Rischi gruppi cristiani e religiosi

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1 RISCHI DELL’ENTRARE A FAR PARTE DI GRUPPI CRISTIANI O RELIGIOSI IN GENERE O DI SEDICENTI GRUPPI DI PREGHIERA (E IN PARTE DI OGNI GRUPPO CONNESSO DA UNA PROFESSIONE DI FEDE E NON DA ATTIVITÀ CONCRETAMENTE UTILI AGLI ALTRI ES. GRUPPI POLITICI ECC.) (Ampliato e corretto il giorno 17 dicembre 2015) Il documento è costituito soprattutto da una lunga testimonianza di grande importanza sulle deleterie conseguenze del mio ingresso e della mia permanenza, a 16 anni, in un gruppo di sedicenti cristiani, dopo essere stata plagiata da una psicologa cui mi ero rivolta per avene sostegno e informazioni, per me indispensabili a causa di un ambiente familiare ostile. Nel documento sono riportate poi alcune citazioni pertinenti a questa esperienza tratte da libri di letteratura e pagine online e alcuni indirizzi internet, che possono certamente fornire un valido aiuto a molte persone e in particolare ai più giovani. LA MIA TESTIMONIANZA Questa è una noiosa testimonianza, ma chi arriverà alla fine del testo capirà forse perché erano necessari tanti dettagli. Da bambina e da ragazza non riuscivo a esprimere i miei pensieri, le mie emozioni, i miei desideri e giudizi con nessuno. Spesso invece dicevo cose che non pensavo per paura e stanchezza in un modo strano, automatico, che mi spaventava e avviliva. Non sapevo né chiedere, né difendermi, né insistere verbalmente su nulla a lungo, ma solo reagire con i fatti quando non ero del tutto esasperata o vi ero spinta da un qualche interesse profondo. Soffrivo molto da tempo soprattutto a causa dei familiari e il fatto di non conoscere nessuno che avesse una famiglia ed esperienze simili alle mie contribuiva a bloccarmi e a spingermi a comportarmi a volte con gli altri secondo schemi appresi qua e là (dai parenti che dovevo frequentare, cioè subire, di più, da coetanei o dalla televisione soprattutto) e che non mi esprimevano minimamente o a preoccuparmi di cose senza importanza per uno spostamento istintivo e inconscio della paura reale e ben giustificata. Sentivo un bisogno enorme di parlare dei miei problemi e sentimenti, così grande che mi sembrava che il contatto con chiunque mi avesse aiutato in qualsiasi modo a parlare e a conoscere meglio la vita fosse per me meglio di andare avanti nel vuoto a strappi… Voglio dire, dicendo “chiunque”, che, pur di sbloccarmi mi sentivo spinta, dal senso di urgenza e dalla disperazione prodotta dalla mancanza di informazione in cui ero lasciata e dall’impossibilità di informarmi da sola, ad accettare il contatto con persone della cui moralità, del cui interesse per me e delle cui conoscenze non ero certa. Forse avrei dovuto almeno poter leggere dell’esito deleterio che spesso hanno desideri analoghi, magari sfogliando 1984 di Orwell, ma non ne sapevo nulla. Quanti dei miei problemi erano condivisi e come sarebbe stato tutto più semplice per me se avessi potuto sapere di quanto se ne scrive da sempre in riviste e libri che poi diventano bestseller o pietre miliari della letteratura o della Psicologia e di cui ignoravo l’esistenza! Dipendevo dalle scelte degli altri di darmi il titolo di qualche buon libro e una serie di informazioni pratiche o di aiutarmi a cercarli e, data l’indifferenza e, in molti casi anche l’ignoranza, di chi avevo intorno, decisi di andare da una psicologa, di cui sapevo l’indirizzo per via dei suoi rapporti col medico di famiglia. Avevo sedici anni quando decisi di andare da una psicologa: in quel periodo avevo cominciato a capire di aver sbagliato nello scegliere le superiori e inoltre avevo altri problemi in paese e a scuola a causa dell’emotività e dei problemi nella comunicazione, peggiorati con il cambiamento di materie e di insegnanti della terza classe (del resto uno di questi fu pochi anni dopo denunciato e allontanato). La “psicologa” si rivelò poi non solo laureatasi solo per lavorare come consulente presso scuole e per un’attività privata volta a risolvere problemi comuni, ma anche una persona di natura autoritaria e isterica seguita per un certo periodo da uno psichiatra per sua ammissione, e ciò anche perché figlia di una donna malata di mente che la aveva cresciuta da sola prima di morire di tumore al cervello. Si rivelò così priva di equilibrio da non saper considerare obiettivamente la lontananza del padre, che lei non tanto perdonava o giustificava, ma definiva letteralmente un “santo” morto con gruppi di giovani al suo capezzale e concepì anche a partire da una simile visione deliranti progetti pseudoreligiosi che su molti ragazzi ebbero effetti dolorosi e su di me deleteri (le sue confidenze sul suo passato sono credibili perché furono dettate dalla grande instabilità che le causava il timore di essere denunciata per quanto stava facendo e aveva deciso di fare illegalmente in un periodo in cui non contava ancora molti sostenitori-“seguaci”). Questa donna inizialmente mi fece una buona impressione, perché diceva di aver visto in me una sofferenza profonda e perché si esprimeva con voce bassa e molta calma, ma dopo un po’ di tempo cominciai a risentire sempre più negativamente della sua influenza: credeva senza ragione a menzogne di miei familiari nonostante le mie affermazioni, indicava arbitrariamente, senza basarsi su mie affermazioni, i motivi per cui sarei andata da lei e avevo problemi a scuola specie se non riuscivo a spiegarmi subito (ma in fondo ero lì proprio perché non riuscivo a esprimermi!), oppure dava giudizi e consigli assurdi che si rivelavano deleteri quando li seguivo, inadeguati com’erano alla mia situazione e alle mie reali capacità (molto limitate all’epoca), e che lei sembrava inventare al momento, basandosi su schemini davvero superficiali (i consigli e le interpretazioni che darebbe la casalinga più ignorante: per esempio il professore di terza, che fu poi denunciato a causa dei problemi che creava in ogni classe, era diventato per lei un uomo di cui io sarei stata innamorata), senza mai indagare sull’esito o senza prendere le misure necessarie quando vedeva che i risultati erano pessimi (in questi casi inventava spiegazioni in base ai suoi desideri, senza farmi domande di nessun genere o senza prendere atto del fatto che non riuscivo a risponderle o delle mie stesse risposte, mentre, in tutti i casi analoghi si dovrebbe chiudere il rapporto ovviamente, anche per tenere in dovuta considerazione la fragilità e la dipendenza da figure come la sua che così comunemente si sviluppano all’età che avevo io). Avevo bisogno soprattutto di informazioni e riferimenti per giudicare con distacco i miei familiari e per elaborare dei progetti concreti di reazioni ed esistenza, per il presente e per il futuro, che tenessero conto dell’impossibilità per me di farvi affidamento e del malessere che mi causava il contatto con loro, ma quando non seppi parlare di un libro che lei mi aveva prestato (vi si raccontava di un caso di violenza familiare che per me fu doloroso leggere) e scriverle dei miei ricordi in modo essenziale e ordinato (lei finì col leggerne solo le prime righe, una specie di introduzione; del resto i miei problemi erano di comunicazione e non mi ero mai confidata con nessuno in tutta la mia vita), lei iniziò a parlarmi sprezzantemente e a rifiutare di aiutarmi a esprimermi riguardo al mio passato e a ogni cosa riguardasse la mia famiglia (ma tutto dipendeva anche dalla mia famiglia!), e ciò lo fece poi insieme a una “psicologa” sua amica, da cui mi mandò nel momento in cui più dipendevo da lei e con la quale può essere letteralmente quasi identificata. Poco dopo mi invitò a cambiare istituto scolastico (non avevo mai parlato e neanche lontanamente pensato di farlo, date le mie grandi difficoltà di adattamento e dato che le difficoltà nel comunicare ovviamente peggiorano in ambienti nuovi e tra sconosciuti, mentre d’altra parte non avevo alcun problema di rendimento, ma al contrario una media alta) per iscrivermi in una scuola di sua conoscenza e a conoscere un gruppo di ragazzi della mia età che lei aveva formato in quel periodo. I miei acconsentirono alla scuola privata in relazione a questo gruppo di ragazzi per “cambiare giro”, per usare le loro parole (mia madre non aveva mai avuto nessuna amicizia e mio padre considerava le amicizie del paese al di sotto del suo livello per l’attività lavorativa e non desiderava un contrasto con la moglie, con cui lavorava). Si trattava come ho scoperto nei dettagli solo molto tempo dopo l’iscrizione! - di una scuola privata appartenente a un movimento ufficialmente religioso (in realtà tenuto insieme da interessi economici e politici) di cui lei faceva parte da molti anni e dove aveva molte conoscenze e frequentato da ragazzi benestanti e snob dalla mentalità, aggressiva e intollerante, tipica delle caste chiuse (perfino un nuovo iscritto che contava amicizie in molte scuole, essendo stato spinto dal padre a cambiare istituto ogni anno, non ha potuto inserirsi minimamente lì in ben due anni; alcuni miei compagni andavano in una cappella prima delle lezioni con gli insegnanti, senza ammettere gli altri nel loro gruppo; mi hanno anche riferito che il preside affermò in classe che se i bambini africani muoiono di fame e malattia non ha importanza perché loro non sono battezzati… quando facevo la quinta, del resto, lo stesso preside ha detto in aula che la teoria dell’evoluzione è del tutto campata in aria e che si sostiene solo su qualche ossicino trovato qua e là).

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RISCHI DELL’ENTRARE A FAR PARTE DI GRUPPI

CRISTIANI O RELIGIOSI IN GENERE O DI SEDICENTI

GRUPPI DI PREGHIERA (E IN PARTE DI OGNI GRUPPO

CONNESSO DA UNA PROFESSIONE DI FEDE E NON DA

ATTIVITÀ CONCRETAMENTE UTILI AGLI ALTRI – ES.

GRUPPI POLITICI ECC.)

(Ampliato e corretto il giorno 17 dicembre 2015)

Il documento è costituito soprattutto da una lunga testimonianza di

grande importanza sulle deleterie conseguenze del mio ingresso e

della mia permanenza, a 16 anni, in un gruppo di sedicenti cristiani, dopo essere stata plagiata da una psicologa cui mi ero rivolta per

avene sostegno e informazioni, per me indispensabili a causa di un

ambiente familiare ostile. Nel documento sono riportate poi alcune citazioni pertinenti a questa esperienza tratte da libri di letteratura e

pagine online e alcuni indirizzi internet, che possono certamente

fornire un valido aiuto a molte persone e in particolare ai più giovani.

LA MIA TESTIMONIANZA

Questa è una noiosa testimonianza, ma chi arriverà alla fine del testo

capirà forse perché erano necessari tanti dettagli.

Da bambina e da ragazza non riuscivo a esprimere i miei pensieri, le mie emozioni, i miei desideri e giudizi con nessuno. Spesso invece

dicevo cose che non pensavo per paura e stanchezza in un modo

strano, automatico, che mi spaventava e avviliva. Non sapevo né chiedere, né difendermi, né insistere verbalmente su nulla a lungo,

ma solo reagire con i fatti quando non ero del tutto esasperata o vi

ero spinta da un qualche interesse profondo. Soffrivo molto da tempo soprattutto a causa dei familiari e il fatto di non conoscere nessuno

che avesse una famiglia ed esperienze simili alle mie contribuiva a

bloccarmi e a spingermi a comportarmi a volte con gli altri secondo schemi appresi qua e là (dai parenti che dovevo frequentare, cioè

subire, di più, da coetanei o dalla televisione soprattutto) e che non

mi esprimevano minimamente o a preoccuparmi di cose senza importanza per uno spostamento istintivo e inconscio della paura

reale e ben giustificata. Sentivo un bisogno enorme di parlare dei

miei problemi e sentimenti, così grande che mi sembrava che il contatto con chiunque mi avesse aiutato in qualsiasi modo a parlare e

a conoscere meglio la vita fosse per me meglio di andare avanti nel vuoto a strappi… Voglio dire, dicendo “chiunque”, che, pur di

sbloccarmi mi sentivo spinta, dal senso di urgenza e dalla

disperazione prodotta dalla mancanza di informazione in cui ero lasciata e dall’impossibilità di informarmi da sola, ad accettare il

contatto con persone della cui moralità, del cui interesse per me e

delle cui conoscenze non ero certa. Forse avrei dovuto almeno poter leggere dell’esito deleterio che spesso hanno desideri analoghi,

magari sfogliando 1984 di Orwell, ma non ne sapevo nulla. Quanti

dei miei problemi erano condivisi e come sarebbe stato tutto più semplice per me se avessi potuto sapere di quanto se ne scrive da

sempre in riviste e libri che poi diventano bestseller o pietre miliari

della letteratura o della Psicologia e di cui ignoravo l’esistenza! Dipendevo dalle scelte degli altri di darmi il titolo di qualche buon

libro e una serie di informazioni pratiche o di aiutarmi a cercarli e,

data l’indifferenza e, in molti casi anche l’ignoranza, di chi avevo intorno, decisi di andare da una psicologa, di cui sapevo l’indirizzo

per via dei suoi rapporti col medico di famiglia.

Avevo sedici anni quando decisi di andare da una psicologa: in quel periodo avevo cominciato a capire di aver sbagliato nello scegliere le

superiori e inoltre avevo altri problemi in paese e a scuola a causa

dell’emotività e dei problemi nella comunicazione, peggiorati con il cambiamento di materie e di insegnanti della terza classe (del resto

uno di questi fu pochi anni dopo denunciato e allontanato). La

“psicologa” si rivelò poi non solo laureatasi solo per lavorare come consulente presso scuole e per un’attività privata volta a risolvere

problemi comuni, ma anche una persona di natura autoritaria e

isterica seguita per un certo periodo da uno psichiatra per sua ammissione, e ciò anche perché figlia di una donna malata di mente

che la aveva cresciuta da sola prima di morire di tumore al cervello.

Si rivelò così priva di equilibrio da non saper considerare obiettivamente la lontananza del padre, che lei non tanto perdonava

o giustificava, ma definiva letteralmente un “santo” morto con

gruppi di giovani al suo capezzale e concepì anche a partire da una simile visione deliranti progetti pseudoreligiosi che su molti ragazzi

ebbero effetti dolorosi e su di me deleteri (le sue confidenze sul suo

passato sono credibili perché furono dettate dalla grande instabilità

che le causava il timore di essere denunciata per quanto stava

facendo e aveva deciso di fare illegalmente in un periodo in cui non contava ancora molti sostenitori-“seguaci”).

Questa donna inizialmente mi fece una buona impressione, perché

diceva di aver visto in me una sofferenza profonda e perché si esprimeva con voce bassa e molta calma, ma dopo un po’ di tempo

cominciai a risentire sempre più negativamente della sua influenza:

credeva senza ragione a menzogne di miei familiari nonostante le mie affermazioni, indicava arbitrariamente, senza basarsi su mie

affermazioni, i motivi per cui sarei andata da lei e avevo problemi a

scuola specie se non riuscivo a spiegarmi subito (ma in fondo ero lì proprio perché non riuscivo a esprimermi!), oppure dava giudizi e

consigli assurdi che si rivelavano deleteri quando li seguivo,

inadeguati com’erano alla mia situazione e alle mie reali capacità (molto limitate all’epoca), e che lei sembrava inventare al momento,

basandosi su schemini davvero superficiali (i consigli e le

interpretazioni che darebbe la casalinga più ignorante: per esempio il professore di terza, che fu poi denunciato a causa dei problemi che

creava in ogni classe, era diventato per lei un uomo di cui io sarei

stata innamorata), senza mai indagare sull’esito o senza prendere le misure necessarie quando vedeva che i risultati erano pessimi (in

questi casi inventava spiegazioni in base ai suoi desideri, senza

farmi domande di nessun genere o senza prendere atto del fatto che non riuscivo a risponderle o delle mie stesse risposte, mentre, in tutti

i casi analoghi si dovrebbe chiudere il rapporto ovviamente, anche

per tenere in dovuta considerazione la fragilità e la dipendenza da figure come la sua che così comunemente si sviluppano all’età che

avevo io).

Avevo bisogno soprattutto di informazioni e riferimenti per giudicare con distacco i miei familiari e per elaborare dei progetti concreti di

reazioni ed esistenza, per il presente e per il futuro, che tenessero

conto dell’impossibilità per me di farvi affidamento e del malessere che mi causava il contatto con loro, ma quando non seppi parlare di

un libro che lei mi aveva prestato (vi si raccontava di un caso di

violenza familiare che per me fu doloroso leggere) e scriverle dei miei ricordi in modo essenziale e ordinato (lei finì col leggerne solo

le prime righe, una specie di introduzione; del resto i miei problemi

erano di comunicazione e non mi ero mai confidata con nessuno in tutta la mia vita), lei iniziò a parlarmi sprezzantemente e a rifiutare

di aiutarmi a esprimermi riguardo al mio passato e a ogni cosa riguardasse la mia famiglia (ma tutto dipendeva anche dalla mia

famiglia!), e ciò lo fece poi insieme a una “psicologa” sua amica, da

cui mi mandò nel momento in cui più dipendevo da lei e con la quale può essere letteralmente quasi identificata.

Poco dopo mi invitò a cambiare istituto scolastico (non avevo mai

parlato e neanche lontanamente pensato di farlo, date le mie grandi difficoltà di adattamento e dato che le difficoltà nel comunicare

ovviamente peggiorano in ambienti nuovi e tra sconosciuti, mentre

d’altra parte non avevo alcun problema di rendimento, ma al contrario una media alta) per iscrivermi in una scuola di sua

conoscenza e a conoscere un gruppo di ragazzi della mia età che lei

aveva formato in quel periodo. I miei acconsentirono alla scuola privata in relazione a questo

gruppo di ragazzi per “cambiare giro”, per usare le loro parole (mia

madre non aveva mai avuto nessuna amicizia e mio padre considerava le amicizie del paese al di sotto del suo livello per

l’attività lavorativa e non desiderava un contrasto con la moglie, con

cui lavorava). Si trattava – come ho scoperto nei dettagli solo molto tempo dopo

l’iscrizione! - di una scuola privata appartenente a un movimento

ufficialmente religioso (in realtà tenuto insieme da interessi economici e politici) di cui lei faceva parte da molti anni e dove

aveva molte conoscenze e frequentato da ragazzi benestanti e snob

dalla mentalità, aggressiva e intollerante, tipica delle caste chiuse (perfino un nuovo iscritto che contava amicizie in molte scuole,

essendo stato spinto dal padre a cambiare istituto ogni anno, non ha

potuto inserirsi minimamente lì in ben due anni; alcuni miei compagni andavano in una cappella prima delle lezioni con gli

insegnanti, senza ammettere gli altri nel loro gruppo; mi hanno

anche riferito che il preside affermò in classe che se i bambini africani muoiono di fame e malattia non ha importanza perché loro

non sono battezzati… quando facevo la quinta, del resto, lo stesso

preside ha detto in aula che la teoria dell’evoluzione è del tutto campata in aria e che si sostiene solo su qualche ossicino trovato

qua e là).

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Il gruppo a parte di ragazzini formato da lei di recente era invece

composto dalle sue figlie e da un’accozzaglia di ex spacciatori o ex

suoi “pazienti”, esaltati e con scarsissimo contatto con la realtà (una ragazza proveniva da una setta satanica, spacciava da anni ed era

stata convinta da lei di essere stata maledetta da piccola e ora guarita

da un esorcismo; un altro ragazzo si fece poi conoscere per pazzo per delle storie su di sé a proposito di un figlio inesistente inventate di

sana pianta, recitate con impegno e piene di dettagli; in seguito si

aggiunsero spacciatori a volte violenti anche di 12 o 14 anni, figli di papà insopportabili e molto viziati e altri ragazzi di ogni età, ma

quasi sempre minorenni, alcuni ingenui e altri squilibrati, che in

poco tempo sono stati da lei allontanati dalla famiglia ogni volta che essa era refrattaria a partecipare alle assurde attività del gruppo, e che

venivano plagiati al punto che a volte si esprimevano con vero e

proprio fanatismo). Si venivano a sapere pettegolezzi veri e falsi su cose personalissime di circa ogni nuovo adepto prima di vederlo in

faccia e nessuno faceva niente per conoscersi davvero, ma si viveva

tra umiliazioni e rapide condanne e continue finzioni (anzi, prima fui aggredita dall’intero gruppo ogni volta che, senza coinvolgere tutti,

ho avuto qualche conversazione con persone che vi transitarono per

breve tempo). Prima di rendermene conto avevo perso ogni amicizia, autostima,

fiducia in me stessa e ogni indipendenza da lei al punto da farmi

vincere dalla curiosità, dalla reviviscenza dei rimasugli di una fede cieca dell’infanzia e dal bisogno di una guida e di una madre,

riservandomi di andarmene al momento giusto. Per poter essere

libera di allontanarmi le avevo vietato di coinvolgere mia madre (era l’unico mezzo per mantenermi libera, dato il carattere, l’indifferenza

e il disprezzo per me di tutti i miei familiari), ma lei, dopo avermi

assicurato più volte di non coinvolgere i miei parenti, fece invitare mia madre nel gruppo dal genitore di uno dei ragazzi, bloccandomi

lì (mia madre fu del tutto indifferente alla sofferenza, resa più acuta

ed evidente dallo stupore, che mostrai inevitabilmente a quell’invito e dopo il suo ingresso per me andarmene avrebbe voluto dire vedere

moltiplicato l’inferno che vivevo in casa), mentre questo gruppo

diventava sempre più con il tempo una setta di numerosi fanatici. Si applicavano a rispolverare pratiche cattoliche in disuso, dogmi e

pregiudizi ormai ignorati da quasi ogni prete di parrocchia, senza

nessuna moralità o attività utile di sorta: riti comuni praticati o consigliati in modalità prive di misura (ad esempio si consigliò la

preghiera a mani giunte e si praticò e consigliò di andare a messa più volte durante la settimana); riti cattolici falsati (la confessione per

loro “regolava il conto” con Dio indipendentemente dal pentimento

e, quindi, anche se il gesto confessato veniva poi sempre ripetuto o se non si cercava di rimediarvi o di compensare il mal fatto, come se la

vita e il perdono del danneggiato non contassero niente…; del resto,

secondo loro, danneggiare qualcuno in modo grave o irrimediabile era qualcosa di cui era doveroso confessarsi solo se il colpito era un

“eletto” o se era approvato dal gruppo); riti che si possono trovare in

certi libretti che forse conoscono ormai solo le più vecchie beghine – almeno così è secondo un prete con cui ne discussi – dalla Chiesa

oggi mal considerati o disapprovati e simili alle Indulgenze, ovvero

alle antiche pratiche cattoliche con cui si poteva comprarsi il paradiso (ad esempio preghiere e riti che, se continuati per un

preciso numero di mesi un dato giorno della settimana secondo certe

direttive, permetterebbero, secondo loro, di assicurarsi l’assoluzione “definitiva” a prescindere da quanto si è fatto e dall’assenza di

confessione); riti assurdi d’invenzione o coniati da qualche

tradizione medievale (i gradini a una chiesa romana saliti con le ginocchia); pellegrinaggi; affermazioni di fede cieca in apparizioni e

miracoli alcuni dei quali ridicoli (non solo quelli ritenuti tali dalla

tradizione, ma anche un profumo di rose sentito in centro città; una liberazione magica dal carcere ad opera nientemeno che di un angelo

di un tizio a Medjugorje; un cenno di un buon frate malato e convinto

che la sua malattia fosse un santo sacrificio per il bene di tutti; discesa dello Spirito Santo in forma di una specie di fluido invisibile

che fa svenire per un minuto o poco meno se però prima si chiudono

gli occhi...; il “capo” mi disse anche che uno dei ragazzi – uno spacciatore di 13 anni – aveva visto la statua della Madonna scendere

dai gradini del piedistallo in chiesa; in un’occasione ho visto ridurre

in pezzi e calpestare dal gruppo e dalla leader una ventina di CD originali all’epoca costosi perché un prete, molto malato e quindi

poco in sé, richiestogli se fossero satanici, aveva detto “sì”, anche se

si trattava di album di artisti come David Bowie!); sterili immedesimazioni e pseudo rapimenti mistici sulla base di infantili

ritratti di Gesù, di Maria e dei Santi; prediche sulla verginità prima

del matrimonio e sul dovere per le donne di scoprirsi e truccarsi

poco o per niente; deliri su un ipotetico rivedersi tutti in Paradiso (la

“leader” immaginava se stessa a capo del “suo” gruppo per l’eternità?) e sul passare la vita dopo la morte a ciarlare e mangiare

insieme (la“profetessa” evitava del tutto di immaginare la vita

eterna così come la si fa intravedere nel Vangelo o avvolta nel mistero, che molti monaci oggi cercano di salvaguardare, e passava

direttamente a parlare della vita dopo la resurrezione della carne

così come la vedeva lei); aggressività, ignoranza, insensibilità e violenza crescenti.

Un ragazzo tormentato dalla leader del Gruppo fino all’inverosimile

e la cui madre non era del tutto sana di mente e, dopo essere stata coinvolta dalla “leader” della setta, diceva continui rosari e insisteva

perché lui andasse in una certa comunità per tossici religiosa, fu

costretto ad andarci, ma per il ritorno fece porre dalla comunità alla madre la condizione che tutti i rapporti con la “leader”del nostro

gruppo fossero rotti e a niente valsero le furie di quest’ultima, che si

era vista sottrarre un numero. Un ragazzino si trovò per strada da un giorno all’altro senza vestiario e denaro perché i genitori, su

consiglio della “leader”, lo buttarono fuori casa solo perché aveva

rifiutato di andare in una di queste particolari comunità per tossici (qui la “cura” è costituita da adorazioni notturne, rosari ripetuti e

dall’essere accompagnati da qualcuno ogni momento): il ragazzo

non assumeva droghe pesanti e sparì per anni, sopravvivendo solo grazie ad alcuni amici, così molti disapprovarono questi genitori,

compreso il prete del paese, che peraltro disse alla madre del ragazzo

che questi, prima che venisse cacciato, soffriva già da tempo anche a causa loro [pur di non accettare del tutto la gravità del loro gesto e di

non sentirsi in colpa, i genitori però continuarono a frequentare la

“psicologa” che gli aveva quasi ammazzato il figlio: in seguito la madre del ragazzo si legò alla mia e la sostenne anche quando anni

dopo i miei mi spinsero per strada con la violenza fisica e psicologica

tra minacce di omicidio, mentre ero molto malata fisicamente e, anche per questo ma non solo, impossibilitata a trovare qualunque

lavoro].

Una ragazza, tormentata dalla psicologa anche a scuola (frequentava il liceo dove ero iscritta e dove la psicologa veniva a

chiaccherare e teneva uno studio) perché tornasse nel gruppo, dopo

essersene allontanata, per riuscire a troncare il rapporto si rivolse alla madre, che diede alla psicologa-profeta questo ultimatum: “o tu

lasci stare mia figlia o io ti denuncio per plagio”. Una liceale tranquilla ed equilibrata da tempo malata venne umiliata dalla

“psicologa” e poi anche da altri componenti per la sua malattia, a

quanto lei stessa mi riferì, (credo si trattasse di sindrome da Stanchezza Cronica, di cui in ogni caso aveva i sintomi evidenti e

limitanti) probabilmente perché la malattia disturba chi vuole portare

avanti le bandiere “La vita è bella” e “Dio è un padre buono”; inoltre fu criticata da tutto il gruppo solo perché aveva lasciato uno dei

fanatici, non gioiva alla sola idea di aderire in pianta stabile e non

voleva partecipare alle uscite con i ragazzini. Uno dei ragazzi, una persona intelligente e sensibile, mi confidò di sentire un forte senso

di vuoto e malessere ogni volta che tornava dalle serate con il

Gruppo, che del resto non notò nemmeno la sua assenza quando egli si assentò per qualche malattia.

Questa psicologa, che non si può che definire pericolosa e criminale

e che dovrebbe essere rinchiusa, è arrivata alla fine a consigliarmi il suicidio, descrivendomelo poi peraltro anche come “volare tra le

braccia di Gesù” e a consigliare ai miei di internarmi in Psichiatria

a 18/19 anni – per fortuna a vuoto –. Inoltre spinse gli insegnanti ad aggredirmi e a indurre al bullismo i

miei compagni di classe proprio mentre frequentavo l’ultimo anno: i

miei compagni di classe più indipendenti dal Movimento avevano avuto per un anno e mezzo se non altro quel minimo di comprensione

che bastava per rendere la mia solitudine tra loro sopportabile… Il

cambiamento dipese da tre professori che mi avevano sentito parlare male, in un momento di grande sofferenza ed esasperazione, della

figlia maggiore del capo-setta, una ragazza che era iscritta alla

scuola e al loro Movimento da anni ed era davvero molto insensibile, del tutto indifferente alla mia situazione e sempre disposta a credere

a quanto ne diceva la madre a priori - e senza muovere un dito per

verificare nulla - o a partecipare dei suoi insulti…una stupidella aggressiva, volgare, sopravalutata e molto presuntuosa e viziata [

poiché era dotata di buona memoria e abituata a una scuola privata e

mediocre (l’insegnamento della letteratura era una presa in giro e nel dare i voti si era davvero molto larghi e parziali) e poiché riceveva

senza merito materiali e informazioni fuori dalla scuola, si era

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convinta di essere intelligente e per di più portata per insegnare

letteratura (il che forse si può ammettere, considerato il fatto che in

Italia la scuola è un luogo di ignoranza e bullismo e niente di più) e addirittura per comprenderla, sebbene fosse del tutto insensibile e

inetta: leggeva molto poco e male; ripeteva cose lette nelle

introduzioni ai libri o sentite ripetere dalla madre o dai maggior esponenti del suo Movimento e del gruppo della madre e lo faceva

come se fosse l’unica a conoscerle o se si trattasse del frutto di una

personale riflessione; non si poneva domande su quanto leggeva e non lo confrontava con quanto poteva osservare negli altri o

sperimentare intorno a sé; sottoponeva ogni parola letta o ascoltata

all’approvazione dei suoi astrattissimi, rigidissimi e poverissimi pregiudizi religiosi; non sapeva decidere o reagire a niente se non

chiedeva prima alla madre cosa dire, senza nemmeno poi rendersi

conto dell’idiozia di quanto le veniva suggerito dalla madre demente, tanto che quando la presi un po’ in giro perché, come riferitomi da

altri, da bambina, invece di limitarsi a giocare, suonava la

campanella per richiamare tutti dalla ricreazione dicendo: “Bambini, bambini!”, lei non rispose, andò a casa a parlarne e pochi giorni dopo

mi disse che lei non lo faceva per idiozia ma perché “era buona”,

come se tutti gli altri ragazzini, che non lo facevano, fossero stati dei bastardi, e poi mi disse che lei era intelligente perché aveva appena

letto un certo classico della letteratura – semplicemente I fratelli

Karamazov -, di cui peraltro non seppe dire niente…Perfino oggi, che è laureata il Lettere, la superficialità e il formalismo della quale

non è certo stato un problema per lei, conserva però con cura le

apparenze (su Facebook incontra quasi solo professori, per i quali probabilmente il leggere poco e il ripetere i manuali a pappagallo non

deve essere stato un disturbo maggiore di quanto lo sia stato per

quest’oca bionda e benvestita), anche se forse sta già facendo il bullo, prendendo di mira qualche ragazzina, in qualche scuola privata

del suo Movimento tra un discorso arido su Dante e uno su Tasso -

del resto si può dire che la sua famiglia era strana in generale, dato che, al di là della madre, la sorellina era dolce ma davvero troppo

ingenua e che il fratello era un individuo aggressivo, da cui in tanto

tempo non ho sentito altro che insulti e due parole sui suoi studi e sulla sua astinenza con la sua bellissima fidanzata, un ragazzo così

cafone che in un’occasione seppe perfino portare a tavola e tra ospiti

un assorbente zuppo solo per lamentarsi colla sorella che non lo aveva cestinato].

Tornando al punto, dopo un po’ di tempo il “Capo”, come c’era da aspettarsi, chiese a mio padre una discreta somma di denaro per dei

suoi progetti personali, per i quali lei pretese poi anche il lavoro

“volontario” dei ragazzi del “suo” gruppo che avrebbero dovuto, secondo lei, ripagarla così di quanto aveva fatto “per loro”.

A proposito della reale fede di questa psicologa profeta, ricordo che

un giorno mi disse: “La verità, la verità! Anche se non è la verità, non importa perché è questo che funziona…” (se fosse funzionato un

po’ di più io sarei morta suicida o in un ospedale psichiatrico a

meno di 20 anni, umiliata e senza aver avuto ancora davvero niente dalla vita, nemmeno il tempo di capire con distacco quanto mi era

avvenuto e quanto la vita può offrire di buono). Del resto lei trovava

ridicolo chi la credeva di fede sincera o altruista (me lo manifestò e disse anche davanti a una delle figlie) e ciò anche se questa illusione

ingenua è proprio ciò che pretendeva e recitava con tutti, cui si

presentava come una madre e una benefattrice dotata di una fede eccezionale e di una missione divina.

Anche la fede dei miei familiari del resto non esisteva: mia madre ha

continuato per anni a recitare il Rosario in gruppo e in alcuni momenti delle sue manifestazioni schizofreniche è stata capace di

snocciolare per un quarto d’ora affermazioni di stampo

cristianeggiante, ma di solito in privato dice che non esiste vita dopo la morte né Cristo e non considera minimamente validi i valori

cristiani, anche quelli di base che dovrebbero improntare il

comportamento in una famiglia e nella società. Per quanto riguarda gli altri componenti del gruppo, c’era chi era

fanatico per plagio o educazione, ma sempre anche per ottusità, in

parte voluta; c’era poi chi voleva annullare, con l’idea comoda del “perdono” cattolica o in quella altrettanto astratta, falsa e comoda

di Provvidenza, un senso di colpa giustificato da un atto grave

compiuto o la consapevolezza di non affrontare con coraggio e realismo certe violenze fisiche e umiliazioni subite dai familiari o

magari il proprio rifiuto di aiutare conoscenti in gravi difficoltà; per

lo più comunque tutti volevano così sentirsi eletti, arricchirsi di un nuovo giocattolo e confidare nei propri sogni di viziati o insofferenti

o in un luogo dove passare il tempo libero suonando o mangiando

tra gag e canzonette ripetute all’infinito tra apprezzamenti al di là di

ogni merito e di ogni vero coinvolgimento in relazioni reali (si può

conoscersi solo in un rapporto a due); c’è stato anche chi, dopo aver affermato in uno sfogo di non aver mai creduto nella Madonna e di

averlo detto solo per far parte del gruppo (cui appartenevano il

fratello, la madre e conoscenze utili per il futuro), attirandosi con questa confessione l’ira degli altri, diventò proprio per questo da

quel momento uno dei più “fedeli”, e cioè, secondo l’idea di fede di

questo gruppo, uno dei componenti più intolleranti, attivi, ottusi e aggressivi, avendo cura ovviamente di mescolare irritazioni

personali al disprezzo del “Giusto” per l’infedele… sull’esempio del

capogruppo, del resto). Si autodefinivano “Eletti” o “chiamati” – a fare cosa non era dato sapere - e si sentivano protetti dalla sfortuna

e dispensati dal dovere di avere dubbi su ogni cosa e di pensare,

dato che erano protetti da conoscenti benestanti e dal proprio aspetto curato , dato che si credevano accompagnati da uno “Spirito

Santo” di cui non hanno mai spiegato la natura e di cui pareva

credessero di aver l’esclusiva e dato inoltre che consideravano preti e Papa manifestazione della volontà personale di Dio in terra…

come chiunque non abbia l’onestà di studiare la storia o di

accettarla. Tornando alla “leader”, il terzo anno lei insistette perfino perché

tutto il gruppo votasse Berlusconi senza incontrare resistenza e

organizzò serate di raccoglimento per politici locali (si trattava davvero di una strana religione, vero?). Quanto alla sua spontanea

“sensibilità”, se ci fosse ancora bisogno di chiarire (…), mi confidò

di provare fisicamente l’impulso del vomito alla vista di portatori di handicap e pur avendo una nipote Down...

Mi ritrovai, negli anni più importanti e anzi decisivi, sola, sofferente

ed esasperata oltre ogni limite e esaurita anche fisicamente (lo studio e lo stress, uniti all’abitudine al fumo e l’assunzione di alcol

derivati dalla frequentazione di questi ragazzini - insopportabili e

fumatori accaniti come tutti gli ex drogati - avevano aggravato problemi di salute preesistenti mai curati e connessi anche a

un’alimentazione che era pessima a causa di blocchi allora

irremovibili per me); con un aspetto fisico completamente cambiato; con, una nuova difficoltà a rifiutare inviti o compiti creata dall’aver

dovuto vivere per quasi quattro anni consecutivi facendo ogni giorno

cose odiate (non potendone più lasciai il gruppo una prima volta dopo circa un anno e mezzo, ma non me la sentii di lasciare la

scuola rinunciando al diploma dato che ero in procinto di ottenerlo e in quell’ambiente fui esasperata dai miei al punto che tornai nel

gruppo dopo pochi mesi); diffamata in un ambiente di benestanti che

conta personalità molto importanti in ogni campo e settore (universitario, lavorativo, sanitario, ecc.); con possibilità di

denunciare per me nulle; con problemi familiari infinitamente

peggiorati e ormai irrisolvibili (al rancore di mia madre quando, per forza di cose, il rapporto con tale gruppo è finito, si è aggiunto il

rancore ancora più pericoloso di mio padre, che aveva speso molto

per una scuola privata per me inutile e per una deleteria “psicoterapia”, falsa solo nei fatti, non nei conti, e che aveva perso

ogni amicizia del paese per frequentare le riunioni organizzate da

questa sedicente “cristiana”, che si è pure divertita a colpevolizzarmi per la mia incapacità e il mio rifiuto di seguire” la

Via” cui ero stata a suo dire “chiamata” insieme agli altri ragazzi

da lei definiti “Eletti” secondo la sua personalissima religione). Del resto, se i miei non seguirono il consiglio del capo del Gruppo di

ricoverarmi in Psichiatria a 19 anni, ciò accadde solo perché mia

madre si oppose, volendo il figlio laureato, perché credeva che una laurea qualsiasi di almeno uno dei figli le conferisse prestigio,

perché, nel suo disordine mentale, non vedeva che nella mia

situazione ormai propormi di laurearmi era assurdo e perché io, non sapendo nulla di lavoro, presi tempo iscrivendomi all’Università che

tutti mi consigliavano, come avevo visto fare ad altri, e poi, delusa

dall’aridità e superficialità dei programmi e non trovando le informazioni necessarie, vi rimasi scegliendo l’indirizzo meno noioso

anche per via del consiglio di un ragazzo che mi piaceva e che

desiderava invece così crearmi ulteriori problemi… Soprattutto comunque mia madre ancora sperava di coltivare i suoi rapporti con i

genitori dei ragazzi tramite me, così si oppose a mio padre che, a

quanto mi hanno riferito anni dopo, era stato più che d’accordo riguardo al mio internamento, anche perché sapeva che la legge lo

permetteva anche se la mia nuova sfiducia in me stessa e negli altri,

la mia tristezza, l’ansia per il futuro e il peggioramento del mio aspetto e del mio modo di vestire erano in realtà normali, motivati

ampiamente com’erano dal grave abuso subìto. Del resto io sapevo

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bene di non poter ovviare da sola alla mancanza di informazioni e

riferimenti per scegliere studi e lavoro in una situazione così

complicata e sfavorevole, ma il mio aspetto, l’ansia e la diffamazione non mi aiutarono certo a ottenerli da Informagiovani e sportelli

universitari mentre, non solo non avevo più amici, ma nemmeno

conoscenti adatti cui rivolgermi: i miei compagni di classe non desideravano certo aiutarmi e comunque quelli di loro che potevano

contare poco sulla loro famiglia non sapevano ancora che fare e gli

altri avevano gli obiettivi tipici di giovani benestanti e per di più diplomati in un indirizzo di scuole superiori che per me era stato

inadatto fin dall’inizio, (non avevo potuto capirlo in tempo, per via

delle mie buone capacità e per la passione all’epoca nascente per la letteratura e la disinformazione circa l’astrazione, l’aridità e la

pesantezza dei programmi di terza, quarta e quinta classe e riguardo

il mondo del lavoro); i ragazzi del gruppo fanatico, invece, quando non erano troppo giovani per porsi il problema, facevano progetti

suggeriti loro solo dall’ignoranza, dal carattere esaltato, dalla

dipendenza dalle droghe o dalle famiglie benestanti e ben inserite (chi si fece suora intorno ai vent’anni sentendosi “chiamata” subito

dopo essere stata lasciata dal fidanzato; chi si iscrisse a facoltà

umanistiche contando, per trovare lavoro, sul Movimento cui apparteneva la mia scuola privata; chi andò in una comunità per

tossici di stampo religioso, per curarsi o per “fare un’esperienza”,

cosa che peraltro diede a mia madre l’occasione di delirare a lungo circa un mio matrimonio con uno di questi ex spacciatori o ex

drogati che spesso vivevano tutta la vita in tali comunità, senza

studio di sorta e senza lavorare, in una interpretazione dello spirito pauperistico cristiano assai originale); la psicologa amica e

“doppione” della prima rifiutò ovviamente più volte di darmi

qualunque informazione circa lavoro e percorsi di studio (“Fai ciò che vuoi”) e ciò nonostante lavorasse anche in un ufficio

Informagiovani, ma “in compenso” anche lei mi consigliò il suicidio,

sebbene in modo indiretto a differenza dell’amica (mi riportò il caso di una ragazza suicidatasi senza dar prima segni di questa intenzione

ad altri, secondo lei “saggiamente”, non “rompendo le scatole a

nessuno”…). Ma tutto ciò è irrilevante per le istituzioni quanto per la gente e per una famiglia di bastardi e anzi il mio umore divenne

l’occasione perché la seconda“psicologa” mi etichettasse come

affetta da depressione (in senso clinico non sapevo nemmeno cosa fosse) e mi facesse prescrivere degli antidepressivi, attraverso

un’amica neurologa che lavorava nel suo stesso stabile e nel cui studio per l’occasione entrò assieme a me: le conseguenze di ciò

furono le più classiche e comuni, ovvero irritabilità, paura, insonnia

(mai avuta prima) e diffamazione ulteriore per le settimane in cui li presi e poi assunzione costante di un sonnifero per anni, cioè finché

trovai accanto a me una persona buona davvero. La “persona

buona” non era forte né ben messa economicamente ma bastò, perché mi diede rispetto e una casa e mi consentì di trovare da me, con il

tempo, le informazioni e alcune delle condizioni che mi erano

necessarie per vivere… Mi bastò per tornare in fretta a dormire in modo naturale e per diventare forte e serena tra mille problemi

realizzando un progetto dopo l’altro. Quei sonniferi erano così inutili

per me, se considerati per un uso non occasionale, che i primi mesi la dose più bassa mi faceva dormire 14 ore al giorno e furono alla

lunga molto dannosi: provocarono, come tutte le droghe, non solo

sfiducia, ma anche dipendenza fisica, tanto che quando dovetti smettere di prenderli a causa di un danno rilevato da esami del

sangue, ebbi dolori e alla fine un’insonnia resistente e finii così per

accettare di prendere un sonnifero ancora più pesante, dannoso e pericoloso per un anno. Questi sonniferi iniziali peraltro erano in

teoria anche equilibratori dell’umore, ma io non ne ebbi mai

ovviamente questo beneficio, dato che la mia sofferenza e difficoltà a vivere erano causate da problemi concreti che esigevano quindi

soluzioni concrete, cioè innanzitutto informazione di base circa

vestiario, lavoro ed esperienze simili alle mie e denaro per cominciare ad avere subito uno spazio sereno prima fisico e poi

interiore, dove affrontare in modo libero e indipendente ricordi e

blocchi e dove aver cura di me. Ora ho raccolto molti ricordi che posso definire felici, ma ho

imparato che non si possono superare esperienze del genere descritto

soprattutto se non si è potuto denunciare colui dal quale si è stati traditi, usati, umiliati e – senza esagerare – schiacciati.

Quando ero adolescente, non ho incontrato nessuno che mi aiutasse

almeno con informazioni come queste che potessero farmi prevedere per tempo gli aspetti fondamentali delle situazioni che vivevo

(menzogne, vantaggi e svantaggi), pertanto non ho potuto scegliere.

Se io avessi letto a 16 anni anche solo questa lunga testimonianza,

essa mi avrebbe consentito una vita molto diversa... Molte cose mi

bloccarono in quegli anni, al di là dei familiari: l’età; le esperienze dolorose già vissute; il cambiamento totale di ambiente e il carattere

irrazionale di molti dei discorsi che sentivo; la fase in cui mi trovavo

del percorso di studi e la spesa iniziale fatta per essi; le attitudini adatte solo in parte al mondo del lavoro; il fatto di conoscere solo

coetanei studenti con solo due eccezioni non imitabili per me;

l’ignoranza con cui ero cresciuta di testi fondamentali che avrebbero potuto aiutarmi e di Internet; le difficoltà nel comunicare; il non aver

mai sentito parlare di movimenti religiosi e di sétte di quel tipo (ciò

mi impedì di prevedere anche solo in minima parte quanto successo e mi spinse a voler capire troppo una volta compreso di essere stata

rovinata, rimanendo anche per questo intrappolata lì a lungo). Con il

senno di poi, tornata indietro sarei pronta a sopportare qualunque sofferenza piuttosto che rimanere a contatto con chi mi calpestava in

quel modo e certamente rinuncerei anche al diploma e, se ferita,

denuncerei a costo di rimetterci e di non avere giustizia, perché denunciare in questi casi è l’unico modo per stabilire un punto fermo

da cui cominciare a costruire un rapporto di rispetto e amore per se

stessi e perché è doloroso sopportare sia un rancore inevitabile non sfogato, sia la consapevolezza di non aver fatto nulla per impedire a

questa “psicologa” di invadere la vita di altri ragazzini plagiandoli o

umiliandoli, diffamandoli e spingendoli con le azioni e con la voce al suicidio: questa persona oggi ha due case ONLUS per ragazzi e una

specie di chiesa privata in pieno centro storico vicino a uno dei

palazzi più noti della città…e nel 2007, dopo più di 5 anni dai nostri ultimi contatti, mi telefonò per dirmi che io, secondo lei, sarei dovuta

andare in comunità psichiatrica o in un ospizio, avendo saputo che

stavo per finire per strada in condizioni fisiche che mi limitavano e causavano sofferenza (avevo sviluppato malattie croniche, che,

ulteriormente peggiorate, oggi sono ancora un grande peso, e la

violenza dei miei familiari, che era arrivata ad essere fisica, era in quel periodo costituita anche da minacce di omicidio esplicite e

continue).

Tutta l’evoluzione di questo gruppo, fatti gli opportuni aggiustamenti dovuti al contesto ristretto, è in modo sorprendente simile nei

dettagli a quella di molti gruppi politici e organizzazioni “religiose”

responsabili di enormi danni anche troppo noti (almeno a chi studia la Storia e sfoglia la saggistica soprattutto contemporanea e opere

letterarie impegnate). Si dovrebbe riflettere meglio sul meccanismo mortifero del gruppo,

per usare l’espressione di Ignazio Silone

Probabilmente è troppo sperare che qualcuno dei ragazzi da lei coinvolti voglia e possa testimoniare e documentare oggi legalmente

almeno in parte quanto lei ha fatto o fa, ma di certo tutti coloro che

sono o sono stati in contatto con lei hanno la responsabilità morale e legale di farlo, e se qualcuno, o anche molti, di loro sono convinti di

avere ricavato del “bene” dalle sue iniziative ciò non ha la minima

importanza, perché quando si tratta di violenza di questo tipo non si può ragionare con le percentuali (al contrario di quanto ritiene

questa donna, le persone non sono numeri e questo è vero in assoluto

e anche per la legge). Del resto, una volta documentate le sue azioni più pericolose per i

ragazzi o le sue affermazioni meno in linea con i valori e il credo

cattolici, si potrebbe informarne il Papa, del cui nome lei abusa, e inoltre avvisare chi gestisce le chiese della sua città (che diritto ha,

infatti, un gruppo così lontano di fatto dal cattolicesimo, oltre che dal

cristianesimo, di sfruttare il nome del Papa e di utilizzare una chiesa consacrata come se fosse uno spazio privato, per quanto alcune sue

attività possano essere amministrate da alcuni preti? É anche

possibile, del resto, che i sacerdoti coinvolti ignorino buona parte delle idee e delle azioni dei componenti o quelle della “leader”.

Consiglio di consultare la pagina online http://www.slideshare.com/citazioni-molto-utili: vi si possono

leggere molte citazioni da capolavori letterari e da testi di altro

genere che aiutano a riflettere da punti di vista molto validi su questioni importanti sempre attuali (alcuni spunti di riflessione sul

rapporto con il concetto di Dio, sulla Chiesa e sui gruppi religiosi

sono concentrati soprattutto alla fine del gruppo “Giudicare” e di quello “Intelligenza e coraggio” e tra le citazioni sparse in tutto il

documento tratte da opere di Ignazio Silone).

Dal documento http://www.slideshare.com/citazioni-molto-utili,

riporto le seguenti citazioni particolarmente pertinenti, la cui lettura

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mi fu di conforto anni dopo la mia uscita dal gruppo e di cui avrei

voluto poter disporre quando incontrai questa “psicologa” :

A) Psicologia e alchimia (C. G. Jung)

L’esigenza dell’”Imitatio Christi” (…) dovrebbe mirare allo sviluppo

dell’uomo interiore, ma viene ridotta dal fedele, con la sua superficialità e con la sua tendenza a una schematicità meccanica, a

un oggetto di culto esteriore (…) Un malinteso superficiale offre al

singolo una comoda via: di “buttare” letteralmente su Cristo i propri peccati e di schivare così una responsabilità più profonda, in piena

contraddizione con lo spirito del cristianesimo (…) Può verificarsi

che un cristiano, per quanto creda a tutte le sacre figure, pure rimanga senza evoluzioni e senza mutamenti nell’intimo della sua

anima, poiché ha “tutto Dio fuori” e non ne fa nell’anima

un’esperienza viva (…) I suoi impulsi decisivi e interessi scaturiscono dalla sua anima non sviluppata e inconscia, più pagana e

arcaica che mai e in nessun modo della sfera del cristianesimo (…)

Lodare e predicare la luce non serve a nulla se non c’è nessuno che possa vederla. Sarebbe invece necessario insegnare all’uomo l’arte di

vedere (…) E si sa che con gli esercizi rigorosi e con certe prediche

di parte cattolica (…) vengono provocati danni psichici che non portano nel Regno di Dio, ma nello studio del medico (…) Bisogna

invece tornare a riconoscere in sé gli archetipi che sono alla base del

dogma o che sono reali e documentabili.

B) Uscita di sicurezza ( I. Silone)

Il meccanismo mortifero è sempre lo stesso: ogni gruppo sorge in difesa di un ideale, ma strada facendo si identifica con esso e poi vi si

sostituisce, ponendo al vertice di tutti i valori il proprio interesse

(…)La tirannia dei mezzi sui fini è la morte dei fini. La riduzione dell’uomo a strumento dà un carattere mistificatorio a ogni pretesa di

voler assicurare un bene (…) Servirsi degli oppressi come sgabello

per il potere e poi tradirli è indubbiamente il più iniquo dei sacrilegi. A un certo punto smettono di contare gli iscritti e conta solo

l’apparato (…) Ogni organismo di umanità coatta attorno al principio

di autorità implica una buona dose di doppiezza. Il sincero che conservi per miracolo il nativo spirito critico e persista ad applicarlo

anche in buona fede, si espone alle penose e contraddittorie traversie

del non conformista e, prima di consumare la definitiva sottomissione o l’abiura liberatrice, deve soffrire ogni specie di

triboli. La demoralizzazione sofferta tra ambiguità e reticenze e la diffidenza verso i più proclivi a capitolare a ogni pretesa, finisce col

produrre l’effetto che chi protesta e viene espulso o se ne va, si trova

ad agire in condizioni confuse e penose senza possibilità di esprimersi sul vero fondo della questione e senza rendersi conto

pienamente delle conseguenze (…) Magari spinto dal risentimento

verso l’ingiusto trattamento, si troverà spinto a gesti e parole che sembreranno darne una giustificazione postuma. La diffamazione

spesso è graduata dalla pericolosità della vittima, come arma

polemica per neutralizzare un’eventuale azione disgregatrice (…) con versioni alternate a seconda ch i discorsi siano piaciuti o no (…)

Finchè egli si muove nella medesima sfera psicologica dell’autorità

con cui è in conflitto può illudersi comunque che il proprio dissenso sia limitato in nome di comuni principi, delle origini; ma più tardi,

liberato da ogni vincolo, se l’assisterà il coraggio di risalire dagli

effetti alle cause, egli si renderà conto che la sua insofferenza obbediva a motivi ben più oscuri e i dogmi gli appariranno in

tutt’altra luce (…) Per finire ci si libera (…) come si guarisce da una

nevrosi. (…) Su certi spiriti pavidi, fosche previsioni di isolamento hanno un effetto intimidatorio. Ho ritrovato un giusto rapporto con

gli altri solo dopo l’uscita (…) Si sbaglia di grosso chi chiede di

uscire dalla solitudine accettando di figurare in raduni (…) La vera solitudine è quella prodotta dalla menzogna (…) Un sentimento di

reale compresenza degli altri in noi stessi è un fatto intimo della

coscienza (…)Anche la rivolta per impulso di libertà può essere una trappola, mai peggiore però della rassegnazione (…) Le teorie sono

transitorie, ma i valori sono permanenti. (…) La distinzione tra teorie

e valori non è ancora abbastanza chiara nelle menti di coloro che riflettono a questi problemi, eppure mi sembra fondamentale. Sopra

un’insieme di teorie si può costruire una scuola e una propaganda,

ma sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una civiltà. Non concepisco più teorie (…)È anzitutto necessario essere in pace

con la propria coscienza (…) Il passato, con le profonde ferite che ci

ha lasciato, non dev’essere per noi motivo di debolezza. Non dobbiamo lasciarci demoralizzare dalle colpe, dalle ignavie, dalle

sciocchezze dette o sentite. A partire dal momento che la nostra

volontà è pura, una nuova forza può nascere proprio dal peggio di noi

stessi (…)Un uomo che vidi soffrire anche per opera dei compagni

per molto tempo mi ha confidato alla fine del racconto delle sue sofferenze, con voce di chi comunica una grande scoperta, una verità

di giustizia e fratellanza vecchia di molti secoli per lui appena nata e

nata bene. Nelle prove più tristi della vita ci salviamo appunto per avere conservato nell’anima il seme di qualche certezza

incorruttibile. Durante il tempo dell’abiezione, esso è il nostro

tormento segreto (…) Quando i valori vengono invocati solo per puntellare gli interessi e ostentare sentimenti senza profonde radici,

si può arrivare a pensare di dover obbedire a un ottimismo

menzognero (… )L’inibizione è più micidiale della sincerità (…) Se una panacea dei mali non esiste, è già molto questa fiducia che

consente di andare avanti, di vedere dove posare i piedi per

camminare (…) Non dovrebbe essere difficile riconoscere da che parte sia la speranza (…) ciò che favorisce la libertà, la responsabilità

personale (…) Libertà è poter sbagliare, dire no a qualsiasi autorità.

C)La cedola falsa (L. Tolstoj)

Aveva seguito il corso completo all’Accademia Ecclesiastica e perciò

non credeva più da tempo a quanto andava professando e predicando, credeva soltanto alla necessità che tutti si costringessero a credere in

ciò in cui lui stesso si costringeva a credere (…) Quanto più

condannava la mancanza di fede, tanto più si convinceva della saldezza e dell’incrollabilità della fede che professava e tanto meno

avvertiva l’esigenza di verificarla o di vivere come essa comandava.

Quella fede che tutti nel suo ambiente gli riconoscevano diventava per lui il principale strumento di lotta contro chi la rinnegava.

D)Avventura di un povero cristiano (I. Silone) S.C.: Lo spirito santo si era dunque sbagliato?

F.L.: No. Egli è infallibile. E perché non ammettere che anche questa

abdicazione sia stata ispirata da lui? Ma non è lo Spirito Santo che detta la scelta del Papa?

P.C.: Ma si vede che da quell’orecchio i cardinali adesso non ci

sentono.

F)Racconto Grazia in Gente di Dublino (J. Joyce)

Ci sono stati dei cattivi papi (…) ma la cosa che stupisce è che nessuno di loro ha mai predicato ex cathedra una parola di falsa

dottrina (…) L’infallibilità del Papa è il fenomeno più straordinario di tutta la storia della Chiesa. Nel sacro collegio dei cardinali ecc., ce

n’erano due di parere contrario (…) cocciutamente si opponevano

finché a un certo punto il Papa stesso si alzò e dichiarò l’infallibilità ex cathedra.

G)Il castello (F. Kafka) Uno dei princìpi che regolano il lavoro dell’amministrazione è che

non si deve mai contemplare la possibilità di uno sbaglio.

H)Cristiani: da martiri a persecutori (M. Firpo) nel sito dei monaci

di Fonte Avellana

Ancora il Sillabo di Pio IX nel 1864 aveva definito la libertà di coscienza “delirio e libertà di perdizione” (…) I teologi hanno usato

la Bibbia per far dire a Dio ciò che le contingenze politiche

rendevano opportuno. Dai pogrom antiebraici alle Torri di New York non si contano le schiere di legittimati da qualche autorità.

I) Il dottor Zivago (B. Pasternak) Anche se c’è ancora gente di ingegno, ogni gregarismo è il rifugio

della mediocrità (…) Solo gli isolati cercano la verità e rompono con

chiunque non la ami abbastanza.

L) L’avventura di un povero cristiano (I. Silone)

Nelle parabole del Vangelo le relazioni tra gli uomini sono sempre personali e dirette (…) Io non so concepire relazioni cristiane che

non siano relazioni personali (…) non di cose ma di anime (…)

Spetta a noi salvaguardare la possibilità di intendersi (…) Io non posso trattare gli altri come oggetti e come sudditi (…) Se mi viene

sottoposto il caso di una persona qualsiasi ed io sento che dalla mia

decisione può dipendere la sua salvezza o rovina, come posso procedere alla svelta? Non ha importanza che mi sia sconosciuta (…)

bisogna conversare con essa, cercare di conoscerla (…)

L’aspirazione a comandare, l’ossessione del potere è, a tutti i livelli, una forma di pazzia (…) soprattutto se si aspira al potere a fin di

bene (…) C’è solo il bene; non c’è a fin di bene (…) Non si può

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ammazzare a fin di bene. Ogni comunità genera aspirazioni di

potenza (…) Allo scopo di servire l’incremento della comunità,

vengono accettati continui compromessi per ambizioni dei capi ed esigenze del gruppo. Gli egoismi si sommano. Un ricco donatore

criminale diventa impossibile condannarlo

M) L’eredità cristiana (I. Silone)

Stando fuori, sottratto alla suggestione mentale della società chiusa e

respirando aria libera, il limitato dissenso è gradualmente esteso all’impalcatura. Quel che nella mente rimane, si estende fuori di ogni

chiesa o partito, non può essere dichiarato in forma di credo (…) ed è

come demitizzato, ridotto alla sua sostanza morale.

N) Vino e pane (I. Silone)

Non c’è altra salvezza che andare allo sbaraglio (…)Non bisogna essere ossessionati dall’idea di sicurezza, neppure delle sicurezza

delle proprie virtù: vita spirituale e vita sicura non stanno assieme.

Per salvarsi bisogna rischiare (…) Siamo responsabili anche per gli altri.

O) Ritratto dell’artista da giovane (J. Joyce) Il cuore di Stephen cominciò lentamente a richiudersi e a languire

dalla paura, come un fiore che appassisce (…) Il rettore (…) guardò

in modo penetrante a destra e a sinistra (…) con i suoi occhi austeri. Nel silenzio il loro fuoco oscuro accendeva la penombra di un fulvo

splendore. Il cuore di Stephen era appassito come un fiore del deserto

che sente il simun venire da lontano (…) Vivere, errare, cadere, trionfare, ricreare la vita dalla vita! Un angelo

selvaggio gli era apparso (…) La sua anima si abbandonava in un

nuovo mondo (…) Un mondo, uno scintillio, o un fiore? Scintillando e tremolando, tremolando e aprendosi, (…) fiore in boccio, si spiegò

(…) cremisi (…) a petalo a petalo (…) dilagando in tutti i cieli.

Gli parve (…) di vedere (…) una profezia del fine che era nato per servire (…), un simbolo dell’artista (…), un nuovo essere alato (…)

La sua anima fuggì in volo. (…) Il corpo (…) era purificato (…),

liberato da ogni incertezza e reso raggiante e misto dell’elemento dello spirito (…) Questo era il richiamo della vita alla sua anima, non

la sorda voce brutale del mondo di doveri e di disperazioni, non la

voce disumana che lo aveva chiamato al pallido servizio dell’altare. Un attimo di volo estatico lo aveva liberato (…). Ora (…) il terrore in

cui aveva camminato notte e giorno, l’incertezza che lo aveva circondato, la vergogna che lo aveva avvilito spiritualmente e

fisicamente; che cosa erano, se non (…) lini della tomba? (…)

Una nuova vita gli cantava nelle vene (…) Dove era l’anima che aveva esitato dinanzi al suo destino, per (…) regnare nella sua

dimora di squallore e sotterfugio (…) ? Dove era quel suo io? (…)

Aveva udito intorno a sé in continuazione le voci del padre e degli insegnanti, che lo esortavano a essere (…) soprattutto un buon

cattolico. (…) Aveva udito un’altra voce esortarlo a essere forte,

virile e sano (…) Un’altra voce ancora gli aveva ordinato a essere fedele al suo Paese (…) Una voce mondana gli avrebbe ordinato di

risollevare con il suo lavoro la condizione del padre e, intanto, la

voce dei ragazzi a scuola lo esortava a essere un buon compagno (…) Queste voci gli suonavano ormai vacue nelle orecchie (…) Era lo

strepito di tutte queste voci vacue che lo faceva fermare indeciso nel

suo inseguimento di fantasmi (…) Niente del mondo reale lo muoveva o gli parlava, se non udiva in esso un’eco delle sue

furibonde urla interiori. (…)

L’anima (…) ha una nascita lenta e oscura, più misteriosa della nascita del corpo. Quando nasce (…) le vengono gettate reti per

impedirle di fuggire (…) Io cercherò di fuggire a quelle reti (…)

Era sfuggito alle sentinelle che avevano fatto la guardia alla sua adolescenza (…) per asservirlo ai loro fini (…)

“Questa razza, questo paese e questa vita mi hanno prodotto” disse.

“Esprimerò me stesso come sono” (…) Non servirò (…) cercherò di esprimere me stesso in qualche modo di vita o di arte il più

liberamente e il più compiutamente possibile.

P) Tu sei il mondo (Osho)

Le conoscenze di oggi saranno inutili domani. Ogni conoscenza, nel

momento in cui la acquisisci, è già vecchia. Per cui io non cerco di trasmetterti alcuna conoscenza, ma di creare ricettività (…) capacità

di imparare (…) prontezza a rispondere alla vita (…) L’esistenza non

si adatta ad alcun concetto, ad alcuna teoria. Se un cristiano viene da me, ci saranno problemi, ci sarà confusione, perché ha già il suo

cristianesimo. Mi ascolterà solo attraverso quel filtro e separerà di

continuo quello che è in accordo e quello che non lo è. Pensa di

essere già arrivato. E cercherà di valutare se io ho ragione o no. Ci

sarà confusione. Se non ti sei ancora realizzato, se la tua conoscenza è fittizia e riconosci il fatto che non si tratta di reale conoscenza, ma

di informazioni che hai raccolto qui e là, e che di fondo sei ignorante,

allora metti da parte le informazioni. Io non ti do una conoscenza specifica. Ti do la capacità di conoscere (…) Tu pensi di sapere un

mucchio di cose e non sai nulla (…) Lascia che questa domanda

diventi la tua meditazione: che cosa so davvero? (…) E non cercare di barare (…) Se qualcosa è reale, non potrà non creare confusione,

perché la realtà è così vasta che contiene contraddizioni. E se

qualcosa è molto chiaro, stai attento! Sarà una finzione (…) Solo le cose morte sono chiare (…) Una persona è apertura. Chi può dire

cosa sarai domani? (…) Dimentica completamente la chiarezza. La

confusione è caotica, certo… fa paura, ma è anche un’avventura, una sfida. Accetta la sfida e vai. Non prestare troppa attenzione alla

confusione. Concentrati sulla felicità. Dovunque ci sia felicità, c’è

anche dio. Ascoltala, dunque (…) Se ti conduce al caos, va bene. Dalle il benvenuto, perché dovunque ti conduca, ti porterà a dio (…)

Continua a eliminare, finché non arriverai a qualcosa che sai e anche

se non troverai nulla non preoccuparti (…) Chi potrà confonderti, se non sai nulla? (…) Se non sai, ascolterai e (…) esisteranno la

curiosità, uno stimolo a cercare, un richiamo, un’invocazione,

un’avventura (…) Maturare significa far propri gli interrogativi che affiorano

spontaneamente in noi, perché parte della nostra natura di esseri

umani in evoluzione e assumersene la responsabilità (…) A volte per nostra sfortuna, troviamo una risposta che ci acquieta, che lenisce un

po’ la nostra ansia, facendo così una ricerca che sarebbe bene non

ostacolare, ma vivere fino in fondo. Accettare intimamente, pur muovendosi a tentoni, brancolando in un buio atavico, senza sapere

cosa può essere utile e cosa danneggiarci irreparabilmente: rischiare,

inciampare, cadere, andare fuori strada sono parte del nostro percorso di vita. Alla base di quel perenne rimuginare, sembra esserci la

ricerca della pace, di una quiete in cui potersi finalmente immergere;

ecco perché facilmente stanchi, travolti dal perenne turbinare che caratterizza il nostro agire, identifichiamo la quiete con una sorta di

rigidità cadaverica, dove nulla più si muove e quella diventa la nostra

più segreta aspirazione; (…) dimentichiamo che la quiete reale è l’occhio del ciclone: una cristallizzazione cosciente all’interno di

un’assoluta fluidità..

Q) http://www.slideshare.com/astrologia-per-autoanalisi

È indispensabile liberarsi dei legami che si sono trasformati in buona parte da risorse in ostacoli o impedimenti per valorizzare ciò che

apporta benessere e avvicina alla personale realizzazione, per quanto

di poco si disponga. Le relazioni più significative con gli altri possono creare limiti nell’espressione di alcune parti di sé: le persone

possono aumentare le energie, fornendo sostegno e positività, o

possono sottrarle, in un processo di svalutazione e sabotaggio. Spesso alcune persone compaiono in momenti particolari della vita,

offrendo la possibilità di un cambiamento (…): l’intuito, se è il

riflesso di un’armoniosa connessione interiore, mette nelle giuste condizioni per riconoscere la persona che è entrata, anche solo un

frammento di tempo, nella propria vita e le emozioni che essa suscita

(per esempio fiducia nell’altro e in sé, amore o appunto paura e disagio, sospetto o dipendenza) sono un sistema interiore da

utilizzare per interpretare il significato dell’incontro, purché non si

basi il giudizio solo su di esse. Un altro modo di interpretare bene un incontro è osservare gli esiti delle azioni eseguite su consiglio della

persona conosciuta o in relazione a lei: incidenti o esiti

particolarmente negativi spesso indicano che frequentare quella persona avrà conseguenze deleterie (non indicano solo che essa non

sa comprendere il carattere e le esigenze di chi pretende di guidare o

coinvolgere o che manca di saggezza o equilibrio, ma spesso anche che inconsciamente si sente di dover allontanarsene e così, sempre a

livello non cosciente, si provoca da sé lo sbaglio o la sfortuna, un po’

come quando si cerca di attuare un proprio progetto senza sentirsela o considerarlo davvero necessario e adeguato a sè. A volte è proprio

indispensabile allontanarsi in fretta, proprio come è fondamentale

frenare le tendenze del proprio modo di essere più esteriore quando tradisce profondamente l’io interiore. Una delle cose peggiori da fare

è bloccare o cristallizzare la comunicazione per paura di

destabilizzare la relazione o una situazione, perché tacere è mortificarsi e pone il seme di astio e recriminazione e indebolisce e

poi perché meccanismi troppo razionali e controllanti contrastano il

Page 7: Rischi gruppi cristiani e religiosi

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concetto di spontaneità che è alla base del benessere e di una

relazione appagante (…) A volte un comportamento o un rapporto

risultano deleteri anche solo perché non hanno una precisa e valida giustificazione, perciò quando non si vede un buon e chiaro motivo

per stare in un ambiente che crea anche disagi bisogna allontanarsi e,

se nel frattempo si è subito un danno grave, si deve ricordare che ci sono molti modi per informarsi a distanza di sicurezza nel tempo

quanto basta per inquadrare l’accaduto, distaccarsene emotivamente,

trarne insegnamento e combattere chi è responsabile del male ricevuto e delle sue conseguenze, mentre restando si può rischiare un

danno profondo e duraturo e indebolirsi al punto da non poter più

reagire in alcun modo: occorre seguire non solo i ragionamenti altrui, ma anche gli sviluppi delle loro vicende per giudicare secondo un

metro non personale e così fermare il flusso delle cose anziché

seguirlo, ma è importante non tentare di capire ciò che non si riesce a capire, guardare solo ai fatti, alle azioni nel complesso mantenendo

sempre una certa distanza, senza voler scandagliare l’animo e le

recondite motivazioni di chi dice una cosa e poi ne fa un’altra e si comporta ambiguamente in modo contraddittorio, perché ciò non

solo è tempo perso, ma spesso significa cadere e rimanere impigliati

in una trappola tesa dagli altri, consapevolmente o meno. Commenti e critiche possono stimolare a rendere più efficaci il punto

di vista e le azioni, ma se alla base di queste pressioni c’è una

volontà di comando e di prepotenza che non rispetta le esigenze e la natura personali, queste possono trasformarsi in una gabbia mentale:

per adeguarsi alle aspettative degli altri si sprecano inutilmente molte

energie… Limitazioni potrebbero derivare anche dai modelli proposti dai

media, dalle scuole o dalle religioni e allora bisogna essere fermi nel

riconoscere che la propria direzione può discostarsi di molto dai percorsi intrapresi dalle altre persone, imparare a gestire le emozioni

senza frequentare chi cerca di imporre agli altri la sua ricetta contro i

mali del mondo o si presenta come santo o esperto in intimità magari perché professa una fede o ha conseguito una laurea in Psicologia e

facoltà affini.

Anche quando si tratta di semplici gusti come musica e letture, è necessario darsi il tempo di conoscersi bene, facendo per esempio

periodicamente il vuoto di attività e interessi, come condizione

perché quelli più adatti a sé emergano in modo naturale. Ritrovare se stessi e vivere su un piano di assoluta autenticità è il

modo più diretto per sentirsi ed essere liberi. Libertà significa essere se stessi pienamente in ogni luogo, in ogni momento, è arricchire

l’universo con il proprio punto di vista: passare dalla teoria alla

pratica significa assumersi la responsabilità di essere liberi in quanto veri, a costo di scontentare qualcuno, di rinunciare a qualcosa e di

commettere errori.

R) Lo sviluppo della personalità (C. Jung)

In materia di psicologia non si comprende se non ciò che si è

sperimentato a livello personale. Il che però non dissuade nessuno dall’idea che il proprio giudizio sia l’unico vero e competente (…)

Se si portano alla coscienza contenuti inconsci, si produce

artificialmente una condizione molto simile a una malattia mentale, (…) perciò si deve sapere dove si possa rischiare senza danni un

simile intervento. Se da questo punto di vista non ci sono rischi, non

siamo comunque ancora al riparo da qualsiasi pericolo. Uno degli effetti più consueti quando ci si occupa di contenuti inconsci è quello

che Freud ha definito traslazione/ transfert. In senso stretto la

traslazione è una proiezione di contenuti inconsci su colui che analizza l’inconscio.(…) Svariatissime dinamiche (….) creano

nell’individuo da analizzare un legame con chi l’analizza. Questo

legame, se trattato nel modo sbagliato, può diventare un ostacolo estremamente increscioso. Spesso ha già perfino provocato dei

suicidi. (…) Possono diventare coscienti (,….) conflitto e (…) odio

(…)per i genitori. L’individuo cade così in un insopportabile vuoto di relazioni e si attacca disperatamente all’analista, per avere perlomeno

tramite lui un rapporto con il mondo (….)

Con la madre (…) una sorta di legame stretto, sotterraneo, (…) si esprime spesso (…) nell’attardarsi dello sviluppo. (…) L’evoluzione

della personalità rifugge da un simile legame inconscio e infantile,

perché nulla è maggiormente d’ostacolo allo sviluppo che restare in uno stato inconscio. (…) Perciò l’istinto afferra la prima opportunità

che si presenta per sostituire la madre con un altro oggetto. (….)

Questo bisogno naturalmente è ancora più grande in un caso in cui il legame infantile minaccia di diventare nocivo.