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ACLI Anni Verdi Pro Loco - Bernalda Riqualificazione e salvaguardia dei litorali: idee, proposte e confronti tra esperienze mediterranee Testi riuniti da Antonio Trivisani e Vito Petrocelli ATTI DEL SEMINARIO DI BERNALDA (MT) Patrocinio: Regione Basilicata – Amministrazione Provinciale di Matera – Comune di Bernalda

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ACLI Anni Verdi Pro Loco - Bernalda

Riqualificazione e salvaguardia dei litorali: idee, proposte e

confronti tra esperienze mediterranee

Testi riuniti da Antonio Trivisani e Vito Petrocelli

ATTI DEL SEMINARIO DI BERNALDA (MT)

Patrocinio: Regione Basilicata – Amministrazione Provinciale di Matera – Comune di Bernalda

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SEMINARIO DI STUDIO

Riqualificazione e salvaguardia dei litorali: idee, proposte e

confronti tra esperienze mediterranee

Atti del seminario di Bernalda

11 dicembre 1999 Aula magna Liceo Scientifico “M. Parisi”

Atti editi e stampati a cura di Antonio Trivisani e Vito Petrocelli Stampa digitale eseguita presso PUMA - Matera

Gennaio 2003

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Presentazione Le numerose presenze registrate e le importanti relazioni svolte dai vari relatori, sono la normale conseguenza del grande interesse scientifico che il seminario ha suscitato. La professoressa Maria Amorigi, preside del Liceo Scientifico Matteo Parisi, ha portato il saluto della scuola ed ha ringraziato il prof. Giuliano Fierro, responsabile nazionale dei progetti MIUR, per la grande sensibilità dimostrata intrattenendo, prima dell’inizio dei lavori, le scolaresche del Liceo. A queste il prof. Fierro ha illustrato gli elementi che costituiscono il bene costa ed i fenomeni che mettono a rischio l’esistenza di questi ambienti naturali, che per la loro unicità meritano tanta attenzione. Il prof. Mauro Fiorentino, nel porgere il saluto dell’Università di Basilicata, ha auspicato che il seminario sia anche occasione per una proficua collaborazione con l’Ateneo di Basilicata, che è attento ed interessato ai fenomeni che riguardano la fascia costiera metapontina. L’ing. Gianni Antenore, assessore ai LL.PP. del Comune di Bernalda, ha ringraziato i relatori per l’attenzione prestata alla fascia costiera di Metaponto ed ha ribadito la necessità che il seminario sia l’inizio di una più proficua collaborazione con il Comune di Bernalda, al fine di suggerire interventi che tutelino questo grande bene collettivo coniugando salvaguardia e attento sviluppo turistico. Il dott. Carlo Chiurazzi, assessore alle Attività Produttive della Regione Basilicata, ha ringraziato gli intervenuti che con le loro relazioni, ricche di contenuto scientifico, hanno contribuito a dibattere il problema dell’erosione costiera, che interessa non solo il comune di Bernalda, ma l’intero arco ionico della Basilicata e a cui la Giunta Regionale presta attenzione. Nel tempo intercorso tra la celebrazione del seminario e la redazione degli atti è venuto a mancare prematuramente il prof. Franco Amatucci del Dipartimento Ingegneria e Fisica dell’Ambiente dell’Università di Basilicata. A lui gli organizzatori ritengono doveroso dedicare questi atti, per esprimere la propria stima ad un uomo di grande umanità e capacità scientifica che ha profuso tanto impegno per lo svolgimento dei lavori.

Antonio Trivisani

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Relazione di apertura

G. Fierro

Dipartimento Scienze della Terra – Università di Genova Fin dagli anni '30 sono state compiute ricerche sulle spiagge italiane, ma solo nel Sottoprogetto “Dinamica dei Litorali” afferente al Progetto Finalizzato “Conservazione del Suolo” si è composto un quadro d'insieme unitario. Le ricerche, proseguite nell'ambito dei progetti coordinati d'interesse nazionale del M.P.I. (oggi M.U.R.S.T.), hanno portato nel 1992, a seguito di finanziamento C.N.R. (Progetto Strategico “Clima Ambiente e Territorio nel Mezzogiorno”) al completamento dell'ATLANTE DELLE SPIAGGE ITALIANE, che consta di n.108 Fogli. La base è data dalle carte I.G.M. alla scala 1:100.000, in quanto i singoli fogli hanno una data di rilevamento topografico sufficiente-mente omogenea. Le principali informazioni fornite dall'Atlante si possono così condensare: Opere umane. E' messo in evidenza lo stato dell'occupazione della fascia litorale e sono segnalate tutte quelle opere che hanno un qualche rapporto con il regime, la dinamica e l'evoluzione delle spiagge, ivi comprese le dighe e l'escavazione d'inerti dai litorali e dagli alvei fluviali. Tipi naturali. Sono evidenziate le caratteristiche geomorfologiche di dettaglio della spiaggia emersa e sottomarina tra cui: variazioni recenti della linea di riva, tendenze evolutive della spiaggia emersa e dei fondali, subsidenza. Dinamica idrologica e sedimentaria. Sono riportati: il verso del trasporto lungo riva e al largo dei sedimenti, le caratteristiche tessiturali dei sedimenti sottomarini, le province

petrografiche e le portate liquide e solide dei corsi d'acqua. Anche da un’analisi speditiva dell’Atlante appare evidente come la situazione dei litorali italiani (5.961 km di litorale indagato, di cui il 61% è costituito da spiagge ed il rimanente da coste alte e/o rocciose) non sia del tutto tranquillizzante. L’estesa urbanizzazione, che oramai in alcune regioni, come l’Emilia-Romagna, coinvolge buona parte della fascia costiera, ha profondamente trasformato l’ambiente litorale determinando un irrigidimento del sistema. Inoltre lo sviluppo, nell’ultimo cinquantennio, d’estesi ed intensi fenomeni erosivi ha determinato la costruzione di molteplici opere di difesa che hanno recato profonde trasformazioni nella dinamica idrosedimentaria litorale. Dei 3.612 km di spiaggia circa il 27% (997 km) è interessato da fenomeni erosivi e solo il 3% risulta in avanzamento; visto che circa il 70% (2.456 km) delle spiagge sono sostanzialmente stabili, la situazione italiana, apparentemente, non desta particolari preoccupazioni. Una più attenta lettura rileva però come quest’ultima percentuale sia fortemente incrementata dall’esten-sione delle spiagge protette. La Basilicata con il Molise sono le regioni italiane che hanno il minor sviluppo di territorio costiero (meno di 50 km), ma la Basilicata presenta la più alta percentuale di spiagge in arretramento di tutto il territorio nazionale (circa il 74%). Quest’ultimo dato è certamente implementato dal fatto che, per fortuna o sfortuna, le

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

opere di difesa sono quasi del tutto assenti. L’opera si rivolge particolarmente ai tecnici delle pubbliche ammini-strazioni e degli enti locali, agli operatori nel campo della pianificazione, agli operatori turistici, ai progettisti d’opere marittime, a tutti i fruitori del territorio costiero ed ai ricercatori che si occupano di mare e di coste. La sua finalità è anche quella di suggerire elementi per una più

adeguata legislazione protettiva per un affinamento della progettazione d’opere marittime. Inoltre, pur mantenendo la sua validità nelle aree già soggette ad intensa urbanizzazione, può costituire un importante strumento di base per quelle zone, soprattutto dell’Italia meridionale, dove è ancora possibile la pianificazione d’aree poco antropizzate.

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SEMINARIO DI STUDIO

Metaponto: monitoraggio della spiaggia 1994/1999

A. Trivisani1 e U. Tessari2

1Pro Loco Bernalda – ACLI Anni Verdi

2Dipartimento di Scienze Geologiche e Paleontologiche – Università di Ferrara

L’impegno di molte persone e di Associazioni senza scopo di lucro nel porre con forza all’attenzione delle forze politiche e degli Amministratori locali lo stato critico del litorale costiero Metapontino, con particolare riferimento al tratto di costa compreso tra il fiume Basento ed il fiume Bradano, nel Comune di Bernalda, ha portato ad un costante ed assiduo monitoraggio sino a partire dal 1994. Il tratto di litorale monitorato riguarda la parte prospiciente Metaponto Lido per uno sviluppo lineare complessivo di circa 3800 metri. Il fenomeno erosivo, in crescente evoluzione, è stato oggetto di periodiche e puntuali misurazioni i cui dati, anno dopo anno, sono stati portati, anche a mezzo stampa, a conoscenza della collettività. Si sono inoltre organizzati, negli anni passati, una serie di incontri e dibattiti sul tema, i cui atti sono stati oggetto di successive pubblicazioni. A seguito del convegno “Il precario equilibrio del litorale metapontino: problemi e prospettive” del gennaio 1996 è scaturita la pubblicazione di “Linee guida per lo studio e la gestione del litorale Jonico”. In tale pubblicazione, nata dalla collabo-razione di ricercatori afferenti a diversi Enti di ricerca nazionali, si evidenzia soprattutto l’importanza dello svolgimento di una corretta fase di studio preliminare, avente come scopo l’analisi dell’attuale stato ambientale, sulla scorta di quanto avvenuto in passato e sulla

comprensione delle dinamiche relative agli elementi ambientali che presiedono lo sviluppo del territorio. Tale fase, se svolta precedentemente agli interventi di ripristino veri e propri, fornisce agli Amministratori territoriali, ed ai progettisti stessi, una serie di informazioni indispensabili per affrontare in maniera mirata e ambientalmente “compatibile” la pianificazione degli interventi di riqualificazione territoriale. Nell’anno successivo, invece, è stato promosso un ulteriore momento di riflessione sul degrado ambientale in cui riversa il litorale del Comune di Bernalda con il convegno dal titolo “La pineta litoranea metapontina tra fruizione turistica e salvaguardia”. Le tematiche illustrate in questo contributo hanno, quindi, come scopo principale quello di contribuire, alla luce dei risultati derivanti dal monitoraggio negli ultimi cinque anni, a dissipare dubbi e perplessità circa la necessità di porre in essere, senza ulteriori indugi, azioni capaci di lenire i danni causati dall’erosione marina. Allo stato attuale l’arenile di Metaponto è quasi completamente inesistente: la spiaggia è limitata ad una piccola lingua di terra di profondità irrisoria e comunque non più capace di consentire uno sfruttamento turistico compatibile Foto 1). Foto 1 – Situazione attuale della spiaggia di Metaponto (foto A. Trivisani).

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

A questo punto è opportuno puntualizzare che la tendenza al continuo ed inarrestabile processo erosivo è evidente sino dalle rilevazioni del 1994. Grazie agli apporti fluviali tale litorale presentava, sino alla metà degli anni 50 una tendenza all’avanzamento piuttosto evidente, con un’ampiezza media di spiaggia di circa 80 metri, alle cui spalle si sviluppava un cordone dunare avente dislivello medio relativo alla battigia di 4 metri. La costruzione di sbarramenti fluviali, l’indiscriminata estrazione di inerti dagli alvei, nonché un rapidissimo sviluppo turistico, difficilmente controllabile e programmabile, hanno portato il litorale, nel corso degli ultimi decenni, al raggiungimento dello stato attuale. I rilevamenti topografici ed i confronti

cartografici pongono in evidenza che dal 1967 all’ottobre 1999 si registra una perdita di arenile quantificato in circa 248.000 mq, pari a circa 25 ha, stimata mediante confronto cartografico e con rilievi plano-altimetrici diretti. L’arenile indagato presenza segni di grande sofferenza con una spiaggia di modesta profondità: nel 1999 l’ampiezza media di spiaggia, misurata dal piede della duna al limite della battigia, per l’intero litorale risulta di 12 metri circa,

valore che arriva ad 11,50 metri se si considera l’ampiezza media negli ultimi 5 anni. Da notare che l’apparente aumento dell’ampiezza di spiaggia in quest’ultimo quinquennio verificatosi in alcune sezioni, molto spesso non deriva dalla riattivazione delle naturali fonti di ripascimento, ma dallo smantellamento e rimodella-mento degli apparati dunari, con pesanti conseguenze sull’assetto idrogeologico ed ecologico dell’intero litorale e delle aree retrostanti. Nel tratto compreso tra la strada tagliafuoco Camping Riva dei Greci e la Metatur, la linea di battigia coincide con il piede della duna con conseguente mancanza assoluta di spiaggia. La superficie di arenile compresa tra il piede della duna e la battigia è ridotta a complessivi 91.000 mq, circa 9 ha, di cui 60.000 mq circa si registrano nel tratto compreso tra il canale idrovora ed il fiume Basento, mentre la restante parte pari a circa 31.000 mq nel tratto verso il fiume Bradano. Se alle superfici innanzi citate sottraessimo la profondità di m 5,00 dalla battigia, come area da lasciare al libero transito secondo le leggi della navigazione, dovremmo detrarre ulteriori 20.000 mq con il conseguente risultato di una restante disponibilità di arenile di circa 71.000 mq. I dati esposti dimostrano l’impossibilità di poter assicurare al turismo balneare la risorsa necessaria, a meno che non si proceda allo smantellamento della pineta esistente (Figura 1). L’arenile nel tratto compreso tra il canale idrovora e la foce del fiume Bradano consente il solo transito a piedi dei villeggianti a cui è preclusa la possibilità di posizionare il proprio ombrellone per mancanza di spazio.

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SEMINARIO DI STUDIO Infatti, a fronte delle migliaia di metri quadri di arenile dato in concessione dal Demanio si registra, in realtà, una limitata fascia dello stesso: le restanti superfici dovrebbero, invece, essere recuperate a mare con impiego di sdraio ed ombrelloni galleggianti. Verificare questo dato è semplice, basterà raffrontare le superfici demaniali concesse con quelle effettivamente occupate per verificare quanto è stato sottratto dal mare. Il “Rapporto di densità d’uso” “3 bagnanti per metro lineare di spiaggia” approvato dalle Regioni Basilicata, Puglia e Calabria nel progetto Jonio-Europa, fatto proprio dalla Regione Basilicata con D.G.R. n. 2457 del 18.05.1981 e recepito nella Legge regionale n. 3 del 1990, è solo una chimera. Stante questo rapporto, la stazione balneare di Metaponto potrebbe ospitare solo 15.000 villeggianti, ossia non soddisferebbe il fabbisogno della popolazione bernaldese residente.

L’arenile, invece, è sottoposto ad un carico antropico notevolmente superiore, a scapito della vivibilità e dell’immagine complessiva della stazione balneare. In cinque anni l’erosione ha incamerato non meno di 20 metri di arenile, sottraendoli di conseguenza alla fruizione del turista ed all’operatore turistico che si è visto venir meno l’installazione di almeno 4 file di ombrelloni sulla spiaggia, con conseguente perdita economica stimabile attorno a qualche centinaio di milioni. La conoscenza del problema e la sensibilizzazione delle popolazioni interessate da questo “dramma” sono elementi imprescindibili di divulgazione del fenomeno e di tutto quanto ad esso connesso, per comprenderlo e farlo comprendere, e soprattutto per evitare la messa in atto di azioni peggiorative che, ahimè, in un passato molto prossimo sono state attuate e che sono tutt’ora percepibili. Figura 1 – Arretramento costante della linea di riva nel tratto metapontino. Lungo alcune sezioni è stata posta in evidenza l’entità dell’arretramento nel periodo 1967-1999.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

“Sensibilizzare l’opinione pubblica” significa far prendere coscienza del fenomeno, significa accrescere la percettività verso questa risorsa e di conseguenza sensibilizzare le coscienze ad una partecipazione più attiva, al fine anche di vigilare sulla salvaguardia di un bene non trascurabile anche dal punto di vista socio-economico. Essere in Europa significa proprio questo: significa ragionare europeo, mettendo sempre più spesso in discussione quanto viene fatto, a livello locale, per la gestione e la salvaguardia del territorio, confrontandolo con quanto viene indicato a livello comunitario o con ciò che altri membri della Comunità, costretti ad affrontare simili problematiche, stanno attuando. La collettività deve essere informata e consapevole delle problematiche che la assillano per essere partecipe ed

arbitro del proprio destino, tenendo in considerazione che le risorse ambientali, come quelle in questione, sono risorse non rinnovabili. La partecipazione collettiva a seminari di studio e convegni, come quello che si affronterà in questa giornata, risulta, quindi, un elemento indispensabile per far crescere la coscienza ambientalista ed ecologica della popolazione locale. La situazione di forte precarietà, a causa di uno sfruttamento territoriale che, negli anni passati, non ha mai tenuto conto delle dinamiche ambientali locali, dovrà, quindi, sviluppare nella popolazione la radicata convinzione che è necessaria l’attuazione e lo sviluppo di processi di trasformazione che non possano più prescindere dalla salvaguardia e la valorizzazione delle risorse naturali locali.

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Dinamica del litorale pugliese: studi in corso ed esempi di ripascimento artificiale

M. Donnaloia1, F. Gianfreda2, G. Mastronuzzi3 & P. Sansò4

1Osservatorio Sismologico, Campus Universitario - Via Orabona, n°4 - 70125 Bari;

2Geo Data Service s.r.l., Via Schilardi 16 – 73027 Maglie (LE); 3Sezione di Geografia Fisica e Geomorfologia - Dipartimento di Geologia e Geofisica

Campus Universitario - Via Orabona, n°4 - 70125 Bari; (tel 080/5442634; fax 080/5442471; [email protected]).

4Dipartimento di Scienza dei Materiali, Campus Universitario, Via per Arnesano, 73100 Lecce

Riassunto La dinamica della fascia costiera è funzione delle reciproche interazioni di processi marini, terrestri ed atmosferici, biotici ed abiotici; questi interagiscono fra loro con tempi e ritmi differenti, non completamente modulati e spesso casuali. Un qualsiasi sistema costiero appare quindi ai nostri occhi in una fase di equilibrio dinamico che può variare in tempi lunghi, geologici, ma anche in tempi brevi, con manifestazioni parossistiche. Qualsiasi sistema costiero, sia esso una spiaggia o una falesia, tende a raggiungere una condizione di equilibrio rispetto alle sollecitazioni istantanee, almeno sino alla soglia di sopportabilità propria del sistema. Se sottoposto a stress che superano le proprie capacità di ammortizzare gli sforzi, esso diviene incapace di reagire e passa a condizioni di disequilibrio. Ciò avviene tanto a spiagge in deficit sedimentario quanto a falesie sottoposte a sovraccarichi. Negli ultimi cinquanta anni l’attività antropica si è manifestata sulla fascia costiera pugliese sottraendo rifornimenti sedimentari attraverso le attività lungo i corsi d’acqua, urbanizzando estese aree costiere e condizionando le caratteristiche idrodinamiche sotto costa attraverso la costruzione di opere portuali e di protezione; ne è derivato un complessivo irrigidimento

del sistema costiero nella sua integrità. Esso è oggi in condizione di forte disequilibrio; la più evidente manifestazione delle condizioni di stress è il diffuso arretramento delle spiagge. Parole Chiave: morfologia costiera, dinamica costiera, Puglia, Italia meridionale. Introduzione La dinamica della fascia costiera è il risultato di complesse relazioni tra elementi morfologici emersi e sommersi, caratteri idrologici e oceanografici, condizioni climatiche e meteomarine. Essi si esplicano attraverso la sovrapposizione di trend evolutivi differenti a loro volta caratterizzati dai diversi ritmi imposti dalla dinamica dell'atmosfera, dell'idrosfera e della litosfera e dai moti astronomici della Terra. Ciò fa sì che proprio la fascia costiera, ed alcuni suoi elementi in particolare, sia caratterizzata da una mobilità estrema, conseguente e sensibile ad ogni variare di uno degli innumerevoli elementi, abiotici e biotici, che la controllano. Alcune modificazioni si manifestano in periodi lunghi, altri in una stagione o in tempi brevissimi. Gli effetti dell’interazione dei parametri “naturali” lungo la costa pugliese sono stati profondamente

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

condizionati dalla crescente pressione antropica. Essa si è espletata in maniera differente nel tempo in funzione dei flussi migratori e delle fasi d’utilizzazione del territorio. Da concentrazioni umane esigue, addirittura sporadiche, si è arrivati in tempi brevi alla concentrazione della gran parte delle attività umane in una stretta fascia costiera. La presenza di grandi vie di comunicazione concentrate in essa ma princi-palmente la natura stessa del mare, prima grande via di comunicazione della storia, ha fatto sì che dopo la fase delle città fortificate lungo costa o nel primo entroterra la pressione antropica abbia cambiato sede dirigendosi e concentrandosi proprio lungo la fascia costiera A questo schema evolutivo, che ha trovato le massime espressioni lungo la fascia adriatica della penisola italiana, fortemente condizionata dall’assetto fisiografico del territorio – che fa corrispondere ad estese aree montuose difficilmente accessibili nell’entroterra, strette fasce urbanizzabili lungo costa – non è sfuggita la fascia costiera pugliese. Differenti sono stati i tempi ma, colpevolmente, nonostante l’espe-rienza in teoria acquisita dalle amministrazioni e dai tecnici, identica è stata la successione delle fasi. Oggi la Puglia ben si inquadra nella media nazionale che vede la maggior parte della popolazione residente e, conseguentemente delle attività produttive, concentrata nelle aree di pianura di cui le aree costiere sono in Italia quelle più rappresentate. La situazione attuale è stata raggiunta in tempi recenti; la più recente manifestazione, dopo gli effetti devastanti indotti dalla costruzione della litoranea ionica, è stata la realizzazione del collegamento viario

fra il barese e il brindisino. Esso è stato ottenuto anziché creando una via di comunicazione parallela alla linea ferrata – e quindi concentrando la pressione antropica in una sola fascia - allargando la vecchia e curva sede viaria litoranea. Oggi una rete viaria nata sotto dimensionata rispetto al traffico prevedibile per il futuro, distribuisce l’impatto anche lungo costa; essa taglia più aree di valore ambientale anche a valenza internazionale (Torre Guaceto – Lido Morelli) e conseguentemente turistico economico. A queste già perpetrate approssimazioni nella gestione del territorio si vanno pian piano affiancando progetti di faraonici porti turistici e/o commerciali, ulteriori reti viarie oltre che l’incontrollata e ormai secolare cementazione dell’area costiera attraverso la realizzazione di opere di protezione, spesso improvvisate o comunque non coordinate, e l’abusivismo edilizio. La natura del sistema costiero è tale che nella dinamica di un’area costiera non intervengono solo fattori vicini. Il confine amministrativo non limita il manifestarsi di fenomeni morfo-genetici e, pertanto, le fasce costiere delle regioni confinanti interagiscono strettamente risentendo in maniera sincrona delle manifestazioni degenerative indotte da interventi poco oculati. Queste brevi note riassumono in maniera schematica i principali fattori che interagendo in una realtà funzionale complessa, che comprende anche i territori delle regioni amministrative confinanti e comunque di quelle che si affacciano sull’Adriatico, sono responsabili dell'attuale dinamica della costa pugliese. Ricerche in atto partendo da queste basi cercano di individuare il

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SEMINARIO DI STUDIO peso reale dell'attività antropica sull'attuale dinamica distinguendolo dalla variabilità indotta dalla ciclicità dei fattori naturali. Premesse storiche L’intervento antropico sulla dinamica della fascia costiera si è manifestato nel tempo in fasi e modalità differenti. Se poco influente sulla dinamica costiera è stata la pur diffusa presenza di popoli preistorici in alcune aree della Puglia quale il Tavoliere, ben differente è stato l’effetto dei diffusi lavori di bonifica delle aree costiere e dei lavori idraulici lungo i maggiori corsi d’acqua eseguiti già durante il periodo Greco – Romano e fino ai nostri giorni (Boenzi et al. 1997). Questi sono stati tali da modificare fortemente la dinamica dell’ambiente costiero: opere di bonifica delle aree retrodunari sono state condotte lungo tutto il litorale al fine di sconfiggere la malaria; lavori idraulici per la captazione e la regimazione delle acque hanno interessato tutti i bacini di drenaggio influenti nell‘area costiera della Puglia diminuendo il carico di sedimenti alla costa e conseguentemente inducendo bilanci sedimentari negativi; strutture portuali e lavori di difesa hanno modificato le condizioni idrodinamiche lungo la costa impedendo il trasporto di sedimenti lungo riva; le crescenti urbanizzazione ed industrializzazione hanno interessato aree costiere sempre più ampie rendendole vulnerabili anche a piccoli cambiamenti ambientali. In conse-guenza di ciò, parecchi tratti della costa Pugliese sono interessati da una diffusa erosione e problemi ambientali tanto da essere considerate aree ad elevato rischio ambientale (Ministero dell’Ambiente, 1992).

Spiagge caratterizzate da progradazione dalla fine dello scorso secolo fino agli anni ‘50 hanno drammaticamente invertito la loro tendenza durante gli ultimi 40 anni; oggi dati ufficiali indicano che circa il 30% delle spiagge e parecchi tratti di costa rocciosa sono soggetti a veloce erosione (Ministero dell’Ambiente, 1992). Questa percentuale è però viziata dal non completo monitoraggio delle spiagge minori e dal fatto che sono considerate stabili spiagge ormai cementate o provviste di opere di protezione che solo apparentemente ne permettono la classificazione in tale categoria. Lineamenti idrologici L’area costiera pugliese riceve il tributo solido dei fiumi i cui bacini di drenaggio comprendono aree con caratteristiche geologiche e climatiche differenti (Caldara et al., 1998); alcune di esse, quelle carbonatiche, sono prive di una rete idrografica superficiale. I soli fiumi scorrevano sul Tavoliere e nell’area ionica, con bacini di drenaggio ben sviluppati prossimi all'equilibrio e pertanto caratterizzati da importanti portate liquide, pur fortemente variabili nel corso dell'anno, ma non da altrettanto significative portate solide. In tempi recenti il naturale deflusso è stato drammaticamente ridotto sia dall’intenso sfruttamento dei fiumi per scopi agricoli, civili ed idroelettrici, sia dai lavori di bonifica e di sistemazione idraulica eseguiti specialmente lungo l’area costiera tra Manfredonia e Barletta e nei pressi di Metaponto. Venti, correnti e trasporto di sedimenti Sul bacino del mare Adriatico i venti regnanti soffiano da NW e subordinatamente da S-SE. Essi

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

inducono una distribuzione simile del moto ondoso caratterizzato da onde più frequenti provenienti da N-NW e, in misura minore, da S-SE. L’andamento delle correnti superficiali lungo la costa pugliese è influenzato dall’interazione tra le acque appartenenti ai bacini Ionico ed Adriatico. Le acque che entrano nel Mare Adriatico da Sud scorrono verso Nord lungo la costa occidentale del Canale d’Otranto. Dopo aver ricevuto le acque provenienti dai fiumi alpini, la corrente scorre lungo le coste orientali italiane e si allontana dalla linea di costa solo in corrispondenza del Golfo di Manfredonia a causa della presenza del Promontorio del Gargano, prima di raggiungere nuovamente la costa nei dintorni di Bari. Una controcorrente litorale che scorre verso N-W si forma così nel Golfo di Manfredonia. Una volta superato Capo S. Maria di Leuca la corrente entra nel Golfo di Taranto scorrendo verso Nord lungo la costa occidentale della Penisola Salentina, dando posto ad un flusso in senso antiorario fortemente influenzato da più piccole correnti stagionali. La deriva dei sedimenti lungo costa ha, conseguentemente, direzione prevalente da NO a SE; fa eccezione il tratto di costa tra Margherita di Savoia e Barletta, caratterizzato da una deriva dei sedimenti da SE verso NO evidenziata dalla distribuzione dei minerali pesanti provenienti dal Monte Vulture ed immessi in mare dal fiume Ofanto. Sul bacino del mare Ionio i venti dominanti e regnanti provengono dalle stesse direzioni; l’orientamento della costa e l’interazione con i fondali determinano, lungo l’arco setten-trionale del Golfo di Taranto, moto ondoso e deriva dei sedimenti da SO a NE.

La Piattaforma Continentale La piattaforma continentale Pugliese mostra larghezza variabile sino ad oltre 60 km nel Golfo di Manfredonia; essa ha la sua minima larghezza in corrispondenza della foce del Fiume Bradano con circa 5 km. L’orlo della piattaforma è interessato dalle testate di numerosi canyons che, in alcuni casi, sono posizionate a solo 1 km dalla linea di riva e rappresentano vie di perdita di sedimenti oltre la piattaforma continentale. La piattaforma continentale è coperta da sabbie costiere essenzialmente terrigene (fino a 10 – 15 metri di profondità), da silt e limi (fino a 125 metri di profondità) ed ancora da sabbia sino all’orlo della piattaforma. Questi ultimi sedimenti sono sabbie “relitte” in parte rielaborate dalla trasgressione post glaciale (Hesse et al., 1971). La loro deposizione è riferibile alla bassa posizione del livello del mare nell’ultimo periodo glaciale (Colantoni et al., 1975; Colantoni & Galligani, 1978). Lungo il lato ionico i sedimenti sono costituiti principalmente da materiale bioclastico a sud di Taranto mentre di fronte la piana di Metaponto sono state riconosciute sabbie siltose (Pennetta, 1985). Sotto costa praterie di Posidonia oceanica colonizzano ampie zone della piattaforma interna, gene-ralmente dove essa è ricoperta da sabbie fini; essa è sostituita al largo dal coralligeno di piattaforma. Queste biocenosi giocano un ruolo chiave nel ripascimento naturale delle spiagge ad opera di sabbie bioclastiche; il loro ruolo è ancora più importante oggi dato il ridotto apporto di sedimenti ad opera dei principali fiumi. Purtroppo un certo tipo di pesca, gli ancoraggi turistici e commerciali incontrollati, e

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SEMINARIO DI STUDIO l’inquinamento stanno facendo ridurre le aree coperte da questa importante fanerogama. Tipi morfologici costieri e velocità di erosione. La costa pugliese è marcata dall‘alternanza di tratti con differenti caratteri morfologici: falesie, coste rocciose digradanti e spiagge. Le falesie si formano in corrispondenza di tratti di costa modellata su corpi rocciosi poco resistenti. Sul Promontorio del Gargano, falesie intagliate su calcari bordano verso mare un paesaggio fluviale relitto; nella sua parte settentrionale, piccole spiagge sabbiose sono ospitate all’interno di ampie insenature formatesi in corrispondenza delle principali incisioni fluviali. Falesie in rapido arretramento modellate su calcari fratturati sono riconoscibili tra Barletta e Bisceglie; intagliate su calcareniti, caratterizzano ampi tratti di costa tra Bisceglie e Monopoli e la costa a N di Otranto e rappresentano l’evoluzione di una costa rocciosa digradante. Falesie intagliate in rocce sabbioso – argillose sono riconoscibili nei pressi di Taranto, dove esse sono caratterizzate da tassi di arretramento di circa 0,8 m/anno (Mastronuzzi & Sansò, 1997) e nei pressi di Cerano. Le coste rocciose digradanti sono il più diffuso tipo morfologico della regione. Esse sono rappresentate generalmente da una bassa, suborizzontale superficie versante, intagliata su calcareniti o calcari, che raggiunge il livello del mare senza alcun significativo gradino. Il forte condizionamento strutturale e il tasso di arretramento estremamente basso di queste coste determinano una linea di riva molto frastagliata profondamente influenzata dal

paesaggio ereditato, caratterizzata da numerose insenature che proteggono pocket beaches. Lunghe spiagge, la più parte delle quali con superfici decisamente modificate dalle attività antropiche, si trovano nei pressi della foce del fiume Fortòre, tra Manfredonia e Barletta e nell’area metapontina; queste spiagge corrispondono al tratto costiero di ampie piane alluvionali e sono le uniche spiagge sensu strictu. Il Fortòre alimenta un delta cuspidato e gli adiacenti cordoni litoranei che hanno chiuso i laghi di Lesina e Varano in tempi storici (Mastronuzzi et al., 1989). Le spiagge alla foce del fiume Fortòre durante gli ultimi decenni hanno subito un arretramento di parecchi metri; non paiono particolarmente arretrate le spiagge che bordano i cordoni litorali che chiudono i laghi di Lesina e Varano. Spiagge sabbiose si allungano tra Manfredonia e Barletta costituendo una unità fisiografica lunga circa 60 Km che riceve apporti sedimentari direttamente dal fiume Ofanto insieme a quelli di altri fiumi minori. Queste spiagge erano bordate da alcuni cordoni dunari che sono stati totalmente spianati per ottenere aree coltivabili ed in alcuni casi sostituiti da piccole dune artificiali a protezione della zone retrodunari. Queste ultime, infatti, furono bonificate ed intensamente coltivate o sfruttate come saline le più grandi d’Europa (Boenzi et al., 1992; Caldara & Pennetta, 1992). La progradazione di queste spiagge verificatasi già a partire dalla fine dell’ultimo secolo è stata sostituita a partire dal 1950 da una intensa fase erosiva. Nell‘area intorno alla foce del fiume Ofanto è stato stimato un tasso di arretramento medio di circa 2 m/anno con una perdita di sedimenti di spiaggia tra il

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

1957 ed il 1975 superiore a 125.000 mc di sabbia (Pennetta, 1988; Simeoni, 1992; Caldara, 1996). Le ampie spiagge poste nei dintorni di Metaponto appartengono ad un'ampia unità fisiografica allungata per 90 Km lungo il Golfo di Taranto, alimentata dai sedimenti portati dai fiumi Bradano, Basento, Sinni ed Agri. Le spiagge, principalmente quelle sabbiose, erano in fase di progradazione fino a 40 anni fa. Esse erano bordate verso terra da alcuni cordoni dunari, alti fino a 18 – 20 metri, che coprivano una striscia parallela alla linea di costa ampia circa 2 Km. L’area costiera fu bonificata ed interessata in tempi recenti da una intensa, crescente urbanizzazione di tipo turistico-residenziale stagionale. Attualmente, queste spiagge sono molto ristrette ed allungate ai piedi di piccole falesie in arretramento intagliate in depositi dunari o retrodunari. E' stato stimato negli ultimi 40 anni il tasso medio di arretramento di circa 3 – 4 m/anno (Amore et al., 1988). Le spiagge presenti lungo il versante adriatico delle Murge e lungo le coste del Salento - quelle adriatiche prossime ai laghi Alimini e quelle ioniche - mostrano caratteri ben differenti. Esse sono spiagge che, se pur estese per alcuni chilometri, sono a tutti gli effetti delle pocket beaches ubicate in vere e proprie trappole sedimentarie prodotte dalla particolare configurazione della costa rocciosa. Prive di un diretto apporto sedimentario dall'entroterra, esse sono alimentate esclusivamente da ciò che giunge via mare e sono caratterizzate da corpi sedimentari che raramente raggiungono i sette metri di spessore. Sul lato adriatico il sedimento è quasi esclusivamente di natura terrigena; su quello ionico il

sedimento è pressoché totalmente di natura biogena. Conseguentemente alla natura del sedimento e alla sua provenienza le spiagge del lato adriatico sono tutte in veloce arretramento mentre quelle sul lato ionico alternano aree in arretramento con aree in equilibrio. Cause dell‘erosione delle spiagge L’erosione interessa numerosi tratti di costa pugliese, sia rocciosa che sabbiosa. Se la veloce erosione di tratti di costa rocciosa rappresenta un grave problema solo in alcuni punti, ben più diffusa e pericolosa è l'erosione delle spiagge. Queste, soprattutto nei dintorni dei delta dei maggior i fiumi, dopo una secolare storia di progradazione, dovuta in parte al disboscamento nei relativi bacini idrografici, hanno invertito la loro tendenza e stanno attualmente arretrando con velocità di alcuni metri all’anno. Questa nuova tendenza evolutiva è attribuibile principalmente ai numerosi lavori idraulici eseguiti nei bacini di drenaggio influenti sulla costa pugliese, alla costruzione di lavori di difesa e strutture portuali, a numerose cave di prestito negli alvei fluviali e alla crescente urbaniz-zazione delle aree costiere. Infatti, alle foci dei principali corsi d’acqua durante gli ultimi quaranta anni è stata registrata una sensibile diminuzione del carico solido. Questa diminuzione è parzialmente dovuta a variazioni climatiche ma soprattutto alle numerose dighe costruite nei bacini di drenaggio (Mastronuzzi et al., 1997); la costruzione di queste dighe iniziò negli anni 50 e continua tutt’oggi. Il sistema non presenta più quelle caratteristiche di rifornimento naturale, di vero e proprio nutrimento, di cui ha necessità per sopravvivere.

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SEMINARIO DI STUDIO La presenza di numerose strutture portuali e di opere di difesa costiera, impediscono quindi il trasporto lungo riva dei materiali ed il naturale rifornimento delle spiagge in aree lontane dalle foci fluviali. Infine, la crescente urbanizzazione delle aree costiere rende il sistema costiero “spiaggia” a comportamento rigido di fronte alle forze esterne, molto sensibile quindi alle sollecitazioni istantanee. Una spiaggia che non riceve sedimento non è più in grado di mantenere i suoi volumi. Nel bilancio pluriannuale fra perdite (eoliche, trasporto al largo o lungo costa) e rifornimenti fisiologici, un deficit indotto di sedimento può in parte essere azzerato se il sistema può disporre di due grandi riserve naturali: le dune e i fondali. Se esaurite le scorte non si ripristina il rifornimento, il bilancio diviene definitivamente deficitario sino alla scomparsa completa del sistema. Il Ripascimento Lungo la costa pugliese diversi sono stati gli esempi di intervento teso a controllare la dinamica costiera. Essi sono rappresentati essenzialmente da interventi di protezione di coste sabbiose resisi necessari in seguito ad interventi antropici a monte delle spiagge considerate, tanto lungo i corsi d'acqua quanto lungo la costa. Opere di difesa costiera passiva sono state edificate lungo buona parte della spiaggia fra Manfredonia e Barletta; gli interventi non sempre coordinati fra Amministrazioni di territori differenti hanno raggiunto pochi obbiettivi, spesso dimostrandosi addirittura inutili; in alcuni casi le opere di difesa originariamente aderenti sono oggi isolate in mare.

In limitati casi si è provveduto al tentativo di ricostruire la spiaggia mediante ripascimento artificiale. Un caso significativo è alla foce dell’Ofanto. Qui, in località Fiumara, per proteggere un villaggio turistico – oltre che per fornirlo di spiaggia - si è provveduto a ricostruire una pocket beach. E‘ stato creato un substrato roccioso artificiale, filtrante, delimitato da pennelli, appoggiato sulla spiaggia naturale e su di esso è stata appoggiata la sabbia. Tale ricostruzione limitata ad alcune centinaia di metri pare aver attecchito ma ha determinato effetti di forte erosione nei lati sopra e sottoflusso. Rispetto al ripascimento, parados-salmente, effetti migliori pare abbiano sortito quelli, pur inaspettati, della zona di Trani e di Monopoli. Qui segherie e industrie per la lavorazione dei marmi sono state solite scaricare tanto le acque quanto gli scarti di lavorazione in mare. Le acque rese torbide e il particellato fine hanno determinato la distruzione delle biocenosi bentoniche del fondale; la disponibilità di grosse quantità di pietrisco ha indotto la sovralimentazione delle pocket beaches ciottolose naturali presenti nelle cale sottoflusso rispetto agli scarichi. Il risultato è rappresentato da spiagge non più costituite esclusivamente da sabbie e ghiaie carbonatiche ma anche da elementi di roccia cristallina. (Foto 1)

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Foto 1 – Pocket beach ciottolosa lungo il litorale nord barese interessata da sversamento abusivo di residui di macellazione. All’alimentazione naturale di queste spiagge ad opera di ciottoli carbonatici si va affiancando quella di ciottoli basaltici, granitici, toleitici, provenienti dall’immissione in mare degli scarti di lavorazione di marmerie. Studi in corso Per definire la dinamica delle spiagge pugliesi un‘équipe di ricercatori sta conducendo lo studio di dettaglio della fascia costiera di Torre Canne, lungo il versante adriatico della Puglia, in provincia di Brindisi, a cavallo dei comuni di Fasano ed Ostuni. Lo studio interessa un tratto di costa caratterizzato dall'alternanza di tipi costieri semplici, che racchiude in pochi chilometri forme e depositi prodottisi dall'ultimo interglaciale ad oggi. Alla costa rocciosa digradante modellata sulle calcareniti plio-pleistoceniche si sostituisce, all’altezza di Torre Canne, verso sud-est, una spiaggia estesa circa sei chilometri. La sua estremità meridionale è rappresentata dalla Punta di Torre San Leonardo dove ricompaiono le calcareniti. Il disegno dell’unità fisiografica è completato verso terra da una falesia abbandonata su cui poggiano le dune del Pleistocene superiore e i rispettivi depositi retrodunari. Verso mare il sistema è rappresentato da un sistema stagno retrodunare - duna - spiaggia che conserva le fasi di crescita nel corso dell'ultima

trasgressione post-wurmiana. Il sistema costiero è completato, nelle aree retrodunari, dalle aree di foce di corsi d'acqua oggi privi di deflusso superficiale, intagliati in corrispondenza di un livello di base più basso. Scopo del lavoro in corso è la definizione delle fasi e dei tempi di modellamento di questo sistema costiero, l’origine ed il flusso dei sedimenti lungo costa, il bilancio sedimentario e il suo variare nel tempo, la sua evoluzione recente e la dinamica attuale in relazione alle variazioni climatiche e alle variazioni di apporti solidi e, principalmente, i condizionamenti derivanti dall’attività antropica. Questa, diretta ed indiretta, si è manifestata in maniera particolarmente evidente nel corso dell'ultimo decennio come conseguenza di un intenso carico antropico, continuo negli ultimi 40 anni; esso è il prodotto della costruzione di diversi insediamenti turistici permanenti nell’area di retroduna che hanno comportato la distruzione del cordone dunare, e di due porti per attività di pesca e turismo a Torre Canne e a Villanova. Entrambi i porti sono in notevole ed evidente interramento (Foto 2 e 3).

Foto 2 - Spiaggia di Torre Canne, inverno 1999. L’arretramento ha completamente eroso i cordoni dunari sino a modellare una falesia nei depositi di retroduna nei pressi di Posto di Tavernese.

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SEMINARIO DI STUDIO Le attività di ricerca sul terreno, condotte a partire da giugno 1999, si sono sviluppate secondo direzioni differenti;

Foto 3 – Spiaggia di Torre San Leonardo, inverno 1999. In mancanza di una spiaggia sufficientemente estesa il moto ondoso induce continui smottamenti della duna vegetata. alcune di esse si protrarranno almeno sino al compimento di un anno di osservazioni, ed hanno richiesto la messa in opera in sito di strumentazione per il monitoraggio di alcuni parametri quale moto ondoso, deriva litorale, trasporto eolico ecc. Considerazioni Lo stato della costa pugliese è l'ovvio risultato della sovrapposizione dei trend evolutivi naturali a quelli imposti dall'attività antropica. In un sistema di per sé complesso, l'uomo gioca oggi un nuovo ruolo, anche esso naturale, certamente pesante ma non tale da essere in grado di controllare pienamente e definitivamente gli altri. La gestione della fascia costiera infatti richiede il controllo di fattori e parametri che se apparentemente molto lontani, anche fisicamente, sono invece strettamente interconnessi l'uno all'altro (Foto 4).

Foto 4 – La litoranea ionica salentina taglia gli edifici dunari, parte integrante di una delle più belle spiagge pugliesi presso Campomarino. Le dune, quando non utilizzate come parcheggio, sono percorse da numerosi sentieri che rappresentano altrettante vie di fuga del sedimento da spiagge in marcata erosione; il danneggiamento della copertura vegetale, elemento che dovrebbe “mantenere” la duna, è una delle fasi che conduce alla distruzione del sistema spiaggia. Non esiste al momento una ricetta assoluta; lo stesso strumento del ripascimento artificiale va considerato come extrema ratio di fronte ad un sistema definitivamente danneggiato dall'attività antropica. Ove possibile, il primo mezzo per la protezione dell’ambiente costiero deve essere il ripristino delle condizioni dinamiche naturali; ciò permette la riqualificazione ambientale anche dal punto di vista paesaggistico. Qualsiasi intervento va pianificato su misura ed esteso all’unità fisiografica; occorre essere padroni dell'intervento ma anche e, forse, soprattutto, conoscere l’ambiente per evitare il rigetto da parte del sistema costiero. Ogni intervento deve essere studiato in loco evitando di trasferire a priori tecniche che pur avendo determinato effetti positivi in aree campione potrebbero non essere compatibili con il variare dei parametri del sistema su cui si deve intervenire. La convinzione della necessità di un intervento, quindi, scaturisce dalla effettiva individuazione di un disequilibrio del sistema; esso può essere di natura fisiologica, derivante dalla variablità

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

"naturale", e non solo "antropica", di uno dei parametri del sistema (Foto 5).

Foto 5 – Pocket beach e falesie lungo la costa tarantina. La speculazione e l’abusivismo edilizio, colpevolmente ignorati, hanno portato alla costruzione di edifici ad uso turistico stagionale in aree dal riconosciuto pregio ambientale. L’assenza di una fase pianificatrice e progettuale, nonch0 di un preciso potere gestionale, hanno fatto sì che i manufatti, oltre a produrre evidente impatto sull’ambiente, siano stati edificati in zone ad elevato indice di pericolosità e vulnerabilità geomorfologica. Da parte delle Amministrazioni e dell'operatore deve esserci la consapevolezza che la migliore opera di ingegneria costiera non può tramutare una situazione dinamica, in continuo divenire, in equilibrio istantaneo. Opere di grande efficacia ai fini della ricostruzione di aree di spiaggia sono state approntate in Francia permettendo al sistema di rigenerarsi da solo, anche in tempi lunghi, con realizzazioni assolu-tamente non riconoscibili in superficie, e comunque senza intervenire in maniera drastica su strutture antropiche causa di quei disequilibri. La gestione della fascia costiera comporta la difficile gestione integrata di tutti i parametri del sistema costiero. Non ha senso effettuare opere di riqualificazione ambientale e di ripascimento se non si provvede a ricostruire tutto il sistema naturale che deve contenere e conservare a lungo termine il materiale reintrodotto:

questo vale tanto per la spiaggia emersa - i cordoni dunari la vegetazione e, perché no, la falda idrica - quanto per la spiaggia sommersa - pendenza dei fondali, coperture biotiche. Ringraziamenti I dati, le osservazioni e le considerazioni tracciate nel presente contributo derivano da una serie di ricerche condotte dall'Unità Operativa di Bari, diretta da Prof. Giovanni Palmentola, con finanziamenti del Ministero dell'Università della Ricerca Scientifica e Tecnologica nell'ambito dei programmi 40% e Cofinan-ziamento relativi al periodo 1993-2000, coordinati sul territorio nazionale dal Prof. Giuliano Fierro. Gli Autori ringraziano il Dott. Massimo Caldara per il continuo e prezioso scambio di idee e di dati. Bibliografia essenziale AIELLO G., BRAVI S., BUDILLON F., CRISTOFALO G.C., D‘ARGENIO B., DE LAURO M., FERRARO, MARSELLA E., MOLISSO F., PELOSI N., SACCHI M. & TRAMONTANO M.A. (1995) – Marine geology of the Salento shelf (Apulia, South Italy) Preliminary results of a multidisciplinary study. Giorn. Di Geol., ser.3^, vol.57/1-2, 17-40; AMORE C., D’ALESSANDRO L., DI GERONIMO S., GIUFFRIDA E., LO IUDICE A. & ZANINI A. (1988) – Dinamica litorale del Golfo di Taranto tra Capo Spulico e Punta Rondinella. Boll.Acc.Gioenia Sci.Nat., 21, 39-74. BOENZI F., CALDARA M. & PENNETTA L. (1992) –Osservazioni stratigrafiche e geomorfologiche nel tratto meridionale della piana costiera del Tavolòiere di Puglia. Geogr. Fis. Din.Quat., 14(1), 23-31; BOENZI F., CALDARA M. & PENNETTA L. (1997) – L‘influenza delle variazioni climatiche e dei processi storico-sociali sull‘evoluzione delle forme del rilievo del Mezzogiorno. In: Atti Con. „Territorio e Società nelle Aree Meridionali“ Bari – Matera, 24-27 ottobre 1996. CALDARA M. (1996) – Aspetti di Geologia ambientale e di morfologia costiera in alcuni tratti del litorale nord-barese. Proceedings «Cave e coste nel territorio del nord-barese», Geologi, Suppl. 2, 39 –61.

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SEMINARIO DI STUDIO CALDARA M., CENTENARO E., MASTRONUZZI G., SANSÒ P. & SERGIO A. (1998) - Features and present evolution of Apulian Coast (Southern Italy). Bordomer '97 "Amenagement et protection de l'environnement littoral", Bordeaux, France, 27-29 octobre; COLANTONI P., NOTO P. & TAVIANI M. (1975) - Prime datazioni assolute di una fauna fossile a P. Septemradiatum dragata nel Basso Adriatico. Giorn. Geol., 40 (2), 133-140; FABBRI A. & GALLIGNANI P. (1972) - Ricerche geomorfologiche e sedimentologiche nell'Adriatico Meridionale. Giorn Geol., 38 (2), 453-498; HESSE R., VON RAD U. & FABRICIUS F.H. (1971) - Holocene sedimentation in the strait of Otranto between the Adriatic and Ionian seas (Mediterranean). Marine Geol., 10, 293-355; MASTRONUZZI G., PALMENTOLA G. & RICCHETTI G. (1989) – Aspetti della evoluzione olocenica della costa pugliese. Mem. Soc. Geol. It., 42, 287-300; MASTRONUZZI G., PALMENTOLA G & SANSÒ P. (1992) – Morphological types of rocky coast on southeastern Apulia. Proceedings International Coastal Congress, Kiel (Germany), 7-12 Spetember 1992. MASTRONUZZI G. & SANSÒ P. (1993) - Caratteri ed evoluzione attuale del litorale fra le foci del Fiume Fortore e del Fiume Ofanto (Puglia). Bonifica, VII (3), 83-90; MASTRONUZZI G. & SANSÒ P. (1997) - Morfologia e genesi delle Isole Chéradi e del Mar

Grande (Taranto, Puglia, Italia). Geogr. Fis. Din. Quat., ; MASTRONUZZI G., PYE K., SANSÒ P. & SERGIO A. (1997) The impact of dam construction and coast protection works on beach sediment budgets and erosion/accretion trends: examples from Apulia, Southern Italy, and Eastern and Southern England.. Environmental Sedimentology IAS-SEPM, Meeting on Environmental Sedimentology, Venice, Italy, 27-29 October; MINISTERO DELL’AMBIENTE (1992) – Relazione sullo stato dell’ambiente. Ist. Pol. Zecca dello Stato, Roma; PENNETTA L. (1988) - Ricerche sull'evoluzione recente del delta dell'Ofanto. Boll. Mus.St. Nat. Lunigiana, 6-7, 41-45; PENNETTA M. (1985) – La sedimentazione attuale. Analisi granulometriche C.N.R. Progetto finalizzato Oceanografia e Fondi Marini. Sottoprogetto ″Utilizzazione e gestione della piattaforma continentale: rapporto tecnico finale“. Roma; PIGORINI B. (1968) - Sources and dispersion of recent sediments of the Adriatic sea. Marine Geol., 6, 187-229; SIMEONI U. (1992) – I litorali tra Manfredonia e Barletta (Basso Adriatico): dissesti, sedimenti, problematiche ambientali. Boll. Soc. Geol. It., 111, 367-398; SIMEONI U. & BONDESAN M. (1997) - The role and responsability of man in the evolution of the Italian Adriatic coast. Bull. Inst. Oceanogr. Monaco, 18, 11-132.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Spazio costiero albanese nel mar Adriatico e Ionio

N. Pano

Presidente dell'Unione Ambientalisti Albanesi

Responsabile del Settore di Oceanografia Accademia delle Scienze di Tirana

Le condizioni generali naturali. Lo spazio costiero albanese, con una lunghezza generale di quasi 350 km, costituisce la parte sud-orientale del mar Adriatico ed Ionio. Nello stesso tempo, questo spazio marino, rappresenta quasi tutta la costa orientale del Canale di Otranto. Le caratteristiche idrologiche e idrochimiche dello spazio costiero Albanese differenziano i due mari: a differenza dello Ionio, nell'Adriatico vi sono sensibili variazioni stagionali di caratteristiche fisiche e di produttività biologica con livelli nutritivi e di salinità fortemente condizionati dagli apporti fluviali. La salinità di questa zona marina oscilla tra s = 30,00‰ e s = 39,10‰, mentre la temperatura della superficie dell'acqua, presenta valori medi mensili di 19,2 ºC a Saranda (mar Ionio) e di 17,7 ºC a Shengjini (mar Adriatico). Il massimo valore giornaliero registrato è stato di 29,8 ºC ed il minimo di 7,7 ºC. L'altezza delle onde può arrivare fino ad h = 3,0 m – 5,0 m nelle baie e raggiungere h = 8,0 m – 9,0 m in mare aperto. Il regime generale delle correnti lungo la costa albanese è strettamente connesso allo schema della circolazione delle masse d'acqua ed, in modo particolare, al processo di scambio tra i mari Adriatico e Ionio attraverso il canale d'Otranto. La corrente generale del mare possiede una componente principale

con direzione da sud a nord, mentre l'ampiezza della marea risulta compresa tra 0,20 m e 0,30 m. I fiumi albanesi scaricano in acqua un volume annuale medio di w = 44,27 km3 d'acqua. Gli stessi fiumi depositano in mare anche notevoli quantità di materiale detritico, con un volume medio annuale di oltre w = 65,7 x 106 tonnellate. In prossimità delle foci dei fiumi si osservano i maggiori e più significativi cambiamenti della linea costiera. I fondali marini sono molto ricchi dal punto di vista biologico. La costa albanese, dal punto di vista morfologico è costituita da due tipologie: a - Alta costa erosiva e rocciosa, prevalentemente calcarea. b - Bassa costa accumulativa, prevalentemente costituita da materiali di origine fluviale. La bassa costa accumulativa accompagna quasi tutta la Pianura occidentale Albanese. Si estende lungo la costa dell'Adriatico, cominciando da Valona a sud, fino all'Hani i Hotit nel Nord. L'area occupata dalla pianura è uguale a circa la metà dell'intera nazione, con una lunghezza di 180 km ed una larghezza da 8 fino a 35 km. Questo territorio presenta, nella fascia più interna, piccoli rilievi talvolta isolati con un’altezza di 200 – 300 m. La zona dell’accumulazione è un prodotto della deposizione ininterrotta

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SEMINARIO DI STUDIO ed intensiva dei solidi portati dai fiumi e limitatamente dei sedimenti marini. Questo processo nella zona costiera albanese dell’Adriatico è continuato per tutto il periodo del quaternario. Qui si trovano anche i delta e le foci dei maggiori fiumi dell’Albania come: Vjosa, Semani, Shkumbini, Ishmi, Mati, Drini, Buna e anche un sistema ramificato delle lagune fra le foci e i delta dei fiumi: Narta, Karavasta, Butrinti, Viluni, Patoku. La piattaforma continentale in corrispondenza della pianura costiera è ampia: la mappa batimetrica indica, infatti, che l’isobata dei 100 m si posiziona molto lontano dalla linea di riva. L’alta costa è presente in quasi tutto il settore Ionico, ad eccezione del tratto situato alla destra della foce del fiume Pavla, costituito da una striscia alquanto stretta di costa accumulata, simile a quella del litorale Adriatico. La mappa batimetrica di questa zona indica che l’isobata dei 100 m si situa in prossimità della costa; la ripida pendenza dei fondali consente alle onde di maggior lunghezza di giungere a riva subendo poca rifrazione. D’altra parte, la mancanza pressoché totale degli apporti fluviali solidi non favorisce il depositarsi di materiale, innescando un processo attivo ed ininterrotto di erosione; in questa situazione la costa ionica albanese possiede tutte le caratteristiche della costa dalmata, dove prevale il processo dell'abrasione marina e solo alcuni brevi torrenti (come ad esempio le cosiddette "strade bianche", Palasa, Dhermi, Vuno, Borshi,) apportano materiale al litorale in limitati settori e le loro foci alterano ben poco la regolarità della linea di costa, generalmente rettilinea.

Il litorale albanese è caratterizzato da differenti tipologie fisiche e molteplici paesaggi: delta fluviali, lagune, promontori rocciosi, spiagge, dune, falesie, ecc. Per evidenziare la dinamica del litorale albanese la costa è stata suddivisa in aree in erosione, in accumulo e in equilibrio. Aree in erosione sono il settore dell’ex delta primitivo dei fiumi Vjosa ed Seman, il settore a sud della spiaggia del Golfo di Durazzo, la costa del Golfo di Lalzi, il settore della spiaggia di Patoku, la parte settentrionale del golfo del Drin. Coste in avanzamento sono la zona settentrionale di Valona, l’area circostante la foce del fiume Seman, la zona compresa tra i fiumi Seman e Shkumbin e la parte settentrionale del fiume Pavlla. Zone d'equilibrio dal punto di visto geomorfologico sono il Golfo di Valona, la striscia costiera fra i fiumi Shkumbin e Seman, e la zona di Golem. Intervento da parte dell'uomo nello spazio costiero L'evoluzione della costa albanese nel mare Adriatico e Ionio non e però da considerarsi del tutto naturale, dato che nell'entroterra non pochi interventi dell'uomo hanno sostanzialmente modificato i valori ecologici, nelle diverse direzioni. In primo luogo l'attuale apporto solido dei fiumi in Albania è depauperato da dighe e sbarramenti artificiali (soprattutto nei fiumi Drin, Mat, Bistrica, Devoll). Questi trattengono circa il 60-70% del materiale trasportato e sono responsabili degli spostamenti subiti dagli apparati di foce e della perdita d'efficienza di singoli rami deltizi (fiume Seman, Vjosa, Drin)

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Altri interventi umani riguardano la distruzione delle dune costiere ed il prelievo di sabbia dalle spiagge, il prelievo d'acqua a scopi irrigui, la bonifica di vaste aree paludose e l'apertura di cave per l'estrazione d'inerti lungo gli alvei, anche nei tratti terminali dei fiumi. In alcune zone della costa albanese vi sono inquinamenti causati dagli scarichi dei reflui industriali, comunali e urbani. Spazio costiero a sviluppo economico Nello sviluppo economico dell'Albania, la zona costiera ha un ruolo importante. Questi interessi incentrati nel litorale determineranno delle modificazioni negli ecosistemi e nei processi sociali – economici. I piani d'interventi nazionali, regionali e locali, dovranno garantire uno sviluppo armonioso dell'attività nel rispetto della flora e della fauna e dell'integrità del paesaggio costiero. Risulta quindi fondamentale l'acquisizione di quei dati e parametri che sono indispensabili per una corretta gestione ambientale dello spazio costiero albanese. Programmazione scientifica e gestione del litorale Per una giusta gestione del litorale albanese nel mar Adriatico e Ionio, in futuro è necessaria una programmazione scientifica nazionale dettagliata.

Nella piattaforma di quella programmazione bisogna raggruppare le seguenti azioni: • conoscenza approfondita

dell'evoluzione storica e degli aspetti geologici - morfologici della costa

• valutazione dell’evoluzione del litorale albanese e classificazione della costa

• studi chimici, idrologici, geologici, biologici ed ecologici nelle acque costiere albanesi

• evoluzione delle acque litorali • valutazione dell'impatto d'attività

dell'uomo sulla biodiversità dello spazio costiero albanese

• piattaforma generale per lo sviluppo stabile della zona costiera albanese, nel futuro, con il recupero, protezione e conservazione dei valori naturali ed ecologici.

Per concretizzare questo programma, negli ultimi tempi è stato realizzato uno studio complesso di una zona significativa dello spazio costiero albanese. Tale studio è stato finanziato dal programma interna-zionale "Life - MEDWED", denomi-nato: "Conservation and wise use of wetlands in the Mediterranean basin – Focus on the Kune – Vaini lagoon, Lezha, Albania". Scopo del programma è quello di fornire uno strumento valido per una corretta gestione del litorale albanese in futuro.

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SEMINARIO DI STUDIO

Erosione dei litorali. Efficacia e utilità degli interventi

G. B. La Monica

Dipartimento Scienze della Terra

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Gli studi sulla evoluzione delle coste cercano di comprendere, attraverso l’analisi di fattori diversi e la quantificazione di diversi parametri, i motivi per i quali la posizione e le caratteristiche della linea di riva mutino nel tempo. Tale attività di ricerca si è protratta per generazioni, ma sono gli avvenimenti di questi ultimi trent’anni circa che ne hanno evidenziato l’importanza. E’ infatti convinzione diffusa che tutti i litorali siano minacciati e che le variazioni ambientali, ma in particolare i danni che ne possono derivare, siano dovuti all’antropizzazione indiscriminata, cui le fasce costiere reagiscono per il raggiungimento di un nuovo equilibrio comunque difficile da prevedere. E’ ancora poco chiaro come una linea di riva potrà reagire a variazioni secolari quali l’innalzamento del livello del mare (sulla cui entità, causa, e significato ancora molto si discute), l’incremento della frequenza degli eventi estremi e, più in generale, le variazioni climatiche; la conclusione comune, anche molto facile, è che tali fenomeni indurranno alluvionamento ed erosione delle coste, ma non si considera che tali fenomeni sono solo parte di una serie di risposte assai più ampie e variegate, da analizzare su scale spazio-temporali molto variabili. Quanto, però, preoccupa la cittadinanza, gli operatori turistici e coloro che sulle spiagge e delle spiagge vivono (e che quindi dovrebbe preoccupare anche chi, a livelli diversi, si è assunto l’onere di

governare) non è certo l’evoluzione a lungo termine, ma l’immediato, ossia quale potrà essere il comportamento di una spiaggia nell’arco di tempo corrispondente ad una vita umana, e anche meno; quali le misure da prendere, con quali prospettive. L’erosione costiera, che corrisponde a un ritiro verso terra della linea di riva, è un fenomeno assai diffuso che interessa la maggior parte delle spiagge italiane (compreso quelle “protette”), anche se l’intensità del fenomeno varia da luogo a luogo e nel tempo. E’ opinione diffusa, quindi, che prima o poi si subirà il danno e che un qualsivoglia provvedimento dovrà, prima o poi, essere preso. Tale sensazione deriva anche dal fatto che il processo erosivo, inizialmente limitato a alcuni tratti particolarmente sensibili come le foci fluviali, si è via via esteso ai tratti limitrofi ove, in un recente passato, le spiagge erano in espansione. La spiegazione dell’arre-tramento era facile: impoverimento, per cause diverse, degli apporti di sabbia fluviale a mare. Era altrettanto facile trovare un capro espiatorio (si ha sempre la necessità di trovare un capro espiatorio) che veniva individuato nella costruzione di sbarramenti lungo le aste fluviali e nella estrazione di inerti dagli alvei. Successivamente sono entrati in crisi anche i litorali non riforniti dagli apporti fluviali e questo, assieme alla consapevolezza che gli sbarramenti fluviali non possono essere la causa di tutti i mali, ha portato ad una sorta

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

di convinzione della ineluttabilità degli eventi e conseguente esigenza di intervenire. A questo punto quattro sono le possibili opzioni per il cittadino/proprietario: • non fare nulla e sopportare

stoicamente l’inevitabile perdita • cercare di disfarsi del bene,

magari in perdita, passando ad altri il problema

• spostare la propria attività altrove • cercare di intervenire, se non per

risolvere, quanto meno per ritardare gli eventi.

Per chi ha l’onere di governare le opzioni si riducono a due: • non fare nulla provvedendo,

eventualmente, a rimborsare i danni

• intervenire con opere idonee a controllare il fenomeno.

Fino ad oggi, anche per la legislazione in vigore, la scelta è stata una sola: intervenire sempre e comunque, anche quando mancavano le conoscenze indispensabili per una buona progettazione e quando non era affatto certo se il fenomeno fosse a carattere evolutivo (ed eventualmente da contrastare) o soltanto il prodotto di una singola mareggiata (quindi non significativa dal punto di vista delle tendenza). Poiché si trattava di difendere un bene, tali interventi non potevano che avere un carattere ingegneristico, nel senso di costruire opere che potessero limitare l’entità dell’energia o, comunque, gli effetti dannosi. Purtroppo la costruzione di manufatti, quale che sia la tipologia, produce uno spettro assai ampio di effetti, tutti dovuti all’alterazione dell’equilibrio del sistema erosione – trasporto – sedi-mentazione sia sulla spiaggia emersa che sui fondali. Infatti, anche quando

la spiaggia è in erosione esiste un certo equilibrio le cui variazioni possono portare a risultati poco prevedibili e spesso contrari a quelle che erano le aspettative. Non è soltanto un modo di dire “le opere esportano l’erosione”, ma una triste realtà. Allora i manufatti si moltiplicano per porre rimedio a questa “esportazione” lungo riva e si creano così sistemi complessi e le catene di effetti si moltiplicano, con processi ed effetti cumulati, a volte del tutto inspiegabili. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che il termine “manufatto costiero” non si riferisce solo alle opere di difesa, ma a tutto ciò che, radicato o meno a terra, in mare viene costruito (strutture foranee portuali, pontili di attracco ecc.) nella zona ove vi è una forte interazione fra moto ondoso e fondale, con conseguente notevole dinamismo dei sedimenti, il cui comportamento ed i cui tragitti possono mutare radicalmente. Quanto sta succedendo oggi, ossia l’arretramento della linea di riva, è già successo in passato? Si è poi verificata una inversione di tendenza? A quando effettivamente data l’inizio dei fenomeni erosivi cui stiamo assistendo? L’entità dell’arretramento è stata costante o nel tempo ha subito un’accelerazione? E’ difficile rispon-dere in modo oggettivo a questa serie di domande, fondamentalmente per mancanza di dati storici certi che si spingano a oltre un cinquantennio fa; a questo si aggiunga che la tradizione orale è oggi riportata da chi nel passato vedeva le spiagge con l’occhio del bambino e questi ha unità di misura la cui dimensione è completamente diversa da quella dell’adulto. Inoltre questo tipo di informazione è assai localizzato in quanto pochi erano in passato i tratti

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SEMINARIO DI STUDIO di litorale frequentati con una certa assiduità. Data a pochi decenni fa ciò che è stata definita la “rivoluzione degli arenili”. Con il progredire del turismo balneare questi sono passati dal rango di aree marginali, di scarso o nullo interesse economico, a quello di spazi attrezzati ad alto reddito, la cui perdita, talora temporanea e dovuta alla singola mareggiata, comporta rilevanti danni economici e quindi acute tensioni sociali. Sono queste tensioni che, almeno in passato, hanno portato agli interventi così detti “rigidi”, o di “tipo ingegneristico”, e di esecuzione immediata. Infatti il timore si placa solo quando si vede una risposta immediata alla propria ansia e quando si opera costruendo contro l’aggressione. Un certo modo di “vedere” quanto accade - e quindi la reazione che ne consegue - è evidente se si analizza la legislazione relativa ai litorali e la sua evoluzione. Nel 1904 (R..D. 713) il concetto di opera marittima era limitato ai soli porti e la competenza era esclusiva dello Stato. E’ nel 1907 (L. 542) che per la prima volta compare la dicitura “opere a difesa delle spiagge” e queste vengono suddivise in opere a difesa degli abitati (competenza dello Stato, ma con contributo finanziario dei Comuni interessati) e opere a difesa degli arenili (competenza dello Stato, cui spetta tutto l’onere economico). E’ da rilevare che il secondo caso non si riferisce alla difesa dell’arenile in quanto tale, ma delle opere di interesse pubblico che sull’arenile giacciono, fondamentalmente vie di comunicazione. Il concetto di spiaggia quale bene comune da utilizzare a fini sociali e quale entità capace di produrre reddito non era familiare al legislatore di quel periodo, né poteva

esserlo. Resta il fatto che devono passare oltre trent’anni (1939 – L. 1497) prima che veda la luce una norma, peraltro molto generica, sulla “Protezione delle bellezze naturali”, ma in cui non compare il termine coste. Questo vede la luce il 21 settembre 1984 (sarebbe il caso di festeggiarne il compleanno), a seguito di un decreto ministeriale che integra l’elenco delle bellezze naturali, e raggiunge la maggiore età l’anno successivo, quando la così detta “Legge Galasso” stabilisce che “sono sottoposti a vincolo paesaggistico i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 m dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”. Resta questa la legge fondamentale e le norme che si sono succedute hanno affrontato più che altro problemi di competenze. Perché la differenza di compor-tamento fra prima e dopo gli anni ‘80 (ed è da sottolineare che il comportamento è stato in netto ritardo rispetto alle esigenze)? Si spiega con pochi numeri ripresi da quanto pubblicato dal Touring Club Italiano nel 1998. Il settore balneare raccoglie 100 milioni di presenze annue (46% dei flussi di visitatori in Italia); 16 milioni di arrivi annui (11 milioni di italiani e 5 milioni di stranieri); 56.000 miliardi di fatturato. Se si considera che nel 1997 oltre 600 milioni di persone in tutto il mondo hanno varcato, per turismo, i confini del proprio stato e che le previsioni per il 2010 parlano di oltre 1 miliardo, tenuto conto che il fatturato mondiale per turismo è oggi di 3.800 miliardi di dollari e che per quella data salirà a 8.100 miliardi, è facile comprendere come sia l’aspetto economico ad imporre che il bene spiaggia, e non solo ciò che sulla spiaggia è costruito, venga salvaguardato.

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Quale è la strategia migliore per raggiungere tale obiettivo? Gli interventi effettuati nel passato (le opere di difesa il cui intento era di intervenire sulla propagazione dell’energia indotta dal moto ondoso, eliminando, o quantomeno riducendo, gli effetti dannosi indotti) hanno avuto e/o hanno ancora efficacia e quindi una loro validità? Le opere di difesa, comprendendo con questo termine tutte quelle così dette rigide, quale che sia la tipologia, variano molto per quel che concerne costo, dimensioni, efficacia e durata. Ad una estremità si possono collocare i massi e i detriti grossolani in genere posti in corrispondenza della battigia nel tentativo di ridurre l’impatto del moto ondoso; all’altra le barriere in cemento armato accuratamente dimensionate sulla base di dati di diversa provenienza e sottoposte a prove mediante modelli fisici e matematici. Resta il fatto che qualsiasi opera, anche se molto costosa e ottimamente progettata, alla fine risulterà inefficace quando costruita lungo un litorale a rapida erosione, e una volta superata la durata prevista, in particolare se non sottoposta ai necessari interventi di manutenzione. In genere la vita media di un’opera di difesa è prevista in 20 anni circa e una maggiore spesa non garantisce affatto una maggiore durata; inoltre i fattori di cui si dovrebbe tenere conto nella progettazione diverrebbero numero-sissimi e non tutti noti. A volte si assiste alla distruzione in un solo giorno di ciò che aveva resistito per anni. Le difese radenti sono quelle posizionate in corrispondenza della battigia con lo scopo di impedire qualsiasi spostamento della linea di riva verso terra. Spesso sono, o

dovrebbero essere, opere di primo intervento e tamponamento e per questo non hanno alla base un progetto; si tratta in genere di versamento di pezzame grossolano, magari derivante da demolizioni. Per questo motivo il loro costo è assai modesto, ma altrettanto modesta è la loro efficacia in quanto il versamento viene facilmente rimosso e non è in grado di arrestare le perdite di sabbia. A questo si aggiunga la pericolosità di tali opere nel caso di spiagge utilizzate per la balneazione e quindi il loro uso è assolutamente da sconsigliare, a meno che non si tratti di un reale intervento tampone da rimuovere in tempi assai brevi per essere sostituito da qualcosa di più valido e frutto di una seria progettazione. Per ovviare ad alcuni dei problemi sopra citati, questo tipo di difesa può essere costruita con blocchi naturali o manufatti di alcune tonnellate di peso non più posati casualmente, ma messi in opera secondo pendii frutto di una accurata progettazione. I costi aumentano notevolmente, anche per l’esigenza di una frequente manutenzione, ma i problemi non vengono risolti. Infatti anche in questo caso il materiale riversato è assai mobile in quanto viene attaccato dal mare sia al piede che alle spalle, quando, in occasione di mareggiate, l’opera viene scavalcata dalle onde. Basta una mareggiata a distruggere il tutto e immediatamente la linea di riva arretra di una quantità considerevole. L’opera è assai pericolosa in quanto induce un grande, ma falso, senso di sicurezza; si tende ad utilizzare in modo intensivo la zona retrostante e quindi nel caso di arretramento della linea di riva i danni che ne derivano sono ingenti. Per ovviare al problema della mobilità dei singoli elementi che

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antieconomico. L’effetto di un pennello è quello di bloccare il sedimento in transito, provocandone la deposizione e così ampliando la spiaggia per un certa estensione nella zona sovracorrente rispetto al flusso. L’effetto è immediato e anche assai vistoso se è elevata la quantità di sedimento in transito, ma il risvolto della medaglia è che sottocorrente rispetto al pennello si manifesta un’altrettanto immediata e spesso ancora più vistosa erosione; inoltre una spiaggia rettilinea tende ad assumere un andamento a spezzata, o comunque articolato. Ne consegue che l’uso di un pennello può essere giustificato solo in due casi: quando la spiaggia sottocorrente è “spendibile”, ossia la sua erosione non comporta danno di alcun genere; quando il pennello è posizionato al passaggio fra la spiaggia e un tratto di costa alta ove il sedimento, comunque, si perderebbe su fondali profondi. Poiché è difficile che tratti di spiaggia siano “spendibili”, almeno dove il turismo è un fatto importante, al primo pennello se ne fa seguire un altro, per proteggere la zona che è entrata in erosione, e poi un altro e un altro ancora, fino a che tutta la spiaggia è coperta, si da assumere l’aspetto, se vista dall’alto, di un pettine più o meno fitto. Per ridurre gli effetti negativi, queste opere, che possono essere costituite di materiale vario, naturale o artificiale, vengono costruite permeabili, si da consentire il passaggio di una certa quantità di sedimento, oppure sommersi, per permettere a parte del flusso di sedimento di scavalcarle. Nonostante il loro largo impiego, come si è detto, non è affatto noto quali leggi regolino l’equilibrio fra lunghezza dei pennelli, spaziatura, permeabilità ecc. e quindi nella progettazione si è costretti ad

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affidarsi alla propria esperienza, procedendo in modo empirico. Questo vuol dire che non si è mai certi del risultato fino a quando l’opera non sia stata ultimata e a quel momento potrebbe risultare inefficace o addirittura dannosa, con conseguente rilevante danno economico. Attualmente sono in corso di sperimentazione pennelli di concezione innovativa sia dal punto di vista dei materiali con cui vengono costruiti, che per quanto concerne la loro ubicazione. I tempi, però, non sono ancora maturi per potere esprimere un giudizio. L’esperienza fino ad oggi maturata è da considerare negativa e l’uso di difese trasversali viene quasi universalmente sconsigliata in quanto i danni sono maggiori dei benefici; a questo si aggiunga il notevole impegno economico per la manutenzione di opere sottoposte a rapido deterioramento. Oggi si costruiscono ancora pennelli, ma solo quando si interviene con opere di ricostruzione della spiaggia (ripascimento artificiale, di cui si parlerà in seguito) e allo scopo di rallentare la perdita lungo riva del sedimento che si è versato. Effetto analogo a quello dei pennelli hanno i moli fociali, che vengono costruiti alla foce di fiumi per confinare lo scorrimento dell’acqua in una sede ben definita e impedire, o almeno limitare, l’insabbiamento dell’imboccatura del canale. Anche queste opere sono quindi dannose per la spiaggia, ma da punto di vista del rapporto costi/benefici, tenuto conto che molti tratti fluviali terminali vengono utilizzati per il ricovero di imbarcazioni (in certi casi si tratta di veri e propri porti) e che l’insabbiamento di una foce può indurre seri problemi di inquinamento lungo l’asta fluviale, le considerazioni

che si possono fare sono diverse e diversa la decisione che si può adottare. Le difese parallele (più note con il generico termine di scogliere) sono opere di difesa costruite in mare, a una certa distanza dalla linea di riva e a questa in genere parallele; sono progettate per difendere la spiaggia dall’attacco del moto ondoso e per innescare la deposizione di parte del sedimento in transito lungo riva. Si tratta di strutture di più avanzata concezione di ingegneria marittima e, essendo utilizzate anche come opere atte a creare zone di mare tranquillo (porti), innumerevoli sono i modelli matematici utilizzati per predire il loro comportamento, così come le prove in vasca, sia bi che tridimensionali. Purtroppo il comportamento dei fondali a profondità relativamente elevata e in particolare lo spostamento dei sedimenti su tali fondali, sono di ancora più difficile interpretazione che non la dinamica in prossimità della linea di riva. Anche in questo caso, quindi, si procede in modo abbastanza empirico. Il loro costo è notevolmente più elevato rispetto a quello delle opere trasversali in quanto vanno costruite a distanza notevole dalla linea di riva (quindi in condizioni logisticamente difficili), necessitano grandi quantità di materiali (in genere vengono utilizzati massi naturali di notevole tonnellaggio) e, dovendo contrastare l’azione del moto ondoso, sono anche ingenti le spese per la loro manutenzione in quanto vanno “ricaricate” con notevole frequenza per contrastare l’azione di “spianamento” effettuata dalle onde. Anche per queste opere, come per i pennelli, si assiste a un loro moltiplicarsi lungo riva e in genere la progettazione non riguarda la singola

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SEMINARIO DI STUDIO scogliera, ma una serie di scogliere intervallate da bracci di mare libero. Questo è dovuto a un duplice motivo: da una parte è estremamente oneroso costruire un’unica barriera a coprire magari chilometri di litorale in erosione; dall’altra le scogliere, come si è già visto per i pennelli, se proteggono il tratto di litorale immediatamente retrostante, gene-rano comunque erosione sottoflutto (ossia sul lato opposto a quello di provenienza del moto ondoso). E’ quindi d’obbligo che a una scogliera ne segua un’altra, e poi un’altra ancora, e così via. La quantità di energia che raggiungerà la linea di riva dipende in particolare dall’ampiezza dei varchi fra due scogliere successive, che dovrebbe essere circa il doppio della lunghezza d’onda, mentre l’estensione lineare di ciascuna struttura dovrebbe essere quantomeno inferiore alla loro distanza dalla linea di riva. Quale è il risultato finale che si ottiene? Quello che in genere si osserva, una volta che le scogliere abbiano prodotto il proprio effetto, è il formarsi di una nuova linea di riva assai regolare, ma molto movimentata, costituita da una serie di piccole baie regolari ad arco di cerchio (che fronteggiano i varchi fra le scogliere e che evidenziano un arretramento anche sensibile dell’originaria linea di riva), separate da esili cuspidi sabbiose disposte alle spalle delle scogliere, che spesso si saldano a queste e che testimoniano un avanzamento della spiaggia. Se si verifica tale saldatura l’effetto delle opere longitudinali è doppiamente dannoso in quanto, oltre a provocare l’erosione sottoflutto, bloccano il transito dei sedimenti lungo riva; infatti le cuspidi sabbiose si comportano come opere trasversali. Se questa tipologia di opere può

contribuire a rallentare l’erosione di una spiaggia, sicuramente il suo effetto è da considerarsi negativo dal punto di vista della balneabilità della stessa spiaggia. Infatti, come si è detto, il punto di arrivo è la trasformazione di una spiaggia in una serie di baie di qualche decina di metri di dimensione, protette dalle barriere e quindi caratterizzate da acqua quasi ferma; ciò provoca, specialmente durante la stagione estiva (quando il moto ondoso è poco accentuato) una quasi stagnazione con accumulo di rifiuti e tendenza all’inquinamento. Per evitare sia questo che altri problemi, si cerca di incrementare la permeabilità delle scogliere, oppure le si costruisce sommerse. E’ evidente che le varianti, se risolvono un problema, sicuramente altri ne creano ed è anche per questo motivo che sul piano tecnico si ricorre a opere di difesa miste (trasversali e longitudinali, emergenti e sommerse). Se le opere di difesa classiche sono sovente inefficaci e sempre dannose in quanto, come si è detto, esportatrici di erosione, cosa resta da fare se non si vuole soggiacere all’ineluttabile? Poiché non è possibile eliminare la causa dell’erosione perché, se essa è naturale, siamo impotenti, se è di origine antropica, è troppo tardi, nella stragrande maggioranza dei casi, per fare qualcosa, gli ingegneri, e va loro riconosciuto questo merito, hanno ritenuto di sfruttare l’esperienza nella costruzione di porti per intervenire sul motore, ossia sull’energia in grado di raggiungere la riva e capace di operare un’azione erosiva. Per questo è corretto, nel caso degli interventi da loro progettati, parlare di opere “di difesa” e quindi da un elemento “aggressore”. Hanno sempre inteso curare una malattia; purtroppo la

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

malattia è incurabile e, come sovente accade, curare da una parte comporta un danneggiamento da un’altra. Allora bisogna cambiare totalmente ottica, quasi filosofia: il mare non è un aggressore, ma assieme alla terra a esso limitrofa è un tutt’uno che, quale che sia il motivo, è stato privato degli apporti di sedimento di cui abbisogna per mantenere una condizione di equilibrio; non ha senso curare la malattia, ma bisogna intervenire sugli effetti dannosi. Ossia non si impedisce l’erosione (nel senso di asporto di sedimento), ma si impedisce l’arretramento della linea di riva; questo e’ possibile solo se sistematicamente si rimborsa la spiaggia, artificialmente, di quanto ha perso. E’ questa la metodologia del ripascimento: l’uomo si sostituisce alla natura, dando alla spiaggia quei sedimenti di cui essa abbisogna per non mutare una determinata condizione di equilibrio. Questa metodologia, rispetto alla precedente, ha indubbiamente alcuni vantaggi: • non si corre il rischio di “esportare”

l’erosione, anzi le spiagge limitrofe traggono giovamento dall’inter-vento effettuato;

• un intervento “sbagliato” non potrà essere dannoso, ma, al peggio, inefficace;

• il ripascimento amplia la spiaggia e quindi apporta benefici economici alla comunità.

E’ evidente che esistono alcune difficoltà, altrimenti questa metodo-logia non sarebbe da alcuni messa in discussione; quali le difficoltà e quindi i problemi da risolvere? Sono fondamentalmente due. Prima difficoltà è l’esigenza di ripetere ciclicamente l’intervento poiché la

causa dell’erosione non viene eliminata e non si interviene a ridurre la quantità di sedimento annualmente asportato. Da ciò deriva l’esigenza di una manutenzione ciclica (con durata dei cicli che può essere assai variabile) e quindi della disponibilità, possibilmente in una zona prossima alla spiaggia da proteggere (e eventualmente da ricostruire), di grandi quantità di sedimento da immettere artificialmente nel tempo; conseguenza di quanto precede sono gli oneri economici, tutt’altro che modesti. Seconda difficoltà è la necessità di poter disporre non di un sedimento qualsiasi, ma di una sabbia simile, per granulometria e composizione mine-ralogica, a quella presente sulla spiaggia su cui si intende intervenire. La prima difficoltà si supera se si dispone di grandi quantità di sedimento a basso costo e questo è possibile solo se si utilizzano sabbie prelevate dai fondali marini. Infatti in questo caso i volumi a disposizione (sempre che delle sabbie siano presenti sui fondali e solo la ricerca può dare questa certezza) sono assai notevoli e i costi ridotti sia per la minore incidenza del trasporto sul costo totale, sia perché non insorge la conflittualità con l’industria edilizia. La seconda difficoltà comporta una ricerca attenta e puntigliosa, su superfici assai vaste, con ricostruzione degli eventi geologici succedutisi nei tempi recenti, si da ipotizzare i meccanismi di trasporto e quindi le zone di accumulo di sedimenti analoghi a quelli che oggi si depositano lungo le fasce costiere. In particolare nel caso di un intervento mediante ripascimento, il termine ricerca è una parola magica e la chiave di volta dell’intera impalcatura. Infatti la distribuzione delle sabbie sui

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SEMINARIO DI STUDIO fondali marini non è nota e tanto meno è nota la loro qualità, quantità e sfruttabilità. Inoltre non è possibile prelevare le sabbie ovunque esse si trovino, ma, a parte i problemi ambientali che si possono innescare, bisogna contemporaneamente soddi-sfare alcune condizioni imposte dall’attuale tecnologia di prelievo e refluimento e dall’esigenza che i costi siano, per quanto possibile, contenuti. Tali condizioni sono: • il deposito deve avere spessore

non inferiore a 3-4 m; • il deposito deve, possibilmente,

essere affiorante sul fondale o avere una copertura di fango non superiore a circa 4 m;

• il deposito deve essere localizzato su fondali di profondità non inferiore a 20 m e non superiore a circa 60 m.

La prima condizione è necessaria perché un deposito di spessore troppo modesto non sarebbe in grado di fornire grandi quantità di sedimento e, inoltre, si correrebbe il rischio di asportare integralmente il livello sabbioso, mettendo a nudo gli eventuali fanghi sottostanti e mutando, quindi, le caratteristiche granulometriche del fondale, con possibile danno ambientale. La seconda condizione è indispensabile se si vogliono tenere bassi i costi e salvaguardare l’ambiente, sia nella zona di prelievo che lungo la spiaggia da ricostruire. Infatti, poiché il fango è inutilizzabile per il ripascimento, diviene necessario il suo allontanamento prima che si possa procedere allo sfruttamento del sottostante giacimento sabbioso. Tale allontanamento ha un suo costo, non indifferente, sia in termini economici (giornate di lavoro per una draga),

che ambientali (incremento notevole della torbidità durante le operazioni e necessità di un sito ove ricollocare quanto asportato). La terza condizione ha una doppia origine: da una parte non è possibile il prelievo su fondali di profondità superiore a 60 m circa per motivi tecnologici e disponibilità, sul mercato internazionale, di mezzi idonei; dall’altra non è assolutamente consigliabile operare su fondali di profondità inferiore a 20 m (limite forse eccessivo, ma è sempre meglio essere cauti) per motivi di sicurezza e salvaguardia della spiaggia che si intende proteggere. Infatti i fondali di profondità inferiore a quella indicata possono rientrare nel “sistema spiaggia” e un loro approfondimento, conseguente l’escavazione, avrebbe come effetto quasi immediato il richiamo di sabbia dalla spiaggia emersa, instaurando così un circuito perverso. Tale limite non potrà subire variazioni sensibili con l’approfondimento delle conoscenze in quanto esso è imposto dalle condizioni climatiche, mentre è presumibile che il limite esterno (oggi 60 m) verrà costantemente spostato su fondali più profondi a seguito delle innovazioni tecnologiche imposte dalle esigenze di mercato. Da tutto quanto precede consegue che la metodologia del ripascimento richiede notevoli spese non solo per la ricostruzione della spiaggia e la sua manutenzione, ma anche per la ricerca di giacimenti quanto più possibile idonei allo scopo. Se non si ha una conoscenza completa della situazione “mineraria” si potrà al massimo risolvere il problema di un singolo tratto di spiaggia, ma non certo impostare una “politica” di salvaguardia dei litorali.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Allora ci si può chiedere se è opportuno intervenire su un litorale in erosione mediante un ripascimento, considerata l’entità della spesa, termine diverse volte utilizzato e su cui è opportuno spendere alcune parole. Per gli interventi sui litorali (ma più in generale per qualsiasi opera) parlare di spesa ha, o può avere, poco senso; tutto va visto in termini di rapporto fra costo dell’opera (ma anche degli eventuali effetti negativi) e beneficio che se può ottenere. Nel caso delle opere rigide quali i costi più rilevanti ed evidenti, a parte quelli connessi alla progettazione? • acquisizione dei materiali (naturali

o artificiali) necessari e loro messa in opera;

• danni provocati dalla “esportazione dell’erosione” sotto flutto, di cui si è già detto;

• danni connessi al notevole impatto ambientale, specialmente quando le opere sono emerse;

• danni connessi alla diminuita balneabilità del litorale, in particolare nel caso di opere radenti;

• danni per un probabile incremento dell’inquinamento sottocosta quan-do si tratti di opere parallele;

• pericolosità delle opere per i bagnanti e le imbarcazioni;

• elevati costi per l’eliminazione dell’opera, se questa dovesse risultare dannosa.

Quali i benefici? • protezione dall’azione del mare del

tratto direttamente protetto dalle opere parallele;

• protezione dall’azione diretta del mare su vie di comunicazione, nel caso di opere radenti;

• ampliamento di tratti di litorale, nel caso di opere trasversali, ma solo

se esistono le condizioni favorevoli;

• creazione di un ambiente favorevole per alcune specie di fauna marina.

Nel caso di un intervento di ripascimento quali i costi? • acquisizione e messa in opera

delle sabbie; • possibile insabbiamento di bocche

fluviali o portuali limitrofe alla zona di intervento;

• danno a eventuali praterie a fanerogame, se il sedimento utilizzato non è idoneo;

• danni ambientali nella zona (marina) di prelievo dei sedimenti da utilizzare;

Quali i benefici? • protezione delle strutture ubicate

sul litorale sottoposto a intervento; • ampliamento della spiaggia e

quindi maggiore fruibilità; • produzione di reddito; • nessun costo per eventuale

demolizione in quanto l’intervento può al massimo risultare inefficace;

• i litorali sottoflutto non possono essere danneggiati, ma possono trarre profitto dall’intervento.

Se si confrontano i due elenchi, risulta evidente come la bilancia penda a favore degli interventi di stabilizzazione e/o ricostruzione di una spiaggia in erosione mediante ripascimento artificiale e per alcuni motivi fondamentali: 1. le opere rigide, al contrario degli

interventi di ripascimento, non ricostruiscono una spiaggia e quindi non apportano reddito, anzi possono diminuirlo rendendo la spiaggia meno fruibile;

2. le opere rigide possono apportare un danno sottoflutto, mentre il

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SEMINARIO DI STUDIO

ripascimento risulta benefico per i litorali limitrofi;

3. il ripascimento è più costoso, in particolare perché necessita di essere ripetuto ciclicamente. Si tratta di un falso concetto, infatti questa esigenza di ripetere l’intervento va vista come manutenzione dell’arenile e, anche se purtroppo assai spesso non si fa, pure le opere rigide hanno bisogno di manutenzione, ma con una non piccola (sostanziale) differenza. Il ripascimento, producendo reddito, è in grado di ripagare anche la manutenzione, le opere rigide no. Si consideri che il recente ripascimento di Ostia è costato circa 70.000 lire al m2 e, a detta dei gestori degli stabilimenti balneari, ciascun m2 di litorale produce un reddito di circa 4 milioni l’anno; i litorali ricostruiti nell’area veneta sono costati circa 90.000 lire al m2 ed è facile immaginare il loro valore;

4. un’opera rigida distrutta da una mareggiata è persa, mentre il mare tende a restituire, con il ritorno delle buone condizioni, almeno parte della sabbia che aveva trascinato via

5. un’opera rigida spesso ha un notevole impatto ambientale ed è sempre pericolosa, il ripascimento può avere un impatto ambientale nella zona di prelievo, ma non è mai pericolosa per i fruitori della spiaggia;

6. infine è noto, e tutti concordano, che la più efficace difesa di un litorale è la spiaggia in quanto in grado di dissipare l’energia del moto ondoso più e meglio di qualsiasi opera.

Purtroppo mentre nel settore delle “opere rigide” esiste una forte offerta sia delle materie prime, che della loro

messa in opera, che della progettazione, per il ripascimento tutto questo manca e l’offerta è ancora debole. Questo implica maggiori costi (che nel tempo sicuramente diminuiranno) per il reperimento dei sedimenti idonei e per la progettazione dell’intervento. Infatti non bisogna dimenticare che il ripascimento è un vero e proprio intervento che abbisogna di molte conoscenze e di una progettazione; non è semplicemente un “versare ” sabbia con la speranza che si conservi in posto. In particolare il ripascimento è l’unico intervento consigliabile per quei litorali che non siano impegnati da infrastrutture e da insediamenti urbani, ossia per quelle aree ancora naturali (definite “selvagge” nella relazione del TCI) che purtroppo costituiscono solo il 5,4% dell’intero arco costiero italiano. Delle 15 regioni che si affacciano sul mare solo 6 hanno questa prerogativa e fra esse spicca la Basilicata, regione per la quale circa un terzo del paesaggio costiero è definibile “selvaggio”. Potrebbe sembrare un fatto negativo -selvaggio eguale mancanza di turismo e quindi di reddito - ma tutto sta nel definire quale tipo di turismo si intende incentivare e, di conse-guenza, quale tipologia di strutture di accoglienza e ricezione porre in opera. E’ indubbia la grande richiesta di posti barca, ma altrettanto grande è la richiesta di passare il proprio tempo libero nella natura e con un non piccolo non trascurabile particolare: mentre i posti barca tendono a fiorire un po’ ovunque, i litorali naturali sono un genere in via di estinzione. Nel mondo ambientalista, discutibile quanto si vuole, ma che riflette talune necessità, c’è chi ritiene che la base di partenza per la tutela delle coste

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

debbano essere le 362 aree di lunghezza superiore ai 3 km quasi integralmente libere da insediamenti e infrastrutture. Si tratta di circa 2500 km di costa libera che si interpone , molto frazionata e spesso caratterizzata da litorali rocciosi, al continuo dell’edificato. Questo patrimonio, se salvaguardato, potrebbe essere l’inizio di una rinaturalizzazione delle coste e questo non sarà certo possibile se, quando sia necessario proteggere, si interverrà con opere rigide. Bibliografia essenziale AMINTI P. & PRANZINI E. (EDITORI) – La difesa dei litorali in Italia.Amministrare l’urbanistica, esperienze, 34. Edizioni delle Autonomie, Roma 1993.

CARTER R.W.G. - Coastal Environmets. Academic Press Limited. London, 1988 CLARK J.R. - Coastal Echosystem Management. John Wiley & Sons. London, 1977. COASTAL ENGINEERING RESEARCH CENTER - Shore Protection Manual. Department of the Army, Waterways Experimental Station, Corps of Engineers. Washington, 1984 D’ALESSANDRO L. & LA MONICA G.B. – Rischio per erosione dei litorali italiani. Atti dei Convegni Lincei, 154. Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1999 FONDAZIONE GIOVANNI AGNELLI - Manuale per la difesa del mare e della costa. Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli. Torino 1990 GOUDIE A. – The Human Impact. Man’s Role in Environmental Change. Basil Blackwell. Oxford, 1981 TOURING CLUB ITALIANO – Il patrimonio costiero in Italia. Una risorsa in pericolo. CENTRO STUDI DEL TCI, TOURING CLUB ITALIANO. 1997 TOURING CLUB ITALIANO – Turismo e ambiente nelle località balneari. Centro Studi del TCI, Touring Club Italiano. 1998

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Spiagge artificiali in ghiaia per la difesa e l'utilizzazione turistica del litorale

P. Amint i1 e E. Pranzini2

1Dipartimento di Ingegneria civile dell'Università degli Studi di Firenze

Via S. Marta, 3 - 50139 Firenze 2Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università degli Studi di Firenze

Via Jacopo Nardi, 2 - 50132 Firenze G.N.D.C.I., Linea 2, U.O. di Roma

L'erosione delle spiagge, che colpisce circa la metà delle coste basse italiane (CNR-MURST, 1997; D'Alessandro e La Monica, 1999), pone, non solo problemi di difesa dei centri abitati e di vie di comunicazione, ma anche di conservazione di una risorse su cui si basa gran parte dell'industria turistica nazionale. La difesa degli abitati e delle infrastrutture costiere ha comportato, nell'ultimo secolo, la costruzione di massicce scogliere, aderenti, parallele o perpendicolari a costa. In questi casi, il mantenimento dell'arenile è stato necessariamente considerato secondario, e l'effetto delle opere è stato in genere quello di determinarne la completa scomparsa. La difesa delle spiagge, il più delle volte perseguita attraverso la costruzione di scogliere parallele o di pennelli, ha causato quasi sempre l'erosione di tratti limitrofi di litorale non protetto e non sempre l'espansione delle stesse spiagge difese, che comunque hanno visto ridotto il loro valore ambientale e turistico, sia per l'impatto paesaggistico delle opere che per il peggioramento granulometrico dell'arenile e della qualità delle acque di balneazione nella zona protetta. Negli ultimi anni si è progres-sivamente affermato il concetto di difesa dei litorali per mezzo del ripascimento artificiale, eseguito con

materiali di origine terrestre o, meglio ancora, marina (Caputo et al., 1993). Ciò ha consentito, in alcuni casi, la ricostruzione di spiagge con caratteristiche granulometriche simili a quelle originarie, come avvenuto recentemente sui litorali della laguna veneta (Silva e De Girolamo, 1993) e sulla spiaggia del Lido di Ostia (La Monica, presente volume). In molti casi, però, la creazione di spiagge con sedimenti fini non è perseguibile, almeno dal punto di vista economico. In litorali molto esposti al moto ondoso la sabbia non è stabile e i volumi da immettere per compensare le perdite annuali sarebbero enormi. Dove sono state costruite opere di difesa riflettenti, spesso i fondali si sono abbassati notevolmente e la costituzione di una spiaggia a debole pendenza, quale è quella costituita da sabbia, comporta l'immissione di ingenti volumi di sedimenti. In altri casi, in genere in corrispondenza di vie di comunicazione lontane dai centri turistici, non è certamente proponibile la difesa della viabilità con la creazione di una spiaggia di sabbia, il cui costo di costruzione e di mantenimento sarebbe eccessivo. In tutti questi casi è possibile prendere in considerazione la realizzazione di una spiaggia artificiale in materiale grossolano, che può assolvere contemporaneamente agli scopi difensivi ed a quelli

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

ricreativi, ad un costo comparabile, se non inferiore, a quello di una difesa tradizionale. I sedimenti grossolani mostrano, sia in natura che nei ripascimenti fino ad oggi realizzati, una grande stabilità, data, non solo dalle dimensioni dei materiali (Is = Indice di stabilità; Pranzini, 1999) che richiedono elevate energie per essere mobilizzati, ma anche dalla loro permeabilità e porosità. Queste due caratteristiche consentono l'infiltrazione dell'acqua durante la fase di uprush, acqua che ritorna al mare per flusso sub-superficiale, non innescando quelle forze trattive sulla battigia indotte dal backwash e che causano l'asportazione dei granuli. Ciò determina anche l'abbandono, sulla battigia e sulla cresta della berma in formazione, dei granuli trasportati dai moti on-shore, con la formazione di berme assai elevate (Orford, 1977; Orford e Carter, 1985). Questo aspetto è messo anche in evidenza dai modelli numerici oggi disponibili (van Hijum e Pilarczyk, 1982; van der Meer, 1998) che forse sovrastimano l'altezza delle berme create in spiagge in ghiaia e ciottoli. Uno dei problemi ancora da risolvere a livello teorico riguarda la compatibilità fra i sedimenti fini che costituiscono la spiaggia sommersa e quelli grossolani artificialmente immessi sul litorale. In caso di spiagge naturali costituite da sedimenti misti (sabbia più ghiaia) si nota come gli elementi di dimensioni maggiori si ritrovano sullo step (Miller e Zeigler, 1958), in corrispondenza dell'ultimo frangimento, e in genere la ghiaia si dispone fra la cresta della berma e la base dello step, mentre sui fondali antistanti, già ad un metro di profondità, vi sono esclusivamente i sedimenti più fini. Questa separazione è caratteristica certamente delle

condizioni di mare calmo o poco mosso, quando è possibile effettuare campionamenti, mentre al momento non è dato di sapere se si mantenga anche durante gli eventi estremi. Il flusso dei sedimenti grossolani verso riva è stato verificato durante le fasi di realizzazione della spiaggia di Cala Gonone, in Sardegna, (Pacini et al., 1997, 1999) (Figura 1) quando i materiali di ripascimento, ghiaie e ciottoli prodotti in frantoio, sono stati stesi in mare tre volte, ad una quota di circa -30 cm, per poi essere stati subito riportati a riva dal moto ondoso, che ne ha determinato anche una pulizia ed un preliminare arrotondamento. Il non mescolamento fra i due materiali è stato verificato anche in prove eseguite nel canale del Dipartimento di Ingegneria civile dell'Università di Firenze, per l'impostazione di un progetto di modifica delle difese di Marina di Pisa (Bresci, 1998). Per questo progetto, di cui parleremo più approfonditamente in seguito, sono state fatte anche simulazioni di eventi estremi, con tempo di ritorno di 30 anni (Hs = 5.25 m), nelle quali i materiali che simulavano ghiaia grossolana e ciottoli venivano accumulati verso riva raccordandosi con la sabbia fine del fondo con un evidente punto di rottura del profilo (Figura 2). Mareggiate estreme di durata equivalente a quattro giorni non hanno determinato un significativo abbassamento del punto di raccordo, cosa che avrebbe potuto minacciare la stabilità del ripascimento. Ovviamente questo profilo è stato raggiunto solo quando il volume dei materiali immessi ha consentito la costruzione di una spiaggia sufficientemente ampia da assorbire completamente l'uprush,

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SEMINARIO DI STUDIO senza riflessioni sulla scogliera che delimita la spiaggia verso terra. Il problema della separazione fra i materiali grossolani immessi e quelli fini in loco richiede ancora studi teorici ed applicati, infatti vi sono casi in cui il ripascimento in ghiaia è stato naturalmente coperto dalle sabbie fini presenti nel paraggio. E' quanto accaduto a Terracina (Berriolo, 1993) e sulla spiaggia di Fondi-Sperlonga (Figura 3) (Berriolo, 1999). Uno dei problemi da risolvere in questo tipo di interventi è connesso alla forte mobilita delle ghiaie lungo riva. Un versamento di ghiaia effettuato a sud di Marina di Cecina (Toscana) sembra aver determinato la presenza di elementi grossolani sulla spiaggia di Marina di Castagneto, 15 chilometri sottoflutto, già solo dopo quattro anni. Anche un ripascimento con materiale eterogeneo e molto grossolano, effettuato a Policoro Lido (Matera) senza opere di contenimento, ha comportato la formazione di un lungo cordone ghiaioso sulla battigia (Figura 4) dimostrando la grande velocità dei materiali grossolani su di un sottofondo si sabbia fine. Questo flusso lungo riva è comunque facilmente intercettabile con pennelli di lunghezza assai modesta, dato che non interessa una estesa fascia batimetrica. Per ridurre la mobilità lungo riva è stata studiata la possibilità di usare anche una barriera parallela il cui dimensionamento ottimale è stato definito sulla base di indagini su modelli fisici tridimensionali eseguiti nel laboratorio di Wallingford (Coates e Dodd, 1994).

Figura 1 - La spiaggia di Cala Gonone (Sardegna) prima e dopo l'intervento di ripascimento artificiale realizzato con ghiaia.

Figura 2 - La difesa del litorale di Marina di Pisa simulata nel canale per onde del Dipartimento di Ingegneria civile dell'Università di Firenze. Si nota il contatto netto fra le sabbie del fondo e la ghiaia del ripascimento. Nell'intervento effettuato a Cala Gonone, dove uno dei vincoli era il massimo rispetto dei valori paesaggistici, la riduzione del flusso lungo riva è stato ottenuto utilizzando

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

opere parallele sommerse (secche artificiali) realizzate con massi, simili a quelli presenti in loco lungo riva, e disposti in modo disordinato. Le onde vengono parzialmente riflesse da queste opere, con una conseguente riduzione dell’energia trasmessa a tergo ottenendo come risultato un modellamento della linea di riva conforme a quello della falesia retrostante. La loro efficacia è dimostrata sia dalle cuspidi che si sono formate dietro di esse, che dalla quota della berma di tempesta, assai minore di quella che caratterizza i tratti di spiaggia più esposti (Pacini et al., 1999). Il materiale utilizzato è stato, in un primo tempo, calcare prodotto mediante frantumazione, e, in un secondo tempo, granito alterato che si sbriciolava spontaneamente durante l'escavazione. Il primo materiale, che aveva anche dimensioni più grossolane, ha subito un consistente arrotondamento già nel corso del primo anno, consentendo un precoce sfruttamento turistico dell'arenile. Non sono stati effettuati studi sull'arrotondamento dei granuli di granito, che comunque per la loro forma e dimensione costituivano già una spiaggia pienamente fruibile al momento della chiusura del cantiere.

Figura 3 - Ripascimento in ghiaia sulla spiaggia di Fondi-Sperlonga. Il materiale originario, nella foto in alto durante le fasi di versamento (Maggio 1996), appare, nella foto in basso, coperto dalla sabbia fine nativa (Maggio 1997) (da Berriolo, 1999).

Figura 4 - Cordone ghiaioso allungato derivante da un ripascimento in materiale eterogeneo e grossolano effettuato di recente sulla spiaggia di Policoro Lido. Una spiaggia in ghiaia è stata recentemente realizzata a Punta del Tesorino (Figura 5) per la difesa della Riserva biogenetica di Cecina (Aminti, 1998). In questo caso sono stati utilizzati materiali di dimensioni comprese fra 4 mm e 20 mm con un valore medio di circa 10 mm, mentre il contenimento del trasporto lungo riva è stato ottenuto tramite la costruzione di 3 pennelli lunghi 60 m, due dei quali prolungati come setti sommersi per ulteriori 140 m.

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Figura 5 - Intervento di ripascimento con ghiaietto sul litorale di Rosignano Marittimo. La scogliera, in via di demolizione, segna la posizione raggiunta dal mare prima dell’intervento. L'intervento ha subìto le mareggiate dell'ultimo inverno, una delle quali di intensità eccezionale, stimata, sulla base dei danni causati, come un evento con tempo di ritorno dell’ordine di 10 anni. La spiaggia ha dimostrato di avere una elevata stabilità e di costituire un'efficace protezione del territorio retrostante, dove l'erosione procedeva ad un tasso superiore ai 3 metri all'anno (Cipriani e Pranzini, 1998). La spiaggia che si è formata costituisce inoltre una notevole attrattiva, in un litorale caratterizzato da una forte pressione turistica e da una ridotta disponibilità di arenili. Un intervento simile è di imminente realizzazione sulla spiaggia posta a nord di Bocca d'Arno, dove l'erosione ha determinato sul tratto di 2500 m a nord della foce un arretramento medio di circa 300 m con un massimo alla foce di circa 1.300 metri negli ultimi 120 anni e dove l'attuale tasso di erosione, su un tratto di 1 Km, è di 20 metri all'anno . L'area rientra nel Parco Regionale Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli, caratte-rizzato da una vegetazione igrofila d'acqua dolce messa a rischio dall’ingressione di acqua salata durante le mareggiate. Il forte deficit sedimentario, nei 2500 metri più a rischio, non è certamente colmabile

con ripascimenti di sabbia, anche perché non vi è disponibilità a mare, e la realizzazione di imponenti difese rigide, oltre che assai costosa, sarebbe incompatibile con le caratteristiche naturali dell'area. Si prevede quindi la costruzione di una spiaggia artificiale in ghiaia, delimitata da 9 pennelli lunghi da 70 a 100 m, 4 dei quali estesi per ulteriori 180 m come setti sommersi. La ghiaia, trattenuta dalla parte emersa dei pennelli, dovrebbe stabilizzare la linea di riva, mentre i setti sommersi dovrebbero favorire l'innalzamento dei fondali senza interferire in modo definitivo con il flusso delle sabbie lungo riva. Questo progetto è stato verificato con un modello morfodinamico (DEAM, 1998), che ha dimostrato di riprodurre con grande attendibilità i processi in atto su questo tratto di costa. In ciò sono stati di grande aiuto i dati morfologici e sedimentologici raccolti in modo organico negli ultimi anni. Anche in questo caso è stata messa in evidenza la necessità di disporre di dati meteomarini di uguale qualità, che, dove non siano presenti stazioni della Rete Ondamentrica Nazionale, non è assicurata dai modelli di hindcasting. Il progetto è accompagnato da uno schema di monitoraggio che l'Ente attuatore (Regione Toscana) si impegna ad eseguire, sia per valutare l'efficacia dell'intervento che per ottenere dati eventualmente necessari per una sua ottimizzazione. E' evidente anche l'interesse scientifico che un simile monitoraggio può costituire, in assenza di accurati dati sperimentali sulla morfodinamica delle spiagge miste. Un intervento assai diverso è quello previsto per i 3 chilometri del litorale di Marina di Pisa (Aminti et al., 1998),

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

posto sul lato meridionale della foce dell'Arno (Figura 7). Qui l'erosione, che aveva iniziato a manifestarsi dopo la metà del secolo scorso, è stata limitata con la costruzione di scogliere aderenti, parallele e di pennelli, tanto che su di un tratto di 2,3 chilometri di litorale vi sono ben 5,1 chilometri di scogliere (Rapporto di protezione 2,2 a 1). Se ciò ha consentito la stabilizzazione della linea di riva, ha anche comportato una forte erosione dei fondali antistanti le difese, dove attualmente si raggiungono profondità di circa 7 metri (Pranzini e Sagliocco, 1994). In queste condizioni anche le onde di tempesta non frangono che sulla scogliera stessa, scaricandovi la gran parte della loro energia. Il debole flusso sedimentario proveniente dalla foce dell'Arno è allontanato da costa dall’agitazione indotta dalla riflessione delle onde, come dimostra la morfologia del fondale, che presenta una debolissima convessità con il top a circa 150 metri scogliere. Le spiagge poste immediatamente sottoflutto non vengono quindi raggiunte da questa alimentazione e ciò ha indotto la costruzione di opere di difesa abusive e caotiche sempre più a sud. Queste perversa spirale può essere interrotta solo con il ritorno ad un profilo di spiaggia più naturale, nel quale l'energia del moto ondoso venga dissipata in modo più graduale. Ciò non è ovviamente possibile con la costruzione di una spiaggia di sabbia, che richiederebbe alcuni milioni di metri cubi di sedimenti per ricostruire un profilo della spiaggia emersa e sommersa in equilibrio senza le barriere parallele; sarebbe inoltre necessario un ripascimento di manutenzione annuale dell’ordine di diverse centinaia di migliaia di metri cubi.

La soluzione proposta prevede un primo abbassamento della scogliera parallela e la creazione di una spiaggia in ghiaia con 100 mc per metro di litorale. Il trasporto lungo costa, per una spiaggia in ghiaia assume valori dello stesso ordine di grandezza di quello stimato per le spiagge in sabbia (Lamberti e Tomasicchio, 1997) e pertanto sono necessarie strutture di contenimento quali pennelli emersi, collegati con setti sommersi alla scogliera esterna. Si verrà così a formare una spiaggia ampia 30 metri, sufficiente ad assorbire l'energia del moto ondoso che supererà la barriera sommersa .

Figura 7 - Stato attuale delle difese del litorale di Marina di Pisa. Questa spiaggia potrà costituire un’occasione di rilancio turistico per Marina di Pisa, oggi completamente priva di spiaggia e con acque di balneazione, delimitate dalle scogliere, caratterizzate da una scarsissima circolazione. Il progetto di difesa, in questo caso, viene accompagnato da una previsione di trasformazione della fascia costiera che consenta una nuova funzione dell'interfaccia terra-mare (Aminti et al., 1999). Già le opere a mare sono posizionate in modo che il nuovo assetto costiero sia compatibile con l'impianto ottocentesco dell'abitato, con esedre che costituiranno il

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SEMINARIO DI STUDIO prolungamento verso mare delle piazze, ed accessi al mare in asse con la viabilità trasversale. Dove i pennelli determineranno una maggiore espansione della spiaggia potranno essere posizionate infrastrutture e servizi per la balneazione. Su di un più lungo termine, se il profilo della spiaggia sommersa esterna alla soffolta avrà l'evoluzione sperata, con un innalzamento dei fondali, sarà possibile abbassare gradualmente la scogliera o ridurre le dimensioni dei sedimenti che costituiranno la spiaggia emersa. Questo graduale ritorno verso condizioni naturali, che abbiamo proposto anche in ambiente internazionale con lo slogan "back to the beach" (Aminti ed al, 1999a), richiederà ovviamente tempi assai lunghi ed una notevole fiducia da parte degli amministratori locali. In ciò saranno di grande aiuto i risultati che verranno ottenuti nelle fasi iniziali del progetto, che però sono certamente le più critiche, dato che non saranno disponibili immediatamente tutte le risorse finanziarie necessarie e l'intervento dovrà essere realizzato su tratti limitati, aumentando notevolmente il rischio di insuccesso. Al limite meridionale del tratto attualmente difeso dalla doppia serie di scogliere, e che sarà oggetto del progetto di recupero integrale, verrà costruita, nei prossimi mesi, una spiaggia in ghiaia a difesa di un tratto della viabilità litoranea particolarmente colpito durante le mareggiate, nonostante la presenza di una massiccia scogliera aderente (Aminti e Pranzini, 1999). Qui la funzione prima dell'intervento è la difesa della strada, ma certamente la riduzione della riflessione delle onde sulla scogliera faciliterà il

riavvicinamento del flusso sedimentario. Questo tratto costituirà inoltre il raccordo fra le spiagge in ghiaia difese dalla scogliera soffolta e le spiagge meridionali, oggetto di un diverso progetto basato su di un ripascimento in sabbia, protetto da una scogliera soffolta posta su di un fondale di circa 3 metri (Ghezzi et al., 1998). La realizzazione di questa spiaggia in ghiaia rappresenterà un caso di studio interessante, dato che sono alcune centinaia i chilometri di vie di comunicazione, stradali o ferroviarie, interessati da processi erosivi innescati dal moto ondoso. La soluzione proposta è di rapida progettazione (Aminti et al., 1999b) ed esecuzione, di basso costo e di limitato, o nullo, impatto sui tratti di costa limitrofi. Potrebbe inoltre costituire la soluzione ideale per le difese costiere dei paesi in via di sviluppo, che si troveranno probabilmente a dover affrontare i problemi che ci affliggono da più di un secolo e ai quali potranno dare una risposta diversa da quella da noi data, che ha determinato il degrado di chilometri e chilometri di litorale di grandissimo valore ambientale e di elevate potenzialità turistiche. Bibliografia AMINTI P. (1998) - Progetto per gli interventi di protezione dell’abitato della Mazzanta. Comune di Rosignano Marittimo. AMINTI P., BERRIOLO G., DE FILIPPI G., PRANZINI E., ONETO J. (1998) - Progetto di recupero del litorale di Marina di Pisa. Comune di Pisa. AMINTI P., CIPRIANI L.E., PRANZINI E. (1999a) - Back to the beach: Breakwaters reduction cost-effectiveness and benefit-cost analysis (Marina di Pisa, Italy). Intercoast Newsletter, 33: 7,34-35. AMINTI P., PRANZINI E., TECCHI M.G. (1999b) - Modello di previsione del profilo di una spiaggia artificiale in ghiaia per la protezione di litorali o di opere costruite sulla costa. Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1-2 ottobre 1998. Pp. 257-262.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

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SEMINARIO DI STUDIO

Effetti delle attività antropiche e dell’innalzamento del livello marino

sull’evoluzione del litorale emiliano-romagnolo

U. Simeoni1 e G. Gabbianel l i 2

1Dipartimento di Scienze Geologiche e Paleontologiche - Università di Ferrara 2Centro Interdip. Scienze Ambientali - Università di Bologna, sede di Ravenna

L’evoluzione del litorale emiliano-romagnolo è caratterizzata dalla successione e dalla sovrapposizione d’eventi ambientali complessi cui va sommata, specie negli ultimi secoli, l’azione modificatrice indotta dall’uomo. L’importanza dell’attività antropica sull’evoluzione dei litorali viene messa nella giusta luce analizzando le vicende storiche del delta del Po. Dalla linea di costa olocenica (Fig. 1), ubicata a circa 20 km ad ovest dell’attuale nei pressi di Mezzogoro e a 4 km a W di Cervia, si è spostata progressivamente verso est, assumendo conformazioni via via differenti in funzione dell’efficienza delle foci fluviali e dell’azione del mare (Bondesan, 1990). Nel tempo vari rami del Po hanno assunto prevalenza: ad esempio dall’Età del Bronzo fino al VII secolo d.C. predomina il cosiddetto Po di Spina che da origine al delta dell’Eridano, smantellato subito dopo l’Età romana. Ad esso si sostituisce il Po di Volano che costruisce il delta di Pomposa-Volano e caratterizza lo sviluppo dell’area litorale fino al XII secolo. Successivamente ad una serie di rotte fluviali, avvenute presso Ficarolo nel XII secolo, la maggior parte delle acque del Po s’incanala a nord dando origine ad un’ampia piattaforma deltizia. Tra il XV ed il XVII secolo numerosi interventi antropici resero il Po di Primaro principale distributore

dell’area deltizia e modificarono sostanzialmente l’efficienza del Po delle Fornaci. Se per ipotesi il taglio di Porto Viro (1599-1604) non fosse stato effettuato, se il trasporto solido

del Po e la posizione dei suoi rami deltizi non fossero state modificate, in definitiva se negli ultimi 400 anni l’uomo non avesse modificato le caratteristiche del fiume, il Delta presenterebbe uno sviluppo assai diverso dall’attuale. Con tutti i possibili limiti, date le molteplici variabili in gioco, è ammissibile

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

supporre che la sua forma potrebbe essere oggi simile a quella rappresentata nella figura 2 (Simeoni e Bondesan, 1997).

Le vicende del Po hanno influenzato anche il litorale più settentrionale della regionale, basti ricordare come la costa tra P. Garibaldi e Casal Borsetti sia stata costruita dagli apporti del suo ramo Spinetico (Eridano), proveniente da NW, fino circa al VI secolo d.C., e quindi dai materiali portati dal Po di Primaro, particolarmente attivo fra l’VIII ed il XII secolo. Prima il Santerno (1460), poi il Lamone (1504), più tardi il Reno (1526) e il Senio (1537) trovarono

esito nel Po di Primaro; a ciò corrispose una marcata cuspide deltizia del Po di Primaro ben evidente per quasi tutto il '600. Tra il

1767 ed il 1795 a questo ramo, che aveva progressivamente perso officiosità, viene definitivamente allacciato il Reno, con una foce orientata verso est (Gabbianelli et al., in stampa). Successivamente, a causa d’alcune opere adottate lungo il corso terminale del fiume nel secolo XIX si evidenzia una nuova crescita della foce, con progressivo piegamento verso nord. In tempi più recenti studi condotti lungo la costa che da Volano scende

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SEMINARIO DI STUDIO giù fino a Cervia (Bondesan et al., 1978) evidenziano come tra la fine dell’800 inizio del 900 siano prevalsi i fenomeni d’avanzamento delle spiagge, con velocità particolarmente pronunciate negli anni precedenti al 1917. Successivamente si è assistito alla comparsa di diffusi fenomeni erosivi ed ad un rallentamento nei ritmi d’avanzamento, per cui intorno al 1935 la tendenza generale si è invertita, portando ad un trend evolutivo con prevalenza dei fenomeni erosivi. Questo trend, che trova riscontro anche nelle modifiche subite dai fondali, è caratterizzato da un progressivo smantellamento degli apparati di foce dei fiumi e da una spiccata azione rettificante del mare. Le variazioni climatiche verificatesi nella “Piccola età del Ghiaccio” (all’incirca tra il 1500 ed il 1850) modificarono significativamente le condizioni idrografiche della pianura padana, favorendo l’impaludamento di vaste aree litorali dell’Emilia-Romagna (Veggiani, 1982, 1984, 1994). Per porvi rimedio, tra il 1564 ed il1580, gli Estensi realizzarono uno dei più importanti tentativi di bonifica (Bonificazione Estense) del territorio ferrarese orientale, successivamente fallito per l’inadeguatezza della rete idrica a sostenere l’aggravio idraulico indotto dalle sfavorevoli condizioni ambientali del periodo e per fenomeni di subsidenza causati dal costipamento dei terreni prosciugati. La bonifica per colmata di questi territori (Fig. 3), iniziata nell’Otto-cento, sottrasse quantità notevoli di materiale al bilancio delle spiagge, incidendo pesantemente nell’evolu-zione d’alcuni tratti litorali. Per l'Idice alcune stime valutano un interrimento, dal 1814 al 1960, nella cassa di colmata tra 1,0 e 0,5 Mm

3/y, con

riduzione della zona acquitrinosa da 6.400 a 3.600 ettari e il riempimento in alcuni punti fino a 8 m sul piano originario. Le colmate del Lamone in circa un secolo (1834-1960) hanno ridotto la superficie da 8.200 a 1.800 ettari con un apporto in 107 anni di 60-65 Mm

3.

Eppure pur manomesse e private d’importanti contributi, fino agli anni ‘40 le spiagge dell’Emilia-Romagna presentavano un trend evolutivo sostanzialmente positivo (Simeoni et al., in stampa). E’ solo nell’ultimo cinquantennio che nell’area s’instaurano rapidi e diffusi fenomeni erosivi, particolarmente intensi tra gli anni ’60 e ’70. L’attuale situazione del litorale emiliano-romagnolo (Fig. 4) può essere sintetizzata dai seguenti dati: 39 km di litorale sono in avanzamento, 59 km stabili e 32 in arretramento. Quelli stabili ed in avanzamento sono soprattutto legati

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alla presenza d’opere portuali e di difesa, mentre quelli in arretramento sono ubicati tra il Lido di Spina e la foce del Reno, a sud di Ravenna ed a nord di Cesenatico e Riccione. A scala nazionale uno studio condotto su 2.470 km di litorale (La Monica e Landini, 1983) solo il 5% è in accrescimento, contro il 45% in netto arretramento. Il rimanente 50% presenta una situazione di relativa stabilità soprattutto in virtù di interventi di difesa operati a mare. Per le spiagge dell'Adriatico rifornite da apporti solidi fluviali, Dal Cin (1990) ritiene che quelle attualmente in erosione o che in passato lo sono state ed attualmente sono protette, rappresentino l'80-90 % . Queste analisi delle tendenze lineari, semplici in apparenza, sono assai complesse. Le registrazioni della variazione della linea di riva sono segnali che mettono in evidenza differenti processi e tendenze. Occorre che le tendenze evolutive siano viste come segnali di variazioni a più ampia scala ed associate all'evoluzione dei parametri climatici, meteo-marini, biologici, sedimento-logici, antropici, ecc. Su questa tendenza evolutiva hanno certamente influito fenomeni a scala mondiale, ma solo in piccola misura. Ad esempio è difficile verificare quantitativamente le modifiche del livello marino collegate al termoeustatismo, ma sicuramente l'instaurarsi di un periodo caldo contribuisce ad accentuare il fenomeno trasgressivo. Alcuni autori suggeriscono che la variazione di 1 °C nella temperatura media del mare comporta la variazione di 1 m del l.m.m. Le previsioni sugli innalzamenti della temperatura attesi per i prossimi 40-50 anni stimano, sulla base dei metodi di circolazione

generale (GCM), un riscaldamento medio globale compreso tra 1,2 e 2°C che possono diventare 3,5-5,2. Ipotizzando un aumento della temperatura globale molti ricercatori attendono un aumento del tasso di innalzamento del livello marino che dovrebbe continuare anche dopo la stabilizzazione dell’effetto serra a causa dei ritardi nelle risposte dei sistemi atmosferico ed oceanico. Per quanto concerne l’Italia Mosetti e Purga (1991) stimano un innalza-mento del l.m.m. compreso tra 1,08 mm/anno e 1,64 mm/anno a seconda del metodo impiegato, Mazzarella e Palumbo (1989) stimavano per il periodo 1890-1985 14,5 ± 0,6 cm. Adamoli (1979), con riferimento alle misure mareografiche dell'Alto Adriatico, suggerisce che il l.m.m. si sarebbe innalzato, negli ultimi 100 anni, di circa 20 cm. Questo valore, considerando una pendenza media della spiaggia di 4-2°C, corrisponderebbe ad un arretramento di circa 3-6 m in 100 anni, ovvero di 3-6 cm/anno. Parimenti l'incremento della concen-trazione di CO2 atmosferica ha inciso nella variazione del livello marino, come è possibile che siano avvenute variazioni del clima meteo-marino (mareggiate più frequenti e con maggior potenziale erosivo) come segnalato da alcuni autori in diverse parti del globo. Analizzando i dati relativi alle precipitazioni non si evidenziano però variazioni che possono far pensare a mutamenti climatici, nell'ultimo cinquantennio, tali da provocare una diminuzione delle portate dei fiumi. Eppure appare chiaro che dopo gli anni '40 si è passati da una fase di crescita o stabilità ad una di rapidi e disomogenei arretramenti della linea

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SEMINARIO DI STUDIO di riva. Solo l'uomo, con le sue molteplici attività, può essere stato capace di alterare in poco tempo il bilancio e la dinamica idrosedi-mentaria delle spiagge. Si può perciò affermare che i litorali emiliano-romagnoli, almeno per quanto riguarda l'ultimo cinquantennio, rappresentano un tipico esempio di erosione "accelerata", ossia di erosione innescata o accentuata dall'influenza dell'uomo sull'ambiente e sui suoi processi fisici. Caratteristica di quest’erosione è spesso l'instaurarsi di fenomeni irreversibili o comunque difficilmente sanabili. Il problema in Emilia-Romagna, come in buona parte della costa adriatica, è assai preoccupante ed accentuato per il grande sviluppo che ha avuto l'urbanizzazione dell'area litorale. Questi arretramenti sono certamente connessi alle notevoli riduzioni di portata solida rilevate, in quest’ultimo cinquantennio, nei corsi d’acqua che mettono foce nel territorio regionale. Studi condotti (Idroser, 1996) suggeriscono che l’apporto torbido del Po sia passato da 12,8 Milioni di t/anno del periodo 1918-43 a 4,7 Mt/anno nel 1986-91 e che, tra il 1945 ed il 1972, gli altri fiumi emiliano-romagnoli abbiano subito una riduzione della portata di un fattore compreso fra due e quattro. In definitiva si può stimare che nel 1972 i fiumi emiliano-romagnoli avessero un apporto solido complessivo di materiali utili al ripascimento delle spiagge di circa 0,68 milioni di m3 anno e che vi sia stata una riduzione fra il 1945 ed il 1972 prossima ad un fattore 2, cioè un calo annuo del 2%. Le cause di queste riduzioni vanno ricercate nelle molteplici attività che l’uomo ha intrapreso nel territorio. Il

cambiamento avvenuto in questo secolo nell'utilizzo del suolo ha certamente inciso sul trasporto solido dei fiumi. Nell'Emilia-Romagna (Idroser, 1983) tali modifiche hanno determinato una riduzione delle superfici a maggior erodibilità (seminativi) ed un limitato aumento delle superfici con colture che offrono maggior protezione al suolo (prati, pascoli e boschi). Rispetto al 1929, nel 1970 la riduzione delle superfici a seminato hanno registrato con punte massime nei bacini del Rubicone ed Uso (-33,5 %). Un altro fattore antropico determinante per la limitazione del trasporto solido, soprattutto sul fondo, va ricercato nell'attività estrattiva dai fiumi, iniziata a livelli sensibili negli anni '50 con punte massime negli anni '60.Si può a tale proposito stimare che nel solo alveo del Po sia stata asportata nel 1979 una quantità doppia di quella arrivata in media al mare nel decennio 1964-73 (Idroser, 1983). E’ sufficiente ricordare come nel periodo 1955-92 per i soli fiumi emiliani-romagnoli, escludendo quindi il Po, siano state ufficialmente concesse estrazioni d’inerti dagli alvei assommanti complessivamente a circa 21 Mm3. Questa situazione è stata favorita dall'assenza di controlli delle concessioni d'inerti, infatti per avere delle stime prossime alla verità sulla quantità effettivamente asportata bisogna utilizzare un fattore moltiplicativo compreso fra 2,5 e 4. Negli ultimi decenni l’evoluzione della costa è stata fortemente condizionata anche dagli accelerati incrementi dalla subsidenza, di per sé già natu-ralmente elevata in questo territorio (2-3 mm/anno), dovuti, tra l’altro, all'estrazione d’acque metanifere ed agli intensi emungimenti delle falde sotterranee per l’alimentazione

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d’attività idroesigenti. Questo fenomeno, unito ad una mancata compensazione naturale, è la causa principale dell'attuale assetto altimetrico della fascia costiera. Nei confronti delle spiagge a debole pendenza, come quelle emiliano-romagnole, la subsidenza induce non solo arretramenti della linea di riva (diversi metri a fronte d’abbassamenti di pochi centimetri) ma anche un aumento della pendenza dei fondali, in definitiva una riduzione del corpo sabbioso costiero. Ad esempio in alcuni tratti costieri della pianura padana, con tassi di abbassamento valutati tra 1,5 e 3 mm/anno, si è valutato che negli anni '70 vi sia stata una perdita di 0,6 Mm

3/y di materiale

sabbioso. Livellazioni di precisione, effettuate lungo i 130 km del litorale regionale, hanno evidenziato abbassamenti compresi tra 5 e 50 mm/anno per il quadriennio 1984-87, ridottisi a 2-36 mm/anno nel periodo 1987-93: ciò equivarrebbe ad una “perdita” in un decennio di 19-20 Mm3 di sedimenti litorali (Idroser, 1996). Che questi fattori abbiano avuto una grossa influenza nel trasporto solido dei fiumi è confermata dal confronto fra la linea di riva degli anni '40 con quelle degli '70 ed '80, in netto arretramento rispetto alla precedente. La necessità di contrastare i fenomeni erosivi ha reso necessaria la costruzione di numerose opere di difesa, che miravano anche alla salvaguardia dell’introito derivante dal turismo balneare (circa 16.500 miliardi di lire/anno). Essi hanno però irrigidito il sistema litorale e snaturato fortemente la sua dinamica evolutiva. Alcuni semplici dati consentono di evidenziare l’importanza e l’impatto degli interventi sul sistema costa: sono stati costruiti 48,9 km di

scogliere foranee, 8,7 km d’opere radenti, 1,6 km di pennelli, 27 km d’argini, muretti e dune artificiali, posati 4,2 km di tubi Longard e versati milioni di m2 di sabbie per 13,8 km di ripascimenti. Gli interventi sebbene abbiano in parte controllato e/o rallentato il fenomeno erosivo, non hanno ne risolto il problema né contribuito in modo significativo ad invertire il trend negativo che ancor oggi domina pressoché lungo tutta la costa. Da indagini effettuate si ricava che su 1.000 lire di fatturato solo 1

lira è stata spesa per la salvaguardia della spiaggia, poca cosa se si pensa che, tra l’altro, molti territori prossimi al mare presentano quote di alcuni metri al di sotto del livello marino. Scenari Futuri La Sacca di Goro, estrema propaggine del litorale emiliano-romagnolo, rappresenta un

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SEMINARIO DI STUDIO interessante argomento di studio perché è rappresentativa del compromesso raggiunto tra un’evoluzione naturale ed il fattore uomo che l’ha condizionata pesantemente. Uno studio condotto da Simeoni et al. (submitet) mette in evidenza come la freccia litorale (Scanno di Goro) che la separa dal mare abbia presentato, in periodi diversi, stili di crescita differenti: parallelo, a ventaglio e ramificato (Fig. 5). La ricerca analizza queste modalità evolutive profondamente differenti, ponendole poi a confronto con le articolate vicende che hanno interessato l’intero territorio del delta del Po. Ciò ha consentito di mettere in evidenza come alcune attività antropiche perpetrate nella bassa pianura (prelievo di materiali in alveo, estrazioni di acqua e gas da falde poco profonde, regimazione delle piene) e lungo la costa (apertura di canali, interventi di difesa) abbiano profondamente condizionato lo stile di crescita dello Scanno. La conoscenza acquisita presenta interessanti risvolti applicativi. Ogni anno vengono spese cifre considerevoli per interventi atti al

miglioramento della qualità delle acque ed al mantenimento dell’efficienza dei canali e delle bocche lagunari, che molto spesso si rivelano inefficaci per le mutate condizioni geo-ambientali. Solo una approfondita conoscenza del contesto morfologico e della sua evoluzione futura può garantire una corretta scelta decisionale delle azioni da adottare. Tra i tanti problemi che maggiormente preoccupano le popolazioni che si sono insediate su coste “morfologicamente basse” assume una notevole importanza quello legato ai fenomeni di inondazione dal mare. Questi fenomeni hanno origine principalmente da particolari condizioni meteomarine e morfostrutturali. Gli allagamenti non solo arrecano notevoli disagi alle persone e alle economie locali ma, talvolta, possono trasformarsi in catastrofi ben più gravi, basti ricordare l’inondazione di Venezia del 1966 (Mosetti, 1985) innalzamento di 194 cm sullo “zero mareografico di Punta della Salute”. Scenari non certo ottimistici possono essere tracciati per il futuro a seguito della prevista accelerazione nella

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

risalita, a livello globale, del livello marino (oltre 20 cm ipotizzati per il 2050). Sommando quest’innalzamento agli abbassamenti indotti dalla subsidenza è ipotizzabile un aggravarsi delle situazioni di disequilibrio costiero nel breve-medio termine. Simulazioni condotte con i più diffusi modelli previsionali evidenziano come per il 2025 (Fig. 6) si possano ipotizzare arretramenti costieri dell’ordine dei 20-40 m. Significative indicazioni su questo fenomeno possono essere tratte dallo studio condotto sul territorio ravennate (COMUNE DI RAVENNA, 1996) basato sull’estrapolazione e la proiezione delle quote di due livellazioni effettuate nel 1986 e 1992. Il territorio, che già in buona parte nel 1992 si trovava a quote inferiori del livello medio mare, continuerà progressivamente ad abbassarsi così che, nell’ipotesi più pessimistica, nel 2050, oltre il 62% raggiungerà una quota prossima allo zero. Un altro scenario evidenzia come già nel 2025 si potrebbero presentare assetti altimetrici decisamente preoccupanti. L’innalzamento del mare avrebbe conseguenze particolarmente nefaste nella zona costiera poiché le aree dunari, che presentano quote comprese tra 1 e 2 m, ridurrebbero notevolmente la loro estensione: 25 % nel 1992, 14% nel 2025 e solo 8% nel 2050. Il danno risulta evidente ricordando com’esse rappresentino un serbatoio naturale di sedimenti per il riequilibrio del bilancio di spiaggia e che costituiscono una difesa naturale all’inondazione marina delle aree di retrospiaggia. Fortunatamente, proprio in natura del fatto che le condizioni meteomarine lungo le coste emiliane-romagnole

non hanno una notevole intensità, questi allagamenti provocano soprat-tutto danni materiali. Ciò che però procura la popolazione e le amministrazioni locali è che negli ultimi decenni si è assistito ad un generale incremento della frequenza degli aumenti del livello marino. A tale proposito è interessante ricordare come nello studio di Mazzarella e Palumbo (1991) sia stato evidenziato che, nel bacino adriatico, un aumento di livello di 10 cm porterebbe ad un raddoppio della probabilità nel verificarsi di un fenomeno d’acqua alta. Considerazioni L’uomo, attratto dalle zone costiere, cercando di stabilizzare le spiagge ha spesso modificato la dinamica idrosedimentaria lungo riva, ma nonostante i frangiflutti e i moli eretti a protezione, la spiaggia resta un luogo di compromesso e di conflitto in perenne evoluzione. Questi interventi, del costo di molti miliardi di lire, costituiscono però, nel migliore dei casi, soluzioni temporanee, che spesso accelerano la distruzione della linea di riva. Nell’ultimo secolo il litorale dell’Emilia-Romagna ha subito una serie di manomissioni da parte dell’uomo che ne hanno modificato pesantemente, con la costruzione ed il protendimento di moli portuali e d’opere di difesa, la sua dinamica evolutiva. La riduzione del trasporto solido dei fiumi ed i forti abbassamenti avvenuti lungo la fascia costiera negli ultimi cinquant’anni (ad esempio 90-100 cm a Cesenatico, Ravenna e Codigoro) hanno ulteriormente peggiorato la situazione.

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SEMINARIO DI STUDIO Poiché sulla costa si sommano gli effetti anche di interventi effettuati sul territorio della pianura retrostante, si possono determinare imprevedibili conseguenze come quelle che hanno, ad esempio, modificato più volte nell’ultimo secolo lo stile di crescita dello Scanno di Goro. Un’ulteriore complicazione per l’area litorale sarà collegata al prevedibile innalzamento del livello medio marino, che unitamente all’abbassamento del territorio ed alla probabile variazione del clima meteo-marino, metterà a rischio porzioni sempre maggiori di territorio. Esso assume particolare risalto alla luce dei recenti modelli previsionali che mettono in luce la possibilità dell’intensificarsi degli eventi d’inondazione che amplificheranno i fenomeni di erosione della spiaggia e di intrusione di acque salate nelle falde, alterando così i delicati equilibri chimico-fisici delle acque del sottosuolo. Di tutto ciò si dovrà tenere debitamente conto sia per eventuali piani gestionali sia per possibili applicazioni di modelli evolu-tivo/proiettivi a medio e breve termine dell’area costiera. Poiché le strutture rigide di difesa spesso si sono rilevate inadatte, in ogni caso irrigidiscono il sistema, appare più sensato sostenere l’arenile, ove possibile, con opportuni rifluimenti. A tale scopo dalla Regione Emilia-Romagna è stata sviluppata una ricerca (Idroser, 1985) per reperire materiale idoneo in mare, ciò ha consentito di individuare su fondali tra 34 e 40 m di profondità (Fig. 7) corpi sedimentari con una complessiva potenzialità di diverse centinaia di milioni di m3. L'attività d’estrazione non è stata però ancora avviata.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

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SEMINARIO DI STUDIO Studio dell’Evoluzione litoranea nell’arco di costa ionica

lucana. Influenza dei contenuti energetici del moto ondoso e dei processi fluviali ed antropici

F. Amatucci - A. Mauro

Dipartimento Ingegneria e Fisica dell’Ambiente - Università della Basilicata

Abstract Littoral processes result from the interaction among winds, wave, currents, tides, sedimentes and other phenomena. Shores erode, accrete, or remain stable, depending on the rates at which sediments are supplied or removed from the shore. The elements that influence a line of coast, in the time and space of engineering interest, are divisible in source, sink and convecting processes. Considering the princicipal elements of littoral processes, the methodology of work used for the predicting of the erosion and/or accretion of shoreline, is: Collection pertinent data; Interpretation of the result obtained by elaboration of the same. The work, also, includes four step, which are: Cronological research; River research; Research on sediment characteristics; Study of wave climate. Sommario Le informazioni rilevate dalla cartografia dell’I.G.M. del 1873, 1949, 1976 e dalla C.T.R (Carta Tecnica Regionale) del 1987, sono state trasformate in informazioni digitali tramite Arc – Info (digitalizzazione della cartografia) tale da poter costituire un archivio informatico della costa ionica. Sono stati costruiti diverse coperture, una per ogni linea

di costa rilevata, alle quali è stata sovrapposta una copertura costituita da un “pettine” tale da poter determinare quantitativamente lo spostamento tra le varie linee per individuare le zone in erosione o in ripascimento. Il risultato di questa procedura è un modello costituito da una serie di linee parallele e distanti cinquecento metri tra loro, tutte aventi un numero di identificazione (ID) dal 10008 al 10099 da sud – ovest a nord – est (dalla foce del Sinni a quella del Bradano), misuranti la distanza esistente tra la linea di costa e un riferimento rappresentato da una linea parallela al litorale e dai margini della rappresentazione grafica. Tale “pettine” di coordinate gaussiane note è stato sovrapposto a tutte le carte georeferenziate a disposizione il cui risultato è mostrato dalla Figura 1. Figura 1 – Modello a “pettine” Qualitativamente i risultati dell’inda-gine cronologica possono essere così sintetizzati: • la disposizione spaziale e

temporale delle foci dei fiumi tributari nel mare Ionio è:

• Bradano: sud 1873, sud – est 1949, est 1976, nord – est 1987;

• Basento: est 1873, sud 1949, est 1976, nord – est 1987;

• Cavone: est 1873, sud 1949, est 1976, nord – est 1987;

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

• Agri: est 1873, nord – est 1949, nord – est 1976, nord – est 1987;

• Sinni: sud 1873, sud 1943, est 1976, nord – est 1987;

• spostamento dal 1873 al 1987 verso nord della sede dei corsi d’acqua, tranne per il Basento e

con forte rilevanza per l’Agri (circa un chilometro);

• riduzione delle larghezza delle foci nel tempo.

Da una semplice lettura della sovrapposizione si può affermare come l’intero paraggio che va dal Sinni al Bradano sia stato interessato da un trasporto solido litoraneo prevalente nella direzione sud – ovest nord – est provocato da un moto ondoso prevalente da sud – est, il quale ha indotto le foci di tutti i fiumi a rivolgere l’immissione a mare delle

proprie portate verso nord – est nel 1987. Le figure 2a, 2b, 2c, 2d mostrano lo spostamento annuo (metri/anno), nei vari intervalli di tempo (1873 – 1949, 1949 – 1976 e 1976 – 1987), dei vari ID. Si nota che la linea gialla (1873 – 1973) è quasi completamente disposta nel quadrante positivo, protendimento in avanti dell’arco di costa, la rossa (1949 – 1976) si presenta in alcuni punti, in prossimità delle foci, nel quadrante negativo, mentre la linea blu (1976 – 1987) è quasi equamente distribuita tra i due quadranti. Inoltre le linee gialla e rossa hanno un andamento leggermente più regolare di quella blu, in cui a zone di forte avanzamento si contrappongono zone a forte erosione. Infine la media, effettuata tra tutti gli ID, è + 2,19 m/anno per il periodo 1873 – 1949, + 1,09 m/anno tra il 1976 – 1949 e – 0,25 m/anno tra il 1976 e 1987 (i segni + e – indicano rispettivamente avanzamento e arretramento della linea di costa). Lo stesso concetto può essere esteso alle aree, dove nell'ultimo periodo si ha un’inversione di tendenza del fenomeno evolutivo con le zone in erosione che superano quelle in ripascimento. Le caratteristiche del moto ondoso possono essere valutate conoscendo i dati registrati da una rete ondametrica (metodo diretto) e/o i dati di vento rilevati da stazioni anemografiche (metodo indiretto) ricadenti nel paraggio in esame. Nel caso del litorale ionico viene usato il metodo indiretto vista la mancanza della rete ondametrica. Sono state acquisite le registrazioni triorarie e riepilogativi giornaliere del vento a soglia zero dalle stazioni di Ginosa Marina, con osservazioni dal

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SEMINARIO DI STUDIO 1968 al 1997, e di S. Maria di Leuca dal 1951 al 1997 fornite dal Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica (C.N.M.C.A) – Pratica di Mare. Individuato il settore di traversia, ovvero il settore circolare di centro nel paraggio comprendente tutte le direzioni da cui possono pervenire le agitazione ondose dirette generate da venti provenienti da largo, si analizzano i dati di vento procedendo in: • Individuazione degli eventi; • Classificazione degli eventi;

• Stima delle caratteristiche dell’onda a largo;

• Stima delle caratteristiche dell’onda sottocosta e determinazione di correnti litoranee.

Si ringrazia l’ing Eugenio Viola per l’aiuto fornito in sede di escursioni in loco. Si ringrazia il tecnico Vincenzo Scuccimarra per la preziosa collaborazione fornita nell’elaborazione grafica dei dati.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Figure 2a, b, c, d – Aree in avanzamento e in erosione per i periodi 1873 – 1949, 1949 – 1976, 1976 – 1987 e velocità di spostamento (m/anno) negli stessi anni per le varie sezioni di controllo.

-20

-15

-10

-5

0

5

10

15

20

25

1000

8

1001

1

1001

4

1001

7

1002

0

1002

3

1002

6

1002

9

1003

2

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5

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1

1004

4

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1005

0

1005

3

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6

1005

9

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2

1006

5

1006

8

1007

1

1007

4

1007

7

1008

0

1008

3

1008

6

1008

9

1009

2

1009

5

1009

8 ID

m/a

nno

1987-1976

1976-1949

1949-1873

1873-1949

-600,00

-400,00

-200,00

0,00

200,00

400,00

600,00

1000

810

010

1001

210

014

1001

610

018

1002

010

022

1002

410

026

1002

810

030

1003

210

034

1003

610

038

1004

010

042

1004

410

046

1004

810

050

1005

210

054

1005

610

058

1006

010

062

1006

410

066

1006

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1007

210

074

1007

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094

1009

610

098

ID

mt

1949-1976

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-50

0

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100

150

200

250

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1001

210

014

1001

610

018

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022

1002

410

026

1002

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030

1003

210

034

1003

610

038

1004

010

042

1004

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046

1004

810

050

1005

210

054

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058

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066

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1007

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074

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810

090

1009

210

094

1009

610

098

ID

mt

1976-1987

-250

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-100

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0

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100

150

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094

1009

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ID

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SEMINARIO DI STUDIO

La protezione delle spiagge della laguna di Venezia

G. Cecconi e V. Ardone

Servizio Ingegneria - Consorzio Venezia Nuova

Premessa I litorali veneti sono stati soggetti ad un generale processo di erosione ed approfondimento dei fondali, iniziato nel XVII secolo con la diversione dei fiumi Po e Piave e accelerato dalla costruzione dei moli foranei presso le bocche di porto lagunari, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il processo erosivo ha creato situazioni di rischio per i centri abitati, che si sono trovati esposti all'attacco del moto ondoso; il litorale di Pellestrina, ad esempio, era protetto da un muro paraonde (i Murazzi del XVIII secolo) che durante l’acqua alta del 4 novembre 1966 è stato danneggiato dalla mareggiata in più punti, con la formazione di brecce tali da esporre le abitazioni direttamente al moto ondoso ed alle sommersioni per ingressione marina. Negli anni ’80 è stata realizzata una scogliera longitudinale alla base del murazzo, che ha incrementato il fenomeno di riflessione delle onde, con un ulteriore approfondimento dei fondali e lo scavo al piede della scogliera fino a -4 m, con conseguente rischio di crollo dei massi e rimozione delle lastre di copertura per effetto delle sottopressioni. Nell’ambito degli interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, il Magistrato alle Acque (MAV), tramite il Consorzio Venezia Nuova (CVN), ha avviato una serie di interventi di ripascimento dei litorali, da Jesolo a Isola Verde, per totale di

40 km e circa 9 milioni m3 di sabbia, con l’obiettivo di proteggere la costa contrastando la tendenza erosiva in atto (MAV-CVN, 1992). I primi interventi sono stati avviati nel 1995 sui litorali di Cavallino e Pellestrina, terminati rispettivamente nell’aprile 1997 e nel marzo 1999, con il versamento complessivo di 6 milioni di m3 di sabbia; attualmente sono in corso i ripascimenti dei litorali di Jesolo, Sottomarina e Isola Verde, ed è in corso di approvazione il progetto di protezione del litorale di Lido (Cecconi et al., 1998) (Fig. 1). Nel seguito viene descritto l'intervento lungo il litorale di Pellestrina.

Il criterio progettuale Nel 1995 è stato avviato dal Magistrato alle Acque - Consorzio Venezia Nuova il progetto di protezione costiera che prevedeva la realizzazione di una spiaggia di ampiezza media pari a 40-50 m, per uno sviluppo di 9 km, con il versamento di sabbia prelevata dai fondali marini antistanti, a circa 20 km al largo della bocca di Malamocco, alla profondità di 20 m (Benassai E. et al., 1997). Fig. 1- Interventi di protezione dei litorali veneti

Il criterio progettuale è stato quello di realizzare opere in grado di adattarsi alle sollecitazioni estreme con danni contenuti, in modo da evitare brusche cadute di prestazione dell'opera di protezione, quando gli agenti naturali producono sollecitazioni eccezionali,

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

come è successo nel caso dell’evento estremo del 4 novembre 1966 (criterio di resilienza). La sabbia è stata versata all'interno di “celle” (n. 18) delimitate da pennelli trasversali e da una barriera longitudinale sommersa (la berma) (Figg. 2 e 3).

Fig. 2 - Schema di intervento lungo il litorale di Pellestrina

Il criterio stabilito per il dimensionamento delle rocce e delle sezioni delle opere di difesa rigide è stato quello di contenere il danneggiamento delle mantellate a

protezione dell’intero pennello entro il 5% per la più sfavorevole condizione di acqua alta e moto ondoso; inoltre la tracimazione delle strutture longitudinali che proteggono gli abitati (il murazzo storico in questo caso) deve essere tale da garantire la sicurezza dei beni protetti e la stabilità delle stesse opere di

protezione: nel progetto di Pellestrina è stata fissata una portata massima di tracimazione in corrispondenza delle opere di protezione inferiore a 100 l/km*s, valore definito in relazione ai parametri del moto ondoso di progetto (Hs= 5,3 m; Tr= 300 anni e sovralzo di acqua alta di ∆h=1,5 m). Questa condizione è rispettata quando l’ampiezza della spiaggia, definita come la distanza orizzontale fra il piede del muro paraonde e la linea di riva è superiore ai 25 m. Un altro criterio progettuale ha riguardato la granulometria della sabbia d’apporto, che deve essere compatibile con la sabbia presente sul litorale (la sabbia versata sul litorale di Pellestrina è caratterizzata da un valore di D50 > 200 µm, omogenea e con frazione pelitica inferiore al 5%) per limitare la perdita di sedimenti per dilavamento per azione delle correnti litoranee ad un valore inferiore al 20% circa (coefficiente di overfill pari a 1,2).

Jesolo: 0.5 milioni m3

AREE DIAREE DIVERSAMENTOVERSAMENTO

EE

ZONA DIZONA DIPRELIEVOPRELIEVO A A MAREMARE

Cavallino: 2 milioni m3

Lido: 2.1 milioni m3

Pellestrina:4 milioni m3

Isola Verde e Sottomarina:0.5 milioni m3

Figura 3 - Il litorale di Pellestrina prima e dopo i lavori

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SEMINARIO DI STUDIO La realizzazione della spiaggia artificiale è stata completata nel marzo '99, con un quantitativo complessivo di sabbia versata pari a circa 4 milioni di m3, nel corso di 20 mesi di effettiva attività. La tecnica di ripascimento Il ripascimento è stato eseguito utilizzando una draga autocaricante ed idrorefluente con capacità di carico di 2.000 m3, in grado di prelevare la sabbia dal fondale marino, su profondità di 20 m, e di refluire a terra una miscela di sabbia (circa 30%) e acqua (circa 70%), collegandosi, a circa 400 m dal litorale, con una tubazione di diametro 650 mm. La sabbia versata lungo il litorale è stata spianata da mezzi meccanici e disposta secondo pendenze artificiali di 1:60 nella parte sommersa e 1:10 nella parte emersa. Questo profilo artificiale è stato poi modificato dall'azione del moto ondoso secondo pendenze naturali, con un arretramento della linea di riva iniziale ed un trasferimento della sabbia lungo il profilo sotto il livello del mare. Questo fenomeno non ha rappresentato una perdita di sabbia, ma una naturale ridistribuzione dei sedimenti, così come previsto in fase progettuale, per il raggiungimento del profilo di equilibrio della spiaggia, a discapito della iniziale larghezza della spiaggia di circa 100 m, secondo il profilo di versamento. Ora, a tre anni dall'inizio dei lavori, la spiaggia presenta un'ampiezza media di circa 50 m, ben superiore a quella limite, fissata dal progetto in 25 m.

La fonte di approvvigionamento della sabbia La realizzazione degli interventi di ripascimento, con le suddette

considerevoli quantità di materiale, ha richiesto l'individuazione di una vasta area di prelievo contenente sabbia con caratteristiche granulometriche compatibili con quelle della sabbia presente sul litorale (Cecconi G. et al., 1996). Dopo un accurato esame delle possibili aree di approvvigionamento è risultato che l’unica fonte disponibile, idonea per quantità e qualità della sabbia, è costituita dalle spiagge relitte che si sviluppano parallelamente alla costa veneta, dal largo della foce del Tagliamento fino alla foce dell'Adige, su una profondità media di circa 20 m. Il prelievo di sabbia da questo deposito marino è stato autorizzato dal Ministero dell’Ambiente al termine di numerosi studi di verifica della compatibilità ambientale delle operazioni di prelievo e versamento della sabbia, che hanno dimostrato come con le tecniche e le procedure operative adottate gli effetti negativi del dragaggio sull’ambiente marino siano molto contenuti. Individuazione dell’area di prelievo Sin dal 1977 l'Istituto di Geologia dell'Università di Trieste, in collaborazione con il Genio Civile Opere Marittime di Venezia (G.C.O.M.), ha condotto ricerche per individuare le aree di prelievo della sabbia per il ripascimento dei litorali veneziani (le cosiddette cave a mare). I risultati delle indagini sedimentologiche avevano evidenziato come i fondali antistanti i litorali dell’Alto Adriatico siano caratterizzati da un’estesa presenza di banchi sabbiosi lungo la fascia litoranea fino alla profondità di 10 m e nella zona intorno alla batimetrica dei 20 m, in un’area che si estende dalla foce dell’Adige fino all’altezza di

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Grado (Carta Sedimentologica - Brambati A. e al., 1982). Questa fascia a sabbie omogenee, di granulometria media o medio-fine con frazione pelitica inferiore al 5%, ha un'estensione di circa 1100 km2 ed è posta in corrispondenza degli antichi apparati deltizi o dei cordoni litoranei, sommersi a seguito della trasgres-sione marina del Quaternario. La particolare disposizione morfologica di questa zona di fondale, caratterizzata dalla presenza di sollevamenti dolci e di aspetto uniforme fino alle sand waves (Carta Morfologica - Mosetti F., 1966), è stata prodotta dal trasporto di fondo delle sabbie ad opera delle correnti su fondali elevati (intorno ai 20 m). Questa ipotesi, già formulata da Cavaleri e Stefanon nel 1980, trova conferma nell'orientamento costante delle sand waves secondo le correnti marine, da NE a SW, e dalla somiglianza degli adunamenti caratterizzati da scarpate asimmetriche, più ripide nel verso della corrente dominante (pendenza di 4,2° verso SW) e meno ripide nel verso contrario (pendenza di 0,4° verso NE) (Correggiari A. et al., 1993); inoltre la disposizione del substrato argilloso sotto le sand waves è pressoché orizzontale. Nell'ambito dei progetti per il ripascimento dei litorali veneti il Magistrato alle Acque di Venezia ha investigato un’area di circa 100 km2, intorno alla batimetrica dei 20 m, all'interno della quale sono state selezionate alcune subaree idonee dal punto di vista dei volumi di sabbia prelevabili e delle caratteristiche granulometriche (MAV-CVN, 1994). L'area è stata dapprima indagata con un rilievo geoelettrico (1992) che ha permesso di determinare con un buon grado di approssimazione la

disposizione spaziale della sabbia di adeguata granulometria assieme allo spessore dello strato sabbioso sovrastante le argille1. Il rilievo geoelettrico è stato poi tarato con l’utilizzo di carotaggi sino a oltre 3 m, eseguiti con vibracore: la distribuzione degli spessori di sabbia è risultata tanto più attendibile quanto più erano fitte le rotte del rilievo geoelettrico. Nel 1992 è stato eseguito anche un rilievo batimetrico completo che ha confermato la presenza di adunamenti sabbiosi a sand waves su profondità comprese tra i 18 e i 24 m; l’indagine si è completata con la raccolta di campioni di fondo superficiali (nel 1993), ad integrazione dei numerosi carotaggi eseguiti negli anni precedenti. I risultati di questa prima fase di indagini dirette ed indirette hanno permesso di selezionare, all'interno dell'area principale di 100 km2, un’area di circa 50 km2, nella quale sono stati eseguiti numerosi carotaggi, a maglia più fitta, sino a 250 m (16 carotaggi per km2) ed analisi chimiche e microbiologiche. Al termine di questa seconda fase di indagini dirette sono state selezionate alcune subaree con sabbia idonea, sia dal punto di vista qualitativo, che quantitativo, per una estensione totale di circa 25 km2. Le aree selezionate sono caratterizzate da uno spessore medio dello strato sabbioso generalmente superiore a 1 m, con valori di D50>150

1 Questo metodo si basa sulla misura della resistività dei sedimenti: la sabbia presente sul fondale, caratterizzata da valori di D50 compresi tra i 125 e i 250 µm, ha resistività che varia da 0.6 ohm*m, per le frazioni più grosse, a 1.4 ohm*m, mentre alle argille e ai limi competono resistività maggiori

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µm e non contengono le aree soggette al traffico marittimo. Sulle aree prescelte sono stati poi effettuati i rilievi e le analisi di dettaglio per lo studio di compatibilità ambientale richiesto dal Ministero dell’Ambiente. Le indagini di compatibilità ambientale Ciascuna delle subaree selezionate al termine delle indagini propedeutiche è stata successivamente indagata con campagne finalizzate alla verifica della compatibilità ambientale delle operazioni di prelievo e versamento, in modo da documentare e mitigare gli effetti delle attività di dragaggio e refluimento, sia nelle zone di prelievo, sia nelle aree di ripascimento. Questa fase di indagine comprende: la verifica della compatibilità ambientale fra la sabbia dell'area di prelievo e quella dell'area di versamento, l’individuazione dei biotopi di particolare interesse naturalistico e la loro esclusione dalle aree di effettivo prelievo ed infine la determinazione dello stato dei popolamenti tipici del fondale. La compatibilità ambientale delle sabbie La valutazione della compatibilità ambientale della sabbia dell'area di prelievo con quella dell'area di versamento è stata eseguita sulla base dei risultati delle analisi chimiche, microbiologiche e granulometriche condotte su campioni di sedimento prelevati nelle due aree. La sabbia prelevata dal fondale marino è risultata di migliore qualità della sabbia presente sul litorale: ad esempio, per quanto riguarda l’inquinamento prodotto dagli scarichi degli insediamenti urbani risultano più

contaminate le sabbie presenti lungo la battigia rispetto a quelle presenti alla profondità di –20 m, a 20 km dalla costa. Le caratteristiche granulometriche delle sabbie provenienti dall’area di prelievo sono risultate molto simili a quelle della sabbia presente nell’area di versamento, cosicché sono ridotte al minimo sia le perdite per asportazione da parte delle correnti litoranee, sia la torbidità provocata dal dilavamento della frazione fine. Lungo i litorali veneti si è sempre versata sabbia caratterizzata da valori di D50 > 200 µm e sorting pari a 0,482: questo ha permesso di limitare al 20% la quantità di overfill necessaria per compensare la perdita di sedimenti per dilavamento della frazione fine per azione delle correnti litoranee. Per il limitato contenuto della frazione limosa-argillosa a valori inferiori a qualche percento, si è verificato che i fenomeni di torbidità nella zona di versamento generalmente interessano una fascia inferiore al km e si esauriscono nel giro di poche ore. Le indagini per l’individuazione di biotopi di particolare interesse ambientale Questa indagine ha avuto come obiettivo l’individuazione dei biotopi di particolare interesse ambientale, quali le praterie di fanerogame o i substrati solidi naturali (le tegnue o afferrature o beach rocks – Braga et al., 1969), in modo da escluderle dall’area di prelievo.

2 Il sorting, inteso come coefficiente di dispersione della granulometria della sabbia intorno al valore medio, è valutato secondo la formula di Inman (1952) come: σΦ = (Φ84 - Φ16)/2, dove Φ = -log2(D (mm)) (SPM, 1984).

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E’ stata eseguita una verifica con Side Scan Sonar (SSS), seguendo rotte ad interasse di 80 m che coprono completamente l’area candidata per il prelievo, per avere un'accurata descrizione della superficie del fondale, evidenziando la presenza di eventuali sporgenze o cavità sino a dimensioni inferiori al metro3 (Fig. 4). A queste caratteristiche morfologiche, registrate come “echi anomali”, possono corrispondere i substrati duri (beach rocks) di particolare valore ambientale.

Fig. 4 - Tracce del rilievo Side Scan Sonar Gli echi anomali rilevati sono stati ulteriormente indagati con un rilievo SSS di dettaglio, a passo 50 m, e successivamente controllati diretta-mente con verifiche subacquee tramite rilievi video con ROV e operatore, in modo da valutare sempre l’eventuale presenza di beach rocks. In caso di individuazione di un affioramento di substrati solidi o di un biotopo di particolare interesse ambientale si è provveduto a definire le sue coordinate con DGPS, stabilendo una fascia di rispetto di 250 m di raggio, in modo da fornire la massima garanzia di esclusione

dall'area di effettivo dragaggio della sabbia.

3 Questo metodo si basa sulla diversa capacità dei sedimenti di riflettere le onde acustiche.

Durante il rilievo SSS è stato eseguito anche un rilievo batimetrico di dettaglio, in modo da disporre di un'accurata descrizione della morfologia a dune del fondale che, tra l’altro, facilita l'individuazione delle aree con i maggiori spessori di sabbia ed è utile per definire le rotte di dragaggio, con conseguente aumento della resa del prelievo. La valutazione dello stato dei popolamenti bentonici prima del dragaggio Queste indagini sono finalizzate alla verifica dello stato dei popolamenti tipici del fondale con l’obiettivo di escludere le zone di pregio e di documentare la ripresa biologica dopo il termine dei lavori. L’indagine viene eseguita prelevando campioni per l'analisi del benthos, sia nelle aree che saranno interessate dalle attività di dragaggio sia in quelle limitrofe (aree di controllo). Gli effetti delle operazioni di prelievo della sabbia sulle caratteristiche granulometriche del fondale e sulle comunità bentoniche dipendono dalle modalità operative del dragaggio che, in ogni caso, deve salvaguardare la natura sabbiosa del fondale. L’effetto immediato del dragaggio comporta, infatti, la rimozione della comunità bentonica insediata negli strati superficiali del sedimento (0÷40 cm); tuttavia, diversi studi di letteratura ed i rilievi ripetuti a distanza di tempo hanno evidenziato che, se si mantiene la natura sabbiosa del substrato, le comunità bentoniche tendono a ricolonizzare spontaneamente il fondale, nell’arco di alcuni anni, una volta cessata l'azione di disturbo (Aliani S. ed al.,

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SEMINARIO DI STUDIO 1994; Bellan G., 1994). I popolamenti tendono, quindi, a ritornare simili per composizione e per densità a quelli preesistenti, in un arco di tempo che dipende dalla capacità di resilienza delle specie e dalla complessità delle comunità originarie. Per non pregiudicare la ripresa biologica, le operazioni di dragaggio sono state condotte con l’avvertenza di non "mettere a nudo strati sottostanti, a diversa facies granulometrica" (Art. 2 Decreto M.A. 1549 del 24 giugno 1994), in modo da lasciare sempre uno strato di sabbia sul fondale. Questa cautela garantisce che, pur asportando un certo volume di sabbia dal fondale (generalmente meno di un terzo di quello presente), non se ne modifichi la natura, permettendo così la ricolonizzazione biologica. Questa prescrizione è stata verificata con controlli continui in draga e con indagini periodiche sul fondale marino, tramite il prelievo di campioni di sedimento da sottoporre ad analisi del benthos. In alcune delle aree dragate è stato eseguito un controllo sullo stato della ricolonizzazione del fondale con il prelievo di campioni di benthos dopo 12 e 24 mesi dal termine delle attività di prelievo: i risultati ottenuti evidenziano una significativa ripresa biologica del fondale con popolamenti simili a quelli originari. L’autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente Lo studio di compatibilità ambientale delle operazioni di prelievo e versamento della sabbia è stato sottoposto al Ministero dell’Ambiente e ai suoi organi tecnici, quali l’ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Applicata al Mare), che è stato incaricato di controllare le varie fasi di

indagine prima dei lavori e in corso d’opera. Il Ministero dell’Ambiente, approvate le procedure di indagine da parte di ICRAM, a fronte dei risultati dello studio di compatibilità ambientale, ha autorizzato il prelievo di sabbia nel rispetto di alcuni vincoli sulla quantità di sabbia, sui tempi e sulle modalità operative. L’autorizzazione è stata quindi concessa con un Decreto del Ministero dell’Ambiente che prevede un periodo di tempo limitato di attività e un ben definito quantitativo di sabbia, per non alterare la natura sabbiosa del fondale. E’ stato previsto, inoltre, il controllo della posizione della draga e del suo stato con un sistema DGPS di monitoraggio in continuo da parte della Capitaneria di Porto Il Decreto di autorizzazione prescrive inoltre delle sospensioni di attività per il controllo dello spessore di sabbia sul fondale, sopra lo strato argilloso. In particolare, nell’ultimo Decreto di autorizzazione del Ministero dell’Ambiente, relativo al prelievo di sabbia per il ripascimento dei litorali di Jesolo e Lido, sono stati prescritti controlli molto dettagliati per verificare lo stato dei popolamenti bentonici e la ripresa biologica. Conclusioni La protezione dei litorali veneti, dall’Adige al Piave, è stata realizzata tramite il trasferimento in ambito demaniale della sabbia, dal fondale marino alla costa, rispettando il pregio ambientale dell’area di prelievo e contemporaneamente migliorando la qualità dell’ambiente di battigia. Per raggiungere questo obiettivo è stato necessario avviare un’impo-nente attività di rilevamento delle caratteristiche fisiche, chimiche ed

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ambientali del fondale marino, controllando l’evoluzione nel tempo degli effetti del dragaggio di sabbia dall’area al largo. I risultati del monitoraggio eseguito mostrano, inoltre, che le attività di prelievo della sabbia hanno prodotto solo effetti transitori, in quanto sono state utilizzate draghe di notevole capacità e dotate di dispositivi per contenere la dispersione dei sedimenti. Bibliografia ALIANI S., BIANCHI C.N., DE BIASI A.M.: Modificazioni del benthos in un'area marina soggetta a discarica di materiale portuale, Biol. Mar. Medit. 1, pp. 265-269, 1974. BELLAN G.,: Destructuration et restructuration de peuplements et populations soumises a des actions anthropiques, Biol. Mar Medit. 1, pp. 151-158, 1994. BENASSAI E., GENTILOMO M., RAGONE A., SETARO F., TOMASICCHIO U.: Littoral restoration by means of protected beach nourishment recent italian works (Venetian and Tyrrhenian-Calabrian Coasts), AIPCN-PIANC, Bollettino n° 94-1997. BRAGA G., STEFANON A.: Beachrock e Alto Adriatico: aspetti paleogeografici, climatici, morfologici ed ecologici del problema, Atti dell'I.V.S.L.A., Tomo CXXVII, 1969.

BRAMBATI A.: Ricerche di sabbie residuali ed attuali per il ripascimento artificiale dei lidi di Venezia, G.C.OO.MM. di Venezia, Relazione Tecnica, Trieste, marzo 1982. CAVALERI L., STEFANON A.,: Bottom feature due to extreme meteorological events in the northern AdriaticSea, Marine Geology, 79, pp. 159-170, 1980. CECCONI G., MARETTO G., La cava sottomarina per il ripascimento del litorale della laguna di Venezia, 4° Congresso AIOM, Padova, Ottobre 1996. CECCONI G., ARDONE V.: La protezione dei litorali con il ripascimento delle spiagge. L’esperienza dei litorali di Cavallino e Pellestrina, Atti del 10° seminario IAED “La progettazione ambientale nei sistemi costieri”, Roma, 10 luglio 1998. CORREGGIARI A., FIELD M.E., BORTOLUZZI G., LIGI M., PENITONTI D.: Ridge and swale morphology on the north Adriatic epicontinental shelf, Convegno CIESM, Trieste 1993. MAGISTRATO ALLE ACQUE DI VENEZIA – CONSORZIO VENEZIA NUOVA, Progetto di massima dei litorali veneti, 1992. MAGISTRATO ALLE ACQUE DI VENEZIA – CONSORZIO VENEZIA NUOVA, Attività di dragaggio – Studio di compatibilità ambientale, 1994. MOSETTI F.: Morfologia dell'Adriatico setten-trionale, Boll. Geofisica teorica e applicata, vol. VIII, n. 30 giugno 1966. COASTAL ENGINEERING RESEARCH CENTER: Shore Protection Manual, Washington, 1984.

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SEMINARIO DI STUDIO

Influenza dei fenomeni di subsidenza nell'evoluzione della costa

W. Bertoni1 e M. Gonella2

1Responsabile Servizio Geologico e Protezione Civile del Comune di Ravenna

2Amministratore delegato MED INGEGNERIA S.r.l.

Introduzione La pianura costiera emiliano-romagnola, in generale, ed il territorio del Comune di Ravenna, in particolare, hanno subito, a partire dal secondo dopoguerra, un notevole fenomeno di subsidenza dovuto all'estrazione di fluidi dal sottosuolo. L'abbassamento del livello del suolo, lungo la linea di costa, è un evidente fattore di inasprimento dei problemi erosivi subiti dal litorale: per effetto della subsidenza, infatti, si determina un innalzamento relativo del livello del mare rispetto alle spiagge, da cui deriva un peggioramento dell'esi-stente squilibrio morfologico che determina l'arretramento del litorale. Il fenomeno di subsidenza ed il suo impatto sull'evoluzione della costa sono stati oggetto di diversi studi recenti, finalizzati a fornire dati previsionali attendibili rispetto ai quali basare la programmazione degli interventi da attuare per la protezione delle spiagge e, più in generale, per la salvaguardia del territorio costiero dalle esondazioni. Sono presentati, nel seguito, i risultati del Progetto Europeo di Ricerca "CENAS, Study on the Coastline Evolution of the Eastern Po Plain due to sea level change caused by climate variation and to Natural and Anthropic Subsidence" (EC Environment Programme 1990-1994), concluso nel 1997, che sulla base di una analisi comparata di tutti i fenomeni che concorrono al problema dell'evo-

luzione della costa ha fornito stime previsionali sull'evoluzione futura dell'erosione costiera. Sono quindi illustrati due interventi in corso di progettazione e realizzazione da parte del Comune di Ravenna per la protezione dei tratti di litorale che presentano particolari problemi di erosione in rapporto ai citati fenomeni. Particolare attenzione è posta all'utilizzo della modellistica numerica per lo studio dei fenomeni meteomarini e morfologici costieri che, sia nel Progetto di Ricerca europeo, sia nella redazione dei singoli progetti di protezione delle spiagge, hanno fornito basi informative indispensabili per l'ottimizzazione degli interventi. Subsidenza ed evoluzione della linea di costa Il Progetto Europeo di Ricerca "CENAS" (Coastal Evolution Natural Anthropic Subsidence) è stato coordinato dal Prof. G.Gambolati del Dipartimento Metodi e Modelli Matematici per le Scienze Applicate dell'Università di Padova e condotto in collaborazione con Idroser Agenzia di Bologna (ora ARPA-ER), l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio), il Danish Hydraulic Institute (Danimarca) e Med Ingegneria S.r.l.. La complessa fenomenologia indagata è stata affrontata a due diversi livelli geografici: alla "macroscala", inten-dendo l'estensione di tutta la costa

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dell'Adriatico Settentrionale, da Cattolica a Monfalcone, e a scala locale, considerando alcuni tratti di particolare interesse lungo il litorale romagnolo (Ravenna, Cesenatico, Rimini). I fenomeni presi in considerazione nell'approccio alla "macroscala" sono rappresentati nello schema della figura seguente. Oltre al fenomeno della subsidenza, che determina l'abbassamento del suolo, è stato considerato anche l'impatto dell'innalzamento del livello del mare eustatico (dovuto alle variazioni climatiche previste per il prossimo secolo) e dinamico (determinato dalla marea astronomica e meteorologica e dal fenomeno del "wave setup") (Fig. 1).

Figura 1 Condizioni forzanti per l'analisi dell'evoluzione della linea di costa a macroscala. Alla scala locale oltre ai fenomeni predetti si è tenuto conto anche della morfodinamica del litorale. E' stato quindi considerato il fenomeno del trasporto solido litoraneo, tenendo conto dei contributi delle foci fluviali e della presenza di strutture di protezione della costa (Fig.2).

Figura 2 - Condizioni forzanti per l'analisi dell'evoluzione della linea di costa a scala locale. La subsidenza naturale e antropica Il fenomeno della subsidenza è dovuto a cause naturali e antropiche. La subsidenza naturale è il fenomeno di abbassamento del livello del suolo causato dalla compattazione della colonna stratigrafica per effetto del peso proprio, in mancanza di alimentazione sedimentaria sulla superficie e considerando i movimenti tettonici del substrato di base. La Figura 3 schematizza il fenomeno e l'approccio modellistico con cui è stato simulato. A partire dal passo temporale evidenziato in figura come T=3 viene a mancare la deposizione di nuovi sedimenti sul suolo (per effetto della regimazione dei corsi d'acqua e della progressiva diminuzione dei sedimenti trasportati verso il mare e le aree di esondazione interne): la compattazione si traduce quindi unicamente in abbassamento del livello superficiale. La subsidenza naturale determina velocità di abbassamento del suolo dell'ordine di qualche millimetro all'anno (Figura 4), massimi nell'intorno della foce del Po (4 mm/anno circa) e via via minori allontanandosi lungo la costa (circa 2 mm/anno a Ravenna, 1 mm/anno a Rimini). I valori di abbassamento del suolo lungo la costa romagnola misurati negli ultimi anni e riportati in Figura 5 sono invece di almeno un ordine di

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Figura 3 - Schematizzazione del fenomeno della subsidenza naturale.

Figura 4 - Velocità di abbassamento del suolo per subsidenza naturale. La subsidenza dovuta all'estrazione di gas dal sottosuolo ha una fenomenologia molto diversa da quella legata all'estrazione di acqua. I giacimenti si trovano infatti a profondità superiori a quelle degli acquiferi sfruttati per emungimento di acqua (oltre 2.000 m di profondità) ed hanno estensioni areali limitate. Lo studio modellistico della subsidenza ha mostrato che il campo di abbassamento del suolo risulta anch'esso arealmente limitato nell'intorno del giacimento e che non

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si verificano fenomeni generalizzati come nel caso dell'estrazione di acqua. Il fenomeno è tuttavia oggetto di particolari attenzioni quando il giacimento è prossimo alla linea di costa, o addirittura la interseca, come nel caso analizzato lungo la costa ravennate, presso la foce dei Fiumi Uniti (Figura 8). In questo caso la subsidenza prevista per l'intera vita del giacimento (fino al 2014) raggiunge sulla linea di costa un valore massimo dell'ordine di 14 cm, cui corrisponde un tasso di abbassamento annuo dell'ordine di qualche mm/anno che, pur essendo, localmente, superiore a quello naturale, si mantiene su valori decisamente inferiori a quelli legati all'estrazione di acqua. La presenza dei giacimenti di gas nel territorio del Comune di Ravenna è comunque un tema di particolare attenzione che viene gestito dal Comune e da ENI-Agip per mezzo della continua analisi dei fenomeni in atto e con la simulazione previsionale degli effetti futuri. Negli ultimi anni misure più precise della compattazione in sito, con tecniche innovative, hanno consentito di ottenere valori più realistici di quelli edometrici tradizionali per la misura della compressibilità degli strati geologici di giacimento, i quali permettono di asserire che i risultati ottenuti nel Progetto CENAS risultano conservativi.

Figura 5 - Abbassamento del suolo lungo la linea di costa romagnola dal 1953 al 1990 (da livellazioni I.G.M.) e velocità di subsidenza rilevate nei periodi 1984-1987 e 1987-1993 (dati ARPA-ER). L’impatto della subsidenza sull’evoluzione della linea di costa alla macroscala Per analizzare l'impatto della subsidenza e dell'innalzamento del livello marino alla macroscala è stato utilizzato un modello geometrico "statico". Utilizzando tutti i dati topografici più attendibili a disposizione è stato ricostruito un modello digitale topobatimetrico generale dell'intero Adriatico Settentrionale, comprendente sia i fondali marini che le terre emerse. Il modello geometrico così ricostruito è stato "proiettato" nel futuro applicando i tassi di abbassamento del livello del suolo previsti con l'applicazione dei modelli previsionali di subsidenza naturale e antropica. In tal modo è stata ricostruita la possibile evoluzione altimetrica del territorio fino al 2100. Il modello digitale del terreno è stato quindi intersecato con il "modello digitale delle acque marine", cioè con la superficie del livello del mare ottenuta applicando i tassi di

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SEMINARIO DI STUDIO eustatismo dovuti al riscaldamento del pianeta. E' stato considerato il dato fornito dall'IPCC 92 (sostanzialmente confermato dall'IPCC 96) che considera un innalzamento di circa 50 cm al 2100. Tale condizione rappresenta uno stato stazionario, tuttavia gli effetti negativi che si possono manifestare nell'entroterra per la variazione del livello relativo del mare sono maggiori nel corso delle mareggiate, accompagnate dal fenomeno della marea astronomica e meteorologica (acqua alta) che è particolarmente sensibile lungo l'intera costa adriatica veneta ed emiliano-romagnola. Sono stati quindi messi a punto ed applicati modelli specifici di circolazione idrodinamica per la ricostruzione del fenomeno dell'acqua alta e di generazione delle onde per la ricostruzione di mareggiate signifi-cative e il calcolo del "wave setup" sottocosta. Con le dovute appros-simazioni si è arrivati a definire un quadro dei possibili innalzamenti del livello del mare lungo il litorale per eventi caratterizzati da 1, 10 e 100 anni di tempo di ritorno, facendo riferimento alla situazione altimetrica attuale ed a quella modificata dalla variazione relativa del livello del mare fino al 2100 (Figura 9). Dall'intersezione tra il modello delle acque e quello del terreno sono scaturite le porzioni di territorio costiero che si troveranno sotto il livello del mare statico o dinamico, nel corso delle mareggiate. E' ovvio che per la presenza delle strutture di difesa a mare (naturali, come le dune, o artificiali) e delle difese fluviali (argini) non tutto il territorio sarà allagato, ma è comunque un dato allarmante constatare quanta parte di superficie della pianura costiera dovrà convivere

con il problema dello smaltimento delle acque nel corso di eventi di piena e con il continuo problema della difesa dalle inondazioni.

Figura 6 - Schematizzazione del fenomeno di subsidenza antropica.

Figura 7 - Ricostruzione della depressurizzazione dell'acquifero regionale romagnolo dal 1950 al 1990.

Figura 8 - Previsione modellistica della subsidenza dovuta ad estrazione di gas dal giacimento di Angela-Angelina,

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lungo la costa ravennate, per l'intera vita produttiva del giacimento (dal 1972 al 2014).

Figura 9 – Risultati del Progetto CENAS alla macroscala. In rosso sono rappresentate le aree potenzialmente esondabili al 2100 per effetto combinato dell’innalzamento eustatico del livello del mare e di una mareggiata eccezionale. L’impatto della subsidenza sull’evoluzione morfologica della linea di spiaggia a scala locale Alla scala locale si è prodotto innanzitutto un approfondimento di dettaglio delle considerazioni effettuate alla macroscala, riproducendo, su tre siti specifici della costa emiliano-romagnola (Ravenna, Cesenatico e Rimini) un'applicazione locale della metodologia esposta in precedenza. Sulla base dei dati della CTR è stato ricostruito un modello digitale del terreno a maglia 10x10 m e applicando i tassi di subsidenza locali previsti sono state valutate non solamente le aree di prevista sommergenza ma, utilizzando informazioni sull'uso del suolo, è stata anche effettuata una mappatura del rischio di esondazione (Figura 10).

Figura 10 – Modello digitale del terreno dell’area costiera ravennate (a sinistra) e mappatura del rischio relativo di esondazione (a destra) ottenuta tenendo conto della sommergibilità del terreno e dell’uso del suolo in accordo con la metodologia U.N.D.R.O. (United Nations Disaster Relief Office). L'approccio fin qui seguito fa ancora riferimento al problema "geometrico" di intersezione tra il livello previsto del mare e il terreno costiero. Scendendo in un ulteriore dettaglio ci si è occupati anche della linea di spiaggia e della prevista evoluzione morfologica del litorale. Sui tratti di costa dei siti di approfondimento è stato messo a punto ed applicato un modello di evoluzione morfologica del litorale costruito con il codice di calcolo LITPACK del Danish Hydraulic Institute, utilizzando tutti i dati geometrici, sedimentologici, di portata solida fluviale a disposizione e tarato fino all'attualità per mezzo del confronto tra le linee di costa rilevate in epoca diversa. Il modello tiene compiutamente conto anche della presenza delle opere di difesa costiera via via realizzate per la protezione della spiaggia. La Figura 11 mostra la quantificazione delle cause attuali di erosione del litorale per il sito di Ravenna. Come si può notare la somma della subsidenza e dell'innalzamento del livello del mare sono la causa del 30% dell'arretramento complessivo, mentre il 70% dell'erosione è da attribuire alle cause endogene dei fenomeni di trasporto costiero ed in particolare

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SEMINARIO DI STUDIO alla riduzione del trasporto solido delle foci fluviali. Le percentuali sono molto differenti, ad esempio, a Cesenatico, dove la notevole subsidenza osservata (con un abbassamento del suolo superiore a 1 m dal 1953 al 1990) ha giocato per più del 60% sull'erosione del litorale.

Figura 11 – Cause dell’arretramento del litorale lungo la costa di Ravenna. Il modello è stato quindi applicato per la previsione dell'evoluzione futura dei fenomeni morfologici tenendo conto, oltre che delle usuali forzanti per gli studi sui litorali, anche del progressivo aumento del livello del mare e della modificazione altimetrica dei profili di spiaggia dovuta alla subsidenza. Per il sito di Ravenna è stata valutata la progressione possibile dell'erosione considerando sia la subsidenza naturale che la subsidenza antropica legata all'estrazione di acqua e all'estrazione di gas e considerando il previsto incremento del trasporto solido dalla foce dei Fiumi Uniti. Per quanto riguarda l'estrazione di acqua sono stati considerati, come in tutto il resto del lavoro, due scenari: uno, ottimistico, prevede che gli attesi incrementi dei consumi di risorsa idrica siano sopperiti dall'aumento di distribuzione di risorsa idrica superficiale (attraverso il potenziamento dell'Acquedotto della Romagna e del Canale Emiliano Romagnolo); l'altro, pessimistico, ritiene che non siano realizzati nei prossimi anni interventi infrastrutturali

e quindi prevede una ripresa dell'utilizzo di risorse sotterranee, con ulteriore depressurizzazione degli acquiferi e relativo incremento della subsidenza. Le previsioni per i prossimi cento anni, considerando come fattore antropico la sola subsidenza generata dall'estrazione di gas determinano un arretramento medio della linea di spiaggia di circa 20 m sulla cella esaminata, che aumentano fino a 50 m nel caso dello scenario ottimistico e a oltre 80 m per quello pessimistico. Il caso della foce dei Fiumi Uniti è sicuramente un caso molto particolare, anche nel panorama del territorio ravennate, per la presenza del giacimento di gas e di opere già consolidate di difesa. I risultati, estesi coerentemente al resto della costa, mostrano tuttavia che anche la prevista ripresa del trasporto solido dalle foci fluviali potrebbe non essere sufficiente a contenere l'arretramento prodotto dalla subsidenza e dal previsto incremento del livello del mare. Nasce da qui l'esigenza di ricorrere ancora, come già fatto in passato, ad opere di difesa del litorale per la salvaguardia dello stato attuale, sostenendo, parallelamente, tutte le azioni di incremento della distribuzione idrica da fonte superficiale che possono limitare, o perlomeno controllare, la progressione della subsidenza legata allo sfruttamento degli acquiferi. Interventi messi in atto e progettati dal comune di Ravenna per la difesa del litorale La gestione del litorale non può purtroppo essere cadenzata solamente sul lungo periodo, attendendo l’efficacia degli interventi di regimazione e regolazione dello

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

sfruttamento delle risorse idriche: in casi particolari, per rispondere ad esigenze puntuali di difesa del litorale che possono compromettere l’utilizzo delle spiagge a scopo ricreativo e turistico-balneare con evidenti ripercussioni sull’economia locale, è necessario provvedere alla realizzazione di opere che abbiano effetti positivi di protezione e ripristino della linea di spiaggia nel breve termine. Nella progettazione e realizzazione di tali opere si è comunque sempre cercato, da parte del Comune di Ravenna, di privilegiare le soluzioni di intervento che a fronte di una comprovata efficacia garantiscano il mantenimento di una situazione ambientale compatibile con la destinazione d’uso della spiaggia, sia dal punto di vista prettamente paesaggistico che da quello della qualità generale dei siti. La tipologia di intervento adottata è stata quindi quella del ripascimento protetto. Il ripascimento garantisce da subito il ripristino di linee di spiaggia adeguate all’utilizzazione del litorale da parte delle strutture balneari già esistenti. La protezione, con opere rigide in massi, trasversali o longitudinali, è stata studiata facendo ricorso alle più avanzate metodologie di verifica modellistica per garantire il massimo dell’efficacia a fronte del minimo impatto. Sono presentati nel seguito due esempi di sistemi di protezione progettati dal Comune di Ravenna per la protezione di alcuni tratti sensibili di litorale. Il primo riguarda il litorale posto di fronte alla località di Punta Marina per una lunghezza di circa 2,5 km dalla fine delle scogliere di Lido Adriano fino al centro dell’abitato (Figura 12). Il tratto di spiaggia si trova sottoflutto,

rispetto al mare dominante di Scirocco, alla protezione di Lido Adriano, posta a Sud. Tale difesa ha intrappolato, nel tempo, i sedimenti residui trasportati alla foce dai Fiumi Uniti (posti ancora più a Sud) limitando considerevolmente l’apporto di sedimento alla spiaggia di Punta Marina. Anche a causa dei citati fenomeni di subsidenza, la linea di spiaggia ha cominciato a regredire con tassi di erosione molto evidenti che, oltre a ridurre la superficie di spiaggia, hanno compromesso la stabilità strutturale di alcune installazioni balneari poste sul litorale. Interventi di protezione, con ripascimenti protetti da celle di sacchi di sabbia, erano stati progettati e posti in essere alla fine degli anni ’80, senza però ottenere risultati significativi. Si è quindi optato per una protezione con una barriera soffolta continua della lunghezza di circa 2,2 km, collegata a terra a mezzo di quattro pennelli anch’essi soffolti, realizzata in massi di cava, la cui sommità è posta alla quota di –0.50 m al di sotto del livello del medio mare. L’azione di smorzamento dell’onda e di riduzione dell’energia sulla battigia è stata verificata anche in condizioni estreme di innalzamento del livello del medio mare, tenendo conto della marea astronomica, nonché dei fenomeni di acqua alta tipici dell’Alto Adriatico e dell’innalzamento apparente del livello del mare causato dal fenomeno subsidenziale negli anni a venire. I calcoli sono stati effettuati con l’utilizzo delle classiche formule di idraulica ma anche ricorrendo alla modellistica numerica di simulazione, per ottimizzare in particolare la progettazione di alcuni dettagli costruttivi come i varchi previsti nella struttura e i ringrossi di testata.

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SEMINARIO DI STUDIO Il numero e la dimensione dei varchi sono stati definiti tenendo conto delle caratteristiche di mobilità delle acque interne alla struttura, per evitare fenomeni di eccessivo “lagunaggio” delle acque che, specialmente nel periodo estivo, con alte temperature e scarsa energia del moto ondoso, possono dar luogo ad un preoccupante depauperamento delle caratteristiche qualitative del mare balneabile. Se i varchi sono necessari per il ricircolo delle acque essi rappresentano altrettanti punti deboli nella linea di difesa del litorale. Per questo motivo, sempre ricorrendo a specifica modellistica matematica (in particolare tutti i modelli matematici sono stati realizzati con il software MIKE 21 sviluppato dal Danish Hydraulic Institute), la forma e la tipologia dei varchi sono state ottimizzate inserendo degli opportuni “antemurali” di protezione, per smorzare localmente l’energia del moto ondoso (Figura 13, Figura 14, Figura 15). Si vuole segnalare, infine, come nel sistema complessivo di protezione del litorale sia compresa anche la realizzazione di una nuova struttura aggettante posta poco più a Nord della fine della barriera soffolta. Tale soluzione è stata scelta in relazione al tentativo di “anticipare” e non “inseguire” i previsti effetti di erosione della spiaggia. Con un apposito studio sviluppato con un modello morfologico di evoluzione della linea di spiaggia (realizzato con il codice di calcolo LITPACK del Danish Hydraulic Institute) è stata prevista l’erosione che si svilupperà ulteriormente sottoflutto rispetto al limite settentrionale della difesa. Il pennello, situato in tale direzione, è stato quindi posizionato con la finalità di trattenere i sedimenti che saranno erosi dalla

spiaggia al fine di ripristinare nella zona un profilo di accumulo che riduca sostanzialmente gli attesi fenomeni erosivi. Per mezzo dello studio modellistico, la dimensione e la posizione del pennello sono state ottimizzate con la finalità di minimizzare l’impatto a tergo dell’opera. Le previsioni modellistiche dovranno essere analizzate e verificate a mezzo di un attento programma di monitoraggio dell’opera che è stato sviluppato in sede progettuale conformemente a quanto richiesto dalla Legge Merloni, valutando nello specifico sia le azioni di misura che le metodiche di valutazione dell’efficacia dell’opera, non solamente per quanto riguarda la stabilità complessiva dell’intervento, ma più in generale per ciò che concerne l’impatto ambientale sulla spiaggia.

Figura 12 – Lay-out complessivo della difesa della costa a Punta Marina.

Figura 13 – Pianta del particolare strutturale di un varco, difeso da un antemurale interno per limitare gli effetti localizzati di penetrazione delle onde.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Figura 14 – Sezione del particolare strutturale di un varco. L’antemurale emergente dall’acqua garantisce visibilità alla struttura semisommersa e costituisce un elemento di differenziazione paesaggistica.

Figura 15 – Verifica modellistica dell’efficacia della struttura dei varchi. La diffrazione dell’onda sulla struttura è tale che sulla spiaggia non si risente della discontinuità della linea di difesa. Il secondo esempio di gestione del litorale riguarda il sito di Casal-borsetti. La spiaggia di Casalborsetti presenta una problematica molto differente da quella di Punta Marina. Il fenomeno erosivo in questo caso è stato innescato da una disattenta gestione della protezione della duna costiera. A seguito di una violenta mareggiata, all’inizio degli anni ’70, che aveva eroso la duna in più punti allagando la pineta retrostante, l’intero fronte a mare della duna veniva protetto con una scogliera continua. Per effetto della riflessione delle onde sulla struttura rigida la spiaggia si è ben presto erosa mettendo a nudo il piede della difesa. Interventi di ripascimento protetti da sacchi di sabbia, realizzati alla fine degli anni ’80, non hanno avuto l’effetto sperato e la spiaggia continua a rimanere in uno stato di inagibilità quasi totale.

L’utilizzazione della spiaggia non è caratterizzata dalla presenza continua di stabilimenti balneari, come a Punta Marina, per cui è stata scelta una soluzione di intervento che lascia maggiore spazio alla movimentazione naturale dei sedimenti di spiaggia. Il ripascimento, come si nota dalla Figura 16, è protetto dalla costruzione di due pennelli che, assieme al pennello esistente di Foce Lamone (posto a Sud), determinano la creazione di tre ampie spiagge falcate. La configurazione della testata dei pennelli, caratterizzata da due sbracci a “Y” soffolti, è stata attentamente valutata per limitare gli effetti localizzati delle correnti di ritorno che tendono a formarsi lungo le superfici di discontinuità costituite dalle strutture rigide potendo provocare l’asportazione di sedimento litoraneo per trasporto trasversale (figura 17).

Figura 16 – Lay-out complessivo della difesa del litorale di Casalborsetti.

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SEMINARIO DI STUDIO

Figura 17 – Particolare strutturale di un pennello con testata a “Y”. L’efficacia dell’intervento di difesa rispetto alla variazione stagionale delle condizioni forzanti di moto ondoso è stata studiata ricorrendo alla messa a punto di un modello di evoluzione morfologica del litorale costruito con il codice di calcolo LITPACK del Danish Hydraulic Institute. Come si vede dalla Figura 18 i possibili “basculamenti” della falcatura di spiaggia sono contenuti entro le opere trasversali di protezione anche per condizioni estreme di durata degli eventi provenienti dal medesimo quadrante. Un intervento di questo genere richiede un ingente quantitativo di sedimento per la ricostruzione della spiaggia. La progettazione è stata originariamente condotta con l’ipotesi di utilizzare sabbia di cava, avendone verificato la disponibilità nei quantitativi richiesti dall’intervento (circa un milione di metri cubi). Soluzioni di minor costo si stanno attualmente profilando in relazione alla futura disponibilità di sedimenti derivanti dall’approfondimento del porto-canale di Ravenna ed alla politica di utilizzo delle risorse di sedimento dai giacimenti profondi dell’Adriatico che è promossa dalla Regione Emilia-Romagna.

Figura 18 – Verifica modellistica della stabilità morfologica della spiaggia compresa entro due pennelli. “Basculamento” della linea di riva per mareggiate eccezionali da Scirocco e da Bora. Conclusioni Gli studi condotti nell’ambito del Progetto CENAS hanno mostrato quanto il fenomeno subsidenziale risulti importante, in un litorale pianeggiante come quello ravennate, nell’evoluzione morfologica del litorale. Gli scenari evolutivi analizzati facendo ricorso alla modellistica numerica allo stato dell’arte hanno mostrato che nel medio-lungo termine un’attenta gestione delle risorse del sottosuolo e del territorio può limitare i danni provocati dalla subsidenza ma che al contempo, nel breve termine, alcuni interventi infrastrutturali risultano necessari per difendere i tratti di litorale maggiormente esposti all’erosione della spiaggia. Sono stati quindi presentati due esempi di interventi progettati ed in fase di realizzazione promossi dal Comune di Ravenna. In entrambi i casi la tipologia del ripascimento protetto da opere longitudinali o trasversali in massi è stata giudicata la soluzione migliore per i problemi locali, garantendo, sulla base degli approfonditi studi che hanno accompagnato la progettazione, una buona efficacia nel pieno rispetto degli equilibri ambientali esistenti.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

Bibliografia di riferimento ABBOT, M.B., DAMSAGAARD, A., RODENHUIS, G.S. (1973). “System 21, Jupiter, A Design system for Two-Dimensional Nearly-Horizontal Flows”, Journal of Hydraulic Research, 1. BIRD, E.C.F. (1996). “Coastal erosion and rising sea level”, in J. D. Milliman e B. U. Haq, (eds.), Sea Level Rise and Coastal Subsidence, Kluwer Academic Publ., 87-103. COLANTONI, P., GABBIANELLI, G., MANCINI, F. E BERTONI, W. (1997). “Coastal defence by breackwaters and sea-level rise: the case of the Italian Northern Adriatic sea”, in Frederic et al., (eds), Bulletin del Institut Oceanographique, Monaco, 18. DANISH HYDRAULIC INSTITUTE (1993). “MIKE 21. Coastal Hydraulics and Oceanography. Hydrodynamic Module. Release 2.7. User Guide and Reference Manual”. DHI, Hoersholm, Denmark. DANISH HYDRAULIC INSTITUTE (1997). “LITPACK. Release 2.7. User Guide and Reference Manual”. DHI, Hoersholm, Denmark. GAMBOLATI, G., RICCERI, G., BERTONI, W., BRIGHENTI, G., VUILLERMIN, E. (1991). “Mathematical simulation of the subsidence of Ravenna”, Water Resour. Res., 27 (11), 2899-2918. GAMBOLATI, G., TEATINI, P. (1998). “Numerical analysis of natural land subsidence due to natural compaction of the Upper Adriatic Sea basin”, in G. Gambolati, (ed), CENAS, Coastline Evolution of the Upper Adriatic Sea due to Sea Level Rise

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SEMINARIO DI STUDIO

Progetto modellistica costiera (Abstract)

M. Calabrese1 & F. Zarlenga2

1Università degli Studi di Napoli “Federico II”

2ENEA/CR-Casaccia Il “Progetto modellistica costiera”, che prende vita da un Intesa di Programma ENEA/MURST del valore complessivo di 13 miliardi di lire ha un’articolazione complessa, svilup-pata a partire dalla realizzazione di un “Centro permanente di studi, simulazioni e prove sulla dinamica costiera” nella sede ENEA di Portici. Gli obiettivi scientifici che il progetto si propone di perseguire sono rappresentati dallo sviluppo di modelli matematici previsionali, tarati sia su “impianti sperimentali di modellazione in scala”, rappresentati da una vasca (3D) e da 2 canali d’onda (2D), sia mediante sperimentazione in situ in almeno due aree prototipali. I fenomeni di dinamica litoranea si manifestano notoriamente sotto forma di erosioni progressive, ovvero di imbonimenti. Entrambi i processi evolutivi danno luogo a condizioni di “squilibrio” della fascia costiera che nel caso di erosione determinano il depauperamento degli arenili, mentre nel caso di accrescimento improvviso possono provocare danni rilevanti alle infrastrutture (ad esempio provocare l’interramento dell’imboccatura dei bacini portuali) e agli apparati di foce. Per lo studio dei fenomeni connessi al trasporto solido litoraneo non si può prescindere dalla conoscenza della idrodinamica costiera, che costituisce il motore di tale processo. E’ infatti, nella “surf-zone” e nella “swash-zone”, domini compresi tra il frangimento delle onde di mare e la risalita d’acqua sulle spiagge, dove il

moto ondoso dà luogo alla formazione di correnti idriche che determinano il trasporto dei sedimenti messi in sospensione dall’azione diretta dei frangenti. Pur essendo la “surf-zone” e la “swash-zone” aree molto attive ai fini del trasporto solido costiero, esse risultano ancora oggi poco conosciute dal punto di vista idrodinamico. Evidentemente il campo di moto all’interno delle suddette aree dipende dal clima ondoso locale determinato dalla trasformazione che lo spettro di largo subisce per effetto dei fenomeni di rifrazione. La descrizione matematica integrale delle variazioni spazio-temporali dei fondali, cioè la morfodinamica, è quasi impossibile da affrontare nella sua generalità, a causa della necessità di introdurre domini di calcolo di dimensioni elevatissime (ad esempio fasce costiere lunghe diverse chilometri e tempi di evoluzione dei fenomeni dell’ordine di anni). Questa ragione ha spinto i ricercatori a formulare dei modelli semplificati indirizzati alla simulazione di particolari tipi di fenomeni, ponendo alcune fenomenologie in secondo piano nell’ipotesi che esse giochino un ruolo secondario. La modellistica realizzata interagirà con un “sistema esperto” (GIS-DSS) in grado anche di fornire dati ambientali mediante due B.D., una cartografica ed una ambientale nelle quali saranno archiviate le più importanti informazioni cartografiche e

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

le serie storiche, come di seguito specificato. B.D. Cartografica: • Cartografia completa 1:100.000

IGM; • Cartografie delle coste italiane

1:25.000 IGM e cartografie regionali ove disponibili;

• Carte nautiche 1:100.000 (Servizio Idrografico della Marina);

• Carte batimetriche di dettaglio, ove esistenti;

• Atlante delle coste italiane (ENEL); • Atlante delle spiagge italiane

1:100.000 (CNR); • Cartografia CORINE Lacoast

(CCE) • Carta Geologica 1:100.000 delle

aree costiere; • Carta delle Dighe; • Infrastutture a rete (strade,

ferrovie, ecc.); • Opere a mare (opere di difesa,

infrastrutture portuali e turistiche etc.);

• Opere di modifica fluviale; • Parchi naturali marini, aree

protette, oasi naturalistiche, lagune e stagni costieri;

• Aree edificate (insediamenti abitativi, turistici, industriali e produttivi etc.).

B.D. ambientale/territoriale: • dati storici correntometrici; • dati storici ondametrici; • dati storici di portata idrica e solida

fluviale; • dati storici su direzione e velocità

del vento; • piovosità nei bacini imbriferi; • attività estrattive in alveo fluviale

(ubicazione e quantitativi estratti); • dati storici sulla dinamica costiera

(arretramenti/avanzamenti della linea di riva);

• dati demografici e socio-economici. Il Sistema informativo consentirà pertanto di valutare non solo l'evoluzione della linea di costa, sulla base della situazione attualmente esistente, ma anche le sue modificazioni a seguito di interventi, o ipotesi di intervento, di qualsivoglia natura. Un altro obiettivo del progetto è quello di formare un gruppo di specialisti, allo scopo l’ENEA ha già assunto 7 unità di personale, per assicurare le successive implementazioni del sistema e per il supporto alla pubblica Amministrazione.

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Interventi* Leonardo Chiruzzi Vice Sindaco del Comune di Bernalda Sono qui a portare il saluto del Sindaco, che non ha potuto partecipare ai lavori odierni perché colpito da un grave lutto familiare, e dell’Amministrazione Comunale tutta che ha patrocinato questa manifestazione. Un saluto particolare ed un grazie ai relatori, ai partecipanti alla tavola rotonda del pomeriggio ed a quanti con i loro interventi vorranno dare un loro contributo per la conoscenza di un fenomeno che preoccupa non solo la comunità bernaldese, ma tutto l’arco ionico del metapontino. Questa Amministrazione è pienamente consapevole di quanto si sta verificando sul proprio litorale e si prefigge come obbiettivo primario la ricerca di soluzioni ottimali per contrastare l’erosione costiera. Da questo seminario siamo certi che usciremo più arricchiti in conoscenza e certamente tutti insieme avremo aggiunto un granello di sabbia in più alla ricostruzione di un patrimonio perduto. Giovanni Carelli Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Matera Ritengo doveroso ringraziare gli intervenuti e soprattutto i relatori di questo seminario che mi hanno dato la possibilità di conoscere quanto il mondo scientifico sta mettendo in essere per arginare questo fenomeno. Ringrazio gli organizzatori che hanno voluto questo incontro che ha stimolato la mia coscienza e la mia conoscenza su un fenomeno già segnalato dal lontano 1978 dal professor Franco Amatucci e dibattuto poi in un apposito convegno tenutosi, se non vado errato, nel 1986 presso l’Enea Trisaia di Rotondella. Quanto evidenziato nella relazione dell’architetto Trivisani mi sconcerta non poco: 30 ettari di arenile sono un’entità non trascurabile. Una quantità, questa, enorme che se volessimo ricostruire necessiterebbe di qualche miliardo. Una valutazione ed un intervento tempestivo certamente avrebbe limitato il danno. Se valutassimo in termini di ricaduta turistica questa superficie, forse ci accorgeremmo di quanta risorsa è stata sottratta. Il turismo balneare, senza arenile, è un turismo povero ed inesistente. E’ un turismo che non ci porterebbe lontano e che vanificherebbe gli sforzi finanziari sostenuti dalla collettività. Bisogna prendere coscienza che dobbiamo convivere con questo fenomeno e tentare di contenerlo. Le esperienze che ci sono state mostrate possono essere da spunto e da riflessione per tutti noi.

* Il testo degli interventi è stato ricavato dalle registrazioni effettuate durante il seminario di studio. I curatori degli atti si scusano con gli intervenuti per eventuali imprecisioni dovute alla difficoltà di ascolto e trasposizione di alcuni passaggi.

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Riqualificazione e salvaguardia dei litorali

In effetti, la costa metapontina è aggredita da più parti e l’ecosistema mare – duna - pineta è a forte rischio. L’erosione marina, l’indigenza della pineta litoranea attaccata dalla processionaria e dal blastofago stanno riducendo, anno dopo anno, la consistenza naturalistica della nostra fascia costiera. Come Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Matera sono sconcertato per quanto sta accadendo. Prendo atto dell’urgente ed inderogabile esigenza di interventi tendenti alla salvaguardia della costa e dell’ecosistema naturale. L’Ente Provincia, nell’ambito dei propri compiti istituzionali, non può e non deve eludere questo fenomeno. Questo è un fenomeno da non sottovalutare ulteriormente, non procrastinando decisioni a tempi migliori. Nella programmazione provinciale è un fenomeno che deve essere tenuto in debito conto come problema primario; in quanto primario e strategico ritengo sia lo sviluppo turistico della fascia costiera metapontina, a cui l’ecosistema è strettamente correlato. Sarà opportuno che i Comuni della fascia ionica mettano a punto assieme alla Provincia una strategia comune di difesa e salvaguardia. Quanto auspicato da Mazzei, circa la costituzione nel metapontino di un momento permanente di confronto, che consenta in tempi successivi ulteriori occasioni di verifica e messa a punto della ricerca, della progettazione e degli interventi mi trova d’accordo. Faccio mia questa proposta, in quanto la Provincia che rappresento è istituzionalmente preposta alla programmazione del proprio territorio e deve istituzionalmente conoscere e coordinare gli interventi.

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INDICE -Trivisani A., “ Presentazione” pag. 3 - Fierro G., “Relazione di apertura” pag. 5 - Trivisani A. e Tessari U.,” Metaponto: monitoraggio della spiaggia 1994/1999” ……………………………….. pag. 7 - Donnaloia M., Gianfreda F. e Mastronuzzi G. & Sanso P., ” Dinamica del Litorale pugliese: Studi in corso ed esempi di ripascimento”………….. pag. 13 - Pano N., “ Spazio costiero Albanese nel Mare Adriatico e Ionio”……. pag 27 - Lamonica G.B.,”Erosione dei litorali. Efficacia e utilità degli interventi”…pag. 31 - Aminti P. e Pranzini E.,” Spiagge artificiali in ghiaia per la difesa e la utilizzazione turistica del litorale………………. pag. 47 - Simeoni U. e Gabbianelli G., “ Effetti delle attività antropiche e dello

Innalzamento del livello marino sull’evoluzione del litorale Emiliano-Romagnolo”………………………………………………. pag. 57

- Amatucci F. e Mauro A., “ Studio dell’evoluzione litoranea dell’arco

Ionico lucano.Influenza dei contenuti energetici del moto ondoso e dei processi fluviali ed antropici”…………………………………… pag. 69

- Cecconi G. e Ardone V.,” La protezione delle spiagge della laguna

di Venezia “ …………………………………… pag. 73 - Bertoni W. e Gonella M.,”Influenza dei fenomeni di subsidenza nella

evoluzione delle coste”…………………………… pag. 83 - Calabrese M. e Zarlenga F.,”Progetto modellistica costiera”………… pag. 97

INTERVENTI

- Chiruzzi L ……………………………………………………….. pag. 101 - Carelli G…………………………………………………………………. pag. 101 Il seminario è stato organizzato da: ACLI Anni Verdi Coordinamento Nazionale, ACLI Bernalda e Pro Loco- Bernalda In copertina: Metaponto Lido tratto tra campeggio Riva dei Greci e foce del fiume Bradano (foto archivio A. Trivisani dscn 3618)