Ricordo Girolomoni - Ceronetti Su La Stampa e Altro

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http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/448129/

CULTURA 28/03/2012 -

Girolomoni, l'uomo che sussurrava all'Alce Nero

Gino Girolomoni, morto d'infarto lo scorso 16 marzo, a 66 anni, è stato il "padre" del biologico italiano e il fondatore della Cooperativa Alce Nero, una delle prime esperienze agrobiologiche del nostro Paese

Un ricordo di Gino Girolomoni, imprenditore verde kantianamente pervaso di legge morale e cielo stellato

GUIDO CERONETTI

Dis Manibus

Ricordare e pensare sono la stessa cosa. Il disusato Memento mori lo traduci benissimo

come «Pensa che sei mortale». Se lo dimentichi sei fuori dal pensiero, perdi il senso

dell’essere al mondo.

L’aver tradotto il libro dei Salmi per Einaudi (prima versione in seguito da me ripudiata,

1967) mi portò in dono tre amicizie intellettuali degne di durare, come fu, nei giorni: Guido

Piovene, che mi recensì con molto favore sulla Stampa, e poi volle incontrarmi a Roma,

dove abitavo, fu la prima. Un cristiano inquieto, cattolico molto atipico, la seconda. Si

trattava di Sergio Quinzio, detestato da Elémire Zolla e da Cristina Campo, altri cari miei

compagni di pellegrinaggi mentali, da tempo nirvanizzati. Quinzio amava il radicale

teologo spretato Ferdinando Tartaglia e aborriva il vegetarianista e pacifista Aldo Capitini,

da cui mi separai quando inventò la marcia della pace col padrinato augurale di un

vitando* come Palmiro Togliatti. Venne a trovarci, mia moglie Erica e me, nella nostra

unica stanza al Nomentano, e fumò ininterrottamente per due o tre ore, parlando di Bibbia

e di Chiesa. Non osai pregarlo di non accumulare le cicche... Io sono un biblista aperto a

tutte le varianti filologiche e d’interpretazione, e ho sempre pensato anche ad altro. Dicevo

di essere cittadino di Gerusatene, ed è così ancora. Per Quinzio la Bibbia era il Libro unico.

Ma per i vecchi rabbini imparare la filosofia dei Greci era come allevare maiali: io non

allevo né mangio maiale, ma senza filosofia greca su quali zampe avrei mai camminato?

Quinzio era quasi esclusivamente carnivoro e muratissimo verso la libertà greca. Lo

attirava l’Israele più abramico e non gli dispiaceva il dogmatismo islamico. Era un po’

Tertulliano e un po’ Léon Bloy; eppure lo gnosticismo dell’Adelphi lo volle e amò tra i suoi

autori, mentre le nostre idee filosofiche sempre più divergevano, e molte nostre lettere tra

1970 e 1990, circa, lo testimoniano.

Pochi mesi dopo il nostro primo incontro, Sergio mi fece conoscere un giovane sindaco

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barbuto di un piccolo paese delle Marche, il quale aveva un sogno: restaurare un

monastero abbandonato in un punto deserto delle Cesane di Urbino, per abitarci con la

famiglia e farne un centro di irradiazione del ruvido cattolicesimo di Quinzio. Aveva pochi

e insufficienti mezzi, ma l’Italia di allora consentiva ancora di avere idee da creatori di

ricchezza all’americana. Il suo nome, in seguito molto noto negli ambienti dell’agricoltura

biologica e della piccola benemerita industria familiare e cooperativa (per molti anni il

marchio oggi celebre del pellerossa al galoppo Alce Nero fu suo) e degli ecologisti di tutta

Europa - era Gino Girolomoni. Era, perché venerdì 16 marzo scorso un blitz fulminante

dell’Angelo nero ha portato via, dal suo monastero e da noi suoi ammiratori e amici, Gino

Girolomoni, e io mi trovo, voce addolorata, a scrivere questo necrologio.

Mi è difficile tracciare un ritratto di un uomo-poliedro, di un uomo ulisside - meno però

radicale del suo maestro Quinzio - come Gino. È stato un imprenditore olivettiano, che si

preoccupava del bene verso chi lavorava per lui o cooperava con lui, e pensava, con la

saggezza che al tempo di Adriano Olivetti non si caratterizzava di urgenza, alla

salvaguardia dell’ambiente e a non peggiorare nutrizionalmente la salute umana.

Applicava, glielo dissi una volta, per dissiparne il tormento di dimenticare l’esigenza del

progresso spirituale con il crescente coinvolgimento nella produzione e nel commercio, la

massima ebraica: «Senza Toràh non c’è farina, senza farina non c’è Toràh» (la legge,

l’insegnamento divino).

Nella sua azienda urbinate la pasta entrava farina e usciva impacchettata, senza un segno

di fumi tossici, pronta a partire per le destinazioni. Nello stesso tempo il rifatto e mai

terminato monastero di Montebello, adattato ad agriturismo di medio comfort, con

prossima locanda di ristoro biologico, e a museo archeologico di reperti, ospitava in ogni

stagione convegni, mostre, teatro, musica - ora con fini pratici, ora religiosi - che gli

procurarono amici come Alex Langer, Ivan Illich, Massimo Cacciari, Vinicio Capossela, e

non so quanti e quanti altri che di là passarono. Per anni collaborò col partito dei Verdi,

insieme con Grazia Francescato e Alfonso Pecoraro Scanio, finché si stancò di quel girare a

vuoto, che ha saziato tutti, tipico della sinistra italiana. In primavera partiva,

abbandonando tutto, per il deserto del Sinai, dove lavorava con la missione di Emanuel

Anati *2 convinti entrambi che il monte delle rivelazioni mosaiche si trovasse ad Har

Harkòm, dove di certo ci furono insediamenti umani, ma gli oracoli non sono che

supposizioni. Quel che conta è non scucirsi di dosso mai un bel sogno. Per me, le

rivelazioni di altro dal Visibile se ne trovano ovunque, e là si raggrumano le nostre

disperate speranze.

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Ora mi domando chi, tra gli eredi e i seguaci, sia in grado in futuro di proseguire l’opera

multiforme di questo ombrosissimo accentratore e monarca di tipo papistico-pacelliano.

Franklin D. Roosevelt rispose una volta a Ludwig: «...Missione? Io? No, nessuno è

insostituibile!» forse, questo vale più per un presidente americano, anche dei più grandi,

che per certi uomini e donne pratici e provvidi, kantianamente pervasi di legge morale e

cielo stellato, che seguono il loro ideale di bene con pertinacia in piccole porzioni di questo

mostruoso pianeta, perfettamente ostile all’uomo e perciò abitato da creature

incessantemente bisognose di soccorso, da vicino o ex Alto. Per uomini come Gino, capo

pellerossa in perpetuo galoppante per le colline tra la rocca sammarinese e il mare di Porto

Recanati.

Noi suoi amici e compagni sempre lo rivedremo così, ostinatamente refrattario a quel che

diciamo scomparire. A lui dedico questi tre magnifici versi di Niccolò Tommaseo:

E il mondo cieco

non saprà di quante vite

era il germe ascoso in te.

* vitando [vi-tàn-do] agg. non com. Da evitare, da sfuggire, da schivare � Scomunicato vitando, nel diritto canonico, persona scomunicata che, per esplicita condanna della Sede Apostolica, deve essere tenuta a distanza dagli altri fedeli Emanuel Anati *2

http://www.harkarkom.com/

“Mount Sinai has been found” http://giacabi.blogspot.it/2012/03/gino-girolomoni.html http://geografiadellasalvezza.blogspot.it/2012/03/ti-ricordiamo-caro-gino-va-in-pace.html http://www.morbegno2020.it/index.php?option=com_content&view=article&id=171&Itemid=141

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Biografia di Gino Girolomoni Gino Girolomoni è nato nel 1946 a Isola del Piano, in provincia di Pesaro-Urbino. Agricoltore biologico dal 1974, è stato sindaco indipendente del suo paese dal 1970 al 1980; ha promosso in quel periodo una serie di iniziative di studio e rivalutazione della cultura contadina. Dal 1975 vive nel trecentesco monastero di Montebello. Nel 1977 fonda insieme a un gruppo di amici la Cooperativa Alce Nero, i cui prodotti sono esportati in tutto il mondo. Nel 1986 è tra i fondatori dell’Associazione Marchigiana Agricoltori Biologici e nel 1996 dell’Associazione Mediterranea AMAB, che conta oggi 13.000 aziende agricole biologiche. Dal 1988 partecipa alla spedizione archeologica di Emmanuel Anati nel Negev israeliano sulle tracce dell’Esodo e del Sinai. Nel 1996 dà vita alla Fondazione Alce Nero nella quale viene trasferita tutta l’attività culturale: mostre, convegni e pubblicazioni. Ha pubblicato “Ritorna la vita sulle colline” (Jaca Book, 1982) “Il Duca di Ventura” (su Federico da Montefeltro, 1984), “Terre, monti e colline!” (Jaca Book, 1992), “Viaggi intorno al Mediterraneo” (MacroEdizioni, 1999), “Alce Nero grida” (Jaca Book, 2002) e “Maccheroni, acqua e farina” (Jaca Book, 2007). Attualmente continua la sua attività di imprenditore bio come titolare dell’Azienda Agricola Montebello. Malgrado il fondamentale contributo di Girolomoni alla nascita del biologico in Italia, risulta riduttivo fermarsi a questo aspetto; apprezziamo soprattutto la sua umanità, il suo essere “contadino”, intellettuale, uomo di fede e attento uomo politico, la capacità di comunicazione attraverso i suoi scritti e ancora la sua capacità di realizzare un sogno, la sua coerenza, la sua forza testarda nel costruirlo e nel tenerlo vivo tra la sua gente, nel cerchio delle sue preziose amicizie, ma anche nell’aprirlo ai contributi di altri compagni di strada e nel diffonderlo in modo efficace e convincente in tutta Italia. Va sottolineato il suo impegno “politico” come giovane amministratore che, trent’anni fa, affiancato da altri coraggiosi, mette in atto un progetto di recupero dei valori della cultura contadina, quindi del territorio all’agricoltura dimenticata, riqualificandola con l’approccio biologico e biodinamico, aprendo un dibattito sul valore del cibo, sulla responsabilità nell’agire le colture, nella gestione consapevole dei terreni e delle sementi, della ricerca scientifica, storica e archeologica, ma soprattutto nella questione etica che le sottende. Il suo “fare biologico” si lega alla bioedilizia, alla diffusione delle energie rinnovabili, al principio di precauzione, al dibattito sull’accanimento terapeutico, alle medicine dolci, alla tutela della biodiversità, alla lotta agli OGM e alla brevettabilità degli organismi, al commercio equo e solidale, alla correttezza nei rapporti di lavoro, alla finanza etica e al Mediterraneo, sul quale si apre sempre più l’orizzonte di Alce Nero.

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Ci ha lasciato l’invito alla “disobbedienza” agli imperativi consumistici del mercato, a scegliere, a riappropriarci delle nostre tradizioni, della nostra capacità di sognare, di progettare e di fare (il pane, l’orto, la casa, il lavoro, la comunità, il territorio…) passando dall’analisi di un bisogno elementare come quello di alimentarsi, mettendoci consapevolezza, passione, responsabilità e attenzione all’ambiente e soprattutto al futuro dei nostri figli.

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da: http://www.montebellobio.it/pagina.asp?pag=894 UN INFARTO HA UCCISO GINO GIROLOMONI il malore, la corsa all’ospedale di Fossombrone e il tragico epilogo, aveva 65 anni IL RESTO DEL CARLINO 17 MARZO 2012 Gino Girolomoni è morto all’ospedale di Fossombrone ieri mattina poco prima di mezzogiorno.

Aveva 65 anni. “Io ero in riunione al Comune di Motefelcino – racconta ancora piuttosto scosso

il sindaco di Isola del Piano Giuseppe Paolini – e ho avuto la notizia della scomparsa di Gino da

mio fratello, che a sua volta l’aveva saputa da uno dei figli di Gino, Samuele, era mezzogiorno e

cinque…”.

Girolomoni si era sentito male una mezz’ora prima, verso le 11,30, a Isola del Piano, mentre

con la figlia Maria si occupava delle solite incombenze relative alla Locanda Alce Nero,che

dista più o meno duecento metri dal monastero di Montebello, dove Girolomoni abitava con

Maria e il figlio più grande, Samuele. Girolomoni stava preparando un convegno sulla

risurrezione di Lazzaro, in programma oggi al monastero di Montebello e di cui egli stesso

avrebbe dovuto parlare.

Il malore, un forte dolore al petto, ha indotto Maria e il padre ad affrettarsi verso l’ospedale di

Fossombrone, più o meno a mezz’ora di macchina da Isola del Piano. Quando padre e figlia

sono finalmente arrivati al Pronto Soccorso, i sanitari non hanno nemmeno avuto il tempo di

prestare le prime cure, perché Girolomoni, che pure si era diretto all’ingresso dell’ospedale con

le sue gambe, si è accasciato proprio nel mentre un inserviente stava venendogli incontro con

una sedia a rotelle.

Un infarto fulminante non ha lasciato scampo al fondatore di Alce Nero, Girolomoni, come

ricorda il sindaco Paolini, non aveva alle spalle una storia di malattie di cuore.

Ricorda ancora il sindaco di Isola: “Sono ancora scioccato da questo lutto, che è arrivato del

tutto inaspettato e quindi è ancor più sconvolgente. Gino era ancora attivissimo alla guida della

cooperativa Alce Nero, in particolare per tutto quanto riguardava la parte culturale. Ieri stava

preparando gli ultimi preparativi per un convegno che si sarebbe tenuto oggi a Montebello, uno

dei tanti incontri che Alce Nero (ma sul piano commerciale dal 2004 il marchio era diventato

‘Montebello’ ndr) in questi anni ha dedicato alla memoria di Sergio Quinzio”.

Gino Girolomoni, che dal 1970 al 1980 era stato anche sindaco di Isola, lascia i tre figli

Samuele, 37 anni, Giovanni Battista, 27, e Maria, 23. tutti e tre lavorano nell’Alce Nero.

L’amata moglie Tullia se n’era andata un anno e mezzo fa per un tumore al pancreas.

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I funerali che si svolgeranno domani alle 15 al monastero di Montebello, saranno officiati da

don Sandro De Angeli, vicario generale della diocesi di Urbino. Oggi e domani mattina, chi

vorrà potrà rendere omaggio alla salma nella camera ardente allestita al monastero. La salma

sarà tumulata nel cimitero di Isola del Piano.

OGGI AVREBBE DOVUTO PARLARE DELLA RISURREZIONE DI LAZZARO.

CONTADINO DI DIO CHE COLTIVAVA I VALORI DELLA TERRA

Gino Girolomoni, il contadino di dio. Gino il profeta della terra, il difensore dei valori che una

zolla può contenere, dei suoi profumi, della sua essenza. Gino il padre del biologico in Italia,

l’eremita di Montebello, l’imprenditor rurale conosciuto in tutto il mondo, dal Giappone

all’America, l’uomo delle scommesse impossibili vinte con la forza della Provvidenza, il

ricercatore. “Gli Ogm, la clonazione, la brevett5abilità delle forme viventi: siamo al delirio di

onnipotenza”, il suo manifesto di richiamo a Dio. Gino Girolomoni era nato a Isola del Piano.

Dai primi anni ’70 aveva preso in comodato il monastero di Montebello, che frequentava con la

moglie Tullia e col teologo e filosofo Sergio Quinzio. Qui, nella pace dei ruderi da risollevare,

avrebbe fatto crescere la sua splendida famiglia. Montebello diventa un luogo di respiro

culturale e spirituale. Un laboratorio di idee. Dall’estate del 1972 Gino vi invita i giovani di

Isola del Piano ponendo loro un interrogativo: Perché l’abbandono delle campagne? Da quella

domanda nasce l’associazione culturale ‘La crina’ che riattiva alcuni telai a Isola e valorizza la

civiltà contadina con mostre e incontri fra intellettuali e realtà contadina a cui parteciparono

personalità del calibro di Carlo Bo, Paolo Volponi, Guido Ceronetti, Fausto Belfiore. Nasce

l’idea di tornare a coltivare la terra, nel 1977, nasce la cooperativa Alce Nero.

La svolta negli anni ’80, quando la Rapunzel, leader tedesca del biologico, arriva a Montebello

e commissiona ad Alce Nero la pasta a suo marchio. Un successo italiano ed europeo. “Gino

promuoveva la pasta, il primo a produrla bio in Italia, e io a venderla dietro di lui”, ricorda

ancora il sindaco Giuseppe Paolini. Si aprono anche i mercati degli Stati Uniti, del Giappone, in

Israele, Francia e Svizzera. Nel 1986 viene costruito il pastificio, l’unico, ancora oggi, che

lavora solo ed esclusivamente farine di provenienza biologica.

Nel 2004 la decisione di cedere il marchio alla Coop col marchio Corticella. Si riparte con

marchio Montebello, con la Rapunzel e partner giapponesi, americani, francesi. Nel frattempo

Gino fonda Mediterraneo, la rivista di agricoltura biologica, biodinamica, di ambiente,

biodiversità, energia alternativa ma anche di fiolosofia, di teologia, di poesia e di cultura, a cui

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collaborano tra gli altri, Guido Ceronetti, Gianni Tamino, Emmanuel Anati, Giorgio Fornoni

(collaboratore di Report Rai-tre), Piero Stefani, Giannozzo Pucci e con scritti di Ivan Illich,

Sergio Quinzio, Josè Bovè. La ricerca della verità e di Dio lo porta con l’archeologo Emmanuel

Anati nel deserto del Negev in Israele, a scoprire il vero monte Sinai e poi, appena l’anno

scorso, a Efeso, nella casa di Maria di Magdala, in Turchia. Assieme e Paolini e a Paolo

Pagnoni, docente dell’Alberghiero Santa Marta di Pesaro, stava lavorando a ‘Corto e mangiato’,

festival del cinema e del cibo. Oggi Gino avrebbe tentato di fare luce sulla vita di Lazzaro dopo

la Risurrezione. Un mistero che ha finalmente scoperto.

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Per Gino Girolomoni

(1946 – 2012)

Si doveva salire sulla collina di Montebello per parlare di Lazzaro uscito dalla propria tomba a motivo di una voce che lo chiamava di nuovo alla vita. Quella parola imperativa non si accontentò della risurrezione dell’ultimo giorno: voleva essere fin da ora vita. Per farlo occorse che qualcuno togliesse la pietra dal sepolcro. Quando fu sciolto dal sonno della morte, Lazzaro rimase ancora avvolto da bende, il sudario era ancora steso sul suo volto. Altro sarebbe avvenuto a Pasqua. Nella notte la pietra si smosse senza intervento umano e al mattino Pietro e l’altro discepolo scorsero i teli a terra e il sudario ripiegato a parte. Videro il vuoto e credettero.

La pienezza di chi ha il potere di offrire la propria vita e di riprenderla non è ancora visibile. Anche quando ci tocca nell’intimo, la sua parola non ci pone tuttora al riparo dal tributo da pagare alla morte. Crediamo che in lui ci sia la vita, ma anche quando ci fa rivivere sperimentiamo in noi la morte. Lazzaro rianimato è lasciato andare per il cammino di un’esistenza destinata a finire di nuovo nel sepolcro. Il mattino di Pasqua non sfolgorò a Betania.

Non siamo saliti sulla collina. Non siamo andati là dove, dopo l’abbandono, era tornata la vita grazie a un umano operare rivolto alle zolle, alle pietre e ai mattoni. Non siamo giunti ai luoghi in cui l’agricoltura e la produzione biologiche resero possibile consolidare il monastero e riedificare una chiesa, ridotta a muri traballanti, per renderla scrigno di memorie e luogo di benedizione di giovani nozze.

Come è avvenuto per Tullia, anche ora lassù la morte ha colpito. Per la sua sposa fu lenta e logorante, per Gino rapida e inattesa. L’ha colto nella immediata vigilia della giornata dedicata a parlare di risurrezione in ricordo di Sergio Quinzio, l’amico e il maestro che piantò nell’animo di Gino la convinzione profonda che se i morti non risorgono vana è la nostra fede. Continuiamo a crederlo, anche in memoria di loro e anche per il pezzo delle nostre vite sceso con loro nel sepolcro.

Piero Stefani

http://[email protected]/