nel circuito san-guigno e nel liquido cerebrospinale. La sieroconversione si verifica solodopo circa 6 settimane dalla manifestazione acuta.E’ stata descritta la comparsa di candidosi orale ed esofagea, presenti perlo più nelle fasi avanzate dell’infezione, anche nella fase acuta sintomaticadella primo-infezione.Malgrado l’assenza di prove dirette, è probabile che il rash della primo-infe-zione da HIV sia una manifestazione specifica dell’infezione retrovirale.

LEUCOPLACHIAORALE VILLOSAcordoniforme del bordolinguale destro. Sul dorsolinguale glossite candido-sica pseudomembranosa.

CORIORETINITEe lesione ulcerativa delsopracciglio da CMV. Allaperiferia della lesionesono presenti elementivescico-crotosi ad aspet-to francamente erpetifor-me.

L’herpes è molto frequente e le sue manifestazioni sono solitamente limi-tate a lesioni cutaneo-mucose che compaiono secondo una sequenza par-

ticolare (infezione primaria, latenza, infezioni ricorrenti multiple).L’agente patogeno è l’herpes simplex virus (HSV). E’ un virus a DNA, deldiametro di 150-200 nm. Se ne conoscono due tipi, HSV-1 e HSV-2, distintiin base a criteri strutturali ed epidemiologici. Nondimeno essi condividononumerosi antigeni, e si riscontra un elevato grado di omologia tra i genomidi questi virus. L’HSV-1 infetta soprattutto la parte superiore del corpo, ètrasmesso per contatto diretto interumano di lesioni erpetiche o con la sali-va di portatori sani. L’HSV-2 è responsabile dell’herpes delle regioni genita-li, malattia sessualmente trasmessa (MST) e dell’herpes del neonato, che siinfetta durante il passaggio nel canale del parto. Questa distinzione non èassoluta poiché l’HSV-1 può essere isolato da lesioni genitali e l’HSV-2 dalesioni labiali.Dopo l’infezione primaria, il virus scompare rapidamente dalle lesioni cuta-neo mucose. Tuttavia – e qui risiede l’intero problema – esso, per neuropro-basia, va ad annidarsi nel ganglio sensitivo corrispondente (ganglio diGasser per l’HSV-1 e gangli sacrali per l’HSV-2), dove rimane quiescente ,ma soltanto in apparenza, poiché la trascrizione del menoma virale continua,anche se non porta alla sintesi di proteine virali, in quanto si produconomRNA anomali (cosiddetti antisenso). Ma in qualsiasi momento, sottoinfluenza diverse, questo stato di latenza può essere interrotto e il virusscende lungo l’assone a ricolonizzare il territorio cutaneo-mucoso doveaveva avuto luogo l’infezione primaria; qui esso causa lesioni più limitate,ma spesso recidivanti. Queste forme ricorrenti sono ancora oggi assai pocoaggredibili con la terapia, poiché gli antivirali a nostra disposizione non sonoin grado di distruggere il virus nel suo rifugio gangliare.L’intensità dell’infezione primaria e l’insorgenza di recidive dipendono dalla

qualità delle difese immunitarie, cellulo-mediate soprattutto.L’herpes rappresenta la più frequente causa di dermatovirosi in corso dimalattia da HIV, al punto che un herpes cutaneo-mucoso cronico (duratasuperiore ad un mese) è un criterio per la diagnosi di AIDS.Gli herpes cronici perianali degli omosessuali (figura 2) sono stati la primainfezione opportunistica (insieme alla pneumocistosi) che ha portato al rico-noscimento della pandemia da HIV. Si tratta per lo più di ulcerazioni croni-che, necrotiche, multiple, confluenti, in cui l’HIV può essere facilmente iso-lato costituendo un’importante fonte di contagio. I margini delle lesioni ulce-rative torbide a fondo necrotico presentano margini costellati da lesionivescico-pustolose ed è qui che si devono effettuare i prelievi per l’immuno-fluorescenza e le colture virali necessarie per la diagnosi. Quadri analoghi sono stati descritti su vulva (figura 4), gambe, viso (figura5), mani e cuoio capelluto.La comparsa di queste lesioni rappresenta un fattore prognostico negativopoiché implica la presenza di una forte immunodepressione (<100CD4/mm3).Un trattamento preventivo indefinito con aciclovir è a volte necessario perevitare recidive multiple ma può portare alla selezione di ceppi aciclovir resi-stenti (timidin-chinasi negativi). Sono infatti numerosi i casi di herpes croni-co grave, in corso di infezione da HIV, resistenti all’aciclovir.Alternative terapeutiche sono rappresentate dal foscarnet o dalla vidarabi-na, poco utilizzata perché neurotossica e scarsamente efficace in vitro.Sono possibili, inoltre, forme di herpes disseminato con coinvolgimentocutaneo (figura 6) ed eccezionalmente viscerale, meningoencefaliti ed epa-titi fulminanti. Per quanto riguarda gli herpes simplex recidivanti orali, genitali o anali sem-bra siano più frequenti o nei soggetti HIV+ che nella popolazione generale.

EEssaanntteemmaa aaccuuttoo oo rraasshh ddeellll’’iinnffeezziioonnee pprriimmaarriiaa ddaa HHIIVVIINNFFEEZZIIOONNII VVIIRRAALLII

Infezione indotta dal virus varicella-zoster (VZV), appartenente al gruppodegli Herpesvirus, che si replica nel nucleo dei cheratinociti.

La varicella corrisponde all’infezione primaria e la disseminazione del virus pervia ematica è responsabile dell’eruzione. Gli anticorpi compaiono al 5° giorno,per raggiungere il titolo massimo al 20° giorno. Essi persistono per più anni,senza impedire al virus la permanenza nei gangli sensitivi dei nervi cranici ospinali. Dopo un’incubazione di 14 giorni, l’invasione è brave, non violenta, con febbri-cola e malessere generale; è seguita da un’eruzione di macule rosee, prestosormontate da vescicole “ a goccia di rugiada”. Il giorno seguente, il liquido siintorbida, la vescicola si fa ombelicata e si dissecca in 3 giorni per formare unacrosta che cade nel giro di una settimana, lasciando una macula depigmenta-ta, talora una cicatrice atrofica. Sono possibili cicatrici anetodermiche o che-loidee. L’eruzione esordisce sul tronco, sul capillizio, e si estende agli arti,rispettando palme e piante, infine raggiunge il viso. Sono presenti micropolia-

denopatie, splenomegalia e un transitorio aumento dei mononucleati nel san-gue. La guarigione avviene nell’arco di 15 giorni.La comparsa di una varicella è un’eventualità rara, ma non eccezionale, negliadulti infettati dall’HIV e si caratterizza per il decorso clinico particolarmenteprotratto, per la resistenza alle terapie convenzionali, ma soprattutto per l’al-terata cronologia eruttiva.E’ infatti possibile osservare nello stesso paziente accanto ad ele-menti crostosi in risoluzione, nuovi elementi frutto di gittate suben-tranti e sovrapposte. Sono comunque descritte forme di varicella inHIV particolarmente gravi ed estese, chiamate “varicella maligne”,a carattere pustoloso (figura 7), necrotico o emorragico, con gravecompromissione dello stato generale e coinvolgimento di moltepliciorgani interni. Queste forme sono particolarmente resistenti allaterapia.

VVaarriicceellllaa

HHeerrppeess ssiimmpplleexx

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La bibliografia è disponibile sul sito web di Nadir.

1111

E’ una ganglionevrite posteriore acuta, per lo più dovuta alla riattivazione diVZV dallo stadio di latenza nei neuroni dei gangli posteriori; qualche volta

tuttavia è legata a una nuova esposizione a virus esogeni.La fase prodromica dura 3-4 giorni ed è caratterizzata da dolore a disposizio-ne metamerica, unilaterale, urente con lieve compromissione dello stato gene-rale e adenopatie distrettuali dolenti. Successivamente compare l’eruzioneunilaterale, a banda, non oltrepassante la linea mediana. Alcune chiazze erite-matose si ricoprono in alcune ore di vescicole ripiene di un liquido limpido, rag-gruppate a grappolo, talvolta confluenti in bolle dal contorno policiclico.Possono essere presenti alcuni elementi aberranti dal lato opposto. Dopo 2-3giorni il contenuto delle vescicole si intorbida ed esse si afflosciano per poiessiccarsi formando crosticine che cadono una decina di giorni più tardi. Lasindrome neurologica comprende dolori accessuali parossistici, lancinanti nel-l’anziano; ed un ipo-anestesia del territorio colpito (“anestesia dolorosa”). Lealterazioni secretorie sudorali, vasomotrici e la scomparsa del riflesso pilomo-tore sono rare. Spesso è presente una minima reazione meningea. La guari-gione sopraggiunge in 2-4 settimane. Le cicatrici acromiche con alone pig-mentato, spesso prive di sensibilità, consentono la diagnosi retrospettiva.Lo zoster toracico ed oftalmico sono particolarmente frequenti nei pazienticon infezione da HIV. L’incidenza dello zoster è 17 volte più alta nei sieroposi-

tivi rispetto ai soggetti sieronegativi della stessa età. Si tratta per lo più di zoster banali, non complicati. D’altra parte le recidivenello stesso dermatomero o a distanza sono più frequenti. Quando l’immunodeficienza è grave è possibile la comparsa di zoster emorra-gici estesi, complicati (figura 8), ad evoluzione necrotica.L’herpes zoster può comparire molto presto nella storia naturale dell’infezioneda HIV, a volte contemporaneamente alla prima infezione, ed in genere quan-do la conta dei linfociti CD4 è di 500/mm3.In alcuni casi può addirittura rappresentare la prima manifestazione dell’infe-zione da HIV assumendo il carattere di infezione diagnostica.Contrariamente agli zoster osservati nei pazienti sottoposti a chemioterapia,la disseminazione cutanea o viscerale è rara. Sono però possibili e descritte inletteratura forme di herpes zoster cronico disseminato con lesioni poco nume-rose, papulo-nodulari, ipercheratosiche, ulcerate, brulicanti di virus varicella-zoster (VZ). La sierologia del VZ è di regola positiva con tassi elevati, ma puòanche essere negativa.La terapia è quella degli zoster abituali, l’aciclovir ad alte dosi (30mg/kg/dieper via endovenosa) è riservata alle forme disseminate, croniche od estese,eventualità rara.

HHeerrppeess zzoosstteerr

Più del 70% della popolazione generale presenta anticorpi anti-CMV.Tuttavia, gli anticorpi formati dopo la disseminazione del virus per via emati-ca non sono in grado di impedire né la viremia né l’interessamento degli orga-ni bersaglio. L’infezione primaria è spesso asintomatica, e in seguito il CMVpersiste nell’organismo a livello dei macrofagi, delle cellule endoteliali e dellecellule progenitrici del midollo osseo. In questa fase il virus viene escreto nelleurine, nello sperma e nella saliva, senza sintomatologia di sorta. I difetti del-l’immunità cellulo-mediata (emopatie, trapianti d’organo, trattamenti immuno-soppressivi o infezione da HIV) tendono a favorire la riattivazione del virus coninsorgenza di manifestazioni cliniche, sistemiche e/o cutaneo-mucose, che inalcuni casi possono risultare letali

Le infezioni da CMV sono particolarmente frequenti nei pazienti HIV+ conmeno di 100 CD4/ mm3 e costituiscono un criterio per la diagnosi di AIDS. Si tratta per lo più di infezioni disseminate neurologiche, retiniche, polmonario digestive. D’altra parte le localizzazioni cutanee sono curiosamente rare.Inoltre è difficile formulare una diagnosi di certezza poiché il CMV è rinvenibi-le in cute sana di soggetti con infezione viscerale, in lesioni cutanee indotte daaltri microrganismi (in particolare HSV), in cicatrici, in lesioni di sarcoma diKaposi o in lesioni di angiomatosi bacillare.Le manifestazioni cliniche di un’infezione cutanea da CMV sono estremamen-te polimorfe, comprendendo noduli, ulcere cutanee (figura 10) e orali, vescico-bollose, ascessi, lesioni verrucose, porpore e soprattutto ulcere perineali.

CCiittoommeeggaalloovviirruuss

Gli HPV, di cui a tutt’oggi se ne conoscono oltre 70 tipi, si presentano comevirus a DNA dotati di uno spiccato tropismo per gli epiteli squamosi pluri-

stratificati. Gli HPV sono in grado di indurre uno specifico effetto citopatoge-no del quale il coilocita (grande cellula dal nucleo eccentrico circondato da unopseudovacuolo) costituisce il miglior corrispettivo morfologico, essendo l’e-spressione di un’infezione di cellule permissive con produzione di virioni. Nelleneoplasie intraepiteliali indotte da certi tipi di HPV oncogeni, il ciclo produtti-vo si riduce notevolmente, in quanto la trasformazione neoplastica è associa-ta all’integrazione di un gran numero di copie del DNA virale. Invece nellelesioni benigne il DNA virale non è integrato.La mancanza di un modello animale o di un sistema di coltura che permetta lareplicazione virale è un ostacolo allo studio dell’infettività degli HPV, del qualebisogna tuttavia sottolineare l’importanza, dato che è attualmente ben docu-mentato il potere oncogeno di alcuni tipi di questi virus. Le uniche informazio-ni epidemiologiche disponibili provengono dall’epidemiologia delle verruche.Per quanto riguarda la trasmissione dei virus, la trasmissione sessuale dei con-dilomi e degli HPV dotati di tropismo genitale è ben documentata; questa eve-nienza impone il trattamento di entrambi i partner nonché la ricerca di altreMST eventualmente associate. Il periodo di incubazione dei condilomi acumi-nati è in media di 3 mesi (3 settimane-8 mesi) e il rischio di contrarre la malat-tia in seguito a contatto sessuale infetto è elevato (si stima che l’infettività siapari al 60-70%). Il fattore di rischio più importante è rappresentato da dall’al-to numero di partner. Le lesioni indotte dagli HPV costituiscono la principalefonte di agenti patogeni, ma è possibile che lo sperma e la mucosa uretralesiano parte del serbatoio virale.Le lesioni cutaneo-mucose indotte dagli HPV sono estremamente numerose ecomprendono le verruche distinte in plantari, volgari e piane comuni; la epi-dermodisplasia verruciforme di Lewandosky-Lutz; i papillomi genitali distinti incondilomi anogenitali, tumore di Buschke-Lowenstein o condiloma gigante del

pene, condilomi piani del collo uterino e papulosi bowenoideNumerosi studi dimostrano che le infezioni genitali ed anali (più raramentebuccali) da HPV sono più frequenti nei pazienti sieropositivi che in soggetti conidentiche abitudini sessuali sieronegativi (condilomi genitali nell’uomo e nelladonna, condilomi anali negli omosessuali). I sierotipi più spesso isolati sonorappresentati dagli HPV 6, 11 e 18. Esistono, d’altra parte, studi in cui non èstato rilevato alcun aumento d’incidenza in corso di infezione da HIV rispettoalla popolazione sieronegativa.Non è raro, comunque, isolare HPV in regione genitale ed anale, in assenza dilesioni cliniche, in soggetti sieropositivi. Pertanto i carcinomi anali, le displasieed i carcinomi del collo uterino si presentano, in questi pazienti, con frequen-za superiore a quella riscontrabile nella popolazione generale. I carcinomi inva-sivi del collo uterino, infatti, sono attualmente considerati dai Centers forDisease Control (CDC) un criterio per la diagnosi di AIDS.I condilomi genitali dei soggetti sieropositivi sono spesso più profusi (figura12) e più difficili da trattare perché resistenti alla terapia, in particolare all’in-terferon (figura 13).Condilomi ed infezione da HIV sono due Malattie Sessualmente Trasmesse(MST) strettamente correlate sul piano epidemiologico. Le lesioni mucoseindotte dagli HPV favoriscono, infatti, la disseminazione dell’HIV nella popola-zione eterosessuale e omosessuale.Sono descritti in letteratura casi di verruche disseminate (volgari e piane) e diepidermodisplasia verruciforme (di Lewandowsky-Lutz) con evoluzione rara incarcinomi spinocellulari.Tutti questi fenomeni sono correlati all’immunodepressione indotta dall’HIV.Osservazioni di fenomeni di transattivazione di geni HPV da parte di proteineHIV, condotte su modelli in vitro, inducono ad ipotizzare che HIV e HPV inte-ragiscano a livello molecolare.

Descritta da Greenspan nel 1984 in omosessuali sieropositivi di SanFrancisco, la leucoplachia orale villosa non era conosciuta prima dell’epi-

demia da HIV.Può interessare tutti i pazienti infettati dall’HIV, qualunque sia stata la moda-lità di infezione, ed è divenuta una delle manifestazioni cutanee più frequentinella fase di sieropositività. La sua frequenza sembra aumentare progressiva-mente, poiché sempre meglio conosciuta e ricercata dagli specialisti, in stadiin cui è appena riconoscibile. Si manifesta quando l’immunodeficienza divienerelativamente importante (in media 300 linfociti CD4/ mm3).La leucoplachia orale villosa caratterizzata da lesioni biancastre, mal delimita-te, disposte irregolarmente sui bordi e sulla superficie dorsale della lingua,eccezionalmente sulla mucosa gengivale. Le lesioni sono aderenti, indolori, adisposizione lineare, filiformi o cordoniformi e si ispessiscono progressivamen-te assumendo il caratteristico aspetto “capelluto” o “villoso” (figura 14).

Generalmente croniche possono assumere carattere incostante con risoluzio-ni spontanee temporanee.Elemento di recente identificazione e di estrema importanza è la presenza dinumerosi virus di Epstein-Barr (EBV) all’interno delle cellule epiteliali dove èpossibile osservare virioni completi in replicazione, fatto unico nel capitolodelle lesioni neoplastiche legate all’EBV. E’ possibile isolare occasionalmenteanche HPV e lieviti quali la Candida albicans.Numerose sono le terapie proposte: aciclovir per os (da 1 a 3g/die), la zido-vudina, l’acido retinico topico, la crioterapia, la podofillina.A partire dal 1988, è stata descritta una dozzina di casi di leucoplachia oralevillosa (EBV+) in soggetti immunodepressi sieronegativi (trapiantati renalisoprattutto). Rari casi di leucoplachia orale villosa (EBV-) sono stati descrittiin soggetti non infettati dall’HIV, immunodepressi e non.

HIV E CUTE parte III sarà pubblicao sul n° 6 di DELTA.

IInnffeezziioonnii ddaa ppaappiilllloommaa vviirruuss hhuummaannii ((HHPPVV))

LLeeuuccooppllaacchhiiaa oorraallee vviilllloossaa

VARICELLA ATIPICAcon grandi elementivescico-bollosi di diversataglia, disseminati a “cielostellato”, alcuni ombelica-ti, con circostante aloneeritematoso-flogistico.

MOLLUSCHICONTAGIOSIatipici del volto inpaziente terminale,comparsi da parecchimesi e confluenti inampie chiazze neopla-stiformi nonostante ripe-tute e varie terapie.

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BBOOCCCCAA ee HHIIVV

La bocca, a causa della quantità di tessutomucoso, dell’umidità e delle molteplici

superfici che vi sono (denti, lingua, palato, tra-chea) è una fonte adatta ad ospitare batteri evirus a causa delle funzioni che svolge nelcorpo umano, tra cui quella tipica legata allanutrizione, al gusto e al sesso.

MMaanniiffeessttaazziioonnii ttiippiicchheeMolte manifestazioni legate all’HIV sonousualmente riscontrabili nel cavo orale ed èper questo che è importante che sia il medicoche il paziente prestino attenzione ad alcunepatologie tipiche della presenza del virus. Traqueste manifestazioni, le più diffuse sono:

- PPeerriiooddoonnttiittee: se le gengive sanguinanodurante il lavaggio del denti, ciò può segnalarela presenza di un’infezione tipica dell’HIV: lagengivite di Vincent. Questa patologia, in par-ticolare, oltre ad un continuo sanguinamento,si accompagna a dolori molto intensi. I dentistigeneralmente suggeriscono come unico rime-dio risolutivo gli sciacqui con acqua calda esale, vecchio rimedio della “nonna”, tuttoramolto efficace. Se viceversa, le gengive sonomolto arrossate, è il caso di rivolgersi al denti-sta che potrebbe effettuare l’ablazione del tar-taro ed eventualmente un trattamento conantibiotico. - PPaarrooddoonnttiittee: nel caso in cui la gengivite nonvenga curata rapidamente, l’infezione batteri-ca può progredire spostandosi dalla sede gen-givale a quella dell’osso. Le gengive, infatti, siritraggono a seguito dell’infezione, scoprendola base dei denti e portando in superficie lazona dell’osso ove si impiantano i denti stessi.Lentamente i denti perdono la propria stabilitàed iniziano a muoversi, finendo poi per cadere.Tale processo generalmente vari mesi o anni.Più presto si interviene, più presto si arrestatale evoluzione. Normalmente, il dentistariesce ad intervenire, se consultato tempesti-

vamente, con una tecnica chiamata del “curet-taggio profondo” che si pratica con anestesialocale, spesso in quattro sedute. Nel caso laparodontite sia già avanzata in maniera irre-versibile formando sacche di infezione sotto identi, il dentista proporrà cure più complessequali la pulizia delle radici e la chirurgia dellegengive, a volte con trapianto delle gengivestesse.- PPaarrooddoonnttiittee uullcceerroo nneeccrroottiiccaa è un’infezio-ne alle gengive, più comune nelle persone sie-ropositive, che progredisce in tempi moltobrevi. Le gengive si arrossano, sanguinano, siferiscono, si ritraggono, l’alitosi diventa parti-colarmente evidente e tale patologia comporta

un forte dolore alle mandibolee la perdita dei denti nonché ilrischio di setticemia in quanto ibatteri possono passare facil-mente dalle gengive al sangue.- BBooccccaa sseeccccaa: una dellecaratteristiche più comuni trale persone HIV+ è l’insufficien-za di saliva in bocca. Talecarenza può essere causata odirettamente dall’HIV o daalcuni farmaci, si citano in par-ticolare gli antidepressivi ed ilvecchio Videx a causa del tam-pone, ed inoltre tutti i farmaci abase di oppiacei, tra cui morfi-na, codeina, metadone, l’eroi-na. In caso di bocca secca laregola principale da seguire èquella di bere molta acqua,mantenere il cavo orale semprepulito ed, eventualmente, con-sultare il dentista il quale potràprescrivere un farmaco che

aumenti la salivazione. Come consiglio praticosi ricorda che la gomma americana senza zuc-chero stimola la salivazione e si suggerisceanche di dormire in ambienti sufficientementeumidificati. - AAlliittoossi: tale caratteristica di alcune personeproduce un effetto molto sgradevole, ma avolte, oltre ad essere dovuta all’uso di tabac-co, di alcuni alimenti quali l’aglio o la cipolla,può essere causata da difficoltà di digestione.Molto spesso, però, l’alitosi indica un proble-ma di denti (carie), di gengive (sangue, tarta-ro), o di infezioni vere e proprie. - LLeeuuccooppllaacchhiiaa oorraallee: si tratta di macchiebianche nel cavo orale, per lo più sotto la lin-gua. Non producono alcun dolore né, general-mente, nessuna patologia specifica, ma sonosolo un segnale della presenza dell’HIV.Questa patologia è descritta nell’articolo“Manifestazioni Dermatologiche” a pagina 12della Dr.ssa Valenzano in questo numero.- CCaannddiiddoossii: si presenta in tutte le mucose,con particolare frequenza a livello vaginale(cfr. Delta n.2, HIV e Donna) ed orale. A livel-lo orale è molto dolorosa e va eliminata velo-cemente, prima che possa trasferirsi nell’eso-fago e produrre reali difficoltà nel processo

digestivo. Il modo più semplice di trattarla infase iniziale sono gli sciacqui con bicarbonatodi sodio, ma la nistatina o altri funghicidi sonoefficaci e più frequentemente prescritti daimedici.- HHeerrppeess: è importante che le persone siero-positive sappiano che l’herpes si presentaanche all’interno della bocca e in tutte lemucose del cavo orale. Deve essere trattatocome qualsiasi altra manifestazione di herpessimplex.- AAffttee: sono ulcerazioni che si presentano sullalingua, spesso molto fastidiose o dolorose egeneralmente scompaiono nel giro di 4 – 5giorni. Spesso appaiono in occasione di stresspsicologico o fisico. Non vi è un rimedio speci-fico, i medici cercano di attutirne il dolore conl’uso di aciclovir.

PPuulliizziiaa ee pprrooffiillaassssiiE’ importante che tutti adottino precisi criteridi igiene orale usando con frequenza lo spaz-zolino da denti ed il filo dentale che si acquistain tutte le farmacie. La frequente pulizia deidenti e delle gengive è lo strumento più effica-ce per prevenire la maggior parte delle patolo-gie descritte più sopra. In particolare è impor-tante che le persone con danno immunologicoprevengano qualsiasi ulcerazione nel cavoorale onde evitare di indebolire le proprie bar-riere contro batteri e virus. I medici di famigliae gli infettivologi debbono effettuare una par-ticolare attenzione all’analisi della bocca e delcavo orale per prevenire l’insorgenza di qual-siasi patologia.

...... ee iill ddeennttiissttaa??E’ un problema che almeno una volta hannoaffrontato tutte le persone sieropositive:“Debbo dirgli quale è il mio stato sierologi-co?” La maggior parte delle persone siero-positive non ritiene opportuno dischiuderetale informazione al proprio dentista. A taleproposito, però, sorgono due problemi: ilprimo è soggettivo, e cioè, un dentistascrupoloso che conosce la situazione disalute del paziente HIV+ può diagnosticarepiù facilmente una patologia legata all’HIV,così come suggerire terapie o effettuareinterventi più adatti allo stato di salute delpaziente. Il secondo problema è oggettivo:il medico deve prendere le proprie precau-zioni a prescindere dallo stato sierologicodel paziente e comunque fornire strumentidisinfettati a tutti i pazienti. Si suggeriscecomunque avvisare il dentista del propriostato sierologico in quanto, in caso di unincidente professionale, questi possa ricor-re alla PEP, se necessario (vedi Delta n.3,pag. 8). A questo proposito, però, siaggiunge un’ulteriore “ problema nel pro-blema”: quanti dentisti sono disposti acurare i pazienti portatori di HIV nel propriostudio privato? E, quanti dentisti hannorifiutato di curare persone sieropositive?

David Osorio

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HHIIVV EE UUSSOO DDII SSTTEERROOIIDDII AANNAABBOOLLIIZZZZAANNTTIIIuri Bedini - Cristian Davì

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Negli ultimi anni l’uso di steroidi anabolizzanti nella Waisting Sindrome (perdita di peso da HIV)e nella Lipodistrofia si è rivelato sempre più diffuso. In particolare è stato notato che l’aumen-

to della massa muscolare e della forza in generale, ha creato un miglioramento della qualità dellavita. Rimane ancora aperto il dibattito sul beneficio/tossicità di questi farmaci.Dal punto di vista chimico, basterà ricordare che per steroidi anabolizzanti si intendono i farmaciche derivano dal testosterone con opportune manipolazioni, come togliere (nandrolone) o aggiun-gere gruppi metilici (es. metiltestosterone, bolasterene, metandrosenolone ecc.) ossidrilici (oxan-drolone, òesterolone, oxabolone) spostamento di doppi legami (metandrolstenolone, metenolone,bolderonone), aggiunta di atomi di fluoro o cloro (fluossimensterone, clortestosterone, ecc.) nel-l’intento in generale di mantenere effetti anabolizzanti con meno effetti androgeni.L’effetto anabolizzante si riferisce alla crescita muscolare e quello androgeno si riferisce agli effet-ti collaterali causati dagli steroidi. I più comuni sono:

- negli uomini; perdita dei capelli, comparsa di peli superflui, leggero aumento dell’aggressività,acne, ginecomastia e nei casi di cicli prolungati, ingrossamento della prostata e tossicità epatica. - nelle donne; aumento dei peli superflui, abbassamento della voce, ingrossamento della clitoridee nei casi di cicli prolungati tossicità epatica.

Pur essendo coscienti dei sopra elencati effetti collaterali non si può ignorare il miglioramento delpeso e della massa muscolare magra. Nello studio presentato all’Ottava Conferza CROI di Chicago, la Dottoressa Kath Mulligan hariportato i risultati dello studio ACTG 329 su 38 donne, che avevano perso più del 5% del pesocorporeo in un anno. Le donne sottoposte a un ciclo di Nandrolone Decaonato hanno avuto unsignificativo aumento di peso rispetto al braccio dello studio che riceveva placebo. Gli effetti col-laterali riscontrati non sono stati considerati gravi tali da interrompere il trattamento.

Gli steroidi più utilizzati e comuni nella Waisting Sindrome sono elencati di seguito.

NNaannddrroolloonnee DDeeccaaoonnaattoo ((DDeeccaadduurraabboolliinn)). Idosaggi consigliati sono:

- nelle donne, 100mg ogni due settimane o 50mg/sett. per 12 settimane - negli uomini, 200/600 mg/sett. per 12 settimane

Il decadurabolin è un farmaco altamente anabolizzante con effetti androgeni minimi e lieve epatotossicità e ritenzione idrica. Usato in combinazione con il testosterone è stata notata unamaggiore crescita muscolare.

TTeessttoosstteerroonnee eennaannttaattoo ((oo cciippiioonnaattoo)). I dosaggi consigliati sono:

- nelle donne, 100mg/sett. per dodici settimane - negli uomini. 250mg/sett. per dodici settimane

Gli effetti collaterali riscontrati sono: ritenzione idrica, perdita dei capelli e ginecomastia (negliuomini) , abbassamento della voce ed ingrossamento della clitoride(nelle donne).

SSttaannoozzoonnoolloo ((WWiinnssttrrooll)) -- non più reperibile in Italia . I dosaggi consigliati sono:

- nelle donne 50mg/sett. per dodici settimane.- negli uomini 50mg tre volte/sett. per dodici settimane.

Gli effetti androgeni riscontrati sono minimi fatta eccezione per la epatossicità che ne conseguementre è stata riscontrata una rilevante crescita muscolare e una totale assenza di ritenzione idri-ca. Il farmaco attualmente non viene venduto in Italia.

MMeetthheennoolloonnee ((PPrriimmoobboollaann)). I dosaggi consigliati sono:

- nelle donne 25/50mg/sett per dodici settimane.- negli uomini 100/400mg/sett. per dodici settimane.

Il Primobolan è considerato lo steroide più “gentile” pur avendo buoni effetti anabolizzanti, noncrea ritenzione idrica e gli effetti virilizzanti nelle donne sono minimi. E’ considerato un farmacosicuro per le donne. Un effetto collaterale comune a tutti gli steroidi sopra citati è il leggero aumento della libido chedecade a poche settimane dall’interruzione del ciclo. Ogni ciclo va intervallato da almeno dieci set-timane di riposo. Ad ogni fine trattamento è consigliabile controllare i valori delle transaminasi edella bilirubina.Ulteriore effetto indesiderato derivante dall’uso di testosterone è l’aumento dell’emoglobina e del-l’ematocrito che pertanto debbono essere costantemente monitorati per prevenire danni più gravi.A causa di tali effetti collaterali i medici non sono generalmente propensi a prescrivere gli anabo-lizzanti sopratutto in presenza di una patologia grave come quella dell’HIV dove aggravare un qua-dro clinico con effetti collaterali prodotti da un farmaco, può rendere la malattia da HIV di più dif-ficile gestione.

Ulteriori trial ed informazioni possono essere reperiti sul sito HIV/anabolizzanti www.medibo-lics.com.

Nel prossimo numero di Delta continueremo la lista degli anabolizzanti di più comune impiego, maricordiamo ai nostri lettori che l’uso di tale tipologia di farmaco, deve essere sempre controllato dalmedico.

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PPaattoollooggiiee ppssiicchhiiaattrriicchhee ee aabbuussoo ddii ssoossttaannzzee iinn ppeerrssoonnee ccoonn iinnffeezziioonnee ddaa HHIIVV::TTRRAATTTTAAMMEENNTTII CCOOMMBBIINNAATTII EE IINNTTEERRAAZZIIOONNII FFAARRMMAACCOOLLOOGGIICCHHEE

Fabrizio Starace, Annunziata Ciafrone, Giuseppe NardiniServizio Psichiatria di Consultazione ed Epidemiologia Comportamentale

A.O. Cotugno, Napoli

Il frequente rilievo, nelle persone sieropositive per HIV, didisturbi psichiatrici direttamente o indirettamente asso-

ciati all’infezione e/o di comportamenti da abuso di sostan-ze, rende complesso l’approccio terapeutico, sia per lepossibili interazioni tra i trattamenti da associare, che peril controllo e/o il contenimento degli effetti collaterali.Sul piano clinico è oggi ampiamente riconosciuta (ancorchéraramente praticata) la necessità di un approccio integratoalla patologia organica, a quella mentale ed alla dipenden-za patologica. Allo stesso modo, dal punto di vista farma-cologico, questi tre livelli devono necessariamente essereconsiderati parti di un unico piano terapeutico: in pratica,nella scelta del trattamento farmacologico occorrerà verifi-care le reciproche influenze che i singoli farmaci possonoesercitare gli uni sugli altri. Un ulteriore livello di comples-sità è costituito dalle caratteristiche a lungo termine degliapprocci terapeutici prescelti. Ciò implica una maggioreattenzione ai problemi di tossicità da accumulo, all’insor-genza di effetti collaterali e indesiderati ma anche alle con-seguenze negative che tali eventi possono determinare sul-l’aderenza e sulla prosecuzione del complesso dei tratta-menti stessi.I farmaci antiretrovirali e gli psicofarmaci possono interfe-rire tra loro sia nella farmacocinetica che nella farma-

codinamica. Ad esempio, i neurolettici, gli antidepressivitriciclici ed alcuni antiparkinsoniani possono ridurrre la bio-disponibilità degli antiretrovirali assunti per via orale perl’azione anticolinergica esercitata sulla muscolatura inte-stinale, ed il conseguente rallentamento della peristalsi.Anche gli antidepressivi serotoninergici, potendo indurrediarrea, possono ridurre l’assorbimento per l’accelerazionedel transito intestinale. Va inoltre considerata la competi-zione tra antiretrovirali e antipsicotici per il legame alleproteine plasmatiche: è noto che il grado di saturazioneche le diverse molecole possono determinare, condiziona lamaggiore o minore disponibilità di farmaco competitivolibero; in particolare, farmaci a reazione acida, come il dia-zepam, competono con gran parte dei farmaci anteretrovi-rali per il legame con l’albumina, mentre quelli a reazionebasica, come l’imipramina, competono selettivamente consaquinavir, indinavir, ritonavir-lopinavir, ed amprenavir peril legame con l’a-1 glicoproteina.I farmaci antiretrovirali sono in gran parte metabolizzati alivello epatico: i processi catabolici prodotti dagli enzimimicrosomiali, ed in particolare dal sistema enzimatico delcitocromo P450 (CYP450), rivestono un ruolo di primariaimportanza per le interazioni con altri farmaci.

In tabella 1 sono riassunte le potenziali interazioni trai farmaci antiretrovirali e gli psicofarmaci più comu-nemente utilizzati. Nella prima colonna viene inclusoanche l’alcool in quanto principio attivo freq-uente-mente assunto

Un approfondimento ulteriore merita il tema delle interazio-ni tra metadone e antiretrovirali. E’ noto, infatti, che il

metadone rappresenta il trattamento più frequentementeimpiegato, in Italia, per il trattamento della dipendenza daeroina, e che questa condizione riguarda una quota consi-stente di persone sieropositive per HIV. Il metadone assuntoper via orale raggiunge concentrazioni plasmatiche apprezza-bili già dopo trenta minuti; entro quattro ore si ottiene il piccodella concentrazione. Alle dosi terapeutiche il legame alleproteine plasmatiche è pari al 90%. Il metadone viene meta-bolizzato a livello epatico, dove un ruolo preminente è svoltodal sistema enzimatico del citocromo P450. La farmacocine-tica e la farmacodinamica del metadone rendono conto dellamolteplicità delle possibili interazioni (tabella 2).

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Alcuni effetti indesiderati degli psicofarmacipossono risultare risultare particolarmente dan-nosi in corso di terapia antiretrovirale (tabella 4).La clozapina, che nel 3% dei casi induce agranu-locitosi, può aggravare l’immuno-depressione daantiretrovirali. Anche per molti neurolettici con-venzionali, come le fenotiazine alifatiche (clor-promazina, promazina) e piperidiniche (tioridazi-na e flufenazina) è stato riportato un rischio diagranulocitosi. Il rischio di inibizione midollare è,inoltre, aumentato con la concomitante sommini-strazione di farmaci antiretrovirali quali zidovudi-na, antibiotici quali co-trimoxazolo e anticonvul-sivanti quali la carbamazepina. Anche l’antide-pressivo mianserina può determinare inibizionemidollare. Qualora l’uso dei farmaci citati vengaritenuto indispensabile, sarà necessario, in casodi associazione con antiretrovirali, un regolaremonitoraggio emocromocitometrico.Infine, occorre considerare che l’impiego di anti-depressivi triciclici può indurre l’insorgenza di un

Molti farmaci antiretrovirali possono indurreeffetti collaterali indesiderati sulla sfera psi-

chica, simulando veri e propri quadri psichiatrici.Così, può determinarsi in corso di terapia conzidovudina o stavudina una franca condizione dimania, mentre con gli inibitori delle proteasi indi-navir, ritonavir e saquinavir possono emergerequadri caratterizzati da allucinazioni o sintomidepressivi. Una particolare frequenza di tali sin-tomi è stata riportata in corso di terapia con efa-virenz, al punto da rendere necessaria l’interru-zione della terapia e lo switching verso farmacimeglio tollerati.In tabella 3 sono sinteticamente riportati i princi-pali sintomi psichiatrici potenzialmente indotti dafarmaci antiretrovirali.

quadro di delirium.Nell’ambito dell’impiego di antidepressivi in associazione coni farmaci antiretrovirali, è stata segnalata la maggioremaneggevolezza degli SSRI citalopram, paroxetina e sertrali-na e dei nuovi antidepressivi mirtazapina e reboxetina. Per ilcontrollo dei sintomi psicotici in soggetti sieropositivi per HIVi neurolettici atipici risperidone, olanzapina e quetiapina sonoritenuti meglio tollerati per il limitato rischio di insorgenza dieffetti extrapiramidali.

Tra gli stabilizzanti dell’umore, il gabapentin e la lamotriginapossono essere utilizzati, con sufficienti margini di sicurezza,per il profilo di tollerabilità e le scarse interazioni con antire-trovirali.In conclusione, il tema delle interazioni tra farmaci antiretro-virali, psicofarmaci e metadone rinvia - se ve ne fosse neces-sità - all’importanza dell’interazione tra competenze speciali-stiche diverse, tutte indispensabili per un intervento terapeu-tico integrato ed efficace.

Alcuni centri clinici italiani ci hanno informato che laSchering Plough non è in condizioni di rifornirli

dell’interferone pegilato necessario per curare l’epatite C.Sembra si tratti di un errore di pianificazione irrimediabile.

Mentre allertiamo i medici circa questo problema chepotrebbe obbligarli a sospendere la terapia, siamo in attesadi una risposta da parte di Schering Plough sull’accaduto.Pubblicheremo tale risposta su “Nadir Notizie” che sarà

inviato non appena possibile via email.

- A T T E N Z I O N E -

La bibliografia è disponibile sul sito web di Nadir.

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CCRROOII –– CCOONNFFEERREENNCCEE OONN RREETTRROOVVIIRRUUSSEESSAANNDD OOPPPPOORRTTUUNNIISSTTIICC IINNFFEECCTTIIOONNSSSEATTLE, 24 – 28 febbraio 2002

Guarinieri - Osorio - Schloesser

Risposta immunitaria alla terapia antivirale, nuovi farmaci, resi-stenze, interazioni farmacologiche, patogenesi e malattie oppor-

tunistiche, sono i temi affrontati alla IX Conferenza sui Retrovirus esulle Infezioni Opportunistiche (CROI), dal 24 al 28 febbraio a

Seattle. Inoltre, questa edizione della CROI ha riproposto i temilegati ai problemi centrali della terapia per l’HIV quali il quando e ilcome iniziare la terapia, il ruolo della ricostituzione immunitaria e lepatologie legate sia all’HIV che alla terapia antiretrovirale stessa.

Il tema della ricostituzione immunitaria e della possibile sinergia tra il trat-tamento e l’attività autoimmune sono stati sempre un tema di ricerca, non-

ostante fino ad oggi non siano ancora confermati i dati sull’uso della terapiaimmunologica a tale scopo. Ci riferiamo in particolare agli Abs 103 e 104(Kovacs, Sereti), ove è stato confermato che la terapia con IL-2 può porta-re ad una ampia proliferazione di CD4 ed ad una sopravvivenza prolungata ditali cellule. Ma ancora non vi sono dati sufficienti per conoscere il ruolo diqueste CD4 ed il loro funzionamento. L’abstract 107 (Altfeld) si è centratosulla caratterizzazione della risposta immunitaria nelle persone con HIV. In

tale studio sono state paragonate le risposte CTL nel sangue periferico e neilinfonodi e si è data una risposta a tale dinamica sia durante il trattamento,sia in caso di interruzione di trattamento. Le cellule CD8 sono localizzateprincipalmente nei linfonodi e forniscono risposte esclusivamente riscontra-bili in tali compartimenti, soprattutto durante la HAART. Durante l’interru-zione del trattamento in persone con infezione cronica, la circolazione di cel-lule CD8 contribuisce in maniera sostanziale al rinforzamento delle risposteCTL specifiche. Appare evidente però che tale conferma ancora non fornisceun dato specifico per le applicazioni nella pratica clinica.

Sono stati presentati i nuovi agenti antiretrovira-li in corso di sviluppo, alcuni di essi ancora in

fase pre-clinica, altri che, salvo imprevisti, potreb-bero essere somministrati entro pochi mesi. Il recettore CCCCRR55 ((SSCCHH CC)) in sviluppo presso laSchering Plough, (Abs 1; Reynes), mostra in vitrouna potente attività antiretrovirale contro l’HIV-1.La tollerabilità, la tossicità e la farmacocinetica

della molecola sono state studiate su volontarisani in un dosaggio singolo di 600 mg.Attualmente 12 adulti HIV+ non in terapia antire-trovirale e con CD4 > 250 hanno ricevuto per 10giorni 25 mg di questa molecola ogni 12 ore. Talestudio ha fornito dati preliminari sugli effetti anti-virali della molecola, sia in un periodo molto brevedi trattamento sia dopo interruzione, mostrandouna riduzione di almeno 0,5 log sull’80% deipazienti, tra cui 4 di essi hanno riscontrato unariduzione di HIV RNA superiore ad 1,0 log. Il TTMMCC112255, in sviluppo presso la Tibotec (Abs 4,Gazzard) ha confermato a livello ufficiale quantoera già stato comunicato all’ECAB: il farmaco,NNRTI di nuova generazione somministrato per 7giorni BID ad un dosaggio di 900 mg in pazientiresistenti agli altri NNRTI, mostra un effetto anti-

virale significativo ed è ben tollerato. I pazienti instudio, ancora solo 16, hanno mostrato una ridu-zione media di HIV RNA > 0,9 log. La carica vira-le ha continuato a scendere all’ottavo giornoanche senza trattamento. Gli effetti collateraliriportati sono stati di grado 1 (lieve) e si riferisco-no a diarrea (5) ed emicrania (4). Altro studio suquesto farmaco (Abs 5, Sankatsing) afferma che

su 12 pazienti trattati per una settimana in mono-terapia il risultato di diminuzione dell’HIV RNAnella prima settimana di terapia è stato simile aquello di un regime a 5 farmaci. Appare evidenteche i fattori per una risposta duratura degli effettidi tale farmaco non sono ancora conosciuti, cosìcome non se ne conoscono i possibili effetti colla-terali per un periodo superiore ai 7 giorni.Le risposte al DDPPCC 008833, (Abs 6, Ruiz), in svilup-po presso BMS, sono state riferite come positive.Questo farmaco è stato già somministrato a 51pazienti (studio 203) che hanno fallito altri regimicon NNRTI e con HIV RNA > 1000 copie. I profiligenotipici di tali pazienti mostravano mutazioniconferenti resistenza agli NNRTI nel 94% dei casi.I pazienti sono stati randomizzati a ricevere o 100o 200 mg una volta al giorno. I risultati a 8 setti-

mane suggeriscono che il farmaco è attivo inpazienti con le mutazioni tipiche degli NNRTI e chela risposta al farmaco è maggiore quando il DPC083 è usato in combinazione con almeno un NRTInuovo. È stato affermato che “il farmaco è gene-ralmente ben tollerato”, ma in dettaglio non sap-piamo che cosa significhi anche perché è statointerrotto dal 16% dei pazienti in trattamento a

causa di eventi avversi (8/51). Anche l’Abs 7 ha confermato l’efficacia del farma-co, questa volta su pazienti non pre-trattati. Inquesto studio (201) il farmaco è stato paragonatoall’efavirenz, ma l’incidenza dei capogiri e dei rashè stata minore. Lo studio afferma che il DPC 083fornisce livelli plasmatici trough che superanol’IC90 per i virus che contengono mutazioni checonferisco resistenza agli NNRTI. Sono stati presentati studi in vitro dell’SS--11336600(Abs 8, Yoshinaga), inibitore dell’integrasi per usoorale. Per il momento gli studi pre-clinici mostranoun profilo farmacocinetico e di tollerabilità accet-tabili sugli animali. Tale molecola potrebbe rappre-sentare un nuovo potente agente antiretrovirale. Sono stati presentati studi anche sui farmaci inaccesso allargato (Atazanavir, Tipranavir) e su

IImmmmuunnoollooggiiaa

NNuuoovvii ffaarrmmaaccii

1166

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PPaattooggeenneessii

VVaacccciinnii

Sulla rivista EATN ci siamo spesso chiesti se gli episodi di viremia trans-iente, cosiddetti blips, potessero significare fallimento virologico o tera-

peutico. D Havlir (Abs 93), dell’Università di California, ha presentato unostudio partendo dal presupposto che sia nei pazienti naive sia in quelli conlimitata esposizione ai farmaci, al raggiungimento dei livelli di viremia nonquantificabile i blips (> 50 copie) sono associati con un livello maggiore diviremia plasmatici ma non con un fallimento virologico. Lo studio presentatoesamina se i blips predicono un fallimento virologico nei pazienti altamentepre-trattati in terapia di salvataggio. Nell’ACTG 398, il 25% dei pazienti cheha raggiunto HIV RNA < 50 copie, ha presentato blips. La conta dei CD4 èaumentata e non ha mostrato differenze tra i pazienti che hanno avuto blipse gli altri. Non si è manifestata alcuna associazione tra la resistenza fenoti-

pica ai farmaci ed i blips di HIV RNA. Analogamente con altri studi,nell’ACTG 398 il mancato raggiungimento di VL < 50 copie faceva prevede-re un rebound virologico. Anche l’analisi dei pazienti arruolati nell’ACTG 359non ha mostrato associazioni significative tra i blip di RNA (> 500 copie) e ilrebound virologico (> 1000 copie). La Havlir conclude sostenendo che anchenei pazienti altamente pre-trattati ed in regime di salvataggio, gli aumentitemporanei di HIV RNA non significa né predice il fallimento virologico (alme-no a 38 settimane) nei pazienti che hanno raggiunto una viremia plasmatici< 50 copie in almeno un’occasione. Definire fallimento virologico in presen-za di uno o più blips, dopo una soppressione iniziale a < 50 copie è un con-cetto troppo limitativo. La Havlir raccomanda che tale osservazione abbia unsignificato chiaro nella pratica clinica.

Poche sono le novità che si riferiscono alle prospettive per un vaccino con-tro la TBC e contro il MAC. I ricercatori (J L Flynn) puntano su un candi-

dato che includa i bacillo Calmette-Guerin con proteine del M. Tuberculosise proteine e peptici di fusione e vaccini DNA. Come noto, i dati di epidemio-logia sulla TBC sono sempre più allarmanti, soprattutto per quanto concernei paesi in via di sviluppo, sia in Africa che nell’est europeo. Molto affollata la presentazione di E Emini, della Merck, il quale ha presen-tato alcuni dati sul vaccino che sta sviluppando per l’HIV-1. Niente di nuovo

rispetto a quanto abbiamo riportato sul numero 3 di Delta, e cioè, gli studi difase 1 sono iniziati su volontari sieropositivi e sieronegativi e prevedonodosaggi crescenti di un vaccino con vettore adenovirale usato per priming eper boosting e per boosting dopo priming con vettore DNA. Emini prevedeche gli studi iniziali forniranno una stima dell’immunogenicità del vettore ade-novirale nell’essere umano e se la soppressine dell’immunogenicità che puòessere mediata dall’immunità pre-esistente contro il vettore possa esseresuperata.

SSeessssiioonnee ssuullllee ccoonnttrroovveerrssiieeQuando iniziare la terapia antiretrovirale continua ad essere tema affron-

tato in tutte le conferenze internazionali. A Seattle R E Chaisson,dell’Università Johns Hopkins di Baltimora, ha analizzato rischi e beneficidell’inizio ritardato della terapia tenendo in considerazione che, allo statoattuale, il virus non può essere eradicato dai serbatoi cellulari. Inoltre, i datirilevati in uno studio fatto al Johns Hopkins su 553 pazienti dimostrano chei pazienti che hanno iniziato la terapia intorno ai 200 CD4 rispondono benequanto coloro che hanno iniziato prima in termini di ricostituzione immunita-ria, mentre coloro che iniziano il trattamento al di sotto dei 200 CD4 sono amaggior rischio di progressione della malattia. Chaisson conclude che ritar-dare il trattamento fino al momento in cui il paziente ha 200 CD4 non sem-bra aumentare il rischio di progressione. Ciononostante, Chaisson ha con-fermato che la mortalità è molto più elevata nei pazienti che iniziano tardi chein coloro che iniziano presto e che l’uso di sostanze quali la cocaina, l’eroinae l’alcool interferisce nell’aumento dei CD4, ma ciò è dovuto alla scarsa ade-renza dei pazienti che ne fanno uso. La carica virale, pur essendo un datodella progressione della malattia, non fornisce un dato clinico di risposta allaterapia antiretrovirale. I pazienti che hanno iniziato la terapia antiretroviralecon numero superiore a 350 CD4 è probabile che debbano affrontare mag-giormente la tossicità dei farmaci e l’emergenza di ceppi resistenti ai farma-ci senza uno specifico beneficio clinico. La terapia antiretrovirale dovrebbeessere iniziata pertanto tenendo in conto il numero dei CD4 e la capacità delpaziente ad aderire a regimi complessi e potenzialmente tossici.

STI – Interruzione Strutturata di Terapia. B Hirschel dell’Università diGinevra ha spiegato il razionale triplice dell’Interruzione Struttura di Terapia:stimolare la risposta immunitaria dopo la soppressione della viremia con iltrattamento (autovaccinazione), aumentare i tempi senza l’uso di farmaci(qualità della vita, effetti collaterali e costi) e indurre, tra coloro che sonoresistenti al trattamento, la reversione a ceppo selvaggio e pertanto miglio-rare il successo della terapia di salvataggio susseguente. Per quanto con-cerne l’autovaccinazione, gli unici risultati di rilievo provengono dai pazientiche hanno iniziato la HAART durante l’infezione primaria: fino al 60% sonoriusciti a controllare la viremia al di sotto di 5.000 copie fino ad un annosenza HAART, mentre tra i pazienti che hanno iniziato- il trattamento piùtardi, solo il 17% è riuscito a mantenere la viremia al di sotto delle 5.000copie dopo 4 cicli di STI (2 settimane in terapia, 8 settimane senza). Inoltre,Hirschel ha riferito che mentre i test in vitro mostravano una stimolazionedelle risposte linfocitarie citotossiche (CTL), tale stimolazione non risponde-va a viremia bassa senza terapia, ovvero i pazienti con carica virale più altatendevano ad avere una risposta CTL più attiva. Hirschel conclude soste-nendo che, al momento, l’STI fornisce solo una promessa di minori effetticollaterali e di un costo meno gravoso e ciò può essere di interesse per ipaesi in via di sviluppo. Ma i rischi ed i benefici di tale sistematica debbonoessere tuttora studiati in trials ampi e per lunghi periodi. Attualmente sonoin corso di pianificazione vari studi sull’ STI: interruzione lunga guidata dalcalendario (ad esempio due mesi sì e due mesi no) o dalla conta dei CD4

farmaci attualmente in uso. Tra di essi quello sull’interazione Amprenavir –Kaletra (poster 440, C Solas) in cui si afferma che la farmacocinetica delKaletra + Amprenavir mostra una diminuzione della Cmin tra il 51% ed il33% con somministrazioni di 600 e 700 mg BID rispettivamente in paragoneai pazienti trattati con associazione APV/RTV 600/100 o 750/100 mg BID.Comunque, l’85% dei pazienti con APV/LPV/r avevano una Cmin di oltre 3volte la Cmin normalmente osservata con il dosaggio standard di 1200 mgBID. In maniera opposta, la media del Cmin di LPV non era modificata dal-l’associazione con Amprenavir a qualsiasi dosaggio. Solas suggerisce l’uti-lizzo di sistemi di monitoraggio dei livelli ematici in questo tipo di associa-zione per evidenziare qualsiasi diminuzione o aumento delle concentrazioniche potrebbe portare ad eventi avversi o a fallimento virologico. Dato che lostudio si riferiva a 51 e 24 campioni di plasma rispettivamente, Solas con-ferma che sono necessari ulteriori studi per valutare maggiormente tali regi-mi. Anche De Luca, con il poster 423, su pazienti in terapia di salvataggiocon LPV/r + APV nei dati presentati a 24 settimane, conferma che i livelliplasmatici dell’Amprenavir, somministrato con LPV/r, sono più bassi. Inoltre,una terapia di salvataggio con tale combinazione in pazienti pre-trattati conle tre classi di farmaco mostra risposte significative nei CD4 e risposte par-ziali a livello virologico. E’ stato anche presentato uno studio (Abs 126, R Bertz, Abbott) sull’uso diKKaalleettrraa uunnaa vvoollttaa aall ggiioorrnnoo in rapporto a due volte al giorno. Sono statiarruolati 38 soggetti HIV+ non esposti ad alcun trattamento e randomizzatia LPV 400/100 BID o LPV 800/200 QD con d4T e 3TC; ambedue i braccihanno prodotto una simile Cmax e AUC di LPV. I Ctraf non presentavanoalcuna differenza tra la settimana 3 e la 48 pertanto i ricercatori sostengonoche il dosaggio 800/200 QD produce Cmax e AUC simili alla somministra-zione 400/100 BID e l’efficacia clinica delle due somministrazioni era similedopo 48 settimaneSono stati presentati alcuni studi su varie associazioni con AAttaazzaannaavviirr (conSQV, con EFV e con RTV). Nell’Abs 42, Haas ha presentato uno studio su 85pazienti (studio BMS 009) con HIV RNA 1000 - 100000 copie e con CD4 > 100.A 48 settimane Haas conclude che nei soggetti che hanno fallito altri regimi,ATV/SQV una volta al giorno porta a soppressione rapida e durevole dell’HIVRNA ed a un aumento dei CD4. Inoltre, tale combinazione diminuisce il cole-sterolo totale, l’LDL ed i trigliceridi mentre la combinazione RTV/SQV BID neproduce un marcato aumento (11% dei valori di colesterolo, 23% di LDL e 93%

dei trigliceridi). L’analisi dei profili lipidici in pazienti pre-trattati suggerisce chel’uso di Atazanavir può ridurre ilo rischio di eventi cardiovascolari. Ci soffer-miamo anche sul poster 445 (Agarwala – BMS) ove si sono studiati gli effettidi farmacocinetica sull’Atazanavir con e senza ritonavir, ma in pazienti sani. Lostudio è stato effettuato per 14 giorni su 30 persone sane e mostra che l’e-sposizione con ATV + RIF con ritonavir produce livelli di PK paragonabili a ATV+ RIF senza RTV, ma di 2,5 volte più alti utilizzando la dose standard di 300 mgRIF. Pertanto l’Atazanavir può essere somministrato senza modificazione deldosaggio standard di ribafutina. E’ da segnalare che questo è uno dei pochistudi che si occupa di analizzare possibili associazioni tra PI ed un farmaco fon-damentale per i pazienti con MAC o TBC. Sempre su pazienti sani è stato pre-sentato il poster 444 (O’Mara) che analizza l’associazione di 200 mg di RTV unavolta al giorno con ATV e EFV e conclude che la combinazione di tali farmaciannulla l’effetto induttivo dell’EFV sull’ATV, ma aumenta l’esposizione dell’ATVdi 3 volte, rispetto all’ATV da solo. Sono stati presentati due studi sul TTiipprraannaavviirr. Questa molecola, che hasofferto durante la fase di sviluppo del passaggio da Pharmacia – Upjohna BI, finalmente inizia a produrre una letteratura. Nel poster 562(Schwartz) ha presentato i risultati dei profili di resistenza su 41 pazien-ti. Utilizzando TPV 500mg/RTV 100mg BID o TPV 1000 mg/RTV 100 mgBID per 48 settimane i pazienti, altamente pre-trattati e con resistenza atutti i PI mostravano una diminuzione di 2,39 e 2,24 log di copie HIV/RNArispettivamente. Solo 6 pazienti hanno mostrato una diminuzione di effi-cacia del TPV associata a 16 mutazioni, tra cui la 82, 84 e 90. Livelli ele-vati di resistenza al Tipranavir sono stati riscontrati solo nel plasma di unpaziente, pertanto i ricercatori sostengono che il profilo di resistenza delTPV è insolito e una diminuzione dell’efficacia del farmaco si è constatasolo nel 14% dei pazienti che presentavano una media di 16 mutazioni, tracui quelle citate. Con il poster 434 (Mc Callister, BI), sono stati presen-tati gli studi di farmacocinetica del Tipranavir in associazione con 100 o200 mg di ritonavir. Lo studio, in aperto, su 113 persone HIV-, dimostrache le concentrazioni plasmatiche di TPV vengono aumentate significati-vamente in presenza di RTV (100 o 200 mg). Riteniamo comunque che ini-zialmente questo studio era stato disegnato per “dose finding” in quantoha utilizzato 250, 500, 750, 1000, 1250 mg di TPV, ma attendiamo entrobreve di conoscere da BI quali sono gli studi di “dose finding” previsti perquesta molecola.

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CCooiinnffeezziioonnee HHIIVV//HHCCVVFinalmente la coinfezione HIV/HCV ha avuto un ruolo di primo piano. Nel corso della CROI di quest’anno sono stati presentati oltre 40 abstracts ed un sim-

posio sulle coinfezioni. Non solo il numero degli abstracts, ma soprattutto la qualità degli studi, è sensibilmente migliorata. I “pezzi grossi”, come l’ACTGe le compagnie farmaceutiche, sono finalmente passati all’azione!

TTrraattttaammeennttoo ddeellll’’iinnffeezziioonnee HHCCVV ssuu ppaazziieennttii ssiieerrooppoossiittiivviiAbbiamo avuto modo di ascoltare i risultati preliminari dello studio ACTG

5071, su 133 pazienti con coinfezione HIV/HCV randomizzati per riceve-re Interferone pegilato-alfa 2 (Pegasys, Roche) alla dose di 180 mg la setti-mana, oppure Interferone-alfa 2 alla dose di 6 milioni di unità tre volte la set-timana per 12 settimane, seguite da 3 MIU TIW. Entrambi i gruppi hannoricevuto ribavirina 600 mg al giorno, per poi passare alla dose di 1 gr. nelcaso in cui tale dosaggio fosse tollerato dai pazienti. Tutti i pazienti in trat-tamento ARV avevano CD4 >100/ml e HIV-RNA < 10.000. Un piccolo sot-togruppo di pazienti con CD4 > 300 non era in trattamento antiretrovirale.

Risultati – al termine delle 24 settimane di trattamento, il 44% dei pazientiaveva HCV RNA < 50 c/mL nel braccio in trattamento con IFN pugilato vs.15% nel braccio trattato con IFN standard, utilizzando un’analisi intent-to-treat (drop-out = fallimento). Considerando il genotipo 1, generalmentemeno sensibile al trattamento, le percentuali scendevano, rispettivamente, a33% e 7%. Il genotipo 2 e 3era associato ad una migliore risposta (80% nelbraccio trattato con IFN pegilato e 40% nel braccio trattato con IFN stan-dard). Nel complesso, circa il 14% dei pazienti hanno interrotto il trattamen-to per effetti collaterali dovuti ai farmaci utilizzati; un dato simile a quelloosservato in pazienti con sola infezione HCV. Vale la pena di attendere i dati

relativi alla risposta virologica sostenuta (HCV RNA negativa dopo sei mesidall’interruzione del trattamento) prima di esprimere un parere definitivosullo studio.

Un altro studio, condotto dall’HRN (Hepatitis Resource Network), ha ran-domizzato un gruppo di pazienti con coinfezione HIV/HCV per ricevereinterferone standard una volta al giorno vs. interferone standard tre voltela settimana in associazione a ribavirina 800 mg. al giorno. Sono statiarruolati 180 pazienti, 90 per ogni braccio di studio. Tutti i pazienti ave-vano CD4 > 100. Questo studio ha arruolato circa il 50% di pazienti non-caucasici (una percentuale maggiore rispetto ad altro studio sino ad opracondotto). Alla 12^ settimana il 23% dei pazienti, equamente distribuititra i due gruppi, ha interrotto il trattamento, nella maggior parte dei casiper effetti collaterali associati all’IFN (la sindrome peudo-influenzale edi disturbi neuropsichiatrici sono stati gli effetti collaterali maggiormenteriportati). Il 25% dei pazienti assegnati al gruppo in trattamento con IFNuna volta al giorno, vs. il 10% dei pazienti che assumevano IFN tre voltela settimana, hanno avuto la carica virale in 12 settimane (in entrambi icasi, i dati sono stati inferiori a quelli a 24 settimane dello studio ACTG).

CCoonn oo sseennzzaa rriibbaavviirriinnaa??Presentando un follow-up relativo allo studio già presentato alla conferen-

za IAS di Buenos Aires il gruppo di Madrid ha per senato i risultati dellostudio in aperto che prevede l’uso di Peg-Intron (Shering) più ribavirina.Sono stati arruolati 65 pazienti con CD4 > 300 cellule/ml ed HIV-RNA <5000 c/mL. I pazienti hanno ricevuto Peg-Intron 150 mg la settimana per tremesi, per poi vasara a 100 mg. la settimana per oltre tre mesi nel caso in cuiil genotipo fosse 2 o 3 (9 mesi nel caso in cui il genotipo fosse 1 o 4). La dosedi ribavirina era di 800 mg. al giorno. Complessivamente il 54% dei pazientiaveva carica virale (HCV RNA) negativa al termine del trattamento, 37% peril genotipo 1 e 4, e 63% per il genotipo 2 e 3. Si tratta di risultati simili a quel-li dello studio ACTG, a 24 settimane. La percentuale di riposta sostenuta eradel 33%. Il 14% dei pazienti ha interrotto il trattamento, nella maggior partedei casi per sindrome pseudo-influenzale e complicazioni neuropsichiatriche.

Due studi hanno cercato di determinare quanto sia rapida la riduzione dellacarica virale utilizzando interferone pegilato vs. interferone standard inpazienti con coinfezione HIV/HCV. Sono stati considerati 8 pazienti, tutti congenotipo 1, arruolati in uno studio Roche che ha randomizzato i pazienti perricevere IFN pugilato + Ribavirina, IFN pegilato + ribavirina (placebo) vs.interferone + ribavirina (4 pazienti in trattamento con Peg + o – ribavirina e4 in trattamento con IFN + ribavirina). Inoltre, sono stati presi in considera-zione 10 pazienti, 9 dei quali con genotipo 1, nello studio ACTG 5071 (5 Pege 5 IFN Standard). A tutti i pazienti sono stati prelevati campioni di sanguenei primi fiotti di trattamento per determinare la velocità nella riduzione dellacarica virale (HCV) dopo l’inizio del trattamento.

I dati Roche erano particolarmente difficili da interpretare, vista la variabili-tà della risposta. Non è stata osservata la caratteristica riduzione “bi-fasica”della carica virale (una veloce riduzione della carica virale seguita da unaseconda fase più lenta). Solo tre pazienti hanno risposto al trattamento dopo24 settimane, 2 dei quali hanno avuto carica virale negativa dopo 5 giorni, eduno dopo 28 giorni di trattamento. Il resto dei pazienti ha avuto una riduzio-ne della carica virale minima. I dati ACTG erano leggermente migliori. Lariduzione della carica virale, sia nella prima sia nella seconda fase del brac-cio Peg vs. IFN standard era significativamente maggiore (un dato che gene-ralmente correla con la potenza). Il tempo necessario ad “eradicare” il virusdall’organismo nel gruppo Peg era di soli 194 giorni, mentre nel braccio intrattamento con IFN standard il tempo stimato era di 2400 giorni. Il messag-gio principale è che l’interferone Peg è superiore all’IFN standard sia neipazienti HIV+ sia nei pazienti HIV- e che tale trattamento dovrebbe essereormai considerato lo standard di cura per l’HCV. Non sono stati presentatidati che dimostrino la superiorità del Peg-Intron rispetto a Pegasys. I pazien-ti con coinfezione HIV/HCV hanno generalmente una risposta inferiore aquella osservata nei pazienti senza coinfezione.

1. Abstract LB-15. Chung et al.2. Abstract 651. Sulkowsky et al.3. Abstract 652. Perez-Olmeda et al.4. Abstract 121. Torriani et al.5. Abstracct 122. Sherman et al.

(sospensione appena si raggiungono i 350 CD4); interruzione breve basatasull’esperienza di uno studio pilota su pazienti trattati con indinavir e ritona-vir + stavudina e lamivudina ove non si sono osservati rebound su un tratta-mento una settimana sì e una settimana no. Quest’informazione non deveessere considerata come una possibile alternativa allo schema terapeutico:Hirschel parlava di dati iniziali e di studi ancora in corso di pianificazione.Allertiamo i nostri lettori a non prendere iniziative di interruzione senza par-larne con il proprio medico e solo sulla base di quanto riferito nelle confe-renze che presentano studi ancora in corso di pianificazione (ndr). Il ruolo del monitoraggio dei livelli ematici nella pratica clinica (TDM) è unaltro tema di ampio dibattito. D Back, dell’Università di Liverpool, è torna-

to sul tema ma non ha aggiunto molto rispetto a quanto presentato adAtene nello scorso ottobre e già riportato sul numero 2 di Delta. In breve,il TDM può essere utilizzato nella pratica clinica se vi è una relazione defi-nita tra l’esposizione ad un farmaco e la sua tossicità o la sua efficacia,quando vi è una ampia variabilità nell’esposizione ad un farmaco ed unafinestra terapeutica relativamente piccola. Gli unici candidati al TDM sonoi PI e gli NNRTI. Tuttavia Back ha fatto un passo avanti in quanto ha legatoi livelli ematici al fenotipo (attuale o virtuale) per generare un quoziente ini-bitorio. Ciò in quanto le concentrazioni plasmatiche trough al di sopra deilivelli accettabili possono generare effetti collaterali e non aumentare l’effi-cacia del farmaco.

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TTrraappiiaannttii iinn ppaazziieennttii HHIIVV++L’anno scorso i dati su trapianti eseguiti su persone sieropositive sono stati

assi scarsi. Quest’anno le cose sono andate molto meglio.

Sono stati riportati i dati riguardanti l’esito di 26 trapianti di fegato eseguitisu persone sieropositive, tra il settembre 1997 ed il dicembre 2001, pressol’università di Pittsburgh, l’Università di Miami, il King’s College di Londra,l’Università della California a San Francisco e l’Università del Minnesota. Inun caso si trattava di trapianto da donatore vivente, mentre negli altri casi sitrattava di trapianti da cadavere a vivente. Il trapianto da vivente a viventeha richiesto un successivo trapianto da cadavere a vivente. 17 pazienti eranoHCV+, 6 HBV+, mentre in 3 casi si trattava di fallimento epatico fulminan-te. Il tempo medio di sopravvivenza è, per ora, di 15 mesi (intervallo: 1-53).

7 pazienti sono morti: 5 per reinfezione con HCV, 1 paziente ha interrotto iltrattamento HAART ed ha rigettato l’organo per un assorbimento insuffi-ciente degli immunosoppressori. Un paziente ha avuto una pancreatite graveassociabile all’intervento. Il numero medio di cellule T al momento dell’inter-vento era di 192 cellule/ml (intervallo: 76-506), salito ora a 295. La tolleran-za al trattamento HAART dopo il trapianto è risultato essere un fattore pre-dittivo rispetto alla sopravvivenza. Un anno dopo il trapianto, le percentualidi sopravvivenza erano identiche a quelle osservate nei pazienti sieronegati-vi. Tutti i pazienti trapiantati sono stati trattati indefinitamente con IFN eribavirina.

1. Abstract 125. Ragni et al.

MMaallaattttiiee ccaarrddiioovvaassccoollaarrii eedd HHIIVVSebbene vi siano sempre maggiori preoccupazioni rispetto alla possibile

associazione tra il trattamento ARV e maggior rischio di sviluppare malat-tie cardiovascolari (CHD) non esistono, sino ad ora, dati conclusivi che pro-vino con chiarezza un legame causa-effetto tra trattamento e sviluppo pre-coce di CHD. Ha destato particolare impressione la relazione del Dr SamBozzette, presentata nella sessione late-breakers, intitolata “Cardio andCerebrovascular Outcomes with Changing Process of anti-HIV therapy in36,766 US veterans”. Il Dr Bozzette ha analizzato i dati relativi all’uso diARV, ricoveri ospedalieri, ogni causa di morte, e mortalità associata a malat-tie cerebro-vascolari su un arco di 8.5 anni, utilizzando il database dei vete-rani americani. Come già osservato in altri studi di coorte l’uso della terapiaHAART è correlata ad una riduzione significativa della mortalità e della mor-bilità associata all’infezione da HIV. Il Dr Bozzette ha tuttavia osservato chegli eventi cardiovascolari sono rimasti sostanzialmente stabili nell’arco degli8.5 anni presi in considerazione. Sulla base dello studio, il Dr Bozzette con-clude che non è possibile osservare alcun cambiamento significativo.Tuttavia, prima di accettare tali conclusioni vale la pena di fare un paio diconsiderazioni in materia. Primo, potrebbe essere ancora troppo presto perosservare un cambiamento significativo nella storia naturale delle CHD. Lemalattie cardiovascolari non si presentano nell'arco di una notte, ma richie-dono generalmente 20-30 anni. Minimizzare il significato della dislipidemia edell’intolleranza al glucosio, nei sei anni passati, è come dire ad un adole-

scente che il fumo non fa male. Generalmente, non è possibile osservaretumori al polmone o malattie polmonari ostruttive in ragazzi di 20 anni.Tuttavia, considerando individui che abbiano fumato per almeno vent’anni,l'associazione tra tumore al polmone e fumo è altissima. Quando i ricercato-ri si dicono preoccupati che i pazienti con HIV possano sviluppare, precoce-mente, una malattia cardiaca, non stanno semplicemente parlando del nume-ro totale di anni necessari allo sviluppo dell’arteriosclerosi, ma dell’età delpaziente e del modo in cui potrebbe eventualmente presentarsi la malattia.

Un altro problema è quello relativo alla raccolta dei dati. Come sappiamobene, l’analisi dei dati retrospettivi è funzione diretta del modo in cui gli stes-si dati sono stati inseriti. Il database dei veterani americani è un sistemameraviglioso, da un punto di vista tecnico, ed è probabilmente uno dei miglio-ri database sanitari al mondo. Tuttavia, i dati non sono sempre inseriti cor-rettamente, ed è frequente il caso di dati mancanti. Concludere, come hafatto Bozzette, che i medici non dovrebbero tener conto del rischio di malat-tie cardiovascolari nella scelta del trattamento antiretrovirale è un afferma-zione pericolosa ed azzardata. Crediamo che le complicazioni metaboliche alungo termine dovrebbero essere considerate un rischio potenziale, senzatuttavia dimenticare che l’obiettivo principale rimane quello di tenere sottocontrollo la replicazione virale e la progressione clinica.

RRiisscchhiioo ccaarrddiioovvaassccoollaarree nneellllee ddoonnnneeSono stati presentati diversi studi di base sulle malattie cardiovascolari. Si

pensa che le molecole che aderiscono alla cellula (CAMs) possano gioca-re un ruolo importante nello sviluppo precoce dell’arteriosclerosi. Livelli ele-vati di CAMs sono associati alle malattie cardiovascolari, ed in modo parti-colare all’infarto al miocardio ed all’arteriosclerosi carotidea. Il DrBaussermann ha presentato l’abstract 693-T “Circulating Cell AdhesionMolecules Are Elevated in HIV+ Women” riportando un’analisi “cross sec-tional” su campioni di siero prelevati da 74 donne, nell’arco di due anni, nel

tentativo di correlare i livelli CAMs con gli esami metabolici. Non è stataosservata alcuna differenza significativa nella quantità di CAMs, conside-rando gruppo etnico e tipo di trattamento (IP vs. NNRTI vs. NRTI vs. nessuntrattamento). Tuttavia, i livelli di CAMs erano particolarmente elevati consi-derando le donne sieropositive, rispetto a quanto osservato sulle donne sie-ronegative. I valori CAMs risultavano inversamente proporzionali ai valoriLDL ed ai valori HDL-3. Saranno necessari ulteriori studi per valutare la rela-zione tra malattie cardiovascolari ed HIV nelle donne.

Esiste una sempre maggiore evidenza rispetto al fatto che l’HIV, ed il trat-tamento ARV, sia associato a numerose alterazioni metaboliche come

iperlipidemia, intolleranza al glucosio, obesità centrale, ed ipertensione, tuttifattori associati alle malattie cardiovascolari. Esistono inoltre fattori dirischio stabili, come sesso, età e storia familiare. Aumenta l’enfasi relativa alrischio associati al fumo, alla dieta, all’esercizio fisico ed al controllo del dia-bete e dell’ipertensione. Sebbene non sia ancora possibile stabilire quale sia

il peso da attribuire all’infezione da HIV e/o al trattamento ARV, aumenta ilconsenso rispetto alla necessità di considerare il rischio di malattie cardio-vascolari, come uno dei fattori di cui tener conto nella scelta del trattamen-to antiretrovirale, e la maggior parte dei ricercatori concordano sul fatto chei pazienti in trattamento dovrebbero essere attentamente monitorati per indi-viduare segni e sintomi associati al rischio coronario.

UUnnaa ddoommaannddaa aannccoorraa sseennzzaa rriissppoossttaa……

IIll ddiibbaattttiittoo ccoonnttiinnuuaa

Atale proposito, vale la pena di tornare alla questione iniziale: se in altreparole il trattamento antiretrovirale sia associato, o meno, ad un aumen-

to del rischio di malattie cardiovascolari. Il Dr Mauss e colleghi (abstract689-T) hanno esaminato 187 campioni di siero prelevati da pazienti naive(17%), da pazienti trattati solamente con NRTI (11%), con regimi contenentiNNRTI (37%) o IP (35%). Solo 1/3 dei pazienti aveva un’alterazione dei livel-li di LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”), un dato equivalente a quelloosservato nella popolazione generale. Il resto dei soggetti aveva un livelloelevato di VLDL che, una volta analizzato, ha rivelato un gran numero di par-ticelle TG, che non sono ritenute aterogeniche. Gli stessi soggetti avevanolivelli elevati di colesterolo HDL. Il Dr Mauss conclude che la terapia ARTpotrebbe essere associata ad un rischio di malattie cardiovascolari assiminore rispetto a quello riportato da altri ricercatori.

Al contrario, altri gruppi di ricerca hanno già potuto osservare un aumentodegli eventi cardiovascolari. Reisler e colleghi (abstract 36) hanno condottoun’analisi retrospettiva su 5 studi clinici CPCRA (3050 pazienti) che ha rive-lato un rischio di malattie cardiovascolari di 9.29, rispetto al rischio di pro-gressione verso l’AIDS. Il Dr Tedaldi e colleghi (abstract 659 M) ha riporta-to una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari in pazienti HIV+ concoinfezione HIV/HCV rispetto alla sola infezione da HIV. Sono stati presen-

tati altri quatto studi che mostrano un aumento del rischio cardiovascolaresu pazienti con HIV. Wall e colleghi (abstract 659-T) hanno condotto uno stu-dio prospettico su 111 pazienti e 25 pazienti sieronegativi utilizzati come con-trollo. Il rischio medio di sviluppare una malattia cardiovascolare in 10 anniera del 4% nella coorte di pazienti sieropositivi rispetto all’1% nel gruppo dicontrollo. I ricercatori hanno inoltre calcolato il rischio associato al tratta-mento ARV, riportando il 6% di rischio nel gruppo trattato con IP rispetto al3% nei pazienti mai trattati con inibitori della proteasi. Le analisi del DrLeport e colleghi (abstract 698-T), che hanno presso in esame il databaseHOPS, confermano i dati di Wall, relativi ad una maggiore associazione trauso di IP e rischio cardiovascolare. Considerando la coorte HOPS, l’associa-zione tra infarto al miocardio ed uso degli IP rimane significativa anche nelcaso in cui il dato sia corretto considerando altri fattori di rischio (i.e. fumo,ipertensione, diabete, età, sesso e dislipidemia). Dall’altro lato, Klein eHurley hanno analizzato retrospettivamente 4159 pazienti con HIV e 40.000persone sieronegative senza essere in grado di osservare alcuna differenzarispetto agli eventi cardiovascolari, considerando il tipo di trattamento utiliz-zato. Tuttavia i ricercatori hanno potuto osservare un aumento delle ospeda-lizzazioni nei pazienti sieropositivi, rispetto a quanto osservato nelle personesieronegative (6.5 vs. 3.8 eventi per 1000 persone / anno).

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desidero ricevere copia del n° __________ del______________

Il numero 4 di Delta è dedicato alla memoria di

JOHN WILLIAMSF O T O G R A F O

Caracas, 31 ottobre 1948Miami, 7 aprile 1997

E' possibile iscriversi alla mailing listinviando una e-mail a:[email protected]' inoltre possibile inviare qualsiasi notizia allaredazione utilizzando l'indirizzo e-mail:[email protected] http://nadir.freeurl.com

RRIIVVIISSTTAA DDII IINNFFOORRMMAAZZIIOONNEE SSUULLLL’’HHIIVVnn..44 PPrriimmaavveerraa 22000022

Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/clegge 662/96 - Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee Filippo Schloesser

RReeddaazziioonnee Mauro Guarinieri - Paola Nasta - David Osorio

CCoommiittaattoo sscciieennttiiffiiccoo Dr. Ovidio Brignoli - Dr. Raffaele BrunoDr. Claudio Cricelli - Francois Houyez (F) - Dr. Martin Markowitz(USA)D.ssa Paola Nasta - Dr. Filippo Schloesser - Prof. Fabrizio StaraceDr. Stefano Vella

GGrraaffiiccaa ee ccoooorrdd.. eeddiittoorriiaallee Gianluca Longo

SSttaammppaa Arte della Stampa - Roma

EEddiittoorree NADIR ONLUS via Panama 88 - 00198 [email protected]

SSeeggrreetteerriiaa Roberto Biondi

2200

RReeppoorrtt ddeellllaa CCoonnffeerreennzzaa tteennuuttaa iill 2233//0022//22000022 aa SSiieennaa ddaallllaa DDootttt..ssssaa BBaarrbbaarraa EEnnssoollii,, ddiirreettttoorree ddeell RReeppaarrttooddii IInnffeezziioonnii ddaa RReettrroovviirruuss pprreessssoo ll’’IIssttiittuuttoo SSuuppeerriioorree ddii SSaanniittàà,, ddaall ttiittoolloo ““SSvviilluuppppoo ddii uunn vvaacccciinnoo ccoonnttrroo HHIIVV// AAIIDDSS:: ddaall llaabboorraattoorriioo aall ppaazziieennttee””..

Il virus dell’ HIV – 1 è definito come “quasi-specie”, ossia esistono tanti sottotipi del

virus caratterizzati dalla diversità dell’involu-cro. Da ciò la difficoltà di trovare un vaccino,ossia un minimo comune denominatore chepossa essere riconoscibile e perciò utilizzabileda una sostanza potenzialmente candidata alloscopo.Un vaccino, per definizione, deve dare due tipidi risposta all’infezione dal virus (in questocaso l’ HIV): una risposta umorale da parte dicellule B, cioè una produzione di anticorpi che“legano” con l’HIV, e una risposta cellulo-mediata, quella dei linfociti T (i CTLs), cheuccidono le cellule infette dal virus (es: CD8+cellula citotossica).Esistono due tipologie di vaccini: uno preventi-vo, da somministrarsi agli individui non infetta-ti, e uno terapeutico, da utilizzarsi invece nellepersone già HIV+. Numerosissime sono le stra-tegie vaccinali per combattere l’HIV. Quella dicui si parla in questa sede è basata su una pro-teina dell’envelop (involucro) del virus. La stra-tegia viene considerata efficace se blocca l’en-trata del virus nella cellula e la replicazione vira-le. L’obiettivo del vaccino è quello di simulareciò che avviene nei “Long Term nonProgressors” ossia in coloro che si sono infet-tati con il virus, ma non sviluppano la malattia.I problemi riscontrabili nel raggiungere questoobiettivo sono principalmente due: non si riescea indurre un numero alto di anticorpi neutraliz-zanti (la cosiddetta immunizzazione sterilizzan-te) e la specifica variabilità virale dell’envelopdel virus a causa dei diversi sottotipi e dei“ricombinanti”. Il vaccino candidato dovrà dun-que avere come obiettivo il blocco della replica-zione virale, cioè si supera l’idea di un vaccinoneutralizzante per approdare a quella di un vac-cino contenitivo. Il prodotto vaccinale deveavere tre caratteristiche: essere un prodotto“chiave” nel ciclo del virus, essere immunogeni-co (deve dare una risposta umorale cellulare) einfine essere conservativo (ossia valido per tuttii sottotipi).Da queste considerazioni è scaturita l’idea delvaccino Tat che incontrerebbe tutti e tre i requi-

siti sopraelencati. La proteina Tat è un immuno-geno, transattivatore virale, ossia appena ilvirus entra nella cellula, prima dell’integrazione,sintetizza la proteina Tat per riprodursi. Questaproteina, rilasciata in ambiente extracellulare èconservata e inoltre aumenta l’infettività virale(quindi potenzialmente utilizzabile per il con-trollo, sperato, della replicazione virale).Negli studi preclinici del vaccino preventivo sutopi e scimmie (attraverso il virus SHIV89.6P)si è controllata la sicurezza e l’immunogeniti-cità. Si è utilizzata su 20 scimmie la proteinaTat (10) e il DNA di Tat (10), il tutto per 50settimane. Le conclusioni per la Tat sono chela proteina non è tossica, ha indotto unarisposta umorale e di CTLs, ha protetto 5 su 7scimmie vaccinate dallo sviluppo della malat-tia. 3 su 3 scimmie di controllo sono morte. 2scimmie invece sono state vaccinate ma nonsono state protette. Per il vaccino DNA di Tat,4 su 4 scimmie sono state protette, vi è statauna buona risposta di CTLs, i controlli sonomorti e in 9 casi su 11 si è raggiunto l’obietti-vo della protezione. Per quel che riguarda,invece, la preclinica del vaccino terapeuticosia di Tat che di DNA di Tat, esso è risultatosicuro, non tossico e non si è riscontrato unaumento di viremia.E’ in progetto solo sul vaccino Tat (non, quindi,sul DNA di Tat) la sperimentazione di fase I sul-l’uomo per verificare la sicurezza sia per il vac-cino preventivo (50 soggetti) sia per quelloterapeutico (70 soggetti). Questa fase avverrà,secondo i progetti, in Italia (Roma e Milano) apartire dall’estate del 2002. La fase II (cioè laverifica dell’immunogeniticità e del dosaggio)avverrà successivamente per entrambi i vacci-ni, preventivo e terapeutico, in Italia e in Africa.La fase III (efficacia) è prevista, per il terapeu-tico in Italia ed in Africa, per il preventivo soloin Africa.Lo Sponsor del trial è al momento L’IstitutoSuperiore di Sanità ed è gestito interamentedalla PAREXEL. La produzione del vaccino sifarà in Scozia in quanto in Italia non vi è la tec-nologia necessaria.

IIll VVaacccciinnoo aannttii -- TTaatt ddeellll’’II..SS..SS..Simone Marcotullio