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Riso e cereali Scuola di cucina

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Risoe cereali

Scuola di cucina

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Scuola di Cucina Slow Food®( Slow Food® è un marchio registrato di proprietà di Slow Food Italia)

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Realizzazione delle preparazioniGilberto Venturini

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Si ringrazianoEleonora De MarchiBallarini S.p.A., Cose Così (Firenze), KN Industrie, Tescoma per i materiali forniti per il set fotograficoGiovanna Gentile per il set styling

© 2016 Giunti Editore S.p.A. / Slow Food® Editore srlPrima edizione: maggio 2016

Stampato presso Lito Terrazzi srl, stabilimento di Iolo

Crediti fotograficiTutte le immagini appartengono all’Archivio Giunti-Slow Food/Lorenzo Mennonna a eccezione delle seguenti:

Archivio Giunti/Giovanni Petronio: pp. 3, 58Archivio Giunti-Slow Food/Barbara Torresan: pp. 29, 39, 51 (in alto), 77, 80Archivio Slow Food: p. 28; © Laura Ascari, pp. 35, 41, 47; © Oliver Migliore, p. 64; © Marcello Marengo, p. 72.

Fotolia: © chiarafornasari p. 8, © fotografiche.eu p. 12, © mtphoto19 p. 61 (in basso), © örg Beuge p. 86, © Martina Berg p. 91.

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PremessaPerché prima il riso e poi gli altri cereali? Non è più importante,

nella dieta mediterranea, il frumento? O, nelle tradizioni padane,

il mais? Alle possibili obiezioni rispondiamo che diamo la pre-

cedenza al riso perché è questo che prevalentemente si cucina

tal quale. Di altri cereali si usano soprattutto gli sfarinati, per la

produzione di pani, paste alimentari, polente, oggetto di prece-

denti volumi della nostra Scuola di cucina; mentre quelli che si

consumano perlopiù in forma di granella sono quasi sempre

cotti con modalità riprese dalle ricette classiche del riso.

Oryza sativa è una graminacea priva di glutine, ad alto potere

nutritivo, originaria dell’Estremo Oriente – dove, come in India,

costituisce tuttora la base dell’alimentazione – ma coltivata in

tutti i continenti. L’Italia, con circa 220 000 ettari di risaie, è la prin-

cipale esponente europea di una coltura intensiva sviluppatasi

da almeno cinque secoli in due aree del Nord, la più importante

tra Piemonte e Lombardia (Vercelli-Novara-Pavia), l’altra tra

Lombardia e Veneto (Mantova-Verona-Rovigo), sfruttando una

regimazione delle acque derivate da Po e affluenti, che risale alla

signoria sforzesca di Milano e fu perfezionata nei primi anni

dell’Unità. Poiché la pianta patisce gli sbalzi termici, nei climi tem-

perati la protezione storica è costituita dall’immersione in acqua,

ma negli ultimi anni ha preso piede la coltura in asciutta, che ha

indubbi vantaggi anche sotto il profilo ecologico.

Le numerose forme di Oryza sativa sono ascrivibili a due sot-

tospecie, indica e japonica. Quelle coltivate in Italia apparten-

gono quasi sempre alla japonica, che rispetto all’altra ha chic-

chi relativamente poco compatti, a frattura farinosa, quindi

permeabili agli aromi, caratteristica che li rende adatti alla pre-

parazione di piatti nei quali il condimento sia aggiunto in cot-

tura, come nella modalità esclusivamente italiana del risotto.

Per questa minestra asciutta, di matrice lombardo-ticinese-

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piemontese ma da tempo diffusa in ogni regione, le preferen-

ze vanno ai risi superfini e fini, dai granelli più lunghi e resi-

stenti alla cottura, tranne che in Veneto dove gode di una sor-

ta di culto il Vialone Nano, un semifino come il Maratelli e il

Rosa Marchetti. I risi del tipo comune o Originario sono invece

adatti alla preparazione di minestre brodose, timballi, supplì.

Sul modello del risotto i ristoratori di oggi hanno costruito far-

rotti e orzotti. Delle tre specie di farro, il Monococco è il cere-

ale di più antica domesticazione e di resa più bassa, e la Spelta

è in Italia poco popolare; a mo’ di risotto si cucina soprattutto

il Dicocco o farro medio, coltivato in alcune zone montuose

del Centro (Garfagnana, Appennino umbro). Per l’orzotto si

usano le cariossidi di Hordeum vulgare, la cui trasformazione

più interessante è farle germinare per ottenere il malto, indi-

spensabile per la fabbricazione di birra e whisky.

Degli altri cereali, segale, avena, miglio e grano saraceno sono

usati solo occasionalmente tal quali, e perlopiù in cucine o mol-

to legate alla tradizione, o ispirate a determinati principi salu-

tistici o filosofici (che permeano spesso anche il ricorso a “nuo-

vi” vegetali extraeuropei, come la quinoa e l’amaranto). Alla

tradizione meridionale – con l’appendice ligure del gran pistau

– appartengono piatti, dolci e salati, a base di chicchi di grano

duro: cuccìa, pastiera, grano dolce, grano stumpatu, insalata di

grano. Ma la graminacea di più spiccata versatilità è Zea mays,

che al suo arrivo dai Caraibi dopo la scoperta di Colombo fu

chiamata granoturco o granturco per sottolineare il suo carat-

tere esotico, coloniale. Destinazione privilegiata delle farine di

mais sono le polente, più o meno condite, nonché biscotti e

torte, ma del cereale si consumano anche i chicchi, lessati o alla

griglia, in insalata o come contorno. Cotti a vapore, pressati ed

essiccati, gli stessi costituiscono i corn flakes da inzuppare nel

latte della prima colazione; tostati, formano una pallina legge-

ra e croccante di forma irregolare, il popcorn, “cibo-divertimen-

to” d’oltreoceano acclimatato da decenni negli zaini scolastici

e nelle sale cinematografiche di tutta Italia.

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SommarioIl riso Le origini e la storia 8

Le specie coltivate nel mondo 8

Il chicco 10

Le varietà 10

L’espansione del riso in Europa 11

Il riso in Italia 11

La coltivazione 12

L’invecchiamento del risone 13

La lavorazione 14

I difetti 14

Gli aspetti nutrizionali 15

Il riso in cucina 16

La cottura pilaf del riso indica 17

La cucina del riso japonica 23

Il risotto 25

Altre preparazioni 34

L’insalata di riso 37

Le minestre in brodo 37

I risi all’onda 39

Riso salato, fritto o al forno 40

Le verdure ripiene di riso 48

Il riso per i dolci 49

Il riso negli altri Paesi dell’emisfero nord 54

In Spagna 54

In Giappone 58

Il rIso Integrale 60

Gli altri cereali Il mais 63

Gli aspetti nutrizionali 64

Il mais in cucina 64

La polenta 68

La gastronomia della polenta 70

I dolci, la pasta e il pane di farina di mais 72

Il frumento 73

Il chicco di grano 74

L’utilizzo del grano 75

Il bulgur 81

Farro, orzo, avena e segale 83

Il farro 84

L’orzo 86

L’avena 89

La segale 91

Altri cereali senza glutine 92

Il grano saraceno 93

Il miglio 95

Il sorgo 96

La quinoa 96

L’amaranto 97

LE RICETTE 99

IndIce delle preparazIonI 126

IndIce delle rIcette 127

I box contrassegnati da questo simbolo contengono riferimenti ai temi che riguardano i valori, i principi e gli ideali di Slow Food: la sostenibilità ambientale ed etica delle produzioni agricole e alimentari, la difesa delle tradizioni gastronomiche regionali, il rispetto dei consumatori e dei produttori.

I box contrassegnati da questo simbolo illustrano prodotti dei Presìdi Slow Food. In Italia oltre 1300 piccoli produttori e allevatori, con il proprio lavoro quotidiano, svolto spesso in aree marginali, preservano grandi tradizioni gastronomiche, frutto di saperi antichi (www.presidislowfood.it).

I box contrassegnati dal simbolo della Fondazione Slow Food per la Biodiversità illustrano Presìdi sostenuti in più di 50 Paesi del mondo. Molti prodotti, infatti, se pure provenienti da lontano, fanno parte – storicamente – di ricette della tradizione italiana: è il caso del cacao, del caffè, della vaniglia, del pepe e delle spezie.

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Il riso

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Un cascinale tipico del pae-saggio piemontese circondato da risaie.

Le origini e la storiaOryza sativa è una graminacea originaria (a differenza di O. glaberrima, africana) del Sudest asiatico. I più antichi resti di

riso coltivato, trovati nelle regioni orientali della Cina e dell’In-

dia, risalgono a oltre 7000 anni fa, mentre recenti studi dimo-

strerebbero che già circa 15.000 anni fa alcune specie di riso

selvatico costituivano un’importante fonte di cibo per popo-

lazioni stanziate nelle attuali Indonesia, Thailandia e Corea.

Le specie coltivate nel mondoL’Oryza sativa che si divide in due sottospecie. La sottospecie

indica si diffuse in tutta l’Asia meridionale fino alle sorgenti

dell’Indo, in Mesopotamia, e in tutta l’Asia Minore (Iran e Iraq).

A nord si estese sino in Afghanistan, Nepal e Tibet, ma non riu-

scì a superare lo sbarramento delle montagne dell’Himalaya.

Solo in epoche a noi molto vicine, con la coltivazione e il

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miglioramento selettivo operato dall’uomo, la sottospecie

japonica si è evoluta e perfezionata in numerose varietà sem-

pre più adatte ai climi nordici, raggiungendo in Giappone l’i-

sola di Hokkaido e in Cina la Manciuria. In Europa, la sottospe-

cie japonica è giunta per mano dell’uomo. Quella che alcuni

hanno pensato essere una terza sottospecie, javanica, attual-

mente conosciuta come varietà di japonica tropicale, è colti-

vata in alta quota sui terrazzamenti della Cordigliera di Luzon,

un’isola delle Filippine.

Esiste infine un’altra specie di riso originaria dell’Africa, la cui

coltivazione è rimasta però circoscritta a questo continente: si

tratta di Oryza glaberrima.

Il riso flottanteNelle zone dell’Asia tropicale soggette a inondazioni, si coltiva

un riso che è in grado di emergere dall’acqua profonda 5 metri.

Questo riso, che un tempo cresceva come specie selvatica (Oryza latifolia), oggi viene coltivato nella specie Oryza sativa. La pan-

nocchia che emerge dall’acqua viene raccolta con le barche.

Il riso selvaggio (wild rice) Da tempo immemorabile, sulle sponde dei laghi e dei fiumi

del Nord America e del Canada, i nativi americani raccolgono

un cereale denominato zizzania palustre (Northern wild rice).

Si tratta di una specie che, pur appartenendo botanicamente

alla “tribù” delle Oryzeae, ha solo una lontana parentela con il

riso. Si presenta con chicco decisamente allungato di colore

bruno, ricoperto da glume facilmente staccabili, senza bisogno

di particolari lavorazioni. La raccolta, consentita ai soli nativi,

avviene utilizzando canoe all’interno delle quali le pannocchie

vengono piegate e sottoposte a battitura. Buona parte dei frut-

ti cadono all’interno della canoa, un’altra parte cade fuoribor-

do ottenendo una sorta di risemina per l’anno successivo. Solo

una piccola parte del riso selvaggio in commercio proviene dai

laghi canadesi. Esistono altre specie di zizzania: Zizania aqua-

Zizzania acquatica. Raccolto dalla tribù nativa nordameri-cana degli Anishinaabeg, è stato inserito nella lista dei Presidi Slow Food e tutelato rispetto alle zizzanie coltivate industrialmente in risaia. Il sapore è complesso con note di funghi, sottobosco e legno affumicato. Va bollito con attenzione, per evitare che i chicchi si spezzino, in molta acqua salata per circa 18 minuti, scolato e servito.

Il riso africano

Oryza glaberrima, detto anche riso africano, è un riso rosso dell’Africa oc cidentale il cui consu-mo è limitato alle zone di produzione e rappre-senta solo il 20% del riso africano. Meno produt-tivo del riso asiatico e più fragile, è in realtà resistente ai parassiti e alle malattie e perciò è stato oggetto di ibrida-zione per la creazione di nuove cultivar, come il NERICA (New Rice for Africa) creato dal Centro del riso per l’Africa.

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tica, coltivata in America centrale (Messico e California), Zizania texana (riso selvatico del Texas) e Zizania latifolia, conosciuta

anche come riso selvatico della Manciuria, l’unica che cresce

in Asia.

Il chiccoLa pianta produce fino a 10 pannocchie contenenti ciascuna

fino a 200 chicchi di risone (riso greggio), rivestite da due pel-

licole legnose/silicee dette lolla o glumelle. In cima vi è un baf-

fo detto arista. Tolta la lolla, la parte amidacea è rivestita dallo

strato aleuronico (ricco di proteine) presente nel riso integra-le o nel semigreggio. L’embrione si perde nella lavorazione

determinando il caratteristico dente. La parte interna, detta

endosperma, corrisponde al riso bianco e contiene due amidi

dei quali parleremo diffusamente: l’amilosio e l’amilopectina.

Le varietàLe due principali sottospecie, indica e japonica, si suddivido-

no in numerosissime varietà ciascuna con proprie caratteri-

stiche di forma, di contenuto amidaceo e quindi di cottura.

La diversificazione consiste nel rapporto diverso fra amilosio

e amilopectina. L’amilosio governa la tenuta di cottura

(nell’indica è presente solo l’amilosio più o meno secondo le

varietà). L’amilopectina invece governa la capacità del riso di

assorbire gli aromi degli alimenti con i quali viene cucinato

(nello japonica sono presenti entrambi gli amidi più o meno

secondo varietà).

Esiste però una classificazione commerciale del riso che si basa

sul rapporto lunghezza/larghezza del chicco. Ingannevole poi-

ché non corrisponde alle caratteristiche culinarie delle varietà.

In Italia sono quattro e tutte riferite allo japonica:

Tondo o comune o originario – Balilla, Elio, Selenio, Rio…

Semifino – Lido, Rosa Marchetti, Maratelli, Vialone Nano…

Fino – Ribe, Ariete, Sant’Andrea, Loto…

Superfino – Arborio, Baldo, Roma, Carnaroli, Volano…

1. Arista2. Glumelle o lolla3. Strato aleuronico4. Endosperma5. Embrione

Classificazione commerciale del profilo delle principali varietà di japonica coltivate in Italia: comune (1), fino (2), semifino (3), superfino (4).

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11Le origini e la storia

L’espansione del riso in EuropaIl cammino del riso dall’Asia all’Europa fu molto lento. In

seguito alle imprese militari del persiano Dario nell’attuale

Afghanistan fino al fiume Indo, il riso arrivò, nel VI secolo a.C.,

in Mesopotamia. Ancora oggi è coltivato in Iraq tra il Tigri e

l’Eufrate, nelle zone paludose intorno a Nassiriya, e nelle aree

che si affacciano sul Mar Caspio. Alessandro Magno, nella

spedizione che ebbe termine nel 324 a.C., portò il riso in

Grecia, ma i Greci (e successivamente i Romani) non lo colti-

varono e, considerandolo alla stregua di una spezia orienta-

le, lo usarono come medicamento o come cosmetico.

Dalla Mesopotamia il riso giunse in Palestina, in Siria, in

Giordania e successivamente in Egitto.

Per arrivare a coltivarlo in Europa si dovette attendere l’inva-

sione araba della penisola Iberica. Le prime colture sono

databili all’VIII secolo e si sviluppano intorno ai principali fiu-

mi, l’Ebro in Catalogna, il Turia nell’Albufera valensiana, il

Guadalquivir nei pressi di Siviglia e anche in Portogallo.

Arrivò, più tardi, anche in Francia, più precisamente in

Provenza e in Camargue, al seguito dell’esercito di Carlo V.

Il riso in ItaliaCome abbiamo detto, i Romani conoscevano il riso, ma non

lo coltivarono.

Sull’introduzione della coltura del riso in Italia sono state for-

mulate diverse ipotesi, tutte plausibili. Secondo alcuni stu-

diosi la coltivazione avrebbe avuto origine a seguito dell’oc-

cupazione di Sicilia e Calabria da parte degli Arabi; secondo

altri si sarebbe sviluppata nel Napoletano durante l’occupa-

zione degli Aragonesi. Nell’Italia settentrionale la coltura

potrebbe essere stata introdotta dai soldati di Carlo Magno,

dopo le battaglie contro gli Arabi, oppure a opera dei mer-

canti delle Repubbliche marinare. Ma la prima coltivazione

su larga scala avvenne fra le province di Milano e di Pavia,

dove gli Sforza impiantarono un sistema di irrigazione pro-

La perla e la striscia

All’interno del chicco di riso japonica, se guarda-to in controluce, vi può essere un’ampia zona opaca detta “perla”. Considerata un difetto nell’indica, è invece un pregio nello japonica poiché accoglie il liquido di cottura spesso ricco di sostanze aromatiche che l’amilopectina assorbe. Alcune varietà sono per-corse nel senso della lun-ghezza da una “striscia” che lascia penetrare i condimenti.

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gettato da Leonardo da Vinci. Galeazzo Sforza donò dodici

sacchi di riso al Duca di Ferrara.

Successivamente la coltura del riso si sviluppò in altre zone

paludose e principalmente nel triangolo delle province di

Vercelli, Novara e Pavia, con la creazione di un efficiente siste-

ma di irrigazione incentrato sul Canale Cavour e l’introduzio-

ne, nel 1839, di 43 nuove varietà portate clandestinamente

dalla Cina dal missionario Padre Calleri.

La coltivazioneEssendo una pianta di origine tropicale, il riso ama i climi caldi

o temperati, generalmente sotto il 45° parallelo (quello che

corre fra Ferrara, Mantova, Pavia, Novara e Vercelli). Nonostante

l’immagine più diffusa delle risaie ricoperte d’acqua, va detto

che il riso non è una pianta acquatica (esistono infatti anche

impianti all’asciutto), anche se cresce meglio in sommersione

sia per assorbire il massimo nutrimento dalla terra sia per esse-

re protetta dagli sbalzi termici. Ancora oggi, in Asia, le piantine

seminate in vivai vengono trapiantate a mano come si faceva

nel nostro Paese quando la mano d’opera aveva un costo bas-

so. In Italia, la semina avviene in aprile e viene fatta diretta-

mente con le macchine, così come la monda con i diserbanti

in maggio e giugno, e la raccolta in settembre-ottobre con le

mietitrebbie. Le ore di lavoro per un ettaro di terreno a riso

sono passate dalle 1200 nel 1900 alle 20 attuali.

La coltivazione biologica Tenere sotto controllo le piante infestanti (giavone e riso crodo

sono le più invasive) per evitare il lavoro manuale della monda,

è difficile. I metodi usati sono numerosi, ma non del tutto effi-

caci. Fra gli altri vi sono: rotazione e utilizzo della tecnica del

sovescio (coltivazione e successivo interramento di colture

erbacee); aratura a solchi profondi in modo che le infestanti

crescano nel solco per eliminarle meccanicamente; inondazio-

ne e successivo prosciugamento per far morire le infestanti

Una risaia.

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13Le origini e la storia

prima che producano semi; allevamento della carpa erbivora

che divora il giavone, ma non il riso che ha struttura silicea

(metodo orientale).

Si tratta di una guerra difficile, resa anche vana dall’inquinamen-

to generale delle acque nella pianura Padana. Fino a ora solo la

monda manuale è totalmente efficace. Attenzione quindi al falso

bio, anche perché, pur con le analisi più sofisticate, non è facile

trovare residui di erbicidi nel riso lavorato… e questa è una carat-

teristica ampiamente sfruttata dai produttori di finto biologico.

L’invecchiamento del risoneGià nell’antichità in Cina ci si rese conto, conservando tre anna-

te di risone per il consumo dell’Imperatore, che la stagionatura

migliorava la qualità del riso. Anche nella nostra tradizione si

diceva “riso vecchio lavorato fresco”. In effetti gli amidi, ancora a

tre mesi dal raccolto, non hanno raggiunto stabilità e il rappor-

to amilosio/amilopectina non si è ancora fissato nelle giuste per-

centuali. Questi i miglioramenti in cottura: minore dispersione

nell’acqua delle proteine, delle vitamine e dell’amido; migliore

assorbimento dei liquidi di cottura, dei condimenti e degli aro-

mi; migliore consistenza e minore collosità.

Il riso parboiledÈ un riso sottoposto, in forma di risone, a una preliminare cottu-

ra ad alta temperatura e pressione. Per un verso le vitamine e le

sostanze nutritive presenti nella lolla vengono assorbite dal chic-

co rendendolo, dopo la sbramatura, più nutriente; ma per molti

altri versi diventa inadatto a un valido uso gastronomico: per

esempio, la gelificazione dell’amido rende il chicco vitreo e ina-

datto ad assorbire i condimenti, quindi inutilizzabile per il risotto.

Assume inoltre un colore giallognolo e un aroma affumicato. Per

l’industria questo riso è molto redditizio perché consente di uti-

lizzare risi di qualità scadente senza avere scarti. La tendenza

attuale è quella di realizzare produzioni sempre più bianche in

modo che il consumatore non sia in grado di distinguere.

L’epopea delle mondine

La coltura del riso è per definizione indu-striale. Richiede gran-di investimenti, cana-li di irrigazione, livel-lamento dei terreni, costruzione di edifici idonei, acquisizione di macchine per la lavorazione e l’impie-go di numerosa mano-dopera. Le mondine impiega-te per il trapianto e la monda del riso, non appartenevano più a una condizione con-tadina, ma più pro-priamente a uno sta-tus di operaie. Non a caso rappresentarono l’embrione del moder-no sindacato, sosten-nero lotte per la sal-vaguardia dei propri diritti, fra i quali la battaglia per le otto ore, ed elaborarono una originale cultura popolare orale la cui eco è giunta fino ai giorni nostri.

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14 I L R I S o

La lavorazioneIl processo di lavorazione del riso consiste nel sottoporre il

chicco a un’azione di abrasione che toglie la lolla nel riso inte-

grale e anche lo strato aleuronico in quello bianco. Le mac-

chine dell’industria contemporanea (Amburgo e Satake) pro-

ducono un forte sforzo meccanico e un elevato calore che

rovinano il chicco, lo spuntano, lo graffiano e lo fratturano

disperdendo nelle farine di scarto molti elementi nutritivi.

Molto più rispettosa, ma più lenta, la cosiddetta “Elica,” insu-

perabile dal 1870. Si tratta di una sorta di grande vaso con

un’elica centrale che lentamente sospinge i chicchi a sfregar-

si contro le pareti abrasive e tra loro, arricchendoli degli ele-

menti nutritivi della parte abrasa. Vi è inoltre una macchina

molto recente, chiamata Selezionatrice ottica, che riconosce

i grani macchiati, spuntati o comunque difettosi, e li separa

dagli altri.

I difettiPer individuare con facilità i difetti del riso si mette un pugno

di riso su un piatto nero e uno su un piatto bianco. Nel primo

appariranno evidenti i seguenti difetti:

• grani rotti o spuntati a causa di una lavorazione gravosa:

l’acqua di cottura penetra con più facilità e cuoce questi grani

prima degli altri;

• grani gessati o a grana verde, frutto di un’imperfetta matu-

razione. Anche questi cuociono prima degli altri e se in nume-

ro elevato provocano cotture non perfette;

• impurità varietali, cioè chicchi di varietà diverse da quelle

dichiarate dal produttore.

Nel piatto bianco, invece, appariranno evidenti i seguenti difetti:

• grani macchiati a causa di attacchi di muffe o di parassiti

(cattiva conservazione);

• grani rossi o striati di rosso, detti “ostigliati”, sono il risultato

di incroci indesiderati;

• corpi estranei minerali o vegetali come sassi o altro.

Riso Ribe.

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15Le origini e la storia

Quali confezioni preferire?La confezione con cui il riso viene venduto non è ininfluente.

La prima esigenza per il consumatore è di verificare la pre-

senza di eventuali difetti: le confezioni trasparenti sono le più

idonee a soddisfarla. Preferite quelle che hanno una finestrel-

la di controllo. La seconda necessità è quella che riguarda la

buona conservazione del riso, che deve essere protetto

dall’umidità e dai parassiti. In questo caso la migliore confe-

zione è il sottovuoto, che può essere realizzato in barattoli

ermetici di alluminio, oppure in sacchetti di plastica. Il sac-

chetto di plastica trasparente sottovuoto è quindi la migliore

soluzione per entrambe le esigenze, se non fosse che spesso

perde il sottovuoto. Esistono bravi produttori che confezio-

nano il proprio prodotto in più sicuri barattoli sottovuoto: il

riso non si vede, ma la fiducia del consumatore esperto è tale

da superare il problema.

Gli aspetti nutrizionaliDal punto di vista nutrizionale il riso non contiene glutine ed

è quindi adatto anche alle persone celiache. Quello che si

trova in commercio, di cui dopo la brillatura rimane solo l’en-

dosperma, è ricco di carboidrati amidacei, circa il 78%.

L’amido risulta facilmente digeribile e il chicco contiene pro-

teine, in quantità leggermente inferiori rispetto agli altri cere-

ali (circa il 7-8%) ma con migliori caratteristiche qualitative;

vi sono infatti maggiori quantità di un amminoacido essen-

ziale, la lisina, rispetto agli altri cereali. Per poter consumare

un riso più ricco di sostanze nutritive possiamo orientare la

nostra scelta su riso integrale o semintegrale che è stato pri-

vato solo della parte più esterna, la pula. Questo riso contie-

ne fino a 4 volte la quantità di potassio, ferro, fosforo, di vita-

mine del gruppo B, di vitamina E , di fibre, di amminoacidi e

di acidi grassi essenziali rispetto al riso brillato, senza conta-

re le caratteristiche aromatiche e gustative. Una delle sostan-

ze che si perdono con la raffinazione del riso è la vitamina B1.

Dalla massa del riso posto su una superficie nera sono sta-ti individuati e messi da parte a destra chicchi gessati (immaturi) o spuntati e spez-zati, o di altre varietà.

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4. Rosolate una fettina tritata di pancetta e un trito di cipolla in una noce di burro, aggiungendo poi 100 g di piselli e qualche cucchiaio d’acqua.

3. Preparate un ragù con 20 g di burro, 15 g di funghi secchi ammollati e tagliuzzati, 100 g di salsiccia sbri-ciolata, 2 fegatini di pollo a listarelle, unendo alla fine l’altra metà della salsa di pomodoro.

• Sartù

1. Fate delle polpettine mischiando 125 g di carne di manzo tritata, un cucchiaio di parmigiano, la mollica di un piccolo panino bagnata nel latte. Infarinatele e friggetele in olio di oliva.

2. Cuocete 200 g di riso Arborio o Roma, o altro con uguali caratteristiche, con metà della classica salsa di pomodoro ottenuta con una scatola di pelati da 400 g. Usate la tecnica del risotto aggiungendo acqua o brodo, ma tenendolo piuttosto asciutto. Quando è ancora al dente toglietelo dalla casseruola e fatelo raffreddare.

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5. Preparate una besciamella con un cucchiaio di farina bianca in cui scioglierete una noce di burro e verserete 150 ml di latte.

6. Imburrate uno stampo della capacità di circa 1 litro, spolverizzatelo con pangrattato. Metteteci la metà del riso facendolo bene aderire alle pareti, poi versate il ragù, la besciamella, i piselli, le polpettine, pezzetti di burro e parmigiano.

7. Coprite con il restante riso e cospargete di pangrat-tato irrorato di burro. Cuocete in forno caldo a 180 °C per 40 minuti.

8. Una volta sfornato il sartù è pronto per essere servito e divorato.

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3. Imburrate e cospargete di pangrattato uno stampo semisferico o degli stampini monoporzione, scuotendo per eliminare il pane in eccesso e riempitelo, premendo bene, con il riso condito.

4. Spolverizzate con il pane grattugiato e versate sul riso il rimanente sugo con 30 g di burro disciolto. Mettete in forno già caldo a 160 °C lasciando cuocere per 40 minuti.

2. Seguendo le indicazioni degli step Pilaf per riso bianco di pag. 18, cuocete 2 ciotole di riso (circa 350 g) in 2 ciotole e mezza di brodo. Giunto a cottura intiepiditelo e conditelo aggiungendo la metà del sughino del piccio-ne, 30 g di burro disciolto, 2 uova intere battute, 4 cuc-chiai di grana grattato e la polpa del piccione.

1. In una casseruola bassa mettete a rosolare il piccio-ne oppure il galletto pulito e tagliato in 8 pezzi insieme a qualche bacca di ginepro, 2 o 3 foglie di salvia (che poi toglierete) e una cipolla piccola sminuzzata. Aggiun-gete un cucchiaino di conserva di pomodoro e, ogni tan-to, un poco di vino bianco. Cuocete finché sarà teneris-simo. A quel punto spolpatelo e filtrate il sugo.

• Bomba di riso alla piacentina

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3. Mettete un altro strato di patate, qualche pomodo-rino tagliato a metà, il rimanente pecorino, un filo d’o-lio, l’acqua delle cozze e altra acqua fino a raggiunge-re, senza coprire, il secondo strato di patate.

4. Mettete in forno a 170 °C per circa 40 minuti finché sarà ben dorato e le patate saranno cotte (provate con uno stecchino).

2. Disponete un primo strato di cozze a mezzo guscio che avrete fatto aprire nel modo consueto in una pen-tola coperta, una spolverata di prezzemolo e qualche piccola manciata di riso Arborio o Roma; infine una spolverata di pecorino romano. Pepate.

1. In una teglia da forno disponete uno strato di cipolle a fettine sottili, uno strato di patate a pasta gialla a rondelle spesse 5 mm e qualche pomodorino tagliato a tocchetti. Salate moderatamente.

• Tiella di patate riso e cozze

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3. In una padella con l’olio fate saltare una cipolla smi-nuzzata, aggiungete un peperone e una carota a picco-li cubetti, un petto di pollo a dadi (meglio se tutti delle stesse dimensioni) e dopo qualche minuto di cottura al salto una dadolata di 2 zucchine.

4. Aggiunte il riso e fate saltare cercando di rendere il tutto un po’ croccante (non scuocerà se non aggiunge-rete nessun liquido). Se volete, potete preparare la ricet-ta anche con spezie e verdure e sostituendo il pollo con pesce o crostacei.

2. Coprite con un coperchio a tenuta e, a fuoco bassis-simo, lasciate cuocere per altri 15 minuti, poi spegne-te e lasciate riposare coperto per altri 5-10 minuti. Mettetelo quindi in una teglia e apritelo con il cuc-chiaio o la forchetta.

1. Portate a ebollizione 2 bicchieri di acqua (se vi piace molto al dente), più un altro mezzo bicchiere (se vi piace più tenero), aggiungete un cucchiaio di curry e quindi 2 bicchieri di riso (Vialone, Roma, Baldo…). Mescolate una sola volta e fate riprendere l’ebollizione per 5 minuti.

• Riso saltato al curry con pollo e verdure

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• Arancine di riso

1. Il riso. Mettete in una pentola un litro di acqua, mezzo chilo di riso, mezz’etto di burro, 15 g di sale, 0,15 g di zafferano. Portate a ebol-lizione e lasciate cuocere fino a che l’acqua non sarà tutta assorbita. Con tale quantità preparerete una dozzina di arancine.

2. Il ragù. Fate un soffritto di carote, cipolla, sedano tritati, poi unite 125 g di macinato suino e 125 g di bovino. Rosolate, aggiungete un sorso di vino bianco secco e fate sfumare.

3. Aggiungete un cucchiaio di con-centrato di pomodoro sciolto in acqua, una foglia di alloro, 2 bic-chieri di acqua, un etto di piselli. Salate, pepate e cuocete a fuoco lento per un’ora e fate raffreddare; togliete l’alloro e mescolateci un etto di caciocavallo grattugiato.

4. Mettete su una mano una mancia-ta di riso e al centro una polpetta di ragù formando una palla grande come una piccola arancia. Compat-tate bene con le mani bagnate.

5. Immergete le arancine in una pastella densa di acqua e farina, poi passatele nel pangrattato.

6. Friggete le arancine sommer-gendole nell’olio bollente.