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1 RIASSETTI ISTITUZIONALI E AMMINISTRATIVI NELL ATTUAZIONE DELLE POLITICHE PER LA COESIONE TERRITORIALE IN PUGLIA di Pierfrancesco Fighera Università del Salento PAPER ELABORATO PER IL XXVII CONVEGNO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZA POLITICA UNIVERSITÀ DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI E CENTRO INTERUNIVERSITARIO DI RICERCA SUL SUD EUROPA 12 - 14 SETTEMBRE 2013 SEZIONE REGIONALISMO E POLITICHE LOCALI PANEL I NUOVI ENTI INTERMEDI IN ITALIA E IN EUROPA

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RIASSETTI ISTITUZIONALI E AMMINISTRATIVI NELL’ATTUAZIONE DELLE POLITICHE PER LA COESIONE TERRITORIALE IN PUGLIA

di Pierfrancesco Fighera Università del Salento

PAPER ELABORATO PER IL

XXVII CONVEGNO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZA POLITICA

UNIVERSITÀ DI FIRENZE – DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE E SOCIALI E CENTRO

INTERUNIVERSITARIO DI RICERCA SUL SUD EUROPA 12 - 14 SETTEMBRE 2013

SEZIONE

REGIONALISMO E POLITICHE LOCALI

PANEL

I NUOVI ENTI INTERMEDI IN ITALIA E IN EUROPA

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INDICE

1. Introduzione................................................................................................................................................... 2

2. Integrazione, coesione territoriale e politiche per lo sviluppo regionale in Europa ................................... 3

3. Dagli obiettivi territoriali ai risultati delle policies ....................................................................................... 6

4. La declinazione delle politiche in Italia ....................................................................................................... 10

5. Innovazioni istituzionali e organizzative nel Mezzogiorno e in Puglia ....................................................... 16

6. Cooperazione inter-istituzionale e territorializzazione degli interventi: continuità e discontinuità ........ 19

7. L’osservazione dei casi e l’interpretazione dei risultati.............................................................................. 24

8. Gli effetti delle politiche sul sistema politico e amministrativo regionale ................................................ 29

Bibliografia............................................................................................................................................................ 33

APPENDICE

1. Introduzione1

Il paper si propone di fornire elementi utili a discutere dei riassetti istituzionali e organizzativi intervenuti in Puglia nel corso dell’ultimo decennio in relazione alla definizione e attuazione delle politiche di sviluppo regionale. L’ipotesi di partenza è che anche se tali trasformazioni sembrino dipendere fortemente dal processo di europeizzazione (Morlino et all. 2006; Messina, 2011; Radaelli, Dossi, 2011), altri fattori, endogeni e esogeni, influiscono in modo rilevante sui processi di istituzionalizzazione delle innovazioni, oltre che sui risultati finali delle policy.

Prendendo le mosse dall’osservazione delle modalità di attuazione di un ambito di policy considerato prioritario a livello europeo e estremamente rilevante a livello nazionale e regionale (Profeti, 2006; Viesti, Prota, 2006) si descrive il faticoso e non sempre lineare processo di riorganizzazione del sistema istituzionale e amministrativo, con particolare riguardo agli aspetti relativi alla sua organizzazione interna, ai rapporti con il territorio e con gli altri attori coinvolti nelle diverse fasi del ciclo di policy. I processi non sembrano infatti dispiegarsi in modo omogeneo e uniforme e anche i risultati delle policy molto spesso divergono fortemente anche in situazioni apparentemente molto similari per tipologia di interventi realizzati e di contesti socio-econimici.

1 Il paper sintetizza e discute i risultati delle attività di ricerca realizzate nell’ambito del PRIN 2009 Nuove forme di governance per lo sviluppo strategico del territorio. Una ricerca comparata in sette regioni europee – Unità Locale Università del Salento. Si ringraziano il coordinatore e tutti i partecipanti alle attività di ricerca per tutti i consigli e per gli utili confronti. Restano di responsabilità dell’autore tutti i contenuti del paper.

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Si tratta di un ambito di policy molto interessante per una serie di considerazioni: rappresenta un ambito di intervento prioritario a livello europeo e molto rilevante sia a livello nazionale, sia regionale, in particolare nel Mezzogiorno, sia dal punto di vista delle dinamiche territoriali, sia delle trasformazioni delle forme e dei sistemi della rappresentanza. Dopo una ricostruzione dei principali strumenti introdotti per la gestione delle relazioni con gli altri attori che operano ad altre scale territoriali o in specifici settori di intervento, l’analisi viene portata più in profondità, considerando le diverse forme di cooperazione inter-istituzionale che hanno ridisegnato aggregazioni territoriali a livello sub-regionale, per la definizione e realizzazione di interventi, piani e programmi di sviluppo, evidenziandone continuità e discontinuità, verificandone la coerenza con i principali paradigmi di riferimento (sviluppo integrato, rurale, sostenibile ecc.). Diverse analisi sono state condotte infatti nel tentativo di comprendere l'efficacia delle politiche, oltre che dei programmi (Barca, 2006; Viesti, 2009) e degli strumenti di progettazione (Cersosimo, Wolleb, 2006) ma raramente ci si è interrogati sugli impatti di queste politiche e dei relativi strumenti sugli stili amministrativi e di policy, sull’efficacia dei percorsi di adattamento intrapresi a livello regionale, sulle logiche di istituzionalizzazione delle pratiche di cooperazione e, in ultima istanza, sulla sostenibilità istituzionale delle innovazioni introdotte (Fighera, 2009; Lanzalaco, 2009; Prontera 2011), senza per questo andare a legittimare quello che alcuni definirebbero lo “slittamento dei fini” (La Spina, 2007).

2. Integrazione, coesione territoriale e politiche per lo sviluppo regionale in Europa

La politica europea di sviluppo regionale, anche denominata politica di coesione, rappresenta uno dei tre assi della costruzione europea, insieme al mercato unico e all’unione monetaria. I suoi obiettivi sono definiti nell’articolo 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (ex Articolo 158 TEC) nel quale si afferma che: “per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite”. L’intervento opera principalmente attraverso fondi destinati a promuovere lo sviluppo a livello locale. L’allocazione dei fondi segue regole e procedure comuni ma viene declinato in programmi pluriennali che operano a scala regionale, inter-regionale o settoriale. La politica di coesione dell’Unione Europea ha una storia relativamente breve. Probabilmente perché è la sua ragione d’essere che emerge come problematica rilevante solo di recente. Ad eccezione del nostro Paese, infatti, non si registravano al momento dell’istituzione della Comunità Economica Europea rilevanti squilibri all’interno degli stati membri, fra le diverse regioni. Non era ritenuto utile un intervento comunitario per ridurre gli squilibri fra gli indici di sviluppo, prestiti della Banca Europea degli Investimenti (BEI) e altri interventi di competenza nazionale erano considerati una risposta adeguata. A partire dalla metà degli anni Settanta, nell’ambito della complessa trattativa relativa all’ingresso del Regno Unito nella CEE, venne istituito il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, il principale strumento di finanziamento per l’attuazione della politica di coesione. All’origine della costituzione del fondo le attività restarono piuttosto marginali, e comunque subordinate alle impostazioni politiche nazionali (Tsoukalis, 1998). Negli anni ’80 aderiscono

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la Grecia e paesi iberici e le politiche comunitarie crescono d’importanza, ma l’approccio in materia di sviluppo regionale non muta. La svolta si ha con le grandi riforme della seconda metà degli anni ’80, a seguito dell’accelerazione del processo di integrazione comunitaria connessa all’Atto Unico Europeo e al conseguente «Pacchetto Delors», che interviene, oltre che sul bilancio della Comunità e sulle politiche agricole, sull’impostazione di fondo delle politiche di coesione. Due appaiono le grandi determinanti di questi cambiamenti. In primo luogo la convinzione che con l’aumentata integrazione europea, con la più veloce circolazione di persone, beni, servizi e capitali all’interno dei suoi confini possa determinarsi un’accentuazione delle disparità territoriali. Le regioni dovranno giocare un ruolo decisivo nel gestire tale processi Caciagli, 2003) Si ritiene, in linea con le teorie classiche dello sviluppo economico squilibrato che proprio in quel periodo hanno una forte ripresa con l’avviarsi dell’interessante filone della «nuova geografia economica» che in un’economia come quella europea, caratterizzata da diffuse economie di scala e da un notevole grado di imperfezione dei mercati, e composta da regioni con una collocazione geografica assai diversa e quindi con un «potenziale di mercato» raggiungibile, un aumento degli scambi possa produrre risultati di sviluppo squilibrato, con un rafforzamento delle regioni già forti e con benefici molto marginali per le regioni già deboli. Le dinamiche che si ritengono possibili sono quelle ad esempio ipotizzate nei modelli «centro-periferia» (Krugman, 1991). Commissione e stati membri ritengono necessario che il procedere dell’integrazione comunitaria debba essere accompagnato da politiche di «coesione», volte a garantire una equa ripartizione fra le regioni europee dei benefici dell’integrazione. In secondo luogo vi è la crescente importanza delle politiche di concorrenza comunitarie: affinché l’integrazione sia equa è necessario controllare e ridurre il più possibile l’azione con cui le autorità nazionali distorcono il funzionamento dei mercati a favore delle proprie imprese. La politica di coesione pur interpretando un bisogno di regolazione e proponendosi di prevenire conflitti fra aree geografiche, diviene portatrice di nuovi principi, approcci e strumenti. Le politiche regionali degli stati membri sono messe in atto, in misura assai rilevante, attraverso la concessione di aiuti di stato (incentivi agli investimenti delle imprese private; investimenti delle imprese pubbliche): è quindi necessario che vi siano regole comunitarie, comuni a tutti, perché l’obiettivo dello sviluppo delle regioni deboli sia contemperato con la tutela della concorrenza o dell’ambiente. E questo può essere ottenuto solo trasferendo progressivamente le competenze della fissazione delle regole e degli strumenti della politica di coesione dagli stati membri alla Commissione Europea. A partire dal 1988 le dotazioni finanziarie per queste politiche si incrementano notevolmente, passando dai circa 12 miliardi di euro annui del 1989 ai 35 del 1999; dallo 0,27% del PIL europeo allo 0,46%2

2 Quest’ultima percentuale, riferita al 2000-06 include tuttavia anche le risorse per azioni strutturali nei paesi in adesione.

. Si noti che questo avviene in anni in cui le difficoltà di bilancio pubblico di molti stati membri rendono assai più difficile che in passato destinare risorse alle politiche di coesione nazionali. Una inversione di tendenza si ha però alla fine degli anni 90, con le conclusioni del vertice di Berlino, probabilmente conseguenti alla nuova posizione politica della Germania in Europa e alla sua minore disponibilità a finanziare ampiamente la spesa europea. Fra il 2000 e il 2006 la spesa annuale per le politiche regionali

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comunitarie risulta in riduzione rispetto al passato, da 32 a 29 miliardi. Nuovi meccanismi di selezione e di ammissione, i vincoli imposti con il pareggio di bilancio, finiscono per interessare anche gli investimenti della politica di coesione. Le politiche vengono declinate in programmi definiti a scala territoriale o settoriale che finiscono molto spesso per produrre risultati differenti nei diversi contesti nonostante le attività siano riconducibili a tipologie comuni e i contesti siano spesso comparabili. A partire dalla fine degli anni Ottanta la Commissione ridefinisce i suoi interventi della politica di coesione e li promuove e organizza su periodi di programmazione pluriennali, li definisce per obiettivi, stabilendo al tempo stesso i criteri per l’ammissibilità delle singole regioni ai diversi finanziamenti (Mairate, Hall 2001). I principi ispiratori di questa politica sono appunto quelli della programmazione, dell’integrazione o del partenariato orizzontale, fra attori pubblici e privati, e verticale, fra livelli di governo, della sussidiarietà e della concentrazione geografica ma anche dell’aggiuntività, del cofinanziamento con fondi nazionali e regionali e della sostenibilità, non solo ambientale. Quest’ultimo principio fa sì che gran parte delle risorse nazionali, peraltro decrescenti, sia destinato al cofinanziamento di quelle europee, mutuandone sul fronte interno le regole e gli obiettivi, introducendo importanti innovazioni anche dal punto di vista istituzionale. La politica di coesione finisce quindi per incidere significativamente sia sulla agenda che sugli strumenti di attuazione delle politiche nazionali alimentando anche il dibattito in relazione alla loro utilità o equità dal punto di vista territoriale. Circa i due terzi delle risorse comunitarie nel periodo 2000-2006 sono state indirizzate verso le regioni dell’«Obiettivo 1», cioè quelle aree3 con un reddito pro capite, calcolato a parità di potere d’acquisto, inferiore al 75% della media comunitaria. Esse comprendono vasti territori in Grecia, Spagna, Portogallo, il Mezzogiorno d’Italia, la Germania est e piccole parti di altri stati membri. Nel 2000-06 83 milioni di europei vivevano in queste regioni. Un decimo delle risorse furono invece destinate a specifiche aree, a dimensione subregionale4

3 La loro definizione geografica a scala europea corrisponde al livello NUTS 2 che corrisponde alle regioni amministrative italiane.

, ritenute ammissibili all’ «Obiettivo 2». Le finalità di questo intervento sono quelle di accompagnare territori europei in cui sono in atto processi di riconversione industriale; complessivamente coprono un’ampia estensione territoriale, con una popolazione di 68 milioni, particolarmente rilevante in Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Spagna (cfr. sempre tab. 1). Le aree Obiettivo 2, pur ricevendo un sostegno di intensità inferiore (220 euro pro capite nella media dell’Obiettivo 1 nel 2000-06, contro 41 dell’Obiettivo 2) risultavano però rilevanti, anche perché sovente esentate, a fini di sviluppo regionale, dal divieto comunitario degli aiuti di stato. Vi era inoltre un «Obiettivo 3» (interventi per la formazione), iniziative comunitarie (gestite direttamente dalla Commissione: Interreg, Equal, Leader e Urban) e soprattutto il Fondo di Coesione. Il Fondo di Coesione, introdotto come compensazione politica verso Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda al momento della trattativa su Maastricht, è importante sia per le sue dimensioni assolute (8,5% del totale), sia perché interviene non a livello di regioni ma di Stati membri, includendo quelle con un reddito pro capite inferiore al

4 La definizione delle aree ammissibili ha sempre dato adito a roventi polemiche all’interno degli Stati membri e soprattutto fra Stati membri e Commissione, producendo come risultato una eccezionale parcellizzazione geografica dei territori ammissibili.

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90% escludendo dunque le regioni meno sviluppate degli stati più ricchi. Nel 2007 – 2013 tali aree assumono una nuova denominazione, Obiettivo Convergenza, Competitività e Cooperazione, ma non mutano in modo significativo gli obiettivi e i principi di riferimento della policy.

3. Dagli obiettivi territoriali ai risultati delle policies

Non è questa la sede per valutare l’efficacia della politica di coesione in Europa o nel nostro Paese o in specifiche aree regionali o di discutere del modello di sviluppo sotteso alle politiche comunitarie. Appare importante però ai nostri fini tracciare un quadro di riferimento utile ad interpretare le dinamiche che interessano i sistemi politici e amministrativi a livello regionale e locale. Sin dall’istituzione del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) nel 1975, oggi principale strumento di attuazione della politica in questione, i divari di sviluppo regionali sono stati misurati in termini di PIL pro capite. La convergenza nei livelli di reddito tra regioni in termini di PIL è divenuta l’unico metro per valutare l’efficacia degli interventi, oltre che individuare territori obiettivo. Gli obiettivi più generali del Trattato, ovvero di: “promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione” (Art. 174) o di perseguire uno “sviluppo sostenibile” (Art. 2), raramente trovano spazio nelle analisi e valutazioni (Baker, Kousi, Richardson, Young, 1997; La Camera, 2003; Fighera, 2009). Solo recentemente sono stati sviluppati metodi e strumenti di valutazione orientati a misurare il benessere delle comunità, la sostenibilità del modello di sviluppo o la vulnerabilità dei territori rispetto a sfide e fenomeni globali come la globalizzazione economica, il cambiamento climatico, o le evoluzioni demografiche (Fighera, Manti, 2012; Prontera, 2012). L’utilizzo e lo sviluppo di strumenti e metodi valutativi integrati e innovativi non ha ancora scalfito il dominio dell’indice sintetico legato alla produzione e ai consumi. Se, da una parte, l’uso del PIL pro capite ha il limite di cogliere solo in misura parziale le varie dimensioni del benessere economico e sociale, e quindi di rappresentare imperfettamente i differenziali regionali di qualità della vita, di qualità dell’ambiente o della democrazia, dall’altra, questo indicatore continua a fornire informazioni sintetiche rilevanti a livello regionale superando alcuni limiti di comparabilità che invece caratterizzano ancora gli altri strumenti. La considerazione dei temi connessi ad uno sviluppo maggiormente sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, da perseguire attraverso un miglioramento dei processi di governance, trova ormai da tempo riscontro nei documenti di indirizzo strategico in ambito europeo e internazionale (Lafferty,1995; La Camera, 2003; Fighera, 2008; 2009). Negli Orientamenti Strategici Comuni pubblicati dalla Commissione Europea nel marzo del 2012 per dare impulso al ciclo di programmazione 2014-2020 si legge: “Le grandi sfide della società che si aprono davanti all'Unione europea di oggi, globalizzazione, cambiamento demografico, degrado ambientale, immigrazione, cambiamenti climatici e energia, conseguenze economiche e sociali della crisi, avranno diversi impatti nelle diverse regioni. La capacità degli Stati membri e delle regioni di realizzare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dipende dal loro specifico potenziale di sviluppo, dai loro asset in termini di capitale umano, fisico e naturale, dalla conoscenza, dalle istituzioni e dalle reti. Questo a sua volta richiede che i programmi riflettano la diversità delle regioni europee, in termini di occupazione, di caratteristiche del mercato del lavoro, dei modelli di pendolarismo, del

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cambiamento demografico, delle caratteristiche culturali e del paesaggio, della vulnerabilità al cambiamento climatico, dell’uso del suolo e dei vincoli naturali, delle intese istituzionali e di governance, dell'accessibilità e dei collegamenti tra le aree rurali e urbane. Gli Stati membri e le regioni devono pertanto tener conto di tali elementi nella definizione dei Contratti di partenariato e dei programmi”5

Le politiche di coesione rappresentano in molti contesti il principale strumento per il raggiungimento degli obiettivi delle strategie europee di sviluppo e la definizione del modello europeo di società (Viesti, Prota, 2006). Sono il veicolo attraverso cui elaborare e declinare i paradigmi alla base della Strategia di Lisbona, Goteborg e oggi Europa 2020. Rappresenta l’espressione della solidarietà dell’Unione con i suoi Paesi e Regioni meno favorite. Opera attraverso strumenti programmatici nazionali, regionali e inter-regionali per sostenere lo sviluppo sostenibile dei territori in modo diversificato nelle diverse regioni. Gli interventi per la coesione rappresentano anche una leva per introdurre nuovi principi, strumenti e modalità operative nelle prassi nazionali e regionali. Oltre a rappresentare un importante sostegno finanziario per molti Stati membri in particolare in alcuni settori strategici come quello ambientale o della ricerca, rappresenta una importante leva per introdurre principi, strumenti tecnici e gestionali e modalità operative.

.

Il primo quesito che solitamente ci si pone quando si discute degli interventi per lo sviluppo o la coesione è relativo alla loro efficacia. I dati più recenti sugli andamenti regionali in Europa, relativi agli anni ’90, mostrano che nell’insieme le disparità fra le regioni si riducono lievemente: non a caso la popolazione inclusa nell’Obiettivo 1 si riduce di circa 10 milioni fra 1994-99 e 2000-06. Ma questo è frutto di andamenti differenziati: diminuiscono le disparità fra gli stati membri, con i paesi meno ricchi che crescono più velocemente dei paesi più ricchi, ma aumentano le disparità all’interno degli stati membri, con le regioni meno ricche che crescono più lentamente delle regioni più ricche. L’esperienza dei paesi della coesione sembra confermare l’ipotesi che le prime fasi del processo di convergenza siano caratterizzate dall’esistenza di un possibile trade-off fra convergenza a livello nazionale e convergenza fra regioni. Ma cosa sarebbe accaduto in assenza di una politica di coesione non è facile a dirsi, nonostante la diffusione e lo sviluppo di metodologie di valutazione sempre più sofisticate. La Commissione Europea ritiene che gli interventi abbiano un impatto positivo sul processo di convergenza, anche se con risultati non omogenei6. In letteratura tuttavia si rinvengono valutazioni contrastanti. Una posizione fortemente critica è, ad esempio, quella di Boldrin e Canova (2001), i quali sostengono che il principale effetto dell’azione dei Fondi Strutturali sia stato quello di ridistribuire risorse; negativo è anche il giudizio contenuto in alcuni lavori di Martin (1999). Una serie di altri studi ha, invece, dimostrato che i Fondi Strutturali hanno dato un notevole contributo alla crescita economica delle aree più povere dell’Unione7

5 Cfr. Elements for a Common Strategic Framework 2014 to 2020 the European Regional Development Fund the European Social Fund, the Cohesion Fund, the European Agricultural Fund for Rural Development and the European Maritime and Fisheries Fund, COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT, Brussels, 14.3.2012 SWD(2012) 61 final.

enfatizzando il contribuito fornito per evitare che l’obiettivo dello sviluppo regionale

6 Per approfondimenti si vedano le Relazioni sulla coesione economica, sociale e territoriale – CE, l’ottava è stata pubblicata nel 2013. 7 Fra gli altri ricordiamo Beutel (2002 e 1995), de la Fuente, Vives (1995), Mauro, Spilimbergo (2001), Christodoulakis. Kalyvitis (2000 e 1998) e Roeger (1996).

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confliggesse con quello della tutela della concorrenza, trasformandosi ad esempio in una guerra a colpi di incentivi fra stati e regioni per attrarre investimenti dall’esterno; ha consentito inoltre il diffondersi di «buone pratiche» nell’attuazione degli interventi, il diffondersi della cultura della programmazione, del monitoraggio e della programmazione degli interventi, con ricadute positive sull’efficacia dell’attività ordinaria delle pubbliche amministrazioni, a cominciare dall’Italia8

Nel periodo di programmazione 2007-2013, una parte rilevante del bilancio comunitario, circa il 36 per cento, pari a 347 miliardi di euro, è destinata alle finalità delle politiche di coesione. La maggior parte dei fondi è stata destinata alle regioni più svantaggiate dell’Unione, ora definite Obiettivo Convergenza. Sebbene corrisponda a una quota ridotta del prodotto dell’UE (0,38 per cento del RNL), finanzia una parte importante delle politiche di investimento pubblico nelle regioni e negli Stati Membri meno sviluppati dell’Unione.

, finendo per rappresentare una delle leve attraverso cui si sedimentano riforme dei sistemi amministrativi a livello centrale e locale.

Recentemente il Parlamento europeo, nella seduta plenaria del 3 luglio 2013, ha approvato con una Risoluzione l'accordo politico relativo al quadro finanziario pluriennale 2014-2020, confermando l’accordo raggiunto il 27 giugno che prevedeva una riduzione relativa del peso della politica di coesione nel bilancio comunitario. Il Quadro Finanziario Pluriennale dell’Europa per il periodo 2014-2020 avrà una disponibilità complessiva di 960 miliardi di euro, con un ammontare totale delle risorse destinate alla politica di coesione pari a 325 miliardi, pari a circa il 33% del bilancio. Il negoziato appare più conflittuale rispetto al passato, la crisi economica e le dinamiche politiche hanno alimentato quel dissenso che si andava già da tempo aggregando attorno alla politica di coesione. Anche attorno ai nuovi strumenti proposti per migliorare la selettività e qualità degli interventi, a livello nazionale, si è generato un dibattito ancora in corso. Considerato il crescente peso che la politica regionale comunitaria ha acquisito nel bilancio dell’Unione a partire dagli anni Settanta, numerosi studi hanno tentato di valutarne il contributo in termini di crescita economica. Altri hanno tentato di approfondire il ruolo dei governi locali (Piattoni, 1999; Messina, 2001; 2005) in tale politica nel più ampio e complesso processo di europeizzazione (Profeti, 2006), altri ancora dal punto di vista del processo di policy comunitario (Morata, 2002). Nonostante le analisi e le valutazioni, dopo più di trent’anni d’intervento europeo, l’evidenza empirica rispetto all’efficacia rimane ancora confusa, contraddittoria e discussa, anche in Italia (Rossi, 2005; Barca, 2006, Viesti, 2009). Complessivamente, le indagini empiriche non producono conclusioni unanimi, sull’impatto della politica. I risultati sembrano dipendere fortemente dal modello di analisi, dalle tecniche di valutazione o dal set di informazioni e parametri di misurazione. Il periodo di riferimento, la scala di osservazione, finiscono per incidere significativamente sui risultati delle analisi. Inoltre, i limiti nella disponibilità di dati specifici e comparabili tra Paesi non ha consentito l’applicazione dei più recenti metodi di analisi e valutazione comparata. Alcuni studi econometrici mostrano un impatto positivo e significativo sulla crescita e sulla convergenza tra aree regionali (de la Fuente, Vives, 1995; Cappelen et al., 2003; Beugelsdijk, Eijffinger, 2005; Mohl, Hagen, 2010); altri studi riscontrano un’efficacia condizionata, ad esempio, dalla qualità delle istituzioni (Ederveen et al., 2006); altre ancora stimano un effetto statisticamente non significativo o addirittura negativo (Fagerberg e Verspagen,

8 Si veda ad esempio Viesti (2001).

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1996; Boldrin e Canova, 2001; Dall’erba e Le Gallo, 2008). Le contrastanti conclusioni dipendono oltre che dalla limitata disponibilità e comparabilità delle informazioni di base a livello territoriale a scala europea, dalla difficoltà di isolare l’impatto della Politica regionale da quello di altri fenomeni e fattori esterni. In questa sede particolarmente interessanti appaiono quei contributi che considerano la variabile delle istituzioni per interpretare le differenze degli interventi della politica di coesione (Ederveen et al., 2006). Attraverso un modello dinamico con dati riferiti al periodo 1960-1995 per 13 Paesi dell’Unione europea questi studi hanno verificato l’efficacia degli interventi condizionatamente alla qualità delle istituzioni, quest’ultima misurata con indicatori sulla corruzione, sull’inflazione e sull’apertura del mercato. Lo studio evidenzia che l’impatto dei Fondi Strutturali sulla crescita economica risulta positivo e significativo quando la qualità delle istituzioni viene esplicitamente presa in considerazione nella definizione degli interventi: economie con una buona qualità delle istituzioni traggono beneficio dalla politica di coesione. Analogamente, Bähr (2008), utilizzando dati panel per un campione di 13 Stati Membri riferito al periodo 1975-1995, mostra che una maggiore autonomia dei livelli sub-nazionali di governo accresce l’efficacia della Politica regionale europea. Le istituzioni sono considerate principalmente sotto il profilo della componente strutturale e i risultati delle politiche svengono valutati ancora solo esclusivamente in relazione alla variazione di alcuni indici economici ma appare interessante notare che, comunque si voglia misurare lo sviluppo o la coesione, alcune relazioni fra efficacia degli interventi, dinamiche socio-econimiche e dimensione istituzionale e organizzativa risultano all’evidenza empirica. Ulteriori studi hanno successivamente approfondito il ruolo dei governi locali nell’attuazione delle politiche di sviluppo a livello europeo evidenziando l’importanza del ruolo delle istituzioni e nello specifico la qualità della democrazia e il livello di autonomia dei governi regionali. In generale la spesa pro capite dei fondi strutturali per il periodo 2000-2006 non sembra incidere sul PIL pro capite. Se si considera però il ruolo dei governi locali i risultati forniscono indicazioni interessanti. Nelle regioni con elevata qualità dei governi locali e maggiore decentramento politico9, la spesa in fondi strutturali mostra un impatto positivo sulla crescita del reddito pro- capite. Inoltre, nel gruppo delle regioni a maggiore decentramento emerge una relazione diretta tra qualità istituzionale e crescita economica . Questo suggerisce un effetto positivo delle istituzioni non solo sulla capacità di attuazione degli interventi ma anche sulla crescita economica10

Il tema della partecipazione dei governi nazionali, regionali e sub-regionali alle politiche comunitarie è stato oggetto di diversi studi anche attraverso altri punti di vista e approcci analitici (Le Galès, 1998). Gli studi sull’europeizzazione tuttavia troppo spesso si sono concentrati sul tema della mobilitazione regionale (Bolgherini, 2006) e quelli sui modelli

.

9 Per approfondimenti sulla qualità dei governi regionali in Europa si veda Regional Governance Matters: A Study on Regional Variation in Quality of Government within the EU di Charron N., Lapuente V., Dijkstrasui L., WP Regional Policy 01/2012 CE. Per approfodniemnti sul metodi valutazione del livello di autonomia si veda Liesbet Hooghe, Gary Marks, Arjan H. Schakel. 2010. The Rise of Regional Authority: a comparative study of 42 democracies (1950-2006), London: Routledge. Sulle modalità di verifica della qualità dei governi si veda "Measuring the quality of government and subnational variation " Report for the European Commission Directorate-General Regional Policy Directorate Policy Development - University of Gothenburg Sweden – 2010. 10 Per approfondimenti si veda Filippetti A., Reggi L., Un buon governo (locale) per i fondi strutturali, La voceinfo, 11.12.2012.

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organizzativi, sull’osservazione delle capacità di spesa. Raramente nelle analisi si riesce a ricomporre in un quadro organico il rapporto fra la politica e le politiche e fra queste e le dinamiche di sviluppo a livello territoriale.

4. La declinazione delle politiche in Italia

In Italia i fondi strutturali rappresentano oramai il principale strumento di attuazione della politica europea e nazionale di coesione (Morata, 2002). Non rappresentano solo una fonte di finanziamento rilevante per le politiche di sviluppo11 ma anche la principale leva per introdurre strumenti, approcci e modalità organizzative innovative, come diversi studi hanno già avuto modo di evidenziare (Viesti, 2001; Viesti, Prota, 2003; Gualini, 2006; Fargion et al. 2006; Giannelli, Profeti, 2006; La Spina, 2007; Profeti, 2007), anche se troppo spesso tali risorse trovano declinazioni poco coerenti con gli obiettivi e i principi di riferimento in particolare in alcune aree del paese12

Attualmente è in corso il negoziato per la definizione delle regole e del quadro di obiettivi strategici del nuovo ciclo di programmazione che sembrerebbe attribuire alle questioni legate alla capacità istituzionale e di governance un rilievo strategico. Nell’ambito dell’impostazione del quadro strategico a livello europeo, uno degli obiettivi tematici, da perseguire con azioni dirette dei fondi strutturali si riferisce al miglioramento dei processi decisionali. L’obiettivo tematico 11 è finalizzato infatti a “rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente” (cfr. art. 9 proposta di Regolamento Generale sui Fondi Strutturali - CE) considerata quindi non più come azione strumentale per l’efficacia degli interventi, ma come un obiettivo e una condizione propedeutica ai processi di sviluppo. Il nuovo quadro regolamentare introduce innovazioni interessanti che sarà interessante osservare nella traduzione operativa, attraverso un insieme di meccanismi tecnici e istituzionali orientati al miglioramento dei processi decisionali in tutte le diverse fasi. Il nuovo quadro programmatico per il periodo 2014-2020 prevede l’individuazione di obiettivi tematici attorno ai quali allocare risorse, progettare e valutare gli interventi in modo inclusivo e integrato; vengono introdotti meccanismi di condizionalità ex-ante, generali e tematiche, precondizioni istituzionali ed organizzative per l’efficacia degli interventi; vengono rafforzati alcuni vincoli di destinazione delle risorse su specifiche priorità ritenute strategiche a seconda delle differenti tipologie di contesti territoriali; si riconosce nuovamente l’importanza dell’approccio multi-fondo per favorire sinergie fra i diversi settori, favorire il coordinamento e evitare duplicazioni (Fighera, Manti, 2012)

.

13. Gli indirizzi europei non si limitano più a delimitare l’ambito di intervento ma sembrano prefigurare nuovi equilibri nei rapporti fra i livelli di governo14

11 Cfr. Cannari L., Magnani M., Pellegrini G., Quali politiche per il Sud? Il ruolo delle politiche nazionali e regionali nell’ultimo decennio, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) n. 50 - 2009.

.

12 Rapporto SVIMEZ 2012. 13 Cfr. Elements for a Common Strategic Framework 2014 to 2020 Commission staff Working Document - 14.3.2012. 14 Cfr. Position of the Commission Services on the development of Partnership Agreement and programmes in ITALY for the period 2014-2020, nota Ares(2012)1326063 - 09/11/2012.

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11

A livello nazionale, maggiore importanza sembra essere attribuita ai risultati intesi come obiettivi di sviluppo da monitorare e non di mera attuazione, misurabili attraverso parametri individuati in fase ex-ante; si rafforza la cooperazione inter-istituzionale attraverso una regia maggiormente incisiva del livello centrale, in particolare in alcuni settori, e si promuove una declinazione territoriale delle politiche, attraverso un approccio definito “place based”15

L’analisi dei dati relativi al negoziato in corso per il periodo 2014-2020 (tabella 1), congiuntamente con l’osservazione dei dati storici relativi alla spesa in conto capitale (tabella 2, tabella 3), aiuta a comprendere la rilevanza di tali interventi nel nostro Paese e a sfatare alcuni miti che accompagnano il dibattito attorno ai rapporti fra aree geografiche del Paese. Allo stato attuale del negoziato, le tradizionali pressioni dell’Inghilterra hanno trovato sostegno nelle opposizioni di Germania e altri Stati membri, determinando una riduzione in termini assoluti delle risorse assegnate per la coesione. Per l’Italia sembra comunque prefigurarsi un incremento delle risorse in termini assoluti, con una differente allocazione fra obiettivi comunitari e diverse aree territoriali del Paese.

. Le regioni nel loro insieme rischiano di vedere rimesso in discussione il loro ambito di azione da un livello europeo più attento alle valutazioni e ai controlli, da un azione centrale più ingerente rispetto al passato e dal protagonismo di coalizioni inter-istituzionali che operano a livello territoriale.

Tabella 1. Risorse delle politiche di coesione nel bilancio comunitario (miliardi di euro)

Bilancio 2007-2013*

Compromesso 2014-2020

Differenze bilancio (%)

Totale Politiche di coesione 347,4 325,1 - 6,41%

Italia 28,8 29.6 +2,69%

Totale Regioni meno sviluppate 21,6 20,5 -5,05%

Totale Regioni in transizione 1,3 1 -23,53%

Totale Regioni più sviluppate 4,9 6.9 +39,89%

Totale Cooperazione Territoriale Europea 0,8 1 +23,57%

* Le categorie di Regioni sono state aggiornate agli insiemi previsti nel nuovo quadro 2014-2020 ** Sono inclusi circa 531,8 Meuro di dotazione FSE per lo Youth Employment Initiative (YEI)

Fonte: Commissione Europea e DPS (negoziato 2014-2020) I circa 30 miliardi di euro che nei prossimi sette anni saranno destinati all’Italia per la coesione rappresentano più o meno il 10% del totale della spesa prevista in conto capitale nel nostro paese nello stesso periodo di riferimento. La spesa in conto capitale per il prossimo triennio lascia prefigurare una variazione del peso relativo degli interventi della politica europea e degli equilibri consolidati a livello nazionale. Tali risorse nelle regioni più sviluppate saranno trasferite principalmente attraverso interventi nazionali, nelle Regioni del Mezzogiorno deriveranno principalmente dalle politiche di coesione.

15 Cfr. Metodi e obiettivi per un uso efficace delle risorse dei fondi comunitari 2014-2020 – Ministero per la coesione territoriale – 27.12.2012.

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12

Tabella 2. Spesa in conto capitale (miliardi di euro)

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Tot. Italia 47,1 52,1 56,3 59,4 58,6 59,3 61,1 63 59,4 63,4 52,4 52,5 48,5 56,2 46,3 46,9

Tot. Mezzogiorno 18,3 21 38,5 21,8 21,2 21,6 22,6 21,9 20,2 22,3 17,4 18,1 17,4 20,3 19,7 21,4

% Mez. su tot. Italia 38,9 40,3 68,4 36,7 36,2 36,4 37,0 34,8 34,0 35,2 33,2 34,5 35,9 36,1 42,5 45,6

Tabella 3. Risorse comunitarie dei fondi strutturali16

(miliardi di euro)

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Tot. Italia 6,3 9,3 4,7 7,4 8,1 8,5 8,3 9 7,9 6,3 5,2 7,3 6,2 8,5 11,6 15,5

Tot. Mezzogiorno 4,2 7,5 3,9 5,3 6 6,2 6,3 7,1 6,4 4,5 3,3 5,1 4 6,1 8,8 11,9

% Mez. su tot. Italia 66,7 80,6 83,0 71,6 74,1 72,9 75,9 78,9 81,0 71,4 63,5 69,9 64,5 71,8 75,9 76,8

Fonte: DPS su fonti varie (Rapporto annuale 2012 - CPT)

Dal punto di vista quantitativo, come si evince dai dati riportati nelle tabelle precedenti, le allocazioni finanziarie derivanti dalla politica di coesione hanno assunto un crescente peso rispetto al totale della spesa in conto capitale, in particolare in determinate aree del Paese: nel Mezzogiorno si assiste ad un incremento dell’importanza relativa di tali risorse che nel 2015 si prevede supereranno le risorse ordinarie nazionali trasferite alle regioni del sud. Figura 1 Peso dei fondi strutturali sulla spesa in conto capitale

Fonte: nostre elaborazioni su dati DPS 2012 - CPT

16 I dati si riferiscono al finanziamento UE e alla quota di cofinanziamento nazionale.

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016

Italia

Mezzogiorno

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Tali considerazioni appaiono dal nostro punto di vista interessanti perché oltre a sfatare alcuni miti, aiutano a spiegare non solo alcune delle dinamiche economiche legate ai processi di implementazione delle politiche di sviluppo dei territori, ma consentono di interpretare meglio alcune delle distorsioni rilevate in fase di attuazione. La riduzione dei trasferimenti ordinari e la loro sostituzione attraverso risorse comunitarie, mina il principio di addizionalità e rende spesso inefficaci gli interventi ordinari che, se finanziati dalla politica di coesione sono costretti a vincoli e regole di gestione che spesso ne allungano i tempi di realizzazione. Gli interventi aggiuntivi a sostegno dello sviluppo finiscono per restare troppo episodici e frammentati. Se la politica di coesione è utilizzata per la costruzione dei servizi di base, come ad esempio le reti fognarie o il sistema della depurazione, è difficile che sia in grado di determinare risultati misurabili in termini di obiettivi di sviluppo nell’ambito di strategie di più ampio respiro. Non è quindi solo un problema di coerente individuazione degli obiettivi e di meccanismi di selezione degli interventi ma di coerenza delle azioni con i paradigmi di riferimento e di interpretazione dei risultati, che non potranno essere valutati in assoluto. Nel panorama europeo l’Italia si è spesso distinta più per i ritardi e per alcune rilevanti criticità nell’attuazione degli interventi dei programmi operativi dei fondi strutturali che per pratiche innovative. Il nostro Paese è in forte ritardo nell’attuazione dei programmi regionali che attuano il Quadro Strategico Nazionale per il periodo 2007- 2013 come dimostrano i grafici di seguito riportati di recente divulgati dal Ministero per la coesione territoriale. Figura 2 Attuazione politica di coesione nelle Regioni italiane dell’Obiettivo Convergenza (Fonte dati DPS al 31.05.2013)

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Figura 3 Attuazione politica di coesione nelle Regioni italiane dell’Obiettivo Competitività (Fonte dati DPS al 31.05.2013)

Sono soprattutto le Regioni del Mezzogiorno, nelle quali si concentra la maggior parte delle risorse, quelle che presentano difficoltà più rilevanti, in particolare in alcuni settori strategici, ma la situazione appare più complessa e articolata di quanto si è soliti immaginare. È proprio in alcuni di quei contesti che tradizionalmente facevano registrare stili decisionali, pratiche amministrative e gestionali, incompatibili con gli approcci introdotti dalle politiche di coesione che è possibile rilevare i più interessanti elementi di discontinuità rispetto al passato, sia rispetto a pratiche e esperienze innovative (Manti, Fighera, 2012), sia rispetto agli indici utilizzati dal sistema di valutazione nazionale (DPS - Strategic report 2012). La situazione appare molto più complessa e articolata di quella duale resa nota dalle ricerche condotte sul rendimento istituzionale (Putnam et al., 1993) o periodicamente riportata dagli organi di informazione17

Il quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 (QSN) in Italia è stato declinato in priorità strategiche che hanno informato i programmi regionali, nazionali e inter-regionali. Il quadro che emerge dalla lettura complessiva dei 16 indicatori di sintesi dei risultati attesi selezionati dal sistema nazionale di valutazione, evidenzia come i Programmi di intervento del 2007-2013, avviati a partire da situazioni iniziali profondamente diversificate, a seconda del contesto e della linea di policy, manifestino diverse velocità nell’avvicinamento ai target fissati in partenza. Nel complesso è da notare come l’andamento di molti indicatori, anche se muove nella direzione attesa, presenta avanzamenti spesso al di sotto di quanto fosse stato

.

17 Si veda per approfondimenti Commissione Europea - Working papers n° 01/2010 : The economy of the Italian regions: recent developments and responses to the economic crisis.

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previsto per il 2013(Fighera, Manti, 2012). Le motivazioni variano tra gli ambiti di policy e tra contesti territoriali anche se è possibile individuare alcune invarianti. Al di la delle differenti performance, in termini di attuazione o di risultati conseguiti, anche in Italia le regioni hanno progressivamente assunto un ruolo centrale nella politica di coesione, dalla fase di programmazione a quella di attuazione, fino alla valutazione. Secondo la Commissione europea, le regioni devono assumere sempre di più il ruolo di comprimari della politica di coesione: affinché l’impatto della politica abbia effetto è necessario il pieno coinvolgimento dei governi locali per ritagliare l’intervento di policy a misura del territorio. Il governo della politica di coesione in Italia si basa su un sistema multilivello in cui un ruolo importante viene giocato non solo dalle regioni ma anche dal governo centrale e relative strutture amministrative: il Dipartimento per le Politiche di sviluppo, con un incardinamento poco stabile nei differenti Ministeri (Economia e finanze, Sviluppo economico, Economia e Coesione Territoriale), il Dipartimento per la Funzione Pubblica, il Ministero del Lavoro per il fondo sociale e quello delle Politiche agricole per i fondi per lo sviluppo rurale da sempre giocano un ruolo di rilievo nell’attuazione delle politiche europee nelle regioni e altre deleghe attribuite a dipartimenti del Ministero degli affari regionali o della Presidenza del consiglio dei Ministri. Recentemente, per fare fronte alle difficoltà di attuazione, il Ministero per la coesione territoriale ha lanciato il “Piano di azione coesione” per concentrare e accelerare la spesa dei fondi, attraverso un forte coordinamento nazionale ed evitare di dover restituire le risorse assegnate al nostro paese dall’Europa. Si tratta di un operazione che ha ridotto di circa un terzo le risorse a diretta disponibilità delle regioni del Mezzogiorno, con l’obiettivo di investirle comunque nei territori, attraverso progetti concertati con le regioni aderenti al piano. Si è trattato di una innovazione rilevante nella governance dei fondi che ha messo in discussione gli equilibri consolidati fra amministrazioni regionali e centrali (Diamanti, 2003; Righettini, 2009). Un soggetto politico e amministrativo centrale assume un ruolo di leadership istituzionale: Il Ministero per la coesione territoriale attraverso le sue strutture tecniche non fornisce più solo indirizzi, non si limita a valutare e vigilare sull’attuazione degli interventi, ma ne diviene programmatore e diretto gestore. La recente costituzione dell’Agenzia per la coesione territoriale istituzionalizza una serie di ruoli e funzioni fino ad ora svolte da una rete di attori diversi, operante ai diversi livelli di governo. L’istituzione di una agenzia con un mandato forte per la regia delle politiche di sviluppo e coesione nasce da un’idea del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca che, prima di assumere l’incarico, era stato chiamato dalla Commissione Europea a redigere uno studio per la valutazione e revisione delle politiche di sviluppo regionale nell’ambito del quale ha proposto una concettualizzazione dei possibili modelli di intervento pubblico per promuovere lo sviluppo18

18 Si veda Barca F., An Agenda for a Reformed Cohesion Policy A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations

. Tra questi identifica un modello di policy che definisce “rivolto ai luoghi”, basato essenzialmente su tre ipotesi: le conoscenze necessarie all’attivazione dei processi di sviluppo non pre-esistono alle politiche, ma si generano nell’ambito del processo di definizione e attuazione; le conoscenze locali devono essere integrate e fertilizzate da conoscenze e risorse esterne al contesto; le élite locali possono rappresentare il principale

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ostacolo al dispiegamento delle potenzialità di sviluppo di alcuni territori. Da questo punto di vista, una politica di sviluppo “rivolta ai luoghi” dovrà promuovere assetti istituzionali, progetti e investimenti integrati, relazioni a rete con altri luoghi, attraverso una interazione tra attori e processi esogeni ed endogeni che siano in grado di destabilizzare gli equilibri economici e sociali e insieme di accompagnare questa rottura degli equilibri consolidati. Secondo tale impostazione una politica di sviluppo “rivolta ai luoghi” richiede una forte capacità di coordinamento, di integrazione, di monitoraggio e controllo, sia da parte degli attori locali sia centrali, un robusto partenariato socio-economico disposto a rischiare, un orientamento all’innovazione delle istituzioni e delle élite locali, una capacità di progettazione di politiche e investimenti capaci di mettere in rete risorse endogene ed esogene, un forte orientamento alla capitalizzazione dei processi di capacity building e di apprendimento locale. Una politica efficace di questo genere ha bisogno di molto “locale” e di molto “extra-locale”, di molta capacità istituzionale e manageriale e di molta mobilitazione delle risorse sociali e cognitive. Poco dopo Barca è stato chiamato ad un incarico politico In questa prospettiva l’esperienza delle forme di cooperazione inter-istituzionale realizzate nell'ambito dell'attuazione delle politiche di coesione in Puglia rappresenta una buona cartina di tornasole delle difficoltà oggettive di una politica di sviluppo fondata sui fabbisogni dei territori. Poco dopo queste considerazioni Barca è stato chiamato a svolgere le funzioni del Ministro per la Coesione Territoriale dando vita ad una interessante esperienza di riprogrammazione delle risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno, che ha confermato come il collegamento con il passato, pur rivestendo un importanza cruciale per interpretare i risultati osservati nelle Regioni rispetto alle sfide poste dalla politica di coesione, solo in parte riesce a spiegare le dinamiche in corso in particolare in alcune aree del Mezzogiorno di Italia. Altre variabili sembrano giocare un ruolo importate nei diversi contesti e dovranno trovare spazio nelle analisi per una lettura coerente dell’esperienze.

5. Innovazioni istituzionali e organizzative nel Mezzogiorno e in Puglia

Anche in Italia, al di là dei risultati conseguiti, la politica di coesione ha esercitato una forte pressione sui cambiamenti istituzionali e organizzativi contribuendo a ridefinire gli equilibri fra centro e periferia e contribuendo a portare alla ribalta il ruolo dei governi regionali e sub-regionali (Faraoni, 2004). Per mezzo di tali interventi è stata sollecitata l’adozione di modalità organizzative e stili decisionali innovativi, spesso estranei alle prassi consolidate in particolare in determinate aree del nostro Paese (Profeti, 2006). La Puglia tra le regioni del Mezzogiorno sembra distinguersi non solo per un miglioramento rispetto al passato nella capacità di spesa. Una serie di innovazioni politiche e amministrative sembrano produrre risultati interessanti sia sul fronte delle performance amministrative che in termini di indici economici e di sviluppo. In alcuni contesti territoriali in verità già in passato si osservava un certo dinamismo che ora finisce per interessare il sistema politico e amministrativo a livello regionale (Fighera, 2008). La struttura amministrativa viene profondamente riformata al fine di promuovere approcci integrati e multi-livello, chiarire il quadro di responsabilità e di articolazione delle competenza con le autonomie locali. Profonde innovazioni vengono introdotte a partire dal 2006 dando seguito a importanti riforme fino ad allora disattese.

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Il sistema politico e amministrativo pugliese appare più dinamico e aperto all’innovazione rispetto ad altre realtà del Mezzogiorno dove ai ritardi nell’attuazione dei programmi si affiancano ritardi nella normalizzazione dei sistemi e delle strutture istituzionali. In altri contesti del Mezzogiorno al mancato recepimento di direttive comunitarie, in alcuni settori si affianca spesso l’ assenza degli strumenti di pianificazione ordinaria. Le inefficienze nei sistemi organizzativi dedicati al monitoraggio, ai controlli, alle valutazioni anche ambientali dei programmi della politica di coesione, molto spesso rappresentano solo sintomi di problematiche più profonde e radicati nei sistemi amministrativi regionali. Altrove i modelli organizzativi appaiono più frammentati, maggiormente settoriali e gli strumenti di integrazione e valutazione vengono interpretati in modo più formale che sostanziale (De Rubertis et al., 2010; Fighera, 2010). Una prima ricostruzione dall'alto delle politiche e delle strategie messe in atto nel Mezzogiorno a partire dal 2000, rivela, per la Puglia, una attenzione maggiore, rispetto ad altri contesti, nei confronti del paradigma della sostenibilità dello sviluppo e della governance intesa come miglioramento dei processi decisionali, degli assetti istituzionali e organizzativi e della regolazione dei rapporti fra regione e enti locali19

Anche la Puglia, come tutte le regioni impegnate nella sfida della programmazione unitaria delle politiche di sviluppo, si è dotata di un documento strategico per orientare i programmi di sviluppo. Il Documento Strategico Regionale della Regione Puglia viene definito contemporaneamente al Documento Strategico per il Mezzogiorno. Oltre a esplicitare obiettivi e a definire priorità dando seguito agli indirizzi europei e nazionali, individua alcuni elementi di criticità da tenere in considerazione per la nuova programmazione delle politiche di sviluppo

. Discontinuità si rilevano a livello regionale in relazione a diversi settori di intervento: le politiche ambientali e energetiche, la pianificazione territoriale o le politiche sociali. Una importante riorganizzazione del sistema amministrativo è accompagnata dalla selezione di nuovo personale sia dirigenziale che tecnico (Fighera, 2010).

20

19 L’aggettivo sostenibile compare 26 volte all’interno del testo del DSR della Regione Puglia, andando di volta in volta a qualificare una notevole varietà di sostantivi [Fighera, 2010].

. Prendendo le mosse dai risultati del precedente periodo di programmazione e da alcuni elementi distintivi del contesto territoriale, si individuano tre obiettivi generali che, ad una prima analisi, sembrano essere strettamente correlati alla quadro strategico comunitario: rafforzare i fattori di attrattività del territorio, migliorando l’accessibilità, garantendo servizi di qualità e salvaguardando le potenzialità ambientali, promuovere l’innovazione, l’imprenditoria e lo sviluppo dell’economia della conoscenza e dell’innovazione, realizzare condizioni migliori di occupabilità, di coesione ed inclusione sociale. Per il raggiungimento degli obiettivi si richiede una rinnovata azione politica e amministrativa. Gli obiettivi individuati dalla strategia rappresentano un utile riferimento per i programmi ma non risultano definiti in modo quantitativo e tradotti in risultati da raggiungere, su cui poter impostare una valutazione delle politiche, oltre che dei programmi, capaci di orientare piani e progetti (si pensi ai programmi operativi o ai piani delle aeree vaste). Si configurano quindi come intenti che, anche se coerenti con le priorità europee e

20 In particolare si rilevava l’eccessiva frammentazione degli obiettivi progettuali, la compartimentazione e burocratizzazione degli interventi e la non adeguata capacità valutativa in fase di impostazione dei programmi.

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nazionali e con il paradigma della sostenibilità dello sviluppo o dello sviluppo locale, rischiano di non riuscire ad informare le politiche durante l'intero ciclo di policy. La centralità del ruolo del sistema politico e amministrativo risulta essere ben esplicitata nella strategia regionale di sviluppo che la definisce come una “nevralgica infrastruttura dello sviluppo” su cui occorrerà intervenire con un “massiccio e diffuso investimento formativo per rimpiazzare un’obsoleta cultura del controllo burocratico con un moderno tessuto di competenze orientate al cambiamento”. La trasparenza, l’apertura, l’efficacia dell’azione amministrativa, rappresentano i pilastri su cui si fonda la sostenibilità dei processi di sviluppo e nell’ambito della strategia regionale rappresentano un elemento da cui non si potrà prescindere per impostare il nuovo modello di sviluppo. La ridefinizione della relazione tra pubblica amministrazione regionale, sistema delle autonomie locali e sistema della cittadinanza attiva, rappresentava nella strategia regionale un fattore fondamentale su cui intervenire. Dal punto di vista delle analisi e delle proposte, la strategia regionale, coerentemente con le più recenti interpretazioni del concetto di sostenibilità (Fighera, 2009; Lanzalaco 2009), definisce il sistema politico-amministrativo fattore strategico per intervenire sul modello di sviluppo e individua il principio di integrazione (orizzontale e verticale) come principale strumento di attuazione per le politiche21. Dal punto di vista della revisione del sistema amministrativo regionale uno sforzo rilevante è stato fatto attraverso alcuni interventi legislativi sulla trasparenza e attraverso la riorganizzazione della struttura amministrativa attorno a otto macro aree che, in gran parte, coincidono con le priorità dei programmi operativi22

Dal punto di vista dell’intervento sul sistema delle autonomie locali, la strada sembra in realtà ancora tutta da percorrere e le modalità con cui la programmazione strategica di area vasta è stata interpretata, evidenzia tutti i ritardi accumulati nella costruzione della rete degli attori sul territorio e nelle capacità di coordinamento a livello regionale. I limiti in termini di capacità e competenze a disposizione del sistema amministrativo si amplificano in modo rilevante nei contesti locali.

. Alla riorganizzazione avviata, tuttavia, non sembra abbia seguito un adeguato investimento sulla formazione delle risorse umane chiamate a operare nella nuova organizzazione, limitando la capacità innovativa del modello proposto al livello apicale del sistema amministrativo. L’ambizioso progetto di riassetto complessivo della macchina amministrativa tuttavia non interesserebbe solo il livello regionale, e anche se si sviluppa a prescindere dalla programmazione comunitaria, viene pienamente integrato nell’impostazione dei programmi FESR e FSE che prevedono una serie di interventi a supporto delle amministrazioni locali, nodi di una rete che dovrebbe rispondere ai bisogni e alle domande del territorio.

21 In particolare nel DSR si legge che “gli interventi promossi nel periodo 2007-2013 devono puntare a rafforzare le sinergie potenziali tra tutela dell’ambiente e crescita economica e sociale, contribuendo ad inserire la tematica ambientale in modo orizzontale in tutte le tipologie di interventi (sia per quanto concerne gli obiettivi di tutela, risanamento e valorizzazione, sia per quanto riguarda la ricerca ed il contributo alla creazione di nuova occupazione). In tale ambito si ribadisce l’importanza dell’integrazione del fattore ambiente nelle politiche settoriali di sviluppo economico e sociale, in modo da realizzare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, così come indicato dal Consiglio europeo di Goteborg”. 22 Il progetto GAIA, avviato con l’approvazione del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 161 del 22/02/2008 si è posto l’obiettivo di riformare le modalità organizzative a livello regionale.

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Nonostante alcune criticità, la Puglia nell’ambito delle regioni italiane in ritardo di sviluppo rappresenta un caso studio molto interessante per differenti motivi. Dal punto di vista dei processi decisionali si è caratterizzata come una delle realtà più aperte alla sperimentazione e all’introduzione di pratiche e strumenti innovativi, in particolare in alcuni ambiti di policy (Fighera, 2007; 2010; Fughera, Manti, 2012). Nell’ambito dell’impostazione delle politiche di sviluppo, si distingue come una delle regioni in cui maggiori sono state le occasioni di coinvolgimento e di partecipazione per la definizione e valutazione dei programmi. Inoltre la regione si segnala per l’andamento positivo di alcuni indicatori economici di crescita e di sviluppo e anche dal punto di vista dell’attivazione e della rappresentanza, sembra fornire interessanti spunti di riflessione. In ambito nazionale e europeo, all’interno delle Regioni italiane in ritardo di sviluppo, viene considerata come una delle realtà più dinamiche e delle più capaci di dare attuazione alle previsioni programmatiche, segnalandosi come un punto di riferimento rispetto a tematiche e sfide di portata globale come ad esempio quella del cambiamento climatico o della gestione dei fenomeni di migrazione e inclusione sociale23

Anche se l’azione di governo delle politiche di sviluppo sembrerebbe articolarsi introducendo forme innovative di governance, l'osservazione a un livello di analisi di maggior dettaglio o di differente scala del caso pugliese suggerisce una situazione più complessa in cui all'interno della stessa esperienza convivono logiche, modelli e veri e propri paradigmi di riferimento differenti (Fighera, 2010) e in cui la natura esogena degli obiettivi rischia di delegittimare il processo di innovazione istituzionale e organizzativo.

.

6. Cooperazione inter-istituzionale e territorializzazione degli interventi: continuità e discontinuità

L'azione pubblica locale è la risultante di iniziative di cooperazione e di coordinamento tra una molteplicità di attori politici, economici e sociali (Bertrand; Moquay, 2004). Gli attori operano attraverso reti più o meno formalizzate che si costruiscono attraverso fenomeni di prossimità cognitiva, sociale, organizzativa, istituzionale (Boschma, 2005) che finiscono per formano la struttura portante per la realizzazione di progetti di sviluppo del territorio (De Rubertis et al, in stampa). Le reti istituzionali operano principalmente attraverso forme di cooperazione che interessano due ambiti di intervento pubblico. Il primo concerne la pianificazione di settore e la gestione di servizi e funzioni in forma associata. In questo caso gli attori operano alla medesima scala o nel medesimo settore. Il secondo riguarda le attività di programmazione a sostegno dello sviluppo territoriale (Meadowcroft, 1997; Bobbio, 2000; Pichierri, 2005; Salone, 2010). Si tratta di esperienze che, oltre a fondarsi su forme di collaborazione fra organizzazioni operanti alla medesima scala, si inseriscono in contesti di policy multilivello, richiedono approcci inter-settoriali e forme di collaborazione fra soggetti pubblici e privati (Messina, 2005; Donolo, 2005). In questo caso le coalizioni risultano meno stabili e le pratiche, in particolare nel Mezzogiorno, si inseriscono principalmente nel contesto delle politiche europee per lo sviluppo regionale e rurale.

23 Cfr. Intervista n. 1; n. 2; n. 6; n. 7.

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Diverse analisi sono state condotte nel tentativo di comprendere l'efficacia delle politiche (Barca, 2006; Viesti, 2009) e degli strumenti (Cersosimo, Wolleb, 2006) ma raramente ci si è interrogati sulle modalità di selezione degli obiettivi e sull’effettivo contributo di queste pratiche alla sostenibilità del modello di sviluppo (Pizzimenti, 2008; Fighera, 2008; Lanzalaco, 2009). In tale prospettiva, l’osservazione delle esperienze di cooperazione non potrà prescindere da approfondimenti che, oltre ad interessare gli obiettivi delle policy, le modalità di rappresentazione e selezione delle domande sociali, si interroghino sulle logiche di istituzionalizzazione di tali innovazioni (Lanzalaco, 1995; 1998; 2009; La Spina, 2007). La ricerca in corso, oltre a ricostruire una mappa delle principali reti che in Puglia operano a livello locale, evidenzia le relazioni tra queste esperienze. Prendendo le mosse dalla progettazione in corso, l’analisi mira a verificare la capacità di sedimentarsi dei contenuti e delle pratiche generando ulteriore progettualità o consolidando coalizioni territoriali. Il tentativo sarà quello di evidenziare complementarietà, sinergie e conflitti tra le esperienze pregresse e quelle in corso, fra reti istituzionali che simultaneamente operano in ambiti spesso distinti dal punto di vista tematico ma non territoriale: è il caso delle Unioni dei comuni, dei GAL, dei PSAV e dei distretti produttivi in Puglia. Tra gli strumenti di implementazione della politica di coesione nelle regioni del Mezzogiorno un ruolo importante lo hanno giocato gli strumenti di progettazione territoriale che nel periodo di programmazione 2000-2006 erano i Progetti Integrati Territoriali (PIT). Nel periodo 2007-2013 le pratiche hanno avuto un destino differente a seconda del contesto, trovando denominazioni differenti a seconda del programma di riferimento. In Puglia si segnala l’esperienza dei Piani strategici di area vasta ma anche la presenza di altre pratiche di progettazione territoriale come ad esempio la progettazione integrata urbana e rurale, la progettazione dei Sistemi Ambientali e Culturali o dei piani integrati di sviluppo urbano e territoriale nell’ambito della programmazione delle risorse per lo sviluppo regionale (fondi FESR), dai PSL dei GAL nell’ambito della programmazione delle risorse per lo sviluppo rurale (fondi FEASR). Si tratta di strumenti che propongono un approccio diverso per l'implementazione delle politiche di sviluppo, attivano pratiche di cooperazione fra amministrazioni, fra settori di policy e attori dello sviluppo. In alcuni casi tali pratiche sono capaci di dare vita a nuove progettualità e in alcuni casi contribuiscono alla ridefinizione degli assetti istituzionali e amministrativi a livello locale e regionale. Ma le logiche che sottendono l’istituzionalizzazione delle esperienze sembrano variare a seconda del contesto nel tempo. Sui risultati conseguiti, in particolare nel Mezzogiorno, le valutazioni naturalmente divergono profondamente. Le nuove politiche non sempre hanno prodotto la auspicata attenzione ai territori. In alcuni casi al contrario sembrerebbero generare un distacco e una a sorta di effetto inibitore nei confronti del dibattito sui potenziali conflitti che sottendono le differenti scelte di policy (Bobbio, 2000; Messina, 2003; Donolo, 2005; Trigilia, 2005; Rossi, 2005; Barca, 2006a, 2006b; Viesti, Prota, 2006; La Spina, 2007; Viesti, 2009). Il processo di pianificazione strategica di area vasta, pur rappresentando un elemento distintivo e innovativo nel processo di governance delle politiche di sviluppo regionale, ha presentato forti elementi di criticità, in alcuni casi troppe continuità rispetto alla qualità dei processi decisionali. La capacità progettuale e realizzativa degli interventi viene considerata

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ancora troppo limitata24

In Puglia si delinea oramai una tradizione piuttosto consolidata di esperienze di progettazione territoriale per la promozione dello sviluppo che affonda le proprie radici in pratiche che a partire dalla seconda metà degli anni ’90 hanno interessato i territori: la definizione dei Patti europei per l’occupazione e di Patti territoriali segnano l’avvio di questa stagione. A queste esperienze si affiancano ben presto progetti integrati a scala urbana promossi sia dal Governo centrale, dal Ministero dei Lavori Pubblici, sia dall’Unione Europea attraverso i programmi di iniziativa comunitaria Urban, Interreg e Leader. Il Governo regionale solo più recentemente sembra seguire e promuovere forme di decentramento territoriale nella programmazione, attuazione e gestione di programmi e progetti di sviluppo.

. La capacità di attrazione delle risorse da parte dei piani strategici ha sicuramente deluso le aspettative ma quanto questa esperienza abbia generato altre progettualità o forme di apprendimento sociale e istituzionale, determinando conflitti e discontinuità funzionali all’innovazione, non è facile a dirsi (De Rubertis et al, 2010).

La prima esperienza significativa di progettazione territoriale delle politiche di sviluppo su impulso del governo regionale risale al ciclo di programmazione 2000-2006 con i PIT ma trova attuazione effettiva non prima del 2005. Nel ciclo 2007-2013 a declinare localmente e territorialmente i programmi di sviluppo vengono chiamate le aree vaste, aggregazioni territoriali che in parte ereditano e in parte si sovrappongono anche temporalmente alla progettazione dei PIT e dei PSL dei GAL. Processi di innovazione istituzionale si distribuiscono nei territori attraverso l’attuazione delle politiche di coesione. Questa innovazione nelle politiche urbane e territoriali non sembra riguardare in modo uniforme e indistinto l’intero sistema amministrativo e territori di riferimento; le innovazioni più significative, che sembrano in grado di modificare non solo gli assetti istituzionali ma di incidere anche sulle politiche e sui risultati, sembrano concentrasi in alcune aree25

24 Cfr. Intervista n. 4; n. 5; n. 6.

. In contesti diversi, sia per caratteristiche del modello di sviluppo, per dinamiche economiche, sociali e territoriali, sia per relazioni di governance, sono andate consolidandosi esperienze rilevanti che occorrerà ulteriormente indagare in relazione a tre dimensioni che sembrano in grado di connotare gli esiti degli interventi: la strutturazione e il consolidamento di relazioni tra attori, istituzionali, economici e sociali, locali, nazionali e europei, attorno a idee progettuali o specifici temi dello sviluppo territoriale; l’istituzionalizzazione di alcune pratiche attraverso l’attivazione di dispositivi differenziati e il consolidamento di coalizioni territoriali (agenzie di sviluppo, uffici intercomunali, unioni di comuni, distretti, tavoli di concertazione...); l’attivazione di processi di apprendimento sociale e istituzionale da parte di attori pubblici (amministrazioni comunali e provinciali, innanzitutto) e privati (associazioni, organizzazioni economiche e sociali ecc.)

25 In particolare di grande interesse è stata l’esperienza di alcuni Patti territoriali, raccontata da Domenico Cersosimo e Guglielmo Wolleb nel volume Economie dal basso, Donzelli, Roma 2006 con riferimento al patto europeo per l’occupazione del Nord Barese Ofantino. Sui patti di Lecce e di Foggia, oltre che del Nord Barese, si veda inoltre la ricerca finanziata dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione del Ministero dell’Economia e delle Finanze «La lezione dei patti territoriali per la progettazione inegrata nel Mezzogiorno», Roma, gennaio 2003. Per l’esperienza degli Urban pugliesi si rinvia invece a P.C. Palermo, a cura di, Il programma Urban e l’innovazione delle politiche urbane, Franco Angeli, Milano 2003, dove sono analizzati i progetti di Urban Lecce e Bari per il periodo 1994-1999.

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sul fronte della costruzione, valutazione anche ambientale, gestione e partecipazione a progetti per lo sviluppo regionale e la coesione territoriale. L’attività di ricerca a tal fine ha tentato di approfondire le relazioni tra le varie esperienze di progettazione a livello territoriale: la progettazione integrata realizzata nell’ambito del ciclo di programmazione 2000-2006 e le principali iniziative di progettazione territoriale che attualmente risultano presenti in Puglia: i Piani strategici di area vasta e i Piani di sviluppo locale dei GAL che si incardinano nell’ambito della politica di sviluppo rurale. Prendendo come unità di analisi la progettazione di area vasta, l’analisi mira a verificare la capacità dei contenuti e delle pratiche di sedimentarsi e generare esperienze consolidate di cooperazione inter-istituzionale o ulteriore progettualità. Il tentativo è stato quello di ricostruire anche attraverso l’utilizzo di altre evidenze empiriche, le continuità e discontinuità tra le esperienze di pianificazione strategica di area vasta e gli altri strumenti per lo sviluppo locale e verificare il consolidamento di tali pratiche (Vesan, Sparano, 2009). L’esercizio di ricerca valutativa ha evidenziato gli elementi di continuità/discontinuità fra le esperienze secondo quattro criteri: Continuità strategica - gli interventi mantengono obiettivi di sviluppo e tematiche di riferimento omogenee, sono costruiti a partire dall’esperienza pregressa (principalmente PIT) o viceversa seguono nuove traiettorie (criterio di valutazione: si/no/debole; logica di riferimento: espansiva/riduttiva); Continuità territoriale - nel passaggio da uno strumento all’altro, l’ambito territoriale e istituzionale di riferimento si è mantenuto costante o in che modo varia nelle diverse fasi (criterio di valutazione: si/no/debole; logica di riferimento: espansiva/riduttiva); Continuità organizzativa - le organizzazioni create per la gestione di determinati progetti hanno trovato spazio e utilità nella progettazione e gestione degli interventi delle esperienza successive (principalmente i piani strategici di area vasta). L’obiettivo è quello di verificare se avviene o meno un processo di istituzionalizzazione e di sedimentazione delle esperienze di gestione di progetti e programmi complessi (criterio di valutazione: si/no/debole; logica di riferimento: espansiva/riduttiva); Continuità delle reti di attori (esclusivamente sul caso studio del PSL del GAL Terra dei Messapi – PS AV Brindisina – PIT Brindisi) - l’analisi permetterà di comprendere se reti di attori dello sviluppo si consolidano e riproducono nel tempo dando vita ad un capitale relazionale spendibile in esperienze future (sia in termini di cooperazione orizzontale tra attori sul territorio che di cooperazione verticale tra questi ultimi, province e regione). Inoltre, l’analisi si propone di mettere in luce quali attori mantengono un ruolo nelle diverse fasi e in che modo cambiano le coalizioni progettuali. Le continuità e discontinuità fra i diversi strumenti di cooperazione sono state analizzate dal punto di vista delle strategie, dell’ambito territoriale e del sistema organizzativo e istituzionale di riferimento. Dal punto di vista territoriale le aree vaste raramente finiscono per coincidere con le pregresse esperienze di programmazione territoriale. Anche gli elementi di continuità rispetto agli obiettivi risultano rari. Nei casi in cui l’indirizzo strategico risulta più evidente si intravedono anche veri e propri rivolgimenti rispetto alle precedenti esperienze. In altri, l’eterogeneità degli interventi previsti rende poco significative le continuità rilevate.

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Discontinuità si rileva anche in relazione all’aspetto organizzativo. Le strutture operanti a livello locale e regionale raramente sono state mantenute o coinvolte nelle nuove progettazioni. Un discorso in parte differente interessa il rapporto fra le esperienze di pianificazione strategica di area vasta ed altri strumenti per lo sviluppo territoriale come i piani di sviluppo dei Gruppi di Azione Locale o i distretti produttivi considerati nell’ambito della ricerca. Tra loro simili per assetti organizzativi, queste esperienze presentano maggiori elementi di continuità e coerenza con le esperienze pregresse. I GAL, derivanti dal programma d'iniziativa comunitaria Leader sono considerati uno dei primi significativi casi di politiche contrattuali che formalizzano la collaborazione fra attori pubblici e soggetti privati. Gli accordi sottostanti fissano le rispettive responsabilità, organizzano le relazioni di cooperazione, costruendo o rinforzando le prossimità organizzate. Il risultato è una spontanea tensione verso la costruzione di reti effettivamente territoriali tra attori che condividono valori, regole e obiettivi di sviluppo [Bertrand e Moquay, 2004]. I GAL sono i soggetti attuatori delle politiche di sviluppo rurale che progressivamente, nonostante il mantenimento di alcune peculiarità derivanti dal settore di origine, stanno rientrando nell’ambito di influenza della politica di coesione. In questo caso, per rintracciare la natura delle relazioni di fra le esperienze, occorre focalizzarsi maggiormente sugli aspetti strategici e sul ruolo degli attori che non sugli aspetti organizzativi o territoriali. La continuità territoriale non sembra poter rappresentare una variabile significativa se non nel caso dei due distretti agroalimentari per i quali alla volontà regionale di avere un solo interlocutore per settore, accorpando istanze territoriali e coordinando attori di aree sub-regionali attorno a tematiche e idee progettuali, sembrano contrapporsi solide coalizioni di attori a livello territoriale con rilevanti capacità negoziali che finiscono per incidere significativamente sulla policy regionale. In alcuni contesti, differenti per caratteristiche del modello di sviluppo e per dinamiche politiche, economiche e sociali, si sono sedimentate pratiche in grado di modificare non solo le politiche ma anche gli assetti organizzativi e istituzionali: è il caso del Nord Barese, del Foggiano e di alcune aree del Salento, dove assistiamo ad un processo di istituzionalizzazione delle esperienze che trovano conferma nel proliferare delle Unioni di comuni e nella vicenda dei distretti produttivi. La rilevazione di una certa continuità o discontinuità non conduce a interpretazioni univoche, soprattutto in un contesto come quello pugliese caratterizzato da un forte e crescente ruolo del governo regionale nell’impulso e nel coordinamento di queste pratiche di cooperazione. Per verificare la sostenibilità delle esperienze occorrerà comprendere se e in che misura le continuità o discontinuità siano frutto di una pigrizia istituzionale o di atteggiamenti opportunistici delle coalizioni di attori e quanto invece derivino da una rielaborazione delle esperienze pregresse determinando un riposizionamento dei territori e delle reti istituzionali a seguito di dinamiche di natura politica, sociale, economica e ambientale. Nel caso della Puglia, nonostante la medesima identità “istituzionale”, queste iniziative mantengono una propria autonomia e un carattere distintivo, non solo per quanto riguarda i temi e i soggetti coinvolti, o per la definizione della scala territoriale di riferimento ma soprattutto per gli elementi di continuità e coerenza riscontrabili con le esperienze pregresse e le altre progettazioni in corso ad altre scale di intervento (De Rubertis et al, in stampa).

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Nei casi esaminati, fattori esogeni derivanti dalla dipendenza dai finanziamenti europei o endogeni derivanti dalle logiche di azione delle coalizioni di attori, potrebbero condurre ad atteggiamenti rituali che rischiano di delegittimare l’intero intervento di policy. Al di là delle continuità o discontinuità appare interessante approfondire le logiche seguite dal processo di istituzionalizzazione di queste pratiche. La rilevazione di una certa continuità fra le esperienze non conduce infatti a interpretazioni univoche. Per verificare la sostenibilità istituzionale delle pratiche, occorrerà approfondire le analisi e tentare di comprendere se e in che misura le continuità/discontinuità derivino da una rielaborazione critica delle esperienze pregresse, quanto siano frutto di una pigrizia istituzionale o di atteggiamenti opportunistici delle coalizioni locali e quanto invece di un riposizionamento strategico dei territori a seguito di dinamiche di natura politica e sociale. Sia nei PIT che nei PS e nei PSL dei GAL, gli esercizi valutativi sono lasciati per lo più al livello regionale e a strutture tecnocratiche che operano principalmente in una logica di ammissibilità piuttosto che di apprendimento istituzionale e organizzativo. Anche a livello regionale, nonostante alcuni significativi miglioramenti, queste pratiche presentano ancora elementi di criticità, in particolare in relazione alle funzioni e alle capacità di accountability. Le risorse cognitive, le informazioni sui risultati conseguiti, sulle azioni e sui target, sulla filiera delle responsabilità, diventano un elemento strategico dell’attività di guida e coordinamento svolto dalla regione ma troppo spesso restano in un ambito e un linguaggio tecnico e poco accessibile.

7. L’osservazione dei casi e l’interpretazione dei risultati

L’esercizio valutativo svolto nell’ambito della ricerca rielabora dati e informazioni provenienti da altri studi e analisi valutative e li integra attraverso l’analisi documentale e le interviste ai testimoni privilegiati26

26 Le interviste in profondità sono state condotte dall’autore nel corso del 2012 con personale apicale dell’amministrazione regionale, delle amministrazioni centrali e delle strutture tecniche di valutazione impegnato nell’attuazione delle politiche di coesione. Altre interviste in profondità, utilizzate come fonti con i documenti ufficiali e altri studi e valutazioni, sono state condotte dall’Unità di ricerca dell’Università del Salento sul caso studio del GAL Terra dei Messapi. Tra gli studi più significativi utilizzati per le valutazioni, oltre a quelli citati in precedenza e più noti in letteratura si segnalano: Rapporto finale Valutazione ex post dei PIT della Regione Puglia 2000-2006 (Consorzio Metis-2011); I Progetti Integrati Territoriali del QCS Obiettivo 1 2000-2006. Teorie, fatti e riflessioni sulla policy per lo sviluppo locale di T. Bianchi, P. Casavola (Materiali UVAL n. 17/2008), Equilibrismi a servizio del territorio: una valutazione ex-post del Progetto Integrato Territoriale Salentino-Leccese 2000-2006 di T. Bianchi, (Materiali UVAL n. 25/2011); I distretti produttivi pugliesi. Potenzialità e limiti, di Mangiatordi M. (Osservatorio sul Mezzogiorno, Anno I n. 2); Per una ricostruzione del processo di pianificazione di area vasta si vedano G. Moro, Regione Puglia: i piani di Area Vasta, in C. Bevilacqua, C. Trillo (a cura di), Il profilo territoriale nella programmazione 2007-2013, Materiali Formez 2009 e De Rubertis (acura di), Sviluppo come conflitto. Sviluppo come conflitto. La pianificazione strategica in Puglia, ESE, 2010. Per approfondimenti sul disegno della ricerca, sul metodo e sulle fonti utilizzate per le valutazioni riportate in Appendice si rimanda al Nuove forme di governance per lo sviluppo strategico del territorio. Il caso della Puglia di Fighera P. (Università del Salento - Report PRIN 2009 – 2013).

. I risultati sono sintetizzati in quadri sintetici riportati in appendice che restituiscono una immagine non uniforme e in chiaroscuro dell’esperienza pugliese in cui appare forte e crescente il ruolo, non solo di indirizzo, svolto dalla amministrazione regionale, sia in relazione ai piani strategici di area vasta che ai progetti per lo sviluppo locale dei GAL (cfr. Appendice).

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Le aree vaste mantengono un ambito territoriale sub-regionale, non sempre coincidente con il PIT, anche se con una partizione territoriale a grandi linee riconducibile a quella della progettazione integrata. I GAL solitamente agiscono ad una scala sub-provinciale, solo in alcuni casi operano da un livello inter-provinciale, come nel caso del GAL terre del primitivo e Valle d’Itria, ripartendo il territorio delle aree vaste in sub-ambiti. Quest'ultima corrispondenza sembrerebbe spiegare l'attivazione di diverse forme di prossimità organizzativo-strategica che interessano gli obiettivi e evidentemente gli attori di alcuni GAL e piani strategici. Le provincie generalmente risultano poco influenti, spesso spettatori più che attori, solo in alcuni casi, come sembra dimostrare il caso della provincia di Brindisi, esercitano un ruolo di mediazione fra le istanze dei diversi soggetti. Dal punto di vista strategico, viceversa, gli elementi di continuità fra PIT e PS sono rari: nei casi in cui più è chiaro un indirizzo strategico unitario per l’area vasta si intravedono anche veri e propri rivolgimenti rispetto ai PIT; negli altri casi l’eterogeneità degli interventi rende poco significativi gli eventuali elementi di continuità presenti. Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, le strutture costituite non sono state mantenute e raramente sono state coinvolte nelle nuove esperienze di progettazione. Infine, sia per gli avvicendamenti politici che per le discontinuità strategiche, sembrerebbe esserci una discreta varianza delle coalizioni di sostegno e degli attori protagonisti dei progetti. Volendo fornire una visione d’insieme, la presenza di una sovrapposizione temporale (la programmazione per le Aree vaste e per i GAL parte nel 2005, in concomitanza dell’avvio della fase attuativa dei PIT) non permette in quasi nessun caso una vera e propria ipotesi di continuità tra strumenti di programmazione. Difficilmente si rileva una relazione che possa qualificarsi come derivante da un’effettiva valutazione e rielaborazione delle esperienze pregresse di progettazione integrata o dei patti territoriali. Ciò però non esclude che vi siano elementi di continuità e che in alcuni casi si evidenzi un miglior manto nelle capacità di lavoro congiunto da parte dei soggetti coinvolti. In generale, unica dimensione su cui si può fornire un giudizio parzialmente positivo riguarda la continuità territoriale. Pur con eccezioni e spostamenti, infatti, le aree PIT e le Aree vaste tendono a coprire territori in buona parte coincidenti. Le coalizioni territoriali si consolidano. Ciò detto, questa parziale continuità va valutata considerando il diverso carattere dei diversi strumenti: data la natura maggiormente tematica dei PIT e dei PSL dei GAL, la continuità territoriale è spesso limitata al mantenimento di confini, con una tendenza all’allargamento dei territori interessati dagli interventi di alcuni PS. Dal punto di vista territoriale sembra possibile rilevare un consolidamento di aggregazioni inter-istituzionali (De Rubertis et al, 2013). La ricerca condotta ha consentito di rilevare continuità nel tempo, come il relativamente stabile assetto partenariale nel passaggio dai PIT alle aree vaste e la tendenza delle aree vaste a includere quasi per intero una o più aree GAL. Più che di una spontanea ricerca di coerenza nello spazio o negli obiettivi delle politiche, tali dinamiche sembrano il frutto di una decisa azione di indirizzo e coordinamento svolta del governo regionale. Da ogni altro punto di vista invece, l’analisi conferma che la storia delle aree vaste procede parallela e in alcuni casi in modo conflittuale con quella dei progetti integrati. Per quanto riguarda l’aspetto strategico, quasi tutti i Piani strategici di area vasta presentano una varietà di obiettivi molto articolata rispetto a quella dei PIT. Se questi si caratterizzavano per il consolidamento delle filiere economiche del territorio e dei servizi alle imprese, le aree vaste, pur recuperando all’interno del parco progettuale alcuni interventi avviati nell’ambito del PIT, sono più concentrate sui temi della mobilità e dei trasporti, dell’ambiente e

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dell’energia e delle reti istituzionali27. Nella maggior parte dei casi, i temi centrali del PIT sono “annegati” dentro un quadro strategico tendenzialmente comprensivo e poco selettivo28

In alcuni casi, poi, le aree vaste presentano discontinuità particolarmente significative: l’area della Murgia “dimentica” il tema del distretto di produzione del mobile e dell’agroalimentare per puntare sul turismo, l’accoglienza ed il benessere; il Piano strategico Capitanata 2020 si concentra sul tema della mobilità, in piena discontinuità con il tema agro-alimentare del PIT del Tavoliere.

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Per quanto riguarda poi le continuità organizzative, se si fa eccezione per il PIT Valle d’Itria e in parte per il PIT Salentino-leccese, le aree vaste vengono gestite da strutture di implementazione diverse dagli Uffici unici previsti per i PIT che vengono tenuti in vita solo per “chiudere” il ciclo di programmazione, mentre non giocano alcun ruolo nella fase di impostazione dei piani di area vasta. Le strutture non sono quasi mai state confermate come capifila tecnici nelle aree vaste, Bari costituisce una parziale eccezione, e spesso sono coinvolte solo marginalmente nella predisposizione delle candidature (tra queste Tavoliere, Murgia, Taranto). Più che alla continuità organizzativa, un ruolo di connessione importante va riconosciuto alla persistenza di un expertise tecnico, spesso di natura consulenziale, come nel caso del PIT 5 Valle d’Itria e del PIT 9 Salento; più raramente le competenze restano all’interno degli enti, come nel caso del Comune di Bari. La permanenza nel processo di alcune figure tecniche sembra consentire anche un certo grado di continuità tematica. Questo è vero ad esempio per il piano strategico dei Monti Dauni, la cui programmazione si lega al PIT, sia dal punto di vista tecnico sia tematico, pur subendo successivamente pesanti critiche da parte del partenariato locale. La discontinuità riguarda spesso gli stessi attori leader. La nova stagione della pianificazione di area vasta ha creato una finestra di opportunità per nuove negoziazioni e riposizionamenti, conseguenza anche della modifica dei nuovi equilibri elettorali, sia a livello regionale che locale. In alcuni casi nelle negoziazioni si sono esasperate le conflittualità e l’esito è stato l’implosione delle precedenti coalizioni come ad esempio nelle Murge o nel territorio della Daunia, con la conseguente fuga verso aree con leadership più consolidate, come nel caso dell’area metropolitana di Bari il cui numero di aderenti raddoppia nel passaggio dal PIT all’area vasta. In alcuni casi proposte territoriali diverse hanno trovato ricomposizione in un unico piano di area vasta, con conseguenze, oltre che sulla composizione della reti di attori, anche sulla coerenza dei piani. Dal punto di vista della leadership istituzionale, soltanto una minoranza degli enti confermano il proprio ruolo di capofila nel passaggio dalla progettazione integrata a quella di area vasta. In definitiva, la grande maggioranza delle aree vaste nasce indipendentemente dai PIT, sia dal punto di vista organizzativo e gestionale, sia sotto il profilo della leadership, sia dal punto di vista delle strategie territoriali di sviluppo poste al centro della progettazione. Le motivazioni di questa discontinuità sono diverse, anche ascrivibili a un orientamento

27 Si veda in proposito: il PS Capitanata 2020 - PIT Tavoliere; PS Metropoli Terra di Bari- PIT 3 area metropolitana di Bari; il PS dell’area vasta brindisina- PIT di Brindisi. 28 Pur rappresentando un esperienza interessante il Piano strategico di Bari è il frutto di 20 programmi strategici e oltre 800 azioni. Tali complessità, almeno nella fase iniziale, hanno contribuito a ritardare l’attuazione.

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dell’Amministrazione regionale, che da una parte non ha esplicitamente promosso e premiato processi di capitalizzazione delle competenze e delle reti costruite attraverso esperienze pregresse e dall’altra ha permesso l’attivazione di dispositivi di implementazione diversi. D’altra parte, anche a livello locale, l’avvio delle aree vaste era stato considerato, dagli attori economici e sociali ma anche da quelli politici, come una occasione per ricostruire quadri strategici, a fronte di strumenti che avevano a quel punto la priorità di garantire efficienti profili di spesa. L’attenzione si è quindi spostata sull’area vasta e sui GAL, senza mettere a valore le possibili sinergie con le esperienze ancora in corso. Il problema della sovrapposizione temporale tra i due strumenti ha reso complessa non solo la valutazione delle pratiche ma anche una conferma dei soggetti gestori, creando su tutto il territorio un sostanziale parallelismo tra i due cicli di programmazione ai quali si va ad aggiungere la contemporanea azione dei Gruppi di Azione Locale nell’attuazione del programma di sviluppo rurale. L’eccezione più evidente è quella dei Monti Dauni in cui, almeno nella fase iniziale, c’è una conferma della comunità montana quale soggetto gestore, insieme al recupero dei temi che già erano stati oggetto del PIT ed una forte coerenza con le azioni del piano di sviluppo rurale. Questo può essere letto senz’altro come un indice che le reti tra attori hanno funzionato. In altri casi, la densità e stabilità delle relazioni non sembrano in grado di determinare un incremento di capitale relazionale, e nonostante leadership dominanti e consolidate, non si generano risultati analoghi. Un effetto di apprendimento derivante da una rielaborazione delle esperienze di progettazione territoriale, sembra particolarmente evidente in alcuni contesti, in altri, nonostante la stabilità delle coalizioni di attori, le progettualità restano inadeguate. Per quanto concerne la fase di attuazione dei programmi, una prima analisi ha evidenziato elementi di criticità che rischiano di oscurare gli sforzi compiuti29. L’esperienza ha generato aspettative spesso disattese non riuscendo a mobilitare rilevanti risorse. Tali strumenti non rappresentano come avrebbero dovuto reali meccanismi di impostazione e declinazione territoriale delle priorità, partendo dai bisogni dei territori. Si configurano piuttosto come un passaggio di scala dalla programmazione comunitaria alla pianificazione per ambiti territoriali sub-regionali o di settore, come nel caso dei trasporti, rimanendo a un livello di generalità non in grado di connotare in modo chiaro e condiviso le prospettive e le strategie dello sviluppo locale. La questione ambientale, nonostante tutte le buone intenzioni, rischia di restare un etichetta necessaria, spesso subita nei Piani strategici, non in grado di modificare realmente il modello di sviluppo come dichiarato dai documenti strategici di livello regionale. Troppo spesso, ma questa non è una caratteristica esclusiva dell'esperienza pugliese, i piani strategici soffrono di un approccio settoriale e urbano-centrico, favorito probabilmente dall'ambito da cui traggono origine30

Il processo di pianificazione di area vasta, pur rappresentando un elemento distintivo nel processo di governance delle politiche di sviluppo regionale, presenta in alcuni casi elementi

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29 Per approfondimenti si vedano G. Moro, Regione Puglia: i piani di Area Vasta, in C. Bevilacqua, C. Trillo (a cura di), Il profilo territoriale nella programmazione 2007-2013, Materiali Formez 2009 e De Rubertis (acura di), Sviluppo come conflitto. Sviluppo come conflitto. La pianificazione strategica in Puglia, ESE, 2010. 30 Si ricorda infatti che la pianificazione strategica di area vasta nasce in Puglia, come nelle altre regioni del mezzogiorno da un'iniziativa del CIPE, attraverso la delibera 35 del 2004, coordinata e portata avanti dal ministero dello sviluppo e dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

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di criticità. Le continuità e discontinuità non sempre producono gli effetti sperati ma la loro osservazione consente di meglio interpretare gli effetti congiunti delle politiche e delle pratiche sul sistema amministrativo regionale. In conclusione, e nonostante le diverse criticità ricordate, è possibile affermare che alcune esperienze di progettazione hanno effettivamente mostrato un consolidamento delle coalizioni di attori che oggi continuano a lavorare sui temi dei patti, dei PIT e successivamente dei PSAV, attivando coerenti sinergie con altri strumenti e attori dello sviluppo locale operanti in altri settori: i GAL per lo sviluppo rurale, i distretti in relazione ai principali settori produttivi e le Unioni dei comuni per la gestione dei servizi e, in alcuni casi, l’attuazione delle strategie di sviluppo. In verità, in Puglia, la diffusione delle Unioni dei Comuni, nonostante le intenzioni originarie riportate in atti formali, sembra seguire un percorso diverso rispetto alle altre forme di cooperazione istituzionale osservate. Anche se di recente, su impulso del governo regionale, si osservano prime iniziative nell'ambito dell'attuazione delle politiche di sviluppo regionale, l’azione di questo attori appare maggiormente legata alle esigenze di riduzione dei costi e quindi alla gestione dei servizi31

Le aree dove maggiormente tali azioni di rigenerazione territoriale, sono ancora una volta quella dei Monti Dauni, del Salento interno, e di alcune aree jonico-brindisine.

.

In realtà la vicenda delle Unioni, a parte alcune esperienze interessanti, è ancora maggiormente assimilabile a quella delle associazioni o dei consorzi per la gestione di servizi che non alle altre forme di cooperazione inter-istituzionale, maggiormente finalizzate alla progettazione di interventi per lo sviluppo locale o alla pianificazione territoriale. Una prima analisi degli statuti ha rilevato una attenzione crescente ai temi dello sviluppo territoriale che non sembra tuttavia trovare riscontro nelle funzioni trasferite che si riferiscono principalmente alla gestione dei servizi sociali, dell'igiene ambientale e dello smaltimento rifiuti, alla polizia locale e alla protezione civile. In solo 3 casi su 22 vengono trasferite le funzioni relative alla promozione dello sviluppo locale e alle politiche comunitarie (cfr. paper Labianca in questo panel). In tutti quei casi in cui si assiste ad un consolidamento delle coalizioni attorno a tematiche e a attori, non si è trattato tanto di un “modello” ad aver favorito processi di istituzionalizzazione delle esperienze, quanto la presenza, a livello territoriale, di risorse cognitive e strumentali tali da consentire il conseguimento di quegli esiti. Queste risorse sono state di varia natura: dalla presenza di leader di peso che hanno giocato un ruolo nelle decisioni del partenariato, al ruolo di manager e delle strutture gestionali che alle competenze tecniche hanno saputo associare una precisa idea di sviluppo del territorio, all’aggregazione di soggetti attorno ad un’idea per la soluzione dei problemi socio-economici

31 Nel corso del 2011 è stata portata a compimento la procedura negoziale avviata con DGR 1333/2010 inerente la “Rigenerazione urbana e territoriale” avente ad oggetto piani integrati per lo sviluppo urbano e territoriale. Si tratta di un processo di attuazione delle pianificazioni di aree vasta. Risultati particolarmente soddisfacenti sono stati raggiunti attraverso una continua opera di affiancamento da parte delle strutture regionali ai Comuni per favorire l'attuazione e il pieno conseguimento degli obiettivi previsti dall’Asse di riferimento del programma dedicato alla Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani (Asse VII). Particolare cura è stata rivolta ai Comuni di piccole dimensioni, aggregatisi in Unioni e/o Raggruppamenti ai fini della valorizzazione e attrattività dei propri territori, legati alla propria identità culturale e ambientale.

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o ambientali del territorio portatori di conoscenze e innovazione o capaci di mediare interessi consolidati.

8. Gli effetti delle politiche sul sistema politico e amministrativo regionale

Le pratiche di programmazione e pianificazione delle politiche di sviluppo implicano, e in alcuni casi producono, profonde innovazioni nel ruolo, nelle funzioni e nelle competenze dei sistemi politici, istituzionali e amministrativi che intraprendono processi di adattamento differenti. I governi regionali e locali sono costretti a rimettere in discussione il loro tradizionale modo di operare; le amministrazioni a sviluppare nuove funzioni, competenze e capacità (Ieraci, 2003). I processi in corso sembrano ridisegnare competenze e responsabilità dei decisori amministrativi ma anche, e forse soprattutto, il loro ambiente organizzativo e culturale di riferimento (Rhodes, 1997);. La filiera del procedimento amministrativo e il rapporto dell’ente con l’esterno vengono ridefiniti profondamente (I. Diamanti, 2007; Vino, 2007)32

Una prima ricostruzione dell'esperienza pugliese, presenta un quadro composito, fatto di luci e ombre che nel suo insieme lascia intravedere alcune interessanti peculiarità rispetto al panorama delle altre realtà del Mezzogiorno di Italia e discontinuità rispetto al passato (Fighera, 2010; Fighera, Manti, 2012). In tema di miglioramento della capacità amministrativa alcuni passi in avanti sembrerebbero essere stati compiuti ma diversi restano gli elementi di criticità in particolare se lo sguardo si sposta dal sistema amministrativo regionale, alla rete istituzionale, all’insieme degli attori chiamati a partecipare alla definizione e attuazione delle politiche di sviluppo (D’Amico, 2008).

.

Per meglio interpretare la portata e i fattori che hanno facilitato l’introduzione di alcune innovazioni occorrerà non solo tentare di ricostruire le fasi e comprendere le logiche che sottendono il processo di istituzionalizzazione ma inquadrare tali fenomeni in un panorama più ampio, nell’ambito di processi che interessano il sistema politico e amministrativo a livello regionale e nazionale. Il processo di istituzionalizzazione non esclude infatti la possibilità che, pur trattandosi molto spesso del frutto di quelle che Lanzalaco chiamerebbe forme di isomorfismo mimetico o coercitivo, e pur non rispondendo a fabbisogni funzionali, le innovazioni non si estinguano seguendo il loro naturale ciclo di vita, generandone magari altre per rispondere a bisogni concreti, ma si auto-riproducano seguendo logiche e atteggiamenti opportunistici sotto la spinta di coalizioni di attori sociali e istituzionali, operando in modo rituale e minando alla base la sostenibilità istituzionale del modello di sviluppo regionale (Lanzalaco, 2009). Le politiche di coesione hanno sicuramente rappresentato un fattore di cambiamento importante degli stili di policy in un contesto in cui le pratiche di programmazione e di concertazione, fino ai primi anni del 2000, risultavano praticamente assenti. Per meglio comprendere il ruolo svolto in relazione alle innovazioni osservate negli assetti istituzionali e organizzativi è necessario estendere lo sguardo e adottare una prospettiva diacronica, valutando le innovazioni nel più ampio contesto dei processi che contemporaneamente si osservano nel sistema politico regionale.

32 Per approfondimenti sui modelli e paradigmi istituzioni legati alle politiche di sviluppo si veda Fighera (2008).

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La seconda metà degli anni 2000 rappresenta uno spartiacque, un momento importante nel processo di istituzionalizzazione delle innovazioni. A partire dalla metà degli anni 2000 cominciano a consolidarsi, in particolare in alcuni contesti, procedure di partecipazione e programmazione territoriale in grado di veicolare visioni di sviluppo meno settoriali, maggiormente coerenti con i paradigmi dello sviluppo locale e della sostenibilità (Fighera, 2007; 2010). A livello regionale, alle pressioni all’adattamento che provengono dal livello comunitario si affiancano in quegli anni tentativi di revisione degli assetti istituzionali e amministrativi intrapresi da parte di attori locali. L’incontro tra questi fattori consente di meglio interpretare il processo di istituzionalizzazione delle innovazioni in Puglia. Nei primi anni in cui l’intervento comunitario ha fatto la sua comparsa, le difficoltà e le resistenze all’innovazione interessavano l’intero sistema amministrativo in tutte le sue articolazioni, centrali e locali (Profeti, 2006). Progressivamente si assiste ad un graduale miglioramento del rendimento istituzionale (Lippi, 2003). Migliora la capacità di gestione degli interventi: la Regione si distingue dalle altre realtà dell’Obiettivo Convergenza, si accredita a livello europeo e nazionale e diventa responsabile anche di programmi di scala inter-regionale in materie innovative come il risparmio energetico e le energie rinnovabili. Anche nei confronti delle amministrazioni centrali e europee la Regione sembra accrescere le capacità di negoziazione e rappresentanza degli interessi. Esercita la funzione di coordinamento degli enti locali attraverso specifici esercizi di delega di funzioni senza perderne la titolarità. I sistemi di governo locale dal canto loro sembrano dividersi in due macrotipologie: alcuni sviluppano competenze e visioni autonome di sviluppo intraprendendo anche percorsi interessanti di innovazione amministrativa, altri, più refrattari alle innovazioni degli stili di policy, tentano di partecipare ai processi in corso attraverso atteggiamenti opportunistici, azioni di lobby e di negoziazione non sempre capaci di cogliere la portata delle sfide in corso33

Ad un certo momento l’atteggiamento nei confronti dell’Europa sembra mutare. I vincoli imposti dal livello europeo per l’accesso alle risorse, per contrastare le tradizionali logiche distributive a pioggia, iniziano ad essere visti come delle opportunità per la classe politica e amministrativa locale.

.

L’idea di un governo regionale che guida lo sviluppo economico e sociale attraverso strumenti di programmazione risale allo Statuto del 1971 ma l’esercizio di tale funzione è risultato piuttosto limitato. I meccanismi di condivisione attraverso la partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza e degli enti locali viene introdotta solo con la revisione del 2003 dello Statuto che propone un ruolo di coordinamento e programmazione per la regione e il coinvolgimento delle autonomie locali attraverso una serie di istituti. Tuttavia è solo a partire dal 2008 che il sistema politico e amministrativo sembra approcciare in modo maggiormente coerente lo stile di policy europeo, a partire dalla definizione degli strumenti di governo del territorio e di alcuni piani di settore in materia ambientale. Fino ad allora prevalevano meccanismi di regolazione che si basavano su “modalità non mediate” con contatti bilaterali fra imprenditori e amministratori e su una serie di interventi settoriali e a pioggia. Lo stile di policy tradizionale era basato su politiche distributive, elaborate il più delle volte nell’ambito di approcci reattivi e settoriali. Una forte presenza della subcultura bianca ha favorito maggioranze di governo piuttosto stabili capaci di gestire le pressioni

33 Cfr, Interviste n. 3; n. 4; n. 5; n. 6; n. 7 e le interviste sul GAL Terra dei Messapi.

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costanti delle diverse correnti (Carrieri, 1989). Il tradizionale ruolo forte esercitato dal governo nazionale nelle politiche di sviluppo attraverso l’intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno e nelle politiche industriali e infrastrutturali, e le continue alternanze all’interno di equilibri piuttosto stabili, hanno favorito il consolidarsi di meccanismi clientelari e ostacolato l’introduzione delle innovazioni derivanti dalle nuove politiche europee (Profeti, 2007). Questo momento di rottura sembra coincidere con l’avvio della programmazione per il ciclo 2007-2013. Dopo qualche segnale di attivazione da parte della Regione nei primi anni del 2000, con l’insediamento del giovane governatore Fitto a capo di una colazione di centro-destra, che aveva giocato la campagna elettorale sui temi europei e, appena insediato, aperto l’Ufficio di rappresentanza, occorrerà attendere l’insediamento di una nuova maggioranza di governo a livello regionale per assistere ad un cambiamento di passo. La nuova coalizione di centro-sinistra, guidata da un esponente di rilievo della sinistra nazionale, Nichi Vendola che aveva giocato una campagna elettorale centrata sul tema delle discontinuità e del ruolo della politica (Lanzalaco, Di Cosimo, 2012) per la costruzione di un differente modello di sviluppo34

Altri interventi legislativi importanti si concretizzano nei primi anni del 2000 attorno al tema della pianificazione territoriale anche se una certa inerzia accompagnerà l'implementazione del nuovo assetto istituzionale che attribuirebbe alle provincie funzioni molto importanti per lo sviluppo sostenibile a livello regionale

, eletto contro il governatore uscente Fitto dopo aver vinto le primarie di coalizione, a seguito di un primo periodo di assestamento con alcune difficoltà di natura politica e tecnica, sembra meglio comprendere la portata delle sfide poste al livello regionale dai nuovi approcci delle politiche europee da un lato e dalle pressioni nazionali e locali dall’altro. Alle spinte esterne dell’europeizzazione si affiancano spinte interne che invitano a ripensare le modalità di intervento pubblico per lo sviluppo, introducendo non solo strumenti ma anche paradigmi innovativi. Si comincia ad affermare l’idea che la Regione possa e debba avere un ruolo diverso, proattivo, con funzioni di regolazione, di rappresentanza e rappresentazione degli interessi (Trigiglia, 1989). La nuova amministrazione sembra quindi puntare molto sull’introduzione di innovazioni istituzionali e amministrative. Le istituzioni regionali progressivamente tentano di esercitare meglio il ruolo di programmazione e coordinamento, non solo nell’ambito delle politiche europee per lo sviluppo (Fighera 2009).

35

34 L'attenzione che, nella campagna elettorale prima e nel programma di governo poi, è stata posta sul tema della partecipazione, sulla valutazione delle politiche e sulla messa in discussione del modello di sviluppo, sembrano confermare tale ipotesi. Per approfondimenti si veda N. Vendola, Una Puglia migliore. Dichiarazioni programmatiche per il governo della Regione Puglia. Bari, 21 giugno 2005, dove in relazione al tema della valutazione si legge “Sappiamo bene quanto la diffusione della cultura e della pratica della valutazione sia uno degli strumenti più efficaci di miglioramento della qualità dell’azione amministrativa, e dunque intendiamo promuovere azioni sistematiche di valutazione delle politiche al fine di verificarne l’efficacia, l’efficienza, l’equità e la sostenibilità; e anche con l’obiettivo ambizioso ma irrinunciabile di accrescere la capacità di apprendimento e la responsabilità sociale delle nostre strutture politiche e amministrative.

. L'inerzia è durata circa 8 anni, un nuovo governo regionale, per assistere finalmente alla definizione della riforma del modello di gestione del

35 La Legge Regionale n. 20 del 27 luglio 2001 Norme generali di governo e uso del Territorio infatti prevedevano l’approvazione da parte della Giunta del Documento Regionale di Assetto Generale (DRAG), quale strumento che definisse le linee generali dell’assetto del territorio

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territorio e alla definizione delle strumento di indirizzo regionale. Il ruolo di Ente di coordinamento delle politiche territoriali e di snodo fra livello regionale e comunale è attribuito alle Provincie. Tate ruolo, fino ad allora, non si era mai attuato in Puglia pur essendo previsto sia dall’ordinamento regionale sia da quello nazionale, anche per dare concreta attuazione a obiettivi e principi introdotti dalla LR 20/2001, i primi inerenti alla “tutela dei valori ambientali, storici e culturali espressi dal territorio, nonché della sua riqualificazione, finalizzati allo sviluppo sostenibile della comunità regionale”; i secondi “alla sussidiarietà mediante il metodo della co-pianificazione, all’efficienza dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti, alla trasparenza delle scelte con la più ampia partecipazione sociale, alla perequazione”. L'assetto che viene a delinearsi attribuirebbe un ruolo molto importante alle Province individuate come lo snodo istituzionale tra la dimensione regionale e quella locale che dovrà a sua volta fornire indirizzi e coordinare l'attività di pianificazione dei comuni e assicurare il coordinamento orizzontale con le politiche settoriali provinciali. Tale impostazione non trova tuttavia coerenti riscontri nell’ambito della politica di coesione in cui le Provincie non sembrano giocare un ruolo significativo se non in materia di formazione e nell’ambito di qualche iniziativa di progettazione territoriale. I percorsi di adattamento seguiti dalle strutture amministrative della Regione per rispondere alle nuove sfide e domande provenienti dal territorio e dagli altri livelli di governo, nell’ambito della politica di coesione, sembrano mutare. Da un percorso che potremmo definire di “esternalizzazione strutturale” in cui molte funzioni venivano attribuite a società e agenzie esterne all’amministrazione, ci si incammina verso un percorso di “specializzazione strutturale”, caratterizzato dalla creazione di strutture interne all’amministrazione che si occupano specificatamente di politiche di sviluppo e fondi strutturali36

A livello regionale si evidenziano alcune discontinuità, l’attore regionale progressivamente sembra riposizionarsi tentando di svolgere un ruolo proattivo, di regolazione e coordinamento dello sviluppo (Messina, 2005). Alle spinte esogene provenienti dal processo di europeizzazione sembrerebbero affiancarsi pressioni endogene al sistema politico e amministrativo. Le discontinuità osservate tuttavia non sembrano ancora tali e talmente pervasive da lasciare intravedere per la Puglia il superamento di una situazione, per così dire tradizionale per le Regioni del Mezzogiorno, di “localismi forti e regionalità deboli” (Trigiglia 1989). Se si estende lo sguardo ad altre scale o ad altri ambiti di policy non mancano infatti elementi di criticità, e il perpetuarsi dei tradizionali stili decisionali e amministrativi.

. La creazione delle otto aree tematiche e la selezione della dirigenza ha introdotto forti elementi di discontinuità all’interno del sistema amministrativo. Il reclutamento di una nuova classe di dirigenti, sia apicali per la direzione delle aree, sia intermedi per il coordinamento dei diversi servizi, e di una nuova classe di funzionari selezionati ad hoc per la gestione delle politiche di sviluppo, hanno favorito processi di apprendimento istituzionale e organizzativo che, nonostante alcune criticità iniziali, sembra produrre risultati incoraggianti, in controtendenza rispetto ad altre realtà non solo del Mezzogiorno dove le risposte in termini di adattamento continuano ad essere fondate sulle esternalizzazioni e outsourcing.

36 Tale percorso è stato portato avanti grazie ad un forte investimento realizzato per la selezione di personale specializzato che, anche se giovane , ha portato una serie di competenze che precedentemente non erano presenti all’interno della macchina amministrativa.

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Quanto le pratiche di cooperazione maturate nell’esperienze dell’ultimo decennio a livello territoriale nell’ambito delle politiche di sviluppo e coesione abbiano contribuito a migliorare le performance regionali attraverso un processo di apprendimento organizzativo, sociale e istituzionale (Donolo, 2002) è difficile a dirsi come è difficile comprendere se le discontinuità rilevate derivino da una rielaborazione delle pregresse politiche o non siano più semplicemente il frutto di altri processi in corso a scala nazionale. I risultati finora osservati sembrano confermare che se le politiche europee da sole possono essere considerate sufficienti per avviare tali processi di innovazione, altri fattori influiscono sulla loro efficacia (March, Olsen, 1992), finendo per incidere sensibilmente non solo sulla istituzionalizzazione delle innovazioni ma sulla sostenibilità istituzionale del modello di sviluppo (Lanzalaco, 2009; Fighera 2009). Elementi di innovazione e di tradizione sembrano quindi convivere nel sistema pugliese, frutto anche di una frammentazione e polarizzazione del quadro politico regionale. Ulteriori analisi e comparazioni con altri contesti regionali che hanno magari scelto strumenti simili per l’attuazione delle politiche di coesione a livello territoriale o viceversa che abbiano intrapreso percorsi differenti, selezionando altri strumenti di attuazione, come ad esempio la Campania con l’esperienza dei Grandi Progetti, andranno condotte per confermare questi primi risultati e permetterci di effettuare osservazioni più generali sull’utilizzo di questi percorsi. Una lettura coerente di ogni esperienza dovrà necessariamente collocarsi non solo nell’ambito di una più generale interpretazione delle politiche e degli strumenti per lo sviluppo locale a scala nazionale ed europea, ma secondo una prospettiva relativa offerta dal metodo comparato.

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Appendice p. 1

APPENDICE - RIASSETTI ISTITUZIONALI E AMMINISTRATIVI NELL’ATTUAZIONE DELLE POLITICHE PER LA COESIONE TERRITORIALE IN PUGLIAi

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Appendice p. 2

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Appendice p. 3

Finalità negli statuti delle Unioni dei Comuni in ordine decrescente di frequenza

Integrazione e armonizzazione per ottimizzazione e razionalizzazione azione amministrativa (fr.18) Determinazione, specificazione e attuazione obiettivi sovra ordinati (UE, Stato, Regione, Provincia) (fr.18) Rappresenta comunità che vi risiedono (fr.12) Cura gli interessi delle comunità che vi risiedono (fr.10) Svolgimento servizi in forma associata (fr.10) Efficacia, efficienza nella gestione (fr. 8) Autogoverno (fr. 8) Sviluppo comunità (fr. 8) Cura gli interessi e lo sviluppo delle comunità che vi risiedono (fr.8) Collaborazione e cooperazione con tutti i soggetti pubblici e privati, complementarietà e sussidiarietà (fr.1) Promuove la partecipazione (fr.1)

Fonte: elaborazioni Labianca M. in base a Statuti Unioni Comuni pugliesi, 2013.

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Appendice p. 4

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Appendice p. 5

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Appendice p. 6

Distretto Istituzione % attori privati

% attori pubblici

Totale attori

Collegamento esperienze di progettazione

integrata Aerospaziale Pugliese 2010 79,3 20,7 58 Informatica 2010 89,8 10,2 108 Meccanica 2009 87,8 12,2 115 Legno e arredo 2010 92,8 7,2 125 Comunicazione, editoria 2010 100,0 0,0 127 Nautica da diporto 2010 79,4 20,6 136 Ambiente e riutilizzo 2010 91,5 8,5 177 Moda 2010 80,6 19,4 180 Logistico 2010 80,6 19,4 196 Edilizia sostenibile 2010 85,0 15,0 213 Florovivaistico 2011 100,0 0,0 227 Lapideo 2010 85,5 14,5 256 Agroalimentare Jonico-Salentino 2011 69,9 27,6 272 Nuova energia 2010 90,1 9,9 392 Agroalimentare Terre Federiciane 2010 88,7 10,2 865

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Appendice p. 7

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Appendice p. 8

Continuità e discontinuità strategiche, tematiche e gestionali fra PS AV 2007-2013 e PIT 2000-2006

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Continuità

PIT Tematiche PIT Valutazione Strategica Territoriale Organizzativa

Capitanata 2020 Foggia Reti e mobilità, servizi, ambiente e spazio rurale, città e governance

No debole

(espansiva) debole Tavoliere

Distretto Agroalimentare

Il PIT aveva una connotazione agroalimentare mentre l'area vasta si concentra su interventi logistici. Si registra anche una discontinuità territoriale, con l'inclusione dei comuni del Gargano e una discontinuità organizzativa (debole coinvolgimento dell'ufficio unico PIT).

Vision 2020 Barletta Alimentazione, moda, turismo culturale e rurale, inclusione sociale, qualificazione del lavoro,rete ecologica, mobilità, e-governament

no (riduttiva)

no (riduttiva)

no Nord Barese

Sistema logistico

Il PIT era piuttosto selettivo e costruito attorno al sistema logistico per il settore manifatturiero (tessile, abbigliamento e calzature) mentre il PS AV si presenta più eterogeneo. Cambia il comune capofila (da Andria a Barletta) e diminuiscono gli enti partecipanti. L'ufficio unico PIT non è stato coinvolto nella progettazione del PS AV.

Metropoli Terra di Bari

Bari

Mobilità e sistema dei trasporti pubblici, riqualificazione centri storici, della costa e del verde urbano, tutela del paesaggio rurale e delle risorse idriche, tecnologie e servizi energetici, ricerca e l’innovazione, cittadinanza per gli immigrati e inclusine sociale, servizio domanda offerta lavoro, settore turistico culturale, governance

si (espansiva)

debole (espansiva)

si Bari Sistema logistico

I comuni aderenti raddoppiano e si estende anche qui il focus strategico del progetto. Si rilevano alcuni elementi di continuità, sia attraverso progetti del PIT da estendere ai nuovi aderenti, sia attraverso un mantenimento di alcuni temi strategici.

Città Murgiana Gravina

Appartenenza alla comunità e cooperazione intercomunale, abitabilità, accessibilità interna ed esterna, tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, naturalistico, archeologico e architettonico, sviluppo di vecchie e nuove filiere produttive nel rispetto dell’ambiente

debole no

(riduttiva) no Murgia

Settore agricolo e imprese di

trasformazione Settore del mobile

e indotto

C’è una riduzione dei comuni aderenti, da 14 a 4. I temi trattati sono vari, con alcuni progetti che mantengono una continuità rispetto al PIT. In generale si rileva un alto livello di discontinuità.

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Appendice p. 9

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Continuità

PIT Tematiche PIT Valutazione Strategica Territoriale Organizzativa

Valle d’Itria Monopoli

Valorizzazione ambientale, sistema integrato di infrastrutture al servizio della mobilità interna e del sistema economico territoriale, potenziamento del settore turistico a cui collegare le eccellenze della tradizione agroalimentare, sostegno alle imprese con particolare riferimento a quelle del settore della moda e della meccanica, costruzione di una nuova identità d’Area e di una immagine unitaria del territorio attraverso la promozione della cooperazione istituzionale

si (espansiva)

si debole Valle d’Itria

Sistema logistico Potenziamento del sistema produttivo

Accrescimento dell'offerta di

servizi

Anche se con l’alternanza del capofila, la coalizione di comuni resta la stessa. Ci sono elementi di continuità anche al livello dei temi trattati, anche se il piano strategico allarga l'ambito di azione rispetto a quello del PIT.

Area Vasta Tarantina

Taranto

Potenziamento sistema portuale, aeroportuale e logistico, sviluppo delle reti dell’innovazione e della ricerca scientifica e tecnologica, salvaguardia dei sistemi ambientali e bonifica dei siti inquinati, integrazione territoriale dei sistemi della mobilità di area vasta (reti), qualificazione delle filiere produttive (turismo e agroalimentare), inclusione sociale, gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, fonti energetiche alternative, salvaguardia e valorizzazione dei paesaggi identitari, Valorizzazione degli ambiti urbani strategici

si debole

(espansiva) no

Taranto;

Jonico-Salentino

Sistema logistico;

Distretto agroalimentare di

qualità

C’ una continuità di carattere strategico con il tema della logistica che è ancora tra le priorità dell’rea tarantina. Tuttavia, l’ufficio unico non è stato coinvolto e il partenariato si amplia ad includere l’intero territorio della provincia di Taranto (con l'esclusione di Martina Franca).

Area Vasta Brindisina

Brindisi

Potenziare la funzione di punto di snodo e collegamento

Sistemi produttivi locali (turismo, cultura, ricerca e formazione)

si (espansiva)

si no

Brindisi;

Jonico-Salentino

Sistema integrato di servizi di logistica e

distribuzione

Distretto agroalimentare di

qualità

C’è coincidenza territoriale, ma con una maggiore diffusione degli interventi sui comuni aderenti. A livello strategico alcuni progetti sono coerenti con quelli del PIT, ma con un peso inferiore e nell’ambito di una programmazione eterogenea. L'ufficio unico non è stato coinvolto nell’area vasta e il partenariato risulta sostanzialmente ampliato.

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Appendice p. 10

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Continuità

PIT Tematiche PIT Valutazione Strategica Territoriale Organizzativa

Lecce 2005-2015 Lecce

Risorse naturali e paesaggistiche, energie rinnovabili, servizi di trasporto collettivo, cluster produttivi, sostegno ai prodotti locali, scambi mondo imprenditoriale e della ricerca, tutela patrimonio culturale, artistico e ambientale, promozione turistica, potenziamento dei servizi sociali

no no no Jonico-Salentino

Distretto agroalimentare di

qualità

Si trattava di un PIT a cavallo tra tre province, e questo territorio non è stato riconfermato, con un PS di area vasta che torna in buona parte a ricalcare ambiti interni a quelli provinciali. Di qui, anche le coalizioni di attori sono molto diverse e non c’è continuità organizzativa.

Salento 2020 Casarano

Sistemi produttivi locali, competitività e l'attrattività dei sistemi urbani e dei territori extraurbani, in chiave turistica, del territorio, Società dell’Informazione, Economia della conoscenza

si (espansiva)

si debole Salentino-Leccese

Sistema manifatturiero locale (distretto

calzaturiero)

Nell’ambito di una sostanziale coincidenza territoriale, si rileva una minore concentrazione strategica degli interventi. Se nella fase iniziale c'era stata una continuità degli attori, con il progettista dell’area vasta che era stato PIT manager, gli avvicendamenti politici hanno sostanzialmente mutato il panorama dei soggetti coinvolti.

Area Vasta Monti Dauni

CM Monti Dauni

Reti viarie, telematiche, elettriche, idriche ed energetiche, tutela e promozione del capitale naturale, valorizzazione turistica e potenziamento del ruolo del turismo nell’economia locale, inclusione sociale, promozione e commercializzazione dei prodotti del territorio, promuovere l’integrazione di filiera

Si si si Monti Dauni

Sicurezza del territorio, tutela

risorse ambientali e naturali,

valorizzazione produzioni tipiche –

turismo

Nonostante in un ambito conflittuale, si rileva una continuità forte sia degli enti partecipanti che, almeno nella prima fase, dei soggetti gestori. Anche a livello strategico, gli obiettivi presenti nel PIT sono in larga parte confermati.

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Appendice p. 11

Continuità e discontinuità strategiche, tematiche e gestionali fra PS AV 2007-2013 e PSL dei GAL 2007-2013

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Copertura territoriale

GAL Valutazione coerenza PS - GAL

Sinergie o potenziali conflittualità

Strategiche (sviluppo

rurale)

Tematiche e organizzative

Territoriali

Capitanata 2020 Foggia Reti e mobilità, servizi, ambiente e spazio rurale, città e governance

Foggia (60%)

Daunia Rurale La strategia è fondata sul binomio “innovazione-connessione”. L’agricoltura assume un ruolo fondamentale nelle relazioni “ambiente e spazio rurale”: la tutela di tale sistema è affidata allo sviluppo e al sostegno della rete ecologica e del turismo orientato alla conoscenza delle relazioni tra attività produttive agricole, agro-ambientali e agro-artigianali. La logica dell’integrazione e della diversificazione in chiave turistico-ambientale declina un modello multifunzionale come consapevole scelta di sviluppo del territorio.

Gargano

Dauno Ofantino

Piana del Tavoliere

Vision 2020 Barletta Alimentazione, moda, turismo culturale e rurale, inclusione sociale, qualificazione del lavoro,rete ecologica, mobilità, e-governament

BAT (100%) _

Lo sviluppo rurale costituisce sicuramente una priorità per l’area vasta. La declinazione denota tuttavia una visione dicotomica dello sviluppo rurale, riconducibile, da un lato, a prassi di sviluppo agricolo in alcuni contesti mentre in altri tutela e valorizzazione patrimonio naturale. Un ruolo strategico viene attribuito al Distretto agroalimentare.

NP

Metropoli Terra di Bari

Bari

Mobilità e sistema dei traspoti pubblici, riqualificazione centri storici, della costa e del verde urbano, tutela del paesaggio rurale e delle risorse idriche, tecnologie e servizi energetici, ricerca e l’innovazione, cittadinanza per gli immigrati e inclusine sociale, servizio domanda offerta lavoro, settore turistico culturale, governance

Bari (65%)

Murgia PIU (PS Città Murgiana)

Il PS ha previsto uno specifico programma di sviluppo rurale. Il riconoscimento della multifunzionalità e il riconoscimento della centralità dell’agricoltura per la tutela dell’ambiente e del paesaggio, si traduce nell'adozione di modelli integrati di viluppo nelle aree rurali: gli obiettivi espressi dal piano appaiono effettivamente compatibili con un progetto di sviluppo rurale, capace di guidare un consapevole processo di trasformazione dell’agricoltura secondo le note direzioni dell’approfondimento («deepening»), dell’allargamento («broadening») e del riposizionamento («regrounding»).

Fior d'Olivi

Conca Barese

Sud est Barese

Terre dei Trulli e di Barsento

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Appendice p. 12

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Copertura territoriale

GAL Valutazione coerenza PS - GAL

Sinergie o potenziali conflittualità

Strategiche (sviluppo

rurale)

Tematiche e organizzative

Territoriali

Città Murgiana Gravina

Appartenenza alla comunità e cooperazione intercomunale, abitabilità, accessibilità interna ed esterna, tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, naturalistico, archeologico e architettonico, sviluppo di vecchie e nuove filiere produttive nel rispetto dell’ambiente

Bari (25%)

Terre di Murgia

Tra gli obiettivi del PS si annovera la promozione dello sviluppo sostenibile e la qualificazione di “vecchie e nuove filiere”, attraverso la formazione e la gestione di distretti rurali che tuttavia sembrano tradursi nella mera modernizzazione delle imprese agricole e nell’internazionalizzazione dei mercati dei prodotti agroalimentari.

Murgia PIU (PS

Metropoli Terra di Bari)

Valle d’Itria Monopoli

Valorizzazione ambientale, sistema integrato di infrastrutture al servizio della mobilità interna e del sistema economico territoriale, potenziamento del settore turistico a cui collegare le eccellenze della tradizione agroalimentare, sostegno alle imprese con particolare riferimento a quelle del settore della moda e della meccanica, costruzione di una nuova identità d’Area e di una immagine unitaria del territorio attraverso la promozione della cooperazione istituzionale.

Bari (10%); Taranto (5%); Brindisi (2,5%)

Terre dei Trulli e di Barsento (PS Metropoli Terra

di Bari) La specificità rurale del territorio ha costituito per il PS il punto attorno al quale cotruire una strategia centrata sul potenziamento del settore turistico e agro-industriale. La declinazione lascia trasparire un approccio settoriale incentrato sul settore primario.

Valle d'Itria (PS

AV Tarantina; PS AV Brindisina)

Area Vasta Tarantina

Taranto

Potenziamento sistema portuale, aeroportuale e logistico, sviluppo delle reti dell’innovazione e della ricerca scientifica e tecnologica, salvaguardia dei sistemi ambientali e bonifica dei siti inquinati, integrazione territoriale dei sistemi della mobilità di area vasta (reti), qualificazione delle filiere produttive (turismo e agroalimentare), inclusione sociale, gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, fonti energetiche alternative, salvaguardia e valorizzazione dei paesaggi identitari, Valorizzazione degli ambiti urbani strategici

Taranto (95%)

Luoghi del Mito

Riconoscimento delle differenze fra conteti territoriali con le relative voacazioni tra cui anche quella agricola, in particolare nel verante orientale (GAL Terre del primitivo). Un ruolo strategico viene attribuito al Distretto agroalimentare .

Valle d'Itria (PS Valle d'Itria; PS AV Brindisina)

Terre del primitivo (PS AV

Brindisina)

Colline Ioniche

Area Vasta Brindisina

Brindisi

Potenziare la funzione di punto di snodo e collegamento Sistemi produttivi locali (turismo, cultura, ricerca e formazione)

Brindisi (97,5%)

Valle d'Itria (PS Valle d'Itria; PS AV Tarantina)

Un’esplicita attenzione è rivolta al sistema agroalimentare, al miglioramento della competitività e alla modernizzazione del settore privilegiando un approccio di sviluppo agricolo pittosto che rurale.

Alto Salento

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Appendice p. 13

Piano strategico Capofila Finalità PS AV Copertura territoriale

GAL Valutazione coerenza PS - GAL

Sinergie o potenziali conflittualità

Strategiche (sviluppo

rurale)

Tematiche e organizzative

Territoriali

Terre dei Messapi Terre del primitivo

Lecce 2005-2015 Lecce

Risorse naturali e paesaggistiche, energie rinnovabili, servizi di trasporto collettivo, cluster produttivi, sostegno ai prodotti locali, scambi mondo imprenditoriale e della ricerca, tutela patrimonio culturale, artistico e ambientale, promozione turistica, potenziamento dei servizi sociali

Lecce (50%)

Terre d'Otranto Il legame turismo-ambiente-cultura rappresenta uno degli obiettivi del PS e include di fatto molti elementi riconducibili tanto al concetto di ruralità, quanto ai temi dello sviluppo rurale. Nella sua declinazione tuttavia prevale una approccio settoriale. Un ruolo strategico viene attribuito al Distretto agroalimentare .

Isola Salento

Valle della Cupa

Terre d'Arneo

Serre salentine

Salento 2020 Casarano

Sistemi produttivi locali, competitività e l'attrattività dei sistemi urbani e dei territori extraurbani, in chiave turistica, del territorio, Società dell’Informazione, Economia della conoscenza

Lecce (50%)

Terre d'Otranto (PS Lecce 2005-

2015) Elementi riconducibili allo sviluppo rurale sono presenti in almeno due dei tre obiettivi “generali”. Le line di intervento tuttavia disattendono gli obiettivi dichiarati perseguendo un approccio settoriale relativo da un lato alla modernizzazione del agroalimentare e dall'altro alla tutela del patrimonio naturale e culturale.

Capo Santa Maria di Leuca Serre salentine (PS Lecce 2005-

2015) Isola Salento (PS

Lecce 2005-2015)

Area Vasta Monti Dauni

CM Monti Dauni

Reti viarie, telematiche, elettriche, idriche ed energetiche, tutela e promozione del capitale naturale, valorizzazione turistica e potenziamento del ruolo del turismo nell’economia locale, inclusione sociale, promozione e commercializzazione dei prodotti del territorio, promuovere l’integrazione di filiera

Foggia (40%) Meridaunia

L’agricoltura viene riconosciuta come punto di forza del territorio. Tale priorità assegnata al settore primario è declinata in tutti i “percorsi di sviluppo”: processi di diversificazione coerenti con l’approccio multifunzionale nella direzione dell’allargamento («broadening») e del riposizionamento («regrounding») e specializzazione produttiva delle tipicità (processi di approfondimento «deepening»). Il ricorso al concetto di multifunzionalità appare più concreto che altrove. Si rileva una consapevole adesione ad un modello di sviluppo rurale integrato.

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Appendice p. 14

i Le elaborazioni cartografiche sono di D’Argenio D., esperto di Sistemi Informativi Geografici che si ringrazia per la collaborazione. I dati provenienti da diverse fonti sono stati raccolti nell’ambito della ricerca dallo scrivente e dalla Dott.ssa Labianca che si ringrazia per la collaborazione per la costruzione di un database sulle cooperazioni inter-stituzionali realizzato in collaborazione con il Prof. De Rubertis e il Dott. Ciovolino dell’Università del Salento.