REUMATOLOGIA - simg.it · FIBROMIALGIA: LINEE GUIDA DIAGNOSTICHE E APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE M....

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI EUMATOLOGIA R PRATICA Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Stefano Giovannoni Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Presidente CROI Stefano Stisi Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Antonio Mazzone Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 [email protected] • www.pacinimedicina.it Marketing Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 - [email protected] Fabio Poponcini - Sales Manager Tel. 050 3130218 - [email protected] Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 - [email protected] Editorial Office Lucia Castelli Tel. 050 3130224 - [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa) Con il patrocinio di FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEI DIRIGENTI OSPEDALIERI INTERNISTI COLLEGIO REUMATOLOGI OSPEDALIERI ITALIANI SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA GENERALE LEGA ITALIANA MALATTIE AUTOIMMUNI E REUMATICHE SETTEMBRE 2008 NUMERO 3 VOLUME 2 A CHI, PER CHI, CON CHI? R. Marcolongo ........................................... 00 FIBROMIALGIA: LINEE GUIDA DIAGNOSTICHE E APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE M. Cazzola, P. Sarzi Puttini, T. Nava .............. 00 IL PIEDE DOLOROSO M. Bardelli, L. Turelli, L. Mazzucco ................. 00 IL RUOLO DELL’ACIDO IALURONICO NELLE MALATTIE OSTEOARTICOLARI E. Paresce, A. Murgo, O. De Lucia, L. Pisoni, E. Schito, E. Valcamonica, A. Ferrara, D. Comi, A. Celant ..................................... 00 ARTRITE REUMATOIDE E MALATTIE CARDIOVASCOLARI E. Leggieri ................................................. 00

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAPRATICA

Direttore ScientificoRoberto Marcolongo

Direttore EditorialeBianca Canesi

Comitato ScientificoGerolamo BianchiAlessandro BussottiPierlorenzo FranceschiBruno FredianiLuigi GattaStefano GiovannoniArrigo LombardiRaffaella MichieliVittorio Modena

Presidente CROIStefano Stisi

Presidente LIMARRoberto Marcolongo

Presidente SIMGClaudio Cricelli

Presidente FADOIAntonio Mazzone

Direttore ResponsabilePatrizia Alma Pacini

© Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa

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Marketing Pacini Editore MedicinaAndrea Tognelli - Medical Project - Marketing DirectorTel. 050 3130255 - [email protected]

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Manuela Mori - Customer Relationship ManagerTel. 050 3130217 - [email protected]

Editorial OfficeLucia CastelliTel. 050 3130224 - [email protected]

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DEI DIRIGENTI OSPEDALIERI INTERNISTI

COLLEGIO REUMATOLOGIOSPEDALIERI ITALIANI

SOCIETÀ ITALIANADI MEDICINA GENERALE

LEGA ITALIANA MALATTIEAUTOIMMUNI E REUMATICHE

SETTEMBRE 2008NUMERO 3VOLUME 2

A CHI, PER CHI, CON CHI?R. Marcolongo ........................................... 00

FIBROMIALGIA: LINEE GUIDA DIAGNOSTICHEE APPROCCIO MULTIDISCIPLINAREM. Cazzola, P. Sarzi Puttini, T. Nava .............. 00

IL PIEDE DOLOROSOM. Bardelli, L. Turelli, L. Mazzucco ................. 00

IL RUOLO DELL’ACIDO IALURONICONELLE MALATTIE OSTEOARTICOLARIE. Paresce, A. Murgo, O. De Lucia, L. Pisoni, E. Schito, E. Valcamonica, A. Ferrara, D. Comi, A. Celant ..................................... 00

ARTRITE REUMATOIDEE MALATTIE CARDIOVASCOLARIE. Leggieri ................................................. 00

NOrME rEDaZiONaLiGli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La Redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica degli esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore.Il Direttore del Giornale si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Autori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno. Nel caso di provenienza da un Dipartimento Universitario o da un Ospedale il testo dovrà essere controfirmato dal responsabile del Reparto ( U.O.O., Clinica Universitaria…).Conflitto di interessi: nella lettera di accompagnamento dell’articolo, gli Au-tori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Enti Pubblici o Privati, anche se i loro prodotti non sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore come un’informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati verranno pubblicati con l’ac-compagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento.

NOrME GENEraLitesto: in lingua italiana, dattiloscritto, con numerazione delle pagine a partire dalla prima e corredato di: 1) titolo del lavoro; 2) parole chiave; 3) riassunto; 4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure. Non si accettano articoli che non siano accompagnati dal relativo file.

Gli Autori sono invitati ad inviare i manoscritti secondo le seguenti norme: • modalità di invio– CD-ROM o DVD (evitare di utilizzare Dischetti da 3 ½”)– è anche possibile utilizzate pen-drives USB o dischi esterni USB-Firewire– posta elettronica ([email protected])– FTP (concordare con il personale Pacini le modalità)• testo – software: preferibilmente Microsoft Word, salvando i file in formato .RTF. Possono essere utilizzati anche altri programmi, anche open source, avendo accortezza di salvare sempre i file in formato .RTF. Non utilizzare in nes-sun caso programmi di impaginazione grafica quali Publisher, Pagemaker, Quark X-press, Indesign. Non formattare il testo in alcun modo (evitare stili, bordi, ombreggiature …); utilizzare solo gli stili di carattere come corsivo, grassetto, sottolineato. Non inviare il testo in formato .PDF– nome del/i file/s: il testo e le singole tabelle devono essere salvati in files separati• illustrazioni – inviare le immagini in files separati dal testo e dalle tabelle– software e formato: inviare immagini preferibilmente in formato TIFF o EPS, con risoluzione minima di 300 dpi e formato di 100 x 150 mm. Altri formati possibili: JPEG, PDF. Evitare nei limiti del possibile .PPT (file di Powerpoint) e .DOC (immagini inseriti in file di .DOC)– nome del/i file/s: inserire un’estensione che identifichi il formato del file (esempio: .tif; .eps)

Le bozze del lavori saranno inviate per la correzione al primo degli Autori salvo diverse istruzioni. Gli Autori si impegnano restituire le bozze corrette entro e non oltre 3 giorni dal ricevimento; in difetto i lavori saranno pubblica-ti dopo revisione fatta dalla Redazione che però declina ogni responsabilità per eventuali inesattezze sia del dattiloscritto che delle indicazioni relative a figure e tabelle.Nella prima pagina devono comparire: il titolo (coinciso); le pa-role chiave; i nomi degli Autori e l’Istituto o l’Ente di appartenenza; il nome, l’indirizzo, il recapito telefonico e l’indirizzo e-mail dell’Autore cui sono de-stinate la corrispondenza e le bozze.Nella seconda pagina comparirà: il riassunto (non più di 200 paro-le) e nelle ultime la bibliografia, le didascalie di tabelle e figure e l’eventuale menzione del Congresso al quale i dati dell’articolo siano stati comunicati (tutti o in parte).tabelle: devono essere contenute nel numero (evitando di presentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte una per pagina e numerate pro-gressivamente con numerazione romana. Nel testo della tabella e nella legenda utilizzare, nell’ordine di seguito riportato, i seguenti simboli: *, †,‡,§,¶,**,††,‡‡…Figure: per l’invio delle figure attenersi strettamente alle seguenti indicazioni.

Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con nu-meri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cu sono state citate. Devono essere riportati i primi 6 Autori, eventualmente seguiti da et. al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus.Esempi di corretta citazione bibliografica per:articoli e rivisteBianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità ac-quisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.libriTajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, eds. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84.ringraziamenti: indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina.termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078.I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potran-no essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto).

NOrME SpEciFichE pEr LE SiNGOLE ruBrichEEditoriali. Sono intesi come considerazioni generali e pratiche sui temi di attualità, in lingua italiana, sollecitati dal Direttore o dai componenti il Comitato di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci.articoli sulle patologie. Non devono superare le 10 pagine dattilo-scritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista.articoli sui sintomi. Preferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista.casi clinici. Vengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di in-teresse didattico e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizio-ne del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8 cartelle da 2000 battute) deve essere coinciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole. Devono essere suddivisi in 3 blocchi temporali (Step). Alla fine di ogni fase devono essere esposti alcuni quesiti, che derivano dall’analisi dei problemi più importanti emersi con la presentazione del caso, seguiti dalle risposte e eventuali commenti. Evidenziare gli obiettivi del lavoro.

Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indi-rizzati a: Pacini Editore S.p.A., Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1, 56121 Ospedaletto (PI), e-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2008 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore - Pisa

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o com-merciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org.I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancel-lare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. -Via A. Gherardesca 1- 56121 Ospedaletto (Pisa).

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Quando un Comitato editoriale-scientifico di nuova creazione si riunisce con l’idea di fondare una nuo-va rivista, le domande più pressanti che naturalmente emergono sono di trovare delle motivazioni sufficiente-mente logiche e razionali per spiegare la necessità di una nuova nascita nell’oceano di carta che inonda in continuazione le scrivanie dei medici, a tutti i livelli.Ovviamente, ogni nuova nascita ha apparentemente motivazioni più che logiche e convincenti sul piano del-la necessità di informare, approfondire e meglio studia-re taluni aspetti diagnostici, terapeutici, socioeconomi-ci, epidemiologici, etico-comportamentali, ecc. In genere, per tutte le nuove pubblicazioni si tratta di motivazioni perfettamente logiche e giustificate: il principio ispiratore appare sempre corretto, legittimo e condivisibile.Per quanto riguarda Reumatologia Pratica, le motiva-zioni per cui si è ritenuto di dare vita alla sua pub-blicazione sono state abbondantemente espresse nel-l’Editoriale del numero di presentazione per cui non è quindi il caso di ripeterle nuovamente.Riteniamo che le ragioni trovate rispondano piena-mente a due terzi del titolo di questo Editoriale: a chi? per chi?Sfortunatamente, ciò che non si riesce mai a rilevare, neppure nel tempo, è la reale utilità delle riviste, il con-creto interesse dei lettori e soprattutto i benefici cultura-li che possono ricavarne. Manca in sostanza un osser-vatorio di rilevamento dell’indice di gradimento delle riviste e del loro ruolo reale nel miglioramento culturale e professionale del medico. Anche il Comitato edito-riale di Reumatologia Pratica si è trovato dinnanzi al problema (un vero e proprio problema di coscienza)

di porsi, dopo l’uscita dei primi numeri, una serie di quesiti cui certamente non è facile dare risposta: la rivista è utile? Viene realmente incontro alle necessità culturali e di aggiornamento dei medici? Manca alla rivista qualche strumento per farla diventare un vero e proprio riferimento per gli aspetti diagnostici e te-rapeutici più frequenti e più urgenti nell’ambito delle malattie reumatiche? In genere, nell’editoria attuale, tranne rari casi, non esiste un meccanismo feedback che permetta di tasta-re il polso ai lettori, di avere dati quantitativi e quali-tativi sul loro gradimento e soprattutto di avere un in-terscambio attivo con i lettori stessi concernente i temi trattati, le critiche, i suggerimenti, le reali necessità di affrontare alcuni temi anziché altri.Paradossalmente si potrebbe affermare che per una rivista medica che abbia intenti informativi e di ag-giornamento, una nuova e audace innovazione per l’elaborazione e la conduzione della pubblicazione sarebbe probabilmente quella di far si che il Comitato editoriale faccia da camera di risonanza dei lettori e che il palinsesto riguardante ogni singolo fascicolo e l’annata nel suo complesso fosse programmato in rapporto anche alle richieste dei lettori. Questa impo-stazione, realizzabile con difficoltà, ma affascinante, parte comunque dal presupposto che le richieste e le proposte dei lettori dovrebbero rispecchiare pro-prio le necessità, le curiosità, nonché le incertezze e i dubbi; non vi è dubbio che la Rivista così concepi-ta dovrebbe avere il compito primario e prioritario di soddisfarle, realizzando in definitiva gli obiettivi che la Rivista si è prefissi. Anche se le difficoltà di per-corso di questa strada sono sulla carta molteplici, il concetto di un rapporto molto stretto con i lettori che potranno partecipare attivamente con i suggerimenti e le proposte sulle varie tematiche resta, a mio giudizio, valido e stimolante. In questo modo si realizzerebbe una piccola rivoluzione (culturale) per cui non tutte le scelte verrebbero prese e calate dall’alto, ma la “com-posizione” della Rivista avverrebbe anche e sopratutto tenendo conto dell’opinione dei lettori cui è diretta.

A CHI, PER CHI, CON CHI?

ROBERTO MARCOLONGO

Già Professore ordinario di Reumatologia dell’Università di SienaPresidente onorario della Società Italiana di Reumatologia

SETTEMBRE 2008 VOLUME 3 PAGINE 67-68

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Si realizzerebbe in tal modo anche il terzo termine del titolo di questo Editoriale: con chi? La risposta è semplice: una Rivista insieme ai lettori. Il meccanismo, come sopra accennavo, probabilmente dovrà supera-re delle difficoltà, ma avrebbe l’indubbio vantaggio di far fare alla Rivista un importante salto di qualità e di dare alla stessa un “taglio” in pieno accordo con le necessità e gli interessi di chi legge.Come Direttore scientifico della Rivista invito quindi tutti i lettoti ad inviare senza alcuna remora i sugge-rimenti, le proposte, ed anche le critiche, su come impostare la Rivista e sui temi di maggiore interesse

da trattare. Tra l’altro, intendiamo anche aprire dai prossimi numeri una rubrica di risposte a lettere dei lettori.Queste opinioni forniranno preziose indicazioni al Comitato editoriale sulle programmazioni future e con-tribuiranno a creare un legame non solo culturale, ma anche di fiducia tra i gestori della Rivista e il mondo dei lettori, obiettivi che personalmente ritengo molto importanti ed essenziali per giustificare non solo lo sforzo editoriale, ma anche il conseguimento degli scopi che hanno determinato la nascita della Rivista stessa.

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Parole chiaveDolore cronico muscoloscheletrico • Tender Points • Sindrome fibromialgica • Criteri diagnostici

MARCO CAZZOLA, PIERCARLO SARZI PUTTINI*,TIZIANA NAVA**

Responsabile Degenza Riabilitativa Ortopedica, Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo”,Busto Arsizio, Presidio di [email protected]* Direttore Unità Operativa Complessa Reumatologia, Azienda Ospedaliera - Polo Universitario “Luigi Sacco”, [email protected]** Fisioterapista, Responsabile Nazionale Gruppo di Interesse Specialistico (GIS)in Riabilitazione [email protected]

INTRODUZIONEIl dolore cronico muscoloscheletrico rappresenta un problema emergente nei paesi industrializzati; la sua prevalenza, infatti, è stimata in circa il 35% della po-polazione generale e ha ormai superato le malattie cardiovascolari nell’indurre disabilità. Il dolore può es-sere la conseguenza di lesioni a carico del sistema muscoloscheletrico ma, spesso, si manifesta in assen-za di alterazioni strutturali rilevabili a carico dei tessuti dove viene percepito; in altri casi le sue caratteristiche, in termini di intensità e di modalità di presentazione, non sono compatibili con eventuali patologie rilevabi-li all’esame clinico e con le indagini strumentali 1 2.

La sintomatologia algica rappresenta, nella grande maggioranza dei casi, il motivo per cui il paziente si rivolge al Medico di Medicina Generale (MMG) ma, quasi invariabilmente, un’anamnesi attenta per-mette di riscontrare numerosi sintomi extrascheletrici: l’astenia, la cefalea, la sindrome da colon irritabile e la deflessione del tono dell’umore sono solo i più frequenti 3. La molteplicità dei sintomi somatici e fun-zionali, spesso riferiti in modo “bizzarro”, configura il quadro sindromico di questa condizione che, definita “fibromialgia” solo negli anni ’80, in realtà è stata de-scritta nella letteratura medica, anche se con definizio-ni diverse, da numerosi decenni. Le indagini strumen-tali e di laboratorio, solitamente focalizzate sui sintomi preminenti, risultano invariabilmente nella norma, per cui la diagnosi si basa esclusivamente sull’evidenza clinica e sull’esclusione di patologie differenti. I diversi set di criteri clinici proposti nel corso degli anni, tut-tavia, non sono esenti da limiti: i criteri classificativi sono risultati poco sensibili, mentre quelli diagnostici non permettono di discriminare altre sindromi disfun-zionali a elevata prevalenza nella popolazione gene-rale. Una volta postulata la diagnosi, con tutti i dubbi del caso, viste le premesse, rimane il problema della terapia; non essendo ancora stato individuato un trat-tamento risolutivo spesso sono proposti approcci tera-peutici, tradizionali e non, supportati da un razionale scientifico quantomeno dubbio. Allo stato attuale delle

RIASSUNTOLa fibromialgia (FM) è una sindrome dolorosa cronica, a eziologia sconosciuta, caratterizzata da dolore muscolosche-letrico diffuso e da sintomi extrascheletrici a carico di numerosi organi e apparati. La prevalenza stimata, probabil-mente per difetto, è di circa il 2% della popolazione generale; colpisce preferenzialmente soggetti di sesso femminile in età giovane-adulta, anche se sono descritti casi a insorgenza nell’infanzia e dopo i 60 anni di età. Da quando è stata coniata tale definizione, la FM è stata, ed è tuttora, una delle diagnosi più controverse in campo reumatologico, tanto che la sua esistenza come entità autonoma non è da tutti accettata. La validità dei criteri diagnostici proposti, in termini di sensibilità e specificità, è ancora oggi motivo di discussione tra gli specialisti, non solo reumatologi, che si occupano di questa patologia. Il corteo sintomatologico caratteristico della FM, inoltre, si sovrappone con quello di numerose condizioni definite e classificate in modo diverso, creando un notevole overlap tra sindromi cliniche differenti. Il trattamento della FM deve essere individualizzato sulle caratteristiche del singolo paziente e non può essere limitato all’utilizzo dei farmaci; solo con un approccio multidisciplinare che comprenda strategie terapeutiche farmacologiche e non farmacologiche, infatti, si ottengono i risultati migliori.

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conoscenze, le classi di farmaci con le maggiori pro-ve di efficacia appartengono agli antidepressivi e agli antiepilettici; la risposta clinica è comunque parziale e limitata a circa il 30-40% dei soggetti trattati 4. Un approccio terapeutico integrato, basato su strategie farmacologiche e non farmacologiche, sembra offrire i risultati migliori, anche se la letteratura, fino ad oggi, non ci fornisce dati per quantificarne l’efficacia 5.

PRESENTAZIONE CLINICA

I sintomiOltre al dolore cronico, i pazienti fibromialgici riferi-scono numerosi sintomi extrascheletrici, tra cui i distur-bi del sonno e l’astenia sono i più frequenti.Il dolore cronico diffuso a carico dell’apparato mu-scoloscheletrico rappresenta la caratteristica clinica prevalente nei pazienti fibromialgici ed è, nella gran-de maggioranza dei casi, il motivo per cui è richie-sto il consulto medico. Nella presentazione classica della malattia il dolore è percepito sia al tronco sia ai quattro arti, anche se l’intensità può essere diffe-rente nelle diverse sedi. Il paziente può focalizzare la propria attenzione, al momento della visita, sulla sede anatomica maggiormente dolente, ad esempio il rachide cervicale o lombare ma, se interrogato ade-guatamente, riferirà di avere dolore anche in altre sedi (spalle, braccia, mani, ginocchia, anche, cosce, gambe, piedi, torace). Una delle caratteristiche del dolore fibromialgico, infatti, è quella di presentare ampie variazioni temporali, sia nell’intensità sia nel-la distribuzione. Nelle donne, spesso, si intensifica in concomitanza con il ciclo mestruale, ma le variazioni di intensità possono riguardare anche momenti diversi della stessa giornata; il mattino, il tardo pomeriggio e la sera sono i periodi peggiori per i pazienti fibromial-gici 6. Numerosi fattori esterni influiscono sull’intensità del dolore: il clima freddo e umido, l’ansia, lo stress, il sovraccarico funzionale, l’inattività, il sonno disturbato e il rumore sono quelli più frequentemente riferiti dai pazienti. Il dolore, comunque, è solitamente generaliz-zato e con distribuzione non-anatomica o regionale, non essendo riferibile a strutture o a radici nervose definite; spesso è percepito come una mialgia diffusa che origina dall’interno del muscolo o profondamente nell’osso. Circa due terzi dei pazienti riferisce di ave-re “dolore dalla testa ai piedi” e lo descrive, nel corso della raccolta anamnestica, con termini talora bizzarri (scottante, bruciante, vibrante, battente, martellante, tagliente). La rigidità muscoloscheletrica generalizza-

ta, soprattutto mattutina e di durata maggiore ai 15 minuti, la sensazione di gonfiore e intorpidimento alle mani e ai piedi e le parestesie sono altri sintomi fre-quentemente riferiti dai pazienti. La fatica moderata o severa è presente nel 75-90% dei casi ed è gene-ralmente più intensa al mattino; può essere descritta come spossatezza, stanchezza, mancanza di ener-gie. I disturbi del sonno sono presenti in circa il 75% dei pazienti e possono essere più o meno accentuati (insonnia precoce, media o tardiva, ipersonnia, risve-gli frequenti, sonno leggero). I disturbi cognitivi inclu-dono calo di concentrazione e di capacità di fissare la memoria breve, rallentamento dei gesti, incapacità di svolgere più compiti contemporaneamente, facile distraibilità, sensazione di confusione; nell’insieme questa condizione è stata definita “nebbia cogniti-va” (fibro-fog). Le alterazioni funzionali a carico del sistema nervoso autonomo comportano l’incapacità al mantenimento dell’omeostasi e si possono manifestare con aritmie, ipotensione, stordimento, vertigini, insta-bilità vasomotoria, sindrome sicca, alterato controllo della temperatura corporea con intolleranza a caldo o freddo, disturbi respiratori, disturbi della motilità intesti-nale o vescicale, dismenorrea, perdita di adattabilità e tolleranza allo stress, appiattimenti dell’emozione e depressione reattiva 7-10.

I segniL’esame obiettivo articolare è solitamente normale, non essendo riscontrabili limitazioni funzionali o segni obiettivi di flogosi a carico delle articolazioni, anche quando sono sede di dolore spontaneo. La presenza di punti elettivamente dolenti alla pressione, definiti tender points (TP), rappresenta il segno obiettivo più caratteristico della FM. I TP possono essere definiti come aree iperalgesiche situate in corrispondenza di specifiche sedi muscolari e tendinee; alcune di que-ste zone hanno una distribuzione topografica simile a quella di alcune sindromi dolorose extra-articolari localizzate, come l’epicondilite e la tendinite trocante-rica. Nel corso degli anni sono state approntate diver-se “mappe” di TP, cercando di individuare quelli mag-giormente discriminanti rispetto ai gruppi di controllo. Attualmente si utilizza, a fini classificativi, la mappa a 18 TP messa a punto nel 1990 in uno studio multi-centrico condotto sotto l’egida dell’American College of Rheumatology (ACR) (Fig. 1) 11. La pressione da esercitare in queste sedi dovrebbe essere di 4 kg per cmq. Il metodo più attendibile, naturalmente, è quello di utilizzare un algometro a pressione ma, con un po’

71M. CAZZOLA, P. SARZI PUTTINI, T. NAVA EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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di esperienza, anche con la semplice digitopressione si riesce a essere sufficientemente precisi; si utilizza il polpastrello del pollice o dell’indice applicando una forza progressiva fino a determinare l’impallidimento del letto ungueale dell’esaminatore. I TP non sono mai dolenti spontaneamente e il paziente non conosce la loro localizzazione. Altri segni fisici, non necessari per la diagnosi, sono la dolorabilità di una piega cu-tanea, ottenuta “pinzando” una piega della pelle e del sottocutaneo sottostante in corrispondenza del TP (manovra del pincé roulé degli autori francesi), l’ipere-mia cutanea indotta dalla digitopressione a livello del TP, la livedo reticularis alle estremità e, in un sottogrup-po di pazienti, il fenomeno di Raynaud 6.

DIAGNOSIIl riscontro di dolorabilità indotta da una pressione di 4 kg/cm2 in almeno 11 TP sui 18 considerati dalla mappa dei criteri ACR 1990, unitamente all’anamne-si di dolore muscoloscheletrico diffuso da almeno tre mesi, ha fornito la combinazione più sensibile, speci-fica e accurata di criteri per la classificazione della FM, sia primitiva sia secondaria.

L’utilizzo dei criteri ACR 1990 nella pratica clinica, tuttavia, ne ha ben presto messo in evidenza i limi-ti; in particolare ne è stata ripetutamente criticata la scarsa capacità discriminativa rispetto ad altre sindromi caratterizzate da una sintomatologia d’or-gano o di apparato che non trova alcun riscontro in alterazioni morfologiche evidenziabili, quali la sin-drome da fatica cronica (SFC) e le sindromi miofa-sciali 12-14. La sintomatologia di molte di queste sin-dromi spesso si sovrappone tanto è vero che, non di rado, lo stesso paziente può rispettare i criteri diagnostici per due o più di esse. Nel 1994 Wolfe ha proposto criteri meno stringenti, che considerano anche i numerosi sintomi extrascheletrici (Tab. I) 15.Lo screening sulla popolazione generale può essere effettuato anche con un questionario recentemente proposto da Harvey Moldofsky, nel corso dell’ulti-mo Congresso Europeo di Reumatologia svoltosi nel giugno 2008: uno score inferiore a 3 esclude la diagnosi presuntiva di FM, mentre valori superiori a 8 indicano l’opportunità di ulteriori accertamenti o consulti (Tab. II) 16. È auspicabile che la diffusione di strumenti di indagine epidemiologica permetta,

A Occipite: bilaterale, all’inserzione del muscolo sub-occi-pitale

B Cervicale: bilaterale, superficie anteriore dei legamenti intertrasversari C5-C7

C Trapezio: bilaterale, al punto medio del bordo superioreD Sovraspinato: bilaterale, all’origine del muscolo so-

vraspinato, al di sopra della spina della scapolare, in prossimità del bordo mediale della scapola

E Seconda costa: bilaterale, a livello della seconda articolazione costo-condrale

F Epicondilo laterale: bilaterale, 2 cm distalmente all’epi-condilo

G Gluteo: bilaterale, sul quadrante supero-esterno del grande gluteo

H Grande trocantere: bilaterale, posteriormente alla pro-minenza trocanterica

I Ginocchio: bilaterale, a livello del cuscinetto adiposo mediale, prossimalmente all’interlinea articolare

FIGURA 1. Mappa dei tender points 11.

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in futuro, di individuare precocemente i soggetti predisposti a sviluppare sindromi dolorose croniche disfunzionali, tra cui la FM; una recente indagine condotta dall’European Network of Fibromyalgia Associations (ENFA), infatti, ha dimostrato che in Europa sono necessari da 2 a 4 consulti medici prima di arrivare a una diagnosi corretta, con un ritardo diagnostico compreso tra 1,9 e 2,7 anni dall’insorgenza dei sintomi 17. La diagnosi si basa ancora sulla presenza di dolore cronico diffuso e sulla positività di 11/18 TP, nonostante le numero-se critiche a questi criteri diagnostici.

DIAGNOSI DIFFERENZIALENumerose malattie, reumatiche e non, possono ma-nifestarsi con sintomi del tutto sovrapponibili a quelli della FM (Tab. III) 18. Alcuni autori, in questi casi, parlano di FM secondaria, termine che dovrebbe es-sere utilizzato solo quando la terapia adeguata della patologia sottostante comporta la completa risoluzio-

ne dei sintomi. In altri casi i sintomi caratteristici della FM persistono anche dopo aver ottenuto la remis-sione della malattia che si pensa essere stato il pri-mum movens dell’insorgenza di questa condizione. Può accadere, ad esempio, che un paziente affetto da artrite reumatoide continui a lamentare mialgie, astenia e artralgie anche quando non siano più rile-vabili segni clinici e laboratoristici indicativi di una condizione flogistica attiva. La FM, in altri termini, può coesistere con altre malattie (FM concomitante) e, in questi casi, è importante intervenire dal punto di vista terapeutico come se ci trovassimo di fronte a una forma primaria. Il corteo sintomatologico carat-teristico della FM, infine, si sovrappone con quello di numerose condizioni definite e classificate in modo diverso, creandosi un notevole overlap tra sindromi cliniche differenti 19. La diagnosi differenziale, in questi casi, può essere difficile, se non impossibile e, secondo alcuni autori, addirittura non appropriata. Una scuola di pensiero, infatti, non considera la FM

TABELLA I. Criteri diagnostici clinici 15.

FM definita Tutte le manifestazioni caratteristiche della sindrome

FM probabile Quando sono presenti 2 o 3 delle manifestazioni caratteristiche della sindrome

FM possibile Quando è presente una delle manifestazioni caratteristiche della sindrome

DEFINITA PROBABILE POSSIBILEDolore Diffuso Locale in diverse sedi Assente o locale (una sola

sede)

TPs ≥ 11 6-10 0-5

Sintomi Numerosi Alcuni Assenti o rari

TABELLA II. Fibromyalgia Moldofsky Questionnaire (FMQ).

MAI QUALCHEVOLTA SPESSO SEMPRE NON SO SCORE

Ho dolore o rigidità in molte parti del mio corpo

0 1 2 3 0

Il mio corpo è sensibile a qualsiasi compressione o pressione

0 1 2 3 0

Mi sento in forma 3 2 1 0 0

Il mio sonno è riposante 3 2 1 0 0

Mi sento triste o nervoso 0 1 2 3 0

Sono soddisfatto della mia vita 3 2 1 0 0

Score totale

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come un’entità nosologicamente definita, quanto, piuttosto, una delle possibili manifestazioni sindromi-che di alterazioni del sistema psico-neuro-endocrino (spettro dei disturbi dell’affettività) o del sistema di reazione allo stress (sindromi disfunzionali) (Fig. 2) 20 21. Più recentemente, infine, anche queste classi-ficazioni sono state messe in discussione e, attual-

mente, sembra corretto includere la FM nell’ambito delle sindromi da sensibilizzazione centrale, facen-do riferimento, con questa definizione, al principale meccanismo patogenetico identificato come causa della sintomatologia, scheletrica ed extrascheletrica della FM e di altre sindromi precedentemente defini-te “disfunzionali” 22-25. Nessuno dei criteri diagnostici proposti per porre la diagnosi clinica di FM permette di differenziare le forme primarie da quelle seconda-rie o concomitanti; la diagnosi deve essere sempre posta dopo aver escluso altre patologie sottostanti o concomitanti con le indagini diagnostiche che si riterranno opportune nel singolo caso in relazione alla tipologia dei sintomi riferiti. Uno screening di massima, comunque, deve comprendere un esame obiettivo completo e non limitato all’apparato musco-loscheletrico, gli indici di flogosi, l’esame emocromo-citometrico, gli indici di funzionalità epatica e renale e la determinazione dell’ormone tireostimolante (TSH)

TABELLA III. Condizioni che simulano la fibromialgia.

COMUNI MENO FREQUENTIIpotiroidismo Epatite C

Polimialgia reumatica Sindrome da apnee notturne

Esordio di alcune malattie reumatiche (ad es. AR, LES)

Malformazione di Chiari

Sindrome di SjögrenAR = artrite reumatoide; LES = lupus eritematoso sistemico.

FIGURA 2. Sindromi che rientrano nei disturbi dell’affettività 21.

DISTURBIDELL’AFFETTIVITÀ

Sindromeda fatica cronica

Sindromeda colon irritabile

Cefaleamuscolo-tensiva

Emicrania

Sindromimiofasciali

Dismenorreaprimaria

Movimentiperiodici degli

arti

Sindrome delle gambe senza

riposo

Sindrometemporo-

mandibolare

Fibromialgia

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(Tab. IV e Fig. 3). Numerose malattie, reumatiche e non, si manifestano con gli stessi sintomi della FM. Prima di porre diagnosi di FM, quindi, è necessario escludere patologie diverse.

APPROCCIO TERAPEUTICOLa FM determina, sia prima sia dopo la formulazio-ne diagnostica, un notevole impiego di risorse eco-nomiche e di visite ambulatoriali che riguardano, in

TABELLA IV. Esami di laboratorio consigliati alla prima osservazione.

INSORGENZA DEI SINTOMI < 12 MESI INSORGENZA DEI SINTOMI > 12 MESIVES VES

PCR Emocromo

Emocromo TSH

ANA (se clinica indicativa per connettiviti)

CPK

TSH

Funzionalità epatica e renaleVES = velocità di eritrosedimentazione; PCR = proteina C reattiva; TSH = ormone tireostimolante; ANA = fattori antinucleari; CPK = creatinfosfochinasi.

FIGURA 3. Algoritmo diagnostico per la fibromialgia.

VES = velocità di eritrosedimentazione; PCR = proteina C reattiva; TSH = ormone tireostimolante; ANA = fattori antinucleari; RaTest = fattore reumatoide.

Da: Claw D. Fibromyalgia: defining the disorder and its diagnostic and treatment approach. www.medscape.com, 2007, mod.

Sintomi compatibili con diagnosi di FM da oltre 3 mesi

Obiettività clinica e/o esami ematici normali

Considerare la presenza di altre malattieEsame clinico completo:• Esami di laboratorio: VES, PCR, TSH, funzionalità

epatica e renale• Non richiedere ANA e RaTest se non indicato dal-

l’esame clinico

Obiettività clinica e/o esami ematici anormali

Fibromialgia primaria Diagnosi differenzialeConsiderare la possibilità di FM concomitante

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relazione all’eterogeneità dei sintomi di accompagna-mento, quasi tutte le specialità. Il trattamento della FM rappresenta una sfida, sia per le conoscenze limitate circa l’eziologia della malattia, sia per la scarsa ri-sposta clinica alle terapie solitamente utilizzate nelle condizioni dolorose croniche 26. L’impostazione di un programma terapeutico per il paziente fibromialgico non può essere basato solo sul sintomo cardine, ossia il dolore muscoloscheletrico; in alcuni pazienti i sintomi extrascheletrici, ad esempio le alterazioni del sonno e l’astenia, possono rappresentare, più del dolore, la causa del peggioramento della qualità della vita 27. È necessario considerare, inoltre, le molteplici embrica-zioni, nel singolo paziente, di sintomi diversi e la va-riabilità temporale degli stessi: la terapia, quindi, non può che essere individualizzata e deve rappresentare un processo in continuo divenire. Allo stato attuale la terapia della FM è ancora ampiamente empirica; solo l’esperienza e la sensibilità del medico possono trova-re il giusto mix, per “quel paziente” tra misure terapeu-tiche farmacologiche e non. La terapia farmacologia determina miglioramenti modesti e in una percentuale limitata di pazienti.Il riconoscimento dell’interazione tra fattori neurobio-logici, psicologici e comportamentali alla base della patogenesi della FM potrebbero ampliare le opzioni terapeutiche in base alle caratteristiche del singolo paziente. Le evidenze attuali suggeriscono che l’ap-proccio terapeutico migliore debba essere multimo-dale associando, all’utilizzo di farmaci sintomatici, l’educazione del paziente, l’approccio cognitivo-com-portamentale e l’esercizio fisico per recuperare le fun-zioni deficitarie e per mantenere nel tempo i risultati raggiunti 28 29. I medici e i pazienti dovrebbero essere informati sulle teorie attualmente più accreditate circa i possibili meccanismi fisiopatologici che sottostanno alla malattia e, quindi, stabilire degli obiettivi realistici da raggiungere con tutte le possibili modalità terapeu-tiche disponibili. Numerosi farmaci sono stati utilizzati per modificare i vari sintomi lamentati dai pazienti fi-bromialgici, in primo luogo per controllare il dolore, ma anche per migliorare la qualità del sonno, l’ansia, la depressione e, in ultima analisi, la qualità della vita 30. Alcuni farmaci sono utilizzati per il loro meccani-smo d’azione che interverrebbe su uno o più dei mec-canismi fisiopatologici ipotizzati, altri per i loro effetti sui sintomi clinici di accompagnamento. L’aderenza dei pazienti fibromialgici alle terapie proposte, tutta-via, è spesso insoddisfacente per cui la compliancenell’utilizzo di ogni farmaco dovrebbe essere rivalu-

tata periodicamente. Gli studi comparsi in letteratura hanno evidenziato che gli antidepressivi triciclici, qua-li l’amitriptilina, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, quali la fluoxetina e la paroxetina, e i farmaci caratterizzati dalla duplice inibizione della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, quali la venlafaxina, il milnacipran e la duloxetina, potrebbero essere utili nel trattamento della FM, ma la percentuale dei pazienti che hanno una buona rispo-sta clinica al singolo trattamento è modesta 31. La ci-clobenzaprina, considerata e commercializzata come miorilassante, ha una struttura chimica molto simile agli antidepressivi triciclici ed è risultata efficace nella FM. Anche il tramadolo, un agonista debole per i re-cettori per gli oppioidi, e gli anticonvulsivanti come il gabapentin e il pregabalin, sono molecole che sem-brerebbero efficaci nel ridurre i sintomi della FM. Nei pazienti che non rispondono alla monoterapia, alcuni di questi farmaci possono essere utilizzati in combina-zione. Il trattamento farmacologico, tuttavia, dovrebbe far parte di un approccio terapeutico multidisciplinare e multimodale, che comprenda anche strategie non farmacologiche 32. Nei pazienti che lamentano una sintomatologia dolorosa modesta e che non hanno disturbi del sonno l’utilizzo di un analgesico minore come il paracetamolo, la spiegazione delle caratte-ristiche della malattia e l’indicazione a modificare le proprie abitudini di vita, effettuando una blanda ma costante attività fisica, possono essere risolutivi. L’eser-cizio fisico a basso impatto come il Tai Chi, lo yoga, l’attività aerobica (cammino, nuoto) sono frequente-mente raccomandati ai pazienti fibromialgici. Segna-lazioni aneddotiche riportano che i pazienti affetti da FM non sono in grado di effettuare attività fisica a causa del dolore e dell’astenia. Pochi studi empirici hanno valutato la capacità di intraprendere e di prose-guire un programma di esercizi in questa popolazione di pazienti. Diversi studi, al contrario, hanno valutato gli effetti di un programma di esercizi fisici di intensità leggera o moderata nei pazienti con FM: un’attività fisica moderata è indicata per la maggior parte dei pazienti che sono non allenati e decondizionati 33.Questi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico, oltre a migliorare la forma fisica, può ridurre il dolore diffuso e il numero di TP 34. Alcuni pazienti con FM, inoltre, sono decondizionati non solo dal punto di vi-sta fisico, ma anche da quello mentale. Un approccio terapeutico combinato ai problemi “mente-corpo” (ad esempio esercizio fisico associato alla terapia cogniti-vo-comportamentale [TCC]) potrebbe avere un effetto

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sinergico, nel senso che la TCC aiuterebbe i pazienti a superare le barriere mentali che li portano a essere inattivi, creando un circolo vizioso inattività-dolore che si automantiene 35 36. Sebbene l’evidenza circa l’ef-ficacia di un approccio riabilitativo multidisciplinare non sia definitiva, studi futuri ben disegnati potrebbero fornire prove convincenti dell’utilità di queste metodi-che, permettendo di superare il pessimismo circa la prognosi dei pazienti fibromialgici 37. La molteplicità dei trattamenti proposti per la FM supporta il fatto che la terapia ideale non sia ancora stata trovata. Anche quando fosse individuato il farmaco ideale per il trat-tamento della FM, questo dovrebbe comunque essere associato a forme diverse e non farmacologiche di intervento terapeutico, finalizzate a migliorare la vita sociale e professionale di questi pazienti. Solo con un approccio multimodale, basato su misure terapeutiche farmacologiche e non, si possono ottenere buoni risul-tati nel trattamento della FM.

CONCLUSIONIAllo stato attuale delle conoscenze, possiamo definire la FM come “una sindrome da sensibilizzazione cen-trale caratterizzata dalla disfunzione dei neurocircuiti preposti alla percezione, trasmissione e processazio-ne delle afferenze nocicettive, con prevalente estrin-secazione del dolore a livello dell’apparato muscolo-scheletrico” 38.Oltre al dolore muscoloscheletrico diffuso i pazienti lamentano, invariabilmente, numerosi sintomi costitu-zionali, variamente embricati, i più frequenti dei quali sono i disturbi del sonno, l’astenia, la sindrome da colon irritabile e vari problemi neuropsicologici tra cui l’ansia, la depressione e disfunzioni cognitive.La diagnosi si basa ancora, nonostante le molte criti-che sollevate, sui criteri ACR del 1990, che richiedo-no la presenza di dolore muscoloscheletrico diffuso da almeno 3 mesi e la positività di almeno 11 TP sui 18 previsti. Applicando questi criteri, che occorre ricordare essere classificativi e non diagnostici, sicu-ramente non individuiamo un percentuale notevole di pazienti affetti da sindromi algodisfunzionali per cui, sotto l’egida della European League Against Rhema-tism (EULAR), un gruppo di studio sta lavorando per apportare modifiche che ne migliorino la sensibilità diagnostica.Molte malattie, non solo reumatiche, si possono ma-nifestare con sintomi del tutto sovrapponibili a quelli della FM, per cui è necessario, prima di porre diagno-si, escludere la presenza di patologie diverse. Infine,

è nota la possibile concomitanza della FM con altre condizioni morbose, reumatiche e non. Un approccio semplice e razionale per valutare questi pazienti do-vrebbe includere una raccolta anamnestica accurata, un esame obiettivo completo e l’esecuzione, in prima istanza, di alcuni esami di laboratorio (emocromo, in-dici di flogosi, indici di funzionalità epatica e renale e TSH). Nel caso in cui l’esame obiettivo evidenzi segni clinici compatibili con una malattia infiammatoria arti-colare, è opportuno effettuare ulteriori indagini sierolo-giche, quali la determinazione del fattore reumatoide e dei fattori antinucleari.I pazienti fibromialgici in cui si associano, alla sinto-matologia dolorosa, ansia, depressione o disturbi del sonno, possono trovare beneficio dalla somministra-zione di farmaci antidepressivi, triciclici e non, sebbe-ne anche il gabapentin e il pregabalin possano avere un’azione ansiolitica.L’approccio terapeutico non farmacologico basato, ad esempio, sull’esercizio fisico e sulla TCC, riveste particolare importanza nel management della FM. Un programma terapeutico multimodale che comprenda l’utilizzo di farmaci, il ricondizionamento fisico e le diverse strategie operative che fanno parte della TCC, diversamente combinate in relazione al sottogruppo di pazienti che vogliamo curare, rappresenta, attual-mente, il gold standard della terapia della FM.

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E. PARESCE, A. MURGO, O. DE LUCIA, L. PISONI,E. SCHITO, E. VALCAMONICA, A. FERRARA,D. COMI, A. CELANTDivisione e Cattedra di Reumatologia, Istituto Ortopedico “G. Pini”, [email protected]

IL RUOLO DELL’ACIDO IALURONICO

NELLE MALATTIE OSTEOARTICOLARI

SETTEMBRE 2008 VOLUME 3 PAGINE 79-82

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Parole chiaveAcido ialuronico • Cartilagine • Artrosi

L’articolazione va considerata come organo unico in cui osso subcondrale, cartilagine e membrana sino-viale interagiscono strettamente non solo dal punto di vista biomeccanico, ma soprattutto metabolico; nume-rose patologie possono aggredire ciascuna delle strut-ture che compongono l’articolazione finendo con il coinvolgere anche le altre 1. Tra i principali fattori che possono alterare l’equilibrio metabolico dell’ambiente articolare vi sono l’età, le malattie infiammatorie arti-colari, i fattori genetici e i fattori biomeccanici 2.L’acido ialuronico (AI) è il principale responsabile del-le caratteristiche viscoelastiche del liquido sinoviale. È una molecola ubiquitaria presente in alta concentra-zione nell’ambiente articolare dove è sintetizzato dai sinoviociti B. A livello di membrana sinoviale controlla gli scambi molecolari e cellulari tra circolo emolinfa-tico e liquido sinoviale, svolgendo un ruolo di prote-zione meccanica dei sinoviociti e delle terminazioni nervose. Nel liquido sinoviale ha azione lubrificante e visco-elastica, di assorbimento degli stress meccanici, di tampone osmotico, di filtro dei soluti, di trasporto dei nutrienti per la cartilagine. Nella cartilagine è un

componente della lamina splendens, interagisce con i proteoglicani per formare aggregati di peso moleco-lare molto alto in grado di trattenere grandi quantità di acqua determinando il turgore e la deformabilità elastica della cartilagine, circonda inoltre i condroci-ti proteggendoli dagli stress meccanici e controlla la diffusione dei soluti 3. L’AI è una molecola comples-sa, con numerose funzioni e si comprende quindi la grande importanza della sua presenza e della sua integrità all’interno dell’articolazione 4.Nelle malattie articolari il peso molecolare e la con-centrazione di AI sono diminuiti per diluizione secon-daria al versamento, degradazione dell’AI nel liquido sinoviale da parte degli enzimi flogistici e per alterata sintesi da parte dei sinoviociti 5.L’acido ialuronico è una molecola fondamentale nel garantire l’equilibrio metabolico e la tolleranza agli stress biomeccanici dell’articolazione. Nelle malattie articolari si altera perdendo le sue proprietà.C’è generale accordo nell’indicare il trattamento intra-articolare con AI nel dolore persistente non responsivo alle altre terapie farmacologiche, in artrosi radiologi-camente moderata, senza o con modesto versamento; altre indicazioni sono la controindicazione o il rifiuto alla protesi e la controindicazione o la non tolleranza ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).Se le indicazioni all’uso dell’AI intra-articolare appaio-no chiare e vanno diffondendosi sempre più grazie anche alle linee guida ACR ed EULAR 6-8, la discussio-ne è ancora aperta circa il posizionamento del tratta-

RIASSUNTOL’acido ialuronico (AI) è una molecola fondamentale nel garantire l’equilibrio metabolico e la tolleranza agli stress biomeccanici dell’articolazione. Nelle malattie articolari si altera perdendo le sue proprietà. Le indicazioni di utilizzo dell’acido ialuronico secondo le linee guida EULAR (European League Against Rheumatism) e ACR (American College of Rheumatology) lo prevedono come trattamento di secondo livello in artrosi di grado medio moderato.Sono stati condotti numerosi studi sull’efficacia sintomatologica di questo trattamento con protocolli differenti per mo-dalità e tipo di controllo (3 o 5 iniezioni settimanali ripetute dopo 3, 6 o 12 mesi vs. steroidi o placebo) con risultati sempre positivi sul dolore.Esistono diversi schemi terapeutici. Il ginocchio è certamente l’articolazione più trattata, ma tutte le articolazioni perife-riche colpite da artrosi sono state trattate: principalmente la tibio-tarsica, la scapolo-omerale, la trapezio-metacarpale e la coxo-femorale.

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mento con AI tra le terapie puramente sintomatiche o structure modifying. Il riconoscimento dell’attività meta-bolica descritta ha portato anche l’EMEA (EuropeanMedicines Agency) a considerare, almeno per i bassi pesi molecolari, come probabile l’azione biologica-strutturale anche se sono necessari dati epidemiologi-ci più ampi.Le indicazioni di utilizzo dell’acido ialuronico secon-do le linee guida EULAR e ACR sono: trattamento di secondo livello in artrosi di grado medio moderato.Sono stati condotti numerosi studi sull’efficacia sinto-matologica di questo trattamento con protocolli diffe-renti per modalità e tipo di controllo (3 o 5 iniezioni settimanali ripetute dopo 3, 6 o 12 mesi vs. steroidi o placebo), con risultati sempre positivi sul dolore.In realtà si è osservato che i risultati clinici supera-no il tempo di dimezzamento dell’AI intra-articolare esogeno che è inferiore alle 24 ore, e questa azio-ne a lungo termine non può essere spiegata con il semplice ripristino delle proprietà reologiche, ma con un effetto metabolico e antinfiammatorio 9. L’AI, dunque, si configura sempre più come una sostanza con azioni farmacologiche vere e proprie e non come un lubrificante altamente sofisticato; Entwistle et al. hanno dimostrato che gli effetti biologici del-l’AI sono mediati da specifici recettori posti sulla su-perficie dei condrociti e dei sinoviociti (cd44, ica-i, rhamm, ecc.) 10.La stimolazione di questi recettori a livello dei con-drociti stimola la crescita e il metabolismo, inibisce l’apoptosi e quindi la degradazione condrale e ha un effetto antinfiammatorio 11.In un lavoro del 2004, Maneiro ha osservato che invitro nelle colture di condrociti arricchite con vari AI si verifica un diverso comportamento biologico in base al peso molecolare dell’AI stesso: con AI di peso tra 500 e 1000 kDa si osserva una maggiore efficacia nel ridurre i fenomeni infiammatori e nel ridurre gli ef-fetti della interleuchina (IL)-1 sulla sintesi di monossido di azoto (NO) e di prostaglandina E2 (PGE2), mentre la riduzione dell’apoptosi indotta da NO non sembra risentire del peso molecolare 12.Sempre nel 2004 Gomis ha dimostrato che la stimo-lazione dei recettori in condizioni normali e in corso di artrite sperimentale è inversamente proporzionale al peso molecolare dell’AI 13.Per quanto riguarda il rapporto tra attività biologiche e peso molecolare dell’AI, si può sintetizzare come segue: gli ialuronani (AI a peso molecolare basso-me-dio) hanno tanto un’azione reologica quanto un’azio-

ne biologica; gli Hylan (a peso molecolare medio-alto) mantengono una sicura azione reologica, ma sembrano perdere l’azione biologica con l’aumentare del peso molecolare.Anche se non c’è unanimità di consensi, gli AI si pos-sono suddividere in base al peso molecolare in:• basso peso: da 500 a 1000 kDa (farmaco);• medio peso: da 1000 a 4000 kDa (device);• alto peso: > di 4000 kDa (device).Queste osservazioni hanno chiarito, almeno in parte, che i meccanismi di azione dell’AI intra-ar-ticolare non sono legati esclusivamente al miglio-ramento della viscoelasticità del liquido sinoviale (viscosupplementazione), ma a un meccanismo far-macologico vero e proprio; cioè, una parte dell’AI iniettato nello spazio intra-articolare (soprattutto se a basso peso molecolare) viene assorbito dai sino-viociti e dai condrociti stimolando una neosintesi di AI endogeno (viscoinduzione); la quantità di AI far-macologicamente attivo e in grado di riattivare la neosintesi di AI endogeno da parte dei sinoviociti sembra essere inversamente proporzionale al peso molecolare dell’AI iniettato.D’altro canto, AI a peso molecolare più alto svolgono meglio la loro azione nei gradi di artrosi più avanza-ta, dove i sinoviociti e i condrociti sono meno in gra-do di rispondere allo stimolo biologico ed è richiesta soprattutto un’azione reologica.Acidi ialuronici di peso molecolare differente stimola-no il tessuto sinoviale e cartilagineo in modo diverso

SCHEMI TERAPEUTICISchematizzando, nelle forme di artrosi moderata (sta-dio radiologico di Kellgren 1 e 2) AI a peso moleco-lare basso/medio si sfruttano le azioni sia sintomatica sia metabolica, nell’artrosi in stadio 3 e 4 AI a peso molecolare medio/alto si sfrutta l’azione sintomatica.I bassi pesi molecolari vengono iniettati settimanal-mente per 3-5 volte.L’aumento di peso molecolare comporta un minor nu-mero di infiltrazioni che scendono da un massimo di 3 fino ad arrivare ai prodotti più recenti in cui è suffi-ciente una sola somministrazione.Il miglioramento sintomatico si manifesta dopo 2-5 set-timane; il trattamento può essere ripetuto dopo 6-12 mesi in funzione della gravità dell’artrosi e del prodot-to utilizzato, oppure si possono effettuare infiltrazioni mensili di mantenimento a scopo terapeutico, anche a prescindere dalla sintomatologia 14.Recentemente è comparsa una nuova formulazione di

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un prodotto ad alto peso molecolare in cui tre fiale vengono integrate in una monosomministrazione che, a parità di efficacia, dovrebbe consentire interval-li più lunghi tra i vari cicli. Attualmente ci sono solo segnalazioni aneddotiche delle prime esperienze, i cui risultati, al pari dei nostri, confermerebbero questa modalità di utilizzo. Riteniamo però utili studi validati più ampi.

SEDI TRATTATEIl ginocchio è certamente l’articolazione più trattata, ma tutte le articolazioni periferiche preda di artrosi sono state trattate, principalmente la tibio-tarsica, la spalla, la trapezio-metacarpale e la coxo-femorale.In questi ultimi anni aumentano le segnalazioni e i protocolli su quest’ultima articolazione, frequente sede di artrosi. Per il trattamento intra-articolare della coxo-femorale è preferibile la guida ecografia per avere la certezza di raggiungere lo spazio articolare e per evitare i grossi vasi vicini; la letteratura e la nostra esperienza stanno confermando i buoni risul-tati sia per quanto riguarda la metodica ecoguidata, che richiede strumentario e software dedicati, sia per quanto riguarda l’AI intra-articolare nell’artrosi del-l’anca 15 16.

PROFILO DI TOLLERABILITÀ E PROSPETTIVE FUTUREUn’ultima considerazione a riguardo della tollerabili-tà: i prodotti in commercio sono di origine estrattiva o fermentativa, e molto raramente sono state segnalate reazioni di intolleranza per entrambi i tipi. Qualche problema può presentarsi in caso di versamento flo-gistico al momento dell’infiltrazione; in questo caso, infatti, è bene astenersi dall’infiltrazione perché gli enzimi flogistici presenti attaccano l’AI riducendolo in frammenti privi di efficacia terapeutica e a loro volta flogogeni.La nostra esperienza personale collima con gran parte della letteratura, trovando nell’utilizzo dell’AI intra-arti-colare efficacia e sicurezza nel trattamento dell’artrosi del ginocchio soprattutto, ma anche di altre articola-zioni (coxo-femorale, tibio-tarsica, spalla, trapezio-me-tacarpale e radio-carpica); i diversi preparati disponi-bili ricoprono un’ampia gamma di indicazioni, dalle forme iniziali a quelle più avanzate di condropatia; molti studi suggeriscono una azione di structure mo-difying almeno per alcuni tipi di AI, sia pure con la necessità di verifiche maggiori e di più attenzione da parte di chi si dedica allo studio e al trattamento delle patologie articolari.

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SETTEMBRE 2008 VOLUME 3 PAGINE 83-95

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Parole chiavePiede • Metatarsalgia • Talalgia

MARCO BARDELLI, LUCA TURELLI,LUCIANO MAZZUCCOU.O. Ortopedia e Traumatologia,Azienda ASL 10, [email protected]

DEFINIZIONE DI METATARSALGIACi risulta che Mann 1 per primo abbia parlato nella maniera biomeccanica più moderna di “un dolore in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee”. È così che “metatarsalgia” diventa sinoni-mo di artralgia di una o più articolazioni metatarso-falangee, come gonalgia per il ginocchio e coxalgiaper l’anca; come per queste ultime è doveroso specifi-care se bilaterale o monolaterale, anche nel caso del-la metatarsalgia è sempre necessario aggiungere un aggettivo per meglio definirla: totale (tutte e cinque le articolazioni metatarso-falangee), centrale (seconda,terza e quarta articolazione), isolata (prima, seconda, ecc.).Intendiamo quindi per metatarsalgia “un dolore acuto o cronico in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee, provocato dalla compromissione, su base meccanica e non, delle strutture anatomiche

che interagiscono con l’articolazione (osso, cartila-gine, capsula, legamenti, vasi, nervi, tendini, borse, sottocute e cute)” 2.Con questa definizione, la metatarsalgia non è assimi-labile in maniera restrittiva alla plantalgia, in ambito della quale essa viene spesso inquadrata contrappo-nendola alla talalgia, perché la sintomatologia dolo-rosa, anche se statisticamente più frequente a livello plantare, può essere dorsale, laterale (quinta metatar-so-falangea), mediale (prima metatarso-falangea) o combinata.

CLASSIFICAZIONE DELLE METATARSALGIEA causa della complessità degli aspetti clinici ed ezio-patogenetici, risulta difficile poter impostare una clas-sificazione basata su un criterio assoluto, ed è per questo motivo che abbiamo cercato di classificare le metatarsalgie non tanto facendo riferimento a un singolo parametro, ma riunendo tutte le patologie ca-ratterizzate dal dolore metatarsale e distinguendole in gruppi omogenei (Fig. 1).Distinguiamo metatarsalgie conseguenti a malattie distrettuali del piede e quelle presenti in corso di malattie sistemiche o extradistrettuali che hanno una sintomatologia dolorosa prevalentemente a carico

RIASSUNTOClinicamente, in presenza di una sintomatologia dolorosa a carico dell’avampiede, si è soliti parlare di “metatarsal-gia”. In realtà, nel termine metatarsalgia si apprezza maggiormente un carattere descrittivo piuttosto che una vera e propria diagnosi, comprendendo infatti un insieme di quadri clinici che riconoscono varie eziologie, la cui esatta identificazione, d’altra parte, può essere accertata soltanto in una minoranza di pazienti. In tal senso è auspicabile che la metodologia perseguita nell’indagine clinica sia la più precisa possibile. Dal punto di vista della diagnostica per immagini, è sempre bene partire dalle radiografie standard, nelle proiezioni antero-posteriore e laterale, che ci consentono la valutazione morfologica delle varie ossa che compongono il piede; successivamente si può passare ad imaging più mirata in base al sospetto clinico: ecografia (utile nello studio degli spazi intermetatarsali), tomografia assiale computerizzata (utile nello studio delle componenti ossee), risonanza magnetica nucleare (utile per lo studio delle parti molli e cartilaginee).L’identificazione della causa di un dolore a carico dell’avampiede, per quanto possibile, avviene soltanto attraverso un’attenta valutazione biomeccanica del piede correlandolo alle articolazioni sovra podaliche: il paziente va inda-gato facendolo camminare ad arti inferiori nudi in apposito ambiente che consenta la deambulazione per un tratto di 3-4 metri. La discriminazione clinica e il conseguente iter diagnostico permettono sicuramente di interpretare meglio il tipo di trattamento in senso sia conservativo sia chirurgico.

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dell’avampiede 3. In questi casi è molto importante in-dagare sulla topografia e il ritmo del dolore, essendo il piede lo specchio, specie nelle fasi iniziali, di malat-tie vascolari, metaboliche, reumatiche, neurologiche e psichiatriche.In corso di malattie sistemiche conclamate, come ad esempio nel piede triangolare reumatoide o nel pie-de diabetico, ci possono essere squilibri meccanici importanti, per cui si ritiene prevalente la malattia si-stemica nella patogenesi del sovvertimento anatomo-funzionale dell’avampiede. In alcuni casi, da noi con-siderati “dubbi”, come spesso accade all’inizio della sintomatologia dolorosa, ci può essere la contempora-nea presenza di fattori meccanici concomitanti su un sospetto di malattia sistemica. Quest’ultima, una volta accertata, sarà stata prevalente nell’esordio della sin-tomatologia dolorosa se il paziente reagisce positiva-mente al trattamento medico specifico.Per quel che riguarda le metatarsalgie dovute a malat-tie localizzate a carico del piede, sono state suddivise in senso topografico in base alle varie strutture anato-miche compromesse: cute e sottocute, borse e tendini, nervi (distinguendo in quest’ultimo gruppo le sindromi canalicolari che danno un risentimento parestesico e/o doloroso a livello delle articolazioni metatarso-falan-gee e la sindrome di Civinini-Morton).La sindrome di Civinini-Morton è un eponimo con il quale si suole indicare una tipica metatarsalgia nervo-sa dovuta a un processo di irritazione a genesi mec-canica che interessa il secondo o, più frequentemente, il terzo ramo digitale comune e/o rami digitali propri. Nella classica descrizione comparsa sull’AmericanJournal of the Medical Science del gennaio 1876 Thomas G. Morton descriveva con accuratezza dodi-ci casi di pazienti affetti da una peculiare e dolorosa affezione della quarta articolazione metatarso-falan-gea 4. A voler essere precisi, la prima descrizione di un caso di neuroma plantare, per la verità solo descrittiva e anatomica, spetta a Filippo Civinini nel 1835 5. Questa “lettera anatomica” diffusa in Italia da Marini e Zecchini 6 fa sì che oggi, con un certo orgoglio, si usi in Italia il termine di Civinini-Morton. In queste descrizioni classiche i sintomi neurologici sono attribuiti al cosiddetto “neuroma intermetatarsale”; tale termine è sicuramente scorretto, poiché la sindrome non è causata da un vero neuroma né da un neurino-ma, ma da un complesso di alterazioni anatomo-pa-tologiche che coinvolgono anche il tessuto nervoso, il quale, però, non presenta aspetti proliferativi, semmai degenerativi. Secondo l’opinione oggi più accredita-

ta, in accordo con Weinfild e Myerson 7, proponiamo il termine di “neurite interdigitale”. La maggioranza dei pazienti con sintomi conseguenti alla sindrome è costituita da donne (80%) di età media 25-50 anni, generalmente unilaterali, ma la bilateralità è riportata nel 7% dei casi. Il terzo spazio è coinvolto nel 60-75%, due spazi (secondo e terzo) nel 5% dei casi. Rara la presenza nel primo spazio e assente al quar-to spazio. I dati anamnestici sono abbastanza carat-teristici: il disturbo principale lamentato è il dolore, spesso associato a bruciori e sensazione di formico-lio alle dita colpite, irradiato in senso trasversale o longitudinale. Il dolore urente, trafittivo e accessiona-le, localizzato in regione metatarsale plantare o al polpastrello del dito compare con crisi parossistiche, si scatena con la deambulazione prolungata, con le scarpe strette o con le calze strette. Il paziente impara presto a combattere il dolore sedendosi, togliendosi le scarpe e massaggiandosi il piede. Ecco il “segno della vetrina”, quando il paziente finge di osserva-re una vetrina per sfilarsi la calzatura. Non di rado il paziente descrive la sensazione di un qualcosa di estraneo sotto il piede, che talora scompare da solo con uno “scatto”. Fondamentale è la ricerca del dolo-re pressorio con la manovra della “tenaglia” a livello dello spazio intermetatarsale, mentre il dolore sotto le teste metatarsali, tipico nelle metatarsalgie a genesi biomeccanica, si evoca facendo la manovra della “tenaglia” in corrispondenza dell’articolazione, e in questo caso i due versanti articolari, dorsale e planta-re, diventano dolorosi. Fra i test di provocazione del dolore possono essere le manovre che trazionano le formazioni plantari eseguendo una specie di Lasegue del dito. Di riscontro più raro è il cosiddetto click di Mulder, che consiste nel riuscire a ridurre nello spazio intermetatarsale la piccola masserella o a mobilizzar-la con la compressione dei metatarsali, creando così un piccolo scatto.La maggior parte degli autori concorda nell’osserva-re che le indagini strumentali rappresentano solo un completamento, più che una conferma, dell’ipotesi clinica. L’esame radiografico va condotto su radio-grammi in carico e fuori dal carico, nelle classiche proiezioni dorso-plantare, laterale e obliqua. L’indagi-ne ecografica dimostra dati controversi nella sua affi-dabilità diagnostica. Secondo la tecnica descritta da Fornage 8, essa deve essere condotta con scansioni ecotomografiche longitudinali e trasversali dirette agli spazi intermetatarsali, dal lato plantare e dorsale. La RMN rappresenta un ulteriore completamento. Essa

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va condotta nei piani coronale e assiale usando un piccolo campo (10-14 mm) possibile con tecnica fatsoppressor e contrast enhancement. L’indagine elet-tromiografica riveste un ruolo marginale, se non per escludere neuropatie associate, tipicamente il “tunnel tarsale”.Le metatarsalgie biomeccaniche da anomalie preva-lentemente funzionali possono manifestarsi a causa di un’iperpronazione della sottoastragalica, distinguibile nella forma giovanile o dell’adolescente e una forma acquisita o dell’adulto, per una lassità ligamentosa generalizzata (congenita o acquisita) o per anomalie delle dita del piede. Queste ultime possono avvenire per un difetto di allineamento in senso longitudinale di tipo congenito (camptodattilia) o acquisito (dito a mar-tello prossimale o dito a martello propriamente detto o hammer toe, dito a martello distale o a maglio o mallet toe, dito a martello totale o ad artiglio o clawtoe). Il difetto di allineamento delle dita può avvenire anche in deviazioni in senso laterale distinguibili in clinodattilia, dito sovrapposto, dito sottoposto e dita divergenti.Le disfunzioni del controllo muscolare possono esse-re causa di metatarsalgie o derivare da insufficienza del peroneo lungo, tibiale anteriore e tibiale posterio-re (con conseguente piede piatto valgo) o ipertono del tricipite surale e del flessore lungo delle dita (con conseguente piede cavo varo). È di riscontro abba-stanza comune la comparsa di una modesta ma pre-coce metatarsalgia, senza segni clinici e radiografici di alterazioni strutturali, in soggetti con sovraccarico ponderale qualora siano costretti, per motivi lavorati-vi, a prolungata ortostasi e/o al trasporto di carichi onerosi.L’avampiede può andare incontro a un sovraccarico per un’alterazione strutturale globale, come nel piede equino o cavo, o a un’irregolare distribuzione del ca-rico sulle teste metatarsali. Questa seconda evenienza è quella più frequente e può avvenire per insufficien-za o sovraccarico del primo raggio, per insufficienza o sovraccarico dei raggi intermedi, per sovraccarico del quinto raggio. Possiamo quindi affermare che le metatarsalgie biomeccaniche riconoscono nello squi-librio funzionale il loro comune denominatore e che, persistendo la causa, si possono verificare modifica-zioni strutturali importanti come la sublussazione o la lussazione.Il primo raggio, struttura particolare composta da quattro ossa (primo cuneiforme, primo metatarsale, le due falangi dell’alluce), costituisce funzionalmente una

singola unità. Una sua insufficienza funzionale deter-mina un sovraccarico e quindi metatarsalgia dei rag-gi adiacenti, in particolare del secondo e del terzo. L’insufficienza può essere determinata da alterazioni a livello osseo, ligamentoso o misto. Le alterazioni os-see più frequenti riguardano il primo metatarsale, che può essere più corto rispetto al secondo, per cause congenite o acquisite, o dorsiflesso per lo più per esiti di osteotomie della base. Le alterazioni ligamentose costituiscono la “sindrome da ipermobilità del primo raggio”, dovuta ad aumentato movimento a livello prevalentemente della cuneo-metatarsale. Questa si-tuazione è frequentemente riscontrata in deformità mo-derate o gravi di alluce valgo con metatarso varo che provocano una metatarsalgia seconda o terza.La sindrome da sovraccarico del primo raggio è più frequente in piedi con formula digitale di tipo egizio (il primo raggio è più lungo del secondo) e formula meta-tarsale tipo index plus (primo metatarsale più lungo del secondo) o index plus-minus (primo metatarsale uguale al secondo) e trova la sua espressione clinica nell’allu-ce rigido. Questa è un’affezione degenerativo-artrosica della prima articolazione metatarso-falangea e del si-stema gleno-sesamoideo, caratterizzata dalla limitazio-ne funzionale dolorosa, specialmente dei movimenti di estensione dell’alluce e dalle proliferazioni osteofitosi-che periarticolari soprattutto dorsali, con formazione di un’evidente sporgenza dorsale (dorsal bunion).Si definisce sovraccarico dei raggi metatarsali inter-medi ogni situazione patologica che comporti un au-mento di pressione nelle teste metatarsali intermedie, secondario a disallineamento nel piano frontale o oriz-zontale o alla perdita della capacità di dorsiflessione delle articolazioni metatarso-falangee intermedie.Si intende invece per insufficienza dei raggi metatar-sali intermedi il deficit di appoggio delle ossa meta-tarsali intermedie con eccessivo disimpegno in carico secondario a brevità o a ipermobilità con sovraccari-co dei metatarsali contigui.Le cause che provocano un sovraccarico del quinto me-tatarsale sono solo raramente funzionali, ma, molto più frequentemente, il risultato di alterazioni strutturali: quin-to dito in griffe rigido, quinto metatarsale flesso plantar-mente, quinto metatarsale valgo (Taylor’s bunion).

DEFINIZIONE DI TALALGIAClinicamente, in presenza di una sintomatologia dolo-rosa a carico del tallone, si è soliti parlare di talalgia. In realtà nel termine talalgia si apprezza maggiormen-te un carattere descrittivo topografico piuttosto che una

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vera e propria diagnosi, comprendendo un insieme di quadri clinici che riconoscono varia eziologia (osso, cartilagine, cute, sottocute, nervi, fasce, tendini ecc.) con implicazioni spesso invalidanti per i consueti atti della vita di relazione.Intendiamo per talalgia o tallodinia il dolore acuto o cronico riferito in uno o più punti di quell’area che viene comunemente definito tallone. Questa area to-pograficamente comprende: inferiormente la regione posteriore della pianta del piede, medialmente la zona che sale fino al malleolo tibiale, lateralmente la zona che sale fino al malleolo peroneale e posterior-mente la zona di inserzione del tendine di Achille sul calcagno.Con questa definizione la talalgia non è più assimi-labile alla cosiddetta plantalgia posteriore perché la sintomatologia dolorosa, anche se statisticamente più frequente a livello inferiore sottocalcaneare, può esse-re mediale, laterale, posteriore rispetto al calcagno o diffusa a tutto il tallone.Inoltre, in base a questa definizione si può affermare che il nervo safeno interno non può essere causa di talalgia. Infatti, questo nervo sensitivo, ramo terminale del nervo femorale, decorre lungo la faccia mediale del polpaccio posteriormente rispetto alla tibia, alla caviglia si fa mediale e quindi anteriore, passando a una distanza di circa 6-7 cm sopra l’apice del mal-leolo mediale. Raggiunge il dorso del piede inner-vando la cute della volta plantare in corrispondenza della prima articolazione cuneo metatarsale. Pertanto l’innervazione del tallone, responsabile di stimoli do-lorosi che possono dar luogo a una talalgia, è assi-curata dal nervo surale (rami calcaneari laterali) e dal nervo tibiale posteriore attraverso il nervo calcaneare mediale o i rami calcaneari mediali quando il nervo calcaneare mediale non è presente per cui i tre rami si distaccano direttamente dal nervo tibiale posteriore o dal nervo plantare laterale. Il primo ramo collaterale del nervo plantare laterale, definito anche nervo cal-caneare inferiore, è deputato all’innervazione della regione inferiore del tallone.

CLASSIFICAZIONE DELLE TALALGIEParticolare attenzione merita il dolore calcaneare nel bambino, per il quale è più difficile indicare topogra-ficamente il dolore e anche l’esame obiettivo locale èpiù indaginoso. Fondamentale è il risveglio del dolore alla pressione latero-mediale, premendo con due dita nella porzione posteriore del calcagno, se l’origine del dolore è osteocartilagineo, mentre si suscita do-

lore alla pressione diretta sulla porzione inferiore del calcagno se l’origine del dolore è delle parti molli 9.Tra le numerose cause di dolore calcaneare negli ado-lescenti, specie se praticanti attività sportive, rientrano la malattia di Sever (o apofisite calcaneare determinata da una sofferenza del nucleo secondario di accresci-mento del calcagno) e le sinostosi astragalo-calcaneari, caratterizzate da un difetto di segmentazione e quindi da una fusione tra astragalo e calcagno, con conse-guenti alterazioni dell’articolazione sottoastragalica.Tra le classificazioni che cercano di raccogliere in maniera organica il dolore calcaneare nell’adulto vi è quella, più largamente condivisa, di suddividere la tipologia del dolore in base alla localizzazione topo-grafica prevalente: diffuso, posteriore, lateralel media-le, inferiore o plantare:1. Talalgia diffusa

1a. causata da malattie sistemiche o extraregionali1b. causata da malattie distrettuali

2. Talalgia plantare o inferiore3. Talalgia mediale4. Talalgia laterale5. Talalgia posteriore

1. TALALGIA DIFFUSA (FIG. 2)

1A. Malattie sistemiche o extraregionali

1A-1. ReumaticheLe malattie reumatiche sono patologie piuttosto diffu-se, caratterizzate da un’evoluzione spesso cronica e da una frequenza elevata di postumi invalidanti. Non colpiscono solo la popolazione anziana, ma anche i giovani e i soggetti in età lavorativa. Caratteristiche cliniche comuni alle malattie reumatiche sono il dolore e l’impotenza funzionale. È in questo ambito che si inseriscono le tallodinie, che talvolta rappresentano la spia per la diagnosi di affezione reumatica.

1A-2. MetabolicheNella gotta, gli attacchi acuti non colpiscono i talloni nei primi anni di evoluzione, anche se interessano la caviglia. Quando vi sono tofi, sono frequenti i depositi di urati nella parte posteriore del tallone, nelle borse sierose e sul tendine di Achille capaci di scatenare episodi flogistici acuti.

1A-3. InfettiveClassicamente si è soliti inserire in questo capitolo le tal-lodinie concomitanti a sarcoidosi o malattia di Lyme.

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1A-4. NeoplasticheAnche se non frequenti, sono sempre possibili le lesio-ni date dai più comuni tumori che metastatizzano nelle ossa, come la mammella, la prostata, il polmone, il melanoma e i tumori del sistema emopoietico.

1B. Malattie regionali

1B-1. Da causa osseaMolteplici sono le cause ossee locali che possono dare talalgia diffusa: le iperostosi, le fratture di calca-gno con i suoi postumi talvolta invalidanti, osteomieliti e lesioni tumorali del calcagno.

1B-2. Dalle parti molliAlcune sono affezioni congenite o acquisite, come il “piede piatto” (oggi meglio definito come sindrome pronatoria); inoltre, lesioni tumorali delle parti molli o la cosiddetta “triade dolorosa”, patologia che comprende l’associazione di fascite plantare, sindrome del tunnel tarsale e disfunzione del tibiale posteriore 10.

LESIONI TUMORALILe lesioni tumorali non sono frequenti a livello del pie-de, e tantomeno a livello del tallone. Ciononostante devono essere tenute presenti nell’ambito della dia-gnosi differenziale di una tallodinia. Proprio per tale motivo sono spesso misconosciute e la loro diagnosi ritardata, rendendo così più problematico l’approccio terapeutico. Sono neoplasie che possono interessare sia l’osso sia le parti molli; queste ultime sono statistica-mente più frequenti e risultano quasi sempre benigne. La sintomatologia dolorosa non è in genere collegata alle dimensioni della neoplasia, tanto che ne esistono di notevoli dimensioni senza una corrispettiva tallodi-nia, soprattutto se la crescita avviene lentamente.Per la diagnosi si ricorre al classico esame Rx, alla TC e soprattutto alla RMN per lo studio tridimensionale della lesione e la valutazione di un eventuale interessamento extra-compartimentale. Anche la scintigrafia ossea può essere di una qualche utilità nella valutazione di una possibile attività osteogenetica della lesione.Il trattamento delle forme benigne consiste generalmen-te nell’asportazione della lesione e nella sostituzione con innesti ossei o metilmetacrilato. Le forme maligne possono richiedere l’amputazione o, in caso di lesioni sicuramente intracompartimentali, la calcaneotomia seguita da intervento di ricostruzione del tallone. È da ricordare come il piede tolleri molto male la terapia radiante che spesso comporta alterazioni invalidanti.

Esistono infine le lesioni pseudotumorali, per lo più di natura iperplastica, che entrano comunque in diagno-si differenziale con le vere neoplasie. La più comune è la cisti ossea solitaria, di gran lunga la lesione osteo-litica più frequente del calcagno.

2. TALALGIA PLANTARE O INFERIORE (FIG. 3)

2A. Da causa ossea

2A-1. Fratture da stressÈ la patologia che interessa la popolazione sportiva, in particolare gli atleti adulti; si manifesta soprattutto nei marciatori con dolore locale. L’esame Rx, all’inizio negativo, può in seguito evidenziare la frattura, che spesso si manifesta però come esito a seguito di inda-gine Rx eseguita per altre cause. Solo la scintigrafia ossea consente la diagnosi precoce.

2A-2. Contusione ossea nell’area centrale del calcagnoÈ una condizione clinica in cui è presente un dolore calcaneare cronico post-traumatico (microtrauma ripe-tuto nel tempo).

2A-3. Edema midollare del calcagnoÈ una condizione clinica in cui è presente un dolore cal-caneare cronico in assenza di patologia infiammatoria e macrotraumatica accertata, in cui la Rx e la TAC sono negative mentre la scintigrafia ossea trifasica dimostra un iperaccumulo di radionuclide nel corpo del calcagno e la RMN evidenzia aree di edema midollare. Condizioni come un aumento improvviso dell’attività fisica, aumento ponderale, un’eccessiva pronazione del piede compor-tano affaticamento del sistema Achille-Calcaneo-Plantare e quindi aumento della concentrazione degli stress sul calcagno. La lesione, limitata all’osso midollare, è quindi causata da forze compressive microtraumatiche. Quindi, la contusione ossea nell’area centrale è un fattore ezio-logico per la formazione dell’edema transitorio migrante del calcagno. La clinica evolve attraverso quattro stadi: all’inizio dolore plantare, mattutino, che si riduce con l’attività. Poi il dolore si estende sulla faccia mediale, in corrispondenza dell’adduttore dell’alluce. Nel terzo stadio passa da mediale a laterale, con difficoltà alla deambulazione al mattino. Infine, nel quarto stadio il do-lore si estende alla faccia supero-laterale del calcagno. La pressione sul corpo del calcagno riacutizza il dolore, mentre non vi è dolorabilità sulle inserzioni di muscoli e fasce all’apofìsi posteriore. L’edema midollare del calca-gno si risolve spesso spontaneamente con il riposo, l’uso

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di plantari o con la fisioterapia. Nei casi in cui il dolore permane sono state proposte varie terapie come l’uso delle radiofrequenze o delle onde d’urto, le perforazioni e l’osteotomia di calcagno.

2A-4. Malattia di SeverSi tratta dell’osteocondrosi del nucleo di accrescimento dell’apofisi posteriore del calcagno; frequente causa di tallodinia nell’età giovanile (8-13 anni), soprattutto in soggetti sportivi, è comunque di frequente riscontro oc-casionale durante un esame radiografico eseguito, ad esempio, per un trauma. È per tale motivo che per molti autori si tratterebbe di una comune tendinopatia inser-zionale del tendine di Achille nel periodo dell’accresci-mento, causata da intense sollecitazioni funzionali su un piede spesso dismorfico in senso cavo-varo. Si manifesta con dolorabilità locale che si accentua al carico. L’evo-luzione è sempre benigna, ma la durata della malattia può essere lunga (anche due o più anni). L’esame radio-grafico dimostra il quadro consueto delle osteocondrosi, con l’addensamento e la frammentazione del nucleo; raramente si osserva una deformazione dello stesso.

2A-5. Frattura dello sperone calcaneareSi manifesta con improvviso dolore locale associato a tumefazione ed ecchimosi. Con il controllo Rx sarà possibile distinguere questa entità dalla rottura della fascia plantare.

2B. Dalle parti molli

2B-1. Cute2B-1-1. Ulcere cronicheLe ulcere croniche del calcagno rappresentano un’im-portante causa di dolore posteriore, spesso nelle per-sone anziane.

2B-2. Sottocute2B-2-1. Atrofia del cuscinetto adiposoL’atrofia del cuscinetto adiposo calcaneare è un proces-so di per sé fisiologico che inizia attorno ai 40 anni; oggi, dato l’incremento della pratica sportiva anche nel-l’età avanzata con conseguente aumento di microtrau-mi ripetuti, è condizione di più facile riscontro. Venendo a mancare il sistema naturale di assorbimento dei trau-mi, compare il dolore. Può riscontrarsi comunque anche nel giovane; in questi casi è dovuta prevalentemente a ripetute infiltrazioni locali di corticosteroidi.

2B-2-2. Patologia del cuscinetto adiposo posterioreTraumi ripetuti sul tallone nello sportivo possono pro-vocare l’infiammazione del cuscinetto plantare; tale condizione si manifesta principalmente in sport come la corsa e la marcia su medie e lunghe distanze.

2B-3. Fascia2B-3-1. Fascite plantare

DALLE PARTI MOLLICute Ulcere croniche

Sottocute Atrofia del cuscinetto adiposoPatologia del cuscinetto adiposo

FasciaFascite prossimaleRottura fasciaEntesopatie

Tendini Flessori lunghi delle dita

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Edema midollare del calcagno

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FIGURA 3. Talalgia plantare o inferiore.

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È patologia di facile riscontro negli atleti e in coloro che, con un piede cavo, svolgono frequente attività sportiva; è causata da microtraumi ripetuti sulla fascia plantare stessa in occasione di gesti atletici ripetiti-vi come la corsa e il salto. Da collegarsi anche a improvvisi aumenti della durata della corsa, uso di calzature non adatte e attività sportiva su superfici non idonee. La clinica è caratterizzata da dolore all’inser-zione calcaneare della fascia plantare che si acuisce nel momento del distacco del tallone dal suolo e al momento della presa di contatto del tallone stesso; il dolore, poi, si evoca facilmente con la digitopressione locale.

2B-3-2. Rottura della fascia plantareLa rottura della fascia plantare è un evento piuttosto raro che si riscontra principalmente nei giocatori di basket e football. È caratterizzata da dolore improv-viso con ecchimosi locale, tumefazione; talvolta si apprezza la discontinuità della fascia stessa. Utile il controllo radiografico per dirimere il dubbio di frattura dello sperone calcaneare che si manifesta con la stes-sa sintomatologia.

2B-3-3. EntesopatieII termine “entesopatie dell’aponeurosi plantare” com-prende il processo infiammatorio di tutte quelle strut-ture che si inseriscono plantarmente sulla tuberosità posteriore del calcagno. Su questa, costituita dai tu-bercoli mediale e laterale e dallo spazio triangolare delimitalo dai due tubercoli stessi, si inseriscono infatti l’aponevrosi plantare e il muscolo flessore breve delle dita, l’abduttore dell’alluce (medialmente) e quello del quinto dito (lateralmente), il legamento plantare e il muscolo quadrato della pianta. Il quadro clinico si riferisce al coinvolgimento di una o più di queste strut-ture; la sintomatologia è data da dolore locale con irradiazione distale alla pianta, spesso al margine mediale, accentuato dalla digitopressione sul tuber-colo mediale e dall’estensione passiva delle dita del piede. Con il tempo il dolore può diventare cronico, con frequente calcificazione della zona interessata e formazione di quello che viene definito radiografica-mente come sperone calcaneare. Lo sperone è quindi solo un reperto radiografico, mentre la diagnosi di entesopatia è prevalentemente clinica e da alcuni de-finita fascite prossimale.

2B-4. Tendini (flessori lunghi delle dita)Il meccanismo anatomico della puleggia dei flessori

lunghi delle dita in corrispondenza della parte del-la tibia distale ha lo scopo di migliorare la funzione tendinea. Le tendiniti dei flessori rappresentano una patologia cronica invalidante che interessa in modo particolare i ballerini, e, in minor parte, gli atleti im-pegnati nella corsa. Il dolore è il sintomo prevalente e si accompagna a limitazione funzionale soprattutto negli esercizi di salto e sulle punte. La diagnosi è pre-valentemente clinica.

2B-5. Nervi2B-5-1. STT (sindrome del tunnel tarsale)La sindrome del tunnel tarsale mediale (per distinguer-la dalla STT anteriore, dovuta alla compressione del nervo peroneo profondo o tibiale anteriore al di sotto del retinacolo degli estensori alla caviglia) è causata da una compressione del nervo tibiale posteriore a livello del tunnel tarsale mediale prossimale (interessa tutto il nervo tibiale posteriore) e/o distale (interessa un nervo plantare) 11. L’eziopatogenesi è caratteriz-zata da compressione del nervo tibiale posteriore a livello del canale osteofibroso, formato dal malleolo tibiale mediale, calcagno e astragalo, legamento deltoideo e retinacolo dei flessori. Compare come condizione conseguente a fratture, traumi contusivi, te-nosinoviti dei flessori, ad anomalie funzionali statiche e a dimorfismi del piede (cavo-valgo o piede valgo), oppure conseguente alla comparsa di neoformazioni cistiche o neoplastiche. Nel caso di un quadro di sin-drome del tunnel tarsale mediale prossimale i sintomi possono essere caratterizzati da dolore con carattere di continuità, che aumenta con la stazione eretta, a carico delle dita, della pianta del piede e lato me-diale-inferiore del tallone e con formicolio nella stessa zona. Spesso sono rilevabili turbe della sensibilità, meno frequentemente quelle motorie (muscoli plantari brevi). Si deve ricercare alla palpazione la presenza di pastosità e dolore sotto-retromalleolare mediale e, alla percussione, l’eventuale risveglio della sintoma-tologia soggettiva. È possibile anche riscontrare un deficit alla flessione della falange basale delle dita e dell’abduzione del primo e quinto dito. In alcuni casi rari si può avere un interessamento isolato del nervo plantare mediale e laterale. La diagnosi di questa sin-drome compressiva è caratterizzata da dolore e pare-stesie alle dita e alla pianta del piede e al lato infero mediale del tallone. Il dolore aumenta con il carico e la prolungata stazione eretta. Importante diventa il se-gno di Tinel, che è positivo sul tunnel tarsale mediale. Con gli esami radiografico, stratigrafìco, TAC e con la

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RMN è possibile in molti casi definire alterazioni strut-turali del tunnel tarsale o del suo contenuto. L’esame elettromiografico (bilaterale per comparazione) deve fare riferimento, oltre che all’indagine della’attività mo-toria dei muscoli intrinseci, alla stimolazione motoria e alla conduzione sensitiva del nervo. Il trattamento, se non si è tratto vantaggio da quello medico e fisiotera-pico, è quello chirurgico caratterizzato dall’apertura chirurgica del tunnel tarsale sezionando il legamento laciniato e l’anello dell’abduttore con lisi delle strutture vascolo-nervose, esplorando nel contempo le strutture ad esse periferiche. Si potranno cosi valutare eventua-li tenovaginiti, esiti di fratture, cisti sinoviali cui prov-vedere.

2B-5-2. NeuromiPossiamo trovare i neuromi, che originano dalle cellu-le di Schwann del nervo surale o dei rami calcaneari del tibiale posteriore, e i neurofibromi, sia isolati sia più frequentemente multipli della sindrome di Von Re-cklinghausen.

2B-6. Jogger’s foot2B-6-1. Sindrome pseudocanalicolare del nervo plan-tare medialeCon questo termine si intende la compressione del ner-vo plantare mediale a livello del tubercolo di Henry; il dolore è causato dai ripetuti microtraumi sul nervo che si producono durante la corsa. È pertanto un disturbo funzionale e viene quindi inquadrato nelle sindromi pseudo-canalicolari 12.

2B-7. TumoriPossiamo ritrovare tumori benigni o maligni che pren-dono origine dalle strutture che avvolgono il calagno. Tra quelli benigni menzioniamo fibromi, cisti ganglia-ri, lipomi e leiomiomi che generalmente pongono pro-blemi solo di compressione meccanica.

3. TALALGIA MEDIALE (FIG. 4)

3A. Da causa ossea

3A-1. Coalizione o sinostosi astragalo-calcaneariSono date dalla fusione fibrosa, cartilaginea o ossea dell’astragalo e del calcagno, e nella maggioranza dei casi sono associate a un piede piatto-rigido: la gravità di tale deformità non è necessariamente corre-lata al grado di fusione, potendo in molti casi essere lieve anche se la sinostosi è completa. La localizza-

zione bilaterale si ha in circa il 50% dei casi. Clinica-mente si manifestano con riduzione più o meno accen-tuata della mobilità del piede in prono-supinazione, talvolta associata a contrattura dei muscoli peronieri. Finché la sinostosi è fibrosa si può non avere dolore, che compare dai 12 ai 16 anni quando la barra si ossifica e le altre articolazioni del tarso non riescono a far fronte alle richiesta funzionali del piede. La diagno-si di sinostosi astragalo-calcaneare, sospettata con l’esame clinico e le radiografie standard, viene oggi confermata nella quasi totalità dei casi dalla TAC con ricostruzione sul piano coronale. La Rx, infatti, nella posizione laterale evidenzia solo dei segni indiretti di sinostosi come uno sperone dorsale a livello della testa dell’astragalo, un allargamento del processo laterale dell’astragalo, un restringimento della sottoastragalica posteriore o la scomparsa dell’interlinea articolare del-la sottoastragalica intermedia.

3-B. Delle parti molli

3B-1. EntesopatieIn genere sono a carico del muscolo abduttore del-l’alluce.

3B-2. Nervo calcaneare medialeCondizione morbosa causata dall’intrappolamento del nervo calcaneare mediale (o dei rami calcaneari media-li). Generalmente, questo nervo si divide in tre branche terminali: posteriore, mediana e anteriore, ma queste tre branche possono staccarsi direttamente dal nervo tibiale posteriore o dal nervo plantare laterale. La branca poste-riore innerva la porzione postero-mediale del tallone, la branca mediana innerva la porzione plantare del tallone e raggiunge il bordo laterale, la branca anteriore inner-va la parte più anteriore del tallone.

3B-3. Disfunzione del tendine tibiale posteriore. Grado IÈ una patologia dell’età adulta che si osserva preva-lentemente nei portatori di piede piatto-valgo. Si tratta di un’alterazione di tipo infiammatorio e degenera-tivo, che porta nel tempo ad alterazioni istologiche come la comparsa di disomogeneità nello spessore delle fibre del tendine, diminuzione del numero e mo-dificazione della forma delle fibre stesse, alterazione della loro vascolarizzazione. Tutte queste modificazio-ni porteranno alla compromissione delle caratteristiche biomeccaniche del tendine stesso con conseguente sua rottura. Questo comporta il peggioramento del piede piatto, cioè della deformità che è alla base del-

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la patologia stessa; infatti, il cedimento del tendine del tibiale posteriore, e di conseguenza delle strutture me-diali come il legamento calcaneo-scafoideo, accentua ulteriormente l’abbassamento della volta plantare e la pronazione della sottoastragalica, che a sua volta au-menta il valgismo del calcagno; il tendine di Achille, spostato al’esterno, si retrae e concorre ad accentuare la deformità in iperpronazione. Vengono descritti tre stadi evolutivi della malattia (Johnson e Strom) 13: nel primo stadio sono prevalenti i fenomeni infiammatori, caratterizzati da dolore mediale che si accentua con la deambulazione e durante la stazione eretta, ma il tendine mantiene ancora la sua lunghezza. Nel se-condo stadio ha inizio il cedimento del tendine che porta a un modesto aumento della deformità in piatto-valgo e il dolore diventa prevalentemente laterale in corrispondenza del seno del tarso. Il terzo stadio è poi caratterizzato dalla rottura del tendine con conse-guente importante incremento della deformità, con la sottoastragalica che tende a irrigidirsi in valgo-prona-zione. La clinica è caratterizzata dalla difficoltà fino all’impossibilità a compiere il movimento di inversione attiva del piede, e il valgismo non si corregge neppu-re mettendosi sulla punta dei piedi. Tutto questo porta con il tempo a gravi fenomeni degenerativi anche a livello della tibio-tarsica, come evidenziato da Myer-son, che ha voluto così aggiungere anche un quarto stadio alla classificazione sopra menzionata 14.

3B-4. TendiniteVedi 2B-4.

4. TALALGIA LATERALE (FIG. 4)

4A. Da causa ossea

4A-1. Esiti fratture di calcagnoVarie sono le cause di dolore in esiti di frattura di calca-gno: si va dall’algodistrofia a salienze ossee abnormi, da alterazioni artrosiche della sottoastragalica ad impinge-ment peroneo-calcaneare, a osteiti, neuropatie compres-sive. Necessario quindi, in caso di tallodinia in esito di frattura del calcagno, tenere presente ognuna di queste ipotesi e fare i necessari accertamenti per arrivare alla diagnosi. Importante l’esame obiettivo con ispezione e palpazione che permettono di valutare eventuali deformi-tà o salienze ossee, processi flogistici in atto ecc. Anche l’esame podometrico può servire per rilevare alterazioni dell’appoggio, ma essenziale è l’esame radiografico nel-le dovute posizioni laterale e tangenziale del calcagno, talvolta coadiuvato dalla TC e RMN. Infine, l’esame EMG in caso di sospetto di compressione nervosa.

4B. Delle parti molli

4B-1. Disfunzione del TP. Grado II e III della classifica-zione di Johnson e Strom

FIGURA 4. Talalgia mediale, laterale e posteriore.

TALALGIAMEDIALE

TALALGIALATERALE

TALALGIAPOSTERIORE

CoalizioneAstragalo-calcaneare

CAUSEA OSSEA DALLE PARTI MOLLI

EntesopatieNervo calcaneare medialeDisfunzione TP grado I (Johnson e Strom)Tendinite (FLA, FCD)

Esiti frattura di calcagno

HaglundEsostosi retrocalcaneareMalattia di SeverOs trigonum

Tendinopatia inserzionale achilleoBorsite pre e retrotendineaNeuroma

Disfunzione TP grado II e III (Johnson e Strom)Nervo surale

94 IL PIEDE DOLOROSO

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4B-2. Nervo suraleÈ un nervo sensitivo che si costituisce generalmente al terzo inferiore della faccia posteriore della gamba dalla fusione del nervo cutaneo mediale del polpac-cio (ramo collaterale del nervo tibiale) con un ramo anastomotico peroneo (ramo del nervo cutaneo la-terale del polpaccio proveniente dal nervo peroneo comune). Discende in basso con direzione laterale verso il malleolo esterno che circonda inferiormente o raggiunge la superficie laterale del piede dando due rami calcaneari laterali per la cute della porzione laterale e inferiore del tallone o rami articolari per la tibio-tarsica. La sua compressione può avvenire quan-do attraversa la fascia profonda della gamba, ma nel-la maggioranza dei casi l’intrappolamento si realizza a livello della regione malleolare esterna ad opera di reazioni fibro-sclerotiche conseguenti a traumatismi diretti o indiretti, di cicatrici post-traumatiche o chirur-giche, di tendiniti croniche dell’Achilleo con peritendi-nite reattiva, di cisti sinoviali provenienti dalle guaine dei muscoli peronei, di gangli artrogeni a partenza dall’articolazione calcaneo-cuboidea. La sintomatolo-gia si caratterizza con dolore e parestesia sul territorio cutaneo innervato. Per avere dolore calcaneare, la compressione dovrà essere sovramalleolare, a livello dei rami calcaneari laterali.

5. TALALGIA POSTERIORE (FIG. 4)

5A. Da causa ossea

5A-1. HaglundComplesso di alterazioni del retropiede comprendenti la prominenza dell’angolo postero-superiore del cal-cagno, conseguente impingement con la faccia ante-riore del tendine di Achille e borsite retrocalcaneare e retroachillea. Il tendine di Achille può anche presen-tare tendinopatia inserzionale o alterazioni degene-rative nel suo contesto. È caratterizzato clinicamente dalla presenza di una tumefazione dolorosa a livello dell’inserzione achillea sul calcagno, dolore, zoppia, difficoltà all’uso di scarpe chiuse. All’esame Rx si evi-denzia, nella proiezione laterale, ipertrofia dell’ango-lo postero-superiore del calcagno. La RMN può dare indicazioni sulla salute del tendine ed evidenziare la presenza delle borse retrocalcaneare e retroachillea.

5A-2. Esostosi retrocalcaneareIn genere è a carico della porzione supero-laterale del calcagno.

5A-3. Malattia di Sever

5A-4. Os trigunumÈ un osso sovrannumerario che può causare dolore posteriore specie in coloro che praticano danza clas-sica.In tutte queste anomalie morfologiche del calcagno il dolore è dato dalla comparsa di borsiti che si formano a causa dell’attrito di queste sporgenze ossee con le calzature. La borsite si presenta come una tumefazio-ne dolente, associata ai segni classici della flogosi.

5B. Dalle parti molli

5B-1. Tendinopatia inserzionale dell’AchilleoIl dolore è riferito a livello della zona inserzionale del tendine di Achille che si esacerba alla digitopres-sione e alla dorsiflessione del piede. È forse la più comune tendinopatia da sovraccarico e colpisce ge-neralmente gli atleti di molteplici sport; in questi casi le calzature rigide, la preparazione insufficiente e le superfici di gioco non sempre adeguate rappresenta-no le cause essenziali di questa patologia. Secondo la classificazione recentemente adottata dalla Società della Caviglia e del Piede è il più classico esempio di paratendinite con tendinosi 15.

5B-2. Borsite pre e retrotendineaLa borsa superficiale (preachillea) e quella profonda (retrocalcaneare) sono coinvolte secondariamente dal processo flogistico che interessa l’inserzione del tendine di Achille. Il coinvolgimento delle borse accentua la sin-tomatologia dolorosa e la tumefazione del retropiede.

5B-3. NeuromaNeurinomi dei rami calcaneari laterali provenienti dal nervo surale sono spesso presenti come esiti di inter-venti chirurgici di osteosintesi del malleolo peroneale.

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ARTRITE REUMATOIDE E MALATTIE

CARDIOVASCOLARI

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SETTEMBRE 2008 VOLUME 3 PAGINE 96-104

Parole chiaveDa inserire

ENNIO LEGGIERIDivisione di Medicina II, IRCCS Policlinico SanDonato, San Donato Milanese (MI)[email protected]

INTRODUZIONEL’artrite reumatoide (AR) è una patologia sistemica in-fiammatoria cronica che colpisce circa l’1% della po-polazione generale adulta. È ormai ampiamente rico-nosciuto che essa è associata a un aumentato rischio di mortalità rispetto ai controlli di pari età e sesso, con tassi di mortalità standardizzati compresi tra 1,28 e 3,0 1. A causa di tale aumentato rischio, l’aspettativa di vita globale dei pazienti è significativamente ridotta 1. Le malattie cardiovascolari sono la causa principale della mortalità nei pazienti con AR, rappresentando circa il 40% delle cause di morte 2 3. I pazienti con AR presentano un rischio circa doppio di infarto del mio-cardio e di ictus cerebri, e tale rischio aumenta fino a tre volte nei pazienti con durata di malattia di 10 o più anni 3. Lo scompenso cardiaco è responsabile di un maggior numero di decessi rispetto all’infarto del miocardio 3. È importante sottolineare che nei pazien-ti con AR gli eventi cardiovascolari si verificano con circa 10 anni di anticipo rispetto ai controlli, sugge-rendo che tale patologia rappresenta, come nel caso del diabete mellito, un significativo fattore di rischio indipendente di cardiopatia ischemica precoce 1.Inoltre, analogamente ai pazienti con diabete mellito, i soggetti con AR hanno una minore probabilità di riferire sintomi di angina e una probabilità maggio-re si sviluppare infarto miocardico non diagnosticato e morte cardiaca improvvisa 1. Infine, i pazienti con

AR dopo un primo evento cardiovascolare maggiore hanno una prognosi a 30 giorni nettamente peggiore, con mortalità cardiovascolare e totale aumentata 1.I risultati di numerosi studi hanno evidenziato come i classici fattori di rischio non spiegano completamen-te l’osservata aumentata incidenza di patologie car-diovascolari. Altri fattori sembrano giocare un ruolo più importante nella patogenesi dell’aterosclerosi ac-celerata osservata nei pazienti con AR, e tra questi l’infiammazione cronica, la dislipidemia aterogena pro-ox, la resistenza insulinica, lo stato pro-trombotico, l’iperomocisteinemia, i meccanismi immunologici qua-li l’attivazione dei linfociti T che inducono disfunzione endoteliale, la riduzione delle cellule progenitrici en-doteliali e la rigidità della parete vasale 3.I fattori che aumentano la mortalità cardiovascolare nell’AR sono presenti fin dalle prime fasi della malat-tia, come dimostrato dal riscontro di alterata funzione endoteliale, condizione che precede il futuro svilup-po di aterosclerosi nei pazienti con malattia di nuova diagnosi con fattore reumatoide positivo 4. Anche le manifestazioni extra-articolari della malattia, che si

RIASSUNTOL’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce circa l’1% della popolazione adulta. Nonostante le aumentate conoscenze sulla patogenesi della malattia e i notevoli progressi nella sua terapia, essa è ancora oggi gravata da una mortalità eccessivamente elevata. I pazienti con AR hanno un’aspettativa di vita ridotta rispetto ai controlli sani di pari età e sesso. Le malattie cardiovascolari (scompenso cardiaco, infarto del miocardio e accidenti cerebrovascolari) costituiscono la causa principale di morte, rendendo conto di circa il 40% dei decessi. L’aumentata incidenza delle malattie cardiovascolari sembra essere indipendente dai classici fattori di rischio. I mec-canismi patogenetici coinvolti sono molto complessi e includono le citochine pro-infiammatorie, quali il Tumor Necrosis Fatctor (TNF)- , che provocano alterazioni metaboliche come dislipidemia ossidativa, resistenza insulinica, iperomo-cisteinemia, disfunzione endoteliale e aterosclerosi subclinica, e le alterazioni immunologiche, quali l’attivazione di particolari subset di linfociti T pro-aterogeni. Si verifica un processo di aterosclerosi accelerata, innescato dall’azione infiammatoria tipica dell’AR. Anche i farmaci utilizzati nella terapia della malattia reumatoide sembrano svolgere un ruolo complesso, spesso bidirezionale, nel determinismo delle malattie cardiovascolari.

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correlano con la presenza di un importante proces-so infiammatorio, si associano a un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, suggerendo ancora una volta come i meccanismi intrinseci alla patogenesi del-l’AR giochino un ruolo importante nel determinismo del danno vascolare 1 5.

MANIFESTAZIONI CARDIACHE DELL’ARIl cuore è uno degli organi coinvolti nelle manifesta-zioni extra-articolari dell’AR. Comune è la pericardite, ma possono verificarsi anche miocardite, blocco atrio-ventricolare, valvulopatie, noduli vasculitici, amiloido-si. Tuttavia queste manifestazioni cardiache spesso ri-mangono clinicamente silenti e i risultati di studi clinici ed epidemiologici hanno dimostrato che l’aumentata mortalità cardiovascolare nell’AR non è dovuta a tali patologie.

FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARETRADIZIONALIL’aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti con AR non sembra essere correlato ai classici fattori di rischio quali età, sesso, familiarità, ipertensione arte-riosa, diabete mellito, ipercolesterolemia, indice di massa corporea (Body Mass Index [BMI]) e attività fisica. Di particolare interesse è invece il ruolo svolto dal fumo 3. È noto che il fumo di sigaretta, oltre che fattore di rischio cardiovascolare, rappresenta anche un fattore di rischio per l’AR, correlandosi con la posi-tività del fattore reumatoide e con l’attività e la severità della malattia. Recentemente è stato osservato che il fumo di sigaretta è in grado di aumentare la citrulli-nazione delle proteine sinoviali e la produzione di anticorpi antipeptide ciclico citrullinato (anti-CCP) nei pazienti postivi per gli alleli HLA-DRB1 6. Questo sug-gerisce che il fumo può essere un fattore importante in grado di collegare la patogenesi dell’AR a quella dell’aterosclerosi. Per quanto riguarda infine il BMI, è stato osservato paradossalmente un rapporto inver-so con la mortalità. Pazienti con basso BMI (< 20)

presentano un’aumentata mortalità 3. Questo sembra essere correlato ai livelli circolanti di citochine pro-cataboliche, quali il fattore di necrosi tumorale alfa (Tumor Necrosis Factor [TNF]- ) e quindi alla severità dell’infiammazione.

PATOGENESI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARINELL’ARL’impossibilità di correlare l’aumentata mortalità cardio-vascolare nei pazienti con AR alla presenza dei classici

fattori di rischio ha portato a esplorare altri possibili mec-canismi patogenetici in grado di spiegare l’aterosclero-si accelerata osservata in questi pazienti, in particolare quelli correlati con l’infiammazione. L’aterosclerosi, una volta ritenuto un processo passivo di accumulo di lipidi nella parete delle arterie, con conseguente riduzione del lume arterioso e ischemia, è oggi comunemente ri-conosciuta come patologia dinamica in cui l’infiamma-zione gioca un ruolo patogenetico fondamentale in tutti gli stadi di sviluppo della patologia. Negli ultimi anni sono state descritte importanti analogie nelle risposte infiammatorie e immunologiche tra aterosclerosi e AR. Nell’AR le citochine pro-infiammatorie (TNF- , interleu-china [IL] 1- , interleuchina 6), oltre a essere rilasciate a livello sinoviale, si ritrovano anche a livello sistemi-

I pazienti con artrite reumatoide hanno un’aspettativa di vita ridotta rispetto ai controlli di pari età e sesso. L’aumentata mortalità è dovuta soprattutto a malattie car-diovascolari (scompenso cardiaco, infarto miocardico e accidenti cerebrovascolari). L’aumentata mortalità non sembra essere spiegata dalla presenza dei classici fattori di rischio cardiovascolari, ma piuttosto dal processo di aterosclerosi accelerata, secondario all’infiammazione, tipico dell’artrite reumatoide.

I classici fattori di rischio (diabete mellito, ipertensione ar-teriosa, ipercolesterolemia, obesità) non rendono conto dell’aumentata morbilità e mortalità cardiovascolare os-servate nei pazienti con artrite reumatoide. Al contrario, il fumo di sigaretta, fattore di rischio oltre che per le pa-tologie cardiovascolari per l’artrite reumatoide e per un suo decorso più aggressivo, sembra svolgere un ruolo importante. Il fumo si correla infatti con le alterazioni im-munologiche dell’artrite reumatoide e con gli alleli HLA-DRB1. Per tale motivo il fumo potrebbe essere un fattore importante che collega la patogenesi dell’artrite reuma-toide a quella dell’aterosclerosi.

La patogenesi dell’aterosclerosi accelerata dell’artrite reumatoide è complessa. Un ruolo importante è svolto dalle citochine pro-infiammatorie, quali il TNF- , la IL-6 e la IL-1 , che, oltre a essere prodotte a livello sinoviale, vengono rilasciate in circolo dove svolgono un’azione pro-aterogenetica, influenzando l’attività degli adipociti, del fegato e del muscolo scheletrico.

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co e interferiscono con la funzione degli adipociti, del muscolo scheletrico e del fegato, determinando altera-zioni pro-aterogenetiche quali dislipidemia, resistenza insulinica, trombofilia, stress ossidativo e disfunzione endoteliale 3.Di seguito vengono analizzati i possibili meccanismi coinvolti con l’aterosclerosi accelerata dei pazienti con AR (Fig. 1).

INFLUENZE GENETICHEÈ stato riportato che alcuni polimorfismi genetici con-nessi con l’espressione del complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex[MHC]) si associano con un’aumentata suscettibilità per AR, infarto del miocardio e sclerosi multipla. In

particolare il polimorfismo -168AG nel promotore di tipo III del transattivatore MCH di classe II (MHC2TA) è stato associato a un’aumentata suscettibilità a que-ste tre patologie 1. Verosimilmente questa singola mutazione nucleotidica induce una meno efficiente presentazione dell’antigene ai linfociti T regolatori, che svolgono un’azione di protezione. Infatti è sta-to osservato che i linfociti T regolatori CD4+CD25+

hanno un ruolo protettivo nei confronti sia dell’AR sia dell’aterosclerosi.È noto che gli alleli della regione HLA-DRB1 del MHC sono associati alla suscettibilità genetica per l’AR, in particolare gli alleli HLA-DRB1*0401, *0404, *0405, *0408, *0101, *0102, 1001 e 1402, che codificano per una conservata sequenza aminoa-

FIGURA 1. Possibili meccanismi patogenetici dell’aterosclerosi accelerata nell’AR (da Dhawan et al., mod.) 3.

TNF-IL-1IL-6

ARTRITE REUMATOIDE (FATTORI GENETICI + FATTORI AMBIENTALI)

ALTERAZIONI IMMUNOLOGICHE

Attivazione cellule TAttivazione monociti/macrofagi

Anticorpi anti-fosfolipidiAnticorpi anti-ox-LDL

FEGATO

PCR

Fibrinogeno

TESSUTO ADIPOSO

Rilascio di acidi grassi liberi

Dislipidemia pro-ossidativa

MUSCOLO SCHELETRICO

Ridotto uptake glucosio

Resistenza insulinica

RIGIDITÀ PARETE ARTERIOSA DISFUNZIONE ENDOTELIALERIDUZIONE CELLULE

PROGENITRICI ENDOTELIALIATEROSCLEROSI ACCELERATA

ATEROSCLEROSI PRE-CLINICA

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cidica (QKRAA, QRRAA o RRRAA) in posizione 70-74 della terza regione ipervariabile della molecola HLA-DR 1, denominata shared epitope. È stato riportato che tali alleli non solo conferiscono un’aumentata su-scettibilità alla comparsa dell’AR, ma si correlano an-che con una malattia più aggressiva, con la presenza di disfunzione endoteliale, evento precoce nella com-parsa dell’aterosclerosi e con una aumentata mortalità cardiovascolare 7.

DISLPIDEMIA PRO-OSSIDATIVAI pazienti con AR presentano un profilo lipidico caratte-rizzato da ipertrigliceridemia, bassi livelli di colestero-lo totale e lipoproteine ad alta densità (HDL) e a bassa densità (LDL) piccole e dense, che vengono facilmente ossidate (ox-LDL) e che svolgono un ruolo pro-ateroge-netico 3. Le ox-LDL attivano le cellule endoteliali che esprimono sulla loro superficie molecole di adesione e sintetizzano citochine e chemochine pro-infiammatorie quali la proteina 1 chemoattractante dei macrofagi. In questo modo i macrofagi/monociti si accumulano nella parete dei vasi e fagocitano la ox-LDL formando le foam cells, che rappresentano il core della placca

8. I monociti/macrofagi rilasciano a loro volta chemo-chine, citochine, fattori di crescita e metalloproteinasi, che contribuiscono all’ulteriore sviluppo della placca aterosclerotica. È stata inoltre dimostrata la formazio-ne di anticorpi anti-ox-LDL, che svolgerebbero un ruolo nella patogenesi dell’aterosclerosi. Infine, è stato os-servato che le HDL nei pazienti con AR, a causa del processo infiammatorio, perdono la loro capacità di protezione nei confronti dell’aterosclerosi e diventano pro-infammatorie, probabilmente a causa della loro perossidazione, contribuendo così allo sviluppo del-l’aterosclerosi. Le alterazioni del profilo lipidico sono dovute all’azione del TNF- sugli epatociti dove in-ducono la sintesi de novo degli acidi grassi e sulle cellule adipose, dove stimolano la lipolisi 3.

RESISTENZA INSULINICAL’aumentata lipolisi e l’inibizione dell’uptake del glu-cosio da parte delle cellule del muscolo scheletrico, sempre indotto dal TNF- , contribuiscono alla com-parsa della resistenza all’insulina, spesso osservata nei pazienti con AR, sia nelle fasi iniziali della malat-tia sia in quelle più avanzate (rispettivamente 51% e 59%, rispetto all’11% dei controlli) 9. Inoltre, il rilascio di acidi grassi liberi da parte degli adipociti attiva i macrofagi alla sintesi di TNF- e IL-6, amplificando e perpetuando l’infiammazione 3.

TROMBOFILIAIl TNF- ha un’azione pro-coagulante in quando indu-ce la sintesi da parte delle cellule endoteliali e delle cellule muscolari lisce della parete arteriosa del fattore tissutale. La produzione di fattore tissutale svolge un ruolo importante nella formazione della placca e del trombo nel lume vasale 3.

IPEROMOCISTEINEMIAI pazienti con AR presentano spesso iperomocisteine-mia, fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. È stata osservata una corre-lazione significativa tra i livelli di omocisteina e alcuni biomarcatori di infiammazione quali i livelli circolanti dei recettori solubili di IL-2 e TNF- , delle molecole di adesione ICAM-1 e della proteina C reattiva (PCR) 10.Un’associazione significativa è stata anche descritta tra i livelli di omocisteina e alcuni parametri che valutano lo stato di attività della malattia. I meccanismi coinvol-ti nello sviluppo dell’iperomocisteinemia in presenza di un processo immuno-infiammatorio persistente sono molteplici. Certamente un ruolo importante sembra es-

Alcune molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (HLA), oltre a predisporre all’artrite reumatoide, sembra-no influenzarne anche il decorso nel senso di una mag-giore aggressività con flogosi accentuata. In particolare, gli alleli HLA-DRB1 sembrano predisporre a una malattia aggressiva e alla comparsa di aterosclerosi precoce, con conseguente aumentato rischio cardiovascolare.

Nei pazienti con artrite reumatoide si verificano alter-azioni del profilo lipidico in senso pro-aterogenetico (dis-lipidemia ossidativa), resistenza insulinica, trombofilia, disfunzione endoteliale, iperomocisteinemia, riduzione del numero di cellule progenitrici endoteliali circolanti e aterosclerosi subclinica. Tali alterazioni sembrano es-sere provocate dal processo infiammatorio dell’artrite reumatoide (si correlano con alcuni parametri quali la PCR, VES e il DAS), e in parte possono essere influenzate dai farmaci utilizzati nella terapia della malattia. Anche le alterazioni immunologiche sembrano giocare un ruolo importante. La positività per il fattore reumatoide per gli anti-CCP, gli anticorpi anti-fosofolipidi e l’espansione di linfociti CD4+CD28null (pro-aterogeni) si associa a un au-mentato rischio cardiovascolare. Queste alterazioni pos-sono interagire con alcuni fattori di rischio tradizionali quali il fumo, aumentando ulteriormente in questo modo l’incidenza di malattie cardiovascolari.

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sere svolto dalla deplezione di alcune vitamine quali la B6, la B12 e i folati, coinvolte nel metabolismo dell’omocisteina. I pazienti con AR presentano bassi livelli di vitamina B6 e folati e una tendenza a bassi livelli di vitamina B12 (probabilmente per un aumen-tato consumo), che si correlano con lo stato di attività della malattia (indice di disabilità, rigidità mattutina, entità del dolore articolare), con la produzione spon-tanea di TNF- e, in maniera inversa, con la PCR e la velocità di eritrosedimentazione (VES) 10. La terapia con alte dosi corticosteroidi a boli, che riduce lo stato infiammatorio e migliora il controllo della malattia, si associa con una riduzione significativa dei livelli di omocisteinemia, confermando così l’esistenza di una correlazione tra infiammazione e iperomocisteinemia 10. Dati recenti sembrano inoltre indicare che l’omo-cisteina agisce come molecola pro-infiammatoria e immuno-modulante attraverso la stimolazione della sin-tesi di chemochine quali IL-8 e proteine chemoattraenti i monociti (Monocyte Chemotactic Protein [MCP]-1) e l’espressione di recettori per le chemochine sulle cel-lule endoteliali e sui monociti. Questo provocherebbe l’accumulo e l’attivazione dei monociti/macrofagi nel-la parete delle arterie, evento chiave nella formazione della placca ateroscleortica 10.Si delineerebbe quindi un duplice quadro: da un lato l’infiammazione sarebbe responsabile di un aumento dei livelli di omocisteina, che a sua volta amplifiche-rebbe il processo infiammatorio stesso 10.

ALTERAZIONI IMMUNOLOGICHEAnche le alterazioni immunologiche che si osserva-no nei pazienti con AR possono essere responsabili dell’aterosclerosi accelerata che si osserva in questa patologia.L’aumentata mortalità cardiovascolare in questi pazien-ti si verifica soprattutto nei soggetti postivi per il fattore reumatoide IgM 11. Com’è noto, la positività per il fattore è indice di una malattia aggressiva e si correla con la presenza di manifestazioni extra-articolari, a sottolineare la presenza di un processo infiammatorio molto attivo. Anche la positività degli anticorpi anti-CCP si associa con un’artrite aggressiva e con una flogosi attiva. In alcuni studi è stata dimostrata un’au-mentata mortalità nei pazienti con alti titoli di anti-CCP 12. Non solo, ma i pazienti fumatori, anti-CCP positivi e omozigoti per gli shared epitope HLA-DRB1 presen-tavano un’aumentata mortalità per tutte le cause, ma soprattutto per quelle cardiovascolari 7. Questo sotto-linea ulteriormente l’esistenza di una correlazione tra

le variabili che indicano la presenza di una malattia aggressiva e la mortalità cardiovascolare. Nel sangue periferico dei pazienti con AR è stata di-mostrata l’espansione di una particolare popolazione di cellule T CD4+ che è priva della molecola co-sti-molatrice CD28 (linfociti CD4+CD28null) 1 3. Questo subset di cellule T è dotato di elevata attività pro-in-fiammatoria e induce danno tissutale. Una popola-zione simile di cellule è stata osservata nel sangue e nelle placche aterosclerotiche dei pazienti affetti da angina instabile. Queste cellule possono danneggia-re l’endotelio amplificando il danno vascolare e sono state implicate nell’instabilità della placca aterosclero-tica. L’espansione clonale delle cellule CD4+CD28null

si correla con l’aterosclerosi preclinica (disfunzione endoteliale e aumento dello spessore intima-media delle carotidi) e con la presenza di manifestazioni extra-articolari, a indicare che tali cellule giocano un ruolo importante nella patogenesi della sinovite e nell’insorgenza dell’aterosclerosi 1 3. Infine è stato descritto nei pazienti con AR che il TNF- induce la down-regulation del CD28 sulle cellule CD4+ e che gli anti-TNF- ne aumentano l’espressione 1 3. Questo meccanismo potrebbe in parte spiegare l’azione pro-tettiva svolta dagli anti-TNF- sulla mortalità cardiova-scolare. Circa il 25% dei pazienti con AR presenta in circolo anticorpi anti-fosfolipidi che possono giocare un ruolo importante nello sviluppo di manifestazioni cardiovascolari. In questo sottogruppo di pazienti è stato riportato un aumento dello spessore della parete arteriosa carotidea, soprattutto in quelli con titoli me-dio-alti di questi anticorpi 13.

ALTERAZIONI DELLA VASCULOGENESILe cellule endoteliali progenitrici (Endothelial Progeni-tor Cells [EPC]) sono cellule mononucleate presenti nel midollo osseo, sangue periferico, cordone ombelicale e vasi sanguigni. Queste cellule esprimono marcatori di superficie specifici per le cellule endoteliali e sono le più importanti nel normale processo di rivascolariz-zazione che segue a un danno vascolare. Un ridotto numero di EPC e una loro alterata funzione si corre-lano a un’aumentata incidenza di aterosclerosi e una compromissione della vasculogenesi dopo ischemia, e sono predittivi di un primo evento cardiovascolare maggiore e di mortalità cardiovascolare 3. I pazienti con AR presentano bassi livelli circolanti di EPC ed ele-vati livelli plasmatici di dimetil-L-arginina asimmetrica, un inibitore endogeno dell’ossido nitrico che potrebbe avere un ruolo nel ridurre il numero di EPC circolanti in

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questi pazienti. È stato osservato nei pazienti con AR che una singola dose di infliximab aumenta in manie-ra significativa il numero di EPC circolanti e ne miglio-ra le proprietà funzionali 1. Anche la terapia per una settimana con corticosteroidi è in grado di aumentare il numero di EPC circolanti e diminuire parallelamente lo stato di attività della malattia 14.

DISFUNZIONE ENDOTELIALELa disfunzione endoteliale viene considerata un mar-catore precoce e sensibile dell’aterosclerosi che si manifesta prima della comparsa delle alterazioni mor-fologiche della parete arteriosa e si correla con la successiva comparsa di patologie cardiovascolari. È stata descritta la presenza di disfunzione endotelia-le, valutata con la vasodilatazione flusso-mediata, in pazienti con AR di recente insorgenza e con bassa attività di malattia che non presentavano fattori di ri-schio cardiovascolare tradizionali. In questi pazienti è stata osservata un’associazione tra gli elevati livelli di alcune chemochine e alcuni marcatori di rischio cardiovascolare quale la PCR 1 15. Nei pazienti con AR sono state inoltre descritte, mediante l’impiego di tecniche ultrasonografiche, alterazioni del microcirco-lo sia a livello della mano sia a livello coronarico 16.La terapia con anti-TNF- , methotrexato e prednisone sembra essere in grado di migliorare la disfunzione endoteliale e quindi di ridurre il rischio cardiovasco-lare. Infine, alcuni studi hanno dimostrato che nei pa-zienti con AR si verifica un aumento della cosiddetta rigidità arteriosa (ridotta compliance arteriosa), che si associa con un aumentato rischio cardiovascolare 3.In tali studi l’elasticità delle arterie di piccolo e grande calibro era inversamente correlata con i marcatori del-la flogosi quali la PCR, la proteina sierica amiloide A e i livelli di IL-6 e delle molecole di adesione 3. Anche in questo caso la terapia con anti-TNF- era in grado di ridurre la rigidità della parete aortica 3.

ATEROSCLEROSI SUBCLINICALa valutazione ecografica dello spessore intima-media e della presenza di placche a livello carotideo è con-siderata una delle metodiche non invasive più atten-dibili per valutare l’aterosclerosi subclinica e il rischio cardiovascolare. L’incremento dello spessore medio-in-timale carotideo è altamente predittivo per infarto del miocardico e ictus cerebrale ischemico. I risultati di numerosi studi hanno dimostrato che lo spessore inti-ma-media e il numero delle placche a livello carotideo nei pazienti con AR sono significativamente più elevati

rispetto a soggetti di controllo di pari età e sesso 4 17.Tali alterazioni sembrano essere presenti sin dalle fasi iniziali dell’AR, diventando sempre più evidenti con il procedere della malattia, e si correlano solo in parte con i classici fattori di rischio cardiovascolare 4 17. Al contrario, è stata osservata una correlazione significa-tiva con i livelli di attività dell’artrite, valutata mediante il DAS44, con i livelli di PCR, con la VES e la positività degli anti-CCP 18. Nel complesso, i risultati di questi studi hanno sottolineato come l’infiammazione dell’AR contribuisca sin dalle sue fasi iniziali alla comparsa di aterosclerosi subclinica e che essa, con il procedere della malattia, interagisce con i fattori di rischio car-diovascolare tradizionali amplificandone l’effetto sulla parete carotidea, accelerando il processo aterosclero-tico. Alcuni autori hanno valutato l’effetto della terapia con farmaci anti-TNF- sullo spessore intima-media carotideo, osservando che i pazienti che rispondeva-no a tale terapia dimostravano una riduzione di tale parametro. Da rilevare che tale miglioramento dello spessore intima-media era preceduto da una precoce e duratura diminuzione del DAS44, della VES e della PCR 19. Un altro parametro utile per la valutazione dell’aterosclerosi subclinica è la presenza di calcifi-cazioni a livello delle arterie. Chung et al. 20 hanno riportato che nei pazienti con AR la prevalenza e la gravità delle calcificazioni a livello coronarico erano significativamente aumentate rispetto ai controlli; la loro entità e frequenza era maggiore nei pazienti con malattia di lunga durata e la loro presenza non si cor-relava con i classici fattori di rischio cardiovascolare, ma con la VES e il fumo di sigaretta.

I farmaci comunemente utilizzati nella terapia dell’artrite reumatoide possono svolgere un ruolo molto complesso per quanto riguarda il rischio cardiovascolare. Gli antin-fiammatori non steroidei, i corticosteroidi, il methotrexato e gli anti TNF- possono avere infatti un’azione bidirezio-nale, da un lato riducendo l’entità dell’infiammazione e quindi il rischio cardiovascolare, dall’altro promovendo alterazioni pro-aterogenetiche quali dislipidemia, ipergli-cemia, iperomocisteinemia e alterazioni della contrattilità miocardica. Alcuni di questi farmaci, soprattutto cortico-steroidi, FANS e COXIB dovrebbero essere utilizzati con molta cautela per brevi periodi e ai dosaggi più bassi possibili. Il methotrexato e gli anti-TNF- sembrano nel complesso avere più effetti positivi che negativi, riducen-do in maniera significativa la mortalità cardiovascolare. Può essere ipotizzato anche l’impiego delle statine che, oltre all’azione ipocolesterolemizzante sembrano, avere anche un effetto antinfiammatorio.

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EFFETTO DEI FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS), DEI CORTICOSTEROIDI, DEI FARMACI ANTIREUMATICI CHE MODIFICANO IL DECORSO DELLA MALATTIA (DMARD) E DEGLI ANTI-TNF- SUL RISCHIO CARDIOVASCOLAREL’osservazione che l’infiammazione sistemica gioca un ruolo fondamentale nel processo di aterosclerosi accelerata nell’AR, ed è quindi responsabile dell’au-mentata incidenza di malattie cardiovascolari, ha importanti ricadute clinico-terapeutiche. Infatti la pro-tezione cardiovascolare dovrebbe essere uno degli obiettivi da tenere in mente nel disegnare la strategia terapeutica dei pazienti con AR. A questo proposito è importante sottolineare come esista ancora incertezza sul modo di gestire questi pazienti, in quanto alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’AR potrebbero avere un effetto bidirezionale sul rischio di morbilità cardiovascolare. Un esempio tipico è rappresentato dai corticosteroidi, che da un lato potrebbero ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari grazie alla loro azione antinfiammatoria, mentre dall’altro potreb-bero svolgere un ruolo pro-aterogenetico a causa del-la loro azione sfavorevole sul metabolismo lipidico e glicidico e sulla pressione arteriosa.

FANS E INIBITORI SELETTIVI DELLA CICLO-OSSIGENASI 2 (COXIB)I FANS e i COXIB, farmaci comunemente utilizzati nell’AR, svolgono, oltre all’effetto antinfiammatorio, un’azione molto più ampia sul metabolismo delle pro-staglandine, inclusa l’inibizione della prostaciclina, un importante mediatore dotato di effetto anti-aggregante e vasodilatatore. È stato riportato un aumentato rischio relativo di infarto del miocardio nei pazienti con AR consumatori abituali e nuovi utilizzatori di qualsiasi tipo di FANS, esclusa l’aspirina 1. Il rischio di primo infarto del miocardio sembra prolungarsi anche per le due settimane successive alla sospensione di una te-rapia prolungata con FANS 1. In un’analisi sul rischio di infarto del miocardio e di tossicità gastrointestinale nei pazienti con AR è stato osservato che la stima dell’aspettativa di vita era maggiore nei soggetti trat-tati con naprossene rispetto a rofecoxib, eccetto nei pazienti a basso rischio di infarto miocardico o ad alto rischio di tossicità gastroenterica 1. È interessante osservare come i pazienti con AR, nonostante l’au-mentato rischio cardiovascolare, abbiano una mino-re probabilità di essere trattati in via profilattica con aspirina.

CORTICOSTEROIDIL’effetto dei corticosteroidi sul rischio cardiovascolare nell’AR è ancora molto dibattuto. I risultati di numerosi studi sembrano indicare che l’azione di questi farmaci è largamente dipendente dalle dosi e dalla durata del loro impiego. Dosi medie giornaliere ≥ 7,5 mg/die e periodi prolungati di terapia sembrano associarsi a un effetto pro-aterogeno, mentre dosaggi inferiori sem-brerebbero non influenzare il rischio cardiovascolare o essere addirittura protettivi grazie alla loro attività antinfiammatoria 1 3 20.

METHOTREXATO E ALTRI DMARDIl methotrexato si è rivelato in grado di ridurre in ma-niera significativa l’incidenza di patologia cardiova-scolare nei pazienti con AR. In uno studio questo far-maco ha ridotto la frequenza di infarto del miocardio di circa il 70%, riducendo l’infiammazione sinoviale e sistemica 1 3 15 18. Il methotrexato è un altro dei far-maci con azione bidirezionale in quanto da un lato aumenta i livelli di omocisteina, dall’altro riduce i livel-li di numerosi mediatori pro-infiammatori, svolgendo così un’azione favorevole sul rischio cardiovascolare stesso 1 3 15 18. È stato osservato che la concomitante terapia con folati previene l’aumento dell’omocistei-na indotto dal methotrexato, riducendo la mortalità cardiovascolare. Gli antimalarici, clorochina e idros-siclorochina, hanno chiare proprietà anti-aterogene, riducendo il colesterolo totale e i livelli di LDL e VLDL (lipoproteine a densità molto bassa), e inibendo, invitro, l’aggregazione piastrinica. Tuttavia non è tutto-ra noto se questi effetti favorevoli abbiano una reale rilevanza clinica 18. L’uso di alcuni farmaci citotossici immunosoppressori quali azatioprina, ciclosporina e leflunomide è stato associato a un significativo incre-mento del rischio cardiovascolare rispetto alla mono-terapia con methotrexato 18.

ANTI-TNF-Gli effetti dei farmaci anti-TNF- sul rischio cardiova-scolare nei pazienti con AR sono potenzialmente com-plessi. Da un lato è noto che questi farmaci possono promuovere la comparsa di scompenso cardiaco e peggiorare la funzione contrattile del miocardio, dal-l’altro essi esercitano una potente azione antinfiamma-toria e possono quindi ridurre il rischio aterogeno 1.La terapia con infliximab dopo 12 settimane migliora la funzione endoteliale, suggerendo come l’infiam-mazione sia un mediatore della stessa disfunzione 1.Inoltre la terapia anti-TNF- riduce l’insulino-resistenza

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e la PCR e aumenta i livelli delle HDL, migliorando le capacità anti-ossidative 3. Nei pazienti che rispondo-no alla terapia con anti-TNF- è stata osservata una riduzione dello spessore media-intima delle carotidi, verosimilmente grazie al controllo dell’infiammazione 19. Il blocco del TNF- provoca anche una riduzione del numero dei linfociti CD4+CD28null 1 3. I risultati ri-guardanti i pazienti inclusi nel registro britannico dei biologici hanno evidenziato che i pazienti con AR che rispondevano alla terapia con anti-TNF- presentava-no un ridotto rischio di infarto del miocardio rispetto a quelli trattati con DMARD tradizionali, suggerendo an-cora una volta il ruolo primario giocato dal TNF- 21.Per quanto riguarda il rischio di scompenso cardiaco, particolare rilievo sembrano assumere i risultati riguar-danti i pazienti inclusi nel registro tedesco dei biolo-gici. I pazienti con AR severa, soprattutto quelli con malattia attiva valutata con il DAS28, dimostravano un aumentato rischio di scompenso cardiaco. In questi pazienti la risposta alla terapia con gli anti-TNF- si associava a un effetto complessivo favorevole sulla comparsa di scompenso cardiaco, soprattutto in quelli non trattati contemporaneamente con glucocorticoidi o con COXIB. Infine, in questa casistica, l’inibizione del TNF- non ha aumentato il rischio di peggiora-mento di uno scompenso cardiaco preesistente 22.

STATINELa terapia con statine riduce significativamente il ri-schio cardiovascolare. Oltre al loro effetto ipocole-sterolemizzante, questi farmaci svolgono un’azione anti-aterosclerotica, modulando l’attività dei linfociti e il processo infiammatorio. Infatti le statine riducono il livello di PCR, inibiscono l’espressione delle molecole MHC di classe II indotta dall’interferone- , sopprimen-do quindi i linfociti T coinvolti nei processi autoimmuni-tari e prevengono la disfunzione endoteliale. A questo proposito, l’atorvastatina ha dimostrato di ridurre l’atti-vità della malattia in una popolazione di pazienti con AR, diminuendo VES, PCR e i livelli di IL-6. Si potrebbe quindi ipotizzare, in assenza di controindicazioni, un futuro impiego delle statine come terapia aggiuntiva al fine di ridurre il rischio cardiovascolare nei pazienti con AR 23.

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