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document.doc Riccardo Gualdo - Tecniche di scrittura per i media Anno accademico 2006-2007 (COM + WEB = 8 crediti) orario delle lezioni: martedì: 9-11 / mercoledì: 14-16 / giovedì: 16-18 Scrittura e comunicazione nell’informazione politica televisiva 0. Introduzione al corso (10 ottobre 2006) Quali sono le principali modalità di comunicazione della politica nella televisione italiana d’oggi? Lo vedremo attraverso un’analiso della lingua, della testualità e della pragmatica dei programmi di approfondimento politico, delle trasmissioni elettorali e dei telegiornali. Ci soffermeremo su temi quali il rapporto tra testo e immagine e le forme di presentazione della notizia. All’analisi della comunicazione politica in tv affiancheremo un’attività di laboratorio di scrittura, che si articolerà così: due esercitazioni scritte, preparate e corrette nei giorni precedenti e successoivi, sulla scrittura dei testi “trasmessi”; due esercitazioni, verso la fine del corso, di preparazione alla stesura di tesine e tesi. Obiettivo del modulo è perfezionare le abilità di scrittura per la produzione di testi argomentativi. Particolare attenzione sarà dedicata ai seguenti problemi: completezza e gerarchia dell’informazione; coesione nei testi argomentativi; frasi esplicite e implicite; forme personali e impersonali. Anche quest’anno, nell'ambito del ciclo La comunicazione a Scienze politiche, saranno organizzati alcuni incontri con importanti ospiti esterni. Il tema su cui si discuterà è «L’identità nazionale nei media». Le ore riservate agli incontri costituiscono parte integrante del modulo. Piano degli argomenti trattati 1. La comunicazione politica in televisione: introduzione. 2. La politica in televisione: storia e problemi. 3. L’interazione comunicativa: pragmatica e atti linguistici. 4. Testo e immagine nella comunicazione multimodale. Forme complesse della coesione. 5. La narrativizzazione della notizia: forme personali e impersonali della descrizione. 6. Tra scritto, parlato e trasmesso: connettivi complessi, incisi, frasi esplicite e implicite. 7-8 La scrittura argomentativa: preparazione alla stesura di una tesina. 21/02/2022 1

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Riccardo Gualdo - Tecniche di scrittura per i media Anno accademico 2006-2007 (COM + WEB = 8 crediti)

orario delle lezioni: martedì: 9-11 / mercoledì: 14-16 / giovedì: 16-18

Scrittura e comunicazione nell’informazione politica televisiva

0. Introduzione al corso (10 ottobre 2006)

Quali sono le principali modalità di comunicazione della politica nella televisione italiana d’oggi? Lo vedremo attraverso un’analiso della lingua, della testualità e della pragmatica dei programmi di approfondimento politico, delle trasmissioni elettorali e dei telegiornali. Ci soffermeremo su temi quali il rapporto tra testo e immagine e le forme di presentazione della notizia. All’analisi della comunicazione politica in tv affiancheremo un’attività di laboratorio di scrittura, che si articolerà così: due esercitazioni scritte, preparate e corrette nei giorni precedenti e successoivi, sulla scrittura dei testi “trasmessi”; due esercitazioni, verso la fine del corso, di preparazione alla stesura di tesine e tesi. Obiettivo del modulo è perfezionare le abilità di scrittura per la produzione di testi argomentativi. Particolare attenzione sarà dedicata ai seguenti problemi: completezza e gerarchia dell’informazione; coesione nei testi argomentativi; frasi esplicite e implicite; forme personali e impersonali.

Anche quest’anno, nell'ambito del ciclo La comunicazione a Scienze politiche, saranno organizzati alcuni incontri con importanti ospiti esterni. Il tema su cui si discuterà è «L’identità nazionale nei media». Le ore riservate agli incontri costituiscono parte integrante del modulo.

Piano degli argomenti trattati1. La comunicazione politica in televisione: introduzione.2. La politica in televisione: storia e problemi.3. L’interazione comunicativa: pragmatica e atti linguistici. 4. Testo e immagine nella comunicazione multimodale. Forme complesse della coesione.5. La narrativizzazione della notizia: forme personali e impersonali della descrizione.6. Tra scritto, parlato e trasmesso: connettivi complessi, incisi, frasi esplicite e implicite.7-8 La scrittura argomentativa: preparazione alla stesura di una tesina. Testi d’esameD. Antelmi, Il discorso dei media, Roma, Carocci, 2006, (ISBN: 88-430-3788-9). Tutto il volume per un totale di circa. 120 pp.Lingua e identità 2006 = Lingua e identità, a cura di P. Trifone, Roma, Carocci, 2006,(ISBN: 88-430-3836-2); i saggi di P. Trifone, pp. 11-40; S. Raffaelli, La lingua del cinema, pp. 143-162; G. Alfieri, La lingua della televisione, pp. 163-186; R. Gualdo, Il linguaggio politico, pp. 187-212 (per un totale di ca. 100 pp.);M. Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza lumi dei mass media italiani, Milano, Feltrinelli, 2005, (ISBN 88-071-0378-8) (solo i capp. 5, 7 8, 9, per un totale di ca. 80 pp.);P. Di Salvo, Il giornalismo televisivo, Roma, Carocci, 2004 (ISBN 88-430-2950-9), pp. 31-101 e pp. 159-186.

materiali disponibili in bibliotecaAlfieri 2005 = G. Alfieri, L’italiano “alla televisione”: prodromi di un’analisi stilistica per generi, in “Lingua italiana d’oggi”, II (2005) (ISBN 88-7870-084-3), pp. 353-399;Bonomi 2005 = I. Bonomi, Osservazioni preliminari sulla lingua dell’informazione televisiva, in “Lingua italiana d’oggi”, II (2005) (ISBN 88-7870-084-3), pp. 401-412.;Dardano 2002 = M. Dardano, La lingua dei media, in La stampa nell’età della TV. Dagli anni Settanta a oggi, a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Roma-Bari, Laterza, 2002 (ISBN 88-420-6334-7), pp. 245-275

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“il televisore è una macchina per divertirsi [...] che una società tesa al consumo piacevole del tempo sia dominata dallo spettacolo è perfettamente naturale, dato che lo spettacolo è la forma più riconoscibile di divertimento organizzato” (Omar Calabrese - Ugo Volli, I telegiornali. Istruzioni per l’uso, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 3 e 86)

«Gli orfani e i nostalgici del comunismo [...] non sono soltanto impreparati al governo del Paese. Portano con sé anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di una amministrazione pubblica che voglia essere liberale in politica e liberista in economia. Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi.»

Ventisei gennaio 1994; nel discorso della “discesa in campo” Silvio Berlusconi annuncia l’intenzione di candidarsi alle ormai prossime elezioni politiche, e presenta agli elettori sé stesso e il proprio “movimento”, contrapponendosi ai “nostalgici del comunismo” che accusa di essere “rimasti sempre gli stessi”.

Il discorso della discesa in campo è ormai considerato uno spartiacque che separa un prima e un dopo nell’italiano della politica, quasi come il volare di Modugno sul palco di Sanremo. Lo spartiacque che, dopo gli anni della transizione internazionale e della Tangentopoli nostrana, ha segnato il passaggio dalla Prima Repubblica a quella che ormai chiamiamo, forse impropriamente, seconda Repubblica; e che con Maria Vittoria Dell’Anna abbiamo ribattezzato, scherzosamente, faconda Repubblica, perché i politici che la rappresentano ci sono sembrati facondi, o almeno più facondi che in passato (Riccardo Gualdo - Maria Vittoria Dell’Anna, La faconda Repubblica, Lecce, Manni, 2004).

Nell’analisi dei testi di politica e di informazione politica trasmessi in televisione terremo conto di varie prospettive critiche. Quella dell’analisi critica del discorso (Critical Discourse Analysis) che, considerando il discorso come l’uso del linguaggio in quanto parte della vita associata, si occupa dei significati ideologici elaborati e veicolati attraverso il linguaggio, per mostrare come il linguaggio possa essere usato per dirigere e controllare la società (Antelmi 2006, pp. 7 e sgg.); questo metodo di analisi è stato applicato soprattutto fuori d’Italia, da studiosi come Teun van Djik, George Lakoff, Michel Foucault. La prospettiva sociologica degli studi sul linguaggio dei media è stata a lungo, e in parte è ancora, considerata quella prevalente o predominante: si preoccupa soprattutto di definire le condizioni di diffusione e di consumo dei prodotti mediali. Le quattro dimensioni cui si applica l’analisi di tipo sociologico sono quindi la tecnica, l’organizzazione, il contenuto e il pubblico dei media. Sul piano del contenuto, i sociologi combinano il modello di analisi delle 5 W (who? where? what? whom? why? o what effects?, cioè chì? dove? come? a chi? perché? o con quali effetti?) proposto da Harald Lasswell con il modello della comunicazione proposto da Roman Jakobson, le cui componenti sono fonte (o emittente), messaggio, trasmettitore (o mezzo), segnale, canale, ricevente, destinazione. Questo tipo di analisi ha il difetto di concentrarsi sul contenuto e di tenere a margine i soggetti coinvolti: dagli anni ’80 in poi si è quindi prestata maggiore attenzione al pubblico come elemento attivo del processo di comunicazione. Inoltre, i ricercatori della scuola dei Cultural Studies hanno concentrato l’attenzione sul ruolo della lingua nel costituire o rafforzare modelli culturali e stili di vita delle società contemporanee. Un’altra prospettiva di analisi è quella semiotica (o semiologica), che punta a un’osservazione interdisciplinare dei prodotti mediali che tenga conto di tutto il sistema di codici (verbale, visivo, sonoro, ecc.) coinvolti nella comunicazione.

Dal punto di vista più strettamente storico-linguistico, che è quello che adotteremo in modo prevalente, gli studi sulla lingua dei media hanno soprattutto messo in rilievo gli effetti che l’uso di un mezzo che combina i codici verbale, visivo e sonoro produce sulla forma e sulla ricezione del messaggio. Seguiamo, per questo aspetto, la sintesi di Gabriella Alfieri (in Lingua e identità, 2006). Già nel 1982 Francesco Sabatini, ha introdotto la categoria del trasmesso (legata al concetto di oralità secondaria con cui Walter Ong ha definito l’oralità delle società che hanno un avanzato sistema di scrittura, come quelle occidentali), per distinguere questo genere di lingua dalla lingua parlata e da quella scritta. Sul piano del repertorio, dunque, il trasmesso si può definire come la terza varietà diamesica (distinta cioè in base al mezzo) della lingua.

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1. La comunicazione politica in televisione: introduzione (mercoledì 11 ottobre)

Documenti - Silvio Berlusconi, Discorso televisivo del 26 gennaio 1994

[a] L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza. So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti.[b] La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica. Mai come in questo momento l’Italia, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative ed innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare lo Stato. Il movimento referendario ha condotto alla scelta popolare di un nuovo sistema di elezione del Parlamento. Ma affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga un polo delle libertà che sia capace di attrarre a sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno. Di questo Polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha generosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L’importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie occidentali. [c] Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei Paesi governati dai vecchi apparati comunisti, per quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe fare eccezione proprio l’Italia. Gli orfani e i nostalgici del comunismo, infatti, non sono soltanto impreparati al governo del Paese. Portano con sé anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di una amministrazione pubblica che voglia essere liberale in politica e liberista in economia. Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra. Non sono cambiati. Ascoltateli parlare, guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non credono più in niente. Vorrebbero trasformare il Paese in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna.[d] Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà. Se ho deciso di scendere in campo con un nuovo movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti voi - ora, subito, prima che sia troppo tardi - è perché sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà,l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita. I1 movimento politico che vi propongo si chiama, non a caso, Forza Italia. Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici e di elettori di tipo totalmente nuovo: non l’ennesimo partito o l’ennesima fazione che nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l’obiettivo opposto; quello di unire, per dare finalmente all’Italia una maggioranza e un governo all’altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune. Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la società italiana, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e benessere, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecnologiche dell’Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiunque ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud vogliamo un governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare adeguata dignità al nucleo originario di ogni società, alla famiglia, che sappiano rispettare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze per chi è più debole, per chi cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi, dopo una vita operosa, ha diritto di vivere in serenità. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto all’ambiente, che sappiano opporsi con la massima determinazione alla criminalità, alla corruzione, alla droga. Che sappiano garantire ai cittadini più sicurezza, più ordine e più efficienza.[e] La storia d’Italia è ad una svolta. Da imprenditore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato, vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di un’Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno, più prospera e

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serena, più moderna ed efficiente, protagonista in Europa e nel mondo. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.

Nel 1994 gli italiani erano esasperati dal vecchio politichese della partitocrazia: dalle convergenze parallele e dagli equilibri più avanzati, dalle vaste consultazioni, dai profondi travagli e dai cauti ottimismi. E hanno colto nella comunicazione di Berlusconi e degli altri “nuovi” politici una ventata di novità. Le formule vincenti della nuova comunicazione politica sono state la semplificazione e la personalizzazione, adatte a una politica che sfrutta in modo inedito i mezzi di comunicazione di massa, occupando spazi e luoghi prima poco frequentati, e proponendo rappresentanti che la gente sente più vicini, in cui pensa di potersi rispecchiare. Esponenti della cosiddetta “società civile”: imprenditori ed economisti, avvocati e giudici, persino attori e presentatori, uomini - e donne - dello spettacolo, sportivi. Purché non politici. Di questi nuovi rappresentanti si apprezza l’eloquio chiaro, fatto di frasi brevi e lessico quotidiano; il tono diretto, talora duro, ai limiti della sfrontatezza. La gente li vede più vicini, anche grazie all’onnipresenza televisiva; li chiama per nome: Romano, Silvio, Fausto, Clemente, Walter. Del resto, Reagan e Gorbaciov non erano per tutti Ronnie e Gorby? E, più di recente, non ci sono stati Bill, l’amico Vladimir, e addirittura Condy?

Il discorso berlusconiano è composto, per più di tre quarti, di lessico di base, quello di più larga comprensibilità: circa 7000 parole risultanti dalla somma, secondo la classificazione di Tullio De Mauro, di lessico fondamentale (2000), di lessico di alto uso (2500) e di lessico di alta disponibilità (2000 parole indicanti oggetti e azioni della vita quotidiana). Le frasi non superano, di media, le 15 parole (in un testo giornalistico la media è di 25). Potrà forse risultare ripetitivo, ma la ripetitività è perfetta in televisione. Potrà sembrare banale, ma troppa originalità intimidisce o, peggio, infastidisce. Il continuo appellarsi al buonsenso, alla libertà, all’amore, alla giustizia, insomma a valori universali; e - per converso - la netta identificazione del nemico da battere, sono subito riconoscibili e comprensibili. Lo stile è chiaro e rapido, modellato su quello degli anchormen statunitensi: il grande giornalista Indro Montanelli lo definì lo stile “di un alieno che, invece di perdersi nei cieli astratti delle grandi strategie ideologiche, affrontava, con parole di tutti i giorni, dei problemi di tutti i giorni” (cit. da Dardano 2002, pp. 256-57).

L’italiano di Umberto Bossi o di Antonio Di Pietro è l’italiano della gente comune, quello che la gente usa al bar (Dardano 2002, p. 255 e nota), riconoscibile anche nei suoi tratti regionali. Il 5 gennaio 1994, durante un’udienza del processo Cusani, il giudice Di Pietro si rivolge a Bossi, chiamato a deporre, con queste parole: «Bossi, a noi ci piace parlare chiaro, parliamo la nostra lingua! [...] A noi ci dicono sempre male perché usiamo parole terra-terra». Al famoso «che ci azzecca?» del magistrato molisano vorrei aggiungere un colorito «ci azzuppano il pane», detto - a proposito di un provvedimento del governo - durante un Ballarò di qualche mese fa, accompagnandolo con un eloquente gesto della mano.

Di Bossi sono ben note le intemperanze verbali. Di là dalle uscite più triviali, su cui tacere è bello, osserviamo che il leader della Lega è tra i pochi politici del nuovo corso a non aver accantonato le metafore militari. Il linguaggio bellico è da sempre al primo posto nel repertorio retorico dei politici; ma negli ultimi anni si preferiscono le metafore calcistiche o sportive (la discesa in campo, appunto, la squadra di Rutelli o di Fini, e ancora prendere in contropiede, entrare a gamba tesa, remare contro, smarcarsi). Bossi invece ha parlato di kalashnikov, di pallottole, di pugno di ferro della Lega. La sua veemenza oratoria si è espressa soprattutto nei comizi. Ma ha risuonato anche tra le mura di Montecitorio, per esempio nel durissimo discorso di sfiducia al governo Berlusconi, dove si parla di «inquinante contiguità con la frangia fascista missina» (siamo prima della svolta di Alleanza Nazionale a Fiuggi, e si sente) e della “lotta di liberazione” combattuta dalla Lega, che, «avanzando a folate sotto una gragnuola di colpi, ha atterrato le oligarchie craxiane e andreottiane».

Il sistema bipolare, esaltato dalla tribuna televisiva, fa vivere a noi italiani, con trent’anni di ritardo, l’emozione del faccia a faccia, del match tra i due leader delle opposte coalizioni, come nello storico confronto tra Richard Nixon e John Fitzgerald Kennedy, nel 1960. Ne derivano due conseguenze: il leaderismo, cioè il concentrarsi dei media su pochi personaggi rappresentativi, e la personalizzazione, che mette in piazza anche i particolari più privati di questi personaggi.

Il leaderismo è inedito per la nostra storia repubblicana: De Gasperi, Nenni e Togliatti non avevano alimentato un culto della personalità, e non abbiamo mai avuto in Italia un gollismo (dal nome del generale Charles De Gaulle) alla francese. La politica spettacolo nasce nei primi anni Ottanta, quando Bettino Craxi inaugura gli spot elettorali, mentre matura la crisi delle ingessate tribune politiche. Ma solo più tardi la politica capirà l’importanza del mezzo televisivo.

La personalizzazione è un fenomeno tipicamente indotto dal mezzo televisivo. La sovraesposizione ai riflettori costringe i politici a costruirsi un’immagine personale fatta anche di abbigliamento e di oggetti di

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vestiario riconoscibili (doppiopetto blu e cravatte a pallini per Berlusconi, giacche di cachemere e portaocchiali per Bertinotti, tailleurs dalle tonalità vivaci per Irene Pivetti). E incoraggia le coalizioni a preferire, tra i loro esponenti, le fisionomie più gradevoli o più caratterizzate. L’Italia del 2000 vuol conoscere gli hobby dei suoi rappresentanti, le loro preferenze sportive, persino i ricordi d’infanzia. Recente è l’episodio della tata di Piero Fassino, ma ricordiamo, a memoria, il risotto di D’Alema con Vissani, il Giuliano Amato tennista e il Gianfranco Fini subacqueo. E, dopo tutto, abbiamo visto anche il Capo dello Stato nuotare nelle acque del Tirreno, e la signora Franca stemperare le formalità del protocollo con le sue battute.

Un’altra novità è stata l’introduzione del marketing politico, già da tempo sperimentato negli Stati Uniti. La politica è un prodotto da vendere e da pubblicizzare, come la birra, le automobili o i videofonini. Cominciamo dal nome: la parola partito è vecchia, è “lenta”? Non usiamola più. Dopo il terremoto del ’94 ci sono solo alleanze, poli, coalizioni, movimenti, patti, reti, aggregazioni, da ultimo unioni. I vecchi simboli non sono più “politicamente corretti”? Sostituiamoli con simpatici animaletti, asinelli, coccinelle, elefantini, gabbiani; trasformiamoli in una rigogliosa flora di querce, ulivi e cespugli, margherite, girasoli e quadrifogli; e non dimentichiamo i colori: vivaci, brillanti, gioiosi. Ai simboli si affianca un armamentario che va ben al di là delle storiche bandiere e coccarde: spille e distintivi, pupazzi, sciarpe, cappellini, e via scimmiottando le convention statunitensi. A feste e raduni le nuove aggregazioni si cementano cantando inni e partecipando a rituali ad alto tasso simbolico, come il giuramento di Pontida o le cerimonie sul Po. Innocui fenomeni di folklore, che però i media trasformano subito in “tradizioni”, dando loro una patente di legittimità che li accosta, nell’immaginario collettivo, alle ricorrenze nazionali.

Poiché la comunicazione è fatta di più aspetti, tra loro integrati, le strategie d’immagine hanno un forte impatto pragmatico e, quindi, un riflesso linguistico: la chiave di tutto è l’avvicinamento all’esperienza quotidiana e dunque anche alla lingua di tutti i giorni.

La politica entra nelle case attraverso lo schermo, e gli italiani vivono una nuova passione per il dibattito politico. E questa inaspettata luna di miele, forse solo ultimamente un po’ sbiadita, si riflette nel vocabolario. È stato calcolato che quasi il 10 per cento dei neologismi apparsi dal ’98 a oggi deriva dal mondo della politica, dai politici o dai commentatori dei fatti politici.

La cronaca politica è tumultuosa, il quadro istituzionale cambia di mese in mese, vecchi e nuovi personaggi appaiono e scompaiono dalla scena. Questi fatti, e il fenomeno della personalizzazione, fanno proliferare le formazioni lessicali costruite su nomi di persona: berlusconismo, berlusconizzare, berlusconata; finiano e diniano, dalemiano e cossuttiano, mastelliano; anche il modo di parlare dei leader è diventato un neologismo: il dipietrese. E la sinistra è stata accusata di essere malata di bertinottite. Berlusconiano è entrato addirittura nei vocabolari francesi; noi, d’altra parte, abbiamo accolto zapaterizzare. Sigle e nomi di gruppi e movimenti producono i relativi aggettivi: aennino, piddiessino e poi diessino, il più irriverente forzitaliota e il ruspante rifondarolo. Noterete che le denominazioni scherzose o polemiche prevalgono su quelle neutre, in certi casi del tutto assenti. La grande mobilità dei parlamentari, che cambiano spesso casacca, può disorientare: si moltiplicano gli ex, i post, i neo o nuovi; vengono in mente le acque agitate in campo socialista, ma anche i centristi non scherzano: quanti sono in grado di sciogliere con precisione la sigla Dl, che raccoglie i diellini? La contrapposizione bipolare produce moltissimi anti, contro, no (no global, no partisan), in un crescendo di contrapposizioni che qualcuno ha chiamato “lingua dell’odio”. Non mancano poi le parole che strapazzano la grammatica, dal doppiopesismo al cerchiobottismo fino al doppiogambismo. C’è però da chiedersi se il politichese sia veramente tramontato. Proveremo a vederlo nelle prossime lezioni, analizzando alcuni programmi recenti di informazione politica in televisione.

A proposito del programma Rockpolitik, condotto da Adriano Celentano alla fine del 2005, il giornalista della “Stampa” Giancarlo Dotto osservava che i politici credono di usare la tv, ma è la tv che usa loro. «Se da Vespa - scriveva Dotto - ci sono Buttiglione e Valeria Marini, è Buttiglione che diventa un po’ Marini e non viceversa». Il guaio è che, una volta omologato il filosofo di Gallipoli alla bionda soubrette, quest’ultima potrà non solo esprimere le proprie opinioni politiche – come è ovviamente suo diritto - ma anche trasformarsi in opinionista, riducendo il dibattito su temi seri, come le coppie di fatto o la violenza metropolitana, a chiacchiere da salotto.

Alcuni studiosi avevano già notato questo scambio di ruoli, parlando di ricerca di legittimità catodica da parte dei politici. Una spia linguistica di questa tendenza sii ha quando formule di conio giornalistico o televisivo approdano in Parlamento. Rocco Buttiglione, per esempio, parlando alla Camera il 7 ottobre 1997, ha detto che «il vero inciucio sarebbe un accordo con Rifondazione che ci tenga fuori dall’Europa».

I tempi frenetici della televisione premiano la battuta più incisiva o sarcastica (persino la barzelletta) e producono un’informazione sminuzzata e sempre sopra le righe. Slogan, neologismi, tic linguistici dei politici rimbalzano da un medium all’altro, e restano scolpiti nella memoria (meno tasse per tutti, io c’entro,

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mi consenta). Li vediamo riapparire, magari storpiati, in bocca a politici di sponde opposte: il celodurismo diventa celomollismo, i girotondi si trasformano in girotonti, la Casa delle libertà diventa Casa delle impunità. Si tratta di una sorta di riformulazione, che Luca Serianni ha definito “irradiazione deformata”.

Oltre alle battute, più o meno riuscite, non mancano gli insulti diretti, magari smentiti o rimangiati un momento dopo.

Qualche previsione sul futuro: cosa resterà della “Faconda Repubblica”? Non è facile dirlo. Per deformazione professionale, il linguista preferisce osservare più che giudicare. Un po’ come i meteorologi, non ama le previsioni a lunga scadenza; specialmente quando ha a che fare con la lingua della politica. Che è una lingua “di facili costumi” e dalla memoria corta; una lingua che fiuta, insegue e divora le mode del momento. Una delle carattreistiche della comunicazione politica è lo schiacciamento sul presente (cfr. R. Gualdo, I nuovi linguaggi della politica italiana, in “Studi linguistici italiani”, 2004): la politica sembra non accorgersi di rispolverare formule e categorie del passato, con quello che i politologi definiscono tecnicamente come criptomnesia: nella campagna elettorale del 2006 si è parlato di listone del centrosinistra e si è proposto un partito unico del centrodestra. Pochi rammentano l’origine antica, e forse un po’ imbarazzante, di queste due formule: listone e partito unico furono infatti usati all’epoca del fascismo, in regime dittatoriale e assenza di democrazia e libertà di espressione delle opinioni.

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2. La politica in televisione: storia e problemi (giovedì 12 ottobre)

Caratteri generali della lingua televisivaDal saggio di Gabriella Alfieri (2006) ricaviamo le linee essenziali della storia della comunicazione

televisiva dal punto di vista linguistico. Prendiamo spunto anche dai volumi di Calabrese-Volli (Il telegiornale. Istruzioni per l’uso, Laterza 2001, in particolare il cap. 2, pp. 29-64) e di Edoardo Novelli (Dalla TV di partito al partito della TV, Firenze, La Nuova Italia 1995 e La turbopolitica, Milano, Rizzoli, 2006).

La televisione ha, in primo luogo, un fortissimo potere modellizzante, imponendo nella memoria dello spettatore eventi epocali (l’assassinio di John F. Kennedy, lo sbarco sulla luna o, più di recente, lo tsunami e la lunga e dolorosa agonia di papa Giovanni Paolo II). Impone poi anche una serie di modelli e stereotipi fraseologici (Ornella Castellani Pollidori l’ha definita una lingua di plastica) e ha avuto, almeno nei primi decenni, un importante ruolo nel trasmettere, a larghissime fasce della popolazione, una competenza linguistica di italiano parlato standard che prima mancava o era circoscritta a gruppi ristretti (2% di parlanti italiano nel 1870 secondo De Mauro, circa il 9% secondo altri studiosi). Con il critico televisivo Aldo Grasso, distinguiamo tra paleotelevisione (quella del monopolio RAI, fino alla riforma del 1976) e neotelevisione (dal 1976 a oggi). La paleotelevisione si caratterizza per il predominio degli obiettivi di “informare, educare, intrattenere” e per l’imitazione dei modelli comunicativi della radio per lo stile del parlato, del cinema (cinegiornali) per il taglio delle trasmissioni d’informazione e la pianificazione dei testi, e del teatro per lo stile della fiction. Il ruolo di formazione linguistica della tv sembra esaurirsi alla fine degli anni ’60. La lingua della televisione da lingua modello si trasforma in lingua specchio delle tante varietà del repertorio italiano. Con la riforma del 1976 (e già con la soppressione della pubblicità di Carosello nel 1975) nei telegiornali RAI gli speaker (esperti in dizione) sono sostituiti da giornalisti professionisti e nasce la testata regionale, che diffonde accenti e lessico non più esclusivamente fiorentini o romani. La liberalizzazione dell’etere e l’ingresso delle emittenti private, insieme al successo di programmi di servizio e reality show (dalla seconda metà degli anni ’80 a oggi) e all’espansione sempre meno controllata della pubblicità contribuisce a proporre agli spettatori una lingua sfaccettata in tutte le sue varietà, che vanno dal dialetto all’italiano regionale fino all’interlingua degli immigrati (per es. in trasmissioni come Chi l’ha visto? o su fatti di cronaca giudiziaria).

Dal primo dopoguerra agli anni ’60L’ultima fase della guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 e la fuga del re, ancora troppo poco

studiata nella dialettica tra la comunicazione di un regime morente e di una nuova coscienza unitaria che si afferma faticosamente e con molte sfaccettature al suo interno. La divisione, tipica del lessico politico di guerra, si riflette negli appellativi usati dai due schieramenti contrapposti: i partigiani (meno spesso patrioti) per una parte sono i ribelli o fuorilegge per l’altra; intanto, da Radio Londra Umberto Calosso riesuma il termine repubblichino (usato nel ’700 da Vittorio Alfieri) per i fascisti di Salò, e riformula in senso polemico o ironico parole e stile della propaganda nazifascista proponendo in alternativa un’immagine della resistenza come nuovo o secondo Risorgimento; la consapevolezza del potere persuasivo del mezzo radiofonico conquista un largo uditorio con una comunicazione tranquilla, confidenziale e chiara nel tessuto argomentativo.

Dopo la liberazione (25 aprile 1945), la campagna per il referendum su Repubblica e Monarchia e per l’elezione dell’Assemblea Costituente (1946), la prima dopo l’oscuramento fascista e la prima aperta alle donne (ma anche il 60% degli uomini votava per la prima volta), è un momento importante per la ricostruzione del tessuto sociale del paese: i partiti, chiamati di nuovo a svolgere un ruolo pedagogico, si affrontano tra i monarchici che dipingono la Repubblica come un pericoloso “salto nel buio” e i repubblicani, che vi intravvedevano il passaggio decisivo per la formazione della “nuova” Italia. In un’atmosfera di tensione, tra grandi manifestazioni e comizi, le forze politiche fanno largo uso dei mezzi di comunicazione di massa e, per la prima volta, dei sondaggi Doxa. La campagna elettorale del 1948 mette in evidenza la precarietà dell’accordo tra le due principali anime della lotta partigiana, la Democrazia Cristiana nata dalle ceneri del Partito popolare di Luigi Sturzo, e il Partito Comunista Italiano. Dopo l’elaborazione della carta costituzionale, comincia una fase di aspro scontro politico, acuito dal clima della guerra fredda. L’analisi della propaganda messa in moto dai due fronti mostra ancora un uso ingenuo dei mezzi di comunicazione, un forte debito col modello dei cinegiornali LUCE d’epoca fascista, con i giornali radiofonici, con la stampa. Questo debito è ancora presente nei primi telegiornali (il primo, sperimentale, fu trasmesso il 10 settembre 1952; il direttore era Vittorio Veltroni): lo speaker, scherzosamente chiamato mezzobusto dal giornalista

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Sergio Saviane, legge parola per parola con dizione perfetta, non sorride, alza di rado lo sguardo dai fogli, è un “campione dell’uomo medio”.

Ricordiamo, però, che non mancavano osservatori raffinati della comunicazione trasmessa, come Antonio Piccone Stella, direttore del Giornale Radio nel 1948, che nella sua guida Il Giornale Radio dedicava un’intera sezione al tema “Come si dice la notizia”, dando ai redattori queste indicazioni:

“Le notizie del Giornale Radio sono dette. Bisogna non ‘stamparle’, ma ‘parlarle’. L’impostazione, l’ordine delle singole parti, il ritmo e la durata del periodo, la scelta delle parole si ispirano a questa fondamentale esigenza” [...] bisogna dunque “Tenere anche conto che l’ascoltatore non può tornare indietro per ‘rileggere’ quello che lì’ per lì non ha capito. [...] Lo stile parlato esige periodi brevi, costrutti semplici, legami agili, trapassi rapidi [...] Impiegare nel periodo poche coordinate e pochissime subordinate, rari incisi e nessuna parentesi”.

Un altro “classico” sulla lingua radiofonica, Norme per la redazione di un testo radiofonico, apparve anonimo nel 1953; l’autore era Carlo Emilio Gadda: “costruire il testo con periodi brevi, procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche; evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche, curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate o con esplicito avviso”.

Sotto questo aspetto, Calabrese-Volli (2001: 30-31) insistono sulla corrispondenza tra enunciato ed enunciazione, tra forma e contenuto della notizia: le connotazioni della voce divengono connotazioni dell’emittente: ad esempio, nel periodo fascista lo speaker della radio era caratterizzato da un timbro stentoreo e virile, che comunicava un’idea di forza e di indiscutibilità. Questo modello, retorico e trionfalistico, persiste anche nella produzione televisiva del primo dopoguerra ed è usato sia dai democristiani che dai socialisti e dai comunisti.

Ma la DC appare più capace degli avversari (decisiva fu l’azione del giovane Giulio Andreotti) di cogliere il desiderio di cambiamento della popolazione, realizzando una sapiente occupazione della radio e del cinema (con i cortometraggi della “Settimana Incom”), sfruttando il vantaggio di un messaggio rassicurante ma senza lesinare il ricorso a immagini forti, come lo slogan della «strategia della menzogna» attribuita al Fronte popolare (tra i frontisti spiccano le immagini, di matrice sovietica dei “reazionari in agguato” pronti a colpire e dei “rifiuti del genere umano”). De Gasperi e poi i suoi eredi, che per quasi cinquant’anni terranno salde le redini del governo, difendono il “regime” e lo “Stato democratico” contro le “diffamazioni” della stampa comunista e di quella reazionaria. La critica, dal versante opposto, alla stampa che fomenta odio verso il PCI è presente nel discorso pronunciato da Togliatti ai militanti raccolti al Foro Italico, che tuttavia usa toni moderati per scongiurare i rischi di una sollevazione di piazza, fortissimi nei giorni dell’attentato (in un comizio romano di Edoardo D’Onofrio i manifestanti urlano “Edo, dacce er via!”) e per affermare la non estraneità della classe operaia agli interessi della nazione e il diritto all’esistenza del PCI in una democrazia occidentale.

Documenti: Roma occupata e i cinegiornali (VHS)Il 1948: documentari della settimana Incom (VHS)Il 1948: l’attentato a Togliatti / il ritorno di Togliatti (VHS)

Nella fase più aspra della “guerra fredda” (1950) è significativo l’afflusso di angloamericanismi integrali (leadership, inizialmente al maschile, partnership, showdown, summit) e di calchi (bipolarismo, super-potenze, caccia alle streghe). Dal 1957 i telegiornali sono un po’ più vivaci e meno filogovernativi (fine dei governi di centrodestra) e cominciano ad apparire i veri giornalsti professionisti in video (Gianni Granzotto, Ugo Zatterin, Emilio Rossi). Nei primi anni ’60, dominati dal centro-sinistra, il dibattito politico è più fluido: gli italiani conoscono il miracolo economico e il conquistato e diffuso benessere metropolitano; il consumismo delle famiglie si riflette anche nella voracità linguistica (di lingua “Standa” ha parlato lo scrittore Sandro Veronesi) la politica scopre la televisione e il pubblico scopre i politici: le prime tribune elettorali - che si aprono l’11 ottobre 1960 con un intervento del ministro degli Interni Mario Scelba, emozionatissimo - sono seguite da milioni di spettatori, decretando il successo di oratori brillanti e aggressivi, come il comunista Giancarlo Pajetta; anche il liberale Giovanni Malagodi colpisce perché segue semplici regole di comunicazione (guardare dritto nell’obiettivo, tener ferme le mani, usare una camicia e fogli azzurro chiari che non “sparassero”, prepararsi, accanto al testo dell’intervento, una scaletta di appunti per potere, se necessario, improvvisare. Si tratta, però, di eccezioni: gli altri politici, poco abituati al mezzo, parlano come sono abituati a fare da sempre. Un dato importante, sul piano linguistico, è che l’80% degli apparecchi televisivi si trova nelle grandi città industriali del Nord. Alla RAI comincia l’ “era” del direttore generale Ettore Bernabei (1961-1972): per un anno il tg è diretto da Enzo Biagi, nasce il secondo canale, i

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programmi di informazione danno più spazio alla voce dei sindacati e nascono i primi programmi di approfondimento (molto noti RT-Rotocalco televisivo e Tv7 di Emilio Ravel e Brando Giordani). Dal 1967, grazie al satellite, aumentano i contributi dall’estero e nascono figure celebri di corrispondenti, come Sandro Paternostro da Bonn e Sergio Telmon da Londra; i giornalisti cominciano a condurre i tg, a volte in gruppo; la lingua è meno controllata ma più popolare. I programmi d’informazione, in RAI, aumentano a danno di quelli educativi, ancora molto presenti nella fase delle origini. Nel 1968 Tribuna politica, ormai divenuta un appuntamento a cadenza settimanale, dedica enorme spazio alle elezioni e al dibattito elettorale; alle conferenze stampa, ai dibattiti a più voci e agli appelli si aggiungono, fatto del tutto nuovo, le trasmissioni registrate di veri comizi, da teatri, palestre, cinema (il Partito socialista propose un discorso di Nenni dal teatro Quirino di Roma, cui seguirono domande poste da elettori comuni e da giornalisti; in platea sedevano anche noti esponenti dello spettacolo, come Vittorio De Sica e Sophia Loren). Nel 1968 cominciano, con Faccia a faccia di Aldo Falivena, i programmi di approfondimento giornalistico con pubblico in sala.

Nella prima lezione abbiamo parlato di spettacolarizzazione della politica. La politica, arte della persuasione, ha sempre intrecciato stretti rapporti con lo spettacolo; se non altro perché ha bisogno della propaganda; dal volume di Francesca Anania Breve storia della radio e della televisione italiana (Roma, Carocci, 2004, p. 72), ricaviamo un documento molto interessante:

«Qualche giorno fa abbiamo tenuto una riunione con i compagni che lavorano alla RAI per sentire se avevano consigli tecnici da darci per la trasmissione televisiva di giovedì prossimo. La prima raccomandazione fattaci è che tu parli in prima persona, dando all’esposizione carattere discorsivo. In questo senso ti si chiede di rivolgerti agli ascoltatori direttamente con frequenza, di far riferimento, se possibile, a qualche esperienza precisa della tua tournée elettorale attraverso l’Italia [...]. Se farai riferimento a scritti e discorsi di altri leaders politici non sarà male per il risultato scenografico produrre qualche documento (un giornale, un opuscolo). Quanto all’intelaiatura del discorso si ritiene utile che vengano posti un numero limitato di problemi insistendo, ripetendo, semplificando».

È una “nota per il compagno Togliatti”, inviata dalla sezione stampa e propaganda ddel Partito Comunista Italiano il 22 aprile 1963, prima di una tribuna politica. Impressiona il tono, quasi paterno, con cui i responsabili della propaganda scrivono al grande capo, chiamato per antonomasia “il migliore”. Ma va ovviamente tenuta in conto la differenza tra comizi e tribune elettorali: “se lo sguardo della telecamera è direttivo e tendenzialmente totalitario, l’uso che ne fa l’utente è infedele, distratto, privo della ritualità degli spettacoli pubblici” (Calabrese-Volli 2001, p. 98); questo obbliga il politico a fare più attenzione ad aspetti della comunicazione che prima aveva trascurato: elementi spettacolari (“risultato scenografico”), ma anche tono di voce e abbigliamento, come vedremo meglio nella politica dell’ultimo quindicennio.

Dagli anni ’70 a oggiDopo una fase di sperimentazioni, ispirata alle novità del ’68, nel 1972 si tornò a formule più

tradizionali di dibattito politico televisivo, come i dibattiti a due ospiti condotti da un moderatore. La neotelevisione nasce con la prima grande riforma del sistema radiotelevisivo, quella del 14 aprile 1975, fortemente richiesta dai partiti di sinistra e dai sindacati. Con la riforma, le tre reti RAI si separano in modo netto (la terza rete è ancora sperimentale), entrando in concorrenza. Il Tg2, diretto da Andrea Barbato, si apre al dialogo (telefonico) con gli spettatori, e cerca uno stile più vicino all’improvvisazione. Dal dicembre 1977 va in onda la terza rete, dedicata inizialmente solo all’informazione regionale e poi più “generalista” dal ’79. Comincia la lottizzazione (in base al cosiddetto “manuale Cancelli” gli spazi televisivi sono distribuiti in base alle percentuali di elettori): i giornalisti del terzo canale, pur diretto dal democristiano Biagio Agnes, sono considerati espressione dell’opposizione (PCI). Si diffonde l’idea, ancora molto pervasiva, che l’informazione in Italia sia comunque e sempre schierata, se non addirittura che appartenga sempre a una parte sociale o politica (Calabrese-Volli 2001, p. 75).

Nel frattempo, i partiti cominciano ad accorgersi dell’urgenza di aggiornare la loro comunicazione, e l’influsso della televisione sui comportamenti politici aumenta: lo speciale Tg1 del 13 maggio 1974, dopo la vittoria del “No” al referendum sul divorzio, è seguito da 24 milioni di telespettatori; Pier Paolo Pasolini osservò che la tv era stata “la principale artefice della vittoria del ‘no’ al referendum, attraverso la laicizzazione, sia pure ebete, dei cittadini”. In occasione delle elezioni politiche del maggio 1976 (che segnarono una grande crescita di consensi dei partiti di sinistra e soprattutto del PCI) la tv di stato diede spazio, per la prima volta, a manifestazioni di propaganda organizzate dagli stessi partiti, che utilizzarono gli ampex filmati per mostrare interviste alla gente comune. Le tribune politiche sono seguite da masse di telespettatori che sfiorano i 20 milioni (il più alto indice di ascolto di trasmissioni di quel genere); tra i vari leader di partito si impone all’attenzione mediatica il radicale Marco Pannella, con la sua oratoria veemente e apocalittica, l’intensità dello sguardo, la tensione e il timbro della voce e soprattutto l’uso di forme di

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comunicazione non convenzionali. Alla fine delle giornate di voto la RAI organizza la prima “non stop” elettorale, con l’uso di sondaggi Doxa (ancora non esistono gli exit poll, che entreranno in campo ufficialmente dal 1992). Ai programmi “ufficiali” si affiancano quelli che associano informazione e spettacolo, come Odeon di Brando Giordani e Ring di Aldo Falivena (la cui formula di faccia a faccia tra conduttore e ospite sarà ripresa da Mixer di Gianni Minoli).

I tragici giorni del sequestro e dell’assassinio del leader democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (primavera 1978) aprono una lunga fase critica della politica italiana, bloccata tra lo slancio per un ricambio mai realizzato (un saggio recente ha parlato di paese mancato) e l’urgenza di un patto di unità nazionale contro il terrorismo. Profetica la dichiarazione dell’ex presidente della Repubblica Giuseppe Saragat: “accanto al cadavere di Aldo Moro c’è il cadavere della prima Repubblica che non ha saputo difendere la sua vita”. Le strategie espressive del segretario del PCI in quegli anni, Enrico Berlinguer, rispecchiano lo stile teorico-didascalico, antiretorico, della sinistra, col richiamo all’ “analisi delle condizioni oggettive”, all’intelligenza, all’esperienza, al rigore morale, così come è costante il riferimento al sistema dottrinale (si citano i grandi teorici del marxismo in un contesto di continuità e identità, ma sempre ribadendo l’originalità e la diversità del comunismo italiano); il ricorso al lessico didattico di matrice marxista è spiccato: giusto/sbagliato, correggere, errore, insegnamento, spiegare, lezione, dottrina; le poche metafore sono spaziali o meccaniche (panorama, spazio d’azione, leva); tra le parole chiave della politica berlingueriana si segnalano eurocomunismo (1975), qualità della vita e questione morale: A cavaliere tra anni ’70 ed anni ’80, in pieni “anni di piombo” la sinistra si sforza di costruire e imporre una costellazione di termini dalla semantica consensuale: partecipazione, consenso, pluralismo, dialogo costruttivo, strategia delle alleanze, fino al compromesso storico..

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta si era assistito a un mutamento netto nei modi di espressione della politica: quella dei partiti tradizionali tende a fossilizzarsi in un gergo sempre più oscuro e incomprensibile (politichese), il movimento giovanile, in una prima fase almeno a fianco delle proteste sindacali e operaie, adotta nuove forme di partecipazione (dal sit in non violento al corteo) e di comunicazione (dazebao, ciclostili e volantinaggio), trova nuovi spazi e forme di aggregazione nelle piazze e nelle strade ma anche nelle scuole, in fabbrica, nelle aule universitarie (assemblee, gruppuscoli, con l’uso di termini veicolati dalle parole d’ordine del maggio francese). L’uso delle radio libere, un complessivo svecchiamento della lingua e la rivendicazione della valenza politica dell’esperienza individuale e privata (anche in chiave di liberazione sessuale, di cui si fa paladino in primo luogo il movimento femminista), anticipano alcune delle tendenze che esploderanno alla fine degli anni ’80. Un ruolo di grande importanza hanno i gruppi extraparlamentari (tragicamente, nella loro versione terroristica di destra e di sinistra). Sul piano della comunicazione, strade nuove sono sperimentate dai radicali, che il 18 maggio 1978 danno vita alla più famosa tribuna politica della storia televisiva italiana, presentandosi seduti con cartelli al collo e imbavagliati, e restando immobili in silenzio per ben 25 minuti. Grande rilievo anche sociale ha il movimento femminista, solo marginalmente studiato nelle sue espressioni linguistiche ma da cui provengono i concetti della cultura della differenza e dell’alterità rispetto alla guerra e al potere maschile, il principio di origine psicoanalitica dell’autocoscienza e il fenomeno del separatismo, che caratterizza l’esperienza più radicale, l’identificazione ironico-polemica tra donna e strega - le streghe son tornate - e formule poetiche come l’altra metà del cielo. Col femminismo e col pacifismo fa le sue prime apparizioni anche la cosiddetta “politica povera”; a Comiso, nell’82, le donne bloccano l’aereoporto con una rete di fili colorati, pentole, indumenti, fotografie e altri oggetti quotidiani; i “Verdi”, che dai primi anni ’80 ereditano molte istanze dai più antichi movimenti pacifisti e dalle frange più creative e non violente della sinistra extraparlamentare fanno un uso originale e brillante di slogan e simbologie ispirate al mondo della natura (sole che ride, arcobaleno radicatosi poi nella bandiera iridata pacifista, già associata alla colomba bianca disegnata da Picasso e poi diffusasi spec. negli anni della prima guerra del Golfo), ma anche per la diffusione del prefissoide eco- (nel senso di ‘ecologico’) che, di là dalla fortunata espansione iniziale, dà l’avvio a una tendenza massiccia all’uso di prefissi e suffissi nella formazione delle parole della politica negli anni successivi.

Dal 1979 comincia a diffondersi nel territorio il denomeno delle emittenti private, e i partiti cercano di sfruttarlo (specie per le consultazioni locali). Le elezioni politiche del 1979 sono caratterizzate dalle nuove formule usate dai partiti nelle tribune autogestite, talora molto raffinate dal punto di vista della qualità della regia e delle immagini (come quella dei Partito repubblicano) Ancora nei primi anni ’80, tuttavia, la politica faticava a comprendere appieno l’importanza del mezzo televisivo; in piena “società dello spettacolo” esperti come Ivano Cipriani e Gianfranco Pasquino, intervistati da Jader Jacobelli in un volume del 1989, osservano che «la Tribuna a livello di talk-show o di esibizione divistica, non sembra aver dato buoni frutti» e intuiscono vagamente che «la televisione premia, con i contenuti, il comunicatore come persona» e che i

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partiti forse dovrebbero «selezionare i comunicatori in funzione della tv». Una parziale eccezione è rappresentata dal PSI di Bettino Craxi. Il giovane leader, succeduto a Francesco De Martino nel luglio ’76, inaugura uno stile comunicativo diretto e polemico, anche nelle aule parlamentari; il ventaglio metaforico è più ampio, il lessico è brillante, infarcito esotismi (la vecchia immagine dei giri di valzer si rinnova in giri di lambada accogliendo un neologismo) ma anche di latinismi (fumus persecutionis); pronto e spregiudicato nell’inventare a caldo battute sferzanti e slogan vincenti, Craxi intuisce il vento di novità introducendo la politica-spettacolo, fatta di divismo protagonistico e di presenzialismo, di attenzione alla cura dell’immagine e al target (del PSI sono i primi esperimenti di spot elettorali, nel 1983), di ricerca della massima esposizione alle luci della ribalta (quella che oggi siamo abituati a chiamare visibilità), ed elasticità nelle performances. Ma anche gli altri partiti non disdegnano gli spot: la Democrazia Cristiana produce una vera e propria campagna pubblicitaria e lo slogan fonosimbolico “Decidi DC”; il responsabile dell’immagfine del partito, Alberto Gandin, dichiara: “La dc è come un prodotto leader, già imposto sul mercato, come la Coca Cola o la Fiat. Non c’è bisogno di aggredire il consumatore, l’elettore. Basta ricordargli che esiste e che continua a piacere a molti”; i socialdemocratici di Pietro Longo utilizzano addirittura un cartone animato, con il personaggio di “Gigi il gatto” che parlava agli elettori del Nord in bolognese, a quelli del Sud con accento romanesco.

Dal 1984 al 1990 la lottizzazione della televisione si consolida: RAI1 è occuipata dalla DC, RAI2 dal Partito Socialista; i tg sono diretti da giornalisti di fiducia. Tra il 1984 e il 1986 si compie la rivoluzione dell’Auditel: la ricerca di ascolto incoraggia la spettacolarizzazione. I tg imitano i modelli statunitensi (Cbs, Nbc), appaiono le prime conduttrici donne (Lilli Gruber, Carmen Lasorella al Tg2); dal 1986 si affacciano sulla scena i primi tg delle reti private (Studio5 condotto da Marco Columbro e Roberta Termali, Dentro la notizia condotto da Alessandro Cecchi Paone e Cesara Bonamici). Del 1984 è anche il cosiddetto “decreto Berlusconi”, con cui il governo in carica interviene in difesa dei grandi network privati, bloccando l’intervento di alcuni pretori che ne avevano oscurato le trasmissioni. Nelle elezioni politiche del 1987 molti personaggi dello spettacolo (come il giornalista sportivo Paolo Valenti e l’ex calciatore Gianni Rivera) si presentano come candidati; lo spot della DC, introdotto da Silvia Costa, si intitola Forza Italia (e si conclude con una canzone che ripete lo slogan nel ritornello); Paolo Valenti dichiara: “noi sportivi dobbiamo portare il nostro stile per cercare di ottenere le vittorie che più contano. [...] Dopo tante parole ho deciso così di scendere in campo”; il PSI propone un Servizio speciale. Azienda Italia che mostra i successi del governo Craxi con uno stile che a Beniamino Placido ricorda i cinegiornali LUCE e Settimana Incom. Slogan di tipo pubblictario propongono i socialisti (“Cresce l’Italia”), i liberali (“L’Italia è cambiata, cambiate con noi”), il Movimento Sociale (“Hanno scoperto l’Italia. Ora ci danno ragione. Diffidate dalle imitazioni”).

Momento decisivo di svolta è l’approvazione della legge 223 (legge Mammì) nel luglio 1990, che ufficializza la situazione di anarchia dominante già dalla fine degli anni ’70: le reti private abilitate a trasmettere su tutto il territorio sono obbligate a produrre telegiornali; nel gennaio 1992 parte il Tg5 diretto da Enrico Mentana; seguono il Tg4 di Fede e Studio Aperto di Paolo Liguori. I giornali di informazione sono “trainati” da programmi molto popolari, come la Ruota della fortuna condotta su Canale5 da Mike Bongiorno. Il modello linguistico dei tg privati (ritmi sincopati, velocissimi, trattazione non rituale del’informazione, successione non rigida degli argomenti) è copiato dalla tv di stato. Un caso a sé è quello di TMC News, dal tono moderno e spigliato ma meno incline alla spettacolarità. Dal 1991 il modello della Cnn, sospinto dagli eventi della guerra in Iraq, impone il “giornalismo-verità”. Con l’avvento di Silvio Berlusconi al governo si consolida la diversificazione di stile e di pubblico delle tre reti Mediaset (più neutrale e professionale il Tg5, bollettino di partito il Tg4, scandalistico e d’assalto Studio aperto); alla RAI la presidenza di Letizia Moratti dà l’avvio a una ri-lottizzazione; Tg1 e Tg2 si allineano su posizioni governative; il Tg3 resta filo-opposizione ma si fa più formale e ingessato.

Le tre grandi reti private di proprietà Fininvest, poi Mediaset, sono tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 protagoniste nella spettacolarizzazione della politica, con i salotti di Costanzo e i programmi popolari e aggressivi di Gianfranco Funari. I telegiornali, in particolare, cavalcano spudoratamente le inchieste giudiziarie e contribuiranno non poco al crollo del vecchio sistema partitico. Alle elezioni del marzo 1992, i segnali della disfatta della DC annunciati dagli exit poll vengono così commentati da un giovane Pierferdinando Casini: “Gli exit poll son fatti facendo rivotare la gente che esce dal seggio e la gente si vergogna a dire che ha votato DC”. La scomparsa di un’intera classe politica (e di referenti forti al suo interno) costringe i network privati, secondo Edoardo Novelli, a fare in proprio. Un primo sintomo si ha nel 1993, quando le reti Fininvest, contrarie al recepimento da parte del parlamento italiano di una normativa europea favorevole a controllare telepromozioni, sponsorizzazioni e inserzioni pubblicitarie, promuovono la campagna Vietato vietare, con maratone televisive in difesa della loro posizione di vantaggio sul mercato. Si tratta di un evidente segno di passaggio a una nuova fase, in cui i vecchi apparati e organismi politici sono

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sostituiti da soliuzioni pià agili, “cabine di regia”, spin doctor, staff personali, comitati elettorali; la personalizzazione ha anche un risvolto fisico: massima attenzione all’aspetto del leader e messa in scena accurata dei principali eventi. Nel suo Turbopolitica (2005) Novelli prefigura una nuova fase in seguito alla riforma Gasparri (legge 112 del 2004) che rivoluziona l’assetto del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale adeguandolo all’avvento della tecnologia digitale e al processo di convergenza tra radiotelevisione e altri mezzi di telecomunicazione interpesonali e di massa, ridefinendo quote, tetti e bacini d’utenza. Anche se, per ora, le dinamiche del rapporto tra politica e mass media non hanno subito alterazioni evidenti, è probabile che gli effetti della riforma, a breve e medio termine, producano comunque un rivolgimento.

Oltre a quanto abbiamo già detto fin qui, osserviamo che forse l’elemento più originale della comunicazione politica televisiva attuale risiede nel fatto che la spettacolarizzazione ha spostato il fulcro del dibattito politico dalle sedi istituzionali all’arena mediatica. Il caso più eclatante è stato la firma del “contratto con gli italiani”; ma ricorderete forse anche l’anomala campagna con cui Emma Bonino si candidò, nel 1999, alla presidenza della Repubblica. Il dibattito politico sembra trovare la propria sede naturale, più che nelle aule parlamentari, nei palcoscenici di “Milano, Italia”, nelle piazze del “Rosso e il Nero”, nei salotti di “Porta a porta” o di “Telecamere”.

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3.a. L’interazione comunicativa: pragmatica e atti linguistici (martedì 17 ottobre)

Con la semplificazione del lessico e delle immagini, di cui abbiamo parlato nella lezione di martedì 10, un altro aspetto della novità della Faconda Repubblica è la personalizzazione. Pochi mesi prima della cassetta della discesa in campo, il 25 novembre ’93, Gianni Riotta moderava, nella trasmissione “Milano, Italia”, il confronto tra Fini e Rutelli, candidati alla poltrona di sindaco di Roma. Riotta insisteva su un dato nuovo: «stasera cercheremo di presentarvi i candidati, i loro programmi… Però cercheremo di presentarvi anche loro, le loro personalità, perché ormai eleggiamo delle persone, non più dei partiti». Quasi le stesse parole usava, nel ’96, Lucia Annunziata, aprendo il dibattito tra Berlusconi e Prodi. E forse, in parte, Rutelli ha avuto la meglio anche perché era più telegenico del suo avversario, più spigliato davanti alle telecamere. Quanto alla trasmissione del ’96, i maghi dell’Auditel registrarono un picco di ascolto favorevole alla “squadra” dell’Ulivo quando Berlusconi fu messo alle strette dalla piddiessina Giovanna Melandri.

Nell’interazione comunicativa dei programmi televisivi come talk show (dibattiti) e news (telegiornali) hanno molta importanza le tecniche di incorniciamento (framing, da frame ‘cornice’), messa in rilievo o focalizzazione (focusing) e chiusura (closing), studiando le quali si possono decodificare le posizioni ideologiche e le interpretazioni preferite dei contenuti trasmessi (Antelmi 2006, p. 23). In particolare, il talk show è diventato, nel corso del tempo, un vero e proprio macrogenere, utilizzabile teoricamente per qualsiasi tipo di contenuto. Introdotto nella televisione italiana nella seconda metà degli anni ’70 (un pioniere è stato Maurizio Costanzo con Bontà loro dal 1976 e poi con Grand’Italia e Acquario), ha conosciuto un’enorme espansione e diversificazione nell’ultimo quindicennio e acquistato un’importanza crescente nell’ospitare la discussione su temi di forte rilevanza politica e sociale. Nell’ottica della drammatizzazione dell’informazione, il dibattito politico ha spesso solo il ruolo di “sceneggiare” le posizioni dei vari esponenti, che non vogliono affatto persuadersi l’un l’altro (Calabrese-Volli 2001, p. 112). Vediamo in concreto un esempio di talk show politico dei primi anni ’90, la trasmissione Milano, Italia prodotta da Rai3.

Documenti - Milano, Italia 1993 - Fini e Rutelli

Riotta: buonasera, Milano Italia in trasferta a Roma per una puntata dal titolo “L’ottavo re di Roma”… dal nostro pubblico mi dicevano “ma c’era già l’ottavo re di Roma, era Falcao nella Roma che vinse lo scudetto”… noi ci siamo permessi di obiettare che secondo noi l’ottavo re di Roma sarà il prossimo sindaco… È la prima volta che la Capitale elegge il sindaco con l’elezione diretta, e secondo il nuovo meccanismo, non più i partiti che eleggono un sindaco nelle stanze chiuse, tra di loro, discutendo tra i capi partito, ma la gente l’opinione pubblica, gli elettori che scelgono un sindaco, a capo di una coalizione progressista, ha ottenuto il 39,6% dei voti, e l’onorevole Gianfranco Fini che ha avuto il 35,4% […] è inutile nasconderci Qui a Roma si sta giocando una partita politica di ordine nazionale… l’intera stampa internazionale dal Washington Post al New York Times, i giornali francesi, spagnoli, hanno riconosciuto l’enorme valore politico di queste campagna a Roma… e quindi stasera cercheremo di presentarvi i candidati, i loro programmi… Però cercheremo di presentarvi anche loro, le loro personalità, perché ormai eleggiamo delle persone, ricordiamocelo, eleggiamo delle persone, non più dei partiti… secondo la tradizione dei ballottaggi di Milano, Italia cominciamo dal candidato che è arrivato secondo al ballottaggio […]Fini: credo che quella del presidente della Fininvest Belrusconi sia una sostanziale semplificazione, che però corrisponde per certi aspetti alla verità. Roma è una città in cui si stanno confrontando due schieramenti. Vi è uno schieramento che potremmo definire progressista, guidato da Rutelli, vi è uno schieramento che potremmo definire nazionale più che moderato, che è guidato in questo momento da me; che Berlusconi, un imprenditore, un imprenditore che non ricorre alla cassa integrazione, un imprenditore che dà lavoro a tanti italiani, tema una scelta elettorale di sinistra credo che sia tutto sommato più che naturale… semmai c’è da chiedersi per quale ragione Berlusconi oggi dichiara apertamente una opinione, e lo fa con grande coraggio, con grande dignità, nel momento stesso in cui ad altri imprenditori, qualora venisse rivolta identica domanda, vi sarebbe forse risposta ugualmente scontata ma direi politicamente un po’ più sospetta… esco dal gioco di parole: se si chiede a De Benedetti per chi vota, credo che De Benedetti non avrebbe difficoltà a dire che vota per Rutelli. De Benedetti è un imprenditore anch’egli, che parteggia apertamente per un polo progressista e di sinistra… gli imprenditori si stanno schierando, ritengo che sia giusto che ciò accada […]Riotta: onorevole Rutelli, congratulazioni, lei ha finito primo di tappa, diciamo, adesso le resta da concludere la corsa nella posizione di primo […] il rabbino capo di Roma Elio Toaff ha detto: “Se i romani vogliono Fini che se lo prendano, però il fascismo in Italia non tornerà” […] condivide l’analisi del rabbino Toaff?Rutelli: [...] se vinco io – e vincerò io – avremo un Consiglio nel quale prevalgono le forze democratiche con una forte articolazione… questo è importante […]. Nessuna delle forze che mi sostiene avrà la maggioranza nel Consiglio comunale […] invece lo stesso non può dire il mio antagonista; il mio antagonista se, nell’assurda ipotesi, fosse eletto a sindaco di Roma noi avremmo a Roma, e qui ha ragione a preoccuparsi il rabbino capo Toaff, avremmo a Roma un partito unico […] perché il Movimento Sociale porterà ben 34 consiglieri su 60 […] e siccome questo partito ha un bel

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presentarsi nel dire che è un partito nuovo, ma io voglio ricordare […] che non cinquanta, sessanta, settanta anni fa, ma un anno fa il segretario del Movimento Sociale ha guidato a Roma una marcia su Roma […] nella quale centomila persone hanno marciato con il saluto fascista sotto il balcone di Mussolini quella gente ha gridato “Fini, Fini come Mussolini” e Fini ha ricambiato dicendo: “in Italia un solo grande statista c’è stato in questo secolo, si chiama Benito Mussolini”; io non ho nulla delle mie radici di cui mi vergogno, di cui mi vergognerò… lo ha detto un anno fa e oggi si presenta come alfiere dei moderati! [...]Fini: io non so se vinco, credo che lo dovranno decidere i romani, e anche questa è una lezione di democrazia che ti do nel momento in cui con tanta spocchia dici “vincerò io, ho già vinto”, lo vedremo chi vince… < Rutelli, ridendo: tu lo hai detto fino a ieri sera… hai fatto tutta una trasmissione dicendo “sto vincendo, ho già vinto, sto vincendo”> <[…] se invece vinci tu, Rutelli, ti trovi […] a dover mettere d’accordo l’impossibile […] tu devi mettere insieme [fa il gesto di numerare con le dita delle mani] Nicolini, Occhetto – o meglio – Rifondazione, Occhetto, Segni, Pannella, il segretario del Partito Socialista (che non ricordo mai chi è perché non c’è più il Partito Socialista ma c’è rimasto un segretario…> [applausi] <Riotta: Ottaviano Del Turco…> <Ottaviano Del Turco, ovviamente lo ricordavo… […] Roma cerca un sindaco libero! Libero dai condizionamenti della partitocrazia, libero dai comitati di affari…>Rutelli: […] io ho avuto dai romani oltre duecentomila voti direttamente sulla mia persona, cioè ho avuto più di duecentomila romani che non hanno votato i partiti che mi sostengono, ma hanno votato me… […] chiederò ai sostenitori di Fini, quelli che non si riconoscono in un’idea nostalgica, quelli che non si riconoscono nello sbardellismo, cioè a dire nel vecchio sistema di potere ma che hanno votato per un voto di protesta […] di votare per me […] e la città può essere solo governata da chi la conosce, può essere solo governata da chi non è il segretario di un partito, ma da chi si sta dedicando a Roma perché, strada per strada, Roma essendo la sua città, conosce i suoi problemi […] diceva qualche presentatore qualche tempo fa… ecco, lo diceva Costanzo… “cosa c’è dietro l’angolo”… noi sappiamo cosa c’è davanti a noi; cosa c’è dietro l’angolo se vince il segretario del Movimento Sociale Italiano non lo sa nessuno…Fini: Mi permette di fare un’osservazione? Che se vince Rutelli i telespettatori hanno capito cosa c’è dietro l’angolo: c’è un sindaco modesto, perché si è definito forte, responsabile e autorevole [applausi] è un sindaco modesto, forte, responsabile, autorevole, se lo dice da solo… […]Rutelli: hai fatto anche tu un appello ai voti dell’estrema sinistra, mi sbaglio?Fini: Certo! <Rutelli: ah, beh…> <…non vuol dire nulla questo, io faccio l’appello ai lavoratori, che è una cosa del tutto diversa> <Rutelli: …e figurati se non lo faccio io!>Fini: <ma vedi…> …c’è una differenza di fondo, che mentre ci sono dei lavoratori di sinistra che non ti vogliono sindaco, non esistono lavoratori di destra che vogliono sindaco te, la differenza è tutta qua… a sinistra…Rutelli: non so quanti lavoratori di destra ci sono a Roma, caro Fini…Fini: eeeeh! perlomeno… perché secondo te, perché secondo te quelli che mi hanno votato?… no, no… <Riotta: signori, non è che se non mi vedete vuol dire che sono scomparso, sono sempre qui> …no, Riotta, questa è la democrazia e il non razzismo di Rutelli, perché il 35 per cento di elettori he hanno votato a me non è che sono lavoratori, no no, sono tutti…. che cosa sono scusami…? <Rutelli: sono cittadini come gli altri… sono lavoratori, sono cittadini che lavorano, e che hanno scelto la destra… e io spero di convincerli a votare per me…> <Fini: Ecco… e allora aspetti un pezzo!> Di Giovampaolo: io credo che innanzitutto non debbano immaginare che il voto cattolico sia una valigetta che viene spostata in un posto o nell’altro […] credo che i moderati cattolici voteranno chi avrà un piano di trasparenza… personalmente una preferenza ce l’ho, debbo dirlo con molta sincerità… non voterò Fini per un motivo molto semplice…> <Riotta: non è che gli piace Rutelli, eh, ragazzi…> <Di Giovampaolo: non particolarmente, però… soprattutto perché è della Lazio, debbo dire, francamente…> [stacco su Fini che ride, risate e applausi della platea] <Di Giovampaolo: […] apprezzo lo sforzo che è stato fatto a destra… però, mi perdoni, il suo modo di essere una destra europea è molto più vicino a Le Pen che non ai conservatori britannici…. e questa è la differenza> Fini: Riotta: …ci sono quelli bravi e quelli meno bravi…> <Fini: certo, così come per i conduttori, ci sono quelli più bravi e quelli meno bravi che interrompono…> <Riotta: …e poi ci sono quelli bravi che interrompono…

Riotta: grazie Rutelli… <Rutelli: no, vorrei fare una battuta, se me la consenti, perché Fini ne ha fatte tante, ogni tanto ne una anch’io…> <Riotta: però una battuta velocissima> <…non è vero che Fini non ha niente di romano, è vero che è nato a Bologna, che vive a Bovile., ma Roma ci ha avuto anche dei sindaci romani disgraziati, pensiamo a Giubilo… mamma mia! Lui era romano de Roma…> <Fini: come te! Era romano di Roma come te, ahò!> <Rutelli: e vedremo, vedremo… dico che anche Fini di romano ci ha qualcosa… ci ha il saluto romano….> [...]Rutelli: Il carbone lo troverai tu nella calza di Natale, caro Fini… [risate e applausi dal pubblico]Riotta: […] …non riscaldiamoci sul riscaldamento… [applausi e risate] …una cosa è chiara, il prossimo sindaco di Roma sarà un sindaco spiritoso, perché sia Fini che Rutelli sono dei battutisti…Rutelli: dovresti consultare i dati obiettivi […] <Fini: questi sono i dati che fanno comodo a te> se tu scrivi le bufale sul programma governerai una mandria di bufale, ma non governerai Roma, eh, andiamo! [applausi] <Riotta: Fini […] non faccia come Riotta l’interruttore…> <Fini: no! Io non voglio interrompere però non voglio nemmeno essere offeso…>

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<Rutelli: in diretta ha qualcuno che lo vuole soccorrere tra i suoi sostenitori: rispondi con parole tue, come si diceva a scuola, non ti fare sostenere dai tuoi sostenitori…> [buu del pubblico che sostiene Fini; quindi Rutelli prosegue la riflessione sull’inquinamento]interviene il signor Liuzzi: io devo dire che mi sento un po’ a disagio di fronte all’onorevole Fini: rispettabile, una bella giacca, una bella cravatta, gli occhialini d’oro, direi uno con la faccia da bravo ragazzo, ma l’altra sera a Piazza del Popolo l’iconografia era tutta diversa: inni fascisti mandati dagli altoparlanti, saluti romani, teste rasate… <Riotta: domanda!> < siccome su questo lei cerca di glissare… io sono ebreo e tutti gli ebrei di Roma sono preoccupati; lei se la sentirebbe di esprimere una condanna, non in una battuta ma argomentata, di tutto ciò che ha rappresentato il regime fascista, dalla marcia su Roma alla Repubblica sociale?Fini: secondo il signore io sarei dottor Jekyll e Mister Hyde… quando faccio i comizi a piazza del Popolo io mi trasformo, divento piccolo, brutto, poi organizzo bande di naziskin… quanto al rapporto tra il Movimento Sociale e il fascismo, in ordine soprattutto alle leggi razziali … io ho detto in modo inequivocabile e ribadisco che le leggi razziali furono un errore di Realpolitik che determinò un orrore … e questa dichiarazione fa giustizia di tutte le menzogne che vengono propagandate in ordine ai presunti rapporti tra il Movimento Sociale e quei gruppi nazistoidi o razzisti, che a Roma per fortuna sono una minoranza infinitesimale, e che non hanno nulla a che spartire né col MSI né con me… Interviene dalla platea un ragazzo: onorevole Fini, io ho le lacrime agli occhi… <Fini: le passo un fazzoletto, così se le asciuga…> <perché lei con la mano destra fa la ramazza e la bonifica, con la mano sinistra foraggia i gruppi filonazisti>[Riotta chiama in causa Teodoro Buontempo]Buontempo: Rutelli oltre che un po’ spocchioso è anche bugiardo, perché non ha aggiunto che io mi alzai in consiglio comunale dicendomi disponibile a votare quell’ordine del giorno purché venissero condannate, leggilo tutto!Riotta: io vorrei usare questi pochi minuti che ci restano per fare io una domanda [Fini e Rutelli polemizzano sulle giunte di sinistra] …signori! Volevo fare io una domanda, io vi ho invitato, se questo è il palco sul quale io vi ospito [Rutelli continua a interrompere, con Fini che commenta] Fini, mi hanno lasciato proprio una manciata di secondi per lei, riassuma la sua candidatura in una parola, qual è la parola chiave di Gianfranco Fini, del Movimento Sociale, sindaco di Roma…Fini: la parola chiave è una sola, Pulizia, in primo luogo, efficienza… pulizia, efficienza e assoluta libertà di fare ciò che è giusto a prescindere dagli interessi dei partiti, che sono tutti a fianco di Rutelli [applausi dal pubblico]Riotta: Grazie Fini [gli applausi continuano] Rutelli, una parola chiave per la candidatura di Francesco Rutelli sindaco di Roma sindaco di Roma per il fronte progressista [gli applausi continuano] …grazie signori, tanto non si sentono i vostri applausi, si sente Rutelli, vada avanti… Rutelli: allora io vorrei dire questo, la mia parola d’ordine [i rumori e gli applausi del pubblico lo interrompono] Riotta: grazie signori, grazie dell’applauso, siete molto gentili, adesso fate finire l’onorevole Rutelli, prego Rutelli… Rutelli: I romani hanno cacciato via il vecchio sistema di potere, con il voto di domenica, dando a me una grande forza… [aplausi e interruzioni] …scorgo un po’ di nervosismo nelle file dell’onorevole Fini… non è che e andata male questa trasmissione? Mi sa che gli è andata un po’ maluccio questa volta, la mia parola chiave è fuori tutto il vecchio sistema, e Fini ci ha al suo rimorchio tutti gli sbardelliani, che votano per lui, che hanno votato per lui, e famno campagna per lui….Fuori gli sbardeliani, fuori questo sistema, e adesso ci ha anche Berlsuconi e ti troverai Craxi e Intini a votare per te!

Il talk show, come si è visto, utilizza una lingua sempre più vicina a quella della vita quotidiana, che rimpiazza efficacemte i formalismi stanchi del vecchio politichese. Ma l’osmosi con la lingua della gente comune ha i suoi rischi. In occasione del Gay pride dell’estate 2005, prosindaco leghista di Treviso ha affermato, senza timidezze: «Nella mia città i culattoni non passano»; nel novembre 2005, il ministro Calderoli non si è peritato di dichiarare: «L’otto dicembre saremo a Bruxelles per chiedere l’abolizione della Costituzione europea. Sfrutteremo il ponte dell’Immacolata per portare un po’ di religione a quei pedofili». Non c’è dubbio che la lingua abbia guadagnato in chiarezza, ma non avrà perso qualcosa in dignità? Forse il rispecchiamento che ha sostituito l’aura di superiorità e di distanza che circondava la politica del passato non è sempre positivo: la contrapposizione mediatica di stampo angloamericano, cucinata in salsa italiana, favorisce la trasformazione del dibattito in match (Omar Calabrese): ciascun contendente cerca di sovrastare l’altro dandogli sulla voce, lo interrompe continuamente, commenta con studiata gestualità le sue parole. Si arriva addirittura allo scontro fisico, come accadde tra Alessandra Mussolini e l’allora ministro per le Pari opportunità Katia Bellillo nel febbraio del 2001.

Abbiamo già osservato la tendenza dei talk show politici a confondere i ruoli degli ospiti. Per comprendere meglio l’importanza di questo fenomeno occorre utilizzare il modello interpretativo dell’analisi conversazional, studiata soprattuto da Erving Goffman e, in Italia, da Franca Orletti. Il talk show ha caratteristiche comuni ad altre situazioni di interazione dialogica, come la lezione scolastica, la conversazione medico-paziente, quella giudice-avvocato-imputato: la definizione “a monte” dei temi da trattare; i vincoli temporali esterni (durata della trasmissione, interruzioni pubblicitarie) e i vincoli temporali interni (spazio concesso dal conduttore ai vari interlocutori, interventi del pubblico in sala o da casa, ecc.). Il conduttore ha un ruolo fondamentale, quello del regista dell’interazione. Sempre più spesso, negli ultimi

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anni, il regista non ha svolto il proprio compito in modo imparziale, favorendo anzi la confusione, il match e l’innalzamento del tasso emotivo della trasmissione. Ciò si spiega per ragioni ideologiche (la confusione dei generi e la prevalenza dell’intrattenimento favoriscono l’accettazione di modelli culturali conservatori) ma anche semplicemente economiche: lo scopo di qualsiasi trasmissione è quello di attrarre e trattenere il maggior numero di telespettatori e la ricerca del massimo ascolto (audience) è condizionata dalla vendita di spazi pubblicitari. L’attribuzione dei ruoli ai partecipanti, la selezione e la successione dei temi da discutere, il controllo dell’interazione attribuiscono al conduttore un grande potere di condizionamento. L’assenza di regole permette al comunicatore più abile, o più rissoso ed estroverso, di sopraffare l’avversario e di concentrare l’attenzione su di sé e sulle proprie idee, emarginando quelle altrui. Goffman rappresenta l’interazione comunicativa come una sorta di balletto (footing), in cui ogni partecipante ha un ruolo ma può cambiarlo spostandosi e assumendo posizioni diverse nei confronti dell’interlocutore (o degli interlocutori). Un caso eclatante di questo cambio di ruolo si è avuto in occasione della trasmissione di approfondimento politico In mezz’ora, condotta su Rai3 da Lucia Annunziata, quando l’ospite, Silvio Berlusconi, ha abbandonato lo studio dopo un serrato scambio di battute con la conduttrice (vedi la lezione del 25 ottobre).

Documenti - Porta a porta 2006

UNIONI CIVILI

VESPA: All'inizio del servizio noi abbiamo riportato testualmente tutte le sette righe e mezzo, che sono a pagina 72 del programma dell'Unione per… appunto per chiarire anche agli ascoltatori, che non possono seguire i dettagli, qual è la proposta programmatica condivisa da tutti. Forse mi sbaglio ma mi sembrava piuttosto aperta a tutte le soluzioni perché non… signora Lussuria, perché non vi sta bene?LUXURIA: Intanto bisogna dire una cosa che lei ha già detto cioè una decisione con il consenso perché quando si è stati al tavolo, fino alla fine, non si è voluto partire da maggioranza e non maggioranza sui singoli provvedimenti, perché se si fa così chiaramente il giorno dopo che si fa il governo, il giorno dopo, il governo cade. Si è cercato quindi, fino alla fine, la formula che potesse essere più condivisa da tutti. Quindi questa formulazione è stata firmata nello stesso modo da tutte le forze del centro di sinistra quindi compreso anche Mastella, compreso anche Rutelli. Allora c'è un'ottima… VESPA: Per adesso si tira la coperta chI da un lato, chi dall'altro… LUXURIA: Siamo in fase elettorale proporzionale c'è chi dice mi tiro un po' indietro per prendere voti dei suoi e c'è chi dice io mi sono battuto di più degli altri per prendere il voto dei gay quindi fa parte della logica comunque di un sistema proporzionale. La verità è questa, la verità è che noi nel centrosinistra per la prima volta troviamo un prossimo auspicato governo che ha preso un impegno, l'impegno di affrontare il tema delle unioni civili ovvero, un governo che per la prima volta, davanti a tantissime convivenze che oggi ci sono e che non sono riconosciute nei loro diritti, ha deciso non, di voltarsi dall'altra parte ma di dire facciamo qualcosa. E quando noi parliamo, quando chiediamo questi diritti non siamo la lobby gay che si crede ormai potente di sfidare qualsiasi potere, no. Noi siamo delle persone che ci rendiamo conto che sono finiti i tempi in cui, diciamo, i gay si nascondevano e facevano solo sesso tra le fratte. Oggi ci sono moltissimi gay che dopo aver anche sconfitto con tutta una propaganda e tutta un’informazione sul sesso sicuro il flagello dell’AIDS, vuole un futuro di vita, vuole poter programmare una vita con un compagno che si ama, che quando si torna al lavoro si vuole parlare insieme, che non si vuole stare soli a casa a cenare davanti alla tevisione e pensare anche ai momenti più difficili. Perché all'inizio c'è l'amore, tutte le cose vanno bene, poi si invecchia e quando si invecchia possono nascere problemi di, magari il compagno che ha una malattia, magari che colpisce il sistema cerebrale e non è più capace d'intendere e volere e allora è giusto che sia la persona che è stata più vicino a lui, a prendere delle decisioni per lui…VESPA: Mi scusi signora, quando si parla qui nel programma dell'Unione dice ‘’ non è dirimente... ‘’ Quindi significa che le cose valgono sia per le copie eterosessuali che per le coppie omosessuali LUXURIA: Esatto… VESPA: E allora gli elementi della protesta dove sono? Mi pare che gli omosessuali siano garantiti allo stesso modo degli eterosessuali…LUXURIA: Effettivamente questa è una proposta che lascia aperta una… come dire una possibile interpretazione evolutiva. Quello che ha lasciato deluso movimento gay - lesbico - bisessuale - transgender è stato il fatto... MUSSOLINI: Trans… LUXURIA: Transgender… MUSSOLINI: Che vuol dire?LUXURIA: Vuol dire… quelli come me, quelli che transitano da un genere anagrafico all'altro…MUSSOLINI: Transgender… LUXURIA: E’ termine che viene usato ultimamente…MUSSOLINI: No, non l'avevo mai sentito…LUXURIA: Si, ci credo, lo so, lo soMUSSOLINI: Non era polemica…. LUXURIA: Transessuale è un termine che veniva usato soprattutto dai medici con una forte connotazione sessuale. Un

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po' come i gay preferiscono essere chiamati gay invece che omosessuali anche le transgender preferiscono ultimamente questo termine… Quindi dicevo che il fatto che sia stato inserito orientamento sessuale… Allora la delusione, ecco, dicevo la delusione… dicevo la delusione è stato dovuta al fatto che è mancato il riconoscimento giuridico della coppia ma sono state riconosciute i diritti delle singole persone. Quindi ad esempio il movimento si è chiesto, allora il diritto alla reversibilità della pensione può essere considerato un diritto del singolo cittadino tipo il voto…?VESPA: Ci torniamo tra un momento in questi, questi dettagli che sono poi fondamentali…Mussolini…MUSSOLINI: Ma vede guardi Vespa, io volevo dire questo… Io volevo un po' smascherare quello che è l’obiettivo del PACS. Io credo, e ne sono fermamente convinta…LUXURIA: Non sono PACS, sono un unioni civili… MUSSOLINI: Unioni civili, quello che è… Io ne sono fermamente convinta. Io credo che nella società se c'è una parte che vada tutelata, garantita, fino alla fine, questa parte sono i bambini ed i nostri figli che guarda caso all'interno dei PACS e di questa normativa non sono assolutamente contemplati. Perché? Perché la normativa fa riferimento esclusivamente, è inutile che si parla di coppia eterosessuale, di coppie omosessuali dove non c'è nascita, dove non ci sono figli che possono nascere; ecco perché bambini sono esclusi e ne avrebbero, ove mai fosse approvata una legge sui PACS, uno svantaggio incredibile perché non avrebbero nessun diritto. Allora noi andiamo a tutelare gli omosessuali, gli eterosessuali, il transgender, gendarmi non so come si chiama, i transessuali e i nostri figli? I nostri bambini chi li difende? Li può difendere un PACS? Si potrà passare non da un matrimonio in chiesa, civile, ma di PACS in PACS, dove praticamente tu hai possibilità di fare dei contratti, puoi in caso di coppie eterosessuali mettere al mondo un figlio che non avranno garanzie. Allora io dico, in una società compromessa come la nostra, perché questa società è compromessa, con tutto quello che si sta sentendo, vogliamo cominciare a partire dalla base, dalla famiglia tradizionale, da un uomo e una donna perché io sto sentendo la signora Luxuria che dice un uomo omosessuale che vede il proprio compagno che invecchia e che si ammala, e quante donne vedono il proprio compagno, il proprio marito, che invecchia, che muore e non hanno diritti e le mogli che vengono strapazzate perché sono sempre quelle che hanno meno possibilità economica, la donna rispetto all'uomo, in una famiglia, allora noi, noi loro, io adesso, noi <CASTELLI: Io? …> Noi no te, la casa delle libertà e io non ti giustificare Castelli e io ora che ho fatto quest'alleanza, quando vado a leggere e dico partiamo dalla famiglia che è la nostra cellula base, partiamo dalla famiglia, intanto tradizionale e cominciamo a dare dei diritti a questa famiglia poi dopo parliamo…LUXURIA: Signor Vespa, potrei leggere una cosa? Scusi, vorrei leggere una cosa… MUSSOLINI: Io non parlo… alla sessualità tra adulti, gli adulti facessero quello che vogliono sono i bambini che non hanno voce e che vanno tutelati…Altro che transgender…Brutto ‘sto transgender…LUXURIA: Io vorrei leggere una cosa… scusate…< MUSSOLINI: Brutto ‘sto transgender…usate termini italiani…>… Leggo, leggo ‘’ Un gay…’’ Può essere rispettosa da ascoltarmi? ‘’ Un gay può dare generosità, amore, affetto, una casa, un'istruzione, un'educazione a un figlio. Sono convinta che possa fare allo stesso modo di un eterosessuale. La sfera dell'affettività non ha sesso…’’. Questo non l'ho detto io, l'ha detto Alessandra Mussolini…MUSSOLINI: Ma questo che cosa c'entra? LUXURIA: Il 6 gennaio… Scusi…però mi faccia finire… MUSSOLINI: Ma cosa c’entra… ma lo ripetoLUXURIA: Mi lasci completare, so che le dà fastidio ma è questo.< MUSSOLINI: Ma figurati, non mi da fastidio più niente, dopo quello che mi hanno fatto…> Il 6 gennaio 19…< Hanno spiato a me, alla mia famiglia…> Posso finire, posso finire? < VESPA: Onorevole, onorevole…> Siamo ancora in democrazia . Posso finire? Il 6 gennaio 1995 la signora Mussolini ha dichiarato questo non su gay news o su Pride ma sul Corriere della Sera intervistata da Massimo Consoli. Allora ...MUSSOLINI: Ho anche fatto una proposta di legge con Livia Turco…< LUXURIA: Cosa le è successo?> … sulle unioni di fatto per garantire bambini LUXURIA: Posso dire? Posso dire? Poi la lascio parlare…Allora non mi sopraffaccia…MUSSOLINI: Non lo voglio fare… Lungi da me LUXURIA: Cosa le è successo signora Mussolini…?MUSSOLINI: Posso diventare transgender anch’io, ma scusi avrò un diritto o no?VESPA: Onorevole Mussolini lascia parlare la signora Luxuria, per favore?LUXURIA: Allora cosa le è successo signora Mussolini. Lei prima era a favore addirittura delle adozioni…MUSSOLINI: NoooLUXURIA: Cosa… Mi faccia finire per cortesia…VESPA: Una… una per ciascuno, vi prego… abbiate pazienza… mi fate disperare…LUXURIA: Era a favore addirittura delle adozioni…nel ‘95MUSSOLINI: No guardi, assolutamente… assolutamente…LUXURIA: Oggi parla della famiglia ed è contraria alle unioni civili. Proprio lei, proprio una donna, cioè una che ha sempre fatto della propria femminilità un'arma di battaglia noto, che quando si mette nella brutta compagnia di persone che si ispirano al neofascismo…< MUSSOLINI: No guardi, di brutte compagnie non ne parliamo…Guardi, senta…> la loro femminilità se la mettono sotto i piedi, sotto lo zerbino e obbediscono alle altre persone. Ha avuto delle brutte influenze signora Mussolini…MUSSOLINI: Ma guardi delle influenze ci penso io, alle influenze che c'’ho… non mi faccia parlare Luxuria… <LUXURIA: E poi mi dica, cambierà di nuovo opinione? >… io quello che dico… io sono contro… < LUXURIA: Ogni quanti anni cambierà di nuovo opinione? >… i PACS, sono contro all'adozione dei bambini da parte di coppie

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omosessuali…< LUXURIA: Non è contemplata nelle unioni civili…>…sono contro alla possibilità dell'inseminazione artificiale da parte di coppie omosessuali…< LUXURIA: Non è contemplata nelle unioni civili…>… è questo che voi volete, ed è a questo che voi tendete e noi ci batteremo contro per difendere i nostri figli poi, ognuno si assume le proprie responsabilità…LUXURIA: Però, scusate, quando si discute di alcuni temi sulle unioni civili bisogna essere onesti…MUSSOLINI: Di Pietro lei è a favore dell’ adozione… < LUXURIA: non si possono trovare degli argomenti che non sono previsti in una legge. Questa è disonestà, questo è non avere altri argomenti…>… Scusi Di Pietro…Di Pietro lei a favore delle adozioni da parte degli omosessuali, voi della sinistra? Volete la procreazione? < LUXURIA: l'adozione è fuori discussione da questa proposta…>…No, non è vero perché Grillini lo vuole… < LUXURIA: Dov’è scritto, dov’è scritta questa proposta? >…perché Grillini la vuole…< LUXURIA: Non è vero, la proposta dei PACS di Grillini…>…e lo vuole il centrosinistra…LUXURIA: Signora lei si legga le proposte di legge però prima di venire a parlare…MUSSOLINI: Ma me la sono letta molto bene… LUXURIA: non se l’è letta. Perché la proposta dei … guardi ce l'ho qui, gliela lascio...<MUSSOLINI: Ma la conosco molto bene…>.. nella proposta dei PACS le adozioni non sono assolutamente previste. Questa è la verità… VESPA: Allora Di Pietro e poi Castelli…DI PIETRO: Vede io credo nel matrimonio, credo nella famiglia, credo nel matrimonio concordatario addirittura, posto questo a me, da cristiano cattolico trovare una legge regolamentare una situazione di fatto che nella realtà esiste, che mi toglie? Aggiunge possibilità di dare felicità ad altri, a cui oggi viene tolta. Il vero cristiano non è colui che toglie agli altri, è colui che è felice e che è contento se anche gli altri, che hanno un'esperienza di vita diversa, possono raggiungere o la felicità o comunque la soddisfazione dei propri bisogni. Detto questo quindi, di noi dell'Unione, noi dell'Italia dei valori aderiamo alle unioni civili perché riteniamo che ogni persona è come madre natura l'ha fatta e ha diritto come tutti gli altri di avere gli stessi diritti degli altri. Non toglie nulla e non sta scritto da nessuna parte che, siccome la signora Luxuria la pensa diversamente da loro, lei debba odiare o debba disprezzare o non voglia che i bambini siano tutelati. I bambini, li vogliamo tutti che siano tutelati. Tutti vogliamo che possano essere, possano ricevere l’assistenza, l'istruzione, la costruzione di un futuro. Noi dell'Italia dei valori ma soprattutto noi tutti dell'unione riteniamo che nella prossima legislatura uno degli impegni da portare avanti è quello di fare in modo che tutti cittadini sia che siano eterosessuali , sia che siano omosessual, sia che siano sposati in Chiesa, sia che non siano sposati o non siano sposati in Chiesa, possano avere quei diritti fondamentali all'assistenza, alla solidarietà, alla successione e a quant'altro, che spetta a tutti gli altri. Questo diritto,l per quale ragione al mondo dobbiamo toglierlo ad una persona come lei? Lei… Io sono preoccupato quando in Parlamento ci vanno i ladri, gli evasori e i corruttori non quando ci va la signora Luxuria… MUSSOLINI: Ma guardi che questa è una cosa condivisibile, mica lei si aspetta l'applauso su questo. Infatti qui non si sta sparlando del personaggio, qui si sta parlando di difesa di diritti e allora quando io dico che ho fatto la proposta di legge sull'unione di fatto a tutela dei bambini è su questo perché la signora Lussuria potrà andare in Parlamento, i bambini non hanno voce. Allora ci sono delle priorità…< DI PIETRO: Ma perché glieli toglie lei…> allora prima dei PACS ci sono i nostri figli…< DI PIETRO: Lei non gli toglie alcuna voce ai bambini…che voce toglie ai figli la signora Luxuria? Che voce, che diritti toglie ai bambini? >LUXURIA: Allora devo riprenderlo perché molto spesso vengono proprio usati degli argomenti che non è giusto usare perché non sono…CASTELLI: Poi chiedo tutti minuti a cui ho rinunciatoLUXURIA: Nella proposta dei PACS, il movimento gay - lesbico - bisessuale e transgender, non abbiamo contemplato la possibilità dell'adozione né quella della fecondazione eterologa perché, le donne possono mettere al mondo dei figli non è che una cosa impossibile, anche da parte di due donne ricorrendo all’inseminazionel artificiale, quindi non è che non possono farlo, potrebbero farlo, lo hanno fatto, ci sono già delle realtà mi sembra… Allora io non voglio essere neanche però dipinta come la nemica dei bambini, la nemica delle famiglie, intanto perché io vengo da una famiglia, i miei genitori mi adorano, ho dei cugini quindi noi non siamo degli Attila che sono arrivati per distruggere la famiglia, tutt'altro, noi vogliamo semplicemente aggiungere, non sottrarre… allora vogliamo aggiungere dei diritti per hi non ce li ha ma anche dei doveri perché nelle unioni civili, nelle unioni civili c'è anche, per esempio, il dovere sui debiti perché quando uno dei due partner fa un debito per motivi di esigenza di coppia, e magari viene a mancare, l'altro partner è responsabile congiuntamente nei confronti di questo debitoCASTELLI: Non è così, non è vero, c'è la separazione dei beni. Io sono sposato lo posso dire, c’è la separazione dei beni per cui ciascuno…LUXURIA: Ma io dico nelle unioni civili… CASTELLI: Io sono sposato in unione civile e c'è la separazione dei beni, quello che dice lei è inesatto, ma comunque c'è un punto fondamentale sul quale il dottor Di Pietro…LUXURIA: Lei forse però in un matrimonio civile lei si è sposato? Non ho capito…CASTELLI: Si, matrimonio civile, mi sono sposato civilmente vabbè ,comunque… dov'è che manca …il discorso del dottor Di Pietro è affascinante e anche diciamo convincente ma manca in un punto fondamentale. Qual'è il punto fondamentale’ Intanto è chiaro che sotto il punto di vista privato ciascuno può fare quello che vuole, questo è evidente spero…LUXURIA: Grazie, grazie .Non ci venite a controllare il letto a casa insomma, non la troviamo sotto il letto…e meno male…

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CASTELLI: Per carità, no, guardi questo…No anche perché non mi interessa proprio quello che fate voi, mi consenta, quindi ho altri interessi nella vita… LUXURIA: Beh, meno male CASTELLI: Quindi dicevo, questo è un dato fondamentale. Altro è quando un certo tipo di rapporti deve diventare come modello della società. Cioè qui veramente siamo profondamente diversi noi e l'Ulivo. Noi pensiamo a una società completamente diversa dalla vostra. Quale è la società a cui noi pensiamo? E’ una società basata sul futuro. E cosa sono il futuro della società? I figli < MUSSOLINI: Bravo…>LUXURIA: Infatti siamo a Natalità guardi… 2%…CASTELLI: Questo è evidente, eh beh ma infatti se andate avanti voi questa natalità chissà dove va a finire…< LUXURIA: beh, non date a noi però la colpa della denatalità, almeno per quello…> scusi, mi lasci finire, mi lasci finire… Dicevo quindi < LUXURIA: Fate più figli voi…>… Io ci provo ogni tanto… Questo è il fatto fondamentale, la differenza sta tutta qui, e allora dov'è che i diritti di un bambino, di un ragazzino, di un minore vengono riconosciuti fin in fondo’ In una famiglia eterosessuale che è una famiglia dove i figli si possono mettere al mondo, una famiglia che è basata sul matrimonio perché il matrimonio… Quale differenza grandissima fra matrimonio PACS? Quanti PACS si fanno…

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LABORATORIO 1.a. - preparazione (mercoledì 18 ottobre)

Il trasmesso ha caratteri comuni alla varietà scritta e a quella parlata (per parlato tipico intendiamo il parlato faccia a faccia tra due interlocutori), caratteri intermedi tra le due varietà ma anche caratteri diversi da entrambe. Mettendo insieme la tabella proposta da Sabatini nel 1997 e considerazioni di altri studiosi sulla natura della comunicazione televisiva possiamo costruire un modello schematico di analisi del trasmesso:

tratti \ canale parlato scritto trasmessosonoro SI NO SIgestualità ed elementi paralinguistici SI NO SIreversibilità NO SI NO/SIregistrabilità NO SI NO/SIcondivisione del contesto SI NO NO/SIdestinazione a molti NO SI SIdialogicità SI NO SI/NOpianificazione NO SI NO/SIcomplessità morfosintattica NO SI SI/NOdensità lessicale SI NO SI/NOpresenza del dialetto SI NO SI/NO

Dal punto di vista semiotico, andranno poi considerate la tendenziale unidirezionalità del trasmesso (per cui non c’è quasi mai possibilità di interazione del ricevente sul messaggio dell’emittente, a differenza di quel che accade nel parlato faccia a faccia), la grande molteplicità di emittenti del messaggio (che è un prodotto collettivo, d’équipe, molto più del giornalismo su carta stampata, e in cui il ruolo dei tecnici ha un rilievo molto maggiore), la virtuale universalità dei riceventi (il messaggio televisivo arriva a milioni di spettatori, di età, condizioni economiche e sociali, idee politiche, ecc. diversissime) e infine l’importanza dell’apparato organizzativo e tecnico che sta dietro la “confezione” del messaggio e che in genere non appare, nella sua complessità, al ricevente. Queste ultime caratteristiche danno agli emittenti un notevole potere di manipolazione e di orientamento.

Oltre a questi parametri, assumono rilievo - specie in rapporto con il parametro condivisione del contesto - la distanza spazio-temporale che separa l’atto cominicativo dell’emittente dalla sua ricezione da parte del ricevente, e il fatto che la ricezione avvenga in una sfera privata, domestica e familiare. Quest’ultimo fattore è particolarmente importante per definire il modo in cui fatti che riguardano la sfera pubblica (politica, istituzioni, economia, sanità, ecc.) e la loro comunicazione e ricezione tramite i media. Seguendo Antelmi (2006, pp. 24 e sgg.) notiamo che il discorso mediale tende a:

1. far prevalere la dimensione di divertimento e collocare temi seri in contesti spettacolari, in cui la componente emotiva prevale su quella informativa;2. far sfumare i confini tra realtà e finzione e renderne difficile la distinzione;3. mescolare modi di comunicazione tipici di un genere a quelli di altri generi (es. discorso pubblicitario per la comunicazione politica);4. trasformare l’ascoltatore in consumatore.

Questo insieme di fattori condiziona la lingua, che tende a diventare sempre più colloquiale e simile al parlato quotidiano, ma condiziona anche i modi della comunicazione, facendo prevalere forme della narrazione mitizzata su forme della descrizione oggettiva.

Il parlato televisivo: metodi di analisi e di trascrizioneIl parlato televisivo è molto vario: Michele Cortelazzo lo ha definito un polisistema che accorpa tutti

i livelli e gli stili linguistici, una lingua che usa “secondo modalità particolari [...] codici presenti nel repertorio della comunità italiana, nella loro varietà” ed è quindi in grado di accogliere molti altri tipi di strasmesso con l’effetto di una larga circolazione delle innovazioni.

Se consideriamo i parametri della pianificazione e della coerenza testuale possiamo facilmente notare (con Dardano 2002, pp. 247 e sgg.) che il parlato dei telegiornali è parlato quanto al codice utilizzato ma scritto quanto alla concezione e alla pianificazione; possiamo definirlo un parlato-scritto; viceversa, il parlato dei reality o dei talk show, per quanto inquadrato in una scaletta di argomenti (che ne garantisce una certa coerenza testuale) è più vicino al parlato tipico, quello faccia a faccia, definibile come parlato-parlato.

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Vanno poi considerati, per giudicare gli stili del parlato, i due poli contrapposti della distanza e dell’immediatezza comunicativa: anche se guidato dal conduttore, nel parlato dei reality o in quello dei dialoghi in diretta con il pubblico in sala o, tramite il telefono, con quello che segue da casa, prevale il polo dell’immediatezza, mentre la distanza caratterizza la comunicazione dei programmi di informazione e divulgazione. L’immediatezza e la scarsa pianificazione fanno emergere alcuni tratti significativi:

l’eliminazione di ogni formalità (uso del tu, colloquialità perfino affettata);la preferenza marcata per un parlato chiaramente connotato in senso regionale (se nelle prime battute di dialogo si può ricorrere all’italiano standard, si passa presto all’italiano regionale, modellato su quello dell’interlocutore);la ripetizione di stereotipi della lingua giornalistica televisiva;l’uso di un tono “fortissimo” indiscriminato di titoli, aperture, copertine, di superlativi e di enfasi per creare effetti spettacolari.

Questo parlato, che il linguista Fabio Rossi ha definito “parlato minimale”, è prograssivamente entrato anche nel parlato filmico e quindi anche nelle fiction televisive di produzione italiana (speicalmente nel genere soap opera, che punta a mimare la conversazione reale; molto più artificioso e pianificato è il parlato-recitato di fiction storiche o in costume, per es. la “Freccia nera” prodotta da Mediaset nell’ottobre 2006).

La trascrizione di un testo trasmesso: nozioni essenziali.Nelle prossime lezioni analizzeremo due tipologie di parlato trasmesso: 1. il dibattito televisivo in varie forme: dibattito tra due interlocutori con moderatore e interventi del pubblico, intervista con faccia a faccia, talk show più rigidamente regolato, talk show meno rigidamente regolato; 2. l’informazione dei telegiornali, dalle rassegne delle notizie del giorno alle edizioni con uno o più conduttori in video, alla lettura dei quotidiani, ecc.Il dibattito ha essenzialmente forma dialogica; nei telegiornali, invece, prevale la forma monologica

ma con modalità diverse e con l’interferenza di altri tipi di comunicazione.La trascrizione del parlato, ai fini di un’analisi linguistica, può essere realizzata in modo più o meno

dettagliato. Una descrizione dettagliata darà conto con la massima cura di fenomeni verbali e non verbali. Innanzitutto, è opportuno distinguere le varie parti del parlato conversazionale: definiamo turno ogni

frammento di parlato racchiuso tra due silenzi e gestito da un singolo parlante (anche se rivolto a interlocutori diversi), enunciato ogni porzione di parlato autonoma dal punto di vista dell’intonazione, clausola ogni unità di parlato autonoma dal punto di vista sintattico (principale, subordinata, coordinata, asindetica). I fenomeni del parlato possono poi essere distinti in fenomeni - non verbali - di pronuncia, prosodia e ritmo (che, riferiti al testo scritto, sono definiti anche tratti soprasegmentali) e fenomeni - verbali - di testualità:

fenomeni di pronuncia, prosodia e ritmopronuncia dei suoni: fusione (o assimilazione: tennico per tecnico), incrocio (o metatesi: interpetrare per interpretare), aggiunta (Isdraele per Israele, pissicologo per psicologo, ecc.) o caduta (aferesi all’inizio di parola: ’sto per questo, giorno per buongiorno; apocope alla fine: fra per frate, andà per andare; sincope all’interno; elisione tra due parole vicine: l’edizione per la edizione);accentazione e scansione delle sillabe;allungamento e distorsione con valore semantico (es. na! per indicare meraviglia o ripulsa, sse! per ‘sì’ per indicare un falso assenso);curve di intonazione distinte per valore pragmatico (interrogativa, esclamativa, conclusiva, sospensiva, ecc.) e per caratteristiche regionali; l’intonazione è anche essenziale per trasmettere umori, emotività, e può essere, di volta in volta, distaccata, paterno-didascalica, entusiasta, preoccupata, sdegnata, ecc.volume della voce e altri fenomeni caratteristici (voce bisbigliata, urlata e simili);velocità di pronuncia degli enunciati (fenomeni di “allegro”: esempio tipico le raccomandazioni che chiudono la pubblicità televisiva di medicinali);durata dei turni di ciascun interlocutore; durata delle pause; sovrapposizioni di turno.

Dagli anni ’90 nei programmi di discussione e di informazione televisiva diviene importantissima la sonorizzazione: i cambi di scena e di argomento sono spesso segnalati da piccoli inserti musicali e sonori;

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anche nei titoli di apertura il passaggio da una notizia all’altra è enfatizzato da un sottofondo sonoro; quanto agli speaker, il Tg5 detiene il primato della velocità di scansione (Mentana è ribattezzato Mitraglia per la frequenza di parole al secondo), ma un certo aumento della velocità è generalizzato.

fenomeni di testualitàsegnali discorsivi:

demarcativi: indicano l’inizio (allora, ecco, beh, dunque, cioè, niente, ecc.) e la fine (ecco, chiaro?, no?, basta, insomma, ecc.) di un discorso, che nel dialogo può coincidere con la presa e la cessione di un turno, oppure la scansione interna;fàtici: assicurano il contatto con l’interlocutore, sollecitando pragmaticamente il suo assenso o la partecipazione (guarda, senti, vedi, sai, dai, scusa, vero?, ecc.);connettivi: inicano il tipo di relazione tra le varie parti del testo, come le congiunzioni nello scritto ma con significati diversi (es.: fatto sta che marca un rapporto di causa-effetto; perché poi o che poi introduce una digressione o una presa di turno; comunque segnala la ripresa del tema principale dopo una digressione; il fatto è che ha la funzione di messa in rilievo, ecc.);di sfumatura o modali: servono ad attenuare un’affermazione (praticamente, mi sembra, diciamo, come dire?, tra virgolette, ecc.) o di enfatizzarla (veramente, davvero, capirai!, un po’ in dimmi un po’, ecc.);

clausole di apertura e di chiusura, numero di enunciati per turno, numero di clausole per enunciato, tipi di clausole;ripetizioni, ridondanze, interruzioni e frammentazioni (parole o enunciati spezzati);autocorrezioni, false partenze, esitazioni.

A queste due grandi categorie va aggiunta la presenza di elementi fonosimbolici, come le interiezioni primarie o univoche (cioè quelle che non hanno significato lessicale autonomo, come “ah”, “eh”, “mmm”, ecc.) e le interiezioni secondarie o plurivoche (aiuto!, già! con funzione esclamativa), gli ideòfoni (o onomatopee) che imitano suoni o rumori (drin!, bum!. ecc), versi di animali, discorsi umani indecifrabili (bla bla, bzz) e più raramente movimenti (zàc! plòf!), le pause vocalizzate, le frange di suoni inarticolati (risate, colpi di tosse, sospiri, mugugni), ecc.

La resa per iscritto di tutti questi fenomeni è molto complicata e, come si può immaginare anche da questi due elenchi, una trascrizione molto dettagliata risulterebbe quasi illeggibile per un non esperto. Per comodità, dunque, useremo criteri di trascrizione semplificati, adottando solo le parentesi uncinate < > per distinguere le battute inserite da un parlante all’interno del turno dialogico di un altro parlante e il grassetto per indicare un innalzamento del tono di voce; i puntini di sospensione semplici ... segnalano le pause, mentre quelli tra parentesi quadre [...] indicano i tagli.

Le sovrapposizioni di turno e le “sporcature” (cioè tutti i fenomeni di ridondanza, di frammentazione e di disturbo come interiezioni, pause vocalizzate, parole spezzate, autocorrezioni, false partenze, interruzioni, esitazioni, frange di suoni inarticolati), tipiche del parlato spontaneo, creano apparentemente confusione e dispersione dell’informazione e non sembrano connesse con lo scopo della conversazione; ma proprio questi elementi “accessori” o secondari rendono riconoscibile un qualsiasi parlato vicino al polo dell’immediatezza ed è, per converso, la loro assenza a marcare l’inverosimiglianza e la distanza dalla realtà di alcune forme di dialogo tipiche della fiction (spec. di produzione straniera e quindi doppiate, si pensi a certe telenovelas o a sceneggiati nostrani poco curati nell’imitazione del parlato reale), condizionata naturalmente anche da esigenze narrative inconciliabili con la lentezza e la ridondanza della comunicazione parlata reale. Inoltre, i testi che utilizzano il parlato come codice ma sono stati pianificati in forma scritta (dal parlato-letto al parlato-recitato o scritto per essere pronunciato oralmente), rifletteranno in modo meno ricco la varietà di questi fenomeni.

LABORATORIO 1.b. - esercitazione (giovedì 19 ottobre)

Ascolto, trascrizione e analisi di un breve testo trasmesso

LABORATORIO 1.c. - correzione degli elaborati (martedì 24 ottobre)

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3.b. L’interazione comunicativa (2): pragmatica e atti linguistici (mercoledì 25 ottobre)

Elementi essenziali di pragmaticaNella comunicazione televisiva le componenti paralinguistiche (intonazione, volume della voce,

ecc.) che abbiamo già esaminato, quelle prossemiche (posizione nello spazio, distanza interpersonale, più o meno formale) e quelle cinesiche (gestualità, postura, movimenti del corpo) e mimiche (movimenti del viso, sguardi) hanno importanza molto superiore a quelle strttamente verbali: l’ascoltatore attribuisce infatti alla voce (38%) e ai movimenti del viso (55%) un ruolo molto più importante, per la comprensione del messaggio, di quello che attribuisce alle parole effettivamente pronunciate (7%). Molto spesso, assai più che alle parole, è alla mimica facciale e ai movimenti del corpo che i conduttori di talk show politici e i giornalisti dei tg si affidano per commentare le notizie. Nell’ambito della gestualità delle braccia e delle mani, distinguiamo tra gesti ritmici (o bacchette, o battiti), che cioè accompagnano il discorso ritmandolo o sottolineandone i passaggi; gesti ideografici rappresentano un oggetto o un concetto, e a loro volta possono essere iconici (se lo imitano nella forma o nel movimento) e metaforici (per es. stringere il pugno per esprimere forza); gesti deittici (che indicano una persona o un oggetto, anche non presenti, come per es. puntare l’indice in alto per indicare un luogo o una persona situati a Nord); infine emblemi (gesti artificiali o convenzionali come quelli dei vigili urbani o come quelli che riassumono intere frasi o nozioni e hanno aspetto e valore diverso a seconda delle tradizioni culturali).

Anche se l’esito di ciascun atto linguistico è il risultato di una negoziazione tra emittente e destinatario, è molto importante saper sfruttare a proprio vantaggio i fattori pragmatici della comunicazione, indispensabili sia per comprendere l’intenzione comunicativa di un messaggio, sia per garantirne l’efficacia, il successo (quello che il linguista statunitense J.L. Austin chiama le condizioni di felicità della comunicazione).

Per la parte verbale del messaggio, seguiamo la definizione degli atti linguistici proposta da Austin:

locuzione: atto del dire qualcosa, cioè ciascun atto linguistico che esprime un significato, ma non è (in sé e per sé) dotato di forza comunicativa;illocuzione: atto compiuto nel dire qualcosa (pregare, chiedere, ecc.); la forza illocutiva di una frase è espressa in modo implicito o esplicito da operatori modali (per esempio la differenza tra “la cena è pronta” e “io dichiaro [o credo, dico, sostengo] che la cena è pronta”; gli operatori modali che possono essere anche non linguistici (gesti, espressioni del volto, toni di voce, ecc.);perlocuzione: atto compiuto col (per mezzo del) dire qualcosa: comminare una punizione, battezzare, ecc.; in condizioni molto formali tal atti sono realizzati con verbi performativi: “con i poteri conferitimi dalla legge, la dichiaro dottore in scienze politiche”; in contesti meno formali, la forza performativa è minore, sia perché definita di volta in volta dal contesto in cui l’atto si realizza, sia perché l’atto deve essere perfezionato da atti successivi (ed è pertanto annullabile): “ lei è licenziato!”, oppure “ti metto in castigo!”.

Hanno poi grande rilievo altri fattori:

i riferimenti diretti o indiretti al contesto, ottenuti con l’uso di deittici, cioè di elementi linguistici che rinviano agli attori della conversazione (pronomi personali, allocutivi), agli spazi (avverbi di luogo, pronomi e aggettivi dimostrativi), al contesto temporale (avverbi e aggettivi temporali);l’ambiguità e l’ironia;i messaggi indiretti o trasversali, come le cosiddette interrogative diffratte (o domande-fare), che sostituiscono frasi imperative o volitive chiedendo l’esecuzione di un’azione (a una domanda come “puoi passarmi il sale?” sarebbe inadeguato o scortese rispondere “no!”), e le interrogative fittizie e retoriche

Il contesto: spazio e prossemicaLa ripresa televisiva presenta un “secondo spazio” che appare neutro ma è strategizzato in funzione

di determinati effetti: la struttura prospettica, per cui lo sguardo della telecamera coincide con quello del telespettatore; le distanze e le posizioni tipiche cui è attribuito un significato sociale. La telecamera dà al telespettatore l’impressione di trovarsi a una certa distanza dalle persone e dalle cose che riprende; può produrre effetti di intimità o di subordinazione nei confronti dei personaggi televisivi, può far sentire lo spettatore schiacciato fra la folla o ammesso nell’élite, interno o esterno a una cerimonia. Tuttavia, questi aspetti semiotici del discorso visivo non sono mai spiegati, resi espliciti, ma vengono proposti (dai registi e

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dai conduttori delle trasmissioni) presumendo una tacita accettazione e comprensione da parte dello spettatore. Quella televisiva, insomma, è una pseudo-prossemica, che corrisponde alla pseudo-conoscenza o pseudo-familiarità che sembra unirci a personaggi televisivi (reali o fantastici): una familiarità fatta di pseudo-condivisione dello spazio virtuale dell’immagine, ma che può portare a sentimenti molto intensi: amore, avversione, lutto, partecipazione, innamoramento, persino adesione politica (Calabrese-Volli 2001, pp. 98-100, che a loro volta usano categorie proposte da Joshua Meyrowitz).

Generi televisivi e modalitù della comunicazioneLa selezione delle notizie ma anche la scelta di un genere nel quale trattare temi di interesse pubblico

condiziona l’interpretazione: scegliere di trattare un tema di interesse pubblico puntando sul lato spettacolare o sui risvolti umani dell’evento è un modo per trattare lo spettatore come un consumatore anziché come un cittadino (Antelmi 2006, p. 13).

Dal punto di vista linguistico, l’italiano televisivo ha caratteristiche molto diverse a seconda dei macrogeneri (o stili enunciativi) che Gabriella Alfieri (2006, p. 172) racchiude in tre grandi aree:

1) trasmissioni di informazione e divulgazione politica, culturale o scientifica;2) trasmissioni di intrattenimento (varietà, quiz, reality show);3) prodotti seriali e di fiction.

Al variare del genere, variano anche i registri linguistici utilizzati (su cui vedi Antelmi 2006, pp. 14 e sgg.). La sociolinguistica è attenta alla variabilità sociale della lingua, cioè ai diversi modi in cui si parla e si scrive a seconda delle situazioni comunicative e del ruolo sociale. Ciascun indivuduo ha un proprio repertorio di azioni e svolge diversi ruoli nella società (cittadino, lavoratore, consumatore, membro di un gruppo familiare, ecc.); a queste diverse situazioni e a questi diversi ruoli corrisponde un repertorio di registri linguistici diversi. Per esempio, nella realtà linguistica italiana, è ancora molto vivo l’uso dei dialetti per la comunicazione familiare o tra amici; si userà invece, tendenzialmente, un italiano regionale nella vita quotidiana (ambiente di lavoro, uffici pubblici) e infine un italiano più sorvegliato e controllato (nell’intonazione, nella pronuncia, nel lessico e nella morfosintassi) in situazioni di comunicazione molto ufficiali o formali (studente e professore durante un esame, ecc.). Nella comunicazione politica, la variazione di registro può servire a segnalare una distanza o un avvicinamento al proprio uditorio, oppure a segnalare la propria appartenenza a un determinato gruppo sociale, culturale, etnico (si pensi all’uso di intonazione o di lessico regionale settentrionale da parte di esponenti della Lega).

Documenti - Linea 3 (12 aprile 1996)

Alla vigilia delle consultazioni politiche che vedranno la vittoria dell’Ulivo, guidato da Romano Prodi e Walter Veltroni, la giornalista Lucia Annunziata riceve in studio i due principali leader degli opposti schieramenti, appoggiati da una nutrita “squadra”; intervengono anche il leghista Giancarlo Pagliarini , ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi, e l’allora presidente del Consiglio Lamberto Dini (in videocollegamento da Verona); non c’è pubblico esterno, e mancano quindi anche applausi o interventi della platea in studio. L’arredamento e la scenografia sono sobri: seduti su due praticabili a tre gradoni si fronteggiano i partecipanti: a destra del teleschermo i rappresentanti dell’Ulivo (in prima fila, da destra, Gerardo Bianco, Giovanna Melandri, Massimo D’Alema, Romano Prodi, Antonio Maccanico, Carlo Ripa di Meana; in seconda fila esponenti meno noti, tra cui due donne); a sinistra quelli del Polo (in prima fila, da sinistra, Rocco Buttiglione, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi, Antonio Martino; in seconda fila Giulio Tremonti e Filippo Mancuso; in terza fila volti meno noti, tra i quali si riconoscono Paolo Bonaiuti, poi portavoce ufficiale di Berlusconi, e l’assistente per l’immagine Miti Simonetto). Ciascun gruppo è sovrastato da un cartellone con le scritte L’Ulivo e Polo per le libertà, in nero su bianco, sotto le quali compaiono, rosso su bianco, in corpo minore, le sigle delle forze che compongono ciascuna coalizione. La moderatrice è al centro, in piedi. Tutti i rappresentanti dei due schieramenti sfoggiano una spilla (badge) col simbolo della coalizione. Berlusconi indossa il classico doppiopetto blu, con cravatta a pallini; Prodi un completo azzurro carta da zucchero, con cravatta classica a quadrettini chiari su fondo blu. Il lungo dibattito, durato circa due ore, fu seguito da oltre sei milioni e mezzo di telespettatori (con uno share del 23,66%).

Terza sezione. Il conflitto d’interessiAnnunziata, rivolta a Prodi: Manca perlomeno una cosa. Lei non ha dato un giudizio su se pensa che quello che è stato il problema centrale identificato da voi e da molti cittadini, del premier Berlusconi, quello del conflitto d’interessi… se secondo lei ha fatto o meno dei passi avanti […].

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Prodi: No, signora, non ha fatto nessun passo avanti. Io il giorno che, in cui ho lasciato l’Iri sono andato da Berlusconi , era presidente del Consiglio, gli ho detto: “io vado perché non posso servire un presidente del Consiglio che ha dei conflitti d’interesse così pesanti”…Berlusconi: Che bugia, che bugia, che bugia! Io non ricordo mai di aver fatto… [Prodi è agitato, Berlusconi sorride, ma è teso] <Annunziata: Lei non è stato interrotto, un attimo!> …bugie! Ma non è possibile…Prodi: Allora: i conflitti d’interesse sono nel campo delle televisioni, nel campo della stampa, nel campo delle assicurazioni, nel campo dei servizi finanziati e nel campo della grande distribuzione… sono tutti settori in cui lo Stato ha diritto di intervenire nelle decisioni […]. È un conflitto pesantissimo, è un macigno… non si può governare il Paese quando si hanno interessi di questo tipo…Annunziata: Replica brevissima e passiamo oltre!Berlusconi: Allora, intanto bisogna ricordare che i cittadini italiani non la pensano come il signor Prodi, visto che hanno recentemente votato il referendum sulla televisione [bocciato il 4 giugno 1995, il referendum chiedeva di modificare la legge Mammì del ’90, per non consentire a Berlusconi di controllare tre reti televisive,], visto che […] mi hanno votato alle elezioni nazionali passate, <Annunziata: …E non conta però il voto sul conflitto d’interesse…> […] secondo, in uno Stato liberale […] io da presidente del Consiglio ho preso un impegno di presentare alla Camera, in Parlamento, un disegno di legge sul conflitto di interessi […]. Il giorno che la Camera approverà questo disegno il signor Berlusconi come qualunque altro cittadino rispetterà questa legge […].Annunziata: Io credo che sia abbastanza chiaro…Prodi: Sì, ma signora… voglio dire… c’è anche un problema di stile … io penso… quando il Garante dell’editoria ha detto che Berlusconi doveva vendere un giornale perché aveva una quota eccedente quella che poteva avere per legge, lui ha obbedito alla legge e l’ha venduto a suo fratello… Ma io dico, allora, non è solo questione di legge, è una questione…Berlusconi [sorridendo]: Dovevo venderla a De Benedetti [Carlo De Benedetti, imprenditore vicino al centrosinistra, cfr. anche T 13], signor Romano Prodi, scusi?Prodi: No, no! Ma a suo fratello no!Berlusconi: Ma perché? Mio fratello è un cittadino che ha gli stessi diritti degli altri…Prodi: No… ma suo fratello no! Ma non vede che sta prendendo in giro il paese vendendo il giornale a suo fratello… ma insomma! Berlusconi: Beh, lasci giudicare al Paese <Annunziata: lasceremo giudicare il Paese su questo punto> che significa essere preso in giro o meno… a me sembra che voi facciate delle affermazioni soltanto pro domo vostra, soltanto perché vi dà fastidio… <Prodi: No, la domo è sua, scusi, di suo fratello!…> di avere un competitor, un avversario politico che vi batterà alle prossime elezioni […] buttate in mezzo alle gambe, nostre, la questione del conflitto di interessi che voi avete voluto che fosse permanente non approvando il disegno di legge alla Camera, però i cittadini, guarda caso, questo conflitto di interessi non lo intendono… [….] Anzi daranno i voti e pensano che possa guidare il Paese una squadra che ha dentro la squadra un uomo che nel suo mestiere ha dimostrato di poterci fare, quello che invece lei non ha dimostrato andando all’Iri con quel disastro…Annunziata: Berlusconi! Basta, basta!Prodi: Signora, una piccola precisazione: nel suo mestiere. Nel suo mestiere, diciamo, lui in cambio di frequentazioni ha avuto frequenze televisive, ogni volta che è andato all’estero è stato un disastro, in Francia, in Spagna. Ma allora, imprenditore, ma che imprenditore è, ma… perbacco!, io le faccio questa domanda!Berlusconi: Allora, rispondo [Annunziata cerca di interrompere] Telecinco è una televisione che funziona, in Francia purtroppo c’è lo sciovinismo che ha impedito…[Berlusconi interrompe spesso l’avversario per tenere il turno di parola; ma è più aggressivo, nervoso, mentre Prodi ha buon gioco nell’ironizzare sulla cessione del “Giornale” a Paolo Berlusconi; la moderatrice è costretta a intervenire più volte, sempre con maggior decisione: Prodi però riesce a dare un’ultima stoccata ricordando (con istintivo tono colloquiale: «perbacco!») la vicenda delle imprese di Berlusconi all’estero e aggiungendo il polemico «in cambio di frequentazioni ha avuto frequenze» (efficace la paronomasia). Berlusconi attribuisce la mancata soluzione del conflitto d’interessi all’inerzia dell’opposizione, si difende con l’argomento del voto popolare e alterna con abilità anglicismi del lessico economico-finanziario («competitor, spiegato con «avversario»), l’immagine sportiva della «squadra» e formule quotidiane «buttate in mezzo alle gambe»].

Quarta sezione. Il programma di governoAnnunziata: Passiamo ai programmi; entrambi voi avete descritto un’Italia che attende delle cose […]. Il vostro modello, professor Prodi, suscita altrettanto paura perché sembra un Paese in cui si può continuare a finanziare praticamente tutto senza sapere dove trovare i soldi […]. Cominci lei, Prodi, visto che ha parlato di meno…Prodi: Mah… la risposta è semplice, noi abbiamo il concetto primo di difesa dello Stato sociale […] però io ho da anni coniato la definizione di Stato leggero… […] bisogna razionalizzare i settori, ma non è una razionalizzazione che si fa con i tagli, ma con il miglior uso delle risorse: e il primo discorso è proprio l’alleggerimento delle strutture burocratiche […] un intervento empirico, serio, che vuol minimizzare i costi e che, quindi, è attento alla custodia dello Stato sociale.Annunziata: Ecco, ma i soldi? I fondi per questo Stato sociale dove si prendono? Questa è la paura: che la sinistra significhi dopo tutto più tasse…Prodi: No, la sinistra non significa più tasse… poi diciamo il centro-sinistra signora… non significa affatto più tasse, noi abbiamo cominciato in modo organico il nostro messaggio politico dicendo per due anni noi non possiamo

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diminuire le tasse se non per la quantità di denaro che possiamo introitare in più con la lotta all’evasione fiscale che noi facciamo e che nel Polo non è in programma. Dopo due anni, entrando in Europa, si possono diminuire le imposte; prima no. […].[si profilano i temi economici e aumenta il ricorso a cifre e a tecnicismi (l’introitare di Prodi); i contendenti bilanciano l’innalzamento di toni con metafore ed espressioni colorite; entrambi si accalorano, e le indecisioni del parlato aumentano, insieme con un inasprimento del contrasto noi/loro; nella parte tagliata Berlusconi accusa la sinistra di «consociativismo», parla di «sacco», poi corretto nel più eloquente «saccheggio», di «non sviluppo», «controsviluppo», «stangata», della perdita «di un mare di posti di lavoro», di «colpo di palazzo», mentre Prodi sferra un duro attacco alle radici del potere berlusconiano].Annunziata [ancora rivolta a Berlusconi]: Lei mi deve poi rispondere a proposito del suo programma…Prodi: Signora io vorrei un attimo…Annunziata: Lei mi deve rispondere sul programma [ma lascia intervenire Prodi].Prodi: Io vorrei fare un’osservazioncina piccolina piccolina [fa il gesto, unendo le punte di pollice e indice]: il debito pubblico, che lui attribuisce al centrosinistra, ha sfondato di 20 punti durante il governo Andreotti , di altri 13 durante il governo di Craxi, Andreotti, Forlani […] e invece dal governo Ciampi in poi si è stabilizzato […].Berlusconi: Allora, intanto mi fa questa bella illustrazione… io andavo a cena con Forlani, mi portavo a casa una frequenza, andavo a merenda con Craxi, un’altra frequenza… veramente è una cosa molto divertente <Prodi: Sì! Sì!> ma che purtroppo non è conforme al vero […] non si può, quando si dice che le 3000 le leggi di spesa che dal 1980 al 1993 hanno provocato questo disastro della finanza pubblica, con 348 miliardi di perdite al giorno, e si va a vedere che sono state approvate alla Camera e al Senato con il voto della sinistra che ha presentato le leggi più dispendiose, che ha presentato gli emendamenti più sanguinosi, come si può pensare di non addossare la responsabilità del disastro della finanza pubblica, di quella montagna di debiti […] come si può pensare che siano gli stessi uomini, responsabili di quel disastro che ora vengono più a proporsi come nuovi senza aver mutato alcuna strategia… anzi praticando oggi le stesse strategie essendo oggi al governo! Perché quando noi abbiamo detto… <Annunziata: Dottor Berlusconi, dottor Berlusconi!> …No! Adesso lei mi lascia finire! ... c’è un rialzo dei tassi di interesse, c’è una maggior spesa dello Stato, si deve fare una manovra […] loro sono andati avanti ancora nella solita direzione: togliamo i soldi dalle tasche delle imprese, dalle tasche dei cittadini e buttiamoli dentro nel calderone dello Stato che è un secchio bucato da cui l’acqua va via […].[la foga del dibattito aumenta: Prodi appare più sereno e sicuro, mentre Berlusconi adotta una strategia aggressiva; continuano le metafore (il «calderone dello Stato che è un secchio bucato da cui l’acqua va via») e le parole forti; Prodi invece smorza i toni («un’osservazioncina piccolina piccolina») e ricorre ai dati oggettivi: ne segue un efficace scambio di battute ironiche, ottima esemplificazione della tecnica del match, cfr. I.5: nella discussione sul cosiddetto “ribaltone” (cfr. T3) si noti l’ironia di Prodi che ricorda le immagini di Bossi invitato da Berlusconi, sul finire dell’agosto 1994, nella villa sarda di Porto Cervo cui Berlusconi replicherà – nella parte tagliata – con una velenosa battuta su De Mita, provocando il risentimento di Gerardo Bianco, segretario del PPI e legato a De Mita da un’antica consuetudine].Prodi: Io l’ho lasciata parlare, l’ho lasciata parlare … parlavamo di conti pubblici, no? Quando io dico… ma, il governo Berlusconi ha fatto pagare una tassa di 50.000 miliardi facendo scivolare i tassi d’interesse di due punti e mezzo di colpo… perché questo è stato…Berlusconi: Questo è il massimo della manipolazione della realtà, come si fa a credervi quando dite queste bestemmie! Come si fa a credervi? 50.000 miliardi di tasse, Voi avete provocato il ribaltone, è caduta la stabilità, i tassi si sono alzati… abbiamo… [confusione in studio] Annunziata: Un attimo, dottor Berlusconi, un attimo!Prodi: Signora, signora! Scusi, io aspettavo proprio che pronunciasse… aspettavo che pronunciasse la parola ribaltone […] proprio perché siccome lo dice sempre e siccome i… i tassi d’interesse sono cresciuti prima del ribaltone, in quell’estate in cui giocavi in canottiera… <Berlusconi: Certo perché dopo tre mesi…>Prodi: Alt! In cui giocavi in canottiera con Bossi…Berlusconi: Su, io non ho mai giocato in canottiera con nessuno!Prodi: E in cui in un giorno solo la borsa è caduta del 5 %, Quella tragica estate, il ribaltone non era ancora avvenuto…Berlusconi: Ma era annunciato, ampiamente annunciato… <Prodi: non è vero> Come, “non è vero”?Prodi: No, perché andavate ancora d’accordo, vi scambiavate fra Brianza e Sardegna … eravate proprio pappa e ciccia voi due… [Berlusconi ridacchia sonoramente] e lì è crollato, e lì è crollata la finanza dello Stato, non quando è avvenuto il ribaltone, attenzione, questa è la verità delle cose <Annunziata: Va beh…> […].Il dibattito tra le “squadre” sui programmi: giustizia ed economiaAnnunziata: Ora le squadre, nel frattempo arriva Pagliarini, solo soletto su questo sgabello… [Pagliarini si siede al centro, spesso coperto dalla conduttrice, sovrastato dal cartello con su scritto Lega] perché rappresenta la Lega, il terzo Polo ma piccolino… […]: vorrei chiamare in causa Fini e D’Alema sulla questione giustizia […]. S’era creato un giallo sulla presenza o meno del ministro Mancuso: si diceva che forse non veniva perché c’era stato un veto suo [rivolta a Berlusconi] nei confronti di Mancuso […].Berlusconi: È assolutamente falso, io avevo pregato il ministro Mancuso di essere con noi questa sera […] c’era stato comunicato dalla sua redazione che con l’Ulivo ci sarebbe stata una presenza femminile […] e allora pensavamo che si potesse aggiungere una presenza femminile anche noi…

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Annunziata: A proposito, non avete donne… <Berlusconi: No, ne abbiamo tante, questa sera non qui perché…> <Melandri: Ma ne avete candidate pochine, però, eh?> <Berlusconi: Perché i settori che sono stati chiamati in causa nelle discussioni che sono intercorse tra i nostri organizzatori…> <Fini: anche voi…> <Melandri: Tre volte tante, tre volte tante! [fa il gesto con le dita]>[riprende la discussione; Annunziata afferma che in entrambi i poli ci sono forze che sostengono i magistrati: AN e il PDS; interviene D’Alema, che accusa il Polo di «delegittimazione sistematica della magistratura», difende il PDS dall’accusa di essere il «partito delle manette», si dichiara «garantista»; Casini solleva la questione delle cooperative “rosse” in Emilia Romagna, su cui la magistratura avrebbe chiuso gli occhi; segue un duro scambio tra Filippo Mancuso, Gerardo Bianco e Romano Prodi; si passa poi ad esaminare i programmi in materia economica].Berlusconi: A noi piacerebbe parlare dei nostri programmi di sviluppo, del futuro del Paese…Annunziata: Sì certo… ma guardi, stiamo chiudendo un attimo la questione…Pagliarini: Guarda che qui alla fine vinco solo io, perché io ho dieci minuti, un quarto d’ora: tutti zitti parla la Lega!Annunziata: Abbiamo modo… <Berlusconi: Pagliarini ha già fatto tanto danno prima… potrebbe anche profittare per emendarsi…> <Pagliarini: tutti zitti, anche il cacciaballe, e parla solo Pagliarini, attenzione, dalle dieci un quarto alle dieci e mezza parlo io!>[si discute dei programmi finanziari del governo Dini; interviene il presidente del Consiglio in carica, con formule tecniche (relazione di cassa, riduzioni selettive di spesa); Tremonti commenta criticamente il programma dell’Ulivo].Annunziata: Questioni economiche [rivolta a Dini] …ha appena annunciato che ci sarà una manovra di 20.000 miliardi; obiezione del Polo: perché proprio a maggio? [si allude al fatto che la manovra è rinviata a dopo le elezioni; Dini replica di non avere in programma una nuova manovra finanziaria].Pagliarini: Sì che ci sarà questa manovra… di manovra in manovra continuiamo a chiedere sacrifici… se l’Italia rimane fuori dell’Unione monetaria avremo un’inflazione drammatica, sudamericana…. Salta per aria il paese [interruzioni di Berlusconi e Bianco, Pagliarini – polemicamente – si alza in piedi] … è necessario cambiare la struttura organizzativa del Paese, cosa che voi due non avete saputo fare… tu vuoi essere detentore del potere e tu uguale… [ indica Berlusconi e Prodi] il vostro è uno Stato centralista… questo è uno Stato più liberale; qual è la nostra prospettiva? [Pagliarini propone, in termini molto secchi e semplici, la soluzione della Lega].D’Alema: Berlusconi insulta tutti quelli che aveva scelto come ministri…Berlusconi: Si vede che la politica… non è che ci fosse la possibilità… avendo avuto il 51 per cento…[in questo breve stralcio è significativo il tono esplicito della comunicazione leghista, l’uso del turpiloquio (cacciaballe riferito a Berlusconi), dell’allocuzione diretta in seconda persona e con semplificazioni del parlato («tu vuoi essere… e tu uguale»), del gesto teatrale; si noti come Berlusconi tratti gli equilibri interni al Polo con logica aziendalista («avendo avuto il 51 per cento»); la discussione prosegue: Berlusconi, programma alla mano, sta finendo di spiegare le proposte del Polo, quando viene interrotto da Giovanna Melandri].Melandri: Signora Annunziata, ce n’è anche un terzo di problema, che è la proposta di smantellamento dello Stato sociale che viene dal Polo, o comunque la vostra proposta, perché c’è… Berlusconi: Che è esattamente infondata, cioè è la proposta della conferma… della… <Melandri: Almeno per cortesia, mi faccia terminare una frase, almeno per gentilezza…> <D’Alema: La cortesia non appartiene…> <Berlusconi: Ma non può, non può signora [rivolto all’Annunziata], scusi, è partita da una premessa…> <Annunziata: Berlusconi! Oltretutto è una signora….> <Melandri: Mi fa parlare?>Berlusconi: No! Su questo sono intransigente, non si può dire che c’è una proposta da parte del Polo… <Melandri: Mi faccia finire una frase!> <Bianco: Ha parlato per la serata! Un po’ di spazio…> …di smantellamento dello Stato sociale, abbiamo appena ricordato… <Annunziata: Aspetti… Berlusconi!>Berlusconi: Signora, però non si può partire da una premessa infondata… <Annunziata: Non ci lamentiamo sul fatto che non c’è stato dibattito perché non è vero…> <Melandri: Posso fare degli esempi?> <Annunziata: Faccia dire perché lei sostiene…> <Berlusconi: No, lei ha detto che c’è una nostra proposta…>Melandri: A me sembra che noi e voi siamo molto diversi su un punto… su tanti, ma anche su questo… <Fini: Su uno?> su molti, ma su questo in particolare: cioè voi volete – poi faccio gli esempi, non si arrabbi subito signor Berlusconi – <Berlusconi: Non mi arrabbio> …smantellare lo Stato sociale significa sostanzialmente convertire alcuni servizi fondamentali dello Stato sociale, la sanità, la previdenza innanzitutto, in un sistema sostanzialmente, prioritariamente privatistico…Berlusconi: Che è il contrario <Melandri: La sanità…> di quello che vogliamo fare…Melandri [apre il libretto del programma del Polo]: Allora faccio un esempio: a pagina 178 del vostro programma, per parlare di previdenza […] voi dite esplicitamente che va superato il sistema pensionistico pubblico, “tranne che…. [legge] Tranne per garantire un sostegno minimo vitale ai bisognosi…” a parte che bisognerebbe capire chi sono questi bisognosi, ma sostanzialmente immaginate lo smantellamento del sistema previdenziale pubblico…Berlusconi: Non è vero, non è vero!Melandri: Mi faccia concludere, poi dopo lei replica… sulla sanità, sulla sanità, sulla sanità, voi avete un modello, il modello americano: proponete le medicine a pagamento… <Martino: questo è il modello parlamentare, perché l’assicurazione privata vale per i parlamentari… se il servizio sanitario pubblico è talmente buono, perché per tutti e non per i parlamentari che hanno un’assicurazione privata?> …Però io vorrei terminare… proponete sì o no la distribuzione delle medicine solo attraverso le farmacie? Proponete sì o no… sono cose scritte nel vostro programma… sì o no la gestione privatistica degli ospedali, proponete sì o no l’aumento delle tariffe? Allora… […]Annunziata: Va bene, posso dire una cosa? Io credo che su questo noi ci siamo… però ci siamo chiariti…

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Berlusconi: No, mi sembra di no, mi sembra di no, perché…Annunziata: Non ci siamo chiariti? Sì, è una reiterazione … No? Io preferirei invece concludere…Berlusconi: Mi sembra di no <Annunziata: È un punto fondamentale, però io vorrei proporre…> […] Adesso però signora, non si può evadere, qua c’è stata una… No! Lei adesso lascia rispondere a noi! Mi consenta, perché c’è stata un’affermazione… <Annunziata: Maccanico voleva dire qualcosa…> …dopo Maccanico… naturalmente il dottor Maccanico potrà rispondere. Io, io credo, in sintesi, è questo: certamente, siamo stati accusati di voler smantellare lo Stato sociale <Melandri: privatizzare…> è esattamente il contrario di quello che noi proponiamo: noi proponiamo un rafforzamento dello Stato sociale vero, proponiamo lo smantellamento dello Stato assistenziale, noi proponiamo che in settori importanti, come la sanità, come l’assicurazione, come la previdenza, che sono settori in cui ci sono deficit disastrosi per lo Stato, lo Stato faccia sì dei passi indietro ma per dar posto ai privati che instaurino una competizione sana tra Stato… <Melandri: Quindi vuol dire la gestione privatistica degli ospedali? La gestione privatistica degli ospedali…> …La gestione di alcuni ospedali, come… lasciando con degli esperimenti da farsi via via, non credo che lei possa dire che tutti gli ospedali italiani diano un buon servizio… <Melandri: Assolutamente no ma noi li vorremmo far funzionare…> allora noi vorremmo che gli ospedali fossero gestiti… dato che noi consegniamo la nostra salute e la nostra vita… …fossero gestiti iumprenditorialmente… <D’Alema: Berlusconi, posso dire una cosa?> …e vorremmo arrivare al finale… <Annunziata: Facciamolo arrivare al finale…> …con tutte le famiglie che possano scegliere…dove andarsi a curare…D’Alema: L’onorevole Martino ha detto una frase molto significativa… ha detto: come, e certo, l’assicurazione privata come i deputati, ora noi sappiamo, essendo stati deputati, che i deputati hanno, come i giornalisti…. <Berlusconi: . Sono privilegiati> … hanno un’assicurazione privata <Berlusconi: Che non ci piace…> questo non piace anche a me… tuttavia l’assicurazione privata che assicura i deputati viene pagata dai deputati <Berlusconi: Dal contribuente italiano> dai deputati, che hanno una retribuzione elevata, oltre un milione al mese; e allora io dico: se il modello di sanità è quello… e quelli che non ce l’hanno un milione al mese per pagarsi la sanità, l’assicurazione privata? È questa la questione, caro Berlusconi! E quei cittadini che non ce l’hanno, questo milione al mese, come si garantiranno il diritto alla salute, questo è il grande interrogativo… [confusione in studio] <Annunziata: aaaaah! parlate tutti insieme, non è possibile! Non è possibile! Melandri!>[quest’ultimo scambio, di elevata concitazione, fu considerato dai commentatori come il momento di maggior successo della “squadra” dell’Ulivo: il pubblico apprezzò la risolutezza con cui la parlamentare pidiessina, giovane e graziosa (dato non irrilevante per la spettacolarizzazione del dibattito), sostenuta con argomenti un po’ populistici ma efficaci da D’Alema, teneva testa a Berlusconi, mostrando ai telespettatori il programma degli avversari, incalzandolo «proponete sì o no l’aumento delle tariffe?» e provocando una reazione indispettita e nervosa («no! Lei adesso lascia rispondere a noi! Mi consenta…») ma soprattutto un visibile affanno nel replicare alle accuse sullo smantellamento dello Stato sociale. La discussione culmina in una confusione generale, che la moderatrice non riesce a governare; segue un altro scambio di opinioni sulla politica economica. Dopo un breve intermezzo sull’ambiente, la serata si conclude con Lucia Annunziata che zittisce Berlusconi,colpevole di continuare a parlare sui titoli di coda, e rimprovera Casini, con un curioso tono da banchi di scuola: «Casini! Lei si comporta sempre male!»].

Documenti - Silvio Berlusconi - Lucia Annunziata: "in 1/2 ora" (Rai3, marzo 2006)

La prima parteAnnunziata: Benvenuto Presidente.Berlusconi: Grazie di avermi invitato.Annunziata: Cominciamo da quella che è la strettissima attualità: lo scandalo dei controlli elettronici dei candidati in Lazio e le successive dimissioni, peraltro respinte ieri del capo del sismi Pollari, hanno aperto, diciamo, delle nuovissime domande, al di là delle responsabilità che non tocca a noi Presidente naturalmente discutere ma saranno accertate... questa vicenda prova che il nostro sistema elettorale è penetrabile e cioè si può entrare nelle informazioni dei candidati si può, si possono manipolare le liste, si possono fare tutto una serie di cose. Lei teme a questo punto, in un momento in cui una campagna elettorale come questa, si deciderà su pochi voti, teme brogli elettorali?Berlusconi: Sì, assolutamente, perché rientrano nella professionalità e nella storia della sinistra.Annunziata: Cioè mi spieghi... Teme brogli elettorali fatti della sinistra in che senso?Berlusconi: Beh nel... Qualcuno di loro si vantò nel 1996 di aver sottratto Forza Italia 1.705.000 voti manipolando le schede.Annunziata: Questo è quello di cui abbiamo avuto oggi notizia, cioè Cesare Previti che ieri ha lanciato i legionari azzurri in cui diceva vigilate sui brogli. Voi pensate dunque di mandare avanti uno strettissimo controllo ai seggi?Berlusconi: Noi pensiamo di mandare persone per bene che cerchino di far sì che la sinistra non possa cancellare la volontà degli elettori.Annunziata: Come Presidente del Consiglio lei si rende conto che nei momenti in cui taccia e quindi accusa di possibilità di fare brogli l'altra parte...Berlusconi: E' una cosa che ho detto da 10 anni, dal 96 ad oggi, l'ho sempre detto tutte le volte che l'argomento è caduto su questa cosa.Annunziata: E lo scandalo del Lazio ricade nei brogli elettorali o no?Berlusconi: No, assolutamente.

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Annunziata: C'è una questione di controllo nazionale legato ai servizi segreti? Berlusconi: C'è la questione, assolutamente no, i servizi si sono sempre comportati in una maniera straordinaria. Ieri lo straordinario generale Pollari è venuto da me e si è sentito in dovere, dopo gli attacchi della stampa di sinistra, di mettere a disposizione il suo incarico. Ho naturalmente detto lui di continuare a lavorare in serenità così come ha fatto bene nell'interesse del paese. [...]Annunziata: Va bene. Altra domanda... Lei dopo cinque anni, Presidente, si ritrova in una situazione al mondo di essere famoso soprattutto per due cose: uno la sua grande amicizia con Bush di cui le viene dato merito in moltissimi ambienti internazionali e l'altro è quello di essere il leader occidentale che rappresenta il più grande conflitto di interesse della storia dei paesi probabilmente occidentali.[La Annunziata si schiarisce la voce. Berlusconi sorride] Cinque anni dopo lei c'ha mai ripensato, ha mai pensato che in fondo le conviene o non le conviene aver fatto questa cosa? Berlusconi: Quale cosa?Annunziata: Questo di aver tenuto in piedi questo enorme conflitto di interesse...Berlusconi: Ma io ho lavorato cinquant'anni per creare delle aziende, ho dato lavoro a 56.000 persone e quando il mio paese era rischio di libertà sono sceso in campo per portare la mia esperienza e la mia capacità al servizio del paese. Non credo che gli italiani ritenessero che io dovessi abbandonare le aziende che avevo fondato e che funzionano ancora; basta che lei domandi a un italiano se ritiene che Mediaset sia partigiana le diranno che non è così. E non conviene a Mediaset, come televisione commerciale perché se fosse partigiana perderebbe immediatamente metà dei suoi telespettatori. Credo che la partigianeria si veda dov'è. Esiste nella Rai , la Raitre è una macchina da guerra contro il Presidente del Consiglio e contro la sua parte politica, Raiuno e Raidue sono abbastanza equilibrate anche se come si è dimostrato ultimamente un avvenimento importante, il Presidente del Consiglio che in rappresentanza di tutti gli italiani va a parlare nel tempio della democrazia che è il congresso americano, non si ritiene sia un avvenimento da trasmettere né diretta né in differita.Raiuno anche, ricordo, ha mandato in onda Celentano che in quattro puntate non ha fatto altro che cercare di attaccare, di ridicolizzare il Presidente del Consiglio. Se questo è un controllo del Presidente del Consiglio sulla Rai, lascio agli spettatori di decidere. C'è un conflitto di interessi in Italia...< Annunziata: si? > Che è gigantesco < Annunziata: che è quello?... > Che è quello delle cooperative rosse che ottengono gli appalti dalle giunte rosse, che fanno degli utili importanti e che non pagano le tasse; e che con questi utili sostengono i partiti rossi e quando ci sono delle combine con le organizzazioni criminali ed altre hanno i magistrati rossi che insabbiano tutti procedimenti contro di loro.[...]Annunziata: Prima di passare avanti su questa storia che il conflitto di interessi non ha... non l'ha portata a controllare la Rai, abbiamo qui i dati dell'evoluzione della raccolta pubblicitaria proprio tra la Rai e Mediaset negli anni in cui lei è stato Presidente del Consiglio da 2000al 2005 sia per Rai che per Mediaset. Negli ultimi anni in particolare , in due e ne so qualcosa più o meno perché nella Rai ci lavoro da parecchio tempo, la Rai è sempre stata sopra come share quindi tecnicamente< Berlusconi: e quindi...> quindi dovrebbe essere il luogo che attrae di più<Berlusconi: ... e quindi scusi...> pubblicità... in realtà finiamo <Berlusconi: no, non, si fermi qui 1 min > no, no mi faccia finire il numero, finisce a meno 50 milioni la pubblicità della Rai nel 2005 e finisce a più 500 milioni la raccolta pubblicitaria di Mediaset nel 2005 rispetto al 2000. Questo secondo lei non è frutto del conflitto di interessi?Berlusconi: Questo dimostra il conflitto di interessi all'incontrario < Annunziata: Cioè? >perché ... perchè se... < Annunziata: Alla Rai ha fatto bene dimagrire? > No, no la Rai è ingrandita come ascolti e quindi se ci fosse stata una qualche possibilità di ingerenza una qualche volontà di ingerenza da parte del Presidente del Consiglio nella Rai la prima cosa che avrebbe fatto, avrebbe fatto sì che la Rai fosse più debole e facesse <Annunziata: Va bene questa è una spiegazione > meno ascolti...la Rai <Annunziata: Ma la spiegazione a fronte di meno ascolti più raccolta pubblicitaria per lei?...> La Rai... Perché gli ascolti sono più mirati verso la categoria che acquista di più cioè verso i clienti giovani che cambiano le loro abitudini e che seguono la pubblicità televisiva . Questo...< Annunziata: Cioè lei vuol dire che siete semplicemente più bravi. Piu' 500 vengono nonostante Mediaset...> No... Mediaset, di cui io ...< Annunziata: ...abbia meno ascoltatori abbia avuto piu' pubblicità>... sono ascoltatori più qualificati. Cioè Mediaset mira agli ascoltatori delle classi più giovani dai 14 ai 45 anni.Annunziata: E come mai questo?Berlusconi: La Rai invece essendo televisione pubblica...<Annunziata: Pubblica vabbè ma la domanda...>... e avendo interesse pubblico mira la totalità degli ascolti.[...]Annunziata: Per quanto riguarda invece la sua influenza in particolare sulle scelte editoriali della Rai. Lei cinque anni dopo è ancora... mi ricordo che lei entrò dicendo nel 2001 in Rai non avrebbe toccato neanche una pianta e uno degli scherzi che si fa in Rai è che effettivamente le uniche cose non toccate sono le piante del settimo piano, il resto è tutto cambiato dopo cinque anni di suo governo. L'episodio più complicato [ Berlusconi sorride e scuote la testa ] per lei è rimasto probabilmente quello della cacciata di Santoro e di Biagi. Io lo so che lei ride ma in questa sede non può pensare di non essersi... di non avere richieste...Berlusconi: lei ... lei sa...Annunziata: Le è convenuto? La mia domanda è, lei è convenuto? Si è fatto la fama internazionale di essere colui che mette il bavaglio ai giornalisti. Le è convenuto?Berlusconi: La mia fama internazionale è molto diversa da quella che lei ha rappresentato lei anche prima ...< Annunziata: Tutte e due , tutte e due...>... e vediamo e vediamo cosa succede ...< Annunziata: Dott. Berlusconi le

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ho ...> ...quando io vado all'estero. Allora le voglio dire intanto, non è vero che in Rai è cambiato tutto. In Rai c'è una presenza forte della politica e della sinistra perché la Rai è stata la protesi della politica per decenni e tutti politici di prima hanno infilato in Rai i loro amici, i loro parenti...<Annunziata: Dottor Berlusconi mi risponda... > ...i loro sostenitori...Annunziata: Guardi... <Berlusconi: No! > ...sulla questione... <Berlusconi: Io non la interrompo...>... di come è gestita la Rai non la dica a me, mi risponda soltanto, perché io sono, voglio dire questo non è il caso di sollevare... Il momento, non è questo il luogo. Però come funziona la gestione della Rai ne so qualcosa anch'io, insomma no? Allora non mi risponda sulla gestione della Rai, mi risponda solo su Santoro e Biagi.Berlusconi: Allora lei ha fatto un'affermazione sulla gestione della Rai quindi le ho risposto. Su Santoro e Biagi io le dico che io non ho attaccato le persone, ho attaccato i loro comportamenti. Dissi allora, parlando in un gruppo ristretto di industriali in Romania e, non alla presenza di giornalisti, quindi questi giornalisti si infiltrarono dentro mentre noi stavamo svolgendo una conversazione privata... <Annunziata: Sì, sì...lo sappiamo...> ...che avevano fatto un uso criminoso della televisione in quanto nella televisione pubblica nel periodo immediatamente precedente le elezioni, Biagi aveva fatto venire Benigni, Luttazzi e, aggiungo, Santoro...<Annunziata: benissimo, la sappiamo questa versione... > avevano fatto delle trasmissioni che avevano violato la verità ...< Annunziata: Dottor Berlusconi... > e loro si sono comportati male... < Annunziata: La sappiamo questa versione. La mia domanda...> Quindi non mi è convenuto ...<Annunziata: Si, ho capito... >...perché, perché evidentemente è stata data un'interpretazione difforme dal vero. Io non dicevo che se ne dovessero andare, dicevo che dovevano essere onesti nell'uso di un mezzo che è pagato da tutti e che si chiama televisione pubblica.Annunziata: Però per cinque anni non ha fatto niente, né nessuno all'interno della Rai per riportarli. Mi dispiace ma dentro Raitre lei questo discorso non lo deve fare.Berlusconi: Guardi che a Biagi è convenuto, con un ricco contratto di molti miliardi, di farsi mettere in pensione. E Santoro è convenuto perché ha avuto la ricompensa dalla sinistra, di un posto al Parlamento europeo.Annunziata: Presidente questo termine convenuto è offensivo perchè... < Berlusconi: Beh, lasci a Santoro casomai di rispondere. Non prenda lei...> ...no, io non prendo le parti <Berlusconi:...Le difese...> ...però sono due giornalisti e su questo vorrei fare la parte del giornalista.Berlusconi: Io vorrei, io vorrei spiegare ai telespettatori vorrei spiegare che io ho un'intervista da parte di una giornalista che ha un forte pregiudizio nei confronti delle mie posizioni politiche...<Annunziata: Certo...>... e che è una giornalista espressione assoluta organica alla sinistra. Continuiamo...

Il “cambio di footing”Annunziata: Continuiamo anche se... Ma questo, guardi, tutti ministri che sono venuti del CDL me l'hanno detto e su tutti questi ho risposto con un sorriso perché sono note... <Berlusconi: Io glielo sto dicendo con un sorriso> ...sono note le mie posizioni <Berlusconi: Anche le mie per fortuna...>. Però il problema che lei ha, è che non solo a una giornalista notoriamente di sinistra come me lei esprime queste cose, ma recentemente lei ha incassato anche delle prese di posizioni di sinistra da personaggi molto ma molto più importanti di chi le sta avanti che come Paolo Mieli e anche lì ha risposto tutto sommato o ha fatto rispondere ai suoi che si trattava di una presa di posizione partigiana. Ora su Mieli io le chiedo questo, lei è un liberale, un liberista, ma un giornalista, non esiste la libertà di un giornalista ...<Berlusconi: Esiste assolutamente e sono felice...> ... di prendere posizioni, cosa c'è di sbagliato nel prendere posizioni?Berlusconi: Nulla. Mieli mi ha dato ragione, io venivo smentito da tutte le persone di sinistra quando dicevo che il Corriere era assolutamente poco obiettivo perché partiva nell' aggiudicare i fatti da posizioni pregiudiziali di sinistra, ho avuto ancora una volta ragione, l'articolo di Mieli ha fatto finalmente chiarezza su una situazione che io avevo dichiarato in maniera esplicita sempre. L'85% della grande stampa legata non ad editori puri ma a poteri economici forti ,che evidentemente hanno molto interesse a farsi proteggere dalla sinistra, esprime quindi una stampa che è tutta o quasi tutta a sinistra.I giornali della destra sono rimasti veramente meno... si contano su meno delle dita di una mano.Annunziata: Caro Presidente diciamo che quello che lei dice è vero il prossimo passo... [ la conversazione diventa sminuzzata] <Berlusconi: Mi fa dire qualcosa che può interessare agli elettori?> no no no ma adesso stiamo arrivando ancora più vicino.<Berlusconi: Adesso...adesso no, le dico io che cosa...> No, adesso mi dica questo...<Berlusconi: Le dico io che...> Se dopo cinque anni lei, il... Presidente... mi ascolti...Berlusconi: Vorrei invece che lei mi domandasse perché...<Annunziata: Mi ascolti Presidente >... gli elettori devono votare per noi e non per la sinistra <Annunziata: Ma guardi, lei avrà a disposizione ...> Allora, la sinistra ha un programma... <Annunziata: Presidente Lei ha a disposizione moltissime... ascolti...> No, io ho a disposizione questa intervista... <Annunziata: Bene, ascolti...> Bene, lei è una violenta e mi sta veramente cercando di non far dire le cose! <Annunziata: Violenta io? no, no ma io vorrei...> Lei sta esprimendo una violenza... <Annunziata: No... > ...nei miei confronti.Annunziata: Presidente vorrei avere il privilegio di essere una delle poche persone che con lei riesce a fare delle domande invece semplicemente di sentirsi dire che cosa si deve sentir dire. Mi piacerebbe farle delle domande e continuare a fargliele. Questa è una intervista, lei avrà i dibattiti..Berlusconi: Lei sta approfittando della mia educazione.Buona educazione. Continuiamo...Annunziata: No, no siamo tutti e due di buonissima educazione Presidente. Rimane il fatto che le domande qui in casa mia le faccio io. Allora io glielo volevo dire questo...Berlusconi: Credevo che questa fosse la casa della Rai di tutti gli italiani, invece è la casa sua. Benissimo...Annunziata: Bhé é casa mia ...Per quel piccolissimo pezzo che è mio...è mio Presidente...

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Berlusconi: Allora mi domanda che cosa ha fatto il governo in questi cinque anni? <Annunziata: Sì...no vorrei sapere perchè dopo cinque anni... ci arriviamo...> Mi domanda che cosa farà il governo nei prossimi cinque anni?<Annunziata: Ci arriviamo, ci arriviamo...>Annunziata: Perché dopo questi cinque anni...<Berlusconi: Ci arriviamo alla fine della trasmissione? Complimenti...> Siamo ancora a 14 min, guardi dobbiamo farne 30.Berlusconi: Beni allora me li mi faccia impiegare in cose che interessano gli spettatori, non che interessano lei!Annunziata: Mi deve spiegare... No vabbè, insomma Presidente, ma questa è una trasmissione fatta da me, avrà altre situazioni, altri giornalisti, altri posti... non è detto che il giornalista...<Berlusconi: Allora le chiedo... Cortesemente...>... debba fare tutto la stessa cosa. Chiudiamo questo siparietto <Berlusconi: ...di farmi dire qualcosa di concreto invece che...> chiudiamo questo siparietto <Berlusconi: ... di queste storie che riguardano il passato>. Dopo cinque anni, se dopo cinque anni come lei dice di governo, peraltro tutti i poteri forti che esprimono anche il Corriere, non sono d'accordo con lei a partire dall'orientamento del Corriere ma anche dall'orientamento del capo della Confindustria che è Montezemolo lei, che ha da dire su<Berlusconi: E' una notizia importante ...> beh è una notizia importante direi. Non pensa che questo è un segno un fallimento per lei?[...]Annunziata: Gli ultimi dati di sviluppo sono allo 02...Berlusconi: No, no sono...Annunziata: Sono allo 02...Berlusconi: Non c'entra niente. Capisco che lei non sia molto pratica di economia...<Annunziata: Certo mi rendo conto che non sono molto pratica di...> ...ma dati sono questi -09 rispetto allo sviluppo europeo per la sinistra -08 per quanto ci riguarda. Ci sono delle carenze del sistema Italia che sono strutturali, radicate nel passato che noi abbiamo ereditato, gliene dico qualcuna.La prima : le infrastrutture. Abbiamo trovato un deficit del 50% di infrastrutture, colpiscono tutti e non solo, costano a tutti gli italiani che ci trasportano..<Annunziata: Guardi, lei dice che io non sono molto pratica di economia...> No, adesso lei mi lascia parlare... < Annunziata: 102.000 posti di lavoro?>... adesso lei... No adesso mi fa la cortesia <Annunziata: Sì, sì le faccio la cortesia di lasciarla parlare... assolutamente> ...di lasciarmi rispondere se no mi alzo e me ne vado, chiaro? Allora le stavo...<Annunziata: Presidente...> [il tono della voce di Berlusconi si alza] Lei mi ha fatto una domanda...<Annunziata: Presidente...> Io esigo che lei mi faccia rispondere...<Annunziata: Presidente...> Allora..Annunziata: Che lei si alza e se ne vada è una cosa che lei non può dire. Ritiri questo!Berlusconi: Allora io mi alzo me ne vado e questo resterà come una macchia nella sua carriera professionale.Annunziata: si sbaglia...Berlusconi: Allora lei mi ha fatto una domanda. Mi usa la cortesia di farmi rispondere?<Annunziata: Presidente, l'ho fatta rispondere...> MI HA FATTO UNA DOMANDA... NO ! Mi ha fatto domanda e non mi ha dato il modo di rispondere. Lei mi ha domandato... <Annunziata: Presidente...>... per quale motivo...<Annunziata: Presidente...>... Lo sviluppo...<Annunziata: Presidente ritiri...> lo sviluppo italiano non è stato così...<Annunziata: Ritiri intanto il discorso su mi alzo e me ne vado perché questo non è accettabile...> Io mi alzo e-me-ne-vado se lei non mi lascia rispondere ...<Annunziata: Presidente, non lo faccia perché sbaglierà lei...> se lei...<Annunziata: Non sbaglio io...>. Lei non può dire a me quello che fare...<Annunziata: Ma neanche lei a me, ma neanche lei a me.Capisce?> Io non decido per lei e lei non decide per me. Allora...<Annunziata: Ci sono delle regole nel mondo giornalistico. La prego di non dire che se ne va.Perche non è questo il posto...ecco.> Allora innanzi tutto in Italia abbiamo avuto... Allora, io posso dire quello che voglio e lei non mi può negare che io dica quello che voglio. Questo vede, dimostra perchè lei è di sinistra. <Annunziata: Ma non può dettare le regole, non può dettare le regole>. Lei pensa di decidere anche per gli altri mentre io sono liberale e decido solo per me stesso<Annunziata: Guardi...> Allora volevo dire perché l'Itali...<Annunziata: Lei non è abituato ad avere colloqui con i giornalisti>Va bene ,arrivederla signora se lei non mi fa parlare la saluto![Berlusconi si alza e porge la mano all'Annunziata] <Annunziata: Arrivederci...> Complimenti. Lei ha illustrato bene...<Annunziata: Benissimo...>...come si comporta una persona... < Annunziata: Mi dispiace...>... che ha pregiudizi e che sta a sinistra. Le posso dire una cosa? Lei davvero un po' di vergogna di come si è comportata. Arrivederla...Annunziata: Lei...Presidente, Lei non sa trattare con i giornalisti. [Voce di Berlusconi fuori campo]: Arrivederci...Vi ringrazio...La Rai è controllata da me? ...Benissimo...

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2. La politica in televisione: storia e problemi (2) (giovedì 26 ottobre)

Lingua e identitàNell’ultimo quindicennio si è assistito a un lento riassetto della semantica di alcuni vocaboli chiave

del nostro linguaggio politico, quali nazione, patria, federalismo, resistenza, ecc. Più di dieci anni or sono Erasmo Leso paventava la perdita di senso «di parole importanti come centralismo, federalismo, progressista, moderato, destra, sinistra [...] nazione, populismo: addirittura ideali e, chi l’avrebbe mai detto?, patria». Tra questi vocaboli chiave, spicca la costellazione di termini legati all’identità e all’appartenenza su cui Ernesto Galli Della Loggia, insieme ad altri, ha rilanciiato la discussione nel dibattito poltico e storiografico recente. Lo studio del linguaggio politico ha colto abbastanza bene questo fenomeno, ma ancora poco è stato fatto per capire se e quanto questo riassetto semantico abbia inciso sul tessuto più profondo della nostra lingua comune. Un po’ com’è accaduto per la lingua del fascismo, studiata quasi solo come lingua di Mussolini o, tutt’al più, delle élites di partito, gli studi recenti sul linguaggio politico hanno privilegiato l’analisi della comunicazione dei leader più rappresentativi (e di alcuni in particolare) e analizzandone soprattutto i tratti lessicali o retorico-simbolici. Si corre così il rischio, tuttavia, di ridurre la portata di un cambiamento che, grazie alle strategie del consenso ma talora anche grazie al dibattito polemico, ha invece lasciato tracce durature nel nostro modo di parlare della realtà, e quindi nel nostro modo di pensarla. In una prospettiva di analisi critica del discorso (Norman Fairclough, Francesca Santulli in Italia, cfr. Le parole del potere, il potere delle parole. Retorica e discorso politico , Milano, Angeli, 2005), la semantica di una parola dipende dall’ideologia che la veicola e dall’iunterazione con la memoria individuale (o enciclopedia) del singolo parlante e con la memoria sociale (l’insieme di conoscenze e di atteggiamenti) del gruppo di cui l’individuo fa parte.

Protagonista del terremoto politico-sociale dell’Italia di fine anni ’80 è stata senz’altro la Lega. In un Lombardo-Veneto al centro del dibattito politico anche a causa delle vicende di Tangentopoli, i primi passi delle Leghe locali e regionali diventano in pochi anni passi da gigante e conquistano rapidamente una ribalta mediatica e una rappresentanza parlamentare inattese. Se la Lega impone alla politica nazionale il tema del federalismo, Forza Italia, il “partito che non c’è”, il “partito-azienda”, attecchisce e si rafforza nel terreno dell’antistatalismo; non è un caso che le due forze più originali di questa fase storica si coagulino intorno all’ostilità per la nazione unitaria (Lega) e per lo Stato invadente (Forza Italia). Ma la realtà è più sfumata e ambigua: Forza Italia, nel nome e nel simbolo, recupera il tricolore; e alle politiche del ’94 si allea - nel Mezzogiorno - con Alleanza Nazionale, il movimento di destra guidato dal giovane delfino di Giorgio Almirante, Gianfranco Fini, che proprio sul principio dell’identità nazionale costruisce la propria immagine e il recupero, pur con lo strappo simbolico di Fiuggi, dei valori “buoni” del passato fascista. Da un versante diverso e super partes, Carlo Azeglio Ciampi condurrà, sin dall’inizio del suo settennato, una pacata ma decisa battaglia per far riconquistare agli italiani una coesione intorno ai simboli e ai rituali dell’identità nazionale, sull’asse Risorgimento-Resistenza- Repubblica (cfr. in proposito il volume Rituali civili. Storie nazionali e memorie pubbliche nell’Europa contemporanea (Roma, Gangemi, 2006), curato da Maurizio Ridolfi sui rituali civili.

Il Congresso di FiuggiLo slogan di uno dei manifesti del decennale della nascita di Alleanza Nazionale (1995-2005) era

“Eravamo in pochi/ a chiamare Patria l’Italia./ Oggi siamo la maggioranza”. Il movimento Alleanza nazionale nasce ufficialmente a Roma il 22 gennaio 1994 in un’assemblea costitutiva cui parteciparono molti esterni al MSI-DN, tra i quali il politologo Domenico Fisichella, considerato l’idelogo dell’operazione. La svolta impressa da Gianfranco Fini fu senza dubbio traumatica per i vecchi sostenitori del MSI (missini), soprattutto a causa dell’esplicito rifiuto delle radici totalitarie e nostalgiche del ventennio espresso nelle Tesi programmatiche.

Documenti - Fini, il discorso di apertura (25 gennaio 1995)

Il secolo delle ideologie sta finendo, e seppellisce le tentazioni totalitarie che l’hanno segnato. Se ne va il Novecento con le sue contraddizioni e i suoi aspri scontri. E lascia al terzo millennio masse popolari protagoniste della storia. Cittadini consapevoli del loro ruolo, conquiste tecnologiche e scientifiche e soprattutto una concezione della libertà come supremo valore che nessuno è più disposto a mettere in discussione. Di questi cento anni di fuoco e di speranza, di conquiste sociali e di offese alla dignità umana, di avventure spaziali e di miserie morali, ogni italiano assume nel suo giudizio tutto senza tralasciare nulla. E proprio perché l’allucinante tragedia dei gulag e dei lager ha fatto comprendere a tutti i pericoli e gli orrori delle dittature, anche noi siamo sottomessi a quel diritto naturale che la primo posto annovera la tutela e la pratica della libertà, come valore e bene prezioso ed irrinunciabile; da essa, dalla libertà,

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discende la nostra concezione dello Stato, della società ,dei rapporti economici; ad essa si ispira l’azione politica, tesa alla affermazione della persona umana, della destra italiana. Per questo non si può identificare la destra politica con il fascismo e nemmeno istituire una discendenza diretta da questo. La destra politica non è figlia del fascismo; i valori della destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato e ad esso sono sopravvissuti; le radici culturali della destra affondano nella storia italiana prima, durante, e dopo il ventennio. [...] Vi è stato, certo, un momento in cui difendere gli interessi nazionali significava preservare nella memoria storica una parte della storia italiana. Oggi quel compito è assolto. C’è qualcuno che pensa per davvero che in attesa che la storia giudichi questo secolo, e quindi anche il fascismo che fa parte di questo secolo, debba continuare a vivere una formazione politica che abbia come scopo unicamente quello di preservare la memoria storica? Sono passati decenni. La storia è andata avanti. Non ce n’è più alcuna necessità. Certo, c’era nel 46, così come per tanti anni c’è stata la necessità di una durissima battaglia nei confronti delle oligarchie partitocratiche, nei confronti dei vecchi partiti.

Quella di Fini è una rilettura piuttosto ardita della storia repubblicana, che mette sullo stesso piano il consociativismo partitocratico degli anni ’80 e il quadro politico immediatamente successivo alla fine del secondo conflitto mondiale. Più avanti Fini, nel tentativo di attenuare l’impatto del proprio “strappo” presso l’ala più tradizionalista del movimento, insiste nell’associazione della politica di Alleanza nazionale intorno al tema unificante della Patria e dell’interesse nazionale, al di là delle residue incrostazioni ideologiche:

Mi veniva spontaneo, venendo qui, pensare al fatto che quando l’MSI nasce, vi erano partiti, il partito comunista, il partito socialista, la socialdemocrazia, il partito liberale, il partito repubblicano, la democrazia cristiana. Oggi non ve n’è più uno di quei partiti (applausi), e il Movimento Sociale italiano, che in qualche modo è l’unico sopravvissuto alla fine di quella partitocrazia che non a caso aveva sempre combattuto, e siamo sopravvissuti proprio perché l’abbiamo combattuta, oggi non ha ragione di esistere come difensore degli interessi nazionali, se per interessi nazionali s’intende la lotta alla partitocrazia. [...] Ma voglio aggiungere qualche cosa di più su quanto dicevo prima circa l’interesse nazionale, o se volete l’amore per l’Italia. Beh, io non credo di dire un’eresia dicendo che fin dal primo momento i nostri anziani, i nostri vecchi combattenti, quegli impagabili camerati che hanno più di settant’anni (applausi); beh, io non credo che fin dal primo momento non avessero chiaro che il loro impegno era nel nome non di un’ideologia, era nel nome della Patria (applausi). Così come io sono convinto, intimamente convinto, che i nostri capi, coloro che ci hanno guidato, ed in particolar modo Giorgio Almirante che è stato ed è il Capo (applausi), abbiano speso la loro vita non nel nome di un’ideologia ma nel nome dell’Italia.. E i nostri caduti, i nostri martiti, non sono caduti per un’ideologia, ma per la Patria (applausi). Era l’interesse nazionale, era l’amore nei confronti della nostra Italia, a dare la molla e la spinta, nell’immediato dopoguerra, al Momento sociale italiano perché nascesse, perche crescesse, contro ogni difficoltà, con quei due grandi obiettivi: preservare una parte nella memoria storica della storia italiana, rendere possibile una profonda, vera, grande alternativa a quel sistema che fin dal 47-48 qualcuno individuava come sistema partitocratico. Oggi vogliamo serenamente prendere atto che gli obiettivi sono stati entrambi raggiunti. Vogliamo serenamente affermare che l’unica stella polare che deve continuare a guidarci non è, non può essere, il richiamo all’ideologia, il richiamo alla nostalgia, il riferimento ad una parte della storia che appartiene in modo inequivocabile al passato, perché è figlia di un secolo che sta finendo. Oggi il valore che deve guidare Alleanza Nazionale è l’interesse nazionale, è il bene dell’Italia, perché come l’MSI fu lo strumento politico, che in un particolare momento storico, che oggi non c’è più, qualcuno individuò per servire quegli interessi, oggi Alleanza Nazionale è strumento politico per servire identici interessi nazionali.

Chiarissima è l’equazione interessi nazionali = amore per l’Italia, espressa volutamente in termini emotivi e passionali; più oltre, l’appello alla Patria, molto netto e insistito, giunge a diventare una vera e propria “religione laica”:

[...] il Movimento Sociale Italiano non è mai stato, per chi ne ha fatto parte, per chi ne fa parte, per voi, un partito: [...] è stato, ed è, qualche cosa di molto di più; è stato, ed è, un’autentica comunità umana; è stato, ed è un vero e proprio giuramento, d’impegno politico, di fedeltà a valori. In tanti frangenti ci siamo sentiti uniti tra di noi perché vincolati da una sorta di laica religione che era quella dell’impegno nel nome della nostra Patria (applausi).

In sintesi, nelle parole di Fini la triade patria - popolo - nazione assume una precisa connotazione emotivo-etnica: la parola Stato compare raramente (se non, polemicamente, in funzione critica del patto costituzionale; ad essere evocati sono i valori che uniscono il popolo italiano intorno alla propria identità nazionale senza alcun riferimento allo stato come istituzione, anzi con una forte spinta a disfarsi, in un sol colpo, dei valori del fascismo e di quelli della costituzione nata dalla Resistenza, in nome di una nuova pacificazione sociale.

La LegaMolto è stato scritto sulle origini della Lega, sulla sua nascita quasi spontanea, dal basso, sulle origini

“rustiche”; e sulle novità che la Lega, fin dalle origini, ha portato alla comunicazione politica italiana. In un

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saggio del 2000 (Sull’italiano dei politici nella seconda Repubblica, in L’italiano oltre frontiera, atti del V Convegno Internazionale, Lovanio / Firenze - Leuven University Press / Cesati, vol. I, pp. 211-234), Giuseppe Antonelli individuava tre componenti essenziali del lessico leghista: quella nazionalista e “anticoloniale”, quella di matrice qualunquista1 e quella ereditata dalla sinistra extraparlamentare degli anni ’70.

Nella fase della sua rapida affermazione, la comunicazione della Lega insiste soprattutto sulla componente anticoloniale ed etnica: la proposta di una nuova identità collettiva, basata sul populismo regionalista, è espressa chiaramente nel programma, rimasto invariato dal 1982 al 1994, che si propone «la riaffermazione della nostra cultura, storia, della lingua lombarda, dei nostri valori sociali e morali [...] perché venga sempre esposta la bandiera storica della nazione lombarda». La via per raggiungere l’autonomia è inizialmente quella dell’etnofederalismo (unione di più movimenti etnico-nazionalisti); nell’articolo 1 dello Statuto sottoscritto a Bergamo il 22 novembre 1989 si parlava esplicitamente di trasformazione pacifica dello Stato italiano in un moderno stato federale attraverso metodi democratici ed elettorali, dell’aspirazione all’autogoverno, dello sviluppo sociale legato alle caratteristiche etniche e storiche dei singoli popoli.

Documenti - Bossi (1): discorso di sfiducia al governo Berlusconi

La Lega portava a Berlusconi la dote maggiore sul piano politico: la distruzione del sistema centralistico partitocratico. Portava in dote la lotta di liberazione democratica che, avanzando a folate sotto una gragnuola di colpi, aveva atterrato le oligarchie craxiane e andreottiane, sollecitando e cavalcando la protesta nata dalle regioni trainanti del paese, dalla piccola e media borghesia imprenditoriale, da quella delle libere professioni. Una protesta che si era diffusa tra tutti coloro che hanno capacità, cuore, intelligenza, comprensione dell’Italia di oggi. Un atto di accusa che veniva da coloro che si sentivano frustrati e stanchi di essere considerati sudditi, pecore da tosare regolarmente per mantenere incapaci, furbi e inetti. E siamo dilagati, svincolati da dogmi e ideologie, basando la nostra azione politica, economica e sociale sul bisogno di libertà del paese, sul pragmatismo che consente di affrontare la lotta a privilegi e corporazioni. Abbiamo portato in dono al governo Berlusconi la necessità, fatta maturare nella coscienza del popolo grazie alle nostre lotte, di superare le ricette antiquate di una cultura demagogica e populista che ha per parola d’ordine quella di sistemare parassiti e assistiti, falsi cassaintegrati, falsi pensionati, impiegati pubblici nulla facenti che svolgono poi altre attività ignote al fisco e agli economisti di questo Paese. La Lega ha portato in dote questa grande lotta per passare dallo Stato assistenzialista ad uno Stato liberale dove ci sia finalmente l’eguaglianza di diritti e doveri dei cittadini. Una lotta di liberazione, la nostra, fatta quando l’emblema della società dei consumi, “tutto è nel consumo, niente contro il consumo, nulla fuori dal consumo”, si era fatalmente trasformato in un altro emblema, “tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato”, ponendo il problema del superamento del centralismo istituzionale con il federalismo [...].

Bossi riassumere la fase storica della seconda metà degli anni ’80 con una formula tratta da uno slogan mussoliniano, e si appropria del sintagma lotta di liberazione suggerendo il cortocircuito Lega/Resistenza – partitocrazia/regime fascista. Vale la pena di osservare l’affinità col discorso di Fini a Fiuggi: una rilettura della storia recente con la lente deformante di una confusa rivisitazione del passato. Il riassetto semantico delle parole chiave passa attraverso un’azzardata e disinvolta ricontestualizzazione e forzatura terminologica che si avvale degli strumenti della criptomnesia, che permette di spacciare per nuove parole o formule già note ma col tempo dimenticate, e dello slittamento o rovesciamento semantico, per cui federalismo può valere come sinonimo di secessione, sfruttando l’incertezza sulla reale quota di autonomismo richiesta dalla Lega (un equivoco non ancora chiaramente risolto neppure nel 2005). È significativo sottolineare il punto d’incontro tra il discorso di Bossi e quello di Berlusconi nell’uso della parola libertà: libertà da Roma per Bossi (si noti anche sudditi), libertà dallo Stato per Berlusconi; l’incontro con Fini avviene invece sul terreno dell’identità di popolo, anche se si tratta di popolo padano per i leghisti e di popolo italiano per il leader di AN.

Se la lingua della Lega delle origini è stata indagata a più riprese, minore attenzione ha suscitato la Lega al governo, forse perché i riflettori di giornali e telegiornali sono stati attratti più dagli aspetti folcloristici dell’azione di ministri o deputati leghisti che dalla loro comunicazione istituzionale. Prendo quindi in esame un testo del 2002, che s’apre con una risposta ai critici della devoluzione:

Documenti - Bossi (2): discorso sulla devoluzione (Senato, 17 novembre 2002)

Ho sentito i vostri interventi e devo dirvi che molte delle argomentazioni nella sostanza sono sovrapponibili quasi perfettamente a quelle che alla fine degli anni ’60 sostenevano strumentalmente i parlamentari e i partiti contrari alla

1 Rapporti col qualunquismo suggerivano anche Iacopini/Bianchi (1994: 44 sg.), cfr. inoltre Sarubbi (1996).

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creazione del sistema delle Regioni. “Si disintegrerà l’Italia”, ecc., ecc., ecc. Poi l’Italia non si è disintegrata2. Semmai le Regioni da sole non sono bastate a fare un’Italia migliore. […]. Ebbene il catastrofismo di oggi sulla Devoluzione e sul Federalismo è identico a quello brandito contro la riforma regionale nel 1970. E oggi, ancora una volta, il catastrofismo è solo strumentale. Venti sanità, venti organizzazioni scolastiche, venti polizie locali: un dramma. Certo, venti. Proprio come sono le Regioni. Negli USA, ad esempio, ce ne sono non solo venti, ma oltre 50, eppure l’America ci bagna il naso in tante cose, né mi pare che essa sia mai stata sul punto di disintegrarsi.[...]La società del fare padana ha ricevuto dalla politica troppi sospettosi rifiuti. A volte non sembra ancora finito il tempo del disprezzo di Francesco Crispi che definiva il Nord che operava “lo Stato di Milano”, da imbrigliare e controllare con la raffica di nuovi ed estesissimi poteri prefettizi. Una simile concezione centralista ed oppressiva dello Stato ha provocato un rapido disamoramento del Nord verso quel Paese unito proprio dal Nord, con le guerre di indipendenza combattute nel Risorgimento in pianura padana, con l’avventura dei Mille i cui componenti erano soprattutto bergamaschi e bresciani; uno stato creato con il sogno romantico di una intera generazione di intellettuali e di artisti soprattutto padani (si pensi solo alle opere verdiane). È vero però che il disamoramento del Nord cominciò presto: e non fu solo Carlo Cattaneo, esule volontario in Canton Ticino, a dichiararsi sconfitto. Ma nel tempo il disamoramento si è esteso a macchia d’olio, molti cittadini della Padania, che continuano a sentire l’inadeguatezza della politica centralizzata e vivono nell’ansia di dover incanalare i fermenti sociali nella modernizzazione inarrestabile, trovando come unico appoggio solo le istituzioni locali, dentro le quali lo spirito civico padano produce magari grandi sindaci, accademie, scuole, ordini professionali di prim’ordine. Tanto, ma un tanto che non basta. Ancora oggi al Nord numerosi luoghi comuni segnano una frattura culturale e sociale rispetto allo Stato centralista. “Meglio fare da soli, con il proprio lavoro”, “Dal parlamento romano non può venire niente di buono” o ancora “la politica è una cosa sporca”. Sono i luoghi comuni che più facilmente sono sulla bocca dei cittadini al Nord e sono il segno del disincanto padano verso il regime centralista. Così via via è cresciuto il distacco dalla politica in un contesto nel quale era diventato più saggio “farne a meno”, perché la politica romana non interpretava né l’evoluzione economica, né l’evoluzione sociale, né le aspirazioni di giusta autonomia dei popoli. Sicuramente una condizione psicologica di rifiuto che, alla lunga, ha fatto del gigante economico padano un nano politico.

Notiamo ancora il lessico anticoloniale (padano e padani usati anche come sostantivi, autonomia dei popoli, Padania), la consueta polemica contro le istituzioni centrali (imbrigliare, poteri prefettizi, regime centralista, politica romana), il collegamento di fatti e personaggi della storia nazionale alla storia e alle vicende del Nord. A distanza di quasi dieci anni dal discorso precedente, la comunicazione di Bossi resta nel segno dell’antistatalismo, nonostante la conquista di una posizione chiave nell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi.

Un’altra caratteristica della comunicazione leghista su cui si è molto insistito è l’uso apparentemente “anomalo” dei media; la Lega delle origini si compiace di usare veicoli “poveri” (comizi, porta a porta, volantini, scritte murali, senza mai affidarsi ad agenzie) per far passare messaggi “forti”. Anche nei manifesti che – come nota Giuseppe Sergio (I manifesti elettorali e gli slogan, in corso di stampa nel volume La lingua elettorale. La comunicazione politica italiana nelle elezioni 2006, a cura di A. Stella) – dagli anni ’80 in poi servono più a segnalare una presenza che a diffondere un’ideologia o ad attivare un dibattito con le altre forze, la Legaha continuato a usare codici elementari; uno di quelli apparsi in Lombardia nel 2006 riproduceva il semplice schema grafico dei manifesti del ’94 o del ’96 (con una struttura binaria conativa: 2001-2006 > Federalismo | Politico: | LIBERI DI DECIDERE | A CASA NOSTRA 2006-2011 > Federalismo | Fiscale: | LIBERI DI GESTIRE | I NOSTRI SOLDI).

E tuttavia anche quella della Lega, nella sua apparente rozzezza, è una lingua che punta su strategie di rispecchiamento (Antonelli), una lingua “consumer oriented” (Sergio).

Dialetto e inglese Alla componente dialettale o regionale del discorso politico non è stata dedicata particolare attenzione,

quasi che sia stato, sin dall’Unità, un elemento negativo o, meglio, un dato rimosso dalla comunicazione politica ufficiale, e anche gli ultimi studi ne confermano la modestissima presenza nella comunicazione elettorale del 2006.

Per quanto riguarda la Lega, l’uso del dialetto è connesso alle rivendicazioni etniche ma, significativamente, si accoppia all’uso della lingua inglese (si pensi, del resto, alla parola simbolo devolution). Come ha osservato Fabrice d’Almeida, la Lega è stata tra i primi movimenti a modellare la propria azione sulle necessità della società dell’informazione, dotandosi di una struttura comunicativa il cui slogan è “Padania for ever”. Inizialmente, in linea con le rivendicazioni della Liga Veneta, il dialetto era stato identificato come la via più idonea per la costituzione di una forte identità collettiva anche tra la popolazione lombarda, ma la scelta si rivelerà di scarsa efficacia e verrà quindi abbandonata, con la seguente

2 Ricordiamo che Fini aveva ammonito la Lega, nel 1995, a non disgregare la nazione.

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motivazione, che fa sorridere per il suo candore: «in quanto la Lombardia non ha un linguaggio univoco e specifiche tradizioni». Ciò non toglie che nel 1985, Giuseppe Leoni (che nel 1987, mentre il senatùr approdava al Senato, sarà il primo leghista eletto alla Camera) abbia pronunciato al consiglio comunale di Varese il primo discorso in dialetto e che il richiamo al dialetto sia tornato in alcune parole-bandiera della Lega “nazionale” (lumbard, carega, e sim.) e, soprattutto, nella comunicazione più diretta tra il leader e il popolo leghista.

Documenti - Bossi (3): intervento elettorale (Varese, 10 maggio 2001; da “L’elmo di Scipio”, trasmissione curata da E. Deaglio, Rai3)

Il Senatùr indossa un completo chiaro, sui cui spicca la cravattona verde, come sempre annodata larga. L’atteggiamento è quello del comizio: dietro un tavolo, col microfono nella sinistra, Bossi agita il braccio destro piegandosi in avanti verso il pubblico e ostentando una gestualità sicura e aggressiva. Dal discorso si stralcia una battuta un po’ greve, accolta con risate e applausi dai presenti: «…il governo di sinistra voleva il seme per fecondare gli uomini… le donne le fecondiamo noi!». Poi si passa ai temi politici: «…la devoluzione, è vero, è stata fermata come atto diciamo di forza, d’imperio… comunque è stata fermata per niente, perché l’accordo è che prima di agosto la devoluzione sarà passata in prima lettura alla Camera e poi nei due parlamenti, oppure non vado in ferie… voi sapete, ve lo dico in un orecchio, i parlamentari son come voi, quando viene agosto vanno al mare anche loro, no?». Il parlato di Bossi è molto informale, punteggiato da richieste d’assenso, strizzatine d’occhio alla platea (la battuta salace, il coinvolgimento emotivo: «i parlamentari son come voi»); anche il tono di voce è dosato con effetti teatrali, si alza e si abbassa per sottolineare i passaggi del discorso. In questa brevissima sequenza si notano la negazione ricalcata sul modello dialettale, senza anticipazione («è stata fermata per niente», invece di «non è stata fermata per niente») e la forma apocopata, ma con la nasale finale, del verbo «essere»: «son come voi». Di passaggio, notiamo come la Lega, nella campagna elettorale, concentri sempre l’attenzione su temi localistici, e Bossi sottolinea la propria risolutezza nel voler portare avanti il processo di devoluzione (fermato «d’imperio» dal governo di centrosinistra).

LABORATORIO 2 - esercitazione (giovedì 2 novembre)

Visione di un dibattito televisivo con commento dei tratti pragmatici

Comunicazione a Scienze politiche - Lezione del professor Juan Carlos Ibañez, dell’Università Carlos III di Madrid (venerdì 3 novembre)

LABORATORIO 2 - Correzione degli elaborati (martedì 7 novembre)

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4. Testo e immagine nella comunicazione multimodale (mercoledì 8 novembre)

La comunicazione televisiva è una comunicazione multimodale, che cioè si serve di più modalità espressive, combinando il visivo col sonoro e, a volte anche con lo scritto: si pensi ai casi di commistione con forme di comunicazione tipiche dei media cartacei (televideo, sigle, sottotitolature, striscioni e “sottopancia”); ma anche imitazione della comunicazione via Internet (uso di testi e grafica sul modello delle presentazioni in Powerpoint, iconismi e grafismi vari come segnali di riconoscimento, fasce colorate a incorniciare - quasi sempre orizzontalmente - lo studio o i servizi, ecc.). Un momento di svolta si ha a metà degli anni ’80: nel 1986 si modernizzano le sigle dei tg; il noto designer Vignelli modifica quella del Tg2 con una suddivisione dello schermo capace di tradurre visivamente la ripartizione di titoli e occhielli e sommari dei quotidiani e di articolare meglio le notizie per genere (la presenza fissa del logo sullo schermo consente poi di capire di cosa si sta parlando in ogni momento e di difendersi dallo zapping); anche il Tg1 cambia sigla affidandosi a un’immagine elettronica, mentre il Tg3 resta ancorato a una “patetica grafica delle orgini, inattualmente legata alla pallina rotante della macchina da scrivere Ibm” (Calabrese-Volli 2001, p. 53). Nelle sigle e negli studi dei tg compaiono elementi iconici ricorrenti, quali i mappamondi stilizzati, i televisori (reali o rappresentati), macchine da presa, elementi che indicano dinamismo (frecce, linee colorate, raggi laser); i colori dominanti sono l’azzurro e il blu della serenità e della lontananza e il suo complementare, il giallo (magari in nuances pastello o, come nel tg1 del 2005. il giallo-oro); frequente è anche l’ambientazione che mostra una redazione al lavoro, un tempo con telefoni ora con computer e videoterminali cfr. Calabrese-Volli 2001, p. 155 e sgg.

La ripresaLa televisione ha molti occhi, grazie alla possibilità di riprendere un evento da più punti di vista e di

utilizzare strumenti tecnici che potenziano la descrizione (zoom, ralenti, stacchi per cogliere le reazioni del pubblico, variazioni di campo, ecc.); dal cinema la tv ha tratto codici e tecniche per cui la telecamera precostituisce il percorso di uno sguardo virtuale, con tutta la sua mutevolezza e curiosità, ma senza il peso delle limitazioni che derivano dalla fisicità del corpo: bilocazione, volo d’uccello, visione acutissima dei particolari, cambi repentini di posizione, ecc., sono realizzati facilmente senza che lo spettatore assuefatto ci faccia più caso (Calabrese-Volli 2001: 96-.97). Unità di base è l’inquadratura, una serie di fotogrammi (24 al secondo) o di frames (25 al secondo nella ripresa elettronica) ottenuti senza interruzione (cfr. Di Salvo 2004, pp. 61 e sgg.).

Lo schermo presenta comunque una porzione della realtà, e i movimenti di regia sostituiscono le scelte dello spettatore: qualche volta accadono episodi importanti fuori dal raggio dell’inquadratura; comunque la televisione obbliga a guardare secondo ritmi, angoli, prospettive che non sono liberi: l’occhio dello spettatore è vincolato da quello del regista che sceglie chi inquadrare e come farlo e dirige i movimenti di macchina (e la verità della rappresentazione può esserne pesantemente condizionata). Vi sono poi condizionamenti di tipo cognitivo: lo spettatore ha bisogno di almeno mezzo secondo per produrre una risposta adeguata a stimoli complessi; il flusso rapido delle immagini lo trascina in modo tale che non è più in grado di tenere il passo e rinuncia a una decodifica interiore (Di Salvo 2004: 40-44); a ciò si aggiungano i condizionamenti psicologici e ambientali che, come abbiamo già detto, distinguono il testo trasmesso (e il testo televisivo in particolare) dal testo scritto, che il lettore può leggere con maggiore o minore attenzione, rileggere tornando indietro quante volte vuole (e quindi anche distrarsi); infine, scegliere le parti da leggere prima o dopo.

Dal punto di vista semiotico, la presenza di uno schermo in studio crea un effetto di immagine nell’immagine (“dentro la notizia”) che ha importanti conseguenze semiotiche (ricordiamo anche gli effetti prodotti dalla prossemica) come il raddoppiamento del locutore, l’amplificazione dell’effetto di realtà e della confusione tra emittente e spettatore. Più recenti, le tecniche di suddivisione dello schermo in due o più parti permettono al telespettatore di vedere in contemporanea un evento e la reazione del pubblico o i volti di due interlocutori. La telecamera nascosta, o notturna, dei reality dà a chi osserva la sensazione di guardare dal buco della serratura e l’illusione che l’osservato non sappia di esserlo. L’occhio della telecamera è molto più efficiente dell’occhio umano; tuttavia, non è sempre vigile e attivo e non è quasi mai in grado di catturare tutto l’evento nella sua complessità; il risultato dipende da chi la manovra ma anche dal caso, oppure dall’intento di oscurare o deformare l’evento stesso. Inoltre, la ripresa potrà produrre effetti diversi se l’occhio della telecamera coincide con quello del giornalista e dello spettatore (soggettiva) o se l’operatore riprende il giornalista mentre si muove sulla scena dell’evento o vi assiste (stand up), enfatizzandone il ruolo di testimone. Tecniche particolari sono il chroma-key (‘chiave di colore’), una sorta di “intarsio” elettronico che permette di inserire un’immagine in movimento, scontornata, all’interno di un contesto creato

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artificialmente o lontano nello spazio e altri effetti speciali (Di Salvo 2004, p. 52). Anche le scelte di inserire o meno il sonoro originale, di coprirlo con il parlato del giornalista (in campo o fuori campo) o, ancora, di commentare immagini mute con una colonna sonora più o meno neutra o evocativa hanno un notevole impatto sulla percezione dello spettatore.

In ogni caso, il punto di vista è quello dell’emittente, e per questo lo si può definire prescrittivo (Di Salvo 2004, p. 39) o direttivo (Calabrese-Volli). Ricordiamo, però, che l’emittente non è un singolo individuo, ma rappresenta una realtà multiforme e complessa, che può dover tener conto di indicazioni della proprietà (nel caso del network privato) o della direzione (nel caso del servizio pubblico), di condizionamenti degli inserzionisti pubblicitari (si consideri che 1 ora di telegiornale costa tra i 25 e i 50mila euro) o di autorità esterne (in Italia, per es., la Chiesa), di scelte dei responsabili dei programmi e dei direttori di testata, di idee del regista, al limite di inclinazioni e di spunti occasionali degli stessi tecnici e operatori.

Oltre alle tecniche di ripresa, vanno considerati gli interventi in fase di montaggio: il giorno e l’ora di un evento non sono facili da mostrare (può servire un testo o un’icona in sovrimpressione), anche perché, come abbiamo detto più volte, non c’è condivisione del contesto tra spettatore e emittente; inoltre, le tecniche di montaggio possono modificare la successione degli eventi: come nella teoria del romanzo, si può distinguere tra fabula (i fatti così come si svolgono nella loro sequenza cronologica) e intreccio (il “montaggio” operato dall’autore, con tecniche di ritorno al passato - flashback - o anticipazione - flashforward). Anche la semplice successione di parti lette dal giornalista e immagini o di interventi del reporter sulla scena (all’inizio, durante o alla fine) suggerisce chiavi di lettura diverse (Di Salvo 2004, p. 53). I programmi informativi non hanno sempre un ordine lineare e gerarchico (le prime notizie sono sempre le più importanti), ma piuttosto un andamento a onde (Calabrese-Volli), con diversi centri d’interesse, per non annoiare il telespettatore.

Un caso particolare, e naturalmente diverso, è quello della diretta: nei “Grandi Eventi Mediatici”, il corso dei fatti è - teoricamente - previsto in partenza, ma l’imprevisto è in agguato (nella forma di attentati terroristici, catastrofi meteorologiche o di un banale disguido tecnico): questa imprevedibilità pone problemi a chi organizza le riprese e il racconto ma lo rende anche interessante, e fa parte dell’ effetto di realtà; chi fa spettacolo deve dare forma alla caoticità del mondo: un giornalismo televisivo efficace è sempre in bilico tra forma chiusa (pianificata, preconfezionata) e ripresa “sporca”, sgrammaticata, in presa diretta, magari ottenuta in tempo reale grazie all’uso del videotelefono satellitare (Calabrese-Volli 2001, pp. 90 e sgg.), quest’ultima, tuttavia, anche suscettibile d’essere “sceneggiata” artificialmente (Di Salvo 2004, p. 58). C’è poi il problema di reperire le immagini, che non sempre sono risultato della ripresa diretta degli inviati, ma sono spesso acquistate dalle grandi agenzie (come l’Eurovisione, le cui notizie sono chiamate in gergo eveline dalla sigla Evn = Eurovision News) e poi selezionate e montate in redazione.

Il ruolo del testo (parlato e scritto)L’immagine sonora e in movimento è componente essenziale del messaggio televisivo, e i testi sono

scritti solo dopo che si hanno a disposizione le immagini. Pertanto, la parte testuale (montaggio e scrittura) serve soprattutto a tenere la parte visiva sotto controllo, a evitare che nella sua prepotenza dia a intendere qualcosa di diverso (Di Salvo 2004, pp. 43 e 48). Sintetizzando, e seguendo un classico modello del semiologo francese Roland Barthes, l’immagine si muove su due piani contemporaneamente: da un lato essa viene percepita oggettivamente come copia della realta (anche se l’immagine non è la cosa rappresentata); dall’altro è anche letta, interpretata, quando vi si riconoscono una serie di segni, più o meno costruiti, che sono tradotti dal lettore come significati estetici legati a ideologie e modelli socio-culturali. Il rapporto più semplice tra codice linguistico e codice iconico è quello di denominazione; per esempio, una didascalia denomina l’oggetto raffigurato nell’immagine, come nelle illustrazioni scientifiche. Più complessi sono i rapporti di ancoraggio (ancrage) e di ricambio (relais). Si ha ancoraggio quando le parole “ancorano” la percezione dell’osservatore su alcune informazioni, distogliendola da altre: poiché ogni immagine è polisemica, cioè può avere più significati, il testo orienta il lettore e gliene fa recepire alcuni piuttosto che altri. la parola serve dunque per delimitare con sicurezza l’informazione data dall’immagine, ed è quest’ultima che detiene il grosso del valore informativo. Si ha ricambio, invece, quando parole e immagini sono complementari: le parole sono frammenti di un sintagma più generale, allo stesso titolo delle immagini, e l’unità del messaggio si ricompone a un livello superiore. Nell’informazione televisiva, può accadere (e anzi accade spesso) che sia l’immagine ad “ancorare” il testo, cioè a servire per orientare il telespettatore nell’interpretazione di quanto sta ascoltando. Questo ha conseguenze sull’etica della comunicazione (vedi la lezione 5.c. di mercoledì 15 novembre.

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5. La narrativizzazione della notizia: i telegiornali oggi (1) (giovedì 9 novembre)

Modelli di ascolto - modelli di “narrazione”Abbiamo già notato che le modalità di consumo del trasmesso sono molto diverse da quelle degli

altri mezzi di comunicazione. Un elemento che ha notevoli conseguenze sulla forma del testo trasmesso è l’ascolto privato e domestico della televisione. Seguendo un modello proposto da Paolo Mancini, Pino Di Salvo (2004, pp. 17-18) distingue l’ascolto in comunitario, domestico e individualizzato. L’ascolto comunitario era tipico della televisione delle origini; quello domestico, familiare, è quello ancor oggi prevalente, affiancato però, grazie alla presenza di televisori in più ambienti della casa e – nei primi anni 2000 – alla possibilità di accedere al messaggio televisivo con un videofonino, dall’ascolto individualizzato, che sarà potenziato dalla diffusione della tv digitale e dalla possibilità che ciascun utente si crei il proprio bouquet (‘mazzetto (di fiori)’) di offerta televisiva. In ogni caso, anche quando c’è una certa ritualità di ascolto, il consumo televisivo non è un’attività totalizzante e neppure prevalente. Pertanto, l’ascoltatore distratto dev’essere scosso per tenerlo incollato al teleschermo (possibilmente affinché non “scanali”, cioè cambi canale, durante la pubblicità: “chi cambia canale è un pirla”). La forza delle immagini è un importante elemento d’attrazione, insieme a quello che Calabrese-Volli chiamano contagio affettivo (strategia di programmazione della rete ed effetto di traino di un programma su un altro); ma contano anche le tecniche della presentazione dei fatti.

La tendenza della tv degli ultimi dieci-quindici anni è una marcata drammatizzazione: il coinvolgimento avviene premendo l’acceleratore sui pedali del patetismo e della mitizzazione degli eventi, e utilizzando codici linguistici semplificati (in cui il telespettatore possa rispecchiarsi senza fare troppo sforzo intellettuale) e uno stile brillante e gridato. Secondo il politologo e studioso dei media M. Edelman, la drammatizzazione dell’informazione serve a tenere il pubblico in un continuo stato di apprensione e speranza, proponendo una scena popolata da leader capaci o incapaci che cercano di fronteggiare problemi gravissimi e di difendere lo Stato da nemici interni ed esterni; siccome il telespettatore, da solo, non sarebbe mai in grado di affrontare queste difficoltà, la televisione lo rassicura: “tranquillo, fuori c’è qualcuno che ci pensa per te”.

La corsa a “emozionalizzare” la notizia non è solo italiana, ma il nostro paese è certo all’avanguardia, almeno nel panorama europeo. La confusione tra informazione e intrattenimento (infotainment, una “parola macedonia” che fonde information ed entertainment) punta a presentare vicende reali come se fossero uno spettacolo televisivo o la trama di un film; è sempre più frequente che le riprese siano commentate con frasi quali “come in un film” o presentate da formule come “va in onda” (es. “va in onda oggi, alla Camera, il secondo capitolo della Finanziaria...”). Marino Livolsi ha osservato che spesso, nei notiziari televisivi, le notizie sono presentate come puntate di una “grande storia”, come parte di un flusso continuo che supera i confini del programma; non solo i giornalisti, magari anche nei manuali di giornalismo televisivo, amano servirsi dei verbi raccontare, narrare, rappresentare la notizia. Alla narrativizzazione contribuiscono anche moduli didascalici di rivolgersi allo spettatore (“voi vi chiederete…”, “a questo punto potete pensare…”). L’adesione a modelli narrativi si osserva anche nell’uso di congiunzioni coordinanti - e, ma - in apertura (per es.: “E la Lega ha attaccato il governo”) senza che vi sia un antecedente; o, anche, nella facilità con cui si passare da una notizia all’altra con una semplice formula coordinante (“Le vittime del terremoto potrebbero essere più di diecimila. E ora in anteprima le immagini dell’ultimo film di Nicole Kidman...” ).

Persino nel narrare banali fatti di cronaca, il telegiornalista pensa di essere un nuovo Dino Buzzati, un Truman Capote, insomma un brillante narratore, e la infarcirà di inutili e stereotipate figure retoriche, usando uno stile da romanzo. Nel mescolamento / miscela di forme diegetiche (descrizione oggettiva) e forme mimetiche (narrazione focalizzata dall’interno) si riflette una confusione tipica della lingua dei media attuali, che confondono stili, registri, varianti lessicali in un pastiche indistinto.

Il ruolo del conduttore e del telegiornalistaNel testo giornalistico, la distinzione tra locutore ed enunciatore ha importanza cruciale. Nel testo a

stampa l’autore, anche se si firma, è distante, nascosto, per il lettore. Nel telegiornale, e ancor più nel talk show, il giornalista (che da tempo ha preso il posto del lettore professionista) è invece ben presente, e assume ruoli molto importanti. Calabrese-Volli distinguono tra emittente modello (che coincide col progetto della testata) ed emittente empirico (il giornalista reale, scelto per avvicinarsi il più possibile al modello); inoltre, il conduttore “rappresenta” l’emittente presso il telespettatore: è come se noi facessimo entrare qualcuno nel nostro salotto, e pertanto la sua immagine dev’essere familiare e rassicurante. Sul piano linguistico, questa familiarità si esprime nell’uso dell’allocutivo di seconda persona (tu), nel rivolgersi direttamente al pubblico

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(“amici del pubblico…”), con toni confidenziali e ammiccanti, persino nell’imitare, più o meno scherzosamente, i tratti linguistici degli interlocutori (per es. nelle telefonate in diretta o col pubblico in sala, cfr. quanto detto nella lezione del 18 ottobre a proposito del parlato-parlato).

Spesso il cronista riporta non semplici fatti ma asserzioni altrui, e lo fa operando quello che Loporcaro (2005, p. 105 e sgg.) chiama uno scarico di responsabilità. Il telegiornalismo italiano tende a quella che il narratologo francese Gérard Genette ha definito focalizzazione interna. Genette distingue tra focalizzazione di grado zero (quando narratore [= emitttente] e narratario [= destinatario] sono fuori del mondo narrativo e delle azioni e pensieri dei peronaggi e il narratore sa più di quanto sanno gli stessi protagonisti), focalizzazione interna (quanto il narratore è dentro il mondo narrativo e assume il punto di vista di uno dei soggetti dell’avvenimento) e focalizzazione esterna (quando il narratore sa meno dei soggetti dell’evento, racconta i fatti in modo oggettivo e il lettore scopre attraverso e con il narratore la realtà narrata). La focalizzazione interna si esprime stilisticamente nel discorso indiretto libero, un tipo di discorso in cui non si distingue più tra chi sta “riportando” la notizia e chi è l’enunciatore della notizia stessa. Loporcaro parla di dissoluzione dell’identità di chi porge la notizia, che non si distingue più dall’ambiente televisivo circostante, e segnala un’altra, pericolosissima, confusione di ruoli: quella tra locutore e pubblico: lo speaker del tg, tanto più quando cambia posizione per osservare un filmato insieme al pubblico (in sala e a casa), rinuncia al suo compito di informare in modo referenziale sui fatti, ma rinuncia anche al suo ruolo di analista, che richiederebbe una posizione oggettiva, ben distinta da quella del pubblico (dal punto di vista semiotico il pubblico in sala ha il ruolo di spettatore delegato, di rappresentare il pubblico dei telespettatori). Questa rinuncia è particolarmente evidente nelle interviste a personaggi politici (il giornalista si comporta come un ossequioso adepto) o a star dello spettacolo (il giornalista assume l’aspetto di uno dei suoi fan). Non è solo questione di servilismo, ma anche questione di forma: se il telegiornalista assume il punto di vista del pubblico, nel rinunciare a prendere le distanze, in modo critico, dalle parole dei potenti, suggerirà allo spettatore che anch’egli deve farle acriticamente sue. Poiché il conduttore assume spesso anche il ruolo di interprete del pubblico (per es. quando intervista un esperto) e di suo garante (esperto ma di parte), le parole che usa sono importanti perché mediano un punto di vista: assumere parole altrui vuol dire, implicitamente, farsi veicolo di convinzioni che con queste parole sono connesse.

Loporcaro (2005, pp. 134 e sgg.) riporta numerosi esempi di come i giornalisti televisivi tendano ad appropriarsi delle parole dei protagonisti della notizia, quale che sia l’attendibilità, l’autorevolezza, la moralità di questo. Addirittura, si riproduce il lessico dei delinquenti (“il negoziante è stato freddato dai due rapinatori”), dei drogati, dei terroristi, dei mafiosi (“un altro poliziotto giustiziato dalla mafia”; anche quando si usano termini dialettali come elementi “di colore” non c’è presa di distanza: il Tg5 delle 20 del 14 ottobre 2006 mandava in onda un servizio sui “pizzini d’amore di Bernardo Provenzano alla moglie”; le immagini dell’arresto di Provenzano erano commentate dalle celebri musiche scritte da Nino Rota per il film di F. F. Coppola Il padrino). La combinazione delle due strategie (immedesimazione narratore/spettatore e narratore/oggetto) dà luogo a una “miscela esplosiva”.

La confusione di ruoli e di linguaggi non coinvolge solo il locutore, ma anche i personaggi chiamati a commentare le notizie, a fornire un contributo di approfondimento. Nelle prime lezioni segnalavamo la mancanza di distinzione tra il politico di professione e la soubrette (o il calciatore, o il cantante) nei salotti del talk show politico. Dardano (2002, pp. 272 e sgg.) parla di domesticazione della notizia, che «[...] segna la fine della competenza: il presentatore televisivo ignorante prevale sullo scienziato, la sceneggiata sul ragionamento, il processo sommario sulla dimostrazione»; ogni notizia ha lo stesso valore dell’altra, non si distingue più tra fatti e opinioni, e persino i giudizi morali si riducono a chiacchiere da bar. La domesticazioe è potenziata dall’attenzione agli aspetti estetici della presentazione dei fatti. Sebbene i giornalisti più attenti alla deontologia esortino il conduttore a un “uso equilibrato della propria immagine” (Di Salvo 2004, p. 16), ancora Dardano (2002, p. 285) nota che l’abbellimento della notizia si accompagna spesso all’abbellimento dell’enunciatore; un abbellimento che non coinvolge solo l’aspetto esteriore (il look) ma anche le scelte di esposizione, per esempio l’insistenza nel raccontare come si è procurato le informazioni e nell’autoesaltazione. La storia “enunciata” si intreccia così sempre di più con la storia dell’enunciatore. La comunicazione corporea dei conduttori segue una vera e propria grammatica, assai complessa da analizzare ma in realtà agevole da decodificare intuitivamente da parte del pubblico (Calabrese-Volli 2001, pp. 170 e sgg,), e che comprende l’aspetto generale (avvenenza fisica, abbigliamento e simboli di status apparente), la presenza fisica (più o meno seduttiva o addirittura “sessualizzata”), la gestualità. Per esempio, la posizione di tre quarti assunta da Lilli Gruber imita quella degli attori di commedia e quella che adottiamo nelle conversazioni private, e accentua l’effetto di familiarità. I corrispondenti dall’estero hanno più autonomia rispetto all’immagine della testata e possono concedersi vezzi di abbigliamento (giacche e cravatte colorate, sahariane o gilet con molte tasche per i luoghi di guerra, ecc.).

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Di questa teatralizzazione fa parte, oggi, anche la messa in scena del corpo, soprattutto femminile. Per quanto riguarda tecniche di ripresa, campi, sequenze, inquadrature, cfr. Di Salvo 2004, pp. 61 e sgg. Sulle diverse modaltà di condurre una trasmissione di approfondimento politico in televisione troviamo dati interessanti nel volume Fatti chiari. Giornali, radio, web, talk show. Come si racconta la notizia, a cura di Giovanni Floris, Filippo Nanni e Pergentina Pedaccini (Roma, Centro di documentazione giornalistica, 2006), alle pp. 243 e sgg.

Forme personali e impersonali della descrizionePer rendere sempre più vivace la “messa in scena” della notizia il giornalismo (a stampa e televisivo)

adotta diverse strategie di animazione linguistica della notizia (Dardano 2002, pp. 258 e sgg.): una di queste, connessa con lo stile personale della narrazione, è la drammatizzazione ottenuta con uso di verbi di dire o altre perifrasi espressive (esplode, rimpalla, frena, la butta a ridere, ecc.) al posto di quelli normali (dice, risponde, afferma, dichiara, sostiene, ecc.). Sono scelte che mimano un lessico colloquiale e finto-conversazionale (si ricordi la pseudo-vicinanza tra emittente e destinatario), segnalato da autopresentazioni, autointerrogative seguite dalla risposta, la simulazione dello scambio tra due interlocutori. Non mancano le interiezioni di avvio e le simulazioni di parlato. A vivacizzare lo stile contribuiscono l’indicazione dei personaggi famosi con il semplice prenome o con altre qualifiche (Silvio, il Professore) al limite riprese dallo stesso linguaggio televisivo e pubblicitario (l’uomo del Colle per ‘il presidente della Repubblica’), l’uso di antitesi ed ellissi (“Esclusivo: il video della testata di Zidane a Materazzi”, dove eslcusivo sta per “evento esclusivo” o “servizio esclusivo”), l’adozione di lessico popolare, gergale, dialettale. Variata è anche la tipologia dei traslati, molto spesso ricavati da linguaggi specialistici di larga diffusione e prestigio (medicina, sport, informatica); anche l’uso metaforico di espressioni tecniche contribuisce all’ostentazione di uno stile brillante e raffinato, ma al tempo stesso le banalizza.

Un modo iconico di narrare la notizia è poi quello di rappresenare l’attore della vicenda cogliendolo in una situazione viva, realistica, nell’atto di pronunciare un discorso, al quale ci si ricollega con un pronome usato come connettivo anaforico: “[...] lo ha detto X”, “[...] queste sono state le parole di X”; produce un effetto di realtà anche la formula fissa è + sostantivo: “è polemica”, “è rissa”, ecc.

Morfologia del parlatoRicordiamo alcune caratteristiche del parlato dal punto di vista morfologico e sintattico. Nella

morfologia, il parlato non usa forme diverse dallo scritto, ma ne modifica la quantità: per esempio, il parlato fa un uso più frequente dei pronomi personali, specialmente delle forme soggetto che hanno forte valenza deittica. Il pronome di prima persona (io) nello scritto è quasi sempre omesso, oppure si usa solo con valore enfatico e contrastivo (es. Paola è partita, io resto; non mi tiro indietro, io), mentre nel parlato è molto più frequente; il pronome di seconda persona compare spesso anche nella forma te; alla terza persona, egli/ella ed esso/essa scompaiono, sostiuiti da lui e lei, che si estendono anche a soggetti inanimati; nella quarta e quinta persona a noi e voi si affiancano anche noialtri / voialtri, che hanno il vantaggio di conservare la marca di genere e di dare una sfumatura inclusiva o esclusiva (a seconda del rapporto con l’interlocutore). I dimostrativi, di forte valore deittico, possono essere usati al posto degli articoli e sono spesso rafforzati da avverbi di luogo (quella porta lì); valore deittico ha anche l’avverbio così (con vari significati). Nella morfologia del verbo, il parlato si distingue soprattutto per la riduzione dei modi e dei tempi: il presente può sostituire il passato (presente storico) ma anche il futuro (torno tra due giorni); il futuro ha soprattutto valore epistemico (che ora sarà?, sarà anche vero, ma io non ci credo); molto diffusa è la perifrasi stare + gerundio con valore progressivo; il passato remoto è quasi sempre sostituito dal passato prossimo; l’imperfetto sostituisce il congiuntivo nel periodo ipotetico dell’irrealtà nel passato (se arrivavi prima, trovavi un posto migliore) o il condizionale (imperfetto di cortesia: volevo chiederti), per imitare il parlato infantile (facciamo che tu facevi il ladro...) o evocare sogni (ho sognato che cadevo dalle scale). Nelle frasi dipendenti completive e nelle interrogative indirette il congiuntivo tende ad essere sostituito dall’indicativo presente, futuro o imperfetto (penso che è o che sarà piuttosto che penso che sia; non sapevo chi era invece di non sapevo chi fosse). Molto diffusi sono gli usi pronominali (mi sono comprato un vestito nuovo, mi sono bevuto una birra). Molto raro è l’uso del passivo.

Documenti - Una giornata al TG (1)

Nella lezione di oggi e nelle prossime due lezioni commenteremo le notizie riportate da tg di diverse reti nazionali, pubbliche e private, il 5 ottobre 2006. Devo ringraziare Roberta Tardani per avermi aiutato a raccogliere e riversare su DVD questi materiali. Non sono stati registrati, per motivi di spazio, i promo, o

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previews, che “lanciano” i telegiornali, specialmente della sera, da altre trasmissioni che esercitano la funzione di traino. Osserviamo però come in quasi tutti i tg la sequenza dei titoli di testa non è sempre rispettata nello svolgersi del notiziario, così da costringere all’ascolto di tutta la trasmissione.

Cominciamo con i tg della fascia del primo mattino: il Tg5 Prima pagina, che va in onda dalle 6 alle 8 ogni quarto d’ora; MTV Flash, un po’ più lungo del “gemello” di Canale5, e Omnibus, mandato in onda da “La7” alle 7,10 del mattino. con la rassegna stampa condotta da Gaia Tortora (per l’occasione da sola, in genere in compagnia di Andrea Pancani).

Ecco la scaletta delle notizie del giorno:

TG5 MTV flash OmnibusApertura su tre temi:GiustiziaApprovata al senato la riforma della giustizia - rimane alta la tensione tra Mastella e Di PietroSequestroSequestro di persona a Capua - una donna incinta trascinata via davanti ai figli di sette e dieci anniIncidenteAveva appena preso la patente e portava una Maserati il diciottenne che ieri si è schiantato contro un’altra auto a Brescia - tre morti

Corriere della Sera: sindaci contro la manovra: Stampa: La rivolta dei sindaci rossi; Unià: sinscai in rivolta: il governo tratta; Liberazione: Sindaci in rivolta: la manovra ci strangola / Il governo: sì a un tavolo di confronto; Manifesto: Tax and the City; Riformista: Epifani cerca (ma non trova i benefici del cuneo fiscale)

Tempo: Tasse fuori dal Comune

Messaggero: Manovra, sindaci in rivolta. Prodi apre

Mattino: I sindaci, Finanziaria insostenibile; Gazzetta del Mezzogiorno: manovra: barricate dei sindaci: Goprmaòe do Sonoòa_ Amcje o somgaco do somosa nccoamp òa fomamzoaroa; Secolo XIX I sindaci dell’unione contro la manovra

Riforma della giustizia: / il Senato approvaIl Senato ha approvato ieri sera il disegno di legge Mastella sulla giustizia dopo che ieri la maggioranza era andata in minoranza - ancora forte la polemica tra Mastella e Di Pietro nonostante che alla fine anche Italia dei valori abbia votato a favore - molte le modifiche approvate col consenso del centrodestra che ha votato contro ma ha condiviso parte della riforma

Giustizia: immagini di Di Pietro, Mastella

Capua: incinta / rapita davanti / ai suoi bambiniSequestro anomalo nel casertano - una donna di trentacinque anni, Gabriella Miccio, incinta, è stata rapita da due uomini incappucciati - è successo ieri pomeriggio in casa c’erano anceh i suoi figli di sette e dieci anni - separata dal marito la donna conviveva con un nuovo compagno anch’egli separato - gli inquirenti escludono il movente dell’estorsione

Dirottatore turco: intervista al procuratore della Repubblica di Brindisi, immagini del ministro Amato; commenti esteri: Erdogan, Ratzingere

Giornale: Finanziaria: Prodi si tiene buoni i giudici; Secolo d’Italia: E’ esplosa la finanziaria; Libero: Prodi spolpa anche i preti

Avvenire: Piovono mugugni sulla finanziaria

Sole 24 ore: Parte un tavolo per il tfr

Brescia: a 18 anni / si schianta / con la MaseratiAveva preso dal garage la Maserati del padre il ragazzo di diciotto anni appena patentato che ieri sera in provincia di Brescia si è scontrato con una vettura che proveniva dalla corsia opposta - sono morti il diciottenne e oi suoi due amici un sedicenne e una ragazza di ventidue anni - tutti e tre erano della zona di Cortefranca dove è avvenuto l’incidente - ferito in modo non grave il conducente dell’altra macchina

Ptoteste dei sindaci contro la Finanziaria: Domenica, Cofferati, Chiamparino; critiche della Confindustria: Montezemolo

Crisi dell’Alitalia (con servizio)

La Turchia chiede / l’estradizione / del dirottatore

\La polizia arresta giovani delle banlieues in Francia; servizio da Parigi con l’inviata in standup

Testo scorrevole (dopo 8 minuti)Finanziaria: Leonardo Domenici, presidente dell’Anci e sindaco di Firenze, attacca la Finanziaria a nome delle autonomie locali. riunite a Viareggio per l’annuale appuntamento fi Legautonomie

Esteri: Hakan Ekinci, il dirottatore che martedì ha costretto all’atterraggio a Brindisi il volo della Turkish Airlines fra Tirana ed Ankara, non può essere considerato un prigioniero politico. Viaggiava liberamente ed era di sua

Iran, nucleare: / oggi Solana / con Prodi e D’AlemaL’Iran non accetta di sospendere l’uso del nucleare prima dell’avvio di un negoziato e Teheran occidentali per la lo ha detto il negoziatore della UE Solana che oggisarà a Roma e si incontrerà con Prodi e D’Alema

Tecnologia alla SMAU di Milano:; tv, telefonini, robot

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volontà diretto verso la Tuschia. Lo afferma l’ambasciatore turco in Italia, Uqur Ziyal

Telecom: Prodi sapeva della possibile vendita di TIM. Così Marco Tronchetti Provera, ex numero uno di Telecom Italia, in un’intevista al Financial Times, ritorna sulla polemica, difende il suo operato e preannuncia che la società uscirà dalla situazione “pià forte di prima”

Giustizia: in Senato passa la linea del dialogo e si riesce ad approvare il ddl Mastella che sospende una parte della riforma dell’ordinamento giudiziario. Acordo bipartisan anche sugli illeciti disciplinari e stop fino al luglio 2007 della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri

Da domani i tg scioperano per 48 oreOggi e domani scioperano i giornalisti della carta stampata e delle agenzie - domani e dopodomani sciopereranno i giornalisti della televisione e delle radio pubbliche e private - anche il Tg5 trasmissioni - lo sciopero è stato indetto dal sindacato dei giornalisti la FNSI per protestare contro la FIEG

Calcio: Donadoni e la Nazionale; intervista a Marerazzi

[rassegna stampa] Corriere della sera, La Stampa, Messaggero, Giornale, Libero Il Foglio, Il Riformista, La Gazzetta delo Sport

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5.b. La narrativizzazione della notizia: i telegiornali oggi (2) (martedì 14 novembre)

La televisione specchio e la televisione somma di linguaggiDopo la riforma del 1975 la televisione avrebbe rinunciato ad essere un modello di forme e

comportamenti linguistici trasformandosi in specchio che riproduce il parlato informale quotidiano dei telespettatori, ma Dardano (2002, p. 148 e sgg.) osserva che quest’osservazione risulta semplicistica se non è combinata con la considerazione che il linguaggio della tv non è univoco, ma è una “somma” di molti linguaggi diversi; inoltre, ogni discorso trasmesso è una riformulazione dei discorsi prodotti con altri mezzi (scritto, orale, ecc.). Per quanto riguarda il giornalismo televisivo, un aspetto significativo ha anche la variazione nell’esecuzione, intesa come aumento della velocità di parola (così il linguista Alberto Sobrero; si ricordi che la velocità di base è di circa 100-120 parole al minuto: Mentana si fece notare per la sua dizione “a mitraglia”, ma il ritmo può cambiare anche a seconda del tipo di notizia e per le telecronache sportive può arrivare anche a 200 parole al minuto); rilevante è anche il progressivo avvicinamento dello stile dei conduttori a modalità brillanti e conversazionali, confrontabile con quello che Dardano chiama prosa situazionale tipica di una stampa molto influenzata dalla televisione.

Il cambio del folkloreAbbiamo già notato (Alfieri) il forte influsso modellizzante che il linguaggio televisivo esercita sulla

fraseologia dell’italiano: dal saluto di Mike Bongiorno (“Allegria!”) ad acluni tormentoni derivati da trasmissioni televisive di successo, come Quelli della notte di Renzo Arbore nei primi anni ’80, blob o Striscia la notizia in anni più recenti. Anche i titoli dei giornali citano o riprendono titoli di film, espressioni proverbiali o frasi fatte; la televisione fa altrettanto, attraverso la citazione letterale, la riformulazione con varianti di fonemi o lessemi, la deformazione scherzosa. E contribuisce potentemente a serializzare le metafore e gli stereotipi (Antelmi 2005, p. 38), cioè a renderli imitabili in serie; Dardano (2002, p. 263) fa l’esempio di Jurassic Park (1993): dal film di Spielberg sono venuti, per propagginazione all’interno dello stesso campo semantico, gli usi traslati di dinosauro e preistorico, le varie declinazioni grammaticali dell’aggettivo giurassico e le imitazioni “simil-inglesi” (Burocratic Park). Il gioco di parole tra italiano e inglese è sempre più invasivo, e può assumere varie forme: dall’inglese maccheronico di certi slogan pubblicitari (“two gust is megl’ che one”) all’ibridazione (per esempio nei sintagmi nominali che hanno come secondo elemento un anglicismo: attività fitness, crema anti-age, talvolta anche con inversione della sequenza normale di sostantivo e attributo: “acquista la campionato card”), fino alla variazione tutta interna all’inglese (rubrica di cucina intitolata eat parade sul modello di hit parade). L’inglese può avere una funzione affettiva (prestigio del modello angloamericano e gratificazione del ricevente lusingato di essere considerato abbastanza competente da cogliere il significato delle parole straniere) o straniante (frasi interamente in inglese, pronunciate da parlanti madrelingua, colpiscono e suggestionano lo spettatore proprio per la loro estraneità, un po’ come il sottocodice scientifico nelle pubblicità di prodotti sanitari); infine, l’inglese può naturalmente servire anche allo scopo di semplificare e abbreviare i messaggi (Dardano 2002, p. 266).

Il presupposto perché queste manipolazioni della lingua abbiano successo è la loro trasparenza per il ricevente, che deve possedere delle conoscenze enciclopediche (nel senso di memoria sociale visto in precedenza) per decodificare correttamente il messaggio. Il problema, nota Loporcaro (2005, p. 64), è che questo insieme di conoscenze è quasi sempre autoreferenziale; la televisione, insomma, gioca con sé stessa e con i suoi generi di maggior successo (cinema, fiction, sport). Viene così a crearsi un “nuovo folklore” televisivo, per cui la popolazione mediatizzata condivide un’enciclopedia di conoscenze tutta interna al canale privilegiato e dominante. Ne derivano una globalizzazione della cultura di massa (di marca prevalentemente statunitense: si pensi al recente successo della festa di Halloween, in passato ignota alla tradizione italiana) e una spiccata tendenza all’impoverimento e alla marginalizzazione delle culture e delle tradizioni locali.

Documenti - Una giornata al TG (2)Il fatto che il pubblico della televisione in Italia possa toccare punte di 18-25 milioni (mentre i

quotidiani più diffusi vendono tra le 600 e le 750 mila copie) dà al mezzo televisivo, e all’informazione trasmessa dalla tv, un potere molto maggiore. I telegiornali sono il principale mezzo di contatto della politica con l’elettorato, anche se è ancora la stampa su carta a dettare i grandi temi dell’attenzione pubblica (il cosiddetto agenda setting); è discutibile che vi sia un rapporto diretto tra “esposizione” alle trasmissioni di una certa rete e comportamenti elettorali, ma è certo probabile che i rg abbiano tentato – e tentino ancora - di spostare l’elettorato nel senso da loro desiderato (Calabrese-Volli 2001. pp. 8 e 73). Nella presentazione

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delle opinioni, l’emittente può assumere il ruolo di commentatore al posto del pubblico, affidando questo compito al conduttore, ma può bastare anche gestire in modo accorto la sequenza dei servizi per orientarne l’interpretazione. Quando, per es., la voce dell’opposizione è schiacciata tra quella delle forze di governo, secondo la logica del sandwich o panino, il telespettatore ricorderà meglio quest’ultima, anche se il giornalista potrà affermare di non aver “censurato” nulla; c’è poi il surplus di informazioni non dette, implicite: secondo Eco, il prodotto di notizie a+b+c non è abc...n ma abc...nD dove D rappresenta appunto il surplus informativo; questo meccanismo non è molto diverso dalla normale censura, tanto che Eco lo ha voluto chiamare censura additiva, dal momento che funziona come meccanismo di occultamento, ma attraverso l’aggiunta piuttosto che attraverso la sottrazione (Calabrese-Volli 2001, p. 212). Importante è anche la distinzione – introdotta dalla studiosa Violette Morin - tra notizie dimostrative e notizie fabulative. Le notizie dimostrative sono quelle di cui il pubblico è già parzialmente informato, quelle fabulative sono quelle di difficile decifrazione, tipiche del telegiornalismo, che non può utilizzare tecniche tipografiche o iconiche per segnalare la maggiore o minore importanza dell’evento ma si affida alla dimensione temporale della “notizia parlata” a effetti di postproduzione e soprattutto ai tratti soprasegmentali del giornalista-speaker, dalle espressioni facciali all’intonazione della voce.

Il Tg1 delle 13,30 è l’appuntamento principale della giornata informativa per le reti RAI; ha uno stile piuttosto formale, che non disturbi l’ascoltatore medio e la famiglia tipo. Il conduttore, vestito con eleganza in uno studio ampio e moderno ma sobrio, presenta i servizi in genere senza commentarli (salvo qualche notizia di spettacolo o di costume). Organo principale della comunicazione governativa, il tg della rete “ammiraglia” costruisce spesso l’informazione politica con la tecnica del pastone: una sequenza di apparizioni di politici le cui dichiarazioni sono lette, fuori campo, dal giornalista. L’alternativa a questo noioso bollettino è l’uso del cosiddetto soundbite, cioè la porzione della dichiarazione di un personaggio intervistato, che conferisce immediatezza e veridicità alle immagini. Più dinamico e brillante lo stile di Studio Aperto; il ritmo delle notizie è rapido, incalzante. Anche in questo tg la conduttrice appare seduta dietro una scrivania, ma i giornalisti che intervengono da altri studi si mostrano in figura intera e con atteggiamenti più disinvolti. Il Tg3 delle 14,20 è – con quella delle 19 - l’edizione più lunga della giornata (circa 20-25 minuti, rispetto a una media di 30-35 per le edizioni maggiori delle varie reti anzionali); secondo Calabrese-Volli (2001, p. 117) caratteristica del Tg3 è di mostrare un’immagine sempre ansiogena e deprimente della realtà circostante. Ne abbiamo una prova nel servizio sulla Fiat, infarcito di interviste agli impiegati che lamentano le loro difficili condizioni lavorative.

Ancora 5 ottobre 2006, tg della mattina: Studio Aperto (12,25), Tg1 13,30, Tg3 14,20Studio aperto Tg1 Tg3AperturaProdi: Telecom, non sapevo / E si becca i PinocchiettiGiornalistaPassa all’inviato (Stefano La Marca) che commenta l’intervento di Prodi alla Camera

Prodi su Telecom / “non ne sapevo nulla” (Prodi e Schifani)

Nel servizio più ampio interviste a parlamentari

Prodi: su Telecom / troppa demagogia

Nel servizio, molto spazio al discorso di Prodi, ma anche alla Lega che espone pupazzi di PinocchioInterviste a Russo Spena (Rc), a Palermi (Verdi), Zanda (Ulivo)

Secondo servizio (altra giornalista): commento al titolo di un quotidiano (Vita-non profit magazine)Lo zero per mille / La pietra sul 5 per milleIntervista a una suora

Finanziaria: i no dei sindaci (assemblea: Chiamparino e Chiti)

Nel servizio più ampio interviste: Pecoraio Scanio

Prima del servizio successivo un annuncio di Giorgino con supporto di videografica annuncia lo sciopero dei mezzi pubblici previsto per il giorno dopo

Poi, ancora, un servizio sulla giustizia, con videografica intervallata da immagini di repertorio:Riforma giustiziaIlleciti giudiziariRiorganizzazione delle procure

Le richieste dei sindaci

Ampio servizio, parlano Domenica e altri sindaci meno noti

Poi servizio da Montecitorio e palazzo Chigi con interviste a Sereni (Ulivo), Villetti (Rosa nel pugno), immagini di Rutelli, Casini e Berlusconi e ancora intervista a Calderoli (Lega) e Cesa (Udc) seguite da immagini di Diliberto (CI), Giordano (Rc) e Pecoraro Scanio (“ministro ambiente”)

Un rapimento / in famiglia Tragica corsa

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Servizio più ampioIn sovrimpressione: S. Angelo in Formis (Caserta)

Servizio di approfondimento

Segue notizia sull’incidente in Brasile (foto fissa non ben comprensibile)

Segue servizio della sede di Napoli sul rapimento a Caserta

Segue notizia sul dirottatore turco con servizio da Brindisi

Segue servizio sulla Rice a Gerusalemme

Segue servizio da Mosca (crisi economica?)

Segue servizio sugli ambulanti che vendono scarpe in Italia

Muore con l’auto del padre

Servizio più ampioIn sovrimpressione: Cortefranca (Brescia), foto del ragazzo morto

Segue un servizio da Torino su una protesta di immigrati, con immagini registrate nell’ottobre 2005

Condizioni di lavoro: / Fiat alla sbarra

Il servizio è preceduto da un’analisi sull’economia in Europa e sui tassi della BCE

Segue un servizio da Londra sulle misure antiterrorismo (?)

Ultimo servizio su un film girato in India da una regista indiana

SECONDA PARTE DEL TG1 delle 13,30Iraq: caccia al capo di al Qaeda

Servizio più ampio con immagini di Condoleezza Rice e un reportage da Gerusalemme con inviato in standup

Segue un servizio su un disastro aereo avvenuto in Brasile. Con un’intervista e immagini ricostruite al computer

Virus favorito / dai cambi del clima

Servizio ampio da Cuba, con videografica:

Dengue

24mila morti OGNI ANNOdetto “febbre spacca-ossa”è una malattia causatada un virus

Il contagio avviene attraversoLa puntura di una zanzaraInfetta(aedes aegypti)

E un’immagine da Internet della zanzara che porta il dengue

Segue servizio sul premio Nobel per la chimicaAmerica amara per / Gabriele Muccino

Il servizio è preceduto dalla pubblicità per il film “Baciami piccina” con Vincenzo Salemme e Neri Marcorè

Al servizio si aggiunge il commento alla pagina di Internet sul regista italiano MuccinoLo sfogo di / Donadoni

Ampio servizio conclusivo con la conferenza stampa

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5.c. La narrativizzazione della notizia: i telegiornali oggi (3) (mercoledì 15 novembre)

Etica delle immagini - etica del linguaggioPrendiamo spunto da un breve intervento del giornalista Massimo Granellini, titolare di una rubrica

quotidiana sulla prima pagina del quotidiano “La Stampa”:

Contro le immaginiMi dissocio dal convincimento diffuso che mostrare immagini di violenza sia giusto o addirittura necessario per accrescere la consapevolezza dei cittadini. Le foto delle torture e dell’ostaggio sgozzato contengono un inganno. Dicono a chi le guarda: siamo documenti autentici che ti permettono di formarti un’opinione sui fatti. Ma mentono, perché a diffonderle nel tritacarne mediatico è stato e sarà sempre un potere di parte, interessato a produrre certi effetti (le dimissioni di un ministro, la sollevazione di una massa). Quindi l’immagine non libera lo spettatore, lo usa. Ma c’è un’altra ragione ancora più importante che mi spinge a diffidarne. A differenza di un testo scritto, l’immagine di un orrore non stimola la riflessione, ma solo un’emozione momentanea e prevedibile, che si limita a ribadire ciò che sappiamo già: in questo caso che le guerre di ogni epoca tendono a estrarre dall’uomo le pulsioni pià estreme.Ma nella civiltà dell’immagine esiste solo ciò che vedi, sfringuellano i guru della modernità acritica per giustificare il loro voyeurismo. Già: ma PER QUANTO esiste? L’immagine, anche la più sconvolgente, galleggia in superficie. E produce reazioni emotive che evaporano in fretta, lasciandoci dentro un ricordo confuso e una scia di sdegno che va a stratificarsi sulle precedenti per gonfiare il salvagente di cinismo con cui cerchiamo di proteggerci. Rendendo indispensabile aumentare la dose dello schifo la prossima volta. [M. Gramellini, 13 maggio 2004].

All’inizio del 900 Walter Lippman, riferendosi al cinema, sosteneva che le immagini del cinema hanno lo stesso tipo di autorità che un tempo aveva la carta stampata (Di Salvo 2004, p. 31). La possibilità, offerta dalla tv, di vedere qualcosa che avviene in un luogo anche lontanissimo da me, con un fortissimo effetto di realtà, tende ad annullare la consapevolezza che quelle immagini potrebbero essere manipolate e che comunque rappresentano solo una parte del reale e quella parte che l’emittente ha deciso di mostrarmi (Calabrese-Volli 2001, p. 105; cfr. anche Di Salvo 2004, pp. 21 e sgg.). Il politologo Giovanni Sartori, molto critico sugli effetti negativi della televisione, ha sostenuto che la forza di veridicità dell’immagine ne rende la menzogna più efficace e quindi più pericolosa.

C’è poi la tendenza al sensazionalismo, alla ricerca delle notizie che colpiscono allo stomaco lo spettatore. Di Salvo (2004, p. 33) parla di pubblico debole; forse sarebbe più esatto parlare di livello di coinvolgimento debole: l’ascolto distratto incoraggia un livello di lettura che sollecita i recettori più deboli del telespettatore (emotività, passionalità, fede politica, religiosa, sportiva, ecc.). Il sensazionalismo risponde ai criteri di notiziabilità, cioè di attrattività della notizia (su questo tema, sono molto utili le riflession di Gianni Faustini: Le tecniche del linguaggio giornalistico, a cura di G. Faustini, Roma, Carocci, 1995, pp. 61 e sgg.). Un fatto è notiziabile se colpisce immediatamente l’attenzione del pubblico. Un criterio importante è la vicinanza spaziale: un terremoto in Friuli colpirà molto di più di un analogo evento, magari di intensità dieci volte superiore, in Turchia. Potrà sembrare cinica, ma in questi casi vige la cosiddetta legge di McLurg, per cui un europeo vale 28 cinesi. Conta poi anche la vicinanza culturale ai fatti: notizie di ricerca scientifica o eventi relativi a sport che non hanno grandi tifoserie risulteranno più lontani e quindi meno attraenti.

A questo proposito, torna utile riflettere sullo spettatore modello: Umberto Eco ha sostenuto, già nei primi anni ’70, che la RAI ha contribuito a far sì che l’italiano medio fosse per sensibilità politica e culturale molto somigliante all’ascoltatore medio scelto dai grandi network commerciali statunitense: quattordicenne, di scarsa istruzione; quindi tendenzialmente molto influenzabile e scarsamente reattivo. La scelta delle notizie da trasmettere sarà dunque anche pilotata dall’idea che l’emittente ha del telespettatore medio, e terrà conto di un fatto già osservato da tempo dai teorici dell’agenda setting, che cioè il potere di agenda è tanto maggiore quanto più si riferisce ad aree esperienziali distanti da quelle personali dei destinatari: insomma, siamo meno disposti a credere ai giornali e ai telegiornali sugli argomenti che conosciamo meglio, il che, per converso, significa che quanto meno conosciamo qualcosa tanto più i media riescono a influenzare le nostre opinioni: allo stesso tempo, ascoltiamo con più attenzione notizie di cui abbiamo già una conoscenza parziale o comunque una qualche forma di esperienza cognitiva. La semplificazione, tipica del mezzo ed essenziale perché il messaggio sia efficace, è indotta dalla considerazione della cultura media del pubblico; conta poi anche il ruolo delle immagini, che aiutano a contestualizzare il fatto ma non sono adatte a problematizzarlo (parlare di economia per immagini è molto difficile). Tuttavia, come abbiamo visto in precedenza, la televisione tende a una spiccata autoreferenzialità, cioè a parlare continuamente di sé; questo fa sì che si crei un circolo vizioso di attenzione orientata sempre sugli stessi fatti.

Riflettere sulla comunicazione significa, in definitiva, cercare di assumere un punto di vista critico sul suo funzionamento, e cercare di fare il possibile, da utenti del mezzo televisivo, per controllare che la

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comunicazione avvenga in modo corretto. La necessità di un approccio “etico” alla comunicazione è spesso sollecitata da episodi che fanno discutere, come i video degli ostaggi sgozzati in Iraq cui si riferiva Granellini. Il 12 giugno 1981, per molte ore consecutive, i telespettatori italiani restarono incollati al video per seguire la tragica vicenda del bambino Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano: la lunga notte passata dagli uomini della protezione civile per tentare di salvarlo fu seguita da 28 milioni di persone (in pratica tutti gli italiani adulti); in quell’occasione i critici televisivi ricordarono il celebre film di Billy Wilder L’asso nella manica (The Big Carnival, 1950) con Kirk Douglas nella parte di un giornalista che approfittava di un drammatico incidente in miniera per costruire uno scoop e ricavarne fama e successo Spesso anche le immagini di guerra, su cui si accanisce il sadismo del telespettatore modello (Calabrese-Volli 2001, p. 116), sono un’occasione che permette a inviati e giornalisti di esercitare il loro potere di orientamento sul pubblico; già nel 1991 (dove tuttavia la Cnn svolse un’importante funzione di informazione non diretta dal governo USA), ma soprattutto durante l’ultimo conflitto in Iraq, le forse della coalizione occidentale avevano portato con sé dei giornalisti ai quali erano state imposte rigide regole di controllo da parte delle gerarchie militari (giornalisti embedded, cioè ‘inscatolati’ nelle strutture militari); nel ricordo del caso Watergate, quando i giornalisti del Washington Post riuscirono a provocare le dimissioni del presidente Richard Nixon che aveva fatto intercettare le telefonate dei suoi avversari politici, i non americani tendono a idealizzare i media statunitensi per la loro libertà e incisività sulla politica, ma la situazione rispetto a trent’anni fa è molto cambiata (Di Salvo 2004, nota di p. 29). Nei giornali italiani la celebre regola anglosassone di “separare i fatti dalle opinioni” è spesso violata. Per presentare i fatti in modo obiettivo si possono adottare diverse strategie: a) mettere a confronto le varie fonti e dando a ognuna il suo “nome e cognome”: b) dare spazio autonomo, nello stesso servizio, a ognuna delle fonti: c) preparare testi (o servizi) differenti per ogni fonte (notizia frammentata).

Sarà comunque opportuno, trattando delle notizie, tenerle distinte da verità e opinione; siccome lo scopo principale del mezzo televisivo è intrattenere (divertimento) e trattenere lo spettatore, può anche essere utile distorcere la realtà se questo serve ad attirare l’attenzione. Solo alcuni esempi: la presenza di molti giornalisti e di strumenti di diffusione in un luogo contribuisce a dare importanza a un fatto a ad accrescerne la notiziabilità, ma può anche snaturarlo o addirittura crearlo (fenomeno del pack o effetto branco). Sono piuttosto noti i casi di eventi mediatici “costruiti” (girati, montati e quindi in parte deformati) in modo che producessero determinati effetti, o addirittura inventati di sana pianta (cf. Di Salvo 2004, pp. 38.39 sulla deformazione e manipolazione nella fotografia Giovanni Fiorentino, L’occhio che uccide, Roma, Meltemi, 2005). La costruzione dell’evento televisivo coinvolge spesso anche la gente comune; è il cosiddetto effetto falena: le luci delle telecamere attirano e sollecitano il narcisismo e il desiderio di apparire. Questo effetto può contribuire alla deformazione ma anche rivelare tratti del carattere e della personalità che resterebbero altrimenti nascosti.

Documenti - Una giornata al TG (3)

Ecco infine i tg della fascia serale. La fascia della giornata che va dalle 19 circa alle 22 è il cosiddetto prime time, cioè il momento della giornata in cui si raggiungono i massimi picchi di ascolto. La lotta per conquistare il pubblico è quindi all’ultimo sangue, ed è condotta con ogni mezzo. Molto significativi sono, oltre alla sequenza, il ritmo (dato dal numero complessivo) e la durata delle notizie e dei servizi. Si consideri che la lunghezza media di una notizia televisiva è di 1 minuto e mezzo e che solo in casi eccezionali si può arrivare a 3 minuti.

Il Tg4 di Emilio Fede, navigato giornalista e conduttore (già in Rai negli anni ’70) è un esempio estremo dell’identificazione tra emittente ideale ed emittente empirico; come in altri tg delle reti private, e diversamente dai tg pubblici, il direttore è coinvolto in prima persona nella conduzione, si assume quindi la diretta responsabilità su quel che afferma il telegiornale e il suo commento è il “piatto forte” della trasmissione ed ha lo scopo non nascosto di catechizzare il pubblico, di orientarlo nell’interpretazione dei fatti: il direttore è sempre in scena, come il presentatore di un circo (Calabrese-Volli); il conduttore narratore che si trasforma in osservatore, aiutato anche dai movimenti di camera e dalle scelte di regia, e mantiene però sempre la possibilità di distribuire giudizi positivi o negativi sui fatti narrati, mostra tutta la potenza dell’informazione televisiva, che viene ad essere una matrice del giudizio di valore del telespettatore: il giudizio si presenta come già dato e già commentato in partenza (a volte rafforzato da informatori esterni, come gli esperti), e il telespettatore è chiamato solo a confermarlo (Calabrese-Volli 2001, pp. 227 e sgg.).

Il Tg5, nel contesto delle tre reti Mediaset, è quello che si propone come la diretta alternativa al Tg1 RAI, con uno stile però più vivace e diretto, meno formale. Frequente è la conduzione di due giornalisti in coppia e molto spazio è riservato alla cronaca e a rubriche di costume e spettacolo.

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Tg4 Tg5 Tg2 20,30Prodi al Senato sul caso Tim / Tronchetti ProveraLa Finanziaria non convince anche i sindaci del centrosinistraConvegno a Roma su CraxiParleremo del virus dell’influenzaParleremo della moda a Parigi / Valentino

ospite della maggioranza dell’Ulivo, l’onorevole Maria Maiola / Commissione bilancio

servizio su Prodi al Senato preceduto e seguito da commenti di Fede; brevi interviste a Calderoli (Lega), Matteoli, Palermi (Comunisti italiani), Russo Spena (Rifondazione), Zanda (Ulivo), Schifani (Forza Italia)

La Finanziaria / torna in / discussioneDopo i tagli di finanziaria il governo messo alle strette dalla rivolta dei sindaci di centrosinistra e dalle proteste di Confindustria e sindacati sul Tfr - torna in discussione in due tavoli separati quasi un terzo della manovra

Berlusconi: “Dialogo / con i moderati / ma niente sconti”Pronti a dialogare con la parte moderata della maggioranza ma su alcuni casi l’opposizione non farà sconti - così Berlusconi all’incontro coi parlamentari europei di Forza Italia - la finanziaria di Prodi, dice, ha scontentato tutti

Prodi, Rossi / la Telecom e le ( intercettazioniBotta e risposta a distanza tra Prodi e Guido Rossi - il premier al Senato accenna allo scandalo intercettazioni - il presidente Telecom al Copaco avverte non hanno nulla a che fare con l’azienda che presiedo

18enni e bolidi, / è polemica dopo lo / schianto di BresciaPolemica dopo il terribile incidente del bresciano - un diciottenne alla guida della Maserati del padre è morto insieme a due giovanissimi amici - la nuova legge ha abolito il divieto di guidare auto di grossa cilindrata

E’ viva e forse / incinta la donna / scomparsa a CapuaUna telefonata conferma - è viva la donna che ieri nel casertano sarebbe stata rapita da tre persone incappucciate - unico testimone il figlio di sette anni - non si esclude un sequestro simulato per coprire una fuga - forse una gravidanza segreta la chiave del giallo

Cuba e Usa, / la febbrile / guerra del dengue E’ guerra sulla presunta epidemia di dengue malattia tropicale provocata dalla puntura di una zanzara che avrebbe colpito Cuba- il regime castrista accusato di nascondere il dramma - ma c’è chi dice il contagio non esiste

La riscossa / di Kate Moss / dopo lo scandalo cocaA meno di un anno dallo scandalo dei coca party la grande riscossa di Kate Moss - riconquistati tutti i contratti e le copertine più prestigiose - è la trasgressiva più amata di Londra

La BCE alza i tassi / mutui più cariLa Banca centrale europea ha alzato di nuovo i tassi d’interesse portandoli al 3,25 per cento - più cari mutui e prestiti

Prodi e i sindaci / “rigore necessario”Prodi replica ai sindaci - disponibile al confronto ma l’impostazione generale della manovra non cambia - Berlusconi attacca - è una finanziaria ideologica

Il premier: ignoravo / il riassetto TelecomProdi interviene al Senato sul caso Telecom e conferma - ignoravo il piano di Tronchetti - per l’opposizione il premier ha mentito ancora

Partito dei pedofili / l’Olanda dice noBocciato dagli olandesi il partito dei pedofili che non potrà presentarsi alle elezioni - Come parlare in tv di questa terribile piaga - tra poco al tg 10 minuti è confronto tra esperti e responsabili delle associazioni che tutelano i minori

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6.a. Tra scritto, parlato e trasmesso (1): connettivi complessi, incisi, frasi esplicite e implicite (giovedì 16 novembre)

I vincoli di durata e la necessità della messa in rilievoPer fattori tecnici, le notizie date in tv sono sempre meno numerose di quelle date da un giornale: la

durata tipica di un notiziario corrisponde al tempo standard di lettura di dieci cartelle dattiloscritte (Calabrese-Volli 2001, p. 109); in un minuto di TG può essere letta una notizia di circa 14 righe: 4 secondi per una riga di 60 battute; il testo di un tg di media durata, letto secondo standard normali, corrisponde circa a dieci cartelle dattiloscritte (Calabrese-Volli 2001, p. 109; Di Salvo 2004, p. 49)

Valgono, in gran parte, le indicazioni che davano Piccone Stella e Gadda per il messaggio radiofonico: la scrittura dev’essere lineare, semplice e chiara, la pronuncia dev’essere corretta e ben scandita; chi predispone i testi da leggere in video, dovrà curare con attenzione la punteggiatura. Se la trasmissione è registrata, le prove in sala di registrazione permettono al giornalista o al conduttore di annotare sui fogli i passaggi importanti, le ripetizioni, le parti da saltare o da enfatizzare con la vorce. Per la dizione e la pronuncia corrette Di Salvo 2004 suggerisce l’uso del Dizionario di Ortografia e Pronuncia (curato dai linguisti Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini e Piero Fiorelli e ristampato nel 1999) e dello studio di A. Lori pubblicato dalla Rai-Eri nel 2000. La scelta lessicale dovrà evitare l’ostentazione di parole straniere inutili (e se sono necessarie la pronuncia dovrà essere il più possibile corretta), di termini troppo tecnici o gergali. Per quanto riguarda i testi che appaiono sullo schermo, va curata la loro leggibilità grafica (contrasto, uso del colore, scelta dei caratteri). Questi suggerimenti, in realtà, contraddicono le osservazioni di Dardano sulla tendenza all’animazione linguistica della scrittura giornalistica (e telegiornalistica); ma la contraddizione è solo apparente: la mescolanza di codici fa sì che in tv anche il lessico possa essere molto variato, e se la stella polare è la semplificazione, le macchie di colore possono rispondere a necessità di attrazione e vivacizzazione della notizia. In generale, i dati sulla comprensibilità dei testi dei notiziari televisivi sono piuttosto confortanti (cfr. le percentuali di spettatori che dichiarano di capire bene l’informazione in tv riportate da Di Salvo 2004, in nota a p. 45).

La sintassi del trasmesso tra scritto e parlato (1)Nella sintassi della frase, la struttura informativa dell’italiano pone ad apertura di enunciato gli

elementi già dati dal contesto (tema) e alla fine quelli che portano informazioni nuove (rema). Nel parlato sono molto frequnti le frasi marcate, cioè le frasi che dispongono le parole secondo un ordine diverso da quello “normale”, che prevede la sequenza soggetto - verbo - complemento oggetto o altri complementi (Alex guarda la televisione, Maria è partita per Milano).

Tra i costrutti marcati, i più significativi sono le dislocazioni (a sinistra o a destra), i temi sospesi e le frasi scisse. Questi costrutti rientrano, come nota Dardano (2002, p. 271), nelle tecniche di messa in rilievo, di evidenziazione di un tema; tecniche che la titolazione e la prosa “situazionale” dei giornali imitano, appunto, dal parlato.

Si ha una dislocazione quando un elemento è spostato rispetto alla sua posizione “normale”; per esempio, il complemento precede il verbo: una sola cosa so: Maria proprio a Francesco è andata a raccontare quel fatto; oppure, un complemento indiretto assume la posizione iniziale: a me nessuno ha detto niente. Nel parlato, si tende a staccare il complemento iniziale dal resto della frase con una pausa (che nella trascrizione può essere segnalata con una virgola) e a riprenderlo con un pronome clitico (che cioè non ha accento proprio ma si appoggia alla parola precedente o successiva): a me, nessuno mi ha detto niente; di questo, noi due ne abbiamo parlato a lungo. Questo costrutto è detto dislocazione a sinistra. Si ha dislocazione a destra, invece, quando il complemento è anticipato da un pronome clitico (senza cambiare apparentemente l’ordine normale delle parole): ne abbiamo già parlato, di questo; non ci vado quasi mai, al cinema. Le frasi con dislocazione a sinistra o a destra sono chiamate anche frasi segmentate, perché appaiono come divise in due segmenti. Nel parlato e nell’italiano popolare esiste un’altra struttura, per certi aspetti simile alla dislocazione a sinistra, in cui però l’elemento anticipato non viene legato sintatticamente al verbo; si tratta del tema sospeso:

a Giorgio non gli ho detto niente = dislocazione a sinistraGiorgio, non gli ho detto niente = tema sospesoLa grammatica tradizionale definiva il tema sospeso come anacoluto e lo considerava un errore,

ammesso solo per ragioni stilistiche nella prosa di grandi scrittori (Boccaccio, Manzoni). Altre caratteristiche del tema sospeso sono la possibilità che non ci sia una ripresa (Giorgio, non ho detto niente, ma questo tipo di costrutto è piuttosto raro), e la possibilità di riprendere il tema non con un pronome clitico ma con un pronome tonico o con un altro elemento semanticamente pesante: il capo, a lui non ho detto niente;

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Giovanni, non parliamo di quello scocciatore!; quest’ultima possibilità consente di costruire come temi sospesi anche i soggetti, che non hanno clitici: Il preside, lui non ne era stato informato. Nella categoria del tema sospeso si fanno rientrare anche i costruttu aperti da un infinito ripreso poi da una forma finita dello steso verbo: dormire, non ho dormito; studiare, Luca ha studiato, ecc.

La frequenza di dislocazioni e temi sospesi ha anche motivazioni di tipo pragmatico ed è connessa ad alcune caratteristiche proprie del canale fonico/uditivo; infatti nel parlato conversazionale la dislocazione a sinistra permette di conquistare più facilmente l’attenzione degli interlocutori e il turno di parola, e ha la funzione anche di spostare la conversazione su nuovi argomenti. Chi parla ha in genere una concezione egocentrica della conversazione, per cui tenderà a collocare in posizione iniziale ( focalizzazione) ciò che è al centro del proprio interesse; questo, inoltre, facilita la ricezione delle informazioni. Un’altra caratteristica del parlato è la scarsa pianificazione, anche a breve distanza: i temi sospesi sono slegati sintatticamente ma non semanticamente dal resto della frase; inoltre, ci sono molti elementi ridondanti (per es. le riprese pronominali) che facilitano il controllo sintattico. La dislocazione a sinistra è un’alternativa più facile della costruzione passiva (i biglietti per il concerto ormai è difficile trovarli). Nelle dislocazioni a destra distinguiamo quelle con una pausa prima dell’elemento dislocato e quelle prodotte con una curva intonativa unitaria; nelle prime, l’elemento dislocato serve quasi a spiegare il pronome (il parlante teme di non essere stato chiaro), nelle seconde si ha un effetto di maggiore confidenza con l’interlocutore.

La frase scissa è usata soprattutto per mettere in rilievo la negazione o l’intera proposiizione (non è che non mi piaccia, è che mi sono stufato!), nelle interrogative introdotte da un operatore (dov’è che vai?) o dalla negazione (non è che avresti una sigaretta?).

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6.b. Tra scritto, parlato e trasmesso (2) (giovedì 16 novembre)

La sintassi del trasmesso (2)Tra le altre strutture che servono a mettere in rilievo un tema, ricordiamo anche il c’è presentativo

seguito dal che, frequente per introdurre un elemento nuovo (c’è qualcuno che parla male di te) e le sottolineature mediante la ripresa o anticipazione del tema con dimostrativi anaforici (“Una frase, quella del papa, che ha colpito i fedeli”) o cataforici (Bush sostiene che quelle di Bin Laden sono minacce prive di sostanza”). Tipica del parlato popolare è la costruzione a cornice, o epanalessi, che consiste nella ripetizione del verbo alla fine dell’enunciato (non ci sono più andato, non ci sono). Molto frequenti sono gli usi fraseologici delle frasi interrogative (che sarà mai? = ‘è una cosa di poca importanza’; hai capito? - con intonazione ascendente-discendente = ‘ma guarda!’)

La prevalenza della semantica sulla sintassi rende ammissibili nel parlato ellissi che non sarebbero accettate nello scritto, concordanze a senso, e perfino errori nell’accordo di genere, specie quando ci sono elementi della frase interposti (incisi). Nella sintassi del periodo, il parlato è caratterizzato da interruzioni, frasi sospese, falese partenze, autocorrezioni; ha un andamento prevalentemente paratattico, più adatto al canale fonico-uditivo e preferisce le frasi brevi, specialmente nella conversazione informale. Nel collegamento tra le varie frasi le congiunzioni coordinanti (e, ma, però, poi, così, allora, solo che) assumono spesso funzione di legamenti testuali; molto diffuso è l’asindeto, cioè la giustapposizione di frasi senza collegamenti sintattici (passo a casa, mangio un boccone, ritorno).

La subordinazione (ipotassi) è molto meno frequente che nello scritto, e presenta alcune particolarità: dominano le subordinate esplicite, che specigficano l’azione. Le subordinate implicite più diffuse costituiscono prevalentemente forme verbali già fissatesi come perifrastiche o che tendono a diventarlo: stare + gerundio, stare a + infinito (che stai a fare?), ecc. In generale, le frasi subordinate tendono a collocarsi dopo la principale (con l’eccezione delle ipotetiche e in parte delle causali). Le congiunzioni subordinanti sono qualitativamente e quantitativamente diverse dallo scritto: per le causali, invece di poiché e giacché si hanno siccome o locuzioni formate con che (dato che, visto che, dal momento che), che sono usate anche per altre dipendenti (a parte il fatto che, basta che, una volta che). Anche il semplice che è molto frequente, spesso nella funzione di che polivalente; il suo valore di pronome relativo tende a sfumare in quello di semplice congiunzione subordinante; questo fatto risponde anche a motivi di analogia e di semplificazione: infatti le relative con che soggetto sono più frequenti, inoltre le relative analitiche costruite col che polivalente non richiedono lo spostamento di costituenti: la donna che ho conosciuto suo marito l’anno scorso è più “normale” rispetto a la donna il cui marito ho conosciuto l’anno scorso. Ancora per le relative, nel parlato è molto usata la struttura quelli che sono i problemi invece del semplice i problemi, che serve a dare più “peso” a un elemento informativo e permette anche al parlante di prendere tmepo per pianificare il discorso. Infine, dove è usato anche al tempo e persino ad altri complementi.

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6.c. Tra scritto, parlato e trasmesso (3) (martedì 21 novembre)

La sintassi del trasmesso (3)Concludiamo la riflessione sulla sintassi del trasmesso prendendo spunto da una riflessione di

Maurizio Dardano (2002, p. 279). Lo studioso segnala, nella lingua dei media degli ultimi decenni, l’aumento di fenomeni quali «[...] la paratassi “discorsiva”, le frasi autonome (non collegate al contesto), il susseguirsi di scene slegate tra loro (come le sequenze cinematografiche e le vignette di un fumetto), la tendenza a lasciare al lettore l’onere di ricostruire il senso profondo del testo, di riempire i vuoti logici non colmati dall’emittente». Le sue conclusioni, in termini di previsioni sul futuro, sono pessimistiche: «L’incapacità, propria di molti giovani, di costruire un testo scritto ben strutturato dipende in parte dall’influsso negativo dei media non alfabetici, troppo legati al culto delle immagini e all’esaltazione di fattori pragmatici. A partire dagli anni Sessanta la televisione ha promosso un processo di alfabetizzazione-acculturazione di grande portata per le sorti del paese, ma l’odierno patchwork televisivo influisce negativamente, attivando presso gli utenti poco acculturati un’insidiosa destrutturazione del testo scritto.».

Effettivamente, dall’esame di testi prodotti da studenti universitari spicca la difficoltà di dominare la coesione in costrutti che vanno appena oltre la frase semplice, e una fortissima tendenza alla giustapposizione caotica di enunciati monoproposizionali con un uso apparentemente casuale dei connettivi, quando non addirittura in assenza completa di connettivi. Per evitare la giustapposizione, lo strumento usato più spesso adottato è la coordinazione “a senso”:

“L’ultimo studio è stato fatto da un equipe italiana e hanno verificato le proprietà protettive del tè”

oppure l’attrazione verso il “polo magnetico” sintattico-testuale più vicino;

“Ad aver esaurito le finanze dell’attore non sono stati soltanto i guai personali dettati dal solo suo modo di vivere [...], ma anche da quello del figlio Christian”;

Alle strutture esplicite sono preferiti costrutti impliciti, che riducono gli sforzi di coesione, come le proposizioni subordinate di forma implicita, specialmente gerundive, participiali e infinitive. Nelle participiali anticipate rispetto a una principale, spesso la coesione non è ripristinata, come se il tema evocato dal participio sia dato per scontato dallo scrivente:

“L’ultima volta apparso sul grande schermo, in “The Score”, era stata nel 2001”; o ancora: “Tratto da un thriller di Dennis Lehane “La morte non dimentica” Clint Eastwood racconta”.

Il fenomeno si ripropone anche in presenza di incidentali:

“Un successo annunciato, anche se uscito con qualche mese di ritardo, per il nuovo album dei Colplay”

L’uso delle implicite all’infinito è meno vistoso, ma si registra molta incertezza nel dominio dell’alternativa tra costruzioni implicite ed esplicite:

“[...] il bambino ha il diritto di trascorrere i nove mesi nella pancia della mamma [...] senza bisogno che egli sia ripreso durante la sua gestazione”; o ancora: “Ormai non resta che il tempo dell’attesa, con la consapevolezza di assistere ad una grande scoperta epocale”

Piuttosto frequenti sono i costrutti infinitivi nei quali il riferimento è scorretto o ambiguo:

“Per distinguersi dagli altri, in un locale è stata presa una simaptica iniziativa. Il “Linux club” sta cercando di far avvicinare i giovani alla musica colta. Invece dell’hip-hop e house l’ha sostituita con della musica classica”

Ma il costrutto implicito di gran lunga preferito per ovviare alle difficoltà di coesione che presentano le strutture esplicite è il gerundio. L’espansione degli usi del gerundio è confermata da molti studi recenti sullo scritto giornalistico e dalle indagini sui corpora di italiano parlato. Molto alta è la frequenza di gerundi irrelati rispetto al soggetto della principale o in cui è difficile stabilire quale sia il referente.

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“Dura è la replica [di G. Fini] a [Nanni] Moretti, che lo accusa di “signor sì a Berlusconi” definendolo [è Fini a definire Moretti] disributore ‘di patenti di moralità’.”; o ancora: “La risposta dell’ex presidente RAI è stata perentoria osservando che la sua candidatura per le elezioni europee è solo un’insinuazione”;

In questi ultimi tre esempi l’antecedente semantico cui il gerundio si aggancia è un costrutto nominale il cui soggetto logico è, di volta in volta, “Fini”, “il presidente RAI”, “un ragazzo bellissimo”; si noti anche come manchi ovunque la virgola. Se il costtrutto fosse stato verbale l’ambiguità si sarebbe evitata (“L’ex presidente RAI ha risposto in modo perentorio osservando che...”).

L’impressione è che questi costrutti siano trascinati dal modello del parlato, dove sono frequentissimi. Ne traiamo uno dall’ascolto del GR delle 7,45 di Radio24, 4 maggio 2006: “Condanna definitiva per l’avvocato Previti, anche se la legge Cirielli, avendo più di settant’anni, potrebbe portarlo agli arresti domiciliari”.

Ci sono poi casi che potremmo far rientrare nella tendenza, già osservata, allo sbilanciamento/attrazione verso il nucleo tematico più vicino:

“Tracheotomia, crisi respiratoria e Parkinson, questi i termini che occuparono il giorno dopo le prime pagine dei quotidiani, offrendo una tale quantità di informazioni da scoraggiare anche il lettore più volenteroso”;

Diffusissima è l’ambiguità nelle strutture modali: la posposizione rispetto al verbo principale rende ammissibile il soggetto nullo nei gerundi strumentali, di maniera e di tempo:

“Questo secondo la Nasa permetterà di migliorare le conoscenze sull’origine del sistema solare analizzando quelli che sono i frammenti ghiacciati della cometa”; o ancora: “Oltre alle sfilate, le parate militari e i classici e sfarzosi festeggiamenti si è colta l’occasione per rendere questa giornata qualcosa di irripetibile segnando una data storica”;

in questi esempi l’ellissi (mancata esplicitazione del soggetto) o l’impersonalità della reggente costringono il lettore a un faticoso lavoro di inferenza, e lasciano comunque un certo margine di incertezza interpretativa: nel primo esempio chi analizza è la sonda (cui si riferisce il dimostrativo anaforico Questo), gli scienziati della Nasa o, genericamente, il miglioramento delle nostre conoscenze scientifiche?

Infine, è molto frequente la struttura che si serve di una gerundiale conclusiva per evitare una coordinazione (o un connettivo esplicito) che porrebbe problemi di accordo morfosintattico. In periodi non molto complessi il gerundio pare quasi svolgere il ruolo di segnalare la fine del periodo:

“Questo libro è diventato un best-seller negli Stati Uniti, aumentando il numero delle tirature, diventando un caso editoriale”; o ancora: “Si tratta della prima missione spaziale che ha come obbiettivo l’impatto sulla superficie di una cometa per tentare di carpirne i segreti, penetrando nella sua superficie migliorando così le conoscenze sull’origine del sistema solare studiando i frammenti ghiacciati del nocciolo della cometa”.

Tutte queste strutture di tipo implicito sono assai frequenti nella comunicazione trasmessa. Ma nel trasmesso, la presenza delle immagini e i fenomeni di ridondanza del parlato consentono all’ascoltatore di sciogliere le ambiguità prodotte da errori o lacune di elementi di coesione. Quando si passa allo scritto, questo modello non funziona più, e produce gli effetti segnalati con preoccupazione da Dardano.

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7.a. LABORATORIO 3 - La scrittura argomentativa: preparazione alla stesura di tesina e tesi (1) - (mercoledì 22 novembre)

Norme redazionali e formali

Per le norme redazionali seguire il modello proposto per la redazione della tesi, scaricabile dal sito di Facoltà.La tesina, a differenza della tesi, può considerarsi completa anche entro le 10 cartelle di testo; ma non può contarne meno di 8.La tesina va concordata col docente almeno 30 giorni prima del momento in cui s’intende presentarla per l’acquisizione dei relativi crediti.

Suggerimenti

Ricordare che: la recensione è un testo informativo e, al tempo stesso, valutativo/argomentativo;chi la scrive, solitamente, è un esperto (il lettore è interessato al suo giudizio) - nel nostro caso, chi la scrive deve dimostrare di avere una certa familiarità col tema trattato nell’opera recensitafondamentale è mettersi dalla parte del lettore, che non conosce l’opera e che, dalla recensione, deve riuscire a capire se è utile leggerladoti essenziali: chiarezza e sintesi

In una recensione non possono mncare:1 – presentazione (dati informativi essenziali, presentati con precisione);2 – analisi (riassunto del contenuto e temi fondamentali);3 – interpretazione (di capitoli o passaggi particolari, che aiutino a cogliere la qualità dell’opera);4 – giudizio, eventualmente tecnico (nel caso di un’opera scientifica: originalità, ampiezza di prospettive e di stimoli, correttezza di impostazione metodologica, ecc.; nel caso di un film: regia, ritmo, sceneggiatura, fotografia, ecc.), certamente indicativo delle qualità dell’opera per il lettore (completezza, aggiornamento, chiarezza espositiva, ecc.).

L’ultimo elemento (4) è quello più strettamente argomentativo: il recensore deve convincere il lettore della bontà e correttezza del proprio giudizio, portando prove per sostenerlo (dati, esempi, citazioni).

In una buona recensione è utile che ci siano:1 - una rapida presentazione dell’autore e degli altri studi che ha pubblicato (attinenti al tema trattato nell’opera recensita);2 - qualche rapido riferimento ad altri studi sugli stessi temi trattai nell’opera recensita (distinguendo tra classici del pensiero scientifico su quei temi e analisi recenti).

Attenzione!La recensione è un testo che ha molte affinità col riassunto: è importante tener conto delle presupposizioni del lettore (ciò che il lettore si suppone sappia dell’argomento trattato nel libro); è anche fondamentale gestire correttamente gli strumenti della coesione, e in particolare i connettivi logico-sintattici.A seconda dello spazio concesso al recensore, il commento e il giudizio saranno più o meno ampi.

inoltre:1) Il giudizio dev’essere sostenuto da argomenti solidi, non può essere impressionistico o dettato da criteri di gusto.2) Dimostrare la propria competenza sull’argomnto trattato dall’opera significa saperla inquadrare nel panorama della relativa produzione scientifica; quasi sempre, spunti in questa direzione sono offerti dallo stesso autore, che introdurrà le proprie argomentazioni riallacciandosi al precedente dibattito sul tema affrontato. Il recensore dovrebbe essere capace di capire se l’autore ha tenuto conto delle principali opinioni in materia, se ne ha omesse alcune (per ignoranza o per parzialità), se si è allineato con le opinioni di altri studiosi e perché.

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7.b. LABORATORIO 3 - esercitazione (giovedì 23 novembre)

7.c. LABORATORIO 3 - Correzione degli elaborati - martedì 28 novembre

8.a. LABORATORIO 4 - La scrittura argomentativa: preparazione alla stesura di tesina e tesi (2) - (mercoledì 29 novembre)

Dal Normario disponibile nel sito di Facoltà ricaviamo alcuni punti essenziali, commentandoli:

Punteggiatura e uso degli spazi

L’uso del computer nella stesura della tesi di laurea obbliga chi scrive a rispettare alcune norme di editing.

1) I segni di punteggiatura ( , ; . : ? ! ... ) devono essere sempre seguiti, e mai preceduti, da uno spazio.Ess.: non: …e desideri creando,offrendo - ma: … e desideri creando, offrendo e … e …

non: Che ore sono ?Le quattro. - ma: Che ore sono? Le quattro.

non: Su questo......... beh.. vede........ preferirei non rispondere - ma: Su questo... beh... vede... preferirei non rispondere

Attenzione! Come si vede dall’esempio, i puntini di sospensione sono sempre e solo tre.

Questa norma si applica anche alle abbreviazioni usate correntemente nelle bibliografie o nelle note a piè di pagina.

Es. non: Cassese, S. La crisi dello stato, Roma-Bari 2002, p.100.ma: Cassese, S. La crisi dello stato, Roma-Bari 2002, p. 100.

2) Le parentesi sono accostate al testo che racchiudono. La parentesi d’apertura deve quindi essere preceduta, e non seguita, da uno spazio; la parentesi di chiusura, invece, deve essere seguita, e mai preceduta, da uno spazio.

non: ...il sistema tradizionale( non quello usato dai cinesi )presenta...ma: ... il sistema tradizionale (non quello usato dai cinesi) presenta...

3) Le virgolette, indipendentemente dal tipo singolo o doppio alto e basso ( ‘ ’ “ ” « » ), richiedono le stesse norme delle parentesi. Dunque:

non: Secondo Volli « l’obiettivo è l’euforia », ma secondo altri...ma: Secondo Volli «l’obiettivo è l’euforia», ma secondo altri...

4) I trattini lunghi ( – ) usati per isolare le frasi in inciso sono preceduti e seguiti da uno spazio.

non: La situazione –stando alle ultime voci –è peggiorata…ma: La situazione – stando alle ultime voci – è peggiorata...

5) Il trattino breve ( - ), usato per collegare i due elementi di una parola composta o per segnalare un intervallo di pagine, non richiede spazi né prima né dopo.

non: afro - americano - ma: afro-americano

non: si veda alle pagg. 23 - 34 del saggio citato - ma: si veda alle pagg. 23-34 del saggio citato

6) L’apostrofo non richiede spazi né prima né dopo.

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non: ...dell’ ordine... - ma: ...dell’ordine...non: L’ adozione...- ma: L’adozione...

Attenzione! L’apostrofo non va confuso con la virgoletta alta singola.

Caratteri e segni d’interpunzione che non compaiono sulla tastiera

Nei personal computer alcuni caratteri e alcuni segni d’interpunzione non possono essere introdotti spingendo un solo tasto, come avviene per i segni usati più di frequente, ma vanno trovati tra i Simboli, cliccando sul tasto “Inserisci” nel Menu e quindi sul tasto “Simbolo”. Qui possiamo trovare tre segni:a) – cioè il trattino lungo, usato per isolare le frasi in inciso (vedi sopra)b) « » cioè le virgolette basse doppie (dette anche “sergenti”), usate per le citazionic) È cioè la e maiuscola accentata (che va preferita alla e maiuscola con apostrofo: E’)

Altre norme

1) Le parole straniere (anche quelle latine) vanno sempre in corsivo.

non: ...deriva dall’antico germanico markian - ma: ...deriva dall’antico germanico markian

2) Quando si dice qualcosa intorno a una certa parola, quella parola va accompagnata dalle virgolette alte doppie (si tratta perlopiù di parole tecniche o diffuse in ambiti di ricerca circoscritti).

non: ...sfruttare quel dispositivo semiotico chiamato marchio o nell’uso americano logo...ma: …sfruttare quel dispositivo semiotico chiamato “marchio” o nell’uso americano “logo”...

3) Ogni termine tecnico deve essere accompagnato da una definizione non appena viene introdotto per la prima volta nel nostro testo. La definizione della parola può essere inserita nel testo, se breve, o in una nota a piè di pagina.Es.: L’isotopia (cioè “...”) della marca è intertestuale.

oppureL’isotopia della marca è intertestuale.1

Nella nota a piè di pagina: 1 Con “isotopia” si intende...

4) Quando si fa un elenco, mettere in colonna le voci, e numerarle.

non:-funzione di identificazione: consiste nel fatto che la marca individua il prodotto dal punto di vista delle sue caratteristiche principali; -funzione di orientamento: la marca aiuta il cliente a orientarsi sfruttando l’offerta; -funzione di garanzia: rinvia al fatto che la marca è un impegno pubblico di qualità e prestazione;

ma:1. funzione di identificazione: consiste nel fatto che la marca individua il prodotto dal punto di vista

delle sue caratteristiche principali; 2. funzione di orientamento: la marca aiuta il cliente a orientarsi sfruttando l’offerta; 3. funzione di garanzia: rinvia al fatto che la marca è un impegno pubblico di qualità e prestazione.

5) Indicare la fonte di qualsiasi informazione che si presume non ovvia per il lettore.

non: La parola marca deriva dall’antico germanico markian,“segno di confine”.ma: La parola marca deriva dall’antico germanico markian,“segno di confine” (Grande Dizionario della Lingua Italiana, s.v. marca).

Citazioni

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Com’è noto, ogni tesi di laurea è un lavoro originale solo in minima parte. Anche se l’argomento è un fatto recentissimo o un personaggio nuovo o, ancora, se il tema è estremamente specifico e circoscritto, è impossibile che il metodo di analisi non rientri in categorie già ampiamente dissodate da studiosi più esperti di noi. Sarà quindi opportuno e necessario citarli: sia per correttezza scientifica (cioè per non attribuirci meriti che non abbiamo) sia per chiarezza nei confronti del lettore, che deve essere informato anche sulla provenienza delle informazioni. Quindi:

a) per citare nel testo della pagina brani di libri o di articoli, mettete il brano citato tra virgolette e in corsivo: “in modo che si possa distinguere facilmente il vostro testo da quello dell’autore citato”. L’indicazione della fonte bibliografica si dà in nota (v. più avanti, al punto d)

b) Quando le citazioni sono troppo lunghe o contengono parti che ai fini del nostro discorso non interessa riportare, possono essere tagliate. Il taglio della citazione deve essere segnalato da tre punti tra parentesi tonde o quadre.Es.: La citazione: “Lo sport, a cui è affidata una funzione di punta nella strategia della diffusione, è un settore tutto particolare del quotidiano poco correlato con gli altri e che, in qualche caso, vive in una specie di isolamento” può essere ridotta così: “Lo sport [...] è un settore tutto particolare del quotidiano [...] e che, in qualche caso, vive in una specie di isolamento”.

c) Indicare sempre la fonte del brano citato. La fonte deve essere completa: bisogna indicare chi (l’autore della citazione) e dove (articolo, volume, quotidiano o altro, con il riferimento della pagina):

non: “La scrittura è una tecnologia” afferma Walter Ong …ma: “La scrittura è una tecnologia” afferma Walter Ong (Ong 1986: 123)

Attenzione! Le fonti sono quasi sempre scritte. In caso di fonti orali (ad esempio la radio), bisogna indicare perlomeno il titolo del programma e il giorno (ad es.: Radio Tre, «Radio anch’io», 18/11/2005). In caso di materiali reperiti in rete, oltre all’indirizzo del sito, sarà bene indicare in nota (e poi nella “sitografia”) anche il periodo in cui la notizia è stata trovata a quell’indirizzo.Es.: Acerboni, G. Progettare e srivere per Internet. Premessa, testo ricavato dal sito http://www.italianoscritto.com/, ottobre 2005).

d) Le note vanno a piè di pagina, come in questo esempio3.

3 Per le note usare il carattere Garamond 12 (che è quello usato per questa

nota), con la stessa impaginazione del testo principale.

Esempi per citazioni di libri o articoli nelle note (cfr. § 8. Bibliografia):

1) Libri

Cassese, S., La crisi dello stato, Roma-Bari 2002.

Cassese, S., La crisi dello stato, Roma-Bari 2002, pp. 100 sgg.

Abruzzese, A. (a cura di), Lessico della comunicazione, Roma 2003.

Fiorentino, G., Fotografia, in A. Abruzzese (a cura di), Lessico della

comunicazione, cit, pp. 100-110.

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Qui sotto trovate quindi alcuni esempi delle modalità per citare testi di natura diversa: libri con uno o più autori, libri con un curatore, solo alcune pagine di libri, articoli di riviste e di giornali, etc.Come vedete, i titoli vanno sempre in corsivo, mentre non è necessario citare la casa editrice.

BibliografiaLa bibliografia conclude il testo della tesi. Prima di preparare la bibliografia, bisogna ricordare che:

a) in primo luogo, si riporta il cognome dell’Autore, seguito dal nome proprio. Si può dare anche soltanto l’iniziale del nome proprio dell’Autore, quando non sia possibile ricavarlo dalle bibliografie disponibili;

b) dopo cognome e nome, si riporta il titolo del volume, in corsivo; quindi la città sede della casa editrice e la data di edizione. Oltre a ciò, può essere indicata anche la casa editrice. Attenzione! Indicare città e data è obbligatorio, indicare la casa editrice è facoltativo;

c) indicazioni del numero delle pagine non si danno mai per i libri, invece, si danno sempre, obbligatoriamente, nel caso di articoli o saggi contenuti in volumi, riviste o giornali.

Ecco un esempio di bibliografia:

BIBLIOGRAFIAAbruzzese, A. (a cura di), Lessico della comunicazione, Roma 2003.Cassese, Sabino, La crisi dello stato, Roma-Bari 2002.Cassese, Sabino Le riforme istituzionali, “Il Corriere della Sera”, 13 febbraio 2003, p. 1Di Gregorio, L., Il processo delle politiche di immigrazione in Italia. Uno schema interpretativo integrato, in “Stato e Mercato” 3 (2002), pp. 433-466. Fiorentino, Giovanni, Fotografia, in Abruzzese, A. (a cura di), Lessico della comunicazione, Roma 2003, pp. 100-110.Serianni, Luca, V. Della Valle, G. Patota, L’italiano parlato e scritto. Agenda salvascrittura, Milano 2003. Attenzione! Nel caso in cui gli autori siano più d’uno, si può indicare per esteso il nome proprio soltanto del primo di essi.

8.b. LABORATORIO 4 - Esercitazione (giovedì 30 novembre)

Serianni,, L., V. Della Valle, G. Patota, L’italiano parlato e scritto. Agenda

salvascrittura, Milano 2003

Per il rinvio ad un capitolo di un libro che affronta un argomento specifico

della vostra tesi, potete usare questa formula:

Su questo argomento, vedi tutto il secondo capitolo di Pombeni, P.

Introduzione alla storia contemporanea, Bologna 2000, pp. 100-110.

2) Articoli

Di Gregorio, L., Il processo delle politiche di immigrazione in Italia. Uno

schema interpretativo integrato, “Stato e Mercato” 3 (2002), pp. 433-466.

Oppure:

Vedi l’articolo di Cassese, S., Le riforme istituzionali, “Corriere della Sera”,

13 febbraio 2003, p. 1

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8.c. LABORATORIO 4 - Correzione degli elaborati (martedì 5 dicembre) Simulazione dell’esame (mercoledì 6 dicembre)

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