Riccardo Orioles - Appendice

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RICCARDO ORIOLES APPENDICE poesie mardiponente

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Poesie edite da Mardiponente in supporto alla Catena di San Libero

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RICCARDO ORIOLESAPPENDICE

poesie

mardiponente

ricc
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Edizione speciale in sostegno alla Catena di San Libero
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Riccardo Orioles, Poesiemardiponente [email protected]

Questa raccolta comprende poesie scritte fra il 1967 e il 2005.L'ordine è cronologico, con alcune eccezioni.

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A P P E N D I C E___________________________________________________

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MILLENOVECENTOQUARANTOTTO

Davanti alla chiesa ci sono le spadele hanno messe i re antichinella piazza di sole la domenicai vecchi guardano vivere.

La città sta sola sulle montagnemanda lontano polvere per le trazzerealle stelle dell’alba escono i contadiniritornano con l’ombra delle colline a sera.

E quando è uscita per la prima volta(una stoffa sbiadita su una canna)noi guardavamo dietro la finestralui che parlavae i suoi compagni attorno.

Davanti alla chiesa ci sono le spadele hanno messe i re antichinella piazza di sole il comizionoi guardavamo dietro le finestre.

La città sta sola sulla montagnasulle trazzere navigano greggicompagni la gabella non l’ha messa diol’ha inventata un uomo.

E quando l’hanno trovato nel burrone(le mosche gli mangiavano la faccia)noi guardavamo dietro le finestresi guardavano attornoquelli che l’hanno ammazzato.

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SABBIA

Il mare chiaramente risplendevale sabbie della riva rilucevanosorridevano lievi le tue labbra.Ed io felice ti guardavo, e il Tempo

fermò per me le sue grandi ali nere.

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E SALE NEL CREPUSCOLO DORATO

E sale nel crepuscolo doratoun filo di fumo lontano:le canne sulla riva del torrenteondeggiano frusciando, e già sul mares’alzò Sirio splendente, e già la seratenera torna. E tu sei lontana.

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GLI ADDII

I monti fatti rosa dal tramonto,l’azzurro liscio e immobile del mare.La strada scorre lenta e silenziosae mentre lentamente cala il solesi spegne in cuore l’eco degli addìi.

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COME INQUIETA L’ACQUA VA FIOTTANDO

Come irrequieta l’acqua va fiottandoattorno all’aspro scoglio e senza posavi stende giochi effimeri di spumairidescente- simili i tuoi occhi.

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NON PIU’

Non più, non più nel cuore mi sussurrile tue parole, dolce Poesia!Col suo sorriso lieve m’hai lasciatoe l’anima è rimasta triste e sola.

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FRAMMENTO

I passeri hanno smesso di volare.Non s’ode che lontano lo stridìorabbioso dei gabbiani, alto nel cielo.

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DA TEOGNIDE

L’ansie dell’uomo volanocon ali iridiscentisi sfanno all’urto tristedel tempo e della vita

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RIEPILOGO

A vent’anni credevo in molte cosee avevo molti amici.E quando hanno alzato le barricateper le strade e all’universitàanch’io ho aiutato a costruirleed ho lottato per un giorno interoa colpi di selciato, il fazzolettopremuto in bocca contro i lacrimogeni.Poi sono stato dentro per un mesema non mi hanno fatto nientee quando sono uscito mi hanno detto.di comportarmi bene in avvenire.Dopo, ho studiato, ho dato molti esami,son diventato adultola macchina la casa la televisionela gente che ti chiama ingegnere.

Io sono un uomo solido, quadrato,eppure una volta ho fatto la rivoluzione(molto tempo fa).

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RIEPILOGO

Avevo diciannove anni quando fui chiamatoera l’anno della grande pienae della Prima Guerra Nazionale(o della terza, forse)e una delle vacche s’era enfiata di stomacoe il nonno aveva preso due lepri in un giorno.Quando sono partito c’era molto solee mio padre era orgoglioso di memia madre aveva polvere in un occhio.

Ci misero in fila ci lessero il proclamail tenente ci disse che la patriama noi avevamo passato la notte sui vagonied eravamo stanchi e non capimmo molto.Due giorni dopo ci mandarono in lineatre giorni dopo mi presi la pallottola.

(Mio figlio si chiama Pabloha diciannove anni ma è alto per la sua etàocchi e capelli nerile orecchie a sventolaè sempre stato con noi in campagnaper questo è un poco timido in compagnia.Se tu sei stato suo compagno in guerradimmi perchè non torna).

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RIEPILOGO

E strano come a volte possano capitartii casi della vita.Io ero postino a Middletown, Ohio,e un giorno m’è arrivata la chiamatae sono partito.In Asia, ci sono stato un anno e mezzoe mi sono preso il grado di sergentee una scheggia nel braccio.Poi, quando sono tornato nell’Ohio,alcuni hanno detto che ero un assassino,altri invece che avevo servitola patria.Ma non credo che valga la pena di grandi parolequando tutto quello che hai fattoè stato camminare nella forestasparando qualche colpo a un nemico invisibile.

Però un ricordo m’è restato impresso.E stato quando ho visto in mezzo all’erbail cadavere dello Charlie che avevamo ammazzatoe mi sono meravigliatoche il nemico fosse così piccolo.

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RIEPILOGO

Voi non potete capirecos’era la vita in quel momento.I cannoni dei carri puntati sulle casei camion dei soldati per i vialigli alberi del corso nettinel nero dell’incendio.Quando una sera ho sentito i passi pesantisalire per le scalee la porta percossa da colpi inesorabilivoi non potete capire cosa ho provato allora.E sono salito sulla loro macchina nerae li ho portati da quelli che conoscevo.Dopo, poi che tutto fu finito,non potevo dimenticare gli occhiche ho svegliato di notte con voce d’amico.

Ma non è stata colpa mia,vi dico! Non è stata colpa mia.

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RIEPILOGO

Non ha importanza quello che son stato,povero prete o papa.Un giorno, mentre pregavo davanti all’altare,ho alzato lo sguardo al crocefissoe guardando gli occhi grandi nel viso sgraditoho pensatoche forse Cristo è morto anche di fame.Allora sono uscito dalla chiesa,perché dentro la chiesa non c’è fame.

Ora, qui nella gloria,non vedo più che luce.Ma questo paradiso dei teologinon è che un’altra chiesa, un altro esilioper me - laggiù, c’è ancora fame.

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AMBULANTE

Ho camminato tutto il giorno, e il solem’allungava davanti un’ombra nera.Poi, nella piazza, fra gl’indifferentibenvestiti paesani, roco e ansanteper questi quattro pezzi di sapone.

Ma il mio riposo non è quando tornoalla grigia locanda e là, gettatosenza forza per terra, alzo lo sguardoa fissare il soffitto - è quando chiudogli occhi gonfiati e vedo ancora i sogniche facevo bambino fra i covoni.

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CIRCO

Il tendone sbiadito dall’estate.

Nell’erba gialla e secca, carrozzonidi polvere (davanti ai finestrinivecchie logore tende di cotone).Penzola senza vita una bandiera.

All’uscita del circo, imbellettatatenta un sorriso stanco una ragazza.

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RIEPILOGO

Io non sono stato un filosofo,non credo a tutte quelle storie che dicono.La vita, è il capannone rimbombanteil nastro mobile si ferma e ripartee allora devi stringere i bullonie poi ripassa e si ferma e riparte.La sera, a volte, poche ore in frettacon la prima che passa - surrogatomeccanico all’amore -, qualche voltail flipper con gli amici. Brevi istanti.

Soltanto questi istanti. Il tempo passapassa pesante sulle spalle il tempopassa la rabbia verde dei vent’anni.In fondo è semplice, niente da spiegareil nastro mobile la chiave i bullonie poi i vermi.

(Finchè ho vissuto mi piaceva berebevete voi che siete ancora in vita).

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UNA BUONA OCCASIONEomaggio a Majakowskij

A tutti a tutti a tuttibasta la guerra la fame la paurala paura d’essere uomini

A tutti a tutti a tuttigiù nella strada la nostra rabbiapiazza pulita di tutto il mondo

A tutti a tutti a tuttiuna buona vernice sopra le targhedella vecchia viauna buona scarica sopra la facciadella vecchia borghesia

PeccatoVladimir Vladimiricuna così buona occasione

perduta

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FOTO IN BIANCO/NERO

Nell’ora che le ragazze del Borgotornano dalla buia sartoriae mastro Fanu muratore arrancaper la salita del castello, l’orache i ragazzini del quartiere, mutiservitorelli di caffè, rimpiangonoil pallone dei preti e la domenica...

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ISOLE - I

Isole lievi lontane Respiravasommessamente la marea lottavanopiccoli granchi sullo scoglio neroa fiore d’acqua libero leggeroil vento fra le gambe nude - Maisaremmo morti amore mai lontani

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ISOLE - II

Al lampo di un fiammifero il tuo visoho strappato alla notte e già scompareSola voce nel buio l’indifferentemormorare del mare - e già è lontano

il tenero coraggio dei tuoi occhi

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ISOLE - III

E lievi sui gradini al molo vecchioondeggiavano i passi della nottela luna amica ironica segnaval’amore sulle pietre buie del vicoloe quella rete rossa e quella portascrostata e il remo insegna d’osteriale stelle nel rigagnolo i tuoi occhi

tutto ingiallisce piano nella fotoarchivio inutile della nostalgia

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TEMPI

Osservarecon ammirazionecome sia diventato elegantefottersene di chi campa e di chi muore

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EPIGRAMMA

E andata ancora bene, credi, penna mia cara:è meglio un calcio in culo d’un colpo di lupara.

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DESSERT

Quelli che tenevano le porte apertequelli che amano gli operai se polacchiquelli che nel conflitto a fuoco col topo d’autoQuelli che si sono pentitiquelli che non avevano nulla di cui pentirsiquelli che si sono annoiatiquelli con l’orecchino e la cravattaquelli che ora bocciano nel liceo occupatoquelli che sono diventati realistiquelli che sono rimasti utopistima vendono bene la loro utopiaquelli che hanno quarant’anniquelli che ne hanno diciannove e con coscienzastudiano per quarantenniquelli che non hanno mai corso molti rischiferocementeeducatamentefraternamente litiganofra la frutta e il caffèIl cameriereche è là da vent’anni e ne ha viste tanteancora una volta rassicuratosogghignandoporta il conto

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CERIMONIA IN SICILIA

Quelli che cavaliereggianoQuelli che presenzianoQuelli che telegrammanoQuelli che scoprono le lapidiQuelli che la città commossaQuelli che mentre il trombettiere suona il silenzio d’ordinanzaQuelli che lentamente il feretroQuelli che la televisione riprende in primo pianoQuelli che non oserà mai riprendereQuelli che un’indegna campagna di stampaQuelli che il benessere della NazioneQuelli che danno lavoro a quindicimila operaiQuelli che non ci faremo impiccare a un titolo di giornaleQuelli che non lasciarsi sopraffare dall’impulsoQuelli che le miserie dei giudiciQuelli che lo conoscevano beneQuelli che il giorno dopo dichiaranoQuelli che non rilasciano dichiarazioniQuelli che dichiarano le tasseQuelli che non le dichiaranoQuelli che sono al ventunesimo posto nella lista dei contribuentinonostante i loro duecento miliardi d’evasione fiscaleQuelli che la Sicilia diffamataQuelli che per equivocomentre la banda suona l’inno di Mamelie fuori splende il sole

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ANCORA UN GIORNO E’ ANDATO

Ancora un giorno è andato, uno di tutti gli altriAncora intorno scivola con passo straniero la seraAncora batte la lampada sul tavolino del barE ancora tocca a te, bicchiere amico, ucciderequest’altra notte, senza malinconiee se puoi sorridendo - e domattinaricominciare ancora a rotolareil dado baro della nostalgia

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QUANDO NON AVRA’ PIU’

Quando non avrà piùle care labbra e le dolcissime spiaggeQuando l’isola viola all’orizzontenon più sarà con lui e la luce del mareSe lieve scorrerà per voi fra i ciottolila marea del crepuscolo, pensatepensate che è stato per amore

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PRIMO MOMENTO

Se il mondo fosse compostosolo da pagine biancheuna sarebbe per scrivercianeddoti senza pretesestorielle distratte, da bar

Se il mondo fosse giovane- pagine bianche a non finire -potreste lasciarcene qualcunasenza impegno s’intendeavremmo forse ancora qualche cosa da dire

Se un brivido ti avverte che già dicidomani pensando forse e forse pensando maise acqua fuggente, non altro,è oramai il foglio su cui scrivi(e nulla è più solitario che scrivere da soli)

Tu scrivilo lo stesso

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SECONDO MOMENTO

Poi gli venne in mente improvvisamenteche se fosse stato un poetauno di quelli veriavrebbe potuto chiamare sul foglio biancoGiusi Silvana Flora e qualche altraGiusi sopra lo scoglioFlora dagli occhi neriSilvana di cui ricorda solo il nomema doveva essere bellaBasterebbe pochissimol’ispirazione la macchina il foglioed eccoti a parlare con loroinvece di questa serata idiotabasterebbe ben pocose fosse stato un poetaDesiderò ferocemente di essere un poeta

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TERZO MOMENTO

Quelli cosìmuoiono a un angolo di stradaquando hanno fortunaoppure in una camera d’albergocon una valigia in un angolo e delle vecchie fotoe dei ricordi che disperatamente richiamanoper chiudere senza rancore

Nella soffitta davanti a uno specchio sbrecciatola cameriera diciassettenne si preparaa uscire col suo soldatoe a volte per vie irrazionali li raggiungeil tenero di quell’attesae senza saperne il motivo fraternamente sorridonoe questo è il loro solo paradiso

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L’ESAME

E il gatto acciambellato (ma ben sveglio: da gatto)giù nel cortile fra vecchi ferri e ringhieremi considera attento: so che sta valutandotecnicamente l’intruso e con sollievo lo vedorilassarsi sul vecchio copertonemettendomi fra i non-pericolosi

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SAN VALENTINO

Tu non ricordi più come dolcemente arrossiviDi fronte ad una rosa in un mattino di questiFra due banchi di scuola e come sorridevanoTimidamente gli occhi quindicenniE fuori nella strada ci chiamavanoLe primavere da venire e l’allegria

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LE NEBBIE

Sai, Giusi, hanno abbattuto l’alberofra il deposito di legname e il commissariato(tre-quattro camion morti rimangonoa ricordare dove c’era una strada)e sempre più torbide fra gli scogli tornanole onde lievi del porto, e già scrostataalla riva marcisce, abbandonata, la barca.E scendono le nebbie su Torino,e il nostro mare è lontano - e siamo soli.

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I COMPAGNI

Ma uno dopo l’altro, ancora impietriti dall’orrore,Li risvegliava l’affetto e li faceva parlareSapendo, in quella pena, che c’era molto da farePerchè non fosse inutile Perchè vivesse ancora

Dieci creature sole, senza dei a portar doniDi genio o d’eroismo nella notte feroce:E una dopo l’altra prendono la parolaConsigliando i compagni, inghiottendo il dolore,Decidendo con calma ciò che faranno insieme

Sapendo che lo faranno, fra dieci anni o domaniE che in questo se stessi resta un uomo e il suo dono

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SCRIVERO’ IL TUO NOME

Scriverò il tuo nomenei cessi della metropolitanasui sedili di seconda classesui tavoli di plastica dei barin tutti i posti in cui la gente solain solitudine vive non sapendo di te

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PAIDIKE’

Se tu fossi davvero un giovinettoti seguirei titubando senza sapere comecombatterei a disagio lo strano turbamentoe infine, colto da un’illuminazione improvvisa,“Per Allah!, mi direi, ameremo i culetti”.Dopo con gratitudine scoprirei nel tuo corpoi seni allegri e quello che i ragazzi non hanno.

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COME SENZA VIOLENZA SUL TUO CORPO GIOCAVA

Come senza violenza sul tuo corpo giocava,Re fortunato, il sole - Come il suo dito lieveFra le gambe dischiuse il fiore accarezzava

Così, mentre le palpebre ti sfiora un sonno breve,Vorrei fare con te, dentro il riflesso verdeDel mare meridiano dove l’ora si perde.

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LE MILLE E UNA NOTTE

Quella notte che il re non riusciva a prendere sonnochiamò il visir-ministro dell’internobuttò in un angolo il telecomandoe uscirono per la città(e, naturalmente, il boia)

Piazza Roma, maestà: quella accanto al lampionesta cercando qualcuno da cinquantamilaVia Siccheria, maestà: là, quel vecchio che dormepoco fa s’è fumata l’ultima nazionaleLargo Ariosto, maestà: i tre con la ragazzagià fermati due volte, uno pregiudicato(E ogni volta, un sorriso e un cenno lieve al boia)Mentre i fedeli riposano nella città di cementos’aggira per le traverse la mercedes del reFinchè arriva in un vicolo, nel vicolo una luceBeh, fermiamoci un pò, fece annoiato il re

Scorri scorri le pagine - un cavallo volantedi legno nero d’ebano un piolo per dirigerlo(corteo alla base-comiso) un cavallo invisibilesfreccia per l’universo precipitando hiroshime(corteo contro la base corteo domani a Comiso)settantasette sapienti per quel cavalloma ne valeva la pena (i lacrimogenile frontiere i giornali quel cavallo)

e volta ancora pagina - un amoreche va in indifferenza può succederese il gas della bombola sta per finiree l’uomo del televisore declamae tenerezza non basta non basta fantasiastringersi forte forte dentro il letto

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è il giorno-dopo-giorno che dividesenza nemmeno accorgersi è la vita- d’accordo tutto questo onestamentenon c’entra niente con le mille e una nottee quindi andiamo avanti

al re che entrò nella birreria illuminatail ministro dappresso terzo il boia

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LA RIVOLUZIONARIA

La sera, sotto il povero tetto di casa,cucinerai qualcosa, a gesti attenti, stanca(La sera, quando i lividi sull’animariportano i ricordi a far vacillare il sorriso)

Dormono nel quartiere le case dei poveri attornoDorme la sposa bambina dorme la vecchia piegatanei suoi dolori dormono i manovalidorme coi pugni serrati il ragazzo di vitaSotto il coltello dormono Dormono i dimenticatiTu sei con loro. Con impazienza strofiniuna macchia sul tavolo, togli il tegame, prendiil piatto dalla mensola, sorridida sola e sola cominci a mangiare.

La macchina-città macina ancora.Ma la tua lampada resta, chiaro cerchio di luceIllumina il tuo viso, il tuo letto, le cose- te che ti spogli e il tuo corpo improvvisoe i dolcissimi seni e l’ombra lieveche trema fra le reni combattiveCome sei inerme, nuda! Ma nessunoper potente che sia potrà comprarela libertà che hai negli occhi: e lo sai

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E IL TUO DOLCE CALORE E LE TUE MANI

E il tuo dolce calore e le tue maniCosì gentili ai polsi e così offeseE il tuo corpo che dorme e le tue labbranel sogno inconsapevole e il sorrisoche le fiorisce tenero e il tuo visonella luce amorosa del mattino

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I COCCI DI BOTTIGLIA DELLA TUA PAURA

I cocci di bottiglia della tua pauraIo che mi taglio le mani e riscivolo giù

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E SAPERE CHE UN GIORNO

Pensarti dolcemente, nel buio e nella penae sapere che un giorno tornerai a volare

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E TENENDOLI STRETTI VANNO IN GUERRA

Come impercettibilmente sorridono,gentile Libertà, coloroche dell’uomo raccolgono la debolezza e l’amoree tenendoli stretti vanno in guerra!

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UN TAVOLO DI BAR

Un tavolo di bar. Tu non ci sei.Sole, gente. L’inferno è tutto qua.

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NELLA SOLITUDINE IMMENSA DEGLI ESSERI UMANI

Nella solitudine immensa degli esseri umaniA volte improvvisamente una memoria li chiamaGesti parole accordi - cose per cui non hannoDei nomi ma d’istinto nei simili le sanno

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RIEPILOGO

Ti scrivo da una notte come tante, forse un poco più sola(ma non so bene a chi sto scrivendo e che cosa)Una di quelle notti accanto a un letto vuoto,qualche libro per terra, la radio spenta, paroleche inutilmente cadono l’una sull’altra nel foglioe questa solitudine bestiadi uno che ha perduto la sua guerra.

All’epoca dei mostri - il mio tempo - il paesein cui vivevo era un paese amaro.La prepotenza regnava. Perfettamente oleatala macchina macinava. Chiamavano normaleciò che accadeva ogni giorno, ma ciò che per l’uomo è normalelo chiamavano sogno. Troppo pochisopravvivevano al sogno. E molti ancorase ne tornavano indietro, paurosi di sognare.Un foglio dopo l’altro, venivano sui giornaligli assassinati di oggi, le vittime di domanie chi li divorava e per che cosa e come;o anche niente del tutto. I loro nomicadevano sulla terra già illividiti dal gelo.

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MA IL MIO MARE

Ma il mio mare ha una lunga spiaggia chiaraE un’isola là in fondo, viola, quando hai fortunaE te che sorridendo vieni avanti bagnataSulla ghiaia della riva accanto a me

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DUE

Due solitudini che si volgono il culo...

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SE

Se un giorno ti diranno...

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TRENO

La ragazzina sul treno di MilanoLa veste chiara gli occhi attenti al senoancora impercettibile un bambinoGuarda volare dietro il finestrinotutti i paesi che non avrà mai

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ALL’AMICO QUINDICENNE

L’amore delle donne, la solitudine, il bere,Gli amici rinsaviti e le sconfitte e gli anniMi hanno portato qui, vecchio filibustiereSuonato e zoppicante, carico di malanni,

Che sogna nella bettola il mare e l’abbordaggioE naviga i ricordi nel fondo d’un bicchiereMa ancora sa sorridere per passarti il coraggioE l’ironia di vivere da ardito cavaliere.

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MARDIPONENTE

Nel sorriso del sole esse nuotavanoE il mare carezzandole diceva loro qualcosa“Liberate l’amore - è così lieve vivere!”Il mare, amico giovane, respirava con loro

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UN PAIO DI SANDALI

Un paio di sandaliE le ciliege sul ramoI guanti gli stivali gli orecchini(cravatte e spille, egoisticamente, no)Ruote di biciclette e delfini e leoniEd i cavalli liberi e rondini d’estateE i remi della barca e le vele e le aliE creature che volano e che vannoVanno tutti a due a dueE ioE te

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OI NOSTOI

L’epoca delle dee- migliaia d’anni di luce -mandate in esilio dal cementoe dalle radioline e dal fumoe dalle parole senza cosee dalle paure e le noiee dalle ambizioni mediocril’epoca delle deeogni tanto ritorna

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QUELLI CHE SI AMANO

Quelli che si amanonon si guardano attornoluce di mare limpida avanti a loronube buia della storia striscia dietro.E come in una sfera essi camminano,giovani re in esilio - se ne vannosenza sentire il rumoresenza volgersi indietro.

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ENTRARONO NEL BAR

Entrarono nel bar chiacchierando fra loro.Il primo, dignitoso: “Un gin-tonic, prego!”.Ed il secondo, ironico: “Al mio amico, un gettone!”.Bevono in solitudine, nel gran cerchio del mondo.Uno continua a sorridere, l’altro- una volta ancora - s’è destato.

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LA RICCHEZZA

Ricchi siamocon un cesto di sassi del mio paesediesegni (fatti da noi) appesi al muroun letto a una piazza di due assi di legnoun lavandino che perdetre raste di pianta di miseriaed un tramonto e un’albae un vetro rotto.

Ricchi siamodi parenti che ci dicono pazzid’amici imperbenitidi domeniche in casadi guerre perse.

Ricchi siamodi chi ci viene a trovarestracciati per la strada che ci chiamanoallegramentee anche d’un pianoforte quando c’èe con queste ricchezze andiamo avantiio e te.

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UNA RAGAZZA INFANTILE

Una ragazza infantileLa riconoscono i canile paperei bambiniVuol bene a quasi tutti e trova stranoche gli altri non siano così“Campanellino”, “scoiattolo”, “bimba”,lieve come un respiro:ma nell’incastellatura dei suoi versi,sola come un creatore,scolpisce forte le creature che amanella materia duradella Poesia

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NOI

Troppa paura facevi, alle anime grigie, tu che amavi.Perciò t’hanno insegnato ad odiare il tuo amore.“Noi l’avevamo detto!” senteziano felici,liberi finalmente di chi li giudicava.

Certo, non è difficile ammazzare i gabbiani.Stringetegli il cielo attorno, appannategli il mare.nel giorno-dopo-giorno buttateli nudi e soli:la miseria assassina sa fare il suo lavoro.Fra le pareti tristi della povera casacome s’appanna l’elmo del tuo bel cavaliere!Son scarafaggi e topi i nemici che hai,altro che vecchi draghi! Qui non serve la spada.E se anche questa è guerra, chi la sa più vedere?Qui non ci sono trombe, e si combatte soli.

Resta il povero riso, coraggiosamente forzatoalla mattina - bandiere d’amore lise e fiere -resta la bottiglia e il dolore e la malinconiae cadere ogni giorno e rialzarsi pian pianoogni giorno più piano e disperatamente agitarele ali affaticate e stridere senza poesia.“Noi l’avevamo detto, non poteva durare!”.E ostinato ricredere, sul volto indurito, al tuo sorriso.

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VIAGGIO

La luce delle tre del pomeriggioin una piccolissima stazioneed un vagone fermo. Il blu del maresplende ferocemente dalle porte vuote.Solo un insetto, da qualche parte, s’ostina.

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LA TAMBURINA

Sette medaglie luccicanti ha avutoin premio dalla vita, la tamburina.

La prima, Dormi-in-terra, con la vecchiabrandina da campeggio nella stanzadove poi lui, quand’è giorno, lavora.La seconda che ha, è la medaglia dei Gatti:ce n’era tanti, ricordi, laggiù in via Garibaldi,e anche vicine perbene, che le parlavano dietro.E da lì se ne andarono per una storia di cesso.Terza fu la medaglia della casa-In-Comune:senza nemmeno accorgersene, innocentementesi può stritolare la gente. Toccò a lei.E quarta, la medaglia del trentatrè:era il bus della sera, carico di soldati,e poi la strada buia e la casa paurosa.Non ebbero mai fortuna coi gabinetti,questo si può dire di loro. Durò un anno.Prendi la quinta medaglia, il Torna-a-casa!Al circolo del paese, tuo padre sbatte la cartarabbiosamente sul tavolo: i paesani stanno pensandoalla figlia “disonorata”, e lui lo sa.Torna a casa feroce e senza una parola.La sesta delle medaglie è a forma d’un biscottotimidamente rubato, fra i silenzi e le botte,nella casa-galera: e lo porta al suo amoreperchè stasera, almeno, non abbia fame.La settima medaglia è di carta stagnola:l’apri con gratitudine, spezzi in due il cioccolatoe ne dai mezzo, complice, all’altra metà di te.La mano nella mano, cercando di non pensare alla paura,vai con lui al macdonald, se ha duemila lireper una birra in due e un quarto d’ora a tavolino

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come due ariani qualunque, col diritto a campare.E Mahler, Leopardi, Mozart, sempre più da lontanoche la chiamano fiochi: e com’è lontano staserail Posto dei gabbiani! E già sta passando la corrieraper riportarla dentro. Stanotte la tamburinasvegliandosi cercherà disperatamentedi ricordare com’era il sole, com’era non essere sola.

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SANT’AGATA

Quando si sono incontrati, sette anni fa,erano due poeti.Ora lui vive ancorama solo per ricordarecom’era gentile quel sorriso.Lei, alla felicità,non osa crederci più.Lunghi lunghi lunghiGli anni senza.

Lotto per essere utile manon oso chiamarla vita.Voi che volate adesso, voi che v’incontrate,ricordatevi, se volete,di due che sfidarono il mondoinsieme.

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QUASI UN PROMEMORIAai ragazzi dell’Alba

Scacciato dai padroni della terraanche il ragazzo Michele molti anni fa se ne partivaper città senza mare, schiavo- come tanti prima di lui - dei vincitoriSe la Sicilia ha bandiera, non ha trinacrie alate,non colori brillanti di baroni e di re.Una zappa fangosa è il nostro unico stemma,una valigia pesante, per le strade del mondo, il nostro regno.Così per molti secoli. Antichi padroni di schiavie baroni feudali, “sorci” di Re Ferdinando,e borghesi di “Talia”, notabili grigi di paesee rozzi gerarchi neri, padroni dell’eroina e Cavalieri:dalla Sicilia stessa in una ininterrotta catenasortivano gli sfruttatori dei siciliani.E così per molti anni. Di quando in quandouno degli sfruttati gridava. Capi di ribelli organizzarono- alle radici del tempo, sotto Roma - tre rivolte di schiavi:Spartaco, loro fratello, lottò contemporaneamente a loroche fecero della rocca di Enna la capitale degli schiavi.Furono crocifissi. Re Federico, nel medioevo,squartò e arse vivi a decine i servi della gleba ribelli:fuggivano nei dammusi. Il contedi Modica, signore di vita e di mortedovette fuggire una volta dalla folla- che pochi giorni dopo fu decimata - dei contadini. Così passarono i secoli. Poi gli antichi baroni,man mano che il progresso crescevae nuove cose venivano dall’Europasi trasformarono - ma semprerestando se stessi - in “galantuomini” e “civili”.Arrivò Garibaldi: ma un’altra abile trasformazioneli mise per altre sette generazioni al riparodalla sete di vivere dei siciliani. Ed è passato il tempo

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e i Cavalieri di oggi non sono affatto casuali:catene infinite li legano alle radicidell’ingiustizia arcaica, nata all’origine, su questa terra.

Neanche noi lo siamo. Dopo generazioni di sconfittile generazioni dei giovani sempre si sono riannodateall’insaputa di tutti. Le bandiere rosse nei feudi- Portella delle Ginestre, Turiddu Carnevale, Miraglia -fiorirono sulla lunghissima catena.Ed altro tempo è passato. Oggi i discendenti degli schiavihanno finalmente un ponte da attraversare:possono forse vincere, dopo anni e anni,se fantasia e ragione s’allargheranno dappertuttoa partire da qui. E questo è tutto. Nelle poche oree nelle cose modeste che ci tocca farec’è un concentrato antichissimo, grande, di lotte e di doloriche ora vengono al nodo. Per questo esistiamo,ora che una strana ironia - benevola, probabilmente -affida ai deboli, agli sparpagliati, ai ragazzinila sorte dei cavalieri e degli ultimi baroni.

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OTTO MARZO

Le dita di Cettina che corrono sulla tastieraGraziella nuca spavaldaE le ciglia-farfalle di RosalbaE i capelli di Ester da elfo da ragazzo

Una parlava in piazza contro i Cavalieriuna affrontava le ieneuna fra i sassi e i rovi del paesinouna a gettare fili fra Catania e Berlino

E tu, Campanellino, che fra tenerezza e paurasei rimasta con me quando i più coraggiosierano ormai dispersi ai quattro lati del mondoe il buio a tutti invincibile sembravafuori dalla nostra povera stanza

Quanta luce, guerriere mie, quanto passato,e che povero poeta son diventatoNon più vengono lievi le parolelo strumento già aguzzo s’è scheggiato

Passa un tram qui nel sole di Milanoe un passero improvviso fugge via.Qui tutto è lontanissimo. Ho vissuto.A passo veterano l’ironiastentatamente arranca nel deserto.

Cos’altro resta? Avessi qui dei fiorioggi per voi, o almeno una poesia!In questa ipocrisia di gente-bene- l’ottomarzo, le feste, le interviste -vorrei avere una tromba, una bandierauna tamburo di latta, una parola

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per dire: hanno lottato, per potereridere insieme a voi degli arrivisti,dei signorsì, dei vecchi, dei tromboni.Hanno imparato infine, a quarant’anni,a scegliersi telefonini e cravattesenza sbagliare, ad avere misura,ad essere realisti, a dire e a fareciò che tutti fanno e dicono, ad avere un sorrisoquando si parla di ribellarsi, ad essere- con l’anima ingrassata - pro-fes-sio-na-li.

Voi che siete rimaste come allora,amiche mie, compagne, sceme-di-guerra,voi cui i capelli ha segnato, non il cuore,il grigio della sconfitta, voi che andatecon insolente leggerezza per il mondo dei padronivoi a nulla rassegnate e di nulla pentite

voi fate finta un attimo che questa sia una poesia

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EL MANCO

“Non è stata una rissa d’osteria” disse il moncoquando la parola “storpio” gli fu soffiata alla schienadal poeta rivale, uomo di mondo e spia.“Non è stato un coltello a storpiarmi la manoma una spada in battaglia, combattendonel giorno più glorioso che ricordino i re”.Scrisse queste parole con l’altra mano,a lume di candela. Sul povero murotremò per un istante l’ombra di Quixadae scintillò - o gli parve - un riflesso di mare.

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LA CITTA’

La nostra è una Città in cui si lavora:a comandare, è il popolo e la Legge.Ciascuno di noi tutti ha dei diritti,quand’è insieme con altri, e quando è solo;ciascuno di noi tutti ha dei doveri.Nella Città non c’è uomo nè donna,miscredente o fedele, bianco o nero.I cittadini sono uguali. Tuttivivano nella loro dignità,nè miseri, nè troppo ricchi: a ognunofraterna dia il suo aiuto la Città.Chi pensa, chi produce, chi lavora,ognuno dia una mano alla Città:lei vuole che nessun rimanga fuoriper la pigrizia o per la povertà.È una la Città, ma il cittadinoè diverso un dall’altro, al suo paese,nel suo nord, nel suo sud, nel suo dialetto:la Città non ci vuole fatti a schiera.Legge di dei non è legge civile:qui, ciascuno rispetti il dio d’altrui.I boschi, l’aria libera, i poeti,i maestri che insegnano, il saperesono il nostro tesoro: la Cittàper tutti loro è vita e libertà.Non barbari, ma uomini civilinoi rispettiamo ogni altra città.Ma chi fugge dai barbari, qui trovicasa fraterna, asilo e carità:guai a chi lo scaccia! Offende tutti noi.Non sia guerra fra umani, uomini!, mai.Ragionate piuttosto: noi vogliamoessere i primi a ragionare, e andiamo

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nel mondo in amicizia e libertà.Nei giorni duri, abbiamo una bandierache ci ricorda: siamo una Città.

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30 APRILE 1982A Pio La Torre e Rosario Di Salvo.

Dei morti alle Termopili la sorteè bella e fortunato fu il destino, un altare è la tomba ed il ricordo non un lamento ma di lotta un canto.A questa veste funebre nè il temponè l’abbandono toglieran splendore:vive in questo sepolcro e gli è compagno l’onore di Sicilia. Così dice Pio, capo comunista. Lo confermaRosario che con lui cadde lottando.

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DA SIMONIDE

Se passi per Palermo, ricorda ai sicilianiche noi cademmo qui, obbedienti alle leggi.

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L’INTERPOPOLARE

In piedi poveri del mondoin piedi noi l’umanitàUn sogno sorge dal profondodi giustizia e libertà

Del passato niente nostalgiatutto quanto cambieràAl mondo diamo un’altra viachi nulla è tutto sarà

Su fratelli, lottiamotutti uniti, e saràl’interpopolarefraterna umanità

Niente re, padroni, ideologie,niente schiavi: libertà!vivremo in pace e in allegriala terra a tutti apparterrà

Pace a noi, nel limpido pianeta che nessuno sporcheràCoi muri non divideretegenerazione che verrà

Su fratelli, lottiamotutti uniti, e saràl’interpopolarefraterna umanità

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AL TEMPO CHE TU E IO

Al tempo che tu e ioeravamo tu e io,al tempo della guerra, noi due insiemee noi due soli.Al tempo che mi insegnavi Mahlere io a te i poeti greci.Al tempo che ci tagliavano la lucee noi a baciarci al lume di candela.Al tempo di quel bar, degli sgabellidavanti a quel bancone per la cena,del pianoforte scordato, dei gatti,dei fior-di-miseria violettispontanei fra le crepe del balcone.Al tempo delle tue poesiee della mia vecchia ventidue.Tu sei sempre bellissima, tu, ed io ho sempre da qualche partei miei occhi allegri di allora.Al tempo che tu e ioeravamo tu e io.

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I GABBIANI

Dalle parti di Roma, dov’è già autunnoe il vento, la mattina, porta un’umidità pensierosa,è l’ora in cui si affollano sul fiume,venendo dalla foce del Tevere, i gabbiani.Chissà - viene il pensiero - se qualcuno di loroè passato volando sopra di te,e tu l’hai visto... E’ ancora estate, attorno a te, e la figura graziosaforse in quest’attimo odora d’acqua di mare.Io spero che qualcuno di loro, amico dei poeti,arrivi nel suo volo a gridarti qualcosa.Noi lo sappiamo bene, noi che voliamo- ti dicono - quant’è difficile incontrarsi su in alto,per gli esseri che volano; ed è raroche scendano le dee per farli avvicinarecome per caso; ed è triste deluderle,respingendo per pigrizia i loro doni.O forse - ma è possibile? - non saila lingua dei gabbiani: e li guardi volaresenza capirne le parole, e di loro non sentinel cielo immobile che strida senza valore.

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L’AME DU VIN

“Una sera, cantò nella bottiglial’anima del buon vino...”. No, della Coca-cola:i ragazzi, la mamma e tutta la famigliain tutto il vasto mondo bevono questa sola.

L’anima del poeta all’albatro somiglia- ma un albatro da manga, un cartone che volafra orizzonti di plastica e città di fanghigliarecitando via software le avventure d’allora.

Ou-sont les vins d’antan? Nel mio fegato, ancora:nell’osteria di ieri, nella vecchia bottiglia(cocci rotti per via), nella dimoradove l’insegna rotta della frasca s’impiglia

sui fili del satellite, nel corostonato dei tre vecchi: “E che ce frega...”.

* * *

E che ce fregae che c’importase l’oste ar vino ce mette l’acquae noi che ffamo e noi che dimoNun te pagamo nun te pagamo

Di nuovo!

E che ce fregae che c’importa...

Di nuovo!

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Ce mette l’acquaaaa...

Di nuovo!

E noi che faaamoe noi cche diiimooo...

(ad libitum)

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QUANDO PASSAVANO I GIUDICI PER LE VIE DI PALERMO

Quando passavano i Giudici per le vie di Palermoe fiaccole s'alzavano a liberare la notte

Quando per vie antichissime i ragazzi sfilavanocon visi da Platea, da Ponte dell'Ammiraglio, da Vespri

Quando la libertà ci reclamò come faleneserenamente ordinandoci: "tu, tu e tu"

Quando insolenti ricreammo per un attimo il mondoe sghignazzando spingemmo via gli assassini

Quando gli dei impauriti si scansavanoal passaggio invincibile dei bambini

Quando Sancho e Quijada spronavanoasini spelacchiati e traballanti ronzini

caballeria dei poveri, hidalgos senza pari,regni presi d'assalto e giganti atterrati

Quando eravamo immortali

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COLOPHON

QUESTO LIBRO

E’ STATO COMPOSTO

IN CARATTERE TIMES NEW ROMAN

NEL DICEMBRE 2005,

DA QUALCHE PARTE IN ITALIA,

PER I SUOI AMICI

MARDIPONENTE

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