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TESTO PROVVISORIO - 1/46 - VI CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO giovedì 22 settembre 2016 Riflessioni circa recenti evoluzioni dottrinali e giurisprudenziali In ordine al rapporto tra la fede e la sacramentalità del matrimonio Prof. Giacomo BERTOLINI - in colore blu le parti che non saranno trattate nella esposizione orale - 1.- Introduzione e tensioni dottrinali Nella presente relazione, in ragione sia della finalità pratica che ci vede occupati quest’oggi, sia del fatto che molto si è scritto sul nostro tema anche in recenti ed esaustive pubblicazioni di questa Università alle quali interamente rinviamo 1 , sarà qui conferita maggiore attenzione alle recenti tensioni o spunti dottrinali in ordine al rapporto tra le fede personale dei nubenti e la validità sacramentale che sono emerse nelle fonti pontificie, nonché in occasione del Sinodo dei Vescovi 2014 e 2015 cui si è personalmente partecipato 2 . L’esposizione, inoltre, assumerà talora l’interna dialettica delle quaestiones disputatae, ove vengono esposte e sottoposte a vaglio critico alcune tesi dottrinali che si è avuto modo di ascoltare nelle citate assisi sinodali. E’ a tutti noto che il tema del rapporto tra fede e intenzione sacramentale matrimoniale si sia periodicamente presentato nelle riflessioni della teologia e del diritto canonico, e ciò sia avvenuto anche in sedi conciliari quali furono il Concilio di Trento o il Concilio Vaticano I 3 , tuttavia senza che i dibattiti abbiano condotto a significative evidenze dottrinali, sufficienti per attribuire rilevanza alla fede, in ordine alla validità sacramentale del matrimonio, ovvero per richiedere una specifica intenzione sacramentale interna. Rispetto al recente passato, tuttavia, la riproposizione odierna del nostro tema pare caratterizzarsi per nuovi spunti critici: per ora si accenni al fatto che è anzitutto riscontrabile l’evoluzione delle categorie concettuali della metafisica della natura, non più ritenute idonee a descrivere la realtà coniugale naturale ed al contempo sacramentale. In talune riflessioni l’uomo viene ritenuto non più capace di conoscere e riconoscere la propria natura. In altre elaborazioni dottrinali, invece, pare negarsi anche il concetto stesso di natura umana, comune a tutti gli esseri creati, conoscibile con certezza attraverso la deduzione della facoltà naturale della ragione, atteso che non vi sarebbe un’universamente condivisa nozione di natura. In riferimento al nostro tema, dunque, non sarebbe sufficiente che due battezzati, per celebrare validamente il sacramento del matrimonio, volessero ciò che essi, anche in assenza di fede, possono dedurre dalla propria natura, bensì sarebbe necessaria un’intenzione specificamente sacramentale. Il problema della contrapposizione tra dottrina e prassi, tanto avvertito e sofferto nei dibattiti del Sinodo straordinario sul matrimonio e famiglia del 2014 ed in quello ordinario del 2015, è uscito (al di là delle affermazioni di principio) sostanzialmente irrisolto, perlomeno sul piano speculativo, ed è epifenomeno delle odierne difficoltà di postulare, oltre alla dimensione soggettiva e psicologica della volontà, l’esistenza anche di una dimensione naturale e sopranaturale oggettiva dell’essere creato e redento. Conseguenza scaturente dai predetti momenti critici è la verifica del tentativo di progressivo abbandono del principio consensualista puro, e con esso spunti di revisione della dottrina 1 Cfr. M. GAS-AIXENDRI, E’ possibile un matrimonio valido senza la fede?, in H. FRANCESCHI, M.A. ORTIZ (a cura di) Ius et matrimonum, Roma 2015, pp. 141-161. 2 Per una trattazione complessiva dell’argomento, cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. I, Il dibattito contemporaneo, Padova 2008; ID., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008. 3 Per la ricostruzione storica del dibattito, cfr. ibid., vol. I, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 1-186.

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TESTO PROVVISORIO

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VI CORSO DI AGGIORNAMENTO IN

DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

giovedì 22 settembre 2016

Riflessioni circa recenti evoluzioni dottrinali e giurisprudenziali

In ordine al rapporto tra la fede e la sacramentalità del matrimonio Prof. Giacomo BERTOLINI

- in colore blu le parti che non saranno trattate nella esposizione orale - 1.- Introduzione e tensioni dottrinali

Nella presente relazione, in ragione sia della finalità pratica che ci vede occupati quest’oggi, sia del fatto che molto si è scritto sul nostro tema anche in recenti ed esaustive pubblicazioni di questa Università alle quali interamente rinviamo1, sarà qui conferita maggiore attenzione alle recenti tensioni o spunti dottrinali in ordine al rapporto tra le fede personale dei nubenti e la validità sacramentale che sono emerse nelle fonti pontificie, nonché in occasione del Sinodo dei Vescovi 2014 e 2015 cui si è personalmente partecipato2. L’esposizione, inoltre, assumerà talora l’interna dialettica delle quaestiones disputatae, ove vengono esposte e sottoposte a vaglio critico alcune tesi dottrinali che si è avuto modo di ascoltare nelle citate assisi sinodali.

E’ a tutti noto che il tema del rapporto tra fede e intenzione sacramentale matrimoniale si sia periodicamente presentato nelle riflessioni della teologia e del diritto canonico, e ciò sia avvenuto anche in sedi conciliari quali furono il Concilio di Trento o il Concilio Vaticano I3, tuttavia senza che i dibattiti abbiano condotto a significative evidenze dottrinali, sufficienti per attribuire rilevanza alla fede, in ordine alla validità sacramentale del matrimonio, ovvero per richiedere una specifica intenzione sacramentale interna.

Rispetto al recente passato, tuttavia, la riproposizione odierna del nostro tema pare caratterizzarsi per nuovi spunti critici: per ora si accenni al fatto che è anzitutto riscontrabile l’evoluzione delle categorie concettuali della metafisica della natura, non più ritenute idonee a descrivere la realtà coniugale naturale ed al contempo sacramentale.

In talune riflessioni l’uomo viene ritenuto non più capace di conoscere e riconoscere la propria natura. In altre elaborazioni dottrinali, invece, pare negarsi anche il concetto stesso di natura umana, comune a tutti gli esseri creati, conoscibile con certezza attraverso la deduzione della facoltà naturale della ragione, atteso che non vi sarebbe un’universamente condivisa nozione di natura.

In riferimento al nostro tema, dunque, non sarebbe sufficiente che due battezzati, per celebrare validamente il sacramento del matrimonio, volessero ciò che essi, anche in assenza di fede, possono dedurre dalla propria natura, bensì sarebbe necessaria un’intenzione specificamente sacramentale.

Il problema della contrapposizione tra dottrina e prassi, tanto avvertito e sofferto nei dibattiti del Sinodo straordinario sul matrimonio e famiglia del 2014 ed in quello ordinario del 2015, è uscito (al di là delle affermazioni di principio) sostanzialmente irrisolto, perlomeno sul piano speculativo, ed è epifenomeno delle odierne difficoltà di postulare, oltre alla dimensione soggettiva e psicologica della volontà, l’esistenza anche di una dimensione naturale e sopranaturale oggettiva dell’essere creato e redento.

Conseguenza scaturente dai predetti momenti critici è la verifica del tentativo di progressivo abbandono del principio consensualista puro, e con esso spunti di revisione della dottrina

1 Cfr. M. GAS-AIXENDRI, E’ possibile un matrimonio valido senza la fede?, in H. FRANCESCHI, M.A. ORTIZ (a cura di) Ius et matrimonum, Roma 2015, pp. 141-161.

2 Per una trattazione complessiva dell’argomento, cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. I, Il dibattito contemporaneo, Padova 2008; ID., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008.

3 Per la ricostruzione storica del dibattito, cfr. ibid., vol. I, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 1-186.

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sacramentaria del matrimonio, in quanto il concetto stesso di validità sacramentale viene sempre più avvertito come strettamente giuridico, eccessivamente ontologizzante e di matrice aristotelica.

In un contesto scristianizzato, inoltre, dove il dato conoscitivo è mediato dalla cultura dei soggetti, è ritenuto difficile il formarsi dell’intentio generalis faciendi id quod facit Christus et Ecclesia, e pertanto si sottolinea l’opportunità che i coniugi, per essere ammessi alle nozze, debbano volere ciò che effettivamente intende la Chiesa, nel modo in cui lo crede la Chiesa, almeno con un rimando esplicito alla mediazione ecclesiale.

A tal proposito, si ripropongono antiche tesi circa la funzione ministeriale della Chiesa e del sacerdote nel matrimonio, così tuttavia implicitamente ammettendo argomentazioni dottrinali che sono indirettamente fondate su presupposti filosofici intellettualisti e volontaristi (nella linea Scoto-Gaetano-Vásquez-Rebello), e sulla teologia del duplex ordo (naturale e sopranaturale) che quei presupposti necessariamente postula, sebbene si sostenga che tale teologia debba essere ormai del tutto abbandonata.

Non pare tuttavia chiarito se oggetto di analisi sia l’intenzione sacramentale esterna o quella interna, ovvero quella del suscipiente o quella del ministro. Nel matrimonio, difatti, risultano tutte e quattro copresenti.

Non risulta infine chiarito, nel dibattito contemporaneo, se per fede si intenda l’habitus fidei, oppure la fides qua, ovvero la fides quae.

2.- Status quaestionis

Occorre dunque preliminarmente recuperare per sommi capi quali fossero i traguardi dottrinalmente raggiunti sino all’anno 2015, per poi comprendere consapevolmente la matrice degli odierni spunti dottrinali.

Lo status quaestionis in ordine alla rilevanza della fede nella formazione del consenso matrimoniale è, sino all’anno 2015 così sintetizzabile4: a) il patto indissolubile non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubenti; b) se è importante non confondere il problema dell’intenzione coniugale con quello della fede personale dei nubenti, non è tuttavia possibile separarli completamente; c) se non sussiste almeno un vestigium fidei si potrebbe dubitare dell’esistenza di una retta intenzione naturale; d) La retta intenzione va intesa come ubbidienza almeno implicita al piano divino, la quale è assente quando c’è il rifiuto esplicito e formale di ciò che la Chiesa fa quando celebra il matrimonio tra battezzati, cioè quando sono rifiutati gli aspetti naturali della coniugalità che costituiscono il segno sacramentale.

Tali conclusioni dottrinali erano state progressivamente raggiunte in un ideale percorso proposto dalle Allocuzioni dei Pontefici alla Rota degli anni 2001, 2003, 2011, e 2013.

Nelle Allocuzioni del 2001, 2003 e 2011 l’approfondimento è stato caratterizzato da riflessioni strettamente inerenti al diritto naturale ed all’affermazione della validità della visione metafisica del concetto di natura. Per quanto non più recenti, è indispensabile ora recupare analiticamente il contenuto anche di quelle prime Allocuzioni, al fine di poter comprendere con consapevolezza in quale misura le odierne proposte dottrinali potrebbero proporre soluzioni sensibilmente dissimili da esse: “L’oscurarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera esperienza soggettiva, comporta anche l’implicita negazione della sua sacramentalità … requisiti intenzionali o di fede che andassero al di là di quello di sposarsi secondo il piano divino del principio, oltre ai gravi rischi che ho indicato in Familiaris consortio … porterebbe inevitabilmente a voler separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone. Ciò si opporrebbe profondamente al vero segno del disegno divino, secondo cui è proprio la realtà creazionale che è un mistero grande in riferimento a Cristo ed alla Chiesa”5.

4 Circa lo status questionis sino all’anno 2015, rinviamo interamente alla completa sintesi di M. A. ORTIZ, Fede e

consenso matrimoniale, in H. FRANCESCHI (a cura di), Matrimonio e Famiglia, Roma 2015, pp. 115-142 (in particolare pp. 138-141) e M. GAS-AIXENDRI, E’ possibile un matrimonio valido senza fede?, cit., pp. 141-161. Cfr. anche A. DIRIART, S. SALUCCI (a cura di) Fides, foedus, fidelitas, la fede e il sacramento del matrimonio, Roma 2014, con bibliografia completa alle pp. 143-259.

5 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores (1. 2. 2001), in AAS 93 (2001) 364, n. 8.

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Le parole di Giovanni Paolo II suriportate esplicitavano l’intenzione non solo di por termine in modo definitivo a quella corrente pastoralista di origine francese che negli anni ’70 (ed ora, nuovamente, al momento presente) con enfasi aveva proposto definizioni di sacramentalità a tappe, graduata, incoativa e nella quale si scorgevano tracce di soggettivismo esistenzialista, bensì parimenti si percepiva la volontà di chiudere su questo tema un possibile ulteriore sviluppo della dottrina, la quale si è sovente preoccupata di tentare di delineare una realtà sacramentale direttamente condizionata dalla esplicita intenzione sacramentale interna dei nubenti. Non deve difatti sfuggire che il Pontefice, ribadendo che il sacramento si fonda sulla realtà oggettiva di diritto naturale, affermava che negare questo carattere del matrimonio avrebbe comportato implicitamente negarne la stessa sacramentalità.

L’azione della vita ordinaria, la realtà creazionale è il mistero grande in riferimento a Cristo ed alla Chiesa; non dunque il solo aspetto soprannaturale, ma la mera realtà creaturale è già di per sé segno e significato della congiunzione spirituale e carnale di Cristo con la sua Chiesa.

Volendo definire i presupposti epistemologici della teologia del matrimonio, si prendevano le distanze sia da una concezione meramente empirica della natura, sia da una concezione della stessa eccessivamente ideologizzata, la quale opererebbe uno scollamento tra il dato naturale ed il dato sacramentale. Nell’Allocuzione difatti si indicavano come erronee le concezioni filosofiche che riducono “ciò che è specificamente umano all’ambito della cultura, rivendicando alla persona una creatività ed operatività completamente autonome sul piano sia individuale che sociale. Questa contrapposizione tra cultura e natura lascia la cultura senza nessun fondamento oggettivo, in balia dell’arbitrio e del potere”6.

Il discorso era elaborato al fine di far chiaramente comprendere come si fossero sovente accumulati attorno alla nozione di natura notevoli equivoci, dimenticandone la più vera e genuina accezione metafisica7. Non deve tuttavia passare in secondo piano la parallela condanna rivolta a quei falsi spiritualismi che convalidano “ciò che è contrario alla realtà spirituale del vincolo coniugale ... Il fatto che il dato naturale sia autoritativamente confermato ed elevato a sacramento da Nostro Signore non giustifica affatto la tendenza, oggi purtroppo largamente presente, a ideologizzare la nozione del matrimonio -natura, essenziali proprietà e finalità- rivendicando una diversa valida concezione da parte di un credente o di un non credente, di un cattolico o di un non cattolico, quasi che il sacramento fosse una realtà successiva ed estrinseca al dato naturale, evidenziato dalla ragione, assunto ed elevato da Cristo a segno e mezzo di salvezza”8.

Tramite quei riferimenti veniva dunque riaffermata con forza la tradizionale visione teologico-metafisica della natura, nella sua validità. Il diritto non potrà mai essere un “semplice prodotto metafisico della capacità di astrazione di un’intelligenza umana autonoma, ma va ritenuto il risultato della lettura che l’uomo riesce a fare dello statuto dato da Dio alle cose”9: “Quando la Chiesa insegna che il matrimonio è una realtà naturale, essa propone una verità evidenziata dalla ragione per il bene dei coniugi e della società e confermata dalla rivelazione di Nostro Signore, che mette esplicitamente in stretta connessione l’unione coniugale con il ‘principio’ (Mt 19, 4-8) di cui parla il Libro della Genesi: ‘li creò maschio e femmina’ ( Gn 1, 27) e ‘i due saranno una carne sola’ (Gn 2, 24)”10. L’uomo infatti non può mutare nulla della legge divina naturale o positiva, né in riferimento ai fini del matrimonio -poiché essi in virtù del bene sia dei coniugi, sia della prole, sia della società, non dipendono dall’arbitrio dell’uomo11- né in riferimento alle proprietà essenziali, “posto che l’istituto, anche dinanzi alla società, è stabile per istituzione divina12.

6 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 359, n. 3. 7 “Si sono accumulati molti equivoci attorno alla stessa nozione di ‘natura’. Soprattutto se ne è dimenticato il concetto

metafisico” (l. cit.). 8 Ibid., p. 360, n. 4. 9 E.CORECCO, Il matrimonio nel nuovo Codice di Diritto Canonico, in AA. VV., Studi sulle fonti del matrimonio

canonico, Padova 1988, p. 113. 10 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 360, n. 4. 11 Cfr. Gaudium et spes, n.48. 12 Cfr. l. cit.

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Tale argomentare si esporrebbe tuttavia a facili accuse di oggettivismo estrinsecista e di automatismo sacramentale, se non fosse collocato nel rapporto intercorrente tra l’ordine della creazione, l’ordine della redenzione ed il libero arbitrio dell’uomo. Giunge allora assai pertinente il richiamo operato nell’Allocuzione del 2001 all’Aquinate, poiché “il matrimonio, come precisa San Tommaso d’Aquino, è naturale non perché causato per necessità dai principi naturali, bensì in quanto è una realtà a cui la natura inclina, ma che è compiuta mediante il libero arbitrio (Summa Suppl., q.41, a.1, in c.). E’ pertanto altamente fuorviante ogni contrapposizione tra natura e libertà, tra natura e cultura”13.

Come non è consentito all’uomo scardinare lo statuto dato da Dio alle creature, così non è consentito alla Chiesa aggiungere requisiti ulteriori di validità ad un istituto che, originato dall’inclinazione naturale e dalla libera volontà umana di fecondamente impegnarsi per tutta la vita con una persona di diverso sesso, è iscritto nella natura umana dal Creatore ed è stato fatto strumento di salvezza, e capace di essere segno efficace della grazia.

Il perno fondamentale attorno al quale allora ruota la teologia sacramentaria del matrimonio sembra dover essere colto nel ruolo giocato dal libero consenso avente ad oggetto le persone quali oggetto materiale e la relazionalità coniugale una e molteplice, causa formale sostanziale del nostro istituto.

Altrettanto non va sottaciuta l’insufficienza dell’indagine limitata all’adesione meramente pattizia dei nubenti ad un oggetto contrattualmente prestabilito, costituente realtà giuridica estrinseca alla singola realtà interpersonale-duale. Il fatto che questa realtà definita da Dio nella legge di natura sia stata elevata a dignità sacramentale, non significa affatto che Cristo abbia aggiunto un nuovo bene, una nuova proprietà o un nuovo elemento essenziale estrinseco all’istituto matrimoniale, con conseguenze anche a livello di consenso richiesto: significa che quell’istituto è stato sanato ed è stato reso capace di conferire la grazia, rafforzando e pervadendo i preesistenti bona, in ragione della nuova simbologia che fa del matrimonio il segno-simbolo di mistiche ed indissolubili nozze; gratia perficit non destruit naturam.

Sarà allora “il patto coniugale, che diviene segno e mezzo dell’azione di Cristo nell’animo dei coniugi come tali. Proprio perché l’azione ordinaria della vita corrente, scelta come segno sacramentale contiene per se stessa un significato preciso in coloro che la pongono, che è quello di instaurare un’unione coniugale, non è necessario che i medesimi coniugi pongano un’intenzione speciale nel ricevere il sacramento. E’ già contenuta nell’intenzione di contrarre vero matrimonio”14. Il matrimonio creaturale è il vero matrimonio, l’unico matrimonio che due battezzati possano costituire.

Occorre allora tentare di comprendere più a fondo i reali motivi del richiamo contenuto nell’Allocuzione del 2001 in ordine alla nostra materia, riguardo alla quale, si diceva, sussistono errori, quali il richiedere la fede quale elemento costitutivo dell’intenzione sacramentale: “a partire dal Concilio Vaticano II è stato frequente il tentativo di rivitalizzare l’aspetto soprannaturale del matrimonio anche mediante proposte teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per sposarsi”15.

A nostro avviso, nel richiamare la conoscenza per connaturalità tomista come risolutiva delle contraddizioni contemporanee, Giovanni Paolo II intendeva porre un punto fermo circa il metodo di considerazione dell’intero vincolo matrimoniale: né contrattualismo istituzionalista, né soggettivismo volontarista e positivista, né indagine meramente psicologica della volontà (ove l’indagine appare decisamente sbilanciata sul fenomenico, sulla pura analisi antropologica afferente alla relazionalità, rimanendo così quest’ultima esposta alla mutevolezza della volontà umana, potenzialmente scissa dallo statuto ontologico donato dal Creatore alle creature redente), né infine. Il problema insomma riguarda il tentativo di comprendere il rapporto tra un medesimo istituto, voluto da Dio stesso, prima in qualità di Creatore, poi in veste di Redentore.

13 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 360, n. 4. 14 A. ABATE, Il consenso matrimoniale nel nuovo Codice di Diritto canonico, in Apollinaris 59 (1986) 452. 15 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 363, n.8, corsivi nostri.

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L’interpretazione data dalla metafisica della natura sembra risolvere molti possibili problemi: il richiamato concetto di relazionalità16appare difatti assolutamente rispettoso della dimensione antropologica dell’incontro tra l’uomo e la donna o, meglio ancora, tra due io-persona-christifideles i quali, colto l’altro nella connaturalità dell’inclinazione umana e conosciutolo razionalmente nella propria coniugalità, pongono in essere qualcosa di nuovo, che diviene segno e significato escatologico. Il tutto affermato nell’identità di un istituto che esistendo già nello stato incorrotto e dunque nella rectitudo primordiale, officiava la sua funzione creaturale, nel grande sacramento della creazione, segno anch’esso dell’oblativo amore di Dio manifestato nell’atto stesso di creare.

Nell’Allocuzione del 2001 in effetti convergevano il riferimento alla conoscenza per connaturalità ed il successivo atto di ragion pratica, con argomentazioni antropologiche afferenti alla relazionalità interpersonale di matrice personalista, lì operandosi una sintesi che faceva chiamare la relazionalità, relazionalità naturale: “anche le proprietà essenziali, l’unità e l’indissolubilità, s’iscrivono nell’essere stesso del matrimonio, non essendo in alcun modo leggi ad esso estrinseche. Solo se è visto quale unione che coinvolge la persona nell’attuazione della sua struttura relazionale naturale, che rimane essenzialmente la stessa attraverso la vita personale, il matrimonio può porsi al di là dei mutamenti della vita ... Certo, il vincolo è causato dal consenso, cioè da un atto di volontà dell’uomo e della donna; ma tale consenso attualizza una potenza già esistente nella natura dell’uomo e della donna”17.

Dicevamo del rigetto del contrattualismo puro e del soggettivismo esistenzialista. A voler ancor più ribadire il concetto, il Pontefice insisteva sulla necessità di approfondire la ralazionalità umana secondo le corrette coordinate dell’adeguata antropologia. Si scorgevano accenti della scuola di Navarra: “Rappresentare il consenso quale adesione ad uno schema culturale o di legge positiva non è realistico, e rischia di complicare inutilmente l’accertamento della validità del matrimonio. Si tratta di vedere se le persone, oltre ad identificare la persona dell’altro, hanno veramente colto l’essenziale dimensione naturale della loro coniugalità, la quale implica per esigenza intrinseca la fedeltà, l’indissolubilità e la potenziale paternità/maternità, quali beni che integrano una relazione di giustizia”18.

A proposito della confutazione delle dottrine descriventi la necessità della fede al fine di formare l’intenzione coniugale sacramentale, l’Allocuzione era esplicita sul punto, nel senso di negarla con decisione: “In una diversa prospettiva, il segno sacramentale consisterebbe nella risposta di fede e di vita cristiana dei coniugi, per cui esso sarebbe privo di una consistenza oggettiva che consenta di annoverarlo tra i veri sacramenti cristiani”19.

Nell’anno 2003, quasi a concludere un discorso partito da molto lontano, Giovanni Paolo II giungeva alle conclusioni giuridiche ultime: dopo aver ripercorso sinteticamente i capisaldi delle sue Catechesi sull’amore umano20 e delle Allocuzioni alla Rota circa il vincolo coniugale (che è descritto essere costituito sin dal principio da soggetti creati ad imaginem, la quale a sua volta permette che la trascendenza sia insita nell’agire stesso dell’uomo e specificamente nella donazione dell’io-coniugale) dichiarava esistere nell’uomo la congiunzione tra la natura e la sopranatura. Tale congiunzione si realizza proprio nell’agire e nell’essere creaturale, essendo lo stesso agire naturale pura trascendenza, intrecciandosi l’umano ed il divino nell’ambito della relazionalità naturale: “La trascendenza è insita nell’essere stesso del matrimonio già dal principio [...] Nel fatto che lo stesso matrimonio del principio sia diventato nella Nuova Legge segno e strumento della grazia di Cristo, si evidenzia la trascendenza costitutiva di tutto ciò che appartiene all’essere della persona umana, ed in particolare alla sua relazionalità naturale secondo la distinzione e la complementarità tra l’uomo e la donna. L’umano ed il divino si intrecciano in modo mirabile”21.

16 Cfr. A. KREMPEL, La doctrine de la relation chez Saint Thomas, Paris 1952, segnatamente sulla relazione

matrimoniale: pp. 618-626. 17 IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 362, n. 5; corsivi nostri. 18 Ibid., p. 363, n. 7; corsivi nostri. 19 Ibid., p. 364, n. 8. 20 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Roma 20036, pp. 343-445; (I ed. 1985). 21 ID., Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 30. 1. 2003, in AAS 95 (2003) 395, n. 5; corsivi originali.

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Nelle ultime righe dell’allocuzione del 2003 ci pare essersi idealmente concluso un itinerario dottrinale iniziato con la prima Enciclica Redemptor hominis22, proseguito con le Catechesi sull’amore umano, passato attraverso l’Esortazione apostolica postsinodale Familiaris consortio, per convergere infine, segnatamente circa il nostro argomento, su posizioni che, in forza della profondità di argomentazione, parevano non lasciare più spazio a dubbi. Nell’Allocuzione del 2003, difatti, veniva descritta con difficoltà l’autonomia del capo di nullità per simulazione o per errore circa la dignità sacramentale, potendo essi essere ammessi solo ove abbiano coinvolto la realtà creaturale, che è essa e solo essa, segno sacramentale: “L’importanza della sacramentalità del matrimonio, e la necessità della fede per conoscere e vivere pienamente tale dimensione, potrebbe anche dar luogo ad alcuni equivoci, sia in sede di ammissione alle nozze, che di giudizio sulla loro validità. La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi, secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può difatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali. Questa verità non deve essere dimenticata al momento di delimitare l’esclusione della sacramentalità e l’errore determinante circa la dignità sacramentale come eventuali capi di nullità. Per le due figure è decisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale”23. Da cui, parrebbe evincersi, l’indicazione di ricorrere non già all’autonomia di due capi di nullità dall’inquadramento problematico, bensì ai tradizionali vizi del consenso relativi alla materia coniugale naturale.

Quasi rispondendo alle molteplici interpretazioni sorte a seguito del riferimento operato in Familiaris consortio alla recta intentio24, si chiariva che detta intenzione equivalga al volersi sposare secondo la naturale realtà della coniugalità, così formendo una sorta d’interpretazione autentica di quell’inciso, che tante dissimili interpretazioni dottrinali ha ingenerato e continua a causare.

Quanto delineato nel magistero di Giovanni Paolo II risultava dunque essere il punto di arrivo di un progressivo approfondimento dottrinale del magistero contemporaneo sul matrimonio, a proposito sia del diritto a celebrarlo, ma segnatamente a proposito dell’analisi circa la sacralità originaria di un vincolo radicato nella natura dell’uomo, che in forza della redenzione ha assunto un duplice simbolismo sacramentale (segno e significato dell’unione Cristo-Chiesa, conferente la grazia, altrimenti detto efficacia) senza nulla mutare nella sua struttura creazionale originaria. Ed è principalmente sull’indagine circa la sacralità originaria del vincolo e la sua realista analisi di rapporto di giustizia di diritto naturale, che si insisteva onde verificare che il segno sacramentale che nell’economia della redenzione i nubenti debbono porre in essere per divenire immagine dell’indissolubile unione tra Cristo e la Chiesa, è rimasto immutato nella sua struttura giuridica essenziale, non richiedendo, in ragione della sacramentalità, alcun elementi aggiuntivo e differenziale rispetto agli elementi già esigiti dall’istituto di diritto naturale.

Nell’Allocuzione del 2011 Benedetto XVI, soffermendosi sullo ius connubii, recepiva ancora pienamente le categorie della metafisica della natura, descrivendo entro le coordinate del realismo tomista la dimensione di giustizia del matrimonio: “i fidanzati vengono posti in grado di scoprire la verità di un'inclinazione naturale e di una capacità di impegnarsi che essi portano inscritte nel loro essere relazionale uomo-donna. È da lì che scaturisce il diritto quale componente essenziale della relazione matrimoniale, radicato in una potenzialità naturale dei coniugi che la donazione consensuale attualizza. Ragione e fede concorrono a illuminare questa verità di vita, dovendo comunque rimanere chiaro che, come ha insegnato ancora il Venerabile Giovanni Paolo II, ‘la Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo

22 ID., Litt. Enc. Redemptor hominis, in AAS 71 (1979) 257-324. 23 ID., Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 30. 1. 2003, in AAS 95 (2003) 397, n. 7; corsivi nostri. 24 Cfr. ID., Adhortatio Apostolica Familiaris consortio ad episcopos, sacerdotes et christifideles totius ecclesiae catholicae

de familiae christianae muneribus in mundo huius temporis (22. 11. 1981) in AAS 74 (1982) 164.

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la realtà naturale della cοniugalità’ (Allocuzione alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, n. 8” 25. L’Allocuzione del 201326, oltremodo commentata, rappresenta invece l’inizio di una nuova

riflessione della dottrina che, sul nostro tema ha, di fatto, riaperto il problema. Quel discorso alla Rota è divenuto noto per avere posto tra loro in relazione i concetti di fides,

foedus, fidelitas, con fondamentali analogie tra il rapporto fede-sacramento, il bonum coniugum, e la consumazione humano modo, nel senso della configurazione della dimensione relazionale ordinata al bene reciproco quale oggetto del consenso e segno sacramentale27. L’Allocuzione, tuttavia, per essere interpretata con consapevolezza, necessita di una formata cultura storico-giuridico-teologica. Essa ribadisce che “ai fini della sacramentalità” non sia richiesta “la fede personale dei nubenti”, bensì l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Il documento, nondimeno, pone il dubbio (già espresso dalla Commissione Teologica Internazionale nel 1977) che sebbene “è importante non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non tuttavia possibile separarli totalmente”28.

Il problema centrale pare dunque ancora una volta rappresentato dalla intentio generalis faciendi id quod facit Christus et Ecclesia. Sul punto, neppure il Concilio di Trento, segnatamente per il problemi che erano sorti nell’analisi dell’intenzione matrimoniale, ha statuito definitivamente quale fosse l’oggetto della relativa intenzione sacramentale, la quale, per il matrimonio, vede ulteriori difficoltà, trattandosi di istituto preesistente la redenzione, nel quale l’intenzione del suscipiente si sovrappone a quella del ministo del sacramento29.

Ebbene, nell’Allozione del 2013 non è descritta la necessità di un’intenzione specificamente sacramentale, o comunque caratterizzata dalla fede, ma vien detto che, a motivo della carenza di fede, potrebbe essere vulnerata la dimensione naturale del consenso coniugale. La fede, in tale ottica, viene interpretata non come adesione da parte del soggetto (fides qua) ai capitoli dottrinali della fede cattolica (fides quae), ovvero come specifica volizione della sacramentalità del matrimonio e dei suoi effetti (intenzione sacramentale interna), ma è detto assai più semplicemente che la carenza di fede in Dio, ovvero “la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende adua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio”30. L’oggetto della valutazione in merito alla validità sacramentale, viene dunque sempre indicato nella dimensione naturale del matrimonio.

L’Allocuzione, nondimeno, inizia una riflessione di grande momento -che pare oggi particolarmente presente nel dibattito contemporaneo- circa la capacità stessa dell’uomo contemporaneo di percepire la dimensione naturale-creaturale del matrimonio, che sarebbe inficiata in ragione del rigetto del piano creatore di Dio. E’ detto che la cultura odierna, caratterizzata da “un accentuato soggettivismo e relativismo etico e religioso” pone in dubbio che l’uomo sia capace di legarsi, e pone in dubbio che sia corrispondente alla sua natura stessa che egli si leghi per sempre, essendo ciò avvertito come contraddizione della libertà. Solo in un’ottica soparanaturale, e dunque aprendosi alla fede in Dio, è possibile per l’uomo comprendere la verità su sé stesso, comprendere ed attuare la vita coniugale, familiare, la fedeltà reciproca e tutto ciò che rappresenta il dinamismo della vita coniugale ordinata al reciproco bene, tipico della fede. Nella “communio coniugalis vi è un dinamismo proprio della fede … La ‘confessio’ non è una cosa astratta, è ‘caritas’, è amore … fedeltà e carità si esigono a vicenda”31.

25Cfr. BENEDICTUS XVI, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 22. 1. 2011, in AAS 103 (2011) 108-113. 26 Cfr. ID., Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 26. 1. 2013, in AAS 105 (2013) 168-172. 27 Le analogie tra l’oggetto naturale e sacramentale, il bonum coniugum, la consumazione humano et naturali modo erano

già state da noi argomentate in G. BERTOLINI, La simulazione del ‘bonum coniugum’ alla luce della giurisprudenza rotale, Padova 2012.

28 Cfr. ibid., n. 1, citando COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio (1977): Documenti 1969-2004, vol. 13, Bologna 2006, p. 145.

29 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 137-156.

30 Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 26. 1. 2013, cit., n. 2. 31 Ibid., n. 3.

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E’ interessante il parallelismo posto tra la fede e l’affettività umana: la dimensione affettiva è individuata come spazio di fede. L’accendersi dell’affetto apre la possibilità di discernere un disegno più grande e permette di conoscere la verità sul prorio status. La relazione affettiva tra uomo e donna rimanda analogicamente alla fede (fides, foedus, fidelitas). A nostro avviso trattasi ancora una volta della possibilità di conoscenza per connaturalità del matrimonio.

La carenza di fede che viene presa in considerazione consiste nella mancanza di fede in Dio, la quale può comportare quale conseguenza “un’errata concezione del vioncolo nuziale, del principio di parità, oppure nell’ipotesi di rifiuto dell’unione duale che contraddistingue il vincolo matrimoniale, in rapporto con la possibile coesistente esclusione della fedeltà e dell’uso della copula adempiuto humano modo”32. La generica assenza di “fede in Dio”, pertanto, può essere, ma non necessariamente, causa causae del sovvertimento delle dimensione naturale dell’unione, ovvero dei “beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale”33.

Dal punto di vista pratico, dunque, sono ribaditi i traguardi dottrinali raggiunti, nonché quelli giurisprudenziali conseguiti dalla Rota Romana, la quale riconosce l’effetto invalidante dell’assenza di fede solo ove, “come assume la consolidata giurisprudenza di codesto Tribunale, si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio”34.

Venne dunque ribadito che per il canonista, oggetto dell’indagine, ai fini della validità, è sempre la dimensione naturale del matrimonio.

3.- Lettura ragionata delle fonti più recenti

Le descritte raggiunte conclusioni dottrinali inerenti al rapporto tra la fede e l’intenzione coniugale sono parse essere messe in discussione in occasione dei due Sinodi (straordinario ed ordinario) sul matrimonio e la famiglia del 2014 e 2015.

Temi inerenti alla possibile evoluzione del concetto di alleanza coniugale, al rapporto fede – sacramento ed alla messa in discussione del concetto di legge e diritto naturale sono stati posti dall’Instrumentum laboris, dalla Relatio post disceptationem, e dalla Relatio Synodi del Sinodo sulla famiglia 2014, ed infine dall’Instrumentum laboris e dalla Relatio Synodi del Sinodo 2015, tuttavia con significative e sensibili differenze tra i citati documenti i quali, partendo da una decisa messa in discussione della metafisica della natura presente nell’Instrumentum laboris del 2014, ne recuperano le categorie ed il linguaggio nell’Instrumentum laboris, nella Relatio Synodi del Sinodo 201535.

32 Ibid., n. 4. 33 L. cit. 34 Ibid., n. 2. 35 In particolare si riscontrino gli spunti critici proposti avverso il concetto di legge naturale nell’Instrumentum laboris del

Sinodo 2014 (cfr. SINODO DEI VESCOVI, III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA, Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, Instrumentum laboris 24 giugno 2014, in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20140626_instrumentum-laborisfamilia_it.html, nn. 20-40). Gli argomenti sono i seguenti: il linguaggio della legge naturale è ormai incomprensibile o non viene più interpretato come conforme ad una legge universalmente data. L’evoluzione, la biologia e le neuroscienze, confrontandosi con l’idea tradizionale di legge naturale, concluderebbero che essa non sia scientifica. La nozione dei diritti umani viene vista come richiamo all’autodeterminazione del soggetto, e non più ancorata alla legge naturale. In Asia ed in Africa “naturale” sarebbe considerata la poligamia o il ripudio. Un numero crescente di teologi paiono criticare questa categoria. Il linguaggio stesso della argomentazione attorno alla legge ed al diritto naturale deve essere rivisto per divenire comprensibile. La tematica è invece assente nella Relatio Synodi 2014 (cfr. SINODO DEI VESCOVI, III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA, Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi: Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, 18 ottobre 2014, in https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/18/0770/03044.html, nn. 11, 33). Viene invece riproposta nell’Instrumentum laboris, nella Relatio Synodi finale del Sinodo 2015 (cfr. SINODO DEI VESCOVI, XIV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, Instrumentum laboris 23 giugno 2015, in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20150623_instrumentum-xiv-assembly_it.html n.

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In ordine specificamente al nostro argomento, nella Relatio Synodi del 2014 e nell’Instrumentum laboris del Sinodo del 2015 (con il precedente della relazione del Card. Kasper introduttiva al Concistorio straordinario sul tema della famiglia del febbraio 2014), era dichiarata espressamente la proposta di richiedere, per la validità, l’intenzione sacramentale interna: “Secondo alcune proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubenti in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento”36.

Durante la XIV Assemblea ordinaria del Sinodo 2015 si è dunque assai discusso, segnatamente nei Circoli minori, il tema del rapporto fede-sacramento. Su di esso, tuttavia, non si è raggiunta convergenza, a motivo della mancata certezza in ordine al fondamento dottrinale delle tesi propense a conferire rilevanza alla fede, all’interno dell’intenzione sacramentale matrimoniale. Il silenzio, sul punto, della Relatio Synodi 2015, pertanto, non è casuale, ed è espressione della volontà di mantenere immutata la dottrina precedente sul punto.

L’Allocuzione del Papa alla Rota dell’anno 2015, ha risentito delle istanze sinodali prima della loro discussione finale, ed in quella sede è stata presa in considerazione la possibile incidenza della carenza della fides quae e fides qua in ordine alla conoscenza della natura del matrimonio. Non è dunque sviluppato l’argomento dell’habitus fidei o della fede infusa quale mezzo di conoscenza per connaturalità della natura del matrimonio, ma è ammesso che l’assenza dei contenuti della fede possa comportare difetto di conoscenza della natura del matrimonio e dunque errore determinante, ricondotto comunque alla fattispecie normativa codiciale di cui al can. 1099.

E’ a mio avviso da analizzare particolarmente l’espressione “errore di conoscenza illuminata dalla fede”, che svilupperemo oltre, e che riprende la tematica complessa dell’affermata incapacità dell’uomo contemporaneo di poter comprendere la verità circa propria natura: “La crisi del matrimonio infatti è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede … il giudice … deve tener conto del contesto di valori e di fede -o della loro totale assenza- in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr. can. 1099) … Tale errore non minaccia solo la stabilità, la sua esclusività, e fecondità, ma anche l’ordinazione al bene dell’altro, l’amore coniugale come ‘principio vitale’ del consenso”37.

Non deve sfuggire tuttavia che, ancora una volta, è comunque sottolineato che nonn è la fede in quanto tale ad invalidare il matrimonio, ma l’errore che cade su una delle proprietà e fini naturali del matrimonio. Il Motu Proprio Mitis iudex dell’8 dicembre 201538, novellando il can. 1683, invece, come noto, ha previsto una forma procedurale braevior del processo matrimoniale, ogniqualvolta: “ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità”. Ebbene, osservando qui per transenam il fatto che ad essere manifesta dovrebbe essere la fondatezza della domanda, e non già la nullità (che deve ancora esser fatta oggetto di giudizio), nelle Regole procedurali del medesimo Motu proprio, all’art. 14, §1, si propongono una serie di esempi di circostanze dalle quali possa essere desunta la “manifesta nullità”, e tra queste è annoverata “quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà”39.

Il testo della norma ha invero indotto, nella prima prassi applicativa del Motu proprio, un’erronea interpretazione, essendosi talora ritenuto che, a conclusione di un ragionamento sillogistico, la carenza di fede potesse allora essere considerata tout court una “manifesta nullità”. 40; ID., Relazione finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco 24 ottobre 2015, in https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/10/24/0816/01825.html, nn. 37 e 47.

36 Relatio Synodi 2014 cit., n. 48, e Instrumentum laboris 2015 cit., n. 114. 37 FRANCESCO, Allocuzione alla Rota Romana, 23 gennaio 2015, in AAS, 107 (2015) 182-185. 38 FRANCISCUS, Litterae apostolicae motu proprio datae Mitis Iudex Dominus Iesus quibus canones Codicis Iuris

Canonici de causis ad matrimonii nullitatem declarandam reformantur, 15 agosto 2015, in L’Osservatore Romano, 9 settembre 2015, pp. 3-4.

39 L. cit.

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Il 3 febbraio 2016 è stato dunque pubblicato dal Tribunale della Rota Romana il Sussidio applicativo del Motu proprio Mitis Iudex40, Vademecum di applicazione della riforma procedurale che, sul punto della incidenza della fede sulla volontà, interpreta l’art. 14, § 1 delle Regulae servandae e si esprime in modo sensibilmente dissimile rispetto all’Allocuzione alla Rota del 2015 ed allo stesso M.P. Mitis Iudex. Rispetto all’Allocuzione alla Rota del 2015, difatti, il documento non chiarisce a quale mancanza di fede ci si riferisca, e prende in considerazione solo la falsa conoscenza (errore) sul matrimonio in quanto tale (crisi di conoscenza illuminata dalla fede): “Ci si riferisce alla mancanza di fede che sfocia in una falsa conoscenza del matrimonio o in una simulazione indotta non priva di conseguenze nella maturazione della volontà nuziale. In altri termini, ci si trova dinanzi a un errore che determina la volontà (cfr. can. 1099) ovvero ad un difetto di valida intenzione per esclusione del matrimonio stesso o di un suo elemento o proprietà essenziale (cfr. can. 1101, §2). La scristianizzazione della società odierna provoca un grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso, tale da determinare la volontà. La crisi del matrimonio, quindi, nella sua origine, non è altro che crisi di conoscenza illuminata dalla fede”41.

Riemerge dunque il problema della mancata percezione della natura del matrimonio, che al tempo presente può cagionare un’errore determinante la volontà: errore che, (citandosi solo gli elementi e proprietà essenziali) non è tuttia chiarito in che modo possa riferirsi alla dignità sacramentale del matrimonio ex can. 1099.

L’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, in riferimento al nostro tema, pare da un lato ribadire contenuti dottrinali tradizionali, poiché tratta specificamente del problema del rapporto tra l’habitus fidei e la sacramentalità, e descrive lo status di battezzato quale fondamento della dimensione sopranaturale del matrimonio.

Vengono esplicitamente riproposte le tradizionali categorie della metafisica della natura, che vengono più volte utilizzate nel documento, ove ci si riferisce al “matrimonio naturale” ed alle “proprietà naturali del matrimonio”42, nonché addirittura alla definizione della famiglia come “società naturale”43, con una dizione che riecheggia il controverso art. 29 della Costituzione italiana.

Sono tuttavia presenti riferimenti al rapporto di inseparabilità contratto-sacramento di cui al can. 1055, §2 (che viene espressamente citato) con tracce, dunque, della teologia del duplice fine, ed è nondimeno recuperato altro argomento che postula l’esplicita intenzione sacramentale interna del ministro del matrimonio: il ruolo del sacerdote nella celebrazione del rito: “Secondo la tradizione latina della Chiesa, nel sacramento del matrimonio i ministri sono l’uomo e la donna che si sposano (Cfr Pio XII, Lett. enc. Mystici Corporis Christi (29 giugno 1943) … Nel Battesimo è stata consacrata la loro capacità di unirsi in matrimonio come ministri del Signore per rispondere alla chiamata di Dio. Pertanto, quando due coniugi non cristiani ricevono il Battesimo, non è necessario che rinnovino la promessa matrimoniale ed è sufficiente che non la rifiutino, dal momento che, a causa del Battesimo che ricevono, la loro unione diventa per ciò stesso sacramentale. Il Diritto Canonico riconosce anche la validità di alcuni matrimoni che si celebrano senza un ministro ordinato. Infatti l’ordine naturale è stato assunto dalla redenzione di Gesù Cristo, in maniera tale che « tra i battezzati, non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento » (can. 1055, §2). La Chiesa può esigere che l’atto sia pubblico, la presenza di testimoni e altre condizioni che sono mutate nel corso della storia, però questo non toglie ai due sposi il loro carattere di ministri del sacramento, né diminuisce la centralità del

40 TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA, Sussidio applicativo del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus,

Città del Vaticano, gennaio 2016, in http://www.rotaromana.va/content/dam/rotaromana/documenti/Sussidio/Sussidio%20Mitis%20Iudex%20Dominus%20ITA.pdf.

41 Ibid., p. 33. 42 FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, del Santo Padre Francesco ai Vescovi ai presbiteri e

ai diaconi alle persone consacrate agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici sull’amore nella famiglia, 19 marzo 2016, in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html, nn. 77.

43 Ibid., n. 52.

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consenso dell’uomo e della donna, che è ciò che di per sé stabilisce il vincolo sacramentale. In ogni caso, abbiamo bisogno di riflettere ulteriormente circa l’azione divina nel rito nuziale, che è posta in grande risalto nelle Chiese orientali, con l’attribuire particolare importanza alla benedizione dei contraenti come segno del dono dello Spirito”44.

Il problema dell’intenzione sacramentale interna e del sacerdote ministro presenta difficoltà dottrinali, già emerse in Concilio di Trento, ove fu sostenuta da una parte dottrinale di impianto nominalista e volontarista (nella linea Scoto-Getano-Vásquez-Rebello) facente riferimento in quella sede alla figura di Melchior Cano45. Le medesime difficoltà dottrinali si ripresentarono anche in Concilio Vaticano I, ove il problema della separabilità per accidens tra contratto e sacramento, della intenzione intern(a e dunque del sacerdote ministro), fu sostenuta da Giantommaso Tosa nella Commissione preparatoria teologico-dogmatica di quel Concilio, ove il sostrato dottrinale era chiaramente improntato alla teologia del duplice fine, vuoi di impianto volontarista, vuoi di natura apologetica, storicamente derivata dalla controversia con l’agostinismo eterodosso (contro Baio e Giansenio)46.

L’Allocuzione del Pontefice alla Rota del 22 gennaio 2016 pare aver infine precisato il tema del rapporto fede-sacramento, e ristretto possibili interpretazioni estensive delle fonti più recenti.

E’ definitivamente chiarito che la fede non sia richiesta per la validità sacramentale. Ciò pare dirimere la questione circa l’intenzione sacramentale matrimoniale, che è descritta come sufficiente ove essa sia rivolta alla mera dimensione naturale.

La fede della quale l’Allocuzione tratta è l’habitus fidei, infusa al momento del battesimo, e presente anche ove la fede non costituisca adesione razionale alle verità dottrinali. La conoscenza per connaturalità (che invero non coinciderebbe con quello che l’Allocuzione chiama instinctus naturae e che potrebbe essere erroneamente interpretata in accezione naturalistica e biologista) torna ad essere indicata come sufficiente a percepire il piano divino del principio sul matrimonio: “È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale (cfr CIC, can. 1055 § 1 e 2). Infatti, l’habitus fidei è infuso nel momento del Battesimo e continua ad avere influsso misterioso nell’anima, anche quando la fede non è stata sviluppata e psicologicamente sembra essere assente. Non è raro che i nubendi, spinti al vero matrimonio dall’instinctus naturae, nel momento della celebrazione abbiano una coscienza limitata della pienezza del progetto di Dio, e solamente dopo, nella vita di famiglia, scoprano tutto ciò che Dio Creatore e Redentore ha stabilito per loro. Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cfr CIC, can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente”47.

L’Allocuzione non entra tuttavia nella questione dottrinale inerente al dibattito circa il tipo di errore sulla sacramentalità possa determinare la volontà ed irritare il consenso ai sensi del can. 1099, la cui determinazione viene pertanto rimessa alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Al termine del percorso che abbiamo inteso percorrere attraverso le fonti più recenti, nonché attraverso i dibattiti sinodali, parrebbe dunque poter dedurre la riaffermazione delle conclusioni raggiunte dal magistero precedente, individuando quale spazio di interpretazione mobile quello della individuazione, volta per volta, della recta intentio naturalis. 4.- Aporie e problematiche contemporanee

Il modo di risolvere il problematico rapporto tra la fede e la dimensione sacramentale del coniugio è invero assai più generalmente ma direttamente collegato con il modo di interpretare la dimensione creaturale del matrimonio. Per tale motivo, rispetto ad altre precedenti pubblicazioni,

44 Ibid., n. 75. 45 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 137-

156. 46 Ibid., p. 109. 47 FRANCESCO, Allocuzione alla Rota Romana 22 . 1. 2016, in AAS, 108 (2016).

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cui rimando, in ordine al valore da attribuire all’istituto della simulazione sulla dignità sacramentale ed all’errore determinante sulla sacramentalità48, vorrei soffermarmi in questa sede maggiormente sulle categorie fondamentali, affinché possano essere meglio comprese le odierne linee di tendenza dottrinale cui si è accennato nell’introduzione.

Si è detto che sia oggi riscontrabile la tensione a procedere all’abbandono del principio consensualista puro e della categoria dell’atto giuridico, per aprire all’esclusivo approfondimento fenomenologico e psicologico della relazione interpersonale e del matrimonio rapporto, in accezione sensibilmente diversa rispetto a quella postulato dalle categorie personaliste, che avevano ispirato il ritorno alle categorie meta-antropologiche della tradizione antica sul matrimonio49.

Allo stato attuale di recezione dell’approfondimento dell’antropologia cristiana e del personalismo coniugale, abbandonare tuttavia i parametri giuridici di analisi della validità del consenso, al fine di andare verso l’esclusivo approfondimento antropologico-fenomenologico50 della relazione coniugale, è operazione di sistema che potrebbe portare con sé una degiuridicizzazione del matrimonio, o comunque una prioritaria sua focalizzazione sulla esclusiva dimensione del rapporto, sulla scia degli ordinamenti civili, ricadendo così in quell’individualismo che nell’adesione alla scuola personalista si intedeva invece superare, e che tanto nei lavori sinodali del 2015, quanto nella Esortazione apostolica Amoris laetitia, si sono individuati come causa della crisi dell’istituto famigliare e dell’antropologia del dono51.

Ciò indurrebbe l’esaltazione della fattuale relazionalità interpersonale scissa dal dato naturale e biologico dell’individuo, respinto quest’ultimo quasi fosse oggetto esclusivo della obsoleta riflessione giuscorporalista, e non invece dato costitutivo della persona stessa, oggetto di visione integrale52, da integrare con l’approfondimento inerente alla relazionalità uomo-donna, all’amore coniugale, alla finalizzazione naturale del matris-munus al bene della prole e della famiglia, ed infine – non ultima – alla dimensione della significazione sacramentale del matrimonio, che non è storicamente distinta dalla dimensione naturale53.

La visione antropologica immanente alla visione contrattualista ed individualista (volontà soggettiva, diritti e doveri istituzionalizzati cui si aderisce, contratto, vincolo coniugale) e quella trascendente sottesa al personalismo (persona, amore coniugale, comunione di vita) sono dalla

48 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 252, 309; ID., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. I, Il dibattito contemporaneo, Padova 2008, pp. 67-166; ID., La simulazione totale tra esclusione del bonum coniugm e della sacramentalità, in Aa. Vv., La giurisprudenza della Rota Romana sul consenso matrimoniale (1908-2008), Città del Vaticano, pp. 133-157.

49 Per i fondamenti “protopersonalisti” presenti della dottrina tomista, e per l’individuazione delle matrici filosofiche e teologiche delle tesi inerenti alla intenzione coniugale, cfr. G. BERTOLINI, La simulazione del “bonum coniugum” alla luce della giurisprudenza rotale, Padova 2012, pp. 1-39. Per la trattazione analitica dell’oggetto del consenso alla luce della dottrina tomista prima della scissione tra natura e sopranatura, cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 70-100. Cfr. anche C. J. ERRÁZURIZ, Il matrimonio e la famiglia quale bene giuridico ecclesiale, Roma 2016, pp. 247-265, ma in generale l’intera monografia, fondata su una matura e profonda riflessione meta-antropologica, improntata al realismo giuridico.

50 Vedi in merito gli approfondimenti di coloro che distinguono la concezione unitaria dell’uomo conforme all’antropologia fenomenologica, e quella “frammentata” del soggetto dotato di funzioni spirituali, sottesa alla concezione contrattualista del matrimonio (cf. P. COLPI, Precedenti dottrinali e giurisprudenziali del can. 1095 par. 2-3 “defectus discretionis judicii” e “incapacitas assumendi onera”; problemi di qualificazioni e conseguenze, in Monitor Ecclesiasticus 109 [1984] 533-539).

51 Cf. Relatio Synodi 2015, nn. 8, 10, 30-34; Cf. FRANCESCO, Es. ap. Amoris laetita 19.3.2016, nn. 33, 39. 52 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Litt. Enc. Redemptor hominis 4.3.1979, n. 10, in AAS 71 (1979) 274, 275. È presente una

argomentazione fortemente cristologica e centrata sulla dignità dell’uomo creato ad imaginem Dei ora definitivamente redento, quasi in una rinnovata creazione. Il discorso non rimane astratto, bensì entra nella concretezza dell’uomo storico, portando a completezza un argomento già adombrato da Paolo VI nell’Enciclica Humanae vitae: la visione integrale dell’uomo. L’uomo viene difatti descritto nella sua concretezza storica, «ogni uomo, in tutta la sua irripetibile realtà dell’essere e dell’agire, dell’intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore» (ibid., n. 14). Sono presenti ontologia e fenomenologia, dove la creazione torna capace dei fini posti da Dio Padre nel creato grazie a Cristo, la cui opera redentrice, per sua stessa volontà, passa attraverso l’uomo ed il suo agire in quanto ontologicamente redento. Nell’Enciclica l’obiettivo appare dunque decisamente spostato sulla concretizzazione storica di questa rifondazione dell’essere umano.

53 Cf. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, II., Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, 70-207.

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dottrina contemporanea insanabilmente contrapposte a tal punto, tuttavia, da prefigurare discutibili esiti di incompatibilità tra la dogmatica del consensualismo puro e quella del matrimonio come communio vitae, ovvero sino a considerare l’istituto della nullità una forzatura giuridica, infungibile tanto con l’impianto contrattualista, quanto, ancor più, con quello personalista, indotto – si afferma – dall’acritica recezione dalla proprietà dell’indissolubilità54.

L’adozione dell’interpretazione personalista dell’essenza del coniugio non dovrebbe, al contrario, comportare l’occultamento della dimensione naturale, biologica e complementare della coniugalità, nella misura in cui anch’essa integri – come integra – l’aspetto personale ed interpersonale della donazione di sé che avviene con la prestazione del consenso coniugale, entro la dimensione naturale del dono totalizzante della propria persona che è lo scambio del consenso, proiettato nondimeno in modo dinamico verso il bonum coniugum, della pluralità della famiglia e della società55.

Rifiutare la visione contrattualista non dovrebbe oscurare la dimensione giuridica del coniugio, esente da ogni volontarismo e positivismo giuridico. Se difatti si tiene presente che nella visione personalista si supera il concetto di soggettivo diritto-dovere a determinate prestazioni cui ci si obbliga allo scopo di conseguire fini istituzionali estrinseci rispetto ai coniugi (ove esiste una triangolazione coniuge-oggetto del consenso-coniuge) per ammettere invece che il rapporto giuridico sia interpersonale (coniuge-coniuge), che insufficienti siano i criteri statici dell’uso di ragione e della consumazione oggettiva, che l’oggetto del consenso sia una persona, che questa persona non possa essere un mezzo ma un fine, e che essa sia il bene dell’altro dotato di pari dignità, allora non si fa fatica a vedere connotato il matrimonio di una squisita indole naturale, entro il quale è presente una dimensione di giustizia, caratterizzata anche dalla dimensione fisica. In tale senso è ricorrente nel magistero il concetto di integrazione tra eros ed agape56. La stabilità ed irrevocabilità naturale del patto coniugale, è inoltre valore altamente personale, giacché attiene alla totalità o meno della donazione della propria persona.

4.1.- Possibili origini delle odierne tensioni dottrinali Pare anzitutto riscontrabile che il generale processo di soggettivizzazione e privatizzazione del

rapporto di coppia riscontrable negli ordinamenti secolari abbia fatto il suo ingresso anche in ambito di riflessione teologica, con sempre più accentuate disgiunzioni tra natura, cultura, dimensione istituzionale e dimensione duale-interpersonale. Tali riflessioni paiono sempre più attente a considerare l’alleanza sponsale nella sua attuazione storica, e nella sua percezione anche culturale da parte dei coniugi e della Chiesa, manifestando tracce di quell’individualismo volontarista, che con l’adesione alla scuola personalista si era inteso superare57.

Come abbiamo già evidenziato, ciò ha portato alcune scuole teologiche ad interrogarsi sulla validità della tradizionale impostazione della metafisica della natura della relazione sponsale, accusata di eccessiva astrazione e legalismo. Si ritiene ormai diffusamente, difatti, che il Diritto canonico proponga un’idea del matrimonio di stampo esclusivamente astratto, contrattualista, intellettualista, estrinsecista, legato al solo concetto di validità, posto in relazione ad una materia minimale di diritto naturale, o positivamente predeterminata dal legislatore, ma comunque del tutto scollegata dalla realtà antropologica coniugale, dalla fede dei nubenti, e dalla fruttuosità sacramentale. È dunque avvertito come sempre più urgente partire dall’analisi dalla forma storica e

54 Cf. E. DIENI, Tradizione “giuscorporalista” e codificazione del matrimonio canonico, Milano 1999, 537. 55 Sul punto, le parole della Costituzione Gaudium et spes non esaltano la dimensione del bene della prole e della famiglia

come coonestante il disordine della concupiscenza, ma al contrario ne argomentano una derivazione dal diritto naturale e dall’amore coniugale: «per sua indole naturale» e «in quanto donazione di due persone» che esige totalità, unità e stabilità (cf. n. 48) «il vero culto dell’amore e tutta la struttura famigliare che ne nasce, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a questo tendono» (cf. n. 50).

56 Cf. BENEDETTO XVI, Litt. Enc. Deus caritas est, 25.12.2005, in AAS 98 (2006) 221, nn. 10-11; Cf. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, Città del Vaticano 20036, 339-443.

57 Per le argomentazioni qui di seguito proposte, prendiamo spunto dalle tematiche emerse nella sede dei dibattiti del Sinodo ordinario del 2015, cui si è personalmente partecipato.

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culturale dell’universale antropologico, atteso che neppure tra i battezzati vi sarebbe più consonanza nella comune percezione della natura umana.

A causa della duritia cordis, l’uomo contemporaneo viene descritto manifestare incapacità di conoscere o riconoscere il matrimonio naturale. Si tratta di quella crisi di conoscenza illuminata dalla fede: riflessione che venne rafforzata in un intervento del Card. Ratzinger (all’epoca Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede), alla feria IV del 6 giugno 200158. La relazione, per sua natura, è rimasta riservata, ma riteniamo opportuno riassumerne i contenuti scientificamente rilevanti.

Le premesse sono così riassumibili: il diritto naturale di ogni uomo è da salvaguardare, non solo quello dei fedeli; diversamente, l’accesso al diritto naturale sarebbe ristretto ingiustamente ai cattolici, e la fede sarebbe un peso messo sulle loro spalle; ogni uomo in forza della sua natura sa in sostanza cos’è il matrimonio; sussiste una praesumptio iuris: il consenso è consono con la natura umana; anche per i cristiani non credenti il consenso naturalmente sufficiente è ipso facto sacramento, perché diversamente vi sarebbe estrinsecismo tra natura e grazia.

La relazione Ratzinger poneva tuttavia i seguenti temi controversi: a) La praesumptio è valida nelle società post cristiane? La clausola matteiana e la dispensa mosaica si fondano sulla sclerosi del cuore; il vulnus naturae è stato dunque causa della concessione. Possiamo dunque asserire che anche post Christum natum l’uomo possa trovarsi in una condizione di sclerocardia? b) La fede non è peso aggiunto ma essa rende possibile la realizzazione del progetto del Creatore. c) Senza la fede perdura il vulunus e la dispensa dalle leggi mosaiche? La Chiesa fa poche concessioni, anche per il matrimonio legittimo ed favor fidei; parrebbe dunque da approfondire il significato giuridico di Mc 10 e Mt 19 e la visione non solo metafisica ma anche storica del matrimonio. d) il problema del rapporto tra fede e consenso è complesso ed afferisce almeno a tre realtà: ai cattolici non più praticanti che hanno perso la fede, a coloro che non sono mai stati catechizzati, ed infine a coloro che non hanno mai avuto la fede. e) Secondo le tesi di Aymans l’ecclesiologia del Vaticano II insegna che si riceve la fede attraverso le proprie comunità. I protestanti non riconoscono la sacramentalità e dunque si può concludere che tra un cattolico ed un protestante si ha un valido matrimonio non sacramentale?

Nella relazione era dunque ribadita l’esistenza di uno statuto ontologico creaturale dell’uomo, ed individuata una difficoltà storica, anche dei battezzati, a comprenderlo, a causa della sclerosi del cuore, anche post Christum natum. Per tale motivo si riteneva di dover approfondire non solo la visione metafisica (creaturale - naturale) ma anche quella storica del matrimonio, proprio nel momento nel quale il peso del fattore storico appare con nuova forza. La dimensione metafisica della natura umana, dunque, era presupposta e pacifica, indicandosi quale via necessaria quella di un approfondimento anche della dimensione storica della difficoltà dell’uomo a comprendere la propria natura.

Al momento attuale, tuttavia, si registrano tesi che vanno oltre i citati apporofondimenti, essendo sempre più diffusa la percezione che neppure esista una dimensione ontologica della natura, e così sottolienandosi la necessità di partire dall’analisi dalla forma storica dell’universale antropologico. L’esperienza culturale e la volontà (intenzione) individuale viene sempre più avvertita come costituire il punto di partenza tramite il quale accedere all’universale, e l’esperienza morale esser costituita da un’ineludibile mediazione culturale. La dimensione sacramentale del matrimonio tradizionalmente insegnata dalla dottrina cattolica viene avvertita come caratterizzata da massimalismo ontologico, distonico rispetto al minimalismo giuridico richiesto ad esempio dal can. 1096, descrivente il consenso minimale.

Se nell’impostazione metafisica tradizionale si rinviene la razionalità quale riscontro della giustizia ed universalità di una norma, ove la ratio è il luogo comune a tutti gli uomini e partecipante della Lex aeterna, oggi si sottolinea invece che la ragione abbia un previo legame con la storicità dell’esperienza personale del soggetto, e pertanto occorra superare l’idea astratta ed universale di ragione, oltre che un’idea oggettivata di natura e di sacramento.

58 Cfr. J. RATZINGER, Relazione 6 giugno 2001 alla feria IV della Congregazione per la dottrina della fede (relazione riservata).

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L’esperienza morale viene così avvertita non già in riferimento alla facoltà naturale della ragione che conosce e risconoce la natura come sua norma, ma a partire dalla coscienza, e non necessariamente una retta coscienza che sia un giudizio proveniente dalla facoltà della ragione che conosce la natura ed il Vangelo della famiglia in un perimetro ecclesiale59 e pone l’atto pratico hic et nunc ad essa conforme, ma la coscienza come forma morale del soggetto, ricavata dalle esperienze fondamentali del vivere, dal proprio corpo, dalle relazioni di prossimità, e dalle relazioni socio-culturali.

Collegare la sacramentalità ad una natura umana e ad una legge naturale immutabile, non solo è ritenuto improponibile per un dialogo con la cultura secolare – al contrario di quanto teorizzato dalla dottrina metafisica che ravvisava proprio nel comune naturale un piano razionale di argomenti fungibili per un dibattito comune – ma erroneo, atteso che le forme concrete della figura maschile e femminile sarebbero caratterizzate (ed anche determinate) dall’esperienza culturale e biografica.

Viene dunque sovente riconosciuto un universale nel concetto di alleanza coniugale e nel nesso tra sponsalità e generazione, ma viene ritenuto legalistico far coincidere detta ingiunzione antropologica universale con il precetto legale e ricollegarvi automaticamente la sacramentalità.

Talora ci si protende non solo verso distinzioni tra natura e cultura, tra pubblico e privato, tra istituzionalismo e relazionalità, tra dimensione giuridica e dimensione affettiva, tra soggettivismo e comunione interpersonale e famigliare, ma anche direttamente verso la centratura prioritaria dell’analisi sulla dimensione culturale, secondo un carattere tipico del pensiero postmoderno e degli studi dell’antropologia culturale, implicitamente accogliendo la categoria dell’uomo quale essere manchevole ed incompiuto, ovvero creatore della propria umanità (dimensione antropoietica dell’uomo storico).

I temi dell’evoluzione del concetto di alleanza coniugale, della sua specificazione in ordine alla prole, e la messa in discussione del concetto di legge e diritto naturale, si è detto, non a caso sono stati al centro anche dei dibattiti sinodali del 2015, e sono la cartina al tornasole dei momenti di tensione dottrinale cui si accennava.

È dunque oggi messa fortemente in discussione l’impostazione classica dell’etica della legge e del diritto naturale in tanto in quanto essa è fondata sulla sicura e certa conoscibilità deduttiva della natura umana da parte della ragione speculativa, che individua aprioristicamente un universale razionale caratterizzato da immutabilità, certezza e determinabilità, e postula la naturalità del desiderio di Dio e del fine beatifico (il desiderium animae), che è il fondamento sul quale la prima dottrina tomista innestava la congiunzione tra natura e sopranatura, ovvero la possibilità che, con il consenso, la dimensione matrimoniale naturale di un vincolo unico, fecondo ed indissolubile, potesse divenire segno efficace di grazia e dunque sacramento.

In forza del superamento delle categorie ontologiche, inoltre, si richiede oggi sempre più diffusamente non già un massimalismo nella credenza delle verità di fede, ma almeno nella mediazione della Chiesa: l’accordo, si dice, non è sulla dottrina, ma sul legame con la comunità (argomentazione ecclesiologica). Si asserisce che occorra riconoscere sempre più la storicità della grazia che arriva attraverso la Chiesa: un passo in più oltre la fede implicita. La Chiesa si porrebbe come punto di relazione dal quale arriva la grazia che permette di realizzare il matrimonio, nella multiformità, ed attraverso la mediazione delle molte dimensioni culturali.

Pur tenendo conto di tutte le esposte obiezioni, occorre tuttavia ora interrogarsi se il completo affrancamento dalla dimensione ontologica della legge naturale e della sacramentalità possa condurre ad ammettere forme antropoietiche, o nuove forme di relativismo, di strutturalismo, o di determinismo culturale, ricavate dall’antropologia culturale, quasi che anche l’antropologia cristiana – o la sua lettura personalista– costituisca struttura mediata dalla precomprensione e successiva interpretazione culturale.

59 Cfr. Gaudium et spes, n. 63.

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4.2.- La dimensione creaturale del matrimonio è sacramento È anzitutto opportuno tenere conto delle odierne obiezioni dottrinali al concetto di legge

naturale60. Tra le molte, ne assumiamo una: come la cultura crei percezioni della natura umana e delle diversità attraverso ed all’interno del particolare, in una realtà pluriculturale e secolarizzata che non pare intendere la natura il modo univoco, secondo le opportune riflessioni supra citate della Relazione Ratzinger del giugno del 2001.

A proposito di tale spunto critico, un primo approfondimento e risposta può tentare di far uso delle categorie del realismo giuridico, ove non solo la legge naturale è intesa come modello metafisico partecipante della Lex Aeterna dal quale ricavare, attraverso la ragione speculativa, la conoscenza della natura dell’uomo ed altrettante norme morali giuste, ma ove è anche condotto l’approfondimento della conoscenza per inclinazione, dell’esperienza ermeneutica, dell’universale concreto individuato dalla ragione pratica che percepisce la natura, la quale si offre attraverso il piano del reale, in un progressivo e dinamico disvelamento all’uomo.

Occorre inoltre indagare le condizioni dell’agire etico libero, ove dal piano dell’essere si passa a quello dell’agire, che pone dimensioni di dover essere voluto, attuando una potenzialità e finalismo dell’essere umano, ovvero di doverosità giuridica secondo giustizia, ove l’istituzione matrimoniale è giusta in concreto e non solo in astratto. In un adeguato realismo giuridico, il diritto è ipsa res iusta, è descritto nascere dall’esperienza storica e libera dei soggetti, ma individuare il suo senso di giustizia, e dunque di debitum, in rapporto analogico o meno con la natura dell’uomo e con la conformità a ragione. Diversamente risulterebbe impossibile individuare la res iusta o, all’opposto, l’ingiustizia di una norma, anzi la convinzione che ontologicamente essa non sia neppure lex, anche se validamente promulgata, o conforme alla iniziale percezione della coscienza e successiva interpretazione culturale che di quella norma è data -anche unanimemente- in un determinato contesto storico e culturale.

A tal proposito alcuni punti della riflessione sulla legge naturale paiono restare validi: esiste uno statuto creaturale ontologico dato da Dio all’uomo ed un ordine morale intrinseco alla realtà; la ragione pratica può fornire la conoscenza di ciò che è retto e buono sia in senso metafisico, sia nelle circostanze concrete; ci sono verità morali, come i diritti umani, che trascendono i confini culturali ed includono ogni comunità umana.

Quanto esposto pare dunque indicare, quale più adeguata per l’istituto del matrimonio, l’impostazione che si ponga quale alternativa al soggettivismo contrattualita, all’istituzionalismo positivista, quanto infine al fenomenologismo personalista puro, ricercando così un’adeguata antropologia del matrimonio61.

La preoccupazione di ricercare nelle relative e mutevoli forme culturali o della coscienza un accesso od orientamento ad un universale antropologico, ovvero sostenere che la riflessione personalista sia di impronta esclusivamente occidentale, infungibile con altre strutture culturali, pare preoccupazione analoga a quella che viene rimproverata alla dottrina metafisica della legge naturale, che sarebbe stata -si afferma- elaborata in chiave apologetica per scendere su un piano razionale universale e dimostrare che i “gentili” hanno torto.

L’accezione culturale e soggettivista dell’istituto coniugale è invero definita dal Magistero (o da documenti prossimi a pronunce di Magistero ordinario ed autentico) “non realistica”62.

60 Cfr. A. TORRES QUEIRUGA, Legge naturale e teologia in contesto secolare, in Concilium 46 (2010) 438 ss. L’intero

fascicolo della rivista è dedicato al problema della natura umana e legge naturale. 61“la determina in certo senso il linguaggio del corpo, in quanto l’uomo e la donna, che mediante il matrimonio debbono

diventare una sola carne, esprimono in questo segno il reciproco dono della mascolinità e femminilità, quale fondamento dell’unione coniugale di due persone” (GIOVANNI PAOLO II, Catechesi V ciclo, n. 103, del 5. I. 1983, n. 4, in ID., Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, Città del Vaticano 20036, p. 398); cfr. ID., Ad. Ap. Familiaris consortio 22.11.1981, in AAS 73 (1981) 81-191, nn. 14, 19; ID., Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 (2001) 360, n. 4; ID., Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 30.1.2003, in AAS 95 (2003) 394, n. 3. Non è infine da tacere il deciso recupero delle istanze antropologico-teologiche del precedente pontificato operata dal Pontefice Benedetto XVI nella sua prima lettera enciclica (cfr. BENEDICTUS XVI, Litt. Enc. Deus Caritas est, cit., n. 7).

62 “rappresentare il consenso quale adesione ad uno schema culturale o di legge positiva non è realistico e rischia di complicare inutilmente l’accertamento della validità del matrimonio” (IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae

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L’oggetto del consenso non è il diritto al totius vitae consortium, ma è un patto che consiste nella totalizzante e consacrante donazione di sé e della totalità della propria persona in tutte le componenti spirituali e fisiche, che è in suo principio ordinata al bene dei coniugi ed alla generazione ed educazione della prole.

Nella prassi forense, allora, altro sarà utilizzare -in un patto irrevocabile unico ed esclusivo- gli schemi dei vizi del consenso adeguati alla relazione coniugale, altro sarà invece entrare nella esclusiva valutazione culturale e fattuale, nella quale non esisterebbero più dimensioni della res iusta dovuta secondo giustizia in forza di un patto vincolante, ove i parametri dei vizi della volontà diverrebbero del tutto inadatti -insieme con le tradizionali loro strutture probatorie- dove l’abbandono dello schema consensualista puro imporrebbe attenzione alle ipotesi di rescindibilità del vincolo, in un’esaltazione del matrimonio rapporto63, sulla scia di quanto sta avvenendo negli ordinamenti civili, attenti alla effettività della comunione materiale e spirituale, intesa quale elemento in forza del quale valutare l’eventuale rescissione del vincolo o, all’opposto, la perdurante validità del matrimonio atto, ovvero l’automatica e fattuale sanazione anche di un vincolo originariamente invalido64, ovvero infine lo scaturire di diritti e doveri dalla convivenza more uxorio.

Non può non dedursi come la sacramentalità del matrimonio sarebbe, in tal caso, legata alla effettività della comunione materiale e spirituale dei coniugi, e dunque alla capacità fattuale di essere segno dell’unione di Cristo con la Chiesa, viepiù considerando che il matrimonio non conferisce carattere, che anche l’Eucarestia quando la materia si corrompe non ha più la presenza reale di Cristo, e così ammettendosi non solo la capacità per l’uomo di escludere il solo aspetto sopranaturale con la simulazione, ma anche una sorta di sacramentalità intermittente, legata alle maggiore o minore coesione della coppia, a seconda delle multiformi disposizioni umane che di giorno in giorno si possano presentare. In tal modo la visuale risulterebbe tuttavia ribaltata, non ammettendosi più l’irrevocabilità della promessa divina di conferimento della grazia allorché due coniugi abbiano, pur nella condizione umana decaduta, comunque cercato di rispondere ad una tensione creaturale iscritta nella loro natura.

L’unica donazione coniugale capace di essere segno e significato della donazione carnale e spirituale di Cristo alla sua Chiesa è invece l’unione irrevocabile delle potenze naturali della persona conferite tramite l’atto del consenso65. La sacramentalità del matrimonio non dovrebbe essere rappresentata da modelli culturali o tologici o giuridici estrinseci al rapporto (diritti-doveri o intenzione sacramentale intesa in senso volontarista e positivista), ed essa non pare neppure esposta alla totale disponibilità soggettiva o alla fattualità dell’instaurazione effettiva del rapporto: va valutata entro le coordinate delimitate dal suo promanare da un’interna inclinazione tipica dell’essere uomo e donna, inclinazione che connota il matrimonio di una fondamentale indole

Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 [2001] 363, n. 7). I diritti e doveri matrimoniali sono descritti come un agire estrinseco rispetto all’essenza matrimoniale naturale: “L’ambito dell’agire degli sposi e, pertanto, dei diritti e doveri matrimoniali, è consequenziale a quello dell’essere e trova in quest’ultimo il suo vero fondamento” (ibid., p. 361, n. 5).

63 Parte della dottrina ha già rilevato che, per il matrimonio canonico, l’adozione del sistema contrattualista confligga con il principio generale dei contratti che prevedono la rescindibilità con effetti ex nunc e non già ex tunc, come invece è nel sistema delle nullità canoniche funzionali alla proprietà della indissolubilità del matrimonio. L’introduzione di capi che afferiscano alla valutazione della capacità al rapporto in facto o all’esclusione di detto rapporto, costituirebbe così -secondo questa parte dottrinale- eccezione al principio consensualista puro ed incongrua forzatura di ipotesi di rescissione in ipotesi di nullità, a motivo della salvaguardia ‘espressivo simbolica’ della condanna al divorzio. Questa dottrina, quale ultimo esito, giunge a concludere che il principio consensualista puro non sia più compatibile con l’idea del matrimonio come comunione di vita e che il matrimoino stesso «non sembra riducibile dal diritto né ad un atto cui non segua alcun vissuto comune, né ad un rapporto che non abbia avuto qualche ratifica sociale in sede fondativa» E. DIENI, Tradizione «giuscorporalista» e codificazione del matrimonio canonico, Milano 1999, p. 557.

64 Cfr. Cass. (I Sez.) 20.1.2011, n. 1343; Cass. (I Sez.) 8.2.2012, n. 1780; e le ormai notissime e pluries commentate Cass. (SS.UU.) 17.7.2014, nn. 16379-16380.

65 “certo, il vincolo è causato dal consenso, cioè da un atto di volontà dell’uomo e della donna; ma tale consenso attualizza una potenza già esistente nella natura dell’uomo e della donna” (ibid., p. 362, n. 5).

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naturale66. È attraverso l’inclinazione naturale che i coniugi conoscono connaturalmente, elaborano criticamente, sperimentano affettivamente, manifestano liberamente ed instaurano la loro unione coniugale. La dimensione culturale apporta semplicemente una mediazione ed una modalità di accesso, comprensione ed espressione di tale tensione.

Non è comunque realista indagare la dimensione naturale e sacramentale del coniugio lontana dall’intellettualismo contrattualista o da certo fenomenologismo, senza previamente approfondire come allora possa avvenire il passaggio dalla potenza all’atto del consenso, quando è soggettivamente conosciuto ed assunto quale obbligo ciò che la natura propone quale inclinazione, e non già quale esclusivo oggetto di speculazione astratta -o culturale- sugli estrinseci diritti-doveri o sulla sacramentalità.

La conoscenza per connaturalità vede in dottrina interpretazioni talora anche dissimili, ma il nucleo concettuale67risiede nell’ammettere che esista una conoscenza per appetizione che sostituisce la cognitio per rationis inquisitionem, attraverso un giudizio esperienziale prodotto dalla relazione affettiva con l’oggetto del giudizio stesso68. L’uomo possiede l’inclinazione al matrimonio in forza della naturale tensione a cogliere l’altro/a, ad unirsi con lui/lei ed a considerare tale unione un bene. La causa dell’amore è il bene, costituito dalla comparte appetita per connaturalità nel matrimonio. Questo bene, nel matrimonio può dunque essere conosciuto principalmente ed esperienzialmente attraverso una tensione affettiva a conoscere l’altro ed e raggiungere il giusto matrimoniale.

In questa dimensione, la conoscenza della comparte amata cagiona un movimento delle potenze appetitive dell’uomo (amor naturalis): l’inclinazione impelle verso l’unione con la persona amata così com’è nella realtà. Le categorie intelletto-volontà, sovente applicate in modo schematico alla teoria contrattuale dell’oggetto del consenso matrimoniale, vuoi individuato quale diritto reale di servitù sul corpo, vuoi quale diritto di credito, vuoi quale quasi-possesso di diritti, debbono dunque cedere il passo ad un’analisi squisitamente antropologica.

Si può così comprendere perché, in un’impostazione realista, allorché i coniugi possedessero una precisa definizione razionale astratta della sacramentalità, ovvero anche degli obblighi contrattuali afferenti all’istituto matrimoniale creaturale, non necessariamente ne avrebbero colto l’intrinseca dimensione sopranaturale e giuridica, costituendo difatti l’agire secondo giustizia atto di virtù e sacramento solamente quando è stato appetito il bonum naturalmente dovuto all’altro, è stata posta essenzialmente e realmente tale res iusta dovuta.

L’inclinazione della quale stiamo argomentando altro non è che quella potenzialità che appartiene all’essere sessuato donna o uomo nella reciproca complementarietà e differenza dei sessi69. L’uomo e la donna hanno difatti insita nella propria diversità una connaturale inclinazione ad unirsi in quanto persone tra le quali esiste una differenza sessuale, una naturale

66 “Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane, suscettibile di essere configurata secondo una pluralità di modelli culturali. L’uomo e la donna trovano in sé stessi l’ìnclinazione naturale ad unirsi coniugalmente … nell’uomo e nella donna è sempre presente un’inclinazione profonda del loro essere, che non è frutto della loro inventiva, e che, nei tratti fondamentali, trascende ampiamente le diversità storico-culturali” (IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 [2001] 360, n. 4).

67 “Ac denique philosophiae nostrae traditae scholis hoc vitio vertunt, eam nempe in cognitionis processu ad intellectum unice respicere, neglecto munere voluntatis et affectuum animi. Quod quidem verum non est … Immo Doctor Communis censet intellectum altiora bona ad ordinem moralem sive naturalem sive supernaturalem pertinentia, aliquo modo percipere posse, quatenus experiatur in animo affectivam quandam ‘connaturalitatem’ cum eisdem bonis sive naturale, sive dono gratiae additam (cfr. S. THOMAS., Summa, II-II, q.1, art 4 ad 3, et q.45, art.2, in c); ac liquet quantopere vel suboscura huiusmodi cognitio investigationibus rationis auxilio esse valeat” (PIUS XII, Litt. Enc. Humani Generis, in AAS 42 [1950] 574, 575).

68 “è un giudizio conoscitivo non raziocinativo che determina la bontà di un oggetto concreto, in forza della convergenza dell’apprensione dell’oggetto e dell’inclinazione appetitiva a questo diretta” (M. D’AVENIA, La conoscenza per connaturalità in S. Tommaso d’Aquino, Bologna 1992, p. 177).

69 “Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane, suscettibile di essere configurata secondo una pluralità di modelli culturali. L’uomo e la donna trovano in sé stessi l’inclinazione naturale ad unirsi coniugalmente … L’unica via, infatti, attraverso cui può manifestarsi l’autentica ricchezza e varietà di tutto ciò che è essenzialmente umano è la fedeltà alle esigenze della propria natura” (IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 [2001] 360, n. 4).

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complementarietà reciproca, chiasmatica, asimmetrica, ed una potenzialità naturale a comunicarsi nella propria identità di uomo e donna, nella propria coniugalità. Ed è al livello della coniugalità naturale che avviene la storica comunicazione tra gli sposi in ordine alla costituzione della nuova dimensione duale del coniugio che è segno e significato sacramentale70.

L’inclinazione non corrisponde al mero istinto sessuale, ma si fonda anzitutto sulla ordinazione dell’uomo al bonum individuato in ragione dei fini creaturali. L’ambito descritto, che è quello dell’amore di compiacenza71 e di concupiscenza72, corrisponde invero ancora ad una percezione del bene interelazionale, ma dove il volere quel bene non è ancora maturato sino alla benevolenza73(ossia fino al volere il bene dell’altro in sé), e sino all’atto di donazione totale e reciproco della persona dei coniugi (amore sponsale).

La dottrina canonistica della Scuola di Navarra, cui appartiene questa Facoltà, negli approfondimenti di diritto naturale, descrive la mascolinità e la femminilità quali potenze naturali74al cui livello si scatena l’unione delle nature75e dunque l’essenza giuridica e la sacramentalità del matrimonio.

L’accento non è posto sui diritti soggettivi ma sulle persone stesse, che si realizzano pienamente solo entrando in relazione, tendendo alla comparte come ad un naturale completamento, e costruendo una “nuova cosa” che è il matrimonio. Quanto descritto è consentito segnatamente dal dimorfismo, dalla natura della complemementarietà o alterità dell’essere sessuato uomo-donna che in potenza sono ordinati l’uno all’altro76.

70 “Gli sposi si uniscono in quanto persona-uomo ed in quanto persona-donna. Il riferimento alla dimensione naturale della loro mascolinità e femminilità è decisivo per comprendere l’essenza del matrimonio. Il legame personale del coniugio viene ad instaurarsi proprio al livello naturale della modalità maschile o femminile dell’essere della persona umana” (IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 [2001] 361, n. 5, corsivi nostri).

71 “L’amore sta ad indicare un rapporto reciproco di due persone, della donna e dell’uomo, fondato sul loro atteggiamento nei confronti del bene. Questo atteggiamento ha la propria origine nella compiacenza. ‘Piacere’ significa più o meno ‘presentarsi come un bene’ ” (K. WOJTYŁA, Amore e responsabilità, in ID., Metafisica della persona, Città del Vaticano-Milano 2003, p. 530).

72 “L’uomo ha perciò bisogno della donna per completarsi onticamente, e viceversa. Questo bisogno oggettivo si manifesta attraverso la tendenza sessuale sulla cui base nasce l’amore. È un amore di concupiscenza, perché risulta dal bisogno e tende a trovare un bene che manca ... Ma c’è una profonda differenza tra l’amore di concupiscenza e la concupiscenza stessa. Questa presuppone la sensazione sgradevole di una mancanza ... La persona appare allora quale mezzo ... L’amore di concupiscenza non si riduce quindi ai soli desideri ... non si limita alla sola concupiscenza. Appare come il desidero di un bene per sé: ‘io ti voglio bene perché tu sei per me un bene’ ” (ibid., p. 537).

73 “non ‘io ti desidero come un bene’, ma: ‘io desidero il tuo bene’, ‘io desidero ciò che è un bene per te’ ” (K. WOJTYŁA, Amore e responsabilità... cit., p. 540). Per le note distinzioni tomiste in merito all’amore, cfr. S. THOMAS, Summa, I-II, q. 26, a. 1, 2, 3, 4; “Sicut Philosophus dicit in 2 Rethoric., ‘amare est velle aliqui bonum’. Sic ergo motus amoris in duo tendit: scilicet in bonum quod quis vult alicui, vel sibi vel alii; et in illud cui vult bonum. Ad illud ergo bonum quod quis vult alteri, habetur amor concupiscentiae: ad illud autem cui aliquis vult bonum, habetur amor amicitiae ... id quod amatur amore amicitiae, simpliciter et per se amatur: quod autem amatur amore concupiscentiae, non simpliciter et secundum se amatur, sed amatur alteri” (S. THOMAS, Summa, I-II, q.26, a.4, resp.). Occorre fare attenzione che in S. Tommaso l’amor amicitiae non si identifica immediatamente con l’amicizia. In quest’ultima, l’amore di amicizia deve utleriormente caratterizzarsi per la reciprocità (cfr. ID., Summa, II-II, q.23, aa.1,5).

74 “la coniugalità non è altro che la mascolinità e femminilità in quanto capaci di unirsi e tendenti naturalmente alla reciproca unione; ci troviamo, quindi, di fronte all’inclinazione naturale all’unione di uomo e donna” (J. HERVADA, Essenza del matrimonio e consenso,in ID., Studi sull’essenza del matrimonio, Milano 2000, p. 289).

75 La definizione hervadiana dell’essenza come unione delle nature si incontra per la prima volta in J. HERVADA – P. LOMBARDIA, El Derecho del Pueblo de Dios. Derecho matrimonial, vol. III/I, Pamplona 1973, p. 29.

76 “tale donazione personale ha bisogno di un principio di specificità e di un fondamento permanente. La considerazione naturale del matrimonio ci fa dedurre che i coniugi si uniscono precisamente in quanto persone tra cui esiste la diversità sessuale” IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, cit., p. 361, n. 5. A diversi approdi dottrinali si giunge focalizzando invece l’attenzione sull’essenzialità della dimensione interpersonale soggettiva, ed additandola come pertinente alla singola creatura. Della creatura, secondo questa dottrina, occorrerebbe riconoscere una dimensione naturale individualista persona per persona, in quanto essere creato, e dunque riconoscendo in ciascuno un diritto creaturale. Tale dimensione, tuttavia, pare con difficoltà conciliarsi con l’istanza fondamentale stessa di un personalismo realista, che non può esser concepito se non entro una dimensione di relazionalità interpersonale e di riconoscimento del vincolo matrimoniale come nuova res dualis, e non già di individualista recezione e/o decisione in merito alla propria sessualità come realizzazione di sé. Per altro verso la delineata impostazione pare svincolarsi da ogni

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Diversamente, ove si rilevasse l’incomunicabilità dell’essere sessuato da parte dell’uomo e della donna nella reciproca e feconda ordinazione, si inficerebbe in radice il concetto biblico stesso di una caro e di sponsalità Cristo-Chiesa, non si avrebbe una fondazione antropologia della indissolubilità del coniugio e della sua ordinazione alla pluralità della prole e della famiglia (il matris munus) e non rimarrebbe dunque che riproporre o le tesi giuscorporaliste e contrattualiste, o scendere nel campo del positivismo e volontarismo, ovvero accogliere riferimenti alla dimensione individualista e transeunte della comunione materiale e spirituale fondata sull’amore di compiacenza o di concupiscenza, ovvero, infine, ammettere una equivalenza tra molteplici generi sessuali e forme di convivenza, provenienti da varie ed umane strutture culturali, comunque ordinate alla interpersonalità del rapporto.

L’ambito dell’amore di compiacenza e dell’amore di concupiscenza, nel matrimonio, invece, si accresce di una nuova dimensione, che è quella dell’amore di benevolenza o amore di amicizia, ove è voluto il bene dell’altro come a sé stessi77, dove è reciprocamente donato e ricevuto il bene dell’altro78, e dove questa nuova intimissima dimensione uniduale è alfine liberamente voluta come dovuta secondo giusitizia nel dono totale e definitivo di sé: atto supremo che supera l’amore di benevolenza stesso, ed è donazione totale ed irrevocabile, come è stata quella avvenuta nella incarnazione e sacrificio di Cristo79.

L’essenza sacramentale non è dunque l’oggetto di un’obbligazione contrattuale, né l’adesione a verità di fede astratte, o alla Chiesa (argomentazione ecclesiologica), ma l’unio, la relatio praedicamentalis che la dottrina antica ricondusse all’essenza del matrimonio80, la comunione di animi e corpi, la nuova res dualis, l’unio ordinaturoum ad unum, la maxima amicitia81.

L’estraneità del contrattualismo volontarista e positivista all’impianto dottrinale cristiano avrebbe dovuto essere in passato maggiormente rilevata, se non altro in ragione di quell’adombrata unità tra le nature dei due coniugi, che permetteva a S. Paolo di affermare, fondandosi sulla legge aurea della tradizione giudaico-cristiana, che amare la propria moglie è come amare sé stessi82. Proprio nella dimensione della donazione oblativa è difatti individuabile quella reciproca consacrazione-donazione, dalla quale è stata ricavata la dottrina della significazione sacramentale.

Il patto, dunque, fondato su un atto causativo di libero arbitrio (il consenso) non è costituito ab estrinseco neppure dalla Chiesa, ma promana dalla persona dei coniugi perché è la stessa inclinazione che si fa diritto e dovere e sacramento. Il consenso è passaggio dalla potenza all’atto, dall’inclinazione all’assunzione di detta inclinazione come patto in cui è voluto il bene dell’altro, ed è voluta l’unione con l’altro83(oggetto del consenso).

riferimento alla dimensione sia biologica sia naturale-razionale del matrismunus, e dunque da una dimensione ove si possa avere incontro tra dimensioni fungibili naturali e naturalmente complementari tra persone, per andare verso una multiformità di dimensioni soggettive (cfr. G. CAPUTO, Introduzione allo studio del Diritto Canonico moderno, t. II, Il matrimonio e le sessualità diverse: tra istituzione e trasgressione, Padova 1984).

77 “Cum autem sit duplex amor, scilicet concupiscentiae et amicitiae, uterque procedit ex quadam apprehensione unitatis amati ad amantem. Cum enim aliquis amat aliqui, quasi concupiscens illud, apprehendit illud quasi pertinens ad suum bene esse. Similiter cum aliquis amat aliquem amore amicitiae, vult ei bonum sicut et sibi vult bonum: unde apprehendit eum ut alterum se, inquantum scilicet vult ei bonum sicut et sibi ipsi. Et inde est quod amicus dicitur esse ‘alter ipse’ ” (S. THOMAS, Summa, I-II, q.28, a.1, resp.); cfr. K. WOJTYŁA, Amore e responsabilità, in ID., Metafisica della persona, Città del Vaticano-Milano 2003, p. 540.

78 Cfr. ibid., p. 543. 79 Cfr. ibid., p. 553. 80 Cfr. F. SALERNO, La definizione del matrimonio nella dottrina giuridica e teologica dei sec. XII-XIII, Milano 1965, p.

88. 81 Cfr. S. THOMAS, In IV Sent., D.27, q.1, a.1; ID., In IV Sent., D.27, q.1, a.2, sol.1; ID., Summa contra gentiles, III, 123. 82 Cfr. Eph. 5, 28, 29. 83 “Certo, il vincolo è causato dal consenso, cioè da un atto di volontà dell’uomo e della donna; ma tale consenso

attualizza una potenza già esistente nella natura dell’uomo e della donna. Così la stessa forza indissolubile del vincolo si fonda sull’essere naturale dell’unione liberamente stabilita tra l’uomo e la donna”» (IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1.2.2001, in AAS 93 [2001] 362, n. 5); “Si tratta di vedere se le persone, oltre ad identificare la persona dell’altro, hanno veramente colto l’essenziale dimensione naturale della loro coniugalità la quale implica per

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Il consenso, dunque, e con esso il principio consensualista puro, permette di rendere dovuta secondo giustizia la tensione affettiva dell’uomo proposta del suo statuto creaturale, poiché ciò avviene in forza di un libero atto umano, che è atto complesso in quanto coinvolge la poliedricità affettiva dell’amore di compiacenza, di concupiscenza, di dilezione, sino al dono totale di sé. Il matrimonio è difatti istituto naturale cui la natura inclina, ma non viene estrinsecamente determinato constitutive, consecutive, exigitive, né dalla natura stessa, né dal legislatore.

Nell’impostazione realista proposta, nell’atto del consenso si compongono dunque sinergicamente essere ed agire, statuto creaturale dell’uomo e libero arbitrio, congiunti in una nuova tensione etica, per nulla astratta, o affetta da puro ontologismo. Tale realtà è una nuova res dualis84, una correlazione, entità appunto che promana dai coniugi come singoli, ma che costituisce una nuova entità, l’una caro dove non è annientata l’identità personale, si permette alla differenza di integrarsi, e l’amore dono della differenza sessuale di trasformarsi nell’amore dono della differenza generazionale: sintesi e punto di arrivo descritto dall’iniziale relazione che è divenuta dovuta secondo giustizia85.

A seguito dell’atto di donazione coniugale esistono solo le persone unite tra loro, esiste l’unio ordinatorum ad unum, la coniunctio, esiste un unico amore, non esistono più gli io, ma esiste il noi, esiste la una caro in senso, ovviamente, non più giuscorporalista86.

Due momenti rilevano nella dinamica inerente alla verità dell’amore oblativo e del consenso che lo istituzionalizza: uno inter se di reciproca donazione (dove la persona dell’altro è un bene nel senso dell’amore sponsale, dell’amicitia e del dono totale), ed uno ad fines, dove la donazione ha un principio potenziale e dinamico di ordinazione al bene dei coniugi e della prole, intese come potenziale perfezionamento ontologico nell’unione delle nature87. Intendiamo perfezione nel senso di integrazione interpersonale ed intrapersonale nella complementarietà uomo-donna che, nella totalità del dono di sé, divengono una nuova realtà ontologica uniduale, potenzialmente feconda nell’orientamento alla prole, e si perfezionano conformemente all’inclinazione naturale, secondo la multiformità delle singole situazioni coniugali e secondo diversi e non aprioristicamente tipizzabili modelli culturali.

L’atto giuridico del consenso è dunque atto intrinsecamente ed essenzialmente oblativo, “actus essentialiter amorosus”88, che se non fosse atto totale e totalizzante di donazione di sé stessi, non sarebbe oblativo, comporterebbe un riservare a sé qualche ambito della propria dimensione coniugabile, e non realizzerebbe quella completa unità di animi e corpi.

Per tale motivo l’indissolubilità (ossia la totalità ed irrevocabilità del consenso) è dimensione squisitamente e naturalmente personalista e conforme al principio consensualista, giacché prova

esigenza intrinseca la fedeltà, l’indissolubilità e la potenziale paternità/maternità, quali beni che integrano una dimensione di giustizia” (ibid., p. 363, n. 7).

84 La locuzione, che ben evidenzia la novità dell’unione coniugale rispetto alla singolarità dei due coniugi, è particolarmente ricorrente nella giurisprudenza rotale coram Serrano. Basti un accenno alla pluries citata decisone del 5 aprile 1973 (cfr. RRDec. LXV, p. 323, n. 3). Non sempre le istanze proposte dall’Uditore rotale sono tuttavia fatte oggetto di corretta interpretazione quanto al concetto di relazione interpersonale, che non viene descritta dall’autore nei termini della dimensione transeunte, bensì entro i parametri di una profonda analisi della sostanza coniugale nella sua totalità di scambio interpersonale, che costituisce un’unità nuova, appunto duale (cfr. J. M. SERRANO RUIZ, El acto del voluntad por el que se crea o frustra el consentimento matrimonial, in Revista Española de Derecho Canonico 51 [1994] 578). Lo stesso magistero contemporaneo utilizza sovente il concetto di relazione interpersonale (cfr. IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 27.1.1997, in AAS 89 [1997] 487, n. 3).

85 Cfr. IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 27.1.1997, cit., p. 487). 86 Sul superamento dell’interpretazione dell’una caro in senso giuscorporalista è intervenuto il Magistero: «l’amore

coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona ... esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un’anima sola» (IOANNES PAULUS II, Ad. Ap. Familiaris consortio, n. 13).

87 Cfr. P.A. BONNET, Il ‘bonum coniugum’ come corresponsabilità degli sposi, in Apollinaris 83 (2010) 452. 88 L’espressione è di Navarrete, sebbene utilizzata in un contesto mirato a dimostrare l’irrilevanza giuridica dell’amore

coniugale (cfr. U. NAVARRETE, Structura iuridica matrimonii secundum Concilium Vaticanum II, Romae 1968, p. 154).

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dell’assenza di limiti e riserve nella donazione volontaria e libera della persona, e proprietà che meglio rappresenta la sacramentalità89.

L’essenza così costituita, a sua volta, è quella medesima unione delle nature che è diventata dovuta, e dunque ha assunto le coordinate giuridiche della res iusta. La reciproca deditio delle persone, essenzialmente amorosa ora è ius (amore dovuto90, ancorché non necessariamente attuato). L’espressione, per quanto giuridicizzante, coglie tuttavia in modo realista la dimensione di giustizia che promana dal rapporto tra persone che vogliono quella vincolante unione delle nature.

Infine, tale ius, proprio in quanto scambio totale, totalizzante ed assoluto tra persone, è natura sua congruente con l’essenza del vincolo (volere il bene dell’altro e della prole in suo principio) e, dunque, ordinato al bene dei coniugi e della famiglia in quanto fine e dinamica tensione verso la dilectio.

Ebbene, quella realtà significa l’unione tra Cristo e la Chiesa, perché è segno e significato di quella totalità irrevocabile di donazione spirituale e carnale. Quella realtà antropologica, per volere divino -ed in forza di irrevocabile promessa- è resa capace di essere segno efficace di grazia. Nell’ottica antropologica dell’amore e del dono (del quale tanto si è parlato nell’assise sinodale del 201591), la persona (per sé esistente) tende alla realizzazione di sé e si ritrova, si integra nel dono stesso, secondo un inclinazione inscritta nella sua natura razionale, che permette di sostenere che, così interpretata, la sacramentalità non possa affatto apparire come un “magico” automatismo.

4.3.- Distinzioni inerenti all’intenzione coniugale nel matrimonio (interna ed esterna, del

sucipiente e del ministro) Il problema dell’intenzione matrimoniale, inoltre, allorché lo si è investigato nella sua esclusiva

dimensione sacramentale, ha sempre visto prioritariamente – se non esclusivamente – svolto, sia nella dottrina canonistica, sia in quella teologica, l’argomento dell’intenzione ministeriale e non già anche quello dell’intenzione del suscipiente92. I motivi di tale argomentazione sono molteplici e sovente dati per implicitamente acquisiti. Anzitutto a livello intellettivo pare irrationabilis che possa contestualmente sussistere una volontà di conferire sé stessi nel consenso, e parimenti di non accettare il medesimo consenso da parte dell’altro, in una sorta di volontà claudicante ed unilaterale. Ancor più costituirebbe un assurdo voler specificamente amministrare il sacramento, e contestualmente non volerlo ricevere, in una improbabile dissociazione intellettivo-volitiva più di scuola, che realmente ipotizzabile.

L’intenzione inoltre di ricevere il sacramento è sempre stata definita dalla teoria generale sacramentaria come caratterizzata da minor intensità rispetto all’intenzione necessaria per amministrarlo, cosicché presente la seconda, nel matrimonio, si dovrebbe considerare ricompresa la prima. Per l’intenzione del ministro nei sacramenti in genere, difatti, è richiesta l’intenzione almeno

89 “se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si

donerebbe totalmente”; “l’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona –richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà- ; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo ed un’anima sola; esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità (cfr. Humanae vitae, 9). In una parola si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, la le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani” (IOANNES PAULUS II, Ad. Ap. Familiaris consortio, n. 11); cfr. A.M. ABATE, Il consenso matrimoniale, in Apollinaris 59 (1986) 475-476.

90 L’espressione è della già citata Allocuzione alla Rota del 1997 (cfr. IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 27.1.1997, in AAS 89 [1997] 487, n. 3).

91 Cfr. Relatio Synodi 2015, nn. 30, 31, 34. Nei dibattiti dei Circoli minori (dei quali purtroppo non è rimasta traccia) si è molto isistito sulla crisi antropologica e sul concetto di antropologia del dono.

92 Fra molti, si veda l’esempio del Cappello. Nel trattato sui Sacramenti in genere, all’esposizione De ministro sacramentorum fa seguito nel capitolo successivo l’esposizione De subiecto sacramentorum, con riferimenti fugaci al matrimonio (cf. F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis de Sacramentis, vol. I: De Sacramentis in genere, de Baptismo, de Eucharestia, Augustae Taurinorum 1945, p. 63, n. 73). Nel trattato invece sul matrimonio, si tratta solo dell’intenzione del ministro (cf. Ibidem, vol. III, p. I: De matrimonio, p. 35, n. 32).

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virtuale93, mentre per l’intenzione del suscipiente è considerata sufficiente quella abituale implicita94, restando peraltro chiaro che “ad validam sacramentorum susceptionem nec fides nec probitas requiritur in subiecto, excepta Poenitentia”95.

Per il matrimonio, invece, è considerata necessaria l’intenzione almeno virtuale, ma per la ragione cui si accennava, vale a dire non già perché richiesta dalla qualità di suscipiente dei nubenti, bensì dalla qualità di ministro96.

L’oggetto dell’intenzione, tuttavia, non è stato invero mai definito con pronuncia neppure proxima fidei da parte del magistero della Chiesa, e l’espressione intentio generalis faciendi id quod facit Christus et Ecclesia ha visto non solo disparità di interpretazioni ancora in Concilio di Trento, ma anche una sensibile evoluzione nell’interpretazione dell’espressione stessa presso i teologi ed i canonisti97. Ad oggi non è dunque possibile con certezza propendere per la sufficienza dell’intenzione sacramentale esterna di porre il mero rito così come lo fa la Chiesa, o per la necessità dell’intenzione interna di celebrare un rito sacramentale con volontà almeno implicita di ottenere quegli effetti che intende la Chiesa, così come crede la Chiesa (argomentazione che oggi viene detta ecclesiologica)98.

A ciò si aggiunga che debbono sempre restare ben distinti gli elementi che si fanno oggetto di approfondimento e che talora, invece, in dottrina risultano sovrapposti nella riflessione. Non risultano infatti omogenee le seguenti categorie: a) assenza fede (ulteriormente distinguibile in habitus fidei, fides qua, fides quae); b) assenza di positiva intenzione sacramenale (del ministro e/o del suscipiente) interna e/o esterna; c) la positiva esclusione della sola sacra mentalità; d) la condizione sulla validità dell’intero patto apposta in ragione dell’esistenza o meno della dignità sacra dello stesso.

93 “Neque intentio habitualis neque interpretativa ad sacramenta valide conficienda sufficit” (NOLDIN, Summa Theologiae

moralis, vol. III: De sacramentis, Oeniponte 1957, p. 15). 94 “In adultis i. e. in iis qui usum rationis adepti sunt, ad valide suscipienda sacramenta requiritur intentio saltem

habitualis implicita suscipiendi tale sacramentum” (Ibidem, p. 31). A proposito del matrimonio sempre il Noldin specificava in nota che “effiacior gradus intentonis requiritur, quatenus contractus est” (l. cit.) pur senza specificarne meglio la configurazione.

95 F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis de Sacramentis, vol. I: De Sacramentis in genere, cit., p. 61, n. 69. 96 “Verum quidem est, communiter auctores, praesertim veteres, requirere pro Poenitentia et Matrimonio intentionem

actualem vel saltem virtualem. At, debita cum reverentia, animadvertimus, praefatos auctores non satis distinguere inter susceptionem sacramenti proprie dictam, eiusque confectionem. Sane dubitandum non est quin pro ineundo Matrimonio necessaria sit intentio saltem virtualis, at non quatenus nupturientes sacramentum suscipiunt, sed solum quatenus, utpote ministri, illud conficiunt» (Ibidem, p. 63, n. 73). Specificamente in ordine alla sola volontà del suscipiente il matrimonio il Cappello ancora chiariva dover sussistere almeno al volontà abituale esplicita: «Pro Matrimonio, iuxta superior dicta (n. 73), requiritur in suscipiente, qua tali, intentio habitualis esplicita; non sufficit implicita, quia, cum agatur de novo statu vitae ineundo, cuius susceptio in generali alia voluntate nullatenus continetur, manifestum est, requiri expressam intentionem illum amplectandi” (Ibidem, p. 63, n. 74), pur rinviando alla considerazione che precedeva, e che prevedeva dunque la prevalenza della volontà del ministro del matrimonio su quella richiesta dal suscipiente. Allorché nel trattato specifico sul matrimonio Cappello affronta la questione, come già detto, argomenta solo dei nubenti quali ministri (cf. Ibidem, vol. III, p. I: De matrimonio, p. 35, n. 32).

97 “Dici potest id quod moderni defensores intentionis internae postulant, quoad rem idem esse, cum eo, quod priores defensores intentionis externae postulabant. Non raro defensores moderni intentionis internae dicunt, sicuti priores defensores intentionis externae: non requiritur intentio faciendi quod ecclesia intendit, sed quod ecclesia facit; facit autem ritum sacrum … Hodie intentio externa intelligitur ea, quae pro obiecto habet solum ipsum ritum externum, quin nulla alia intentio requiratur; intentio interna pro obiecto habet ritum sacrum, quem ecclesia, fideles sacrum habent” (H. LENNERZ, De sacramentis novae legis in genere, Romae 1950, pp. 96, 97, n. 155). Per la distinzione tra intenzione sacramentale matrimoniale interna ed esterna, e l’analisi storica del dibattito relativo, cf. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 137-166; G. RAMBALDI, L’oggetto dell’intenzione sacramentale dei teologi dei secoli XVI e XVII, Roma 1944.

98 Per il matrimonio, in conclusione, attesa l’identità contratto sacramento, è ritenuta sufficiente l’intenzione almeno implicita di fare ciò che fa la Chiesa celebrando il matrimonio dei battezzati, senza ulteriori approfondimenti circa l’oggetto sacramentale di tale intenzione: “Sacramentum conficiunt tum fideles, qui ignorant se ministros esse sacramenti, tum haeretici, qui non credunt matrimonium esse sacramentum. Ratio est, quia ad sacramentum valide conficiendum sufficit intentio saltem implicita faciendi quod facit Ecclesia” (F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis de Sacramentis, vol. III: De Matrimonio, Augustae Taurinorum 1939, p. 36, n. 32).

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Il sacramento del matrimonio è poi anzitutto istituto naturale preesistente la redenzione, già caratterizzato da una sua essenza naturale, da un oggetto del consenso prioritariamente afferente il diritto naturale e da uno ius connubii riconoscibile a tutti i fedeli e non mai coercibile, salvo legittimi impedimenti. La materia sacramentale non è altro che la dimensione coniugale di sé stessi che i coniugi si scambiano in quel consacrante sese mutuo tradere et accipere che costituisce il matrimonio e che non può essere paragonata alla materia sacramentale degli altri sacramenti, posta senza intenzione allorché i coniugi non intendano essere ministri o suscipienti.

Il paragone con il battesimo potrebbe inoltre portare difficoltà, giacché nel sacramento dell’iniziazione degli adulti, la volontà di non amministrare o ricevere il sacramento o addirittura di simularlo99 comporta che l’acqua resti acqua e non già segno di spirituale rigenerazione produttivo di grazia sacramentale. Altrettanto non dovrebbe invece dirsi del matrimonio, dove lo scambio del consenso è atto moralmente rilevante, generatore di obbligazioni di giustizia tra i coniugi, causato per sola causalità umana100.

La riviviscenza del sacramento allorché al consenso legittimo segua il battesimo di due infedeli, la validità sacramentale del matrimonio celebrato dai cristiani battezzati non in comunione con la Chiesa e che ne rigettano anche dottrinalmente il valore sacramentale, il principio di identità contratto-sacramento, paiono dimostrare il valore intrinseco del consenso creaturale, anche a fronte di difetti intenzionali od errori non determinanti, specificamente afferenti alla sacramentalità.

5.- Esclusione simulatoria o errore

Il definitivo affrancamento della teologia del duplex ordo induce dunque alla riconsiderazione dell’intera materia coniugale come non più mere naturalis, bensì come intrinsece sacramentalis o, se si vuole, creaturalis simpliciter. L’indagine teologica e canonistica dovrebbe dunque non mai dimenticare che la natura umana è storicamente e realisticamente inserita nell’economia della redenzione, nella quale non è più possibile un regresso, neppure ob duritiam cordis, allo stato lapso.

Per tale motivo la soggettiva rispondenza alla tensione verso il fine ultimo risiederebbe per il matrimonio già nell’intenzione creaturalmente coniugale. Il sacramento del matrimonio è segno fondamentale e fulcro del grande sacramento della creazione e dunque sacramento primordiale. La piattaforma d’attuazione dei disegni di Dio è immutata nonostante l’elevazione a dignità sacramentale del vincolo coniugale, capace ora di conferire la grazia, ma in ragione di un’identica materia coniugale.

Sulla scorta dell’indagine condotta, si ritiene dunque di non dover più pensare la sacramentalità quale oggetto di separata e razionalista intellezione-volizione (come gli altri elementi o proprietà essenziali), quasi essa risultasse contrattualmente nella piena disponibilità dei nubenti, e si ritiene invece, di dover approfondire l’indagine relativa alla retta intenzione afferente alla relazione coniugale creaturale, ove in forza della conoscenza per connaturalità si ha l’unione delle potenze naturali conferite tramite l’atto del consenso. Ciò consente di poter pretermettere tanto il problema della razionale collocazione della sacramentalis dignitas entro i parametri contrattuali del consenso coniugale, quanto il collegato problema dell’intenzione sacramentale interna e/o esterna che, come verificato, per il sacramento del matrimonio risulta difficilmente risolvibile, atteso che forse neppure di intenzione specificamente sacramentale sarebbe corretto parlare per questo peculiare sacramento, stante la relazione reale ed intrinseca del matrimonio creaturale con il mistero rappresentato. L’essenza coniugale non va infatti ricercata in modelli culturali, giuridici (o addirittura teologici) estrinseci al rapporto tra le due persone, ma essa va con realismo giuridico ed autentico personalismo valutata nel suo promanare da un’interna inclinazione che connota il matrimonio di una peculiare indole naturale ed interpersonale. Vi è una trascendenza costitutiva della relazionalità coniugale naturale che fa sì che i coniugi, donando quella parte di sé che è connaturalmente coniugabile, pongano la vera ed unica materia sacramentale in quel consacrante sese tradere et accipere in forza del quale essi divengono una caro.

99 Cf. A. VERMEERSCH, Theologiae moralis, t. III: De personis, de sacramentis, de legibus ecclesiae et censuris, Roma, pp. 161-162, n. 183.

100 Cf. F. CAPPELLO, Tractatus canonico-moralis de Sacramentis, vol. III, cit., p. 37, n. 34.

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A seguito della partecipazione ai lavori sinodali, alla verifica della multiformità delle molte proposte dottrinali, ed all’ascolto della viva voce dei Pastori, anche di quelle regioni della Chiesa ove il matrimonio cristiano non è culturalmente percepito, si ritiene di aver rafforzato la convinzione che, non potendo darsi tra battezzati un vero matrimonio non sacramentale, l’esclusione della stessa dignità sacra è, nella storicità dell’evento relazionale matrimoniale, non realizzabile e dunque giuridicamente impossibile, così da poter concludere che non si possa configurare come autonomo capo di nullità quello della simulazione circa la dignità sacramentale. Solo tramite una forzatura difatti si possono applicare alla dimensione esclusivamente sacra le medesime categorie che si applicano ai bona naturalia; solo attraverso l’applicazione della teologia della natura pura sarebbe ipotizzabile una separazione tra natura e sopranatura con esclusione della seconda; solo utilizzando analogie di identità con gli altri sacramenti si piegherebbe alla realtà matrimoniale l’oggetto dell’intentio generalis.

Può d’altronde riscontrarsi l’esistenza di fattispecie nelle quali il nubente astrattamente appare simulare o errare circa la sacramentalità. Occorre dunque tentare una lettura pratica di fattispecie nelle quali si presentano intenzioni almeno apparentemente simulatorie o erronee.

Si ha a nostro avviso errore semplice ove il nubente non abbia alcuna nozione religiosa del sacramento cattolico. Tale stato, che è maggiormente assimilabile all’ignoranza circa la sacramentalità, sarà tuttavia irrilevante giusta il can. 1096, canone che tace circa la sacramentalità, data la sufficienza della conoscenza per connaturalità della sostanza dell’istituto matrimoniale, e stante l’irrilevanza dell’error fidei nel ministro in genere e nel matrimonio in specie, perché errore non direttamente afferente alla sostanza dell’atto giuridico, ma ad omnia quae sunt consequentia101.

Sempre di errore semplice si tratterà ove il nubente non risulti in uno stato di ignoranza ma di falsa cognizione della natura sacramentale del matrimonio e dunque convintamente, senza alcun dubbio soggettivo, reputi il matrimonio non sacramentale. Trattasi di errore dottrinale che, anche dans causam contractui, è considerato non irritante il consenso102.

L’errore dunque circa ciò che non è sostanziale non è inficiante la validità dell’atto giuridico, a meno che il soggetto, in forza di una propria prevalente volontà inconsapevolmente corrotta dall’errore, abbia reso soggettivamente sostanziale ciò che oggettivamente non lo è. Il secondo inciso del can. 126 (error recidens in condicionem sine qua non) può trovare dunque attuazione oltre che nell’errore di fatto (cfr. can. 1097, §2) anche nell’error iuris determinans circa l’unità, l’indissolubilità o la sacramentalità (cfr. can. 1099), che come tali sono inseparabili dalla sostanza, ma non costituiscono né l’oggetto materiale, né quello formale del consenso. Tale figura di condizione implicita non necessita dell’elemento psicologico del dubbio ed è istituto profondamente radicato nelle fonti antiche103. Si propone questa tesi, convinti che una retta intenzione matrimoniale-naturale-creaturale, anche in presenza di un errore sulla sacramentalità (a differenza che per l’essenza o sostanza del matrimonio), renda irrilevante l’errore stesso per pervicace, invincibile, radicato o pervadente esso sia, salvo che sia perappunto presente una condizione implicita, la quale subordini l’intera volontà matrimoniale al verificarsi di quell’evento-errore, invero di impossibile realizzazione, essendo l’errore un falso giudizio. Nel caso della condizione implicita la volontà, difatti, appetendo direttamente e principalmente quale causa finale un vincolo in quanto non sacramentale, renderebbe sostanziale ciò che non è, così da subordinare implicitamente la validità dell’intero istituto alla non sacramentalità dello stesso.

La proposta -e qui sintetizzata- interpretazione del combinato disposto dei cann. 126 e 1099 non induce ad indagare ab intra (come per la simulazione) né il rapporto intercorrente tra l’intelletto, la volontà e la dignità sacra in sé (non obbligando così a pronunciarsi circa l’intenzione sacramentale interna od esterna) né la facoltà della stessa volontà di alterare parzialmente il rapporto interno intercorrente tra la natura e la sopranatura. Più semplicemente, nel caso prospettato, si indaga ab extra il rapporto tra la volontà e l’intero istituto matrimoniale naturale.

101 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, p. 255. 102 Cfr. l. cit. 103 Cfr. ibid., p. 261.

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Si ritiene infine prospettabile l’istituto della condizione esplicita impropria, vizio della volontà cosciente, caratterizzato questa volta dallo stato psicologico del dubbio, e corrispondente all’intenzione del nubente che asserisce: «volo matrimonium sed nolo sacramentum et si sacramentum fieret tunc nolo matrimonium»104; volontà che, invece che configurarsi -come sovente interpretata- quale ipotesi di simulazione totale, riteniamo delinei invece un’ipotesi di condizione de praesenti impossibilis irritante.

Non pensiamo ipotizzabile la simulazione che esigerebbe il prevalente, assoluto e cosciente atto positivo di volontà escludente; atto postulante una precisa conoscenza teorica della sacramentalità, una certezza escludente non corrotta dal dubbio, ed una separata intellezione e volizione della sola sopranatura che, per i motivi esposti, non pare essere nella disponibilità dei nubenti. Nella condizione esplicita, invece, vengono ricompresi tutti quei casi in cui il soggetto non abbia una precisa conoscenza della sacramentalità, possieda una forte incertezza data dallo stato di dubbio derivante ad esempio dalla carenza di fede, ed intenda disporre dell’intero istituto naturale. L’evento dedotto in condizione è de praesenti (valore sacramentale o meno), oggettivamente impossibile (un valido matrimonio tra due battezzati non può non essere sacramentale per il principio di identità), ma soggettivamente possibile (il battezzato che versa in stato di dubbio di fede ammette che il proprio matrimonio possa non essere sacramentale e subordina la validità dell’intero istituto naturale all’evento “carattere non sacramentale”). Tale declinazione intenzionale pare strumento nella disponibilità del nubente affinché egli, dall’esterno del rapporto natura-sopranatura, possa inficiare in toto l’esistenza del suo matrimonio naturale.

Restano, tuttavia, i pericoli dell’utilizzo dei prefigurati istituti che, oltre a fruire ancora eccessivamente di categorie meramente contrattuali, sia paiono di difficile riscontro pratico, sia sembrano ancora aggirare il problema della corretta collocazione della dimensione sopracreaturale nell’intenzione dei nubenti. Occorre difatti non cadere nell’errore di ipotizzare una sorta di simulazione inversa nella quale, pur a fronte di un’internamente voluta corretta materia naturale, si conferisce valore irritante a dimensioni intellettuali o volitive accessorie -pur anche esternamente manifestate- relative alla sola sacramentalità, senza che esse tuttavia abbiano una reale ricaduta sull’oggetto del consenso o sulla costituzione dell’una caro interpersonale105.

Alla luce invece degli svolti approfondimenti circa la sostanza del coniugio, è da ribadire che una corretta impostazione realista ed un autentico personalismo postulino la previa verifica della presenza o dell’assenza della materia coniugale naturale, stante la quale, fuorviante parrebbe essere l’ulteriore indagine circa le disposizioni intellettivo-volitive specificamente relative alla sacramentalità.

Per incidere sulla validità del matrimonio, non è dunque nella disponibilità dei nubenti altro che la possibile alterazione della realtà naturale del coniugio inquantum est sacramentum, e dunque la dimensione reale e storica della relazione coniugale, seppur calata nello stato di restaurazione del sacramento primordiale.

Alla luce delle delineate conclusioni relative all’analisi della sufficienza o meno della materia naturale, con attenzione nondimeno rivolta al piano istruttorio-processuale occorre valutare un’interpretazione dell’unitario atto che costituisce il matrimonio. Tale interpretazione permette di tener conto anche di tutti quei casi in cui gli stati intenzionali avversi alla sacralità del matrimonio possano incidere -ma del tutto mediatamente- sulla materia naturale, escludendola in tutto, o in parte, o rendendola insufficiente, così da configurare anche ipotesi irritanti di defectus consensus per obiettiva assenza di sostanza coniugale, tipica dei casi sempre più frequenti di consenso debole, ove si ha una oggettiva simulatio voluntatis, e non già una positiva volontà simulatoria per sottrazione delle proprietà o degli elementi106.

104 P. GASPARRI, Tractatus canonicus de matrimonio, Romae 1932, p. 86, n. 907; cfr. gli spunti critici in G. BERTOLINI,

Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. I, Il dibattito contemporaneo, Padova 2008, p. 91. 105 Cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, p. 297. 106 Cfr. G. Bertolini, La simulazione del “bonum coniugum” alla luce della giurisprudenza rotale, Padova 2012, p. 271.

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6.- Giurisprudenza sull’esclusione della sacramentalità

Venendo ora l’analisi della giurisprudenza inerente al rapporto fede-sacramento, ritroviamo molte riflessioni che sono state affrontate dalle fonti recenti, e principalmente il problema della carenza di intenzione sacramentale che si trova verificabile in un contesto scristianizzato.

Ciò avviene non solo per le sentenze che giudicano specificamente della esclusione della sacramentalità, ma anche la maggioranza delle più recenti fattispecie circa la simulazione totale mostra deficienza di fede, e considerazione della celebrazione canonica come una mera formalità. Alla deficienza di fede è attribuito valore almeno di causa simulandi dell’esclusione totale. Non si tratta, dunque, di fattispecie ove i nubenti abbiano escluso la sacramentalità, ma di fattispecie nelle quali l’istituto cui i soggetti pensavano di accedere, longe differt, si dice, o dalla dimensione istituzionale del coniugio, o comunque dalla relazione coniugale così come è intesa dalla Chiesa, segno di una progressiva secolarizzazione. Anche nell’esposizione della teoria tradizionale del finis operantis contrastante con il finis operis, si evidenzia l’eventuale discrepanza tra l’intentio practica nupturientis e la functio typica et ecclesialis foederis coniugalis107.

In particolare alcune decisioni108, nel descrivere la sostanza coniugale, presentano un’essenza caratterizzata da forti accenti soprannaturali, così che, si sostiene, la significazione del consenso matrimoniale, se non è fatta con l’intenzione di costituire un patto indissolubile, esclusivo e stabile per mutua totale donazione ad immagine dell’unione di Cristo con la Chiesa, non può considerarsi valido matrimonio cristiano109. In una decisione, addirittura, dopo aver accennato alla funzione tipica ed ecclesiale del consorzio coniugale, sembra adombrarsi che per simulazione totale debba intendersi non solo l’esclusione del matrimonum ipsum, bensì anche la mera assenza di intenzione sacramentale interna110: “Quae fictio versari potest tum ‘in matrimonum ipsum’, quatenus nupturiens nullimode interne vult nuptias assequi, seu, in ineundo matrimonio christiano, non intendit facere quod facit Christus et Ecclesia, sed commodum assequi intendit, reiecto omnino instituto matrimoniali: et sic habetur simulatio totalis”111.

E’ dato tuttavia osservare che tali conclusioni non paiono affatto scontate, non essendo scontata la differenziazione della sostanza del coniugio cristiano, rispetto a quella del matrimonio di diritto naturale112. Per tale motivo la giurisprudenza non ammetteva sino ad un ventennio fa la separata trattazione e concordanza dell’esclusione della sacramentalità, facendola confluire nel più ampio istituto della simulazione totale, secondo una celeberrima definizione del Gasparri: “Contraho

107 “Tunc enim verificatur totalis incompatibilitas, quae phaenomenon simulationis totalis ingreditur inter intentionem

practicam nupturientis et functionem typicam et ecclesialem foederis matrimonialis. Nam tali in casu deficit quivis concursus voluntatis contrahentis cum finalitate ecclesiali foederis coniugalis, quod Ecclesia etiam suis legibus defendit ac tuetur, rata nempe quod salus personae et societatis humanae ac christianae arcte cum fausta condicione communitatis coniugalis et familiaris connectitur” (c. Ciani 21. 05. 2003, in A. 50/03, n. 4).

108 Sono 4 le decisioni coram Ciani ancora inedite cui ci riferiamo: 21. 05. 2003, in A. 50/03; 19. 05. 2005, in A. 57/05; 22. 06. 2006, in A. 88/06; 07. 11. 2006, in A. 139/06. Ampia digressione sull’essenza specificamente sacramentale del coniugio cristiano, sul secolarismo dei nostri giorni, sull’intenzione divorzile e sull’esclusione della sacramentalità troviamo anche in un’altra sentenza che eppure giudicava della simulazione totale: c. Pio Vito Pinto 19. 05. 2006: “Si nupturiens baptizatus escludat aliquid indivisibile, scilicet sacramentum matrimonii quod cum contractu in christifidelium matrimonio unum facit, simulatio tantummodo totalis iuxta aliquos auctores habenda est ... Et nupturiens quidem subiective contra veritatem rei intendere atque agere potest et proinde vitiare valet obiectum consensus coniugalis ita ut ipse, putans dignitatem sacramentalem matrimonii aliquid in matrimonio accessorium esse, eam respuat, etsi matrimonium inire intendat; in eiusmodi casu plane simulatio partialis perficitur” (c. Pio Vito Pinto 19. 05. 2006, in A. 62/06, n. 5).

109 “Quare omnis significatio matrimonialis consensus, si non est facta cum intentione constituendi pactum indissolubile, exclusivum ac ex mutua donatione et receptione totali stabilique, ad exemplar coniunctionis Christi cum Ecclesia ipsius, validum matrimonium christianum considerari non potest” (c. Ciani 19. 05. 2005, cit., n. 5 e cfr. c. Ciani 22. 06. 2006, cit., n. 5).

110 Per la distinzione tra intenzione sacramentale matrimoniale interna ed esterna, cfr. G. BERTOLINI., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 137-166.

111 C. Ciani 21. 03. 2003, cit., n. 4. 112 Cfr. IOANNES PAULUS II, Allocutio ad R. Rotae Praelatos Auditores 1. 2. 2001, in AAS 93 (2001) 363, 364, n. 8; G.

BERTOLINI., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, cit.

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tecum sed nolo Sacramentum et si Sacramentum fieret tunc nolo matrimonium”113, anche se tale fattispecie, a rigore, mi pare invero dovesse maggiormente inquadrarsi quale condizione de praesenti impossibilis114.

Venendo ora allo specifico capo dell’esclusione della sacramentalità, e coscienti che tale analisi non sarà più possibile dopo l’entrata in vigore del Rescritto ex audientia del 7 dicembre 2015115 il quale ha disposto che la Rota giudichi secondo l’antica formula generica del dubbio, è possibile individuare tre fasi di evoluzione della giurisprudenza rotale in merito a tale capo di nullità: una prima che giunge sino agli anni ’80 del secolo scorso allorché si iniziò a teorizzare l’autonomia del capo della simulazione parziale circa la dignità sacramentale, una seconda che comprende le cause che hanno specificamente concordato il capo dell’esclusione della sacramentalità sino alle Allocuzioni del Pontefice alla Rota del 2001 e del 2003, ed infine la terza fase, successiva a dette Allocuzioni, comprendente le sentenze ancora inedite.

Rinviando ad altri scritti l’analisi delle prime due periodizzazioni116, trattiamo in questa sede sinteticamente della prima giurisprudenza inerente all’esclusione della sacramentalità successiva al Codice del 1983, per concentrare poi l’attenzione su quella successiva al 2001, ovvero successiva alle Allocuzioni alla Rota di Giovanni Paolo II del 2001 e 2003 le quali, unitamente al suo magistero, erano intervenute in merito al rapporto intercorrente tra fede e sacramento del matrimonio con accenti caratterizzati da una qualche definitività.

6.1.- La prima giurisprudenza che ammise l’autonomia della fattispecie La prima evoluzione giurisprudenziale circa il capo di nullità dell’esclusione della dignità

sacramentale è inizialmente avvenuta (sino al 1988) attraverso le parti in diritto di sentenze dedicate ad altri capi di nullità, le quali presentavano fattispecie di sostanziale ateismo delle parti. Così avvenne in due decisioni che fecero scuola in merito al nostro dibattuto capo: le c. Serrano del 18 aprile 1986 e del 1 giugno 1990117. In entrambe le decisioni il matrimonio è accusato per simulazione totale, ed entrambe richiedono ancora il presupposto della prevalenza dell’intenzione escludente118.

Il primo caso è quello di un convinto aderente al Partito Comunista Italiano ideologicamente avverso alla Chiesa e mediatamente alla sacramentalità. Il problema che si affronta è quello teologico dell’intenzione sacramentale del nubente. E’ allora qui che Serrano insiste -con un tratto peculiare della sua giurisprudenza- circa il carattere del matrimonio quale sacramento della maturità cristiana, al quale occorrerebbe fossero applicati i parametri che si è usi utilizzare quando si celebra il battesimo degli adulti. E’ interessante verificare che una decisione c. Pinto del 28 giugno 1971119 relativa all’intenzione sacramentale nel battesimo degli adulti, venga citata per giungere a conclusioni opposte ripetto quelle della c. De Angelis del 10. 03. 2006120. Se dunque il carattere

113 P. GASPARRI, Tractatus canonicus de matrimonio, Romae 1932, p. 86, n. 907. 114 Sul punto dell’inquadramento concettuale della definizione del Gasparri, cfr. G. BERTOLINI, Intenzione coniugale e

sacramentalità, vol. I, Il dibattito contemporaneo, Padova 2008, pp. 91 ss. Sul problema dell’inquadramento dell’esclusione della sacramentalità quale ipotesi di simulazione totale o condizione de praesenti impossibilis, o error recidens in condicionem sine qua non, cfr. ID., Intenzione coniugale e sacramentalità, vol. II, Approfondimenti e riflessioni, Padova 2008, pp. 261 ss.

115 Rescritto ex audientia sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale, 7 dicembre 2015, in L’Osservatore Romano, 12 dicembre 2015, p. 8

116 Cfr. G. BERTOLINI, La simulazione totale tra esclusione del bonum coniugum e della sacramentalità, in Aa. Vv., La giurisprudenza della Rota Romana sul consenso matrimoniale (1908-2008), pp. 133-157; M. GAS AIXENDRI, E’ possibile un matrimonio valido senza la fede?, in H. FRANCESCHI, M.A. ORTIZ (a cura di) Ius et matrimonum, Roma 2015, pp. 152-156.

117 Cfr. c. Serrano 18. 04. 1986, in RRDec. LXXVIII, p. 287-298; c. Serrano 01. 06. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 431-445.

118 “Facilius igitur hodie perspicitur ‘praevalens’, sicut dici solet de caeteris matrimonii essentialibus, ita et sacramentalitatis exclusio, quae induceret inanitatem ritus, qui unus ad nubendum adhibitur” (c. Serrano 18. 04. 1986, in RRDec. LXXVIII, p 291, n. 6).

119 cfr. in RRDec. LXIII, p. 596, n. 14). 120 “Quamobrem -et etiam sub respectu ‘maturitatis christianae’ ad quam matrimonium pertinet, nec ad solam

‘initiationem’ fidelis maiorem attentionem et considerationem mererentur illa quae de baptismo adultorum merito

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battesimale non impedisce un atto conscio contro la fede, altrettanto non dovrebbe impedire un atto conscio contro il sacramento e quindi “del patto nuziale in quanto è sacro”121.

All’Uditore Ponente non sfuggono talune difficoltà, neppure quelle legate alla manifestata volontà -da parte del presunto simulante- di assumere doveri almeno conformi al matrimonio civile, oppure la difficoltà circostanziale rappresentata dalla lunga convivenza coniugale e dalla generata prole, ma Serrano sembra ritenere sufficiente, quale causa simulandi, la radicata convinzione avversa alla Chiesa, ribadendo che l’assunzione di alcune obbligazioni, in presenza dell’esclusione della sacramentalità, sia da valutare quale assunzione di officia non “ex matrimonio” -vale a dire diritti ed obblighi che vengono definiti “iura aliorum”- che sussistono anche nelle altre fattispecie di esclusione parziale122.

Nella successiva decisione c. Serrano del 1 giugno 1990 risultano ulteriormente identificati la materia e forma esclusivamente sacramentali con la serietà, la maturità, la sincerità, la dualità interpersonale, a sostenere, dunque, che se il sacramento è celebrato per mera forma, esso già esplicita carenza di tale sincerità, maturità, serietà e dunque dell’essenza coniugale. Questa tesi potrebbe condurre a sostenere che non vi possa essere una donazione di sé piena e sincera pur in deficienza di fede. Riflettendo difatti sulla dottrina tradizionale, Serrano pare criticarla: “Nescio an tali argumentandi ratione semper satisfiat necessitati adducendi ‘materiam et formam’ sacramentalem, quae a subiectis-ministris ponendae sunt, actu personali et interpersonali, consentiendo nempe humano modo in conscium ritum sacrum, antequam Christus in ordine salutis mysterium christianum una cum illis conficiat”123.

Il problema pare dunque esser racchiuso nell’identificazione del matrimonio con l’actus non tanto humanus, bensì “actus christianus”124. Tale impostazione implicitamente ammette la distinzione tra natura e sopranatura e tra la sostanza del matrimonio di diritto naturale e quello sacramentale.

Sebbene dunque Serrano prenda posizione a favore della sacramentalità quale proprietà125, più fondatamente occorre verificare la distinzione chiaramente operata nell’esposta tesi tra il matrimonio cristiano ed il coniugio di diritto naturale, quasi a quest’ultimo fossero stati aggiunti

quandoque adnotantur. Sic circa impedimentum disparitatis cultus scite admonet una coram Pinto … cf. ARRT Dec., in una diei 28 iunii 1971, vol. LXIII (1971), 595-597: doctrina ibi exposita, auctores et Iurisprudentia multum intersunt ad Nostra; etiam quasi a fortiori” (c. Serrano 18. 04. 1986, in RRDec. LXXVIII, p. 291, n. 5); cfr. c. De Angelis 10. 03. 2006, in Ius Ecclesiae 20 (2008) 128, n. 7, cfr. infra, nota n. 240 e n. 241.

121 “Agnoscendum quidem est ante susceptum baptismum -et inde ut dispositio ad eiusdem receptionem- nihil adesse in nomine ordinis supernaturalis -etiamsi ‘vocatio ad fidem’, ni fallor, iam gratia sit et initium iustificationis quoddam-: et baptizatum etiam excludentem ‘sacramentalitatem’ matrimonii in seipso quid sacrum -characterem baptismalem- secum ferre ad nuptias: at sicut character baptismalis non impedit actum ‘conscium’ adversus fidem; ita, si hic habeatur, character non impediret deliberatam exclusionem sacramenti et inde ‘foederis qua sacri’” (c. Serrano 18. 04. 1986, cit., p. 291, n. 6).

122 “officia autem, quae pertinent ad imaginem ‘institutionalem’ matrimonii, a charactere sacro etiam aliena … possent etiam a ficto nubente suscipi et evolvi, quin significent veram ac sinceram obligationem ‘ex matrimonio’. Uti dictum est, susceptio alicuius obligationis -ad instar illorum casuum in quibus exclusio proprietatis matrimonii non significat fictio totalis foederis- non necessario secum fert susceptionem matrimonii. Dantur revera quasi ‘iura aliorum’, quae officia gignunt etiam a respuente matrimonium in quacumque exclusionis specie” (ibid., p. 297, 298, n. 16).

123 C. Serrano 1. 6. 1990, cit., p. 438, n. 12. 124 “Ad analogiam cum illis prius allatis, sicut nec matrimonium nec ipsius exclusionem quis adipisci potest per ‘actionem

hominis’ cum utrumque requirere videatur ‘actus humanus’ quin et ‘personalis’; ita non decet actum sanctissimum fieri per ‘actionem christiani’ cum exigat ‘actum christianum’ et quidem religionis et cultus” (l. cit.).

125 Si sottolinea l’equiparazione operata dallo stesso legislatore tra le proprietà e la sacramentalità nel can. 1099: “uti patet, ‘sacramentalitas’ non dicitur ‘essentia’ matrimonii sed ipsi essentiae necessario inhaerens; ergo uti proprietas. Iam age quidquid est de distinctione re inter diversas exclusionis species -totalem, partialem- exclusio uniuscuiusque proprietatis semper admisit tractationem seorsim sumptam; quin et quandoque ab exclusione totali diversa et, uti patet, subordinata. Et etiam si quis praecise ‘sacramentalitatem’, seu ‘dignitatem’ -uti patet, matrimonii- sacramentalem velit habere nescio quam ‘notam’ qualitative diversam a proprietatibus, iam loquutio hodierni can.1101, §2 sineret, ac cogeret, dicere talem ‘sacramentalitatem’ elementum essentiale matrimonii christiani. Ipsamet lex positiva agens de errore -can. 1099- omnino aequiparat ‘errorem circa matrimonii unitatem vel indissolubilitatem’ ad errorem circa ‘sacramentalem dignitatem’ cum iisdem effectibus in irritando connubio, dum determinet voluntatem” (ibid., p. 437, n. 10).

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elementi e proprietà a seguito dell’elevazione: “impraesentiarum possibilitas subiective distinguendi inter sacramentalitatem matrimonii cristiani et naturale connubium non adeo remota habenda est”126.

Aperta la strada alla separata investigazione della dimensione volitiva dei nubenti relativamente alla sola sopracreaturalità del coniugio, cominciò dunque, a partire da una c. Boccafola del 15 febbraio 1988127a trattarsi in Rota l’esclusione della sacramentalità quale capo di nullità autonomo ed ipotesi di simulazione parziale per esclusione di una proprietà o di un elemento essenziale del coniugio, che permise l’applicazione dell’istituto giusta il dettato del can. 1101, §2.

Sino ad oggi, su trenta sentenze complessive o decreti che nella parte in diritto hanno trattato dell’autonomia del capo di nullità128, venticinque hanno giudicato specificamente per simulazione circa la sacramentalità.

126 L. cit. 127 Cfr. c. Boccafola 15. 2. 1988, in RRDec. LXXX, p. 87-92. L’iter giudiziale durò ben 7 anni, di cui 4 Turni rotali; si

concluse con un sentenza affermativa per simulazione totale. 128 Cfr. -c. Serrano 18. 4. 1986, in RRDec. LXXVIII, p. 287-298 (simulazione totale, ma parte in iure dimostra

l’autonomia del capo, come proprietà essenziale, affermativa); -c. Boccafola 15. 2. 1988, in RRDec. LXXX, p. 87-92 (prima sentenza a giudicare per capo autonomo, come elemento

essenziale, negativa); -c. Bruno 26. 2. 1988, in RRDec. LXXX, p. 166-171 (ratifica per simulazione totale, ma la parte in iure è dedicata

all’autonomia del capo, come elemento essenziale); -decr. c. Bruno 24. 2. 1989, in RRDecreta VII, p. 33 (conformità tra l’errore di diritto sulla dignità sacramentale e la

simulazione totale, ma si ribadisce l’autonomia del capo, come elemento essenziale); -c. Corso 30. 5. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 431-445 (capo autonomo, conferma della c. Boccafola del 15. 2. 1988 e

dunque negativa, ma con aggiunta del capo della simulazione totale tamquam in I instantia); -c. Serrano 1. 6. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 431-445 (simulazione totale, ma parte in iure dedicata all’autonomia del

capo, come proprietà essenziale, affermativa); -c. Jarawan 16. 10. 1991 in RRDec. LXXXIII, p. 546-553, (simulazione totale, di riforma della precedente, affermativa); -c. Pompedda 16. 1. 1995, in RRDec. LXXXVII, p. 1-9 (capo autonomo, come elemento essenziale, negativa); -c. Caberletti 27. 11. 1998, in RRDec. XC, p. 808-823 (capo autonomo, non prende posizione su elemento o proprietà,

negativa); -c. Defilippi 10. 11. 1999 Reg. Latii seu Reatina, in A. 126/99 (capo autonomo, come proprietà essenziale, negativa); -c. Turnaturi 18. 4. 2002 Scepusien., in A. 43/02 (capo autonomo, ma parte in diritto sulla dottrina tradizionale

dell’esclusione del matrimonium ipsum e prevalenza dell’esclusione della sacramentalità), affermativa; -c. Caberletti 24. 10. 2003, Bratislavien-Tyrnavien., in A. 96/03 (capo autonomo, non prende posizione su elemento o

proprietà), negativa; -c. Boccafola 6. 5. 2004 Brunen., in A. 49/04, (capo autonomo, come elemento essenziale) negativa; -c. Stankiewicz 27. 2. 2004 Apuli seu Melphiten, in A. 25/04 (capo autonomo, sostiene non essere la sacramentalità né

elemento essenziale, né proprietà, negativa); -c. Huber 6. 4. 2005 Pragen., in A. 37/05 (capo autonomo ma pare indicare che il capo più corretto sarebbe quello della

simulazione totale, sostiene non essere la sacramentalità né elemento né proprietà, negativa); -c. Turnaturi 21. 7. 2005 Flaminii deu Ferrarien., in A. 87/05 (capo autonomo, ma parte in diritto propone dottrina

dell’intenzione prevalente, anche se si avvertono contaminazioni di varie dottrine, favorevoli anche all’autonomia dell’errore sulla sacramentalità; negativa sull’esclusione della sacramentalità, affermativa su quella della indissolubilità);

- c. De Angelis, Reg. Triveneti seu Veronen. 10. 03. 2006, in A. 28/06 (capo autonomo, ma interpretazione dell’esclusione come ipotesi di simulazione totale; richiede il requisito della prevalenza dell’intenzione escludente, negativa);

- c. Bottone, Montisvidei 12. 05. 2006, in A. 56/06 (capo autonomo, ma interpretazione dell’esclusione come ipotesi di simulazione totale, concorda anche per errore determinante sulla sacramentalità; negativa ad utrumque);

- c. Pinto, Neosolien 19.10.2007, in A. 118/2007 (negativa); altro capo: esclusione dell’indissolubilità (negativa); - c. Yaacoub, 28.11.2007, in RRDec., vol. XCIX, p. 328-335 (negativa); altro capo: esclusione dell’indissolubilità

(negativa); - c. Huber, Sancti Sebastiani Fluminis Ianuarii 29.4.2008, in A. 75/2008 (negativa), altri capi: defectus discretionis

iudicii, simulatio totalis et exclusio boni sacramenti (negative ad omnia); - c. Verginelli, 20.2.2009, RRDec., vol. CI, p. 18-25 (negativa); - c. Boccafola, Ianuen 25.6.2009, in A. 83/2009 (negativa); - c. Erlebach, Bratislavien.-Tyrnavien 5.11.2009, in A. 141/2009 (negativa); altro capo: exclusio boni sacramenti; - c. Boccafola, 11.12.2009, RRDec., vol. CI, p. 345-354 (negativa);

TESTO PROVVISORIO

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Di queste sentenze, in gran parte ancora inedite, una sola è affermativa: la c. Turnaturi del 18 aprile 2002129, la cui parte in diritto tuttavia, è dedicata a dimostrare la necessità della prevalenza dell’intenzione escludente il matrimonium ipsum. Si trattava di un matrimonio canonico successivo a quello civile. E’ ritenuta sufficiente la pervicace avversione al sacro ed alla celebrazione canonica descritta dalla convenuta, pretesa escludente, quale “male necessario”, per dichiarare la nullità ex simulatione partiali, pur essendo attestato il battesimo dei figli e pur essendo durato il matrimonio quindici anni.

Tra queste sentenze ve ne sono infine tre (la c. De Angelis 10 marzo 2006130, la c. Bottone 12 maggio 2006131 e la c. McKay 25.10.2011,) che, benché abbiano concordato il capo della simulazione circa la sacramentalità quale fattispecie autonoma, tuttavia lo interpretano quale ipotesi di simulazione totale132.

Occorre inoltre aggiungere, per completezza, che incontriamo anche quattro sentenze che hanno concordato autonomamente il dubbio per error determinans in sacramentalitatem133. Accenno anche all’error iuris (cfr. can. 1099) giacché il capo di nullità, sebbene concordato come autonomo, nelle parti in diritto di queste sentenze non sempre è ben chiaramente distinto dall’esclusione simulatoria, nella quale l’errore refluirebbe -è affermato, con l’eccezione della citata c. Bottone 12 maggio 2006- allorché fosse, appunto, determinante la volontà134. Anche tutte queste decisioni sono negative.

Analizzando tra queste sentenze quelle precedenti alle Allocuzioni alla Rota del 2001 o del 2003, l’autonomia del capo della simulazione parziale sulla sacramentalità è stata convintamente sostenuta fondandosi su presupposti dottrinali, antropologici, giuridici e teologici assai dissimili: dal

- c. Defilippi, Tranen.-Barolen.-Vigilien. 23.2.2011, in A. 31/2011 (negativa); altro capo: exclusio boni prolis

(affermativa); - c. Defilippi 30.3.2011, in A. 59/2011 (negativa); altro capo: exclusio boni sacramenti (affermativa); - c. McKay 25.10.2011, in A. 142/2011 (negativa); altri capi: exclusio boni sacramenti et prolis (negative ad omnia); - c. Bottone, Florentina 27.11.2012, in A. 169/2012 (negativa), altro capo: exclusio boni sacramenti (affermativa;) - c. Monier 14.12.2012, A. 188/2012 (negativa); altro capo: exclusio boni sacramenti (negativa). 129 Cfr. c. Turnaturi 18. 04. 2002, in A. 43/02. 130 Cfr. c. De Angelis 10. 03. 2006, in A. 28/06. 131 Cfr. c. Bottone 12. 05. 2006, in A. 56/06. 132 “Idem defectus [della fede] autem humum constituit in quo facilius oriri potest exclusio vel ipsius matrimonii, vel

frequentius boni sacramenti vel etiam, rarius, sacramentalis dignitatis, cum nemo censetur excludere quod minimi facit. Cum quaestio venit de exclusa dignitate sacramentali matrimonii, probari debet voluntas praevalens contrahentis qui excludere sacramentum intendit, quoad substantiam volens dicere: ‘Contraho tecum, sed nolo sacramentum, et si sacramentum fieret tunc nolo matrimonium’” (c. De Angelis 10. 03. 2006, cit., n. 8, 9). “memorandum est excludere sacramentalem dignitatem idem esse ac escludere ipsius matrimonium quia ‘inter baptizatos nequit matrimonialis contractus validus consistere quin sit eo ipso sacramentum’” (c. Bottone 12. 05. 2006, cit., n. 8).

133 Cfr. c. Giannecchini 14. 6. 1988, in RRDec. LXXX, p. 388-399; c. Giannecchini 18. 12. 1996, in Monitor Ecclesiasticus 123 (1998) 560-591: in Ius Ecclesiae 13 (2001) 108-122; c. Sable, Reg. Prov. Mediterraneae seu Nicen. 17. 05. 2001, in A. 49/01; c. Bottone, Montisvidei 12. 05. 2006, in A.56/06.

134 Tali conclusioni sono invero parzialmente riferibili anche alla sentenza c. Bottone citata, che pare concedere più all’autonomia del capo ed all’invincibilità dell’errore: “quoad errorem circa sacramentalitatem quae, nisi ignoretur, tantum actu voluntatis excludi potest, probandum esset errorem contrahentem a sacramentalitate tantum adversum affecisse ut cum illa matrimonium non contraxisset atque illud, ab eodem contractum matrimonium, natura vel substantia, re diversum extare ab illo quod externe manifestaverat” (c. Bottone 12. 05. 2006, p. 6, n. 7). Sulla rilevanza dell’errore di diritto ove refluente in simulazione: “Attamen, si quis, quoad sacramentalem dignitatem versatur in errore ‘determinante voluntatem’, perspecta saltem aliquo modo doctrina catholica de sacramentalitate matrimonii, hanc omnino reicit, iam ad directam et consciam exclusionem devenire potest, ad mentem can. 1101, §2 CIC. Hoc in casu erronea doctrina, radicata in ipsa mente nubentis, saltem tamquam adaequata ‘causa simulandi’ haberi potest. Nam. N. F. iurisprudentia pacifice semper admisit causam simulationis inveniri posse in ipsa malitia contrahentis” (c. Defilippi 10. 11. 1999, in A. 126/99, n. 9).

Altre sentenze che argomentano invece dell’autonomia concettuale dell’errore di diritto sulla sacramentalità o che succintamente ammettono il capo quale autonomo (cfr. can. 1099): c. Stankiewicz 29. 01. 1981, in RRDec. LXXIII, pp. 44-76; c. Stankiewicz 29. 04. 1972, in RRDec. LXXIV, pp. 245-254; c. Stankiewicz 25. 04. 1991, in RRDec. LXXXIII, pp. 280-290; c. Boccafola 15. 02. 1988, in RRDec. LXXX, p. 89, n. 5; c. Boccafola 06. 05. 2004, in A. 49/04, n. 9; c. Corso 30. 05. 1990, in RRDec. LXXXII, pp. 431-445; c. Turnaturi 18. 04. 2002, in A. 43/02, n. 15; c. Turnaturi 21. 07. 2005, in A. 87/05, n. 20; c. McKay 04. 02. 2005, in Ius Ecclesiae 18 (2006) 162-175, n. 5.

TESTO PROVVISORIO

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semplice inquadramento tecnico della sacramentalità entro i parametri delle proprietà135oppure degli elementi136essenziali, all’analisi psicologica della volontà semplicemente avversa alla dignità sacramentale alla prospettazione maggiormente teologica afferente la retta intenzione di chi amministra -o riceve- questo peculiare sacramento137, per non tacere dell’influsso di istanze pastoraliste che soprattutto negli anni ’80 hanno avuto ampia eco giurisprudenziale ed hanno tenuto conto anche della dimensione ecclesiale eventualmente rifiutata da parte dei nubenti.

Fattispecie fondate su fatti giuridici simili (come ad esempio quella di un matrimonio canonico celebrato dopo quello civile per compiacere la comparte o i genitori138) sono così state decise in forza di presupposti divergenti. Identiche considerazioni valgano a proposito di fattispecie che presentavano soggetti avversi ideologicamente alla Chiesa, casi di matrimoni misti139, casi di soggetti che in assenza di fede ricevono il battesimo prima delle nozze.

In modo altrettanto non univoco nella parte in diritto si evidenzia il riferimento al matrimonio di diritto naturale, talora ritenuto materia e forma sufficiente per dar vita ad un valido coniugio140, talaltra essenza non sufficiente in ragione della positiva avversione alla Chiesa, o al sacro, o alla

135 Cfr. c. Serrano 18. 4. 1986, in RRDec. LXXVIII, p. 287-298; c. Serrano 1. 6. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 431-445; c. Defilippi 10. 11. 1999, in A. 126/99.

136 Cfr. c. Boccafola 15. 2. 1988, in RRDec. LXXX, p. 87-92; c. Corso 30. 5. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 431-445; c. Jarawan 16. 10. 1991, in RRDec. LXXXIII, p. 546-553. Queste tre decisioni sono relative alla medesima causa, trattata in Turni successivi. Sempre relativamente alla sacramentalità trattata quale elemento essenziale, cfr. c. Huot 10. 11. 1987, in RRDec. LXXIX, p. 626, n. 14; c. Bruno 26. 2. 1988, in RRDec. LXXX, p. 166-171; decr. c. Bruno 24. 2. 1989, in RRDecreta VII, p. 33: in Il Diritto Ecclesiastico 100/II (1989) 14-21; c. Pompedda 16. 1. 1995, in RRDec. LXXXVII, p. 1-9. “Iam supra diximus simulationem partialem ob exclusionem sacramentalis dignitatis certe proponi posse tamquam caput autonomum ideoque in casu etiam non probatae simulationis totalis proponi et probari posse” (c. Corso 30. 05. 1990, in RRDec. LXXXII, p. 425, n. 26).

Pur in presenza della materia coniugale naturale viene ritenuta irritante l’esclusione della sacramentalità quale elemento essenziale in un c. Huot del 10 novembre 1987: “Si quis attamen matrimonium celebrare statuit, quamdam huiusmodi essentialem proprietatem ipsamve sacramentalitatem actu positivo voluntatis excludens, invalide contrahit etiamsi verum consensum praebere reputet (cf. can. 1101, § 2). Quo in casu ‘simulare’ minime intendit contrahens sed essentiale elementum tollit, vacuum ita (etsi inscie) efficiens contractum” (c. Huot 10. 11. 1987, in RRDec. LXXIX, p. 623, 624, n. 8).

Altre sentenze sul punto criticano aprtamente la giurisprudenza tradizionale e ritengono che l’esclusione della sacramentalità non possa affatto identificarsi con un’ipotesi di simulazione totale: “Matrimonium inter baptizatos a Christo Domino evectum est ad dignitatem sacramenti, quod est elementum essentiale instituto naturali matrimonii additum ut signum efficax supernaturalis gratiae coniugibus concessae. Proinde inter baptizatos validum matrimonium existere nequit, quin sit eodem tempore sacramentum, et quidem independenter a contrahentium voluntate (cf. can. 1055 § 2). Si quis ideo solam dignitatem sacramentalem respuere intendit, assumere proponens omnes essentiales proprietates et finem matrimonii, uti naturalis instituti, per se non excludit ipsum matrimonium, quod revera vult, sed tantum elementum essentiale baptizatorum matrimonio adiectum, scilicet sacramentalitatem. Propterea eius coniugium irritum evadit non ob totalem simulationem seu ob defectum consensus, sed tantum ob simulationem partialem, i.e. ob exclusum elementum essentiale e baptizatorum matrimonio” (c. Bruno 26. 02. 1988, in RRDec. LXXX, p. 167, n. 3).

137 Cfr. le due c. Serrano 18. 04. 1986 e 01.06. 1990, cit., cfr. supra, nota n. 174 e 175 ed infra, nota n. 240 e n. 241; sempre giurisprudenza sulla sacramentalità che richiede l’intenzione sacramentale interna: “Ceterum, ad sacramentum recipiendum vel ‘conficiendum’ seu administrandum, intentio saltem faciendi quod vult Christus et Ecclesia requiritur (Summ. Th., III, 64, 8 et 10). Quodsi, ritum externum perficiens, interne renitat quis facere quod vult Christus Dominus vel Ecclesia, sacramentum invalide tunc administrat vel recipit ac invalide proinde matrimonium contrahit. ‘Qui sacramentum negat, inanem ritum illud tenens, incapax est sacramentum volendi. Nam, ut ait S. Thomas, appetibile non movet appetitum nisi in quantum est apprehensum (Summ. Th., I, q. 80, a. 2, ad 1um). Quodsi ille, tantummodo ut ad contrahendum admittatur, nudam coeremoniam vult, minime dici potest intendere illum suscipere baptismum sicut Christus instituit, et sicut tradit Ecclesia. Christus enim non inanem ritum instituit sed signum efficax spiritualis regenerationis’ (coram Pinto, diei 28 iunii 1971, in ARRT Dec., 1971, p. 596). Revera, uti communiter tenetur, ‘minor intentio in sacramenti subiecto quam in ministro requiritur’. Et prae oculis semper habere debemus ipsos matrimonium contrahentes sacramenti ministros esse. Quae in citata sententia coram Pinto asseruntur ‘a fortiori’ exinde et de matrimonii sacramento affirmari valent (cf. unam coram Serrano, diei 18 aprilis 1986, Prot. n. 14.000, ad 5, in finem)” (c. Huot 10. 11. 1987, in RRDec. LXXIX., p. 625, n. 12).

138 Cfr. c. Filipiak 14. 06. 1957, in RRDec. XLIX, p. 490-494; c. Masala 20. 11. 1969, in RRDec. LXI, p. 1034, n. 4; c. Serrano 01. 06. 1990, in RRDec. LXXVIII, p. 431-445; c. Turnaturi, Scepusien., 18. 04. 2002, in A. 43/02.

139 Cfr. c. Pompedda 16. 01. 1995, in RRDec.LXXXVII, pp. 1-9. 140 Cfr. c. Burke 23. 06. 1987, in RRDec. LXXIX, p. 393-397; c. Burke 02. 05. 1991, in RRDec. LXXXIII, p. 291-302; c.

Burke 18. 05. 1995, in RRDec. LXXXVII, p. 291-303.

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fede141. Differente è il peso conferito alle dichiarazioni delle parti che pur in assenza di fede asseriscono di aver comunque voluto un matrimonio unico, fecondo ed indissolubile.

Altrettanto discordante appare il riferimento alla prevalenza dell’intenzione escludente, ora richiesta142, ora del tutto pretermessa, a rendere sufficiente la mera simulazione per semplice atto di volontà di esclusione della dimensione sacra143.

Al requisito del vestigium fidei144, aderendo all’una o all’altra scuola, all’uno o all’altro documento del magistero o della Commissione Teologica Internazionale145, si attribuisce dissimile ruolo e peso nella formazione del consenso sacramentale e/o contrattuale e nella formazione della recta intentio dei nubenti che rimane ancora nel suo contenuto da ben definirsi146.

141 Cfr. supra, nota 183, la già citata giurisprudenza favorevole ad inquadrare l’esclusione della sacramentalità quale

ipotesi di simulazione parziale. 142 Cfr. c. Masala 20. 11. 1969, in RRDec. LXI, p. 1032-1040; c. Pompedda 9. 5. 1970, in RRDec. LXII, p. 475-481, c.

Fiore 17. 7. 1973, in RRDec. LXV, p. 591-599; c. Bejan 21. 11 1973, in RRDec. LXV, p. 774-783; c. De Jorio 23. 4. 1975, in RRDec. LXVII, p. 351-358; c. Stankiewicz 29. 1. 1981, in RRDec. LXXIII, p. 44-56; c. Ragni 13. 5. 1981, in RRDec. LXXIII, p. 248-258; c. Burke 23. 6. 1987, in RRDec. LXXIX, p. 393-397; c. Burke 2. 5. 1991, in RRDec. LXXXIII, p. 291-302 ; c. Burke 18. 5. 1995, in RRDec. LXXXVII, p. 291-303; c. Turnaturi, Scepusien. 18. 4. 2002, in A. 43/02; c. Turnaturi, Flaminii seu Ferrarien., 21. 7. 05, in A. 87/05; c. De Angelis Reg. Triveneti seu Veronen. 10. 3. 2006, in A. 28/06.

143 “In casu, igitur, nullitatis matrimonii accusati ob dignitatem sacramentalem positive et scienter exsclusam, validitas, vel minus, consensus matrimonialis determinatur eisdem principiis atque probationibus ac de simulatione consensus seu de elemento essentiali matrimonii excluso” (c. Boccafola 15. 02. 1988, in RRDec. LXXX, p. 89, n. 4; e corrispondentemente nella parte in facto: “Patres, ergo, censent nullomodo ex actis patere partem conventam exclusisse actu positivo voluntatis proprietatem essentialem (indissolubilitatem) aut elementum essentiale matrimonii (uti haberi debet dignitas sacramentalis)” (ibid., p. 91, n. 10). E recentemente, al proposito: “duplus haberi potest modus excludendi matrimonii sacramentalitatem, scilicet positivo voluntatis actu absoluto et praevalenti vel voluntatis actu simplici tantum” (c. Stankiewicz 27. 02. 2004, in Periodica 97 [2008] 520, n. 14).

144 Anche all’interno delle medesime ponenze la rilevanza della fede è valutata in modo oscillante: “Ad validum contrahendum matrimonium fides necessaria non est, sed unus consensus. Quapropter, quoties sponsi baptizati omnia, quae iure naturae necessaria sunt, ponunt legitima forma, vinculum indissolubile et ipsum sacramentum fit. Quod quidem non a fide contrahentium nec ab eorum voluntate, sed a voluntate Christi pendet. Inter christianos etenim contractus dari non potest quin eo ipso conficiatur sacramentum” (c. Pompedda 16. 01. 1995, in RRDec. LXXXVII, p. 3, n. 6), ove in latro luogo, anche di pubblicazioni scientifiche, si affermava: “Ed in questa prospettiva ritengo che ci si debba allontanare anche dalla più autorevole giurispudenza rotale, che in una sentenza coram Staffa … Tale argomentazione, emblematica ed indicativa per la comune dottrina espressa in molte sentenze della Rota, trova infatti il suo punto discutibile laddove trascura la rilevanza diretta dell'errore sull'oggetto della volontà: e la mancanza di fede è appunto, sul piano giuridico, cioè tradotta in termini di consenso-intenzione matrimoniale, una situazione di errore ed esattamente su elemento essenziale dell'oggetto del patto coniugale, fra due battezzati” (M. F. POMPEDDA, Fede e sacramento del matrimonio. Mancanza di fede econsenso matrimoniale: aspetti giuridici, in Quaderni Studio Rotale, II, p. 58 ss.).

Il problema del vestigium fidei è analizzato anche dalla giurisprudenza c. Stankiewicz che non ha specificamente concordato il capo dell’esclusione parziale della sacramentalità (cfr. c. Stankiewicz 29. 04. 1982, in RRDec LXXIV, pp. 245-254, giudicante circa la simulazione totale di un vir sessantottinus, ove si sostiene che la fede di per sé non è necessaria ad amministrare e ricevere il matrimonio; tuttavia gli sposi in quanto ministri debbono possedere almeno l’intentio generalis faciendi poiché, secondo le proposizioni di un documento della Commissione Teologica Internazionale pubblicato 1977 (cfr. COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, De matrimonio christiano, in Enchiridion Vaticanum VI, Bologna 1980, pp. 370-397: in Gregorianum [1978] 453-464) l’intenzione nasce e si nutre di fede. La fede tuttavia conosce vari gradi e richiederla potrebbe, secondo Familiaris consortio, introdurre gravi discriminazioni. Viene comunque ribadita l’illiceità dell’ammissione alle nozze di coloro che abbiano rigettato la fede. La sentenza è affermativa. Sulla stessa linea cfr. anche c. Stankiewicz 19. 05. 1988, in RRDec. LXXX, pp. 323-334, capo concordato: simulazione parziale sull’indissolubilità.

145 Cfr. COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, De matrimonio christiano, in Enchiridion Vaticanum VI, Bologna 1980, cit.

146 La problematica permane tutt’oggi; basti considerare in proposito i dissimili riferimenti ancora esistenti nella giurisprudenza inedita, ad esempio, tra la c. Huber del 06. 04. 2005 che esplicitamente richiede il vestigium fidei e le c. Turnaturi del 21. 07. 2005 o la c. De Angelis del 10. 03. 2006 che lo negano (cfr. infra, §§ 15.1 e 15. 2). Il problema è e rimane teologico, vale a dire riguarda l’interpretazione dell’oggetto dell’intenzione sacramentale matrimoniale. Cfr. anche A. STANKIEWICZ, Iurisprudentia rotalis circa simulationem totalem et partialem, in Monitor Ecclesiasticus 122 (1997) 427-430.

TESTO PROVVISORIO

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Le decisioni citate, dunque, paiono accomunate dalla maggioritaria accettazione dell’autonomia del capo della simulazione parziale, irritante per atto di esclusione semplice, che in questa periodizzazione storica trova fondamento nella generica convinzione che la volontà dei nubenti abbia comunque la facoltà di poter impedire il sorgere di un valido vincolo sacramentale, nel momento in cui escluda la dimensione sacra, legata da rapporto di inseparabilità con quella naturale, ma comunque configurante una dimensione essenziale del coniugio distinta da quella naturale. Resta il fatto che tutte le sentenze, sino all’isolato caso della c. Turnaturi del 18 aprole 2002147, statuiscono sempre negativamente al dubbio di causa.

6.2.- Incidenza delle Allocuzioni del Pontefice alla Rota sulla giurisprudenza più recente Nel delineato quadro giurisprudenziale, a partire dal 2001 si sono calate le supra analizzate

Allocuzioni del Pontefice alla Rota che hanno affrontato direttamente il problema del rapporto tra dimensione naturale del coniugio e sacramentalità dello stesso, tra natura e sopranatura di questo peculiare sacramento, preesistente la Redenzione.

La giurisprudenza immediatamente successiva, anche non direttamente afferente al notro tema, comincia a recepire il contenuto di quelle Allocuzioni perlomeno come canone ermeneutico.

Una sentenza c. Sciacca del 28 novembre 2003148, ad esempio, decisa negativamente per simulazione totale e parziale circa bonum prolis, ma con una fattispecie che indirettamente poteva indurre argomentazioni contigue all’istituto dell’esclusione del matrimonio sacramento in quanto considerato dai nubenti vacuum ritum, con chiarezza descrive la materia coniugale naturale come necessaria e sufficiente a celebrare un valido matrimonio, nonché indica nelle Allocuzioni del Pontefice alla Rota le fonti dottrinali che hanno messo fine a dubbi e perplessità ingenerate da minime suadibiles decisiones: “Jure vero naturali, nihil aliud ad coniugalis contractus essentiam requiritur, nisi ‘actus volontatis quo vir et mulier sese mutuo tradunt et accipiunt ad constituendum matrimonium’ (can. 1057, §2). Hoc tantum simpliciter necesse, idque sufficit. … Clara sane quidem patet ad hoc sana recepta doctrina; firmiter hoc N.S.F. iurisprudentia hucusque tenuit, nonnullis revera exclusis paucissimis, immo minime suadibilibus Decisionibus; ad hoc effulget RR. Pontificum Magisterium usque ad sollemnem Allocutionem coram Nobis Praelatis Auditoribus nuperrime a Summo Pontifice prolatam (die 31 ian. 2003), ex qua, semel et pro semper, dubitationes, perplexitates, ambages, inanitates, licet immo iurisprudentiales -quoad s.d. sacramentalitatis exclusionem- fugantur atque fuganda profecto sunt”149.

Le delineate conclusioni si sarebbero potute porre, in conformità con il magistero, a chiusura della sofferta vicenda giurisprudenziale dei capi di nullità direttamente o indirettamente collegati all’avversione (erronea o escludente) circa la sacramentalità.

Dall’analisi svolta circa le recenti sentenze ancora inedite successive alle citate Allocuzioni alla Rota, invece, per talune ponenze pare doversi ammettere l’oramai pacifica configurabilità dell’autonomia del capo tanto della simulazione parziale circa la dignità sacramentale, quanto quello dell’errore determinante, pur nella diversa loro interpretazione.

Altre ponenze, invece, sempre nel medesimo periodo, ragionando anche sul piano squisitamente teologico dell’intenzione sacramentale richiesta, si pongono su dissimile posizione, accogliendo semmai l’istituto tradizionale -si è già anticipato- della simulazione totale, ma comunque sancendo l’irrilevanza del vestigium fidei, statuendo la parificazione tra l’intenzione naturale e quella sacramentale, ed aderendo infine ad un’interpretazione stretta del principio di identità contratto-sacramento.

147 Cfr. c. Turnaturi 18. 04. 2002, in A. 43/02. 148 Cfr. c. Sciacca 28. 11. 03, in A. 117/03. 149 Ibid., n. 13.

TESTO PROVVISORIO

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6.2.- Ammissibilità della simulazione parziale nella giurisprudenza più recente Quanto alla giurisprudenza che ammette la simulazione parziale, non può essere taciuta

l’importanza della decisione c. Stankiewicz Decano del 27 febbraio 2004150atteso il corposo apparato in diritto e considerato l’ufficio decanale rivestito dal Ponente.

Il Decano pare sgombrare il campo da residui dubbi circa l’ammissibilità dell’autonomia del capo tanto della simulazione parziale circa la sacramentalità, quanto dell’errore determinante, trattati come entrambi accoglibili: “haec principia potissimum valent in iudiciali aestimatione ac definitione voluntatis sive positivo actu excludentis sacramentum matrimonii (cf. can. 1101, § 2), sive determinatae ab errore circa matrimonii dignitatem sacramentalem (cf. can. 1099), id est quando antedictae facultatis volitivae deliberationes tamquam autonoma nullitatis capita in iudicio delineantur et pertractantur”151.

Il caso è quello delle nozze contratte tra l’attrice e la comparte convintamente atea, aderente ad un partito di estrema sinistra ed acceduta alle nozze canoniche su insistenza della donna e dei propri genitori.

Risulta di grande momento verificare che l’autonomia del capo della simulazione circa la sacramentalità è pienamente ammessa, tanto nella declinazione del positivo, assoluto e prevalente atto escludente, quanto anche nella forma del semplice atto di volontà di reiezione della dimensione sacra del vincolo, non richiedendosi dunque più la prevalenza dell’intenzione escludente: “duplus haberi potest modus excludendi matrimonii sacramentalitatem, scilicet positivo voluntatis actu absoluto et praevalenti vel voluntatis actu simplici tantum”152. La richiesta del requisito della prevalenza dell’intenzione escludente viene riferito alla dottrina di Gasparri e di Cappello e dunque alla giurisprudenza tradizionale relativa alla simulazione totale mentre, a dimostrare il fondamento dell’interpretazione più recente a proposito del semplice atto di volontà, viene citata la giurisprudenza c. Burke, Bruno, Caberletti, Defilippi, Turnaturi153. La giustificazione dell’autonomia del capo non procede tuttavia sui medesimi binari argomentativi delle citate sentenze e delle relative parti in diritto, ma succintamente si fonda sul principio dell’inscindibilità tra contratto e sacramento, così che, si sostiene, allorché con positivo atto di volontà si escludesse la sacramentalità, non si porrebbe validamente l’oggetto del consenso, perché non si può consentire circa altro matrimonio se non quello sacramentale154.

La sentenza affonta il problema dell’incidenza della fede nella formazione del consenso. Potrebbe apparire che il Ponente intendesse dimostrare che per contrarre valido matrimonio debba sussistere almeno un qualche vestigium fidei operante quale obbedienza alla verità155. Le successive citazioni delle Allocuzioni del Pontefice alla Rota del 2001 e 2003, tuttavia, specificamente nei passaggi in cui viene indicata come erronea la richiesta di un’intenzione arricchita dalla fede, riconducono il problema dell’individuazione della retta intenzione necessaria e sufficiente a celebrare valido matrimonio (espressione utilizzata in Familiaris consortio156e difformemente

150 Cfr. c. Stankiewicz 27. 02. 2004, in A. 25/04: in Periodica 97 (2008) 507-540. 151 Ibid., n. 13. 152 Ibid., n. 14. 153 Sebbene le citate sentenze, come suesposto, non ci paiono tutte ammettere l’effetto irritante dell’atto di volontà

semplice; sono citate difatti: c. Burke 23. 06. 1987, in RRDec. LXXIX, p. 395, n. 2; c. Bruno 26. 02. 1988, in RRDec. LXXX, p. 168, n. 3; c. Caberletti 27. 11. 1998, in RRDec. XC, p. 814, n. 4; c. Defilippi 10. 11. 1999, in RRDec. XCI, p. 651, n. 9; c. Turnaturi 18. 04. 2002, Scepusien., in A. 43/02.

154 “Efficacia autem canonico-iuridica talis exclusionis consequitur ex eo quod inter baptizatos nullum aliud haberi potest validum matrimonium, nisi dignitate sacramentali exornatum (can. 1055, §2). Si quis igitur positivo voluntatis actu sacramenti rationem excludat, obiectum consensus vacuum inaneque reddit, quia valide consentire nequit in aliud coniugium nisi sacramentale tantum” (c. Stankiewicz 27. 02. 2004, in A. 25/04, n. 15, p. 11).

155 “In hac autem personali dispositione, acceptandi nempe absque ulla limitatione et restrictione Dei consilium de matrimonio, saltem implicite inest aliquod vestigium fidei, quae tamquam ‘oboedientia fidei’ operatur … Etenim, secus ac fides theologalis intelligitur tamquam ‘habitus mentis qua inchoatur vita aeterna in nobis, faciens intellectum assentire non apparentibus’ (S. Thomae Aq. Summa Theologiae, II-II, q. 4, a. 1) … Nam ‘in fide oboedire (ob-audire) est se libere audito submittere verbo, quia eius veritas a Deo, qui ipsa veritas est, praestatur’ (Catechismus Catholicae Ecclesiae, Libreria Editrice Vaticana 1997, n. 144, p. 44)” (c. Stankiewicz 27. 02. 2004, in A. 25/04, n. 10, p. 8).

156 Cfr. Familiaris consortio, in AAS 74 (1982) 164.

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interpretata in dottrina), tanto da far asserire al Decano che richiedere requisiti intenzionali o di fede ulteriori quelli richiesti dal diritto naturale, induce a funesti e perniciosi equivoci157.

A contraddire poi la possibile eccezione relativa all’ammissione, pacifica, dei nubenti non perfettamente disposti nella fede -cosicché non si comprenderebbe come potesse essere ammesso colui del quale a priori si conoscesse l’invalidità dell’atto del consenso- il Ponente conclude distinguendo tra l’ammissione alle nozze dei non perfecte dispositi, e l’eventuale rigetto della ratio sacramenti: solo quest’ultima è irritante il consenso poiché si configura come rigetto del vincolo coniugale così come istituito da Dio158. Viene dunque operata una significativa e netta separazione tra il problema della fede (non ritenuta rilevante in sé) ed il problema dell’esclusione simulatoria.

Nella parte in fatto si insiste sull’assenza di confessione giudiziale del simulante, il quale dichiara di aver accettato il matrimonio religioso come “uno, indissolubile, ordinato alla procreazione ed all’educazione dei figli. Accettavo il matrimonio come sacramento nel senso che si rimane legati per sempre”159. La sottolineatura della presenza dell’essenza naturale pare così maggiormente derivare dalle categorie giuridiche contenute nelle Allocuzioni alla Rota del 2001 e 2003 e forse dalla giurisprudenza c. Burke, piuttosto che dalle deduzioni della giurisprudenza più recente che ha ammesso l’autonomia del capo.

La domanda è rigettata perché, pur essendo l’autonomia del capo accolta ed il relativo schema probatorio utilizzato, a nostro avviso pare che nella lettura degli atti di causa maggiore incidenza abbiano aver avuto le recenti interpretazioni restrittive refluite dalle Allocuzioni pontificie citate a proposito della necessità, ai fini della dichiarazione della nullità, che l’eventuale esclusione della sacramentalità ricada comunque in alterazione della materia coniugale naturale.

Sempre tra le sentenze non ancora edite che ammettono l’autonomia del capo come ipotesi di simulazione parziale troviamo una c. Caberletti del 23 ottobre 2003 relativa ad un matrimonio misto, contratto tra un cattolico ed una donna evangelica, la quale tuttavia riceve il battesimo nella predetta Chiesa solo nell’imminenza delle nozze, indotta dal marito e dal parroco cattolico. E’ evidente dunque perlomeno l’avversione implicita alla Chiesa Cattolica, poiché espressamente la donna dice che se avesse potuto scegliere non si sarebbe sposata con rito cattolico, né avrebbe ricevuto il battesimo prima delle nozze, così riproponendo una fattispecie già differentemente affrontata dalla giurisprudenza160. Non viene più richiesta la prevalenza dell’intenzione simulatoria, e l’ammissione dell’autonomia del capo avviene senza specificazioni in merito all’equiparazione della sacramentalità alle proprietà oppure agli elementi.

E’ interessante verificare che la sentenza mostra piena coscienza dell’indirizzo magisteriale più recente non favorevole alla trattazione dell’esclusione della sacramentalità scissa dall’analisi della sostanza naturale. L’ammissione dell’autonomia del capo è tuttavia sotenuta in forza della distinzione tra dimensione ontologica dell’essenza coniugale e dimensione psicologica dell’oggetto del consenso. Si sostiene che, pur essendo evidente il rapporto ontologico di inseparabilità contratto-sacramento, tuttavia l’uomo può rigettare il dono della grazia, frapponendo un umano obex161. Il problema della sacramentalità andrebbe pertanto affrontato non solo dal punto di vista oggettivo, bensì anche da quello soggettivo: “Sacramenta proinde ‘fidem supponunt’ (Conc. Vat. II, Constitutio de sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 59). Dignitas sacramentalis ergo etiam sub adspectu subiectivo inspicienda est. Nonnumquam enim nupturiens baptizatus ex deliberata

157 “Praeterea memoratae opiniones inducunt quoque funestas ac perniciosas aequivocationes tum in admissione ad

nuptiarum celebrationem, tum in iudicio ferendo de earundem validitate” (c. Stankiewicz 27. 02. 2004, in A. 25/04, n. 12, p. 9).

158 “Nec obstat quod haud perfecte in re fidei dispositus ad celebrationem nuptiarum admitti potest. Hoc enim tunc obvenit, si ille rationem sacramenti non respuat ac recta intentione foedus coniugale a Deo institutum acceptet” (l. cit.).

159 Ibid., n. 17. 160 Cfr. infra, nota n. 241 161 Si cita il Concilio di Trento: “Attento quod per sanctissima Ecclesiae Sacramenta ‘omnis vera iustitia vel incipit, vel

coepta augetur, vel amissa reparatur’ (Conc. Trid., Sessio VII, Decretum de sacramentis, Proemium, Denzinger-Schönmetzer, n. 1600), illa uti donum Christi Redemptoris hominis accipienda sunt, et quidem homo huiusmodi summum donum gratiae respuere audere potest, obicem apponens (cfr. Conc. Trid, … o.c. n. 1606)” (c. Caberletti 23. 10. 2003, in A. 96/03, p. 9, n. 5).

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voluntate depellit a suo matrimonio veritatem sacramenti, quae ex charactere baptismali profluit” 162. E’ in questa guisa che la giurisprudenza rotale -si dice- ha individuato come incapaci di volere e ricevere il sacramento del matrimonio coloro che negano e rigettano con positivo atto della volontà specificamente ciò che la Chiesa intende per matrimonio dei battezzati163.

Nella parte in fatto si osserva tuttavia che non emerge avversione alla Chiesa né al matrimonio canonico, ma semmai una posizione di mera inerzia. Tutto ciò è ritenuto sufficiente per individuare un generico senso del sacro e per escludere l’atto positivo164, con abbondanti riferimenti alla presenza dell’essenza di diritto naturale.

Altrettanto una c. Boccafola del 6 maggio 2004165chiarisce che la dignità sacramentale altro non sia che il vincolo naturale tra battezzati166, che non è necessaria la fede167, che il contratto e sacramento sono legati da vincoli di identità e che l’intenzione per porre un valido sacramento non comporta alcun elemento aggiuntivo168, richiedendosi la mera intenzione esterna di porre un vero vincolo naturale169.

Se dunque è vero che il medesimo Uditore Ponente ammetta comunque che l’atto escludente o l’errore determinante possano avere efficacia irritante170, tuttavia nella parte in fatto la domanda attorea è rigettata ancora una volta a seguito del riscontro, nel caso, della presenza della materia coniugale naturale171.

162 L. cit. 163 Anche in questo caso di indicano quali riferimenti la c. Pinto del 28. 06. 1971, cit. e le due c. Serrano 18. 04. 1986 e

01. 06. 1990, cit. (cfr. supra, nota n. 175). 164 “Causa exclusionis ergo non patet, siquidem mulier aperta erat ad sensum religiosum matrimonii et ad desiderium

mariti: quae duo ad verum matrimonium illam impellebant. Conventa ergo matrimonium voluit, itaque ipsa voluntatem habuit verum contractum ineundi” (ibid., p. 15, 16, n. 8).

165 Cfr. C. Boccafola 06. 05. 2004, in A. 49/04. 166 “apparet quod ‘dignitas sacramentalis’ matrimonii nullum aliud est quam ipsum vinculum naturale inter coniuges

baptizatos, i. e. stabile foedus inter virum ac mulierem ad consortium vitae participandum cum relatione intima sexuali exercenda atque quod prospicitur ad felicitatem ac mutuum adiutorium sponsorum necnon bonum prolis. Est ‘res’ matrimonii quae devenit ‘rem et sacramentum’ apud baptizatos quia coniuges cristiani eorum lavacro baptismali iam in Christo inserti ac iuncti sunt” (ibid., n. 6).

167 “Ex hac identitate inter foedus naturale ac sacramentum sequitur quod validitas vel invaliditas matrimonii sacramentalis determinatur iisdem argumentis ac principiis quae existentiam vel non-existentiam naturalis foederis seu contracti humani demonstrant. Nam quoties sponsi baptizati legitima forma ponunt omnia, quae iure naturae necessaria sunt, tum vinculum indissolubile tum ipsum sacramentum fit. Quod quidem non a fide contrahentium seu ab eorum voluntate, sed a voluntate Christi pendet. Nam, qui vult matrimonium, vult aliquid a Deo, ope legis naturae, institutum. Qua re, nubens qui verum matrimonium vult, implicite etiam omnia elementa essentialia, dignitatem sacramentalem inclusam, necnon proprietates matrimonii vult” (ibid., n. 7).

168 “Vera fides viva semper in nupturientibus christiani fovenda ac speranda esset, cum constituat causam dispositivam ac fructuosam ac gratiae plenam receptionem sacramenti, tamen secundum principia exposita, haud esset res necessaria pro valida celebratione nuptiarum” (ibid., n. 7).

169 “Revera nec etiam factum quod theologia sacramentalis requirit ut minister sacramenti necessarie habeat intentionem ‘faciendi id quod facit ecclesia’ difficultatem causat, si quidem, iuxta principia exposita, Ecclesia tantummodo vult ac requirit ut nupturientes verum matrimonium, i. e. naturale foedus coniugale cum omnibus proprietatibus essentialibus, inire consentiant” (Ibid., n. 7).

170 “a) ad errorem de matrimoniali dignitate sacramentali determinantem voluntatem de quo in can. 1099, quia autem cum simulatione confundi nequit. Sane, can. 1099 praesentat alteram factispeciem qua error circa dignitatem sacramentalem vitiare consensum matrimonialem possit, dummodo talis error sit error determinans voluntatem. Simplex error, id est, error qui in intellectu remanet et qui haud actum voluntatis elicit, minime consensum matrimonialem vere influit vel vitiat; b) ad totalem consensus simulationem, ad quam iurisprudentia tralaticia matrimonii sacramentalitatis exclusionem semper redigit (c. Giannecchini 14. 6. 1988, DEC. 80, p. 393, n. 5; c. De Jorio, diei 23 aprilis 1975 DEC 67, p. 353, n. 4; coram Fiore diei 17 julii 1973 DEC 65, p. 592, n.4); c) ad simulationem partialem, quoniam sacramentalitas (ex prospectu psychologico, etsi minime vero in sensu ontologico quia sacramentalis dignitas identica sit cum ipso pacto nuptiali) habetur tamquam una e proprietatibus vel unum ex elementis essentialibus matrimonii (c. Bruno diei 26 februarii 1988 DEC 80, p. 93, n.3)” (c. Boccafola 06. 05. 04 Brunen., in A. 49/04, p. 6, n. 9); sottolineato originale.

171 “Inde si quidem nupturiens inire verum naturale pactum nuptiale velit, ad dignitatem sacramentalem etiam apprehendam nihil adiunctum suo consensui matrimoniali naturali addere debet; oportet tantum ut ponat verum consensum matrimonialem. Sequitur deinde fidem necessariam non esse, sed unum consensum” (Ibid., n. 10).

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Troviamo il caso di un matrimonio canonico celebrato a lunga distanza dalle nozze civili (fattispecie sovente presente nelle cause relative all’esclusione della sacramentalità) in una c. Huber del 6 aprile 2005172. E’ detto esplicitamente che la sacramentalità non può affatto essere considerata né elemento essenziale poiché non contenuta nell’essenza coniugale descritta al can. 1096, né proprietà essenziale perché non enumerata nel can. 1056173, così mettendo in discussione la maggioranza della giurisprudenza contemporanea che sull’identificazione della sacramentalità con gli elementi o le proprietà aveva giustificato il ricorso all’istituto della simulazione parziale.

L’ammissione dell’autonomia del capo è tuttavia argomentata sempre in forza della distinzione tra ontologica identità contratto-sacramento e psicologica distinzione tra le due dimensioni del coniugio: “Etsi sub aspectu ontologico contractus et sacramentum separari nequeunt, sub aspectu psychologico separatio possibilis est ‘quando quis animum suum in matrimonium revera vertit, sed intendit matrimonium sacramentalitate orbatum’ (c. Burke decisio diei 23 iunii 1987, LXXIX, p. 394, n. 2). Nemo est, qui non videat heic exclusionem dignitatis sacramentalis sub formalitate simulationis partialis considerari”174.

Al contrario di altre sentenze, viene in questo caso individuato un nesso diretto tra fede ed intenzione coniugale: “Ad sacramentum matrimonii constituendum, intentio requiritur faciendi quod facit Ecclesia. Huiusmodi intentio est condicio minima, ut consensus actum humanus fiat. Etsi quaestio de intentione separari potest a fide personali contrahentium, tamen intentio et fides personalis totaliter seiungi non possunt”175. Non vengono citate le Allocuzioni del Pontefice alla Rota sul punto.

Anche in questo caso pare tuttavia che la risposta negativa al dubbio di causa sia avvenuta in forza di un ruolo sostanziale rivestito dal riscontro dell’intenzione coniugale naturale minimale, rinnovata nella celebrazione canonica di convalidazione del precedente consenso espresso in forma civile176.

E’ negativa anche una c. Turnaturi del 21 luglio 2005. Trattasi del caso di assenza di fede radicale in una donna, dalla piena e cosciente convinzione anche filosofica avversa al sacro, alla fede cattolica, specificamente alla sacramentalità del matrimonio, alla forma canonica accettata solo per imposizione del marito, così che non sfugge allo stesso Ponente che: “hoc in contextu, neminem latet, sermonem fieri posse quoque de simulatione totali, quatenus conventa, ob suam sententiam, matrimonium in facie Ecclesiae pro forma tantum admisit acceptavitque”177.

L’Uditore Ponente sembra escludere decisamente la necessità del vestigium fidei ai fini della validità sacramentale del matrimonio: “Magisterio adhaerens constanter vel haud semel nostra iurisprudentia edixit statuitque ad valide contrahendum matrimonium sufficere consensum non requiri fidem”178.

Viene ribadito il requisito della prevalenza dell’intenzione escludente179e nessuna citazione è rivolta alle Allocuzioni alla Rota del 2001 e 2003.

172 Cfr. c. Huber 06. 04. 2005, in A. 37/05. 173 “Dignitas sacramentalis non est elementum matrimonii essentiale, quia in can. 1096, §1 non recensetur. Neque

adnumeratur proprietatibus essentialibus matrimonii, quae sunt ‘unitas et indissolubilitas quae in matrimonio christiano ratione sacramenti peculiarem obtinent firmitatem’ (can. 1056)” (ibid., n. 3, p. 3)

174 Ibid., n. 4, p. 4. 175 Ibid., n. 5, p. 5. 176 “Actori obiciendum est neque oppositionem celebrandi nuptias in facie Ecclesiae neque recusationem preparationis

praenuptialis impedimentum constituere, ne intentio verum matrimonium ineundi eliciatur” (ibid., n. 9, p. 7). 177 c. Turnaturi, Flaminii seu Ferrarien. – Comaclen., 21. 7. 2005, in A. 87/05, n. 37. 178 C. Turnaturi 21. 7. 2005, in A. 87/05, p. 9, n. 14. L’affermazione della non necessità, per il matrimonio, di

un’intenzione specificamente sacramentale, viene ulteriormente suffragata, ad evidenziare il radicamento della convinzione, con citazioni della sentenza c. Staffa del 5 agosto 1949, di una c. Pompedda del 9 maggio 1970, una c. Giannecchini del 15 febbraio 1988, una c. Stankiewicz del 25 aprile 1991 ed infine dell’edizione postcodiciale del Gasparri, di Burke e di Viladrich.

179 “existit cum praevaleat voluntas excludendi ipsum contractum si hic secumferret notam sacramentalitatis, eo quia heic intentio vertit principaliter in sacramentalitatem eo sensu quod extaret voluntas non contrahendi si contractus secumferret connaturalem dignitatem sacramentalem: praevalet potius voluntas contra sacramentum quae par est

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Il dispositivo decide affermativamente per il solo capo dell’esclusione dell’indissolubilità, coerente con la convinzione circa l’irrilevanza dell’assenza di fede ove questa non alteri la sostanza naturale del patto.

Le recentissime decisioni ancora inedite non paiono mostrare univocità interpretativa, ma l’ammissibilità del capo ormai è data per pacifica, ed invero registra l’estensione dei casi potenzialmente rientranti nella fattispecie irritante, benché nessuna sentenza sia poi affermativa. A dimostrare, tuttavia, la prossimità dell’esclusione della dignità sacra con le proprietà naturali, stanno capi di nullità solitamente concordati assieme alla nostra fattispecie simulatoria, e solitamente afferenti alla indissolubilità.

In una c. Erlebach del 5 novembre 2009180, ad esempio, pare delinearsi, al fine di integrare la fattispecie della simulazione parziale circa la sacramentalità, la sufficienza della volizione di un matrimonio meramente naturale, orbato della sua dimensione sacramentale, così non richiedendosi il requisito della prevalenza dell’intenzione escludente, ma la sufficienza della simulazione implicita, che assume tratti della simulazione presunta: “in casu exclusionis dignitatis sacramentalis quis directe excludere potest sacramentum vel solummodo indirecte, plerumque implicite, si contrahere conatur exclusive matrimonium in sua dimensione naturali, orbatum scilicet dimensione sacramentali”.

Infine, una c. Monier del 14 dicembre 2012181, se da un lato si ribadisce che, giusta la consolidata giurisprudenza della Rota la rilavanza della fede ai fini della validità sia addirittura “nulla” (“Defectus fidei iuxta consolidatam Iurisprudentiam Nostri Fori nullum momentum habet relata ad validitatem vel minus sacramenti”) nondimeno si ammette l’effetto irritante del positivo atto escludente, nuovamente richiesto con il requisito della prevalenza: “Ut nullitas matrimonii declarari possit necesse videtur in casu positivus et praevalens voluntatis actus quacum nubens excludat sacramentum et, si contractus pro baptizatis sit eo ipso sacramentum, et contractum nolit”.

6.3.- Ammissibilità dell’autonomia del capo dell’esclusione della sacramentalità ma quale

ipotesi di simulazione totale nella giurisprudenza più recente Quanto alla giurisprudenza che invece pare confutare l’ipotesi dell’effetto irritante

dell’esclusione della sola realtà sopracreaturale, è da rilevare l’approfondito studio teologico presente in una c. De Angelis del 10 marzo 2006182, degna di nota poiché, oltre a richiedere il requisito della prevalenza dell’intenzione nella stretta accezione gasparriana183, oltre ad ammettere, come già detto, l’autonomia del capo dell’esclusione della sacramentalità ma quale ipotesi di simulazione totale, affronta il problema dal punto di vista dell’intenzione del ministro e del suscipiente il matrimonio. La digressione si rendeva necessaria poiché ancora una volta ci si trovava innanzi ad una fattispecie di assenza di fede conclamata e di recezione passiva del battesimo avvenuta prima delle nozze, in modo addirittura derisorio nei confronti del sacramento.

Dal punto di vista dell’intenzione del ministro il discorso è condotto con riferimenti alla teoria dell’intentio generalis nell’accezione dell’intenzione esterna184, mentre dal punto di vista del

destruendi ipsam contrahendi voluntatem: voluntas non contrahendi potius quam contrahendi sacramentaliter” (c. Turnaturi, Flaminii seu Ferrarien, 21. 7. 05, in A. 87/05, p. 13, n. 19).

180 Cfr. c. Erlebach 5. 11.2009, in A. 141/2009. 181 Cfr. c. Monier 14. 12. 2012, in A. 188/2012. 182 Cfr. c. De Angelis 10. 03. 2006, in A. 28/06: in Ius Ecclesiae 20 (2008) 125-133. 183 “probari debet voluntas praevalens contrahentis qui excludere sacramentum intendit, quoad substantiam volens dicere:

‘contraho tecum, sed nolo sacramentum et si sacramentum fieret tunc nolo matrimonium’” (c. De Angelis 10. 03. 2006, cit., n. 8).

184 Significativo l’esempio portato a spiegazione dell’intenzione generale esterna: “Visitator qui in extremis finibus terrae cum aborigenis partem habet in sacra saltatione, certo nullum momentum illi tribuit pro salute suae animae, potius sollicitus est de relatione photografica facienda; attamen vere intendit morem gerere aborigenis, partem cum eis habere in ritu sacro. Eadem ratione contrahens qui materialem tantum universum considerat existentem, nihil cogitans de anima spirituali, cum ad nuptias canonicas accedit nullum momentum ritui tribuit salute animae; sed vere intendit facere quod facit Ecclesia” (ibid., n. 6).

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suscipiente sono operate analogie con l’intenzione sacramentale nel battesimo degli adulti185. La conclusione, per il matrimonio, va nel senso di considerare la validità del sacramento in presenza dell’intentio minima, che “non est intentio conficiendi et recipienti novae legis sacramentum sed tantum intentio faciendi coniugale pactum”186.

Non può esser taciuto che la decisione c. De Angelis ora commentata, unitamente alle citate c. Sciacca del 28 novembre 2003, a lunghi incisi della c. Boccafola del 6 maggio 2004, oltre a significativi passaggi della suriferita giurisprudenza c. Turnaturi nonché della decisione c. Bottone del 12 maggio 2006187, decisamente interrompano non già un’uniformità giurisprudenziale invero non ancora raggiunta, bensì un generico indirizzo che era stato mostrato dalla giurisprudenza più recente almeno relativamente all’ammissibilità del capo autonomo della simulazione parziale circa la sacramentalità, per avvicinarsi invece a quanto prospettato in epoca contemporanea dal magistero relativo alla dimensione naturale o primordiale del coniugio.

Tentando di rintracciare dunque elementi di recente indirizzo giurisprudenziale, mi è parso di poter riscontare una sempre più diffusa e pacifica accettazione dell’autonomia del capo, d’altronde sempre ricevuto dai precedenti gradi di giudizio.

Solo isolate voci paiono insistere sulla nulla rilevanza della fede ai fini della formazione del consenso, risultando invece una convergenza, seppure assai frastagliata (e sovente senza precisazione di quale tipo fede o di intenzione si tratti) verso l’ammissione che l’assenza di fede sia almeno una causa simulandi remota o prossima.

In tutte le sentenze, aderenti a qualsiasi indirizzo dottrinale, è tuttavia rilevabile una generale e sempre crescente attenzione, conformemente al magistero più recente, alla sostanza coniugale di diritto naturale. Le categorie della metafisica della natura, sono ancora pienamente utilizzate almeno quale liguaggio condiviso. Molte decisioni che giudicano per esclusione sulla sacramentalità intesa quale ipotesi di simulazione parziale, difatti, pur formalmente utilizzando lo schema probatorio della simulazione, e pur conferendo all’assenza di fede un dissimile ruolo, sostanzialmente nella parte in facto rivolgono anch’esse prioritaria attenzione all’indagine relativa alla materia sacramentale naturale, in forza della quale la domanda attorea è così sempre rigettata.

Si ritiene pertanto che l’attenzione alla obiettiva esistenza o meno della dimensione creaturale, comune alle ultime sentenze, sia tendenza giurisprudenziale da cogliere, e da sviluppare, in quanto ci pare conforme, per gli addotti motivi, ad una corretta impostazione meta-antropologica del matrimonio.

BIBLIOGRAFIA AUTORI188

1.- Contratto e sacramento del matrimonio BAUDOT, D., L'inséparabilité entre le contrat et le sacrement de mariage. La discussionaprès le

Concile Vatican II, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1987. CAFFARRA,C., “Le lien entre mariage-réalité de la création et mariage-sacrement”. (I-II), Esprit et

vie 23-24 (1978) 353-364, 369-384.

185 Al proposito, anche in questa sentenza, dalla fattispecie dunque simile alla c. Caberletti 23. 10. 2003 cit., è citata la c.

Pinto del 28 giugno 1971, la quale sembrava propendere per l’invalidità del matrimonio per disparitas cultus (pur poi statuendo negativamente) a motivo dell’assenza dell’intenzione interna dell’adulto ateo, suscipiente il battesimo prima delle nozze. Già nella sentenza c. Pinto era però citata l’opinione contraria del Gasparri, il quale nel trattato sulla sacra ordinazione sosteneva che “valere baptismum, confirmationem et ordinationem eius qui simulate seu ficte haec sacramenta recipit, quatenus corde dissensit dum ore vel ipso accessu sacramentum postulat” (c. Pinto 28. 6. 1971, n. 15, in c. De Angelis 10. 3. 2006, cit., n. 7).

186 C. De Angelis 10. 03. 2006, in A. 28/06, n. 8. 187 Cfr. c. Bottone 15. 05. 2006, in A. 56/06 che riguarda il caso di due coniugi anziani che celebrarono rito canonico a

lunga distanza da quello civile per desiderio del marito, ma in assenza di fede da parte della moglie. Il Turno valuta la presenza della materia coniugale di diritto naturale e la risposta al dubbio di causa è negativa.

188 Cfr. A. DIRIART, S. SALUCCI (a cura di) Fides, foedu, fidelitas, la fede e il sacramento del matrimonio, Roma 2014, con bibliografia completa alle pp. 143-259.

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