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1-2004 / 1 Medicina riabilitativa: specificità, radici, contesto di Luigi Tesio [email protected] Questo numero di Ricerca in Riabilita- zione propone un articolo di anatomia fun- zionale (la vascolarizzazione del midollo spinale); due articoli di fisiologia (il control- lo dei movimenti associati mano-piede e della deglutizione), e un articolo di terapia farmacologica (farmaci antidepressivi e ic- tus cerebrale). Tutto fuorché Riabilitazione? La Medicina Fisica e Riabilitativa non è riducibile al solo esercizio terapeutico motorio (spesso impropriamente definito fisioterapia) ma nemmeno la si può consi- derare un’appendice generica di qualsiasi altra branca specialistica, laddove si renda utile una componente di esercizio (cogniti- vo, motorio, respiratorio e via esercitando). Altrove 1-2 ho suggerito che la sua spe- cificità stia nella simultaneità di scopo riabi- litativo e di mezzo fisico. Per “fisico”, se- condo l’etimologia greca fìsis-, “la natura”, qui si intende quel che ci proviene a scopo teapeutico dall’ambiente esterno: in parti- colare energia e informazione. Lo scopo è comportamentale: ottenere un migliora- mento della interazione fra persona intera e fìsis-mondo esterno (migliore mobilità, mi- gliore comunicazione, migliore capacità la- vorativa ecc.). Il mezzo è lo scambio di energia o di informazione “da fuori” e sulla persona in toto. In questo senso né un in- tervento chirurgico né un farmaco sono te- rapia fisica, poiché agiscono su parti della persona “da dentro”. Viceversa è certamen- te fisica l’applicazione esterna di energia meccanica (mobilizzazione articolare?), elettrica (TENS?) o termica (un impacco freddo su un ginocchio appena operato?). Ma soprattutto va considerato fisico a tutti gli effetti anche l’insegnamento terapeutico (di funzioni motorie o cognitive, sempre che EDITORIALE DISFAGIA, SENSAZIONE E MOVIMENTO: DALLA FISIOLOGIA ALLA RIABILITAZIONE ASSOCIARE I MOVIMENTI: CHI FISSA LE REGOLE DEL GIOCO? Periodico di aggiornamento scientifico Anno 13° - N° 1 - Luglio 2004 ISSN 1592-6222 - on line/web version ISSN 1724-0808 R in R iabilitazione icerca ricerca in riabilitazione LESIONI VASCOLARI DEL MIDOLLO SPINALE: NE SAPPIAMO DI PIÙ, NE VEDREMO DI PIÙ ANNO 13° N° 1 LUGLIO 2004 10 quelle più studiate. Le prime comunica- zioni risalgono a circa 10 anni fa quan- do fu segnalato che le amfetamine, agendo sul circuito noradrenergico, nei ratti erano in grado di migliorare il re- cupero motorio dopo ischemia focale 3 . Queste segnalazioni hanno stimolato alcune sperimentazioni cliniche negli anni successivi. Queste hanno sollevato problematiche etico-legislative e pro- dotto risultati contraddittori. Da una parte alcuni studi hanno evidenziato come le amfetamine possano migliora- re il recupero motorio e del linguaggio di pazienti post-ictali in riabilitazione 4,5 , e dall’altra studi più recenti non hanno confermato quest’azione positiva 6,7 . Una recente revisione Cochrane sottoli- nea la necessità di ulteriori studi per di- rimere i dubbi tuttora presenti 8 . Esistono segnalazioni anche sul ruolo positivo del metilfenidato, il quale stimola la liberazione noradrenergica e dopaminergica 9 . In questi anni il farma- co è stato al centro di discussioni per il suo impiego nel disturbo da deficit d’attenzione/iperattività. Anche in que- sto caso si ripropongono, come nel ca- so delle amfetamine, problematiche etico-legislative e i dati a disposizione sono troppo esigui perché si possano trarre conclusioni. Sono stati proposti altri farmaci ad azione psicostimolante. Tra questi sem- brano avere un ruolo promettente i far- maci antiparkinsoniani che influenzano il circuito dopaminergico. La levodopa, farmaco basilare nel trattamento della Ictus, farmaci e riabilitazione: interazione, non solo coesistenza di Stefano Paolucci e Daniela Morelli [email protected] L’utilizzo di farmaci nella riabilita- zione è stato limitato per anni al tratta- mento delle patologie associate o al trattamento sintomatico delle compli- canze che si possono osservare duran- te il trattamento stesso. Negli ultimi anni si stanno speri- mentando varie proposte di trattamento farmacologico, specialmente nei postu- mi dei traumatismi cranici e delle ma- lattie cerebrovascolari, direttamente al fine di promuovere, accelerare e/o mi- gliorare il recupero funzionale e di evi- tare nel contempo l’utilizzo di sostanze potenzialmente dannose per il recupero stesso 1,2 . Il razionale di questi tratta- menti è l’ipotesi che l’introduzione di un farmaco in grado di migliorare la concentrazione di uno specifico neuro- trasmettitore possa migliorare la fun- zionalità cerebrale, compromessa in seguito ad uno specifico squilibrio neu- ro-trasmettitoriale provocato dalla le- sione. Come evidenziato in Tabella 1, nel campo degli studi sul recupero post-ic- tale sono state sperimentate varie pro- poste farmacologiche. Le molecole psicostimolanti sono 4 5 Segue a pag. 2 Segue a pag. 2

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Medicina riabilitativa:specificità, radici,contestodi Luigi [email protected]

Questo numero di Ricerca in Riabilita-zione propone un articolo di anatomia fun-zionale (la vascolarizzazione del midollospinale); due articoli di fisiologia (il control-lo dei movimenti associati mano-piede edella deglutizione), e un articolo di terapiafarmacologica (farmaci antidepressivi e ic-tus cerebrale). Tutto fuorché Riabilitazione?

La Medicina Fisica e Riabilitativa nonè riducibile al solo esercizio terapeuticomotorio (spesso impropriamente definitofisioterapia) ma nemmeno la si può consi-derare un’appendice generica di qualsiasialtra branca specialistica, laddove si rendautile una componente di esercizio (cogniti-vo, motorio, respiratorio e via esercitando).

Altrove1-2 ho suggerito che la sua spe-cificità stia nella simultaneità di scopo riabi-litativo e di mezzo fisico. Per “fisico”, se-condo l’etimologia greca fìsis-, “la natura”,qui si intende quel che ci proviene a scopoteapeutico dall’ambiente esterno: in parti-colare energia e informazione. Lo scopo ècomportamentale: ottenere un migliora-mento della interazione fra persona intera efìsis-mondo esterno (migliore mobilità, mi-gliore comunicazione, migliore capacità la-vorativa ecc.). Il mezzo è lo scambio dienergia o di informazione “da fuori” e sullapersona in toto. In questo senso né un in-tervento chirurgico né un farmaco sono te-rapia fisica, poiché agiscono su parti dellapersona “da dentro”. Viceversa è certamen-te fisica l’applicazione esterna di energiameccanica (mobilizzazione articolare?),elettrica (TENS?) o termica (un impaccofreddo su un ginocchio appena operato?).Ma soprattutto va considerato fisico a tuttigli effetti anche l’insegnamento terapeutico(di funzioni motorie o cognitive, sempre che

EDITORIALE

DISFAGIA, SENSAZIONEE MOVIMENTO:DALLA FISIOLOGIAALLA RIABILITAZIONE

ASSOCIARE I MOVIMENTI: CHI FISSA LE REGOLE DEL GIOCO?

Periodico di aggiornamento scientificoAnno 13° - N° 1 - Luglio 2004

ISSN 1592-6222 - on line/web version ISSN 1724-0808

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LESIONI VASCOLARI DEL MIDOLLO SPINALE: NE SAPPIAMO DI PIÙ, NE VEDREMO DI PIÙ

ANNO 13° N° 1LUGLIO 2004

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quelle più studiate. Le prime comunica-zioni risalgono a circa 10 anni fa quan-do fu segnalato che le amfetamine,agendo sul circuito noradrenergico, neiratti erano in grado di migliorare il re-cupero motorio dopo ischemia focale3.Queste segnalazioni hanno stimolatoalcune sperimentazioni cliniche neglianni successivi. Queste hanno sollevatoproblematiche etico-legislative e pro-dotto risultati contraddittori. Da unaparte alcuni studi hanno evidenziatocome le amfetamine possano migliora-re il recupero motorio e del linguaggiodi pazienti post-ictali in riabilitazione4,5,e dall’altra studi più recenti non hannoconfermato quest’azione positiva6,7.Una recente revisione Cochrane sottoli-nea la necessità di ulteriori studi per di-rimere i dubbi tuttora presenti 8.

Esistono segnalazioni anche sulruolo positivo del metilfenidato, il qualestimola la liberazione noradrenergica edopaminergica9. In questi anni il farma-co è stato al centro di discussioni per ilsuo impiego nel disturbo da deficitd’attenzione/iperattività. Anche in que-sto caso si ripropongono, come nel ca-so delle amfetamine, problematicheetico-legislative e i dati a disposizionesono troppo esigui perché si possanotrarre conclusioni.

Sono stati proposti altri farmaci adazione psicostimolante. Tra questi sem-brano avere un ruolo promettente i far-maci antiparkinsoniani che influenzanoil circuito dopaminergico. La levodopa,farmaco basilare nel trattamento della

Ictus, farmaci e riabilitazione:interazione, non solocoesistenza

di Stefano Paolucci eDaniela [email protected]

L’utilizzo di farmaci nella riabilita-zione è stato limitato per anni al tratta-mento delle patologie associate o altrattamento sintomatico delle compli-canze che si possono osservare duran-te il trattamento stesso.

Negli ultimi anni si stanno speri-mentando varie proposte di trattamentofarmacologico, specialmente nei postu-mi dei traumatismi cranici e delle ma-lattie cerebrovascolari, direttamente alfine di promuovere, accelerare e/o mi-gliorare il recupero funzionale e di evi-tare nel contempo l’utilizzo di sostanzepotenzialmente dannose per il recuperostesso1,2. Il razionale di questi tratta-menti è l’ipotesi che l’introduzione diun farmaco in grado di migliorare laconcentrazione di uno specifico neuro-trasmettitore possa migliorare la fun-zionalità cerebrale, compromessa inseguito ad uno specifico squilibrio neu-ro-trasmettitoriale provocato dalla le-sione.

Come evidenziato in Tabella 1, nelcampo degli studi sul recupero post-ic-tale sono state sperimentate varie pro-poste farmacologiche.

Le molecole psicostimolanti sono

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Proprietà:SO.GE.COM EditriceRicerca in Riabilitazione srl -MilanoISSN 1592-6222on line ISSN 1724-0808

Anno 13° - N° 1 - Luglio 2004Numero fuori commercioAut. Trib. MI n° 274 del 30 aprile 2002

Redazione: via Felice Casati, 1/A(ang. C.so Buenos Aires) - 20124 Milano, Italytel 02 29520244 - fax 02 20420917e-mail: [email protected]

Direttore responsabile:Luigi Tesio

Composizione grafica:LimprontaGrafica - Milano

Stampa:Tipolitografia Bellotti,Cologno Monzese (Milano)

Hanno collaborato:

Fausto BaldisseraProfessore ordinario di Fisiologia UmanaDirettore, Istituto di Fisiologia Umana IIUniversità degli Studi di Milano

Daniela MorelliDirigente fisiatraStefano PaolucciDirettore, Unità Operativa di NeuroriabilitazioneIRCCS Fondazione Santa LuciaRoma

Luigi TesioDirettore, Unità clinica e Laboratorio di Ricerche di Riabilitazione NeuromotoriaIRCCS Istituto Auxologico ItalianoMilano

In redazione: Catia Oddone

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si voglia davvero separare).La specificità giustifica l’esistenza di

una Disciplina ma non è sufficiente perriempirla di contenuti soddisfacenti. UnaDisciplina medica deve attingere i suoiprincipi metodologici, che sono la premes-sa per la ricerca scientifica, da radici cheaffondano nelle scienze di base3 e che nonnecessariamente sono sue specifiche. Maessa deve anche sapersi integrare con lealtre Discipline (mediche e non) sia attra-verso collaborazioni, sia attraverso la ca-pacità di praticarle in proprio quanto basta,laddove interagiscano fortemente con suoiprocessi specifici.

Fra le radici più profonde di ognispecialità medica vi sono l’anatomia e lafisiologia, soprattutto grazie alla loro sto-rica aderenza al metodo sperimentale ealla loro tendenza genetica a rifiutare

BIBLIOGRAFIA

malattia di Parkinson, in aggiunta altrattamento riabilitativo può favorire ilrecupero motorio, sia nelle prime setti-mane di trattamento che nel follow-up10. I risultati, anche se sono stati con-seguiti dopo uno studio metodologica-mente corretto (trial randomizzato indoppio cieco), dovranno essere confer-mati da ulteriori studi. In un altro studiola stessa levodopa ha migliorato le pre-

stazioni funzionali in 3 pazienti su 4con emidisattenzione spaziale11. Tutta-via le esigue dimensioni della casisticapermettono di classificare questo lavo-ro soltanto come un’interessante ipote-si da verificare. Tra gli altri farmaci anti-parkinsoniani il più utilizzato è il dopa-mino-agonista bromocriptina. Anche inquesto caso i risultati sono non univoci,o addirittura contrastanti. Infatti un trat-

autore farmaco obiettivo Tipo studio n. pz risultato

Walker-Batson4 d.anfetamina funzione motoria R. vs placebo 10 positivo

Walker-Batson5 d.anfetamina linguaggio DC, R. vs placebo 21 positivo

Sonde6 d.anfetamina funzione motoria R. vs placebo 39 negativo

Treig7 d. anfetamina funzione motoria R. vs placebo 24 negativo

Grade9 metifenidato stato funzionale R. vs placebo 21 positivo

Mukand11 levodopa disabilità e neglect aperto 4 positivo

Scheidtmann10 levodopa funzione motoria DC, R. vs placebo 53 positivo

Bragoni12 bromocriptina linguaggio DC 11 positivo

Berthier17 donepezil linguaggio aperto 10 positivo

Tabella 1

Trial farmacologici in riabilitazione.

Abbreviazioni: R= randomizzato; DC = doppio cieco Non evidenziate in tabella le revisioni Cochrane

barriere artificiali che possano limitare lacomprensione di un fenomeno: per esem-pio, le barriere fra biologia animale edumana, fra mente e corpo, fra sisteminervoso, osteoarticolare, vascolare e mu-scolare. Le classificazioni-barriere (noso-logiche, clinico-specialistiche ecc.) devo-no servire a comprendere, non a fram-mentare – snaturandoli – i fenomeni. Ti-picamente il movimento è un fenomenoche ogni barriera nosologica o clinico-specialistica può rendere più nebuloso: sipensi alle barriere (pur giustificate in altricontesti) fra Neurofisiologia a Biomecca-nica, fra Neurologia e Ortopedia, fra fisio-logia nervosa, muscolare e ossea.

Tre degli articoli qui riportati dimo-strano come anatomia e fisiologia non soloforniscano radici metodologiche (anche)alla Medicina Riabilitativa, ma suggerisca-no pure idee utili a sperimentazioni tera-peutiche. L’articolo di argomento farmaco-logico ricorda invece che le conoscenze dicontesto fanno parte di una Disciplina nonmeno che le sue radici. Neurologia e Far-macologia non sono Medicina Riabilitativa.

Tuttavia una quota di conoscenze neurolo-giche e farmacologiche crea il contesto fa-vorevole allo sviluppo di interazioni speci-fiche per la Medicina Riabilitativa. Qui l’e-sempio riguarda l’interazione fra farmaci,depressione e recupero motorio post-icta-le. Il farmaco, come si è visto, non è mez-zo fisico ma il medico fisico e riabilitativopuò essere il tecnico più indicato a farlointeragire favorevolmente con il propriostrumento terapeutico principale e cioèl’insegnamento motorio o cognitivo.

1) TESIO L. La bio-medicina fra scienza eassistenza. Medicina riabilitativa:scienza dell’assistenza. Il nuovo Areo-pago 1995; 2:80-105.

2) TESIO L. Misure funzionali in MedicinaRiabilitativa: principi e metodi. GiornItal Med Riabil 2003; 17: 25-31

3) TESIO L (Ed.). C’era una volta… annota-zioni sulle radici scientifiche della me-dicina fisica e riabilitativa. Ric Riabil1996; 3:pp.1-44. On-line all’indirizzoh t t p : / / w w w . s o - g e - c o m . i t /documenti_corsi/1996_12_ ceraunavol-ta.pdf ■

BIBLIOGRAFIA

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tamento con bromocriptina ad alte dosipuò migliorare le prestazioni linguisti-che in afasici cronici in logoterapia maa prezzo di rilevanti effetti collaterali12.Nel contempo il farmaco può migliorareo anche peggiorare le prestazioni di pa-zienti con emidisattenzione spa-ziale13,14.

Certezze non si possono avereneanche sul ruolo del piracetam, far-maco ad azione nootropa, oggetto didue revisioni Cochrane. Nella prima nonsi ha evidenza dell’efficacia del farma-co nella riduzione della disabilità nellefasi acute dell’ictus15; nella seconda,invece, ne è stata evidenziata la suautilità nel trattamento dei disturbi afasi-ci16.

Il 2003 è stato l’anno dei primi datisull’util izzo di nuovi farmaci anti-Alzheimer, gli inibitori dell’acetilcoline-sterasi, per favorire il recupero post-ic-tale. I dati attualmente disponibili evi-denziano che il donepezil è in grado dimigliorare sia le prestazioni linguistichein afasici cronici, sia la mobilità17,18.Tuttavia anche in questo caso i dati nonsono ancora generalizzabili a causa dimarcate problematiche metodologiche(il primo studio citato era in aperto, e ilsecondo era un caso-singolo). Pertantosaranno necessari trial clinici metodo-logicamente e numericamente adeguatiper ottenere evidenze sul ruolo di que-ste molecole.

Un ruolo rilevante hanno anche gliantidepressivi che si sono dimostrati ingrado di aumentare la probabilità di so-pravvivenza19 e di ridurre, ma non diannullare, l’impatto negativo della de-pressione post-ictale sul recupero fun-zionale20-22. I farmaci serotoninergicisembrano poter favorire il recupero an-che indipendentemente dall’azioneantidepressiva23,24. In particolare vi èchi ha segnalato che una singola dosedi fluoxetina è in grado di migliorare ladestrezza motoria e di attivare la cor-teccia motoria ipsilesionale in pazienticon postumi di ictus24.

Va prestata attenzione anche aifarmaci che invece possono ostacolareil recupero. Attualmente esistono evi-denze come alcuni farmaci di uso co-mune (clonidina, prazosin, fenobarbital,fenitoina, benzodiazepine e neurolettici)siano dannosi per il recupero funziona-le1 e che riducano la risposta al tratta-mento riabilitativo2. Da queste osserva-zioni nasce la necessità di poter evitarenella corrente pratica clinica l’utilizzo difarmaci potenzialmente dannosi per ilrecupero.

12) BRAGONI M, ALTIERI M, DI P, V, PADO-VANI A, MOSTARDINI C, LENZI GL. Bro-mocriptine and speech therapy in non-fluent chronic aphasia after stroke.Neurol Sci 2000; 21:19-22.

13) HURFORD P, STRINGER AY, JANN B.Neuropharmacologic treatment of he-mineglect: a case report comparingbromocriptine and methylphenidate.Arch Phys Med Rehabil 1998;79:346-349.

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18) BERTHIER ML, PUJOL J, GIRONELL A,KULISEVSKY J, DEUS J, HINOJOSA J, SO-RIANO-MAS C. Beneficial effect of do-nepezil on sensorimotor function afterstroke. Am J Phys Med Rehabil 2003;82:725-729.

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22) PAOLUCCI S, ANTONUCCI G, GRASSO

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L’integrazione tra trattamento riabi-litativo e farmacologico sta aprendo in-teressanti prospettive terapeutiche, masono necessari ulteriori studi per chiari-re le molte questioni ancora insolute.

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2) TROISI E, PAOLUCCI S, SILVESTRINI M,MATTEIS M, VERNIERI F, GRASSO MG,Caltagirone C. Prognostic factors instroke rehabilitation: the possible roleof pharmacological treatment. ActaNeurol Scand 2002; 105:100-106.

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5) WALKER-BATSON D, CURTIS S, NATA-RAJAN R, FORD J, DRONKERS N, SAL-MERON E, LAI J, UNWIN DH. A double-blind, placebo-controlled study of theuse of amphetamine in the treatment ofaphasia. Stroke 2001; 32:2093-2098.

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BIBLIOGRAFIA

Disfagia, sensazione e movimento:dalla fisiologia alla riabilitazione

di Luigi [email protected]

Prevalenza e gravità della disfagia stan-no emergendo come un’antica piramide dauna foresta tropicale: forse ne stiamo scor-gendo appena il vertice. Soltanto in annirecenti1 anche la Medicina Riabilitativa hadato alla disfagia il giusto risalto clinico.Bisogna riconoscere che le conoscenze sultema sono molto cresciute negli ultimi decen-ni grazie soprattutto agli sforzi dell’area fonia-trico-logopedica2. Ma si ha l’impressione cheesse siano sono soltanto all’inizio se si guar-da alla crescente produzione di articoli cheancora ne indagano anatomia funzionale efisiologia.

Un esempio rilevante è offerto da unlavoro statunitense che rientra nella più limpi-da tradizione della fisiologia ma che pure èsignificativamente interdisciplinare3: infatti vihanno contribuito due neurologi, un otorinola-ringoiatra e un fisiologo.

Il quesito era: quale è nell’Uomo il ruolodella sensibilità laringea nel prevenire l’aspi-razione tracheale durante la deglutizione? Ilparadigma sperimentale – classico per lafisiologia – è stato quello di osservare ladeglutizione dopo abolizione selettiva dellasensibilità (quindi, lasciando integre le viemotorie).

Questo era reso possibile dalla anatomialocale. La branca interna del nervo laringeosuperiore (ISLN) contiene fibre esclusivamen-te sensitive. Attraverso anestesia locale èpossibile deafferentare la laringe senza bloc-care la muscolatura laringea e faringea.

Sono stati studiati 21 adulti sani cuivenivano richiesti diversi atti deglutitori invarie condizioni sperimentali. Il protocollo eramolto sofisticato e non lo si può descriverequi in tutti i suoi dettagli. In sintesi si studiavala deglutizione sia spontanea, sia duranteinfusione costante di bolo liquido. Gli aspettimorfologici venivano indagati sia con video-fluoroscopia, sia con endoscopia a fibre otti-che. Nel contempo si ottenevano tracciatipoligrafici comprensivi di EMG sottomentonie-ro, manometria faringea, flussi respiratori(Fig. 1) Anche le sensazioni soggettive veni-vano documentate accuratamente.

Il principale risultato era costituito dalriscontro che l’anestesia causa una prevalen-za altissima di penetrazione (ingresso dimateriale deglutito in laringe ma non in tra-chea) e di aspirazione (ingresso in trachea).Ogni soggetto eseguiva diversi atti deglutitori,sia spontanei, sia nel corso di infusione conti-nua.

Venti soggetti su 21 riportavano episodidi penetrazione e 19 su 21 riportavano epi-sodi di aspirazione (Fig. 2). Nelle prove

senza anestesia la penetrazione si osserva-va eccezionalmente mentre non si osserva-va mai aspirazione.

Tutti i soggetti riferivano che duranteanestesia la deglutizione appariva molto fati-cosa. Tutti avvertivano il classico “bolo farin-geo”, ovvero una sensazione di abnormeripienezza e di gonfiore della faringe nonchédesiderio di compiere deglutizioni ripetute per“svuotarla”.

L’anestesia dell’ISLN non comportavadeficit nella chiusura volontaria della glottidenella manovra di Valsalva né nella manovra diMüller (espirazione ed inspirazione forzatamassimale a glottide chiusa, rispettivamente),né nella tosse.

In compenso durante deglutizione conanestesia la pressione a livello sia ipofaringeosia cricofaringeo era sensibilmente ridotta

rispetto alla norma.La cronologia degli eventi deglutitori (per

esempio, apnea deglutitoria e “rifasatura”espiratoria a fine deglutizione, transito ipofa-ringeo, chisura della glottide ecc.) non venivaalterata.

Dunque a che cosa sono dovuti gli epi-sodi di penetrazione e di aspirazione? A quan-to pare la causa è un deficit di forza nellachiusura della glottide e nei movimenti siner-gici (si veda il calo di pressione faringea).Tuttavia il deficit si manifesta soltanto durantedeglutizione e non durante chiusura volonta-ria. Evidentemente le afferenze sensitive vei-colate dall’ISLN sono necessarie per “tenerealto” il livello di attività motoria faringo-larin-gea durante la deglutizione.

Questo meccanismo è ben conosciutodalla fisiologia del controllo motorio. Come gli

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Fig. 2 - Immagine fluoroscopica (a destra) e sua schematizzazione grafica (a sinistra) durante atto de-glutitorio (1,18 s dopo inizio di infusione di bolo liquido) in un adulto sano dopo deafferentazionemediante anestetizzazione della branca interna del nervo laringeo superiore, bilateralmente. H = osso ioide; M = mandibola; E = epiglottide; V = vestibolo laringeo; T = trachea; C3 = corpo dellaterza vertebra cervicale; A = materiale aspirato (sottoglottico). Si nota materiale penetrato anche nelvestibolo (da Jafari S, 3)

Fig. 1 - Esempio di registrazione poligrafica dell’atto deglutitorio in un soggetto sano in condizioni norma-li. Dall’alto verso il basso le tracce si riferiscono a: infusione intraorale di bolo liquido (bario, 4.5 ml);EMG di superficie sottomentoniero, segnale integrato e grezzo; manometria ipofaringea e cricofaringea;flusso inspiratorio-espiratorio (deflessioni verso l’alto e verso il basso, rispettivamente) (da Jafari S, 3)

Autori richiamano nella loro discussione ènoto che in qualsiasi distretto corporeo undeficit sensitivo può ridurre l’attività motoneu-ronale, sottraendo una influenza facilitatoriache può percorrere sia circuiti locali, sia cir-cuiti che passano anche per livelli superiorifino a quelli corticali. Si spiega così anchel’aumentata sensazione di sforzo connessaalla deafferentazione. Se manca una facilita-zione periferica si può tentare di mantenere illivello di forza desiderato aumentando ilcomando volontario. La sensazione di sforzo(quale che sia la forza realmente prodotta)deriverebbe da una “copia efferente” delcomando motorio stesso. È coerente con que-sto modello anche l’osservazione che la sen-sazione di “ingrossamento” di un segmentocorporeo deafferentato – fenomeno moltogenerale – si associa a un aumento dell’areadi rappresentazione corticale sensitivo-moto-ria del segmento stesso.

Dunque vi sono diversi motivi per inqua-drare i risultati di questo studio in un mecca-nismo generale.

I soggetti riportavano aumentato sforzo,senso di ingrossamento locale (“gola gonfia”)e manifestavano una ipostenia nel movimentodeglutitorio che è parzialmente automatico-riflesso.

Viceversa l’ipostenia non si manifestavain movimenti volontari, nei quali si può imma-ginare che sia più facile “tenere svegli” imotoneuroni ricorrendo ad un aumento dicomando volontario.

Il modello proposto prevede che sianopossibili meccanismi di compenso anchenelle attività involontarie o solo parzialmentevolontarie. Gli Autori richiamano giustamentel’aumento di guadagno del riflesso vestibo-lo-oculare che avviene precocemente dopo

Associare i movimenti: chifissa le regole del gioco?di Fausto [email protected]

Mandare al contrario le mani e i piedi:non sempre un gioco da ragazzi

La storia di cui riferirò è un esempio dicome la ricerca neurofisiologica possa ori-ginare dalle osservazioni sul campo e me-ditazioni e dalle riflessioni di un fisiatra.Circa venti anni fa, attraverso gli allora mieiallievi Luigi Tesio e Federica Dvorzak, co-nobbi presso l’Istituto Neurologico CarloBesta di Milano Pietro Civaschi. Egli era unfisiatra estremamente curioso su quanto lasua professione gli portava sotto gli occhi emi chiese se sapessi spiegargli certi stranicomportamenti motori che sui libri veniva-no interpretati in maniera poco convincentese non addirittura ignorati. Uno degli aspet-ti che più lo avevano stimolato era il lega-me, nascosto ma potente, fra i movimentiche sono di assoluta facilità se vengono

compiuti singolarmente ma che diventanodifficili quando vengono associati fra loro. Ilprototipo di questi movimenti “associati” o“accoppiati” è quel gioco che tutti ci siamosentiti proporre da bambini: tracciare conle mani cerchi disposti sul piano sagittale.È semplice fare un movimento rotatoriocon una mano per volta, sia in un versosenso che nell’altro. Ed è facile anchemuovere le due mani insieme, a condizioneche i movimenti siano speculari, isodirezio-nali. Invece è molto difficile far ruotare lemani in senso contrario l’una rispetto all’al-tra. Nel passato questo strano comporta-mento aveva attirato l’attenzione di alcuniluminari 1-3, dal fisiologo Johannes Muller(1840) ai neurologi Meige (1901) e Noica(1912), ma sembrava che da allora nessunaltro si fosse interessato alla questione. Nesapevo qualcosa? mi chiese il fisiatra. Ionon seppi come rispondere se non propo-nendogli di condurre insieme un’analisi piùapprofondita dei movimenti associati. An-che per altre coppie di movimenti tra gli ar-ti dello stesso lato (per esempio la flesso-

estensione della mano e del piede sul pia-no parasagittale, oppure la loro rotazioneassiale) o coppie di movimenti all’internodello stesso arto (la flesso-estensione rit-mica e simultanea di polso e gomito) non viè nessuna difficoltà nell’associare i movi-menti che hanno la stessa direzione ango-lare (ovvero sono “in fase”) mentre è diffi-cile o impossibile muovere i due segmentiin opposizione di fase: basta diminuire unpoco l’attenzione oppure accelerare il ritmodei movimenti e si cade irreversibilmentenell’associazione isodirezionale.

Per iniziare scegliemmo l’associazioneomolaterale tra le flesso-estensioni di ma-no e piede (alla quale sono rimasto finoraaffezionato) sia perché offriva maggiori co-modità di registrazione strumentale delmovimento e dell’attività muscolare, siaperché testimoniava meglio di altre che lafacilità dell’accoppiamento è legata alla di-rezione del movimento e non ai muscoliimpiegati per compierlo. Infatti l’accoppia-mento isodirezionale rimane quello preferi-to quando la mano è sia prona sia supina

labirintectomia. E infatti in 3 dei 21 soggettiuna penetrazione si è verificata nei primi attideglutitori ma è poi scomparsa rapidamentenonostante la persistenza dell’anestesiastessa.

Come si può ben vedere si è partiti daun problema tradizionalmente otorinolarin-goiatrico e si è finiti in una tematica neuro-motoria molto generale. Si può forse cammi-nare all’indietro e attingere qualche suggeri-mento terapeutico dalla riabilitazione neuro-motoria (cosa cui gli Autori accennano senzaestendere la discussione). Nella realtà clinicauna lesione bilaterale dell’ISLN può seguirea interventi chirurgici sulla laringe. Tuttaviaun deficit sensitivo può essere molto comu-ne dopo ictus emisferico o tronco-encefali-co. Resta da chiarire quanto una deafferen-tazione unilaterale e centrale provochi unquadro sovrapponibile a quello di una dener-vazione bilaterale e periferica. Tuttavia inlinea di principio è ragionevole attendersicomunque un rischio di disfagia. Gli Autorinon vi accennano ma viene spontaneoaggiungere alle possibili condizioni clinichein cui sospettare una deafferentazione larin-gea anche le più varie neuropatie sensitive(per esempio diabetiche?), le eredo-atassie,la sclerosi multipla.

Che cosa si fa in riabilitazione – qualeche sia il distretto corporeo coinvolto – quan-do si sospetti una ipostenia da deafferenta-zione? Si possono proporre stimoli sensitivicompensatori (è già molto in uso il contattodelle fauci con ghiaccio, ma perché nonimmaginare anche una sorta di TENS faringo-laringea?). Si possono proporre forme di bio-feedback (EMG sottomentoniero? cinematicosui movimenti della cartilagine tiroidea? pres-sorio intrafaringeo?). Si può procedere al

rinforzo della muscolatura faringea e glottica(a parità di comando motorio un muscoloipertrofico sarà comunque più forte di unoipotrofico). Forse anche rimedi farmacologicipotrebbero rivelarsi utili (si pensi alla farma-cologia della fatica nella sclerosi multipla).

La deglutizione è una funzione neuro-motoria e quindi può risentire di meccanismimolto generali di alterazione del controllomotorio: passando per la fisiologia, ancorauna volta la riabilitazione può trovare spuntiper possibi l i tà di intervento nuove especifiche.

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BIBLIOGRAFIA

malgrado che, dopo il passaggio dall’unaall’altra posizione, si richieda la co-attiva-zione di muscoli che prima erano antagoni-sti 4. Un primo passo è stato quello di valu-tare la “forza” relativa delle associazioni fa-cile e difficile misurando per quanto temposia possibile mantenere senza errori cia-scuna di esse. Mentre i movimenti isodire-zionali si possono continuare, anche a fre-quenze elevate, fino al sopraggiungere del-la fatica, la durata sostenibile dei movi-menti anti-fase diminuisce progressiva-mente al crescere della frequenza di ese-cuzione. Alcune persone riescono a prolun-gare l’esercizio per 10 secondi soltanto seil ritmo è inferiore a 1,4 cicli al secondo,molti arrivano fino a 2 ma pochi raggiungo-no 2,5 cicli al secondo. Se si tenta un ritmodi 3 cicli al secondo, la massima parte deisoggetti non riesce nemmeno a cominciarel’esercizio e precipita immediatamente nelmovimento in fase.

Alla ricerca di regole meccaniche e nervose

L’aumento delle conoscenze di bio-meccanica e di neurofisiologia e il progres-so nei mezzi di indagine hanno permessodi compiere alcuni passi significativi versola comprensione dei meccanismi che rego-lano l’associazione fra movimenti. Una vol-ta delineata l’intrinseca diversità fra i duetipi di accoppiamento (quello “facile-in fa-se” e quello “difficile-in antifase) l’obiettivosuccessivo fu quello di distinguere se e inche misura la differenza fosse dovuta al-l’influenza di fattori biomeccanici piuttostoche a fattori legati al controllo nervoso deidue tipi di associazione.

Da un punto di vista teorico il modopiù semplice di muovere simultaneamentedue arti è quello di inviare a entrambi unostesso comando motore. Nel caso delleoscillazioni ritmiche della mano e del piedesi tratterebbe di un comando di forma al-l’incirca sinusoidale inviato dalla cortecciamotoria ai rigonfiamenti cervicale e lomba-re del midollo e distribuito infine ai moto-neuroni. Va subito detto che un meccani-smo così semplice funzionerebbe soltantose i due segmenti avessero identiche pro-prietà meccaniche (come non è per manoe piede). Altrimenti al crescere della fre-quenza delle oscillazioni il segmento relati-vamente più “pesante” (quello, cioè, chesubisce in maggior misura gli effetti dell’i-nerzia) rimarrebbe progressivamente indie-tro rispetto all’altro. Per mantenere il sin-cronismo dei due segmenti sotto un unicocomando, si rende dunque necessaria l’as-sistenza da parte di un meccanismo dicontrollo che avverta e corregga l’eventua-le sfasamento tra i due.

In base a queste considerazioni si ècominciato con il verificare se, all’aumen-tare del ritmo dei movimenti, i rapporti difase tra mano e piede rimangono invariatioppure se uno dei due segmenti ritarda5.Se sono ciclici (ovvero si ripetono periodi-camente sempre uguali) i rapporti di fasefra eventi diversi si possono misurare ingradi angolari. Basta considerare che unciclo di movimento (per esempio andata eritorno dalla posizione di massima flessio-ne) copre 360° (la sola andata, da massi-ma flessione a massima estensione, ne co-pre 180°, ecc.). L’inizio di un ciclo è defini-bile arbitariamente. Per esempio si puòscegliere di definire “0°” la posizione dimassima flessione della mano. Se in quel-l’istante il piede si trova in massima fles-sione dorsale si potrà dire che il piede è“sfasato” di 180° rispetto alla mano, ecc.Lo stesso discorso vale per eventi ciclici ditipo elettrico (come l’elettromiografia di su-perficie-EMG dei muscoli coinvolti in questimovimenti) e anche per i rapporti di fasefra eventi ciclici meccanici (posizione an-golare) ed elettrici (EMG). La Fig. 1 mostra imovimenti oscillatori isodirezionali di manoe piede insieme all’attività elettromiografi-ca EMG di superficie dei muscoli estensoridorsali delle due estremità (Extensor CarpiRadialis, ECR e Tibialis Anterior, TA), a due

frequenze di esecuzione. Le oscillazionidella mano e del piede sono in fase tra lorosia alla frequenza più bassa sia alla fre-quenza più alta, mentre la fase delle attiva-zioni muscolari cambia con la frequenza.Infatti, mentre a 1.2 cicli al secondo l’iniziodell’EMG nell’ECR e nel TA è simultaneo, a3.2 cicli/s l’ECR precede il TA di circa 50°(freccia • nella Fig. 1).

Si può anche osservare che, salendoa 3.2 cicli/s, cresce il ritardo di fase tra l’i-nizio dell’attività EMG e l’inizio del relativomovimento e che questo effetto è piùgrande per la mano (circa 110°, freccia ∇nella Fig. 1) che per il piede (freccia *).Questo semplice esperimento illumina dueaspetti essenziali. In primo luogo la più co-spicua perdita di fase della mano al cre-scere della frequenza di esecuzione (frec-cia ∇ rispetto a freccia*) indica che la resi-stenza inerziale influenza il movimentodella mano in maggior misura che il movi-mento del piede. In secondo luogo il fattoche, ciò malgrado, i rapporti di fase tra idue movimenti rimangano invariati alle duefrequenze di esecuzione mette in evidenzal’intervento di un meccanismo di controllonervoso, il quale anticipa di circa 50° l’atti-vazione dei muscoli che muovono la manorispetto a quelli che muovono il piede epreviene, in questo modo, la perdita di fasedi origine meccanica della mano dovuta acause meccaniche. Il grafico della Fig. 2mette in evidenza come i rapporti di fasetra i due movimenti si mantengano presso-ché costanti alle diverse frequenze, con la

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Fig. 1 - All'aumentare della frequenza delle oscilla-zioni appaiate di mano e piede da 1,2 a 3,2 cicli alsecondo, il sincronismo tra i movimenti si mantienemalgrado le differenti proprietà meccaniche di ma-no e piede. Alla frequenza più alta, alla quale è piùgrande l'effetto dell'inerzia, il maggior ritardo mec-canico della mano è compensato dall’anticipo nel-l’attivazione dell'estensore della mano (ECR) rispet-to all’estensore del piede (TA).

Fig. 2 - I grafici mostrano la differenza di fase tra leoscillazioni di mano e piede (cerchi vuoti) alle variefrequenze di esecuzione. Si noti come la mano abbiaun ritardo lieve, ma pressoché costante rispetto al piedenell’accoppiamento in fase mentre il sincronismo è mi-gliore nell’accoppiamento antifase. I circoli pieni indi-cano il ritardo di fase tra l’attivazione del TA e del-l’ECR. Si noti come al crescere del ritmo di esecuzionel’anticipo dell'ECR incrementa progressivamente.

mano che si mantiene in lieve ritardo di fa-se rispetto al piede. Nello stesso grafico simostra anche che, al crescere della fre-quenza, si incrementa progressivamentel’anticipo della contrazione dell’ECR rispet-to al TA, che compensa gli effetti ritardantidella resistenza inerziale della mano. Ilcontrollo nervoso promuove un anticipoancora più potente durante i movimenti inantifase e riesce a mantenere un sincroni-smo quasi perfetto tra le escursioni artico-lari. Il controllo nervoso interviene anchequando a un segmento venga applicato uncarico esterno che ne modifichi le pro-prietà meccaniche6. Per esempio (Fig. 3,grafici superiori) che cosa succede se si ap-plica alla mano una massa rotante (un veroe proprio volano)? Il volano, aumentandofortemente la resistenza inerziale della ma-no, ne accentua la diversità, in quanto corpomeccanico in movimento, dal piede e stimo-la quindi un ulteriore anticipo nell’attivazio-ne muscolare dell’ECR sul TA. Il compensotuttavia non è completo e ne risulta un pro-gressivo ritardo della mano rispetto al piedeal crescere della frequenza. Effetti oppostiproduce l’applicazione di un carico elastico(Fig. 3, grafici inferiori) il quale, contrastan-do l’inerzia propria della mano, avvicina traloro le proprietà meccaniche di mano e pie-de che ora rispondono a comandi nervosisimultanei con movimenti ben sincronizzati.

Il controllo nervoso delle associazioniiso-direzionali: un dialogo tra gli artioppure la disciplinata obbedienza a un comando comune?

Una volta stabilita l’esistenza di uncontrollo nervoso che interviene per man-tenere i rapporti di fase tra segmenti concaratteristiche meccaniche diverse, si aprela questione di come esso agisca. Poiché ilcontrollo deve trovare alimento dalle affe-renze cinestesiche, che segnalano l’effettodei carichi sulla posizione degli arti, si puòimmaginare un’or-ganizzazione mo-toria come quellasemplificata nellaFig. 4, (schema disinistra). Un co-mando centrale in-viato in parallelo aidue segmenti im-pone il movimentoiso-ritmico; poi leafferenze cineste-siche indotte dalmovimento di cia-scun arto sono in-viate attraverso un“controllore di fa-se” alle vie motorieche muovono l’al-tro arto (nella figura è schematizzata sol-

tanto la via tra arto inferiore earto superiore) per anticipare oritardare l’attivazione muscola-re in modo da riportare in fase idue movimenti quando essidovessero sfasarsi.Se si ritiene questo schema ve-rosimile, si può immaginare(Fig. 4, schema di destra) che leafferenze cinestesiche da un ar-to vengano attivate anchequando l’arto si muove da soloe che possano influenzare (inmaniera sottoliminare) l’eccita-bilità della via motoria diretta alsecondo arto anche quando es-so venga mantenuto in riposo.Queste considerazioni hannoguidato la successiva speri-mentazione, che è consistitanell’esplorare se l’eccitabilitàdei motoneuroni dei muscoliflessori ed estensori dell’avam-braccio, tenuto rilassato, vienemodificata durante i movimentidi flesso-estensione del piedeomolaterale. Gli esperimentihanno dato risposta positiva.Durante i movimenti ciclici delpiede, le risposte motorie neimuscoli Flexor Carpi Radialis

(FCR) ed Extensor Carpi Radialis ECR (rifles-so H e potenziali evocati dalla stimolazionemagnetica transcranica) vengono modulatesinusoidalmente (Fig. 5) al ritmo delle oscil-lazioni del piede7. A mano prona l’eccitabi-lità cresce nel Flessore del Carpo durante lafase di flessione plantare e diminuisce du-rante l’estensione dorsale del piede. L’op-posto avviene per l’ECR (Fig. 6). Si puòquindi arguire che se la modulazione dive-nisse sopraliminare la mano tenderebbe amuoversi in fase con il piede. A mano supi-

na lo schema della facilitazione si inverte:l’FCR, che ora solleva l’avambraccio versol’alto, è facilitato durante la flessione dorsa-le del piede (Fig. 6). Di nuovo, dunque, sequesti effetti divenissero sopraliminari, lamano tenderebbe a muoversi nella stessadirezione del piede, anche se ora sono atti-vati simultaneamente due muscoli (FCR eTA) che prima si contraevano in alternanza.

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Fig. 4 - Schema interpretativo dei meccanismi di accoppiamento mano piede. A sini-stra si ipotizza che oltre al comando centrale inviato simultaneamente a muovere lamano e il piede, le afferenze cinestesiche generate da un arto in movimento (qui siconsiderano soltanto quelle dal piede) agiscano sulle vie motorie dirette all’altroarto, “trascinandolo” in sincronismo. A destra si ipotizza che tali afferenze agiscanoanche quando uno soltanto degli arti si muove, modulando sottoliminarmente l’ecci-tabilità della via motoria diretta all’altro arto.

Fig. 3 - L’applicazione alla mano di un carico inerziale o elastico modi-fica le relazioni di fase mano-piede come risulta dal confronto tra lecurve disegnate dai simboli (pieni e vuoti) e le linee azzurre, che ripro-ducono le curve ottenute negli stessi soggetti in assenza di carico. Sinoti come, nell’accoppiamento in fase, il carico inerziale incrementa ilritardo del movimento della mano e, simultaneamente, l’anticipo dellasua attivazione muscolare. Nell’accoppiamento antifase un anticipo an-cora maggiore nell’attivazione dell’ECR riesce a mantenere il movi-mento della mano in stretto rapporto di fase con quello del piede, com-pensando completamente l’azione ritardante del carico (cerchi vuotisovrapposti alla linea). L'applicazione di un carico elastico produce glieffetti opposti a quelli indotti dal carico inerziale. I movimenti manten-gono il sincronismo in entrambi gli accoppiamenti senza bisogno dianticipare l'attivazione dei muscoli della mano.

Fig. 5 - Con l’avambraccio rilassato e la mano prona,l’eccitabilità del riflesso H del muscolo Flessore Ra-diale del Carpo (FCR) viene modulata sinusoidalmente(A) durante l’oscillazione volontaria del piede. In B so-no mostrati il movimento sinusoidale del piede e l’atti-vazione EMG dei muscoli Soleo e Tibiale Anteriore. Ilriflesso aumenta durante la contrazione del Soleo e di-minuisce durante l’attivazione del Tibiale Anteriore. Sela variazione di eccitabilità divenisse sopraliminare, lamano si muoverebbe nella stessa direzione del piede.

L’ipotesi di partenza sembrava quindiconfermata: i movimenti del piede sono ac-compagnati da variazioni di eccitabilità dellevie motorie che innervano la mano, modula-te nel tempo in modo tale che, qualora i duesegmenti fossero mossi in associazione,tenderebbero a “trascinare” la mano nellastessa direzione angolare in cui si muove ilpiede. Diventa allora comprensibile ancheperché sia difficile muovere i due segmentiin opposizione di fase: questo richiederebbeche intenzionalmente si vincano le influenzeaccoppianti che gli arti si “scambiano” reci-procamente quando si muovono. Dagliesperimenti, tuttavia, sono però venute an-che altre indicazioni. Per esempio se si ap-plica al piede un carico inerziale che au-menta il ritardo tra il movimento e l’attiva-zione muscolare la modulazione di eccitabi-lità nei muscoli dell’avambraccio rimane an-corata temporalmente all’attivazione mu-scolare e non al movimento del piede 8. Diconseguenza è poco probabile che questamodulazione origini dalle afferenze cineste-siche generate dal movimento mentre è piùverosimile che essa derivi da un’influenzasubliminare, inviata dall’area corticale dellamano al rigonfiamento midollare cervicalein parallelo al comando esplicito che dall’a-rea corticale del piede ne attiva il movimen-to. Sostiene l’origine centrale della modula-zione anche il fatto che essa scompare 7 du-rante i brevi periodi (50-100 ms) in cui lacorteccia motoria rimane inibita dopo unastimolazione magnetica transcranica (“pe-riodo silente”). Non sono quindi gli arti che

si scambiano informazioni attraverso le af-ferenze cinestesiche, ma sono piuttosto lecorteccie motorie relative a ciascuna estre-mità che sono interconnesse e si attivano inparallelo.

Controllori, vincoli meccanici,sincronizzazioni

L’innervazione “parallela” della mano edel piede (e non un feed-back cinestesico)spiega perché le due estremità possano es-sere associate con facilità nei movimentiisodirezionali e con difficoltà nei movimentiin opposizione di fase. Tuttavia rimane dacapire come i due movimenti possono man-tenersi in fase al crescere del ritmo di ese-cuzione malgrado le differenze, naturali oartificialmente indotte, nelle proprietà mec-caniche di mano e piede. Qualche risposta a

questa domanda è scaturita dall’analisi deimovimenti oscillatori di un singolo segmen-to in diversi contesti biomeccanici. Unasemplice oscillazione della mano richiedeschemi di attività muscolare diversi tra loroa seconda della posizione della mano stes-sa. Per esempio la mano prona con l’avam-braccio appoggiato a un bracciolo e a mu-scoli rilassati, raggiunge un equilibrio passi-vo se si pone in una posizione semiflessa.Se si fa oscillare la mano intorno a questaposizione di equilibrio, i muscoli antagonistisi alternano dandosi il cambio ogni volta chela mano attraversa la posizione di equilibrio.Se invece si fa oscillare la mano soltanto aldi sopra della posizione di equilibrio, il movi-mento viene sostenuto dal solo muscoloestensore, che si mantiene in attività pertutto il ciclo di movimento: prima per pro-durre l’estensione e poi per frenare la fles-sione che avviene per gravità. Quando lamano è mantenuta semi-prona e la flesso-estensione viene attuata sul piano orizzon-tale, la singola posizione di equilibrio si al-larga a un settore di circa 25° e l’alternan-za tra gli antagonisti avviene ora all’ingres-so del movimento nel settore di equilibrio,ossia in posizioni diverse nella fase di fles-sione e di estensione. In tutti i casi l’attiva-zione di un determinato muscolo intervieneproprio giusto nel momento in cui è richie-sta una forza attiva per vincere una resi-stenza al moto e cessa quando subentranoaltre forze, sia attive come la contrazionedell’antagonista sia passive come la forzapeso o quella generata dall’elasticità artico-lare. Questa “regola” si applica anchequando il contesto meccanico della manoviene modificato dall’applicazione di resi-stenze esterne supplementari.

Dunque il sistema nervoso sa adeguare

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Fig. 7 - Durante il movimento oscillatorio del piede,le vie motorie dirette alla mano vengono attivate si-multaneamente in modo sottoliminare. Non vi è rap-porto tra tale attività e la posizione del piede, monito-rata dalle afferenze cinestesiche.

Fig. 6 - A mano prona, le variazione di eccitabilità delriflesso H nel muscolo FCR durante i movimenti delpiede sono accompagnate da variazioni speculari del-l’eccitabità riflessa nel muscolo antagonista, l’estenso-re radiale del Carpo (ECR). Se la mano viene portatain supinazione, l’eccitabilità dell’FRC si modifica inopposizione di fase rispetto a quanto accadeva a manoprona. Anche in questo caso, se le variazioni di eccita-bilità raggiungessero livelli sopraliminari, la mano simuoverebbe nella stessa direzione del piede.

Fig. 8 - I movimenti eseguiti dagli emiplegici con mano e piede del lato sano perdono progressiva-mente di sincronia al crescere della frequenza di esecuzione (grafico a destra). Lo stesso difetto è pre-sente anche in un paziente che ha subito la callosotomia. La perdita di fase e dovuta all’assenza dellareazione compensatoria che anticipa l’attivazione dei muscoli che muovono la mano, come risulta,nel grafico di sinistra, dal confronto tra la curva con triangoli, rappresentativa dell’anticipo dell’ECRsul TA nei soggetti normali, e le curve con rombi pieni e cerchi vuoti, riferite rispettivamente agliemiplegici e al soggetto con callosotomia che ne ha disconnesso gli emisferi cerebrali (split-brain).

immediatamente gli schemi di attivazionemuscolare alle resistenze che di volta in vol-ta vanno superate per far proseguire il mo-vimento. Sulla base di questa constatazionesi è ipotizzato che l’adeguamento si attui at-traverso un controllore a feedback che prov-veda a mantenere il segmento in movimen-to lungo la traiettoria programmata. Il dispo-sitivo si fonda su “neuroni” integratori su cuiconvergono, da un lato, il comando volonta-rio (codificato come la successione delleposizioni “volute”) e, dall’altro, la posizioneattuale del segmento (codificata dalle affe-renze periferiche). Dalla differenza tra i duesegnali, che mette in evidenza l’“errore” traquanto voluto e quanto attuato, si origina unsegnale diretto alla muscolatura, di ampiez-za e segno (agonisti verso antagonisti) talida correggere l’errore ed eliminare la diffe-renza tra “intenzione” e “attuazione”. Unarete neurale che operi secondo questi prin-cipi, connessa a un modello meccanico delsegmento considerato, riesce a compensarel’effetto dei carichi applicati e a mantenerel’opportuno sincronismo tra il “comandocentrale” e il risultato meccanico. Tornandoai movimenti associati, se si ammette checiascun arto sia fornito di un “controllore diposizione” che adegua in modo continuo ilmovimento al comando che lo promuovesuperando le contingenze del contesto bio-meccanico, si può prevedere che l’accop-piamento tra mano e piede si attui in modoautomatico. Essendo “agganciate” allo stes-so generatore centrale del ritmo ed essendociascuna provvista di un suo “controllore diposizione” che adegua i movimenti al co-mando centrale, le due estremità risultereb-bero infatti anche sincronizzate tra loro.

In questa prospettiva, le afferenze cine-stesiche che regolano l’associazione sareb-bero dunque le stesse che governano il mo-vimento di ciascun singolo segmento, senzanecessità che durante l’accoppiamento in-tervengano ulterirori dispositivi che scambi-no informazioni sulla posizione reciprocadegli arti.

Associazioni facili e difficili Nel loro insieme questi risultati dimo-

strano e insieme confutano l’ipotesi di par-tenza: è ben vero che durante il movimentodi una sola delle estremità qualcosa accade,sub-liminarmente, a carico dell’altra, maquest’effetto non deriva dalle afferenze ge-nerate dal movimento. Gli esperimenti di-mostrano infatti che durante i movimenti delpiede si attuano variazioni simultanee di ec-citabilità sia nelle aree corticali che muovo-no il piede sia nelle aree che proiettano allamano, anche se questa è mantenuta immo-bile (schema della Fig. 7). Mentre le primeprovocano l’attivazione esplicita dei muscoli

della gamba, le seconde inducono una mo-dulazione subliminare delle vie motorie di-rette alla mano, fino a livello dei motoneuro-ni spinali.

Esistono numerose osservazioni speri-mentali, ottenute in altri contesti, che docu-mentano come in occasione di movimentidiscreti di singoli segmenti corporei si atti-vano anche aree corticali diverse da quelladirettamente deputata a indurre il movimen-to. Per esempio ogni movimento volontario èaccompagnato, o addirittura immediata-mente preceduto, dai cosiddetti Aggiusta-menti Posturali Anticipatori (APA, 9-16), checonsistono nella contrazione di muscoli di-versi da quelli impegnati nel movimento pri-mario, al fine di creare catene di fissazioneo di contrastare gli sbilanciamenti posturaliche il movimento provocherà. Queste azioniposturali, che anticipano e accompagnano ilmovimento, sono state oggetto di un articolocomparso nel 1992 (fascicolo n. 2) su que-sta stessa Rivista. Si richiama un sempliceesempio tratto da quell’articolo: si suppongadi sollevare un peso flettendo le due brac-cia. L’attività esecutiva dei bicipiti è prece-duta da un’attivazione posturale dei tricipitisurali che prudentemente portano indietro ilbaricentro, impedendo al peso di trascinarciin avanti. Se si aumenta il peso aumenta ilritardo tra la contrazione del tricipite suralee quella dei muscoli esecutivi: in sostanza ilsollevamento non inizia finché il corpo nonsi è portato indietro abbastanza per potercontrastare la prevedibile destabilizzazione.

Gli aggiustamenti posturali anticipatori(APA) prevedono l’attivazione parallela dimuscoli anche distanti tra loro17 e spessoconsistono in sinergie isodirezionali; sonoscalati in rapporto all’intensità dell’azioneprimaria e possono ridursi o scomparirequando si modifichi il contesto biomecca-nico. Nell’ambito di tali attività è dunqueprevedibile che insieme con l’attivazionedella corteccia che sostiene il movimentoprimario siano attivate anche le aree corti-cali “satelliti” deputate a distribuire gli ag-giustamenti posturali, ciascuna con inten-sità adeguata alla particolare situazionebiomeccanica: intensità che, in determina-te occasioni, può anche divenire sottolimi-nare. Perciò non è inverosimile postulareche la preferenza per le associazioni isodi-rezionali, che sembra fondarsi sull’attiva-zione sincrona appaiata anche se di diver-sa entità delle aree corticali di mano e pie-de, sia espressione dell’organizzazioneneurale deputata al controllo posturale. Ov-vero si possono muovere insieme due seg-menti corporei soltanto se ci si mantieneentro gli schemi imposti dal controllo po-sturale. Se da questi si vuole uscire, il mo-vimento diventa difficile.

La fisiatria osserva, la fisiologia spiega:insieme è meglio

Lo studio dei movimenti associati si at-tende altri importanti contributi dalla fisiatria,contributi che, in prospettiva, potrà ricambia-re aiutando a meglio comprendere l’originedelle alterazioni funzionali che sottendono idisturbi motori e, magari, a individuare utilipercorsi terapeutici. Alcuni progressi in que-sto senso sono già stati compiuti valutando ilcomportamento di pazienti affetti da lesionidi diverse strutture nervose. Per esempio, neipazienti con emiplegia ictale che pur non la-mentano alcuna caduta delle prestazioni mo-torie dal lato indenne l’esecuzione di movi-menti associati mano-piede da quel lato di-mostra la presenza di importanti alterazioninel controllo del sincronismo 18, sia per i mo-vimenti in fase (Fig. 8) che per i movimentiin antifase. Nei movimenti in fase i pazientiemiplegici non riescono a mantenere l’asso-ciazione a ritmi superiori ai 2 cicli/s circa(contro gli almeno 3 cicli/s dei soggetti nor-mali). Inoltre al crescere della frequenza sievidenzia un ritardo crescente della manosul piede che viene molto accentuato dal-l’applicazione alla mano di un carico inerzia-le. Infatti in questi soggetti manca l’anticiponell’attivazione dei muscoli della mano chenei soggetti normali compensa le diversitàbiomeccaniche tra i due segmenti. L’associa-zione in antifase è ancor più compromessa enon viene eseguita a frequenze superiori aun 1 ciclo per secondo. In sintesi è ben veroche dal lato “indenne” i movimenti di mano epiede sono sotto il controllo dello stesso emi-sfero: pur tuttavia coordinarli al meglio è oraimpossibile. Sembra dunque che l’accoppia-mento in sincronia degli arti ipsilaterali ri-chieda l’intervento di entrambi gli emisferi.Questo concetto ha trovato conferma dall’e-same di un soggetto sottoposto a callosoto-mia, nel quale i difetti descritti per gli emi-plegici erano ancor più accentuati e presentiin egual misura da un lato e dall’altro19.

Anche nei pazienti resi atassici dall’a-sportazione chirurgica di parti del cervellettol’esecuzione dei movimenti associati è alte-rata20. In particolare, dopo ablazione di por-zioni degli emisferi cerebellari i soggettieseguono i movimenti associati in manierasimile a quella del soggetto con callosoto-mia, mostrando un progressivo aumento delritardo di fase della mano rispetto al piedequando incrementano la frequenza dei mo-vimenti e l’incapacità di anticipare l’attiva-zione muscolare della mano. Dopo lesionivermiane o paravermiane, i soggetti man-tengono invece questa capacità e riesconoa tenere costante il rapporto di fase tra ma-no e piede.

Dunque, ora capiamo meglio perché unbambino trova difficile (e proprio per questo,

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anche divertente) “far andare al contrario”le mani, o la mano e il piede. Questo ci aiu-terà forse a capire meglio perché in certipazienti alcuni movimenti, e alcune asso-sciazioni fra movimenti, diventano più diffi-cili o addirittura impossibili, anche quando isingoli muscoli sono ben reclutabili.

Ma, a partire dalla intelligente osserva-zione di un fisiatra curioso troviamo, in que-sta storia, la conferma di un’importante li-nea guida metodologica che è quella di os-servare il movimento secondo una visioneunitaria, capace di coglierne l’interazione fraaspetti meccanici e nervosi, fra componentivolontarie e componenti “involontarie-po-sturali” e fra sensazione ed esecuzione.

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BIBLIOGRAFIA

Lesioni vascolaridel midollo spinale:ne sappiamo di più,ne vedremo di più

di Luigi [email protected]

Una serie di articoli apparsi quasi con-temporaneamente affronta l’anatomia va-scolare e la diagnostica della ischemia delmidollo spinale. Possibile che nel 2004 que-sti argomenti facciano ancora notizia? Perfortuna, sì.

Un vecchio adagio clinico recitava “iltorace è la tomba del radiologo”: un modoun poco macabro (come spesso è l’umori-smo medico) per indicare quanto insidiosapossa essere la diagnosi sulle immagini, co-sì frequenti da sembrare banali, del famoso“RX torace in due proiezioni” che non si ne-ga a nessuno. Molti fra quanti operano nelsettore delle neuroscienze e della riabilita-zione potrebbero convenire che la loro“tomba” (o almeno, una di quelle principali)è costituita dalla patologia vascolare delmidollo spinale.

Ben si sa che sul piano diagnostico es-sa è l’origine, spesso insospettata, dei più

vari quadri clinici sensitivi e motori. A pro-blemi vascolari midollari possono ricondursiclaudicazioni e parestesie, dolori e disturbineurovegetativi, deficit sfinterici e paralisi.Segni e sintomi possono presentarsi nellepiù varie combinazioni, nei più vari gradi digravità, con i più svariati decorsi temporali(acuti, intermittenti, progressivi, cronici), perle più svariate cause e con i più vari mec-canismi patogenetici.

La vascolarizzazione del midollo spina-le è ormai trattata su tutti i testi di anato-mia. Tuttavia la letteratura mostra una rina-scita di interesse e un desiderio di ap-profondimento. Due motivi complementarisono la crescente frequenza di interventi dichirurgia vascolare sull’aorta, o di chirurgiache comunque ne richieda la occlusionetransitoria, e i continui progressi delle tecni-che radiodiagnostiche (in particolare dirisonanza magnetica nucleare-RM). Ilrischio di ischemia midollare (stimabile frail 5 e il 30% nei casi di chirurgia aortica, aseconda delle patologie) e la possibilità didiagnosticarla stanno dunque crescendoinsieme.

Un articolo tutto italiano1 è dedicato allostudio del sistema arterioso che si può im-maginare centrato sulla arteria spinale ante-riore (ASA). Gli Autori hanno esaminato pre-

parati anatomici ottenuti da 51 adulti cauca-sici (35 uomini e 16 donne con età media di73 anni) 24-36 ore dopo il decesso per cau-se che non coinvolgevano il midollo spinalené il sistema vascolare studiato. La dissezio-ne mirava a lasciare integro e pervio il com-plesso vascolare costituito da arterie verte-brali, arterie spinali, aorta, arterie intercostalie radicolari lombari, arterie iliache comuni.La relazione anatomo-funzionale fra questivasi veniva studiata, oltre che per il tramite diuna accurata ispezione, anche attraversoperfusione con una soluzione al blu di meti-lene. La perfusione procedeva dalle arterievertebrali per lo studio del midollo cervicale edall’arteria iliaca comune (Fig. 1) per lo stu-dio del midollo toraco-lombare. Come è notola principale arteria midollare è proprio l’ASAche trae origine – alla sua estremità craniale– dalle arterie vertebrali.

Vi sono due aspetti dell’anatomia diquesta fondamentale arteria non del tuttochiariti. In primo luogo non è del tutto sicuroche dal livello cervicale l’ASA continui inin-terrottamente fino ad irrorare l’intero midol-lo toracico e lombare. Vi è chi sostiene cheessa si interrompa e che possa quindi esi-stere un’ASA distinta per il tratto dorso-lom-bare del midollo. Il secondo punto è il se-guente. A livello toraco-lombare l’ASA è in

genza dell’ARMA può ben variare fra T9 eL5, ma di regola essa emerge caudalmentea quanto si ritiene. L’ARMA emerge a livellodi, o caudalmente a, L1, L2 e L3 nel 70%,65% e 23% dei casi, rispettivamente.

La Fig. 2 sintetizza il significato clinicodi questi riscontri. In caso di temporaneachiusura chirurgica (“clampaggio”, AXC nel-la figura ) dell’aorta a monte dell’emergenzadell’ARMA, I’ASA può ricevere sangue sol-tanto dal suo versante craniale, ovvero at-traverso le arterie vertebrali sinistra e destra(LVA e RVA in figura) . Poiché l’ASA – comelo studio anatomico dimostra efficacemente– decorre lungo l’intero midollo in teoria sipuò evitare l’ischemia del tratto dorsale elombare. E questo è tanto più vero, quantopiù il circolo collaterale (non illustrato) so-stenuto da arterie radicolari minori è validoe viene risparmiato o ripristinato. Infatti du-

rante gli interventi di chirurgia sul-l’aorta non soltanto si deve cercaredi risparmiare l’ARMA ma può an-che essere più che opportunoreimpiantare arterie intercostali eradicolari “minori”. La continuitàcon l’ARMA – paradossalmente –può divenire il substrato anatomicoper un eventuale “furto” che sot-trae flusso ematico dall’ASA – equindi dal midollo – per portarlonel circolo aorto-iliaco a valle delclampaggio. In parole povere èpossibile un by-pass fra aorta al disopra e al di sotto del clampaggioattraverso la via ASA-ARMA. Lapossibilità per l’ASA di attingere siaalle arterie vertebrali sia all’ARMAa seconda del gradiente cranio-caudale, dunque, si rivela una lamaa doppio taglio: questa possibilitàdi solito rappresenta un fattore disicurezza, ma essa può trasfor-marsi anche in un fattore di rischioin caso di clampaggio toracico. L’e-voluzione della Specie Umana, evi-

dentemente, non aveva previsto la chirur-gia vascolare.

A colui che, incuriosito dallo studio ita-liano, voglia approfondire lo studio dell’i-schemia midollare apparirà degno di notaun lavoro francese2. Esso non si fa rèmorenel proporre una rassegna su un tema chepotrebbe apparire di scarsa attualità. Inrealtà l’articolo getta un ponte fra la classicaanatomia dei territori vascolari midollari, na-ta con studi post-mortem, e le moderne tec-niche di imaging (tomografia assiale com-puterizzata, RM, ecografia, angiografia) checi forniscono evidenze anatomo-funzionaliin vivo. In primo luogo ha un certo fascinoriscontrare come la RM confermi quanto –pur con tecnologie molto meno sofisticate –l’anatomia ha insegnato. Per esempio in RMil classico “rammollimento a matita” centro-midollare diviene ben visibile in vivo (Fig. 3)e genera in sezione trasversale una nuovasemeiotica come le immagini “a occhi digufo” o “a occhi di serpente”. Il lavoro nondà informazioni originali ma è molto prege-vole come vue d’ensemble (il francese èd’obbligo) del rapporto fra sede lesionale esindrome clinica conseguente. In particolareesso ricorda come, vista la delicatezza e lemolte peculiarità della vascolarizzazione mi-dollare, la diagnosi debba prevedere unagamma vastissima di ipotesi che spazia damalattie sistemiche a problemi molto loca-lizzati. In particolare si sottolinea come visiano cause la cui prevalenza potrebbe es-sere sotto-stimata. Per esempio è molto in-teressante il richiamo all’embolia fibrocarti-laginea la cui patogenesi non è del tuttochiarita. Davvero non è facile immaginarecome un frammento discale possa penetra-re nel circolo arterioso midollare. Eppure sesi dà un rapido sguardo alla letteratura siscopre che anche la medicina legale am-

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Fig. 1 - Il colorante inettato attraverso l’arteria iliaca comune impregna progressivamente l’aorta addominale, learterie radicolari lombari e intercostali e l’arteria spinale anteriore (da Biglioli P,1).

Fig.2 - Il fenomeno di “furto” verso la parte di aorta che vieneesclusa con clampaggio. Il sangue viene dirottato dal midollospinale attraverso arteria spinale anteriore e arteria radicularismagna. ASA: arteria spinale anteriore; ARMA: arteria radicula-ris magna anterior. LSA: arteria succlavia sinistra; RSA: arteriasucclavia destra; LVA: arteria vertebrale sinistra; RVA: arteriavertebrale destra; BA: arteria basilare; AXC: clampaggio aortico(da Biglioli P,1).

Fig. 3 - Infarto ischemico del midollo cervicale este-so da C5 a C7, vibile come immagine di iperinten-sità T2 in Risonanza Magnetica Nucleare (da Mas-son C, 2).

continuità con l’arteria radicularis magnaanterior (ARMA), meglio nota come arteria diAdamkievicz. Arterie radicolari minori, siaintercostali, sia lombari, costituiscono poi unesteso circolo collaterale che si estende perl’intero midollo spinale. Tradizionalmente siinsegna che l’ARMA nasce (a sinistra o –più raramente – a destra) da una sola arte-ria radicolare toracica bassa o lombare, conmaggior frequenza fra T12 e L1, anche se siammette che esistano casi in cui l’emer-genza è sia craniale, sia caudale. Forse lecose non stanno proprio così.

Il lavoro italiano chiarisce due puntifondamentali. In primo luogo esso dimostrala unicità dell’ASA, riscontrata in tutti i 51casi, lungo tutto il midollo spinale. ASA eARMA sono in continuità fra loro: l’arteria diAdamkievicz non è un arteria terminale. Insecondo luogo esso dimostra che l’emer-

mette ormai che questa drammatica possi-bilità sia rara ma non eccezionale3 (Fig. 4).Molte altre sindromi, forse, devono ancoraessere descritte negli anni a venire: se è ingioco la ischemia midollare nulla deve stu-pire. Per esempio si consideri che risale sol-tanto al 2000 la descrizione di una forma diischemia midollare generata dalla compres-sione dell’ARMA – o anche di arterie spinaliposteriori – a livello dei pilastri muscolaridiaframmatici. I sintomi sono molto insidiosipoiché possono essere precipitati dalla lor-dosi lombare ed essere soppressi dalla ci-fosi4. E ancora: risale al 1992 la descrizionedi infarti midollari embolici causati da peni-cillina che, iniettata banalmente nel gluteo,riesce a penetrare accidentalmente nell’ar-teria glutea superiore e a risalire contro-cor-rente fino ad imboccare l’ARMA.5.

L’aspetto più innovativo della rassegnafrancese è l’accento sul fatto che le nuovepossibilità di imaging non rappresentanosoltanto una replica delle conoscenze ana-tomiche classiche. Al contrario, esse con-sentono di scoprire nuove cause e nuovimeccanismi di ischemia e di descrivere invivo sia il danno sia gli eventuali meccani-smi di compenso. Rispetto agli studi post-mortem non è poca cosa. L’ischemia midol-lare ha due brutti vizi: persino nelle tecnichedi imaging contemporanee essa può mima-re le più varie condizioni patologiche (dalleneoplasie alle mieliti). E soprattutto essatende a rendersi visibile quando ormai puòessere tardi per intervenire. Se è vero il det-to secondo cui per l’ictus “il tempo è cervel-lo”, è vero ancor più che “il tempo è midol-lo”. Allo stato attuale il sospetto clinico diischemia, in assenza di altre patologie piùfacilmente evidenziabili come una dissezio-

ne aortica o una emorragia, deve aspettaregiorni prima di ricevere conferma con RMconvenzionale. L’articolo accenna soltantoalle speranze sollevate dalla nuova tecnicaMR “diffusion-weighted” (letteralmente “pe-sata per diffusione”). In termini un pocosemplicistici si può dire che la tecnica èsensibile alla “anisotropia” (letteralmente:orientamento disuguale) delle molecoled’acqua che diffondono con velocità più ele-vata in direzione parallela, che non perpen-dicolare, alle ordinate fıbre nervose mielini-che. La capacità di “tenere in ordine” le mo-lecole d’acqua si attenua molto precoce-mente nel tessuto post-ischemico. Questotipo di MR è ancora molto sensibile ad arte-fatti da movimento (per esempio, quelli in-dotti dalle pulsazioni liquorali). Pur tuttavialavori recenti6, 7 fanno presagire la possibi-lità che essa divenga la metodica di routinenel sospetto di ischemia midollare, visto chela diagnosi diviene possibile già nelle primetre ore successive all’evento.

Quanto interessa al riabilitatore la ri-cerca sull’ischemia midollare? È evidenteche vi possa essere un interesse conosciti-vo, poiché il retroterra culturale della riabili-tazione è fortemente sovrapposto alle neu-roscienze.

Ma c’è anche un interesse pratico.L’invecchiamento della popolazione com-porta un aumento della prevalenza di pa-zienti con vasculopatie e quindi anche convasculopatie midollari. A questo va aggiun-ta la crescente capacità di intervento dellacardiochirurgia e della chirurgia vascolarecon gli inevitabili rischi che esse compor-tano a livello spinale. I quadri di disabilitàda ischemia midollare assomigliano sol-tanto molto parzialmente a quelli post-

traumatici che costituiscono la base dellaformazione riabilitativa su questo tema.Sono diversi i territori nervosi coinvolti: peresempio, sono frequenti i quadri pseudo-periferici (si può dire quasi pseudo-polio-mielitici) centro-midollari o da ischemiadelle corna anteriori nei quali la morte mo-toneuronale è sequela unica o prevalente.Diversa è l’età tipica: giovanile nel caso deitraumi, senile nel caso delle ischemie.Dunque la ischemia midollare tende ad as-sociarsi a comorbidità e complicazioni pro-prie dell’età avanzata (come cardiopatie,artropatie, diabete di secondo tipo) e a pro-blemi di reinserimento sociale specifici (èraro il problema del reinserimento lavorati-vo, più frequente la carenza di sostegnofamiliare).

Sì, al riabilitatore l’ischemia midollareinteressa: deve saperne di più perché saràchiamato a fare sempre di più.

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Fig. 4 - Embolo fibrocartilagineo all’interno dell’arteria spinale anteriore (da Yousef O, 3).

BIBLIOGRAFIA

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❖ aggiornamento a quiz sulla scala FIM

❖ bibliografia

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