Rete della Conoscenza - numero 6

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V ogliamo tutto! venerdì 7 gennaio 2011 Segue a pagina 2 SIAMO NOI. SIAMO CIÒ CHE SAREMO Movimento Claudio Riccio Da anni in Italia una controrivolu- zione ha chiuso le porte in faccia alla democrazia e ai diritti sociali. La trasformazione profonda della Costituzione materiale, lo svuota- mento del Parlamento, la trasfor- mazione del sistema politico, so- no tasselli fondanti della “guerra totale alla società”. Da anni, infat- ti, la democrazia italiana non c’è più, sostituita da posticce mac- chine del consenso e discutibi- li tornate elettorali. Il 14 dicembre 2010, con la compravendita della fiducia, equivale alla notifica della fine della democrazia in Italia. In questo contesto sono molti i temi da affrontare, ma, senza dubbio, la crisi democratica ci costringe a in- terrogarci sull’efficacia e il senso delle lotte che conduciamo, sul- le prospettive del movimento stu- dentesco e sulle sue possibilità di vittoria. Siamo in un sistema poli- tico bloccato, nel quale sembra es- sere saltata ogni mediazione tra istituzioni e società civile. Il fossa- to tra Parlamento e istanze sociali non è mai stato così ampio. A de- scrivere ciò è l’istantanea del 22 di- cembre: il Parlamento presidiato da una enorme zona rossa, i citta- dini che scappano dal centro, i ne- gozi chiusi, le risse nel Senato, Mirafiori III Il ricatto continua, la Fiom unica ad opporsi alla svendita dei diritti, con i lavoratori alla prova del referendum “truffa” Scuola IV Studenti sempre più ignoranti a causa dei diplomifici che abbassano la media. E il governo continua a finarziarli Beni comuni V Intervista a Marco Bersani del Forum Movimenti per l’Acqua. La ripubblicizzazione nuova frontiera anche per i Saperi Ce n’est qu’un début, non è che l’inizio, comincia adesso, il nostro tempo è qui. E ogni volta credevamo comin- ciasse qualcosa di nuovo. Ogni in- terruzione nello scorrere dei no- stri tempi, fosse data dall’estate o dal Parlamento, da un Capodanno o da una sessione di esami, dall’ap- parente sconfitta o dai nostri stes- si errori, era un automatico riazze- rare i contatori, strappare la pagi- na al calendario, per alcuni con- tinuare l’impegno con lo stesso vigore e minor clamore, per altri tornare a casa, in attesa che il ven- to gonfiasse ancora le tende alle fi- nestre. Questa volta non è e non sarà così. Sappiamo che quel che siamo nasce nell’Onda, nelle facol- tà occupate del 2005, nei Contro- stati generali del 2001, nei movi- menti contro la guerra, ma anche nei vari movimenti di indignazio- ne e opposizione sociale del ciclo berlusconiano. Sappiamo che non c’è mai un inizio. È un continuo ri- prendere, rilanciare, continuare. E non si riprende mai dove ci si era fermati, ché il futuro si avvicina ogni giorno che passa, ed è sempre peggio. Come dicono gli zapatisti: “La lotta è come un cerchio, può cominciare in qualunque pun- to, ma non finisce mai”. Provi e ri- provi a far tornare quel vento, e di colpo ti sorprende, anche quando sai che sta arrivando. E sei di nuo- vo lì. Le strade si riempiono, e tutti ti guardano. Curiosi o spaventati. Chi dai finestrini di un’auto bloc- cata, chi da dietro i vetri di una fi- nestra di uno sfarzoso palazzo ro- mano in cui si decide di noi. Sen- za di noi. Ci guardano e dicono, e scrivono: “È il ritorno del Seicen- to”, “sono i moti del ‘48”, “È un nuo- vo ‘68, anzi forse è il ‘69”, “Son tor- nati gli anni ‘70”, è la nuova Resi- stenza. E pensare che fino a qual- che tempo fa eravamo i figli degli anni ‘80, generazione senza sto- ria e ideali. Non siamo nulla di tut- to ciò, o forse siamo tutto, e quin- di siamo nuovi. “Noi siamo nuovi, ma siamo quelli di sempre.” Non siamo l’Onda 2, non siamo la Pan- tera 2, non abbiamo l’ansia e il bi- sogno di avere un nome, comuni- chiamo respirando, pensando, di- scutendo, agendo. Non vogliamo però essere giudica- ti o definiti per quel che siamo sta- ti, ma per ciò che siamo ora, e so- prattutto per quel che riusciremo a fare. Noi siamo. Noi siamo ciò che saremo. vieni sul sito Il più grande autunno studentesco degli ultimi trent’anni non finirà con la pausa natalizia. Non c’è solo una riforma da fermare ma un futuro da riconquistare, qui ed ora

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Numero 6 de Rete della Conoscenza in allegato con Terra - quotidiano ecologista.

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Vogliamo tutto!

venerdì 7 gennaio 2011

Segue a pagina 2

Siamo noi. Siamo ciò che Saremo

Movimento

Claudio Riccio

Da anni in Italia una controrivolu-zione ha chiuso le porte in faccia alla democrazia e ai diritti sociali. La trasformazione profonda della Costituzione materiale, lo svuota-mento del Parlamento, la trasfor-mazione del sistema politico, so-no tasselli fondanti della “guerra totale alla società”. Da anni, infat-ti, la democrazia italiana non c’è più, sostituita da posticce mac-chine del consenso e discutibi-li tornate elettorali. Il 14 dicembre 2010, con la compravendita della fiducia, equivale alla notifica della fine della democrazia in Italia. In questo contesto sono molti i temi da affrontare, ma, senza dubbio, la crisi democratica ci costringe a in-terrogarci sull’efficacia e il senso delle lotte che conduciamo, sul-le prospettive del movimento stu-dentesco e sulle sue possibilità di vittoria. Siamo in un sistema poli-tico bloccato, nel quale sembra es-sere saltata ogni mediazione tra istituzioni e società civile. Il fossa-to tra Parlamento e istanze sociali non è mai stato così ampio. A de-scrivere ciò è l’istantanea del 22 di-cembre: il Parlamento presidiato da una enorme zona rossa, i citta-dini che scappano dal centro, i ne-gozi chiusi, le risse nel Senato,

Mirafiori IIIIl ricatto continua, la Fiom unica ad opporsi alla svendita dei diritti, con i lavoratori alla prova del referendum “truffa”

Scuola IVStudenti sempre più ignoranti a causa dei diplomifici che abbassano la media. E il governo continua a finarziarli

Beni comuni VIntervista a Marco Bersani del Forum Movimenti per l’Acqua. La ripubblicizzazione nuova frontiera anche per i Saperi

Ce n’est qu’un début, non è che l’inizio, comincia adesso, il nostro tempo è qui.E ogni volta credevamo comin-ciasse qualcosa di nuovo. Ogni in-terruzione nello scorrere dei no-stri tempi, fosse data dall’estate o dal Parlamento, da un Capodanno o da una sessione di esami, dall’ap-parente sconfitta o dai nostri stes-si errori, era un automatico riazze-rare i contatori, strappare la pagi-na al calendario, per alcuni con-tinuare l’impegno con lo stesso vigore e minor clamore, per altri tornare a casa, in attesa che il ven-to gonfiasse ancora le tende alle fi-nestre. Questa volta non è e non sarà così. Sappiamo che quel che siamo nasce nell’Onda, nelle facol-tà occupate del 2005, nei Contro-stati generali del 2001, nei movi-menti contro la guerra, ma anche nei vari movimenti di indignazio-ne e opposizione sociale del ciclo berlusconiano. Sappiamo che non c’è mai un inizio. È un continuo ri-prendere, rilanciare, continuare. E non si riprende mai dove ci si era fermati, ché il futuro si avvicina ogni giorno che passa, ed è sempre peggio. Come dicono gli zapatisti: “La lotta è come un cerchio, può cominciare in qualunque pun-to, ma non finisce mai”. Provi e ri-provi a far tornare quel vento, e di colpo ti sorprende, anche quando sai che sta arrivando. E sei di nuo-vo lì. Le strade si riempiono, e tutti ti guardano. Curiosi o spaventati. Chi dai finestrini di un’auto bloc-cata, chi da dietro i vetri di una fi-nestra di uno sfarzoso palazzo ro-mano in cui si decide di noi. Sen-za di noi. Ci guardano e dicono, e scrivono: “È il ritorno del Seicen-to”, “sono i moti del ‘48”, “È un nuo-vo ‘68, anzi forse è il ‘69”, “Son tor-nati gli anni ‘70”, è la nuova Resi-stenza. E pensare che fino a qual-che tempo fa eravamo i figli degli anni ‘80, generazione senza sto-ria e ideali. Non siamo nulla di tut-to ciò, o forse siamo tutto, e quin-di siamo nuovi. “Noi siamo nuovi, ma siamo quelli di sempre.” Non siamo l’Onda 2, non siamo la Pan-tera 2, non abbiamo l’ansia e il bi-sogno di avere un nome, comuni-chiamo respirando, pensando, di-scutendo, agendo.Non vogliamo però essere giudica-ti o definiti per quel che siamo sta-ti, ma per ciò che siamo ora, e so-prattutto per quel che riusciremo a fare. Noi siamo. Noi siamo ciò che saremo.

vieni sul sito

Il più grande autunno studentesco degli ultimi trent’anni non finirà con la pausa natalizia.Non c’è solo una riforma da fermarema un futuro da riconquistare, qui ed ora

venerdì 7 gennaio 2011II www.retedellaconoscenza.it

La Gelmini è legge, ma può ancora essere fermata

l parlamento ha approva-to il ddl Gelmini, il pre-sidente della Repubbli-ca Napolitano l’ha firma-

to. La riforma dell’università varata dal governo il 28 otto-bre 2009, dopo oltre un anno di battaglia, è legge. Alcune delle sue parti più devastanti, come ad esempio la messa a esauri-mento del ruolo dei ricercato-ri a tempo indeterminato, so-no già vigenti e operanti: nien-te più concorsi per quel ruolo, ma solo per posti a tempo de-terminato. Altri dei punti cri-tici della riforma, invece, han-no bisogno di ul-teriori passaggi per entrare in vi-gore: tutta la par-te sul diritto allo studio, ad esem-pio, con il rischio di smantellamen-to del già carente sistema di borse di studio, mense e alloggi, è co-struita in forma di delega al go-verno: l’esecutivo ha un anno di tempo per emanare i decreti legislativi che stabiliranno, tra le altre cose, i famosi Lep (livel-li essenziale di prestazione), la soglia minima di servizi di di-ritto allo studio che le Regio-ni devono rispettare per quan-to riguarda, si legge nel testo, «borse di studio, trasporti, as-sistenza sanitaria, ristorazio-ne, accesso alla cultura, allog-gi». Il governo dovrà stabilire non solo i servizi, ma anche e soprattutto i «requisiti di me-rito ed economici» necessari ad accedervi. La riforma del-la governance, invece, passerà al livello locale: tutte le modifi-che sancite dalla legge Gelmi-ni, dall’aumento dei poteri del rettore all’ingresso di esterni nei consigli di amministrazio-ne, dalla riduzione delle già li-mitate rappresentanze studen-tesche allo spacchettamen-to delle facoltà in dipartimen-ti autonomi, accorpabili e fe-derabili anche con pezzi di al-tri atenei, dovranno infatti es-sere recepite negli statuti del-le università. Un procedimento che normalmente comporte-rebbe anni, ma che invece non potrà durare più di 6 mesi (più altri 3 di eventuale proroga), durante i quali un apposito or-gano istituito dalla stessa legge Gelmini (15 componenti in tut-to, cioè il rettore, 2 rappresen-tanti degli studenti, 6 delegati del senato accademico e 6 del

Lorenzo Zamponi

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Università Dopo l’approvazione del ddl e la firma di Napolitano, continua la battaglia contro la riforma universitaria. Ora tocca ai decreti del governo e agli statuti negli atenei

consiglio di amministrazione) dovrà elaborare una proposta che sarà poi approvata da cda e senato. Chi non sta nei tem-pi, secondo la legge, sarà com-missariato. I campi di batta-glia, quindi, per un movimento studentesco che ha già dimo-strato di essere in grado di su-perare la fase delle canoniche mobilitazioni autunnali, co-

struendo cortei radicali e par-tecipati fino al 22 dicembre, si moltiplicheranno nei prossimi mesi: sia a livello locale, dentro e fuori gli organi collegiali, sia a livello nazionale, con un lavo-ro di monitoraggio e mobilita-zione costante sui decreti legi-slativi e in particolare sulla ri-forma del diritto allo studio. In-somma: a prescindere dall’ipo-

tesi di un eventuale referen-dum, stimolante ma non priva di difficoltà, c’è ancora la pos-sibilità di bloccare la legge Gel-mini in alcune delle sue par-ti più pericolose. Il prevedibi-le calo dell’attenzione mediati-ca non deve farci abbassare la guardia, la battaglia continua: il nostro futuro non è ancora scritto.

Il nuovo anno è appena ini-ziato e le università già de-vono fare i conti con i ta-gli dei finanziamenti dallo stato. Mentre tutta Italia era impegnata a stappa-re spumante e a mangia-re panettoni, il Ministero della scuola, dell’Universi-tà e della Ricerca rendeva pubblico il dato del Fondo di Finanziamento Ordina-rio dell’anno 2010.Questo dato, che rappre-senta il totale dei finan-ziamenti che le università riceveranno dallo stato, di solito reso pubblico entro l’aprile dell’anno corren-te, quest’anno, come nel 2009, è arrivato in ritar-do solamente di un anno. Mentre tutti gli atenei era-no impegnati nella defini-zione dei bilanci preventi-vi per il 2011, cioè nel de-finire i preventivi di spe-sa per gli atenei, il mini-stero finalmente stanzia-va i fondi per l’anno ora-mai concluso.Il FFO del 2010 è di circa 7,2 miliardi, appena 300 mila in meno dell’anno precedente. Pochi, si po-trebbe obiettare. Pecca-to le università e la ricer-ca italiane siano tra le peg-gio finanziate in Europa e che se altri paesi arrivano

Luca Spadon

La Befana Gelmini porta nuovi tagli

Finanziamenti

A prescindere dall’ipotesi di un eventuale referendum, c’è ancora la possibilità di bloccare la legge Gelmini

Il tempo della vittoria dall’altro lato un enorme cor-

teo che, delegittimando i Palaz-zi del Potere, si incammina, in direzione ostinata e contraria, verso le periferie romane, tra gli applausi della cittadinanza Le guerre in Medio Oriente e la cri-si economica da un lato, il movi-mento altermondialista e per la pace dall’altro avevano palesato quanto fosse superata ogni ipo-tesi di fine della storia. La chiu-sura della stagione dei movi-menti seguita a Seattle e Geno-va aveva fatto proseguire la sto-ria solo in una direzione. La tra-sformazione dei processi deci-sionali e di governance globa-le e l’assenza di orizzonti teorici sembravano aver reso impossibi-le la ripresa di movimenti socia-li che non fossero legati al qui ed ora, che non fossero “solo” lotte

Claudio Riccio dalla prima territoriali, sembrava non ci fos-se spazio per una grande mobi-litazione generale che unisse an-che le vertenze e le mobilitazioni locali e particolari. Il movimento studentesco è riuscito a fare ciò, ha riaperto uno spazio di possi-bilità, se non addirittura di vitto-ria. Non si può però eludere un nodo: il 23 dicembre la riforma Gelmini è stata approvata. Molti giornalisti, pochi studenti si son detti: “Il movimento studentesco ha perso”. Nulla di più falso. Solo chi ha una concezione del movi-mento come qualcosa di micro-vertenziale e di corto respiro può pensare ad una sconfitta. L’Onda fu parzialmente sconfitta: il suo obiettivo miope era bloccare la 133/08. Non ci riuscì. Ma fu solo parzialmente sconfitta perché in quel “noi la crisi non la paghia-mo” c’erano le basi della grande vertenza sul futuro lanciata da-

gli studenti due anni dopo. Sen-za l’Onda noi non saremmo quel che siamo. Ma in un Paese in cui sono saltati tutti gli elementi di mediazione istituzionale e tra le parti sociali, con un Parlamento e una maggioranza che non san-no e non vogliono ascoltare, ser-ve interrogarsi sul senso della sconfitta e della vittoria. Il tem-po della vittoria non si misura oggi, qui ed ora. Sbaglia chi pen-sa che si possa oggi vincere una battaglia con questo parlamen-to. È possibile vincere vertenze e lotte sul piano territoriale, nelle facoltà, negli atenei, nei Comuni e nelle Regioni. Ma a livello na-zionale e internazionale serve una mobilitazione generale che delinei un’altra idea di società. Il tema del futuro di una intera ge-nerazione, declinato dal punto di vista sociale, è la chiave con cui riaprire una fase larga di mobili-

tazione che coinvolga il mondo del lavoro ricattato da un model-lo economico fondato sul ricatto, i cittadini indignati per la corru-zione del nostro sistema politi-co, i trentenni che per primi spe-rimentano la precarizzazione to-tale della propria vita. È possi-bile vincere mettendo il proprio cammino di lotte a disposizione di un grande movimento socia-le che abbia l’ambizione di poter trasformare la società, a partire da questa Italia, a partire da quel che siamo, mettendo in gioco ciò che saremo, aggredendo il tem-po, qui ed ora. In Italia, la peggior classe dirigente di sempre, una classe dirigente incapace, avi-da e corrotta, ha preparato per noi il peggiore dei futuri possibi-li. C’è un treno, destinazione fu-turo, i cui binari portano ad uno strapiombo mortale. Dirottiamo il futuro. Riscriviamolo.

Movimento Le mobilitazioni hanno riaperto lo spazio della partecipazione e del cambiamento

Saperi& Lavoro

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IIIwww.retedellaconoscenza.it venerdì 7 gennaio 2011

to”, passaggio a 120 ore di straor-dinario obbligatorio rispetto al-le 40 concesse dal CCNL, taglio della pausa da 40 a 30 minuti, ri-schio di slittamento della men-sa a fine turno, sanzioni indivi-duali ( fino al licenziamento) e per i sindacati in caso di even-tuali scioperi riguardanti i tem-pi e l’organizzazione del lavoro, ecc – ma addirittura a Torino si è giunti a far fuori quel sinda-cato che ancora fa del conflitto e della contrattazione la ragio-ne del suo esistere. A chi non fir-merà l’accordo infatti – e la Fiom non lo farà – sarà impedito di indire assemblee e di partecipa-re all’elezione interna dei propri rappresentanti. Le RSU si ri-tra-sformeranno in RSA, che verran-no distribuite pariteticamente tra le organizzazioni firmatarie (15 a testa, nominate dai sinda-cati), gettando così un colpo di spugna sull’accordo del ‘93 sulle rappresentanze sindacali. È una svolta epocale: l’azienda Italiana più grande fa carta straccia an-

che dei preceden-ti accordi separa-ti, guarda più in là di Confindustria (che si accoda), in-cassa la sponda del governo (pronto a metter mano an-che sullo Statuto dei Lavoratori) e di

alcuni sindacati decisi da tem-po a mutar pelle, usando in de-finitiva il ricatto della delocaliz-zazione per fare da apripista ad un modello dai tratti pericolo-samente neocorporativi, che se non bloccato in tempo da una poderosa opposizione sociale e politica andrà presto ad esten-dersi anche a tutti gli altri setto-ri del lavoro dipendente. La dif-ferenza tra garantiti e flessibili, su cui più volte hanno fatto le-va gli stessi artefici delle “retori-che del disumano” incitanti alla guerra tra poveri ed interessa-ti a scatenare anche una guerra generazionale pur di mantenere disarticolato un tessuto sociale già lacero, si schianta progres-sivamente di fronte al profilarsi di un comune orizzonte di pre-carietà e di schiavizzazione, tan-to per i genitori quanto per i fi-gli. Oggi più che mai è necessa-rio lanciare una seconda grande tappa di quel percorso comin-ciato il 16 Ottobre a Roma, co-struendo nei luoghi della forma-zione iniziative di avvicinamen-to allo sciopero dei metalmecca-nici del 28 gennaio, in modo da renderla una data di lotta più ge-neralizzata possibile.

Fiat: il ricatto continuada Pomigliano a Mirafiori

ualcuno quest’estate di-ceva che Pomigliano sa-rebbe stato un caso iso-lato. Secondo il coro della

propaganda pro-accordo, nell’ex stabilimento dell’Alfa vi erano gli elementi di eccezionalità per giustificare la stretta discipli-natoria avanzata da Marchion-

Francesco Lopomo

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Lavoro Marchionne rilancia: il ricatto della delocalizzazione arriva a Torino, e chi non ci sta va cacciato dalla rappresentanza. La Fiom convoca lo sciopero il 28 gennaio

a spendere l’1,3% del PIL il nostro paese spende ap-pena l’0,9%.Quest’anno, inoltre, si ag-giunge una novità: il famo-so fondo per il merito del FFO, cioè quella quota di risorse assegnate alle uni-versità sulla base di crite-ri meritocratici, è aumen-tato dal 7 al 10% rispetto all’anno precedente.Qualcuno potrebbe soste-nere che è giusto valuta-re le università in base al merito. Peccato che que-sti criteri siano alquan-to contestabili e frutto so-lo di calcoli sull’efficienza del sistema che ben poco hanno a che fare con la di-dattica e la ricerca.Il risultato della scuola del merito proposta dal Mini-stro Gelmini è un’universi-tà sempre meno finanzia-ta dallo stato e che si basa sempre di più sulle tasse universitarie, che negli ul-timi anni sono aumenta-te in molti atenei italiani: a Padova di 300 euro per la fascia massima, a Bari del 15% in ultima fascia, ecc.Le università continue-ranno a sperare in un nuo-vo anno migliore, nell’atte-sa che il Governo smetta di tagliare sull’istruzione e sul futuro dei giovani.

È una svolta epocale: Fiat

straccia gli accordi e usa il ricatto della

delocalizzazione per imporre un modello

neocorporativo

ne con la richiesta, oltre ai dub-bi provvedimenti sulla produtti-vità, di deroghe al CCNL in ma-teria di diritto di sciopero e sulla malattia. Il caso non si sarebbe esteso, dicevano. E, in effetti, sia-mo già ben oltre Pomigliano.In pochi mesi infatti, come pun-tualmente previsto dalla Fiom, la partita si è trasferita su Mi-rafiori, e le condizioni dettate

dall’azienda sono diventate an-cor più feroci. Non soltanto si è riproposto quasi in toto il mo-dello Pomigliano – creazione di una “Newco” (la joint-venture Fiat-Chrysler) e riassunzione di ogni lavoratore con firma indivi-duale sul contratto, uscita tem-poranea da Confindustria e dal CCNL in vista della futura cre-azione di un “Contratto dell’au-

Saperi& Lavoro

La truffa del controesodol 23 dicembre il Senato del-la Repubblica era il teatro di un acceso scontro tra mag-gioranza e opposizione, in

diretta tv, sul ddl Gelmini di ri-forma dell’università. Peccato che, pochi minuti prima, lo stes-so Senato avesse approvato qua-si all’unanimità un’altra legge ri-guardante il futuro della nostra generazione. Si tratta della leg-ge «Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia», venduta mediaticamente come «ddl con-tro la fuga dei cervelli» e defini-ta addirittura «legge Controeso-do», in una lettera pubblicata dal Corriere della sera il 2 gennaio, dal vicesegretario del Pd Enrico Letta (primo firmatario del prov-vedimento) e da Maurizio Lupi del Pdl. La legge è nata dall’in-contro tra l’associazione 360 (il

Cinzia Longo think tank di Letta) e l’Intergrup-po per la Sussidiarietà ( fondato da Lupi), legata alla Fondazione per la Sussidiarietà, uno dei pi-lastri della galassia politica, cul-turale e soprattutto economi-ca di Comunione e Liberazione. L’Intergruppo, in pratica, è il net-work dei parlamentari amici di CL, che in questa legislatura ha raggiunto i 322 componenti. Ma sorvoliamo un secondo sull’im-magine agghiacciante di un Par-lamento occupato per un terzo da una lobby trasversale legata a un movimento fondamentalista religioso, e concentriamoci sulla legge che Letta e Lupi definisco-no sul Corriere «un passo fonda-mentale» per riportare in Italia il milione di cittadini (in gran parte giovani) che ha lasciato il paese negli ultimi 4 anni. La legge pre-vede che i laureati under 40 ita-liani (o cittadini Ue che abbiano

vissuto in Italia almeno 2 anni) che studiano o lavorano all’este-ro da almeno 2 anni e che oggi vengono assunti o aprono un’im-presa in Italia, paghino fino a fine 2013 l’Irpef su una quota ridotta del proprio reddito (20% per le donne, 30% per gli uomini). Tut-to qua? No, dai, si parla anche di casa: le Regioni, se vogliono, pos-sono dedicare a questi “cervel-li rientranti” una quota degli al-loggi popolari (non si capisce di quali, dato che, come ha denun-ciato l’Unione Inquilini, sono già 600 mila le domande non soddi-sfatte per l’assegnazione di un al-loggio pubblico). Ecco, questo dovrebbe farci tornare in Italia: uno sconto fiscale, per chi viene assunto o apre un’impresa. Non importa che avere un contratto di lavoro con salario, diritti e pro-spettive di crescita paragonabili agli standard europei sia impos-

sibile, oggi, in Italia. Non importa che aprire un’impresa, se non si ha alle spalle una famiglia facol-tosa in grado di garantire il cre-dito, sia impossibile, oggi, in Ita-lia. Caro Letta, caro Lupi, se non l’avete capito ve lo spieghiamo: non stiamo scappando dalle tas-se. Non si pagano tasse, su red-diti inesistenti. Stiamo scappan-do da un’Italia che non ci dà op-portunità né diritti. Non servono sconti fiscali, se il lavoro non c’è. Serve il lavoro. Serve una politi-ca seria di investimenti su ricer-ca e innovazione. Serve la rico-struzione di un sistema di rego-le contrattuali dignitose. Servo-no strumenti di welfare in grado di garantire autonomia alla gene-razione precaria. Servono servizi sociali minimamente paragona-bili a quelli che troviamo all’este-ro. Questa, oggi, è l’alternativa al-la fuga.

Parlamento Enrico Letta e Maurizio Lupi presentano la nuova legge sul “rientro dei cervelli”

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IV www.retedellaconoscenza.itvenerdì 7 gennaio 2011

una lotta comune a livello glo-bale sul tema delle migrazioni, i dibattiti politici nazionali reste-ranno impantanati nelle politi-che della sicurezza e della ca-rità e gli stessi lavoratori reste-ranno divisi, perché percepiran-no gli immigrati come una mi-naccia.Una sinistra degna di questo nome dovrebbe essere capa-ce di costruire a livello inter-nazionale due battaglie fonda-mentali: la prima per il control-lo dei movimenti di capitale, fa-cendo percepire ai lavorato-ri di tutto il mondo che la cau-sa dell’abbassamento dei salari è la migrazione ma la globaliz-zazione economica, mentre l’al-tra dovrebbe essere per la ratifi-

ca della Convenzio-ne Onu sulla prote-zione dei diritti dei lavoratori migranti.Si tratta di un testo del 1990 non ratifi-cato dai paesi eu-ropei e che impor-rebbe standard mi-nimi di diritti ai la-

voratori migranti regolari e irre-golari. Perché non sfidare l’ipo-crisia europea su questi temi? D’altronde si tratta solo di ripe-tere cose – a cui si potrebbe ag-giungere la richiesta di abolizio-ne della legge Bossi-Fini - che i movimenti sapevano dire be-nissimo a voce alta fino a una dozzina di anni fa.

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Globalizzazione e migranti Torniamo a parlarne

uasi nessuno ne ha par-lato, ma lo scorso au-tunno si è tenuto a Qui-to un appuntamento di

rilievo internazionale per i mo-vimenti sociali. nella capita-le peruviana si è svolto infat-ti, dall’8 al 12 ottobre, il Social Forum Mondiale sulle Migra-zioni, un appuntamento che ha provato a costruire una nuova agenda politica sul tema delle migrazioni e dei diritti globali.il lavoro avviato a Quito cul-minerà nel Social Forum Mon-diale che tra poche settimane si terrà in Senegal, dove verrà approvata una Carta Mondia-le dei Migranti, un documen-to che rivendicherá il diritto al-la libera circolazione dei citta-dini, l’uguaglianza dei diritti e l’opposizione alle politiche neo-liberiste che sono la causa del-la povertà nel Mondo. Sono di-scorsi, questi, che fuori dall’eu-ropa sono al centro delle rifles-sioni politiche dei movimenti ma che purtroppo non vivono più di quasi nessuna attenzio-ne delle forze politiche di sini-stra italiane, tanto da far sorge-re il dubbio che abbiano defini-tivamente rinunciato ad affron-tare il tema perché vissuto con sofferenza dall’elettorato.il problema è che anche quando è costretta ad esprimere pareri la sinistra si limita ad alternare un atteggiamento “sceriffesco” che prova a inseguire i temi det-tati dalla lega nord o un solida-rismo che appare spesso insuf-ficiente. È possibile invertire la rotta e tornare a porre al centro del dibattito politico un tema che riguarda più di 200 milio-ni di persone senza limitarlo al-

Nicola Tanno

Qla sicurezza e alla paura? la si-nistra italiana, che dieci anni fa durante una breve ma felice sta-gione si dimostrò capace di ana-lizzare i problemi locali in chia-ve globale, non può pensare di continuare ad ignorare il tema e di non ricostruire una relazio-ne con le forze progressiste dei paesi di forte emigrazione, pena un’incapacità ancora maggiore di capire i processi globali. Se c’è una lezione da trarre da quest’autunno di lotte di ope-

rai e studenti, è che non c’è più tempo da perde-re nella costru-zione di un movimento di alter-nativa a livello internazionale. il tema è emerso chiaramente sul caso Fiat dove è chiaro che le battaglie dei lavoratori italia-ni, serbi e polacchi sarebbero più forti se vedessero una unità di classe che travalichi i confini nazionali. allo stesso tempo, è chiaro che se non si costruisce

A Dakar si lancerà una Carta Mondiale dei Migranti, per la libera circolazione e l’uguaglianza, contro il neoliberismo

Per combattere le ingiustizie che da sempre viviamo nelle nostre città, scuole e univer-sità bisogna guardarsi indie-tro. Tener conto di ciò che in passato è avvenuto per far in modo che quegli errori non riaccadano più. Questo è il presupposto fondamentale per capire la memoria sto-rica, per coglierne l’impor-tanza a dir poco fondamen-tale, per rinnovare quotidia-namente le nostre lotte. Pro-prio per questo la rete della Conoscenza quest’anno è tra le promotrici della “Carova-na delle Memorie” insieme ad a.n.P.i., libera e all’istitu-to “Fratelli Cervi”. Tutelare la memoria di coloro che han-no dato la vita per cambiare radicalmente la società in-giusta in cui viviamo. Porta-re i valori dell’antifascismo e dell’antimafia nei luoghi del-la formazione. e nei territori. Questi gli intenti della caro-vana, che si pone come pri-mo obiettivo indagare il le-game che c’è tra mafie, fasci-smi e potere. Ma che cos’è la “Carovana delle Memorie”? e’ un viaggio, comune nelle nostre radici, da nord a sud, in ricordo delle vittime del-le mafie e dei fascismi, per ribadire che la loro memo-ria è il presupposto fonda-mentale per il nostro impe-gno. non a caso siamo par-titi proprio da Portella della Ginestra, ove il primo Mag-gio del 1947 la mafia, con la collusione di servizi segre-ti deviati, uccise senza pie-tà i lavoratori e le lavoratri-ci scesi per la loro festa. il nostro viaggio, che intrec-cerà anche la giornata del-le memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime del-le mafie (quest’anno a Po-tenza), si concluderà a reg-gio emilia proprio il 25 apri-le, giornata che oggi più che mai deve essere riempita di nuovi contenuti e nuove re-sistenze. Proprio a reggio, infatti, i sette fratelli Cer-vi persero la vita per mano della sanguinosa mano na-zista. Un incontro tra gene-razioni, per un “nuovo patto di resistenza”: gli studenti e le studentesse incontreran-no partigiani, familiari del-le vittime di mafia, persolai-tà impegnate quotidiamen-te per il riscatto civile e so-ciale del nostro paese. il Fa-scismo e la Mafia si fonda-no sull’ignoranza, sulla me-moria corta; il nostro im-pegno, invece, si basa sulla conoscenza e l’approfondi-mento, per fare in modo che questo viaggio sia solo l’ini-zio di una nuova resistenza quotidiana.

Radicinel futuro

Memorie

Privati di qualitàue rapporti, uno uscito a settembre e l’altro a di-cembre, delineano lo sta-to dell’istruzione in italia

rispetto ad altri trenta paesi. i da-ti pubblicati dall’Ocse a inizio an-no scolastico ci avevano disegna-to una scuola con investimenti bassissimi, che collocavano il no-stro paese in penultima posizio-ne seguito solo dalla Slovacchia a causa del magro 4,5% di investi-menti rispetto al Prodotto inter-no lordo. la percentuale di spe-sa per l’istruzione sul totale del-la spesa pubblica è di 9 punti per-centuali contro il 13,3 della me-dia Ocse. consegnandoci clas-si stracolme di studenti (22 stu-denti per classe contro una me-dia Ocse di 18). i nostri insegnan-ti, oltre a dover subire il licenzia-

Federico Del Giudice

D

Scuola Il rapporto Ocse-Pisa boccia gli studenti italiani, ma solo quelli delle paritarie. Sono i diplomifici ad abbassare la media

ni italiani in “lettura e compren-sione dei testi” si classifichereb-be di sette posti più in alto. an-che in “matematiche e scienze” il ranking nella preparazione degli studenti italiani scende di cinque posizioni. Oltre ai tagli alle scuo-le pubbliche il governo continua a promuovere gli stanziamen-ti per le scuole private, che negli ultimi dieci anni sono aumenta-te di numero, svolgendo spesso il ruolo di diplomifici funzionali a fare due o più anni in uno. Que-sto è l’ennesimo colpo alla qua-lità di un’istruzione che vedeva nella scuola pubblica il luogo giu-

dicante gli studen-ti ma anche giudi-cabile dalla società nel suo ruolo peda-gogico, ruolo scalfi-to dall’aziendalizza-zione crescente.

mento più grande della storia re-pubblicana, hanno stipendi infe-riori di 11 mila dollari all’anno ri-spetto ai colleghi degli altri paesi presi in considerazione. Fin qua era tutto prevedibile. la sorpresa è arrivata con il secondo studio, quello uscito qualche settimana fa sulla qualità dell’istruzione.Se guardiamo i dati pubblicati dallo studio Ocse-Pisa vediamo come gli studenti italiani abbia-no capacità inferiori alla media degli studenti degli altri paesi in letteratura, matematica e scien-ze. andando però nello specifi-co ci accorgiamo che, secondo i dati Ocse-Pisa, se non fosse per i ri-sultati degli stu-denti delle priva-te, il punteggio medio consegui-to dai quindicen-

Oltre ai tagli alle scuole pubbliche il governo promuove gli stanziamenti per le private

In movimento

venerdì 7 gennaio 2011 V

Beni comuni

rima di tutto la cronaca: qual è il punto della bat-taglia per la ripubbliciz-zazione dell’acqua, do-

po la mobilitazione del 4 di-cembre? Come sta procedendo la campagna per la moratoria, e quando si saprà se il referen-dum sarà celebrato quest’anno o rinviato?

La battaglia per la ripubblicizza-zione dell’acqua, dopo la conse-gna del 1,4 milioni di firme nel lu-glio 2009 e il via libera, nello scorso ottobre, della Corte di Cassazione sulla legittimità dei quesiti e delle firme raccolte, attende ora il pro-nunciamento della Corte Costitu-zionale che verrà emesso entro il 10 febbraio prossimo. Dopo que-sto passaggio, il Consiglio dei Mi-nistri dovrà decidere una data di voto tra il 15 aprile e il 15 giugno 2011. In caso di elezioni anticipa-te, l’intero iter viene rinviato di un anno; ma già in passato – ad esem-pio per i referendum antinuclea-ri del 1987 - il Governo aveva ap-provato un decreto per far votare comunque nell’autunno. È questa una richiesta che, nel caso, avan-zeremo. Mentre ora siamo impe-gnati nella richiesta di morato-ria sugli effetti del decreto Ronchi (che spinge alla privatizzazione definitiva dell’acqua) e sulla sop-pressione degli Ato, prevista dal-la legge 142/2010. Su quest’ultimo provvedimento, abbiamo ottenu-to una prima parziale proroga fi-no al 31 marzo 2011. Sulla morato-ria legata al decreto Ronchi anco-ra nulla ed è un segnale significati-vo. Perché da una parte è una car-tina di tornasole del degrado della democrazia in questo Paese: come si può proseguire con una norma-tiva che gli italiani potrebbero fra qualche mese abrogare. E dall’altra è il segnale di quanto i poteri for-ti temano il pronunciamento po-polare.

I movimenti per l’acqua pub-blica, in particolare con la campagna referendaria, sono riusciti a porre al centro del di-battito pubblico il tema dei be-ni comuni, che in quest’autun-no è diventato centrale per uni-re le battaglie di studenti, lavo-ratori, comunità territoriali in mobilitazione. Come si spiega il successo di questo tema?Dietro il successo della campagna referendaria ci sono quasi dieci an-ni di lavoro e di radicamento terri-toriale, fatto di decine e decine di vertenze che hanno contrastato le privatizzazioni già avvenute in

Lavoro, saperi e beni comuniper un nuovo modello di societàLorenzo Zamponi

P

Beni comuni Marco Bersani, portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’acqua,fa il punto sulla campagna referendaria e sul tema della ripubblicizzazione dei beni comuni

bloccare la legge Gelmini universi-tà per università, facoltà per facol-tà, e solo successivamente riflette-re sull’eventualità dello strumento referendario, che non può in nes-sun caso essere un sostituto delle lotte. Inoltre, riguardo allo speci-fico dei saperi, mi sembra che di-venti ancor più complessa la for-mulazione di quesiti adeguati non solo a rispedire al mittente la leg-ge attuale, ma l’insieme di norma-tive precedenti (e anche di diver-so colore politico) che tutte hanno contribuito al devastante risulta-to attuale. Ma questa è puramen-te una mia opinione, la lotta è vo-stra e siete tette e tutti voi a dover-ne decidere le tappe.

molte zone del Paese. La capacità di far incontrare queste esperien-ze fra loro, costruendo dal basso il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, e di farle convergere in una grande vertenza nazionale è sta-to il passaggio fondamentale, che ha permesso di scrivere una leg-ge d’iniziativa popolare sulla qua-le sono state raccolte nel 2007 ol-tre 400 mila firme e ora di arrivare alla straordinaria esperienza della campagna referendaria. Più in generale il tema dei beni co-muni è diventato il quadro den-tro cui tutte e tutti rivendichiamo una democrazia diversa e parteci-pata, uno spazio pubblico che ri-metta in campo relazioni sociali cooperative e contrasti la solitudi-ne competitiva in cui i poteri for-ti vorrebbero relegare l’intera vita delle persone.

Ormai da trent’anni esiste una narrazione dominante secondo cui il pubbli-co è corrotto e ineffi-ciente e il privato mo-derno e funzionale. È possibile, oggi, inver-tire questa tendenza?Io credo di sì. Perché il milione e 400 mila di donne e uomini che han-no consapevolmente fir-mato i quesiti referendari forse non conoscono tut-ta la complessità del tema acqua, ma hanno sicuramente acquisi-to un’importantissima intuizio-ne: che questa idea malsana che la vita delle persone debba essere interamente regolata dal merca-to ha fatto il suo tempo, va ferma-ta ed occorre invertire la rotta. Ma occorre essere chiari anche sul-la questione del “pubblico”. Nes-suno degli attivisti dell’acqua vuo-le alcun ritorno al passato, perché se per vent’anni le privatizzazio-ni hanno potuto dispiegarsi quasi senza che le persone se ne accor-gessero, è perché per troppo tem-po il “pubblico” è stato altrettanto distante dai bisogni dei cittadini. Noi diciamo infatti che la gestio-ne pubblica è condizione necessa-ria (perché sull’acqua non si devo-no fare profitti), ma assolutamen-te insufficiente se non diventa ge-stione partecipativa affidata alle comunità locali. In questo senso credo che su tutta la tematica dei beni comuni (naturali e sociali) si debba parlare di riappropriazione sociale ed immaginare anche uno statuto giuridico nuovo che superi la semplice dicotomia tra pubbli-co e privato.

Da qualche mese, con la nasci-ta della Rete della Conoscen-

za, abbiamo portato nel mo-vimento studen-tesco un ragio-namento che su-pera la sempli-

ce battaglia contro la privatiz-zazione di scuola e università, che è già in parte avvenuta, e si pone l’obiettivo della ripub-blicizzazione dei saperi. Ritie-ni che il tema possa ricostruire un’unità tra i movimenti socia-li tale da cambiare i rapporti di forza nel nostro paese?Dopo tre decenni in cui la vulgata liberista ha declinato la democra-zia come binomio di libero merca-to più elezioni formali (da esporta-re anche con le armi), occorre oggi la consapevolezza di come il mer-cato sia antitetico alla democra-zia. Perché nel mercato vale la re-gola “un dollaro, un voto” principio escludente ed antitetico alla rego-la “una testa, un voto” che designa i processi democratici. Per questo credo che l’elemento comune alle mobilitazioni per la ripubblicizza-zione dell’acqua e dei beni comuni e alle lotte per la ripubblicizzazio-ne dei saperi sia esattamente la ri-apertura di uno spazio pubblico e condiviso e la sottrazione di fette di società all’invadenza del merca-to. Ma questo vale anche per l’in-sieme delle lotte per i diritti – pen-so in questo momento allo scon-tro in atto alla Fiat - anche perché ciò che va rimesso in campo è un nuovo concetto di ricchezza so-

ciale, basato su un modello di pro-duzione e di consumo e su un mo-dello di beni comuni e di diritti che ponga al centro i bisogni sociali e ambientali.

Lo strumento del referendum è stato, in passato, un’oppor-tunità storica per alcuni movi-menti e un boomerang per al-tre battaglie. Ora c’è chi pro-pone al movimento studente-sco di seguire l’esempio e pro-porre un referendum contro la legge Gelmini. Il dibattito è aperto, e ci piacerebbe avere il tuo punto di vista.Non esistono ricette buone per tutti le stagioni e credo che ogni percorso di mobilitazione debba scegliere gli strumenti più adatti ai propri obiettivi. L’elemento, tutta-via, che ritengo sostanziale credo debba essere la continuità, la reti-colarità e la diffusione del conflitto sociale. Il movimento per l’acqua ha potuto cimentarsi con la bat-taglia referendaria dopo anni nei quali ha dimostrato territorio per territorio di poter metter in crisi i processi di privatizzazione. E an-che quando ha deciso di utilizzare lo strumento referendario, ha scel-to un insieme di quesiti che, oltre ad eliminare il passato, suggeris-sero l’orizzonte futuro, quello del-la gestione pubblica e partecipati-va. Analogamente, io credo che il movimento per la ripubblicizza-zione dei saperi debba innanzitut-to dimostrare di essere in grado di

Il tema dei beni comuni

è diventato il quadro dentro

cui tutte e tutti rivendichiamo

una democrazia diversa e

partecipata

Marco Bersani

IntervistaRete della Conoscenza

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Coordinamento editoriale a cura di: Lorenzo Zamponi

hanno collaborato: Roberto Iovino, Roberto Campanelli, Angelo

Buonomo, Enrico Consoli, Nicola Tanno, Andrea Aimar, Federico

Del Giudice, Cinzia Longo

Grafica: Filippo Riniolo

Chiuso in redazione alle ore 19.00

La Rete della Conoscenza è il network promosso da Unione degli Studenti e

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