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Riflessioni da condividere con i partecipanti al Convegno “Rischi emergenti in azienda: la valutazione dello stress lavoro-correlato – cultura, metodologie e strumenti” 1 luglio 2010 Gentili colleghi, regala una grande soddisfazione scorrere la lista dei partecipanti a questo incontro. Ne avemmo già una anticipazione a Natale come soci AIDP Liguria, ma sottolineiamo con piacere che l’incontro è cresciuto esponenzialmente in qualità in questi ultimi mesi, per impegno ed entusiasmo sia dei partecipanti che dei relatori; e questo, oltre che per l’incalzare delle scadenze normative anche per squisite ragioni di interesse professionale. In realtà, a voler vedere l’attuale mancanza di indicazioni ministeriali definitive su come si valuta lo stress lavoro-correlato in modo positivo, la latitanza di indicazioni precise su come procedere ha consentito l’emersione di istanze di intervento da parte di molteplici soggetti che per tradizione e mission hanno la salute e la sicurezza dei lavoratori come oggetto di attenzione professionale (ASL in primo luogo, ma anche Istituti di ricerca, Enti privati e Società di consulenza). Questo fenomeno di proliferazione di linee guida regionali (es. le proposte di metodo della ULSS Verona, le linee di indirizzo della Regione Toscana, ecc.) o nazionali (es. la proposta metodologica di ISPESL) non ci deve però stupire perché, se per certi versi il “clima” che si respira attorno a questo titolo 29 dell’ “81/08” è simile a quello che si respirava attorno alla

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Riflessioni da condividere con i partecipanti al Convegno “Rischi emergenti in azienda: la valutazione dello stress lavoro-correlato –

cultura, metodologie e strumenti” 1 luglio 2010

Gentili colleghi,

regala una grande soddisfazione scorrere la lista dei partecipanti a questo incontro. Ne

avemmo già una anticipazione a Natale come soci AIDP Liguria, ma sottolineiamo con

piacere che l’incontro è cresciuto esponenzialmente in qualità in questi ultimi mesi, per

impegno ed entusiasmo sia dei partecipanti che dei relatori; e questo, oltre che per

l’incalzare delle scadenze normative anche per squisite ragioni di interesse professionale.

In realtà, a voler vedere l’attuale mancanza di indicazioni ministeriali definitive su come si

valuta lo stress lavoro-correlato in modo positivo, la latitanza di indicazioni precise su

come procedere ha consentito l’emersione di istanze di intervento da parte di molteplici

soggetti che per tradizione e mission hanno la salute e la sicurezza dei lavoratori come

oggetto di attenzione professionale (ASL in primo luogo, ma anche Istituti di ricerca, Enti

privati e Società di consulenza).

Questo fenomeno di proliferazione di linee guida regionali (es. le proposte di metodo della

ULSS Verona, le linee di indirizzo della Regione Toscana, ecc.) o nazionali (es. la proposta

metodologica di ISPESL) non ci deve però stupire perché, se per certi versi il “clima” che si

respira attorno a questo titolo 29 dell’ “81/08” è simile a quello che si respirava attorno alla

“626” nel lontano 1994, d’altra parte ci sono ormai oltre quindici anni di esperienza ed

abitudine a ragionare in termini di prevenzione dai rischi da identificare e da

eliminare/ridurre, e per molti ormai è anche normale se non addirittura istintivo pensare

in termini di qualità e di miglioramento continuo anche circa le condizioni dei lavoratori.

E per chi avesse delle perplessità sulla fase successiva alla valutazione, cioè quella relativa

all’identificazione delle azioni di miglioramento, faccio presente che la già articolata

esperienza di molte imprese con la SA8000 o “certificazione etica” può essere

assolutamente di aiuto a capire di quali tipologie di azioni stiamo parlando.

Quindi se è vero che l’attuale copresenza di diverse “linee guida” circa il corretto modo di

affrontare l’argomento e l’assenza di quelle ministeriali può generare una certa confusione,

d’altra parte questa fase d’esplorazione dovrebbe essere a mio avviso riletta come esercizio

di maturità da parte di un sistema che reagisce professionalmente ad una sollecitazione

normativa importante, e quindi assolutamente apprezzabile.

Chi prima arriva fa lo standard - è una frase che chi collabora con me mi ha sentito dire

spesso in questo periodo; e se non fa lo standard in toto, certo contribuisce a far emergere

le diverse istanze, i problemi che erano ancora nascosti nelle pieghe della normativa, e in

particolare i nomi e i cognomi di coloro che devono e/o possono efficacemente prendere

parte a questa delicata valutazione (Datore di lavoro, RSPP, Medico Competente, RLS,

psicologo del lavoro, ecc.).

Valutazione delicata come tutti i neonati, più di ogni altra questa valutazione ha a che fare

con le persone e la loro capacità di leggere e gestire le situazioni – ma in fondo, quando si

“imponeva” in Azienda un nuovo dpi, non era forse il comportamento degli operatori, la

loro reazione all’innovazione introdotta ad essere l’elemento critico per una sua effettiva

adozione quotidiana? Rassicurati forse dal fatto che ci fossero elementi facilmente

misurabili e numeri sui quali confrontarsi, abbiamo dimenticato per un attimo che da oltre

quindici anni stiamo lavorando per le persone e con le persone, perché rispettare

seriamente la “626” ed ora il T.U. 81/08 significa innanzitutto far lavorare i nostri colleghi

– e noi – in un ambiente sicuro e tranquillo, dove sentirsi rispettati e protetti.

Abbiamo lavorato tanti anni accumulando preziosa esperienza tecnica, forse ci siamo solo

dimenticati che il nostro lavoro ha una valenza etica importante che altri mestieri aziendali

non possono vantare.

E l’81/08, con una più chiara articolazione - ed una sostanziale uguaglianza di intenti - è

venuta ricordarci quanto già si diceva nella 626, cioè che i rischi potevano anche essere

legati all’organizzazione del lavoro, al contesto sociale in cui questo si svolge ed a

caratteristiche della cultura organizzativa percepiti come pesanti da tollerare e/o origine di

sofferenza.

Per anni abbiamo omesso di toccare direttamente questo tasto, affrontandolo solo

lateralmente: ad esempio, nel caso dell’adozione di innovazioni tecniche, seguiva una

informazione/formazione ai lavoratori circa i nuovi modi di lavorare, avvisandoli così

indirettamente dei cambiamenti nell’organizzazione del lavoro; ora invece il focus è più

chiaro, il faro della ragione illumina meglio il campo di applicazione della nostra analisi

che da valutazione tecnica oggettiva, con “effetti collaterali” sull’organizzazione del lavoro,

ora sposta l’attenzione su tale organizzazione, e collaterali saranno quindi i tecnicismi per

migliorare la situazione e non più il contrario.

Come tutte le forme di valutazione anche questa ha in sé il seme della soggettività, e se è

vero che l’unico documento ad oggi cogente è l’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004, voler

suddividere in modo “chirurgico” la fase oggettiva di valutazione da quella soggettiva per

certi aspetti una forzatura poco funzionale.

Devo ricordare a chi fa il mestiere di gestore delle risorse umane, di RSPP, di medico del

lavoro o ancor più psicologo, che i dati per quanto oggettivi sono neutri ed assumono un

significato solo in presenza dell’umano atto di interpretazione?

Potremmo concettualmente solo posizionare l’origine delle nostre valutazioni su un

continuum che va da metodi che prevedono un maggiore coinvolgimento dei lavoratori ad

altri che possono essere applicati più “a tavolino”; ma alla fine ci sarà sempre un concerto

di esseri umani – datore di lavoro, responsabile servizio prevenzione e protezione, medici

del lavoro, sindacati – che a tali dati conferirà un significato, positivo o negativo. E a volte,

anche in aperto contrasto fra loro. Questo è, che ci piaccia o meno, il significato stesso di

valutazione.

In questa specifica valutazione due sono gli elementi chiave innovativi che tolgono ad oggi

il sonno agli operatori, e si potrebbe pensare che uno di questi sia l’elemento centrale, cioè

lo stress e le sue definizioni; ma a sorpresa non è così, perché per il momento quelli che

sono gli elementi più critici o perlomeno percepiti come tali sono 1) il rapporto fra RSPP e

il suo datore di lavoro e soprattutto il suo Responsabile del Personale e 2) l’eventuale

ingresso nella valutazione dello stress lavoro-correlato dello psicologo del lavoro.

Proprio a queste due questioni vogliamo rispondere con l’intervento di oggi; per la prima

di queste criticità ci sentiamo in dovere di intervenire come AIDP, associazione che

riunisce chi opera nelle risorse umane, perché in questo tipo di valutazione saremo a

brevissimo chiamati in causa dai nostri responsabili della sicurezza, che dovranno

analizzare e comprendere dati che tipicamente appartengono al nostro “regno” - e che noi

delle HR dovremmo fornirgli e rendergli intellegibili – e soprattutto ci chiederanno

collaborazione fattiva e sostanziale per disegnare le azioni di prevenzione e miglioramento,

perché di azioni sull’organizzazione del lavoro si tratta, e senza la nostra collaborazione e

condivisione non possono essere messe in atto. Per questo motivo AIDP si sente di

garantire tutti gli sforzi possibili per sensibilizzare chi opera nelle risorse umane alla

collaborazione con i tecnici della prevenzione e della protezione che, loro malgrado, sono

spinti dalla norma a questa innovativa “invasione di campo”.

Per quanto concerne la seconda questione, quella legata o meno al coinvolgimento dello

psicologo del lavoro in questa valutazione, rispondo con un paradosso: in base a quale

ragionamento escludere a priori il coinvolgimento di un esperto di rilevazione e

valutazione dello stress, della percezione degli individui relativamente al loro mondo, della

rilevazione degli stati di disagio degli individui da una valutazione del genere?

Caricando spesso questa professionalità sulle spalle di un altro degli attori chiave di questo

sistema – che non poteva mancare a questo tavolo – che è il Medico Competente, dotato

certamente della sensibilità necessaria ma non di alcuni degli strumenti professionali

adatti per condurre questa valutazione (conoscenze in materia di analisi e organizzazione

del lavoro, costruzione e applicazione di test, questionari, gestione di focus-group, ecc.).

L’immagine che ne emerge è quella di un RSPP che tratta solo dati “oggettivi” con il timore

di invadere il terreno HR e che lascia al Medico Competente l’onere (o l’onore) di portare

all’attenzione del datore di lavoro gli elementi più umani ed individuali della compagine

aziendale, facendolo però inevitabilmente con l’approccio che gli è proprio, che è quello

medico, che è utilissimo ma semplicemente non è sufficiente a comprendere il problema.

Non abbiamo ancora le linee guida ministeriali – che in ogni caso sappiamo saranno le

prime e saranno destinate ad eterna implementazione – ma possiamo già immaginare che

per loro natura tenderanno a proporre un percorso di valutazione “minimo sindacale” nel

rispetto della giovinezza e dell’inesperienza in questa valutazione, e che coinvolgeranno

“per legge” soltanto coloro che già oggi operano nella valutazione della sicurezza sul lavoro,

ma questo non significa affatto:

1) che la situazione non evolverà in termini di maggiore professionalità richiesta in

questa valutazione – e per restare “in zona” basta dare un’occhiata ai cugini francesi

per capire la quantità di servizi di livello che gli psicologi del lavoro francesi sono

normalmente chiamati ad erogare presso le imprese;

2) che gli psicologi del lavoro nel nostro paese di conseguenza non debbano sentire il

dovere di prepararsi professionalmente ancora di più su questo specifico

argomento, in particolare circa l’impatto della loro attività di indagine e diagnosi

sulle imprese in cui opereranno, per imparare a muoversi con attenzione nei

contesti organizzativi comprendendone cultura organizzativa e meccanismi di

funzionamento, nonché con un occhio di riguardo alla “sostenibilità” delle soluzioni

suggerite alle aziende valutate dal punto di vista dello stress lavoro-correlato;

3) che non ci siano in circolazione aziende con un sistema di gestione maturo e che non

vogliano applicare solo il “minimo sindacale” ma vogliano già sfruttare il traino del

ciclo di Deming o più in generale del miglioramento continuo, e quindi avvalersi

senza paure dettate dalla non-conoscenza di professionalità esperte che da oltre un

centinaio d’anni, o per lo meno dalla nascita della civiltà industriale, studiano il

rapporto tra l’uomo ed il lavoro.

A questo tavolo non manca nessuno: tecnici della prevenzione, medici del lavoro,

rappresentanti delle istituzioni, delle aziende e dei sindacati, psicologi del lavoro e società

di consulenza che hanno già iniziato a modo loro ad esplorare questo nuovo “regno” – nella

rappresentazione più evidente che per “misurare” l’essere umano può essere utilizzato solo

l’essere umano (come diceva già bene la “626”, l’essere umano è sia la più grande fonte di

rischio, sia la più grande risorsa per la sua riduzione) e che tale valutazione è per sua

natura multidisciplinare, e trova la sua “oggettività” non nella riduzione di informazioni

qualitative in un “dato” numerico, ma nella convergenza di valutazioni professionali

provenienti da mondi scientifici diversi.

Buon lavoro a tutti, quindi, perché c’è tanto, tantissimo da fare, e ancora di più da

condividere e mettere a fattore comune; perché qualsiasi cosa venga scritta nelle linee

guida ministeriali, certamente ci sarà scritto che in questa valutazione, come in tutte le

altre, occorre avere un metodo, e soprattutto farla bene. E non occorre nessun tecnico,

nessuno psicologo per interpretare ulteriormente il concetto di “bene”.

Dr.ssa Dania Marchesi

Vice Presidente AIDP Liguria

Ordine Psicologi della Liguria

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