Risvegli DOSSIER La Primavera della finanza Iche, mentre nella regione Arab Spring permane un clima...

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Risvegli DOSSIER 65 numero 40 . febbraio 2012 Ripresa economica e ruolo della finanza nei Paesi della Primavera araba I Paesi protagonisti della Primavera araba stanno (con fatica) rimettendo in moto l’economia, grazie anche al- la ricca rete di rapporti economici con l’Europa. Un ruo- lo privilegiato e molte opportunità si presentano per l’Ita- lia. Nonostante l’incerto quadro economico e sociale so- lo il 10% delle imprese a livello mondiale si dichiara me- no propenso a operare in queste regioni. La finanza sha- ria compliant – finora poco presente in Nordafrica – è de- stinata a crescere, soprattutto in Egitto e Libia. Per la ri- costruzione cresce l’importanza dei flussi finanziari pro- venienti dai Paesi del Golfo Persico, dove le finanza isla- mica è più forte. Recentemente, in dicembre, è stato lanciato un allarme dalla Banca centrale di Tunisia (Bct): “Prosegue l’incer- tezza negli investitori locali e stranieri, insieme al dete- rioramento di numerosi indicatori economici”, sottoli- nea il Cda dell’istituto centrale guidato da Mustapha Ka- La Primavera della finanza di Antonio Barbangelo Operatori finanziari al lavoro presso la Borsa del Cairo. Bloomberg via Getty Images / S. Baldwin La stagnazione economica è l’esito delle rivolte del 2011. Crescita zero per Tunisia ed Egitto, -45% per la Libia. La crisi potrebbe lasciare spazio alla cosid- detta finanza islamica, un mondo finanziario paral- lelo a quello occidentale, finora sconosciuto in que- sti Paesi.

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65numero 40 . febbraio 2012

Ripresa economica e ruolo della finanzanei Paesi della Primavera araba

I Paesi protagonisti della Primavera araba stanno (confatica) rimettendo in moto l’economia, grazie anche al-

la ricca rete di rapporti economici con l’Europa. Un ruo-lo privilegiato e molte opportunità si presentano per l’Ita-lia. Nonostante l’incerto quadro economico e sociale so-lo il 10% delle imprese a livello mondiale si dichiara me-no propenso a operare in queste regioni. La finanza sha-ria compliant – finora poco presente in Nordafrica – è de-stinata a crescere, soprattutto in Egitto e Libia. Per la ri-costruzione cresce l’importanza dei flussi finanziari pro-venienti dai Paesi del Golfo Persico, dove le finanza isla-mica è più forte.

Recentemente, in dicembre, è stato lanciato un allarmedalla Banca centrale di Tunisia (Bct): “Prosegue l’incer-tezza negli investitori locali e stranieri, insieme al dete-rioramento di numerosi indicatori economici”, sottoli-nea il Cda dell’istituto centrale guidato da Mustapha Ka-

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Operatori finanziari al lavoropresso la Borsa del Cairo.

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La stagnazione economica è l’esito delle rivolte del

2011. Crescita zero per Tunisia ed Egitto, -45% per

la Libia. La crisi potrebbe lasciare spazio alla cosid-

detta finanza islamica, un mondo finanziario paral-

lelo a quello occidentale, finora sconosciuto in que-

sti Paesi.

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mel Nabli, economista, nominato governatore della Bctdopo le rivolte del gennaio 2011. “È indispensabile dareprova di saggezza per assicurare l’avviamento dell’azio-ne del governo e il funzionamento normale degli ingra-naggi dello Stato nel più breve tempo possibile”. Dopo laPrimavera araba, che ha consentito di abbattere vecchi re-gimi in una parte del Nordafrica e ha scosso lo Yemen e ilBahrein, gli Stati coinvolti stanno moltiplicando gli sfor-zi per rimettere in moto l’economia, condizione indi-spensabile per creare una nuova stabilità a livello socia-le. I governi che si trovano ad affrontare la situazione piùdifficile sono quelli tunisino, egiziano e yemenita, pernon parlare dei problemi che deve superare il Cnt libicodopo dieci mesi di guerra civile, o della situazione dram-matica che vive la Siria.

Secondo i dati del Fondo monetario internazionale,elaborati da Ubs (Unione banche svizzere), la stima di cre-scita del Pil in Egitto e in Tunisia nel 2011 è pari a zero.Riguardo alla Libia lo stesso studio indica per il 2011 unastima con “alto livello di incertezza”, che si attesta su un-45%; per la Siria si va da -10% per lo scorso anno a -5%

sul 2012. Anche lo Yemen crolla, da un incrementodell’8% nel 2010 a una stima di -2,5% per lo scorso annoe di -0,5% nel 2012.

Sembra più rosea la situazione in altri Stati interessatida rivolte di varia natura: in Algeria la ricchezza prodot-ta nel 2011 dovrebbe attestarsi su un +2,9%; il Maroccodovrebbe segnare un +4,6%; mentre la stima per il Ba-hrein è +1,5% per il 2011 e +3,6% quest’anno [VEDI TABEL-LA]. In Egitto lo scorso anno si è registrata una fuga di ca-pitali pari a 9 miliardi di dollari. In Tunisia il tasso di di-soccupazione ufficiale è del 17%, la crisi ha toccato tuttii settori, in particolare quello del turismo: secondo alcu-ne stime il 2011 ha visto il comparto perdere l’80% dei ri-cavi. Già in aprile – tre mesi dopo la caduta del regime diBen Ali – erano senza lavoro 450mila addetti del settore.

Anche capitali europei per la ripresa economica

Come potrà avvenire la ripresa economica nei Paesiprotagonisti della Primavera araba? I percorsi si ca-

piranno meglio nei prossimi mesi e avranno un’impron-ta diversa da Paese a Paese. Di certo tutti questi Stati pos-sono contare – in varia misura – sul fatto di possedereknow how, materie prime e finanza in misura tale da con-

tinuare ad attirare player economici e capitali dall’Euro-pa e dal resto del mondo. Prendiamo l’esempio dei nostri“vicini” in Tunisia. «Il Paese magrebino è il nostro secon-do partner commerciale dopo la Francia», spiega Ferruc-cio Bellicini, segretario generale Ctici (Chambre TunisoItalienne de Commerce et d’Industrie) a Tunisi. «Inoltrela Tunisia è la nazione del continente africano che ospi-ta il maggior numero di aziende italiane: circa 850, il 70%

delle quali sono in regime off shore».Il comparto tessile e abbigliamento è al primo posto,

con 350 aziende, ma non mancano i nomi più importan-ti dell’industria delle Penisola: Eni, Fiat Auto, Piaggio,Todini, Astaldi, Benetton e molti altri. Nei due anni chehanno preceduto la Rivolta dei gelsomini lo Stato magre-bino ha avuto una crescita del Pil del 3,1% e, tra il 2003 eil 2008, uno sviluppo medio superiore al 4%. Ampie po-tenzialità sono presenti anche in Egitto. Nei tre anni pre-

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cedenti la crisi finanziaria mondiale il Paese delle pira-midi era cresciuto in media del 7% all’anno e, secondo labanca spagnola Bbva, l’economia egiziana avrebbe supe-rato quella del Sudafrica entro il 2013. Oggi il nuovo go-verno guidato da Kamal el Ganzouri ha annunciato mi-sure di austerità per ridurre il deficit di bilancio e ha va-rato un ampio piano di rilancio dell’economia, che do-vrebbe agevolare la riapertura di 1600 fabbriche chiusenel corso del 2011.

L’International Business Report (Ibr), lo studio presen-tato l’estate scorsa da Grant Thornton International Ltd.(organizzazione di enti indipendenti – come società di re-visione e di consulenza – presente in 100 Paesi) rivelache, mentre nella regione Arab Spring permane un climadi instabilità politica, il 22% delle imprese familiari suscala globale ritiene che i disordini abbiano avuto un im-patto negativo sulla loro attività. Tuttavia solo il 10% del-le imprese a livello mondiale si dichiara meno propensoa operare in queste regioni.

Interessante il capitolo sull’Italia. «L’82% delle impre-se italiane non ha riportato alcuna conseguenza al pas-saggio della Primavera araba», spiega Giuseppe Bernoni,managing partner dello Studio Bernoni ProfessionistiAssociati, member firm di Grant Thornton. «Per questo il90% non ha rivisto i propri piani di investimento nei Pae-si del Medio Oriente e del Nordafrica».

Nonostante l’instabilità del quadro politico e socialenella regione, negli ultimi mesi si sono moltiplicati i linktra economia del Vecchio Continente e i Paesi della Pri-mavera araba. Nel settembre 2011 a Roma è stato siglatoun accordo, che costituisce il primo tassello di quello chesarà il Mediterranean Partnership Fund, un fondo persupportare lo sviluppo delle imprese nell’area Mena(Middle East and North Africa), in particolare le pmi. Lafirma è stata posta da Associazione bancaria italiana, Si-mest (Società italiana per le imprese all’estero) e Uab(Union of Arab Banks), l’associazione cui fanno capo 340banche dei Paesi appartenenti alla Lega Araba. «Per orauna serie di soggetti interessati da questo progetto sta “ra-gionando” sulla costituzione del fondo», spiega Pierfran-cesco Gaggi, responsabile del servizio relazioni interna-zionali dell’Abi. «Nell’arco di qualche mese il progettodovrebbe entrare in una fase operativa». Tra gli attoricoinvolti figurano: UniCredit, Intesa-Sanpaolo, Univer-sità di Roma Tor Vergata, Promos (CdC di Milano), Isla-mic Development Bank, Association des Banques du Li-ban e altri soggetti del mondo finanziario.

Il petrolio e i pacchetti azionari della Libia

In Libia i capitoli più importanti sono costituiti dal-l’estrazione di petrolio e dalla ricostruzione di infra-

strutture distrutte lo scorso anno. Membro dell’Opec, laLibia è il quarto produttore di petrolio in Africa, dopo Ni-geria, Algeria e Angola. Prima della guerra produceva 1,6milioni di barili di oro nero al giorno; a fine dicembrel’estrazione era ripresa per circa il 70%.

L’Eni continuerà a occupare una posizione di rilievoper l’estrazione del greggio libico, mentre le pmi italia-ne (già presenti o meno nel Paese) stanno facendo i con-ti con la “concorrenza” e il pressing di altri Paesi euro-pei (Francia in testa), decisi a creare nuovi business inNordafrica. L’Italia sta puntando su nuovi accordi bila-terali intergovernativi e singole partnership. Tra le ulti-

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Persone in fila di fronte a una banca a Tripoli.

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me iniziative di rilievo vi è stata in dicembre la firma diun accordo tra Banca popolare di Vicenza e Banca Ubae,istituto di credito libico con sede a Roma. Obiettivo: so-stenere l’export delle imprese italiane nell’area Mena.Banca Ubae è controllata al 67,55% dalla Libyan Arab Fo-reign Bank, colosso creditizio dell’ex Jamahiriya, di pro-prietà della Central Bank of Libya. La rete di rapporti eco-nomici con il Paese nordafricano è fitta.

Biagio Matranga, direttore generale di Banca Ubae èuno dei quattro vicepresidenti di Assafrica e Mediterra-neo – organismo del Sistema Confindustria che sostienele imprese italiane in Africa e Medio Oriente, presiedu-to da Fausto Aquino. Dopo la fine dell’embargo (nel2003) la finanza libica è diventata molto attiva e ha in-cremento gli investimenti internazionali, usando ancheil fondo sovrano Libyan Investment Authority. Tra i tas-selli più importanti del puzzle finanziario libico nella Pe-nisola c’è la Arab Banking Corporation (ha una filiale aMilano dal 1992), banca con sede nel Bahrein, ma con-trollata dalla Banca centrale libica.

Nella classifica delle migliori 50 banche africane il pe-so dei cinque Paesi a Nord del continente è significativo:350 miliardi di dollari di attivi, pari al 35% del totale. Inposizione di leader si trova l’Egitto, con 22 banche tra letop 50. «Il peso dello Stato nell’azionariato delle bancheoggi è molto forte in Algeria ed era rilevante nella Libia diGheddafi», afferma Alessandro Santoni, responsabileArea pianificazione strategica research & investor di Ban-ca Monte Paschi di Siena. «Ma in altri Paesi, come Tuni-sia, Egitto o Marocco, le banche pubbliche sono meno del-la metà. È probabile che dove è avvenuto un cambio di re-gime, possa aumentare il peso dello Stato. I bilanci di nu-merose banche del Nord Africa sono stati appesantiti ne-gli ultimi mesi da importanti emissioni governative perfinanziare la ricostruzione. Titoli pubblici che le banchedevono comprare, soprattutto in Egitto e in Tunisia».

Il ruolo della finanza islamica. Cosa cambierà?

Una delle questioni principali scaturite dale rivoltedella Primavera araba nella regione è il ruolo che

avrà in futuro la finanza islamica, cioè il ricco universodella finanza sharia compliant [VEDI BOX]. «Oggi le ban-che nel Nordafrica che hanno radici sharia compliant so-no in netta minoranza», aggiunge il dirigente di Banca

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Monte Paschi. «In Egitto sono il4,9% degli attivi, in Algeria l’1,1%

e in Marocco e Libia non ce ne so-no. Ci sono banche arabe, ma nonsharia compliant. Chi ha governa-to fino a pochi mesi fa in Libia,Egitto e Tunisia non aveva interes-se a dare spazio alle posizioni filoi-slamiche, né con la stampa, né conil sistema finanziario. Infatti i pro-dotti sharia compliant hanno sof-ferto di mancanza di marketing». Isukuk – titoli di debito sharia com-pliant – emessi finora nel Nordafri-ca sono appena quattro: tutti in Egitto, per 250 milioni didollari, rispetto ai 18,8 miliardi di dollari di sukuk emes-si nel 2011 a livello mondiale.

Con i nuovi regimi cosa cambierà? «I mutamenti istitu-zionali che si sono verificati nel Nordafrica hanno deter-minato uno spostamento della componente di natura fi-loislamica», sottolinea Rony Hamaui, amministratore de-legato di Mediofactoring Intesa Sanpaolo e docente diEconomia monetaria all’Università Cattolica di Milano.«Questo dato avrà un’influenza positiva sulla finanzaislamica, perché i precedenti regimi ne avevano, di fatto,ostacolato lo sviluppo». Secondo alcuni osservatori lasterzata più forte a favore della finanza legata alla shariasta avvenendo in Egitto e in Libia. Al Cairo il partito AlNour (salafita) avrebbe manifestato l’intenzione di sosti-tuire le 39 banche tradizionali del Paese con banche isla-miche; mentre in Libia il presidente del Cnt, Abdel Jalil,nella sua dichiarazione per la liberazione nazionale, haannunciato un’apertura storica alla finanza islamica.Questo fenomeno, però, trova una spiegazione nel fattoche alcuni Paesi del Nordafrica starebbero “strizzandol’occhio” ai Paesi del Golfo Persico – dove la finanza sha-ria compliant è molto forte – con l’obiettivo di attrarreflussi di finanziamenti per ricostruire le infrastrutture edare impulso all’economia.

In Arabia Saudita la finanza islamica rappresenta il40% degli attivi, in Iran il 100%, in altri Stati del Golfo il60%. Uno dei Paesi dove la finanza islamica si è rafforza-ta di più negli ultimi anni è il Bahrein, che conta 27 ban-che che operano in conformità alla sharia; fuori dal Gol-fo è robusta in Malesia, dove registra il 30% degli asset.

Secondo alcune stime le banche islamiche nel mondocrescono a un tasso annuo del 15% e il loro giro d’affari èpari all’1% del mercato finanziario globale. Da parte sual’economia “occidentale” è sempre più interessata alla fi-nanza islamica: qualche anno fa in Francia Société Géné-rale è stata la prima banca europea a creare un hedge fundregolato dalla sharia; e più recentemente Goldman Sachsha emesso dei sukuk. E si moltiplicano incontri e summitdove si confrontano i due “mondi”, come quello svolto-si nel giugno scorso a Roma (Arab Banking Summit2011), cui hanno partecipato anche rappresentanti del-l’Union of Arab Banks. Intanto le banche arabe nel lorocomplesso sembrano voler dialogare con i nuovi governie volersi confrontare con i processi di transizione in cor-so. In novembre si è svolta in Libano la tradizionale con-ferenza annuale dell’Uab. Emblematico il titolo del sum-mit: Future of the Arab World in Light of Recent Transi-tions (‘Il futuro del mondo arabo alla luce delle recentitransizioni’). .

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LA FINANZA REGOLATA DALLA SHARIA

La finanza islamica segue i principi della sharia, la leggeislamica che, in materia di credito, si basa su tre pilastri

principali: divieto di chiedere interessi, considerati una for-ma di usura; condivisione dei rischi e dei profitti tra credito-re e debitore; obbligo di appoggiare tutte le transazioni fi-nanziarie su un attivo reale. Secondo il Corano il denaro nonpuò generare altro denaro stando fermo: deve essere inve-stito in attività concrete e produttive (come gli immobili). Lebanche, per esempio, non concedono mutui per compera-re una casa, perché gli interessi sul prestito non sono lecitisecondo la sharia: l’istituto di credito allora acquista diret-tamente l’appartamento e lo affitta al cliente, che paga del-le rate alla banca per un certo numero di anni, dopodiché ilcliente diventa proprietario della casa. Anche le obbligazio-ni (i sukuk) si muovono su un altro binario. La finanza sha-ria compliant, quindi, necessita di un proprio tipo di regola-mentazione, che è presente in Paesi arabi di alcune aree(Golfo Persico), ma è assente in altre (Nordafrica).

INCREMENTO ANNUO DEL PIL (IN %)

GOLFO 2010 2011* 2012*

ARABIA SAUDITA 4,1 6,5 3,6BAHREIN 4,1 1,5 3,6EMIRATI ARABI UNITI 3,2 4,2 3,2KUWAIT 3,4 5,7 4,5OMAN 4,1 4,4 3,6QATAR 16,6 18,7 6,0

NORDAFRICA E MEDIO ORIENTE 2010 2011* 2012*

ALGERIA 3,3 2,9 3,3EGITTO 5,5 0,0 3,3GIORDANIA 2,3 2,5 2,9LIBANO 7,5 1,5 3,5LIBIA 4,2 [-45,0] [30,0]MAROCCO 3,7 4,6 4,6SIRIA 3,2 [-10,0] [-5,0]TUNISIA 3,1 0,0 3,9YEMEN 8,0 -2,5 -0,5

Fonte Fondo monetario internazionale, Ubs* StimeIn parentesi quadra le stime con “alto livello di incertezza”

La Banca centrale della Tunisia.

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